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Test Universitari

UnidTest

Manuale di Teoria
per la preparazione del test di
Medicina e Odontoiatria
Copyright © 2018 - UniD S.r.l.
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47893 - Borgo Maggiore
Repubblica di San Marino

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Redazione: UniD S.r.l.


Progetto graico e composizione: UniD S.r.l.
Stampato da Maggioli S.p.a. per conto di UniD S.r.l.

ISBN: 978-88-99714-06-2
Indice

Introduzione XXVII

• LOGICA
Prefazione 2

1 Logica verbale 4
1.1 I vocaboli 5
1.2 Significato dei termini 5
1.3 Etimologia delle parole 6
1.4 Sinonimi e contrari 9
1.5 Figure retoriche 10
1.6 Analogie verbali e concettuali 14
1.6.1 Individuare il termine improprio 14
1.6.2 Individuare le relazioni tra termini 15
1.6.3 Stabilire le proporzioni 17
1.7 Quesiti 19
1.8 Risposte commentate ai quesiti 20

2 Logica deduttiva 23
2.1 Insiemi e diagrammi di Eulero-Venn 23
2.2 Valutazione di argomenti 26
2.3 Sillogismi 26
2.4 Condizionali 31
2.5 Ragionamento deduttivo 36
2.6 Proposizioni aristoteliche 36
2.7 Proposizioni con negazioni multiple 40
2.8 Ordine di elementi e di eventi 41
2.8.1 Sequenza spaziale 43
2.8.2 Sequenza temporale 45
2.8.3 Relazioni di parentela 47
2.9 Quesiti 47
2.10 Risposte commentate ai quesiti 49

3 Comprensione dei testi 51


3.1 Suggerimenti pratici 51
3.1.1 Nei mesi di preparazione ai test 51
3.1.2 Prima di affrontare la lettura del brano 52
3.1.3 Durante la lettura 52
3.1.4 Come affrontare la lettura di un testo 53
3.1.5 Struttura di un testo 53
IV Indice

3.1.6 La scelta della risposta 54


3.2 Tipologie di esercizi 54
3.2.1 Competenze lessicali 55
3.2.2 Significato complessivo del testo 56
3.2.3 Tesi e concetti del testo 58
3.2.4 Deduzioni logiche 61
3.2.5 Tono e spirito del brano 64

4 Logica argomentativa (Cambridge) 67


4.1 Accorgimenti generali 67
4.2 Riconoscere una supposizione implicita 72
4.3 Rafforzare o indebolire un’argomentazione 74
4.4 Identificare il passaggio logico errato 76
4.5 Individuare i ragionamenti analoghi 79
4.6 Individuare e applicare un principio 80

5 Logica matematica 81
5.1 Successioni numeriche 82
5.1.1 Successioni monotone con relazione indipendente dalla posizione
del termine 83
5.1.2 Successioni monotone con relazione dipendente dalla posizione
del termine 84
5.1.3 Successioni non monotone a carattere alternato 85
5.1.4 Successioni non monotone non a carattere alternato 86
5.2 Successioni letterali 87
5.3 Successioni alfanumeriche 88
5.4 Matrici numeriche 89
5.5 Configurazioni geometriche di sequenze numeriche 91
5.6 Interpretazione di tabelle e di grafici 93
5.6.1 Interpretazione di tabelle 94
5.6.2 Interpretazione di grafici 98
5.7 Problemi logico-matematici 106
5.7.1 Frazioni 106
5.7.2 Percentuali 107
5.7.3 Proporzioni 109
5.7.4 Carte geografiche 110
5.7.5 Proporzionalità inversa 111
5.7.6 Spazio, tempo e velocità 112
5.7.7 Equazioni ed incognite 113
5.7.8 Crittografia 115
5.7.9 Probabilità 116
5.8 Calendario 118
5.9 Tempi combinati 119
5.10 Problem Solving 121
5.10.1 Sostituzione 121
5.10.2 Semplificazione e generalizzazione 122
5.10.3 Approssimazione 123
5.10.4 Osservazione 123
5.10.5 Eliminazione e congetture 124
5.11 Quesiti 125
5.12 Risposte commentate ai quesiti 126
Indice V

6 Logica visuo-spaziale 128


6.1 Trasformazioni geometriche 128
6.1.1 Riflessioni 129
6.1.2 Rotazioni 129
6.1.3 Immagini in negativo 130
6.1.4 Trasformazioni composte 131
6.2 Criteri di eliminazione 133
6.3 Analogie 133
6.4 Sequenze 135
6.5 Famiglie di figure 136
6.6 Domino 137
6.7 Matrici 138
6.8 Carte da gioco 141
6.9 Quesiti 142
6.10 Risposte commentate ai quesiti 144

• CULTURA GENERALE
1 Storia 147
1.1 Cronologia 147
1.1.1 Grecia antica 147
1.1.2 Roma antica 154
1.1.3 Il Medioevo 160
1.1.4 Storia moderna 166
1.2 Il XIX Secolo 170
1.2.1 La Restaurazione 170
1.2.2 La Santa Alleanza e la Quadruplice Alleanza 171
1.2.3 I moti degli anni Venti 171
1.2.4 I moti degli anni Trenta 171
1.2.5 Il Quarantotto 172
1.2.6 La guerra di indipendenza 172
1.2.7 Il 1850-1870 172
1.2.8 Il Risorgimento 173
1.2.9 L’unità d’Italia 173
1.2.10 Spedizione dei Mille 174
1.2.11 L’età dell’imperialismo 174
1.2.12 Guerra di Secessione americana (1861-1865) 175
1.2.13 La situazione tra fine ‘800 e primo ‘900 in Europa 176
1.2.14 I primi anni di unità nazionale italiana 177
1.3 La prima guerra mondiale 179
1.3.1 Le cause 179
1.3.2 Lo scoppio della prima guerra mondiale 180
1.3.3 1914 180
1.3.4 1915 181
1.3.5 Intervento dell’Italia 181
1.3.6 1916 182
1.3.7 1917 183
1.3.8 1918 183
1.3.9 1919: I Trattati di pace 184
1.3.10 La nascita della Società delle Nazioni 185
1.3.11 La rivoluzione russa 185
VI Indice

1.3.12 Nascita dell’URSS 187


1.3.13 Ascesa di Stalin 188
1.4 Il primo dopoguerra 189
1.4.1 Gran Bretagna 189
1.4.2 Francia 189
1.4.3 Medio Oriente 189
1.4.4 Stati Uniti 190
1.4.5 Spagna 190
1.4.6 Germania 191
1.4.7 La nascita del Partito Nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi 191
1.4.8 Il dopoguerra in Italia 193
1.4.9 Nascita e ascesa del Partito Nazionale Fascista 195
1.4.10 La dittatura fascista 195
1.4.11 Politica coloniale italiana in Africa 196
1.4.12 L’ascesa del fascismo in Spagna 196
1.5 La seconda guerra mondiale 197
1.5.1 Gli antefatti 197
1.5.2 1939: Lo scoppio della guerra 197
1.5.3 1940 198
1.5.4 1941 199
1.5.5 1942 199
1.5.6 1943 200
1.5.7 1944 201
1.5.8 1945 203
1.5.9 L’ONU 204
1.6 Il secondo dopoguerra 205
1.6.1 USA 205
1.6.2 URSS 205
1.6.3 La guerra in Corea 206
1.6.4 La nascita della CEE 207
1.6.5 Proclamazione della Repubblica italiana 207
1.6.6 Terrorismo e contestazione studentesca 208
1.6.7 Cina 208
1.6.8 La decolonizzazione 209
1.7 Storia Contemporanea: dagli anni Ottanta a oggi 210
1.7.1 Il crollo del comunismo 210
1.7.2 La disgregazione della Jugoslavia 213
1.7.3 Guerra di secessione 214
1.7.4 L’Occidente oggi 215
1.7.5 Il conflitto arabo israeliano 220
1.7.6 Il conflitto Iran – Iraq 221
1.7.7 La guerra del Golfo 222
1.7.8 La seconda guerra del Golfo 223
1.7.9 La primavera araba 224
1.7.10 Attualità 226

2 Letteratura 232
2.1 Le origini della letteratura 233
2.1.1 Il Duecento 233
2.1.2 Il Trecento 235
2.1.3 Il Quattrocento 239
2.1.4 Il Cinquecento 240
Indice VII

2.1.5 Il Seicento 242


2.1.6 Il Settecento 243
2.2 Letteratura Moderna 245
2.2.1 L’Ottocento 245
2.3 Letteratura del ‘900 251
2.3.1 Il Novecento 251
2.3.2 Tra l’800 e il ‘900: il decadentismo 251
2.3.3 Idealismo filosofico 253
2.3.4 La poesia 254
2.3.5 Il crepuscolarismo 254
2.3.6 Il futurismo 254
2.3.7 L’ermetismo 254
2.3.8 La prosa 256
2.3.9 Il neorealismo 258
2.3.10 Il secondo Novecento 261
2.4 Letteratura straniera 266
2.4.1 Principali autori della letteratura francese 266
2.4.2 Principali autori della letteratura tedesca 267
2.4.3 Principali autori della letteratura inglese e americana 268

3 Educazione Civica 272


3.1 Diritto pubblico 273
3.1.1 Ordinamento della Repubblica 273
3.1.2 Potere esecutivo 274
3.1.3 Potere giudiziario 279
3.1.4 Il Presidente della Repubblica 279
3.1.5 Corte Costituzionale 281
3.2 Diritto privato 281
3.2.1 Le fonti del diritto italiano 282
3.2.2 La Costituzione della Repubblica Italiana 282
3.2.3 Leggi costituzionali e di revisione costituzionale 286
3.2.4 Leggi ordinarie 286
3.2.5 Decreti legge 286
3.2.6 Decreti legislativi o leggi delegate 286
3.2.7 Leggi regionali 287
3.2.8 Regolamenti del potere esecutivo o del Governo 287
3.2.9 Regolamenti degli enti locali 287
3.2.10 Consuetudine 288
3.2.11 Gerarchia delle fonti del diritto 288
3.3 Diritto Internazionale 288
3.3.1 Le fonti del diritto internazionale 289
3.3.2 Principali Organizzazioni Internazionali 290
3.4 Glossario dei termini giuridici 295
3.5 Quesiti 297
3.6 Risposte commentate ai quesiti 298

4 Geografia 299
4.1 La Terra 299
4.1.1 Grandezze geografiche 300
4.2 America del Nord, Centro America e Caraibi 302
4.3 Americhe del Sud 305
4.4 Africa 307
VIII Indice

4.5 Asia 310


4.6 Oceania 313
4.7 Europa 315
4.8 La Repubblica Italiana 318
4.9 Quesiti 321
4.10 Risposte commentate ai quesiti 321

• MATEMATICA
Premessa 324

1 Insiemi numerici e operazioni 326


1.1 Definizione di insieme 326
1.2 Rappresentazioni di insiemi 328
1.3 Unione, intersezione, differenza e complemento 329
1.4 Prodotto cartesiano 331
1.5 Relazioni tra insiemi 331
1.6 Numeri naturali 333
1.7 Numeri interi relativi 334
1.8 Numeri razionali e frazioni 334
1.9 Numeri reali 335
1.10 Rappresentazione della retta dei reali e ordinamento 335
1.11 Operazioni sugli insiemi numerici 337
1.11.1 Addizione 338
1.11.2 Moltiplicazione 338
1.11.3 Somma algebrica 339
1.11.4 Divisione e moltiplicazione tra frazioni 339
1.11.5 Strutture algebriche 340
1.12 Procedure di calcolo 340
1.13 Multipli, divisibilità e numeri primi 342
1.14 Potenze e loro proprietà 342
1.15 Proprietà dello zero 344
1.16 Scomposizione in fattori primi 344
1.17 M.C.D. e m.c.m. 345
1.18 Somma algebrica tra frazioni 346
1.19 Sistema decimale 348
1.20 Numeri decimali e frazioni 349
1.21 Notazione scientifica e potenze di dieci 350
1.22 Numeri periodici e frazioni generatrici 351
1.23 Proporzioni 352
1.23.1 Carte geografiche 353
1.24 Percentuali 354
1.25 Proporzionalità diretta e inversa 356

2 Monomi e polinomi 360


2.1 Espressioni algebriche letterali 360
2.2 Definizione di monomio 361
2.3 Operazioni tra monomi 362
2.4 M.C.D. e m.c.m. tra monomi 363
2.5 Definizione di polinomio 364
2.6 Operazioni tra polinomi 365
2.7 Potenza intera positiva di un polinomio 367
Indice IX

2.8 Zeri di un polinomio e teorema di Ruffini 368


2.9 M.C.D. e m.c.m. tra polinomi: definizioni 370
2.10 Prodotti notevoli 370
2.11 Regole di scomposizione 372
2.12 M.C.D. e m.c.m. tra polinomi: applicazioni 375
2.13 Frazioni algebriche 375
2.14 Quesiti 378
2.15 Risposte commentate ai quesiti 379

3 Radicali 381
3.1 Radicali aritmetici ed algebrici 381
3.2 Radicali e potenze con esponente razionale 383
3.3 Estrazione di radice 384
3.4 Prodotto e rapporto tra radicali 384
3.5 Potenze di radicali 385
3.6 Somma algebrica di radicali 386
3.7 Radicali doppi 387
3.8 Razionalizzazione 387
3.9 Condizioni di esistenza 390
3.10 Quesiti 391
3.11 Risposte commentate ai quesiti 392

4 Equazioni e disequazioni algebriche 393


4.1 Definizioni e tipi di equazioni 393
4.2 Procedura generale per la risoluzione di equazioni 394
4.3 Risoluzione di equazioni di primo grado 396
4.4 Equazioni fratte 396
4.5 Equazioni letterali 397
4.6 Sistemi di equazioni lineari 398
4.7 Disequazioni di primo grado intere 401
4.8 Disequazioni di primo grado fratte 402
4.9 Sistemi di disequazioni 403
4.10 Equazioni di secondo grado complete 404
4.11 Equazioni di secondo grado pure 406
4.12 Equazioni di secondo grado spurie 406
4.13 Disequazioni di secondo grado 407
4.14 Equazioni irrazionali 409
4.15 Disequazioni irrazionali 410
4.16 Equazioni di grado superiore al secondo 412
4.17 Disequazioni di grado superiore al secondo 413
4.18 Equazioni con valori assoluti 414
4.19 Disequazioni con valori assoluti 416
4.20 Quesiti 417
4.21 Risposte commentate ai quesiti 419

5 Funzioni 420
5.1 Definizione di funzione 420
5.2 Grafico di una funzione 421
5.3 Funzioni iniettive e suriettive 422
5.4 Funzioni biettive e funzioni inverse 424
5.5 Funzioni elementari 425
5.6 Funzioni composte 427
X Indice

5.7 Parità 428


5.8 Periodicità 429
5.9 Quesiti 430
5.10 Risposte commentate ai quesiti 431

6 Equazioni e disequazioni esponenziali e logaritmiche 433


6.1 Richiami sulle proprietà delle potenze 433
6.2 Equazioni esponenziali 433
6.3 Disequazioni esponenziali 435
6.4 Utilizzo di un’incognita ausiliaria 436
6.5 Definizione e proprietà dei logaritmi 437
6.6 Equazioni logaritmiche 437
6.7 Disequazioni logaritmiche 439
6.8 Esponenziali e logaritmi come operatori inversi 440
6.9 Quesiti 441
6.10 Risposte commentate ai quesiti 442

7 Geometria euclidea piana 444


7.1 Postulati e definizioni 444
7.2 Angoli 446
7.3 Poligoni 448
7.4 Triangoli e loro classificazione 449
7.5 Teorema di Pitagora 452
7.6 Teoremi di Euclide 452
7.7 Criteri di similitudine 453
7.8 Criteri di congruenza 454
7.9 Quadrilateri 455
7.9.1 Quadrato 456
7.9.2 Rettangolo 456
7.9.3 Parallelogramma 457
7.9.4 Rombo 457
7.9.5 Trapezio 458
7.10 Cerchio 458
7.11 Poligoni regolari, inscritti e circoscritti 460
7.12 Quesiti 462
7.13 Risposte commentate ai quesiti 464

8 Geometria euclidea solida 466


8.1 Definizioni 466
8.2 Prisma 469
8.3 Parallelepipedo 470
8.4 Cubo 470
8.5 Piramide 471
8.6 Cilindro 472
8.7 Cono 473
8.8 Sfera 474
8.9 Tronco di piramide 475
8.10 Tronco di cono 476
8.11 Quesiti 476
8.12 Risposte commentate ai quesiti 477
Indice XI

9 Geometria analitica 479


9.1 Piano cartesiano 479
9.2 Distanza tra due punti 480
9.3 Punto medio di un segmento 481
9.4 Luoghi geometrici 482
9.5 Equazione della retta 482
9.6 Rette parallele e perpendicolari 484
9.7 Retta passante per due punti 485
9.8 Retta passante per un punto con m fissato 486
9.9 Fasci di rette 487
9.10 Distanza di un punto da una retta 488
9.11 Asse di un segmento e bisettrice 488
9.12 Sezioni coniche 490
9.13 Equazione della parabola 490
9.14 Equazione dell’ellisse 493
9.15 Equazione della circonferenza 495
9.16 Equazione dell’iperbole 496
9.17 Iperbole equilatera 498
9.18 Quesiti 499
9.19 Risposte commentate ai quesiti 500

10 Goniometria 502
10.1 Circonferenza goniometrica 502
10.2 Definizione di seno e coseno 503
10.3 Definizione di tangente e cotangente 505
10.4 Funzioni goniometriche inverse 506
10.5 Relazione fondamentale e formule goniometriche 507
10.6 Angoli notevoli 508
10.7 Riduzione al primo quadrante 509
10.8 Formule goniometriche per i triangoli 510
10.9 Quesiti 512
10.10 Risposte commentate ai quesiti 513

11 Equazioni e disequazioni goniometriche 515


11.1 Equazioni con una sola funzione goniometrica 515
11.2 Equazioni goniometriche omogenee 518
11.3 Disequazioni con una sola funzione goniometrica 519
11.4 Disequazioni goniometriche omogenee 521
11.5 Equazioni goniometriche non omogenee 521
11.6 Quesiti 523
11.7 Risposte commentate ai quesiti 524

12 Statistica 525
12.1 Scopo e definizioni 525
12.2 Frequenze assolute e relative 527
12.3 Rappresentazione dei dati statistici 528
12.4 Indici statistici 530
12.5 Distribuzioni statistiche 534
12.6 Quesiti 535
12.7 Risposte commentate ai quesiti 536
XII Indice

13 Progressioni e calcolo combinatorio 538


13.1 Successioni numeriche 538
13.2 Progressioni aritmetiche 540
13.3 Progressioni geometriche 541
13.4 Disposizioni semplici 542
13.5 Permutazioni semplici 544
13.6 Combinazioni semplici 546
13.7 Disposizioni con ripetizione 547
13.8 Permutazioni con ripetizione 548
13.9 Combinazioni con ripetizione 549
13.10 Quesiti 550
13.11 Risposte commentate ai quesiti 551

14 Probabilità 553
14.1 Eventi aleatori 553
14.2 Modelli probabilistici 554
14.3 Eventi compatibili e incompatibili 556
14.4 Eventi complementari 557
14.5 Eventi unione 557
14.6 Eventi dipendenti e indipendenti 558
14.7 Eventi intersezione 560
14.8 Probabilità e calcolo combinatorio 561
14.9 Quesiti 563
14.10 Risposte commentate ai quesiti 564

• FISICA
Prefazione 567

1 Misure 569
1.1 Grandezze fisiche 569
1.2 Misurazione 569
1.3 Sistemi di unità di misura 570
1.4 Analisi dimensionale 571
1.5 Conversioni 573
1.6 Risposte commentate ai quesiti 575

2 Grandezze scalari e vettoriali 577


2.1 Scalari e vettori 577
2.2 Sistemi di riferimento 577
2.3 Scomposizione di un vettore 579
2.4 Algebra vettoriale 581
2.4.1 Somma e differenza tra vettori 581
2.4.2 Prodotto di un vettore per uno scalare 582
2.4.3 Prodotto scalare tra vettori 582
2.4.4 Prodotto vettoriale tra vettori 583
2.5 Campi scalari e vettoriali 583
2.6 Flusso di un campo vettoriale 585
2.7 Risposte commentate ai quesiti 586
Indice XIII

3 Cinematica 588
3.1 Moto del punto materiale 588
3.2 Posizione 588
3.3 Coordinate, traiettoria e spostamento 589
3.4 Velocità media e istantanea 590
3.5 Accelerazione media e istantanea 590
3.6 Classificazione dei moti 591
3.7 Moto rettilineo uniforme (M.R.U.) 591
3.8 Moto uniformemente accelerato (M.U.A.) 592
3.9 Moto dei gravi 593
3.10 Moto del proiettile 594
3.11 Moto circolare uniforme (M.C.U.) 595
3.12 Moto armonico 597
3.13 Moto vario 597
3.14 Moti relativi 598
3.15 Risposte commentate ai quesiti 600

4 Dinamica 602
4.1 Obiettivi della dinamica 602
4.2 Concezione newtoniana di spazio e tempo 603
4.3 Sistemi di riferimento inerziali 603
4.4 Principio di inerzia 604
4.5 Secondo principio di Newton 605
4.6 Massa inerziale 605
4.7 Principio di azione e reazione 606
4.8 Principali forze macroscopiche 606
4.8.1 Reazioni vincolari 606
4.8.2 Tensioni 607
4.8.3 Forze di attrito 607
4.8.4 Forze viscose 608
4.8.5 Forza peso 608
4.8.6 Forza elastica 609
4.9 Moto di caduta libera 610
4.10 Moto lungo un piano inclinato 610
4.11 Moto di un oscillatore armonico 611
4.12 Moto di un pendolo 611
4.13 Forze apparenti 612
4.14 Moto di tipo orbitale 613
4.15 Quesiti 614
4.16 Risposte commentate ai quesiti 615

5 Leggi di Keplero e gravitazione universale 617


5.1 Legge delle orbite 617
5.2 Legge delle aree 617
5.3 Legge dei periodi 618
5.4 Legge di gravitazione universale 618
5.5 Massa gravitazionale 619
5.6 Campo gravitazionale 619
5.7 Forza di gravità e forza peso 620
5.8 Quesiti 621
5.9 Risposte commentate ai quesiti 622
XIV Indice

6 Lavoro, energia e grandezze conservate 624


6.1 Sistemi isolati 624
6.2 Quantità di moto 624
6.3 Teorema dell’impulso di una forza 626
6.4 Definizione di lavoro 626
6.5 Potenza ed energia 627
6.6 Energia cinetica 628
6.7 Campi conservativi 628
6.8 Energia potenziale 629
6.9 Lavoro nel campo dei gravi 630
6.10 Energia meccanica 631
6.11 Gli attriti 632
6.12 Gli urti 633
6.13 Quesiti 634
6.14 Risposte commentate ai quesiti 635

7 Statica 636
7.1 Definizione di corpo rigido 636
7.2 Momento di una forza 636
7.3 Coppia di forze 637
7.4 Momento angolare 638
7.5 Baricentro di un corpo 638
7.6 Equazioni cardinali 640
7.7 Equilibrio 640
7.8 Leve 642
7.9 Quesiti 643
7.10 Risposte commentate ai quesiti 644

8 Meccanica dei fluidi 646


8.1 Stati di aggregazione 646
8.2 Definizione di fluido 647
8.3 Densità e peso specifico 648
8.4 Pressione 649
8.5 Legge di Stevino 649
8.6 Principio dei vasi comunicanti 650
8.7 Legge di Pascal 650
8.8 Principio di Archimede 651
8.9 Fluidi ideali e moto stazionario 652
8.10 Teorema di Bernoulli 653
8.11 Teorema di Torricelli 654
8.12 Paradosso idrodinamico 655
8.13 Fluidi reali 655
8.14 Tensione superficiale ed adesione 656
8.15 Quesiti 657
8.16 Risposte commentate ai quesiti 658

9 Termologia 660
9.1 Sistema termodinamico 660
9.2 Stati di equilibrio 660
9.3 Grandezze di stato 661
9.4 Temperatura 662
9.5 Scale termometriche 662
Indice XV

9.6 Dilatazione termica 663


9.7 Calore 664
9.8 Capacità termica 665
9.9 Calore specifico 665
9.10 Principio dell’equilibrio termico 666
9.11 Conduzione 667
9.12 Convezione 668
9.13 Irraggiamento 669
9.14 Passaggi di stato 670
9.15 Calore latente 671
9.16 Quesiti 672
9.17 Risposte commentate ai quesiti 673

10 Termodinamica 675
10.1 Leggi di Gay-Lussac 675
10.2 Legge di Boyle 676
10.3 Definizione di mole 677
10.4 Equazione di stato dei gas perfetti 677
10.5 Legge di Dalton 678
10.6 Gas reali 678
10.7 Teoria cinetica dei gas 679
10.8 Lavoro 679
10.9 Primo principio della termodinamica 680
10.10 Trasformazioni isobare 681
10.11 Trasformazioni isocore 681
10.12 Trasformazioni isoterme 682
10.13 Trasformazioni adiabatiche 682
10.14 Trasformazioni irreversibili 683
10.15 Entropia 683
10.16 Secondo principio della termodinamica 684
10.17 Macchine termiche 685
10.18 Ciclo di Carnot 686
10.19 Terzo principio della termodinamica 687
10.20 Quesiti 688
10.21 Risposte commentate ai quesiti 689

11 Elettrostatica 691
11.1 Definizione di carica elettrica 691
11.2 Conduttori, isolanti e semiconduttori 692
11.3 Tipi di elettrizzazione 693
11.4 Legge di Coulomb 695
11.5 Campo elettrostatico 696
11.6 Energia potenziale elettrostatica 697
11.7 Potenziale elettrico 697
11.8 Tensione e lavoro 698
11.9 Teorema di Gauss 699
11.10 Capacità elettrica 701
11.11 Condensatore 701
11.12 Condensatori in serie e in parallelo 702
11.13 Quesiti 703
11.14 Risposte commentate ai quesiti 705
XVI Indice

12 Elettrodinamica 707
12.1 Corrente elettrica 707
12.2 Prima e seconda legge di Ohm 708
12.3 Effetto Joule e altri effetti connessi alla corrente 710
12.4 Principi di Kirchhoff 712
12.5 Resistenze in serie e in parallelo 713
12.6 Corrente elettrica nei fluidi 715
12.7 Quesiti 716
12.8 Risposte commentate ai quesiti 717

13 Magnetismo 719
13.1 Fenomeni magnetici 719
13.2 Campo magnetico 720
13.3 Proprietà magnetiche della materia 722
13.4 Legge di Biot e Savart 725
13.5 Campo magnetico in una spira 725
13.6 Solenoide 726
13.7 Forza di Lorentz 727
13.8 Quesiti 728
13.9 Risposte commentate ai quesiti 729

14 Elettromagnetismo 731
14.1 Interazioni tra campi magnetici e correnti elettriche 731
14.2 Definizione di Ampere 732
14.3 Induzione elettromagnetica 732
14.4 Corrente alternata 733
14.5 Spettro del campo elettromagnetico 735
14.6 Quesiti 738
14.7 Risposte commentate ai quesiti 739

15 Cenni di meccanica ondulatoria 741


15.1 Definizione di onda 741
15.2 Classificazione delle onde 742
15.2.1 Modi di vibrazione delle onde 742
15.2.2 Origini delle onde 742
15.3 Grandezze caratteristiche di un’onda 742
15.4 Funzione d’onda 744
15.5 Principio di sovrapposizione 745
15.6 Tipi di interferenza 745
15.7 Onde stazionarie 746
15.8 Leggi della riflessione 747
15.9 Leggi della rifrazione 747
15.10 Diffrazione 748
15.11 Effetto Doppler 749
15.12 Onde sonore 749
15.13 Onde elettromagnetiche 750
15.14 Dispersione luminosa 751
15.15 Quesiti 751
15.16 Risposte commentate ai quesiti 752
Indice XVII

16 Cenni di ottica 754


16.1 Ottica geometrica 754
16.2 Sistemi ottici 754
16.3 Lenti sottili 756
16.4 Costruzione delle immagini 758
16.5 Quesiti 759
16.6 Risposte commentate ai quesiti 760

• CHIMICA
Prefazione 763

1 La costituzione della materia 765


1.1 Introduzione 765
1.2 Elementi, composti e miscele 765
1.3 Stati di aggregazione della materia 767
1.3.1 Passaggio di stato solido-liquido (Fusione) 771
1.3.2 Passaggio di stato liquido-aeriforme (Vaporizzazione o Evaporazione) 771
1.3.3 Passaggio di stato aeriforme-liquido (Condensazione) 771
1.3.4 Passaggio di stato liquido-solido (Solidificazione) 771
1.3.5 Passaggio di stato solido-aeriforme (Sublimazione) 772
1.3.6 Passaggio di stato aeriforme-solido (Brinamento) 772
1.4 Metodi di separazione 772
1.4.1 Filtrazione 773
1.4.2 Evaporazione 773
1.4.3 Distillazione 773
1.4.4 Estrazione 774
1.4.5 Centrifugazione 774
1.4.6 Cromatografia 774
1.5 Trasformazioni chimiche e natura atomica della materia 775
1.5.1 Legge di conservazione della massa (o Legge di Lavoisier, 1789) 775
1.5.2 Legge delle proporzioni definite e costanti (o Legge di Proust, 1799) 776
1.5.3 Legge delle proporzioni multiple (o Legge di Dalton, 1808) 776
1.6 Quesiti 777
1.7 Soluzioni commentate ai quesiti 778

2 La struttura dell’atomo 780


2.1 Introduzione 780
2.2 Particelle elementari, numero atomico e numero di massa 780
2.2.1 Cenni di chimica nucleare 781
2.3 Peso atomico e peso molecolare 783
2.4 La mole ed il numero di Avogadro 784
2.5 Struttura elettronica dell’atomo 786
2.6 Principio di indeterminazione di Heisenberg e definizione del concetto di orbita-
le 787
2.7 La funzione d’onda ψ “psi” ed i numeri quantici 788
2.8 Configurazioni elettroniche e regole di riempimento degli orbitali atomici 791
2.8.1 Regole di riempimento per gli ioni 793
2.9 Quesiti 794
2.10 Soluzioni commentate ai quesiti 795
XVIII Indice

3 Il sistema periodico degli elementi 797


3.1 Introduzione 797
3.2 La tavola periodica 797
3.3 Proprietà periodiche 799
3.3.1 Raggio atomico 799
3.3.2 Potenziale di ionizzazione 800
3.3.3 Affinità elettronica 801
3.3.4 Elettronegatività 801
3.4 Classificazione degli elementi 802
3.4.1 IA: I metalli alcalini 802
3.4.2 IIA: I metalli alcalino terrosi 802
3.4.3 Gruppo B: I metalli di transizione 803
3.4.4 VIA: I calcogeni 803
3.4.5 VIIA: Gli alogeni 803
3.4.6 VIIIA: I gas nobili (o gas rari o gas inerti) 803
3.5 Quesiti 804
3.6 Soluzioni commentate ai quesiti 805

4 Il legame chimico 807


4.1 Introduzione 807
4.2 Il legame ionico 807
4.3 Il legame covalente 808
4.4 Le strutture di Lewis e la teoria del legame di valenza (VB) 809
4.4.1 Costruzione delle formule di Lewis 811
4.4.2 Teoria del legame di valenza (VB) 812
4.5 Il legame dativo o di coordinazione 814
4.6 Ibridazione degli orbitali 815
4.6.1 Carica Formale 820
4.6.2 Teoria della risonanza 821
4.6.3 Eccezioni alla regola dell’ottetto ed ottetto espanso 822
4.6.4 Modello VSEPR (Valence Shell Electron Pair Repulsion) 823
4.7 Momento dipolare e geometria molecolare 826
4.8 Il legame metallico 827
4.9 Cenni sulla teoria dell’orbitale molecolare (MO) 828
4.10 Interazioni tra molecole (Legami o interazioni intermolecolari) 828
4.10.1 Interazioni ione – dipolo 829
4.10.2 Interazioni dipolo – dipolo 829
4.10.3 Legame ad idrogeno 830
4.10.4 Interazioni dipolo – dipolo indotto 831
4.10.5 Interazioni dipolo istantaneo – dipolo istantaneo indotto 831
4.11 Quesiti 832
4.12 Soluzioni commentate ai quesiti 833

5 Fondamenti di chimica inorganica 834


5.1 Introduzione 834
5.2 Regole per la determinazione del numero di ossidazione (n.o.) 834
5.3 Nomenclatura sistematica IUPAC 835
5.3.1 Ossidi 835
5.3.2 Ossiacidi (o acidi ossigenati) 836
5.3.3 Idrossidi 837
5.3.4 Idracidi 837
5.3.5 Idruri 837
Indice XIX

5.3.6 I sali 838


5.3.7 Cianuri, solfocianuri e tiocomposti 839
5.3.8 Perossocomposti 839
5.4 Nomenclatura tradizionale 839
5.4.1 Ossidi (ossidi basici) 840
5.4.2 Anidridi (ossidi acidi) 840
5.4.3 Acidi ossigenati 841
5.4.4 Idrossidi 842
5.4.5 Idracidi 842
5.4.6 Idruri 842
5.4.7 Sali 843
5.4.8 Alcuni nomi tradizionali di uso corrente 843
5.5 Proprietà degli elementi e dei composti dei gruppi principali 844
5.5.1 Idrogeno 844
5.5.2 Sodio e Potassio 845
5.5.3 Calcio e Magnesio 845
5.5.4 Alluminio 846
5.5.5 Silicio 846
5.5.6 Azoto e Fosforo 846
5.5.7 Ossigeno e Zolfo 847
5.5.8 Cloro 847
5.6 Principali proprietà degli elementi di transizione 848
5.7 Quesiti 848
5.8 Soluzioni commentate ai quesiti 849

6 Le reazioni chimiche 851


6.1 Introduzione 851
6.2 Bilanciamento di reazioni chimiche e coefficienti stechiometrici 851
6.2.1 Regole per il bilanciamento delle reazioni chimiche 852
6.3 Principali tipi di reazioni chimiche 855
6.3.1 Reazioni di scambio 855
6.3.2 Reazioni acido-base (o di neutralizzazione) 855
6.3.3 Reazioni di decomposizione 855
6.3.4 Reazioni di dissociazione 855
6.3.5 Reazioni di ionizzazione 855
6.3.6 Reazioni di ossidoriduzione (o redox) 856
6.3.7 Reazioni di combustione 856
6.3.8 Reazioni di precipitazione 856
6.3.9 Reazioni con formazione di gas 856
6.4 Regole per il bilanciamento di reazioni redox 856
6.4.1 Procedura di bilanciamento di reazioni redox con il metodo delle semirea-
zioni 857
6.5 La stechiometria 861
6.5.1 Suggerimenti per la risoluzione dei problemi stechiometrici 861
6.5.2 Reazioni con reagente limitante 863
6.5.3 Resa effettiva, teorica e percentuale 864
6.6 Quesiti 866
6.7 Soluzioni commentate ai quesiti 867
XX Indice

7 Cenni di termochimica, cinetica ed equilibri 869


7.1 Introduzione 869
7.2 Entalpia e calore di reazione 869
7.3 Energia libera di Gibbs e spontaneità di una reazione chimica 871
7.4 Cinetica chimica 873
7.5 Teoria cinetica delle reazioni chimiche (o teoria degli urti) 874
7.5.1 Energia cinetica dell’urto ed effetto della temperatura 874
7.5.2 Urti con orientazione appropriata 876
7.6 Condizioni di reazione e velocità 877
7.7 Catalizzatori 878
7.8 L’equilibrio chimico 879
7.8.1 La costante di equilibrio Keq 880
7.8.2 L’espressione della costante di equilibrio 881
7.9 Principio di Le Châtelier o dell’equilibrio mobile 881
7.9.1 Risposta dell’equilibrio alla variazione delle concentrazioni 882
7.9.2 Effetto della temperatura sulla costante di equilibrio 882
7.9.3 Effetto della pressione e del volume sulla costante di equilibrio 883
7.10 Il processo Haber per la sintesi dell’ammoniaca 883
7.11 Quesiti 884
7.12 Soluzioni commentate ai quesiti 885

8 Le soluzioni 887
8.1 Introduzione 887
8.2 Soluzioni ed unità di concentrazione 887
8.2.1 La molarità (M) 888
8.2.2 La molalità (m) 890
8.2.3 La normalità (N) e gli equivalenti chimici 891
8.3 Il fenomeno della dissoluzione 893
8.3.1 Fattori che influenzano la solubilità 893
8.4 Proprietà colligative delle soluzioni 895
8.4.1 Innalzamento ebullioscopico (o del punto di ebollizione) (∆Teb ) 895
8.4.2 Abbassamento crioscopico (o del punto di congelamento) (∆Tcr ) 895
8.4.3 Pressione osmotica (Π) 897
8.4.4 Legge di Raoult (1886) 898
8.4.5 Proprietà colligative e grado di dissociazione 900
8.5 Titolazioni 902
8.6 Quesiti 903
8.7 Soluzioni commentate ai quesiti 904

9 Elettrochimica 906
9.1 Introduzione 906
9.2 Pile chimiche 906
9.2.1 La Pila Daniell 906
9.3 Potenziale di riduzione 907
9.4 Elettrolisi 911
9.5 Le leggi di Faraday (1833) 912
9.6 Quesiti 914
9.7 Soluzioni commentate ai quesiti 915
Indice XXI

10 Acidi e basi 917


10.1 Introduzione 917
10.2 Teoria di Arrhenius (1884) 917
10.2.1 Limiti alla teoria di Arrhenius 918
10.3 Teoria di Brønsted e Lowry (1923) 918
10.4 L’acqua nelle reazioni acido-base 919
10.5 Il pH e la misura dell’acidità di una soluzione acquosa 920
10.6 Costanti di dissociazione acida e basica 922
10.7 Fattori strutturali alla base della forza di un acido 924
10.8 Acidi poliprotici 924
10.9 Calcolo del pH di soluzioni acquose 925
10.10 Acidi e basi forti 925
10.11 Acidi e basi deboli 926
10.12 Miscele di acidi e basi 927
10.13 Ioni con carattere acido o basico 928
10.14 Soluzioni tampone ed equazione di Handerson–Hasselbach 929
10.15 Teoria di Lewis (1938) 930
10.16 Solubilità e prodotto di solubilità 931
10.16.1 Parametri che influenzano la solubilità 933
10.17 Titolazione acido-base 934
10.18 Quesiti 935
10.19 Soluzioni commentate ai quesiti 937

11 Fondamenti di chimica organica 939


11.1 Introduzione 939
11.2 L’atomo di carbonio 939
11.3 Rappresentazione dei composti organici 940
11.4 Isomeria strutturale ed isomeria ottica 943
11.5 Gli idrocarburi 947
11.6 Idrocarburi alifatici 948
11.6.1 Alcani (o paraffine) 948
11.6.2 Alcheni (o olefine) 951
11.6.3 Alchini 952
11.6.4 Proprietà chimiche e fisiche degli idrocarburi alifatici 953
11.7 Cenni di chimica dei polimeri 955
11.8 Idrocarburi aromatici o areni 956
11.8.1 Proprietà chimiche e fisiche degli idrocarburi aromatici 957
11.9 Nomenclatura degli idrocarburi 958
11.9.1 Alcani 958
11.9.2 Cicloalcani 960
11.9.3 Idrocarburi alifatici insaturi 960
11.9.4 Idrocarburi aromatici 962
11.10 Gruppi funzionali nei composti del carbonio 962
11.10.1 Alogenuri R–X 962
11.10.2 Alcooli 963
11.10.3 Fenoli 964
11.10.4 Tioli o mercaptani 965
11.10.5 Eteri 965
11.10.6 Aldeidi e chetoni 967
11.10.7 Acidi carbossilici 968
11.10.8 Esteri 970
11.10.9 Ammine 971
XXII Indice

11.10.10Ammidi 972
11.11 Cenni di Nomenclatura per classi funzionali 973
11.11.1 Alogenuri 973
11.11.2 Alcoli, tioli e fenoli 974
11.11.3 Eteri ed epossidi 974
11.11.4 Aldeidi e chetoni 975
11.11.5 Acidi carbossilici 976
11.11.6 Esteri 978
11.11.7 Ammine 978
11.11.8 Ammidi 978
11.12 Quesiti 980
11.13 Soluzioni commentate ai quesiti 981

12 Glossario 983

• BIOLOGIA
Prefazione 994

1 La chimica dei viventi 995


1.1 I bioelementi 995
1.2 L’importanza biologica delle interazioni deboli 996
1.2.1 Il legame a idrogeno 996
1.3 Le proprietà dell’acqua 996
1.4 Le molecole organiche presenti negli organismi viventi e rispettive funzioni 997
1.4.1 Glicidi 998
1.4.2 Lipidi 1001
1.4.3 Proteine 1003
1.4.4 Acidi nucleici 1007
1.5 Il ruolo degli enzimi 1011
1.5.1 Coenzimi e cofattori 1012
1.5.2 Vitamine 1012
1.6 Quesiti 1014
1.7 Soluzioni commentate ai quesiti 1015

2 La cellula come base della vita 1017


2.1 La teoria cellulare 1017
2.1.1 Le dimensioni cellulari 1019
2.1.2 I microscopi 1019
2.2 La cellula procariote e la cellula eucariote 1020
2.2.1 La cellula procariote 1020
2.2.2 La cellula eucariote 1022
2.3 La membrana cellulare e le sue funzioni 1024
2.3.1 Struttura della membrana cellulare 1024
2.3.2 Meccanismi di trasporto 1026
2.4 Le strutture cellulari e loro specifiche funzioni 1030
2.4.1 Il citoplasma 1031
2.4.2 Il nucleo 1031
2.4.3 Ribosomi 1032
2.4.4 Reticolo endoplasmatico 1032
2.4.5 Apparato di Golgi 1033
2.4.6 Lisosomi 1034
Indice XXIII

2.4.7 Perossisomi e Gliossisomi 1034


2.4.8 Mitocondri e Cloroplasti 1034
2.4.9 Cromoplasti e leucoplasti 1036
2.4.10 Il citoscheletro 1036
2.4.11 Matrice extracellulare 1037
2.4.12 Giunzioni cellulari 1038
2.5 Riproduzione cellulare 1039
2.5.1 Corredo cromosomico 1039
2.5.2 Ciclo cellulare 1040
2.5.3 Mitosi 1041
2.5.4 Meiosi 1043
2.5.5 Morte cellulare programmata o apoptosi 1046
2.6 I tessuti animali 1046
2.6.1 Il tessuto epiteliale 1047
2.6.2 I tessuti connettivi 1051
2.6.3 Il tessuto nervoso 1060
2.6.4 Il tessuto muscolare 1063
2.7 Quesiti 1067
2.8 Soluzioni commentate ai quesiti 1068

3 Bioenergetica 1071
3.1 La termodinamica biologica 1071
3.2 La valuta energetica delle cellule (ATP) e i coenzimi delle ossido-riduzioni 1072
3.3 Glicolisi e respirazione cellulare 1073
3.3.1 Glicolisi 1075
3.3.2 Il ciclo degli acidi tricarbossilici (TCA) o ciclo di Krebs 1077
3.3.3 La catena di trasporto degli elettroni 1079
3.3.4 La fosforilazione ossidativa: la sintesi di ATP 1081
3.3.5 Efficienza energetica globale della respirazione 1083
3.3.6 Fermentazioni 1083
3.4 La fotosintesi 1085
3.4.1 Le reazioni alla luce: i pigmenti fotosintetici 1086
3.4.2 Le reazioni alla luce: i fotosistemi 1087
3.4.3 Le reazioni alla luce: il trasporto degli elettroni 1089
3.4.4 Il ciclo di Calvin-Benson 1090
3.4.5 La fotorespirazione 1091
3.5 Quesiti 1093
3.6 Soluzioni commentate ai quesiti 1094

4 Riproduzione ed ereditarietà 1096


4.1 Cicli vitali 1096
4.2 Riproduzione 1097
4.2.1 Riproduzione asessuata 1098
4.2.2 Riproduzione sessuata 1099
4.3 Genetica mendeliana 1100
4.3.1 Genotipo e fenotipo 1100
4.3.2 Gli esperimenti di Mendel e la prima legge di Mendel 1100
4.3.3 La seconda legge di Mendel 1103
4.3.4 La terza legge di Mendel 1104
4.3.5 Alleli multipli: il gruppo sanguigno AB0 1106
4.3.6 Relazioni di dominanza modificate 1106
4.4 Teoria cromosomica dell’ereditarietà 1107
XXIV Indice

4.4.1 Cromosomi sessuali ed ereditarietà legata al sesso: gli esperimenti di Mor-


gan 1107
4.4.2 Non disgiunzione dei cromosomi X: gli esperimenti di Bridges 1109
4.4.3 La determinazione del sesso 1110
4.5 Mappe cromosomiche 1112
4.5.1 La concatenazione genica: gli esperimenti di Morgan sulla Drosophila 1113
4.5.2 Il concetto di mappa genetica 1114
4.5.3 Ricombinazione mitotica 1115
4.5.4 Mappare il genoma umano 1116
4.6 Genetica Molecolare 1117
4.6.1 DNA e geni 1117
4.6.2 Il DNA dei procarioti 1119
4.6.3 La duplicazione del DNA 1120
4.6.4 Il cromosoma degli eucarioti 1122
4.6.5 Gli elementi trasponibili 1123
4.6.6 RNA 1125
4.6.7 Trascrizione 1126
4.6.8 La maturazione dell’RNA messaggero 1128
4.6.9 tRNA 1129
4.6.10 Sintesi proteica 1130
4.6.11 Il codice genetico 1132
4.6.12 Regolazione dell’espressione genica 1134
4.7 Mutazioni 1139
4.7.1 Mutazioni geniche 1140
4.7.2 Mutazioni cromosomiche 1141
4.7.3 Mutazioni genomiche 1143
4.7.4 Meccanismi di riparo del DNA 1144
4.8 Genetica umana 1145
4.8.1 Trasmissione dei caratteri monofattoriali 1145
4.8.2 Alberi genealogici 1145
4.8.3 Irregolarità nella trasmissione dei caratteri mendeliani 1147
4.8.4 Trasmissione dei caratteri multifattoriali 1148
4.8.5 Malattie ereditarie 1148
4.9 Le nuove frontiere della genetica: la tecnologia del DNA ricombinante 1150
4.9.1 Clonaggio 1150
4.9.2 Genoteche 1153
4.9.3 PCR 1153
4.9.4 Applicazioni della tecnologia del DNA ricombinante 1155
4.10 Quesiti 1155
4.11 Soluzioni commentate ai quesiti 1156

5 Ereditarietà e ambiente 1159


5.1 Le teorie evolutive 1159
5.1.1 La teoria dell’uniformismo e il principio dell’attualismo 1159
5.1.2 L’evoluzionismo biologico 1159
5.1.3 La teoria di Lamarck 1160
5.1.4 La teoria di Darwin 1160
5.1.5 L’evoluzionismo post-darwiniano: biometristi e mendeliani 1162
5.1.6 La teoria sintetica dell’evoluzione o neo-darwinismo 1162
5.1.7 Genetica di popolazione 1163
5.1.8 La legge di Hardy-Weinberg 1164
5.2 Le prove dell’evoluzione 1165
Indice XXV

5.3 Le basi genetiche dell’evoluzione 1166


5.3.1 Mutazioni 1166
5.3.2 Flusso genico 1167
5.3.3 Deriva genetica 1167
5.3.4 Modalità di incrocio 1168
5.3.5 Selezione naturale 1169
5.3.6 Selezione artificiale 1170
5.4 Speciazione 1170
5.4.1 Speciazione allopatrica 1171
5.4.2 Speciazione simpatrica 1172
5.5 Coevoluzione, convergenza evolutiva e preadattamento 1172
5.6 I modelli evolutivi: gradualismo filetico ed equilibri punteggiati 1173
5.7 Quesiti 1174
5.8 Soluzioni commentate ai quesiti 1175

6 Anatomia e fisiologia dell’uomo 1177


6.1 Apparato tegumentario 1177
6.1.1 Annessi cutanei 1178
6.1.2 Riparazione delle ferite 1181
6.1.3 Ustioni 1181
6.2 Apparato scheletrico 1181
6.2.1 Scheletro assile 1183
6.2.2 Scheletro appendicolare 1184
6.2.3 Fratture 1184
6.3 Le articolazioni 1185
6.3.1 Tipi di movimento 1186
6.4 Apparato muscolare 1186
6.4.1 Fonti energetiche del muscolo 1188
6.4.2 Fibre rosse e fibre bianche 1189
6.4.3 La fatica muscolare 1189
6.5 Sistema nervoso 1190
6.5.1 Il sistema nervoso centrale 1192
6.5.2 Il sistema nervoso autonomo 1197
6.5.3 I recettori sensoriali e gli organi di senso 1199
6.6 Apparato circolatorio 1210
6.6.1 Il cuore 1210
6.6.2 Vasi sanguigni 1211
6.6.3 Circolazione e pressione sanguigna 1211
6.6.4 Attività elettrica del cuore 1214
6.6.5 Coagulazione del sangue 1215
6.6.6 Principali patologie dell’apparato circolatorio 1216
6.7 Il sistema linfatico 1217
6.7.1 La linfa 1218
6.7.2 Vasi linfatici 1218
6.7.3 Organi linfoidi 1219
6.8 Apparato respiratorio 1220
6.8.1 Polmoni 1222
6.8.2 La respirazione polmonare 1223
6.8.3 Principali patologie dell’apparato respiratorio 1225
6.9 Apparato digerente 1226
6.9.1 Struttura del tubo digerente 1227
6.9.2 Lo stomaco 1228
XXVI Indice

6.9.3 L’intestino tenue 1229


6.9.4 L’intestino crasso 1231
6.9.5 Fegato 1233
6.9.6 Pancreas 1235
6.10 Apparato uro-genitale 1235
6.11 Apparato genitale 1239
6.11.1 Apparato genitale femminile 1239
6.11.2 Apparato genitale maschile 1245
6.11.3 Patologie a carico del sistema riproduttore 1247
6.12 Sistema endocrino 1247
6.12.1 Ipofisi 1250
6.12.2 Tiroide 1252
6.12.3 Paratiroidi 1252
6.12.4 Pancreas 1252
6.12.5 Ghiandole surrenali 1253
6.12.6 Epifisi 1255
6.12.7 Gonadi 1255
6.13 Omeostasi idro-salina 1256
6.13.1 L’equilibrio dei fluidi corporei 1256
6.13.2 L’equilibrio acido-base 1258
6.14 Embriologia 1258
6.14.1 Sviluppo embrionale 1258
6.14.2 Organogenesi 1262
6.14.3 Il parto 1263
6.14.4 Lattazione 1264
6.15 Sistema immunitario 1265
6.15.1 Immunità innata 1265
6.15.2 Immunità adattativa 1268
6.15.3 Immunità umorale 1268
6.15.4 La risposta cellulo-mediata e le APC (Antigen Presenting Cells) 1270
6.15.5 Immunità attiva 1274
6.15.6 Immunità passiva 1275
6.15.7 Cellule Natural Killer 1275
6.15.8 Malattie causate dal sistema immunitario 1276
6.16 Quesiti 1277
6.17 Soluzioni commentate ai quesiti 1278

7 Glossario 1280
Prefazione
Se stai leggendo questa pagina probabilmente sei in dirittura d’arrivo all’esame di maturità,
oppure stai già stringendo con orgoglio il prezioso e agognato diploma. Se stai leggendo questa
pagina inoltre molto probabilmente hai intenzione di iscriverti ad una Facoltà a numero chiuso,
Medicina, Veterinaria e Odontoiatria.
Ecco dunque che il sogno di un meritato riposo, di una vacanza con gli amici o di un’estate
all’insegna del dolce far niente viene improvvisamente minacciato da una nuova ombra: il Test
di ammissione all’Università.
Ti capiamo, e comprendiamo allo stesso tempo quanto sia importante per te superare la
prova d’ingresso, cosı̀ da poter proseguire la tua carriera universitaria come desideri:
con soddisfazione, profitto e successo.
Per questo abbiamo ideato un nuovo e dinamico sistema di studio, per andare incontro
a tutti gli studenti che si trovano alle prese con la preparazione ai Test di ammissione.
Questo manuale è rivolto alla preparazione delle prove di ammissione ai corsi di laurea
dell’Area Medica: Medicina e Chirurgia, Odontoiatria e Protesi Dentaria, Veterinaria; oltre che
per i corsi universitari dell’Area Scientifica: Biologia, Biotecnologie, Farmacia, CTF, nonché
per Scienze Motorie.
UnidTest rappresenta un punto di riferimento per tutti gli studenti che vogliono sa-
perne di più sul sistema universitario e sulle modalità di accesso ai corsi di laurea a numero
programmato. L’ingresso al mondo universitario è complesso e il Test di ammissione è il primo
scoglio davanti al quale un ragazzo rischia di rimanere incagliato. Per questo motivo UnidTest
ha creato una comunità di professionisti della formazione vicini alle tue esigenze. Coloro che
si affidano alla nostra esperienza hanno l’opportunità di trovare davanti a sé un team capace
di ascoltare in maniera attiva e modellare un percorso formativo che aderisca alle necessità e
alle problematiche messe in evidenza da ciascuno, facendo emergere le proprie potenzialità.
UnidTest opera su tutto il territorio con i Corsi in aula disponibili in 33 città a partire
dalla stagione autunnale e fino a pochi giorni prima delle date dei test, avvalendosi della
collaborazione di oltre 300 docenti, selezionati tra docenti universitari, brillanti ricercatori
e professionisti. Ha ideato e realizzato nel 2010 i primi Corsi Online di preparazione ai test
di tutte le facoltà, costantemente aggiornati e tutt’ora ineguagliati.

Ringraziamenti
UnidTest ringrazia tutti coloro che hanno collaborato alla redazione della Collana “Test Uni-
versitari”, in particolar modo Desiree Pelliccia per la realizzazione delle fotografie d’autore,
Prof.ssa Ivania Avolio per i preziosi confronti scientifici e didattici, tutto il corpo docente
UnidTest e i partecipanti ai corsi per i suggerimenti pratici.

Simbologia utilizzata nel manuale:

Definizioni Suggerimenti Osservazioni

Approfondimenti Esempi ed esercizi svolti

Aggiornamenti
È possibile scaricare gli aggiornamenti del presente volume sul sito web www.libriunidtest.com,
all’interno del dettaglio prodotto.
Introduzione
1. Come prepararsi ai Test Universitari
L’accesso ad alcuni Corsi di Laurea Specialistica a livello nazionale (come Medicina e Chirur-
gia, Odontoiatria e Protesi dentaria, Medicina Veterinaria, Scienze della Formazione Primaria
e Architettura), alcune importanti Università private (come Università Cattolica, San Raf-
faele, Campus Biomedico e Humanitas) e molti Corsi di Laurea triennali (come Fisioterapia,
Dietistica, Logopedia, Infermieristica e Ostetricia) sono disciplinati dalla legge n. 264 del 1999
che ne stabilisce il numero programmato.
Il numero programmato indica il numero di matricole ammesso ogni anno alla frequenza
dei suddetti corsi.
Gli studenti che desiderano frequentare tali facoltà universitarie devono pertanto supera-
re un test di selettivo volto a valutare le potenziali attitudini e competenze dei candidati
indispensabili per proseguire il corso di laurea prescelto.
In seguito alla riforma universitaria, inoltre, numerose facoltà i cui corsi erano ad accesso
libero, hanno introdotto la presenza di Test valutativi per accertare le conoscenze pregresse e
le attitudini personali. In questo caso si tratta di una prova di valutazione orientativa, il cui
esito non preclude l’iscrizione al corso di laurea.
Nel caso di valutazioni negative, tuttavia, viene attribuito un debito formativo da sanare
entro il primo anno di studi, a dimostrazione del superamento delle lacune rivelate.
Il presente manuale racchiude le principali normative di riferimento e le procedure
previste per le prove di ammissione. Inoltre al seguente indirizzo:
http://www.unidformazione.com/test-di-ammissione/test-di-ammissione/bandi-decreti-leggi-2/
è possibile scaricare i test ufficiali precedenti, consultare i documenti ministeriali nella loro
versione integrale e rimanere costantemente aggiornati sulle novità relative ai test.
La Collana UnidTest consente di raggiungere una preparazione completa, attraverso
l’apprendimento di tutte le nozioni e tecniche di risoluzione proposte nei seguenti testi:
UnidTest Teoria – Manuale di preparazione: contiene la trattazione teorica,
mirata e specifica, di tutte le conoscenze necessarie per rispondere correttamente ai
quesiti a risposta multipla e seleziona le informazioni rilevanti per tutti coloro che si
candidano al superamento del Test. Il testo è inoltre integrato al termine di ogni capitolo
da numerosi esercizi risolti e commentati, arricchito da tabelle, schemi e glossari che
aiutano a fissare i concetti essenziali;
UnidTest Esercizi – Eserciziario commentato: contiene centinaia di quesiti
inediti suddivisi per materia, aggiornati alle più recenti direttive ministeriali e coerenti
alle prove di ammissione degli ultimi anni. Tutte le domande sono corredate da soluzioni
e commento esaustivo utile per acquisire le tecniche più rapide ed efficaci per risolvere
i quesiti a risposta multipla;
UnidTest 12.000 Quiz: contiene la più completa raccolta di quesiti a risposta
multipla, tratte in parte dall’archivio ufficiale delle prove di ammissione a Me-
dicina, Odontoiatria e Veterinaria e in parte inedite. Questa raccolta di domande,
suddivise per materia, sono corredate da soluzioni e rappresentano uno strumen-
to aggiornato di studio indispensabile per familiarizzare con le prove d’esame e per
perfezionare la preparazione teorica;
UnidTest Prove di Verifica: contiene dieci prove di verifica coerenti per difficoltà e
caratteristiche con le prove ufficiali: il numero dei quesiti, la suddivisione per materia
e le tipologie seguono fedelmente i contenuti dei test più recenti e includono i nuovi
quesiti Cambridge. Tutte le domande sono corredate da un commento esaustivo utile
per acquisire le tecniche più rapide ed efficaci per risolvere i quesiti a risposta multipla;
XXX Introduzione

UnidTest eBook a colori – Teoria + Esercizi: contiene la trattazione mirata e


specifica di tutto il programma di preparazione ed è accompagnato da centinaia di quesiti
inediti, con soluzioni e commenti, per soddisfare le esigenze di coloro che desiderano
portare sempre con sé uno strumento di preparazione di ultima generazione.
A completamento dell’offerta formativa il manuale dà diritto all’utilizzo dell’innovativa Web
App UnidTest con contenuti esclusivi per i lettori tra cui Simulazioni illimitate, test ufficiali,
statistiche e tanto altro.

Grande attenzione alla conoscenza teorica


Il presente volume affronta in modo completo e sintetico tutti gli argomenti oggetto d’e-
same. Ciascuna disciplina viene spiegata in modo esaustivo, dimostrandosi uno strumento
indispensabile di studio, ripasso e approfondimento.
Il linguaggio, chiaro e diretto, consente la comprensione dei vari argomenti in modo
semplice e immediato, evitando cosı̀ dispersioni di tempo ed energie.

Esemplificazione degli esercizi


Ogni argomento teorico è seguito da una serie di esercizi risolti e commentati che esemplificano
dettagliatamente e chiarificano la risoluzione degli esercizi.
Il metodo UnidTest facilita lo studente nella comprensione dell’applicazione pratica; i
quesiti ricalcano fedelmente gli esercizi proposti in sede d’esame e in molti casi sono tratti dai
Test ufficiali degli anni precedenti.
In questo modo il candidato prenderà familiarità con le tipologie di esercizi più comu-
ni, imparando a decodificarne il linguaggio e acquisire confidenza con la gamma di quesiti
maggiormente ricorrenti.

Suggerimenti e consigli pratici


In seguito ad un approfondito lavoro di ricerca il corpo docente UnidTest ha formulato una
serie di suggerimenti e consigli pratici, utili per svolgere correttamente gli esercizi per agevolare
l’apprendimento dei concetti teorici. L’individuazione di distrattori e insidie sono un utile
strumento per evitare allo studente gli errori più comuni. Tali suggerimenti sono indicati in
modo chiaro, cosı̀ da essere immediatamente individuabili nel testo.

Glossari e Tabelle
Il Manuale è arricchito da glossari e tabelle riepilogative, utili per ripassare e chiarire la
terminologia specialistica, contributo indispensabile per la comprensione dei vari argomenti e
per l’approfondimento del sapere.

Immagini, file, link e costanti aggiornamenti


Il formato eBook di ciascun manuale permette una fruizione interattiva dei contenuti. L’in-
serimento di immagini, file e link consente allo studente di approfondire le diverse tematiche
proposte sfruttando tutte le potenzialità messe a disposizione dal web.

Allenamento psicologico
Lo studio teorico mirato, la risoluzione dei quesiti proposti nei test ufficiali degli anni pre-
cedenti, i consigli ed i suggerimenti pratici predispongono lo studente ad affrontare la prova
con maggiore competenza, familiarità e serenità. Dopo un percorso guidato, pensato appo-
sitamente per la preparazione ai Test di ammissione alle facoltà a numero programmato, lo
studente acquisirà una maggiore sicurezza, necessaria per sostenere la prova con lucidità e
consapevolezza.
Introduzione XXXI

1.1 Novità UnidTest eBook


UnidTest, accanto ai manuali tradizionali, ha proposto dal 2013 l’esclusiva dei formati eBook,
pensati per gli studenti di nuova generazione che intendono sfruttare le nuove tecniche di
apprendimento.

Quali sono i vantaggi dell’eBook?


Leggerezza e praticità. La possibilità di studiare in qualunque luogo: naturalmente
a casa, ma non solo: al parco, in treno, e - perché no? - anche al mare!
Dinamismo e interazione. L’eBook è concepito in maniera attiva e dialettica con lo
studente. Le pagine teoriche esplicative sono corredate di link che rimandano a pagine
di approfondimento, video e file audio. Un modo nuovo di studiare: più vivace e
partecipe, che permette di alternare lo studio classico a momenti di proficua “distrazio-
ne”. Autorevoli studi scientifici hanno dimostrato che la mente umana non è in grado
di rimanere completamente concentrata dopo dieci minuti di intenso studio. Gli ap-
profondimenti offerti dai link proposti vogliono ovviare a questo problema. Guardando
un video o ascoltando un pod cast, lo studente potrà rilassarsi continuando allo stesso
tempo ad apprendere;
Anche l’occhio vuole la sua parte. I tradizionali volumi cartacei non contengono
immagini a colori. L’eBook è invece arricchito da una dettagliata iconografia a colori.
È dimostrato che le figure rappresentative hanno un’importanza fondamentale nell’ap-
prendimento delle materie scientifiche, inoltre aiutano a fissare e a memorizzare meglio
i concetti.
L’accento posto sin qui all’innovazione introdotta dalla Collana UnidTest, non deve però
essere frainteso. Nel nostro caso innovazione non significa leggerezza contenutistica o superfi-
cialità. Al contrario. La sessione teorica è affrontata con estrema cura e profondità.
Ad ogni sezione teorica seguono poi una serie di esercizi svolti e commentati con cui lo
studente può cimentarsi valutando la propria preparazione.
Il nostro percorso formativo vi accompagnerà nella preparazione al Test universitario
affinché la prova sia affrontata serenamente e con sicurezza.
Si tratta di un esame importante, un momento di “sliding door” della vostra vita. UnidTest
vi aiuterà a giungervi con consapevolezza, tranquillità e, soprattutto, preparazione.
UniD Formazione organizza Corsi in aula in 33 città, con un’offerta formativa differen-
ziata, a partire dai primi mesi autunnali (con corsi annuali e semestrali) per proseguire con i
corsi intensivi subito prima del Test.
UnidTest propone, sin dal 2010, Corsi Online specifici per ciascuna facoltà costantemente
aggiornati e tutt’ora ineguagliati. Sono composti da videolezioni teoriche, videocommenti ai
quesiti più complessi, simulazioni illimitate, mappe concettuali di riepilogo e tanto altro.

I punti di forza dell’offerta formativa:


1. Massimo 20 partecipanti per classe: caratteristica che UnidTest ritiene di fonda-
mentale importanza per consentire la migliore relazionalità tra docenti e studenti;
2. Didattica innovativa, specifica ed efficace: ciascun corso prevede un approfondi-
mento teorico-pratico di tutte le materie oggetto del test coerenti al Decreto Ministeriale,
attraverso cicli di lezioni mirate e costantemente accompagnate da esercitazioni volte a
consolidare la preparazione teorica;
3. Simulazioni e esercitazioni: durante i corsi i partecipanti sono sottoposti a continue
simulazioni per consentire loro di familiarizzare con le modalità della prova e arrivare
al giorno del Test ben preparati;
XXXII Introduzione

4. Tecniche più efficaci: vengono trasmesse le tecniche e le strategie per risolvere effi-
cacemente e velocemente i quesiti a risposta multipla, che consentono di ottenere un
punteggio superiore rispetto agli altri candidati;
5. Materiale aggiuntivo: durante le lezioni vengono consegnate dai docenti Unidtest
dispense teoriche e di esercizi all’uopo realizzate.
UnidTest propone inoltre Vacanze-Studio in Repubblica di San Marino, per tutti coloro
che desiderino conciliare lo studio con il divertimento e il relax.
L’offerta formativa è consultabile al seguente link:
http://www.unidformazione.com/corsi/corsi-in-aula/.

Test di autovalutazione Online


Al seguente link http://www.unidformazione.com/test-di-ammissione/test-on-line/ UnidTest
mette a disposizione gratuitamente una serie di quesiti tratti dai test ufficiali degli ulti-
mi anni attraverso i quali è possibile constatare il proprio livello di preparazione utile per
impostare meglio il percorso di studio.

Statistiche, Novità e Test ufficiali


Sul sito http://www.unidformazione.com/test-di-ammissione/test-di-ammissione/statistiche-
sui-test-ammissione/ sono disponibili le Statistiche, aggiornate suddivise per corso di laurea.
Inoltre sono pubblicati tutti i Test ufficiali risolti e commentati degli ultimi anni.
Al link http://www.unidformazione.com/test-ammissione/ sono disponibili tutti gli ag-
giornamenti circa le novità sui test: normative, calendari delle prove e approfondimen-
ti.

Segui UniD Formazione anche sui Social Network


UnidTest è presente, con oltre 130.000 fan, su Facebook, Twitter, You Tube e LinkedIn per
fornire tutte le informazioni in tempo reale sui Test di ammissione, prospettive scuola-lavoro
e Università.
Utile strumento interattivo e istantaneo per sottoporre quiz, comunicare novità o sempli-
cemente per rispondere alle vostre domande.
Introduzione XXXIII

2. Corsi di preparazione UniD Formazione


I corsi UnidTest prevedono un approfondimento teorico-pratico di tutte le materie oggetto
del Test coerenti al Decreto Ministeriale. Le lezioni prevedono la trattazione mirata delle
conoscenze richieste attraverso approfondimenti chiari e sintetici di tutte le discipline oggetto
delle prove.
Vengono inoltre pianificate continue esercitazioni e simulazioni utili per trasmettere le
strategie più efficaci per risolvere i quesiti a risposta multipla e per gestire al meglio il tempo
a disposizione.

Perché scegliere UniD Formazione?


È Società di primaria importanza nella preparazione ai Test di ammissione universitari;
Ha ideato una didattica innovativa, costantemente aggiornata e perfezionata in base
alle novità introdotte dal Miur;
Il corpo docente UnidTest è selezionato e scelto attentamente tra docenti universi-
tari, brillanti ricercatori e insegnanti con esperienza unica nel settore;
Propone Corsi in aula in 33 sedi di durata differenziata per assecondare le esigenze
degli studenti;
Limita il numero di corsisti per classe (fino a un massimo di 20) per garantire la
qualit del servizio;
Istituisce Borse di studio per premiare i pi meritevoli;
Ha ideato e realizzato il primo Corso Online di preparazione attivo tutto l’anno
e 24 ore su 24, tutt’ora ineguagliato;
Con UnidTest l’84 %∗ dei corsisti supera il Test e il 98 %∗ di loro consiglia i
nostri corsi;
Ha edito la Collana UnidTest, in dotazione ai corsi, composta da manuali di teoria,
eserciziari commentati, prove di verifica e raccolte di quiz;
Utilizza sistemi didattici all’avanguardia per migliorare le capacità di apprendi-
mento dei propri studenti;
Offre un servizio di informazione costante e aggiornato su i pi importanti Social
Network.

Campione basato sui feedback dei partecipanti.

All’atto dell’iscrizione UniD fornisce l’edizione aggiornata dei Manuali UnidTest-ultima edi-
zione (Teoria, Esercizi, Prove di verifica e raccolta di Quiz), il Corso Online, Test e Simulazioni
online illimitate e l’accesso al Forum docenti/studenti per chiarire i dubbi anche da casa e
iniziare uno studio preliminare indispensabile per acquisire le conoscenze di base.
Accanto alla professionalità e competenza che contraddistingue l’operato di UniD Forma-
zione è essenziale l’impegno da parte dei partecipanti durante la frequenza delle lezioni e nello
studio individuale. È importante quindi che il corsista si prepari preventivamente attraverso
lo studio approfondito dei manuali.

Risultati dei Corsisti


L’efficacia dei corsi è dimostrata dai risultati conseguiti dai partecipanti visibili al se-
guente link: http://www.unidformazione.com/test-di-ammissione/risultati-dei-corsisti/
XXXIV Introduzione

Valutazioni dei Corsisti


UniD Formazione, al fine di migliorare costantemente la propria offerta formativa, acquisisce
al termine dei corsi di preparazione le valutazioni dei propri corsisti attraverso una scheda di
valutazione.
Questo ha permesso di perfezionare negli anni la qualità dei nostri servizi.
Le valutazioni dei nostri corsisti sono visibili al seguente link:
http://www.unidformazione.com/test-di-ammissione/valutazioni-corsisti/.

Modalità di iscrizione ai corsi UniD Formazione


Le iscrizioni ai corsi UniD Formazione si aprono a settembre per i Corsi annuali e semestrali
che iniziano in autunno, per proseguire con i Corsi intensivi e le Vacanze-Studio.
Le iscrizioni possono essere effettuate fino ad esaurimento dei posti disponibili (20 parte-
cipanti per classe).
Per coloro che possiedono i manuali UnidTest, in dotazione ai corsi, è prevista la detrazione
dell’intero prezzo di copertina dalla quota di partecipazione al corso scelto.
Le iscrizioni ai corsi possono essere effettuate:
Compilando l’apposito modulo di iscrizione direttamente dal sito internet:
http://www.unidformazione.com/corsi/corsi-in-aula/;
Telefonando alla Segreteria didattica al Numero Verde gratuito 800.788.884;
Direttamente presso la nostra sede.
Sono previste le seguenti promozioni (fino a un massimo del 20 % di sconto):
10 % di sconto per le iscrizioni anticipate (almeno 60 gg prima dell’inizio delle lezioni);
20 % di sconto per coloro che si iscrivono con amici.
Per qualsiasi informazione su libri e corsi è possibile contattare la Segreteria scrivendo a
info@unidformazione.com

UniD S.r.l.
Via Ventotto Luglio 218
47893 Borgo Maggiore (RSM)
Numero Verde: 800.788.884
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Introduzione XXXV

3. Caratteristiche dei test


Le prove di selezione per l’ingresso alle Facoltà a numero programmato vengono regolamentate
e definite ogni anno con Decreto Ministeriale. Il provvedimento, emanato generalmente 90
giorni prima della data dei test, stabilisce, a livello nazionale, i programmi relativi ai quesiti
delle prove, i criteri di valutazione utilizzati per redigere la graduatoria di merito nonché la
data e l’ora fissata per ognuna delle prove.
Almeno 60 giorni prima della data di svolgimento del test, il MIUR rende noto con apposito
Decreto, il numero di posti disponibili per l’accesso ai singoli corsi di laurea, suddivisi per
ciascuna sede universitaria.
Le facoltà di Biotecnologie, Scienze biologiche, Farmacia, Scienze Motorie e CTF, non sono
soggette alla normativa ministeriale, pertanto ogni singola Università stabilisce con apposito
Bando di concorso le modalità delle prove di ammissione, che generalmente riprendono i
medesimi programmi e le stesse modalità previste dal Decreto Ministeriale.
I corsi di laurea in Medicina e Chirurgia, Odontoiatria e Protesi Dentaria, Me-
dicina Veterinaria sono soggetti al medesimo programma d’esame (si veda l’allegato A del
D.M.), variano però le date di svolgimento delle prove. Ogni anno un’apposita commissione
di esperti ha il compito di definire i quesiti delle prove. L’esame di ammissione, per ciascun
corso di laurea, si svolge simultaneamente in tutte le Università statali.
A partire dall’anno accademico 2011/12 le prove di ammissione in Medicina e Odontoiatria
state unificate.
Il sistema di valutazione ormai affermato da tempo consiste in una prova composta da
quesiti a risposta multipla ritenuto il più valido strumento di selezione in quanto consente
di razionalizzare i tempi di correzione delle prove e di valutare oggettivamente i candidati,
liberandoli da giudizi soggettivi della Commissione d’esame.
Il contenuto dei Test sarà pertanto fondamentalmente nozionistico e valuta la prontezza
del candidato nel rispondere correttamente al maggior numero di quesiti nell’arco temporale
messo a disposizione.

3.1 Struttura dei Test per l’ammissione a Medicina, Odontoiatria e Veterinaria


La prova di ammissione ai corsi di laurea consiste nella soluzione di 60 quesiti che presentano
5 opzioni di risposta, di cui una sola esatta.

DISCIPLINE OGGETTO DEL TEST:


MEDICINA VETERINARIA
E ODONTOIATRIA
CULTURA GENERALE 2 quesiti 2 quesiti
RAGIONAMENTO 20 quesiti 20 quesiti
LOGICO
BIOLOGIA 18 quesiti 16 quesiti
CHIMICA 12 quesiti 16 quesiti
FISICA E MATEMATICA 8 quesiti 6 quesiti

DURATA DELL’ESAME:
Per lo svolgimento della prova il candidato dispone di un tempo massimo di 100 minuti.
Il candidato deve dimostrare:
di aver acquisito un’elevata capacità di concentrazione;
di comprendere immediatamente il quesito posto;
di individuare prontamente e correttamente la risposta.
XXXVI Introduzione

CRITERI DI VALUTAZIONE DELLE PROVE:


1,5 punto per ogni risposta esatta;
0 punti per ogni risposta omessa;
- 0,4 punti per ogni risposta errata

CRITERI DI AMMISSIONE AI CORSI DI LAUREA:


Le prove di ammissione alle facoltà a numero programmato, quali Medicina, Odontoiatria
e Veterinaria prevedono una soglia di punteggio minimo per rientrare nella graduatoria di
merito pari a 20 punti, anche se per essere ammessi il punteggio dovrà essere decisamente più
elevato.
Il superamento dell’esame è dunque di tipo comparativo, stabilito esclusivamente dal
rapporto dei risultati ottenuti tra i diversi candidati.
Sulla base del punteggio totalizzato da ciascun candidato, viene compilata una graduatoria
unica nazionale, che vedrà un numero di studenti ammessi pari al numero di posti
disponibili, salvo ripescaggi in caso di rinuncia dei candidati risultati assegnati.
Pertanto, per superare la prova lo studente deve risultare tra i migliori in graduatoria.

IN CASO DI PARITÀ DI VOTI:


Per i corsi di laurea magistrale in Medicina e Chirurgia, Odontoiatria e Protesi Den-
taria in caso di equivalenza di risultati, prevale in ordine decrescente il punteggio ottenuto
dal candidato nella soluzione rispettivamente, dei quesiti relativi agli argomenti di Logica e
Cultura generale, Biologia, Chimica, Fisica e Matematica.
Per i corsi di laurea magistrale in Medicina Veterinaria prevale in ordine decrescente
il punteggio ottenuto dal candidato nella soluzione rispettivamente, dei quesiti relativi agli
argomenti di Chimica, Logica e Cultura generale, Biologia, Fisica e Matematica.
In caso di ulteriore parità, prevale lo studente che sia anagraficamente più giovane.

