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Storia Dell'educazione - VIDEO PILLOLE
Storia Dell'educazione - VIDEO PILLOLE
L’utopia rodariana comincia a nascere nel ‘50 e a sfiorire negli anni ‘80, quando si
impongono nuovi modelli educativi ed economici ed esistenziali legati al
pragmatismo tecnologico. Nasce così una nuova ANTROPOLOGIA legata alle
NUOVE TECNOLOGIE.
Alcuni genitori affermano che hai bambini non bisogna insegnare, ma accorre
giocare e divertirsi….dalla loro mente scaturisca un sapere giocoso (lezione di
Gianni Rodari). Si ipotizzava che il bambino necessita di un insegnamento giocoso
ma che di fatto il bambino è già educato, di per se intelligente perché è in contatto
con gli strumenti tecnologici.
Possiamo osservare che questa competenza tecnologica (di cui i bambini sono
dotati) li renda di fatto intelligenti e di fatto superiori agli adulti.
Invece l’idea di infanzia che hanno gli insegnanti è diversa. Infatti gli insegnanti
registrano una preoccupante diminuzione delle competenze del rendimento
scolastiche e nell’attenzione. Vi sono sempre più ragazzi che manifestano un calo
di abilità nella creatività (quella categoria essenziale del bambino che aveva
scoperto Gianni Rodari) e nell’esercizio astratto. I bambini hanno appreso a
manipolare i nuovi apparati, hanno visto che il sapere che ricavano dagli apparati è
immediato, stimolante e piacevole e non è necessario impegnarsi a lungo. Quindi si
crea una nuova idea di infanzia e di giovinezza nella quale dobbiamo confrontarci
per fare un nuovo lavoro educativo.
Abbiamo ereditato un’idea di infanzia ludica e leggera che non vuole più cambiare il
mondo, ma che vuole e che sa adattarsi con competenze in questo mondo.
L’immagine d’infanzia e quindi il modello educativo di cui si ispirano le scuole è
quella di un’infanzia libera, giocosa e competente che non vuole cambiare il mondo
ma che sa adattarsi a questo modo perché conosce la ragione tecnica. Questo
crea problemi perché i nostri insegnanti si trovano di fronte a bambini super
competenti sul paino tecnologico, super stimolatati che hanno bisogno di un
risultato immediato e di sempre nuovi stimoli.
Oggi la razionalità tecnica è una razionalità pragmatica, che non ha tanto tempo
per giocare ai giochi di parole (ribaltamento della realtà), che non ha voglia di
inventare giochi o artefatti linguistici surreali perché il pensiero di questa razionalità
tecnica non è divergente.
Le più recenti ricerche sul tema ci mostrano, che l’insegnati hanno una
rappresentazione della prima infanzia come di un bambino esposto con la
tecnologia. Secondo gli insegnati la frequentazione della tecnologia ridurrebbe
notevolmente le occasioni di gioco libero e di socializzazione...una infanzia che per
giocare ha bisogno della tecnologia.
Sta cambiando limacine d’infanzia, l’immagine d’infanzia si coniuga con la
tecnologia.
Se Gianni Rodari inaugura una nuova stagione educativa, oggi abbiamo un nuovo
paradigma dell’infanzia che sa interpretare, leggere il mondo perché conosce a
dimestichezza con le nuove tecnologie. Per Gianni Rodari l’infanzia è portatrice di
valori che dalla fantasia alla creatività si fa prospettiva per il rinnovamento dell’etica
e della politica. L’educazione serve per cambiare il mondo (il bambino è il padre
dell’uomo nuovo). Con Gianni Rodari la struttura moralistico e didascalica della
vecchia letteratura e della vecchia scuola viene abbandonata alla luce di una
rinnovata tecnologia dell’infanzia che si contrappone ad un pensiero adultocentrico
e moralistico che è ancora ancorato al passato.
IL BAMBINO TECNOLOGICO
Cercare di capire le direttrici di senso del mondo nel quale viviamo, mondo nel
quale la tecnologia è diventata un elemento ontologico, cioè strutturale, una lente
attraverso la quale osservare la realtà.
Per raggiungere questo scopo [per studiare e capire le direttrici del nostro tempo] è
indispensabile studiare l’idea di tecnologia.
Oggi vediamo sorgere delle nuove mentalità, nuovi modelli di pensiero. Sono
cambiati i concetti di tempo e di spazio, perché i bambini assistono fin da piccoli ad
una velocizzazione delle esperienze virtuali (prima era impensabile) e si dilata il
campo d’azione. La tecnologia aiuta i bambini ad acquisire delle abilità concrete
come la destrezza di muoversi su uno schermo digitale, ma ostacolo i processi
meta-cognitivi.
La frequentazione delle nuove tecnologie Crea fin dai primi anni di vita delle
abitudini cognitive che possono ostacolare la meta-cognizione, questo accade
quando la fruizione non è supportata, da parte dei genitori e insegnanti, da un
sostegno pedagogico ed da una consapevolezza epistemologica. I genitori
dovrebbero essere messi al occorrente di come si creano certe abitudini
all’apprendimento attraverso il gioco ludico.
Gli adulti sono ammirati dalla destrezza tecnologica con la quale si muovono i
ragazzi e non si preoccupano dei problemi che questo può portare. La situazione
peggiora quando la fruizione diventa dipendenza (abuso della tecnologia). Un uso
intelligenti, invece,è una grande opportunità di conoscenza, di autonomia, di
creatività e di socializzazione. Le tecnologie sono uno strumento che si può
utilizzare per migliorare il mondo, se è usato in modo intelligente.
Un utilizzo intelligente dalla tecnologia da parte della scuole presuppone la
capacità di creare percorsi formativi meta-cognitivi, trasdisciplinari e magari anche
POSTDISCIPLINARITA’, ovvero percorsi formativi che vanno oltre alla
alfabetizzazione digitale che si è fatta fino ad ora.
Il fascino che gli apparati tecnologici esercita sui bambini deriva da quella che
Jerome Bruner definiva la RAPPRESENTAZIONE ENATTIVA= ovvero la facilità con
cui i bambini associano, definiscono e classificano gli oggetti in base alla loro
funzione. La tecnologia gratificazione facili e immediate.
Il pensiero divergente aiuta ad riorganizzare i campi interpretativi, cioè la
conoscenza, perché mette in relazione gli elementi se no considerati strani fra di
loto. Il pensierino divergente aiuta a forgiare un senso critico della realtà, perché ci
fa immaginare una realtà che non esiste, e qui che mettiamo in crisi glia spetti
disfunzionali, negativi della realtà stessa. Il pensiero divergente (pensiero surreale)
di cui parlava Rodari, oggi è utilmente enfatizzato da un utilizzo consapevole delle
nuove tecnologie. Il bambino rivoluzionario, innovatore, fantasioso, competente
rimane nelle rassicuranti convinzioni degli adulti di oggi (facilità con i quali i bambini
accedano al computer secondo i genitori).