GRADUATORIA
A partire dall’Anno Accademico 2013/14 è stata introdotta la graduatoria nazionale di merito.

3.2 Statistiche sulle prove di ammissione

Nella tabella sottostante è possibile visionare le Statistiche relative alla prova di ammissione
2015/16; vengono presi in considerazione il numero di posti disponibili, i partecipanti alla
prova, il rapporto di candidati per posto disponibile e il punteggio minimo dell’ultimo am-
messo. La selezione per questi corsi di laurea è molto severa e negli anni si è riscontrato un
aumento costante del numero di aspiranti matricole a fronte di una variazione minima dei
posti disponibili.
Medicina e Chirurgia – Odontoiatria e Protesi Dentaria

Graduatoria unica nazionale


Posti disponibili 10.305
Candidati 53.268
Candidati per posto 5,16
Punteggio minimo 32
Fonte dei dati: MIUR
Introduzione XXXVII

3.2.2 Medicina Veterinaria


Graduatoria unica nazionale
Posti disponibili 717
Candidati 6.277
Candidati per posto 8,75
Punteggio minimo 35,7
Fonte dei dati: MIUR

3.3 Struttura dei test per i corsi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore
La selezione dei candidati per i corsi di laurea in Medicina e Chirurgia, Odontoiatria e Protesi
Dentaria presso l’Università Cattolica di Roma è basata su una graduatoria di merito
determinata dai risultati della prova scritta. La prova scritta consiste nella soluzione di 120
quesiti a risposta multipla sui seguenti argomenti:
test psico–attitudinale: logica, ragionamento spaziale visivo, comprensione dei brani,
attenzione e precisione, ragionamento numerico, problem solving (90 quesiti);
cultura religiosa (10 quesiti);
lingua inglese (20 quesiti).
Per lo svolgimento della prova è assegnato un tempo massimo di 120 minuti.

VALUTAZIONE DELLE PROVE:


Per la valutazione della prova di ammissione si applicano i seguenti criteri:
1 punto per ogni risposta esatta;
- 0,25 punti per ogni risposta errata;
0 punti per ogni risposta non data.

CRITERI DI AMMISSIONE AI CORSI DI LAUREA:


Il punteggio è determinato dal solo esito della prova scritta. In caso di parità è necessario fare
riferimento alle seguenti norme.
Ordine di sequenza in caso di parità di voti:
1. prevale in ordine decrescente il punteggio ottenuto dal candidato nella soluzione dei
quesiti relativi agli argomenti del test psico-attitudinale;
2. prevale il punteggio ottenuto dal candidato nella soluzione dei quesiti di conoscenza
della lingua inglese;
3. prevale il punteggio ottenuto dal candidato nella soluzione dei quesiti di cultura religiosa;
4. prevale il candidato anagraficamente più giovane.

POSTI DISPONIBILI:

Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia 270 posti


Corso di Laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria 25 posti
XXXVIII Introduzione

Statistiche

Per visionare le statistiche sempre aggiornate collegati a


http://www.unidformazione.com/test-di-ammissione/statistiche-sui-test-ammissione/, la pa-
gina a cura della redazione UnidTest dedicata all’analisi dei risultati dei test precedenti.
Si rimanda al sito dell’Università Cattolica del Sacro Cuore per visionare i dettagli del
Bando di Concorso dell’Ateneo, per restare sempre informati sui Corsi di studio e sugli avvisi
relativi alle prove di ammissione: http://roma.unicatt.it/

3.4 Struttura dei test per i corsi della Libera Università Vita e Salute San Raffaele
L’esame di ammissione alle Facoltà di Medicina e Chirurgia e Odontoiatria e Protesi Dentaria,
prevede 100 domande a risposta multipla di cui il 10% formulate in lingua inglese

DISCIPLINE OGGETTO DEL TEST:

Logica e problem – solving: 60 quesiti


Cultura scientifica (Biologia, Chimica, Matematica e Fisica): 40 quesiti

Tempo per completare la prova: 120 minuti

VALUTAZIONE DELLE PROVE:


1 punto per ogni risposta esatta
- 0,25 punti per ogni risposta errata
0 punti per ogni risposta omessa

CRITERI DI AMMISSIONE AI CORSI DI LAUREA:


In caso di equivalenza di risultati prevale rispettivamente il punteggio ottenuto nella risoluzione
dei quesiti di Logica e problem solving, Biologia, Chimica, Fisica e Matematica.
Qualora si riscontrasse un’ulteriore parità fa da discriminante l’età del candidato, con
precedenza a quello più giovane.

POSTI DISPONIBILI:

Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia 100 posti


Corso di Laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria 35 posti

Statistiche

Per visionare le statistiche sempre aggiornate collegati a


http://www.unidformazione.com/test-di-ammissione/statistiche-sui-test-ammissione/, la pa-
gina a cura della redazione UnidTest dedicata all’analisi dei risultati dei test precedenti.
Si rimanda al sito della Libera Università Vita e Salute San Raffaele per prendere dettaglia-
tamente visione dell’Ateneo, del corso di studi e degli avvisi relativi alle prove di ammissione:
www.unisr.it/
Introduzione XXXIX

3.5 Struttura dei test per i corsi della Libera Università Campus Bio-Medico
La selezione dei candidati per i corsi attivati presso la Libera Università Campus Bio-Medico di
Roma è basata su una graduatoria di merito finale determinata dal voto conseguito all’Esame
di Maturità, dai risultati della prova scritta e della prova orale.
L’esame di ammissione alla Libera Università Campus BioMedico prevede 100 quesiti a
risposta multipla con 5 alternative di cui solo una esatta.

DISCIPLINE OGGETTO DEL TEST:

Logica: 50 quesiti
Biologia: 15 quesiti
Chimica: 15 quesiti
Fisica: 10 quesiti
Matematica: 10 quesiti

Tempo per completare la prova: 150 minuti

VALUTAZIONE DELLE PROVE:

0,5 punti per ogni risposta esatta


- 0,1 punti per ogni risposta errata
0 punti per ogni risposta omessa

I colloqui della prova orale vertono su temi di cultura generale, attitudinali e motivazionali,
al fine di verificare la predisposizione dei candidati verso la scelta degli studi presso la Libera
Università Campus Bio-Medico.

CRITERI DI AMMISSIONE AI CORSI DI LAUREA


Per l’elaborazione delle graduatorie si tiene conto:

Fino a 50 punti per la prova scritta


Fino a 5 punti per il voto relativo al titolo finale di scuola media superiore del candidato
Fino a 45 punti per la prova orale

POSTI DISPONIBILI:

Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia: 122 posti

Statistiche

Per visionare le statistiche sempre aggiornate collegati a


http://www.unidformazione.com/test-di-ammissione/statistiche-sui-test-ammissione/, la pa-
gina a cura della redazione UnidTest dedicata all’analisi dei risultati dei test precedenti.
Si rimanda al sito della Libera Università Campus Bio-Medico per prendere dettagliata-
mente visione dell’ateneo, del corso di studi e degli avvisi relativi alle prove di ammissione:
www.unicampus.it/
XL Introduzione

3.6 Struttura dei test per i corsi della Humanitas University


La selezione dei candidati per i corsi di laurea in Medicina e Chirurgia in lingua inglese presso
la Humanitas University di Milano è basata su una graduatoria di merito determinata
dai risultati della prova scritta, che consiste nella soluzione di 60 quesiti a risposta multipla
sui seguenti argomenti:
cultura generale (4 quesiti);
ragionamento logico (23 quesiti);
biologia (15 quesiti);
chimica (10 quesiti);
fisica e matematica (8 quesiti).
Per lo svolgimento della prova è assegnato un tempo massimo di 100 minuti.

VALUTAZIONE DELLE PROVE:


Per la valutazione della prova di ammissione si applicano i seguenti criteri:
1,5 punto per ogni risposta esatta;
-0,4 punti per ogni risposta errata;
0 punti per ogni risposta non data.

CRITERI DI AMMISSIONE AI CORSI DI LAUREA:


Nell’ambito dei posti disponibili per le immatricolazioni, sono ammessi al corso di laurea
i candidati italiani, comunitari ed equiparati secondo l’ordine decrescente del punteggio e
purché abbiano ottenuto nel test un punteggio minimo pari a venti (20) punti.

Ordine di sequenza in caso di parità di voti:


1. prevale in ordine decrescente il punteggio ottenuto dal candidato nella soluzione, rispet-
tivamente, dei quesiti relativi agli argomenti di ragionamento logico, cultura generale,
biologia, chimica, fisica e matematica;
2. prevale il possesso, entro la data di chiusura delle iscrizioni, delle certificazioni lingui-
stiche di cui all’Allegato B del bando; non verrà riconosciuto alcun titolo preferenziale
ai candidati che, pur avendo superato l’esame di lingua, non siano in possesso alla data
di chiusura dell’iscrizione al test della certificazione ufficiale;
3. in caso di ulteriore parità, prevale lo studente che sia anagraficamente più giovane.

POSTI DISPONIBILI:

Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia in lingua inglese: 100 posti

Statistiche

Per visionare le statistiche sempre aggiornate collegati a


http://www.unidformazione.com/test-di-ammissione/statistiche-sui-test-ammissione/, la pa-
gina a cura della redazione UnidTest dedicata all’analisi dei risultati dei test precedenti.
Si rimanda al sito della Humanitas University per visionare i dettagli del Bando di Con-
corso dell’Ateneo, per restare sempre informati sui Corsi di studio e sugli avvisi relativi alle
prove di ammissione: http://www.hunimed.eu/it/
Introduzione XLI

4. Normativa italiana sul numero programmato


La legge n. 264 del 2 agosto 1999 stabilisce le procedure riguardanti gli accessi ai Corsi
universitari cosı̀ detti a numero programmato, o a numero chiuso.
Essendo la scelta del corso di studi universitari una tappa fondamentale nel percorso
della carriera scolastica di ciascun ragazzo, è importante capire le ragioni e il significato
dell’introduzione del numero programmato come discriminante di accesso ad alcuni Corsi
di Laurea.
Con il sistema a numero chiuso si intende innanzitutto regolamentare le immatricolazioni.
Tale sistema tiene conto di alcuni fattori:
La necessità di adeguare il sistema scolastico italiano alle direttive dell’U-
nione Europea.
La necessità di adeguare il numero dei laureati alle reali esigenze del mercato
del lavoro.
La programmazione degli accessi all’Università si pone come obiettivo quello di favorire le
prospettive occupazionali dei laureati. Regolamentando il numero degli studenti che consegue
la laurea in relazione agli effettivi bisogni nei diversi ambiti professionali, si tende a garantire
la possibilità di impiego fin dal termine della carriera universitaria, riducendo il rischio della
disoccupazione.
L’importanza di garantire la qualità dell’offerta formativa dell’Università in
relazione al numero di studenti
Le Università devono essere in grado di garantire un’adeguata accoglienza e un’attività forma-
tiva efficiente. È bene pertanto che il numero di studenti sia commisurato alle capacità delle
strutture e del corpo docente. I corsi che prevedono un’attività di tirocinio come quelli scienti-
fici, sanitari o di laboratorio, al fine di garantire la qualità e la completezza della formazione,
devono dunque essere in grado di assicurare la massima fruizione di tali attività.
L’importanza di investire sugli studenti più preparati, competenti e meri-
tevoli, unitamente al tentativo di limitare il tasso di abbandono negli studi
universitari
Da recenti statistiche ISTAT, sugli studi universitari emerge come i Corsi di Laurea a numero
programmato siano quelli con minore tasso di abbandono prima del conseguimento della lau-
rea. È risultato che in Italia il tasso di abbandono è del 40%. Nei corsi dell’area medica, per
esempio, il tasso di abbandono è del 3,5% a differenza di quello letterario pari al 17%. Una
selezione iniziale serve dunque come discriminante per selezionare gli studenti più determinati
e meritevoli in grado di sostenere il carico di studi e portare a termine il proprio percorso
formativo.
Autorevoli ricerche condotte dal CNVSU inoltre hanno dimostrato che il tempo di con-
seguimento della laurea è inferiore per gli studenti che ottengono un punteggio elevato nella
prova di selezione.
Si rimanda al sito dell’Istat per prendere dettagliatamente visione delle statistiche e dei
dati pubblicati: http://www.istat.it/it/archivio/università
Per consultare leggi, bandi e decreti relativi a tutti i corsi dell’area medica collegati a:
http://www.unidformazione.com/test-di-ammissione/test-di-ammissione/bandi-decreti-leggi-2/.
Lo staff UnidTest pubblica costantemente tutti gli aggiornamenti relativi alle normative di
riferimento.
XLII Introduzione

5. La prova d’esame. Suggerimenti per lo svolgimento


Giunti a questo punto lo studente si domanderà quale sia il modo migliore per prepararsi alla
prova d’ammissione alle facoltà a numero programmato. Innanzitutto è bene considerare che
può non essere sufficiente conoscere il programma delle materie d’esame. Lo studio dei vari
argomenti naturalmente è fondamentale, ma non rappresenta l’unico sforzo cui deve tendere
il candidato.
Esistono infatti tecniche e metodi in grado di supportare lo studente nella preparazione,
cosı̀ da ottimizzare gli sforzi al fine di superare con successo la prova d’esame.
Si rivela dunque opportuno conoscere il sistema e le strategie per affrontare i test a ri-
sposta multipla, competenze che il semplice studio teorico non può garantire; pertanto la
combinazione vincente risulta essere l’insieme di entrambe le conoscenze.

5.1 60 giorni prima dell’esame: Lettura del bando di concorso


Una volta reso noto dal Ministero il Decreto Ministeriale, è importante che lo studente
analizzi con la massima attenzione tutte le informazioni ufficiali relative alle norme, alle mo-
dalità di selezione, ai contenuti, alla forma, alla data e all’ora della prova d’ammissione al
corso di studi prescelto.
Conoscere la durata della prova e il numero di domande presente nei quiz permette di
calcolare il tempo medio previsto per risolvere ogni quesito. Se per esempio il tempo a dispo-
sizione è di 2 ore e le domande sono 80, il tempo medio per la risoluzione di ogni esercizio sarà
di un minuto e mezzo. Conoscere in anticipo questa informazione permetterà di gestire bene
il tempo in sede d’esame evitando dispersioni o risposte affrettate. Naturalmente non bisogna
intendere questo suggerimento in modo letterale, tantomeno bisogna sottrarre concentrazione
durante lo svolgimento del test perché troppo impegnati a calcolare ossessivamente il tempo.
Esistono quesiti nozionistici in cui, se si conosce la risposta, il tempo per la risoluzione
sarà immediato, altri, come quelli di logica o di comprensione dei brani che necessiteranno
inevitabilmente un ragionamento più lungo.
Tuttavia conoscere il tempo medio per la risoluzione dei singoli quesiti, permette di rendersi
conto autonomamente quando è necessario passare oltre.
Subito dopo l’uscita del Decreto Ministeriale ogni Università provvede a pubblicare il Ban-
do di concorso, ulteriore documento ufficiale, contenente le informazioni utili per iscriversi
alla prova di ammissione e tutte le indicazioni supplementari.

ATTENZIONE: I termini per iscriversi al test sono tassativi pena l’esclusione dalla
partecipazione al concorso

La pagina facebook di UniD Formazione, inoltre, è un ottimo modo per trovare aggiornamenti,
consigli e informazioni, oltre che uno scambio di pareri e suggerimenti da parte di altri studenti:
https://www.facebook.com/UniDFormazioneTestAmmissioneUniversitari

5.2 Prima di cominciare la prova d’esame: istruzioni sulle modalità di compilazione


La risoluzione dei Test è soggetta a una serie di norme cui è necessario attenersi fedelmente (la
compilazione di una scheda anagrafica, la modalità di indicazione della risposta, la modalità
delle correzioni, la consegna delle prove, il tempo a disposizione. . . ).
Un’errata compilazione dei moduli può compromettere il risultato della prova, rendendo-
la nulla. È assolutamente importante perciò prestare la massima attenzione alle indicazioni
fornite in sede d’esame.
Talvolta, all’interno delle buste contenenti i Test sono presenti le istruzioni per la compi-
lazione. Si raccomanda di leggere con attenzione tali indicazioni.
Introduzione XLIII

Sebbene di anno in anno la composizione e la modalità di svolgimento della prova sia sog-
getta ad alcune modifiche, una conoscenza di massima dell’impostazione può essere utile per
familiarizzare con la prova.
Si raccomanda tuttavia di prestare la massima attenzione alle indicazioni definitive fornite
in sede d’esame.

5.3 Prima di cominciare la prova d’esame: la consegna dei plichi


Prima di iniziare, la commissione distribuisce ad ogni candidato una busta chiusa che non
deve essere aperta finché un incaricato non darà il permesso.
Contenuto del plico:
Un foglio contenente le istruzioni;
Una scheda anagrafica su cui scrivere i propri dati. Sul modulo è apposto un codice a
barre che servirà ad identificare i singoli studenti;
La scheda contenente i questi della prova d’esame;
Due copie del modulo delle risposte. Una sola sarà quella da considerarsi definitiva.
La correzione delle prove avverrà mediante lettore ottico è necessario dunque che la
copia sia compilata seguendo scrupolosamente le indicazioni e non riporti simboli non
richiesti, affinché non ci siano ambiguità per il lettore ottico;
Una busta con un occhiello. In tale busta si dovrà inserire solamente il modulo delle
risposte da considerarsi valido, facendo attenzione a NON piegarlo. Dall’occhiello dovrà
risultare visibile il codice a barre identificativo del modulo.
L’inserimento della scheda anagrafica o di altri fogli all’interno della busta costituisce l’annul-
lamento della prova, cosı̀ come scritte o firme sulla suddetta busta.
La busta verrà chiusa dalla commissione.

La compilazione del test deve avvenire esclusivamente mediante penna nera a sfera.
La seconda copia può dunque essere utilizzata in caso di errori nella compilazione,
danneggiamento o usura.
La copia non valida dovrà essere annullata con una barra di cancellazione.

Gli altri documenti (il modulo risposte non utilizzato o annullato, i quesiti oggetto di prova,
il modulo anagrafico) saranno consegnati separatamente alla commissione.
Consigliamo la visione del Video Informativo redatto dal MIUR al seguente link:
www.universitaly.it/index.php/highered/accessoprogrammatopresenta

5.4 Svolgimento del quiz: gestione del tempo a disposizione


L’obiettivo del Test è quello di risolvere il maggior numero di esercizi in modo corretto. Come
descritto nel paragrafo sui criteri di ammissione ai Corsi di Laurea, all’interno della prova
d’esame tutti gli esercizi hanno lo stesso peso Non esiste pertanto una differenza di valore tra
le varie materie o tipologie di quesiti. Un esercizio di cultura generale ha lo stesso peso di uno
di chimica e un quesito complesso dà lo stesso punteggio rispetto ad uno semplice.
Un aspetto caratterizzante dei Test di ammissione è il rapporto tra il numero di esercizi
e il tempo a disposizione per risolverli. La tipologia di esame è strutturata in maniera tale da
richiedere una risoluzione davvero molto rapida
Lo studente pertanto non dovrà intimorirsi e distrarsi, ma mantenere la massima concen-
trazione per tutta la durata dell’intera prova.
È necessario dunque impiegare il tempo a disposizione razionalmente
XLIV Introduzione

Prima della prova:

Allenarsi a gestire il tempo già prima della prova d’esame. Durante la preparazione si consiglia
innanzitutto di imparare a risolvere le diverse tipologie di esercizi con calma e serenità, cosı̀
da comprenderne a fondo le diverse dinamiche;
In un secondo momento è importante simulare delle vere prove d’esame, cronometrando le
proprie prestazioni. In questo modo ci si abituerà a reggere la concentrazione durante il tempo
a disposizione e si capirà quali sono le tipologie di quesiti più semplici e quelle che compor-
tano maggior dispendio di tempo. Su questa base ci si potrà allenare per migliorare le proprie
performances sugli esercizi più impegnativi.
In sede d’esame:
Indossare un orologio;
Portare una penna a sfera nera;
Ricordare il tempo medio di risoluzione da dedicare ad ogni quesito;
È importante leggere con la massima attenzione il quesito e prima di indicare la soluzione, pre-
stare attenzione a tutte le risposte. L’impulsività porta a commettere molti errori di leggerezza,
soprattutto laddove si è maggiormente preparati. Quando si è sicuri di conoscere la risposta,
non indicarla precipitosamente ma valutare bene anche le altre alternative;
Si consiglia di non soffermarsi eccessivamente sui quiz complessi ma di risolvere innanzitutto
quelli di cui si è immediatamente certi. È bene indicare con un segno sulla copia contenente
le domande gli esercizi su cui si intende ritornare. In questo modo, una volta svolti i primi, si
potranno individuare più rapidamente i quesiti lasciati in sospeso;
Indicare sulla copia delle domande i quesiti che fanno emergere incertezze. Segnandosi even-
tualmente l’alternativa delle risposte su cui si ha un dubbio, cosı̀ da non dover riprendere il
ragionamento da capo in un secondo momento, al fine di economizzare il tempo a disposizione;
Una volta terminata una prima scrematura, tornare alle domande lasciate in sospeso contras-
segnate.

5.5 Modulo per le risposte


Le risposte ai quesiti vanno indicate sull’apposita
scheda già predisposta. È necessario indicare
la risposta in corrispondenza dell’esercizio cui si
Modulo Risposte
riferisce.
Le correzioni delle prove avvengono tramite AB CD E AB CD E AB CD E
 1.   21.   41. 
lettori ottici, pertanto è importante non apporre  2.   22.   42. 
segni e simboli al di fuori delle caselle previste.  3.   23.   43. 
Per il corretto funzionamento dei sistemi elettro-  4.   24.   44. 
5. 25. 45.
nici, sulla scheda possono essere presenti delle      
 6.   26.   46. 
aree con simboli (cerchi neri, codici a barre. . . ).  7.   27.   47. 
Non considerare tali aree e non deteriorarle, al fi-  8.   28.   48. 
ne di non compromettere il buon funzionamento  9.   29.   49. 

del lettore in sede di correzione.  10.   30.   50. 
 11.   31.   51. 
Di seguito riportiamo le indicazioni per con-
 12.   32.   52. 
trassegnare le risposte.  13.   33.   53. 
Si consideri che le presenti indicazioni fanno  14.   34.   54. 

riferimento ai moduli degli anni scorsi e che tale  15.   35.   55. 
 16.   36.   56. 
regolamentazione potrebbe essere soggetta a mo-
 17.   37.   57. 
difiche. È fondamentale pertanto, prima di co-  18.   38.   58. 
minciare l’esame, leggere con attenzione le istru-  19.   39.   59. 

zioni per prendere visione di eventuali cambia-  20.   40.   60. 

menti.
Introduzione XLV

Risposta alle domande:


Ogni domanda ammette una sola risposta corretta che
deve essere indicata con una crocetta avendo cura di
rimanere nei bordi dell’apposita casella. Non annerire
completamente la casella.

Annullare o omettere una risposta già contras-


segnata:
Se si desidera annullare o omettere una risposta, bar-
rare la casella circolare posta a margine delle cinque
caselle corrispondenti per le risposte.
ATTENZIONE: Tale indicazione, una volta apposta,
non è più modificabile.
Correzione di una risposta errata:
Se si intende correggere una risposta già data, è ne-
cessario annerire la risposta errata e barrare quella
corretta. Ogni domanda ammette una sola correzione.

Dal momento che ogni modulo di risposte contiene un codice a barre identificativo, è impor-
tante non scambiare i documenti con altri candidati.
Tutti i documenti propongono i medesimi esercizi, l’ordine dei quesiti tuttavia potrebbe
non essere rispettato. Non cercare dunque suggerimenti dalle postazioni vicine, poiché alla
numerazione potrebbero non corrispondere gli stessi esercizi.

5.6 Suggerimenti per identificare le risposte corrette


Quando si conosce bene l’argomento di un quesito è necessario prestare attenzione all’insidia
dei DISTRATTORI.
Che cosa sono i distrattori?
I distrattori sono le risposte inserite per confondere il candidato. Le soluzioni che in qualche
modo si avvicinano a quelle corrette e turbano la sicurezza del lettore.
Un possibile distrattore è costituito dalle negazioni e dagli avverbi di frequenza.
Prestare dunque molta attenzione alle parole come: non, mai, nessuno, tutti, sempre, spesso. . .
È bene comprendere di volta in volta il valore delle espressioni, non confondendo un valore
assoluto con uno specifico.
L’espressione Nel deserto piove molto raramente è diversa dall’espressione Nel deserto non
piove mai.
È importante dunque porre attenzione alla formulazione letterale delle frasi e non trarre
deduzioni personali autonome rispetto alle proposizioni date.
Un altro esempio di distrattore è dato dalla presenza di alternative simili tra loro.
Spesso, in questo caso, la soluzione corretta corrisponde proprio ad una delle due alternative.
È necessario prestare molta attenzione ai singoli vocaboli o numeri per individuare la
soluzione esatta.
Esempio:
Individuare l’unica affermazione corretta:
A Claude Monet è nato a Parigi nel 1840
B Claude Monet è stato un pittore belga
C Claude Monet è morto a Parigi nel 1926
XLVI Introduzione

D Claude Monet è il padre dell’Espressionismo


E Claude Monet è nato a Parigi nel 1841
La presenza di due alternative tanto simili tra loro, la A e la E , fa intuire che una delle
due sia quella corretta, proprio perché in diretta “competizione” tra loro. Nel caso si
conosca l’informazione non ci sarà difficoltà nell’individuare la risposta. Diversamente,
una volta ristrette a due le possibili soluzioni, la probabilità di indicare la soluzione
corretta sarà del 50%. In questo caso la soluzione corretta è la A .
Procedere per esclusione. Il fatto che non si conosca la risposta di un quesito
non significa che non si possa provare a dedurre la possibile soluzione. Procedere
per esclusione può essere di aiuto a restringere le alternative.
Esempio:
Chi è l’autore del romanzo Tre croci ?
A Luigi Pirandello
B Federigo Tozzi
C Emilio Cecchi
D Italo Svevo
E Umberto Tozzi
Nel caso in cui il candidato non conosca la risposta può aiutarsi procedendo con il ra-
gionamento. Innanzitutto considerando le informazioni conosciute sui vari personaggi
proposti. Due sono molto celebri, Luigi Pirandello e Italo Svevo. Se non si associa il
titolo proposto alla loro produzione è molto probabile che siano da escludere. I quesiti
raramente fanno riferimento a opere minori o a informazioni di nicchia. Sovente, ap-
punto, si tratta di valutare una conoscenza di base, non eccessivamente specialistica.
Rimangono le alternative B , C ed E . Le due proposte B ed E , come abbiamo visto
precedentemente, sono simili, e danno da intendere che tra le due si trovi la soluzione
corretta. Naturalmente non può trattarsi di Umberto Tozzi, essendo questi un cantante.
La soluzione corretta dunque è la B .

5.7 Scelta casuale delle risposte o omissione delle risposte?


Nel caso in cui non si conosca una risposta e non si riesca a dedurre la soluzione
mediante il ragionamento, il candidato si trova davanti alla scelta se azzardare una
risposta oppure lasciarla in bianco.
La penalizzazione di punteggio è stata prevista per scoraggiare le risposte casuali.
Nei Test degli ultimi anni veniva contato un punteggio pari a 0 per le risposte
omesse e di −0,4 punti per quelle errate. Nel caso in cui lo studente non sia in grado
di escludere nessuna delle cinque risposte, la probabilità di perdere 0,4 punti è pari
all’80%. In tal caso non è consigliabile azzardare una risposta.
La situazione è diversa se il candidato è in grado di escludere alcune soluzioni,
restringendo la scelta tra le possibili risposte corrette. Ogni alternativa che si esclude
fa infatti aumentare del 20% la probabilità di acquisire 1,5 punti, e corrispettivamente,
diminuisce del 20% la possibilità di subire una penalizzazione.
Conviene dunque provare a rispondere seguendo logica e istinto ogni qualvolta si
è in grado di escludere con sicurezza, per lo meno due alternative errate, a maggior
ragione se si riesce ad escluderne tre.
Logica
Prefazione

Nelle prove ufficiali di ammissione ai corsi di Laurea Specialistica i quesiti di ragio-


namento logico hanno rivestito un ruolo di crescente importanza. Essendo la finalità
del Test di ammissione quella di valutare l’attitudine dei candidati al corso di Laurea
prescelto, la natura dei quesiti di logica si rivela particolarmente indicata.
Gli esercizi di logica non richiedono competenze specifiche in una singola materia
ma valutano la pura abilità nel ragionamento, a prescindere dalle conoscenze acquisite
con lo studio.
Comprensibilmente lo studente si trova spesso disorientato e in difficoltà nell’affron-
tare questo tipo di quesiti.
Nel caso della cultura generale la difficoltà maggiore è rappresentata dalla vastità
dell’argomento.
Le domande possono riguardare temi come l’intifada, i versi di Giacomo Leopardi
o le tele di Van Gogh.
La domanda che gli studenti pongono con maggiore frequenza è: Ma come faccio a
sapere tutto?
I testi UniD forniscono una mappatura dei temi maggiormente ricorrenti attraverso
pagine teoriche schematiche e riassuntive. Le materie più ricorrenti nei Test (storia,
letteratura, educazione civica, storia dell’arte e geografia) sono trattate sinteticamente,
con un linguaggio chiaro e comprensibile. I concetti e le nozioni importanti, quelle
che richiedono la memorizzazione, sono evidenziate graficamente, cosı̀ da poter essere
individuate con semplicità.
Il supporto e-book, inoltre, si rivela uno strumento fondamentale e riveste un valore
aggiunto straordinario: foto a colori, video e link diventano presupposti indispensabili
per l’approfondimento e l’alleggerimento dello studio che altrimenti rischierebbe di
essere asfittico e puramente nozionistico.
Gli esercizi svolti e le simulazioni saranno il contraltare vivace e dinamico per
mettere alla prova il proprio sapere.
Nel caso della logica il problema è quello opposto: a differenza di materie come matema-
tica, chimica o biologia, non esiste un programma ben definito al quale fare riferimento
per lo studio.
Inoltre, a un primo sguardo, gli esercizi di logica possono sembrare incomprensibili.
Raramente durante le scuole medie superiori vengono affrontati quesiti riguardanti il
ragionamento logico.
Come prepararsi dunque per affrontare tali esercizi?
Innanzitutto è necessario comprendere il significato e la dinamica dei quesiti. Seb-
bene non sia possibile stabilire con esattezza un programma di logica, è indispensabile
tuttavia imparare a riconoscere, capire ed affrontare le tipologie dei quiz più comuni.
Una volta acquisita la confidenza necessaria con la materia, le prove proposte, svolte
Logica 3

e commentate, saranno una palestra essenziale per l’allenamento dei neuroni. Nel caso
della logica l’esercitazione è davvero molto importante.
Solo la pratica assidua porterà alla sicurezza necessaria per affrontare una tipologia
di quesiti particolarmente intricati.

Logica
Inoltre, spesso il tempo di risoluzione degli esercizi di logica è più lungo rispetto
a quello di materie più nozionistiche. Uno studente non sufficientemente allenato può
giungere, con la sola forza del ragionamento alla risoluzione degli esercizi. Il tempo
impiegato sarà però necessariamente più lungo, proprio perché il ragionamento richiede
riflessioni e considerazioni articolate.
In un Test che misura la capacità di rispondere correttamente al maggior numero
di risposte in un breve lasso di tempo, la familiarità e la dimestichezza con i quesiti
può diventare dunque un importante fattore discriminante.
Logica verbale
1
La Logica è la scienza del ragionamento e dei suoi procedimenti.

Attraverso gli esercizi di logica è possibile valutare


la capacità di pensiero, deduzione e riflessione del
candidato.
Nei Test sostanzialmente si individuano alcune
macro tipologie di problemi:

Logica verbale

Logica deduttiva
Figura 1.1: Non sempre è banale
Comprensione dei testi comprendere il significato dei termini.

Logica argomentativa (Cambridge)

Logica matematica

Logica visuo-spaziale

Fondamentalmente i Test di Logica verificano l’attitudine logica del candidato e la sua


capacità di ragionamento. Queste prove valutano l’elasticità mentale e l’attitudine alla
riflessione, al di là delle conoscenze pregresse.
I Test di logica verbale si presentano sotto numerose forme: relazioni di causa -
effetto, associazioni e analogie tra termini e proposizioni, classificazioni, anagrammi,
sillogismi, eccetera.
Per risolvere correttamente questi quesiti è importante analizzare la gamma di eser-
cizi presenti nei Test. Una volta comprese le diverse tipologie, strutture e soluzioni, sarà
possibile applicare il metodo risolutivo ad ogni esercizio proposto.
La preparazione a questi esercizi consiste dunque nel comprendere a fondo il para-
digma di ciascuna tipologia e allenarsi fino a raggiungere una completa familiarità e
dimestichezza con l’argomento.

Una volta compresa perfettamente la natura degli esercizi, si suggerisce di cimentarsi


nell’invenzione di quesiti e nell’immaginazione delle possibili soluzioni alternative.
Un approccio attivo e propositivo permetterà di comprendere ancora più a fondo la
dinamica dei quiz.
Logica 5

1.1 I vocaboli
I vocaboli hanno un peso rilevante nei Test di ammissione.
Principalmente si possono individuare 5 macro tipologie di quesiti:

Logica
Significato dei termini
Etimologia delle parole
Sinonimi e contrari
Figure retoriche
Analogie verbali e concettuali
Nelle sezioni seguenti analizzeremo le singole tipologie per illustrare le strategie risolu-
tive più adeguate.

1.2 Significato dei termini


Questi esercizi ricorrono frequentemente nei Test e valutano la padronanza lessicale
del candidato. Fondamentalmente si tratta di individuare il significato corretto di un
termine.

Qual è il significato del termine pleonastico?


A) pneumatico B) inutile C) ripieno
D) fondamentale E) onomastico
La risposta corretta è la B. Pleonastico significa: inutile, superfluo, non necessario. La A
e la E possono trarre in inganno per la somiglianza del suono con il termine proposto.
La D è il suo contrario e la C è evidentemente errata.

In questo tipo di esercizi i distrattori sono spesso costituiti dai significanti del termine
proposto.

È opportuno quindi comprendere la differenza tra il significato e il significante di un


termine.

Il significato corrisponde al contenuto del termine. Il significante è la sua forma fonica


o grafica.

Per esempio i vocaboli sussurrare e sussultare hanno un significante comune ma un


significato diverso. I due verbi presentano infatti una grafia e un suono molto simile:
il significante. Il significato però è differente. Sussurrare significa dire a bassa voce.
Sussultare significa muoversi improvvisamente, sobbalzare.

Negli esercizi in cui si chiede di individuare il significato di un vocabolo che


non si conosce bisogna prestare attenzione alla presenza dei significanti che
potrebbero trarre in inganno. Raramente due significanti hanno anche lo stesso
significato, o per lo meno, è necessario scegliere la risposta con cautela.
6 Logica verbale

Per prepararsi a questo tipo di esercizi inoltre può essere utile, ogni qual volta si
sente, legge o utilizza un termine non perfettamente chiaro, andare ad appurare
il reale corrispettivo sul vocabolario.
Verbale

Per arricchire la padronanza lessicale vi consigliamo di imparare tre nuovi


significati al giorno, cosı̀ da ampliare il bagaglio di conoscenza terminologica.

Registrandovi gratuitamente al sito La parola del giorno, riceverete ogni giorno una mail
contenete un termine con relativo significato. È un semplice modo per imparare ogni giorno
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Inoltre si rimanda al link del Vocabolario Treccani: http://www.treccani.it/vocabolario/

1.3 Etimologia delle parole


Il ricorso all’etimo delle parole può essere un buon modo per dedurre il significato di
termini sconosciuti.
Le prove di ammissione, inoltre, propongono quesiti riguardanti specificatamente
l’etimologia delle parole.

Clima è una parola di origine


A) greca B) francese C) latina
D) olandese E) tedesca
Il termine clima deriva dal greco klı̀ma ed è la risultante delle condizioni meteorologiche
caratteristiche di una località. La soluzione corretta è la A.

Nella maggior parte dei casi, i termini della lingua italiana derivano dal greco o dal
latino. L’italiano è infatti una lingua neolatina.

Le lingue neolatine (o di origine romanza) sono le lingue derivate dal latino volgare
in seguito dell’espansione dell’Impero Romano. Le lingue neolatine hanno come radice
il latino, ma nel corso degli anni si sono fuse ai dialetti locali. L’italiano, lo spagnolo,
il francese, il rumeno, il portoghese sono le più importanti.

Alcuni termini di uso comune di origine greca:


ortopedia, pediatra, filosofia, cardiologia, gnoseologia, podista, ortodosso, oroge-
nesi, terapia, emeroteca, talassocrazia, democrazia, oligarchia, aristocrazia, mo-
narchia, omofobia, xenofobia, agorafobia, fobia, genesi, genetica, biblioteca, pe-
dagogia, psiche, ipnosi, ippica, filantropo, misogino, arcaico, misantropo. . .
Alcuni termini di uso comune di origine latina: annegare, anziano, assise, ara-
gosta, ampolla, ammoniaca, acqua, ago, aceto. . .
Logica 7

Nel corso degli anni l’italiano ha poi assimilato nu-


merosi vocaboli anche da altre lingue, soprattutto
dal francese e dall’inglese. Si tratta prevalentemen-
te di termini in ambito tecnologico, sportivo, della

Logica
moda e della cucina nel caso dell’inglese. Le parole
di origine francese sono invece più difficili da indi-
viduare perché naturalizzate da più tempo, con una
grafia e un suono simile all’italiano.
Figura 1.2: In molte lingue nomi e
termini hanno un’etimologia illuminante.
Alcuni termini di uso comune di origine inglese:

week - end, computer, internet, random, pc, pressing, assist, fallo, corner, bomber,
casual, mobbing, stop, smoking, pullover. . .

Alcuni termini di uso comune di origine francese:


garage, gilet, abbandonare, aggeggio, antilope, araldo, ardesia, tribordo, baionet-
ta, ballottaggi, azzardo, dehor. . .

La tabella che segue presenta alcuni prefissi e suffissi di origine greca e latina che
possono comporre le parole italiane. Tali elementi risultano utili per comprendere il
significato e l’etimo di termini sconosciuti.

PREFISSI Significato Esempi


a- / an- privazione o negazione amorale (privo di morale), apolide
(senza cittadinanza)
ana- privazione anallergico
ante- precedenza / anteriorità antenato, antefatto
anti- che si oppone a anticoncezionale, antiatomico, antial-
lergico
arci- un grado superlativo arcinoto, arcistufo
avan- che anticipa avanguardia, avanspettacolo
bis- con valore negativo bislungo, bistrattare
circom- / circon- intorno circondare, circonflesso, circumnavi-
/circum gare
co- / con- insieme coabitare, condirettore, connazionale
com- / col- insieme compaesano, collaborare
contra- opposto contraddire, contraccettivo
contro- opposto controbattere
contro- sostituzione controfigura
contro- doppio controfirma, contromarca
de- sottrazione deumidificare, decapitare
de- allontanamento deportare
di- due diarchia, dittongo
di- /dis- privazione, separazione diboscare, diseredare, distogliere
eu- buono eucaristia, eufonia, euforia
extra- molto extrarapido, extralusso, extrastrong
extra- fuori extraterrestre, extracomunitario
fra- tra diverse cose, in mezzo frammettere, frapporre
in-/im- dentro inabissare, indurre, imbarcare
im- (davanti b / m fare diventare imbiancare / immalinconirsi, immise-
/ p) rire
8 Logica verbale

PREFISSI Significato Esempi


in-/im- negazione inesperienza, incapace, inefficienza,
impazienza
infra- sotto infrastruttura, infrarosso
Verbale

inter- fra, tra internazionale, interregionale


intra- dentro intramolecolare, intraprendere
iper- accrescitivo ipermercato, iperattivo, ipersensibile
ipo- al di sotto ipocalorico
meta- oltre, al di là metalinguaggio, metafisica
oltre-/ ultra- oltre, al di là oltretomba, oltrepassare,
ultraterreno, ultramontano
pan- tutto, interamente panamericano, panteismo
poli- pluralità politecnico, polimorfo
poli- città politica, politico
post- dopo postmoderno, postdatare
pre- prima preguerra, prematrimoniale, prevede-
re
pro- a favore di proaborto, proamericano
pro- chi fa le veci proconsole, prosegretario
proto- prima di protolingua, prototipo
re- / ri- valore ripetitivo redistribuire , reidratare, ridiscutere
ria- di nuovo riaccendere, riaffermare
retro- dietro retrobottega, retroattivo, retrodatare
s- contrario sblocco, sfortunato, sbalzare
sin- unione, comunanza, contem- sinergia, sintassi, sinfonia, sintonia
poraneità
sopra- sopra, eccessivo sopraddote, sopraesposto
sor-/ sovra- sopra sorpasso, sorvegliare, sorvolare, so-
vraccarico, sovrastrutturale
sotto- sotto, non abbastanza sottoscala, sottostimato, sottoutiliz-
zare
stra- molto stragrande, stravedere
stra- fuori straordinario, strapiombare
sub- sotto subappalto, subalpino, subaffittare
super- al di sopra superburocrate, supervisionare
tra- al di là trascrivere, traballare
trans- oltre, al di là, attraverso transessuale, transalpino
tri- tre triangolo, triciclo, tridente
SUFFISSI Significato Esempi
-archia dominio, governo monarchia, tetrarchia
-algia dolore nevralgia, lombalgia
-filo / -filia affetto, amore bibliofilo, cinofilia
-fobia paura idrofobia, agorafobia
-grafia scrittura ortografia, calligrafia
-gramma testo scritto telegramma, fotogramma
-iatra medico, dottore pediatra fisiatra
-logia studio, discorso antropologia, psicologia
-logo che studia antropologo, filologo
-mane appassionato melomane, grafomane
-mania passione spiccata, spesso ec- bibliomania, tossicomania
cessiva
-metria misura geometria, dismetria
-metro misura cronometro
-morfo forma antropomorfo, amorfo
-oide simile umanoide
-oma tumori fibroma, papilloma
-osi malattia artrosi, osteoporosi
-patia sofferenza, dolore cardiopatia
Logica 9

SUFFISSI Significato Esempi


-scopio che vede microscopio, caleidoscopio
-teca custodire, conservare biblioteca, emeroteca, vinoteca
-tomia che divide, taglia anatomia, dicotomia
-trofia nutrimento ipertrofia, distrofia, eutrofia

Logica
-onnivoro che mangia onnivoro, carnivoro, erbivoro

Da queste tabelle risulta evidente come molti termini, apparentemente complessi, in


realtà siano l’unione di un vocabolo ad un relativo prefisso o suffisso. Il termine amorfo
per esempio è costituito dal prefisso a- (privazione) e dal suffisso -morfo (forma).
Unendo questi elementi si può dedurre il significato della parola: privo di forma.

Lo studio dei suffissi è molto utile per superare con successo gli esercizi di vocabolario
e quelli etimologici.

1.4 Sinonimi e contrari


Fin dalle scuole elementari ci siamo trovati alle prese
con i sinonimi e i contrari. Proprio per la familia-
rità con l’argomento è necessario però prestare bene
attenzione agli esercizi proposti, per non rischiare
di commettere errori dati da leggerezza o eccessiva
sicurezza.
Ricapitoliamo: che cosa sono i sinonimi e i con-
trari?

Figura 1.3: Castello ha tra i suoi


Un sinonimo è un vocabolo che ha lo stesso sinonimi maniero, dimora, rocca e
significato fondamentale rispetto a un altro. fortezza.
Un contrario è un vocabolo che ha il si-
gnificato opposto e contrario rispetto a un
altro.

Si consideri ad esempio il termine dissoluto. Sono sinonimi: licenzioso, sregolato, vizioso,


corrotto, sfrenato. Sono contrari: morigerato, temperato, casto, virtuoso, pudico.
Individuare il sinonimo di impavido.
A) impaurito B) intrepido C) impervio
D) complesso E) imprevisto
La risposta corretta è la B. Intrepido è colui che non ha paura di nulla. Tra le soluzioni
proposte possiamo notare l’inserimento del contrario: impaurito, e la presenza di un
distrattore: imprevisto che per assonanza ricorda in qualche modo il termine proposto:
impavido.

Quando in un Test viene richiesto di individuare il sinonimo di un termine, spesso


nell’elenco proposto è presente anche un suo contrario.
10 Logica verbale

Qualora non si conosca esattamente il termine proposto può essere d’aiuto pensare
a espressioni o luoghi comuni che contengano il suddetto termine. In questo caso
è nota l’espressione cuore impavido per indicare qualcuno che non teme pericoli e
avversari.
Verbale

Individuare il contrario di filantropo.


A) egoista B) altruista C) musicologo
D) conformista E) sporco
La risposta corretta è la A. Filantropo significa altruista, generoso, il suo contrario è
dunque egoista.

Nel caso non si conosca il significato del termine l’etimologia può aiutare a dedurne
il senso. Filantropo deriva dai due termini greci: filos = amico e antropos = uomo.
Il filantropo dunque è un amico dell’uomo, una persona ben predisposta al prossimo.

Link di dizionari sinonimi e contrari:


http://www.homolaicus.com/linguaggi/sinonimi/index.htm

1.5 Figure retoriche


I quesiti che richiedono di individuare o riconoscere la
presenza di figure retoriche in una poesia o in un testo
sono frequenti. Per risolvere correttamente gli esercizi
è importante innanzitutto conoscere le varie definizioni
che costituiscono il linguaggio figurato. In seguito biso-
gna imparare a riconoscere i diversi costrutti nei brani
Figura 1.4: La metonimia o sined-
proposti. doche è una figura retorica consi-
Riportiamo di seguito un elenco delle figure retori- stente anche nell’usare una parte per
che più ricorrenti. il tutto e viceversa, come nel caso di
cavallo per indicare carrozza.

Vi consigliamo di prestare particolare attenzione agli esempi per tre ragioni:


Le esemplificazioni permettono di assimilare meglio la spiegazione teorica.

Nella maggior parte dei casi gli esempi sono tratti dai testi classici della lette-
ratura italiana. Non è da escludere dunque che nei test si possano incontrare i
medesimi versi.
Infine, l’abbinamento delle opere letterarie ai relativi autori può essere utile
nell’ottica delle domande di cultura generale e nelle analogie verbali, in cui si
richiede di individuare gli accostamenti tra opere e scrittori.

Aferesi Indica la caduta di una vocale o di una sillaba all’inizio di parola. Es.:
Lo ’ntelletto di Padron ’Ntoni (G. Verga, I Malavoglia).
Logica 11

Allegoria Un concetto espresso tramite un’immagine, spesso con riferimento al


linguaggio filosofico o metafisico. Es. Ed una lupa, che di tutte brame sembiava
carca ne la sua magrezza (D. Alighieri, La Divina Commedia). In questo caso la
lupa è un’allegoria dell’avarizia.

Logica
Allitterazione Ripetizione di una lettera o una sillaba. Es.: Il pietoso pastor
pianse al suo pianto (T. Tasso, Gerusalemme Liberata). Si noti la ripetizione
ossessiva della lettera p e della sillaba pi.

Anacoluto Consiste nella rottura della corretta correlazione grammaticale tra


due proposizioni di uno stesso periodo. Es.: Lei sa che noi altre monache, ci piace
di sentir le storie per minuto (A. Manzoni, Promessi sposi).

Anafora Ripetizione di una o più parole all’inizio della frase o del verso. Es.:
Ascolta. Piove dalle nuvole sparse. Piove su le tamerici salmastre ed arse (G.
D’Annunzio, La pioggia nel pineto).

Anastrofe Inversione dell’ordine abituale dei termini. Es.: A egregie cose il forte
animo accendono l’urne de’ forti, o Pindemonte (U. Foscolo, Dei Sepolcri). La
sequenza canonica è: O Pindemonte, l’urne de’ forti accendono il forte animo a
cose egregie.

Antitesi È la contrapposizione di idee espressa con l’accostamento di parole di


significato opposto o in contrasto. Es: Vergine Madre, figlia del tuo figlio (A.
Dante, Divina Commedia).

Antonomasia Consiste nel sostituire un nome comune con un nome proprio o


una perifrasi; oppure, viceversa, sostituire un nome comune con un nome proprio
o una perifrasi. Es.: Il flagello di Dio per Attila; Eroe dei due mondi per Garibaldi;
Pibe de oro per Maradona.

Asindeto Accostamento di frasi o costrutti verbali attraverso la punteggiatura,


senza l’uso di congiunzioni. Es.: Diverse lingue, orribili favelle, / parole di dolore,
accenti d’ira, / voci alte e fioche (A. Dante, Divina Commedia).

Chiasmo Consiste nella disposizione incrociata degli elementi costitutivi di una


frase. Es.: Le dame, i cavalier/ l’arme, gli amori (L. Ariosto, Orlando furioso). Si
noti la disposizione nello spazio, l’ordine delle parole costituisce l’antica lettera
greca della Chi: X

Le dame, i cavalier
L’arme, gli amor

Le dame si lega a gli amor, I cavalier si lega a l’arme.

Climax Disposizione di parole e frasi secondo una gradazione crescente oppure


decrescente. Es.: Ecco sono agli oltraggi, al grido, all’ire, / al trar dei brandi, al
crudel suon de’ ferri (Ariosto, Orlando Furioso). In questo caso è un crescendo:
inizialmente si hanno gli oltraggi, poi le grida e infine l’ira.
12 Logica verbale

Ellissi Eliminazione di alcuni elementi o termini all’interno della frase. Es.: Ai


posteri l’ardua sentenza (A. Manzoni, Il cinque maggio) Manzoni omette il verbo
toccherà.
Verbale

Enjambement Si utilizza in poesia. Consiste nello spezzare un concetto o una


coppia di termini andando a capo. Es.:
sol con un legno e con quella compagna
picciola da la qual non fui diserto
(Dante, Divina Commedia).
Epiteto Consiste nell’accostare il nome del personaggio ad una sua peculiarità.
Es.: piè veloce Achille (Omero, Iliade).
Eufemismo Consiste nell’attenuare frasi o espressioni forti ricorrendo a modi di
dire meno diretti. Es.: è passato a miglior vita al posto di morire.
Iato Scontro di due vocali. Es.: Tanto gentile e tanto onesta pare (Dante, Vita
Nuova).
Iperbole Consiste nell’esagerazione nella descrizione della realtà tramite espres-
sioni che l’amplifichino. Es: Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di
scale e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino. . . (E. Montale, Xenia).
Litote Esprimere un giudizio negandone il contrario. Es.: Don Abbondio non era
nato con un cuor di leone (A. Manzoni, Promessi Sposi).
Metafora È la sostituzione di un termine proprio con uno figurato. A volte
corrisponde a una similitudine in cui si omette il come. Es.: Non ho voglia / di
tuffarmi / in un gomitolo di strade (G. Ungaretti, Natale). La metafora significa:
In strade intricate come un gomitolo.
Onomatopea È l’insieme di trascrizioni fonetiche e riproduzioni di rumori, voci
di animali e suoni. Es.: Il tuo trillo sembra la brina / che sgrigiola, il vetro che
incrina... / trr trr trr terit tirit (Pascoli, L’uccellino del freddo).
Ossimoro Accostamento di parole dal significato opposto. Es.: Sentia nell’inno
la dolcezza amara / de’ canti uditi da fanciullo (G. Giusti, Sant’Ambrogio).
Paronomasia Accostamento di due parole con sonorità simile. È detto anche
bisticcio di parole. Es: trema un ricordo nel ricolmo secchio, / nel puro cerchio
un’immagine ride (Montale, Cigola la carrucola del pozzo).
Perifrasi Sequenza di parole per indicare una persona o una cosa. Corrisponde
ad un giro di parole. Es.: il ghibellin fuggiasco sta ad indicare Dante Alighieri.
Poliptoto Consiste nel ricorrere di un vocabolo con funzioni sintattiche diverse.
Forma spesso espressioni idiomatiche. Es.: E li ’nfiammati infiammar sı̀ Augusto
/ che’ lieti onor tornaro in tristi lutti (Dante, Divina Commedia).
Polisindeto Sequenza di parole intervallate da una congiunzione. Es.: Avea in
ogni sua parte un laccio teso / o parli o rida o canti o passo muova (Ariosto,
L’Orlando furioso). Si contrappone all’asindeto.
Logica 13

Prosopopea Detta anche Personificazione, si ha quando si attribuiscono qualità


o azioni umane ad animali, oggetti, o concetti astratti. Es.: . . . Oh quei fanali
come s’inseguono / accidiosi là dietro gli alberi, / tra i rami stillanti di pioggia
/ sbadigliando la luce su ’l fango!. . . (G. Carducci, Alla stazione in una mattina

Logica
d’autunno).
Similitudine Si utilizza per chiarire un concetto paragonandolo a qualcuno o
a qualcosa di ben noto. Es.: Fresche le mie parole ne la sera ti sien / come il
fruscio che fan le foglie/ del gelso. . . (D’Annunzio, La sera fiesolana).
Zeugma Collegamento di un verbo a due o più elementi della frase che invece
richiederebbero ciascuno un verbo specifico. Es: Fuori sgorgando lagrime e sospiri
(Dante. La Divina Commedia). Sgorgando si riferisce sia a lacrime che a sospiri.
Le lacrime sgorgano, comunemente però non può dirsi lo stesso per i sospiri.
Le figure retoriche sono frequenti anche nel linguaggio comune. Proverbi, luoghi co-
muni, canzoni e articoli di giornale si servono spesso di questo strumento. Anche il
linguaggio pubblicitario fa un grande utilizzo delle figure retoriche. In tale ambito gli
artifici linguistici permettono di ottenere delle frasi accattivanti e di forte impatto.

Si rimanda ad un articolo sull’uso delle figure retoriche in pubblicità. Nel testo vengono ri-
portati alcuni esempi che renderanno immediatamente visibili e facilmente memorizzabili gli
stratagemmi retorici.
http://sicapisce.wordpress.com/2009/10/07/le-figure-retoriche-in-pubblicita/

Quando sentite uno spot o leggete uno slogan,


allenatevi a cogliere l’artificio con cui è stato
costruito. Spesso dietro motti e réclame si na-
scondono le figure retoriche. La loro individua-
zione in contesti quotidiani è un ottimo esercizio
per imparare a riconoscerne gli utilizzi anche in
poesia e narrativa.
Figura 1.5: In molte culture una stret-
ta di mano è usata come metafora della
pace.
Le parole in neretto nel testo danno luogo a una figura retorica, individuatela.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini.
(da La pioggia nel pineto di G. D’Annunzio)
A) sinestesia B) ossimoro C) allegoria
D) metafora E) anafora
La risposta esatta è la E, le parole sottolineate rappresentano un’anafora. Vi è infatti la
ripetizione dello stesso termine all’inizio del verso.
14 Logica verbale

1.6 Analogie verbali e concettuali


Gli esercizi sulle Analogie Verbali e Concettua-
li sono molto frequenti nei Test di ammissio-
Verbale

ne all’Università. Tali prove valutano la capacità


di ragionamento e l’abilità logica induttiva del
candidato.
Le Analogie consistono sostanzialmente nell’in-
dividuazione di un rapporto di somiglianza e affinità
tra termini, avvenimenti, oggetti e concetti. Per ri-
solvere correttamente tali prove è importante pos-
sedere una ricca padronanza lessicale e una buona
conoscenza della lingua italiana.
All’interno di questa tipologia non è raro incon- Figura 1.6: Non sempre è banale indivi-
trare esercizi che si fondono con la cultura genera- duare l’elemento improprio, come invece
accade in questo caso.
le. In questi casi si richiede di individuare relazioni
tra autori e opere letterarie, eventi storici e relativi
protagonisti, eccetera.
Le tipologie di analogie sono numerosissime. In generale, però, ciascun tipo si basa
sulla capacità di riconoscere il rapporto che lega tra loro alcuni termini o coppie di
termini.
Generalmente possiamo individuare tre macro tipologie di esercizi:
Individuare il termine improprio
Individuare le relazioni tra termini
Stabilire le proporzioni

1.6.1 Individuare il termine improprio


Si tratta di individuare, data una serie di termini, quello anomalo, che non è in relazione
con gli altri. Sostanzialmente si tratta di una caccia all’intruso. Per risolvere questo
tipo di esercizi è importante comprendere quale nesso lega i diversi termini.

Indicare la parola da scartare


A) neanche B) magari C) ipotesi
D) probabilmente E) appena

La risposta corretta è la C. È un nesso grammaticale. In questo elenco tutti i termini


sono avverbi, ad eccezione della soluzione C che è un sostantivo.

Indicare la parola da scartare


A) marines B) vigile C) cameriere
D) pompiere E) soldato

La risposta corretta è la C. È un nesso di professione. Quattro termini indicano del-


le professioni in qualche modo all’interno delle forze dell’ordine. Il cameriere è l’unica
attività che esula da tale ambito.
Logica 15

Indicare la parola da scartare


A) Guangzhou B) Shanghai C) Xi’an
D) Wuhan E) Fukushima

Logica
La risposta corretta è la E. Si tratta di un nesso geografico. Tutte le città proposte si
trovano in Cina, ad eccezione di Fukushima che si trova in Giappone.

Indicare la parola da scartare


A) Diego Armando Marado- B) Francesco Totti C) Pier Paolo Pasolini
na
D) Canaletto E) Sandro Pertini

La risposta corretta è la A. È un nesso di nazionalità. Tutti i personaggi sono di


nazionalità italiana, ad eccezione di Diego Armando Maradona che è argentino.

Le tipologie di nessi tra le parole sono pressoché infinite, indichiamo un’esemplificazione


delle più comuni.

Nesso di genere o classe di Mammiferi, pesci, rettili, insetti. . .


appartenenza
Nesso grammaticale Avverbi, aggettivi, sostantivi, preposizioni. . .

Nesso di professione Artigiani, forze dell’ordine, medici. . .

Stati dell’America Meridionale,


Nesso geografico
Città degli Stati Uniti. . .
Nesso di nazionalità Italiani, statunitensi, tedeschi. . .
Tabella 1.1: Principali tipi di nessi.

1.6.2 Individuare le relazioni tra termini

Figura 1.7: Quale delle 4 figure non appartiene alla band?


16 Logica verbale

In questi esercizi, data una serie di coppie di termini, è richiesto di individuare l’abbi-
namento errato o l’accoppiamento improprio.
Verbale

Individuare il rapporto anomalo


A) idraulico - cacciavite B) falegname - tornio C) commerciante - negozio
D) scrittore - penna E) pescatore - canna da pesca
Si tratta della relazione tra un lavoratore e lo strumento utilizzato. La risposta
corretta è la C. Ad eccezione della C, tutte le altre coppie sono costituite da un mestiere
e uno strumento di lavoro proprio della professione. L’idraulico lavora con il cacciavite,
il falegname con il tornio, eccetera. Nel caso del commerciante, invece, il negozio non è
uno strumento ma un luogo di lavoro, il rapporto dunque non si basa sullo stesso tipo di
relazione che lega le altre coppie di termini.

Individuare il rapporto anomalo


A) Klimt - Il bacio B) Raffaello - Dama con C) Leonardo da Vinci -
liocorno Dama con l’ermellino
D) Botticelli - La nasci- E) Canova - Amore e Psiche
ta della Venere

La risposta corretta è la E. È una relazione di appartenenza. Ogni coppia accosta un


artista a una sua opera d’arte. Le prime quattro combinazioni legano dei pittori alle loro
tele. Nel caso di Canova, invece, si tratta di uno scultore, e Amore e Psiche è una scultura.
Questi esercizi si fondono molto spesso con la cultura generale. Nello specifico, sovente
si richiede al candidato di riconoscere accostamenti in ambito letterario e artistico.

Individuare il rapporto anomalo


A) Nefrologia - Reni B) Miologia - Muscoli C) Ematologia - Sangue
D) Pneumologia - Tes- E) Angiologia - Vasi sanguigni
suti

La risposta corretta è la D. È una relazione di competenza. Le coppie accostano una


disciplina al rispettivo ambito di competenza. La pneumologia, invece, è la disciplina che
studia le vie respiratorie e non i tessuti. Non sono rare, nei quiz, domande che fanno
riferimento alle diverse branche mediche.

È bene un ripasso delle diverse branche mediche e della denominazione dei vari spe-
cialisti. Anche in questo caso l’etimologia dei termini può essere d’aiuto per ricostruire
il significato di un vocabolo.

Presentiamo un breve elenco degli etimi più ricorrenti in ambito medico

Nefrologia: dal greco nephros, rene, e logos, studio.


Logica 17

Miologia: dal latino myos, muscolo, e logia, trattato.


Ematologia: dal greco aima, sangue, e logos, studio.
Pneumologia: dal greco pneuma, respiro, e logos, studio.

Logica
Angiologia: dal greco angios, vaso sanguigno, e logos, studio.
Podologia: dal greco pods, piede, e logos, studio.
Geriatria: dal greco gheron, vecchio, e iatreia, cura.

1.6.3 Stabilire le proporzioni

Figura 1.8: Per individuare relazioni è opportuno allargare


i propri orizzonti culturali: quale città ad esempio è subito
collegata a bici e canali?

Si tratta di individuare, data una serie di termini, quello o quelli mancanti.

Piemonte : Torino = Puglia : X


A) Lecce B) Cagliari C) Messina
D) Bari E) Piemonte
La risposta corretta è la D, Bari. In questo caso si tratta di una relazione geografica. La
proporzione dichiara che Torino è il capoluogo del Piemonte, cosı̀ come Bari è il capoluogo
della Puglia. Nella serie delle possibili risposte l’elemento che potrebbe confondere è
Lecce, in quanto città della Puglia. Essendo però Torino il capoluogo del Piemonte, la
città incognita relativa alla Puglia è Bari.

Joyce : Dublino = X : Lubecca = Bulgakov : Y


A) X: Goethe, Y: Dublino B) X: Mosca, Y: Tolstoy C) X: Th. Mann, Y: Mosca
D) X: Brecht, Y: Berlino E) X: Amsterdam, Y: Puskin
La risposta corretta è la C. Si tratta di una relazione di appartenenza. In questo
caso l’equazione presenta due incognite. Le coppie sono costituite dalla relazione tra
lo scrittore e la città in cui è ambientata una sua opera. L’Ulisse di Joyce si svolge a
Dublino. I Buddenbrok di Thomas Mann a Lubecca e Il Maestro e Margherita di Bulgakov
a Mosca. Essendo il secondo termine della relazione una città, le risposte B ed E vanno
scartate immediatamente. Per individuare la risposta corretta poi è sufficiente conoscere
una sola delle informazioni richieste e valutare se l’altra è verosimile. Diversamente, sarà
necessario ragionare sulla base della collocazione geografica degli scrittori.
18 Logica verbale

Bello : Perspicace = Guidare : X


A) automobile B) prezioso C) pensare
D) prima E) autostrada
Verbale

La risposta corretta è la C. Si tratta di una relazione di tipo grammaticale. I primi


due termini della proporzione sono aggettivi, il terzo un verbo. L’incognita sarà pertanto
un verbo, in questo caso: pensare. L’elemento distrattore è automobile che logicamente
si collega a guidare. In questo caso però non si giustificherebbe la relazione tra i primi
due termini, tra i quali non c’è altro legame se non la stessa funzione grammaticale di
aggettivi qualificativi.

Risorgimento : X = Rinascimento : Y
A) X= Cavour, Y= B) X= Cavour, Y= Lorenzo C) X= Pietro il Grande, Y=
Napoleone il Magnifico Leonardo da Vinci
D) X= Mazzini, Y= E) X= Brunelleschi, Y=
Garibaldi Donatello
La risposta corretta è la B. Si tratta di una relazione temporale. Cavour (1816-1861)
è uno dei protagonisti del Risorgimento italiano, cosı̀ come Lorenzo il Magnifico (1449
-1492) lo è del Rinascimento. Sebbene non sia semplice dare una datazione precisa delle
correnti storiche e culturali, il Risorgimento si colloca tra il 1815 e il 1871, il Rinascimento
tra il 1350 e la fine del 1400. I distrattori sono la risposta D, in cui i personaggi sono
entrambi protagonisti del Risorgimento italiano e la E, in cui i personaggi appartengono
al Rinascimento.

Per risolvere questo tipo di quesiti è bene fare mente locale del periodo storico in
cui si collocano i personaggi e qualora non si ricordi esattamente la loro datazione,
accostarli a personaggi storici con cui hanno interagito.

Piano : Pianista = X : Y
A) X= forte, Y= auto- B) X= mensa, Y= commen- C) X= violino, Y= concerto
mobile sale
D) X= ludico, Y= gio- E) X= sposato,Y= spietato
coso
La risposta corretta è la B. Si tratta di una relazione etimologica che si basa sul si-
gnificato dei termini e sull’etimo comune. Il termine commensale è costituito dal suffisso
con, + una derivazione dal termine mensa, che significa appunto condividere la mensa.
La soluzione A si riferisce ad un’associazione di idee arbitraria, la C collega uno stru-
mento all’occasione in cui viene utilizzato, la D propone due sinonimi e la E si basa su
un’assonanza sonora evidentemente sbagliata.
Logica 19

Per risolvere gli esercizi sulle proporzioni e sulle relazioni è importante:


Prestare attenzione all’ordine in cui sono disposti i termini

Individuare il tipo di relazione all’interno della coppia o della proporzione. Segue

Logica
uno schema delle relazioni più comuni.

Una volta compresa la dinamica delle relazioni sarà più semplice individuare anche
quelle di altro tipo.

RELAZIONI ESEMPI
Relazione geografica:
Regione / Città, Torino: Piemonte
Stato / fiume, Polonia: Vistola
Continente/ Stato Asia: Laos
...
Relazione di appartenenza:
Scrittore / Opera Italo Svevo: La coscienza di Zeno
Romanzo / Protagonista Il nome della Rosa: Guglielmo da Baskerville
Corrente artistica / Artista Espressionismo: Paul Gauguin
Relazione grammaticale:
Verbi Andato (participio): dormire (infinito)
Sostantivi Riflessione (s. astratto): Sedia (s. concreto)
Avverbi Apparentemente (a. di modo): Qua (a. di
luogo)
Relazione temporale:
Epoca / Personaggi Rivoluzione francese: Luigi XVI
Epoca /Avvenimenti importanti Anni Trenta: New Deal

Relazione etimologica:
Comune etimo dei termini Eremo: Eremita
Cavalleria: Cavallo
Relazione causale:
Causa / Effetto Esplosione: Macerie
Azione /Conseguenza Bere: Dissetarsi
Relazione tra un lavoratore e Pescatore: Amo,
lo strumento utilizzato: Scultore: Scalpello

1.7 Quesiti
1) Per OGM s’intende: 2) Individuare il termine anomalo:

A organismi sottoposti a manipolazio- A mieloso


ne genetica B mellifero
B organismi generalmente commestibi- C mellifluo
li
D mieloma
C ortofrutta garantita matura E mielato
D organismi infettati da agenti chimici
3) Indicare l’unica parola specifica
E ortofrutta da agricoltura biologica dell’ambito biomedico:
20 Logica verbale

A antimicotico 8) Cesare fui e son Iustiniano,


B antinflativo che, per voler del primo
amor ch’i’ sento,
C antifrastico d’entro le leggi trassi il
Verbale

D antitetico troppo e ’l vano.


E antinomico (Dante, Paradiso, VI, 10 - 12)
Individuare la figura retorica presen-
4) Individuate il termine etimologica- te nel primo verso.
mente anomalo:
A metonimia
A panlogismo
B anastrofe
B paneuropeo
C chiasmo
C panpsichismo
D sineddoche
D panflettista
E asindeto
E panteista
9) grafomane : x = y : canto
5) Individuare il termine anomalo: Una sola delle soluzioni comple-
ta correttamente l’eguaglianza di
A politeismo
rapporti:
B politecnico
A x = scrittura; y = lirica
C polimorfo
B x = scrittura; y = melomane
D politico
C x = scrittore; y = musicista
E poligamo
D x = libro; y = opera
6) Individuare il contrario di apostata:
E x = melomane; y = scrittore
A fedifrago
10) Il termine resistenza indica tra l’al-
B traditore tro l’opposizione ad un qualche even-
C disertore to, fisico, politico, sociale, tanto da
esser divenuto nella terminologia
D fellone corrente caratteristico:
E devoto
A del vallo predisposto per impedire lo
7) Quale delle cinque parole sotto ri- sbarco degli americani in Normandia
portate non va d’accordo con le altre B della difesa strenua di chi sia
quattro, affini tra loro? accusato ingiustamente
A perone C della lotta di liberazione di un
B ulna territorio nazionale

C tibia D dei bombardamenti sul fronte dei


militari italiani in Russia
D rotula
E del fattore di correzione di una
E metatarso corrente elettrica

1.8 Risposte commentate ai quesiti


1) La risposta corretta è la A . Un OGM è un organismo geneticamente modificato, un
essere vivente che possiede un patrimonio genetico mutato tramite tecniche di inge-
Logica 21

gneria genetica che consentono l’aggiunta, l’eliminazione o la modifica di elementi


genici. La risposta D rappresenta un distrattore dal momento che è un’insinuazio-
ne, una presa di posizione sull’argomento. La definizione di un termine tuttavia non
corrisponde mai ad un’opinione bensı̀ ad una sua spiegazione neutra e imparziale.

Logica
2) La risposta corretta è la D . Tutti gli altri termini si rifanno alla radice etimologica
mel, miele. La risposta D , mieloma, pur avendo un significante simile alle altre
soluzioni, ha un significato decisamente diverso. Per comprendere l’accezione di
questo termine è utile rifarsi alla tabella dei suffissi. Il suffisso -oma molto spesso
compone parole che indicano un tumore. Il mieloma infatti è un tumore maligno
che deriva dalle plasmacellule del sangue e che spesso colpisce, oltre a molti altri
organi, anche l’osso.

3) La risposta corretta è la A . Un antimicotico è un farmaco capace di inibire la


crescita degli organismi fungini, quali lieviti ed ife. La difficoltà dell’esercizio sta
nella presenza del medesimo prefisso -anti, che indica un’opposizione. L’ambito di
applicazione tuttavia è diverso per ciascun termine. Antinflativo è un vocabolo di
ambito economico, definisce un provvedimento tendente a eliminare o a combattere
gli effetti dell’inflazione. Antifrastico è un aggettivo utilizzato in ambito linguistico.
Deriva dalla figura retorica dell’antifrasi per cui il significato di una parola o di una
frase risulta opposto a quello che assume normalmente. Antitetico e antinomico
significano essere in contrasto, in opposizione.

4) Tutti i termini proposti si costituiscono con il suffisso pan- dal significato di intero,
totalità. Panlogismo significa che tutto è razionale e indica una visione di vita posi-
tivistica. Paneuropeo è un vocabolo che unisce o tende a unire l’intera Europa e le
popolazioni che vi abitano. Il panpsichismo è un concetto appartenente all’ambito
filosofico, ritiene che tutti gli esseri, viventi e non viventi, posseggano delle capa-
cità psichiche. Il termine panteismo si applica a tutte quelle dottrine secondo le
quali è Dio tutto ciò che è, la natura e l’universo. L’unica parola che si discosta è
panflettista, la cui origine è pamphlet, termine francese per indicare un breve sag-
gio. Conseguentemente il panflettista è l’autore di pamphlet. La risposta corretta
pertanto è la risposta D .

5) Anche in questo caso è molto importante prestare attenzione al prefisso delle parole
proposte. Ogni termine incomincia con il prefisso -poli. In quattro casi è utilizzato
con accezione di diversità, pluralità. L’anomalia risiede nel termine politico, in cui
il prefisso -poli fa invece riferimento alla polis greca, la città. La risposta corretta
dunque è la D .

6) La risposta corretta è la E . Apostata è colui che tradisce, devoto dunque è il suo


contrario. In questo tipo di esercizi ci sono buone probabilità di risalire alla soluzione
corretta anche nel caso in cui non si conosca il termine in questione. Trattandosi di
individuare il contrario di un vocabolo è sufficiente infatti, a partire dalle soluzioni
proposte, individuare l’unico termine che differisce dagli altri.

7) La risposta corretta è la B . L’ulna infatti è un osso lungo dell’avambraccio, tutti


gli altri termini fanno invece riferimento agli arti inferiori.
22 Logica verbale

8) La risposta corretta è la C . Nel primo verso è possibile infatti individuare un


chiasmo. Il chiasmo consiste nella disposizione incrociata degli elementi costitutivi
di una frase. Si noti la disposizione nello spazio: soggetto - verbo / verbo - soggetto.
Verbale

9) La proposizione consiste in una relazione in cui il rapporto fra il primo e il secondo


termine è uguale al rapporto fra il terzo e il quarto. La proporzione risulta dunque
dall’uguaglianza dei due rapporti. Analizziamo gli elementi e la disposizione degli
elementi nella proporzione di partenza. Il primo termine è grafomane: amante della
scrittura. Anche in questo caso è utile conoscere l’etimo del vocabolo che si compone
di grafo da grafia che significa scrittura e mane da mania che significa amante. Tra le
possibili risposte la soluzione B propone come primo elemento del secondo rapporto
il termine melomane che significa amante del canto. Risulta evidente che la risposta
corretta è la B .

10) La risposta esatta è la C . Si consideri per esempio la Resistenza italiana, l’insie-


me dei movimenti politici e militari che dopo l’8 settembre 1943 si opposero al
nazifascismo nell’ambito della guerra di liberazione italiana.
Logica deduttiva
2
Questa tipologia di esercizi è strutturata fondamentalmen-
te sull’individuazione della conseguenza logica di una o
più proposizioni. Esercizi di questo genere sono presenti
nella quasi totalità delle prove di ammissione. Tali quesiti
possono presentarsi sotto diverse forme, di seguito ana-
lizzeremo le tipologie più comuni, sulla base delle quali
sarà possibile comprendere il paradigma per risolvere ogni
questione relativa al ragionamento e alla deduzione logica.
È molto importante tenere presente che tali esercizi si Figura 2.1: Per trovare la so-
fondano sul puro ragionamento. Nella loro risoluzione per- luzione giusta ai quesiti occor-
tanto è necessario considerare solamente l’aspetto forma- re procedere nel ragionamento
passo dopo passo.
le delle affermazioni, prescindendo dal significato o dalla
veridicità delle affermazioni.

Le premesse e le conclusioni devono quindi essere valutate da un punto di vista logico


e formale, non contenutistico o morale.

Gli esercizi di ragionamento verbale possono essere suddivisi in tre macro-categorie


sulla base delle capacità logiche richieste per la loro risoluzione:

valutazione di argomenti: mirano a valutare capacità di trarre conclusioni


logicamente valide da serie di premesse. Fanno parte di tale tipologie quesiti che
sfruttano sillogimi o condizionali.

valutazione di equivalenze: mirano a valutare la capacità di individuare pro-


posizioni equivalenti o contraddittorie rispetto a proposizioni date. Fanno parte
di tale tipologie quesiti che sfruttano proposizioni aristoteliche o proposizioni con
negazioni multiple.

valutazione di relazioni: mirano a valutare la capacità di ordinare una serie


di informazioni riguardanti un gruppo di oggetti e le loro relazioni.