Un nostro politico dichiarava che il suo ideale di scuola era la scuola delle tre I
(impresa-internet ed inglese). Scuola che non ha tempo per perdere tempo, per
coltivare un pensiero divergente.
Questa competenza è una patente di intelligenza, e arriva a tal punto che un
genitore arriva a contestare il voto di un insegnante.
Nell'immaginari adulto i bambini di oggi hanno ereditato dall’icona rodariana quella
leggerezza che si scambia facilmente per disimpegno. I bambini di oggi non
cambieranno il mondo e quindi non hanno bisogno di un pensiero divergente.
Rodari afferma che l'educazione non si deve limitare a stare al passo con il modo
ma deve anche cambiarlo. Ma per cambiarlo i bambini devono essere aiutati a
costituire gli strumenti culturali, metodologici per comprendere il mondo. La
conoscenza non si può limitare alla destrezza digitale ha bisogno di esercitare un
pensiero complesso, connettivo e creativo. Per esempio un pensiero divergente.
La lezione di Socrate= interroga l'oracolo di Delfi e riceve una risposta che farebbe
contento contento chiunque: che afferma che Socrate è il più sapiente degli uomini.
Socrate si preoccupa perché non si sente tale, perché lui ha l'unica certezza di
sapere di non sapere. Allora interroga quelli che gli sembrano i sapienti o quelli che
il popolo ritieni sapienti. Il pensiero di Socrate è un PENSIERO DIVERGENTE, e
molti secoli dopo Bascla adopera lo stesso approccio e afferma che lo spirito
scientifico per progredire deve divergere, deve imparare a conoscere contro la
tradizione del pensiero precedente e ciò avviene attraverso lo sforzo coerente e
paziente dell’approssimazione cosi come tramite l'errore ratificato. L'errore
appartiene alla nostra umanità fragile. Saper rivedere il proprio processo
conoscitivo con umiltà e con metodo è segno della duttilità strategica della nostra
mente. Coltivare il pensiero divergente ci aiuta a riflettere su di noi nel mentre che
apprendiamo.
Cosa consiste il rigore scientifico del sapere pedagogico? Consiste nella profondità
e nell’utilità. Il rigore emerge nella chiara consapevolezza delle amatrici
epistemologiche impiegate. E quindi un’interrogazione continua fra le evidenze i
risultati del lavoro educativo e i modelli impiegati.
Sino a non molti decenni fa la scienza si definiva per l'applicazione rigorosa dei
metodi, delle divulgazioni dei risultati, la coerenza con i modelli di riferimento e poi
viene provata e poi la verifica. La scienza pedagogica segue gli stessi principi. La
scienza fino pochi decenni fa si demandava il compito di studiare il mondo in cui
viviamo, doveva svelarne le leggi.
Oggi il ruolo della scienza è fondamentale nella trasformazione del mondo. La
scienza è diventata teoria e merce, epistemologia e mercato. Il sapere della
scienza e della tecnica è trasformativo storico ed evolutivo. Questi cambiamenti di
paradigmi hanno dei riflessi notevoli sul piano della formazione e sulle prassi
educative che questa formazione inaugura. L'oggettività del sapere è un valore
della scienza, la sua soggettività e il valore della tecnica (per questo dobbiamo
usare il termine tecnoscienza). Se la scienza si occupa di cosa è e la tecnica di
cosa serve ecco che la tecnoscienza è pensiero e azione, unisce i due aspetti.
Fino a pochi anni fa si aveva un’immagine sociale della conoscenza e del sapere
enciclopedico. Invece oggi l’immagine sociale della conoscenza e del sapere, ha un
carattere contestuale, conoscenza di contesto. Questo ha delle conseguenze sul
piano educativo. L’idea di conoscenza che abbiamo suggerisce le scelte
metodologiche sul piano educativo. Mentre prima l’idea del sapere come
enciclopedia esplicava un comportamento di carattere ricognitivo e accumulativi per
settori. Oggi invece valorizza la funzione euristica, cioè di ricerca autonoma e
strategica di ogni teoria, senso meta-cognitivo. Nelle prospettiva di oggi è
fondamentale il pluralismo dei punti di vista, dei linguaggi, dei costrutti teorici,
perché fa riferimento a un pensiero connettivo, sapere complesso, sensibilità
razionale. Una conseguenza di intendere in questo modo la conoscenza è che
molte concettualizzazioni approdano ad ambiti disciplinari assai differenti a quelli
che sono germinati (parto da uno studio e arrivo ad altri).la conoscenza
interculturale quindi non attiene solo all’ambito di un sapere acquisito ma
contempla anche le sue matrici di senso quelle culturali, educative, biologiche e
fisiche.
Lo scienziato Edoardo Boncinelli afferma che la mente è sia quello che noi
percepiamo della conoscenza sia quello che accade ma che non siamo in gradi di
percepire.
Quindi la mente è un processo che può essere osservato e vissuto tanto
dall’esterno (quando qualcuno analizza i nostri comportamenti) quanto dall’interno
(quando ci aiuto studiamo). La mente che è una potenzialità emergente del cervello
esprime una straordinaria capacità: l’intelligenza consiste nell’individuare nessi,
relazioni tra fenomeni e contesti (è un’abilità relazionare). Il pensiero più intelligente
è quello che riesce a costruire più relazioni significanti.
Che cosa intendiamo per complessità degli elementi e quindi (dato quantitativo) di
un fenomeno? La complessità è un’organizzazione a vari livelli di aggregazioni
significanti (portatori di un significato). Queste aggregazioni sono tali secondo una
logica, esistono dei nessi di significato che uniscono i singoli elementi di queste
informazioni. L’aumento delle aggregazioni implica l'aumento delle interrelazioni
sulla base di una logica. Questo aumento di interrelazioni implica un intreccio di
comunicazione che si propagano e si sommano.
DOMINIO DI COERENZA= la configurazione strutturale, dinamica che sottende la
trama delle sinapsi neuronali. Schema organizzato che vita all’unità del sistema
centrale che è il cervello. Ogni essere vivente è una trappola per catturare delle
informazioni.
Valenza formativa su il METODO, non come una ricetta didattica nel nostro mondo
teocratico, perché il metodo in sé ha un valore trasformativo, ci forma e trasforma
nel mentre che esso stesso cambia, la fisionomia del
metodo è la stessa, ma il metodo è in grado di corporare nuovi elementi e anche
errori nel suo sistema.
Il metodo migliore è quello che impara, attraverso la conoscenza della conoscenza,
è in grado di ripercorrere i processi che mi hanno portato in errore, è in grado di
capire che in altri contesti posso arrivare ad esiti positivi. Perché sa compiere il
percorso a ritroso. Il metodo è un cammino generativo e strategico per il pensiero. Il
metodo è attività pensante del soggetto vivente (capace di apprendere). Di
conseguenza la teoria educativa non è che un possibile punto di partenza che
andrà a perfezionarsi, a riconfermarsi durante un processo di ricerca. La teoria è un
punto di partenza di qualsiasi processo euristico, cioè di ricerca in quanto è
immanente al metodo stesso.