2.1 Insiemi e diagrammi di Eulero-Venn


I diagrammi di Eulero-Venn costituiscono un metodo di rappresentazione grafica mol-
to utile per la risoluzione di esercizi che pongono in relazione più elementi tra loro.
Raramente gli esercizi sono presentati sotto forma di diagrammi o insiemi. Imparare a
rappresentarli, però, è uno strumento molto efficace per risolvere problemi complessi e
articolati, in cui le premesse e le soluzioni pongono in relazione elementi diversi.
Illustriamo il loro utilizzo attraverso l’analisi del seguente quesito di esempio.
24 Logica deduttiva

Se è vero che Tutti gli intellettuali sono interlocutori noiosi, sarà


necessariamente vera UNA delle seguenti affermazioni:
Deduttiva

A) tutti gli interlocutori sono intellettuali noiosi


B) alcuni interlocutori noiosi sono intellettuali
C) nessun interlocutore noioso è intellettuale
D) tutti i noiosi sono intellettuali
E) tutti gli interlocutori sono noiosi

Per risolvere questo quesito proviamo a servirci di una rappresentazione insiemistica.


Incominciamo tratteggiando due insiemi che raffigurano gli elementi della proposizione,
come in Figura 2.2(a)
La proposizione di partenza asserisce che Tutti gli intellettuali sono interlocutori
noiosi. Quello degli intellettuali dunque è un sottoinsieme di quello degli interlocutori
noiosi, come rappresentato nella Figura 2.2(b).

(a) Elementi della proposizione. (b) Tutti gli intellettuali sono


interlocutori noiosi.
Figura 2.2: Rappresentazione di un quesito con i diagrammi di Eulero-Venn.

L’insieme degli intellettuali è completamente incluso in quello degli interlocutori noiosi.


Analizziamo ora la rappresentazione grafica delle risposte grazie alla Figura 2.3.

Risposta A: Tutti gli interlocutori sono intellettuali noiosi.

La risposta non è corretta. L’affermazione di partenza non contempla l’insieme degli


intellettuali noiosi. L’insieme d’origine infatti è costituito dagli interlocutori noiosi.

Risposta B: Alcuni interlocutori noiosi sono intellettuali.

Solo una parte dell’insieme degli interlocutori noiosi è inserito in quello degli intel-
lettuali. Questa rappresentazione corrisponde all’affermazione di partenza, infatti una
parte degli interlocutori noiosi è costituita dagli intellettuali. La risposta B dunque è
quella corretta.

Risposta C: Nessun interlocutore noioso è intellettuale.

La soluzione non è corretta perché i due insiemi sono distinti, quindi non c’è relazione
tra gli elementi.
Logica 25

Logica
(a) Risposta A: Tutti gli inter- (b) Risposta B: Alcuni interlocutori
locutori sono intellettuali noiosi. noiosi sono intellettuali.

(c) Risposta C: Nessun interlocutore noioso (d) Risposta D: Tutti i noiosi


è intellettuale. sono intellettuali.

(e) Risposta E: Tutti gli interlo-


cutori sono noiosi.
Figura 2.3: Analisi delle alternative con i diagrammi di Eulero-Venn.

Risposta D: Tutti i noiosi sono intellettuali.

Questa risposta è una sorta di inversione della relazione tra gli insiemi delle due cate-
gorie oggetto della proposizione di partenza. Inoltre l’affermazione Tutti i noiosi non
rispetta fedelmente l’insieme di partenza costituito dagli Interlocutori noiosi. Per cui
non sarebbe corretto considerare Tutti i noiosi allo stesso modo degli Interlocutori
noiosi.

Risposta E: Tutti gli interlocutori sono noiosi.

La risposta E è evidentemente errata perché non compare l’insieme degli intellettuali,


inoltre, quello degli interlocutori noiosi, che inizialmente compone un unico nucleo, è
stato scisso ingiustificatamente in due sottoinsiemi.
26 Logica deduttiva

Il ricorso ai diagrammi di Eulero-Venn può essere molto utile quando le proposizioni


sono complesse, rischiando quindi di intricare i diversi elementi delle frasi. Uno schizzo
grafico insiemistico è un modo per semplificare il quesito.
Deduttiva

2.2 Valutazione di argomenti

In logica, un argomento è costituito da un insieme di asserzioni all’interno del quale


si può distinguere un numero variabile di premesse e una e una sola conclusione.

Un argomento può avere più premesse, ad esempio

Ogni animale vola


L’asino è un animale
L’asino vola
Si hanno anche argomenti con un’unica premessa, come

Se piove mi bagno
Mi bagno
L’ultima riga di ogni esempio costituisce la conclusione del relativo argomento.
Gli esercizi di valutazione di argomenti richiedono generalmente di completare un
argomento a cui manca la conclusione o parte di essa, scegliendola tra le opzioni propo-
ste. Il metodo di risoluzione di questo tipo di esercizi varia a seconda che l’argomento
in oggetto sia un sillogismo o un condizionale.

2.3 Sillogismi

Un sillogismo è un argomento nelle cui premesse e conclusione compaiono termini


categorici, ovvero termini che si riferiscono a insiemi o categorie di oggetti.

Riprendiamo il primo argomento della sezione precedente.


L’argomento contiene tre termini categorici e si può perciò considerare un sillogismo:
animale si riferisce all’insieme degli animali; vola si riferisce all’insieme degli oggetti
che volano; asino si riferisce all’insieme degli asini. Per valutare se un sillogismo è
logicamente valido, ovvero se la sua conclusione segue logicamente dalle premesse,
è possibile rappresentarlo attraverso i diagrammi di Eulero-Venn illustrati nella
sezione 2.1, cioè attraverso insiemi che rappresentano rapporti di inclusione, esclusione
o intersezione tra categorie di oggetti. Partendo dalla prima premessa e procedendo
verso la conclusione, ad ogni categoria di oggetti deve essere associato un insieme,
come in Figura 2.4(a).
Oltre a introdurre queste due categorie di oggetti, la prima premessa ci dice che
ogni animale vola, ovvero che tutti i membri della categoria degli animali sono an-
che membri della categoria degli oggetti volanti. Nella nostra rappresentazione questa
informazione si può esprimere affermando che tutti gli elementi dell’insieme degli ani-
mali (A) sono anche elementi di quello degli oggetti volanti (V). Per rappresentare
questa informazione è sufficiente cancellare la parte di A che non interseca V, come in
Figura 2.4(b).
Logica 27

AS V AS V

1 2 3 1 2 3

Logica
5 5
6 4 6 4

7 7

A A

(a) Rappresentazione (b) Rappresentazione


delle categorie in un della prima premessa.
sillogismo.

AS V AS V

1 2 3 1 2 3

5 5
6 4 6 4

7 7

A A

(c) Rappresentazione (d) Rappresentazione


della seconda premessa. dei vari sottoinsiemi.

Figura 2.4: Esempio di analisi di un sillogismo tramite i diagrammi di Eulero-Venn.

Avendo rappresentato in modo esaustivo tutte le informazioni fornite dalla prima


premessa dell’argomento, possiamo passare alla rappresentazione della seconda premes-
sa, secondo cui l’asino è un animale ovvero tutti gli asini sono animali. All’interno del
nostro diagramma questa informazione va indicata cancellando la parte di AS che non
interseca A, come in Figura 2.4(c)
Avendo rappresentato tutte le informazioni della prima e della seconda premessa,
possiamo passare a valutare la validità logica della conclusione. Se la conclusione è
logicamente valida, le informazioni in essa contenute devono già essere incluse nel nostro
diagramma: nel nostro caso specifico, se l’argomento A è valido l’informazione che tutti
gli asini volano deve essere già inclusa nella Figura 2.4(c).
Per facilitare l’esposizione riscriviamo la Figura 2.4(c) indicando con un numero
ogni sezione del diagramma, ottenendo la Figura 2.4(d).
La conclusione dell’argomento in analisi dice che tutti gli asini volano; affinché
questa informazione sia rappresentata nel nostro diagramma, è necessario che tutti i
membri dell’insieme AS siano compresi nell’intersezione tra l’insieme AS e l’insieme V,
ovvero che non ci sia nessun membro di AS che non sia anche membro di V. In effetti,
nella nostra rappresentazione gli asini possono essere inclusi o nella sezione 2, o nella
sezione 5, le uniche due sezioni dell’insieme AS non cancellate. Ma le sezioni 2 e 5 sono
anche sezioni dell’insieme V, quindi l’argomento è logicamente valido.
28 Logica deduttiva

Consideriamo ora il quesito da cui è tratto l’argomento appena analizzato:

Se fossero vere le seguenti premesse: ogni animale vola; l’asino è un animale


Deduttiva

ne deriverebbe che
A) l’asino vola
B) l’asino non può volare
C) non è vero che ogni animale vola
D) non tutti gli asini volano
E) non tutti gli animali volano

Conosciamo già la risposta corretta, ma proviamo a valutare le opzioni errate alla luce
del diagramma di Figura 2.4(d).

Risposta B: Non può essere corretta perché afferma che per gli asini è impossibile
volare, ovvero nei termini del nostro diagramma che le sezioni 2 e 5 devono essere
cancellate.

Risposta C: Non può essere corretta perché afferma che non è vero che ogni
animale vola, il che è equivalente a dire che esiste almeno un animale che non
vola. Nei termini del nostro diagramma significa che deve esistere almeno un
oggetto nelle aree 6 o 7.

Risposta D: Non può essere corretta perché afferma che non tutti gli asini
volano, ovvero nei termini del nostro diagramma che deve esistere almeno un
oggetto nelle aree 1 o 6.

Risposta E: Non può essere corretta perché afferma che non tutti gli animali
volano, il che è equivalente a dire che esiste almeno un animale che non vola. Le
risposte E e C sono quindi equivalenti.
Prima di passare all’analisi di un altro esempio è utile rappresentare tutte le
possibili intersezioni tra due insiemi di oggetti come illustrato in Figura 2.5.

Molti esercizi prevedono sillogismi in cui oltre a termini categorici compaiono termini
che si riferiscono ad individui o singoli oggetti. Questi casi vanno trattati come i casi
di Qualche x è y e Qualche x non è y : l’oggetto singolo citato nell’argomento sarà
rappresentato da un punto e posto nella sezione del diagramma appropriata.

Nella maggior parte dei casi i sillogismi proposti sono composti da due premesse più
una conclusione e non contengono più di tre termini categorici.

In tutti i quesiti sui sillogismi è preferibile disporre i diagrammi di Eulero-Venn nel


modo visto sopra, come in un triangolo composto da tre insiemi. Nei casi (molto rari)
in cui le premesse sono più di due, la disposizione dei diagrammi deve essere stabilita
sulla base delle informazioni disponibili e può essere diversa da quella proposta.
Logica 29

x y x y

Logica
1 2 3 1 2 3

5 5
6 4 6 4

7 7
(a) Tutti gli x sono y (b) Nessun x è y

a
x y x y

1 2 3 1 2 3

5 5
6 4 6 4

7 7
(c) Qualche x è y (d) Qualche x non è y
Figura 2.5: Possibili intersezioni tra due insiemi.
a a
Nei casi in cui una delle premesse faccia riferimento ad un oggetto particolare
invece che ad una classe, si consiglia di rappresentarla per ultima, perché spesso la
rappresentazione delle categorie di oggetti influenza quella degli oggetti singoli.

È importante ricordare che i sillogismi sono dei ragionamenti formali. Per una corretta
risoluzione dei quesiti non bisogna considerarne il significato. È indispensabile ragionare
prestando attenzione esclusivamente alla forma e non al contenuto.

Figura 2.6: Se tutti gli uomini sono mammiferi e tutti


gli scoiattoli sono mammiferi è corretto concludere
che tutti gli scoiattoli sono uomini?

Gli esercizi sui sillogismi generalmente si rifanno principalmente alle due tipologie
seguenti:
30 Logica deduttiva

Individuare l’unica conseguenza logica, corretta o errata, a partire da


una serie di premesse.
Deduttiva

Questi esercizi sono frequenti nelle prove d’esame.

Tutti i liguri sono europei, tutti i liguri sono italiani, quindi. . . Individua la
conclusione corretta per il sillogismo:
A) Tutti gli italiani sono europei
B) tutti gli europei sono italiani
C) qualche italiano è europeo
D) qualche europeo non è italiano
E) nessuna delle precedenti
Dall’analisi dei diagrammi di Venn (fig. 2.7a) notiamo che la risposta A richiede che siano
cancellate le aree 3 e 4 (falso), la risposta B richiede che siano cancellate le aree 1 e 6
(falso), le risposte C e D richiedono l’esistenza di almeno un oggetto (falso). Resta quindi
la risposta E, che è quella corretta.

E I Ma Mo

1 2 3 1 2 3

5 5
6 4 6 4

7 7

L C
(a) Nessuna opzione di risposta rende (b) Nessuna opzione di risposta rende
valido il sillogismo. valido il sillogismo.

Figura 2.7: Rappresentazioni di esercizi tipici sui sillogismi.

Inserire il termine mancante per completare la deduzione.

Anche questi esercizi sono molto frequenti nelle prove d’esame.


Logica 31

Tutti i cani sono mammiferi, nessun mollusco è un cane, quindi. . . mollusco è


un mammifero. Individua la particella che rende valido il sillogismo proposto:
A) nessun

Logica
B) qualche
C) almeno un
D) ogni
E) nessuna delle precedenti
Anche in questo caso costruiamo i diagrammi di Venn (figura 2.7b) e analizziamoli.
La risposta A richiede che siano cancellate le aree 2 e 5 (falso); la risposta B richiede
l’esistenza di un oggetto nelle aree 2 o 5 (falso); la risposta C è equivalente alla B; la
risposta D richiede che siano cancellate le aree 3 e 4 (falso). Resta la risposta E, che è
quella corretta.

2.4 Condizionali

I condizionali sono proposizioni complesse riconducibili alla forma se. . . allora. . .


ovvero proposizioni che stabiliscono ipotesi e ne valutano le conseguenze.

Sono esempi di condizionali le seguenti proposizioni:

Se piove allora mi bagno.


Sarai promosso solo se avrai studiato.
Ti pentirai se non coltivi le amicizie.
Studiare è condizione necessaria per essere promosso.
Quando ho molta fame prediligo i cibi saporiti.

Tutte queste proposizioni possono es-


sere ricondotte alla forma A ⇒ B (si Modus ponens Modus tollens
legge A implica B), dove A e B so- P1 A⇒B P1 A⇒B
no due proposizioni semplici, legate da P2 A P2 ¬B
una delle particelle viste sopra (se... C B C ¬A
allora, solo se, condizione necessaria,
ecc.) tutte rappresentate attraverso il Tabella 2.1: Forme note.
simbolo di implicazione (⇒).
Se una proposizione condizionale funge da premessa, l’argomento che la contiene è
logicamente valido solo se assume una delle due forme della Tabella 2.1, in cui P1 e P2
indicano rispettivamente la prima e la seconda premessa, C la conclusione e il simbolo
¬ esprime la negazione logica (¬A si legge non A).
L’ordine delle premesse è irrilevante: A, A ⇒ B, quindi B (cioè P2, P1 e C di
Tabella 2.1) è comunque un modus ponens.
32 Logica deduttiva

Qualsiasi altra combinazione diversa dalle due presentate, in qualsiasi ordine di premes-
se, è invalida. Modus ponens e modus tollens sono forme argomentative basilari della
logica, e perciò vengono chiamate forme note. A e B prendono invece, rispettivamente,
il nome di antecedente e conseguente del condizionale.
Deduttiva

Si consideri il seguente esempio:

Quando prende il treno, Carlo arriva sempre in ritardo a destinazione. Quale


delle seguenti affermazioni può essere dedotta dalla frase precedente?
A) Carlo è arrivato in orario, quindi non ha preso il treno
B) Carlo è arrivato in ritardo, quindi ha preso il treno
C) Carlo non ha preso il treno, quindi è arrivato in ritardo
D) Carlo è arrivato in orario, quindi ha preso il treno
E) Carlo non ha preso il treno, quindi è arrivato in orario

La proposizione Quando prende il treno, Carlo arriva sempre in ritardo a destinazione


è un condizionale, quindi per risolvere l’esercizio è sufficiente trovare tra le alternative
proposte quella che coincide con una delle due forme valide. Per farlo, individuiamo A
e B nella proposizione della traccia:
A = Carlo prende il treno
B = Carlo arriva in ritardo
Avendo trovato A e B non resta che cercare le forme valide tra le opzioni disponibili.
Vediamole tutte:
Risposta A
Carlo è arrivato in orario è la negazione di Carlo arriva in ritardo, cioè ¬B; non ha
preso il treno è la negazione di Carlo ha preso il treno, cioè ¬A. L’argomento espresso
dalla risposta A è quindi il seguente:
P1 A ⇒ B (la proposizione condizionale della traccia)
P2 ¬B
C ¬A
Questo argomento è riconducibile ad un modus tollens e quindi è valido, abbiamo
trovato la risposta corretta. A questo punto l’esercizio è virtualmente terminato, ma
vediamo le altre alternative per completezza espositiva.
Risposta B
Carlo è arrivato in ritardo è la B della proposizione di partenza; Carlo ha preso il
treno è la A della proposizione di partenza. L’argomento espresso dalla risposta B sarà
quindi:
P1 A ⇒ B (la proposizione condizionale di partenza)
P2 B
C A
Logica 33

Questo argomento non è riconducibile a nessuna delle forme note, quindi è invalido e
la risposta non può essere corretta.
Risposta C

Logica
Carlo non ha preso il treno è la negazione di A, quindi ¬A; Carlo è arrivato in ritardo è
la B della proposizione di partenza. L’argomento espresso dalla risposta C sarà quindi:
P1 A ⇒ B (la proposizione condizionale di partenza)
P2 ¬A
C B
Questo argomento non è riconducibile a nessuna delle due forme note, quindi è invalido
e la risposta non può essere corretta.
Risposta D
Carlo è arrivato in orario è la negazione di B, quindi ¬B; Carlo ha preso il treno è la
A della proposizione di partenza. L’argomento espresso dalla risposta D sarà quindi:
P1 A ⇒ B (la proposizione condizionale di partenza)
P2 ¬B
C A
Questo argomento non è riconducibile a nessuna delle due forme note, quindi è poten-
zialmente invalido e la risposta non può essere corretta
Risposta E
Carlo non ha preso in treno è la negazione di A, quindi ¬A; Carlo è arrivato in orario
è la negazione di B, quindi ¬B. L’argomento espresso dalla risposta E sarà quindi:
P1 A ⇒ B (la proposizione condizionale di partenza)
P2 ¬A
C ¬B
Questo argomento non è riconducibile a nessuna delle due forme note, quindi è invalido
e la risposta è incorretta. Come si vede, ad eccezione della A nessuna delle alternative
esprime una forma nota e quindi è possibile scartarle.

Vediamo un altro esempio per prendere maggiore confidenza le tecniche risolutive:


soltanto un assiduo esercizio può garantire una buona prestazione nel Test di ammis-
sione. Analizziamo il quesito 1 del Test di ammissione di Medicina/Odontoiatria del
2006/2007.

Quanti dei seguenti ragionamenti risultano logicamente attendibili?


PRIMO RAGIONAMENTO
Ogni volta che conquista una vetta, Messner si concede una bella bevuta.
Adesso ha appena conquistato una vetta.
Dunque si concederà una bella bevuta.
SECONDO RAGIONAMENTO
Ogni volta che vince il Tour de France, Armstrong si concede una bevuta.
Adesso si concede una bevuta.
Dunque ha appena vinto il Tour de France.
34 Logica deduttiva

TERZO RAGIONAMENTO
Rossi ha appena vinto una gara.
Ogni volta che vince una gara, Rossi fa impennare la moto.
Deduttiva

Dunque adesso Rossi farà impennare la moto.


QUARTO RAGIONAMENTO
Bearzot sta fumando la pipa.
Dopo aver vinto una partita, Bearzot fuma sempre la pipa.
Dunque Bearzot ha appena vinto una partita.
A) due
B) tre
C) uno
D) tutti
E) nessuno

Tutti i ragionamenti proposti sono argomenti condizionali, per risolvere l’esercizio è


sufficiente stabilire quali esprimono forme valide.
Primo Ragionamento

Ogni volta che Messner conquista una vetta = A


Messner si concede una bevuta = B

Argomento espresso:
P1 A⇒B
P2 A
C B
VALIDO (modus ponens)
Secondo Ragionamento

Ogni volta che Armstrong vince il tour de France = A


Armstrong si concede una bevuta = B

Argomento espresso:
P1 A⇒B
P2 B
C A
INVALIDO
Terzo Ragionamento

Ogni volta che Rossi vince una gara = A


Rossi fa impennare la moto = B

Argomento espresso:
Logica 35

P1 A
P2 A⇒B
C B

Logica
VALIDO (modus ponens)

Quarto Ragionamento

Dopo aver vinto una partita =A


Bearzot fuma la pipa = B

Argomento espresso:

P1 B
P2 A⇒B
C A

INVALIDO
Gli argomenti logicamente accettabili sono quindi due, e la risposta corretta è la A.

Quando si valutano argomenti condizionali bisogna prestare attenzione ai seguenti


casi particolari.

Proposizioni che contengono negazioni Se nella traccia abbiamo una pro-


posizione come Se mi ami, non mi lasci, che contiene una proposizione negati-
va (non mi lasci ) dobbiamo ricordare che la negazione di una negazione è una
affermazione.

Significato logico della particella se Logicamente, la funzione della particella


se è quella di introdurre l’antecedente del condizionale, quindi in una proposizione
come mangio se ho fame, mangio corrisponde al conseguente (la B di A ⇒ B) e
se ho fame all’antecedente (la A di A ⇒ B).

Altre particelle con significati logici particolari La particella solo se ha


funzione opposta a quella di se. Mentre se introduce sempre l’antecedente di un
condizionale, solo se introduce sempre il conseguente. Quindi, in mangio solo se
ho fame, mangio sarà l’antecedente mentre solo se ho fame il conseguente.
L’espressione condizione necessaria introduce il conseguente: in avere fame è
condizione necessaria affinché io mangi, avere fame è il conseguente mentre che
io mangi è l’antecedente.
Al contrario, l’espressione condizione sufficiente introduce l’antecedente: in ave-
re fame è condizione sufficiente affinché io mangi, avere fame è l’antecedente e
che io mangi il conseguente.
36 Logica deduttiva

2.5 Ragionamento deduttivo


Si è soliti nel linguaggio parlato usare i termini logica e ragionamento come sinonimi.
In realtà il primo termine ha un significato molto più ampio del secondo, come emerge
Deduttiva

con evidenza dal considerare la presente parte del manuale. Il ragionamento a sua volta
viene suddiviso in due tipi: deduttivo e induttivo. Sebbene le risoluzioni dei quesiti
richiedano soltanto il primo tipo, è opportuno definirli entrambi prima di entrare nei
dettagli.

Il ragionamento deduttivo è un ragionamento in cui le premesse garantiscono la


certezza della conclusione.

In altri termini è un procedimento che a partire da un’asserzione universale deduce dei


singoli casi particolari, come nel ragionamento seguente:
Tutti gli uomini sono animali
Tutti gli animali sono mortali
Conclusione: Tutti gli uomini sono mortali.

Il ragionamento induttivo è un ragionamento in cui le premesse rendono la conclusione


probabile ma non certa.

Questo ragionamento, al contrario del precedente, partendo da casi particolari cerca di


stabilire una legge universale, come nell’esempio seguente:
Ho visto un corvo ed era nero
Ho visto un secondo corvo ed era nero
Ho visto un terzo corvo ed era nero
Conclusione: Tutti i corvi sono probabilmente neri
Gli esercizi sul ragionamento deduttivo si presentano sotto moltissime forme diverse.
In questa sezione analizzeremo le proposizioni aristoteliche, nella prossima quelle con
negazioni multiple, essendo queste le tipologie più utili e ricorrenti nei quesiti.
Gli esercizi basati sul ragionamento deduttivo presentano un’affermazione a partire
dalla quale bisogna comprendere quale sia o non sia la conseguenza necessaria. Tra le
diverse alternative solamente una deriva in modo logico dall’affermazione di partenza.

I quesiti devono essere intesi dal punto di vista esclusivamente strutturale, bisogna
considerare cioè solamente quanto dichiarato espressamente.

2.6 Proposizioni aristoteliche

Figura 2.8: Dalla proposizione alcuni uccelli rapaci vivono in


cattività è corretto dedurre che gli uccelli non rapaci vivono liberi?

Ognuno dei quattro tipi di proposizioni possiede numerose varianti, come mostrato in
Tabella 2.3.
Logica 37

Sono proposizioni aristoteliche tutte le proposizioni che possiedono una delle forme di
Tabella 2.2.

Logica
Tutti gli x sono y proposizione universale affermativa (A)
Nessun x è y proposizione universale negativa (E)
Qualche x è y proposizione particolare affermativa (I)
Qualche x non è y proposizione particolare negativa (O)
Tabella 2.2: Forme delle proposizioni aristoteliche.

A Tutti gli x sono y Ogni x è y Qualsiasi x è y Ognuno degli x è y


E Nessun x è y Tutti gli x non sono y Non c’è nessun x che è etc.
y
I Qualche x è y Esiste un x che è y Almeno un x è y Alcuni x sono y
O Qualche x non è y Esiste un x che non è y Almeno un x non è y etc.

Tabella 2.3: Varianti delle proposizioni aristoteliche.

I quattro tipi di proposizioni vengono indicati, rispettivamente,


con le lettere A, E, I, O e disposti ai vertici di un quadrato.
Nel quadrato le proposizioni contraddittorie si trovano ai vertici
delle due diagonali: la contraddittoria di A è O e viceversa, la
contraddittoria di E è I e viceversa.
Quando un esercizio chiede quale sia la negazione di una data
proposizione, ci sta in realtà chiedendo di individuare la sua contraddittoria, perché in
logica negare equivale a contraddire.

Due proposizioni si dicono contraddittorie quando se una è vera l’altra è


necessariamente falsa e viceversa.

Davanti ad un esercizio che ci chiede di individuare la negazione di una proposizione


data, non dobbiamo fare altro che individuare il tipo della proposizione di partenza e
successivamente associarla alla sua contraddittoria secondo la regola della diagonale.
Vediamo un esempio:

Negare che ogni uomo ha un nemico equivale a dire che:


A) esistono uomini senza nemici
B) nessun uomo ha un nemico
C) tutti gli uomini non hanno nemici
D) tutti sono nemici di ogni uomo
E) ogni uomo non ha un nemico

L’esercizio chiede di individuare la negazione di ogni uomo ha un nemico. Il primo


passo è individuare a quale tipologia appartiene la proposizione data: ogni uomo ha
38 Logica deduttiva

un nemico è una universale affermativa e quindi sarà del tipo A. La sua negazione
sarà quindi una proposizione di tipo O, particolare negativa. Tra le opzioni di risposta
l’unica proposizione di tipo O è quella alla risposta (A), esistono uomini senza nemici,
Deduttiva

che è infatti la risposta corretta. L’esercizio è virtualmente terminato, se si analizzano le


altre opzioni si scopre che nessuna è di tipo O e quindi nessuna può essere la negazione
della proposizione di partenza.
In altri casi l’esercizio chiede di individuare quale proposizione è deducibile da quella
data. Anche in questi casi è necessario individuare il tipo della proposizione di partenza
e successivamente cercare tra le opzioni una proposizione che sia da essa deducibile.

Affinché una proposizione sia deducibile da una proposizione aristotelica deve:

essere equivalente alla proposizione data (cioè dello stesso tipo)


essere vera quando la proposizione di partenza viene affermata.

Vediamo un esempio:

Se affermo nessun elefante ha tre zampe, allora deduco che:


A) almeno un elefante ha tre zampe
B) tutti gli elefanti hanno un numero di zampe diverso da tre
C) almeno un elefante ha un numero di zampe diverso da tre
D) tutti gli elefanti hanno tre zampe
E) tutti gli elefanti hanno quattro zampe

Ragioniamo innanzitutto nel modo solito.


La risposta corretta è la B . La parola chiave è nessuno, un termine che esclude
alternative. La soluzione A pertanto è sbagliata perché il termine nessuno non ammette
eccezioni. La stessa ragione porta ad escludere la risposta C . La soluzione D afferma
esattamente il contrario rispetto alla premessa. La risposta E è il distrattore. Anche in
questo caso le risposte non devono considerare il contenuto delle frase, né le conoscenze
pregresse. Valutando esclusivamente la premessa non siamo in diritto di asserire che
gli elefanti abbiano 4 zampe. La risposta corretta è pertanto la B , in quanto afferma
esattamente quanto dichiarato nella premessa. Nessun elefante ha tre zampe, equivale
a dire che tutti gli elefanti hanno un numero di zampe diverso da tre.
Analizziamo ora il quesito alla luce delle tipologie contraddittorie indicate dalle
diagonali del quadrato.
La proposizione di partenza è di tipo E, universale negativa, quindi per prima cosa
cercheremo tra le opzioni di risposta altre proposizioni di tipo E. L’opzione A contiene
una proposizione di tipo I, che sappiamo essere la negazione di E e che quindi non è
equivalente alla proposizione di partenza. L’opzione B contiene una proposizione di
tipo E, cioè dello stesso tipo della proposizione di partenza (si veda la Tabella 2.3)
ed è quindi la risposta corretta. Se si procede con l’analisi si nota come tutte le altre
proposizioni non sono di tipo E e quindi non sono necessariamente deducibili dalla
proposizione data.
Logica 39

Vediamo un esempio in cui la proposizione deducibile non è equivalente a quella


data:

La frase Non c’è casa senza scale implica che. . .

Logica
A) Nessuna casa ha due scale
B) Ogni casa ha due scale
C) Qualche casa ha una scala
D) Ogni casa ha almeno una scala
E) Qualche casa non ha una scala

La proposizione di partenza corrisponde ad una proposizione di tipo O (c’è una casa


senza scale, particolare negativa) a cui è anteposta una negazione (non). Poiché tra le
opzioni non ci sono altre proposizioni di tipo O con una negazione anteposta, dobbiamo
cercare quale proposizione è sicuramente vera quando la proposizione di partenza viene
affermata.
La richiesta dell’esercizio va quindi interpretata nel modo seguente: quando affer-
miamo che è falso che c’è una casa senza scale, quale proposizione è sicuramente vera?
La proposizione sicuramente vera quando una proposizione di tipo O è falsa è la sua
contraddittoria, ovvero una proposizione di tipo A. Tra le opzioni presentate la B e la
D sono di tipo A, ma la B introduce un dato nuovo che non è presente nella propo-
sizione di partenza (le case con due scale) e quindi può essere deducibile. La risposta
corretta è quindi la D .
Vediamo un ultimo esempio:

A quale delle seguenti affermazioni equivale la frase: Non tutti i miopi portano
gli occhiali ?
A) Non vi è un miope che non porti gli occhiali
B) Nessun miope porta gli occhiali
C) Tutti i miopi portano gli occhiali
D) C’è almeno un miope che non porta gli occhiali
E) Tutti i miopi evitano di portare gli occhiali
La proposizione di partenza contiene una proposizione di tipo A tutti i miopi portano gli
occhiali a cui è anteposto un non. La richiesta dell’esercizio può essere quindi riformulata
in questo modo: qual è la negazione di tutti i miopi portano gli occhiali? La risposta sarà
quindi l’opzione che contiene una proposizione di tipo O, ovvero l’opzione D.
40 Logica deduttiva

2.7 Proposizioni con negazioni multiple


Le proposizioni con negazioni multiple si presentano nel
modo seguente:
Deduttiva

Non è possibile dubitare della necessità di


impedire che Marco non vada in palestra.
Nella proposizione precedente si possono contare 4 parti-
celle linguistiche che hanno funzione negativa, cioè negano
il significato di quanto segue. Le particelle negative so-
no: non (non è possibile...), dubitare, impedire e non (non Figura 2.9: Senza metodo, al-
vada). cuni quesiti di logica possono far
girare la testa!
In logica la negazione di una negazione equivale ad
un’affermazione.

Ad esempio non mangio i cibi non salati equivale a mangio i cibi salati. Sulla base di
questa regola, ogni volta che una proposizione contiene una coppia di negazioni si può
cancellare la coppia e considerare la proposizione come una affermazione.
Nella proposizione data, se si cancellano le prime due negazioni si ottiene:
è necessario impedire che Marco non vada in palestra.
Cancellando anche le ultime due:
è necessario che Marco vada in palestra.
L’esempio è tratto dal seguente esercizio:
Non è possibile dubitare della necessità di impedire che Marco non vada in
palestra. Qual è il corretto significato della precedente affermazione?
A) È possibile che Marco vada in palestra
B) È necessario che Marco non vada in palestra
C) È necessario che Marco vada in palestra
D) L’asserzione non può essere giudicata vera o falsa
E) Marco non deve andare in palestra
La risposta corretta è quindi la C.

Nel volgere in modo positivo le proposizioni bisogna però fare attenzione a mante-
nere la sfumatura del testo di origine. In particolare bisogna prestare bene attenzione
alla presenza di una frase assoluta o attenuata.

Si consideri infatti l’esempio seguente.

Non vi è ragione di pensare che nessuno abbia appetito. Tale affermazione


equivale logicamente ad affermare:
A) sicuramente qualcuno ha appetito
B) è possibile che nessuno abbia appetito
Logica 41

C) è logico affermare che nessuno ha appetito


D) è possibile ritenere che qualcuno abbia appetito
E) sicuramente tutti hanno appetito

Logica
L’espressione di partenza viene complicata dalla presenza della doppia negazione: Non
vi è ragione di pensare che nessuno. Per risolvere esercizi di questo tipo è bene ricordare
che la doppia negazione equivale ad un’affermazione, ossia, una negazione annulla l’altra.
L’enunciato di partenza si può dunque considerare come: È possibile che qualcuno abbia
appetito.
Occorre ora fare attenzione. Un caso è dire: Non vi è ragione di pensare che nessuno
abbia appetito. Un altro è dire: Non vi è alcuna ragione di pensare che nessuno abbia
appetito. Nel primo caso la frase ha una sfumatura meno perentoria che la seconda. La
soluzione corretta dunque è la D. La risposta E è molto simile alla D ma presuppone una
certezza che non è data dall’affermazione di partenza. In questo caso il distrattore è la
risposta C in quanto afferma che è logico affermare, la seconda parte della frase però non
è corretta.

Per risolvere questi esercizi è bene sottolineare le parole chiave. In particolare i


termini: tutti, alcuni, qualche. A seconda del loro utilizzo nella frase, il significato
della proposizione può cambiare radicalmente.

2.8 Ordine di elementi e di eventi


Nella categoria di valutazione di relazioni rientrano tutti gli esercizi che richiedono di
ordinare una serie di oggetti, persone o eventi sulla base di relazioni note per individuare
altre relazioni non note. A seconda del numero di oggetti coinvolti e delle proprietà da
essi possedute, questa tipologia di esercizi può essere risolta con un metodo meccanico
o richiedere lo sviluppo di ragionamenti ad hoc.

Le diverse domande che costituiscono l’esercizio, a meno che non espressamente indica-
to, devono essere intese come indipendenti. Le risposte non devono dunque influenzarsi
vicendevolmente.

Generalmente si tratta di ordinare i vari elementi secondo una

Sequenza spaziale

Sequenza temporale

Posizione gerarchica o ordine di parentela

Ad ognuna di queste tipologie è dedicata una specifica sottosezione nel seguito.

Un caso comune risolvibile meccanicamente è quello in cui l’esercizio descrive una serie
composta da non più di quattro oggetti, ognuno dei quali può assumere solo una tra
due proprietà.
42 Logica deduttiva

Si consideri il seguente esempio:


Deduttiva

Aldo, Bruno e Carlo sono tre amici. Si sa che


almeno uno di essi è laureato
se Aldo è laureato, anche Bruno lo è
se Carlo è laureato, anche Aldo lo è
solo uno tra Bruno e Carlo è laureato
Allora si deduce che
A) Aldo e Bruno sono laureati
B) Bruno è laureato
C) Aldo è laureato e Bruno non lo è
D) Carlo è laureato
E) i laureati sono due

L’esercizio ci presenta una situazione in cui tre og-


getti (Aldo, Bruno e Carlo) possono possedere solo Aldo Bruno Carlo
una tra due proprietà: essere laureato o non essere 1 L L L
laureato. In un caso come questo è possibile costrui- 2 L L N
re una tabella che ci permette di visualizzare tutte 3 L N L
le possibili combinazioni di oggetti e proprietà: es- 4 L N N
sendoci solo due proprietà (laureato o non laureato) 5 N L L
e tre oggetti i casi possibili saranno in tutto 23 , cioè
6 N L N
8. La tabella avrà quindi una colonna per ogni og-
7 N N L
getto e otto righe, in modo da rappresentare tutte
8 N N N
le possibili combinazioni, come in Tabella 2.4, dove
L sta per laureato e N sta per non laureato. Tabella 2.4: Rappresentazione tabellare
Una volta costruita la tabella si può passare a per un ordinamento.
valutare le informazioni fornite dalla traccia.

Prima informazione Almeno uno di essi è laureato. Elimineremo quindi dalla


tabella tutte le righe in cui nessuno è laureato, ovvero la riga 8.

Seconda informazione Se Aldo è laureato anche Bruno lo è. Elimineremo quin-


di dalla tabella tutte le righe in cui Aldo è laureato, ma Bruno non lo è, ovvero
le righe 3 e 4.

Terza informazione Se Carlo è laureato, anche Aldo lo è. Elimineremo quindi


dalla tabella tutte le righe in cui Carlo è laureato ma Aldo non lo è, ovvero le
righe 5 e 7.

Quarta informazione Solo uno tra Bruno e Carlo è laureato. Elimineremo dalla
tabella tutte le righe in cui sia Bruno che Carlo sono laureati, ovvero le righe 1 e
5. Dopo aver valutato tutte le informazioni, la tabella assume la forma di Tabella
2.5.
Logica 43

Non resta che valutare le opzioni di risposta ed in- Aldo Bruno Carlo
dividuare quella che risulta vera in entrambi i casi 2 L L N
ammessi dalla tabella. L’unica risposta che risul- 6 N L N
ta vera sia nella riga 2 che nella riga 6 è Bruno è

Logica
laureato, quindi la risposta corretta è la B. Tabella 2.5: Eliminazione delle risposte
non vere.

Nei casi in cui il numero di oggetti coinvolti sia maggiore di quattro o il numero di
proprietà maggiore di due, la costruzione della tabella completa richiede un tempo
troppo lungo ed è necessario elaborare un metodo di risoluzione ad hoc.

2.8.1 Sequenza spaziale

Figura 2.10: Oltre a una rappresentazione, conviene cominciare


l’ordinamento da elementi facilmente identificabili.

Questi esercizi fanno riferimento alla posizione reciproca nello spazio di oggetti o
persone. Per illustrarne le strategie risolutive consideriamo l’esempio seguente.

In uno studio medico si trovano, di fronte ad una scrivania per le accettazioni, quattro
file di posti. Nella sala ci sono quattro persone: i signori Loi, Magris, Fazi e Giacomelli.
Uno è seduto dietro la scrivania, gli altri sono disposti ciascuno in una fila, una delle file
rimane dunque vuota. Inoltre si conosce che:
Loi è due file più avanti di Magris
Fazi è tre file indietro rispetto a Giacomelli
Loi da cinque anni è ormai in pensione

Come si può ragionare per rispondere a domande come le seguenti?

1) Qual è la fila vuota? A Loi


B Fazi
A fila 1
C Magris
B fila 2
D Giacomelli
C fila 3 E I dati forniti sono insufficienti per
D fila 4 rispondere
E i dati forniti sono insufficienti per 3) Chi sta immediatamente dietro a
rispondere Loi?
2) Chi è più lontano dalla scrivania? A Fazi
44 Logica deduttiva

B Loi A i dati forniti sono insufficienti per


C La fila vuota rispondere
D Giacomelli B Magris
Deduttiva

E Magris C Fazi
4) Se Magris avanzasse di tre file, D Giacomelli
chi si troverebbe più lontano alla
scrivania? E Loi

Per risolvere questo tipo di esercizi è importante leggere con attenzione la premessa.
Inoltre può essere molto utile ricorrere ad una rappresentazione per schematizzare la
situazione.
Scrivania
Fila 1
Fila 2
Fila 3
Fila 4

Dai dati forniti si può sapere che Loi non potrà sedere dietro la scrivania delle accet-
tazioni essendo ormai in pensione da 5 anni. Inoltre Loi siede due file avanti rispetto
a Magris, dunque anche Magris non sarà l’addetto alle accettazioni. Si conosce inoltre
che Fazi siede tre file indietro a Giacomelli. È possibile dunque stabilire che Giacomelli
sia l’incaricato alle accettazioni.

Scrivania Giacomelli
Fila 1
Fila 2
Fila 3 Fazi
Fila 4

Proseguiamo con il ragionamento: dalle premesse sappiamo che Loi siede due file avanti
rispetto a Magris. È possibile cosı̀ stabilire che Loi siede nella seconda fila e Magris
nella quarta.
Scrivania Giacomelli
Fila 1
Fila 2 Loi
Fila 3 Fazi
Fila 4 Magris

A questo punto risultano evidenti le prime tre soluzioni:

1) La risposta corretta è la A . La fila vuota è la prima.

2) La risposta corretta è la C . Magris è il più lontano rispetto alla scrivania.

3) La risposta corretta è la A . Fazi siede immediatamente dietro a Loi.


Logica 45

Scrivania Giacomelli
Fila 1 Magris
Fila 2 Loi
Fila 3 Fazi

Logica
Fila 4

Per rispondere alla quarta è sufficiente far avanzare Magris di tre file.
La risposta corretta al quarto quesito è la C . Fazi ora occupa la posizione più
lontana rispetto alla scrivania.
Per la risoluzione di questi esercizi, che ad una prima lettura possono sembrare
particolarmente intricati, si consiglia di ricorrere ad una rappresentazione schematica
come quella illustrata. Aiutandosi con uno schizzo o una tabella, la situazione risulta
immediatamente più chiara.

2.8.2 Sequenza temporale

Figura 2.11: Per evitare confusione è consigliabile la rappresentazione


della linea temporale.

Questi esercizi sono incentrati su una sequenza temporale di eventi. Al candidato è


richiesto di ristabilire l’ordine cronologico dei fatti. Per illustrare le strategie risolutive
consideriamo il seguente esempio.

Oggi Carlo è andato all’università (1) appena finito di studiare (2). Tornerà
all’università (3) dopo aver comperato un libro in libreria (4) che aveva or-
dinato dieci giorni fa (5). Individuare l’ordine cronologico con cui Carlo ha
svolto le diverse attività.
A) 42135
B) 51234
C) 52143
D) 12345
E) 13254

Anche in questa tipologia di esercizi può essere di grande aiuto una rappresentazione.
Nel caso di una sequenza temporale generalmente si tratta di tracciare una linea del
tempo come in Figura 2.12.
46 Logica deduttiva
Deduttiva

Figura 2.12: Linea del tempo.

A questo punto si può procedere inserendo sulla linea gli elementi del testo, come illu-
strato nella Figura 2.13. Oggi Carlo è andato all’università (1): Figura 2.13(a). Appena
finito di studiare (2) : Figura 2.13(b). Tornerà all’università (3) dopo aver comperato
un libro in libreria (4). Queste due frasi è bene considerarle insieme perché sono en-
trambe nel futuro, ma la 4 precede la 3: Figura 2.13(c). Che aveva ordinato dieci giorni
fa (5). Questa espressione, nonostante venga espressa per ultima, cronologicamente
avviene per prima: Figura 2.13(d).
Una volta tracciata la linea del tempo risulta chiaro che la risposta corretta è la C.

(a) (1)

(b) (2)

(c) (3) e (4)

(d) (5)
Figura 2.13: Ordinamento temporale.

Per maggiore chiarezza abbiamo tracciato una linea del tempo ogni qual volta si è
inserito un elemento nuovo nella frase. Il candidato, una volta compreso il metodo
per la risoluzione, potrà servirsi di un’unica retta sulla quale collocare, via via, le
diverse informazioni.
Logica 47

2.8.3 Relazioni di parentela


Questi esercizi richiedono l’individuazione di rapporti o relazioni reciproche tra indivi-
dui.
Per illustrarne le strategie risolutive consideriamo il seguente esempio.

Logica
Giovanni ha acquistato un dono per l’unica cognata del marito dell’unica
sorella di sua madre. Di chi si tratta?
A) sua madre
B) sua cugina
C) sua nipote
D) sua nonna
E) sua zia

Per risolvere questo tipo di quesiti è opportuno semplificare il legame tra i personaggi
chiarificando il significato di termini come: cognato, suocero, nuora. In questo caso la
cognata è la sorella della moglie del marito. Una volta chiarificato il significato del
testo è consigliabile rappresentare schematicamente la situazione, ad esempio nel modo
seguente.

Giovanni ha una madre: Giovanni =⇒ madre


La madre ha una sorella. madre - sorella
La sorella ha un marito. sorella - marito
cognata
La sorella della moglie è la cognata del marito madre - z }| {
sorella - marito

La soluzione corretta è la A perché la sorella della moglie del marito è la cognata del
marito.
Le soluzioni grafiche risultano molto utili per rendere visibili i legami di parentela
descritti. Si consiglia di partire dai rapporti più stretti e semplici per andare poi
via via ad integrare l’albero genealogico inserendo le parentele più complesse.

Una rappresentazione visiva è in grado di chiarire una proposizione che verbalmente


può risultare complessa e articolata.

2.9 Quesiti

1) Leggere il testo del seguente pro- II: Tutti coloro che vogliono soste-
blema e rispondere alle relative nere l’esame da giornalista si
domande iscrivono a Lettere
III: Chi si laurea in Lettere trova
I: Anna è laureata in Lettere impiego entro tre anni.
48 Logica deduttiva

Se le tre affermazioni sono vere, A 51243


quale delle seguenti è vera? B 52143
A Anna è giornalista C 12345
Deduttiva

B non è possibile stabilire alcuna D 15324


conclusione
E 21543
C Anna lavora
D ai laureati in lettere piace la scrittura 5) Nessun atleta è miope, alcuni uo-
mini sono miopi, dunque. . . non so-
E nessun giornalista è laureato in
no atleti. Si individui il corretto
lettere
completamento del sillogismo.
2) Se le tre affermazioni sopra riporta-
te sono vere, quale delle seguenti è A alcuni miopi
sicuramente errata? B tutti gli uomini
A Anna è laureata da un anno e mez- C tutti i miopi
zo e non ha ancora trovato alcun D alcuni uomini
impiego
E alcuni atleti
B è possibile che Anna non abbia
ancora trovato impiego 6) Quale delle seguenti affermazioni
C a quattro anni dal conseguimento è logicamente equivalente a: Gli
della laurea Anna ancora non ha anziani non sprecano mai nulla?
trovato impiego
A i giovani sprecano sempre tutto
D a Lettere si iscrivono tutti coloro che
vogliono diventare giornalisti B i giovani non sprecano mai nulla
E chi ha conseguito la laurea in Lette- C nessun anziano spreca qualcosa
re da più di tre anni ha trovato un D nessun anziano non spreca mai nulla
impiego
E gli anziani amano conservare tutto
3) Se Francesco lavora, allora Anna
non fa pulizie. . . . Se l’argomentazio- 7) Se Giulia è la nonna della sorella di
ne precedente è vera, quale delle uno dei miei zii non acquisiti, che
seguenti è certamente vera? legame di parentela c’è tra me e
Giulia?
A Se Francesco non lavora allora Anna
fa pulizie A bisnonna-nipote
B Se Anna non fa pulizie Francesco non B nipote-bisnonna
lavora C nipote-nonna
C Se Anna fa pulizie allora Francesco
D nonna-nipote
non lavora
E zia-nipote
D Se Anna fa pulizie Francesco lavora
E Ad Anna non piace fare pulizie 8) Negare che ogni animale ha un
cucciolo equivale a dire:
4) Dopo essere stato al lavoro (1) San-
dro è andato dal dentista (2). Tor- A ogni animale non ha un cucciolo
nerà dal dentista (3) dopo essere
B nessun animale ha un cucciolo
stato visitato anche dall’odontoiatra
(4), visita prenotata quindici gior- C tutti gli animali non hanno cuccioli
ni fa (5). Individuare l’ordine cro- D tutti sono cuccioli di ogni animale
nologico con cui Sandro ha svolto le
diverse attività. E esistono animali senza cuccioli
Logica 49

9) I bugiardi sono malvagi, i bugiar- Alcune persone simpatiche


di sono uomini, dunque. . . sono mal- sono generose
vagi. Si individui il completamento Se le tre affermazioni sono vere,
corretto del sillogismo. quale delle seguenti è altrettanto

Logica
vera?
A alcuni bugiardi
B i bugiardi A Pedro è spagnolo
C tutti gli uomini B Pedro è generoso
D alcuni uomini C non si può sapere se Pedro sia o
E alcuni buoni meno spagnolo
D gli spagnoli sono tutti generosi
10) Gli spagnoli sono simpatici
Pedro è simpatico E il nome Pedro è diffuso in Spagna

2.10 Risposte commentate ai quesiti


1) La risposta corretta è la B . La soluzione A è errata perché non abbiamo alcun
elemento per sapere se Anna abbia sostenuto e superato l’esame da giornalista. La
risposta C non è corretta dal momento che non possiamo sapere da quanto tempo
si sia laureata, quindi non si può stabilire se Anna lavori. La soluzione D è una
pura supposizione priva di fondamento e la E nega la seconda affermazione.
2) La risposta esatta è la C poiché l’enunciato iniziale sostiene che Chi si laurea in
Lettere trova impiego entro tre anni e secondo l’alternativa ne sono trascorsi quattro
dalla laurea di Anna. Le risposte A e B non sono corrette, è infatti possibile
che, non essendo ancora trascorsi tre anni, Anna non abbia ancora trovato lavoro.
Viceversa, la risposta E non è corretta perché riconferma l’enunciato iniziale. La
risposta D concorda con la premessa per cui Tutti coloro che vogliono sostenere
l’esame da giornalista si iscrivono a Lettere.
3) La risposta corretta è la C . La parte dell’argomento fornita nella traccia è istanza
della forma A ⇒ ¬ B. Aggiungendo la risposta C otteniamo un modus tollens: “Se
Francesco lavora allora Anna non fa pulizie; Anna fa pulizie; quindi Francesco non
lavora”. Simbolicamente: A⇒ ¬ B; B; quindi ¬ A
4) Si tratta di un esercizio basato sulla sequenza temporale. Può essere dunque molto
utile tracciare una linea del tempo sulla quale disporre l’ordine degli avvenimenti.
Una volta tracciata la linea del tempo risulta chiaro che la risposta corretta è la A .
5) Rappresentando graficamente il quesito si osserva che: asserire che nessun atleta è
miope significa che i due insiemi sono disgiunti tra loro; inoltre Alcuni uomini sono
miopi è un insieme che interseca quello dei miopi. Sulla base degli elementi dati dal
testo non siamo in grado di stabilire in quale rapporto siano l’insieme degli uomini
con quello degli atleti. È certo però che alcuni uomini, quelli miopi, non possono
essere atleti. La risposta corretta è pertanto la D . La risposta A è errata perché
l’intero insieme degli atleti è distinto da quello dei miopi, non solo alcuni miopi
ma nessun miope è atleta. La risposta B non è corretta perché non considera la
parte degli uomini miopi. La risposta C è errata perché già enunciata nella frase di
partenza, e non rappresenta dunque una deduzione. La soluzione E è puramente
illogica e contradditoria.
50 Logica deduttiva

6) La risposta corretta è la C , che riprende esattamente la frase iniziale. La D rap-


presenta il distrattore, basta però ricordare che la doppia negazione diventa un’affer-
mazione ed è possibile parafrasare la frase in questo modo: non esiste alcun anziano
Deduttiva

che non sprechi mai nulla.

7) La risposta corretta è la B . Si possono ricostruire i legami di parentela a ritroso,


partendo dal soggetto che parla per arrivare fino a Giulia. Abbiamo quindi che:
Io ho uno zio non acquisito (fratello di uno dei miei genitori); questo zio ha una
sorella, che sarà a sua volta mia zia non acquisita (la sorella di mio zio è mia zia);
questa mia zia è nipote di Giulia, che sarà quindi anche nonna di tutti i miei zii
non acquisiti e dei miei genitori. La nonna dei miei genitori è, ovviamente, la mia
bisnonna. Bisogna porre anche attenzione all’ordine di risposta: il quesito chiede il
legame di parentela tra chi parla e Giulia, non tra Giulia e chi parla. In quest’ultimo
caso la risposta corretta sarebbe la A .

8) Negare che ogni animale ha un cucciolo significa ammettere che esiste almeno un
animale senza cucciolo. Non è possibile stabilire quanti animali siano senza cuccioli,
nè se lo siano tutti, ma solamente che ne esiste uno o più di uno. La soluzione
corretta è rappresentata dall’alternativa E , che ammette l’esistenza di alcuni ani-
mali senza cuccioli. Le altre tre risposte invece asseriscono la totalità o l’esclusione
completa: tutti o nessuno.

9) La risposta corretta è la D . Mentire è malvagio, mentire è prerogativa degli uomini.


Ne consegue che alcuni uomini sono malvagi in quanto bugiardi.
10) L’insieme degli spagnoli è incluso in quello dei simpatici. L’insieme dei simpatici si
interseca con quello dei generosi. Pedro rientra nell’insieme dei simpatici, ma non
abbiamo elementi per sapere se si inserisca anche nei sotto insiemi degli spagnoli
e dei generosi. La risposta corretta pertanto è la C . Abbiamo infatti la certezza
che Pedro sia simpatico, ma non che sia generoso o spagnolo. La risposta E è un
distrattore, il buon senso comune infatti ci fa credere che il nome Pedro sia diffuso
in Spagna, nell’esercizio però non ci sono elementi che lo facciano dedurre, quindi la
risposta è errata. In questo tipo di quesiti è importante analizzare esclusivamente
gli elementi dati dalle premesse e non considerare conoscenze personali.
Comprensione
dei testi 3
In tutti i Test di ammissione sono previsti
quesiti sulla comprensione di testi in lingua
italiana. Questi esercizi valutano la capacità
di cogliere le informazioni principali, rielabo-
rare e sintetizzare i concetti e dedurre con-
clusioni sulla base delle informazioni fornite.
I brani proposti generalmente sono tratti da
articoli di giornale, saggi, opere letterarie e
trattano gli argomenti più svariati, dall’eco-
nomia alla storia, dalla filosofia all’attualità.
Anche in questo caso si tratta di quesiti a ri-
sposta multipla: il candidato deve individua-
Figura 3.1: Acquisire una metodologia efficace
re la risposta corretta a partire da un brano aiuta a combattere contro il nemico principale
proposto. per questo tipo di quesiti: il fattore tempo.

La preparazione a queste prove consiste nell’acquisizione della metodologia per


l’analisi di un testo, la decodificazione dei messaggi e la dimestichezza ad affrontare
tematiche che non si conoscono.

Dal momento che questi esercizi non vertono su conoscenze pregresse in un certo
senso possono essere considerati come un’ancora di salvezza per il candidato. A diffe-
renza di materie come la matematica o la cultura generale, che richiedono anche molte
conoscenze nozionistiche, per risolvere i quesiti di comprensione dei brani è sufficiente
il ragionamento.
Proprio per questo è importante che il candidato impari a conoscerne bene il codice
e prenda dimestichezza con le tipologie di quesiti. Una volta comprese le insidie e le
difficoltà più ricorrenti, lo studente potrà risolvere gli esercizi con sicurezza.
Inoltre è importante considerare il fattore tempo. La lettura e la comprensione dei
brani comporta un tempo di svolgimento piuttosto lungo. L’esercizio costante donerà
allo studente la prontezza necessaria per affrontare i quesiti rapidamente.

3.1 Suggerimenti pratici


Distinguiamo i principali suggerimenti metodologici in base alle varie fasi con cui va
affrontato un quesito di comprensione del testo.

3.1.1 Nei mesi di preparazione ai test


La lettura dei quotidiani si rivela uno strumento importante. Una volta compreso
il metodo di analisi ci si potrà allenare su ogni articolo di giornale. La lettura dei
52 Comprensione dei testi

quotidiani inoltre è un buon strumento per


arricchire il proprio vocabolario e le proprie
Comprensione

conoscenze. Le notizie di attualità, economia


e cultura inoltre contengono una serie di in-
formazioni che potrebbero rivelarsi preziose
anche per i quiz di cultura generale.

Non è raro che alcuni studenti sia-


no stati in grado di risolvere un
quesito di geografia dopo aver ac-
quisito l’informazione proprio da
un articolo di giornale.

Non bisogna dimenticare, infine, che nei Te-


Figura 3.2: Informazioni su politica e attualità
st di ammissione possono incontrarsi doman- tratte dai quotidiani si rivelano spesso molto utili.
de riferite all’attualità e alle ricorrenze,
informazioni ampiamente trattate dai quotidiani.

3.1.2 Prima di affrontare la lettura del brano


Leggere la domanda In questo modo durante la lettura del testo l’attenzione
potrà focalizzarsi sulle informazioni necessarie per la risposta.
Leggere la fonte del testo Generalmente posta a calce del brano, la fonte per-
mette, ancora prima di leggere il testo, di comprendere se si tratta di un articolo
di giornale o di un saggio, di conoscere l’autore, l’epoca in cui è stato scritto e
il titolo. Il titolo è un’informazione molto preziosa che permette di focalizzare
velocemente il tema del testo e spesso anche il punto di vista dell’autore.

Per decodificare la fonte di un testo si consideri la Tabella 3.1: le informazioni in essa riportate
sono importanti per comprendere meglio il linguaggio, il tono o le idee dell’autore.

Jacques Monod, Il caso e la necessità, Mondadori, Milano, 1970


⇓ ⇓ ⇓ ⇓

Anno di
Autore Titolo Editore
pubblicazione

Tabella 3.1: Decodifica della fonte di un testo.

3.1.3 Durante la lettura


Il tempo per risolvere il Test è poco, la lettura del brano, tuttavia, richiede tempo.

Come affrontare la lettura? Con concentrazione!


Logica 53

Una lettura rapida e superficiale non permette di cogliere lo sviluppo del ragionamento
e le sfumature delle riflessioni. È importante dunque che la prima lettura sia attenta e
non precipitosa.

Logica
3.1.4 Come affrontare la lettura di un testo
Innanzitutto occorre comprendere il tema centrale del testo. Spesso la fonte è
un grande aiuto in questo senso. Si consideri infatti il seguente esempio:

Franco Prattico, Genetica, l’industria della grande illusione, La Repubblica, 4 marzo


2002
Prima ancora di leggere il brano, la fonte rivela alcune informazioni importanti. Innanzi-
tutto sappiamo che si tratta di un articolo di giornale, La Repubblica. Questo ci permette
di sapere che il linguaggio dell’articolo non sarà eccessivamente complesso, proprio perchè
destinato al grande pubblico.
In secondo luogo il titolo è un’importante spia rivelatrice da cui possiamo prevedere il
tema centrale del testo ancor prima di leggerlo: la Genetica. Ma non solo. Una lettura
attenta del titolo ci consente addirittura di intuire la posizione dell’autore: il fatto che la
genetica sia un’illusione.

Bisogna naturalmente essere ben consapevoli del fatto che si tratta solo di un’intuizione,
unicamente da un’attenta lettura del testo avremo infatti la conferma delle tesi espresse
nell’articolo.
Poi bisogna comprendere lo sviluppo del ragionamento.

La sottolineatura dei passaggi o dei termini principali consentirà di focalizzare il


fulcro del brano, in questo modo sarà più semplice individuare i passaggi principali
nel momento in cui si cercherà la soluzione del quiz.

È importante inoltre comprendere ciò che implicitamente l’autore intende espri-


mere, quali sono le idee non espressamente dichiarate ma che si possono dedurre
dalle considerazioni enunciate nel testo.

3.1.5 Struttura di un testo


Per una corretta lettura dei testi si rivela molto utile conoscere la comune struttura di
un testo.
1. Generalmente nell’INCIPIT (la parte iniziale del testo) viene presentato il tema
principale. A seconda della lunghezza del brano, i primi paragrafi fungono da
introduzione all’argomento.
2. Nella PARTE CENTRALE si susseguono le informazioni chiave e, soprattutto,
le tesi dell’autore. Nel corpo del testo si sviluppa il ragionamento. Solitamente,
a partire dall’enunciazione di una tesi, lo scrittore sviscera l’argomento avanzando
argomentazioni per avvalorare la propria idea.
3. Nella PARTE CONCLUSIVA, altrimenti detta explicit, sono riportate le consi-
derazioni finali. L’autore trae le conclusioni del proprio ragionamento e, talvolta,
ribadisce la tesi principale sostenuta all’inizio del brano.
54 Comprensione dei testi

Il paragrafo è la suddivisione interna del testo, graficamente riconoscibile con un punto


e a capo.
Comprensione

Nella codificazione dei testi è importante dare la corretta importanza alla scansione dei
paragrafi.

È molto importante prestare attenzione alla scansione dei paragrafi perchè solitamente
ciascuna parte di testo, cosı̀ distribuita, sviluppa un concetto a se stante. Durante la
lettura del brano bisogna dunque mettere a fuoco il concetto principale espresso da
ogni paragrafo.

Nel caso dei testi più complessi, articolati o più lunghi è d’aiuto annotare un breve
titolo che riassuma molto sinteticamente il concetto espresso dal paragrafo. In questo
modo sarà più semplice individuare immediatamente il passaggio in cui viene espresso
un determinato concetto.

3.1.6 La scelta della risposta


È indispensabile considerare tutte le soluzioni proposte. Anche se da una
prima lettura sembra di aver individuato immediatamente la soluzione corret-
ta, bisogna comunque considerare tutte le alternative. Innanzitutto si procede
scartando quelle più improbabili. A questo punto si focalizza l’attenzione sulle
possibili soluzioni esatte.

Spesso le alternative offrono risposte simili. In questi casi bisogna optare per quella
che contiene il maggior numero di informazioni strettamente desumibili dal brano.

Prima di indicare definitivamente la risposta corretta individuare il passaggio


all’interno del testo che comprova la nostra risposta.

Nell’individuazione della risposta è importante basarsi esclusivamente sulle nozioni


tratte o deducibili dal brano, a prescindere da eventuali conoscenze, competenze
o giudizi personali.

Infine, nel caso non si sia comunque sicuri della risposta esatta, ma indecisi tra due
o più opzioni, indicare sulla brutta copia le eventuali soluzioni. In questo modo in un
secondo momento sarà più semplice focalizzare rapidamente l’attenzione sulle possibili
risposte senza dover riprendere daccapo il ragionamento.

3.2 Tipologie di esercizi


Generalmente si possono individuare 5 macro tipologie di esercizi. Ognuna di esse è
trattata in una delle seguenti sezioni.
Logica 55

3.2.1 Competenze lessicali

Logica
Figura 3.3: Un lessico ricco è fondamentale. Ad esempio l’im-
magine vi fa venire in mente solo termini come pranzo, cena o
spuntino? Dovete allora leggere di più e da fonti diverse. Che
dire infatti di parole come dejeuner, desco e desinare?

La prima tipologia che affrontiamo consiste nei quesiti che ruotano intorno alle co-
noscenze lessicali. Sono facilmente individuabili dal momento che le domande fanno
chiaramente riferimento ai singoli vocaboli presenti all’interno di un brano.
Sostanzialmente si possono incontrare due sottocategorie:
1. Individuare, tra una serie di possibili soluzioni, i termini omessi nel testo.

Una delle componenti del moderno . . . è . . . (la dottrina secondo cui la verità è relativa
al nostro ambiente intellettuale, ambiente che si suppone determini in qualche modo la
cornice all’interno della quale siamo in grado di pensare: che la verità possa cambiare
da una cornice all’altra) e, in particolare, la dottrina che sostiene l’impossibilità della
reciproca comprensione tra differenti culture, generazioni, o periodi storici - anche all’in-
terno della scienza, e persino della fisica. (da Karl R. Popper, Il mito della cornice, Il
Mulino, 1994 )
Scegliete la coppia che, nell’ordine, completa il senso della frase di Popper:
A) relativismo, la sfiducia
B) irrazionalismo, il relativismo
C) cinismo, l’incomunicabilità
D) indifferentismo, l’irrazionalismo
E) irrazionalismo, l’incomunicabilità
La risposta corretta è la B.
La difficoltà del quesito è data dal fatto che i vocaboli da inserire si trovano all’inizio del
testo, quando ancora non si conosce l’argomento del brano, e, soprattutto, si tratta di
individuare i termini chiave del testo.
Un forte aiuto viene però fornito dall’inciso fra parentesi, in cui è fornita la spiegazione
della parola mancante. Leggendo con attenzione la definizione: la dottrina secondo cui la
verità è relativa al nostro ambiente intellettuale si comprende immediatamente che il
vocabolo omesso è relativismo, di conseguenza il primo termine è irrazionalismo.

2. Individuare, tra una serie di alternative, l’unico significato corretto oppure


scorretto di un termine. Oppure individuare la definizione corretta o quella
imprecisa dei termini in grassetto.

Con i suoi canoni, Bach ci offre un primo esempio della nozione che qui definiremo degli
Strani Anelli.
56 Comprensione dei testi

Il fenomeno dello Strano Anello consiste nel fatto di ritrovarsi inaspettatamente, salen-
do o scendendo lungo i gradini di qualche sistema gerarchico, al punto di partenza (nel
Comprensione

nostro esempio il sistema è quello delle tonalità musicali). (. . . ) A mio avviso, le più
belle e imponenti realizzazioni visive del concetto di Strano Anello si trovano nell’opera
del grafico olandese M.C.Escher, vissuto tra il 1898 e il 1971. Escher ha creato alcu-
ni disegni che sono tra i più intellettualmente stimolanti di tutti i tempi. Molti hanno
la loro ispirazione in paradossi, illusioni o doppi sensi. I matematici furono tra i primi
ammiratori dei disegni di Escher, e si capisce perchè: spesso essi sono basati su princı̀pi
matematici di simmetria o di regolarità (. . . ). Ma in un disegno tipicamente escheriano
c’è molto di più di semplici simmetrie e regolarità; c’è spesso un’idea di fondo che viene
realizzata in forma artistica. In particolare lo Strano Anello è uno dei temi più frequenti
dell’opera di Escher; (. . . ) pensiamo all’interessante Mani che disegnano, dove si vedono
due mani ognuna delle quali disegna l’altra: è uno Strano Anello a due componenti. (. . . )
Il concetto di Strani Anelli contiene quello di infinito: un anello infatti non è proprio un
modo per rappresentare un processo senza fine in modo finito? (. . . ) E come gli anelli di
Bach e di Escher fanno appello ad intuizioni molto semplici e antiche come la scala mu-
sicale o la scala di un edificio, cosı̀ la scoperta ad opera di K. Gödel di uno Strano Anello
in un sistema matematico trae le sue origini da intuizioni semplici e antiche. La scoper-
ta di Gdel, nella sua forma essenziale, comporta la traduzione in termini matematici di
un antico paradosso della filosofia. Si tratta del cosiddetto paradosso di Epimenide, o
paradosso del mentitore. Epimenide era un cretese che pronunciò questo paradosso im-
mortale: Tutti i Cretesi sono mentitori. Una versione più incisiva di questo enunciato è
semplicemente: Io sto mentendo; o ancora: Questo enunciato è falso. (da Douglas R.
Hofstadter, Gödel, Hescher, Bach: un’eterna Ghirlanda Brillante, Adelphi, 1992)
Le cinque parole sotto elencate compaiono, sottolineate, nello scritto di D.
R. Hofstadter; delle definizioni che spiegano il significato che esse assumono
nel testo, UNA è imprecisa:
A) tonalità: definizione della nota tonica che definisce una scala o un pezzo di musica
B) grafico: rappresentazione di dati attraverso una costruzione grafica
C) simmetria: disposizione regolare, equilibrata degli elementi di un insieme
D) paradosso: deduzione che contiene una contraddizione intrinseca
E) enunciato: formulazione di un teorema, di una questione
Apparentemente, se estrapolate dal contesto, tutte le soluzioni proposte sono corrette. Se
si considera il loro utilizzo all’interno del brano, però, emerge chiaramente come una delle
definizioni non tenga conto dell’ambito in cui viene utilizzata. Si tratta della soluzione
B. Il termine grafico all’interno del brano è utilizzato per indicare l’artista olandese
M.C. Escher, è evidente dunque che non può essere inteso come rappresentazione di dati
attraverso una costruzione grafica.

Questo esercizio è un chiaro esempio di come anche un quesito relativamente semplice


richieda tuttavia un’attenta lettura del testo.

3.2.2 Significato complessivo del testo


Dal titolo della sezione si deduce che nella tipologia in questione si richiede di indivi-
duare il tema centrale del testo, il significato del brano nel suo insieme. Questi quesiti
sono mirati ad analizzare la capacità di sintesi del candidato.
Per risolvere questo tipo di quesiti è importante prestare attenzione alla fonte del
testo, soprattutto al titolo del brano. Inoltre è importante ricordare che generalmente
Logica 57

il tema centrale viene presentato nei primi paragrafi del testo. È bene dunque prestare
particolare attenzione alle prime righe del brano per comprendere quale potrebbe
essere l’argomento trattato. La prosecuzione della lettura servirà da conferma.
Gli esercizi sul significato complessivo generalmente richiedono di:

Logica
Individuare quale titolo rappresenta nel modo migliore il passo proposto.
Oppure, al contrario, quello che esula dai temi trattati.

Il prodotto interno lordo dell’Italia nel quarto trimestre 2011 è calato dello 0, 7% sul
trimestre precedente e dello 0, 5% su base annua. Lo rileva l’Istat nella stima preliminare.
Il Pil è in calo per il secondo trimestre consecutivo: si può dunque parlare di recessione
tecnica.
IL DEBITO NEL 2011 - Intanto la Banca d’Italia ha comunicato che a dicembre 2011 il
debito pubblico italiano si è attestato a 1.897,9 miliardi, in aumento di 55,1 miliardi sui
1.842,9 miliardi di fine 2010 e in calo dai 1.904 miliardi del mese di novembre.
SETTORI E CONFRONTI - Il risultato congiunturale complessivo è la sintesi di di-
namiche settoriali del valore aggiunto positive per l’agricoltura, negative per l’industria,
sostanzialmente stazionarie per i servizi. Nello stesso periodo, tuttavia, l’Istat ricorda
come il Pil sia aumentato in termini congiunturali dello 0, 7% negli Stati Uniti contro
un calo dello 0, 2% nel Regno Unito e dello 0, 6% in Giappone. In termini tendenziali, il
Pil è aumentato dell’1, 6% negli Stati Uniti e dello 0, 8% nel Regno Unito ed è diminuito
dell’1, 0% in Giappone.
IL PRIMO CALO DAL 2009 - Il 2011 chiude con un Pil in aumento dello 0, 4%, secondo
la stima preliminare dell’Istat che precisa che il dato è corretto per gli effetti di calendario.
La crescita risulta cosı̀ in forte frenata, nel 2010 era stata pari all’1, 4% (dato corretto
effetti calendario). Il calo dello 0, 5% su base annua è il primo dal 2009.
RISCHIO NUOVA FRENATA - La crescita acquisita per il 2012, quella cioè che si
verificherebbe per il puro effetto trascinamento del 2011 se in tutti e quattro i trimestri
dell’anno si registrasse crescita zero è negativa, pari a −0, 6%. (da Il Sole 24 ore,15
febbraio 2012)
Il titolo che meglio esprime il tema centrale del brano è
A) necessità di crescita per l’Italia
B) positiva l’agricoltura, negativa l’industria
C) rischio nuova frenata
D) Italia in recessione, Pil −0, 7% a fine 2011
E) miglioramenti in vista
Fra le cinque alternative proposte quattro colgono il tema del testo. L’unica che esula,
fraintendendo completamente il significato del brano è la E. Consideriamo pertanto le
altre soluzioni. La A implica delle considerazioni arbitrarie da parte del candidato. La B
è troppo restrittiva, coglie un aspetto specifico del testo ma non lo rappresenta nell’in-
sieme. La C è troppo generica. La risposta corretta è dunque la D: è esaustiva e coglie il
significato generale del brano.
58 Comprensione dei testi

Nell’individuazione del titolo di un articolo occorre optare per quello che coglie il
significato del testo nel suo insieme. Il titolo non deve fare riferimento a un singolo
passaggio, non deve essere eccessivamente generico, né derivare da una considerazione
Comprensione

arbitraria del lettore.

Consideriamo un altro esempio.


Oggi la salvezza dei popoli non è data dalla semplice salute economica, ma dall’apparato
scientifico-tecnologico che la rende possibile e che deve essere continuamente potenziato
per rispondere alla crescente complessità e pericolosità del mondo attuale. È inevitabile
che il potenziamento crescente della tecnica si scontri con i limiti che la tradizione del-
l’Occidente ha sempre posto a ogni forma di übris (superbia). Il problema decisivo per
la sopravvivenza dell’uomo è se übris sia la volontà di potenza della tecnica o la volontà
di porre limiti alla dominazione tecnologica del mondo. Oggi i popoli non sanno quale
uso fare dei loro templi, ma non possono dimenticare la filosofia, nella quale soltanto è
possibile non dimenticare quel problema. (da Emanuele Severino, Le sfide del sapere, iter,
Treccani, n.8)
Dei cinque titoli proposti per lo scritto di Severino, individuate quello che
esula dai temi trattati:
A) la übris dell’uomo d’oggi
B) rinnovata vitalità della filosofia
C) in che cosa consiste oggi la superbia dell’uomo
D) complessità e pericolosità del mondo
E) non distruggiamo i templi degli dei.
L’esercizio chiede di indicare quale soluzione esuli dai temi trattati, ossia l’unico titolo
che non corrisponde al contenuto del testo di Severino.
Per individuare la risposta corretta bisogna innanzitutto focalizzare il tema del breve pas-
so: Il rapporto di dominazione dell’uomo con il mondo. Una volta chiarita la tesi centrale
è possibile analizzare le diverse soluzioni e considerare se corrispondono effettivamente
all’argomento del brano. Dopo un’attenta lettura è possibile comprendere come la solu-
zione corretta sia la E. L’autore non sostiene che non si debbano distruggere i templi
degli dei, né il lettore potrebbe giungere a tale deduzione. Il testo afferma solamente che
oggi i popoli non sanno quale uso fare dei loro templi, ma non che questi debbano essere
distrutti.

3.2.3 Tesi e concetti del testo


Gli esercizi appartenenti a questa tipologia si basa-
no sulla comprensione del testo. I quesiti di questa
tipologia fanno riferimento a concetti specifici o a
idee puntuali espresse dall’autore. La conferma della
risposta si troverà pertanto in un singolo passaggio
del testo, in una frase o in un paragrafo.
Figura 3.4: La coerenza di un dettaglio
con l’intero brano è un indicatore impor-
Dopo aver letto la domanda è importante af- tante per giungere alla risposta corretta.
frontare il testo nell’ottica di individuare il Nell’immagine ad esempio l’incoerenza
dell’animale con il tipo di sfondo urbano
passaggio in cui viene espresso il concetto in
fa capire che si tratta di una statua.
questione.
Logica 59

Una volta focalizzato il concetto è bene rileggere con attenzione la frase per cercare un
riscontro sulla risposta.
Generalmente si tratta di capire quale affermazione, tra le soluzioni proposte, è coerente

Logica
o incoerente, giustificata o ingiustificata, corretta oppure inconciliabile con il contenuto
del testo.