La conoscenza può essere interpretata come una struttura della vita. Senza
conoscenza non esiste un atto vitale, come atto di cognizione(= è energia). Ogni
essere vivente si accoppia in modo strutturale con il proprio ambiente attraverso
delle relazioni che a loro volta innescano dei cambiamenti sistemici quanto
nell’individuo quanto nel contesto. Questo accoppiamento (tra individuo e contesto)
segna il confine tra vivente e non vivente. Non esiste un individuo separato dal
contesto. Quando una cellula non è più in gradi di instaurare questo accoppiamento
fra la cellula stessa e il contesto essa non si nutre, non assorbe energia e infine
muore.
Non esiste un individuo se è separato dal contesto. Io non posso esistere al di fuori
del mio contesto, perché non posso respirare, non posso magiare. Quindi il
significato del soggetto è nella sua relazione con il contesto, così come il significato
della sua formazione è nella relazione con il contesto.
ESEMPIO: Quando entriamo in un gruppo con la quale facciamo formazione, prima
di tutto dobbiamo comprendere le caratteristiche di questo gruppo e per quando
riguarda i singoli soggetti dobbiamo capire la loro storia formativa, perché ciò ha
molto a che vedere con il loro sé cognitivo.
LA MODIFICABILITÀ COGNITIVA
L’integrazione formativa (nel campo della disabilità) non può non essere se non
nella consapevolezza della reciprocità. L’integrazione è un processo costruttivo di
pensieri, sentimenti, azioni estetiche giudizi morali saperi che insieme agli altri ci
coinvolge trasforma nell’avventura della conoscenza. Questa conoscenza ci porta a
scegliere gli strumentisti culturali, metodologici, operativi adeguati ad orientarci nel
mondo (di differenze) e ha scegliere con responsabilità per agire in senso
strategico. Lu struttura della formazione ci porta sempre al principio della differenza
dal punto di vista etico, biologico, ecologico, epistemologico. La cultura, la
conoscenza più interessante è quella che è più ricca di differenze.
La formazione deve elaborare una teoria della conoscenza, ovvero
un’epistemologia in grado di costruire una conoscenza competenze per il cittadino
post-moderno. L’epistemologia della conoscenza mi deve aiutare di essere in grado
di capire quali sono le direttrici del mio tempo.
Si parla di un sapere meticcio, ovvero che è aperto a riconfigurarsi nel mentre che
ingloba differenze e quindi un’epistemologia che è aperta alle contaminazioni. È
importante, in ogni proposta educativa, la competenza linguistica. Il pensiero, sia
quello tecnico e scientifico, si serva di rappresentazioni per spiegare i fenomeni e
utilizza linguaggi che a loro volta sono strutturate secondo logiche che sono le
grammatiche tipiche dei singoli linguaggi. Si differenzia nei prodotti di ricerca delle
varie discipline ma si differenzia anche per spettro interpretativo.
Si deve imparare ad inaugurare un modo che cerca i nessi etici nella elaborazione,
nella conoscenza e nella costruzione nei processi di educazione e conoscenza. Il
sapere a cui stiamo facendo riferimento ora è un sapere ‘meticcio’ ossia aperto alle
contaminazioni, altre discipline non solo delle scienze umani. Il pensiero si serve di
rappresentazioni per spiegare fenomeni. Il grafico e quindi l’esperimento scientifico
stanno alla realtà che descrive esattamente come una mappa sta al territorio,
importante la mappa ma non è il territorio quindi la REALTÀ [mappa e territorio
sono due metafore].
Il giudizio critico è alla base dell’agire etico che ci differenzia dagli altri esseri viventi
e che si avvale della capacità di astrazione, ovvero della possibilità di creare
simboli. Cosa sono i simboli? Sono spazi di organizzazione e di elaborazione di
nozioni ed oggetti.
Questi simboli vengono organizzati alla luce di una semantica, ossia un discorso
sul senso profondo del significato. Quindi se io unisco i vari simboli in percorsi di
significati allora ho le basi per ragionare. Quindi la semantica è una facoltà
emergente dei simboli e della loro capacità di aggregare e di organizzare i concetti.
Anche la coscienza è una facoltà emergente. La coscienza è la consapevolezza
della situazione. Essa ci aiuta a compiere delle scelte.
Difficoltà cognitive:
Uno dei maggiori problemi che l’insegnate si ritrova ad affrontare è la soglia di
attenzione dei loro studenti, che è bassa. Gli insegnanti denunciano: gli studenti si
distraggono facilmente, perché sono sollecitati dai giochi elettronici. È
indispensabile un coinvolgimento attivo, occorre sviluppare una attenzione
semantica legata ai significati e affinare una memoria abile a saldare associazioni
in nessi significanti. L’attenzione rimane viva solo quando intercetta trame di
significa che coinvolgono la persona in senso globale. Ci deve essere della
complicità nel processo di insegnamento e di apprendimento aiuta a sviluppare
forme di auto controllo, a concentrare l’attenzione su un progetto, a trattenere in
memoria l'esperienza conoscitiva e a ripercorrerne i passaggi fondamentali. È
importante ridurre l’impulsività delle risposte e sviluppare un affinamento delle
capacità cognitive, capacità che ci aiuta a raccogliere le sfumature, ad individuare
le differenze. Lo studente è il vero protagonista di processo formativo, nel momento
in cui è consapevole del suo metodo di studio. L’insegnamento è facilitato quando
si predispone un ambiente d’apprendimento olistico.
I NATIVI DIGITALI. NUOVI STILI COGNITIVI E RISPOSTE FORMATIVE
NELL’ERA DELLE TECNOLOGIE DIGITALI
I nativi digitali hanno una relazione che investe tutto gli ambiti della loro esistenza, il
gioco, la cognitività, le relazioni sociali e l’affettività.
La tecnologia è la più grande forma mitologica del presente, senza di essa non c’è
innovazione, mercato e questo presente nel quale viviamo. Sono cambiati i
concetti di tempo e di spazio, da un lato si assiste alla velocizzazione delle
esperienze dall’altro si dilata il campo di azione delle esperienze. Si verifica una
cesura tra la vera identità e quella proposta in rete.
La comunicazione web chat è una comunicazione simultanea e frammentaria e
favorisce la distrazione e ostacola l’attitudine agli apprendimenti profondi (ostacola
quei sentieri cognitivi che favoriscono un determinato tipo di apprendimento e
pensiero).
L’utilizzo dei nuovi media digitali contrasta sempre più con le difficoltà che invece
vivono gli ‘immigrati digitali’ (genitori-nonni) che molto spesso vengono delegittimati
dal loro ruolo educativo. Le abitudini cognitive dei migranti digitali sono modellate
su uno schema apprenditivo di tipo analogico, cioè preferibilmente razionale.