La prima cosa che fa il naufrago Robinson Crusoe, appena approdato sull’isola, è co-
struirsi un calendario, per sapere quando è domenica e sentirsi idealmente parte di una
comunità. (Spiega Paolo Spinicci, professore di filosofia teoretica all’Università di Mila-
no). Orologi e calendari hanno sempre avuto questa funzione: scandire il tempo obiettivo
ma si sono scontrati con la difficoltà di tenere insieme gli eventi astronomici usati per
definire l’anno, i mesi e i giorni, cioè la rivoluzione della Terra intorno al Sole, le fasi
lunari e la rotazione della Terra su se stessa. In Editti nel 237 a.C., durante il regno di
Tolomeo III Emergete, fu promulgato a Canopo un editto in cui si prescriveva l’inser-
zione di un giorno ogni quattro anni per evitare lo sfasamento del calendario rispetto al
ciclo solare. Bisognava intervenire per impedire la distruzione dell’ordine cosmico. Oggi
la necessità di questo aggancio tra tempo umano e tempo cosmico è avvertita in modo
meno drammatico: il tempo, come dimostra l’ora legale, si plasma sulle esigenze della
società, anche contro il corso del Sole. La marcia verso un orario uguale per tutti è stata
lenta. Probabilmente è iniziata in Europa nel XIV secolo, con la diffusione degli orologi
meccanici sui campanili. Ma quelli scandivano un tempo locale che valeva solo per il vil-
laggio. (da Luca Fraioli, Tempi moderni. Cosı̀ l’umanità ha deciso di sincronizzarsi, in Il
venerdı̀ di Repubblica, 24 marzo 2006)
Individuare quale, tra le seguenti affermazioni, è coerente con il testo
proposto:
A) gli adattamenti del calendario erano eventi periodici frequenti a cui tutti erano
abituati
B) i calendari, attraverso interventi aggiuntivi riportavano la giornata al ritmo del sole
esclusivamente per rispettare i ritmi dei riti religiosi
C) l’ora legale potè affermarsi in Europa con il passaggio dalla società agricola a quella
industriale
D) le variazioni dei calendari erano avversate da alcune religioni perchè determinavano
la distruzione dell’ordine cosmico
E) l’ora legale è fondata su un principio opposto a quello che ha determinato le riforme
storiche dei calendari perchè antepone le esigenze della società al corso del sole
Nel testo possiamo individuare due frasi fondamentali:
Orologi e calendari hanno sempre avuto questa funzione: scandire il tempo obiet-
tivo ma si sono scontrati con la difficoltà di tenere insieme gli eventi astronomici
usati per definire l’anno.
Oggi la necessità di questo aggancio tra tempo umano e tempo cosmico è avvertita
in modo meno drammatico: il tempo, come dimostra l’ora legale, si plasma sulle
esigenze della società.
Una volta focalizzate le due tesi centrali è possibile comprendere come la sola soluzione
corretta sia la E. Questa considerazione infatti è una rielaborazione della frase: Il tempo,
come dimostra l’ora legale, si plasma sulle esigenze della società, anche contro il corso
del Sole.
60 Comprensione dei testi

Le altre alternative, come le risposte A, B e D, sono in contrasto con le argomentazioni


dell’autore, oppure fanno riferimento ad argomentazioni non presenti nel testo, come la
Comprensione

risposta C.

Analizziamo ancora un quesito per acquisire maggiore dimestichezza.

Quanti vestiti e camicie e cravatte ci sono nel vostro armadio? Quanti divani nel vostro
salotto e stoviglie nella vostra cucina? Quanti televisori e computer e stereo ed elettrodo-
mestici in giro per la casa? E quante macchine nel vostro garage? [. . . ] Il 95% di quello
che ci serve ce lo abbiamo già. [. . . ] Se di questi beni ne volessimo di più, non sapremmo
neanche dove metterli. [. . . ] Ci è finito lo spazio. Ma attenzione, solo lo spazio fisico.
Quanta memoria volete nel vostro Pc e quanta banda per le vostre connessioni in rete?
Quanti canali volete in televisione o varietà di voci sulla stampa? Di quanta energia vo-
lete disporre per la vostra casa e per l’ufficio? [. . . ] Mai abbastanza. E qui, invece, di
spazio ne abbiamo a dismisura. Perchè [. . . ] tutti questi beni sono immateriali. Sono bit,
energia, informazioni. [. . . ] Stiamo parlando [. . . ] del sintomo di un trend, in crescita
vigorosa e dilagante. La crescita a due cifre del consumo è ormai diventata appannaggio
dell’immateriale. O della Cina, dove alla saturazione dei beni materiali c’è un bel po’ di
gente che ci deve ancora arrivare. Grande mercato, tenetelo da conto. Finchè dura. (da
Vito Di Bari, La crescita dei beni immateriali, Il sole 24 ore, 14.2.2005)
Una delle affermazioni seguenti risulta ingiustificata alla luce di quanto
affermato nel brano. La si individui:
A) la grande maggioranza dei beni materiali che ci servono li possediamo già
B) la prospettiva di una crescita a due cifre dei nostri consumi di beni materiali sembra
irrealistica
C) anteporre i beni materiali a quelli immateriali è indubbiamente riprovevole
D) la situazione della Cina lascia presagire una vigorosa crescita dei consumi di beni
materiali
E) possiamo aspettarci che crescano a due cifre solo i nostri consumi di beni immateriali
Dopo aver letto il brano analizziamo le soluzioni proposte:
La risposta A è tratta direttamente dal brano: Il 95% di quello che ci serve ce lo abbiamo
già. Lo stesso può dirsi per la risposta E: La crescita a due cifre del consumo è ormai
diventata appannaggio dell’immateriale, e per la D: Cina, dove alla saturazione dei beni
materiali c’è un bel po’ di gente che ci deve ancora arrivare.
Rimangono l’alternativa B e C. Entrambe richiedono un ragionamento sul significato
del testo e una conclusione autonoma da parte del candidato. La B è espressa in modo
ipotetico, ed esprime un’incertezza sulla crescita dei consumi materiali. La C invece è
espressa in modo perentorio, quindi non ammette sfumature. Soprattutto però implica
un confronto di valore tra i beni materiali e quelli immateriali, inesistente nel testo.
Non ci sono elementi per dedurre che sia riprovevole anteporre i beni materiali a quelli
immateriali. Al contrario, nel testo è ben specificato come Ci è finito lo spazio. Ma
attenzione, solo lo spazio fisico. La risposta corretta per tanto è la C perchè l’unica
ingiustificata.

Terminiamo la sezione con un quesito complesso dal punto di vista della lingua.
Logica 61

A uno principe adunque non è necessario avere in fatto tutte le [. . . ] qualità, ma è bene
necessario parere di averle. Anzi ardirò di dire questo, che avendole e osservandole sem-
pre, sono dannose, e parendo di averle sono utili; come parere pietoso, fedele, umano,
intero [onesto], religioso, ed essere; ma stare in modo edificato con l’animo che, biso-

Logica
gnando non essere, tu possa e sappi mutare el contrario. [. . . ] Uno principe [. . . ] non
può osservare tutte quelle cose per le quali gli uomini sono tenuti buoni, sendo spesso
necessitato, per mantenere lo stato, operare contro alla fede, contro alla carità [. . . ]. E
però bisogna che egli abbi uno animo disposto a [. . . ] non partirsi dal bene potendo, ma
sapere intrare nel male, necessitato. (da Niccolò Machiavelli, il Principe, 1513)
Una delle seguenti note di parafrasi distorce il pensiero che il Segretario
fiorentino ha inteso esprimere nel brano riportato. La si individui:
A) un principe non può assoggettarsi alle norme di comportamento che, se osservate
dall’uomo comune, inducono a giudicarlo buono
B) al Principe si conviene, piuttosto che esserlo realmente, apparire pietoso, fedele,
umano, onesto e religioso
C) essere effettivamente pietoso, fedele ecc. potrebbe impedire al Principe di adottare,
all’occorrenza, il comportamento opposto che la situazione imponesse
D) è bene che il Principe, nell’esercizio del potere, adotti sistematicamente una linea
di deliberata trasgressione delle norme etiche e dei precetti della religione
E) in ogni circostanza in cui gli fosse possibile, il Principe non dovrebbe allontanarsi
dal bene ma, ove costretto, dovrebbe anche saper intraprendere il male
La complessità di questo quesito è sostanzialmente linguistica. Il brano è un estratto de Il
Principe di Machiavelli, opera composta nel 1513. Da una lettura attenta tuttavia emerge
come nel testo non ci siano parole arcaiche o incomprensibili, il senso di disorientamento
è dato dall’ordine delle parole che non rispetta quello odierno. Una volta compreso tale
principio il passo si può decifrare con maggiore semplicità.
Tutte le risposte rielaborano con parole più semplici il testo proposto. L’unica alternativa
che distorce il pensiero dell’autore è la D. Machiavelli non dice che il Principe deve
adottare sistematicamente una linea di deliberata trasgressione alle regole, ma piuttosto
che Bisogna che egli abbi uno animo disposto a [. . . ] non partirsi dal bene potendo, ma
sapere intrare nel male, necessitato. Questa frase, più semplicemente, significa: Bisogna
che il Principe, qualora sia possibile, sia disposto a non allontanarsi dal bene, ma nel
caso in cui sia richiesto, sia in grado di agire contro la fede e la carità.

3.2.4 Deduzioni logiche


È una tipologia di quesiti che compare spesso nei Test e necessita di maggiore abilità
da parte del candidato. Per risolvere correttamente gli esercizi non è sufficiente cogliere
il significato generale del brano o di alcuni singoli passaggi. Allo studente è richie-
sto di comprendere le implicazioni logiche del testo e di individuare la deduzione
corretta oppure errata. La scelta della risposta comporta pertanto un ragionamento
supplementare, in grado di valutare conclusioni non dichiarate apertamente nel testo.

Per rispondere a questi quesiti è importante comprendere l’argomentazione sviluppata


dall’autore. Non è necessario prestare attenzione ai singoli dettagli, l’importante è
capire come conseguono le idee espresse nel testo. Una volta compreso il modus
ragionandi dell’autore è possibile dedurre quali pensieri egli sottintenda o non dichiari
espressamente.
62 Comprensione dei testi

Questi quesiti solitamente richiedono di individuare quale sia oppure non sia una
deduzione logica a partire dal testo in questione.
Comprensione

La realtà storica è unica, le diverse discipline e scienze operano su di essa, la interpretano


e la rappresentano attraverso specifici linguaggi, artistici, tecnici, comuni, matematici,
scientifici, musicali, filosofici. Dietro ogni linguaggio c’è un’epistemologia, una partico-
lare struttura logica che coglie una prospettiva, un punto di vista, ma l’acquisizione dei
diversi sistemi concettuali deve essere coerente. È solo l’unità delle prospettive che for-
ma il patrimonio culturale, che consente di cogliere sistemi, connessioni e relazioni nel
tutto. Interdisciplinarità non significa allora fine delle discipline né annullamento delle
differenze. Annullare una disciplina potrebbe comportare la riduzione di una parte del-
la realtà. L’interdisciplinarietà non è un complesso di conoscenze, è una metodologia,
anche didattica, una forma mentis, un modo diverso non solo di costruire conoscenze e
d’insegnare, ma anche di comprendere e di vivere la realtà, l’ambiente socio-culturale e
storico-geografico che ci circonda.
Uno dei più rilevanti problemi del nostro tempo è proprio la sintesi delle conoscenze,
possibile solo in una visione interdisciplinare complessiva che riconduca anche le scienze
e la tecnologia alla ricerca sull’uomo. La sintesi interdisciplinare non è mai una somma,
né il risultato di esemplificazioni: è l’interazione di linguaggi diversi, tradotti, confrontati,
interconnessi e armonizzati attraverso la scoperta di analogie e differenze.
La cultura della complessità si sviluppa in una difficile e sofferta dicotomia tra umanisti e
scienziati, che non sembra ancora riuscire a conciliare la differenziazione e l’autonomiz-
zazione con l’interconnessione sistemica. Scienza e tecnologia debbono tornare a essere
strumenti finalizzati all’uomo, alla sua felicità e libertà, per prevenire quella eliminazione
della libertà personale, quella dittatura non più fisica, ma mentale, ipotizzata da George
Orwell in 1984, attraverso il tentativo di rendere immortale il Grande Fratello. La scuola
deve confrontarsi sulla dicotomia tra la cultura umanistica e quella scientifico-tecnologica,
e i docenti non possono delegare ai singoli studenti il problema, rimasto insoluto all’in-
terno del loro team, di far interagire linguaggi, significati, messaggi ed epistemologie. (da
L. Salvucci, I limiti delle discipline, Iter, IV, 13, 2001. Treccani)
Individuare l’unica affermazione che non è stata dedotta dal testo di L.
Salvucci.
A) i linguaggi specifici delle diverse discipline sono espressione di rappresentazioni della
realtà da prospettive diverse
B) l’interdisciplinarietà consiste nel correlare i diversi sistemi espressivi senza ignorarne
o sminuirne le differenze
C) la struttura logica è identica per tutti i linguaggi e in tutti gli approcci conoscitivi e
proprio questa identità permette di operare un’armonizzazione senza appiattimenti
D) tra i linguaggi disciplinari esistono differenze e analogie che è essenziale riconoscere
se si vuole giungere non ad una somma ma ad una sintesi
E) il patrimonio culturale di un individuo consiste nella consapevolezza delle relazioni
tra le differenti prospettive concettuali
Per svolgere l’esercizio è importante leggere il testo cercando di comprendere il tipo di
ragionamento seguito dall’autore. Il candidato deve capire il procedimento logico e la
dinamica su cui si regge l’argomentazione. Salvucci sostiene:
l’importanza dell’interdisciplinarità,
la peculiarità che caratterizza ogni singola disciplina,
l’arricchimento culturale che deriva da un loro incontro.
Logica 63

Da ciò consegue che la risposta C non può essere una deduzione del testo, secondo questa
soluzione infatti la struttura logica è identica per tutti i linguaggi. L’autore, al contrario,
sostiene che Dietro ogni linguaggio c’è un’epistemologia, una particolare struttura logica
che coglie una prospettiva, un punto di vista.

Logica
Questa tipologia di esercizi richiede un’interpretazione supplementare, che non si limita
a considerare unicamente quanto espresso esplicitamente. Lo studente deve trarre le
conseguenze non dichiarate chiaramente. Una volta compresa la soluzione corretta è
tuttavia consigliabile cercare conferma della risposta direttamente nel testo.
Nel caso riportato come esempio, per avere la certezza che la deduzione scorretta
sia la C è utile individuare il relativo passaggio nel testo: Dietro ogni linguaggio c’è
un’epistemologia, una particolare struttura logica che coglie una prospettiva, un punto
di vista.

Nei Test d’ammissione allo stesso brano possono fare riferimento domande differen-
ti. Tale evenienza implica il vantaggio di risparmiare del tempo per la lettura e la
comprensione di un solo testo. In questi casi le domande devono essere considerate del
tutto autonome e le risposte di un esercizio non devono influenzare quelle dell’esercizio
successivo.

Una sola delle seguenti affermazioni può essere dedotta dal testo di Salvucci:
A) non è lecito finalizzare la scienza, che è autonoma, e la tecnologia alla felicità
dell’uomo
B) differenziazione e autonomizzazione possono essere conciliate ed è interesse di tutti
che si lavori in questa direzione
C) quando non vi riescano i docenti, saranno gli studenti a mettere in relazione le
diverse discipline e metodologie
D) l’interdisciplinarietà permette straordinarie acquisizioni conoscitive in ogni campo
del sapere
E) la tecnologia minaccia sempre inevitabilmente la libertà degli uomini, come dichiara
Orwell nel suo 1984
Una volta compreso il significato del testo ed aver evidenziato i concetti chiave, si può
facilmente comprendere quale sia l’unica deduzione corretta: la risposta B. Salvucci so-
stiene infatti come si possa giungere ad un arricchimento culturale grazie all’incontro e
alla sinergia delle diverse e autonome discipline.
Per eliminare le altre soluzioni è importante individuare i passaggi non conformi
all’affermazione della risposta:
La risposta A sostiene che non è lecito finalizzare la scienza, che è autonoma, e la tecno-
logia alla felicità dell’uomo. Nel testo però si può leggere: Scienza e tecnologia debbono
tornare a essere strumenti finalizzati all’uomo, alla sua felicità e libertà.
La risposta C afferma: quando non vi riescono i docenti, saranno gli studenti a mettere in
relazione le diverse discipline e metodologie. L’autore non sostiene però che i docenti non
riescono a mettere in relazione le diverse discipline ma piuttosto che i docenti non possono
delegare ai singoli studenti il problema di far interagire linguaggi. . . In questo caso è la
sfumatura dei due verbi: riuscire e potere, a differenziare notevolmente il significato della
frase.
64 Comprensione dei testi

La risposta D riporta: l’interdisciplinarietà permette straordinarie acquisizioni conosci-


tive in ogni campo del sapere. L’autore però scrive che L’interdisciplinarietà non è un
Comprensione

complesso di conoscenze, è una metodologia, anche didattica, una forma mentis, un mo-
do diverso non solo di costruire conoscenze e d’insegnare, ma anche di comprendere e
di vivere la realtà, l’ambiente socio-culturale e storico-geografico che ci circonda. Da ciò
non si può dedurre dunque che l’interdisciplinarietà permetta straordinarie acquisizio-
ni conoscitive. L’interdisciplinarietà non permette di conoscere cose straordinarie ma è
un’attitudine, un modo più ampio ed articolato per comprendere la realtà.
La risposta E infine sostiene che la tecnologia minaccia sempre inevitabilmente la libertà
degli uomini, come dichiara Orwell nel suo romanzo 1984. L’autore è meno perentorio,
secondo Salvucci bisogna prevenire che la scienza diventi una minaccia per la libertà.
La scienza e tecnologia debbono tornare a essere strumenti finalizzati all’uomo, alla sua
felicità e libertà, per prevenire quella eliminazione della libertà personale, quella dittatura
non più fisica, ma mentale, ipotizzata da George Orwell in 1984.

Anche in questo caso un singolo termine (prevenire) rappresenta una differenza


contenutistica essenziale.

3.2.5 Tono e spirito del brano


Queste prove sono più rare negli esami di ammis-
sione. Si tratta di esercizi in cui lo studente de-
ve riconoscere e comprendere il tono e lo spirito
del brano (ironico, critico, divulgativo, apologetico,
propagandistico. . . ).

Per rispondere correttamente a questi quesiti è


importante cogliere lo stile del testo, il modo in
cui l’autore decide di esprimere le proprie idee. A
seconda della scelta delle parole infatti lo stesso Figura 3.5: L’immagine di una spiag-
gia può avere un tono gioioso, se pie-
concetto può assumere sfumature molto diverse. na di bagnanti, o malinconico come in
questo caso. Allo stesso modo un te-
Facciamo un esempio: sto è caratterizzato da una determinata
sfumatura.
Questo libro è avvincente. Si legge tutto d’un fiato.
Questo libro è talmente avvincente che ci vuole la maschera d’ossigeno per leggerlo.

Le due frasi, sebbene molto simili nella prima parte: Questo libro è avvincente, espri-
mono due concetti diversi. La prima è un’affermazione neutra e veritiera. La seconda è
evidentemente ironica ed esprime esattamente il concetto contrario di quanto dichiarato
in prima battuta.

Diamo una breve definizione dei diversi caratteri che può assumere un testo.

Tono ironico: Lo scrittore tratta un argomento con apparente serietà, la sua


finalità è però quella di schernire l’oggetto o il soggetto del testo.
Logica 65

Tono critico: L’autore si dimostra apertamente contrario e polemico nei


confronti di una situazione, un’idea, una tendenza.

Logica
Testo divulgativo: Il brano si propone di far conoscere un’idea, un argomen-
to. Il linguaggio è solitamente molto semplice, proprio per far conoscere il
contenuto al maggior numero di persone possibile.
Testo apologetico: Questi testi sono scritti in difesa di una persona o un
comportamento precedentemente criticati o accusati.
Testo propagandistico: Spesso utilizzato in politica, ha lo scopo di
convincere e persuadere i lettori a sostenere l’idea o il personaggio
propagandato.

Talvolta possono anche essere presenti quesiti che richiedono di comprendere l’epoca
e il luogo in cui si svolgono gli avvenimenti oppure il destinatario dello scritto. In
questo caso è bene prestare attenzione ai dettagli del testo che possono rivelarsi delle
utili spie per comprendere delle informazioni non espresse chiaramente.

Quello che impera oggi, non solo nel campo dello spettacolo, dove in fondo è abbastanza
naturale e consueto, ma anche in campo politico, letterario, filosofico e persino, talora,
scientifico, è il pettegolezzo. Sarà perchè le portinerie sono ormai un lusso di condomini
o ville per pochi privilegiati, ora il pettegolezzo da portineria è uscito dai sottoscala e ha
fatto fuori l’interpretazione sociologica, la lettura marxiana e quella psicanalitica degli
eventi e delle biografie, l’impostazione crociana e quella strutturalista dell’analisi dei te-
sti poetici, persino la discussione sui progressi (perniciosi) delle scienze e sulla dittatura
(catastrofica) della tecnologia. Oggi gli intellettuali cercano le lettere di Einstein alle sue
amanti, indagano sulla vanità di Goethe e del dottor Barnard, scrutano la corrispondenza
privata di Churchill e la miopia di Toscanini, si deliziano dell’agorafobia di Manzoni e
della gobba di Leopardi, interrogano medici, servitori, mogli tradite, eredi delusi. . . perchè,
come insegna Montaigne, nessuno è grande per il proprio cameriere. E la grandezza di-
sturba, non suscita nemmeno invidia ma fastidio, ci offre il metro per misurare la comoda,
ottusa e pigra mediocrità. Di cui tuttavia non riusciamo sotto sotto a non vergognarci.
(da Enrico Orlando, La vendetta dei pettegoli, ed. N.A, 2004)
Individuare il tono del brano:
A) polemico
B) apologetico
C) divulgativo
D) ironico
E) propagandistico
Il tono del brano è ironico. A sostegno della propria tesi l’autore riporta esempi buffi e
parodistici per far comprendere al lettore come, per esorcizzare la grandezza altrui, ci sia
la tendenza a sminuire i meriti dei grandi personaggi.
Il distrattore è rappresentato dalla risposta A.
66 Comprensione dei testi

L’autore potrebbe infatti apparire polemico nei confronti degli intellettuali che si soffer-
mano sulla gobba di Leopardi o la miopia di Toscanini piuttosto che sulle loro opere.
Comprensione

Questo brano però è vivace, brioso, scherzoso e simpatico, come lo dimostra l’espressione
Sarà perchè le portinerie sono ormai un lusso di condomini o ville per pochi privilegiati,
ora il pettegolezzo da portineria è uscito dai sottoscala e ha fatto fuori l’interpretazione
sociologica, la lettura marxiana. Enrico Orlando ha adottato dunque uno stile ironico.

Riferiamoci ancora al testo dell’esercizio precedente per affrontare un ulteriore quesito.

Individuare il bersaglio polemico che non è presente nel testo


A) l’invidia che suscita sempre chi riconosciamo grande, migliore di noi
B) la preminenza data dall’informazione ad argomenti poco significativi e scandalistici
C) il rifiuto di tutto ciò che potrebbe indurre consapevolezza e insoddisfazione di sè
D) la pigrizia esistenziale che vorrebbe soffocare ogni turbamento
E) il catastrofismo di moda nei confronti delle scienze e della tecnica
L’ironia spesso ha un bersaglio, si rivolge contro un’idea, un personaggio, una mo-
da. . . Nelle ultime righe del brano emerge chiaramente il messaggio del testo: La grandezza
altrui suscita turbamento, disagio, diventa specchio della propria mediocrità. La risposta
corretta dunque è la A.
La B non rappresenta un bersaglio polemico non presente, in quanto nel testo sono
presenti numerosi esempi di argomenti poco significativi.
La soluzione C considera il pettegolezzo come conseguenza del rifiuto di tutto ciò che
potrebbe indurre consapevolezza e insoddisfazione di sè. Il rifiuto tuttavia si manifesta
con la negazione, l’omissione. Il fatto che si dia rilievo al pettegolezzo non rappresenta
un rifiuto.
La risposta D travisa il significato del testo. La pigrizia esistenziale non è all’origine
della tendenza al pettegolezzo intellettuale, quanto piuttosto una presa di coscienza della
propria mediocrità davanti alla grandezza di alcuni artisti. La E non ha alcun presupposto
nel testo.
Logica argomentativa
(Cambridge)
4
A partire dai test 2013 il MIUR ha introdotto alcune tipologie di quesiti di logica che
fino a quel momento non comparivano nei test di ammissione. Poiché questi quesiti sono
realizzati dalla Cambridge Assessment, un’organizzazione internazionale specializzata
nella preparazione di test di ammissione originaria di Cambridge, si è diffusa la pratica
di identificarli come “quesiti Cambridge”.
Si tratta di quesiti in cui al candidato viene presentato un brano di lunghezza
medio/breve su cui vanno svolte operazioni di analisi più specifiche rispetto a quelle
necessarie per risolvere i quesiti di comprensione brani di cui ci siamo occupati nella
sezione precedente. Poiché le operazioni da compiere riguardano gli argomenti contenuti
nei brani proposti, di seguito ci riferiremo a questa tipologia di quesiti come “logica
argomentativa”.
Una prima differenza rispetto ai quesiti di comprensione tradizionali sta nel modo
in cui vengono poste le domande: i quesiti di logica argomentativa possono infatti es-
sere identificati dalla presenza di una tra sette diverse domande, presentate in forma
standardizzata (cioè sempre in modo identico), che fanno riferimento ad altrettante ope-
razioni di tipo logico da svolgere sugli argomenti contenuti nei brani. Queste operazioni
e le domande che le introducono sono presentate nella tabella 4.1.
Le prime due tipologie di quesiti (Esprimere il messaggio principale e Trarre una
conclusione) chiedono di effettuare un’analisi generale del significato del brano e sta-
bilire quale tra le alternative di risposta sia deducibile dal testo. Questi particolari
tipi di quesiti non si discostano molto dai quesiti di comprensione visti nelle sezioni
precedenti, a cui si rimanda per maggiori dettagli sulle possibili strategie risolutive.
Tutte le altre tipologie (dalla 3 alla 7) richiedono l’utilizzo di tecniche e accorgimenti
più specifici e saranno considerate singolarmente di seguito.

4.1 Accorgimenti generali


Prima di passare all’analisi delle singole tipologie diamo uno sguardo ad alcune regole
generali utili per la risoluzione di tutti i quesiti di analisi logico/argomentativa.

Solo le informazioni contenute nei brani sono rilevanti

Quando si analizza un brano, tutte le informazioni in nostro possesso sul tema trat-
tato che non sono esplicitamente espresse dal brano o dalle opzioni di risposta sono
irrilevanti e non vanno considerate. Se, ad esempio, in un brano leggiamo che negli
animali la misura del cervello cresce in proporzione alla misura del corpo, ma d’altra
parte sappiamo che questa correlazione non è sempre vera, dobbiamo mettere da parte
le nostre conoscenze e limitarci a quanto stabilito nel brano.
In termini logici, diciamo che il contenuto del brano va assunto come vero. L’obiet-
tivo di questi quesiti non è quello di stabilire se le conoscenze dei candidati su un certo
68 Logica argomentativa (Cambridge)

Operazione da svolgere
Cambridge

Esprimere il messaggio principale


1 Domanda nella traccia
Quale delle seguenti affermazioni esprime il messaggio principale del brano
precedente?
Operazione da svolgere
Trarre una conclusione
2 Domanda nella traccia
Quale delle seguenti affermazioni è totalmente sostenuta dal brano precedente?
Operazione da svolgere
Riconoscere una supposizione implicita
3
Domanda nella traccia
Su quale supposizione implicita si basa il brano precedente?
Operazione da svolgere
Rafforzare o indebolire un’argomentazione
Domanda nella traccia
4 a) Quale delle seguenti affermazioni, se considerata vera, indebolisce l’argomentazio-
ne precedente?
b) Quale delle seguenti affermazioni, se considerata vera, rafforza l’argomentazione
precedente?
Operazione da svolgere
Identificare il passaggio logico errato
5 Domanda nella traccia
Quale delle seguenti risposte costituisce il passaggio logico errato nel brano
precedente?
Operazione da svolgere
Individuare ragionamenti analoghi
6 Domanda nella traccia
Quale delle seguenti affermazioni segue la stessa struttura logica del suddetto
ragionamento?
Operazione da svolgere
Individuare e applicare un principio
7 Domanda nella traccia
Quale delle seguenti affermazioni mette in luce il principio che sta alla base del brano
precedente?

Tabella 4.1: Operazioni nei quesiti di analisi logico-argomentativa.


Logica 69

ambito sono corrette (altrimenti saremmo davanti ad un quesito di cultura generale o


di una disciplina specifica) ma quello di valutare se il candidato sia in grado di cogliere
i passaggi logici che costituiscono un certo ragionamento.

Logica
La funzione e i significati dipendono dal contesto

Questa è la regola pratica più importante da tenere a mente. Anche se indubbiamente


ci sono degli elementi comuni che permettono di fornire delle linee guida generali per
l’analisi dei brani, ogni brano è un caso a sé e va analizzato tenendo conto delle sue
specificità. Un brano va considerato come un contesto autonomo, da cui dipendono le
funzioni di ogni particella linguistica e ogni asserzione che lo compongono.

Ogni brano contiene una struttura logico/argomentativa più o meno


evidente

Nei quesiti di analisi logico/argomentativa abbiamo sempre a che fare con brevi testi
(brani) che contengono un argomento, ovvero un insieme di asserzioni divise in un certo
numero di premesse e una conclusione. Imparare a individuare la struttura argomen-
tativa dei brani semplifica l’analisi perché ci permette di concentrare l’attenzione sulla
struttura logica e non farci distrarre dalla particolare forma che un argomento assume
nella lingua italiana.
Consideriamo ad esempio il seguente brano:

Vi è stato un momento storico in cui la situazione economica impose al Governo italiano


di sostenere direttamente la Lira nei mercati valutari o, altrimenti, di innalzare i tassi
d’interesse. Tuttavia, il Governo non potè alzare il tasso di interesse in quanto questo
avrebbe significato un suicidio politico. Il Governo, pertanto, dovette sostenere la Lira,
sebbene l’operazione si sia rivelata costosa.

Da un punto di vista logico, il brano sopra è equivalente al seguente argomento:


Premessa 1. Il governo sostiene la Lira o innalza i tassi di interesse
Premessa 2. Il governo non innalza i tassi di interesse
Conclusione. Il governo sostiene la Lira

La struttura logica è sempre costituita da un certo numero di premesse e una con-


clusione e va ricostruita partendo dall’individuazione della conclusione e muovendo a
ritroso fino alle premesse. Per individuare la conclusione dobbiamo focalizzare la nostra
attenzione su due elementi: posizione e ruolo.

Nella stragrande maggioranza dei casi, la conclusione sarà collocata o alla fine (come
nell’esempio sopra) o all’inizio di un brano. Casi in cui la conclusione si trova in altre
posizioni (al centro) sono estremamente rari.

Per quanto riguarda il ruolo, bisogna ricordare che la conclusione segue logicamen-
te le premesse, ovvero deve essere una loro conseguenza. Per aiutarci ad individuare
la parte del brano che segue dalle altre (la conclusione) possiamo provare a cercare
70 Logica argomentativa (Cambridge)

delle particelle specifiche che nella lingua italiana hanno la funzione di introdurre la
conclusione. Nel nostro esempio, la particella che introduce la conclusione è pertanto.
Cambridge

Le particelle italiane che più frequentemente sono utilizzate per introdurre le conclusioni
sono le seguenti:
quindi, pertanto, in conclusione, vediamo che, è evidente che, in ultima analisi, segue
che, ciò dimostra che, ecc.

Bisogna prestare particolare attenzione a particelle come perciò e perché, che pur po-
tendo essere usate per introdurre una conclusione possiedono anche altre funzioni e
possono quindi trarre in inganno. Infine, è bene notare che quando la conclusione è col-
locata all’inizio di un brano non è generalmente introdotta da una particella specifica
(vedremo un esempio di questo caso più avanti).

Individuare correttamente la conclusione permette di facilitare notevolmente lo


svolgimento di alcune operazioni sui brani, quali l’individuazione di asserzioni che
indeboliscono l’argomento o degli errori logici (vedremo esempi specifici più avanti).

Una volta individuata la conclusione il passo successivo è l’individuazione delle premes-


se. In genere ogni premessa corrisponde ad un periodo grammaticale italiano, quindi è
sufficiente individuare i periodi che compongono il brano (generalmente sono separati
da punti o punti e virgola) e riscriverli separatamente come premesse.
Il lettore attento avrà notato che nella struttura argomentativa estratta dal brano
precedente molti elementi del brano originale sono scomparsi. Vediamo quindi come
fare per eliminare gli elementi ridondanti di un brano.

Molti elementi di un brano possono essere trascurati nell’analisi della


sua struttura argomentativa

Proviamo a riscrivere il brano precedente eliminando tutti i termini che non fanno parte
della struttura logica:

Vi è stato un momento storico in cui la situazione economica impose al Governo italiano


di sostenere direttamente la Lira nei mercati valutari o, altrimenti, di innalzare i tassi
d’interesse. Tuttavia, il Governo non potè alzare il tasso di interesse in quanto questo
avrebbe significato un suicidio politico. Il Governo, pertanto, dovette sostenere la Lira,
sebbene l’operazione si sia rivelata costosa.

Come si vede la gran parte del brano originale viene di fatto ignorata nell’analisi della
struttura logica.
Logica 71

In linea generale, i seguenti elementi non hanno una funzione logica specifica e
possono essere ignorati:

tempi verbali (tutte le asserzioni si considerano al presente);

Logica
espressioni di enfasi: è ovvio che, è evidente che, ecc.;
descrizioni: elementi che si limitano a descrivere un contesto ma non
aggiungono informazioni rilevanti.

È importante non dimenticare che ogni brano è un caso a sé e che un particella o
elemento superfluo in un brano può essere fondamentale in un altro. Per questo motivo
è necessario, in fase di preparazione, svolgere quanti più quesiti possibile, in modo da
abituarsi a riconoscere la struttura logica, le particelle superflue, ecc.

Alcuni elementi hanno una funzione logica specifica e vanno evidenziati

Dopo aver eliminato le parti ridondanti possiamo focalizzare l’attenzione sugli elementi
superstiti, alla ricerca di particelle logiche che svolgono ruoli specifici e ci permettono
di portare a termine alcune operazioni sui brani. Queste particelle prendono il nome di
connettivi e connettono tra loro le diverse asserzioni che costituiscono le premesse o la
conclusione.

Scriviamo il brano precedente, semplificato e con i connettivi in evidenza:


Vi è stato un momento storico in cui la situazione economica impose al Governo italiano
di sostenere direttamente la Lira nei mercati valutari o, altrimenti, di innalzare i tassi
d’interesse. Tuttavia, il Governo non potè alzare il tasso di interesse in quanto questo
avrebbe significato un suicidio politico. Il Governo, pertanto, dovette sostenere la Lira,
sebbene l’operazione si sia rivelata costosa.

o e non sono gli unici due connettivi presenti nel brano: il primo unisce le due asser-
zioni che formano la prima premessa, mentre il secondo nega la seconda premessa. Se
includiamo le informazioni sui connettivi nella struttura argomentativa otteniamo:

Premessa 1. Il governo sostiene la Lira o innalza i tassi di interesse


Premessa 2. Il governo non innalza i tassi di interesse
Conclusione. Il governo sostiene la Lira

L’individuazione dei connettivi è utile sopratutto per confrontare (rispetto alla


struttura logica) tra loro gli argomenti contenuti in brani diversi, una delle possibili
richieste che accompagnano questi brani.

I connettivi logici vengono divisi in cinque categorie (negazioni, congiunzioni, disgiunzio-


ni, implicazioni, doppie implicazioni), ognuna delle quali può essere espressa da diverse
particelle italiane. Nella Tabella 4.2 riportiamo le forme più frequenti.
72 Logica argomentativa (Cambridge)

Anche per quanto riguarda i connettivi non bisogna dimenticare che in alcuni casi
il contesto può contribuire a determinare o modificare la funzione di una specifica
particella.
Cambridge

Negazioni non, è falso che


Congiunzioni e, mentre, anche se, nonostante
Disgiunzioni o, e/o, oppure
Implicazioni se. . . allora, se, solo se, dato che, condizione necessaria,
condizione sufficiente
Doppie implicazioni se e solo se, condizione necessaria e sufficiente

Tabella 4.2: Principali connettivi logici.

4.2 Riconoscere una supposizione implicita


Consideriamo un quesito che ci chiede di individuare la supposizione implicita all’in-
terno di un brano.

Nella moderna società americana il successo viene spesso correlato alla quantità di beni
materiali posseduti. La carenza di beni materiali viene reputata come una mancanza di
successo personale. Coloro che possiedono scarsi beni materiali, quindi, devono avvertire
un grosso senso di fallimento.
Su quale supposizione implicita si base il brano precedente?
A) la maggioranza degli americani ha successo
B) il successo può essere misurato precisamente
C) il desiderio eccessivo per i beni materiali crea problemi psicologici
D) in America coloro i quali possiedono pochi beni materiali desiderano essere
considerate persone di successo
E) l’eccessiva attenzione data ai beni materiali crea tensioni sociali

Una supposizione implicita non è altro che una premessa necessaria per rendere valido
un argomento che non viene però esplicitata.

Il termine tecnico per indicare gli argomenti che non esplicitano tutte le premesse
necessarie è entimematici. Poiché il nostro compito è quello di individuare una premessa
non espressa dall’argomento contenuto nel brano, cerchiamo di estrarre la struttura
argomentativa, partendo dall’individuazione della conclusione e muovendo a ritroso
verso le premesse.
Logica 73

Notiamo subito che l’ultimo periodo contiene un quindi, una delle particelle che intro-
ducono la conclusione, e quindi ipotizziamo che l’ultimo periodo del brano contenga la
conclusione. La scriviamo eliminando contemporaneamente tutto quello che ci sembra
ridondante (tempi verbali, enfasi, ecc.):

Logica
Conclusione. Chi non possiede beni materiali avverte un senso di fallimento

Passiamo alla ricerca delle premesse. Escludendo il periodo che contiene la conclusione
nel brano contiamo altri due periodi che potrebbero contenere due premesse distinte.
Leggendoli con attenzione dovremmo però notare che il secondo non è altro che una
specificazione del primo: il primo periodo dice che esiste una correlazione tra successo e
possesso di beni materiali; il secondo che questa correlazione è diretta, ovvero che ad una
minore quantità di beni è correlato un minore successo. Scriviamo quindi l’unica premessa
del nostro argomento, sempre eliminando tutto ciò che è logicamente ridondante:

Premessa 1. Chi non possiede beni materiali non ha successo


Conclusione. Chi non possiede beni materiali avverte un senso di fallimento

Anche senza considerare le risposte dovremmo percepire che a questo argomento manca
qualcosa, e cioè un legame tra la mancanza di successo e la sensazione di fallimento. La
forma corretta dell’argomento precedente sarebbe infatti:

Premessa 1. Chi non possiede beni materiali non ha successo


Premessa 2. Tutti coloro che non possiedono beni li desiderano
Conclusione. Chi non possiede beni materiali avverte un senso di fallimento

Senza la premessa 2 non è possibile concludere che chi non possiede beni materiali si
sente un fallito, poiché è tranquillamente possibile che ci sia qualche individuo per nulla
interessato ai beni materiali (pensiamo ad un eremita o ad un monaco di clausura) che
non si sente affatto fallito. Se, al contrario, includiamo una premessa che ci garantisce
che tutti desiderano possedere beni materiali, allora è corretto concludere che chi non
possiede beni materiali (e quindi non ha successo) si sente un fallito.
Alla luce di questa semplice riflessione è ovvio che la risposta corretta deve essere la D
che certifica che tutti desiderano possedere beni materiali. Notiamo che poiché il quesito
parla dell’America, la risposta D si riferisce a tutti gli americani. Questo è un dettaglio
logicamente irrilevante, il quesito sarebbe stato equivalente se si fosse parlato di tutti gli
uomini del mondo.
Notiamo anche che in questo caso specifico tutte le altre opzioni di risposta contengono
elementi irrilevanti rispetto all’argomento espresso dal brano: per essere una potenziale
premessa implicita, un’opzione di risposta deve limitarsi a citare gli elementi già con-
siderati nel brano (possesso di beni, successo, senso di fallimento), mentre le opzioni di
risposta A, B, C, E introducono tutte degli elementi estranei al brano quali la maggioranza
degli americani, i problemi psicologici, la misura precisa del successo e le tensioni sociali.
Per questo motivo possiamo scartarle immediatamente come estranee all’argomento che
stiamo analizzando.
74 Logica argomentativa (Cambridge)

4.3 Rafforzare o indebolire un’argomentazione


Consideriamo un quesito che ci chiede di indebolire un’argomentazione:
Cambridge

Nell’industria tessile le microfibre sintetiche sono sempre più diffuse a scapito delle fibre
naturali, a causa della maggiore resistenza nel tempo e del miglior impatto sulle risorse
naturali. D’altra parte, produrre un qualsiasi tessuto in microfibre sintetiche costa fino a
3 volte più di uno di fibre naturali, e quindi allo stato attuale il passaggio alle microfibre
sintetiche non è consigliabile da un punto di vista finanziario.
Quali dei seguenti enunciati, se vero, indebolisce l’argomento precedente?
A) garantire una buona durata ai capi di abbigliamento in fibra naturale è meno
dispendioso che garantire una buona durata ai capi di qualsiasi altro materiale
B) l’utilizzo di microfibre sintetiche richede il rinnovamento delle fabbriche e
l’assunzione di manodopera extra
C) mentre il costo di produzione delle microfibre sintetiche rimarrà stabile in futuro,
quello delle fibre naturali sarà ridotto grazie all’introduzione di nuovi programmi
di riciclaggio dei tessuti
D) il costo degli smacchiatori per le microfibre sintetiche è verosimilmente maggiore
rispetto al costo degli smacchiatori per fibre naturali
E) la manutenzione di un prodotto in microfibra sintetica costa la metà rispetto alla
manutenzione richiesta da un prodotto in fibra naturale
Anche in questo caso è utile estrarre la struttura argomentativa del brano e anche in
questo caso un quindi nell’ultimo periodo ci indica la conclusione:

Conclusione. Il passaggio alle microfibre sintetiche non è consigliabile da un punto


di vista finanziario

Poiché quello che ci interessa è indebolire la conclusione, non è necessario individuare


anche le premesse fornite dalla traccia: possiamo passare direttamente all’analisi delle
opzioni di risposta. Quello che cerchiamo è un’asserzione da cui dedurre che le microfibre
sintetiche non sono poi tanto più costose di quelle naturali.
La risposta A rafforza la conclusione, perché stabilisce che anche per quanto riguarda
la garanzia di una buona durata, le microfibre sintetiche sono più dispensiose di quelle
naturali.
La risposta B rafforza la conclusione, perché stabilisce che le microfibre sintetiche
richiede il rinnovamento delle fabbriche e maggiore manodopera.
La risposta C rafforza la conclusione, perché stabilisce in futuro le fibre naturali saranno
ancora meno costose di quanto non lo so no ora.
La risposta D rafforza la conclusione, perché stabilisce che il costo degli smacchiatori è
maggiore per le fibre sintetiche rispetto a quelle naturali
La risposta E indebolisce la conclusione, perché stabilisce che la manutenzione delle
fibre sintetiche è meno costosa rispetto a quella delle fibre naturali.

Consideriamo ora il quesito seguente, che ci chiede di rafforzare un’argomentazione.


Logica 75

I calcolatori dovrebbero essere proibiti nelle scuole finché i bambini non imparano a svol-
gere i calcoli aritmetici a mente. È importantissimo che i bambini imparino a svolgere i
calcoli a mente o scrivendoli. Ad esempio nelle scienze mediche il ricorso eccessivo ai cal-
colatori ha portato a clamorosi errori di sovra o sotto dosaggio perché i medici non erano

Logica
in grado di calcolare le dosi corrette a mente né di identificare una risposta incorretta del
calcolatore.
Quale delle seguenti affermazioni, se considerata vera, rafforza l’argomentazione
precedente?
A) gli errori di sotto o sovra dosaggio non sono dovuti all’incapacità di svolgere i calcoli
a mente ma piuttosto all’incapacità di usare la calcolatrice
B) i medici che superano un semplice test di aritmetica compiono meno errori di
dosaggio rispetto ai medici non lo superano
C) l’eccesso di fiducia nei calcolatori porta ad approssimazioni più rilevanti nel calcolo
delle dosi
D) i medici che usano la calcolatrice sono molto più rapidi nel risolvere i problemi di
dosaggio
E) nessuna delle precedenti

A differenza dei casi considerati finora, questo argomento presenta una struttura più
complessa, in cui una conclusione parziale viene riutilizzata come premessa per un
argomento generale. Possiamo rappresentare la struttura nella Tabella 4.3.

Argomento Argomento
principale subordinato
Premessa 1.1. i medici che si affidano ai calcolatori non
sono in grado di calcolare le dosi corrette
e di identificare gli errori.
Premessa 1.
Conclusione. Il ricorso eccessivo ai calcolatori porta i
medici a commettere errori di dosaggio
Premessa 2. La capacità di svolgere calcoli corretti a mente si sviluppa nell’infanzia
(implicita)
Conclusione. I calcolatori devono essere vietati finché i bambini non imparano a svolgere
i calcoli a mente

Tabella 4.3: Analisi di un argomento complesso.

Come si vede dalla struttura, l’argomento presentato dal brano comprende un argomen-
to principale (relativo all’utilità di vietare le calcolatrici nelle scuole) e uno subordinato
che viene usato come premessa per quello generale e si basa su un esempio specifico di
come l’incapacità di svolgere calcoli a mente sia fonte di errori.
76 Logica argomentativa (Cambridge)

Come si può intuire anche leggendo le risposte, l’argomento che ci interessa per risolvere il
quesito è quello subordinato, quello principale può essere del tutto trascurato. Indichiamo
quindi la conclusione dell’argomento subordinato.
Cambridge

Conclusione. Il ricorso eccessivo ai calcolatori porta i medici a commettere


errori di dosaggio

Possiamo quindi passare all’analisi delle risposte:


La risposta A indebolisce la conclusione, perché stabilisce che gli errori medici non sono
dovuti all’incapacità di svolgere calcoli a mente ma piuttosto all’incapacità di usare la
calcolatrice.
La risposta B rafforza la conclusione, perché stabilisce che i medici capaci di svolgere
calcoli a mente commettono meno errori dei loro colleghi incapaci.
La risposta C rafforza la conclusione, perché stabilisce che i medici che si affidano ai
calcolatori tendono ad approssimare con più disinvoltura.
La risposta D è irrilevante per l’argomento, perché parla della velocità di risoluzione
con o senza calcolatrice quando il problema è la correttezza dei risultati, non la velocità.
Dalla nostra analisi emerge che due opzioni di risposta rafforzano l’argomento. Anche se
la traccia non lo rende esplicito, in questi casi la risposta corretta è quella che rafforza
di più l’argomento. Poiché la conclusione cita esplicitamente gli errori dovuti all’uso
della calcolatrice, la risposta più idonea a rafforzare l’argomento è la B, proprio perché
stabilisce che i medici capaci di svolgere calcoli a mente commettono meno errori degli
altri. Pur rafforzando la conclusione, la risposta C non fa riferimento esplicito ad una
riduzione degli errori, ma si limita a stabilire che la calcolatrice induce ad approssimazioni
più disinvolte (che non necessariamente sono errori).

4.4 Identificare il passaggio logico errato


Consideriamo un quesito che ci chiede di identificare il passaggio logico errato all’interno
di un argomento.

Alcuni disabili trovano difficile l’accesso ad alcuni tra gli edifici pubblici più antichi a
causa della presenza di gradini all’ingresso. Molto spesso il problema viene risolto grazie
all’installazione di rampe d’accesso. Tutti gli edifici pubblici devono essere accessibili a
tutti, pertanto tutti devono essere provvisti di rampe d’accesso.
Quale delle seguenti asserzioni costituisce il passaggio logico errato nel brano?
A) gli edifici pubblici inaccessibili dovrebbero essere sostituiti con edifici accessibili a
tutti
B) alcuni edifici pubblici antichi possono risultare accessibili ai disabili anche senza
rampe d’accesso
C) è irragionevole suggerire che i disabili possano accedere a tutti gli edifici pubblici
D) i disabili devono aver accesso a tutti gli edifici, non solo a quelli pubblici, pertanto
tutti gli edifici dovrebbero avere rampe d’accesso
E) l’installazione di rampe in tutti gli edifici pubblici sarebbe estremamente costosa

Cerchiamo di estrarre la struttura argomentativa del brano proposto. L’ultimo periodo


contiene un pertanto che ci suggerisce la posizione della conclusione.
Logica 77

Conclusione. Tutti gli edifici devono essere provvisti di rampe d’accesso

Le premesse sono contenute nei primi due periodi del brano. Come al solito semplifichiamo
il più possibile il testo eliminando tutte le parti logicamente ridondanti:

Logica
Premessa 1. Alcuni disabili hanno problemi di accesso rispetto ad alcuni edifici
pubblici
Premessa 2. Qualche problema di accesso si risolve installando rampe
Conclusione. Tutti gli edifici pubblici devono essere provvisti di rampe d’accesso

Notiamo che nella semplificazione il passaggio Molto spesso il problema viene risolto è
diventato Alcuni problemi. . . . Questo perché in logica sono previsti due soli quantificatori:
tutti e qualche. Tutto quello che non si può rendere con tutti va reso con qualche, quindi
anche espressioni come la maggior parte, spesso, il 99% dei casi, ecc.
Fatta questa precisazione soffermiamoci un attimo sulla struttura argomentativa che
abbiamo estratto. Anche senza considerare le risposte è evidente che l’argomento ha
qualcosa che non va: dal fatto che qualche disabile ha problemi con qualche edificio
che qualche volta viene risolto installando una rampa, si conclude che tutti gli edifici
devono installare una rampa.
L’errore sta quindi nel passare dal caso in cui qualche volta la rampa è utile a quello in
cui è sempre utile e la risposta che meglio descrive questo passaggio errato è la B, in cui
giustamente si fa notare che ci sono anche edifici antichi accessibili senza rampa, quindi
non c’è bisogno di installare una rampa in ogni edificio.
Consideriamo le opzioni di risposta scorrette:
La risposta A non descrive un errore logico ma si limita a proporre una conclusione
alternativa per l’argomento: invece di installare rampe sostituiamo gli edifici inacessibili.
Il nostro compito però non è quello di trovare conclusioni alternative ma piuttosto di
individuare errori logici nell’argomento cosı̀ com’è presentato, quindi la risposta A non
fa al caso nostro.
La risposta C esprime un giudizio di valore sul problema dell’accesso dei disabili e
stabilisce che è irragionevole pensare di risolverlo. Ancora una volta non è questo il
nostro compito, quello che ci interessa è trovare l’errore logico, non esprimere giudizi
sulla reale possibilità di risolvere un problema.
La risposta D, come la A, propone di sostituire la conclusione con un’altra. Non è questo
il nostro compito.
La risposta E, come la C, esprime un giudizio sui costi di installazione delle rampe.
Anche questo tipo di riflessione non ha nulla a che fare con la ricerca di errori logici
nell’argomento di partenza.

L’errore logico commesso nel brano rientra nella categoria delle fallacie, errori di ragio-
namento più o meno comuni dovuti alla naturale preferenza per i ragionamenti semplici,
anche quando sono logicamente scorretti.

In tutti i quesiti in cui la traccia chiede di individuare l’errore logico, quello che si sta
chiedendo al candidato è di cercare la fallacia commessa dall’autore di un certo brano.
78 Logica argomentativa (Cambridge)

Le fallacie sono nell’ordine delle centinaia (si potrebbe scrivere un intero manuale
solo per elencarle e spiegarle) ma fortunatamente non è necessario conoscerle tutte e
una lettura attenta del brano e delle opzioni di risposta dovrebbero essere sufficienti
Cambridge

per identificarle.

D’altra parte, poiché alcune fallacie sono molto frequenti, ne riportiamo la descrizione
con un breve esempio esplicativo nella Tabella 4.4.

Fallacie comuni
Nome Generalizzazione indebita (secundum quid)
Descrizione Dedurre una premessa generale da premesse particolari
Esempio Ho sempre visto corvi neri, quindi tutti i corvi sono neri
Nome Falsa causa (post hoc ergo propter hoc)
Descrizione Scambiare una causa per un effetto o una correlazione per una
relazione causa-effetto
Esempio 1) Le persone gravemente malate sono spesso depresse, quindi la
depressione è la causa delle malattie gravi.
2) Tutte le volte che Piero va a Parigi piove, quindi Piero è la causa
della pioggia a Parigi.
Nome Uomo di paglia
Descrizione Ricostruire una tesi avversa in modo diverso da come è stata
presentata
Esempio Paolo dice: I fumatori devono pagare per le loro spese mediche; Mario
ribatte: è assurdo sostenere che tutti quelli che non hanno uno stile
di vita sano devono pagare per le loro spese mediche! (Paolo non ha
mai parlato di tutti quelli che non hanno uno stile di vita sano)
Nome Petizione di principio (petitio pincipii)
Descrizione Assumere la conclusione che si vuole raggiungere come premessa
Esempio Paolo: Dio esiste perché lo dice la Bibbia; Mario: e come sai che la
Bibbia dice il vero? Paolo: Perché l’ha scritta Dio.
Nome Lo fai anche tu/Lo fanno tutti (tu quoque)
Descrizione Considerare un’azione legittima solo perché è stata compiuta
dall’interlocutore o viene compiuta abitualmente
Esempio 1) Paolo: Evadere le tasse è sbagliato; Mario: Ma anche tu qualche
anno fa hai evaso, quindi non puoi dire che è sbagliato.
2) Paolo: Non bisogna votare i politici disonesti ; Mario: Ma tutti i
politici sono disonesti, qualcuno dovrai pur votare. . .

Tabella 4.4: Fallacie comuni.


Logica 79

4.5 Individuare i ragionamenti analoghi


Consideriamo un quesito che ci chiede di individuare i due ragionamenti analoghi:

Logica
Vi è stato un momento storico in cui la situazione economica impose al Governo italiano
di sostenere direttamente la Lira nei mercati valutari o, altrimenti, di innalzare i tassi
d’interesse. Tuttavia, il Governo non potè alzare il tasso di interesse in quanto questo
avrebbe significato un suicidio politico. Il Governo, pertanto, dovette sostenere la Lira,
sebbene l’operazione si sia rivelata costosa.
Quale delle seguenti affermazioni segue la stessa struttura logica del suddetto
ragionamento?
A) Carolina aveva bisogno di prendere un antidolorifico e potevano darle paracetamolo
o aspirina. Essendo allergica all’aspirina, dovette prendere il paracetamolo
B) nell’ambulatorio sono presenti due dottori, un uomo e una donna. La dottoressa è
sempre gentile mentre il dottore talvolta è scortese, quindi spero di essere visitato
dalla dottoressa
C) Mario ha l’allergia o ha contratto un’infezione virale. Se si tratta di un virus, non
vi è alcuna cura che possa aiutarlo quindi potrebbe comunque sottoporsi ad una
cura per l’allergia
D) se Marco avesse seguito i consigli del medico e fosse rimasto a casa, adesso sarebbe
già guarito completamente. Tuttavia, non ha potuto assentarsi dal lavoro, quindi
sta ancora poco bene
E) questo farmaco è disponibile sia con prescrizione medica che direttamente al banco
in farmacia. Tuttavia, è meno costoso acquistare il farmaco con prescrizione medica
perciò dovrà andare dal medico
Come nei casi precedenti, estraiamo la struttura argomentativa cercando di semplificare il
più possibile il brano originale (dato che questo brano è già stato analizzato in precedenza,
possiamo riportare direttamente il risultato dell’analisi):

Premessa 1. Il governo sostiene la Lira o innalza i tassi di interesse


Premessa 2. Il governo non innalza i tassi di interesse
Conclusione. Il governo sostiene la Lira

Quando la traccia chiede di individuare un ragionamento analogo ad uno dato può essere
utile evidenziare i connettivi presenti nel brano di partenza, per poi andare alla ricerca
del brano che contiene gli stessi connettivi tra quelli delle risposte.
In questo caso abbiamo una o nella prima premessa e un non nella seconda premessa,
mentre nelle riposte abbiamo:
Risposta A: c’è una o nella prima premessa e apparentemente non ci sono non nella
seconda, teniamo da parte questa risposta.
Risposta B: non sembrano esserci o, scartiamo la risposta.
Risposta C: c’è una o nella prima premessa, un non e un se. . . allora nella seconda.
Poiché nella traccia non c’è traccia di se... allora scartiamo questa risposta.
Risposta D: non c’è traccia di o nella prima premessa, scartiamo la risposta.
Risposta E: non c’è traccia di o nella prima premessa, scartiamo la risposta.
Fino a questo punto, l’argomento più simile rispetto a quello di partenza è quello della
risposta A, in cui però non siamo riusciti a ritrovare il non presente nella seconda premessa
dell’argomento originale. Proviamo allora ad analizzare con più attenzione la risposta A:
poiché dire che Carolina è allergica all’Aspirina equivale a dire che Caterina
80 Logica argomentativa (Cambridge)

non la prenderà, possiamo rappresentare la struttura argomentativa della risposta A nel


modo seguente:
Cambridge

Premessa 1. Carolina prende Paracetamolo o Aspirina


Premessa 2. Carolina non prende Aspirina
Conclusione. Carolina prende Paracetamolo

Abbiamo ritrovato esattamente la struttura dell’argomento di partenza.

4.6 Individuare e applicare un principio


Consideriamo un quesito che ci chiede di individuare e applicare un principio generale:

I fumatori che soffrono di malattie cardiache causate dal fumo non dovrebbero poter
usufruire di cure mediche gratuite, poiché tali casi sono tipici esempi di malattie auto-
indotte. Coloro i quali hanno causato malattie o traumi a se stessi dovrebbero contribuire
economicamente alle loro cure mediche.
Quale delle seguenti affermazioni mette in luce il principio che sta alla base del brano
precedente?
A) i bambini dovrebbero ricevere le cure dentistiche gratuitamente anche se mangiano
dolciumi che provocano la carie
B) chi soffre di malattie cardiache e può permettersi di pagare le cure mediche non
dovrebbe usufruirne gratuitamente
C) i fumatori che non possono permettersi di pagare le cure mediche dovrebbero poter
usufruire gratuitamente dell’assistenza sanitaria in caso di malattia
D) le persone che si infortunano in un incidente stradale dovrebbero poter usufruire
gratuitamente delle cure mediche a prescindere dal fatto che stessero indossando o
meno le cintura di sicurezza
E) i motociclisti che si feriscono alla testa per non aver indossato il casco dovrebbero
contribuire economicamente alle loro cure
Nei quesiti in cui la richiesta della traccia è di ricercare il principio generale alla base
del brano fornito non è necessario individuare premesse e conclusione ma è sufficiente
leggere con attenzione il testo, cercare di cogliere il principio generale che viene applicato
ad un caso specifico e infine cercare tra le risposte il caso in cui è stato applicato lo stesso
principio.
Nel caso in esame il principio generale viene proprio enunciato nell’ultimo periodo del
brano: Coloro i quali hanno causato malattie o traumi a se stessi dovrebbero contribuire
economicamente alle loro cure mediche.
È evidente che l’opzione di risposta in cui è stato applicato lo stesso principio è la E, che
descrive il caso di un motociclista che si è procurato una ferita per non aver indossato il
casco. Tra le altre risposte, la A descrive un’applicazione del principio opposto a quello
del brano, in cui anche chi è causa di trauma o malattia deve usufruire di cure gratuite;
la B descrive un caso diverso da quello di partenza (quello di chi è sufficientemente ricco
da provvedere a tutte le spese mediche); la C e la D, come la A, applicano il principio
opposto a quello del brano originale.
Logica matematica
5
Tra i quesiti di logica ve ne sono diversi improntati
sulla logica matematica, ossia su ragionamenti che
coinvolgono conoscenze e competenze nell’ambito
dell’aritmetica, dell’algebra e della geometria.

È necessario imparare ad operare su un insie-


me di simboli attraverso le regole che li lega-
no, a prescindere dal simbolo in sé. Le parole
chiave per tutte le problematiche affrontate nel
capitolo sono astrazione e allenamento.
Figura 5.1: Alcuni giochi rappresenta-
Essenzialmente possiamo dividere questa tipolo- no un ottimo allenamento per sviluppare
le competenze necessarie a risolvere le
gia in tre classi di problemi: quesiti sulle sequen- sequenze.
ze (numeriche, letterali alfanumeriche o matriciali),
quesiti che richiedono di interpretare grafici e tabelle e problemi di natura matematica.
La prima classe di quesiti è trattata nelle prime quattro sezioni di questo capitolo,
per le quali sono essenziali le competenze di calcolo numerico. È fondamentale conoscere
molto bene le tabelline, almeno le prime dieci sebbene quelle dell’11, del 12 e del 15
siano spesso utili.
Altro elemento chiave per una corretta e rapida risoluzione delle sequenze è la dime-
stichezza con le proprietà delle operazioni (distributiva e dissociativa soprattutto).
Questa abilità si ottiene soltanto grazie ad un continuo e prolungato esercizio: dedicare
anche solo 3 minuti al giorno al calcolo mentale di operazioni aritmetiche (ad esempio
moltiplicazioni di due fattori ognuno dei quali composto da due cifre) in un paio di
mesi garantisce un’ottima familiarità con i numeri.
Inutile dire che la conoscenza dell’alfabeto, sia quello italiano di 21 lettere che
quello inglese di 26, è indispensabile per risolvere le sequenze letterali o alfanumeriche.
Con il termine conoscenza, in questo caso, si intende anche la capacità di determina-
re rapidamente il numero corrispondente ad ogni lettera in virtù della sua posizione
nell’alfabeto.
Nelle tabelle 5.1 e 5.2 viene indicata la relazione tra lettere italiane e loro ordinamento
e lettere inglesi e numero corrispondente.

La seconda classe di quesiti viene discussa con dovizia di particolari nella quinta sezione.
Il livello di astrazione su cui fondare il ragionamento è lievemente più alto, sebbene la
determinazione della risposta corretta sia generalmente più semplice rispetto ai quesiti
precedenti. Ciò diviene vero nel momento in cui si è in grado di estrarre rapidamente
informazioni da grafici e tabelle. Questa operazione non è particolarmente complicata,
82 Logica matematica

ma richiede un’intensa pratica per poter essere acquisita in modo tale da garantire il
successo.
A 1 N 12
L’ultima sezione tratta dei problemi di logica
B 2 O 13
Numerica

matematica, quesiti spesso ritenuti di difficile riso-


C 3 P 14
luzione dalla maggior parte degli studenti. Acquisire
D 4 Q 15
le competenze necessarie per risolverli nella maniera
E 5 R 16
giusta rappresenta quindi un vantaggio competitivo.
F 6 S 17
Le conoscenze matematiche richieste per affrontare
G 7 T 18
questi quesiti non sono particolarmente complesse e
H 8 U 19
sono inoltre focalizzate sull’aspetto pratico.
I 9 V 20
Un’attenta lettura del testo e magari una rilet-
L 10 Z 21
tura sono necessarie per capire quali strumenti ma-
M 11
tematici servono per giungere alla risposta corretta.
Una volta acquisito il metodo di traduzione del te- Tabella 5.1: Corrispondenza tra lettere
sto italiano in una proposizione matematica (di soli- e loro posizione nell’alfabeto italiano.
to un’equazione) non è poi cosı̀ difficile determinare
l’alternativa esatta. A 1 N 14
B 2 O 15
Quesiti di tal genere richiedono
C 3 P 16
uno sforzo di astrazione necessario
D 4 Q 17
a creare un modello matematico
E 5 R 18
della realtà descritta nel testo.
F 6 S 19
G 7 T 20
Anche in questo ambito il costante esercizio, H 8 U 21
non limitato solo a quesiti di anni precedenti ma I 9 V 22
anche alla modellizzazione della realtà che ci cir- J 10 W 23
conda, rappresenta l’ingrediente essenziale di una K 11 X 24
preparazione efficace. L 12 Y 25
M 13 Z 26
5.1 Successioni numeriche Tabella 5.2: Corrispondenza tra lettere
e loro posizione nell’alfabeto inglese.

Una successione o sequenza numerica è composta da alcuni numeri legati da una


determinata legge matematica.

In questo genere di quesiti noti i primi elementi della sequenza bisogna determinare
il termine che completa correttamente la successione. A tal fine è necessario dedurre
la legge matematica che lega i termini. Esistono diversi principi su cui sono fondate le
relazioni tra i vari termini della sequenza, nel seguito le esploreremo in ordine crescente
di complessità.
La prima informazione da ricavare dopo aver letto tutti i componenti della sequenza
è se essa sia monotona o alternata.

Una sequenza numerica è monotona quando l’ordinamento relativo tra i suoi termini
è mantenuto: è monotona crescente quando ogni termine è maggiore dell’antecedente,
monotona decrescente quando ogni elemento è minore del precedente.
Logica 83

Per i quesiti sulle sequenze numeriche si sconsiglia di guardare subito le alternative,


bensı̀ conviene provare a determinare la legge tra i termini. Soltanto dopo essersi fatti
una prima idea è opportuno passare al vaglio le alternative.
Esaminiamo dunque i vari tipi di sequenze numeriche.

Logica
5.1.1 Successioni monotone con relazione indipendente dalla posizione
del termine
Sono le più facili da risolvere, in quanto la legge che lega ogni termine al suo antecedente
e al suo successivo è costante.

La monotonia della sequenza implica che tutta la sequenza è governata dalla stessa
legge.

Si possono avere i seguenti tipi di sequenze:

1. Per passare da ogni termine al successivo si somma sempre la stessa quantità,


come nella sequenza 5.2 in cui l’incognita vale 16.

Figura 5.2: Sequenza monotona crescente con addizione indipendente dalla posizione.

2. Per passare da ogni termine al successivo si sottrae sempre la stessa quantità,


come nella sequenza 5.3 in cui l’incognita vale 3.

Figura 5.3: Sequenza monotona decrescente con sottrazione indipendente dalla posizione.

3. Per passare da ogni termine al successivo si moltiplica sempre per la stessa


quantità, come nella sequenza 5.4 in cui l’incognita vale 96.

Figura 5.4: Sequenza monotona crescente con moltiplicazione indipendente dalla posizione.

4. Per passare da ogni termine al successivo si divide sempre per la stessa quantità,
come nella sequenza 5.5 in cui l’incognita vale 5.

Figura 5.5: Sequenza monotona decrescente con divisione indipendente dalla posizione.
84 Logica matematica

5. Per passare da ogni termine al successivo si applica sempre la stessa operazione


(quale elevamento al quadrato o radice quadrata, etc.), come nella sequenza 5.6
in cui l’incognita vale 531441.
Numerica

Figura 5.6: Sequenza monotona decrescente con operazione indipendente dalla posizione.

I casi più complessi di questa tipologia di sequenze si hanno quando, pur applicando
sempre la stessa operazione, essa è purtroppo composta da due operazioni, come nella
sequenza 5.7 in cui l’incognita vale 161.

Figura 5.7: Sequenza monotona con operazione composta indipendente dalla posizione.
Ad esempio ogni termine può essere prima moltiplicato per un numero e poi al risultato
si può aggiungere un altro numero (cioè indicando l’operazione composta con ♠ si ha
ad esempio ♠n = n · 2 + 3).
Alternativamente può capitare che prima ad ogni termine viene aggiunto un numero
e poi il risultato viene moltiplicato per un altro numero (ad esempio si ha ♠n =
(n + 2) · 3).
La pratica consente comunque di determinare con poco sforzo la legge che governa
lo sviluppo della successione.

5.1.2 Successioni monotone con relazione dipendente dalla posizione


del termine
Non sono troppo complesse da risolvere. Sono analoghe alle precedenti con la differen-
za che alla legge costante viene aggiunta una dipendenza dalla posizione del termine
all’interno della sequenza. Si hanno quindi le seguenti possibilità.

1. Per passare dal primo al secondo termine si somma un numero, dal secondo al
terzo si somma il successivo, dal terzo al quarto il successivo del successivo e cosı̀
via, come nella sequenza 5.8 in cui l’incognita vale 27.

Figura 5.8: Sequenza monotona con addizione dipendente dalla posizione.

2. Per passare dal primo al secondo termine si sottrae un numero, dal secondo al
terzo si sottrae il successivo, dal terzo al quarto il successivo del successivo e cosı̀
via, come nella sequenza 5.9 in cui l’incognita vale 45.

Figura 5.9: Sequenza monotona con sottrazione dipendente dalla posizione.


Logica 85

3. Per passare dal primo al secondo termine si moltiplica per un numero, dal secondo
al terzo si moltiplica per il successivo, dal terzo al quarto per il successivo del
successivo e cosı̀ via, come nella sequenza 5.10 in cui l’incognita vale 480.

Logica
Figura 5.10: Sequenza monotona con moltiplicazione dipendente dalla posizione.

4. Per passare dal primo al secondo termine si divide per un numero, dal secondo al
terzo si divide per il successivo, dal terzo al quarto per il successivo del successivo
e cosı̀ via, come nella sequenza 5.11 in cui l’incognita vale 1.

Figura 5.11: Sequenza monotona con divisione dipendente dalla posizione.

5. Per passare da ogni termine al successivo si applica sempre la stessa operazione


(quale elevamento al quadrato o radice quadrata, etc.) e nel risultato si aggiunge
o sottrae un numero, nel secondo il successivo e cosı̀ via, come nella sequenza
5.12 in cui l’incognita vale 535828. Ovviamente nei quesiti si hanno solitamente
numeri più piccoli.

Figura 5.12: Sequenza monotona con operazione composta dipendente dalla posizione.

6. Per passare da ogni termine al successivo si applica sempre la stessa operazione


(quale elevamento al quadrato o radice quadrata, etc.) nella cui regola però si
ha la dipendenza dalla posizione, come nella sequenza 5.13 in cui l’incognita vale
59049.

Figura 5.13: Sequenza monotona con operazione composta dipendente dalla posizione.

Si noti che la sequenza 5.10 non è strettamente crescente ma è non decrescente.


In questi casi è facile confondere il criterio con quello delle sequenze alternate della
sezione successiva.
Si noti inoltre che l’aggiunta di un’unità all’operazione che si applica a un termine
della sequenza può cominciare anche nel primo passaggio, come accade nella sequenza
5.12: non è detto che l’aggiunta cominci dal secondo passaggio.

5.1.3 Successioni non monotone a carattere alternato


Quando i termini non sono tutti crescenti o tutti decrescenti allora le considerazioni
svolte sinora non sono più efficaci. Ci sono principalmente due possibilità, in questa
sezione esploriamo la prima.
86 Logica matematica

Scomponiamo la sequenza in due sottosequenze, una composta dai termini di posto


dispari (il primo, il terzo, etc.) e una da quelli di posto pari (il secondo, il quarto, etc.).
I termini devono essere almeno 6. Consideriamo la sottosequenza cui non appartiene
Numerica

l’elemento ignoto, che è composta da almeno 3 termini noti. Se esiste una legge co-
stante che governa il passaggio tra il primo e il secondo termine della sottosequenza
e tra il secondo e il terzo, cioè se la sottosequenza è simile a quelle discusse nella se-
zione 4.1.1, allora deve esistere un’altra legge costante che governa i termini dell’altra
sottosuccessione.
Individuate le possibili relazioni (come sommare un certo numero o moltiplicare per
un certo numero) che legano il primo e il secondo termine della sottosequenza conte-
nente il termine ignoto, si guardano le alternative e si vede quale di esse corrisponde
alle possibilità trovate.

Nella pratica è come se l’esercizio fosse diviso in due. La sottosequenza completa


fa capire che il criterio che governa l’esercizio è quello di due serie, una di termini
di posto pari e una di termini di posto dispari. A quel punto l’esercizio si riduce a
determinare la legge, di solito semplice, che regola la sottosequenza con il termine
ignoto.

Figura 5.14: Sequenza alternata scomponibile in due sottosequenze ognuna con un propria legge.

Consideriamo l’esempio della sequenza 5.14. Si nota subito che la serie non è monotona,
perché dal 3 all’1 diminuisce ma subito dopo dall’1 al 6 aumenta. Il termine ignoto è
il sesto, quindi appartiene alla sottosequenza di posto pari, cioè 1, 5, ?. Focalizziamo
l’attenzione sui termini di posto dispari, ossia su 3, 6 e 12. È evidente che 6 è il doppio
di 3 e 12 è il doppio di 6, quindi esiste una legge costante che governa questa sottoserie.
Se ne deduce che deve esisterne una che regola l’altra serie. Possiamo solo considerare il
passaggio da 1 a 5. Abbiamo due possibili regole: o è stato aggiunto 4 o si è moltiplicato
per 5. Guardiamo dunque le alternative, tra cui dobbiamo cercare o 9 o 25.

5.1.4 Successioni non monotone non a carattere alternato


Se la successione non è monotona ma non si riesce a trovare una legge che regola la
sottosuccessione alternata nota, allora esiste un’unica possibilità: il criterio su cui si
fonda l’intera successione è basato sui numeri contigui.
Questo può rivelarsi il tipo di sequenze numeriche più difficile da risolvere e bisogna
porre molta attenzione. Fondamentalmente si hanno le seguenti possibilità, di cui la
prima rara e le altre due molto rare.

1. ogni termine è il risultato della stessa operazione applicata ai due che lo precedo-
no. Ad esempio il terzo termine è la somma dei primi due, il quarto è la somma
Logica 87

del secondo e del terzo e cosı̀ via, come nella sequenza 5.15 in cui l’incognita vale
5.

Logica
Figura 5.15: Sequenza in cui un termine dipende dalla somma dei due precedenti.

2. La sequenza (composta da 6 termini) è divisa in due sottosequenze. Il terzo


termine è la somma dei primi due e il sesto è la somma del quarto (incognito) e
del quinto, come nella sequenza 5.16 in cui l’incognita vale 4.

Figura 5.16: Sequenza divisibile in due terne di cui l’ultimo termine dipende dalla somma dei due
precedenti.

3. La sequenza (composta da 6 termini) è divisa in due sottosequenze. I primi tre


termini sono tali che la somma delle loro cifre è sempre lo stesso numero, gli altri
tre (uno dei quali è incognito) sono tali che anche per essi la somma delle cifre
deve essere costante, come nella sequenza 5.17 in cui l’incognita può valere 52 o
34 o 16, etc.

Figura 5.17: Sequenza divisibile in due terne a somma delle cifre di ogni termine costante.

5.2 Successioni letterali

Una sequenza letterale è una successione di lettere dell’alfabeto italiano o inglese legate
da una certa regola.

Le regole che governano lo sviluppo dei termini non sono grammaticali o sintattiche ma
numeriche: ad ogni lettera va sostituito il numero corrispondente al suo ordinamento
nell’alfabeto. In altri termini alla A va sostituito 1, alla B 2 e cosı̀ via.

Le sequenze 4.17 e 4.18 mostrano che il termine incognito non è necessariamente


l’ultimo della sequenza.

Questi esercizi sono del tutto analoghi a quelli presentati nelle sezioni 4.1.1, 4.1.2 e
4.1.3. Riportiamo a titolo di esempio un paio di quesiti. Cominciamo con un quesito
relativamente semplice come la sequenza 4.18.
88 Logica matematica

Quale dei seguenti simboli completa la sequenza B,E,?,M,P,S ?


A) F B) G C) H D) I E) L
Numerica

Come si nota dalla Figura 4.18, ogni passaggio noto consiste nell’aggiunta di 3 posizioni.
Inoltre tra la E e la M vi sono esattamente 7 posizioni, il che fa capire che il termine
incognito è la lettera corrispondente al numero 8 dell’alfabeto, ossia la H. La risposta
corretta è la C.

Figura 4.18: Sequenza letterale semplice.

Procediamo con un esempio più complesso come la sequenza 4.19.

Quale dei seguenti simboli completa la successione D,D,F,C,H,? ?


A) L B) G C) A D) D E) B
Come si nota dalla Figura 4.19, la serie dei numeri corrispondenti alle lettere è alternata.
La sottosequenza dei tre termini noti (primo, terzo e quinto) mostra una legge costante,
ossia l’aggiunta di due posizioni. Ciò indica che effettivamente deve esserci un’altra legge
che regola la sottosequenza contenente l’incognita. Poiché dalla D alla C si ha la sottra-
zione di una posizione, ne deriva che la lettera da trovare è la B. La risposta corretta è
la E.

Figura 4.19: Sequenza letterale di media difficoltà.

5.3 Successioni alfanumeriche

Una sequenza alfanumerica è una successione di numeri e lettere dell’alfabeto italiano


o inglese legati da una certa regola.

Come per le sequenze letterali, ad ogni lettera presente nella sequenza bisogna sostituire
il numero corrispondente al suo ordinamento nell’alfabeto, con l’unico accorgimento di
capire se è rischiesto l’alfabeto italiano o quello inglese.

È semplice capire quali dei due: se nella sequenza si trova una delle 5 lettere inglesi
J, K, W, X, Y allora si usa un ordinamento che va da 1 a 26, se queste lettere
sono assenti l’ordinamento va da 1 a 21. Talvolta, tuttavia, un quesito potrebbe
anche seguire l’ordinamento corrispondente all’alfabeto inglese nonostante non siano
espressamente presenti le 5 lettere indicate.
Logica 89

Le strategie risolutive sono ancora analoghe alle sequenze numeriche, quindi riportiamo
un paio di quesiti come esempio.

La numerazione delle lettere può essere anche ciclica, cioè ricominciare da 1 dopo 21

Logica
(italiano) o dopo 26 (inglese).

Illustriamo un quesito che presenta quanto espresso dall’osservazione, come la sequen-


za 4.20.

Quale dei seguenti simboli completa la serie 1,D,8,?, S,A?


A) G B) M C) N D) O E) C
Come si nota dalla Figura 4.20, si ha un criterio dipendente dalla posizione, infatti i due
passaggi ignoti sono compatibili con le aggiunte +3 + 2 e +3 + 3. Ne deriva che la lettera
incognita è la M, cioè la risposta corretta è la B.

Figura 4.20: Sequenza alfanumerica con ordinamento ciclico.

Termininiamo le sequenze alfanumeriche con l’esercizio relativo alla sequenza 4.21.

Quale dei seguenti simboli completa la sequenza C,G,11,15,?,B ?


A) U B) T C) A D) X E) M
La B finale può spiazzare un po’. Se però, come si vede dalla Figura 4.21, si pensa a una
struttura ciclica basata sull’alfabeto italiano si può realizzare che la regola è abbastanza
semplice: ad ogni passaggio è stato aggiunto 4. Se ne deduce che la risposta corretta è la
U, la lettera di posto 19 nell’alfabeto italiano, quindi l’alternativa esatta è la A.

Figura 4.21: Sequenza alfanumerica con ordinamento ciclico.

5.4 Matrici numeriche

Una matrice numerica quadrata è una tabella composta dallo stesso numero di righe e
di colonne. Ogni entrata della tabella corrisponde ad un numero.

In quesiti di questo tipo uno degli elementi della matrice numerica è incognito e va deter-
minato. Ci sono diverse possibili regole che determinano la disposizione degli elementi
nella matrice:
90 Logica matematica

Si deve considerare un unico criterio che regola le righe, ad esempio che


la somma dei termini di ogni riga sia costante.
Si deve considerare un unico criterio che regola le colonne, ad esempio
Numerica

che il prodotto dei termini di ogni colonna sia costante.


Si deve considerare un criterio composto che regola le righe o le co-
lonne, ad esempio una prima operazione regola il passaggio dal primo al secondo
termine di ogni riga o colonna e una seconda operazione determina il passaggio
dal secondo al terzo elemento di ogni riga o colonna.
Se si individua uno stesso criterio tra due righe o due colonne, allora il medesimo
criterio regola la riga o colonna con il termine incognito.
Consideriamo prima un esempio semplice, come quello della matrice 5.22.

Figura 5.22: Matrice numerica con criterio costante.

Quale dei seguenti numeri completa la matrice 5.22?


A) 98 B) 49 C) 108 D) 48 E) 90
Come illustrato nella figura 5.22, la regola è relativamente semplice: ad ogni riga per
passare da un termine al successivo si moltiplica per 3. Usando lo stesso criterio nella
terza riga si ha che 36 · 3 = 108, quindi la risposta corretta è la C.

Passiamo ad un quesito meno facile, come quello della matrice 5.23.

Figura 5.23: Matrice numerica con criterio composto.

Quale dei seguenti numeri completa la matrice 5.23?


A) 36 B) 14 C) 18 D) 22 E) 28
Come illustrato nella figura 5.23, la regola è composta e riguarda ancora le righe: ad ogni
riga per passare dal primo al secondo termine si moltiplica per 3, per passare al terzo si
aggiunge 1. Il criterio applicato alla terza riga implica 21 + 1 = 22, ossia che la risposta
corretta è la D.
Logica 91

5.5 Configurazioni geometriche di sequenze numeriche


In alcuni quesiti le sequenze numeriche sono comprese in figure geometriche, sia singole
che in serie. È meno semplice determinare il criterio che regola la sequenza, soprattutto
perché le possibilità sono in numero superiore e spesso solo individuando il punto iniziale

Logica
di ogni figura si riesce a decifrare la sequenza.
Poiché sarebbe inutile e troppo lungo illustrare tutti i criteri ammissibili lasciamo
che alcuni esempi chiariscano la filosofia di questi quesiti.

Quale dei seguenti numeri completa la Figura 4.24?


A) 6 B) 7 C) 8 D) 9 E) 10
Come illustrato nella Figura 4.24, la regola è relativamente semplice: la differenza tra
ogni coppia di elementi opposti è 7, quindi la risposta corretta è la E.

Figura 4.24: Sequenza numerica con cerchi.

Quale dei seguenti numeri completa la figura 4.25?


A) 316 B) 428 C) 222 D) 576 E) 109
Come illustrato nella Figura 4.25, la regola è più complessa: a partire dal 2 ogni volta il
numero viene moltiplicato per 3 ma ad ogni passaggio si sottrae un intero che aumenta
di un’unità. Si ricava che la risposta corretta è la B.

Figura 4.25: Sequenza numerica con cerchi.


92 Logica matematica

Quale dei seguenti numeri completa la Figura 4.26?


A) 13 B) 11 C) 22 D) 12 E) 31
Verbale

Come illustrato nella Figura 4.26, la regola è abbastanza facile: in ogni triangolo la somma
delle basi fornisce il numero del vertice in alto. Si ricava che la risposta corretta è la A.

Figura 4.26: Sequenza numerica con triangoli.

Quale dei seguenti numeri completa la Figura 4.27?


A) 3 B) 2 C) 1 D) 4 E) 5
Come illustrato nella Figura 4.27, la regola è complessa: in ogni triangolo la somma del
vertice sinistro e di quello in alto moltiplicata per il numero al centro fornisce il numero
del vertice destro. Si ricava che la risposta corretta è la C.

Figura 4.27: Sequenza numerica con triangoli.

Quale dei seguenti numeri completa la Figura 4.28?


A) 1 B) 0 C) 2 D) 4 E) 6
Come illustrato nella Figura 4.28 la regola è abbastanza complessa: in ogni quadrato la
differenza tra le diagonali è costante e pari a 3. Si ricava che la risposta corretta è la B.

Figura 4.28: Sequenza numerica con quadrati.

Quale dei seguenti numeri completa la Figura 4.29?


A) 5 B) 4 C) 2 D) 3 E) 1
Logica 93

Come illustrato nella Figura 4.29, la regola è molto complessa: in ogni stella a partire dal
vertice in basso si sommano tutti i numeri dei vertici tranne quello nel vertice in basso
a destra e si divide la somma per il valore posto nel centro per ottenere il numero nel
vertice in basso a destra. Si ricava che la risposta corretta è la E.

Logica
Figura 4.29: Sequenza numerica con stelle a 6 punte.

5.6 Interpretazione di tabelle e di grafici


Nelle sezioni dedicate alla statistica inserite nella parte di matematica sono riportate le
tecniche di rappresentazione dei dati, ossia vengono illustrati i procedimenti per creare
istogrammi, areogrammi, grafici a nastro, ogive e poligoni di frequenza a partire dai
dati grezzi. Queste conoscenze sono molto utili per sviluppare le competenze necessarie
a risolvere correttamente e in tempo utile il tipo di quesiti di logica che richiede di
interpretare i dati rappresentati.
Questa sezione si occupa del procedimento inverso rispetto a quello ricordato: a
partire da una specifica rappresentazione di dati bisogna essere in grado in poco tempo
di ricavare le informazioni richieste. Con un po’ di allenamento l’elaborazione dei dati
rappresentati diventa relativamente semplice: i principi che regolano le rappresentazioni
grafiche sono infatti pochi e chiari.

Il maggior ostacolo alla risoluzione corretta di quesiti relativi a questo argomento


è la fretta. Prima di guardare la tabella dei dati o l’istogramma o qualsiasi altra
rappresentazione è opportuno inspirare profondamente ed espirare con calma, magari
chiudendo gli occhi per qualche secondo e cercando di sgomberare la mente da
qualsiasi pensiero. A quel punto si può spendere una decina di secondi per dare uno
sguardo complessivo alla tabella o al grafico e soltanto dopo è il caso di leggere il
testo del quesito: durante la lettura il cervello continuerà ad elaborare le informazioni
che ha acquisito visivamente e potrà attivare un opportuno segnale quando si affronta
un passaggio chiave del testo.

Prima di illustrare qualche esempio di interpretazione di tabelle e grafici può essere


utile richiamare il legame tra la rappresentazione tabellare e le altre, quando
sono tutte riferite allo stesso insieme di dati.
94 Logica matematica

Generalmente la riga e la colonna di una tabella rappresentano l’etichetta che va sulle


ascisse di un istogramma, mentre il numero contenuto in una cella indica l’altezza del
rettangolo relativo alla cella. Nel grafico a nastro i due assi sono invertiti. Nell’areo-
Numerica

gramma (grafico a torta o pie chart) l’ampiezza dell’angolo corrispondente a una certa
cella è proporzionale al numero in essa contenuto. Nel poligono delle frequenze si ha
la stessa filosofia rappresentativa dell’istogramma, mentre nell’ogiva ogni spostamento
verso destra in orizzontale corrisponde a sommare le altezze delle rispettive celle.

5.6.1 Interpretazione di tabelle


Spesso i dati di una tabella vengono elaborati dopo una suddivisione in classi,
ossia più celle vengono raggruppate in un unico insieme. La proprietà che definisce
l’appartenenza all’insieme costituirà l’etichetta della rappresentazione grafica, mentre
la somma dei valori di tutte le celle dell’insieme costituirà l’altezza del rettangolo
nell’istogramma o l’ampiezza dell’angolo nell’areogramma.

Analizziamo un case study da utilizzare come esempio per diversi quesiti che sfruttano
le varie rappresentazioni grafiche. Ipotizziamo che un istituto scolastico privato abbia
attivato con l’ultima riforma del settore 5 indirizzi di studio per le scuole secondarie di
secondo grado: Liceo Scientifico (L.S.), Liceo delle Scienze Umane (L.S.U.), Tecnico Am-
ministrazione Finanza e Marketing (A.F.M.), Tecnico Informatica e Telecomunicazioni
(I.T.) e Tecnico Costruzione Ambiente e Territorio (C.A.T.). Per ogni indirizzo il bacino
di utenza e le esigenze didattiche consentono di avere due sezioni.
A sei anni di distanza dall’attivazione dei corsi di studio, dopo il completamento del primo
ciclo consistente in un quinquennio di sperimentazione, la direzione intende elaborare
informazioni relative al numero di studenti e al trend di iscrizioni per poter decidere
se sopprimere alcuni indirizzi, se potenziare le attrezzature di altre e in generale dove
investire le somme destinate a tal scopo dal consiglio di amministrazione.
Il modo migliore per prendere decisioni è quindi svolgere un’analisi sui dati, in modo che la
risposta ad alcuni quesiti specifici possa favorire il processo decisionale. Nella Tabella 4.3
sono riportati i dati relativi al termine del primo ciclo, nella Tabella 4.4 si trovano invece
gli stessi dati relativi all’anno successivo.
Classe L.S. L.S.U. A.F.M. I.T. C.A.T. Totale
IA 25 22 23 29 27 126
IB 24 20 25 28 27 124
II A 23 20 21 25 23 112
II B 22 19 21 25 22 109
III A 23 18 21 25 23 110
III B 21 18 20 24 21 104
IV A 18 17 20 23 23 101
IV B 17 18 20 24 22 101
VA 17 16 18 22 21 94
VB 15 18 20 24 22 99
TOT 205 186 209 249 231 1080
Tabella 4.3: Iscrizioni alle diverse classi al termine del primo ciclo dei nuovi indirizzi.
Logica 95

Classe L.S. L.S.U. A.F.M. I.T. C.A.T. Totale


IA 18 23 23 30 25 119
IB 18 22 24 29 25 118
II A 22 21 21 26 23 113

Logica
II B 22 19 22 27 22 112
III A 22 19 21 25 22 109
III B 21 18 20 26 21 106
IV A 17 18 20 25 23 103
IV B 18 18 20 25 21 102
VA 16 17 19 23 22 97
VB 16 18 20 25 21 100
TOT 190 193 210 261 225 1079
Tabella 4.4: Iscrizioni alle diverse classi a sei anni dall’attivazione degli indirizzi.

Vediamo dunque come affrontare un quesito relativo all’interpretazione di tabelle, come


il seguente:

Dai dati delle iscrizioni alle varie classi negli ultimi due anni scolastici è
corretto affermare che:
A) le iscrizioni alle classi prime del Liceo Scientifico sono in aumento
B) le iscrizioni alle classi prime sono complessivamente in aumento
C) il totale delle iscrizioni all’istituto è in aumento
D) le iscrizioni alle classi prime del Tecnico Informatica e Telecomunicazioni sono in
aumento
E) le iscrizioni alle classi prime del Tecnico Amministrazione Finanza e Marketing sono
in aumento

Poiché si parla di aumento, cioè di variazione rispetto a due diversi momenti, è ne-
cessario un confronto tra due tabelle, che peraltro presentano valori molto simili in
tutte le proprie celle. Il modo migliore per determinare la risposta corretta è analizzare
un’alternativa alla volta sino a trovare quella corretta.

A i dati di questa alternativa si trovano nella cella più in alto a sinistra della
tabella e in quella immediatamente sotto. Nella prima tabella la somma dei due
valori è 29, nella seconda è 36. Poiché il numero è in diminuzione l’alternativa va
scartata.

B i dati di questa alternativa si trovano nella cella più a destra della prima riga
e in quella immediatamente sotto per entrambe le tabelle. Nella prima tabella la
somma dei due valori è 250, nella seconda è 237. Poiché il numero è in diminuzione
l’alternativa va scartata.

C i dati di questa alternativa si trovano nella cella più a destra dell’ultima riga
per entrambe le tabelle. Nella prima tabella il valore è 1080, nella seconda è 1079.
Poiché il numero è in diminuzione l’alternativa va scartata.
96 Logica matematica

D i dati di questa alternativa si trovano nella prima cella della quinta colonna
(sotto l’intestazione I.T.) e in quella immediatamente sotto per entrambe le ta-
belle. Nella prima tabella la somma dei due valori è 57, nella seconda è 59. Poiché
Numerica

il numero è in aumento l’alternativa è la risposta corretta.

Nel Test sarebbe opportuno interrompere qui l’analisi. Per completezza della tratta-
zione, invece, consideriamo anche l’ultima alternativa:

E i dati di questa alternativa si trovano nella prima cella della quarta colonna
(sotto l’intestazione A.F.M.) e in quella immediatamente sotto per entrambe le
tabelle. Nella prima tabella la somma dei due valori è 48, nella seconda è 47.
Poiché il numero è in diminuzione l’alternativa è errata.

Si arguisce che è relativamente semplice individuare le celle da cui estrarre i dati per
ogni alternativa.
Per acquisire maggiore dimestichezza consideriamo un ulteriore quesito sempre
relativo alle Tabelle 4.3 e 4.4.

Dal confronto delle iscrizioni a tutte le classi dei diversi indirizzi di studio
negli ultimi due anni scolastici non è corretto affermare che:
A) l’indirizzo di studio con il trend più preoccupante è il Liceo Scientifico
B) l’unico indirizzo con trend positivo è il Tecnico Informatica e Telecomunicazioni
C) le iscrizioni al Tecnico Amministrazione Finanza e Marketing sono più o meno
costanti
D) la variazione complessiva delle iscrizioni ai licei è maggiore in modulo di quella ai
tecnici
E) il Liceo delle Scienze Umane e il Liceo Scientifico hanno andamenti opposti

Poiché si parla di trend, andamenti e variazioni è ancora necessario un confronto tra


due tabelle. Come prima, analizziamo un’alternativa alla volta sino a trovare quella
corretta.

A i dati di questa alternativa si trovano nelle celle dell’ultima riga per ogni in-
dirizzo. Confrontando i valori delle due tabelle per ogni colonna si ricava che
l’indirizzo che presenta una variazione negativa maggiore in modulo è lo Scien-
tifico, le cui iscrizioni totali vanno da 205 a 190, con una perdita di 15 unità.
L’affermazione è corretta, come si desume facendo lo stesso confronto per le altre
colonne, quindi l’alternativa va scartata.

B i dati di questa alternativa si trovano ancora nelle celle dell’ultima riga. Con
un procedimento analogo al precedente si calcola subito che anche gli indirizzi
L.S.U. e A.F.M. sono in attivo, passando rispettivamente da 186 a 193 unità il
primo e da 209 a 210 il secondo. L’affermazione è quindi errata, il che implica
che questa è la risposta esatta.

Nel Test si potrebbe già interrompere l’analisi. Per completezza consideriamo anche le
restanti alternative:
Logica 97

C i dati di questa alternativa si trovano nell’ultima riga della quarta colonna


(sotto l’intestazione A.F.M.). Nella prima tabella il valore è 209, nella seconda
è 210. Una variazione di una sola unità è compatibile con l’essere più o meno
costante, quindi l’affermazione è corretta e l’alternativa va scartata.

Logica
D i dati di questa alternativa si trovano nelle celle dell’ultima riga per entrambe
le tabelle. Sommando le prime due nella Tabella 4.3 si ottiene un totale di 391
studenti per il primo anno e di 383 per l’anno successivo, con una variazione di 8
unità. Un procedimento analogo per i tre indirizzi tecnici indica un totale che da
689 passa a 696 con una variazione di 7 unità. L’affermazione è dunque corretta
è va esclusa.

E i dati di questa alternativa si trovano ancora nell’ultima riga per entrambe le


tabelle. I valori della seconda colonna (sotto l’intestazione L.S.) vanno da 205 a
190, mentre quelli della seconda (sotto l’intestazione L.S.U.) vanno da 186 a 193.
I primi sono in diminuzione i secondi in aumento, il che implica che l’affermazione
è corretta e l’alternativa deve essere esclusa.

I quesiti potrebbero riguardare l’elaborazione anche di dati relativi ad una singola


tabella. Prendiamo in considerazione ancora la Tabella 4.3 e risolviamo il seguente
quesito:

Analizzando le iscrizioni di un anno scolastico a tutte le classi di tutti gli


indirizzi di studio è corretto affermare che:
A) la media delle iscrizioni alle classi prime dei licei è maggiore della media delle
iscrizioni alle classi prime dei tecnici
B) gli alunni della classe terza del Liceo Scientifico sono in numero minore di quella
della stessa classe del Tecnico Amministrazione Finanza e Marketing
C) ipotizzando che nessuno studente di un’altra scuola si sia iscritto alla classe quinta,
il numero dei bocciati al termine della quarta classe nel Liceo Scientifico è maggiore
di quello nel Tecnico Costruzione Ambiente e Territorio
D) il liceo con meno iscritti è il Liceo Scientifico
E) il tecnico con meno iscritti è l’indirizzo Costruzioni Ambiente e Territorio

A i dati di questa alternativa si trovano nelle prime due righe della tabella.
Confrontando i valori delle celle si nota che i numeri presenti nelle tre caselle dei
tecnici sono superiori a quelli nelle due caselle dei licei, quindi la media dei tecnici
deve essere superiore a quella dei licei. Si deduce che l’alternativa va scartata.

B i dati di questa alternativa si trovano sommando i valori delle celle corrispon-


denti alla IIIA e alla IIIB per la colonna L.S. e per quella A.F.M. ottenendo
nel primo caso 44 e nel secondo 41, che è minore. L’alternativa è quindi errata e
va esclusa.

C i dati di questa alternativa si ottengono facendo la differenza tra il valore della


V A e quello della IV A per la colonna L.S. sommando poi lo stesso risultato per
98 Logica matematica

la sezione B. Si ottiene un totale di 4. Analogamente per la colonna C.A.T. si ha


un totale di 2, che è minore del precedente. Se ne deduce che questa è la risposta
corretta.
Numerica

Nel Test bisogna interrompere l’analisi. Per completezza consideriamo anche le restanti
alternative:

D i dati di questa alternativa si trovano nell’ultima riga della seconda (L.S.) e


della terza colonna (L.S.U.). Nella prima si legge 205 e nella seconda 186 che è
minore, quindi l’alternativa va scartata.

E i dati di questa alternativa si trovano nell’ultima riga della quarta (A.F.M.),


della quinta (I.T.) e della sesta colonna (C.A.T.). I valori rispettivamente so-
no 209, 249 e 231. Il tecnico con meno iscritti è Amministrazione Finanza e
Marketing, quindi l’alternativa va scartata.

5.6.2 Interpretazione di grafici


Alcuni quesiti richiedono di estrapolare informazioni da grafici piuttosto che da tabelle.

La prima cosa da notare di un grafico è la relazione tra i diversi elementi che lo


compongono, ossia se un elemento di un certo colore è maggiore o minore di altri
di diverso colore, oppure l’andamento di una linea individuata da un certo simbolo o
colore è più o meno ripido di quello di altre linee.

Dopo aver dato uno sguardo d’insieme che consente di prendere nota delle diffe-
renze tra le grandezze rappresentate bisogna spendere qualche secondo per leggere la
legenda, ossia la parte di grafico che assegna ad ogni colore o simbolo una determinata
grandezza. Una volta che le proprietà e le tendenze dei dati riportati nel grafico sono
state assimilate, almeno a grandi linee, si può procedere a leggere il testo del quesito e
ad analizzare le alternative una alla volta.
Per illustrare come procedere per risolvere questi quesiti riprendiamo il case study
rappresentato dalla Tabella 4.3: tutti i grafici che analizzeremo riguarderanno le iscri-
zioni nelle diverse classi e nei diversi indirizzi di studio dello stesso istituto a 5 anni
dall’attivazione degli indirizzi stessi.

Grazie a tale scelta il lettore può fare pratica nella traduzione dalla rappresentazione
tabulare alle diverse rappresentazioni grafiche.

Cominciamo con il considerare il tipo di grafico più comune, ossia un istogramma.

Analizzando l’istogramma 4.30 in cui sono riportate le iscrizioni per le cinque


classi del percorso di studi suddivise in classi dei licei e classi dei tecnici, si
individui quale delle seguenti proposizioni è corretta:
A) le iscrizioni ai tecnici sono maggiori per il primo biennio ma poi diventano
confrontabili con quelle dei licei nel triennio
Logica 99

B) le iscrizioni ai tecnici sono in costante calo mentre quelle nei licei sono costanti
C) sia le iscrizioni ai tecnici che quelle ai licei aumentano anno dopo anno
D) il divario percentuale tra iscritti ai tecnici e iscritti ai licei è all’incirca costante per

Logica
le cinque classi
E) nessuna delle precedenti affermazioni è corretta

Figura 4.30 Iscritti alle varie classi divisi tra licei e tecnici a cinque anni dall’attivazione.

Per rispondere al quesito analizziamo le singole alternative:

A nell’istogramma si nota che il rettangolo di colore più scuro (tecnici) è sempre


più alto di quello più chiaro (licei), il che significa che le iscrizioni ai tecnici
sono maggiori di quelle ai licei in tutti e cinque gli anni del percorso di studi.
L’alternativa è quindi errata e va esclusa.

B sia le altezze dei rettangoli chiari che di quelli scuri diminuiscono anno dopo
anno, il che significa che per entrambi i tipi di secondaria di secondo grado si
ha un calo delle iscrizioni. La seconda parte dell’affermazione è errata, quindi
l’alternativa va esclusa.

C per quanto affermato nell’analisi dell’alternativa precedente si può subito esclu-


dere anche questa in quanto falsa.

D la differenza tra l’altezza del rettangolo scuro e quella del rettangolo chiaro è
più o meno uguale nelle 5 coppie di rettangoli, il che conferma quanto affermato
nell’alternativa: la D è la risposta corretta.

E possiamo subito scartare questa alternativa per quanto appena affermato.

Durante il Test conviene sempre leggere tutte e 5 le alternative nonostante si creda


di aver individuato quella esatta appena la si è finita di leggere. Una sola parola,
soprattutto un termine come solo, soltanto, unico, sempre, mai, ogni, etc., può rendere
errata una conclusione che a prima vista sembra esatta.
100 Logica matematica

Il confronto con le altre alternative, che le porta ad escludere, è una conferma della
nostra scelta. I 10 secondi che si possono perdere nell’esaminare le alternative restanti
possono garantire la certezza della risposta e rappresentano un buon investimento di
Numerica

tempo.

Oltre agli istogrammi, un altro tipo di grafici che si possono incontrare nei quesiti
sono quelli a nastro. La filosofia di rappresentazione è uguale a quella degli istogrammi
ma gli assi sono invertiti. Il modo di leggere le informazioni da questo tipo di grafico,
quindi, è analogo a quello utilizzato nel caso precedente.
Le stesse informazioni riportate nell’istogramma 4.30 possono essere specificate
maggiormente grazie a un tipo di grafico detto grafico a barre cumulative o so-
vrapposte.

Grafico a barre cumulative Può avere sia barre verticali come l’istogramma che
orizzontali come i grafici a nastro mostrati oltre. Ogni barra di questo grafico è suddivisa
in aree, cioè è composta da più barre poste una dopo l’altra. Se una grandezza viene
suddivisa in classi, la barra intera rappresenta tutta la grandezza e le barre che la
compongono indicano le frazioni corrispondenti alle singole classi.

Nell’esempio relativo all’istogramma 4.30, ogni barra chiara può essere suddivisa
nelle classi del Liceo Scientifico e in quelle del Liceo delle Scienze Umane (quindi in
due barre sovrapposte), mentre ogni barra scura può essere scomposta in tre barre so-
vrapposte: una per ognuno degli indirizzi tecnici dell’istituto. In tal modo l’informazione
che si può ricavare dal grafico è più dettagliata, come mostra il grafico 5.31.

Figura 5.31: Grafico a barre sovrapposte o cumulative.

Volendo si sarebbe anche potuta graficare una barra sola per ogni anno di studio
composta da cinque barre sovrapposte, senza differenziare tecnici e licei in due barre
separate. Si possono anche avere grafici a barre cumulative aventi tutte la stessa
lunghezza, pari al 100% della grandezza da graficare. In quel caso le barre componenti
indicano la percentuale della singola barra, dato su cui si vuole porre l’accento.
Logica 101

Riprendiamo nuovamente il nostro case study di Tabella 4.3 e consideriamo il grafico


a nastro 5.32 che riporta, per ogni indirizzo di studi, il numero di iscritti nelle varie
classi a 5 cinque anni dall’attivazione degli indirizzi di studio. Si noti la potenza rap-
presentativa di questi grafici, che con un unico colpo d’occhio consentono di desumere

Logica
una gran mole di informazioni e di effettuare un’ottima analisi della situazione.

Figura 5.32: Iscritti alle varie classi per ogni indirizzo di studio a 5 anni dall’attivazione.

Analizzando il grafico 5.32, in cui sono riportate le iscrizioni per le cinque


classi per ogni indirizzo di studio, si individui quale delle seguenti proposizioni
è non corretta:
A) il minor numero di iscritti alle classi quinte si ha nel Liceo Scientifico
B) il maggior numero di iscritti alle classi prime si ha nel Tecnico Informatica e
Telecomunicazioni
C) il maggior calo di iscritti dalla prima alla seconda si ha per l’indirizzo Tecnico
Informatica e Telecomunicazioni
D) tra la terza e la quarta Liceo Scientifico si è avuto un alto numero di bocciati
E) tutte le precedenti affermazioni sono corrette

Per rispondere al quesito analizziamo ancora le singole alternative:


A nel grafico si nota che il rettangolo con lunghezza minore è proprio quello
corrispondente alle quinte LS, quindi l’alternativa è corretta e va scartata.
102 Logica matematica

B nel grafico si osserva che il rettangolo con lunghezza maggiore è quello nero
relativo alle prime IT, quindi anche questa alternativa è corretta e va esclusa.

C per capire se l’affermazione è corretta o meno bisogna vedere la differenza


Numerica

maggiore tra il primo rettangolo e il suo successivo di ogni serie del grafico. Ciò si
ha in concomitanza del gruppo più in basso di rettangoli, corrispondenti al CAT
e non all’IT. Ne deriva che questa alternativa, essendo non corretta, rappresenta
la risposta esatta.

D la differenza tra il terzo e il quarto rettangolo del primo gruppo (LS) è la


più grande di tutto il grafico, pari solo a quella tra la prima e la seconda CAT
dell’alternativa precedente. L’affermazione è quindi esatta e va scartata.

E possiamo subito scartare questa alternativa per quanto affermato sinora.

Di nuovo, sebbene la C possa apparire subito esatta conviene prima leggere e meditare
qualche secondo anche sulle alternative restanti, per poter segnare la risposta corretta
senza timore.

Un piccolo dubbio, infatti, farà accrescere l’agitazione durante il resto della prova
con un conseguente calo della performance. Per risparmiare pochi secondi si rischia
di compromettere l’esattezza di diversi quesiti a causa dello stress accumulato.

Spesso nei quesiti di interpretazione dei dati rappre-


sentati si trovano i grafici a torta (o areogrammi). A
differenza dei grafici precedentemente analizzati, un
areogramma consente di determinare soltanto quale
frazione del totale rappresenta un certo elemento di
una serie di dati. Questa rappresentazione ha il pre-
gio di evidenziare subito quale voce contribuisce in
maniera maggiore o minore al totale semplicemen-
te confrontando l’ampiezza degli spicchi (delle fette
della torta).
Per spirito di continuità e per consentire un con-
fronto delle potenzialità dei diversi grafici nell’ana- Figura 5.33: Iscritti alle classi prime
dei cinque indirizzi di studio a 5 anni
lisi dello stesso fenomeno, riprendiamo il case study dall’attivazione.
di Tabella 4.3. Consideriamo il grafico a torta 5.33
che riporta, per ogni indirizzo di studi, il numero di
iscritti nelle prime classi a 5 cinque anni dall’attivazione degli indirizzi di studio.

Analizzando il grafico 5.33, in cui sono riportate le iscrizioni alle classi prime
per ogni indirizzo di studio, si individui quale delle seguenti proposizioni è
corretta:
A) il numero di iscritti agli indirizzi AFM e IT rappresenta più della metà del totale
delle iscrizioni
B) il numero di iscritti al Liceo Scientifico rappresenta circa un quarto del totale delle
iscrizioni
Logica 103

C) il numero di iscritti all’indirizzo IT è meno di un quinto del totale delle iscrizioni


D) il numero di iscritti ai licei è maggiore del numero di iscritti all’indirizzo IT
E) nessuna delle precedenti affermazioni è corretta

Logica
Per rispondere al quesito analizziamo ancora le singole alternative:

A nel grafico si nota che la parte di torta corrispondente all’unione dei due
spicchi relativi a AFM e IT è minore di metà torta, quindi l’alternativa è falsa e
va scartata.
B nel grafico si osserva che lo spicchio bianco, corrispondente al Liceo Scientifico,
è correlato ad un angolo al centro minore di un angolo retto, quindi è minore di
un quarto del totale. Anche questa alternativa è falsa e va esclusa.
C nel grafico ci sono 5 spicchi. Se fossero tutti della stessa ampiezza ognuno di
essi rappresenterebbe esattamente un quinto del totale. Quello corrispondente
all’IT è il maggiore di tutti, quindi deve necessariamente essere maggiore di un
quinto del totale. Se ne deduce che l’alternativa è errata e va esclusa.
D l’ampiezza dei due spicchi più chiari (LS + LSU) è maggiore dell’ampiezza
dello spicchio grigio scuro (IT), quindi senza nemmeno fare la somma tra i numeri
riportati come etichetta degli spicchi si può capire che l’affermazione è corretta e
rappresenta la risposta esatta.
E possiamo subito scartare questa alternativa per quanto affermato sinora.

Si noti che non è sempre ovvio scartare istantaneamente un’alternativa simile all’ultima.
Può infatti capitare che tutte le affermazioni siano corrette o errate e che quindi la
risposta esatta sia proprio come la E del quesito precedente.
Un tipo di grafico che consente di osservare l’evoluzione temporale di una serie di
dati o di confrontare le evoluzioni di diverse serie contemporaneamente è il poligono di
frequenza. In questo caso ogni serie è rappresentata da una spezzata che unisce i punti
di ogni serie. Di fondamentale importanza è la pendenza di ogni tratto di spezzata, il
confronto tra le pendenze e l’altezza relativi dei tratti di una serie rispetto alle altre.
Riprendiamo il case study di Tabella 4.3 e consideriamo il grafico per spezzate
4.34, anche chiamato poligono di frequenza, che riporta per ogni indirizzo di studi
il numero di iscritti nelle varie classi a 5 cinque anni dall’attivazione degli indirizzi di
studio.

Analizzando il grafico 4.34, in cui sono riportate le iscrizioni alle 5 classi per
ogni indirizzo di studio, si individui quale delle seguenti proposizioni è non
corretta:
A) il numero di iscritti all’indirizzo AFM ha un calo apprezzabile solo tra il primo e il
secondo anno
B) l’andamento delle iscrizioni all’indirizzo LSU è all’incirca costante durante i 5 anni
del percorso di studi
104 Logica matematica
Numerica

Figura 5.34: Andamento delle iscrizioni alle 5 classi per ognuno dei 5 indirizzi di studio a 5 anni
dall’attivazione.

C) il numero di bocciati tra la classe terza e la classe quarta è maggiore nel LS


rispetto agli altri indirizzi
D) nei tecnici la selezione è maggiore nel primo anno che negli anni successivi
E) tutte le precedenti affermazioni sono corrette

Per rispondere al quesito analizziamo ancora le singole alternative:

A nel grafico si nota che la spezzata corrispodente all’indirizzo AFM ha una


brusca pendenza negativa nel primo tratto per poi assestarsi su una spezzata
quasi orizzontale, quindi l’alternativa è corretta e va scartata.
B nel grafico si osserva che la spezzata con i punti bianchi (LS) ha una brusca
pendenza negativa tra il terzo e il quarto punto, il che contraddice l’affermazione.
Essendo l’alternativa falsa si ha che questa è la risposta esatta.

Analizziamo comunque le restanti alternative per maggiore sicurezza.


C si osserva che la pendenza del terzo tratto di ogni spezzata è meno ripida
nei vari indirizzi rispetto a quella del Liceo Scientifico. L’affermazione è corretta
quindi l’alternativa è da scartare.
D le pendenze dei primi tratti delle spezzate corrispondenti ai tre indirizzi tecnici
sono ripide nel primo tratto e poi più dolci, quindi l’affermazione è esatta e
l’alternativa va esclusa.
E in virtù di quanto affermato per la B si può scartare questa alternativa.
Esiste anche una rappresentazione grafica che combina l’efficacia del grafico per
spezzate con la filosofia cumulativa del diagramma a barre sovrapposte: il grafico
ad aree. In questa tipologia una certa grandezza viene nuovamente scomposta in
componenti, che vengono graficate formando una spezzata. L’area compresa tra due
Logica 105

spezzate è direttamente proporzionale all’apporto dato dalla singola componente al


fenomeno complessivo.
Con questi grafici, dunque, si riesce sia a seguire l’andamento di una grandezza sia
a determinare i diversi apporti dovuti alle varie componenti.

Logica
Consideriamo ad esempio il grafico ad aree 4.35, in cui sono state rappresentate le iscri-
zioni a tutte le classi dei vari indirizzi dell’istituto eccetto il Liceo Scientifico. L’analisi dei
grafici precedenti, infatti, ha mostrato come il numero di bocciati tra il terzo e il quarto
anno nel Liceo Scientifico sia elevato rispetto agli altri indirizzi. La dirigenza vuole quindi
determinare se tra gli altri indirizzi vi siano disparità notevoli nel terzo e quarto anno o
se il Liceo Scientifico costituisca appunto un’indirizzo anomalo.
Grazie al grafico si può ad esempio rispondere al seguente quesito:
Determinare dalla rappresentazione 4.35 quale delle seguenti proposizioni è
corretta:
A) il numero di iscritti alle terze è maggiore per l’IT mentre per le quarte è maggiore
per l’AFM
B) il numero di iscritti alle terze è maggiore per l’IT mentre per le quarte è maggiore
per il CAT
C) il numero di iscritti sia alle terze che alle quarte è maggiore per l’IT
D) il numero di iscritti alle terze è maggiore per il LSU mentre per le quarte è maggiore
per l’IT
E) nessuna delle precedenti affermazioni è corretta

Figura 4.35: Grafico ad aree.

Per rispondere basta osservare il grafico e notare che l’area colorata in nero è maggiore
delle altre e che la massima del gruppo sia in corrispondenza delle classi quarte che
delle classi terze (come si può verificare anche dai dati della Tabella 4.3). Se ne deduce
che la risposta corretta è la C.
Le ogive non sono solitamente presenti nei quesiti di interpretazione di grafici. Un
esempio è riportato nella parte di matematica relativa alla statistica. Ad ogni modo
le informazioni in esse vengono lette esattamente come in un poligono delle frequenze,
con l’unica differenza che il valore di ogni nuovo elemento della serie viene sommato
106 Logica matematica

al totale parziale precedente. Quindi hanno ancora rilevanza le pendenze relative e le


altezze di diverse serie di dati in corrispondenza di uno stesso elemento.
Numerica

5.7 Problemi logico-matematici


Nella prova di ammissione si trovano diversi quesiti rappresentati da problemi logico-
matematici. Possono essere suddivisi in alcune sottocategorie in base agli strumenti
matematici necessari per la loro risoluzione e ciò facilita il compito. Individuata la ti-
pologia di quesito, infatti, basta applicare l’opportuna tecnica matematica che consente
di determinare la risposta corretta in un tempo relativamente breve e con il minimo
rischio di errore.

5.7.1 Frazioni
I quesiti sulle frazioni sono abbastanza semplici da risolvere. Se il testo afferma che
una quantità A è una certa frazione a/b di una quantità B, questa frase si traduce in
un’uguaglianza matematica tramite le seguenti regole:
Il verbo essere, declinato in un tempo qualsiasi, corrisponde al simbolo di uguale
=
la preposizione di o le sue varianti articolate come dei, delle, della, degli, etc. si
traducono in una moltiplicazione ·
a
(5.1) A è la frazione a/b di B =⇒ A= ·B.
b

Se in un mese una famiglia realizza un risparmio pari a 1/5 delle entrate mensili, sapendo
che la somma degli stipendi dei componenti la famiglia ammonta a 2500 e calcolare
quanto viene risparmiato in 3 mesi.
Per risolvere basta calcolare il risparmio mensile R e poi moltiplicare per il numero n
di mesi. Il risparmio mensile R è semplicemente una frazione di una quantità nota: ogni
mese viene messo da parte 1/5 di 2500 e. La somma totale T accantonata è
1
(5.2) R= · 2500 e = 500 e ⇒ T = n · R = 3 · 500 e = 1500 e .
5

Se una quantità è una frazione di frazione, allora si segue la regola precedente ma in


tal caso si ha una catena di due moltiplicazioni tra frazioni.

Vediamo un esempio

Se A è i 2/3 di B e B è a sua volta i 6/7 di C, a quale frazione di C corrisponde A?

2 6 2 6 4
(5.3) A= ·B, B= ·C ⇒ A= · ·C = ·C.
3 7 3 7 7
Logica 107

5.7.2 Percentuali

Una percentuale è una frazione di una certa quantità e rappresenta quindi una gran-
dezza adimensionale in quanto espressa come rapporto tra due grandezze omologhe.

Logica
Per esprimere una quantità come percentuale di una seconda scelta come riferimento
occorre dividere la prima per la seconda e poi moltiplicare per 100.

Se si vuole determinare una certa percentuale di una quantità nota occorre moltiplicare
il numero percentuale per la quantità e poi dividere per 100. Spesso è molto utile
semplificare prima della moltiplicazione, ad esempio elidendo uno 0 al numeratore e
uno al denominatore.
Nel seguito illustreremo alcuni esempi per calcolare sconti e interessi; ricorrere a
una percentuale o usare una proporzione sono spesso procedure analoghe, ognuno può
decidere di usare quella che risulta più congeniale.

Se si vuole sapere il numero 40 che percentuale è di 80 si calcola: (40/80)·100 = 0, 5·100 =


50%.
Se si vuole calcolare il 20% di 96 si calcola (20 · 96)/100 = (2 · 96)/10 = 2 · 9, 6 = 19, 2.

Sconti Se un collo del costo iniziale di 840 e è venduta al 15% di sconto qual
è il prezzo di vendita? Ci sono due modi di procedere: o calcolare lo sconto e
poi sottrarre la quantità dal prezzo iniziale per determinare il prezzo di vendita
o calcolare la percentuale del prezzo iniziale come 100− percentuale di sconto e
poi calcolare la percentuale ottenuta del prezzo iniziale. Mostriamo la seconda
procedura: in questo caso la percentuale del prezzo iniziale è 100% − 15% = 85%.
Il prezzo di vendita si calcola quindi come (85 · 840)/100 = (85 · 84)/10 = 714 e.
Capitali e interessi Se su un capitale di 2500 e si ha un interesse semplice del
4% su base semestrale, quale somma si ritira dopo 3 anni di giacenza? Innanzitut-
to occorre determinare quante unità temporali utilizzate per stabilire l’interesse
sono contenute nell’intervallo di tempo considerato. Come prima cosa, quindi,
bisogna convertire gli anni in semestri. Poiché in un anno ci sono 2 semestri si ha
che 3 anni sono pari a 6 semestri.
Dopo un semestre la somma ritirata, chiamata montante M , è composta dal
capitale iniziale C più gli interessi I: M = C + I. In regime di interesse semplice
dopo n periodi il montante si calcola con la formula M (n) = C · (1 + i)n , dove i
è il tasso di interesse. Nell’esempio i = 4% = 0, 04, quindi M (6) = 2500 · (1 +
0, 04)6 ≈ 3163 e. Gli interessi I sono dati da M − C = 3163 − 2500 = 663 e.

La percentuale di una percentuale è pari al prodotto delle percentuali. Ad esempio il


20% del 20% di una quantità X è pari a (20/100) · (20/100) · X, cioè è il 4% di X.

Restando in tema di interessi, un errore tipico che si commette è quello di non con-
siderare adeguatamente le percentuali successive, ossia il corretto ammontare di una
grandezza che varia due volte di una certa percentuale.
108 Logica matematica

Variazioni percentuali successive Se un investitore possiede 200 azioni di


una compagnia che dopo una settimana hanno incrementato il loro valore del
5%, quanto guadagna alla fine sella seconda settimana se durante gli ulteriori 7
Numerica

giorni le azioni subiscono un decremento di valore pari al 5%? Qualcuno potrebbe


affermare che non conoscendo il valore iniziale non si può determinare quello
finale, ma la considerazione è errata perché se il quesito chiede un guadagno o
una perdita percentuale si hanno tutte le informazioni per individuare la risposta
corretta.
Tipicamente verrebbe da rispondere che se l’aumento e la diminuzione di valore
sono avvenute con la stessa percentuale al termine del periodo il valore finale deve
coincidere con quello iniziale. Questa conclusione, però, è errata. Per verificarlo
calcoliamo separatamente le due variazioni e indichiamo con X il valore iniziale
del pacchetto azionario, X1 il valore dopo una settimana e X2 quello dopo due
settimane.
100 + 5 105
(5.4) X1 = X + 5%X = X= X.
100 100
La quantità che varia durante la seconda settimana non è più X ma X1 . Quindi
100 − 5 95 95 105 19 · 21
X2 = X1 − 5%X1 = X1 = X1 = X= X=
(5.5) 100 100 100 100 400
399
= X = X − 0, 25%X .
400
Sapendo che la frazione finale è 399/400 si capisce che si è persa una parte su
400, cioè un quarto di percentuale.
Si noti che il numero di azioni possedute non è stato rilevante ai fini del calcolo.
Si noti inoltre che se si inverte l’ordine delle variazioni, cioè se si ha prima un
aumento percentuale e poi un decremento della stessa percentuale, il risultato
coincide con quello trovato.

Se una stessa quantità aumenta e successivamente diminuisce della stessa per-


centuale, il valore finale è sempre minore di quello iniziale. Lo stesso accade
anche se prima diminuisce e poi aumenta della stessa percentuale.

Mostriamo la seconda evenienza:


100 − 5 95
(5.6) X1 = X − 5%X = X= X.
100 100
La quantità che varia durante la seconda settimana non è più X ma X1 . Quindi
100 + 5 105 105 95 19 · 21
X2 = X1 + 5%X1 = X1 = X1 = X= X=
(5.7) 100 100 100 100 400
399
= X = X − 0, 25%X .
400
La proprietà dimostrata deriva dalla proprietà commutativa della moltiplicazione:
calcolare una percentuale corrisponde a moltiplicare per una frazione e cambiando
l’ordine dei fattori non si modifica il risultato finale.
Logica 109

Concludiamo la sezione con l’utile Tabella 1.2 che illustra alcune uguaglianze tra fra-
zioni, percentuali e decimali. Le ultime quattro entrate sono ottenute semplicemente
come multipli di relazioni precedenti, ad esempio 2/5 è il doppio di 1/5 e cosı̀ via.

Logica
1 100% 1, 00 1/20 5% 0, 05
1/2 50% 0, 50 1/25 4% 0, 04
1/3 33% 0, 33 1/50 2% 0, 02
1/4 25% 0, 25 2/3 66% 0, 66
1/5 20% 0, 20 2/5 40% 0, 40
1/6 17% 0, 17 3/5 60% 0, 60
1/10 10% 0, 10 4/5 80% 0, 80
Tabella 5.5: Utili corrispondenze tra frazioni, percentuali e decimali.

5.7.3 Proporzioni

Una proporzione è un’uguaglianza tra due rapporti, ovvero tra due frazioni appar-
tenenti alla stessa classe di equivalenza. Il numeratore della prima frazione e il deno-
minatore della seconda sono detti estremi della proporzione, gli altri due sono detti
medi.

Dalla definizione stessa di equivalenza tra frazioni si ricava la proprietà fondamentale


delle proporzioni: il prodotto dei medi è uguale al prodotto degli estremi.
Ad esempio si ha

1 3
(5.8) 1 : 4 = 3 : 12 ⇔ = ⇔ 1 · 12 = 4 · 3 .
4 12
Le proporzioni godono di numerose proprietà:

invertire Invertendo le due frazioni della proporzione si ha ancora una propor-


zione, cioè i reciproci sono in proporzione.

permutare Permutando (scambiando di posto) i due medi o i due estremi si ha


ancora una proporzione.

comporre e scomporre Aggiungendo o sottraendo la stessa quantità a destra


e sinistra si ha ancora un’uguaglianza. Viceversa se all’unità si aggiungono o
sottraggono frazioni equivalenti si hanno ancora frazioni equivalenti.

Grazie alla proprietà invariantiva le proporzioni consentono di risolvere numerosi pro-


blemi in un cui uno dei numeri è incognito: conoscendo tre termini di una proporzione
il quarto è univocamente determinato.

Tipici problemi risolvibili con le proporzioni sono il calcolo degli sconti applicati, il
calcolo dell’interesse semplice su un capitale e le similitudini tra triangoli.
110 Logica matematica

Due triangoli rettangoli ABC e DEF sono simili. Se il lato AB misura 10 cm e il suo
omologo DE è lungo 25 cm, determinare la lunghezza di BC sapendo che il suo omologo
EF misura 75 cm.
Numerica

Per definizione se due triangoli sono simili i rapporti tra i lati omologhi sono uguali. In
questo caso si può scrivere la proporzione AB:DE=BC:EF. Il lato incognito è BC, che
chiamiamo x. Dalla proprietà fondamentale delle proporzioni si ricava BC = 30 cm:

10 x (10 · 75)
(5.9) = ⇔ x= = 30 .
25 75 25

5.7.4 Carte geografiche


Un ambito di frequente utilizzo delle proporzioni è quello delle carte geografiche o delle
mappe, per le quali si ha una proporzione del tipo distanza sulla carta : distanza reale
= 1 : fattore di scala, in simboli d : D = 1 : F s.

Il fattore di scala di una carta geografica è il rapporto tra la distanza reale tra due punti
della superficie terrestre e la corrispondente distanza sulla carta geografica. L’inverso
del fattore di scala è chiamato rapporto di scala.

Vi sono tre tipi di problemi relativi alle carte geografiche, tutti e tre risolvibili con le
proporzioni come illustrato di seguito.
Calcolare la distanza reale In questa situazione si conoscono il fattore di
scala e la distanza sulla carta. Dopo aver trovato D attraverso la proprietà
fondamentale delle proporzioni bisogna convertire i centimetri in kilometri.

Se d = 20 cm per calcolare D su una carta con F s = 2000 si ha

(5.10) 20 cm : D = 1 : 2000 ⇒ D = 20 · 2000 ⇒ D = 4 × 104 cm = 0, 4 km .

Calcolare la distanza sulla carta In questa situazione si conoscono il fattore


di scala e la distanza reale. Occorre innanzitutto convertire la distanza reale in
centimetri esprimendola con le potenze di 10 e poi risolvere la proporzione con
la proprietà fondamentale, il che equivale a calcolare il rapporto tra la distanza
reale e il fattore di scala: d = D/F s.

Se D = 2 km per calcolare d su una carta con F s = 2000 si ha


(5.11)
d 1 2 × 105 cm
d : 2 km = 1 : 2000 ⇒ 5 = 3 ⇒ d= = 100 cm .
2 × 10 cm 2 × 10 2 × 103

Calcolare il fattore di scala In questa situazione si conoscono la distanza reale


e la distanza sulla carta. Il loro rapporto è l’inverso del fattore di scala.
Logica 111

Se d = 20 cm e D = 2 km per calcolare F s si ha
(5.12)
20 cm 1 1 1
20 cm : 2 km = 1 : F s ⇒ = ⇒ = ⇒ F s = 10000 .
2 × 105 cm Fs 104 Fs

Logica
5.7.5 Proporzionalità inversa
È abbastanza frequente trovare quesiti che si ba-
sano su una relazione di proporzionalità inversa
tra due grandezze. Questa tipologia viene anche
denominata problemi di o sul lavoro.

Ricordando la definizione fisica di potenza P


come di rapporto tra lavoro L e tempo t, si ha
la relazione P = L/t. Questa relazione unita
alla proprietà invariantiva consente di risolvere
numerosi problemi realizzando che il numero di
persone corrisponde alla potenza P e il numero
di oggetti finiti al lavoro L.

Figura 5.35: Il tempo è una grandezza


Prima di illustrare un esempio ricordiamo le fondamentale sia nei quesiti sul lavoro
definizioni di proporzionalità diretta ed inversa. che in quelli sulle distanze.

Due grandezze x e y sono direttamente proporzionali quando all’aumentare dell’una


aumenta anche l’altra dello stesso fattore k chiamato coefficiente di proporziona-
lità diretta, ovvero quando il loro rapporto è costante. Graficando una grandezza in
funzione dell’altra si ottiene una retta passante per l’origine e con pendenza legata a
k.

y
(5.13) x∝y ⇔ y =k·x ⇔ = k.
x
Sono ad esempio direttamente proporzionali il costo totale di un acquisto di tot oggetti
identici e il numero di oggetti acquistati. Un ulteriore esempio di proporzionalità diretta
si ha tra lo spazio percorso e il tempo trascorso in un moto rettilineo uniforme di un
oggetto che è partito dall’origine di un sistema di riferimento.

Due grandezze x e y sono inversamente proporzionali quando all’aumentare dell’una di


un fattore k l’altra diminuisce di un fattore inverso 1/k, ovvero quando il loro prodotto
è costante. k è chiamato coefficiente di proporzionalità inversa. Graficando una
grandezza in funzione dell’altra si ottiene un ramo di iperbole equilatera.

1 k
(5.14) x∝ ⇔ y= ⇔ y ·x = k.
y x
112 Logica matematica

Sono ad esempio inversamente proporzionali la velocità media e il tempo impiegato per


percorrere un certo tratto. Un ulteriore esempio di proporzionalità inversa si ha tra la
densità di un cubo omogeneo e il volume da esso occupato a parità di peso.
Numerica

Vediamo dunque come utilizzare la proporzionalità inversa, cioè il prodotto costante,


per risolvere problemi in cui viene prodotto qualcosa (lavoro) in un certo tempo da
alcune persone (potenza).

Se due operai impiegano 10 ore per montare 40 pezzi, quanto tempo occorre a 4 operai per
montare 80 pezzi? In questi casi è opportuno ricavare l’unità di base, che qui corrisponde
a quanti pezzi monta un operaio in un’ora. Ovviamente se due operai ne montano 40 in
10 ore nello stesso tempo un operaio ne monta 20. La proporzione è allora 10 : 20 = 1 : x.
Risolvendola si ha 10 · x = 20 · 1 ovvero x = (20 · 1)/10 = 2. Si può allora calcolare il
numero di pezzi montati da 4 operai in un’ora semplicemente moltiplicando per il numero
di operai: 2 · 4 = 8. Dividendo il totale richiesto per il numero di pezzi montati all’ora si
trova il numero di ore: 80/8 = 10.

Si poteva giungere alla soluzione notando che sia il numero di operai che il numero di
pezzi montati sono raddoppiati. Poiché le due grandezze sono state moltiplicate per lo
stesso fattore il tempo deve restare costante.

5.7.6 Spazio, tempo e velocità


Molto spesso si incontrano quesiti le cui proposizioni legano queste tre grandezze ci-
nematiche. Indicando lo spazio percorso con d dall’iniziale della parola distanza, il
tempo trascorso con la t e la velocità mantenuta costante con la v si hanno le
seguenti relazioni:
d d
(5.15) v= , t= , d = v · t.
t v
I quesiti si risolvono utilizzando una di queste relazioni, le tecniche delle equazioni
di primo grado e un po’ di ragionamento. Conviene tradurre il testo in equazione e
risolverla con le formule date piuttosto che guardare subito le alternative.

Se un atleta percorre 100 m in 10 s, mentre un altro ha una velocità massima di 8 m/s,


quale vantaggio deve avere il secondo atleta per essere sicuro di vincere?
Troviamo il vantaggio minimo, ossia quello per il quale i due atleti arrivano nello stesso
momento al traguardo. Come si arguisce dalla frase, la condizione si basa sulla grandezza
tempo, quindi sulla formula t = d/v. Dobbiamo uguagliare il tempo del primo atleta,
cioè 10 s, con la formula del tempo per il secondo atleta ottenendo un’equazione. La
nostra incognita x è il vantaggio, legato alla distanza massima, cioè 100 m, dal fatto che
la distanza che percorre il secondo atleta nei 10 s è d = 100 − x:
100 − x
(5.16) 10 s = ⇒ 80 = 100 − x ⇒ x = 20 m .
8 m/s

Altre volte il testo del quesito sfrutta soltanto le grandezze indicate, ma per la riso-
luzione occorre applicare le frazioni, come illustrato nella sezione 4.7.1. Analogamente
possono essere richieste l’applicazione di una percentuale o di una proporzione.
Logica 113

Lo stesso quesito precedente poteva essere risolto molto più semplicemente realizzando
che la velocità del secondo atleta è i 4/5 di quella del primo. Se quindi devono giungere al
traguardo nello stesso tempo il secondo deve percorrere una distanza pari a 4/5 di quella
percorsa dal primo. Ne consegue che il vantaggio deve essere 1/5 della distanza totale,

Logica
cioè 1/5 di 100 m, ovvero 100 m/5=20 m.

Può essere utile rappresentare le distanze come segmenti, in modo da poter confrontare
i rapporti tra le diverse distanze presenti nel quesito.

5.7.7 Equazioni ed incognite


In realtà non esiste una vera categoria dedicata alle equazioni: come si è visto ognuna
delle tecniche descritte sinora viene poi utilizzata in un’equazione.

Un’equazione è un’uguaglianza in cui compare almeno un elemento ignoto, chiamato


incognita (x), e almeno un termine noto (un numero).

Per risolvere un’equazione di primo grado si seguono le normali regole dell’algebra e le


proprietà delle operazioni. Svolte le eventuali parentesi si portano tutti i membri con
l’incognita a sinistra e tutti i termini noti a destra, si sommano i termini simili a destra
e quelli a sinistra, si dividono ambo i membri per il coefficiente della x e si determina
l’incognita.
Per equazioni di grado superiore si rimanda alla sezione dedicata nella parte di
matematica.
Spesso con le equazioni si risolvono problemi logici di natura geometrica, in
cui ad ogni grandezza geometrica si fa corrispondere un simbolo e uno di essi è di
misura incognita. Vediamo un esempio:

Se un quadrato è equivalente a un rettangolo che ha la base b di 2 m e l’altezza h di 6 m,


quanto misura la diagonale del quadrato?
L’incognita è qui la diagonale d. Per risolvere il quesito occorre ricordare che due figure
sono equivalenti quando hanno la stessa area, che l’area del rettangolo è Ar = b · h e
quella del quadrato
√ è Aq = l2 e che lato l e diagonale del quadrato sono legati dalla
relazione d = l 2.

√ √
Ar = b · h = 2 m · 6 m = 12 m2 = Aq
p
⇒ l= Aq = 12 = 2 3 m
(5.17) √ √ √ √
d = l 2 = 2 3 m · 2 = 2 6 m.

In altri casi è possibile impostare semplici equazioni per risolvere quesiti numerici.
Vediamo un esempio:
114 Logica matematica

Andrea, Barbara, Camillo e Dario hanno ricevuto 450000 Euro in eredità. Ad Andrea
spetta il doppio di Barbara, a Camillo spetta una volta e mezza la cifra di Andrea e a
Dario il triplo di Barbara. Quanto riceve Dario?
Numerica

A) 100000 B) 20000 C) 50000 D) 200000 E) 150000


Leggendo la traccia notiamo che tutte le frazioni di eredità sono espresse come multipli
della frazione di Barbara, che quindi poniamo uguale a x. Se la frazione di eredità di
Barbara è x, allora:
frazione di Andrea = 2x;
frazione di Camillo = 2x + 21 ;
frazione di Dario = 3x.
Poiché l’eredità è pari a 450 000 e, impostiamo la seguente equazione:

x + 2x + (2x + 12 ) + 3x = 450000

risolvendo per x si ottiene x = 50000, che sarà la porzione di eredità di Barbara; ma


poiché il quesito chiede la porzione di Dario triplichiamo la nostra x e otteniamo 150000,
ovvero la risposta E.

Il passaggio cruciale in questi quesiti è la scelta della quantità da rappresentare con l’in-
cognita, perché i calcoli da svolgere per risolvere le equazioni impostate dipenderanno
dai valori espressi in funzione dell’incognita scelta.

Non è possibile che la risoluzione di un quesito di logica richieda di impostare un’equa-


zione di secondo grado o un’altra tecnica matematica complessa; nei quesiti di logica
è sempre utile puntare a soluzioni semplici.

Infine, si possono anche incontrare quesiti numerici nella cui traccia compaiono delle
incognite da calcolare. Possiamo indicare questi quesiti come quesiti di sostituzione,
vediamo un esempio:

Un calcolatore può effettuare n calcoli in s secondi. Quanti minuti impiegherà per


effettuare x calcoli?
60xs xs xs 60n x
A) n
B) n
C) 60n
D) xs
E) 60ns
Proviamo ad interpretare le incognite nel modo seguente:

n=1 s = 30 x=2

Sulla base di questa interpretazione possiamo fornire una risposta preliminare alla doman-
da del quesito: se per effettuare 1 calcolo il calcolatore impiega 30 secondi, per effettuarne
due impiegherà 1 minuto.
Andiamo quindi a sostituire i nostri valori all’interno delle opzioni di risposta, quella
corretta sarà quella che fornisce come risultato 1, ovvero il tempo (in minuti) che secondo
i nostri valori è necessario per compiere 2 calcoli:
Logica 115

60xs 60(2×30) 3600 xs 2×30 60


A) n
= 1
= 1
8 C) 60n
= 60(1)
= 60
=14
xs 2×30 60n 60(1) 60
B) n
= 1
= 60 8 D) xs
= 2×30
= 60
=14

Logica
x 2 2
E) 60ns
= 60(1×30)
= 1800
8
Poiché abbiamo ottenuto un risultato ambiguo (due risposte corrette), verosimilmente la
nostra interpretazione delle incognite non era la più adatta a risolvere il quesito. In questi
casi è sufficiente effettuare una nuova sostituzione solo per i casi ambigui, scegliendo nuovi
valori per le incognite:

n=2 s = 30 x=8

In questa nuova interpretazione il calcolatore effettua due calcoli in 30 secondi e quindi


per effettuare 8 calcoli impiega 2 minuti:
xs 2×30 60 60n 60(1) 60
C) 60n
= 60(1)
= 60
=14 D) xs
= 2×30
= 60
=18
La risposta corretta è quindi la C.

In generale, la strategia per risolvere questo genere di quesiti è quella di sostituire dei
valori ad hoc alle incognite, scelti in base ad un criterio di comodità di calcolo: sono
preferibili valori che permettono di effettuare operazioni rapide, semplici e senza resto.
Se la scelta è effettuata con criterio è sufficiente una sola sostituzione, altrimenti (come
nell’esempio sopra) si rende necessario procedere con ulteriori tentativi.

5.7.8 Crittografia

La crittografia è la scrittura in codice di un insieme di simboli.

Nella trattazione delle sequenze di lettere abbiamo già visto come sia possibile far
corrispondere due insiemi simbolici, ad esempio assegnando ad ogni lettera l’intero cor-
rispondente al suo ordine nell’alfabeto. Il risultato della relazione, cioè della cifratura,
è un messaggio criptato.
Se in un espressione matematica operiamo una trasformazione simbolica, ossia
stabiliamo una relazione che ad ogni simbolo originale ne associa uno nuovo secondo
una determinata legge, otteniamo un’altra espressione analoga a quella di partenza.
Per semplicità la trasformazione coinvolge soltanto gli operandi (cioè i numeri) e non
gli operatori, che restano identificati dagli usuali simboli delle operazioni: somma (+),
sottrazione (-), moltiplicazione (·) e divisione (: o /). Il simbolo di uguale (=) mantiene
il suo significato solito.
Nei quesiti che riguardano queste uguaglianze criptate bisogna decifrare il codice
per giungere alla soluzione e stabilire il valore numerico di uno dei simboli presenti.
I nuovi simboli possono essere figure geometriche o altre figure. Per rendere possibile
risalire al valore incognito alcuni numeri originali mantengono il proprio simbolo.
Per risolvere il sistema di uguaglianze rappresentato dal testo del quesito si procede
con le usuali regole di soluzione dei sistemi di equazioni riportate nella parte di ma-
tematica. Utilizzando più volte il metodo di sostituzione si eliminano via via i simboli
116 Logica matematica

fino a restare con un’unica uguaglianza in cui compaiono solo numeri e la figura di cui
si ignora il valore. A quel punto le usuali regole dell’algebra consentono di determinare
la soluzione.
Numerica

Per questi esercizi è controproducente guardare le alternative, che infatti nell’esempio


seguente non riportiamo. Conviene concentrarsi e risolvere il sistema maneggiando i
simboli nel modo cui siamo abituati.

L’esempio complesso che riportiamo vi permetterà di risolvere qualsiasi esercizio


di questo tipo, sperimentando una meritata soddisfazione per l’efficacia delle vostre
manipolazioni simboliche.

Consideriamo il seguente esempio, in cui vogliamo determinare il valore del simbolo ♥.

♠+♥=0
2♦ + ♠ = 3
(5.18)
♣+♦=2
♠−♣=1

La risposta deve giungere dalla prima equazione, che invertita dà ♥ = −♠.
Per determinare il valore di ♠ bisogna risolvere il sistema delle altre tre equazioni. In-
vertendo la seconda si ha ♠ = 3 − 2♦. Dalla terza si ricava ♦ = 2 − ♣ e dalla quarta
−♣ = 1 − ♠. Sostituendo quest’ultima nella precedente si ottiene ♦ = 2 + 1 − ♠ = 3 − ♠.
Sostituendo questo risultato nella seconda si ha ♠ = 3 − 6 − 2♠, da cui ♠ = −1 e quindi
♥ = 1.

5.7.9 Probabilità
Fanno parte dei problemi logico-matematici anche i quesiti sulla probabilità. Una trat-
tazione esaustiva di tale soggetto richiede diverse precisazioni e per essa si rimanda alla
parte di matematica, dove i numerosi esempi possono aiutare a discernere tra i diversi
ragionamenti da attuare per trovare la soluzione corretta.

Ricordiamo che la definizione classica di probabilità afferma che la probabilità P (E)


che si verifichi un evento E è pari al rapporto tra il numero di casi favorevoli e il totale
dei casi. Inoltre P (E) è sempre compreso tra 0 e 1, corrispondenti rispettivamente alla
certezza che E non si verifichi o alla certezza che si verifichi.

Nel seguito mostriamo alcuni semplici problemi chiarificatori che possono contribuire
ad evitare errori tipici in cui si incorre in questi quesiti.
Logica 117

In una ricevitoria del lotto un cartello ricorda i numeri ritardatari: il 2 non


viene estratto da 40 settimane, il 23 da 32, il 54 da 29 e il 78 da 28. Quale
coppia deve giocare un cliente per avere la maggiore probabilità di vittoria?

Logica
A) 2 e 23 perché sono i due con maggiore ritardo
B) 23 e 54 perché sono quelli con i valori più lontani dagli estremi dell’intervallo
ammesso
C) 2 e 23 perché sono quelli con il valore minore
D) non si può rispondere al quesito se non si conosce la città in cui si trova la ricevitoria
E) tutte le possibili coppie hanno la stessa probabilità di vincita

È un errore comune credere che i numeri ri-


tardatari abbiano un’elevata probabilità di
essere estratti e che maggiore sia il loro ritar-
do e maggiore la rispettiva probabilità. Ogni
estrazione, invece, rappresenta un evento
indipendente dalle estrazioni precedenti, è
come se l’universo riazzerasse i risultati pas-
sati prima di ogni nuova estrazione. Le proba-
bilità dei diversi numeri estratti, quindi, non
dipendono dalle frequenze delle estrazioni già
svoltesi. Segnare i numeri ritardatari può ave-
re senso per amore di statistica, non certo per Figura 5.36: Oltre a dadi, carte da gioco e lot-
aumentare le chances di vincita. terie la roulette è un altro classico ambiente per
Alla luce di quanto affermato si può de- esercitarsi con le probabilità.
sumere che la risposta corretta è la E. La B
e la C, infatti, sono prive di senso in quanto tutti i numeri hanno la stessa probabilità
di essere estratti, indipendentemente dal loro valore. La D è palesemente errata.
Certe volte per rispondere ai quesiti di probabilità bisogna ricorrere al calcolo com-
binatorio. Altre volte, però, ciò è vero solo in apparenza e con qualche secondo di
riflessione si può trovare la risposta corretta senza troppo sforzo.

Un bambino di 5 anni lancia in aria una moneta e ottiene testa per 6 volte
di seguito. Qual è la probabilità che anche alla settima volta esca testa, se
nei precedenti 4 esperimenti uguali a quello in corso è uscita croce al settimo
lancio?
A) 1/7 B) 1/2 C) 5/7 D) 1/35 E) nessuna delle precedenti

Nel quesito ci sono diversi numeri che hanno il solo scopo di confondere, come l’età
del bambino. Prima di cominciare a calcolare in quanti modi diversi si possono avere
tot teste e tot croci, etc., bisogna riflettere un momento con calma. Come nel caso
precedente, il fatto che prima del settimo lancio vi siano stati altri 6 lanci non inficia il
settimo lancio, perché ogni lancio è un evento indipendente dai precedenti. Allo stesso
modo, l’esperimento attuale è indipendente dai 4 già svolti e quindi il loro esito non
influisce sulla probabilità dell’esperimento attuale.
118 Logica matematica

Il fatto che i primi 6 lanci siano testa è semplicemente un evento registrato, ora
bisogna chiedersi qual è la probabilità che nel lancio di una singola moneta esca testa?
La risposta è semplicemente 1/2, in quanto le due facce della moneta sono equiprobabili,
Numerica

quindi l’alternativa corretta è la B.

5.8 Calendario
Alcuni quesiti richiedono di effettuare calcoli realtivi al calendario. Vediamo un esempio:

Se il 22 Gennaio è il quarto mercoledı̀ del mese, quando cade il quarto lunedı̀ di Gennaio?
A) 20 Gennaio
B) 21 Gennaio
C) 26 Gennaio
D) 27 Gennaio
E) 28 Gennaio

Per risolvere questo genere di quesiti è naturalmente possibile scrivere la parte rilevan-
te del calendario che ci interessa in modo da visualizzare la risposta corretta. Questo
metodo riproduce quello che succederebbe se il candidato avesse la possibilità di consul-
tare un calendario per visualizzare la risposta. Nell’esempio proposto sopra si potrebbe
infatti generare un calendario in cui il 22 gennaio corrisponde al quarto mercoledı̀ del
mese, andando a ritroso per visualizzare in che giorno del mese cade il quarto lunedı̀.
Il risultato sarebbe una tabella simile alla successiva:

Gennaio
L M M G V S D
1 2 3 4 5
6 7 8 9 10 11 12
13 14 15 16 17 18 19
20 21 22 23 24 25 26
27 28 29 30 31
Figura 5.37: Calendario per la risoluzione con il metodo forza bruta

Questo metodo di risoluzione che utilizza la cosidetta “forza bruta”, può richiedere
molto tempo e va considerato come l’ultima risorsa per risolvere i quesiti sul calendario,
da utilizzare quando tutto il resto è fallito e non si hanno altre idee. Prima di passare alla
forza bruta è possibile fare riferimento alle seguenti regole, che in molti casi permettono
di risolvere i quesiti sul calendario attraverso semplici calcoli e senza necessità di dover
visualizzare il calendario.
Logica 119

Regola 1. Per riconoscere un anno bisestile è sufficiente verificare che la cifra sia
divisibile per 4: 2000, 2004, 2008, 2012, ecc. Sono tutti anni bisestili.
Regola 2. Negli anni non bisestili, gli stessi giorni del mese di febbraio e marzo

Logica
cadono sempre nello stesso giorno della settimana. Ad esempio, nel 2001 (anno non
bisestile) il 15 febbraio e il 15 marzo cadono entrambi di giovedı̀; mentre nel 2000
(bisestile) il 15 febbraio è un martedı̀ mentre il 15 marzo è un mercoledı̀.
Regola 3. Dati due anni non bisestili consecutivi, nel secondo anno lo stesso giorno
del mese cade nel giorno della settimana successivo rispetto a quello del primo anno.
Ad esempio, nel 2001 (anno non bisestile) il 15 agosto cade di mercoledı̀, mentre nel
2002 (anno non bisestile) cade di giovedı̀.
Regola 4. Dati due anni consecutivi di cui il secondo è bisestile, nel secondo anno
lo stesso giorno del mese cade due giorni della settimana dopo rispetto a quello del
primo anno. Ad esempio, nel 1999 (anno non bisestile) il 15 agosto cade di domenica,
mentre nel 2000 (anno bisestile) cade di martedı̀.
Naturalmente questa regola si applica a tutti i giorni del secondo anno (quello
bisestile) successivi al 29 febbraio) e similmente ai giorni dal primo gennaio al 28
febbraio del secondo anno rispetto ad un eventuale terzo anno (nell’esempio precedente
il 2001) che non sarà bisestile. Infatti il 28 febbraio 2000 è un lunedı̀ mentre il 28 febbraio
2001 è un mercoledı̀.
Regola 5. Sapendo che un certo giorno del mese cade in un certo giorno della
settimana, possiamo calcolare in che giorno della settimana cade il primo giorno del
mese sottraendo 7 dal giorno del mese fino ad arrivare ad 1 oppure ad un numero
minore di 7. Se si arriva ad 1 il primo giorno del mese cade nello stesso giorno della
settimana rispetto al giorno di partenza, se si arriva ad un numero minore di 7 diverso
da 1 è sufficiente contare i giorni della settimana a ritroso. Ad esempio, se il 22 gennaio
è un mercoledı̀, calcoliamo che 22 7 = 15; 17 7 = 8 e 8 1 = 1; quindi il primo gennaio
sarà un mercoledı̀. Se invece il 16 gennaio è il terzo sabato del mese calcoliamo che 16
7 = 9 e 9 7 = 2; quindi il 2 gennaio sarà un sabato e il primo gennaio sarà un venerdı̀.
Regola 6. Poiché non necessariamente un mese inizia di lunedı̀, la prima occorrenza
di un giorno della settimana precedente può essere successiva alla prima occorrenza di
un giorno della settimana successivo. Ad esempio, se un mese inizia di mercoledı̀, il
primo lunedı̀ sarà successivo al primo mercoledı̀, nonostante il lunedı̀ sia un giorno
della settimana precedente al mercoledı̀ (per un esempio concreto si veda il quesito
illustrato a inizio sezione).

5.9 Tempi combinati


Alcuni quesiti chiedono di calcolare il tempo necessario ad un certo numero di individui
per portare a termine un determinato lavoro. Vediamo un esempio:
120 Logica matematica

Se Ciro riesce a riverniciare una casa in 6 ore e Olga in 9 ore, quanto tempo impiegheranno
i due se lavorano insieme?
Numerica

A) 7h 30min
B) 4h 32min
C) 4h 24min
D) 3h 45min
E) 3h 36min

Per risolvere questo genere di quesiti possiamo avvalerci di due regole:

Regola 1. Se un soggetto completa un lavoro in h ore, in 1 ora completa 1/h del


lavoro.

Regola 2. Se un soggetto completa a/b di un lavoro in 1 ora, in b/a ore completa


l’intero lavoro.

Le regole vanno applicate ai dati del quesito nel modo seguente:

Ciro 1/6 di lavoro in un’ora regola 1


Olga 1/9 di lavoro in un’ora regola 1
Ciro + Olga 5/18 di lavoro in un’ora somma dei dati precedenti
Ciro + Olga 18/5 di ora per l’intero lavoro regola 2

Tabella 5.6: Applicazione delle regole descritte.

18/5 di ora è già la risposta al quesito, dobbiamo solo convertirla nel formato presente
nelle opzioni di risposta. Procediamo dividendo 18 per 5 e ottenendo 3,6. 3,6 ore equivale
a 3 ore più il 60% di un’ora, ovvero 3 ore e 36 minuti. La risposta corretta è quindi la
E.
Questo genere di quesiti può essere presentato in una forma leggermente diversa da
quella vista sopra. Vediamo un esempio:

Se quattro ragazzi scavano una buca in due ore, quanti minuti impiegheranno cinque
ragazzi per scavare la stessa buca, se si assume che tutti lavorano alla stessa velocità?
A) 480
B) 96
C) 100
D) 48
E) nessuna delle precedenti
Logica 121

In casi come questo non è possibile utilizzare le due regole illustrate sopra ma bisogna
fare riferimento alla seguente regola:
Regola 3. Se n soggetti completano un lavoro in h ore, m soggetti impiegano

Logica
(n · h)/m ore.

Per risolvere il quesito precedente convertiamo le 2 ore della traccia in 120 minuti
e applichiamo la regola 3: (4 · 120)/5=96. La risposta corretta è dunque la B.