I nativi digitali sono esperti in informazioni rapide, hanno bisogno di una
gratificazione immediata a differenza degli immigrati digitali. I nativi digitali mancano
delle premesse per un’elaborazione profonda dei contenuti e per una competenza
metacognitiva, perché ce la tendenza a trovare informazioni ma non a elaborare le
conoscenze. La mitologia del contemporaneo è la conoscenza che si impone senza
discussione con un sentimento di verità che basta a sé stessa che non si analizza.
I nativi digitali cadono nell’illusione di saper padroneggiare il mondo virtuale e
potere risolvere con poco sforzo i problemi conoscitivi, qualche volta arrivano a
negare i saperi che provengono dai luoghi che producono i saperi stessi (scuola,
uni ecc.).
Gli apprendi-mendi dei nostri studenti risentono del nuovo contesto socio-culturale
dominato dalle nuove tecnologie. L’educazione e l'epistemologia non possono
ignorare queste nuove tecnologie. È in questo contesto tecnocratico che i giovani
avviano il loro processo della propria identità. Vi è un nuovo nesso di significato tra
soggetto e ambiente, ed è in questo contesto tecnocratico che i nostri giovani
cercano la loro autodeterminazione. In questo contesto si crea l’antropologia delle
nuove relazioni.
Abbiamo assistito, in questo contesto, ad un mutamento di significati
(TRASLITTERAZIONE) attribuiti ai segni e ai testi che richiede la competenza
nell’interagire ad un ventaglio di codici e linguaggi.
Si è convinti che la formazione che le nuove tecnologie sollecitano al fine di essere
cittadini (critici e partecipativi) questa nuova formazione debba essere funzionale,
debba aiutarci a conoscere i linguaggi e i codici dei nuovi media. Quindi si deve
avere una conoscenza funzionale, critica e creativa. I tre attributi della conoscenza
per utilizzare in modo intelligente la tecnologia sono: una conoscenza funzionale,
conoscenza critica e una conoscenza creativa.
La frammentazione del proprio sé e del proprio vissuto ostacola la capacità
strategica di pianificazione e di progettazione sia nell’ambito cognitivo che nella
gestione della dimensione socio-affettiva. L’utilizzo compulsivo delle nuove
tecnologie porta ad un adolescente rischia di essere prigioniero nel suo presente
virtuale in cui trova tutto e subito e dove cerca gratificazione.
L’idea che noi abbiamo dei nostri processi mentali influenza sia la costruzione della
conoscenza sia la memoria stessa, perché i nostri pregiudizi agiscono sul nostro
modo di apprendere. Il fenomeno cognitivo è sia processo e risultato e da accesso
alla competenza nel campo dell’organizzazione delle conoscenze. Non è sufficiente
sapere dove intercettare una informazione ma dobbiamo essere in grado di
elaborarla e mentalizzarla.
I più piccoli giocano con i tablet sperimentando quel sentimento dello straordinario
che si erano vissuti (negli anni precedenti) con le fiabe. Questo sentimento dello
straordinario si forgia oggi sulle nuove tecnologie. Questo significa che la
tecnologia ha portato dei cambiamenti sia nelle dinamiche sociali sia nei processi
della costruzione della conoscenza e nell’elaborazione del pensiero. Le
conseguenze si vanno evidente anche nei comportamenti e quindi nelle scelte
etiche.
Secondo uno studio condotta dal centro per la salute del bambino diretto dal
professor Tamborlini: 1 bambino su 5 prende contatto con gli apparati tecnologici
(soprattutto con il cellulare della mamma) il primo anno di vita. Il cervello è
estremamente plastico in questi anni. Secondo questo studio, fra i 3 e i 5 anni 80%
il bambino è in grado di usare perfettamente il telefono. Nel secondo anno di vita il
60% dei genitori lascia utilizzare il cellulare ai figli. E fra la fascia dei 3-5 anni
questa percentuale sale fino a sfiorare l’80%. Il 50% degli adolescenti trascorre
dalle 3 alle 6 ore al giorno con il cellulare in mano, il 16% tra le 7-10 ore e il 10%
degli adolescenti supera le 10 ore quotidiane. Gli effetti di questa esposizione
sarebbero osservabili già in età scolare con la comparsa di disturbi socio-relazioni,
si assiste ad un incremento dell'aggressività.
Un motivo di questa fascinazione rispetto alle tecnologie riguardi la costruzione
della propria identità.
Vi è una grande distinzione tra saperi scientifici e umanistici, si crede che con
l’utilizzo della nuova tecnologia si possa sanare questa distanza. La rivoluzione
scientifica e tecnologica in atto ci impongono competenze linguistiche
pluridisciplinari., conoscenze che ci permettono di capire la struttura logica delle
nozioni, dei paradigmi e dei codici che utilizziamo con le nuove conoscenze. La
concezione di conoscenza non attiene più solo all’ambito del sapere acquisito ma
contempla anche le sue radici culturali, fisiche e biologiche. Questo sapere produce
esiti straordinari sul piano della ricerca. Dobbiamo quindi a imparare a riconoscere
le costruzioni dei modelli. La metacognizione è conoscenza della nostra capacità
cognitiva e della nostra attitudine a modificare il modo, lo stile e gli approcci
dell’apprendimento. Per raggiungere questo scopo però si deve conoscere il valore
metacognitivo dei linguaggi e dei codici con cui costruiamo la conoscenza in
particolare la conoscenza digitale.
Quindi dobbiamo costruire una conoscenza che ci aiuti a rafforzare i nostri campi
cognitivi (a diventare più intelligenti). Ma cosa si intende per intelligenza? Una
proprietà dinamica della mente, se è dinamica è una proprietà modificabile. Una
conoscenza epistemologica della tecnica e della scienza possa aiutare nel
processo di costruzione di quel sapere che induce al pensiero complesso (ma è
vero anche il contrario), perché rende consapevole il soggetto dei processi mentali
che mette in atto quando impara.
La scienza ha elaborato prodotti tecnologici e ha creato dei manufatti linguistici
(cornici teoriche chiamate da Gregory Bateson), cioè dei confini narrativi del loro
pensiero che segnano delle gerarchie organizzate di valori, di risultati, di concetti.
Tutto questo è importante per capire come agisce il nostro cervello a contatto con
la tecnologia, perché la tecnologia ci aiuta ad analizzare a modificare i campi
cognitivi.
Il metodo Feuerstein: per lui è importante fare in modo che il ragazzo apprenda a
controllare l’impulsività (far riflettere prima di compiere anche la più piccola azione)
quando deve risolvere un problema.
Dobbiamo (l’educatore) liberarci dall’ingenuità da pensare che esiste solo una
razionalità che è la nostra (diversa da quella tecnologica) diversa da quella onirica,
estetica.