5.10 Problem Solving


I quesiti di problem solving sono quesiti che non si risolvono attraverso metodi meccanici
ma richiedono ragionamenti ad hoc. Anche se i quesiti di qualsiasi tipologia possono
essere formulati in modalità problem solving, sono quelli di logica numerica che si
prestano maggiormente ad essere presentati in questo modo. Ricordando che non esiste
alcun metodo di risoluzione meccanico che si possa utilizzare per tutti i quesiti di
problem solving e che non esiste una teoria specifica ma si tratta piuttosto di utilizzare
in modo creativo le stesse nozioni che si utilizzano per gli altri quesiti, vediamo di
seguito alcune tecniche a cui si può fare riferimento quando si resta a corto di idee
davanti ad un quesito. Considerata la natura dei quesiti di problem solving, queste
tecniche possono essere illustrate solo facendo riferimento a casi concreti, sta poi al
candidato adattare il procedimento a casi differenti e sopratutto scegliere la tecnica
adatta ad un quesito specifico.

5.10.1 Sostituzione
Il metodo di sostituzione è un’alternativa ai ragionamenti algebrici che permette di
andare a ritroso dalle opzioni di risposta alla traccia e che può essere potenzialmente
utilizzato tutte le volte che il quesito è risolvibile attraverso un ragionamento algebrico.
Vediamo un esempio:

Mario vende le sue azioni della Pinguino S.p.a. per 36 e l’una e quelle della Mela S.p.a.
per 52 e l’una. Se in tutto ha venduto 300 azioni al prezzo medio di 40 e per azione,
quante azioni di Mela S.p.a. ha venduto?
A) 57
B) 75
C) 90
D) 136
E) 1184

Il quesito può essere risolto algebricamente risolvendo l’equazione 52x + 36(300 x) =


40(300) oppure ragionando nel modo seguente.
1. Cerchiamo nella traccia un dato certo, che non richiede nostre inter-
pretazioni:
Poiché il prezzo medio delle azioni è 40 e e le azioni vendute sono 300, Mario
guadagna 12 000 e dalla vendita delle azioni.
122 Logica matematica

2. Assumiamo che la risposta A sia corretta e rispondiamo alla domanda


del quesito:
Mario ha venduto 57 azioni di Mela S.p.a.
Numerica

3. Inseriamo la risposta che abbiamo assunto essere corretta nella traccia


e svogliamo i calcoli richiesti:
Mario ha incassato 5752=2964 e da Mela S.p.a. e 36·243=8784 e da Pinguino
S.p.a.; per un totale di 11 748 e. La risposta A non può quindi essere corretta,
poiché assumendola come tale ritroviamo un valore diverso da quello contenuto
nella traccia (117486=12000). 4. Ripetiamo i passaggi 2 e 3 per le altre opzioni di
risposta fino a trovare quella corretta. Nel quesito di esempio la risposta corretta
è la B: Mario ha incassato 75·52=3900 e da Mela S.p.a. e 36·225=8100 e da
Pinguino S.p.a.; per un totale di 12 000 e. 12000=12000.

Una volta individuata la risposta corretta non è necessario testare le altre opzioni
poiché (a meno di errori nella formulazione del quesito) non può esserci possibilità di
ambiguità nelle risposte. Va notato anche che spesso alcune risposte possono essere
escluse senza alcun test, come ad esempio la risposta E nel quesito di esempio (1184 è
maggiore del numero totale di azioni, impossibile).
Il vantaggio del metodo di sostituzione è che prevede una componente meccanica più
marcata rispetto al tradizionale metodo algebrico, mentre lo svantaggio è che in alcuni
casi la sua applicazione può richiedere tempi lunghi. La scelta di utilizzare il metodo
di sostituzione va necessariamente fatta caso per caso, tenendo presente le specificità
del quesito in analisi.

5.10.2 Semplificazione e generalizzazione


Alcuni quesiti presentano problemi complessi che possono essere ridotti ad altri più
semplici, utili per ricavare principi generali applicabili sia ai casi semplici che a quelli
più complessi. Vediamo un esempio.

Arturo vuole piantare una fila di alberi nel giardino della sua villa di campagna. La-
sciando fra un albero e l’altro la distanza di 8 metri, sono necessari 26 alberi. Quanti ne
occorrerebbero se la distanza tra 2 alberi consecutivi si dimezzasse?
A) 40
B) 48
C) 50
D) 51
E) 52

Semplifichiamo il problema immaginando che gli alberi siano solo 2: quanti ulteriori
alberi sarebbero necessari in questo caso? La risposta è “1”, poiché dimezzare la di-
stanza equivale a inserire un albero tra i due già presenti. Cosa succederebbe invece se
gli alberi fossero 3? In questo caso avremmo bisogno di inserire 2 alberi che andrebbero
a dimezzare lo spazio tra il primo e il secondo albero e tra il secondo e il terzo albero.
E se gli alberi fossero 4? In questo caso avremmo bisogno di 3 alberi.
Logica 123

Dal ragionamento in svolgimento inizia ad emergere un principio generale: “il nu-


mero di alberi necessari è uguale al numero di alberi totale più il numero di alberi meno
1.” Abbiamo infatti analizzato i seguenti tre casi: 2 alberi + 1; 3 alberi + 2 e 4 alberi
+ 3.

Logica
Applicando questo principio al problema originale otteniamo 26 alberi + 25 = 51
alberi, che è proprio la risposta corretta.

5.10.3 Approssimazione
Approssimare i calcoli può essere un metodo per arrivare alla soluzione di un problema
senza dover svolgere calcoli troppo complessi (e quindi lunghi). Vediamo un esempio:

Che percentuale della superficie coperta da boschi si trova in Finlandia considerando che
la Finlandia possiede 53,42 milioni di ettari di bosco contro gli 8,076 miliardi di ettari di
bosco del pianeta?
A) 0,0066%
B) 0,066%
C) 0,66%
D) 6,6%
E) 66%

8,076 miliardi equivale a 8.076 milioni, che possiamo approssimare a 8.000 milioni;
allo stesso modo approssimiamo 53,42 milioni a 53 milioni. A questo punto possiamo
dividere 53 per 8.000 ottenendo 0,0066, che convertiamo in percentuale moltiplicando
per cento e ottenendo quindi 0,66%, la risposta corretta. Approssimando siamo riusciti
a risolvere il quesito attraverso un singolo calcolo (53/8000), che si può a sua volta
svolgere in modo approssimato equiparando 53 all’1% di 8000, ovvero 80 e notando che
53 corrisponde a circa i 2/3 dell’1%, quindi 0,66%.

5.10.4 Osservazione
Nei quesiti con figure, grafici o diagrammi possiamo basare i nostri ragionamenti sulla
mera osservazione senza necessità di svolgere alcun calcolo. Vediamo un esempio:

D A

C B
Figura 5.38
124 Logica matematica

Nella figura 5.38 il quadrato ha un lato che misura 4 unità, qual è l’area del cerchio
inscritto, approssimata al numero più vicino?
Numerica

A) π
B) 4
C) 8
D) 13
E) 16

Per risolvere il quesito notiamo che qualunque sia l’area del cerchio, sarà sicuramente
poco più piccola dell’area del quadrato. L’area del quadrato è 16, quindi l’opzione
di risposta su cui concentrarsi è sicuramente la D. Se svolgiamo i calcoli otteniamo
infatti 3,14·22 = 12,56. Notiamo però che in questo caso non è assolutamente necessario
svolgere i calcoli, poiché solo la risposta D è visivamente compatibile con la figura e
il calcolo richiesto. Prima di provare a risolvere un quesito per mera via osservativa
è necessario, naturalmente, assicurarsi che la scala in cui è riprodotta la figura non
influisca sui ragionamenti visivi che si stanno per svolgere.

5.10.5 Eliminazione e congetture


In alcuni casi si può procedere per eliminazioni, fino a ridurre il numero di opzioni di
riposta in modo da ridurre la probabilità di sbagliare in caso sia necessario congetturare
la riposta. Si tratta di un procedimento potenzialmente rischioso che deve essere utiliz-
zato solo quando non sono disponibili altri procedimenti. Le seguenti regole forniscono
una traccia per procedere con le eliminazioni:
1) Eliminare le risposte che sembrano diverse dalle altre.
1) Eliminare le risposte con valori troppo grandi o troppo piccoli.
1) Eliminare le risposte che contengono gli stssi valori presenti nella traccia
o sono derivabili in modo troppo diretto dalla traccia.
Vediamo un esempio:

Un broker investe i suoi risparmi nel mercato azionario. Durante il primo anno incrementa
il suo patrimonio del 50% mentre durante il secondo anno registra perdite per il 30%.
Qual è la variazione percentuale tra il patrimonio iniziale e quello al termine del secondo
anno?
A) -5%
B) 5%
C) 15%
D) 20%
E) 80%

Seguendo le 3 regole esposte sopra possiamo eliminare la risposta A (è l’unica negativa);
la risposta D (è direttamente derivabile dalla traccia, che contiene 50% e 30%); la
Logica 125

risposta E (è un valore troppo grande). A questo punto le nostre congetture si possono
limitare alle risposte B e C. Notiamo che il metodo delle eliminazioni e congetture non
porta necessariamente ad una risposta univoca e come tale non è un vero e proprio
metodo risolutivo.

Logica
Per risolvere il quesito direttamente risolviamo il seguente calcolo: (150%·70%)
100% = 5%.

5.11 Quesiti
1) Quale valore completa la serie 5) Se un quadrato Q di area 400 m2 ha
5,6,5,7,7,? ? estensione doppia di quella di un se-
condo quadrato q, quanto misura il
A 5 lato di q?
B 6 √
A 20 m
C 7 √
B 2m
D 8 √
C 10 2 m
E 9 D 20 m
2) Quale lettera completa la serie E 40 m
A,B,4,H,16,? ? 6) Se due punti distano nella realtà
200 km e su una cartina soltanto 4 cm,
A L
qual è la scala della cartina?
B M
A 1 : 5000000
C Z
B 1 : 20000000
D W
C 1 : 2000000
E G
D 1 : 50000000
3) Dalla Tabella 4.3 quale anno di stu- E 1 : 25000000
dio ha il maggior numero di iscrizioni
7) Se ♣ + ♥ = 2 e ♥ − ♠ = 1, quale delle
complessive?
seguenti uguaglianze è corretta?
A le classi prime A ♣=1−♥
B le seconde B ♣=1−♠
C le terze C ♣=1+♥
D le quarte D ♣=1+♠
E le quinte E ♣=♥

4) Se il 20% del quintuplo di X vale 23, 8) Se un server gestisce 200 richieste al


qual è il valore di X? secondo, quante richieste al minuto
riescono a gestire 3 server identici?
A 20
A 600
B 5, 5 B 3600
C 23 C 6000
D 2, 2 D 36000
E 115 E 20000
126 Logica matematica

9) Se un campione biologico perde il E nessuna delle precedenti è corretta


5% del suo volume per evaporazio-
ne ma ne riacquista in seguito a ri- 10) Qual è la probabilità di ottenere 5
con un dado se in 4 lanci precedenti
Numerica

scaldamento il 5%, quale frazione del


volume iniziale rappresenta il volu- si è sempre ottenuto 5?
me del campione dopo la fase di
A il 20%
riscaldamento?
B il 5%
A il 100%
C il 0,005%
B il 99%
D il 0,2%
C il 90%
D il 95% E il 16,7%

5.12 Risposte commentate ai quesiti


1) La serie non è monotona, né appare evidente un criterio che lega le coppie o che
la divida in due terne consecutive. Si può dunque immaginare che sia divisa in due
serie, una di posto pari e una di posto dispari. In quella formata dai posti dispari,
quindi 5,5,7 si può vedere il criterio di moltiplicazione per 1 e poi aggiungere nel
secondo passaggio un’altra unità. Nella serie di posto pari dal 6 al 7 si può solo
avere aggiunto un’unità, quindi la risposta corretta è la D .
2) In questa sequenza alfanumerica se si sostituiscono alle lettere i numeri corrispon-
denti al loro ordinamento nell’alfabeto italiano (non essendoci lettere inglesi) si
scopre che si ha necessariamente una ciclicità, ovvero dopo il 21 si ricomincia da
1. I numeri della serie sono 1,2,4,8,16,? quindi ogni volta il numero raddoppia e
l’ultimo deve essere 32, ossia corrisponde all’undicesima lettera (32 − 21 = 11), che
è la M. La risposta esatta è la B .
3) Focalizzandoci sull’ultima colonna della tabella e sommando a due a due le celle si
ricava che le prime hanno un totale di 250 iscrizioni e rappresentano quindi l’anno
con il maggior numero di iscritti. La risposta corretta è la A .
4) Ricordando che quintuplo indica una moltiplicazione per 5 e che 10% equivale a
una divisione per 5 si ha che la risposta corretta è la C .
5) Se l’estensione di q è la metà di quella di Q deve misurare 200 m2 .√Per un quadrato

qualsiasi l’area è il quadrato del lato, quindi il lato di q misura 200 = 10 2 m.
La risposta corretta è la C .
6) La scala di una cartina si trova con il rapporto tra la distanza sulla cartina e quella
reale. In questo caso, convertendo i kilometri in centimetri, si trova una scala di
2 : 10000000 = 1 : 5000000. La risposta corretta è la A .
7) L’ultima alternativa si può escludere in quanto avendo tre simboli incogniti e solo
due relazioni che li legano in genere la soluzione esprime uno in funzione degli altri.
Dalla seconda relazione si ricava ♥ = 1 + ♠, che sostituito nella prima fa sı̀ che la
risposta corretta sia la B .
8) Si sa che 60 s = 1 min. 3 server gestiranno un traffico triplo rispetto a quello di uno
solo di essi, quindi 600 richieste al secondo. Moltiplicando per 60 si ottiene che la
risposta corretta è la D .
Logica 127

9) Sappiamo che quando un aumento e un decremento della stessa entità si susseguono,


indipendentemente dal loro ordine, il risultato è inferiore al valore di partenza. La
risposta corretta è la E , perché svolgendo i calcoli verrebbe il 99, 75% che non è
riportato in alcuna alternativa. Sebbene sia approssimabile all’intero, resta il fatto

Logica
che il volume è lievemente diminuito.

10) I lanci dei dadi sono eventi indipendenti e i lanci precedenti non influenzano quelli
successivi. La probabilità di avere 5 è dunque 1/6, quindi la risposta corretta è la
E.
Logica visuo-spaziale
6
Secondo lo schema proposto dallo psicologo Howard Gardner uno dei 9 tipi di intel-
ligenza è quella visuo-spaziale. I quattro capitoli precedenti della parte di logica di
questo testo hanno illustrato come affrontare quesiti che vanno a saggiare l’intelligenza
linguistica e quella logico-matematica. Il presente capitolo, invece, è interamente de-
dicato alla logica visuo-spaziale, che richiede abilità peculiari che vanno ad integrare
quelle messe in campo per risolvere quesiti di logica matematica.

Con il termine logica visuo-spaziale si intende l’abilità di manipolare percezioni visive


sia bidimensionali che tridimensionali rielaborate nella nostra mente e di interagire con
esse secondo specifici criteri. Elementi essenziali su cui si fonda sono l’orientamento,
l’acquisizione e la valutazione dei corretti rapporti tra gli oggetti nel piano e nello spazio
tridimensionale.

Le regole formali di questa branca della logica sono utili


per elaborare o leggere grafici e mappe, per sviluppare la
creatività e l’espressione artistica. La memoria di lavoro
basata sul taccuino visuo-spaziale è fondamentale anche
per lo studio di molte discipline, dalla geografia alle scien-
ze: da ciò si comprende come sia importante abituarsi a
sviluppare tali competenze.
Per affrontare adeguatamente quesiti di logica visuo-
spaziale bisogna allenarsi a cogliere dettagli come colore,
forma, tessitura o simboli logici (numeri o lettere) e rela-
zioni tra i diversi stimoli visivi come grandezza relativa,
posizione relativa, etc. La risoluzione corretta di quesiti
Figura 6.1: Sui rapporti tra le
di questa natura, infatti, richiede di identificare i diversi forme si basano i criteri dell’arte
criteri grafici o geometrici o matematici su cui si fonda la classica.
rappresentazione.

Spesso a tal fine è molto utile analizzare attentamente


tutte le alternative e i rapporti tra di esse per dedurre
le relazioni che legano le figure del testo.

6.1 Trasformazioni geometriche


Molti quesiti che rientrano nell’ambito della logica visuo-spaziale richiedono di deter-
minare quale figura è uguale a quella data o corrisponde a quella data dopo averle
applicato una trasformazione.
Logica 129

Queste trasformazioni possono riguardare la forma,


l’estensione, il colore, i rapporti tra i colori, i rap-
porti tra gli elementi, i rapporti di inclusione o di
esclusione e altre possibili variazioni sul tema.

Logica
In questa sezione riportiamo gli esempi più ca-
ratteristici che coinvolgono diversi criteri. Com-
binando le possibilità rappresentate si potrà
affrontare qualunque quesito di tale tipologia.

Figura 6.2: Talvolta la riflessione produ-


6.1.1 Riflessioni ce effetti molto gradevoli.

Si ha una riflessione quando la figura viene divisa in due da un asse, che di solito è
verticale o orizzontale ma potrebbe avere una direzione qualsiasi, e le due parti della
figura sono simmetriche rispetto all’asse.

Quale delle seguenti immagini rappresenta la Figura 5.3 (a)? riflessa rispetto
a un asse verticale?

(a) Testo del quesito

(b) Alternative
Figura 5.3: Riflessione di un’immagine.

Applicando la definizione e facendo attenzione a tutti i dettagli, come la colorazione


della figura interna ad esempio, si può determinare che la risposta corretta è la E. Nella
C, infatti, la stella e gli elementi neri hanno subito la giusta riflessione, ma la figura
interna è stata ruotata. La A, invece, rappresenta la Figura 5.3 riflessa rispetto a un asse
orizzontale.

6.1.2 Rotazioni
Spesso i quesiti di logica visuo-spaziale coinvolgono rotazioni di figure. La definizione di
rotazione in questo ambito è uguale al senso che le si attribuisce in geometria euclidea
piana.
130 Logica visuo-spaziale

Se la figura è complessa, sia da un punto di vista strutturale che cromatico, occor-


re porre molta attenzione perché soltanto badando alle più piccole differenze si può
Visuo-Spaziale

determinare la risposta corretta.


Consideriamo ad esempio il seguente quesito.

Quale delle seguenti immagini rappresenta la Figura 5.4 (a)? ruotata di 45◦ ,
in senso orario?

(a) Testo del quesito

(b) Alternative
Figura 5.4: Rotazione di un’immagine.

Si nota che la A rappresenta la Figura 5.4 non ruotata affatto, la B implica una rotazione
oraria di 90◦ , la C una rotazione oraria di 45◦ , la D una rotazione antioraria di 45◦ , e la
E una rotazione oraria di un angolo minore di 45◦ . Se ne ricava che la risposta corretta
è la C.

6.1.3 Immagini in negativo


Un’altra trasformazione che si incontra di frequente rappresenta l’inversione tra positivo
e negativo.

Una figura rappresenta il negativo di un’altra se è scura dove la prima è chiara e


viceversa.

Questi quesiti non sono particolarmente complicati, basta osservare con attenzione le
immagini alternative. Riportiamo l’esempio di Figura 5.5.
Logica 131

Qual è l’immagine in negativo della Figura 5.5 (a)?

Logica
(a) Testo del quesito

(b) Alternative
Figura 5.5: Negativo di un’immagine.

Applicando la definizione è semplice individuare nell’alternativa D la risposta corretta al


quesito dell’immagine 5.5.

6.1.4 Trasformazioni composte

Una trasformazione può anche essere composta, ossia corrispondere all’applicazione di


varie trasformazioni. E’ ad esempio composta una trasformazione consistente prima in
una riflessione rispetto all’asse verticale e poi in una rotazione di 90◦ .

Altre tipiche trasformazioni composte si hanno quando una riflessione o una rotazione
o un negativo sono seguiti da una sovrapposizione di una figura sull’altra.
In genere in questi casi i quesiti si differenziano in due tipologie:

si cerca l’unica alternativa corrispondente alla trasformazione compo-


sta indicata dal testo applicata all’immagine data.

Sono innumerevoli le possibilità connesse con le trasformazioni composte. Applicando


in un ordine o in un altro le trasformazioni delle sezioni precedenti, ad esempio, si
hanno già molti eventuali quesiti su cui allenarsi.
Consideriamo qui come trasformazione composta una permutazione cromatica.

Il termine permutazione indica un cambiamento nell’ordine di elementi di un insieme.


Se associamo al bianco il numero 1, al grigio il 2 e al nero il 3, è una permutazione
diretta della figura originale l’immagine colorata in bianco dove l’originale ha il nero,
in nero dove c’è il grigio e in grigio dove il testo ha il bianco.
132 Logica visuo-spaziale

L’ordine con cui associare i colori potrebbe essere differente, quindi bisogna vagliare
ogni possibile criterio. Ciò a maggior ragione quando non vi sono evidenti differenze
Visuo-Spaziale

nella forma o nelle figure componenti.

Quale immagine si ottiene dalla Figura 5.6 (a) permutandone i colori?

(a) Testo del quesito

(b) Alternative
Figura 5.6: Permutazioni cromatiche di un’immagine.
In base alla definizione di permutazione si deduce che la risposta corretta è rappresentata
dall’alternativa D della Figura 5.6 (b), che rispetta proprio la permutazione indicata nella
definizione.

si cerca l’unica alternativa che è uguale all’immagine data, cioè non ha


subito alcuna trasformazione.
Quale immagine è identica alla Figura 5.7 (a)?

(a) Testo del quesito

(b) Alternative
Figura 5.7: Trasformazioni composte di un’immagine.
La risposta corretta è la E. Nella A, infatti, la circonferenza interna viene sovrapposta al
triangolo. Nella B la circonferenza viene ruotata. Nella C il triangolo bianco si sovrappone
al rettangolo grigio di sinistra. Nella D, infine, ai due triangoli si sovrappone il rettangolo
grigio di sinistra.
Logica 133

6.2 Criteri di eliminazione


In alcuni quesiti di logica visuo-spaziale piuttosto che focalizzarsi sulle trasformazioni
applicate o meno a una figura l’accento è posto sulle proprietà comuni alle figure.

Logica
Per risolvere quesiti di questo tipo è necessario individuare l’insieme di cui fanno
parte tutte le figure del testo tranne una.

Non sempre è banale capire la proprietà che defini-


sce l’insieme cui appartengono le figure tranne quel-
la da scartare, infatti i criteri di eliminazione pos-
sono basarsi sul cromatismo, sul tipo di bordo, sul
numero dei lati, sulla funzione assegnata all’imma-
gine, sul contesto tipico in cui si usano le immagini
e cosı̀ via. Nel caso in cui più criteri possano sem-
brare idonei bisogna scegliere quello meno ambiguo
ovvero quello più evidente.
Consideriamo l’esempio di Figura 5.9, in cui Figura 6.8: Identificare la forma estra-
nea a volte non è cosı̀ difficile.
possono essere identificati più criteri possibili.

Qual è l’immagine da scartare nella Figura 5.9 (a)?

(a) Testo del quesito

(b) Alternative
Figura 5.9: Criteri di eliminazione.

Si potrebbe pensare di eliminare la B, in quanto è l’unica figura non colorata. Si potrebbe


anche scegliere di eliminare la A in quanto è l’unica figura ad avere un bordo spesso.
Qualcuno potrebbe anche immaginare di eliminare la C in quanto è l’unica figura ad
essere asimmetrica. La risposta corretta è la A, il motivo più evidente è che è l’unica
figura a non essere un poligono, cioè è l’unica priva di angoli, proprietà più forte rispetto
al colore (in quanto le colorazioni sono diverse) o ai bordi.

6.3 Analogie
In numerosi quesiti viene richiesto di determinare quale sia la figura mancante in base
ad un’analogia presente tra le figure date. In altri termini si tratta di decodificare
134 Logica visuo-spaziale
Visuo-Spaziale

Figura 6.9: Le proporzioni tra forme sono


alla base delle opere architettoniche.

una sorta di proporzione tra due coppie di figure, di cui una completamente nota e la
seconda con un termine incognito.

A differenza delle proporzioni matematiche, nelle analogie la relazione tra le due figure
note può essere di tipo cromatico (positivo-negativo), geometrico (rotazione, riflessione,
rapporto tra grandezze) o consistere in inclusioni, intersezioni, aggiunte o sottrazioni
di elementi grafici e altro.

Con l’allenamento non è difficile trovare la risposta corretta in un tempo breve. Per
avere idee più chiare consideriamo l’esempio seguente, in cui il cromatismo e la logica
degli insiemi predominano su altre considerazioni.

Qual è la figura mancante nell’illustrazione 5.10 (a)?

(a) Testo del quesito

(b) Alternative
Figura 5.10: Analogia di figure.

Nell’esempio di Figura 5.10 (a) si nota che tutte le figure possono essere interpretate come
sovrapposizione parziale di due figure uguali di cui una ha subito riflessione. Nella coppia
di sinistra si osserva che nella prima figura è stata colorata l’intersezione delle due figure
componenti, mentre nella seconda figura l’intersezione è l’unica parte a non essere stata
colorata. Questo stesso criterio deve quindi regolare anche la seconda coppia. Si ricava
che la risposta corretta è la B, dove l’unica parte a non essere colorata è l’intersezione
tra due esagoni equivalenti.

Vediamo ora un altro esempio in cui invece prevalgono considerazioni su possibili


deformazioni e su sovrapposizioni di elementi.
Logica 135

Qual è la figura mancante nell’illustrazione 5.11 (a)?

Logica
(a) Testo del quesito

(b) Alternative
Figura 5.11: Analogia di figure.

Nell’esempio di Figura 5.11 (a) si nota che tutte le figure possono essere interpretate come
sovrapposizione parziale di due elementi: nella figura di sinistra di ogni coppia si ha una
figura dentro un’altra, in quella di destra della prima coppia si ha una barra sovrapposta.
Poiché le figure di sinistra di entrambe le coppie soddisfano una definizione comune (una
figura dentro l’altra), se si capisce il criterio che regola la trasformazione tra la prima
e la seconda figura della coppia di sinistra lo si può applicare alla coppia di destra per
risolvere il quesito. Si osserva che la seconda figura si ottiene dalla prima deformandola e
barrandola, infatti l’ellisse è una deformazione della circonferenza. Ciò porta a concludere
che la risposta corretta è la C, in quanto il rettangolo è la deformazione di un quadrato
e si ha ancora la barra sovrapposta.

6.4 Sequenze

Una sequenza di figure è una successione di figure in cui ogni elemento è legato al
precedente da un determinato criterio logico.

Il criterio può riguardare il numero di elementi, le


relazioni matematiche tra gli elementi (come la som-
ma di parti), le relazioni tra gli elementi opposti o
adiacenti delle figure, le relazioni cromatiche tra gli
elementi (come positivo e negativo) etc.
Unendo competenze di logica matematica a
quelle specifiche della logica visuo-spaziale è possibi-
le determinare la soluzione in un tempo opportuno. Figura 6.12: Per decifrare una sequenza
Si consideri l’esempio seguente. di figure bisogna comprendere il criterio
che lega i termini della serie.
136 Logica visuo-spaziale

Quale delle figure completa la successione 5.13 (a)?


Visuo-Spaziale

(a) Testo del quesito

(b) Alternative
Figura 5.13: Sequenza di figure.

Nell’esempio di Figura 5.13 (a) si nota che l’estremità scura di ogni stella a sei punte si
sposta ogni volta di due posti in senso orario e che l’elemento scuro interno alla stella
si trova sempre nell’estremità opposta rispetto a quella scura. Si ricava che la risposta
corretta è la A.

Poiché in genere le figure hanno un numero limitato di lati o di estremità sono


frequenti criteri ciclici.

6.5 Famiglie di figure


Talvolta vengono presentati due insiemi di fi-
gure e si chiede di stabilire la verità di alcune
proposizioni riguardanti l’inclusione o meno
di alcune figure determinate in uno dei due
insiemi.

Per risolvere questa tipologia di quesiti


bisogna individuare il criterio su cui sono
fondati i due insiemi. A tal fine possono
essere discriminanti il numero di figure
di un certo tipo, la direzionalità di alcuni Figura 6.14: Figure appartenenti a un insieme
elementi come frecce o altro, la presenza devono avere una proprietà in comune.
di figure una dentro l’altra o meno, la
presenza di figure rappresentate da linee
aperte o chiuse e altri criteri simili.
Logica 137

Prestiamo attenzione all’esempio di Figura 5.15 per avere un’idea di come procedere.

Quale delle seguenti proposizioni riguardanti la Figura 5.15 (a) è corretta?

Logica
30 Figura 5.15: Famiglie di figure.
A) il triangolo appartiene all’insieme di sinistra e il quadrato a nessuno dei due
B) il triangolo appartiene all’insieme di sinistra e il quadrato a quello di destra
C) il triangolo appartiene all’insieme di destra e il quadrato a quello di sinistra
D) il quadrato appartiene all’insieme di destra e il triangolo a nessuno dei due
E) entrambe le figure appartengono all’insieme di sinistra
Nell’esempio di Figura 5.15 (a) si può osservare che l’insieme di sinistra è composto da
poligoni aventi un numero dispari di lati, mentre l’insieme di destra contiene solo poligoni
con un numero pari di lati. Si ricava che la risposta corretta è la B.

6.6 Domino
Alcuni quesiti utilizzano le tessere del domino per stimolare le competenze di logica
visuo-spaziale di chi si cimenta con i Test.

Una tessera del domino è divisa in due metà di pari grandezza recanti due numeri
compresi tra 0 e 6 e indicati con un ugual numero di pallini neri in campo bianco.

In questo caso bisogna considerare sia la relazione tra i due numeri presenti nella stessa
tessera, sia le relazioni tra i numeri presenti su tessere adiacenti o opposte. Potrebbero
essere coinvolte anche relazioni riguardanti somme o differenze dei numeri indicati sulle
tessere, come pure una divisione tra tessere interne ed esterne nel caso queste siano
disposte con una simmetria radiale.

Non bisogna assolutamente lasciarsi fuorviare: le regole del gioco del domino non sono
utilizzate. Le tessere sono soltanto simboli visivi recanti numeri al proprio interno.
138 Logica visuo-spaziale

Consideriamo l’esempio di Figura 5.16


Visuo-Spaziale

Quale delle tessere completa la Figura 5.16 (a)?

(a) Testo del quesito

(b) Alternative
Figura 5.16: Tessere del domino.

Nell’esempio di Figura 5.16 (a) si può notare che non ci sono chiari criteri che regolano
i numeri presenti sulle facce interne delle tessere ne quelli sulle facce esterne. Passando
ai rapporti tra i numeri sulle singole tessere si osserva che nella diagonale in cui sono
presenti entrambe le tessere in chiaro i numeri sulle facce esterne sono la metà di quelli
sulle facce interne. Ciò non è vero per la tessera dell’altra diagonale, che presenta però
un andamento opposto, ovvero il numero sulla faccia interna è la metà di quello sulla
faccia esterna. La disposizione spaziale, dunque, ricalca un po’ le considerazioni fatte per
le serie alternate: se un criterio regola una diagonale, segnifica che un altro criterio regola
la seconda diagonale. Nella tessera mancante uno dei due valori deve essere il doppio
dell’altro. Si ricava che la risposta corretta è la A.

6.7 Matrici

Una matrice quadrata 3x3 di figure è una tabella di immagini composta da 3 righe e 3
colonne ed è anche chiamata matrice di Raven.

Negli esercizi sulle matrici bisogna individuare il criterio che regola la composizione
Logica 139

dell’intera tabella, di solito basato su relazioni che coinvolgono gli elementi delle righe
o delle colonne.

Se si trova un criterio che vale

Logica
per due righe, allora lo stesso va-
le anche per la terza riga. Allo
stesso modo se un criterio regola
due colonne, deve dettare anche la
composizione della terza.

I criteri sono quelli già illustrati nelle sezioni pre- Figura 6.17: Matrici o gruppi di figure
cedenti: possono riguardare bordi, colori, numeri di simili prive di ordine sono usate nell’arte
lati e operazioni su di essi, inclusioni o intersezioni contemporanea.
tra figure, posizioni reciproche di diversi elementi
della figura e cosı̀ via.
Mostriamo per esempio la matrice 5.18.

Quale delle figure completa la matrice 5.18?

(a) Testo del quesito

(b) Alternative
Figura 5.18: Matrice di figure.

Nell’esempio di Figura 5.18 (a) si nota che in ogni riga è presente una figura che non
è un poligono (ellissi o circonferenza). Si nota inoltre che dei due poligoni presenti in
ogni riga quello con il maggior numero di lati è colorato in modo più scuro. Lo stesso
criterio formato da queste due considerazioni deve quindi regolare la terza riga. Tra le
alternative le uniche due che potrebbero andar bene in quanto poligoni con un numero
di lati maggiore del pentagono (che è bianco, quindi deve essere il poligono con il numero
di lati minore) sono la C e la E. Nelle due righe precedenti, però, la colorazione è più
marcata, quindi la risposta giusta deve essere la C.
140 Logica visuo-spaziale

Nell’esempio di Figura 5.18 si nota che in ogni riga è presente una figura che non è
un poligono (ellissi o circonferenza). Si nota inoltre che dei due poligoni presenti in
Visuo-Spaziale

ogni riga quello con il maggior numero di lati è colorato in modo più scuro. Lo stesso
criterio formato da queste due considerazioni deve quindi regolare la terza riga. Tra le
alternative le uniche due che potrebbero andar bene in quanto poligoni con un numero
di lati maggiore del pentagono (che è bianco, quindi deve essere il poligono con il numero
di lati minore) sono la C e la E. Nelle due righe precedenti, però, la colorazione è più
marcata, quindi la risposta giusta deve essere la C.

In realtà l’ultima considerazione è leggermente ambigua. Ciò che assicura che la rispo-
sta corretta è la C è la relazione tra il numero di lati dei poligoni di ogni riga: quello
con il numero maggiore ha sempre due lati in più dell’altro.

Nella matrice appena considerata non c’era alcun criterio che poteva reggere le figure
delle colonne, ma non bisogna dare per scontato che tutte le matrici siano organizzate
per righe. Consideriamo a tal proposito la matrice 5.19.

Quale delle figure completa la matrice 5.19 (a)?

(a) Testo del quesito

(b) Alternative
Figura 5.19: Matrice di figure.

Nella matrice 5.19 si osserva che gli elementi della terza riga sono la sovrapposizione degli
elementi della stessa colonna presenti nelle due righe precedenti. Ciò che contraddistingue
ognuna delle 5 alternative è la relazione tra i colori delle varie parti della sovrapposizione.
Tornando alle due colonne complete bisogna vedere che nella figura sovrapposta viene
colorata in grigio la figura che originariamente era nera, mentre l’intersezione delle due
figure viene colorata in nero. Si ricava che la risposta corretta è la A.
Logica 141

6.8 Carte da gioco


Alcuni quesiti come matrici di figure utilizzano matrici composte da carte da gioco. Si
hanno dunque due variabili: da un lato i numeri da 1 a 10 e dall’altro i quattro semi,
ossia cuori ♥, quadri ♦, fiori ♣ e picche ♠.

Logica
I criteri che regolano le matrici di carte da gioco possono basarsi sia su relazioni
matematiche (somma o differenza tra i valori o di un valore costante o di un valore
dipendente dalla posizione) sia su relazioni che coinvolgono i semi (ad esempio in ogni
riga o colonna il numero di carte dello stesso seme deve essere costante).
Per maggiore chiarezza consideriamo l’esempio seguente.

Quale delle carte completa la Figura 5.20 (a)?

(a) Testo del quesito

(b) Alternative
Figura 5.20: Matrice di figure.

Nella Figura 5.20 (a) si osserva che nelle prime due righe dalla prima alla seconda carta
il numero è aumentato di 2, mentre dalla seconda alla terza di 3. Nella prima e nella
seconda riga, inoltre, si ha una carta di cuori, una di quadri e una di picche. Unendo
questi due criteri si ricava che la risposta corretta deve essere l’otto di picche, ossia la A.
142 Logica visuo-spaziale

6.9 Quesiti
Visuo-Spaziale

1) Quale tessera completa la figura?

A la tessera A
B la tessera B
A la A
C la tessera C
B la B
D la tessera D
C la C
E la tessera E
D la D
2) Quale figure completa la sequenza? E la E

4) Quale delle alternative è identica alla


figura?

A la A
B la B
C la C A la A
B la B
D la D
C la C
E la E
D la D
3) Quale carta completa la figura? E la E
Logica 143

5) Quale delle alternative rappresenta A la A


la stessa figura che ha subito soltan- B la B
to una riflessione orizzontale e una
verticale? C la C

Logica
D la D
E la E

8) Quale delle alternative completa


l’analogia?

A la A
B la B
C la C
D la D
A la A
E la E
B la B
6) Quale delle alternative rappresenta C la C
una rotazione di un angolo retto in
senso orario della figura? D la D
E la E

9) Quale figura completa la matrice?

A la A
B la B
C la C
D la D
E la E
7) Quale delle seguenti figure va esclu- A la A
sa?
B la B
C la C
D la D
E la E
144 Logica visuo-spaziale

10) Quale figura completa la sequenza? A la A


B la B
Visuo-Spaziale

C la C
D la D
E la E

6.10 Risposte commentate ai quesiti


1) Osservando attentamente la distribuzione delle tessere si evidenzia che non sembra
esserci alcun criterio che regola le tessere in verticale né le coppie di numeri delle
singole tessere. Considerando la prima riga di tessere, invece, si può vedere che la
somma dei primi numeri superiori è uguale al numero superiore della terza tessera,
mentre la differenza tra i numeri inferiori delle prime due tessere è uguale al numero
inferiore della terza tessera. Questo criterio deve quindi regolare anche le tre tessere
della seconda riga, il che implica che la risposta corretta è la E .

2) Osservando le tre figure della sequenza si nota che ognuna di esse è composta da
quattro figure: un’ellisse, un triangolo, una quadrato e un rombo. Di queste solo
una, il quadrato, è colorata. Ciò che dovrebbe saltare all’occhio è il fatto che nel
passaggio dalla prima alla seconda figura quella delle 4 che era la figura più esterna
diventa la più interna. Lo stesso accade ricorsivamente nel passaggio dalla seconda
alla terza, il che implica che questo criterio deve regolare la sequenza. Si ricava
quindi che la risposta corretta è la D .

3) Dalla figura si vede che non esiste un criterio legato ai semi che regola le righe o le
colonne. Focalizzando l’attenzione sui numeri delle carte, si vede che in ogni riga nel
passare dalla prima alla seconda carta si toglie 2 e lo stesso avviene dalla seconda
alla terza. Ne deriva che il numero della carta mancante deve essere 5. Da ciò si
ricava che la risposta corretta è la A .

4) La risposta corretta è la D . La A e la C presentano uno dei cerchi che intersecano


la circonferenza grande parzialmente colorato. La B e la E hanno invece un cerchio
interno colorato in più della figura di riferimento.

5) La risposta corretta è la A . Nella D si ha solo la riflessione orizzontale. Nella


B solo la verticale e nelle restanti due alternative sono state modificate le posizioni
dei cerchi dopo le riflessioni.

6) La risposta corretta è la B . In tutte le altre alternative oltre alla rotazione è


cambiato l’ordine delle immagini nella sovrapposizione.

7) In tutte le alternative tranne che nella C si hanno due poligoni il cui numero di
lati differisce di 2. Le considerazioni cromatiche, quindi, possono essere ignorate e
prevale il criterio sul numero dei lati. La risposta corretta è la C .
Logica 145

8) Non è banale risolvere il quesito. L’unico criterio che si può individuare nell’analogia
è che il numero di figure componenti l’elemento di destra della coppia è pari al
numero di elementi trasversali della figura di sinistra di ogni coppia. Poiché la terza
figura ha tre elementi trasversali la soluzione deve essere composta da tre figure.

Logica
Da ciò si ricava che la risposta corretta è la D .
9) Nelle prime due righe della matrice si osserva che l’ampiezza dell’angolo al centro
di ogni elemento va decrescendo da sinistra verso destra. L’ampiezza dell’elemento
centrale di ogni riga, quindi, è minore di quella del primo elemento della riga ma
maggiore del terzo elemento della stessa riga. Ciò si verifica soltanto per l’alternativa
D che rappresenta dunque la risposta corretta.

10) Sebbene sembri che il criterio della sequenza sia cromatico, in realtà a ben guardare
si può osservare che in ogni figura il numero di elementi simili cambia. In particolare
nella prima si hanno 5 figure simili, nella seconda 4, nella terza 3 e nella seconda
2. Si ricava che la risposta corretta non deve avere figure simili, quindi la risposta
corretta è la E .
Cultura generale
Storia
1
1.1 Cronologia
La storia europea generalmente viene suddivisa in quattro grandi periodi:

1. Storia Antica (Grecia antica e Roma antica)

2. Storia Medievale

3. Storia Moderna

4. Storia Contemporanea

I Test di ammissione solitamente ruotano intorno alla storia del Novecento, seguendo
abbastanza fedelmente il programma di studi dell’ultimo anno delle scuole medie su-
periori. Non si può escludere tuttavia la presenza di quesiti sull’età antica, moderna e
medievale.
Per questa ragione nelle pagine seguenti proponiamo una cronologia schemati-
ca a partire dalla storia della Grecia antica fino alla storia moderna. Una maggiore
attenzione è rivolta invece al periodo che va dalla I Guerra Mondiale ai giorni nostri.

Le domande presenti nei Test sono di tipo nozionistico, valutano la conoscenza di date,
personaggi ed eventi principali. Per facilitare lo studio gli elementi da memorizzare
saranno posti in evidenza.

Considerata la vastità del tema, si è scelto di offrire allo studente una panoramica in
grado di fornire soprattutto le informazioni fondamentali. Una precisa conoscenza dei
principali accadimenti storici permetterà di inquadrare e localizzare il quesito proposto,
riducendo il numero delle alternative tra le risposte.

1.1.1 Grecia antica


Non esistono date certe e condivise universalmente per indicare l’inizio e la fine del
periodo greco antico. Solitamente però la prima Olimpiade nel 776 a.C. ne decreta
l’inizio, mentre la morte di Alessandro Magno, nel 323 a.C., o l’integrazione della
Grecia nell’Impero romano, nel 146 a.C., ne sanciscono la fine.
La storia greca tuttavia è scandita da una periodizzazione che ne identifica le diverse
fasi di sviluppo.
Origini: L’origine della cultura greca risale al 3000 a.C., con il fiorire della civiltà minoi-
ca. Nel 2000 si assiste allo sviluppo della popolazione degli ioni. Nel 1600 a.C. sorgono
le civiltà degli eoli e degli achei. Gli achei, altrimenti noti come micenei, intraprendono
i primi contatti con la civiltà cretese.
148 Cronologia

Nel 900 a.C. la civiltà micenea volge al declino e ha inizio un periodo denominato
Medioevo greco, caratterizzato dall’invasione delle popolazioni doriche della penisola
greca.
Al termine del medioevo greco ha inizio il Periodo classico. Gli studiosi distin-
guono a sua volta questa fase in quattro fasi storiche.
Periodo arcaico Inizia nel XIII secolo e si conclude nel XI secolo a.C. con le guerre
persiane.
Periodo classico Dal V al IV secolo a.C.. In questa fase si sviluppano le poleis, le
città-Stato.
Cronologia

Periodo ellenistico Caratterizzato dall’ascesa di Alessandro Magno e dal progetto di


unificazione ed espansione del mondo greco.
Periodo romano La battaglia di Azio determina l’inizio dello scontro tra il mondo
greco e quello romano. Roma avrà il sopravvento assorbendo la civiltà greca. Il periodo
romano si conclude con la caduta dell’Impero Romano stesso.

Documentario: Le grandi biografie, Alessandro Magno


www.youtube.com/watch?v=4XhQByefFTs
Documentario: Le guerre persiane
www.youtube.com/watch?v=jWoQGGet73Y&feature=relmfu

Cronologia

3000 - 1400 a.C. I primi coloni provenien- 1450 a.C. Gli Achei invadono Creta e la
ti dall’Anatolia sbarcano sull’isola di Creta e assoggettano alla civiltà micenea.
danno vita alla prima importante civiltà eu- 1449 a.C. Esplosione dell’isola-vulcano di
ropea: la Civiltà Minoica. La civiltà deve il Thera (odierna Santorini, di area minoica).
proprio nome a Minosse, il leggendario re di Creta viene distrutta.
Cnosso.
1390 a.C. Gli achei micenei popolano la
2800 - 2100 a.C. Periodo elladico antico. Grecia.
2100 - 1620 a.C. Periodo elladico medio. 1294 a.C. A Creta, inizia il regno di Minosse
2000 a.C. Creta domina politicamente tut- II.
to l’Egeo. Sorgono le città di Cnosso, Festo e 1210 a.C. In Grecia avvengono le prime mi-
Mallia. grazioni dei Dori che provocheranno la caduta
1700 a.C. Nel Peloponneso e nell’Attica della civiltà micenea.
giungono gli Achei, una nuova popolazione 1184 a.C. Una lega di sconfitti micenei
proveniente dal nord. A Creta si sviluppa la (Achei), cacciata dai Dori, invade Troia. Ome-
scrittura Lineare A. ro ne poeticizzerà poi le gesta nell’Iliade e
1620 - 1150 a.C. Periodo elladico tardo / Odissea.
fase micenea. In Argolide si sviluppa la Ci- 1000 a.C. L’insediamento dei Dori in Grecia
viltà Micenea o Achea. Sorgono le città di permette di porre le prime basi delle polis o
Micene, Argo, Tirinto, Epidauro. città stato.
1570 a.C. Creta viene distrutta da un 900 a.C. I Dori, che occupano il Peloponneso,
catastrofico terremoto. danno origine alla città di Sparta.
1462 a.C. Su Creta ricostruita regna 850 a.C. A Sparta Licurgo elabora una se-
Minosse. vera costituzione che prevede una rigida divi-
Storia 149

sione delle classi sociali in dirigenti, cittadini, 561 - 510 a.C. Tirannia dei Pisistratidi ad
liberi e iloti (schiavi). Atene, al padre Pisistrato, morto nel 527, se-
776 a.C. Si svolge la “Prima Olimpiade” a guono i figli Ipparco, assassinato nel 514 e
Olimpia. Ippia, cacciato da Atene nel 510.
758 a.C. La colonizzazione greca si rivolge 550 a.C. Nasce la Lega peloponnesiaca, sotto
verso oriente: nel Mar Nero viene fondata la il predominio militare di Sparta.
città di Sinope. 546 a.C. Ciro il Grande s’impadronisce del
753 a.C. Fondazione di Roma. potere e diventa re dei persiani. Inizio del
dominio persiano.
740 - 720 a.C. Prima guerra messenica.
540 a.C. Ciro il Grande sottomette la Ionia
730 a.C. Composizione dell’Odissea e dell’I-
e diventa signore dell’Asia Minore.
liade.

Storia
520 a.C. Sparta, sotto la guida di Cleomene
720 - 650 a.C. Sparta instaura la propria
I, sconfigge Argo.
egemonia sul Peloponneso sudoccidentale.
685 a.C. Ad Atene la monarchia viene so- 514 a.C. Ad Atene il tiranno Ipparco vie-
stituita dal sistema dell’arcontato (costituito ne assassinato da Armodio e Aristogitone, gli
da tre magistrati annuali). Creonte è il primo succede il fratello Ippia.
arconte. 511 a.C. Sparta sconfigge il tiranno ateniese
667 - 660 a.C. Fondazione di Bisanzio. Ippia.
657 - 580 a.C. Periodo della Tirannide a 510 a.C. Ad Atene Clistene caccia definiti-
Corinto. vamente il tiranno Ippia.
654 - 628 a.C. Gli spartani dominano defi- 509 - 507 a.C. La riforma di Clistene dà
nitivamente l’intera regione del Peloponneso. avvio alla democrazia ateniese.
632 a.C. Ad Atene Cilone fallisce il tentativo 506 a.C. Atene sottomette l’Eubea, Sparta,
di insediare la tirannide. Beozia e Calcidia.
624 a.C. Nascita di Talete, primo filosofo 499 – 493 a.C. I popoli della Ionia, istigati
greco. Fondatore della scuola filosofica ioni- dal tiranno di Mileto Aristagora, si ribellano
ca. Attribuisce all’acqua il principio di tutte e proclamano l’indipendenza. L’azione suscita
le cose. il risentimento del re dei persiani Dario I.
621 a.C. Ad Atene, l’arconte Dracone 493 a.C. Ad Atene è arconte Temistocle.
promulga il suo severo codice di leggi. Milziade, tiranno di Chersoneso, fugge ad
Atene per sottrarsi ai persiani.
610 a.C. Nascita di Anassimandro. Intui-
sce che la terra è un disco al centro dello 492 a.C. Sparta con Cleomene I sconfigge
spazio-universo. Egina.
594 a.C. Solone viene eletto arconte con pie- 491 - 490 a.C. Scoppia la prima guerra
ni poteri su Atene. Promuove la “costituzio- greco-persiana. Dario occupa l’Eubea e sbar-
ne”, volta a limitare i poteri dell’aristocrazia. ca in Attica. Gli ateniesi, guidati da Milziade,
I cittadini sono divisi in quattro classi, in base a Maratona lo respingono.
al reddito viene concesso il diritto a parteci- 486 a.C. Muore re Dario I di Persia. Gli suc-
pare alle assemblee per deliberare le leggi, la cede il figlio Serse, il cui obiettivo è conqui-
pace e la guerra. stare la Grecia e regnare su un unico grande
590 a.C. Ad Atene inizia la costruzione regno asiatico.
dell’Acropoli. 482 a.C. Ad Atene, ostracismo contro Ari-
579 a.C. Solone porta a termine la guerra di stide, oppositore della politica navale di
Megara e occupa definitivamente Salamina. In Temistocle.
guerra emerge Pisistrato. 481 - 479 a.C. II guerra persiana contro Ser-
561 a.C. Pisistrato fa un colpo di stato ed se. Formazione della Lega ellenica tra Sparta
instaura la tirannide. e Atene contro i persiani.
150 Cronologia

480 a.C. Serse si spinge fino in Tessaglia per 454 a.C. Atene subisce una sconfitta du-
colpire Atene. Un tradimento consente a Serse rante la spedizione in Egitto, in lotta per
di aggirare i greci. Al Passo delle Termo- l’indipendenza dalla Persia.
pili, dopo una battaglia navale al Capo Arte- 449 a.C. Pericle conclude la “Pace di Callia”
misio, Leonida con 300 spartani si sacrifica con la Persia, liberando cosı̀ le città greche
per coprire la ritirata dei greci. I persiani oc- dell’Egeo.
cupano temporaneamente Atene. Aristide vie-
447 - 432 a.C. Costruzione del Partenone
ne richiamato in patria. A Salamina vittoria
sotto il governo di Pericle che chiama a sé
navale degli ateniesi guidati da Temistocle.
Fidia e i migliori artisti scultori.
479 a.C. I greci, con lo spartano Pausania, 447 a.C. La Beozia, alleata con gli aristo-
sconfiggono le truppe persiane nella batta-
Cronologia

cratici dell’Eubea e della Locride, sconfigge


glia di Platea. Il sogno egemonico dei per- gli ateniesi a Coronea e si proclama indipen-
siani tramonta. Ad Atene Cimone, figlio di dente. Si riorganizza la Lega beotica sotto il
Milziade, è eletto stratego. dominio di Tebe.
478 a.C. A Delo, Aristide organizza la Le- 446 a.C. Secessione da Atene di Megara
ga delio-attica per liberare le città greche dal e della Focide. In Eubea il partito aristo-
dominio persiano. cratico propone un’insurrezione contro Ate-
477 a.C. Cimone scaccia Pausania da ne con l’appoggio di Megara, Sparta e della
Bisanzio. Beozia; Pericle ristabilisce l’ordine.
469 a.C. Nascita di Socrate. 445 a.C. Pericle firma la Pace dei
Trent’anni fra Atene e Sparta.
468 a.C. Cimone sconfigge definitivamente la
431 a.C. Fallita la pace fra Sparta e Atene,
flotta persiana all’Eurimedonte.
nel mese di giugno inizia la guerra del Pelo-
465 a.C. Condanna a morte di Temistocle ponneso. Atene, superiore per mare, dispone
accusato dagli spartani di cospirare con i di un vasto impero marittimo. Sparta, supe-
persiani. riore per terra, riunisce attorno a sé tutto il
464 a.C. Temistocle si rifugia presso Arta- Peloponneso.
serse I che lo crea signore di Magnesia al 431 - 404 a.C. Guerra del Peloponneso fra
Meandro, Lampsaco e Miunte. Cimone esce Atene (lega delio-attica) e Sparta (lega del
sconfitto dalla battaglia di Drabesco. Peloponneso). Atene ne esce sconfitta.
464 a.C. Un catastrofico terremoto decima la 431 - 421 a.C. Primo periodo della guerra
città di Sparta. del Peloponneso detto guerra archidamica,
dal re spartano Archidamo.
464 - 455 a.C. Terza guerra messenica. Gli
spartani riescono a reprimere le rivolte degli 431 a.C. Gli spartani invadono l’Attica, gli
Arcadi e degli Iloti. abitanti si rifugiano dentro le mura di Atene.
Battaglia di Metone.
460 - 429 a.C. Governo di Pericle ad Atene,
429 a.C. Scoppia la peste ad Atene, muo-
capo del partito popolare.
re un terzo della popolazione attica, fra cui
460 a.C. Alleanza di Atene con Megara, anche Pericle.
Sparta si allea con Corinto ed Egina.
427 a.C. Nasce Platone.
460 - 457 a.C. Ad Atene si costruiscono le 425 a.C. Nella guerra del Peloponneso, a
mura della città fino al Pireo. Sfacteria, vittoria degli ateniesi Cleone e
457 a.C. Primi scontri tra Sparta e Ate- Demostene sugli spartani.
ne per la supremazia in Beozia. Tebe si al- 424 a.C. Per liberare le città calcidiche dal-
lea con Sparta, Atene con Argo. A Tanagra, la lega delio-attica, Brasida riorganizza gli
Sparta e Corinto sconfiggono Atene, che si spartani, mentre Cleone organizza gli ateniesi.
rifà battendo l’esercito tebano a Enofita in Battaglia di Megara.
Beozia. 422 a.C. Lo spartano Brasida vince e uccide
456 a.C. Egina entra nella lega delio-attica. l’ateniese Cleone nella battaglia di Anfipoli.
Storia 151

421 a.C. Con la Pace di Nicia fra Sparta 405 a.C. A Egospotami, la flotta ateniese
e Atene (che sarebbe dovuta durare 50 anni), viene sconfitta dal generale spartano Lisan-
si conclude il primo periodo della guerra del dro, alleato con la Persia. Cimone entra al
Peloponneso. servizio dei persiani.
418 a.C. Riprende la guerra del Peloponne- 404 a.C. Dopo la sconfitta di Egospotami,
so. Mantinea, prima alleata di Sparta, passa Atene viene conquistata dagli spartani che im-
ora con Atene di Alcibiade, insieme con Elide, pongono condizioni durissime instaurando il
Argo e Corinto. governo aristocratico dei “Trenta tiranni”.
Termina la guerra del Peloponneso. Tebe e
415 - 413 a.C. Spedizione di Atene in Si-
Corinto propongono che Atene venga rasa al
cilia per aiutare Segesta contro Selinunte e
suolo. La Lega delio-attica viene sciolta. A Po-
Siracusa.
tidea viene cacciata la cleruchia ateniese. Sa-

Storia
413 - 404 a.C. La guerra di Decelea è l’ul- mo è presa da Lisandro, ma presto recupera
tima fase della guerra del Peloponneso. Occu- l’indipendenza.
pazione di Decelea da parte degli spartani con 404 - 395 a.C. Sparta impone la restaura-
il re Agide. zione dei governi oligarchici.
412 a.C. I persiani aiutano Sparta che 403 a.C. Trasibulo, che si era rifugiato in
rinuncia alle città della Ionia. Beozia, predispone il ritorno in patria con
411 a.C. La democrazia è ritenuta la cau- le armi e rientra ad Atene dove restaura un
sa principale delle sconfitte ateniesi. Con un governo democratico sostituendo quello dei
colpo di Stato si instaura il governo oligar- “Trenta tiranni”.
chico dei “Quattrocento Saggi”, ma vi sono 399 a.C. Condanna a morte di Socrate.
sommosse e disordini e la città è sull’orlo di 396 - 387 a.C. Guerra corinzia: Corinto
una guerra civile. Alcibiade riallaccia rap- passa dalla parte di Atene, Tebe e Argo, al-
porti con Atene e viene eletto stratega della leate contro Sparta. A Megara e Corinto si
flotta di Samo, riportando vittorie presso Ci- restaura il regime aristocratico.
nossema, ad Abido. In Eubea una nuova ri-
394 a.C. A Coronea lo spartano Agesilao
bellione di Eretria, di Calcide e di Caristo.
sconfigge le forze unite di Atene e Tebe.
Formazione della Lega eubotica, che assume
A Cnido l’ateniese Conone, comandante del-
soprattutto importanza economica.
la flotta persiana, sconfigge gli spartani di
410 a.C. Con la battaglia di Cizico, Alcibia- Pisandro.
de vince sulla flotta peloponnesiaca e occu- 393 a.C. Atene si libera dalla dominazione
pa Calcedonia e Bisanzio. Restaurazione del spartana.
governo democratico ad Atene.
391 a.C. Corinto esce sconfitta per terra e
409 a.C. Atene conquista Calcedonia. per mare.
407 a.C. Dopo le vittorie riportate Alcibia- 387 a.C. Platone fonda L’Accademia di
de torna ad Atene e assume il comando del- Atene.
le forze navali contro la coalizione spartano- 386 a.C. Pace di Antàlcida tra Sparta e la
persiana costituita da Lisandro e Ciro il Persia: le città greche dell’Asia Minore ri-
Giovane. tornano sotto il dominio persiano. La Lega
406 a.C. Con la sconfitta di Antioco, luogo- beotica viene sciolta.
tenente di Alcibiade, a Nozio, terminano le 384 a.C. Nasce Aristotele a Stagira.
speranze degli ateniesi di tornare a trionfa-
378 a.C. Rifondazione della seconda Lega na-
re sui mari; Alcibiade, ritenuto responsabile
vale attica. Riprendono le ostilità tra Sparta
dell’insuccesso, viene privato di ogni potere.
e Atene.
Conone sostituisce Alcibiade al comando della
flotta, ma viene bloccato dallo spartano Cal- 377 a.C. L’Eubea entra nella seconda Lega
licratida nella baia di Mitilene; è poi liberato di Atene.
con la vittoria delle Arginuse. 375 a.C. Battaglia di Tegira.
152 Cronologia

371 a.C. Battaglia di Leuttra: il teba- 341 a.C. Demostene nella Terza Filip-
no Epaminonda batte gli spartani liberando pica smaschera la politica di Filippo di
la Messenia e l’Arcadia, che fonda la capi- Macedonia.
tale Megalopoli. Sparta cessa definitivamente 340 a.C. I Macedoni avanzano fino a Perinto
di essere una grande potenza e pone fine al e Bisanzio. Nascita di Epicuro.
conflitto con Atene.
339 a.C. Filippo II, con la complicità dei fo-
371 - 362 a.C. Supremazia tebana su Sparta cesi, occupa la fortezza di Elatea che domina
che intanto si allea con Atene contro Tebe. l’accesso alla Beozia.
368 a.C. Il futuro re di Macedonia, Filip- 338 a.C. Filippo II sconfigge nella battaglia
po II, è inviato a Tebe dove assorbe la cultu- di Cheronea le truppe della Lega panelleni-
Cronologia

ra greca e prende coscienza delle innovazioni ca (ateniesi, tebani e beoti tutti uniti). Fine
militari di Epaminonda. dell’indipendenza greca.
365 a.C. Samo è riconquistata da Atene. 337 a.C. A Corinto Filippo II viene nomi-
362 a.C. Nel Peloponneso battaglia decisiva nato capo della confederazione ellenica Lega
di Mantinea. Gli eserciti tebani battono quelli Corinzia.
spartani e ateniesi, ma la morte in battaglia 336 a.C. A Palatitsia Filippo II di Mace-
di Epaminonda segna la fine dell’egemonia donia viene assassinato durante le nozze di
tebana. Alessandro I che gli succede al regno.
359 a.C. Filippo II diventa re di Macedo- 336 - 323 a.C. Regno di Alessandro
nia. 359 – 336 a.C. Regno di Filippo II in Magno.
Macedonia. 335 a.C. A Corinto si svolge un altro congres-
357 - 346 a.C. Guerra sociale (Chio, Coo, Bi- so che rinnova ad Alessandro i poteri conferiti
sanzio, Rodi) contro Atene; interviene Filippo a Filippo II. Un tentativo di rivolta di Te-
II, alleato di Atene, che con abili colpi di ma- be comporta la distruzione totale della città
no s’impadronisce della Tracia e conquista il da parte di Alessandro. Aristotele fonda ad
suo primo sbocco sul mare ad Anfipoli. Atene la scuola del Liceo (o peripatetica, per
l’usanza di parlare e passeggiare).
356 a.C. Nasce Alessandro, figlio di Filippo
II. 334 a.C. Alessandro, alleandosi con i greci,
inizia la guerra contro la Persia. Vittoria di
353 a.C. Filippo II, proseguendo verso la Granico. Alla partenza per l’Asia, Alessandro
Grecia occupa la Focide, appoggiata da Atene affida la Macedonia e la Grecia ad Antipatro.
e Sparta.
333 a.C. A Isso, Alessandro sconfigge Dario
352 a.C. Filippo II penetra in Grecia. Do- III, ultimo re di Persia, e dà inizio alla sua
po aver esteso la sua influenza sulla Tessaglia decennale campagna in Asia.
avanza fino alle Termopili. 331 a.C. Alessandro sbaraglia ogni eserci-
348 a.C. Filippo II conquista la penisola to, conquista l’Egitto, spazza via i persiani
calcidica, Potidea, Metone, Stagira e Olinto. e prosegue vittorioso su Babilonia, Persepoli.
Muore Platone. Fonda la città di Alessandria in Egitto.
346 a.C. Filippo II, con la pace di Filocrate, 330 a.C. Alessandro Magno ha il proget-
dove sono riconosciute le conquiste macedo- to di unificare l’immenso impero. Promuo-
ni in Tracia, conquista la fiducia degli atenie- ve matrimoni misti con lo scopo di fondere
si che vedono in lui un potente alleato per etnicamente i popoli.
liberarsi dei nemici persiani. 327 - 325 a.C. Alessandro si spinge in oriente
343 a.C. Demostene pronuncia la Seconda fino alle rive dell’Indo. Fonda città e regni.
Filippica, denunciando le mire espansionisti- 326 a.C. Alessandro Magno conquista il
che in Grecia del re macedone Filippo. Punjab, la città di Neapolis e si allea a Roma.
342 a.C. Aristotele diventa precettore di 323 - 13 giugno a.C. Dopo aver conquista-
Alessandro. to Grecia, Egitto e l’oriente fino all’Indo (ai
Storia 153

confini della Cina), Alessandro muore a soli 294 a.C. Demetrio I, dopo essersi impa-
33 anni. dronito nuovamente di Atene, penetra in
323 a.C. La data della morte di Alessandro Macedonia e si fa proclamare re.
rappresenta il convenzionale passaggio dal- 290 a.C. Ad Alessandria viene costituita la
l’età classica a quella ellenistica. Grandi con- grande biblioteca con 1.000.000 di opere.
trasti seguono per la successione e suddivisio-
289 a.C. In Macedonia Demetrio Poliocrete
ne dell’immenso impero. Con vari compromes-
lascia il regno al figlio Antigono I Gonata, per
si si arriverà poi all’istituzione dei diadochi.
recarsi in Asia con l’intenzione di riprendere
Demostene rientra trionfalmente ad Atene per
il piano egemonico del padre.
riprendere la lotta. Le città greche si ribellano
alla Macedonia e iniziano la guerra lamiaca. 286 a.C. Durante la campagna in Asia De-
metrio Poliorcete è costretto a arrendersi a

Storia
323 - 301 a.C. I Diadochi (generali di
Seleuco.
Alessandro Magno) lottano per la divisione
dell’impero. 285 a.C. Euclide dirige la biblioteca di
Alessandria. La biblioteca verrà bruciata dai
323 - 322 a.C. Guerra lamiaca condot-
romani nel 45 a.C.
ta da ateniesi e spartani per sottrarsi alla
dominazione macedone. 283 a.C. Muore Demetrio I Poliorcete.
322 a.C. Le speranze degli ateniesi di sottrar- 281 a.C. Si ricostituisce la Lega achea.
si alla dominazione macedone vengono tron- 277 a.C. Antigono I Gonata, figlio di Deme-
cate nella battaglia di Crannone. A Calcide trio I Poliorcete, si impadronisce con la forza
muore Aristotele. della Macedonia precipitata nell’anarchia.
318 a.C. Viene rovesciato il governo oligar-
272 a.C. Ad Argo viene ucciso Pirro, re
chico di Atene. Cassandro controlla Macedo-
dell’Epiro.
nia e Grecia.
267 - 262 a.C. Antigono Gonata di Mace-
307 a.C. Ad Atene Demetrio Poliorcete cac-
donia doma la rivolta di Atene e Sparta nella
cia Demetrio Falereo, reggente di Cassandro,
cosiddetta guerra cremonidea.
e restaura il governo democratico, ricevendo
in cambio onori divini. 265 a.C. A Corinto, il re Areo si oppone
306 a.C. Nelle acque di Salamina, a Cipro, al disegno egemonico del macedone Antigono
Demetrio Poliorcete riporta una grande vit- Gonata e viene ucciso.
toria navale su Tolomeo e assume il titolo di 262 a.C. A Megalopoli, il re Acrotato si
re. Ad Atene, Epicuro fonda il Giardino. oppone al disegno egemonico del macedone
305 a.C. Assedio di Rodi da parte di Antigono Gonata e viene ucciso.
Demetrio. 262 - 229 a.C. Atene, sottoposta nuova-
303 a.C. Demetrio I Poliorcete, si volge di mente all’egemonia macedone, si avvicina ai
nuovo contro Cassandro sconfiggendolo presso Tolomei d’Egitto e agli Attalidi di Pergamo.
le Termopili, liberando la Grecia dal dominio 244 a.C. Corinto subisce un assedio ad ope-
macedone. ra di Antigono Gonata, re di Macedonia,
302 a.C. Demetrio I Poliorcete ricostituisce ma viene salvata da Arato, capo della Lega
la Lega di Corinto e assume il comando delle Achea.
forze militari. 235 - 222 a.C. Tentativo di riforme a Sparta
301 a.C. Nella Battaglia di Ipso in Frigia, da parte di Cleomene III.
muore Antigono per opera dei Diadochi Se- 229 a.C. Sparta, con Cleomene III, muove
leuco, Lisimaco, Cassandro e Tolomeo. In guerra alla Lega Achea.
Macedonia ha termine il periodo dei Diadochi.
228 a.C. Dopo la guerra demetriaca la Le-
300 a.C. In Grecia si afferma la Lega etolica. ga achea, espulsi i macedoni, abbraccia tut-
297 a.C. Alla morte di Cassandro, Demetrio to il Peloponneso, eccetto Sparta, Messene e
I si impadronisce della Macedonia. l’Elide. I romani scoprono la civiltà di Atene.
154 Cronologia

226 a.C. Sparta ricostituisce la Lega pelo- e apre trattative di pace con i romani. Viene
ponnesiaca e la Lega achea comincia a declina- organizzata la biblioteca di Pergamo.
re. La Sardegna, la Corsica, la Sicilia vengono 179 - 168 a.C. Perseo, figlio di Filippo V
organizzate come province romane. di Macedonia, riprende il rafforzamento della
224 a.C. In Grecia si costituisce una lega el- potenza macedone.
lenica con l’intento di inglobare la Lega achea 172 - 168 a.C. III guerra macedonica.
e portare aiuto contro gli spartani.
168 a.C. Nella battaglia di Pidna Perseo vie-
223 a.C. Sparta riporta le vittorie di Argo e ne sconfitto dai romani. Fine della monar-
Corinto contro la Lega achea. chia macedone che viene divisa in quattro
222 a.C. A Sellasia, Antigono Dosone, re di repubbliche democratiche indipendenti.
Cronologia

Macedonia alleato degli achei, sconfigge il re 148 a.C. In Macedonia fallisce la rivol-
di Sparta Cleomene III e domina su quasi ta antiromana. La regione diviene provincia
tutta la Grecia. romana.
221 - 179 a.C. Filippo V diventa re di 148 - 146 a.C. A Corinto, la Lega Achea
Macedonia. si ribella ai romani. Con la battaglia di Leu-
220 - 217 a.C. Guerra delle due leghe. copetra L. Mummio conquista la città che
212 - 205 a.C. I guerra macedonica: Filippo viene saccheggiata e incendiata. La Grecia
V e la Lega achea si schierano contro i romani viene annessa a Roma come provincia di
alleati con Sparta e la Lega etolica. Macedonia.
207 a.C. Nei pressi di Mantinea si svolge 88 a.C. Atene si ribella a Roma e si allea a
la battaglia che vede vincitore l’esercito della Mitridate VI, re del Ponto.
Lega achea. 86 a.C. A Roma Silla riparte per la Gre-
205 a.C. Pace di Fenice tra Filippo V e cia e assedia Atene che verrà duramente
Roma. saccheggiata.
200 a.C. In Egitto si redige la “stele di ro- 86 a.C. Silla sconfigge gli eserciti di Mitridate
setta” trilingue, fondamentale in seguito per in Macedonia.
decifrare i geroglifici. 85 a.C. Con la pace di Delo termina la guerra
200 - 197 a.C. II guerra macedonica. mitriadica.
197 a.C. A Cinocefale, in Tessaglia, Filippo 55 a.C. I daci tentano di espandersi in
V di Macedonia è sconfitto da romani e ate- Grecia.
niesi. Finisce la II guerra macedonica: libertà 48 a.C. A Farsalo, in Epiro, Cesare sconfigge
della Grecia. Pompeo.
196 a.C. A Corinto i romani vincono in 42 a.C. A Filippi, in Tracia, Antonio e
Grecia. Ottaviano sconfiggono i cesaricidi.
191 a.C. L’Eubea passa ai romani. 27 a.C. Augusto costituisce la Grecia come
190 a.C. Scipione parte per l’Asia contro il provincia a se stante col nome di provincia
siriano Antioco II, ottiene vittoria a Magnesia d’Acaia.

1.1.2 Roma antica


La storia di Roma antica si colloca a partire dalle origini dell’Urbe, nel 753 a.C., sino
alla caduta dell’Impero romano d’Occidente, nel 476 d.C.
La storiografia suddivide la storia romana in tre macro periodi:
La monarchia, dalla fondazione della città alla cacciata del re Tarquinio il superbo,
nel 509 a.C.
È una civiltà caratterizzata dal fenomeno del patronato o del clientelismo, con un
grande divario tra la popolazione povera (plebei e schiavi) e quella ricca (patrizi).
Storia 155

L’anno di fondazione della città, il 753 a.C., è una data fittizia e indicativa, stabilita
solo successivamente nel I sec a.C.
La repubblica, sino alla fondazione dell’impero per opera di Augusto, 30 a.C.
In questa fase si avvia l’espansione militare, si assiste alla nascita dei primi commerci
e dei primi eserciti di professione. Tali attività aiutano la plebe ad accrescere la propria
ricchezza e il proprio potere politico e sociale. La società si apre, passando dunque
da una società fondata sulle caste (nella quale conta esclusivamente la nascita), a una
basata sulle classi (in cui anche la ricchezza, frutto del lavoro e dell’iniziativa privata,
diviene una fonte di potere).
L’impero, sino alla caduta dell’Impero d’occidente, nel 476 d.C.
In questo periodo sorge e si afferma una concezione globale dello stato. Lo stato

Storia
viene inteso come complesso di regioni e province che intrattengono tra loro scambi
commerciali e culturali. L’Impero conosce inizialmente un momento di evoluzione po-
sitiva, al quale segue però una forte crisi e recessione economica che culminerà nella
caduta dell’Impero d’Occidente. Nell’ultima fase, in cui comincia a svilupparsi l’econo-
mia feudale, lo Stato, si allea con la Chiesa cristiana. La parte Occidentale dell’Impero
vive la propria dissoluzione con la nascita dei regni barbarici, mentre l’area Orientale è
caratterizzata da una ristrutturazione e da maggiore vivacità commerciale e culturale.