Per fare un’analisi del campo cognitivo abbiamo bisogno di cercare mettere in atto
attività che mi facciano capire, attraverso esercizi, a che livello siamo riguardo a
questa competenza. Quando abbiamo analizzato alcuni casi salienti su la quale
occorre intervenire per risolvere la criticità o per potenziare un’abilità, dovremo
cercare di fare una ricognizione della raccolta dei dati che abbaiamo fatto. Questa
operazione cci rende più attivi. Noi educatori dobbiamo pensarci come inventori di
buone prassi educative.
Ovviamente facciamo riferimento ad una pedagogia ermeneutica, interpretativa e
narrativa, che prima di spiegare cerca di comprendere le persone che ha difronte i
problemi relazionari o comportamentali o cognitivi affinché sia possibile per ogni
studente scoprire il proprio spazio talentuoso. Questo sapere è molto importante
perché fa riferimento a differenti stili di pensiero.
IL GIOCO
Che cos’è il gioco? È una attività straordinaria, non solo nel senso che l’attività è
fuori dall’ordinario, ma anche perché esso è il regno trasgressivo dell’ordinario
(trionfo della fantasia). Il gioco non ha confini. Il gioco traccia uno spazio d’azione
libero ma contemporaneamente vincolato da norme. LIBERTÀ’ una delle
caratteristiche del gioco. Il gioco è libero in quanto è legato alla gratuità (si gioca
perché dà piacere) e nessuno può obbligarci a giocare.
Pur essendo libero il gioco è governato da regole (che definiscono il tipo di gioco),
queste regole possono essere bizzarre e illogiche ma inseguono il piacere stesso
del gioco. Il gioco coltiva il pensiero divergente (perché le regole sono paradossali),
regole fuori dall’ordinario. Il disordine può essere stabilito come una regola del
gioco, ovvero come una idea differente di ordine. Giocando tutti noi poniamo in
azione un pensiero alternativo, straordinario, illogico.
Azione ludica=gioco. Giocare è una cosa serissima, perché ha importanti risvolti si
educativi sia cognitivi. Lo spazio ludico è un luogo privilegiato della formazione,
perché il gioco pone in atto un pensiero strategico. Il piacere evocato dal gioco
consiste in una operazione intellettuale, perché deve interpretare le regole,
inventare mondi immaginari ecc. E’ una interpretazione che si volge ad una realtà
inventata.
Platone incita gli esseri umani ad adottare uno stile di vita ludico. Il gioco è anche
rappresentazione. La conoscenza nel gioco è sensibile, in quanto è accompagnata
da sentimenti e la conoscenza nel gioco appassiona tutti gli interlocutori che ne
sono coinvolti.
Il gioco è un elemento immateriale, nella facoltà di far delirare nella quale esiste il
piacere, induce una tensione di gioia. Il gioco è una forma di vita, che ha un
significato primario perché ha una struttura sociale, ma è anche un mondo
provvisorio.
Gregory Bateson dice che il termine gioco non limita né definisce gli atti che
costituiscono il gioco, nel linguaggio ‘gioco’ è il nome di una cornice dell’azione,
quindi il gioco è un labirinto trans-contestuale, ossia un labirinto dove incontriamo
contesti differenti che aiuta gli esseri umani ad orientarsi. Il gioco è formalizzazione,
trasformazione degli oggetti in simboli. Il gioco imponga una sorta di
metallizzazione dei processi implicati nell’azione ludica, cioè aiuta a implicare
strumenti di lettura e di orientamento nel mondo ed esplora ruoli ed socializzazioni
(invento di essere un'altra persona).
Il gioco è un fenomeno in cui le azioni sono collegate (ad azioni) o denotano altre
azioni di non gioco. L’evoluzione gioco è una tappa fondamenta nell’evoluzione
della comunicazione. Gioco serve ad inventare più intelligenti. Bateson afferma
che a lui piace giocare con le idee allo scopo di comprenderle e metterle insieme.
Si tratta di un’azione cognitiva che mette tra di loro idee per confrontarle. Lo scopo
del giocare è il divertimento, non l'apprendimento che è solo una conseguenza.
L’azione ludica reca sempre un messaggio.
Le regole del gioco elaborano una logica che può seguire percorsi differenti da
quelli della scienza e filosofia.
I bambini nel gioco possono interpretare contemporaneamente diversi ruoli e
fingere azioni e comportamenti
contemporaneamente perché è una logica onirica (no logica conseguenziale),
vincolata dalle leggi dello straordinario. Il contesto ludico è lo spazio privilegiato
della sperimentazione (poltrona del salotto diventa un’astronave). Nel gioco il
pensiero impara a strutturarsi nel confronto con un universo di significati che è
assolutamente inedito. Il gioco è un esercizio dei apprendimento, per Bateson il
gioco è uno stratagemma per cui l’individuo esplora l’universo.
Per Fink il gioco è simbolo del gioco, perché evidenzia un modo originario nel quale
il soggetto si rappresenta con il reale. Giocando si impara. I giochi di movimento
aiutano la socializzazione, inventano strategie per arrivare a risposte efficaci. Nel
gioco si possono intraprendere delle scelte che nella realtà non si farebbero, anche
nel gioco il bimbo mentalizza tutte le azioni che svolge, quindi capire i passaggi che
messo in atto durante il gioco. Il luogo del gioco è inesistente perché è finzione, un
momento di quiete tra sognato, il gioco regala il presente. Il ragazzo sperimenta un
modo di pensare alternativo, così da potersi emancipare da quell’egocentrismo che
vi è nei primi anni dell’infanzia. Nel gioco l’invenzione di altri mondi è alla base della
creatività che impara a sovvertire le regole per stabilirne delle nuove.
Attraverso l’invenzione di mondi nuovi il ragazzo utilizza immagini mentali e reali,
saperi in modo
alternativo. Il gioco è come un Bricolage. La mente umana utilizza elementi vecchi
in modo nuovo, recupera oggetti scartati modificandoli o inserendoli in processi
nuovi (in modo creativo BRICOLAGE). La mente umana utilizza elementi vecchi in
modo nuovo. Il gioco allena la mente a quella metaconsocenza che ci rendente
competente a trasformare quello che abbiamo fra i nostri oggetti e lo fa in modo
creativo. Ci incita a sperimentare una funzione differente secondo una logica
alternativa e secondo regole nuove. La mente abbandona i sentieri cognitivi
consueti per tracciarne dei nuovi ed è così che diventiamo più intelligenti. Il gioco
(non tutti) ci rende più intelligenti a stimolare nuove aree del cervello, ci aiuta a
creare nuovi circuiti ormonali.
Il gioco ci piace perché offre delle emozioni che sono piacevoli, se no non
giocheremo. Nel gioco siamo più consapevoli delle nostre emozioni più che nella
vita reale. Il gioco è importante dal punto di vista formativo, perché questa
consapevolezza dell’emozione nel gioco ha rilevanti conseguenze nei processi di
costruzione della conoscenza, perché favorisce in colui che gioca la
consapevolezza del proprio mondo emozionale. La maturità della consapevolezza
emozionale è il contrario della dipendenza da quelle sensazioni che inducono ad
una ripetizione stereotipata e ossessiva di uno stimolo quando questo è
gratificante.
Quando noi giochiamo stiamo creando processi cognitivi.
La conoscenza condiziona i processi di apprendimento, il giocare è una cosa seria,
l’apprendimento lo è anche può essere un gioco. Quando noi mettiamo in atto un
apprendimento noi costruiamo degli strumenti di interpretazione del mondo.
Occorre saper fantasticare, non occorre solo studiare, la fantastica non è meno
importante della grammatica.
Lo studio, la ricerca, la scoperta devono emozionarci. L’insegnamento è facilitato
quando prevede un apprendimento olistico. I processi cognitivi che l'azione ludica
pone in campo possano essere facilmente utilizzare nelle proposte educative per
utilizzare basi solide del pensiero creativo.
Il gioco allena la mente a costruire mappe cognitive di esplorazione del mondo,
anche quello virtuale. L’educazione deve iniziare a pensarsi in un modo diverso
solo con il principio della serietà. Il giocatore non scarta nessun materiale, non
scarta gli attrezzi, non scarta i metodi, non scarta le parole, non scarta gli errori
perché tutto può essere utilizzato. Il gioco può essere utilizzato con competenza
pedagogica, dove si introduce un discorso sull’etica sulle diverse opzioni di scelta
che condizionano le nostre menti.
VIDEOGIOCO
Nei videogame i ragazzi sperimentano situazioni che sono pericolose nella vita
reale (corse pazza), il bambino simula una realtà ad alto rischio, ad alta intensità
emozionale nella quale il ragazzo si sente il protagonista. Es spara al nemico. Il
nemico nel videogame (non nasce a scopo ludico) è perfetto perché sono animino:
sono la rappresentazione astratta e schematica di un male assoluto che il bambino
sconfigge. Il bimbo vincendo sperimenta il protagonismo e il proprio essere bravo.
Questi nemici perfetti non hanno emozione, il bimbo non ha contatto con il dolore o
con la sfera emozionale, quindi non si possono sviluppare emozioni empatiche.
Il bambino si sente nei videogiochi si sente nella realtà, mentre nelle fiabe il luogo
raccontato è lontano dalla realtà, perché il codice di riferimento è un codice molto
lontano dal mondo reale. L’allestimento nel videogioco ha un ruolo molto importante
è connaturato, cioè molto vicino alla realtà. Qui il bambino cade in un equivoco, non
capisce quale sia finzione o non e quindi molto spesso si comporta ugualmente in
entrambe le situazioni. La differenza fra realtà rappresentata e vissuta nella
concretezza sembra sfumare.
Nei linguaggi multimediale dei videogame la trama si intreccia con le immagini di un
linguaggio post televisivo di grande efficacia facendo riferimento all’oralità, i codici
del linguaggio multimediali sono tanti e vari. Questo consente al bimbo di viversi
come un personaggio della storia. I bambini nei videogiochi è il protagonista, è
l'eroe positivo, è attivo, quindi è dentro un gioco che è anche un giocattolo.
Questi sono elementi che ritroviamo dentro i videogiochi anche in quelli più
complessi. Il videogioco è un gioco- giocattolo e la sua struttura è più grande dei
giochi normali. Ciò che differenzia i due tipi di gioco è la complessità strutturale, nei
giochi normali l’azione di fantasia ha un ruolo di fantasia. Le icone a bassa
tecnologia si andranno ad arricchire di simboli, perché l’immaginario del bambino li
contenderà tutti. Nei videogame il bambino diventa parte del gioco.
Il ludico che si esprime nel videogioco è diverso da quello che si esprime nelle
fiabe, il quale il primo è sullo sfondo della legge del mercato. Il bambino ha
l’impressione illusoria di avere il controllo sul gioco ma non è così. Alcuni giochi
didattici consentono l’acquisizione di nozioni attraverso l’esplorazione di realtà
virtuali che conduce ai ragazzi dall’apprendimento di concetti viso spaziali alle
risoluzioni di problemi. Alcuni videogame possono essere utilizzati in modo proficuo
per l’apprendimento, in questi casi il comportamento apprenditivo dei bambini
privilegia la comprensione intuitiva e giocosa.
Il ragazzo mentre gioca usa diversi tipi di intelligenza. Il pensiero che vola sulle
avventure dei giochi da computer è di tipo connettivo relazione perché incrocia
diversi tipi di linguaggi delle nuove tecnologie. Questo ha una rilevanza educativa,
perché porta il bimbo a ricodificare le grammatiche dei singoli codici presenti del
linguaggio multimediale, cioè a modificare modelli e strategie che fanno riferimento
ad un unico tipo di codice nella combinazione di più codici.
La nostra prima paura è di non essere abbastanza amati, nell’amore del nostro
genitore abbiamo la prova dell’autostima e nelle fiabe abbiamo messo la paura più
antica ‘non essere amate’.
BOSCO=luogo simbolico dove la paura assume dimensione enormi. Nel bosco la
percezione che il bambino ha del mondo cambia e con essa cambiano i
comportamenti stessi del bambino. Il bosco rappresenta un universo di pericolo,
dove si fa esperienza della morte, metafora della perdita di senso.
Il tema della paura introduce il bambino ad una interpretazione della questione del
male. Il male è secondo Bauman, è ciò che sfida e disintegra quell’inintelligibilità
che rende vivibile il mondo. La valutazione del bene e del male si radica nelle
emozioni, nelle abitudini sociali.
L’opzione di scelta tra giusto e ingiusto (tra bene e male) richiama una progressiva
emancipazione dal proprio egocentrismo. Il male è attraente, ognuno di noi ha
desiderato essere il più bello, il più bravo ecc.… i cattivi delle fiabe lo desiderano a
tutti i costi, è qui che l’identificazione con l’eroe buono aiutano a smascherare le
velleità del cattivo, in questo processo egli costruisce la propria identità.
La pervasiva pedagogia sociale nella quale siamo immersi opera una sorta di
sollecitazione continua a perdere di vista l’interiorità a favore dell’esteriorità, i nostri
giovani sono sempre meno abituati all’introspezione.
L’agorà è un simbolo e un mito della democrazia fondato sul discorso e sul dialogo.
Questi luoghi oggi possono rappresentare alcuni elementi di criticità. L’Atene del V
secolo a.C. e la Roma Repubblicana sono i simboli di questa agorà (piazza).
Queste due città sono i simboli della democrazia. Socrate mette alla luce un
inconveniente, ossia che è illusorio pensare che qualunque uomo libero possa
governare. Governare è un’arte che richiede una competenza specifica e quindi è
follia sorteggiare le cariche pubbliche anche far scegliere alla popolazione non è la
cosa più adeguata. Nella cultura greca classica abbiamo due concezioni della
politica:
1. ideale di Protagora, andare alla ricerca di una giustificazione filosofica
dell’uguaglianza degli uomini liberi di fronte alla legge. Bisogna avere il talento
politico, ovvero sapere che cosa è il bene pubblico.