Film, Il magnifico gladiatore, 1964, di Alfonso Brescia:


www.youtube.com/watch?v=6RcvB2UDPAw

Cronologia

814 a.C. Fondazione di Cartagine. 508 a.C. Roma stipula il primo trattato
753 a.C. Fondazione di Roma. Romolo è commerciale con Cartagine.
il primo re di Roma. 491 a.C. Guerra con i Volsci.
715 a.C. Sale al trono Numa Pompilio. 481 a.C. I siracusani hanno la meglio sui
670 a.C. Sale al trono Tullo Ostilio. cartaginesi nella battaglia di Imera.
471 a.C. Calcidesi e siracusani vincono gli
665 a.C. Sconfitta di Albalonga.
etruschi nella battaglia di Cuma.
640 a.C. Sale al trono Anco Marzio. Guerre
470 a.C. Il territorio romano viene suddiviso
con la popolazione dei Latini.
in 16 tribù rurali ed in 4 urbane.
616 a.C. Sale al trono Tarquinio Prisco.
456 a.C. Emissione della Lex Icilia: seconda
600 a.C. Primi contatti con la popolazione legge agraria.
degli Etruschi.
451 a.C. I Decemviri vengono spodestati.
578 a.C. Uccisione di Tarquinio Prisco I ad Redazione delle XII Tavole.
opera dei figli di Anco Marzio.
444 a.C. I plebei sono ammessi al tribunato
568 a.C. Sale al trono Servio Tullio. Servio consolare.
introduce la riforma che regola l’ordinamento 431 a.C. Cincinnato ottiene vittoria sul
delle centurie e la suddivisione della plebe in popolo degli equi.
classi e tribù.
405 a.C. – 367 a.C. Guerre tra Dionigi e
534 a.C. Sale al trono Tarquinio il Superbo. Cartagine.
524 a.C. Cade la Monarchia. 390 a.C. Dopo la disfatta al fiume Allia,
509 a.C. Fondazione della Repubblica. Roma è conquistata dai Galli.
156 Cronologia

358 a.C. Latini ed Ernici rinnovano il pat- 260 a.C. Il console C. Duilio vince per mare
to di alleanza con Roma. Riorganizzazione a Milazzo.
dell’esercito. 259 a.C. I Romani perdono la rocca di Enna.
356 a.C. Rutilo è il primo dittatore plebeo. 256 a.C. Sconfitta cartaginese a Ecnomo.
354 a.C. Trattato di alleanza tra romani e 255 a.C. Sconfitta e cattura di A. Regolo in
sanniti. Africa.
351 a.C. Rutilo è il primo censore plebeo. 254 a.C. Conquista di Palermo.
348 a.C. Rinnovo del trattato commerciale 249 a.C. P. Claudio Pulcro è sconfitto per
con Cartagine. mare a Trapani.
Cronologia

343 a.C. – 341 a.C. Prima guerra sannitica. 247 a.C. Amilcare Barca è inviato in Sicilia.
338 a.C. Sconfitta sui Latini insorti. Sciogli- 241 a.C. L. Catulo sconfigge i Cartaginesi al-
mento della Lega Latina. Vittoria di Siracusa le isole Egadi – Pace con Cartagine. La Sicilia
su Cartagine nella battaglia del Crimiso. è assorbita a provincia romana.
337 a.C. I Romani assediano Napoli. 238 a.C. I Romani occupano Sardegna e
327 a.C. – 304 a.C. Seconda guerra Corsica (237 a.C.).
sannitica. 237 a.C. Amilcare raggiunge la Spagna.
326 a.C. Resa di Napoli e annessione a 234 a.C. Nascita di Catone.
Roma. 229 a.C. Morte di Amilcare, alla guida del-
314 a.C. Scontri tra Agatocle e i Cartaginesi. l’esercito cartaginese gli succede Asdrubale.
308 a.C. Rulliano vince gli Etruschi e si 225 a.C. Sconfitta dei Galli a Talamone.
stipula una tregua di 40 anni. 223 a.C. Campagna di C. Flaminio nella
306 a.C. Nuovo trattato commerciale tra Transpadana.
Roma e Cartagine. 222 a.C. Resa di Mediolanum. Il console
298 a.C. – 290 a.C. Terza guerra sanniti- M.C. Marcello sottomette gli Insubri.
ca. Etruschi, Galli, Sanniti, Umbri e Piceni si 221 a.C. Uccisione di Asdrubale. In Spagna
coalizzano contro Roma. gli succede Annibale.
290 a.C. Si stipula la pace con i Sanniti. L’e- 219 a.C. Assedio di Sagunto
conomia romana si espande e la città entra 218 a.C. Roma dichiara guerra a Cartagine.
in contatto con il mondo ellenistico e con la Publio e Gneo Scipione vincono in Spagna.
Magna Grecia. 216 a.C. Vittoria di Annibale a Canne.
283 a.C. Vittoria sui Galli Boi al Lago 212 a.C. M. Claudio Marcello espugna
Vadimone. Siracusa.
281 a.C. Guerra con Taranto. 209 a.C. Scipione espugna Cartagine. Fabio
280 a.C. Pirro, re dell’Epiro, sbarca in Italia Massimo riconquista Taranto.
e vince ad Eraclea. 207 a.C. Sconfitta di Cartagine al Metauro.
278 a.C. Alleanza tra Cartagine e Roma. 205 a.C. Pace tra Romani e Macedoni.
278 a.C. – 276 a.C. Pirro ottiene numerose 204 a.C. Scipione l’Africano sbarca in
vittorie in Sicilia. Africa.
275 a.C. Pirro viene sconfitto a Maluentum 203 a.C. Vittoria romana sui Cartaginesi e
e parte per l’Epiro. su Siface, re della Numidia.
273 a.C. Trattato tra Roma e Tolomeo 201 a.C. Fine della seconda guerra punica.
Filadelfo, sovrano egiziano. 200 a.C. Seconda guerra macedonica.
272 a.C. Resa di Taranto. 197 a.C. Vittoria romana a Cinocefale su
264 a.C. Sbarco di Roma a Messina. Inizio Filippo V. Catone, dopo l’edilità, riceve la
della prima guerra punica. pretura in Sardegna.
Storia 157

196 a.C. T. Quinzio Flaminino proclama la 102 a.C. Quarto consolato di Mario. Mario
libertà della Grecia. La Spagna Ulteriore e sconfigge i Teutoni ad Aquae Sextiae.
Citeriore diventano province romane. 101 a.C. Quinto consolato di Mario. Mario
195 a.C. Consolato di Catone. sconfigge i Cimbri ai Campi Raudii.
192 a.C. Guerra tra Romani ed Etoli. 100 a.C. Sesto consolato di Mario. Secondo
tribunato di Saturnino.
191 a.C. Vittoria romana alle Termopili su
Antioco III re di Siria. 98 a.C. Nasce Lucrezio.
187 a.C. Contrasti tra Scipione Africano e 91 a.C. Livio Druso tenta di promuovere
Catone. riforme, ma viene assassinato.
183 a.C. Morte di Scipione Africano. 88 a.C. Consolato di Silla. Silla assume il co-
mando della guerra contro Mitridate. Con una

Storia
181 a.C. Demetrio, figlio di Filippo V, è legge il comando della guerra viene trasferito
ucciso dal fratello Perseo. da Silla a Mario. Scoppia la guerra civile e
178 a.C. Muore Filippo V e gli succede Mario è bandito da Silla.
Perseo. 87 a.C. Silla parte per la guerra mitridati-
171 a.C. Terza guerra macedonica. ca. Mario, giunto in aiuto di Cinna, occupa
168 a.C. L. Emilio Paolo vince Perseo a Roma.
Pidna. 86 a.C. Settimo consolato di Mario. Nello
167 a.C. La Macedonia, sconfitta, è divisa in stesso anno Mario muore. Secondo consolato
quattro distretti. di Cinna – Silla vince Mitridate a Cheronea e
ad Orcomeno. Nasce Sallustio.
149 a.C. Inizio della terza guerra punica.
85 a.C. Terzo consolato di Cinna – Pace
Morte di Catone. Fiorisce il Circolo culturale
di Dardano che sancisce la fine della prima
degli Scipioni.
guerra midridatica.
148 a.C. La Macedonia diviene provincia
84 a.C. Quarto consolato di Cinna, ma viene
romana.
ucciso. Nasce Catullo.
147 a.C. – 139 a.C. Insurrezione spagnola 83 a.C. Silla fa ritorno in Italia e riprende
guidata da Viriato. la guerra civile. L. Murena attacca Mitridate
146 a.C. Distruzione di Cartagine. L’Afri- con scarso successo.
ca diventa provincia romana. L. Memmio 82 a.C. Silla vince i Mariani e instaura la
distrugge Corinto. propria dittatura.
133 a.C. Tribunato di Tiberio Gracco. 81 a.C. Fine della seconda guerra mitridati-
125 a.C. Conquista della Gallia Narbonese ca.
che diviene provincia romana. 79 a.C. Abdicazione di Silla.
124 a.C. Tribunato di Gaio Gracco. 78 a.C. Il generale Sertorio sconfigge Metello
113 a.C. Invasione dei Cimbri e Teutoni. Pio in Spagna. Morte di Silla.
111 a.C. Inizia la guerra contro Giugurta, re 76 a.C. Pompeo giunge in Spagna combatte
della Numidia. contro Sertorio e riesce ad avere la meglio.
109 a.C. Quinto Cecilio Metello assume il 75 a.C. Questura di Cicerone in Sicilia.
comando della guerra in Africa. 74 a.C. Lucullo e Cotta sono inviati dal Se-
nato contro Mitridate, Cotta rimane sconfit-
107 a.C. Primo consolato di Mario. Egli
to. Mitridate assedia Cizico ma Lucullo ha il
assume il comando della guerra giugurtina.
sopravvento.
106 a.C. Nasce Cicerone.
73 a.C. Mitridate è sconfitto a Cizico.
105 a.C. Fine della guerra contro Giugurta. 72 a.C. Morte di Sertorio.
104 a.C. Secondo consolato di Mario. 70 a.C. Primo consolato di Pompeo e Cras-
103 a.C. Terzo consolato di Mario. Primo so. Mitridate si rifugia presso Tigrane. Nasce
tribunato di Saturnino. Virgilio.
158 Cronologia

67 a.C. Ritorno di Mitridate dal Ponto. Pom- 43 a.C. Secondo Triumvirato di Ottavia-
peo assume il comando della guerra contro i no Augusto, Marco Antonio e Marco Emilio
pirati che assediano il Mediterraneo. Varrone Lepido.
si distingue nella guerra contro i pirati. 42 a.C. Bruto e Cassio, sconfitti, cadono a
66 a.C. Pompeo assume il comando della Filippi.
guerra contro Mitridate. 36 a.C. Vittoria navale di Agrippa sui Pom-
65 a.C. Fuga di Mitridate. Nasce Orazio. peiani. M. Antonio si ribella in Egitto. Lepido
esce dal Triumvirato.
64 a.C. Pompeo conquista la Siria. Ponto e
Bitinia sono eretti a provincia. 31 a.C. Vittoria di Ottaviano su
Antonio ad Azio.
63 a.C. Morte di Mitridate. Congiura di
Cronologia

30 a.C. Ottaviano giunge in Egitto. Morte di


Catilina. Consolato di Cicerone. Pontificato
Cleopatra. L’Egitto è provincia romana.
di Cesare – La Siria diventa provincia romana.
Nasce Augusto. 27 a.C. Ottaviano assume il titolo di
Augusto.
62 a.C. Sconfitta e morte di Catilina. Ritorno
di Pompeo dall’Oriente. Pretura di Cesare. 23 a.C. Augusto assume la tribunicia
potestas a vita.
60 a.C. Primo Triumvirato di Cesare,
14 d.C. Morte di Augusto a Nola e
Pompeo e Crasso.
acclamazione di Tiberio ad imperatore.
59 a.C. Primo consolato di Cesare. Cesare as-
37 d.C. Morte di Tiberio a Miseno ed accla-
sume il comando della provincia della Gallia
mazione di Gaio Caligola ad imperatore.
Cisalpina.
41 d.C. Cherea uccide Caligola. Claudio
57 a.C. Cesare sconfigge i Belgi. viene acclamato imperatore.
55 a.C. Secondo consolato di Pompeo e Cras- 43 d.C. Inizio della conquista della Britannia.
so. Proroga del comando di Cesare in Gallia.
54 d.C. Morte di Claudio ed acclamazione di
Prima spedizione di Cesare contro i Britanni.
Nerone ad imperatore.
Muore Lucrezio.
64 d.C. Incendio di Roma e prime persecu-
54 a.C. Crasso viene nominato proconsole zioni dei cristiani.
in Siria e intraprende una spedizione contro
65 d.C. Congiura di Pisone.
i Parti. Questura di Sallustio.
66 d.C. Congiura di Corbulone.
53 a.C. Crasso è sconfitto e muore a Carre,
in Mesopotamia. 68 d.C. Morte di Nerone e proclamazione di
Galba ad imperatore.
52 a.C. Insorge Vercingetorige. Pompeo è
69 d.C. Le legioni del Reno proclamano im-
console senza Collega.
peratore Vitelli. I pretoriani uccidono Galba
49 a.C. Cesare, tornato dalla Gallia, oltre- e proclamano imperatore Otone. Le legioni di
passa il Rubicone in armi. Inizio della guer- Vitellio sconfiggono Otone a Bedriaco. Oto-
ra civile. Pompeo fugge a Brindisi e poi ne si uccide. Le legioni di Oriente proclamano
a Durazzo. Cesare sconfigge i Pompeiani ad imperatore Vespasiano.
Ilerda.
70 d.C. Tito espugna Gerusalemme.
48 a.C. Si instaura la dittatura di Cesare. 79 d.C. Morte di Vespasiano. Eruzione
Cesare sbarca a Durazzo e sconfigge Pompeo del Vesuvio e distruzione di Ercolano,
a Farsàlo. Pompeo muore in Egitto. Pompei, Stabia. Tito diventa imperatore.
46 a.C. Seconda dittatura e terzo consolato 81 d.C. Domiziano diventa imperatore.
di Cesare. Sconfitta dei Pompeiani a Tapso.
96 d.C. E’ imperatore Cocceio Nerva.
La Numidia diventa provincia romana. Suici-
dio di Catone ad Utica. Pretura di Sallustio e 98 d.C. E’ imperatore Ulpio Traiano.
suo proconsolato in Africa. 101 d.C. Prima campagna contro i Daci.
44 a.C. Morte di Cesare (15 marzo). Emerge 105 d.C. Seconda campagna contro i Daci.
la figura di Ottaviano. 113 d.C. Campagna di Traiano contro i Parti
Storia 159

117 d.C. Morte di Traiano a Selinunte di 313 d.C. Editto di Milano sulla libertà di
Cilicia – Regno di Adriano. culto.
132 d.C. Insurrezione giudaica in Palestina. 324 d.C. Costantino sconfigge Licinio e
136 d.C. Adriano designa suo successore ricostituisce l’unità dell’impero.
Lucio Ceionio Commodo. 325 d.C. Concilio di Nicea.
138 d.C. Morte di Lucio Ceionio Commodo e 330 d.C. Solenne inaugurazione della Nova
nuova designazione nella persona di Antonino. Roma sul Bosforo.
161 d.C. Subentra Marco Aurelio. 337 d.C. Morte di Costantino e nuova
165 d.C. Pace tra Roma ed i Parti. divisione dell’impero.
175 d.C. Vittoria di Marco Aurelio sui 353 d.C. Costanzo II, figlio di Costantino,
Marcomanni. riunisce il governo nelle proprie mani.

Storia
176 d.C. Marco Aurelio designa Commodo 361 d.C. Morte di Costanzo II e successione
suo successore. al trono di Giuliano l’Apostata.
180 d.C. Commodo diventa imperatore. 364 d.C. Pace di Gioviano con i Persiani. Sal-
198 d.C. Caracalla è nominato “Augusto”. gono al potere Valentiniano in Occidente e suo
212 d.C. Caracalla emana la Constitutio fratello Valente in Oriente.
Antoniniana sulla cittadinanza. 375 d.C. Graziano e Valentiniano II succedo-
218 d.C. E’ imperatore Elagabalo. no al padre Valentiniano I.
222 d.C. Sale al potere Severo Alessandro. 378 d.C. Battaglia di Adrianopoli. Vittoria
235 d.C. Subentra all’impero Massimino il dei Visigoti sui Romani. Uccisione di Valente.
Trace. Teodosio viene nominato imperatore.
244 d.C. Filippo l’Arabo viene nominato 392 d.C. Morte di Valentiniano.
imperatore. 395 d.C. Morte di Teodosio. Divisione de-
248 d.C. Celebrazione del primo millenario finitiva dell’Impero in Orientale e Occiden-
dell’Urbe. tale. In Occidente è imperatore Onorio, figlio
249 d.C. Riconoscimento ufficiale di Decio di Teodosio, in Oriente, invece, sale al potere
imperatore. Arcadio, altro figlio di Teodosio.
251 d.C. Battaglia di Abritto e morte di De- 408 d.C. In Oriente diventa imperatore
cio – Regno di Treboniano Gallo che si associa Teodosio II.
al figlio Volusiano. 410 d.C. I Goti di Alarico saccheggiano
253 d.C. Nella battaglia di Terni Treboniano Roma.
e Volusiano sono sconfitti ed uccisi dal preten- 423 d.C. Morte di Onorio. Gli subentra
dente Emiliano, soppresso poi a Spoleto dai Valentiniano III.
suoi stessi soldati. Subentra Valeriano con il 438 d.C. Pubblicazione del Codice Teodosia-
figlio Gallieno. no.
259 d.C. Inizia il regno di Gallieno. 451 d.C. Ezio sconfigge gli Unni di Attila a
268 d.C. E’ imperatore Claudio II il Gotico. Chalons sulla Marna
270 d.C. Subentra al potere Aureliano. 452 d.C. Papa Leone Magno arresta la
275 d.C. Tacito viene eletto imperatore. marcia di Attila su Roma.
276 d.C. Regno di Probo. 455 d.C. I Vandali saccheggiano Roma.
285 d.C. Sale al potere Diocleziano. Si co- 475 d.C. Deposizione di Giulio Nepote
stituisce la nuova costituzione dell’impero: la e proclamazione ad imperatore di Romolo
tetrarchia. Augustolo.
305 d.C. Abdicazione di Diocleziano e 476 d.C. Odoacre, una volta deposto Ro-
Massimiano. molo Augustolo, inizia in Occidente i regni
306 d.C. Sale al potere l’imperatore Costan- romano-barbarici, mentre l’autorità dell’im-
tino. pero sopravvive formalmente nell’imperato-
312 d.C. Vittoria di Costantino a Ponte re di Oriente. Fine dell’Impero Romano
Milvio. d’Occidente.
160 Cronologia

1.1.3 Il Medioevo
Il Medioevo comprende il periodo che va dal V secolo al XV secolo.
Generalmente la storiografia individua la nascita del Medioevo con la Caduta del-
l’Impero romano d’Occidente nel 476. Le date che ne stabiliscono la conclusione possono
essere il 1453, anno della Caduta dell’Impero Romano d’Occidente o il 1492, anno della
scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo.
Il termine “Medioevo” è coniato per la prima volta nel XV secolo dagli umanisti i
quali vedono in tale periodo una decadenza e deviazione dalla cultura classica rifiorita
poi durante il Rinascimento.
A partire dal IX secolo in Europa occidentale si sviluppa la struttura feudale. Tale
Cronologia

sistema sopravvive fino alla nascita dei primi Stati nazionali in Europa e al sorgere
della realtà Comunale in Italia, intorno all’ XI secolo.
Il Medioevo è caratterizzato dalla comune radice religiosa basata sul Cristianesimo,
ereditata dall’ultimo periodo romano e proseguita fino all’XI secolo con la separazione
della Chiesa ortodossa dalla Chiesa cattolica nel 1054.
Questa radice comune porta ad una commistione tra potere temporale e religioso
che si esplica nel fenomeno delle crociate.
La storiografia italiana tende a suddividere il Medioevo in due periodi. L’alto Me-
dioevo, caratterizzato dall’invasione dei popoli barbarici responsabili di impoverimento
economico e culturale, e il basso Medioevo, che vede la nascita dei Comuni e la ripresa
che condurrà all’Età Moderna.

Documentario: I segreti del medioevo


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Cronologia

476 Caduta dell’Impero Romano. comprende l’Italia settentrionale, i ducati di


489-490 Teodorico, re degli ostrogoti giunge Spoleto e Benevento.
in Italia e sconfigge Odoacre. L’Italia è invasa 574 Uccisione di Clefi, re dei longobardi.
dagli Ostrogoti. 584 Autari viene eletto re dei longobardi.
493-526 Teodorico consolida il proprio domi- 590-604 Pontificato di Gregorio I Magno.
nio in Italia e sviluppa una politica interna di
accordo con i latini e una politica esterna di 591-616 Regno di Agilulfo.
predominio sugli altri regni romano-barbarici. 603 Gregorio Magno conclude la pace fra lon-
535 L’imperatore d’oriente, Giustiniano, in- gobardi e bizantini. Inizia la conversione al
via in Italia l’esercito guidato da Belisario cattolicesimo del popolo longobardo.
e, a partire dal 551, da Narsete contro gli 630 Maometto conquista la Mecca.
ostrogoti.
636 Conquista della Siria da parte degli Ara-
540 San Benedetto, fondato il monastero di bi. Negli anni successivi conquisteranno la
Montecassino, redige la Regula, premessa Mesopotamia sconfiggendo l’Impero persia-
teorica del monachesimo. no, l’Egitto, l’Afghanistan, l’Asia Minore e la
553-568 In Italia si instaura il dominio Spagna (711).
bizantino. 636-652 Regno di Rotari.
569 I Longobardi scendono in Italia. Pavia 643 Editto di Rotari, prima codificazione del
diventa la capitale del regno longobardo che diritto consuetudinario barbarico.
Storia 161

697 Elezione del primo doge di Venezia: 855-875 Ludovico è imperatore e re d’Italia.
Paoluccio Anafesto. Gli succede, dopo un’aspra lotta, Carlo II il
712-744 Regno di Liutprando. Calvo (875-877), già re di Francia.
728 Liutprando toglie ai bizantini Bologna e 879 Carlomanno (877-880) re d’Italia e di
Sutri, ma papa Gregorio II lo induce a ritirar- Baviera lascia il governo dell’Italia al fratello
si e a donare Sutri al papato che costituirà il Carlo il Grosso.
primo nucleo del Territorio di S. Pietro. 881 Carlo III il Grosso è re d’Italia e
733-742 Liutprando, in lotta contro i bizan- imperatore.
tini e il papato, occupa l’Emilia e le Marche, 887 Deposizione di Carlo il Grosso e
e assedia Roma. disgregazione dell’impero carolingio.
749 Astolfo, re dei longobardi, occupa 888 Il Regno d’Italia passa a Berengario I del

Storia
Ravenna e attacca i territori della Chiesa. Friuli, nipote di Ludovico il Pio.
752 Pipino il Breve viene eletto re dei Caro- 889 Berengario è sconfitto da Guido, duca di
lingi. Ottiene il beneplacito papale e sconfigge Spoleto, e si ritira nella marca del Friuli.
i longobardi che assediano Roma. 891 Guido di Spoleto è incoronato imperato-
754 Chiamato dal papa Stefano II (753), Pi- re e il figlio Lamberto gli viene associato co-
pino il Breve scende in Italia, sconfigge il re me re d’Italia e come imperatore. I Saraceni
dei longobardi Astolfo e con la pace di Pavia si installano in Costa Azzurra e prendono ad
lo costringe a restituire al papa le terre tolte assediare l’Italia e la Francia.
ai bizantini. 896 Arnolfo di Carinzia, sceso in Italia contro
756 Astolfo riprende le ostilità contro il papa Lamberto di Spoleto, è incoronato a sua vol-
e assedia Roma. Pipino il Breve scende nuo- ta imperatore da papa Formoso. Gli Ungari si
vamente in Italia, sconfigge Astolfo e con il insediano nella piana del Danubio e prendono
secondo trattato di Pavia lo obbliga a rinun- a saccheggiare l’Europa.
ciare all’esarcato e alla Pentapoli, che cede a 899 Scomparsi Arnolfo e Lamberto, Beren-
sua volta al papa (donazione di Pipino). Lo gario si riprende la corona d’Italia, ma viene
Stato della Chiesa ora si estende dal ducato sconfitto dagli ungari sul Brenta.
di Roma alle Marche e alla Romagna. 900 Ludovico, re di Provenza, chiamato dai
756-774 Regno di Desiderio, re dei longobar- signori italiani contro Berengario, è incorona-
di. to re d’Italia, ma è poi vinto da Berengario
(905).
772 Desiderio invade lo Stato della Chiesa.
911 I Normanni ottengono dal re di Francia
773-774 Carlo, re dei franchi, chiamato da
la terra che prenderà il nome di Normandia.
papa Adriano scende in Italia e fa prigionie-
ro Desiderio. Carlo viene proclamato re dei 915 Incoronazione imperiale di Berengario a
franchi e dei longobardi. Roma. Battaglia del Garigliano: una lega di
forze bizantine, papali e longobarde condot-
800 Nella notte di Natale papa Leo-
te dal papa Giovanni X sconfigge i saraceni e
ne incorona Carlo Magno imperatore.
distrugge la loro base.
Ha formalmente inizio il Sacro Romano
Impero. 921 I grandi feudatari italiani si ribellano a
Berengario e chiamano in Italia Rodolfo II
814 Morto Carlo Magno gli succede sul trono
di Borgogna, che sconfigge Berengario e si fa
imperiale Ludovico il Pio.
nominare re d’Italia (923).
827 Inizia la conquista araba della Sicilia. 924 I feudatari italiani abbandonano Rodolfo
839 Gli Arabi conquistano la Puglia. II e si appellano a Ugo di Provenza.
840 Lotario diventa Imperatore del Sacro 926 Ugo di Provenza scende in Italia contro
Romano Impero. Rodolfo e ottiene la corona del Regno d’Italia.
849 La vittoria navale bizantina di Ostia sui 948 Muore Ugo di Provenza lasciando erede
saraceni argina l’avanzata musulmana. il figlio Lotario.
162 Cronologia

950 Alla morte di Lotario di Provenza, 1061-1091 Ruggero d’Altavilla libera la


Berengario d’Ivrea viene incoronato re. Sicilia dagli arabi divenendone conte.
951 Ottone I di Sassonia, re di Germania, 1073 Nomina di papa Gregorio VII. Col Dic-
scende in Italia per sostenere i diritti di Ade- tatus papae inizia la lotta per le investiture.
laide vedova di Lotario. Sconfigge Berenga-
1076 Enrico IV convoca il concilio di Worms
rio e assume il titolo di re dei franchi e degli
e fa deporre Gregorio VII. Il papa scomuni-
italici. L’anno successivo concede l’investitura
ca l’imperatore e scioglie i suoi sudditi dal
regia a Berengario II e al figlio Adalberto.
vincolo di fedeltà.
962 Ottone I viene incoronato imperatore.
Con il privilegium Othonis, l’Impero rivendica 1077 Enrico IV si riconcilia con il papa.
il controllo sull’elezione del pontefice. Nasce il
Cronologia

1078 I Normanni ampliano le conquiste nel


Sacro Romano Impero Germanico. sud Italia e in Sicilia.
963 Giovanni XII viene deposto. 1080 Enrico IV riprende le armi contro
964 Berengario è catturato ed esiliato da Gregorio VII che lo scomunica nuovamente.
Ottone. 1084 Enrico IV assedia Gregorio VII in Ca-
967 Ottone I tenta di annettere l’Italia stel Sant’Angelo, e si fa incoronare imperatore
meridionale. dall’antipapa Clemente III;
983-1002 Regno di Ottone III. 1085 Gregorio VII muore a Salerno.
1000 In questi anni l’Europa vive una ripre-
1090 Enrico IV riprende la lotta contro il
sa economica e culturale. Si apre la fase del
papa Urbano II. Corrado, figlio di Enrico, si
basso Medioevo.
schiera dalla parte del papa, con Matilde di
1002 Alla morte di Ottone, dopo una du- Canossa e diverse città lombarde.
ra contesa fra Arduino d’Ivrea e Enrico II,
Enrico II ottiene l’incoronazione. 1095 Urbano II rinnova la condanna della si-
monia e delle investiture laiche. Il papa indice
1014 Le Repubbliche Marinare italiane la prima crociata per la riconquista dei luoghi
scacciano gli Arabi da Corsica e Sardegna. sacri.
1027 Corrado II il Salico diviene imperatore
1095-1099 Prima crociata: I crociati
romano.
conquistano Gerusalemme.
1037 Corrado II emana la Constitutio de feu-
dis, con cui si concede l’ereditarietà dei feudi 1110 Enrico V, dopo aver costretto il padre
minori. Enrico IV ad abdicare (1106) scende in Italia
e si accorda a Sutri col Papa Pasquale II sul
1042 Guglielmo d’Altavilla si proclama con-
problema delle investiture.
te di Puglia. I Normanni giungono in Italia
meridionale e si impossessano di alcune città. 1115 Matilde di Canossa muore lasciando
1044 A Milano la lotta fra nobili e cittadini erede dei suoi beni la Chiesa.
si conclude con un governo misto. 1116-18 Enrico V torna in Italia per riven-
1046 Enrico III elegge papa Clemente II, che dicare i beni feudali di Matilde e riprende la
lo incorona imperatore. lotta per le investiture.
1049 Nomina di papa Leone IX che avvia la 1122 Con il concordato di Worms, tra Enrico
riforma della Chiesa. I Normanni gli si sot- V e Callisto II, si pone fine alla lotta per le
tomettono e danno avvio alla cacciata degli investiture.
Arabi. 1125 La morte di Enrico V dà vita alle vicen-
1054 Scisma tra Chiesa d’Occidente e de relative alla successione imperiale e papale.
Chiesa d’Oriente. Si contrappongono le due fazioni dei guelfi e
1056-1106 Regno di Enrico IV. ghibellini.
1059 Niccolò II riconosce Roberto d’Altavilla 1125-52 Periodo di crisi imperiale. Af-
nel ducato di Puglia e Riccardo Quarrel nel fermazione e sviluppo dei Comuni in
principato di Capua. Italia.
Storia 163

1130 Scisma fra Innocenzo II e Anacleto II. 1189 Morte di Guglielmo II di Sicilia. Per
Costituzione del regno dei Normanni e del Re- impedire la successione di Enrico VI i baroni
gno di Sicilia. Definitiva espulsione di Arabi e eleggono re Tancredi di Lecce.
Bizantini dall’Italia. 1190 Inizia la terza crociata. Muore Federi-
1132-1139 Ribellioni nel sud contro Rugge- co Barbarossa e gli succede il figlio Enrico VI,
ro II. Spedizione dell’imperatore Lotario II e che viene incoronato imperatore. Poi (1195) è
papa Innocenzo II, che investono Rainulfo di incoronato re di Sicilia. Il re d’Inghilterra Ric-
Alife del ducato di Puglia (1137). cardo Cuor di Leone ottiene il controllo della
costa della Terrasanta.
1139-1154 Espansione mediterranea del Re-
gno di Sicilia controllato da re Ruggero 1197 Morte di Enrico VI. Gli succede Fede-
II. rico II. Si scatenano in Germania e in Ita-

Storia
lia aspre lotte di successione tra Ottone di
1143 I cittadini romani si costituiscono in Brunswick e Filippo di Svevia.
libero comune.
1198-1216 Pontificato di Innocenzo III.
1147-49 Bernardo di Chiaravalle bandisce la
seconda crociata. 1202-04 Quarta crociata. Venezia, che ave-
va fornito le navi per la spedizione, si assicu-
1152-90 Regno di Federico di Hohenstau- ra importanti basi nell’Egeo e sul mar Nero. I
fen, detto il Barbarossa. Deciso a restau- crociati conquistano Costantinopoli e fondano
rare l’autorità imperiale in Italia discende una l’Impero Latino d’Oriente.
prima volta nel 1154-55. Federico entra in Ro-
ma, pone fine al libero comune ed è incoronato 1210 In seguito all’aggressione di Ottone di
imperatore dal papa Adriano IV. Brunswick nell’Italia meridionale, il papa lo
scomunica e sostiene Federico II per le coro-
1158-62 Seconda discesa di Barbarossa. Con ne del regno di Sicilia e del Sacro Romano
la Constitutio de regalibus fissa i diritti Impero.
imperiali e incendia le ribelli Crema e Milano.
1212 Federico II viene incoronato re di
1159 Elezione al soglio pontificio di Alessan- Germania.
dro. Riprende la lotta fra papato e impero
1215 Il re inglese Giovanni Senza Terra ema-
sulla questione delle investiture.
na la Magna Charta che limita il potere
1167-77 A Pontida si costituisce una forza della monarchia in favore della nobiltà.
antimperiale. Dopo due anni di ostilità l’eser- 1220 Federico II è incoronato imperatore da
cito imperiale e quello della lega si affrontano Onorio III.
presso Legnano (1176). Federico I, sconfitto,
avvia trattative, a Venezia chiude la pace con 1226 Si costituisce la seconda lega lombarda
Alessandro III (1177). in funzione antimperiale.

1183 La pace di Costanza chiude la lunga lot- 1228 Per via diplomatica Federico II ottiene
ta tra i comuni italiani e Federico I. Riconosci- Gerusalemme.
mento da parte dei comuni della suprema au- 1231 Costituzioni di Melfi.
torità imperiale, a sua volta l’imperatore rico- 1237 Federico II sconfigge a Cortenuova i
nosce ai comuni i diritti di regalia e la facoltà Comuni della lega.
di eleggere i propri magistrati.
1239 Federico II viene scomunicato dal papa.
1186 Enrico VI, figlio di Federico I, viene in-
coronato re d’Italia. Il suo matrimonio con 1241 I pisani, alleati di Federico II, assalta-
Costanza d’Altavilla, figlia del Re Gugliel- no la flotta genovese che scortava i vescovi
mo di Sicilia, determina l’unione del Regno francesi diretti al concilio per la deposizione
Normanno all’impero. dell’imperatore e li fanno prigionieri.

1187 Saladino sconfigge i cristiani nel me- 1244 Gli Arabi riprendono Gerusalemme.
dio Oriente. Gerusalemme torna in mano 1248 Vittoria su Federico II dei Comuni di
musulmana. Parma.
164 Cronologia

1250 Federico II muore, gli succede il fi- 1303 Filippo il Bello, re di Francia, manda in
glio Corrado IV. In Italia i Comuni vengono Italia una delegazione che arresta il papa ad
soppiantati dalle Signorie. Anagni. Liberato dal popolo, Bonifacio VIII
1254 Alla morte di Corrado IV gli succede il muore poco dopo.
figlio minorenne Corradino. Nel Regno di Sici- 1309 Il papa Clemente V, trasferisce la sede
lia governa come suo tutore, e poi in proprio, pontificia ad Avignone: ha cosı̀ inizio la ’cat-
Manfredi figlio naturale dl Federico II. tività avignonese’ della Chiesa, per cui la
Chiesa viene sottoposta al controllo del re.
1260 Nella battaglia di Montaperti i
ghibellini sconfiggono i guelfi di Firenze. 1310-13 Enrico VII scende in Italia per ten-
tare la restaurazione del potere universale
1265 Carlo d’Angiò, fratello del re di Francia, dell’impero.
Cronologia

scende in Italia per la conquista del Regno di


1314 La Scozia ottiene l’indipendenza dagli
Sicilia.
inglesi.
1266 Battaglia di Benevento: Carlo d’An-
1324 Castruccio Castracani, signore di Lucca,
giò sconfigge Manfredi che cade sul campo di
conquista Pistoia, batte i fiorentini ad Altopa-
battaglia. Carlo viene incoronato re di Sicilia.
scio ed è nominato vicario imperiale (1327) da
1267-68 Corradino scende in Italia per ricon- Ludovico il Bavaro.
quistare il Regno di Sicilia. Sconfitto a Taglia- 1328 Ludovico il Bavaro si fa incoronare
cozzo viene consegnato agli Angioini, ed è de- imperatore dal popolo romano.
capitato a Napoli. Nel 1267 i guelfi scacciano
1337 Scoppia la guerra dei Cento anni tra
i ghibellini da Firenze e dominano nell’Italia
Francia e Inghilterra.
settentrionale.
1343 Morte di Roberto I d’Angiò, re di
1271 Marco Polo raggiunge la Cina. Napoli. Gli succede Giovanna I.
1278 L’Austria passa alla dinastia degli 1347 Cola di Rienzo si proclama tribuno
Asburgo. del popolo e instaura a Roma un governo
1282 A Palermo scoppiano i Vespri Sicilia- popolare.
ni. La rivolta caccia i Francesi dalla Sicilia. 1348 Si diffonde in Italia la peste che colpisce
Gli Aragonesi, dinastia spagnola, assumono il l’intera Europa, la “Peste Nera”.
comando del regno. 1349 Giovanni Visconti, arcivescovo di Mila-
1284 Genova sconfigge Pisa alla battaglia no dal 1339 e signore della città, accentra nelle
della Meloria. proprie mani i poteri del comune e inaugura
la Signoria Viscontea.
1288 La dinastia turca degli Ottomani crea
un proprio regno in Asia Minore. 1353 Genova, travagliata da lotte intestine e
battuta dai veneziani, si pone sotto la signo-
1294-1303 Pontificato di Bonifacio VIII. ria di Giovanni Visconti. Il papa Innocenzo VI
1297 A Venezia la serrata del Maggior con- invia da Avignone il cardinale Egidio d’Albor-
siglio rende la partecipazione al governo un noz a restaurare l’autorità papale sullo Stato
privilegio ereditario dei patrizi. della Chiesa.
1298 La lunga rivalità fra le repubbliche ma- 1354 Cola di Rienzo è ucciso in un tumulto
rinare di Genova e Venezia per il predominio popolare.
in oriente culmina nella battaglia di Curzola. 1375-78 Firenze si allea con i Visconti contro
Si conclude a favore di Genova. il papa Gregorio XI.
1302 La Sicilia (Regno di Trinacria) passa a 1377 Gregorio XI pone fine alla catti-
Federico d’Aragona mentre Napoli (che con- vità avignonese stabilendosi definitivamente a
serva il nome di Regno di Sicilia) resta agli Roma.
Angioini. 1378 Scisma d’Occidente che contrappone
1302 Bolla Unam sanctam di Bonifacio VIII Papa Urbano VI a Clemente VII.
con cui il papa proclamala subordinazione del 1378 A Firenze scoppia il tumulto dei ciompi,
potere temporale a quello spirituale. del popolo minuto contro il popolo grasso.
Storia 165

1378-81 Guerra di Chioggia tra Genova e 1435 Alla morte di Giovanna II riprende la
Venezia. Si conclude con la vittoria di Venezia. lotta per la successione al trono del regno di
1380-82 Giovanna I d’Angiò, regina di Na- Napoli fra Renato d’Angiò e Alfonso V d’A-
poli, si schiera con l’antipapa Clemente VII e ragona. Filippo Visconti interviene contro Al-
viene scomunicata da Urbano VI, che investe fonso V d’Aragona, che preso prigioniero nella
del regno Carlo III di Durazzo. Questi condu- battaglia navale di Ponza, si allea col milanese
ce contro Napoli una vittoriosa spedizione che e riprende la lotta.
si conclude con la morte di Giovanna. 1442 Alfonso V d’Aragona ottiene il Regno
1382 Restaurazione oligarchica a Firenze che di Napoli, inizia il domino spagnolo del regno
durerà fino all’avvento dei Medici (1434). nell’Italia meridionale.

1385-1402 Signoria di Gian Galeazzo Vi- 1447 Muore Filippo Visconti senza lasciare

Storia
sconti. Egli unifica i domini viscontei e ottiene eredi. I milanesi proclamano la repubblica.
dall’imperatore Venceslao il titolo di duca di 1448 L’orafo tedesco Johann Gutenberg
Milano (1395). inventa la stampa a caratteri mobili.
1389 I Turchi conquistano la Serbia e nel 1393 1450 Francesco Sforza entra a Milano
la Bulgaria. proclamandosi duca.
1404 Venezia si unifica al Veneto. 1453 Termina la guerra dei Cento anni.
L’intera Francia è unificata. I Turchi conqui-
1406 Firenze sottomette Pisa.
stano Costantinopoli e pongono fine all’Im-
1412 Filippo Maria Visconti, alla morte del pero Romano d’Oriente. Secondo alcuni
fratello (Giovanni Maria Visconti), entra in storici questa data segna la conclusione del
Milano e assume il titolo ducale. Medioevo.
1415 Vittoria inglese ad Anzicourt nella 1454 Francesco Sforza e Venezia firmano la
guerra dei Cento anni. pace di Lodi, cui segue la costituzione di
1416 Nella battaglia di Gallipoli Vene- una lega fra i maggiori stati italiani per il
zia sconfigge i Turchi. Amedeo VIII rice- mantenimento dell’equilibrio politico.
ve dall’imperatore Sigismondo il ducato di 1455 Inizia la guerra delle Due rose in
Savoia. Inghilterra.
1417 Fine dello scisma d’Occidente. 1456 I Turchi conquistano Atene e si esten-
1423 Il doge Francesco Foscari accentua la dono nel Peloponneso, Asia Minore, Bosnia e
politica di espansione di Venezia in terraferma Albania.
portandone i confini all’Adda. 1458-64 Pontificato di Pio II. Ferdinando I,
1425-26 Lega antiviscontea tra Venezia, Fi- figlio di Alfonso V è re di Napoli.
renze, Ferrara, Mantova, Monferrato e Savoia. 1464-78 Occupazione di Genova da parte di
Nella battaglia di Maclodio le forze veneziane Francesco Sforza.
hanno la meglio su quelle milanesi. 1469 Lorenzo il Magnifico diventa signore
1428-33 Filippo Maria Visconti cede Berga- di Firenze.
mo e Brescia a Venezia. Ravenna è ceduta 1479 Venezia perde i domini greci a favore dei
a Venezia nella pace di Cremona dopo una Turchi.
ripresa delle ostilità. 1482-84 Una grande guerra coinvolge da una
1429 Giovanna d’Arco sottrae Orléans agli parte Venezia e papa Sisto IV e dall’altra
inglesi. Estensi, Firenze, Milano e Napoli. Con la pace
1434 Cosimo de’ Medici, con la carica di gli Estensi devono cedere a Venezia, Rovigo e
gonfaloniere, assume l’effettivo controllo del il polesine.
comune di Firenze. Inizia la signoria dei 1480 La Russia si sottrae al dominio mon-
Medici. golo. In Spagna si istituisce il tribunale
1431 Giovanna d’Arco viene arsa al rogo dell’Inquisizione.
come strega dagli inglesi. 1483 Nasce Martin Lutero.
166 Cronologia

1485 Congiura dei baroni. I feudatari del re- (Rodrigo Borgia). Muore Lorenzo de’ Medi-
gno di Napoli si ribellano al re che riesce a ci detto il Magnifico. Il genovese, Cristofo-
restaurare l’ordine. ro Colombo approda sul nuovo continente.
Secondo la storiografia questa data segna la
1492 Inizia il pontificato di Alessandro VI definitiva conclusione del Medioevo.

1.1.4 Storia moderna


La storiografia individua nel 1492, data della scoperta dell’America, l’inizio dell’età
moderna, e nel 1814, data del Congresso di Vienna, la sua conclusione.
I tre secoli che intercorrono tra questi due eventi, simbolici ma significativi, sono
Cronologia

caratterizzati dalla formazione degli stati nazionali, dei primi imperi coloniali, dalla
diffusione della stampa, dalla riforma protestante, dalla rivoluzione industriale, dalla
rivoluzione americana e dalla rivoluzione francese.
La storia moderna può dunque essere considerata il periodo storico in cui si sono
svolti gli importanti avvenimenti politici, economici e scientifici che hanno portato allo
sviluppo della società contemporanea.

Cronologia
1492 Cristoforo Colombo approda in 1508 La Spagna conquista molte terre in
America. Marocco. Nasce la Lega di Cambrai, lega di
Francia, Spagna e Papato contro Venezia.
1493 Sale al trono imperiale Massimiliano
d’Asburgo. 1509 Sconfitta di Venezia.
1494 Carlo VIII, re di Francia, conquista Mi- 1510 Giulio II promuove la Lega Santa per
lano. Il frate Girolamo Savonarola solleva i contrastare i francesi, è composta da Vene-
fiorentini contro i Medici e prende la città zia, Spagna, Svizzera e Inghilterra. Inizia il
di Firenze. commercio di schiavi tra Africa e Americhe.

1497 Savonarola, dopo critiche allo Stato 1512 Milano viene restituita a Massimiliano
della Chiesa, viene ucciso. Sforza.
1515 Francesco I, re di Francia, invade
1498 Carlo VIII muore. Sale al trono Luigi
la Lombardia e conquista il Milanese.
XII. Vasco de Gama circumnaviga l’Africa.
1516 Carlo V d’Asburgo eredita il regno di
1499 Ludovico il Moro lascia Milano e lascia Napoli, di Spagna e le colonie americane, di-
il Ducato ai francesi. ventando re di Spagna con il titolo di Car-
1499/1503 Dominio personale di Cesare lo I. Il trattato di Noyon conferma il domi-
Borgia in Romagna. nio spagnolo su Napoli ed il dominio francese
su Milano.
1500 Nasce Carlo d’Asburgo (chiamato più
tardi Carlo V). Il sud Italia viene spartito tra 1517 Lutero espone sulla Cattedrale di Wit-
Francia e Spagna. tenberg le 95 tesi. Inizio della Riforma
protestante.
1503 Morte di papa Alessandro VI, gli suc-
cede Giulio II. Cesare Borgia comincia a 1519 Alla morte di Massimiliano I viene elet-
declinare. to imperatore Carlo V che eredita i domini
asburgici.
1504 Armistizio di Lione: fine del disaccor-
1521 Scomunica di Lutero da parte di Leone
do fra francesi e spagnoli per il controllo
X. Lutero brucia la bolla di scomunica. Die-
di Napoli.
ta di Worms: Lutero viene bandito come
1507 Il Portogallo occupa Ceylon. Muore Ce- fuorilegge. Il principe Federico III di Sasso-
sare Borgia. nia sostiene Lutero e gli permette di rimanere
Storia 167

in Germania. Inizia la guerra fra Carlo V e il 1545 Inizio del Concilio di Trento.
re di Francia Francesco I. I Turchi conquista- 1547 Enrico II succede a Francesco I.
no l’Egitto e in breve tempo la Spagna perde
1553 Maria Tudor (detta la sanguinaria)
gran parte dei possedimenti africani.
sale al trono inglese
1522 Lutero pubblica la Bibbia in tedesco. I
1554 Maria Tudor sposa il principe ereditario
Turchi conquistano Rodi.
spagnolo Filippo (il futuro Filippo II).
1524 Carlo V conquista Milano ed accerchia 1555 Dieta di Augusta: i principi tedeschi
la Francia. possono scegliere la propria religione, ed i sud-
1525 Francesco I viene fatto prigioniero diti devono seguire la religione del proprio
da Carlo V. principe. Fine dell’unità religiosa europea.
1526 Francesco I viene liberato in cambio del- 1556 Abdicazione e divisione dell’impero di

Storia
la rinuncia di pretese su Milano. Nascita del- Carlo V. La Spagna viene assegnata al fi-
la Lega di Cognac, alleanza di Francia, Ve- glio Filippo II e il titolo imperiale al fratel-
nezia, Firenze e Papato contro l’Imperatore. lo Ferdinando I. I francesi tentano l’invasione
Dopo la sconfitta degli Ungheresi, i Turchi dell’Italia meridionale.
assediano Vienna che scampa la minaccia. 1557 L’esercito di Filippo II sconfigge la
1527 Indignato dalla scelta del papa di far Francia a San Quintino.
parte della lega di Cognac, Carlo V invade 1558 Muore Carlo V. Muore Maria la san-
Roma. guinaria e sale al trono Elisabetta I. Inizio
1529 I principi tedeschi seguono le idee dell’età elisabettiana.
di Lutero. Nuovo assedio di Vienna da parte 1559 Papa Paolo IV istituisce L’indice dei
dei Turchi ottomani. libri proibiti. Fine guerra fra Francia e Spagna.
1530 Sottomissione degli stati italiani a Car- 1560 Carlo IX diviene re francese.
lo V. Carlo V viene incoronato imperatore 1561 Filippo II trasferisce la capitale
a Bologna da Papa Clemente VII. spagnola da Valladolid a Madrid.
1530-1555 Guerra civile fra principi tedeschi 1562 Il duca di Guisa, leader dei cattolici
luterani e cattolici. francesi, fa massacrare a Vassy centinaia di
1534 Enrico VIII, con l’“atto di supremazia” ugonotti. Prima guerra di religione in Fran-
si proclama capo della Chiesa Anglicana, la cia. La capitale della Savoia viene spostata
nuova chiesa inglese. da Chambery a Torino. L’Inghilterra avvia il
1536 Giovanni Calvino si stabilisce a Gi- commercio degli schiavi.
nevra e dà vita al Calvinismo. 1563 Conclusione del Concilio di Trento.
1537 Guerra tra Venezia e i Turchi. 1565 I Portoghesi cacciano i Francesi dal
Brasile.
1540 Sant’Ignazio di Loyola forma la Com-
pagnia di Gesù, l’ordine dei gesuiti. 1566 I Paesi Bassi si ribellano al dominio
della Spagna.
1541 I Turchi conquistano Budapest.
1567 Seconda guerra di religione in Francia.
1542 Scontri tra Carlo V e Francesco I. Gli
inglesi appoggiano la Spagna. Papa Paolo 1569 Terza guerra di religione in Francia.
III riorganizza il tribunale dell’inquisizione. 1570 Venezia perde Cipro a favore dei Turchi.
1543 Niccolò Copernico elabora la teo- 1571 Battaglia di Lepanto. Fine dell’espan-
ria eliocentrica, cioè la teoria che dice che sione turca arrestata dai Cristiani.
la Terra gira intorno al Sole, mettendosi in 1572 Enrico di Borbone e Margherita di Va-
contrasto con la Chiesa. Francesco I stipu- lois si sposano. Strage di calvinisti francesi
la un’alleanza con i Turchi ottomani per nella notte di S. Bartolomeo, quarta guerra
fermare Carlo V. di religione.
1544 Termina il conflitto tra Carlo V e 1574 Sale al trono di Francia Enrico III, il
Francesco I, con la vittoria della Spagna. fratello di Carlo IX.
168 Cronologia

1579 Le province settentrionali dei Paesi Bas- 1625 Il trono inglese passa al figlio di
si spagnoli si staccano dalle meridionali. L’O- Giacomo I, Carlo I.
landa si dichiara indipendente dalla Spagna. 1627 Fine della dinastia Gonzaga a Mantova.
Rivolta cattolica in Irlanda. 1628 Richelieu assalta La Rochelle, la
1580 Dopo la morte del re portoghese Enrico fortezza dei calvinisti francesi.
I, Filippo II annette il Portogallo. 1629 Carlo I scioglie il parlamento inglese.
1584 Muore lo zar Ivan il terribile e per la 1633 Secondo processo contro Galileo, co-
Russia comincia un periodo di disordini. stretto all’abiura delle sue tesi scientifiche.
1585 Guerra per la successione al trono di 1635 La Francia dichiara guerra all’Im-
Francia. pero per contrastare l’espansione imperiale
Cronologia

1587 Elisabetta I fa decapitare la cugina asburgica.


Maria Stuart. 1642 Inizio della guerra civile inglese tra
1588 Filippo II manda la sua flotta, l’Inven- Carlo I e il Parlamento. Morte di Richelieu.
cibile armada, contro Elisabetta per punirla 1643 Muore Luigi XIII. Sale al trono Luigi
per l’esecuzione della cugina Maria Stuart. XIV.
L’Invencibile armada viene sconfitta e inizia 1644 Fine della dinastia Ming in Cina.
il predominio inglese sui mari.
1645 I Turchi sottraggono Creta a Venezia.
1589 Enrico III di Francia viene ucciso. 1647 A Napoli scoppia la rivolta antispagnola
1593 Enrico di Borbone si converte al catto- di Masaniello dopo l’introduzione sulla tassa
licesimo e diventa re di Francia con il nome di del pane.
Enrico IV. Inizia la dinastia dei Borbone. 1648 Fine della guerra civile inglese: Carlo I
1598 Enrico IV emana l’Editto di Nantes, viene sconfitto e deposto. Pace di Westfa-
che dà libertà di culto agli ugonotti. Fine delle lia: fine della guerra dei trent’anni. Svizzera,
guerre di religione in Francia. Olanda e Portogallo diventano indipendenti.
1600 Rogo di Giordano Bruno a Roma. Inizio delle lotte della Fronda.
Viene fondata la Compagnia Inglese per le 1649 Carlo I viene decapitato. Nasce il Com-
Indie Orientali. monwealth, l’Inghilterra diventa Repubblica.
1602 Viene fondata la Compagnia Olandese 1651 Oliver Cromwell, ex comandante degli
per le Indie Orientali. aristocratici inglesi, dopo due anni passati a
reprimere ribellioni cattoliche in Scozia torna
1603 Muore Elisabetta I d’Inghilterra. Il fi-
a Londra.
glio di Maria Stuart, Giacomo, sale al trono
d’Inghilterra. 1653 Cromwell diviene Lord protettore, ca-
po dello stato e del governo del Regno Unito,
1610 Sale al trono di Francia Luigi XIII.
e scioglie il Parlamento. Comincia la dittatura
1612 Mattia sale al trono del Sacro Romano di Cromwell. Fine delle lotte per la Fronda.
Impero. 1657 Guerra commerciale fra Inghilterra e
1613 In Russia Michele Romanov diventa zar Olanda, in cui gli inglesi mostrano superiorità.
e dà inizio alla dinastia dei Romanov. 1658 Cromwell muore e viene restaurata la
1616 Primo processo contro Galileo da monarchia con il figlio di Carlo I, Carlo II.
parte dell’inquisizione. 1661 Muore Mazzarino, cui fino ad ora era
1618 Defenestrazione di Praga: inizio della stato assegnato il governo francese e Luigi
guerra dei trent’anni. Spagna e Impero XIV comincia il suo regno.
si schierano contro Svezia, Boemia, Francia, 1663 I Turchi dichiarano guerra al Sacro
Danimarca e Olanda. Romano Impero.
1620 I primi padri pellegrini sbarcano in 1668 Pace di Aquisgrana tra Francia e
America. Spagna.
1624 Luigi XIII nomina primo ministro il 1669 Newton scopre la legge di gravitazione
cardinale Armand-Jean Richelieu. universale.
Storia 169

1682 Luigi XIV e la sua corte si trasferiscono 1720 Vittorio Amedeo II cede la Sicilia al-
a Versailles. l’Austria in cambio della Sardegna e dà vita
1682- 1725 In Russia si instaura il regno di al regno di Sardegna.
Pietro il Grande, ancora bambino. 1721 Fine della guerra fra Russia e Svezia. La
1685 Giacomo II assume il posto di Carlo II Russia si espande in Estonia e Livonia.
sul trono inglese. Luigi XIV emana l’editto 1725 Morte di Pietro il grande.
di Fontainbleau, con cui impone agli ugonotti 1733 Morte del re di Polonia Augusto II.
di diventare cattolici e cerca di distruggere i Inizio della guerra di successione polacca.
giansenisti. 1733-1738 Il Regno di Napoli e la Sicilia di-
1686 – 1699 L’Ungheria è liberata dai Turchi ventano uno Stato indipendente guidato da
e passa agli Asburgo d’Austria. Carlos di Borbone.

Storia
1686 Leopoldo I promuove la lega di Augusta, 1738 Fine della guerra di successione polac-
cui aderiscono Spagna, Inghilterra, Savoia, ca. Il figlio di Augusto II, Augusto, diventa re
Inghilterra, Olanda e principati tedeschi. polacco.
1688 Gloriosa Rivoluzione: Giacomo II 1740-1748 I Savoia si espandono in Italia.
viene deposto spontaneamente e Guglielmo 1748 Maria Tersa d’Asburgo diventa
III d’Orange sale al trono. Affermazione del- imperatrice d’Austria.
la monarchia parlamentare inglese. Luigi XIV 1752 Nasce il regno indipendente dell’Afgha-
conquista Strasburgo, territori savoiardi e ter- nistan.
ritori dei principati tedeschi. Inizia la guerra 1755 Catastrofico terremoto di Lisbona.
fra la Francia e la lega d’Augusta.
1756-1763 Inizio della guerra dei sette an-
1689 Pietro I il Grande diventa formal- ni in cui l’Inghilterra strappa molte colonie a
mente zar di Russia. Ammodernamento del Francia e Spagna.
Paese. 1761 I francesi si ritirano dalla guerra dei
1700 Muore Carlo II e viene designato suo sette anni.
successore Filippo di Borbone, ma alcuni stati 1762 La Russia si ritira dalla guerra dei sette
si oppongono. Inizio della guerra di succes- anni. Sale al trono Caterina II.
sione spagnola. Pietro il Grande comincia
1763 Fine della guerra dei sette anni. Pace di
una guerra contro la Svezia.
Parigi.
1701 Filippo di Borbone diventa re di Spa-
1764 Caterina la grande confisca le proprietà
gna con il nome di Filippo V. L’imperatore
ecclesiastiche dello stato russo.
Leopoldo I dà l’indipendenza alla Prussia.
1765 Giorgio III impone lo Stamp Act. Inizia
1703 Pietro I fonda Pietroburgo. la rivoluzione industriale inglese.
1707 Nasce la Gran Bretagna dalla fusione 1772- 1795 La Polonia viene annullata come
del regno inglese e regno scozzese. Stato e spartita tra Austria, Prussia e Russia.
1710 Luigi XIV ordina la distruzione del 1773 Clemente XIV espelle i gesuiti dall’Eu-
monastero di Port Royal. ropa. Battaglia del tè. In Russia inizia la
1711 Carlo d’Asburgo viene eletto imperato- rivolta contadina guidata da Pugacev.
re. 1774 Luigi XVI diventa re di Francia.
1713 Pace di Utrecht fra Olanda e 1775 Guerra per l’indipendenza degli
Inghilterra. Stati Uniti d’America.
1714 Fine della guerra di successione spagno- 1776 Dichiarazione d’indipendenza delle co-
la. Filippo V diventa re di Spagna in cambio lonie americane e nascita degli Stati Uniti
della cessione dei Paesi Bassi, del sud Italia, d’America.
dello stato dei presidi, di Milano e della Sar- 1779 Nasce la prima fabbrica in Inghil-
degna all’Austria. Vittorio Amedeo II, duca terra.
di Savoia, ottiene la Sicilia. 1780 Alla guida dell’impero asburgico Giu-
1715 Inizia il regno di Luigi XV. seppe II succede alla madre Maria Teresa.
170 Il XIX Secolo

1786 In Prussia muore Federico II. 1798 I francesi cacciano il papa e costituisco-
1787 Gli USA decidono di diventare una re- no la Repubblica Romana.
pubblica federale alla convenzione di Philadel- 1799 Caduta del Direttorio e avvento del
phia. Approvazione della Costituzione degli Consolato. I Francesi istituiscono la Repubbli-
Stati Uniti d’America. ca Partenopea, ottengono vittorie su Austria
1788 Gli inglesi sbarcano in Australia. e Russia. Napoleone nominato primo console.
1789 Inizia la rivoluzione francese. Ema- 1802 Viene istituita la Repubblica italiana.
nazione della Dichiarazione dei diritti dell’uo- 1804 Napoleone imperatore dei francesi.
mo e del cittadino. George Washington è il
1805 La Repubblica italiana si trasforma
primo Presidente degli Stati Uniti.
in Regno d’Italia, affidato al figlio di
XIX Secolo

1792 La Francia sconfigge Austria e Prussia Napoleone.


e si costituisce come Repubblica.
1806 Blocco continentale contro l’Inghilterra.
1793 Condanna a morte e esecuzione di Lui- Vittoria di Napoleone sulla Prussia.
gi XVI. Dittatura di Robespierre cui segue
1808 Napoleone conquista la Spagna. Guer-
la sua condanna a morte. Seconda spartizione
riglia degli Spagnoli.
della Polonia.
1809 La Francia si annette allo Stato della
1793-1794 In Francia si costituisce il governo
Chiesa.
del Comitato di salute pubblica.
1795 Terza spartizione della Polonia. 1812 Campagna di Russia. Assedio di Mosca.
Disfatta dell’armata napoleonica.
1795-1799 Il Direttorio in Francia. Il ge-
nerale Napoleone vince la campagna d’Italia 1814 Sconfitta di Napoleone a Lipsia.
contro Austriaci e Piemontesi. Nascita delle Napoleone abdica sull’isola d’Elba.
repubbliche giacobine italiane. 1814-1815 Congresso di Vienna.
1797 Con il Trattato di Campoformio 1815 Cento giorni di Napoleone. Napoleone
Napoleone cede Venezia all’Austria. sconfitto a Waterloo.

1.2 Il XIX Secolo

1.2.1 La Restaurazione
Dal 1 novembre al 9 giugno 1815 si tiene il Congresso di Vienna. In questa occasione
le potenze vincitrici su Napoleone si incontrano per riorganizzare l’assetto dell’Europa
sconvolta dalle battaglie napoleoniche.
Il principe di Metternich, importante esponente dell’Austria, è il promotore di un
principio di equilibrio, secondo cui si auspica che i vincitori giungano ad accordi
diplomatici in grado di garantire una pace duratura in Europa.
Il principe di Talleyrand, esponente francese, sostiene invece un principio di le-
gittimità che prevede la restituzione del potere ai sovrani sconfitti da Napoleone.
Il Congresso di Vienna segna l’inizio del periodo della Restaurazione, in cui ven-
gono ridisegnati i confini europei con gli Imperi di Austria e Russia e i Regni di Prussia
e Gran Bretagna, ristabilendo cosı̀ il potere dei sovrani assoluti dell’Ancien Régime.
Negli ultimi 26 anni di storia (1789-1815) tuttavia l’Europa è ideologicamente
cambiata e i principi della Restaurazione, non tenendo conto di tali mutazioni, so-
no destinati a fallire. I moti del 1830 e 1831 determineranno la fine del processo di
Restaurazione.
Storia 171

1.2.2 La Santa Alleanza e la Quadruplice Alleanza


Al fine di legare reciprocamente i sovrani delle principali potenze con un patto di
comune sostegno e aiuto, nel 1815 lo zar Alessandro I di Russia promuove la Santa
Alleanza. Tale accordo viene sottoscritto da tutti gli Stati europei ad eccezione che
dall’Inghilterra, la Turchia e lo Stato Pontificio.
D’altro canto, nel novembre dello stesso anno, l’Inghilterra promuove la Quadru-
plice Alleanza che lega l’Inghilterra, la Russia, l’Austria e la Prussia ad una reciproca
collaborazione per il mantenimento dell’ordine istituito con il Congresso di Vienna.

1.2.3 I moti degli anni Venti

Storia
In contrasto con le decisioni politiche sancite dal Congresso di Vienna, negli anni
Venti si assiste alla nascita di società segrete che tentano di destabilizzare l’ordine
costituito.
Nel Regno delle Due Sicilie re Ferdinando I concede l’instaurazione di un governo
liberale, Palermo insorge contro Napoli e la Santa Alleanza interviene sopprimendo il
nuovo governo e imponendo l’insediamento asburgico fino al 1827.
In Piemonte si assiste ad una rivolta delle guarnigioni contro la politica antiriformi-
sta di Vittorio Emanuele I. In seguito a numerosi disordini nel 1821 le truppe austriache
sconfiggono l’esercito liberale e arrestano i principali esponenti della Carboneria.
La Grecia insorge contro il dominio turco e nel gennaio 1822 proclama l’indipen-
denza, ma nel 1827 i turchi la conquistano nuovamente. L’intervento di Russia, Francia
e Inghilterra porta al riconoscimento dell’indipendenza greca nel 1830 e all’autonomia
amministrativa ai Principati danubiani e alla Serbia.
Nel 1825 gli aristocratici e gli ufficiali russi insorgono contro il potere assoluto dello
zar Nicola I: rivolta decabrista.

1.2.4 I moti degli anni Trenta


Nell’Europa centro orientale si assiste al consolidamento di regimi conservatori e rea-
zionari, cui si contrappongono ideologicamente Francia, Belgio, Svizzera, Inghilterra e
Spagna che introducono una serie di riforme di ammodernamento.
Nel 1830 in Francia scoppia un’insurrezione contro la politica di Carlo X Borbone
che viene cosı̀ deposto. Luigi Filippo di Orleans viene nominato luogotenente del regno
e si assiste al varo di una nuova Costituzione.
In seguito alla rivolta del Belgio contro l’annessione al Regno dei Paesi Bassi, la
Conferenza di Londra del dicembre 1830 - gennaio 1831 stabilisce l’indipendenza del
Belgio con il governo di Leopoldo di Sassonia-Coburgo.
In Inghilterra nasce il movimento Cartista che fa forti pressioni per l’ottenimento
del suffragio universale, l’abolizione del dazio sul grano e la riforma doganale.
In Italia, nonostante il fallimento dei moti rivoluzionari, emerge la figura di Giu-
seppe Mazzini (1805-1872). Egli fonda l’associazione Giovine Italia e codifica un
programma per la realizzazione dell’unità italiana. L’organizzazione però nell’aprile
1833 viene scoperta e duramente repressa con arresti e condanne. In un secondo mo-
mento Mazzini tenta di penetrare in Savoia dalla Svizzera per organizzare una nuova
ondata rivoluzionaria, anche questo piano però viene sventato.
Nel 1834 a Berna fonda la Giovine Europa e nel 1840 ricostituisce la Giovine Italia
ma ogni tentativo di ribellione è represso.
172 Il XIX Secolo

Nel sud Italia i fratelli Bandiera promuovono una rivolta della Calabria che nel 1844
vede il fallimento.
Negli anni Quaranta in Italia nascono nuove tendenze di unità nazionale. Vin-
cenzo Gioberti (1801-1852) rappresenta un federalismo moderato, per cui l’Italia si
configurerebbe come una federazione di Stati guidati dal papa.
Carlo Cattaneo (1801- 1869) invece si fa portavoce di un federalismo democratico
propugnando una federazione di repubbliche fondate sulla sovranità popolare.

1.2.5 Il Quarantotto
Il 1848 è un anno cruciale per i movimenti rivoluzionari.
XIX Secolo

In Francia si assiste alla cacciata del re Luigi Filippo e alla nascita della Seconda
Repubblica con l’approvazione di una Costituzione repubblicana di stampo borghese.
Nel dicembre 1848 Carlo Luigi Napoleone viene eletto presidente e nel 1852 incoronato
imperatore con il nome di Napoleone III.
A Venezia viene proclamata la Repubblica di San Marco. Tra il 18 e il 23 marzo
Milano vive cinque giornate di violentissime insurrezioni.

I moti del ’48 http://lunitaditalia.blogspot.fr/2008/12/i-moti-del-48-in-italia.html

1.2.6 La guerra di indipendenza


Il 23 marzo 1848 Carlo Alberto, sostenuto da Ferdinando II di Napoli, Leopoldo II
di Toscana e Papa Pio IX, dichiara guerra all’Austria per realizzare un progetto di
indipendenza e unità nazionale. Gli alleati al Piemonte però si ritirano dal conflitto.
Nel luglio 1848, nella battaglia di Custoza, le truppe di Carlo Alberto subiscono una
sconfitta e con l’armistizio di Salasco la Lombardia passa sotto il dominio austriaco.
Nel marzo 1849 riprende la guerra contro l’Austria, le truppe italiane subiscono una
nuova sconfitta a Novara e Carlo Alberto è costretto ad abdicare. Il nuovo sovrano
Vittorio Emanuele sottoscrive l’armistizio di Vignale con cui, mantenendo i confini
del Piemonte, si impegna a pagare all’Austria una consistente indennità.
Complessivamente, i vari moti che hanno agitato il Paese falliscono, ma le sommos-
se decretano allo stesso tempo il definitivo fallimento del pensiero legittimista della
monarchia come diritto divino.

1.2.7 Il 1850-1870
In questi anni l’Impero Asburgico subisce una serie di importanti sconfitte. Nel 1866
in seguito alla guerra contro Italia e Prussia perde il Veneto.
A seguito dell’Ausgleich (compromesso) tra la nobiltà ungherese e la monarchia
asburgica, nel 1867 viene costituito l’Impero Austro-Ungarico. L’impero austriaco,
sorto nel 1804, sotto lo stesso sovrano, riconosce l’esistenza di due regni distinti e
in condizioni di parità. Gli Asburgo diventano dunque imperatori d’Austria e re di
Ungheria.
Nel 1852 in Francia nasce il Secondo impero francese guidato da Napoleone III.
Tra il 1853 e il 1856 Francia, Inghilterra e Piemonte intervengono contro l’espan-
sionismo russo nei confronti dei Balcani turchi. Il Trattato di Parigi del 1856 sancisce
la legittimazione del riconoscimento territoriale dell’Impero Turco.
Storia 173

Nel 1859 la Francia interviene, a fianco del Piemonte, in guerra contro gli Austriaci: II
Guerra di indipendenza.
Nel 1870 si assiste alla fine del Secondo Impero e alla nascita della Terza Repubblica
Francese.
Tra il 1862 e il 1890 il principe Otto von Bismarck riveste il ruolo di Primo Mini-
stro della Prussia. La sua politica è volta all’unità nazionale tedesca e all’espansionismo
della Confederazione germanica.
Nel 1864 intraprende una guerra contro la Danimarca.
Nel 1866, a fianco del Regno d’Italia, partecipa alla Terza guerra di indipendenza
contro l’Austria e a Sadowa ottiene la sconfitta delle truppe austriache.
In seguito alla guerra franco prussiana, nel 1871, si giunge ad una piena unità na-

Storia
zionale con la nascita dell’Impero tedesco: il Secondo Reich, guidato da Guglielmo I.

1.2.8 Il Risorgimento
Il Risorgimento italiano è il periodo in cui la nazione italiana consegue la propria unità
nazionale giungendo alla costituzione del regno d’Italia.
Il termine Risorgimento si identifica con il carattere di rinascita culturale che ha por-
tato allo sviluppo di un’identità nazionale in conflitto con l’asservimento straniero ad
opera dei patrioti, i quali hanno contribuito a diffondere il sentimento di indipendenza
a un numero sempre più vasto di cittadini.
La storiografia tende a stabilire l’inizio del Risorgimento a partire dal Congres-
so di Vienna, 1815, e il suo compimento con l’annessione dello Stato Pontificio e lo
spostamento della capitale a Roma nel febbraio 1871.

Film Noi credevamo di Mario Martone, 2010


www.youtube.com/watch?v=fKOiRpLXmhU

1.2.9 L’unità d’Italia


In seguito ai moti del Quarantotto, il Piemonte vive un periodo di importante fermento.
Il ministero D’Azeglio nel 1849 stipula la pace di Milano con l’Austria e con
le leggi Siccardi del 1850 regola i rapporti tra Stato e Chiesa limitando i privilegi
ecclesiastici.
Il ministero Cavour, in carica dal 1852 al 1859, sostiene una politica liberista di
sviluppo al mercato internazionale, di ammodernamento e laicizzazione.
Durante l’incontro di Plombièrs con Napoleone III, Cavour stabilisce una nuova
alleanza militare e progetta un nuovo assetto per la penisola: un regno d’Italia setten-
trionale guidato dai Savoia, un regno nell’Italia centrale con i territori pontifici e un
regno meridionale equivalente a quello delle Due Sicilie sottratto ai Borboni.
Il 26 aprile 1859 ha inizio la Seconda guerra di indipendenza contro l’Austria.
L’armistizio di Villafranca dell’11 luglio concorda il passaggio della Lombardia alla
Francia e la rinuncia francese a Nizza e a Savoia. Nel novembre dello stesso anno Cavour
avvia le trattative con la Francia per la cessione di Nizza in cambio dell’annessione di
parte dell’Italia centrale.
174 Il XIX Secolo

1.2.10 Spedizione dei Mille


I mazziniani Crispi e Pilo, con l’appoggio del gover-
no piemontese, meditano il progetto di provocare
un’insurrezione popolare in Sicilia.
Il 5 e 6 maggio 1860 mille volontari, guidati
da Giuseppe Garibaldi (1807- 1882), partono da
Quarto e l’11 maggio sbarcano a Marsala.
Il 27 maggio i garibaldini giungono a Palermo
e, aiutati dall’insurrezione popolare, conquistano la
città.
XIX Secolo

Il 20 luglio le truppe borboniche vengono scon-


fitte nella battaglia di Milazzo e il 27 luglio i gari-
baldini giungono a Messina, dove le milizie nemiche
abbandonano la città.
Con la neutralizzazione di Messina, Garibaldi
inizia i preparativi per il passaggio sul continente.
Il 19 agosto, con un esercito di ventimila volonta-
ri, sbarca sulla spiaggia di Melito Porto Salvo, in Ca- Figura 1.1: Giuseppe Garibaldi.
labria. Le truppe borboniche non sanno offrire una
dignitosa resistenza e si arrendono.
Il 2 settembre i garibaldini entrano a Rotonda, in Basilicata.
Intanto il re Francesco II abbandona Napoli e il 7 settembre Garibaldi entra in città
accolto da liberatore. La battaglia del Volturno, il 1◦ ottobre, rappresenta un’altra
sconfitta per i Borboni.
Il 13 ottobre si svolge un plebiscito per l’annessione del Regno delle due Sicilie al
Regno di Sardegna, le votazioni sono a favore dell’annessione. Il 4 e il 5 novembre, si
tengono, con esito favorevole, i plebisciti per l’annessione di Marche ed Umbria.
Lo storico incontro tra Giuseppe Garibaldi e Vittorio Emanuele II del 26 otto-
bre 1860 sancisce la conclusione della spedizione dei Mille.
Il 7 novembre il re fa il suo ingresso a Napoli.
Dopo la sconfitta sul Volturno, i Borboni si rifugiano a Gaeta, ultimo baluardo a
difesa del Regno delle Due Sicilie
Il 13 novembre 1860 i garibaldini danno inizio all’assedio di Gaeta, concluso il 13
febbraio 1861 dall’esercito sabaudo. Francesco II si arrende e gli ultimi Borbone di
Napoli vanno in esilio a Roma sotto la protezione di papa Pio IX.
Vittorio Emanuele II è proclamato Re d’Italia dal nuovo parlamento italiano
di Torino il 17 marzo 1861.
Il Regno di Sardegna muta nome in Regno d’Italia

Video: La spedizione dei Mille www.youtube.com/watch?v=ghmRmKiToUw

1.2.11 L’età dell’imperialismo


A partire dall’ultimo ventennio dell’Ottocento fino alla Prima guerra mondiale, l’e-
spansione coloniale procede a un ritmo assai più rapido che nel passato e vede mutare
i suoi connotati.
Non si tratta più di una vasta e indiscriminata conquista territoriale. Già dal congresso
di Berlino (1884-1885) il “nuovo” imperialismo è soprattutto una spartizione del mondo
Storia 175

pianificata tra le potenze che tentano di risolvere i conflitti derivanti dall’espansione


per via diplomatica.
Gli imperialismi sono comunque molto diversi tra loro.
L’imperialismo inglese, frutto di un’esperienza secolare, ha un’articolazione quasi
planetaria e la gestione coloniale è molto articolata. Le colonie di popolamento abitate
prevalentemente da bianchi (come Canada, Australia, Nuova Zelanda) vengono presto
avviate verso l’autonomia amministrativa e all’autogoverno. Le aree abitate soprat-
tutto da indigeni invece vedono l’introduzione di forme di governo indiretto di tipo
autoritario.
I fondamentali controlli territoriali britannici sono India (1858), Birmania (1863),
Afghanistan (1879). Dal 1840 al 1842 l’Inghilterra intraprende la guerra dell’oppio

Storia
con la Cina che porta all’apertura di alcuni porti cinesi all’Occidente e l’acquisizione
di Hong Kong. In seguito alla guerra anglo boera dal 1899 al 1902, l’Inghilterra ottiene
il predominio in Sud Africa. Nell’Africa settentrionale vengono assoggettati Egitto,
Sudan, Somalia, Nigeria e Zanzibar.
La Francia non realizza importanti colonie di popolamento, ma tra il 1830 e la Pri-
ma guerra mondiale conquista la quasi totalità dell’Africa occidentale e il Madagascar,
formando nel 1887 l’Unione indocinese. L’amministrazione francese si caratterizza per
una gestione diretta e autoritaria delle colonie.
Italia e Germania entrano nella corsa imperialistica sostanzialmente più tardi.
Nei tardi anni Ottanta la Germania si orienta verso l’Africa centrorientale (Ca-
merun, Tanganica). L’Italia dal 1885 si indirizza verso il cono etiopico e occupa una
prima volta la Libia nel 1911-1912. Durante il fascismo maturerà una politica imperiali-
stica più decisa (riconquista della Libia, 1922-1932; Etiopia, 1935-1936; proclamazione
dell’impero, 1936).
Anche il Giappone attua la propria politica imperialistica a spese della vasta
periferia dell’impero cinese (Corea).
Gli Stati Uniti compiono il genocidio delle tribù indiane per la conquista degli
Stati del Nuovo Messico, Arizona, Nevada, Utah e Colorado. Tra il 1845 e il 1848
conquistano il Texas e il Colorado.

1.2.12 Guerra di Secessione americana (1861-1865)


L’origine della guerra civile tra gli stati del Nord e quelli del Sud America è la forte
discrepanza di tradizioni, interessi economici, sociali e politici.
Il sistema sudista si regge sullo sfruttamento della schiavitù impiegata nelle pian-
tagioni.
Le regioni settentrionali invece sono interessate alla meccanizzazione del lavoro e
avversano il principio meridionale.
Nel 1820 il Compromesso del Missouri stabilisce che all’interno dei territori a
ovest del Mississippi il 36˚30’ parallelo rappresenta il confine tra stati schiavisti e stati
liberi. Tale trattato non placa tuttavia i dissapori.
Alle elezioni presidenziali del 1860 il candidato repubblicano Abraham Lincoln (1809
– 1865) si dichiara favorevole ad una graduale abolizione della schiavitù. L’elezione di
Lincoln rinforza nel Sud l’opinione della necessità dell’indipendenza.
Nel marzo 1861 sette Stati danno vita agli Stati Confederati d’America ed
eleggono Jefferson Davis a Presidente. Lincoln dichiara illegale la secessione. Il 12 aprile
1861 l’artiglieria sudista apre il fuoco per impedire il rifornimento di una base militare
176 Il XIX Secolo

della Carolina del Sud, Lincoln ordina l’invio delle truppe per sedare la rivolta. I nordisti
sono chiamati ad agire su un fronte assai vasto, Lincoln applica dunque un blocco navale
delle coste meridionali per impedire l’afflusso di rifornimenti dall’Europa, cui sarebbe
seguita l’invasione della valle del Mississippi.
Nel settembre del 1862 Lincoln annuncia che a partire dal 1◦ gennaio 1863, ne-
gli Stati coinvolti nella ribellione secessionista, gli schiavi sarebbero stati “liberi per
sempre”.
La superiorità economica e demografica dell’America settentrionale porta alla vitto-
ria del Nord. Il conflitto si conclude il 9 aprile 1865 con la battaglia di Appomattox
e la capitolazione dei sudisti.
XIX Secolo

Il 14 aprile 1865 Lincoln viene assassinato da un fanatico sudista.