2. per Socrate la scienza del bene è alla portata di tutti, ma questo non significa
che tutti possano governare.
Le conseguenze della riflessione di Platone sul piano educativo sono: ognuno deve
essere educato a dare il meglio secondo il proprio talento e nell’acquisire le
competenze per sentirsi soddisfatto nella propria arte ed è necessario che si
acquisisca il senso del proprio limite (per il bene pubblico, non per il proprio
narcisismo). Platone dice che per natura noi abbiamo i nostri talenti (non possiamo
avere tutti i talenti) e metterli a disposizione per la società per il suo bene.
Nell’antichità la parola è strumento della democrazia quando si pone al servizio
pubblico e quando è regolata dalla logica (che rende colui che parla esperto nella
sua arte). Quando la parola ha perso questo valore si riduce ad una banale
propaganda (che oggi è aumentata con i mezzi di comunicazione di massa).
Hannah Arendt riflette sulla libertà e sostiene di avere una libertà che passa
attraverso la consapevolezza critica del proprio mondo e degli universi culturali che
dominano questo mondo. Oggi l’agorà non è il luogo fondamentale dell'esercizio
della propria libertà. Atteggiamento logico e consapevole, non bisogna farsi
prendere dalle emozioni. Gli isola sono il consumo, lavoro, il benessere ai quali il
soggetto è invitato a sacrificare ogni pretesa di libertà. Quali fattori abbiamo inciso
sull'agire politico: l'affermarsi della sfera sociale nella modernità ha valorizzato il
lavoro, svalutando il valore dell’azione.
Con l’avvento della società di massa non è decaduta solo la sfera pubblica ma la
stessa sfera privata. In una società che legge sé stessa in termini di consumo gli
individui sono valorizzati in termini di consumo. I cittadini della polis (per Hannah)
sono protagonisti della vita pubblica la quale esclude il ricorso della violenza. La
filosofa paragona la vita al gioco, la politica è un gioco di gratuità che il soggetto fa
realizzando sé stesso ma per il bene degli altri (non ci sono scopi personali, e qui
realizza sé stesso). Il soggetto inizia a formarsi insieme agli altri, si deve capire che
relazione vogliamo formare. La politica e quindi la costruzione del bene pubblico
devono passare attraverso l’esercizio di grandi parole (che hanno acquisito l’arte
della retorica che inseguano il bene comune). L'educazione per la polis è culto della
bellezza e di piacere intellettuali mentre gli interessi privati procedono in parallelo
agli esercizi dell’attività pubblica (te realizzi te stesso mettendo a servizio degli altri
il tuo talento).
Gli uomini liberi sanno equilibrare interesse pubblico e privato, perché è la città che
li educa. Il dibattito politico anche quando è accesso è parte dell’azione della
costruzione del benessere della polis.
Per la filosofa la messa in discussione del primato della vita attiva era già iniziata
con Platone e Socrate, il decadere dell’azione politica non è causa dell’avvento del
cristianesimo ma è causa della democrazia diretta che non sa autogovernarsi.
Foucault (focol) sostiene che sul finire degli anni 70 e gli inizi degli anni 80 siano
cambiate le forme del potere in Occidente in relazione al moltiplicarsi dei fenomeni
di massa. Lui sostiene che non si può pretendere di non essere governati in alcun
modo ma si può lottare per non essere governati in questo modo. Nel 2014 siamo
approdati a quella che lo studioso coreano chiama psico politica nella biopolitica
focoltiana (di Foucault). I dispositivi normativi e di controllo passavano attraverso le
più svariate forme di vita sociale dalla scuola all’ospedale, cioè si trattava di
dispositivi di controllo che certamente erano coercitivi ma potevano essere studiati,
riconosciuti, criticati e persino combattuti nelle lotte locali tanto da poterne tracciare
una storia di antagonismo così detto plebeo.
Attraverso la produzione di un sapere volto all’auto conservazione delle forme del
sapere l’individuo può
acquisire gli strumenti di critica del potere stesso perché attraverso il sapere
l’individuo aumenta la propria
capacità critica e quindi la capacità di costruire delle forme di lotta locale per il bene
pubblico. Nella (psico politica) riflessione del filosofo coreano il potere che ci lascia
liberi, per paradosso, produce costruzioni e quindi lui giunge ad un ribaltamento
della osservazione di Foucault perché secondo quest’ultimo il potere produce un
sapere il quale per sua natura aumenta le nostre facoltà critiche. Invece per lo
studioso coreano il potere
contemporaneo però, ci lascia liberi apparentemente di muoverci in modo infinito
nel mondo virtuale ma così facendo ci sottomette, per questo secondo il coreano il
neoliberalismo è un sistema molto intelligente, perché sfrutta la libertà di ottenere il
massimo risultato da individui che si fanno risultato di essere imprenditori di sé
stessi.
Nel 1990, su il mondiale della tecnologia (rivista di Roma), per la prima volta
compare il temine di piazza telematica. L’inclusione e il diritto di cittadinanza
possono trovare nell’utilizzo sapiente delle nuove tecnologie un’agorà efficace per
la costruzione di questo dialogo (tra persone che parlano con cognizione di causa).
Secondo il nostro autore coreano, nel presente, il rischio di distruttivo è incarnato
da uno sciame digitale, che non è una folla poiché non possiede né un’anima né
uno spirito, lo sciame non comprende un ‘noi’ (non hanno fini comuni nel costruire
la polis). I media digitali tendono ad isolare. Il sistema digitale è quindi architettato
per non lasciare più spazio al consumo di informazioni ma sollecita di produrne. I
media digitali tendono a isolare.
La nuova tecnologia ci dv aiutare a realizzare i nostri talenti per il bene pubblico.
Infatti, gli esperti della politica parlano di crisi della politica stessa e chiamano
questa era come era post ideologica [quindi post politica, in sintesi qui dice che
mentre fino agli anni 90 i ragazzi erano interessati alla politica ora non lo sono più].
Io credo che la stessa visione post ideologica sia in ogni caso una ideologia [questo
è importante, secondo lei il fatto stesso di dire “le ideologie della politica non
esistono più” è comunque avere una ideologia politica]. La crisi della politica,
quindi, diventa anche una crisi epistemologica, una crisi di senso, una crisi di valori.
[cioè per lei una politica che si concentra sul l’economia e non sul benessere delle
persone porta anche le persone a pensare più ai soldi che alla propria felicità o ai
valori sociali come la scuola, lo studio finalizzato a sapere e non solo per lavoro].
La politica, quindi, perde senso e valore, non segue un fine emancipativo e
libertario ma segue un interesse di gruppi ristrettì della popolazione. Le implicazioni
educative e epistemologica quali sono? Quali sono le strutture Eidetiche della
politica? Sono la funzione orientativa della teoria di governo, l’organizzazione delle
prassi comunitarie, la tensione ontologica relazionale che definisce l’essere umano
nella sua definizione politica. Aristotele diceva che l’uomo è un animale sociale,
quindi l’uomo è di natura portato alla politica, è un bisogno. L’uomo si sente
realizzato all’interno della politica. Un’altra struttura eidetica della politica è la
struttura della conoscenza come processo sociale per il bene della società. La
teoria del governo è una dimensione irrinunciabile della politica, condiziona le
scelte dei politici. Di conseguenza queste scelte devono contribuire a consolidare i
valori, le identità. Ecco che la funzione politica (Che come quella pedagogica è la
democrazia cognitiva) Può essere scambiato per una funzione meramente
economica [In sostanza qui dice sempre la stessa cosa cioè che la funzione politica
non è più quella di pensare ai valori della società ma solo a una questione
economica, secondo lei sbagliando]. Il rischio è più presente quindi è quello di
scambiare il benessere della società con il benessere dell’impresa [quindi
scambiare felicità per soldi]. Sono sicuramente due obiettivi correlati, ma non sono
certamente la stessa cosa. Soprattutto, una scuola che mira a formare un cittadino
ha sicuramente tempi diversi rispetto una scuola che mira a formare un’impresa.
DEMOCRAZIA COGNITIVA
L’imperio della tecnologia ha posto nel nostro presente ha sostituito l’essere con il
divenire, è quindi la nostra identità e un processo in continuo mutamento. Bauman
afferma che in ogni paese la popolazione è una somma di diaspore. La trama del
nostro vissuto è una policromia, che ci impone la necessità pragmatica della
reciproca ospitalità. Se le forme della conoscenza oggi sono forme prassomorfiche,
cioè sono condizionate dell’azione e dai comportamenti e quindi è da qui che
dobbiamo modificare l’educazione (revisione epistemologica). La revisione
epistemologica ha un cuore di natura etica. Dobbiamo imparare a leggere le
differenze e a costruire l’educazione che ci aiuti a farlo in modo più efficacie e più
esteso possibile.
Il soggetto si forma nell’assunzione di responsabilità verso l’indifferenza dell’altro.
L’io nasce nell’atto del riconoscimento dell’altro. Amare il prossimo come amiamo
noi stessi significa rispettare la reciproca unicità apprezzarsi l’un l’altro.
Il sapere etopoietico è quel sapere che produce etica. Il nuovo sapere trova in sé il
fine della conoscenza al di fuori di ogni giudizio di valore sulla base di un approccio
che è empirico e razionale e di un paradigma logico. La questione etica è
importante nei confronti di una scienza che si autolegittima nel proprio percorso di
conoscenza. L’etica riguarda anche la comunicazione. La comunicazione della
scienza si scontra con la povertà (non è presente in tutti i paesi) e con le fake news
(relative alla scienza ecc. che creano disinformazioni). La comunicazione della
scienza raramente raggiunge gli strati più poveri della società, la voce della scienza
non sa parlare per via degli analfabeti. Bisogna studiare le retoriche, tutta la
letteratura che si crea intorno alla scienza contemporanea in quanto prodotto più
evoluto del sapere odierno.
Bisogna capire come questo nuovo universo di simboli che chiamiamo scienza e
tecnoscienza entra a determinare le dinamiche società-scienza e si impone con un
sentimento di verità.
La questione della verità è stata sempre associata alla questione dell’etica. È vero
che la scienza e la tecnologia hanno cambiato la realtà. L’educazione se vuole
partecipare ad una costruzione della democrazia cognitiva deve tener conto di
questa sottesa pedagogia sociale delle ideologie implicite che i prodotti della
scienza veicolano e deve elaborare delle epistemologie che ci aiutino a
comprendere come funziona il nostro pensiero e come si trasforma a contatto con
questo nuovo mondo. Dobbiamo avere una fondamentazione della consapevolezza
epistemologia che orienti l’educazione verso una interpretazione del rapporto
ontologico (strutturale) fra scienza-tecnologia-società. La scuola partecipano ha
questa sfida formativa proponendo modelli educativi orientati ad un sapere
tecnocratico che di natura è addestrativa e non formativa. L’istruzione deve fornire
l’alfabeto delle tecnologie che studiamo. I giovani devono costruire un sapere che
sia in sintonia con il loro mondo e con l’economia e che lo facciano in modo critico
e responsabile. Questo addestramento tecnocratico che non è formativo non aiuta
a capire il senso profondo delle cose [non va bene]. Questo tecno-addestramento
rende i soggetti acritici, quindi meno liberi e li priva della libertà di esprimere le loro
opzioni etiche. Questo suggerisce una educazione asfittica, e poco libertaria e
suggerisce una ricerca scientifica disgiuntiva e atomizzata.
Questo tempo opprimente che non lascia spazio alle conoscenze, che pensa solo
all’addestramento. Questa educazione sembra inseguire una flessibilità economica
il cui scopo è solo quello di liberarsi delle abilità inutili rispetto questo tipo di
economia. Una conoscenza usa e getta, in quanto non ci consente di costruire gli
strumenti critici di orientamento del nostro tempo, ci impedisce di comprendere il
senso profondo delle cose (il perché oltre al come).
Come già detto il campo è uno spazio delimitato e organizzato secondo una
struttura dinamica processuale e relazionale nel quale agiscono i processi cognitivi.
Quindi il campo è anche una struttura dinamica e relazionale.
Gli stili cognitivi hanno a che vedere con gli errori. Inoltre il nostro sé cognitivo ha a
che vedere con quello che siamo sia in senso cognitivo che morale. I nostri
approcci cognitivi condizionano comportamenti, i quali influiscono i modi in cui
apprendiamo. I processi cognitivi e il loro stile hanno a che vedere con il modo in
cui intrecciamo le relazioni sociali. Il campo cognitivo appartieni alla conoscenza,
appartiene al nostro essere nel mondo. È nel campo cognitivo che decidiamo se
agire o no e come agire.
I valori epistemici, criteri con i quali valutiamo la coerenza e l’efficacia dei processi
nosologici [processi attraverso i quali noi costruiamo la conoscenza]. I valori
epistemici hanno una relazione di significato con i valori etici. Il valore è un criterio
di giudizio (esso è una forma di relazione). L’educazione più efficacie è quella che
ci aiuta a stabilire relazioni più solidali nel contesto e nell’ambiente, ovvero nessi di
significato nella conoscenza. Dobbiamo superare il noi, rinuncia all’egocentrismo
che recupera la felicità dell’io nel mondo. I valori epistemici sono importanti perché
individuano e organizzano una gerarchia di criteri tesa alla giustificazione.
L’ESTREMA FRONTIERA DELLA TECNOLOGIA. CONCLUSIONE