Il 6 dicembre 1865 il 13◦ emendamento della Costituzione dichiara l’abolizione
della schiavitù in tutti i territori USA.

Sito di approfondimento sulla Secessione americana.


www.storiamilitare.altervista.org/index.htm

1.2.13 La situazione tra fine ‘800 e primo ‘900 in Europa


Dal 1870 al 1890 la Germania è guidata da Otto von Bismarck (1815 – 1898).
Nell’ambito della politica interna egli promuove una legislazione sociale all’avan-
guardia e intraprende una lotta contro il Partito Socialdemocratico e il Partito Catto-
lico del Centro. Tra il 1873 e il 1875 vengono emanate leggi repressive nei confronti del
clero cattolico.
Nel 1873 viene stipulato il Patto dei tre imperatori che sigla un’alleanza tra Germa-
nia, Russia e Austria. Bismarck si propone come difensore della pace e dell’equilibrio
europeo.
Il 9 marzo del 1888 sale al trono Guglielmo II.
Il 20 marzo 1890 Bismarck si dimette dalla cancelleria in seguito all’incompatibilità
di ideali con il parlamento e l’imperatore.
Il nuovo corso politico tedesco vede l’istituzione della weltpolitik, (politica mon-
diale imperialista e aggressiva). L’esercito e la flotta vengono significativamente poten-
ziate e si procede all’occupazione di Nuova Guinea, all’assoggettamento di Caroline,
Marianne e Palau.
In Francia il governo repubblicano moderato, in carica dal 1889 al 1899, applica
una politica repressiva nei confronti dell’opposizione socialista. La politica estera di
stampo coloniale in Asia e in Africa viene rafforzata.
Nel 1894 scoppia l’affaire Dreyfus, il caso assume una grande risonanza e la
Francia è sull’orlo di una guerra civile.
Nel 1891 viene concordata la Duplice Intesa tra Francia e Russia.
Al fine di garantire il rispetto dei reciproci interessi coloniali in Africa, l’8 aprile 1904
a Londra viene stipulato l’Entente Cordiale, intesa amichevole. Il trattato definisce
l’influenza francese sul Marocco e quella inglese sull’Egitto. Si tratta di una prima
risposta al riarmo navale tedesco e segna la fine dei secolari contrasti tra Francia e
Gran Bretagna.
Tale accordo pone le basi per la Triplice Intesa stipulata nel 1907 tra Francia,
Inghilterra e Russia.
Storia 177

All’inizio del 1905 la situazione sociale ed economica della Russia è fortemente


deteriorata a causa delle incompiute riforme agricole e all’industrializzazione forzata e
imposta dall’alto.
Il 22 gennaio 1905 a San Pietroburgo la situazione interna precipita. Una grande
folla si reca di fronte al Palazzo d’Inverno, residenza storica degli zar, per consegnare al
sovrano una supplica. Le truppe di guardia, senza l’ordine dello zar, caricano duramente
la folla.
A San Pietroburgo e a Mosca gli operai iniziano a scioperare, nelle campagne i
contadini si rivoltano, nell’esercito si assiste all’ammutinamento di interi reparti. Tra
l’ottobre ed il dicembre 1905 si formano i primi soviet (consigli ) operai.
Nell’ottobre 1905 lo zar Nicola II pubblica il Manifesto di ottobre con cui concede

Storia
una costituzione e proclama i basilari diritti civili per tutti i sudditi. Il documento
prevede l’elezione di una Duma ossia di un parlamento, anche se con poteri limitati.

Film La corazzata Potëmkin di Sergej Ejzenštejn, 1925


www.youtube.com/watch?v=ptxoW8z2DL0

Nel 1912 Serbia, Bulgaria, Grecia e Montenegro costituiscono la Lega balcanica contro
l’Impero ottomano.
L’8 ottobre 1912 il Montenegro dichiara guerra all’Impero segnando l’inizio del-
la prima guerra balcanica. Pochi giorni dopo gli altri tre stati dichiarano guerra
alla Turchia.
Il conflitto si conclude con la vittoria della lega balcanica. I dissensi fra gli stati
della lega sfociano però in ulteriori dissensi causati dalla spartizione della Macedonia.
Tali tensioni porteranno alla seconda guerra balcanica che vede la Bulgaria, succes-
sivamente appoggiata dall’ Impero ottomano e dalla Romania, contrapporsi a Serbia e
Grecia.

1.2.14 I primi anni di unità nazionale italiana


Dal 1861 al 1876 il nascente Regno è presieduto da un governo di destra. I primi provve-
dimenti sono volti ad arginare il problema del brigantaggio che colpisce il meridione, la
stabilizzazione dei confini dello Stato pontificio, il ritiro delle truppe francesi da Roma
e lo spostamento della capitale del Regno da Torino a Firenze.
Dal 19 giugno al 12 agosto 1886 si intraprende la terza guerra di indipendenza.
L’Italia stringe alleanza con la Prussia contro l’Austria. Con la Pace di Vienna del 3
ottobre il Veneto viene ceduto all’Italia.
Nella penisola Garibaldi tenta una liberazione di Roma provocando un’insurrezione
e nell’ottobre 1867, a Mentana, subisce una sconfitta.
Il 20 settembre 1870, agli ordini del generale Raffaello Cadorna, il corpo di spedi-
zione italiano entra in Roma attraverso la Breccia di Porta Pia. L’episodio sancisce
l’annessione di Roma al Regno d’Italia, decretando la fine dello Stato Pontificio e
del potere temporale dei Papi.
Nel 1876 sale al potere la Sinistra con il governo di Agostino Depretis. In que-
sti anni si giunge a garantire l’istruzione elementare obbligatoria laica e gratuita,
l’ampliamento del suffragio e l’abolizione della tassa sul macinato.
178 Il XIX Secolo

Nel 1882 si assiste a una svolta moderata, con la fase del Trasformismo, caratte-
rizzata da una politica interna protezionistica. Nello stesso anno l’Italia sottoscrive la
Triplice Alleanza con Germania e Austria.
Al governo Depretis, nel 1887, segue quello di Crispi. Egli attua una riforma am-
ministrativa dello Stato che prevede l’abolizione della pena di morte e il diritto allo
sciopero. In politica estera viene rafforzata la Triplice Alleanza, sancito il Trattato
di Uccialli tra l’Italia e l’Etiopia e nel 1890 si giunge alla colonizzazione di Eritrea e
Somalia.
Il successivo Ministero Giolitti, 1892-1893, è improntato su ideali democratici
nella convinzione che possano favorire lo sviluppo economico e culturale del Paese.
XIX Secolo

Tale direzione subisce un arresto nel 1893 con il secondo Ministero Crispi il quale
sostiene una politica autoritaria e repressiva specialmente nei confronti dei moti di
protesta in Sicilia e Lunigiana.
Gli ultimi anni del secolo sono un periodo difficile per il Regno d’Italia. Nel 1896,
con la Pace di Addis Abeba, l’Italia rinuncia all’Abissinia. In seguito ai rincari nel Paese
scoppiano una serie di rivolte. Il Ministero Pelloux, 1898-1900, interviene limitando
la libertà di stampa e di associazione.
Il 29 luglio 1900, durante il governo Saracco, il re Umberto I viene ucciso a Monza.
Il nuovo re, Vittorio Emanuele III, si dimostra più attento ai mutamenti che
coinvolgono la nazione, inaugurando un corso politico decisamente più democratico.
Egli chiama al governo Giuseppe Zanardelli, sostituito nel 1903 da Giovanni Giolitti.
Il programma politico giolittiano comprende numerose riforme.
In campo sociale avvia provvedimenti che limitano lo sfruttamento del lavoro mi-
norile e nel 1912 viene varato il suffragio universale.
Nella sfera politica compie un avvicinamento ai socialisti riformisti e nel 1913, con
il patto Gentiloni, si raggiunge un accordo tra Stato e Chiesa.
In questi anni l’Italia vive un periodo di fioritura economica, vengono ultimate in-
frastrutture e raddoppiata la produzione industriale, con un conseguente miglioramento
delle condizioni di vita.
Il meridione tuttavia deve affrontare una serie di difficoltà che impediscono il rapido
sviluppo. Giolitti per la prima volta affronta la questione del Mezzogiorno con un
complesso di leggi speciali e di aiuti economici in vista di una riabilitazione delle aree
più arretrate.
Nell’ambito della politica estera si assiste a un miglioramento dei rapporti con
la Francia. L’Italia ottiene la possibilità di espandersi in Libia e lascia il Marocco alla
Francia. In questo periodo in Italia si sviluppa un sentimento nazionalista di rivalsa. Nel
1910 nasce l’Associazione nazionalista italiana che sostiene fortemente l’espansione in
terra africana. Il Paese si risolve dunque ad inviare un contingente in Libia incontrando
le resistenze turche. Nel 1912 si conclude la Pace di Losanna che sancisce il protettorato
italiano sulla Libia.
L’operazione ha un costo molto elevato e non produce consistenti vantaggi econo-
mici. Il governo viene dunque messo in discussione, nel 1914 Giolitti rassegna le proprie
dimissioni e al suo posto sale il liberal conservatore Antonio Salandra.
Le tensioni sociali tuttavia crescono e sfociano nella “settimana rossa”, nelle Marche
e in Romagna scoppiano violente rivolte.
Storia 179

Un documento del cinema muto: La Presa di Roma, 1905, di Filoteo Alberin:


www.youtube.com/watch?v=bRDdaJqV7LI&feature=related

1.3 La prima guerra mondiale


1.3.1 Le cause
La prima guerra mondiale scoppia il 28 luglio 1914
dopo una serie di crescenti tensioni insorte tra le
principali nazioni europee.

Storia
Le cause del conflitto sono diverse e risalgono
agli ultimi anni dell’Ottocento.

Il contrasto franco-germanico
Il diciannovesimo secolo aveva visto la nascita del- Figura 1.2: Soldato in trincea.
l’importante Impero tedesco in seguito alla guerra
franco-prussiana (dal 19 luglio 1870 al 10 maggio 1871). In Francia nasce un’ideolo-
gia nazionalistica, il revanscismo, caratterizzata da un sentimento di rivincita nei
confronti della Germania causato dall’annessione dei territori di Alsazia e Lorena, un
tempo francesi, all’Impero tedesco.
D’altra parte, sotto la guida del cancelliere Otto von Bismarck la Germania
stringe un’alleanza con l’Impero autro-ungarico, l’Italia e un’intesa con la Russia.
Nel 1888 sale al trono dell’Impero tedesco Guglielmo II il quale, intenzionato a
dirigere autonomamente la politica, ottiene le dimissioni di Bismark.
Il nuovo re non rinnova il trattato con la Russia la quale, nel 1894, stringe un’al-
leanza con la Francia.

Il contrasto anglo-germanico
Intenzionato ad estendere l’Impero tedesco anche in Africa e nel Pacifico, Guglielmo
II dà avvio ad un’importante politica di riarmo navale. Tale decisione viene concepita
come una sfida aperta al secolare predominio navale britannico. La Gran Bretagna
dunque nel 1904 stringe un’alleanza con la Francia e nel 1907 con la Russia.

La corsa agli armamenti


In vista di un possibile conflitto, le principali potenze europee danno avvio ad un’intensa
produzione industriale bellica.

Fermenti nazionalistici nell’Impero austro-ungarico per l’indipendenza dall’Impero


austriaco
Negli stati balcanici nascono forti aspirazioni nazionalistiche, questi paesi guardano alla
Germania, l’Austria-Ungheria e alla Russia come possibili alleati per ottenere un sup-
porto. Nel 1908 in Serbia si costituiscono circoli anti austriaci in seguito all’annessione
della Bosnia ed Erzegovina da parte dell’Austria.
180 La prima guerra mondiale

La causa scatenante
La causa scatenante del conflitto è l’assassinio del futuro erede al trono d’Austria:
l’arciduca Francesco Ferdinando.
Francesco Ferdinando viene ucciso a Sarajevo da un militante di un’organiz-
zazione indipendentista serba.

1.3.2 Lo scoppio della prima guerra mondiale


L’Austria invia alla Serbia un ultimatum con il quale impone una serie di costrizioni
a dimostrazione della subordinazione dello stato balcanico all’Austria. La Serbia non
I Guerra Mond.

accetta l’ultimatum diplomatico e il 28 luglio 1914 l’imperatore Francesco Giuseppe


dichiara guerra alla Serbia.
In breve tempo il conflitto assume proporzioni vastissime coinvolgendo le principali
nazioni europee.

1.3.3 1914
La Russia offre sostegno alla Serbia dirigendo la propria mobilitazione non solo verso
la frontiera austro ungarica ma anche sul confine occidentale.
Il 31 luglio la Germania intima alla Russia di sospendere i preparativi bellici, ma
il governo russo non desiste. La Francia interviene nel conflitto schierandosi a fianco
della Russia.
Il 4 agosto, violando la neutralità del Belgio, la Germania dà avvio ad un attacco
contro la Francia attraverso le Ardenne.
La Germania è decisa a raggiungere Parigi colpendo cosı̀ il principale sistema
di fortificazione francese schierato sul confine tedesco. L’aggressione tedesca susci-
ta un’immediata reazione della Gran Bretagna che il 5 agosto dichiara guerra alla
Germania.
Inizialmente la manovra tedesca ha un clamoroso successo. Vince nella battaglia
delle frontiere (14–24 agosto) e si dirige verso Parigi. Il 2 settembre i tedeschi sono
a pochi chilometri dalla capitale e il governo francese abbandona la città.
L’intervento della Gran Bretagna però contrasta l’avanzata tedesca e, con l’aiu-
to della British Expeditionary Force, i francesi bloccano l’avanzata nemica nella
prima battaglia della Marna (5–12 settembre).
I tedeschi si dirigono a nord e il 9 ottobre conquistano Anversa. Ma l’intervento
dell’esercito alleato (Francia, Inghilterra e Belgio), con la battaglia di Ypres (15
ottobre-15 novembre), stabilizza il fronte sul fiume Yser. Contrariamente ai piani te-
deschi, che confidavano in una guerra lampo, il conflitto si trasforma in una logorante
guerra di posizione.
Nello stesso tempo la Russia invade la Prussia Orientale. Nelle battaglie di Tan-
nenberg (30 agosto), e dei Laghi Masuri (7- 14 settembre) la Germania sconfigge la
Russia ma è costretta a indebolire le proprie forze sul fronte occidentale.
La guerra assume ora una portata mondiale.
La Turchia interviene a fianco degli Imperi centrali estendendo il conflitto ad Orien-
te. Il Giappone si schiera con i Paesi Alleati.
Dopo due soli mesi il conflitto si prospetta essere molto più lungo e logorante del
previsto.
Storia 181

1.3.4 1915
Durante il 1915 sul fronte occidentale si vedono una serie di offensive reciproche da
parte dei Paesi Alleati e della Germania che non portano tuttavia a sconvolgimenti
territoriali.
Sul fronte orientale la Germania sconfigge la Russia che si vede costretta a liberare
la Prussia orientale, la Galizia e la Polonia.
Nel mese di maggio la Bulgaria entra in guerra a fianco degli Imperi Centrali. La
concertazione dell’esercito austriaco e bulgaro porta al tracollo della Serbia.

1.3.5 Intervento dell’Italia


Il 2 agosto 1914, allo scoppio del conflitto, l’Italia si dichiara neutrale.

Storia
Il 20 maggio 1882 il Paese aveva firmato il patto della Triplice Alleanza, l’accordo
difensivo che lega Germania, Austria Ungheria e Regno d’Italia. L’attacco dell’Austria
alla Serbia però ha carattere offensivo e l’Italia può pertanto considerarsi neutrale.
La portata della guerra però non lascia a lungo indifferente l’Italia.
Nel Paese convivono due forze contrastanti: i neutralisti e gli interventisti.
Tra i neutralisti, coloro i quali sostengono che l’Italia debba continuare a mante-
nersi neutrale, configurano:
Giolittiani, i quali temono che il conflitto possa minare il precario equilibrio
liberale.
Socialisti, che ritengono che la guerra non possa portare alcun beneficio alle masse.
Cattolici, in quanto sostenitori di un pacifismo religioso.
Gli interventisti, i sostenitori dell’intervento dell’Italia alla guerra, sono rappresentati
da:
Conservatori: rappresentati dal Presidente del Consiglio, Antonio Salandra, e
dal Ministro degli Esteri, Sidney Sonnino. Essi vedono nella guerra un’opportu-
nità per l’affermazione del prestigio internazionale dell’Italia e l’estensione della
sua influenza nell’area balcanica.
Nazionalisti: vedono nella vittoria della guerra la possibilità della nascita di un
Impero italiano.
Democratici: vedono nell’intervento un consolidamento della democrazia.
Socialisti rivoluzionari: rappresentati da Benito Mussolini, fondatore della ri-
vista “Popolo d’Italia”, considerano la guerra l’occasione per far emergere l’Italia
all’interno dello scenario europeo.
Sindacalisti rivoluzionari: rappresentati da Cesare Battisti, sostengono la guer-
ra in vista della liberazione di Trento e Trieste.
L’opinione pubblica si schiera a favore della neutralità del Paese, e in un primo momento
l’Italia avvia una trattativa con gli Imperi Centrali offrendo la propria neutralità in
cambio di alcuni riconoscimenti territoriali in Trentino e nei Balcani.
L’Austria tuttavia non si dimostra favorevole e l’Italia entra in trattativa con gli
Alleati.
182 La prima guerra mondiale

Il 26 aprile 1915 viene stipulato il Patto di Londra con il quale, in cambio del proprio
sostegno, all’Italia viene garantito il riconoscimento del Trentino, l’Alto Adige, Trieste,
l’Istria e la Dalmazia.
Tale accordo, tuttavia, viene siglato all’insaputa del Parlamento e il governo si trova
a dover affrontare la maggioranza neutralista parlamentare.
In seguito ad una forte spinta da parte degli interventisti e dei nazionalisti, sfociata
in una serie di manifestazioni dette le radiose giornate di maggio, il 23 maggio 1915
la Camera dà pieni poteri al governo e l’Italia dichiara guerra all’Austria.
Il comando dell’esercito italiano viene affidato al generale Luigi Cadorna il quale
I Guerra Mond.

sferra una serie di attacchi contro l’Austria. Tali sforzi non portano a risultati si-
gnificativi, ma limitano il crollo dell’esercito russo posto sotto pressione dall’esercito
austriaco.

1.3.6 1916
Il 21 febbraio 1916, a Verdun, l’esercito tedesco sferra un violento attacco contro le
forze francesi. Lo scontro si rivela logorante e sanguinoso. I tedeschi subiscono ingenti
perdite, la Francia riesce a malapena a resistere fino a quando, nel mese di maggio,
l’Inghilterra interviene in suo favore.
Sulla Somme si disputa un’altra battaglia. In questa occasione l’esercito inglese
utilizza per la prima volta i carri armati e lo scontro provoca la morte di un milione di
uomini.

Documentario sull’introduzione dei carri armati nella grande guerra:


www.youtube.com/watch?v=RXtJtWn3j70

Nella battaglia dello Jutland, il 31 maggio i tedeschi attaccano la flotta inglese nel
Mare del Nord, ma la Gran Bretagna mantiene il controllo del territorio e prosegue
nella politica del blocco navale nei confronti della Germania.
Sul Fronte Orientale la Russia riesce a recuperare le forze e riottiene la Galizia e la
Bucovina, territori perduti l’anno precedente.
Anche la Romania entra nel conflitto schierandosi a fianco dell’Intesa, ma ben presto
viene sconfitta dagli eserciti di Austria e Germania i quali ne invadono il territorio
sfruttando le risorse di grano e petrolio.
Con una spedizione punitiva, l’Austria attacca l’Italia. Intenzionato a vendicare il
tradimento italiano, l’esercito austriaco tenta di penetrare in Trentino ma l’Italia riesce
faticosamente a resistere sull’Altipiano di Asiago.

Film: Uomini contro 1970 di Francesco Rosi


www.youtube.com/watch?v=Hb5rLDy5D70

Caduto il governo Salandra a causa dell’insoddisfazione generale per gli scarsi risul-
tati dell’offensiva italiana, il 18 giugno Paolo Boselli viene nominato Presidente del
Consiglio dei ministri.
Contemporaneamente il generale Cadorna dirige alcune divisioni sul fronte di Isonzo
e il 9 agosto 1916 riesce ad ottenere Gorizia.
Storia 183

1.3.7 1917
Il 1917 si rivela un anno decisivo per il conflitto.
L’andamento sul fronte Orientale risente dello scoppio della Rivoluzione Russa. Alla
caduta dello zar Nicola II il governo provvisorio presieduto dal socialista Alexandr
Kerenskij decide di proseguire il conflitto. Il generale Brusilov, dopo aver riportato
una serie di successi in Oriente, sferra un attacco in Galizia che si rivela però una grave
sconfitta per l’esercito russo.
Nonostante le sanguinose battaglie combattute sul territorio francese, la situazio-
ne vive un momento di stallo e nessuna potenza riesce ad ottenere il sopravvento. La
Germania reagisce attuando una guerra sottomarina con lo scopo di ostacolare i
rifornimenti per l’Inghilterra e gli stati dell’Intesa. Durante gli scontri la flotta tede-

Storia
sca colpisce diverse imbarcazioni commerciali americane compromettendo le relazioni
diplomatiche fino a quando il 6 aprile gli Stati Uniti fanno il loro ingresso in guerra.
Il 1917 per l’Italia rappresenta un anno difficile.
Il generale Cadorna dirige un’offensiva sull’Isonzo che però non porta a nuove
conquiste e gli uomini sono stremati dopo due anni di conflitto.
La guerra si dimostra costosa e provoca un altissimo numero di vittime creando un
clima di malcontento generale.
Davanti ad un paese stremato, l’esercito austro tedesco coglie l’occasione per sfer-
rare un attacco. Il 24 ottobre l’Austria sfonda la linea difensiva sul fronte carsico
e il 1◦ novembre infligge all’Italia la drammatica disfatta di Caporetto. L’eser-
cito d’oltralpe adotta una nuova tecnica d’infiltrazione che consiste nel sorprende-
re il nemico, guadagnare posizioni ed avanzare rapidamente, senza il consolidamen-
to delle posizioni. Cadono sul campo 40.000 uomini e 275.000 vengono fatti prigio-
nieri.
Nonostante il generale Cadorna non ammetta le proprie responsabilità, l’8 novembre
la guida dell’esercito viene affidata al generale Armando Diaz.
Il 13 novembre le truppe austriache sferrano un altro duro attacco a ovest del fiume
Piave, sul Monte Grappa. In questa occasione l’esercito italiano dimostra un’ecceziona-
le forza difensiva riuscendo ad impedire lo sfondamento nemico. Vittorio Emanuele
Orlando sostituisce il ministro Boselli che aveva apertamente sostenuto il generale
Cadorna.

Video: Alessandro Baricco commenta la disfatta di Caporetto


www.youtube.com/watch?v=PQOMCy2ghT4

1.3.8 1918
L’intervento in guerra degli Stati Uniti, oltre che per ragioni economiche, è dettato
dalla volontà di affermare un’ideologia democratica contro la tendenza imperialistica
delle nazioni coinvolte nel conflitto.
L’8 gennaio 1918 il presidente americano Woodrow Wilson (1856 – 1924) elabora
un programma di pace che prevede, tra gli altri punti, l’abolizione della polizia segreta,
la libertà di navigazione, una revisione delle frontiere doganali e la creazione di una
Società delle Nazioni in tutela della pace. Il programma, tuttavia, al momento non
porta ad un accordo tra le nazioni.
La Francia continua ad essere un nodo cruciale all’interno del conflitto.
184 La prima guerra mondiale

A marzo i tedeschi sfondano le linee nemiche nelle Fiandre e giungono alla Marna
dove si disputa la seconda battaglia della Marna (17 luglio) che però non por-
ta ad una sostanziale conquista del territorio da parte tedesca. Guidato dal generale
Foch, l’esercito anglo francese dà avvio a una vigorosa controffensiva, che, supportata
dall’intervento americano, costringe i tedeschi alla ritirata. L’8 agosto ad Amiens la
Germania subisce una forte sconfitta che fa presagire l’esito della guerra. Il corrispon-
dente di guerra Philip Gibbs, notando l’effetto della battaglia sul ritmo della guerra,
il 27 agosto scrive: “Il nemico è sulla difensiva, è cosı̀ decisamente nelle nostre ma-
ni, che siamo in grado di colpire il nemico in molti punti differenti. Il cambiamento è
I Guerra Mond.

stato più grande nelle menti degli uomini, che nella conquista di terreno. Sul nostro
fronte sembra che l’esercito sia incoraggiato dall’enorme speranza di risolvere presto la
questione” e che “c’è anche un cambiamento nella mente del nemico. Non hanno più
la minima speranza di vittoria sul fronte occidentale. Tutto ciò che sperano ora è di
potersi difendere abbastanza a lungo da arrivare ad una pace negoziata”.
Sul fronte orientale, il 3 marzo la Russia firma il trattato di Brest Litovsk col
quale cede alla Germania la Polonia, l’Estonia, la Lettonia e la Lituania.
Nel mese di maggio la Romania sottoscrive la pace di Bucarest. Il 29 settembre
l’esercito franco serbo avanza in Macedonia e costringe la Bulgaria alla resa.
Le forze inglesi invadono la Siria e costringono la Turchia all’armistizio.
In Italia gli austriaci sferrano un duro attacco, ma il 24 ottobre, con la battaglia
di Vittorio Veneto, inizia la controffensiva che arresta l’avanzata nemica. A Padova,
a Villa Giusti, il 4 novembre l’Austria è costretta a firmare l’armistizio.
La Germania formalmente è ancora in guerra, ma l’esercito e la flotta sono comple-
tamente inefficienti.
Piegata da una rivoluzione interna, l’8 novembre avviene la dissoluzione dell’Impero
e la proclamazione della repubblica.
L’11 novembre, la Germania è costretta a firmare l’armistizio di Rethondes
che determina la fine della prima guerra mondiale.

1.3.9 1919: I Trattati di pace


Il 18 gennaio 1919 si apre a Parigi la Conferenza generale per la Pace. La parte-
cipazione è riservata ai 32 paesi vincitori, il ruolo fondamentale tuttavia è assegnato a
Francia, Gran Bretagna, Italia e Stati Uniti.
Il tema della conferenza è la risoluzione dei problemi politici e territoriali in seguito
alla disgregazione degli Imperi tedesco, austriaco, russo e turco. La maggior premura
per gli Stati vincitori è quella di mettere la Germania nelle condizioni di non poter
avanzare, in futuro, nuove politiche aggressive. La Francia, sostenuta dalle forze di
destra, propende per l’annullamento della Germania.
La Gran Bretagna e gli Stati Uniti, d’altro canto, sostengono una politica di mag-
giore clemenza.
Le trattative tengono conto del piano di pace promosso da Wilson nel ’18 e la
soluzione consiste nel compromesso. Le maggiori problematiche per la risoluzione del-
le trattative riguardano la presenza di differenti gruppi etnici all’interno dello stesso
territorio e il rispetto degli interessi dei paesi vincitori.
Durante il 1919 vengono elaborati diversi trattati al fine di risolvere le spartizioni
territoriali.
Storia 185

Il 28 giugno viene siglato il Trattato di Versailles. Esso ha un carattere evidente-


mente punitivo nei confronti della Germania, e i tedeschi lo definiscono un diktat.
Il trattato prevede che la Germania rinunci alle colonie, riduca le proprie forze
armate, risarcisca i danni di guerra e consegni la flotta.
Alla Francia vengono restituiti la Saar, l’Alsazia e la Lorena.
Alla repubblica Polacca vengono riconosciuti l’alta Slesia, la Posnania, la Pomerania
e il corridoio che conduce al mar Baltico.
Al fine di stabilire le condizioni di pace per l’Austria e Ungheria, nei Trattati di
Saint Germain del 10 settembre e di Trianon del 4 giugno 1920, vengono create
quattro nuove entità territoriali: la repubblica Austriaca, la repubblica Cecoslovac-
ca, il Regno d’Ungheria, e il Regno di Jugoslavia, che comprende Serbia, Croazia,

Storia
Montenegro, Slovenia e Bosnia Erzegovina.
All’Italia vengono assegnati il Trentino, l’Alto Adige, Trieste e l’Istria. Le questioni
relative alla Dalmazia e alla città di Fiume però non trovano risoluzione, suscitando
tensioni da parte dei nazionalisti che rivendicano una “vittoria mutilata”.
Il Trattato di Neuilly, del 27 novembre 1919, stabilisce la cessione alla Romania
e alla Grecia dei territori occupati durante il conflitto da parte della Bulgaria. Con
questo trattato la Bulgaria perde il suo sbocco sul mar Egeo. L’importante sforzo
bellico sostenuto durante il conflitto porta la Bulgaria ad una grave crisi economica.
Il 28 aprile 1920 viene firmato il Trattato Sevres in cui si stabilisce che la Turchia
perde Smirne in favore della Grecia, la Siria, la Palestina e l’Iraq.

1.3.10 La nascita della Società delle Nazioni


L’idea della Società delle Nazioni nasce dal Segretario di Stato per gli Affari Este-
ri e del Commonwealth inglese Edward Grey e viene immediatamente adottata
dal Presidente americano Wilson.
Il 25 gennaio 1919 viene accettata la proposta di Wilson di creare un’organizzazione
sovranazionale a salvaguardia della pace mondiale.
Una commissione, presieduta dal presidente americano, redige lo statuto dell’orga-
nizzazione, la Convenzione della Società delle Nazioni. Il 28 aprile 1919 riceve
l’approvazione, e nel Trattato di Versailles viene inserita una forma definitiva dello
statuto.
I lavori della Società delle Nazioni hanno ufficialmente inizio il 10 gennaio 1920 a Lon-
dra. Nella stessa data entra in vigore il Trattato di Versailles ponendo formalmente
termine alla prima guerra mondiale.
Il 1◦ novembre 1920 la sede della Società delle Nazioni viene spostata da Londra
a Ginevra, nel Palazzo Wilson, dove il 15 novembre dello stesso anno si tiene la prima
Assemblea Generale con le rappresentanze di 41 nazioni.

1.3.11 La rivoluzione russa


La rivoluzione
A causa di un crescente malcontento sociale ed economico, il 23 febbraio 1917 (secondo
la datazione del calendario ortodosso) una folla di studenti, operai e truppe di guar-
nigione insorge contro il regime zarista, prende d’assalto il Palazzo d’Inverno, sede del
potere imperiale, e arresta lo zar Nicola II.
186 La prima guerra mondiale

I rivoluzionari instaurano un governo provvisorio di indirizzo liberale parlamentare


presieduto dal principe L’vov e istituiscono i soviet, assemblee rappresentative con
una funzione di controllo sull’apparato governativo.
Ben presto però nascono contrasti tra il governo e i
soviet.
Il governo si dichiara intenzionato a proseguire i com-
battimenti con lo scopo di estendere l’influenza russa sui
Balcani.
I soviet invece sostengono l’interruzione del conflitto
I Guerra Mond.

che sta logorando le masse contadine e operaie.


Nel mese di aprile Vladimir Lenin ritorna in patria
dopo un lungo esilio in Svizzera e pubblica le Tesi di
aprile. In questo documento espone il proprio program-
ma politico e stabilisce le basi per la nascita del regime
comunista.
Lenin sostiene:
La consegna del potere ai soviet togliendo responsabi-
lità al governo provvisorio. Figura 1.3: Vladimir Lenin.
L’interruzione della guerra.
La nazionalizzazione delle terre e delle banche.
La necessità di realizzare una società comunista attraverso la rivoluzione armata.
L’importanza della nascita di una Terza Internazionale per diffondere la rivoluzione.
Il cambio del nome del partito bolscevico in Partito Comunista Russo.
Le Tesi di aprile vengono considerate fuori legge e i membri del partito comunista
sono arrestati o costretti alla fuga.
Nel settembre del 1917 il generale Kornilov, rappresentate delle forze antirivolu-
zionarie, tenta un colpo di stato con l’obiettivo di porre fine al governo provvisorio
e alle organizzazioni dei soviet. I bolscevichi però impediscono l’azione di Kornilov e
ottengono grande prestigio in tutto il Paese.
Lenin organizza un’insurrezione armata.
Con il sostegno del popolo, nella notte tra il 24 e il 25 ottobre 1917 (secondo il
calendario giuliano) le forze rivoluzionarie occupano Pietroburgo e sciolgono il governo
provvisorio: la Rivoluzione di ottobre. La conquista del potere viene sancita dal
Governo dei Soviet che elegge Lenin come presidente del Consiglio dei Comunisti del
Popolo, Lev Trotsky commissario degli Esteri e Josif Stalin commissario per le
Nazionalità.
Con il diffondersi del senso rivoluzionario, il nuovo governo sovietico (espressione del
Congresso dei Soviet e non come governo dell’Unione Sovietica, non ancora esistente)
muove i suoi primi passi ed emette i primi atti formali che prevedono:
L’interruzione dell’intervento russo nel conflitto mondiale.
La soppressione della proprietà terriera e demaniale.
La nazionalizzazione delle banche.
L’istituzione di un controllo operaio all’interno delle fabbriche.
In Russia si instaura una dittatura rivoluzionaria. Tutti i partiti politici, ad eccezio-
ne di quello comunista, vengono messi al bando, inoltre viene meno la separazione tra
i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, dal momento che tutti i poteri sono gestiti
dai soviet.
Storia 187

Il 3 marzo 1918, con il Trattato di Brest-Litovsk, la Russia esce dal conflitto


mondiale e l’Ucraina diventa stato autonomo.
Davanti al crescente potere assunto dalle forze rivoluzionarie, gli stati europei of-
frono il proprio sostegno alle armate bianche, le armate controrivoluzionarie formate
da nobili, borghesi e contadini agiati. Le armate rosse, costituite dalle masse conta-
dine e operaie guidate da Trotskij, hanno tuttavia la meglio sulle forze nemiche e nella
primavera 1920 si vede la fine della guerra civile.
Nel marzo del 1919, al fine di promuovere la rivoluzione anche al di fuori dei territori
russi, viene istituita la Terza Internazionale. Le nazioni europee però non aderisco-
no al programma, dal momento che gli operai occidentali rimangono legati alle idee
riformiste.

Storia
Sito di approfondimento sulla rivoluzione di ottobre http://www.1917.org/
Video: La rivoluzione di ottobre www.youtube.com/watch?v=CzbY2o7k0UI

Il 18 marzo 1921 viene siglata la pace di Riga con la quale si stabiliscono i confini
tra Russia e Polonia dopo che la Polonia aveva approfittato della guerra civile per
assoggettare l’Ucraina, la Georgia, l’Armenia e la Siberia.

1.3.12 Nascita dell’URSS


Al fine di porre rimedio agli effetti economici della guerra civile, al blocco economico
imposto dai Paesi occidentali e alla crescente carestia, tra il 1919 e il 1920 i soviet
si trovano costretti ad imporre una serie di misure drastiche come il controllo della
produzione agraria e il razionamento dei generi alimentari. Questa fase è stata definita
comunismo di guerra.
Quella che inizialmente era promossa come una dittatura del proletariato, assume i
caratteri di una dittatura del Partito bolscevico. La produzione e la distribuzione
concentrata nelle mani dello Stato e l’apparato burocratico completamente centraliz-
zato provocano l’insofferenza della popolazione. Nel 1920 ci sono diverse ribellioni da
parte dei contadini e degli operai. Nel febbraio del 1921 a Mosca e Pietroburgo nasco-
no manifestazioni di protesta contro il partito bolscevico. Nel marzo del ’21 i marinai
e i soldati della fortezza di Kronstadt insorgono contro la dittatura in favore del
ripristino delle libertà politiche dei soviet e la cessione delle requisizioni delle terre.
L’ammutinamento viene represso dal potere centrale.
Per far fronte al crescente disagio, Lenin dà avvio a un sistema di riforme che
pongono fine alla politica del comunismo di guerra a favore di una nuova politica
economica: la NEP (Nuova politica economica).
La NEP prevede un’economia a carattere misto, la ripresa degli scambi tra città e
campagna e la riapertura degli scambi commerciali con i Paesi capitalisti. Tale poli-
tica porta al riconoscimento dell’Unione Sovietica da parte di Inghilterra, Germania,
Francia, Giappone e Italia.
Il 30 dicembre 1922 nasce formalmente l’Unione delle Repubbliche Socialiste
Sovietiche, U.R.S.S., e viene riconosciuta da tutte le altre nazioni.
L’U.R.S.S. si pone come finalità:

Il riconoscimento del diritto al lavoro.

L’organizzazione sanitaria e assistenziale.


188 Il primo dopoguerra

La lotta alla Chiesa Ortodossa.

L’insegnamento della dottrina marxista.

Istituzionalmente le assemblee elette dai cittadini sono riconosciute come organi a livello
municipale. I rappresentanti dei soviet confluiscono nel Congresso dei Soviet dell’Unio-
ne. Il potere di fatto poi è accentrato nel Presidium del Soviet Supremo e il Consiglio dei
ministri, gestito dal Politbjuro, l’ufficio politico presieduto da Lenin, Trotskij, Sverdlov
e Stalin.
I dopoguerra

1.3.13 Ascesa di Stalin


Il 21 gennaio 1924 Lenin muore. A partire da questo momento i contrasti all’interno
del partito comunista si accentuano.
Stalin, attraverso l’elaborazione dei piani quinquennali elabora un sistema di in-
dustrializzazione della Russia. Tale piano presuppone il rafforzamento del potere del
regime.
La politica della NEP viene abbandonata, si attua una forte collettivizzazione delle
terre che suscita l’opposizione dei contadini, duramente sedata con arresti, deportazioni
e fucilazioni.
Il contrasto tra Stalin e Trotskij si acuisce.
Trotskij si fa sostenitore di una rivoluzione permanente, finalizzata a esporta-
re la rivoluzione in ogni Paese del mondo. Allo stesso tempo si dimostra contrario
all’intervento di burocratizzazione operata da Stalin.
Nel 1927 Trotskij viene espulso dal partito e costretto all’esilio.
Stalin assume la guida del partito aumentando il peso del proprio ruolo direttivo al-
l’interno degli organi statali e concentra la politica statale sull’industrializzazione della
Russia. Nel XV Congresso del partito Stalin afferma la necessità della collettivizzazione
delle terre suscitando malcontento tra i contadini.
Il commercio viene trasferito nelle mani delle Cooperative o dello Stato, l’industria
già a partire dal 1933 viene quasi completamente nazionalizzata. Il settore privato del
commercio e dell’industria subiscono un’inibizione. Lo Stato diventa subordinato al
partito unico, le forze antagoniste sono represse con il terrore, il leader del partito
lavora alla creazione del culto di Stalin.
Il governo staliniano assume tutti i caratteri di una dittatura con una politica
persecutoria nei confronti degli oppositori del regime o presunti tali.

Documentario sulla rivoluzione russa a cura dell’Istituto Luce:


parte 1
www.youtube.com/watch?v=2RKIZ89ssWM&feature=related
parte 2
www.youtube.com/watch?v=ExXdWiw6Duk&feature=related
parte 3
www.youtube.com/watch?v=pvpdGszBJWM&feature=related
parte 4
www.youtube.com/watch?v=O-deHqmc9L4&feature=related
Storia 189

1.4 Il primo dopoguerra


Il conflitto mondiale lascia pesanti conseguenze economiche e sociali. L’Europa si trova
a dover saldare un debito con gli Stati Uniti, riconvertire le industrie belliche, affrontare
le precarie condizioni igieniche e nutrizionali della popolazione e gestire la ricostruzione
dei singoli Stati. I Trattati di pace hanno stabilito le divisioni territoriali, ma le diverse
aree, soprattutto quelle orientali, si presentano ora frammentate e divise. L’equilibrio
dei nuovi Stati sembra essere precario.

1.4.1 Gran Bretagna


La Gran Bretagna è la nazione maggiormente colpita dalla crisi economica. La quasi

Storia
totale assenza di esportazioni, la sostituzione del carbone all’energia elettrica e le spinte
indipendentiste delle colonie minano la stabilità del Paese.
Dopo un’aspra guerra di indipendenza nel 1921 viene riconosciuto lo Stato
Libero d’Irlanda.
Nel Paese intanto cresce il malcontento, nel 1923 si assiste all’ascesa del Labour
Party, partito laburista. I lavoratori chiedono maggiori garanzie socio economiche e
costringono il partito conservatore ad avviare le trattative con le forze sindacali: le
trade union. I due poli politici riescono a trovare un compromesso e nel 1926 lo stato
vive una decisiva ripresa.
Nel 1931 viene istituito il Commonwealth: uno statuto che concede l’indipendenza
a Canada, Australia, Nuova Zelanda e Sud Africa.
L’Egitto ottiene l’indipendenza nel 1936.
In India emerge la figura di Gandhi il quale, utilizzando la lotta non violenta, nel
1935 ottiene la concessione dell’India Act. Con questo trattato l’India giunge ad una
condizione intermedia tra colonia e Stato libero.

1.4.2 Francia
Anche la Francia, per la ricostruzione nazionale, si trova ad affrontare notevoli spese che
provocano una forte crisi economica. L’improvvisto rialzo del costo della vita scatena
malcontento e disordini popolari.
Nel tentativo di risolvere la situazione al governo si alternano forze conservatrici
e forze democratiche. Nel Paese cresce l’ostilità nei confronti dei partiti comunisti, si
costituiscono movimenti armati di estrema destra come Camelot du roi e Croix de
feu che acquisiscono sempre maggior potere tanto da minare l’equilibrio nazionale.
Per contrastare tale fenomeno nel 1936 i partiti di sinistra si uniscono in un Fronte
popolare guidato dal socialista Léon Blum e ottengono la vittoria alle elezioni.

1.4.3 Medio Oriente


La Società delle Nazioni aveva concesso a Francia e Gran Bretagna di controllare i
territori che costituivano l’Impero turco.
La Gran Bretagna ottiene il controllo su Palestina, Transgiordania, e Iraq, alla
Francia spettano la Siria e il Libano.
I popoli musulmani si mostrano però ben presto insofferenti nei confronti dell’in-
tromissione occidentale.
Nel 1921 si costituisce il Regno dell’Iraq e nel 1928 il Regno di Transgiordania,
indipendenti ma ancora sotto l’influsso economico inglese.
190 Il primo dopoguerra

Nel 1922 l’Egitto ottiene l’indipendenza, nel 1930 spetterà alla Siria e nel 1941 al
Libano.

1.4.4 Stati Uniti


Negli Stati Uniti le elezioni del 1920 conferiscono la vittoria al presidente repubblicano
W.G. Harren.
Il nuovo governo non riconosce gli accordi stabiliti dal trattato di Versailles e non
aderisce alla Società delle Nazioni. In politica interna applica leggi restrittive nei con-
fronti degli immigrati, avvia una persecuzione contro gli anarchici, i comunisti, i so-
I dopoguerra

cialisti radicali e inaugura una fase di proibizionismo con il divieto di produzione e


commercio delle bevande alcoliche.
In questi anni si vede la diffusione di ideologie razziste esercitate da società segrete
come il Ku Klux Klan.
Alla fine degli anni Venti gli Stati Uniti sono colpiti da una grave crisi economica.
In seguito alla ripresa della produzione agricola da parte dei Paesi europei in America
si assiste ad una svalutazione della merce.
Le difficoltà in ambito agricolo provocano una crisi più generale.
Il 29 ottobre 1929 le azioni e i titoli della Borsa di New York crollano e si
avvia un periodo di grande depressione che porta al fallimento di centinaia di banche,
alla chiusura di migliaia di aziende e industrie con una conseguente disoccupazione di
massa.
Le elezioni del 1932 vengono vinte dal democratico Franklin Delano Roosevelt
(1882-1945).
Il nuovo Presidente pone fine alla politica di liberalismo sfrenato a vantaggio di un
nuovo metodo: il new deal.
Il new deal prevede la svalutazione del dollaro per favorire l’esportazione, lo svilup-
po di lavoro pubblico per diminuire la disoccupazione, la promozione di assicurazioni
sociali a sostegno delle classi lavoratrici, il riconoscimento dei sindacati e il controllo
da parte del governo della Borsa e del sistema bancario.
Roosevelt viene nuovamente eletto alle elezioni del 1936 e prosegue il suo piano rifor-
matore riuscendo a risanare l’economia promuovendo una politica sociale a vantaggio
delle classi povere.

1.4.5 Spagna
In Spagna nel 1923, in seguito al pronunciamento militare del governatore della Cata-
logna Miguel Primo de Rivera, si assiste alla sospensione della Costituzione e alla
nascita di un direttorio militare con potere dittatoriale.
Nel 1930 il re Alfonso XIII tenta di ostacolare il nuovo regime ma viene costretto ad
abbandonare il paese. Il 9 dicembre 1931 si costituisce la Repubblica di Spagna fon-
data su una Costituzione democratica e sociale. L’incapacità di far fronte alle esigenze
popolari e di una coerente riforma agraria da parte delle forze repubblicane porta alla
nascita di un forte fronte di opposizione. Nel 1933 l’unione delle forze clericali, militari,
borghesi e latifondiste dà vita alla Falange, un movimento di matrice fascista guidato
dal figlio del dittatore, Josè Antonio Primo.
Storia 191

1.4.6 Germania
L’11 agosto 1919 il Primo Presidente della Germania, Friedrich Ebert firma la nuova
costituzione tedesca. Con la Costituzione di Weimar la Germania viene organizzata
in uno Stato federale. Indirizzata a organizzare le proprie strutture politiche in una
democrazia, riconosce ampia autonomia ai singoli territori.
Il potere legislativo è affidato a un Reichstag, di fronte al quale è responsabile il
cancelliere. Il capo del potere esecutivo è rappresentato dal Presidente della Repubblica.
Il Presidente, eletto ogni sette anni dal popolo, è alla guida delle forze armate. La
repubblica federale si costituisce dunque di un governo centrale e di 17 Lander i quali
non hanno però alcun potere legislativo. La Repubblica di Weimar si configura come
una repubblica parlamentare indirizzata verso il potere presidenziale.

Storia
Nell’immediato dopoguerra la Germania si trova a dover affrontare una pesante
crisi economica e sociale, i partiti al governo non si rivelano in grado di sostenere
le gravi conseguenze della sconfitta bellica, con una conseguente crescita delle forze
dell’opposizione.
Fondamentalmente aumenta il peso di due fazioni opposte. Da un lato emerge la
destra conservatrice, contraria alle nuove istanze democratiche. Dall’altro si raffor-
za l’influenza della sinistra, costituita dai socialisti indipendenti e dagli spartachisti.
Questo gruppo fonda il partito comunista tedesco e ha come obiettivo la rivoluzione
socialista e la fondazione di una repubblica basata sulla democrazia proletaria.
Nel gennaio 1919 la socialdemocrazia, con l’appoggio dell’esercito, stronca violen-
temente il movimento spartachista giungendo all’arresto dei suoi leader Karl Liebk-
necht e Rosa Luxemburg i quali vengono uccisi il 15 gennaio.

1.4.7 La nascita del Partito Nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi


Il 24 febbraio 1920 nasce il Partito Nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi,
NSDAP. L’obiettivo di questo partito, sostenuto dalla medio piccola borghesia, è
allontanare la popolazione dall’ideologia socialista con l’intento di riportare dignità e
importanza alla Germania umiliata dai trattati di pace post bellici.
Il programma dello schieramento nazionalsocialista prevede l’affermazione di uno
Stato centrale forte, composto dall’unione del territorio tedesco e austriaco.
Tra le personalità del partito emerge la figura di un giovane caporale che aveva
combattuto nelle fila bavaresi durante il conflitto: Adolf Hitler (Braunau am Inn 20
aprile 1889 – Berlino 30 aprile 1945).
Nel 1923 egli tenta di occupare il Land della Baviera con l’operazione denominata il
“Putsch di Monaco”. L’8 novembre, con l’intenzione di rovesciare il governo bavarese
e avanzare verso Berlino, organizza una marcia dal carattere improvvisato verso il
Ministero della Guerra bavarese. Il colpo di stato fallisce e Hitler viene processato per
alto tradimento. Nell’aprile 1924 riceve una condanna a cinque anni di carcere ed egli
si serve del processo per diffondere il proprio messaggio in tutta la Germania.
Tra il 1925 e il 1927 scrive il Mein Kampf, un trattato in cui esprime i concetti
fondamentali del proprio pensiero: anticomunismo, antisemitismo e riorganizzazione
della società guidata dalla figura di un fhürer.
All’interno del partito si costituiscono due organizzazioni paramilitari: le SA, squa-
dre d’assalto e le SS, squadre di sicurezza.
Al fine di aiutare la crescita della Germania, nel 1924 gli Stati Uniti concepiscono
il piano Dawes, un piano di natura economica, per sostenere le riparazioni di guer-
192 Il primo dopoguerra

ra. Tale iniziativa fa pervenire grandi capitali alla Germania permettendo una rapida
ripresa economica.
Tra il 1925 e il 1929 anche l’industria vive un’importante sviluppo, migliorando il
tenore di vita della popolazione.
La crisi economica americana degli anni Trenta tuttavia ha notevoli conseguenze
anche in Germania e il ceto medio basso viene colpito duramente. Il crescente malcon-
tento della massa popolare porta alla vittoria del partito nazionalsocialista alle elezioni
del luglio 1932 e l’anno seguente Hitler riceve la nomina di Cancelliere da parte del
Presidente della Repubblica Hindenburg.
Il 30 gennaio 1933 Adolf Hitler presta giuramento come Cancelliere nella camera
I dopoguerra

del Reichstag a Berlino.


La notte del 27 febbraio 1933 il Palazzo del Reichstag va in fiamme. L’even-
to, riconosciuto come doloso, rappresenta un momento cruciale per il sopravvento
del nazismo in Germania. Il Partito comunista infatti viene considerato responsabile
dell’incendio e il governo dichiara lo schieramento fuori legge.
Nell’aprile del 1933 si costituisce la polizia segreta di stato, la Gestapo, composta
dai membri del partito nazista. In seguito all’incendio del Reichstag la Germania vive
un momento di tensione politica che diventa il pretesto per l’approvazione di leggi
eccezionali che sottopongono i Lander a uno stretto controllo centrale. I partiti politici
e la stampa subiscono pesanti controlli e la Costituzione di Weimar viene violata.
Dopo aver neutralizzato gli avversari politici, il partito nazionalsocialista ottiene
l’appoggio dei grandi industriali e dei militari inserendoli nel governo all’interno del
nuovo organo, il Consiglio Generale dell’Economia.
I capi delle SA, che avevano sostenuto l’ascesa al potere di Hitler, tuttavia si
oppongono al nuovo ordine hitleriano.
Il 30 giugno 1934 a Wiesse, nella notte ricordata come la notte dei lunghi coltelli,
Hitler fa assassinare gli oppositori delle SA.
A quell’evento seguono numerosi arresti al fine di eliminare ogni opposizione al
regime.
Il potere politico del partito è nelle mani di Hitler e dei suoi stretti collaboratori:
Goering, Goebbels e Himmler.
Alla morte di Hindenburg, avvenuta nell’agosto del 1934, Hitler, non potendo di-
ventare Presidente del Reich in quanto già Cancelliere, crea per sé una nuova carica:
quella di Führer, Hitler diventa Führer und Reichskanzler (Guida e Cancelliere
del Reich) ottenendo cosı̀ i poteri di capo di stato.
Dopo l’assunzione del titolo di Führer si assiste a un nuovo assetto dello stato
tedesco: il Terzo Reich.
L’assetto del Terzo Reich prevede l’illegalità per tutti i partiti al di fuori di quello
nazista, una politica rigidamente centralizzata, la soppressione delle libertà individuali e
civili in contrasto con l’ideologia nazionalsocialista, il potenziamento delle forze armate
e la persecuzione di ebrei, comunisti, socialdemocratici e cattolici.
Le ritorsioni delle SS e il benessere economico delle masse, dato dalla ripresa pro-
duttiva, portano ad un’accettazione del nuovo stato di cose da parte della popolazione
tedesca.

Documentario: La notte dei lunghi coltelli:


www.youtube.com/watch?v=Hmv8jzo9wrM
Storia 193

I lager
Al fine di neutralizzare i possibili oppositori
al regime, il sistema nazista adotta l’utilizzo
sistematico dei campi di concentramento.
Nel 1938 viene introdotto il lavoro forzato,
utilizzato per incrementare la produzione e
l’industria.
Gli internati, oppositori politici o non ap-
partenenti alla pura razza germanica, sono
sottoposti a un sistema di “rieducazione”. At-
traverso il lavoro estenuante e le condizioni

Storia
igienico nutrizionali notevolmente al disotto Figura 1.4: I lager
dello standard, gli internati devono giungere all’annullamento della propria personalità
e, nella maggior parte dei casi, giungono alla morte. Durante la guerra i lager accolgono
i prigionieri dei popoli conquistati al fine di sfruttarli per il sostentamento dell’industria
bellica.

L’antisemitismo
Fin dall’ascesa del Partito nazionalsocialista l’antisemitismo rappresenta un cardine
dell’ideologia nazista. Nel 1933 vengono introdotte forti limitazioni alla partecipazione
degli ebrei alla vita dello stato. Con lo scopo di tutelare la cittadinanza, il sangue
e l’onore tedesco le leggi di Norimberga, emesse il 15 settembre 1935, codificano
formalmente l’esclusione degli ebrei dal Reich.
A partire da questo momento il regime provvede ad una sistematica eliminazione
degli ebrei additati come il nemico e la causa dei mali della Germania.
Il 20 gennaio 1942 durante la conferenza di Grosser Wannsee viene stilato il piano
della soluzione finale, che prevede lo sterminio della popolazione ebraica dei paesi
occupati e di quelli alleati.

1.4.8 Il dopoguerra in Italia


Nonostante l’Italia risulti tra i Paesi vincitori del primo conflitto mondiale, nell’im-
mediato dopoguerra si trova a dover affrontare gravi problemi di ordine economico,
politico e sociale.
La difficile situazione economica e la precaria realtà politica generano un forte
malcontento e il diffondersi della necessità di un radicale cambiamento politico sociale.
Ad aggravare il malcontento contribuisce l’insoddisfazione nei confronti dei trattati
post bellici. Il patto di Londra prevedeva la concessione della Dalmazia e di Fiume
all’Italia, riconoscimento che però di fatto non è stato concesso.
Nel Paese è forte il sentimento di una vittoria mutilata, tendenza che favorisce
il diffondersi di ideali nazionalistici che aizzano l’ostilità nei confronti di un governo
incapace di interpretare il disagio collettivo.
In questo clima di generale malcontento nascono nuovi movimenti politici.
Nel 1919 don Luigi Sturzo dà vita al Partito Popolare. Il programma dello
schieramento di area cattolica prevede una riforma elettorale, una agraria (volta ad
assegnare le terre ai contadini) e una riforma amministrativa concepita per riconoscere
maggiore autonomia alle realtà locali.
194 Il primo dopoguerra

Il Partito Popolare ottiene l’emanazione della riforma elettorale che consiste nel pas-
saggio da un sistema uninominale a quello proporzionale. Tale riforma garantisce
importanza ai partiti i quali si garantiscono maggioranze più stabili.
Le elezioni del 1919 vedono l’affermarsi del Partito Popolare e del Partito Socialista.
Il Partito Socialista tuttavia è diviso da contrasti interni. Durante il congresso di
Livorno del gennaio 1921, in seguito alle crescenti discordie intestine, si assiste alla
nascita del Partito Comunista Italiano, guidato da Antonio Gramsci.
Nello stesso periodo un nuovo schieramento fa la propria comparsa nel panorama
politico italiano: il Fascismo.
Il 23 marzo 1919 Benito Mussolini (Predappio 1883 – Giulino di Mezzegra 1945)
I dopoguerra

fonda a Milano i Fasci italiani di Combattimento.


Tale movimento inneggia al nazionalismo, alla rivoluzione antiborghese e al suffragio
universale.
In questo clima di ricostruzione e fermento emergono i sindacati, rappresentanti dei
reduci di guerra disoccupati.
Nel giugno 1919 il governo Orlando viene sostituito da quello di Francesco Saverio
Nitti che si dimostra incapace di sostenere il fermento e l’evolversi degli eventi.
Il 12 settembre 1919 un gruppo di nazionalisti guidati da Gabriele D’Annunzio
occupa la città di Fiume, e dichiara la nascita di un governo provvisorio.
Nitti intavola una trattativa con i rivoltosi, e la reazione del governo viene giudicata
come un segnale di debolezza.
A novembre sono indette nuove elezioni che vedono la vittoria dei popolari e dei
socialisti. Nitti non riceve il sostegno dei popolari e viene sostituito da Giovanni
Giolitti.
Il nuovo capo del governo dimostra maggiore apertura nei confronti delle forze
liberali. Il 12 luglio 1920 conclude il Trattato di Tirana con cui si riconosce l’indi-
pendenza dell’Albania. Nel novembre dello stesso sottoscrive il Trattato di Rapallo
che riconosce Fiume come città libera e assegna Zara all’Italia.
Nel settembre del 1920 a Torino ha inizio una serie di scioperi organizzati dalla
FIOM (Federazione Italiana Operai Metallurgici), il malcontento si estende nel nord
Italia anche negli altri settori industriali.
Le motivazioni che stanno alla base della mobilitazione sono varie, sostanzialmente
alcuni sostengono la collettivizzazione delle fabbriche, mentre altri propendono per il
controllo sindacale della produzione.
Questi scioperi generali rappresentano l’apice di un periodo denominato biennio
rosso (1919-1920), caratterizzato da manifestazioni e intense agitazioni popolari.
Giolitti conclude un accordo che prevede il controllo operaio sulle fabbriche. La
soluzione tuttavia non produce esiti concreti, i contrasti continuano a crescere e le
condizioni economiche dell’Italia non vedono miglioramenti.
In questo clima di malcontento generale Benito Mussolini sostiene la necessità di
sedare le rivendicazioni del movimento operaio.
A Bologna nascono le prime squadre fasciste che in breve tempo si diffondono in
tutta l’Italia settentrionale. L’organizzazione applica metodi di spedizione punitiva nei
confronti dei socialisti.
Nel maggio 1921 Giolitti convoca nuove elezioni. Alcuni elementi del movimento
fascista si coalizzano con i democratici e i liberali. Trentacinque deputati, guidati da
Mussolini, fanno il loro ingresso in Parlamento.
Storia 195

Il Governo legalizza l’azione delle forze fasciste che si vedono legittimate ad incremen-
tare le intimidazioni contro gli avversari.
A luglio Giolitti dà le dimissioni e viene sostituito da Ivanoe Bonomi, di matrice
socialista.

1.4.9 Nascita e ascesa del Partito Nazionale Fascista


Il 7 novembre 1921 a Roma Mussolini dà vita al Partito Nazionale Fascista. L’azione
delle squadre fasciste prende sempre maggior rilevanza e imperversa su intere province.
Nel febbraio 1922 Luigi Facta sostituisce Bonomi ma non si dimostra in grado di
controllare l’azione violenta delle squadre.
Il Partito socialista è diviso da contrasti interni e non è un forte contraltare al

Storia
nascente movimento fascista. Nell’ottobre 1922 alcuni socialisti riformisti fondano il
Partito Socialista Unitario, guidato da Filippo Turati.
L’influenza di Mussolini continua a crescere, durante il congresso di Napoli del 24-25
ottobre viene elaborato un piano per l’occupazione dei centri nevralgici del potere e il
28 ottobre 1922 i fascisti mettono in atto una marcia su Roma.
La reazione del re Vittorio Emanuele III è di tolleranza, il 30 ottobre il sovrano
riceve Mussolini e gli affida il governo.
In breve tempo il Governo Mussolini si rivela forte, centralizzato ed autoritario.
Nasce il Gran Consiglio del Fascismo, una milizia di squadristi che agisce con
violenza limitando le libertà democratiche.
I popolari e i cattolici, fino a questo momento alleati dei fascisti, cominciano a
prendere le distanze dal movimento.
Mussolini, interessato al sostegno della Chiesa, avvia una politica contro il Partito
Popolare.
In vista delle prossime elezioni le squadre fasciste minacciano e colpiscono le forze
di opposizione.
Alle elezioni del 6 aprile 1924 la coalizione formata dai fascisti e dai conservatori
ottiene il 65% dei voti.
Giacomo Matteotti, dopo aver denunciato la situazione di brogli e violenze con
un discorso alla Camera, il 10 giugno 1924 viene rapito, il suo corpo verrà ritrovato
senza vita il 16 agosto.
Nonostante l’opinione pubblica sia profondamente scossa dall’omicidio di Matteotti,
evidentemente avvenuto su commissione dei capi fascisti, il re Vittorio Emanuele III
continua a sostenere il governo Mussolini.

Documentario su Giacomo Matteotti


www.youtube.com/watch?v=q4xwoSW58pM

1.4.10 La dittatura fascista


Con l’emanazione delle leggi fascistissime nel gennaio del 1925 Mussolini attua una
serie di misure volte ad annientare l’opposizione. La libertà di stampa è abolita e
gli esponenti politici avversari vengono “legalmente” esiliati o uccisi in seguito alla
condanna di un Tribunale Speciale presieduto da esponenti fascisti.
L’intervento dello Stato si accentua anche in ambito economico. Viene avviata una
politica di protezionismo doganale al fine di giungere all’autosufficienza produttiva.
196 Il primo dopoguerra

Per sviluppare le risorse del Paese ampie zone sono sottoposte ad interventi di bonifica
incrementando la produzione del grano.
Nel 1927 l’elaborazione di una Carta del Lavoro, in nome dell’interesse nazio-
nale, prevede la collaborazione tra le diverse parti sociali. Il libero sindacalismo viene
eliminato e sostituito dalle nascenti corporazioni, elemento di contatto tra associazioni
di datori di lavoro e sindacati.
Con una nuova legge elettorale nel 1928 viene creata una lista unica composta dagli
esponenti del partito fascista. Alle elezioni politiche del 24 marzo 1929 le votazioni
si svolgono in forma plebiscitaria. Gli elettori possono votare SÌ o NO per approvare
la lista dei deputati designati dal Gran Consiglio del Fascismo. La scheda con il SÌ è
I dopoguerra

tricolore, quella col NO è bianca. L’evidenza del voto e le forti pressioni intimidatorie
portano ai fascisti un trionfale successo.
L’11 febbraio 1929 si concludono i Patti lateranensi con cui si dichiara l’indipen-
denza dello Stato del Vaticano, si riconosce un indennizzo per gli espropri del 1870 e
si raggiunge un Concordato per regolare le questioni di valenza civile e religiosa. In
questo modo Mussolini si garantisce l’appoggio del Vaticano.
Le linee del governo in politica estera mirano al consolidamento dell’influenza italia-
na nell’area del Mediterraneo, al superamento della Società delle Nazioni, dei trattati
del 1919 e all’avviamento di una politica coloniale in Africa.

1.4.11 Politica coloniale italiana in Africa


Nell’ottobre 1935 l’Italia conquista l’Abissinia (l’Etiopia) andando incontro ad alcune
sanzioni economiche.
Il 19 maggio 1936 viene proclamato l’Impero dell’Africa Orientale Italiana che
tuttavia non ottiene il riconoscimento da parte della Società delle Nazioni.
In questo periodo l’Italia si avvicina alla Germania la quale fornisce un sostegno per
le sanzioni subite in seguito alla conquista dell’Etiopia e riconosce il nascente Impero
d’Africa italiano.
Il 24 ottobre 1936 si stringe un’alleanza militare tra i due paesi: l’Asse Roma-
Berlino, cui nel 1937 si unirà il Giappone con il patto Anti-Comintern.

1.4.12 L’ascesa del fascismo in Spagna


Nel 1933 l’unione delle forze clericali, militari, borghesi e latifondiste dà vita alla Fa-
lange, un movimento di matrice fascista guidato dal figlio del dittatore, Josè Antonio
Primo.
Alle elezioni del 1936 il Fronte Popolare ottiene la vittoria e promuove la presidenza
del socialista Francisco Largo Caballero.
Il 17 luglio 1936 si ammutina la guarnigione marocchina capeggiata da Francisco
Franco. Il generale, sostenuto da altre divisioni militari, avanza verso la capitale e riesce
ad estendere il controllo sulla Spagna occidentale. Il governo affida alla popolazione il
compito della difesa della repubblica. In questo clima di disordine si costituiscono le
Brigate internazionali, composte da volontari europei e americani sopraggiunti in
sostegno della Repubblica spagnola.
Francia e Inghilterra, seguiti dai governi delle principali nazioni europee, attuano
una politica di non intervento. L’Unione Sovietica sostiene apertamente la Repubblica
nel tentativo di appoggiare i comunisti spagnoli.
Storia 197

D’altro canto, Francisco Franco ha l’appoggio di Hitler e Mussolini, che inviano truppe
armate per annientare la Repubblica.
La guerra civile si protrae per tre anni, fino a quando nell’aprile del 1939 le
armate di Franco occupano Madrid. Il Generalissimo assume la guida definitiva della
Spagna, instaurando una dittatura di stampo fascista che reprime violentemente ogni
opposizione al regime.

Documentario: La guerra civile spagnola


www.youtube.com/watch?v=jxuyU4lYRdI&feature=relmfu

Storia
1.5 La seconda guerra mondiale
1.5.1 Gli antefatti
Nel 1933 la Germania si allontana dalla Società delle Nazioni e nel 1934 tenta di assog-
gettare l’Austria, il tentativo fallisce a causa dell’intervento di Mussolini che schiera le
proprie truppe sul Brennero. Tale azione porta a un accordo tra l’Italia e la Germania
per contrastare gli interessi inglesi e francesi.
Nel marzo 1938, grazie alla recente alleanza con l’Italia istituita dall’Asse Roma-
Berlino, Hitler penetra in Austria e ne realizza l’annessione. Il 10 aprile 1938 l’unione
dell’Austria con la Germania viene formalmente suggellata da un plebiscito.
La Germania avanza nuove pretese territoriali, giustificate dalla presenza di una
minoranza tedesca nei Sudeti cecoslovacchi. Il 28 e 29 settembre 1938, durante una
conferenza internazionale a Monaco, Hitler ottiene l’annessione dei Sudeti, l’anno se-
guente occupa la Boemia e la Moravia. La Slovacchia rimane indipendente ma di fatto
è uno stato satellite tedesco.
Il 7 aprile 1939 l’Italia occupa l’Albania.
In questo clima di pretese territoriali, Hitler si pone come obiettivo la conquista
della Polonia, in particolare del territorio di Danzica, importante sbocco sul mare.
L’asse Roma-Berlino si converte in un’alleanza militare in cui le parti si impegnano a
partecipare ad un eventuale conflitto e il 22 maggio 1939 il Regno d’Italia e la Germania
nazista firmano il Patto d’Acciaio.
Nello stesso tempo Hitler avvia una trattativa diplomatica con la Russia e il 23
agosto 1939 stipulano il Patto Molotov-Ribbentrop, che sancisce una reciproca
politica di non aggressione.
In questo modo la Russia si assicura la tutela dei confini e ottiene una serie di
riconoscimenti territoriali nei Paesi Baltici, Romania e Polonia. Dal canto suo, la Ger-
mania evita una possibile alleanza tra Russia, Inghilterra e Francia e si appresta alla
conquista di nuovi territori. Il 1◦ settembre 1939 Hitler avvia l’occupazione della
Polonia.

1.5.2 1939: Lo scoppio della guerra


In seguito all’occupazione della Polonia, il 3 settembre 1939 Inghilterra e Francia
dichiarano guerra alla Germania.
L’invasione della Polonia ha la caratteristica di una guerra lampo. In meno di un
mese il paese viene piegato da un attacco congiunto di aviazione e mezzi corazzati. La
198 La seconda guerra mondiale

Repubblica di Polonia, sorta nel 1919 in seguito al trattato di Versailles, viene smem-
brata e il suo territorio spartito tra Germania e Russia, cui spetta la parte orientale
del paese come sancito dal Patto Ribbentrop-Molotov.
La Russia avvia la sua espansione sul mar Baltico ottenendo il controllo di Estonia,
Lituania e Lettonia che saranno annesse successivamente. Il 30 novembre 1939 le trup-
pe russe invadono la Finlandia che riesce a sostenere l’attacco senza capitolare. Con
l’armistizio di Mosca del 12 marzo 1940 tuttavia si vedrà costretta a cedere parte del
proprio territorio.
II Guerra Mond.

1.5.3 1940
L’avanzata tedesca
Il 9 aprile 1940 la Germania sferra un attacco alla Danimarca, che si arrende senza
porre resistenze, e alla Norvegia. Nel mese di maggio l’offensiva si dirige verso il fronte
Occidentale. I tedeschi invadono il Belgio, l’Olanda e il Lussemburgo mentre un altro
attacco viene sferrato a Sedan, in Francia.
Le truppe inglesi e francesi si trovano impegnate e strette da due fronti, per non subi-
re una sconfitta sono costrette a imbarcarsi a Dunkerque e rifugiarsi in Gran Bretagna.
La Germania marcia dunque sulla Francia e il 14 giugno occupa Parigi.
In Francia si vede intanto il prevalere della corrente di destra capeggiata dal vicepre-
sidente Philippe Petain. Contrariamente all’opinione del presidente Paul Reynaud,
intenzionato a proseguire il conflitto, il 22 giugno il governo francese chiede l’armistizio.
La Germania occupa dunque la Francia nord orientale, mentre nel resto del Paese
prende potere un governo collaborazionista dittatoriale di destra con sede a Vichy e
capeggiato da Petain: La Repubblica di Vichy.

L’intervento dell’Italia
Fino a questo momento l’Italia non interviene direttamente nel conflitto ma, dopo i
successi tedeschi in Francia, il 10 giugno 1940 anche l’Italia dichiara guerra alla Francia
e all’Inghilterra.
Il 21 giugno, con l’offensiva delle Alpi, sferra un attacco al fronte francese. In questa
occasione risulta evidente l’impreparazione delle truppe italiane, l’attacco costa infatti
631 morti e 1141 prigionieri, contro 37 caduti francesi.
L’Italia subisce pesanti sconfitte anche in Africa. L’esercito tricolore in marcia con-
tro l’Egitto viene duramente affrontato dalle armate inglesi. Nel mese di dicembre
la Gran Bretagna occupa la Cirenaica e Mussolini è costretto a chiedere appoggio
all’esercito tedesco per respingere il nemico.
Il 28 ottobre l’Italia, convinta di una semplice vittoria, attacca la Grecia. Il conflitto
in realtà ha un esito negativo.
Il comando delle truppe passa dal maresciallo Badoglio al generale Ugo Cavallero.
In patria intanto si genera la consapevolezza dell’impreparazione delle truppe ita-
liane e la figura di Mussolini comincia a perdere popolarità.

La reazione inglese
L’Inghilterra è una potenza solida, la sola in grado di fronteggiare la Germania. Con-
sapevole della forza inglese, Hitler si dimostra intenzionato ad avviare una trattativa.
Il primo ministro inglese Winston Churchill tuttavia si dichiara pronto a resistere e
a sconfiggere il nemico.
Storia 199

Consapevole della superiorità della flotta inglese, la Luftwaffe tedesca dà avvio a una
serie di violenti bombardamenti sull’Inghilterra.
La Royal Air Force, RAF, si dimostra però in grado di sostenere l’attacco e per la
prima volta dall’inizio del conflitto Hitler è costretto ad arrestare la propria avanzata.
Il 27 settembre 1940 Germania, Italia e Giappone firmano il Patto Tripartito con
cui si impegnano in un reciproco sostegno. A novembre aderiscono alla trattativa anche
Ungheria e Romania, e nel 1941 si unisce la Bulgaria.

1.5.4 1941
Gli inglesi registrano importanti successi sul fronte africano. Occupano la Somalia ita-
liana, l’Etiopia, e l’Eritrea.

Storia
L’unica sconfitta è quella registrata in Libia, dove le truppe italo tedesche, guidate
dal generale Erwin Rommel, determinano la perdita del controllo della Cirenaica da
parte dell’Inghilterra.
Hitler tuttavia non consolida le posizioni ottenute e a fine anno gli inglesi riguada-
gnano terreno.
Nell’agosto 1941 il primo ministro Churchill e il presidente americano Roosevelt re-
digono la Carta Atlantica con la quale gli Stati Uniti si impegnano nella ricostruzione
bellica e nella protezione del mar Atlantico.
Germania, Italia, Ungheria e Bulgaria invadono e smembrano la Jugoslavia, che si
arrende il 17 aprile. In seguito la Germania e la Bulgaria invadono la Grecia, la cui
resistenza termina all’inizio del giugno 1941.
In seguito ad un ulteriore fallimento delle truppe italiane nella spedizione nei Bal-
cani, Mussolini comincia a rendersi conto dell’impossibilità di sostenere la guerra senza
il sostegno alleato.
Il 22 giugno Hitler decide di affrontare la Russia infrangendo il patto Ribbentrop-
Molotov con l’operazione Barbarossa. L’attacco apre un fronte di 1400 Km. Le
armate tedesche raccolgono una serie di successi e proseguono la marcia fino alle porte di
Mosca e Leningrado, la resistenza russa tuttavia è tenace e impedisce la presa di Mosca.
Nel frattempo giunge l’inverno che coglie impreparato l’esercito nazista e l’inadeguato
alleato italiano. I russi, guidati da Stalin, preparano la controffensiva.
Il Giappone, intanto, intenzionato ad espandersi nel Pacifico, nel luglio 1941 occupa
l’Indocina francese.
La reazione americana e inglese è immediata. Stati Uniti e Gran Bretagna decidono
di applicare un blocco commerciale ai danni del Giappone. Il governo nipponico però
non si dimostra intenzionato ad arrestare il proprio piano espansionistico. Il 7 dicembre
1941, senza una formale dichiarazione di guerra, sferra un attacco aereo contro la flotta
americana stanziata a Pearl Harbour nelle isole Hawaii.
Forte della momentanea superiorità, il Giappone attacca e conquista la Tailandia,
le Filippine, la Malesia, la Birmania e l’Indonesia olandese.
Gli inglesi perdono Hong Kong e la loro flotta risulta estromessa dall’oceano Paci-
fico.
Le forze dell’Asse in questo momento dimostrano una netta superiorità.

1.5.5 1942
I primi mesi del 1942 vedono la conferma del predominio delle potenze dell’Asse.
200 La seconda guerra mondiale

La spinta offensiva giapponese che ha portato lo Stato nipponico al controllo di Tai-


landia, Filippine, Malesia, Birmania e Indonesia olandese, suscita una forte reazione
americana. Gli Stati Uniti, dotati di un apparato industriale estremamente efficiente,
avanzano un’offensiva intensa e ben organizzata.
Nel maggio 1942 la flotta americana infligge una sconfitta sul Giappone nella bat-
taglia del Mar dei Coralli, e a giugno nelle Isole Midway gli Stati Uniti hanno la
meglio sull’esercito giapponese.
In Europa le armate tedesche hanno il sopravvento in Crimea e nel Caucaso per
il controllo della regione strategica tra il Don e il Volga, nell’estate raggiungono Sta-
II Guerra Mond.

lingrado che viene sottoposta a un duro assedio. La presa della città è un obiettivo
importante per la Germania, rappresentando un punto importante per l’accerchiamento
di Mosca e una base di approvvigionamento di grano e petrolio. Inizialmente le divi-
sioni tedesche ottengono un incontestabile successo e riescono a penetrare nella città,
nel mese di novembre però i russi scatenano una controffensiva sopraffacendo i nemici.
La V armata tedesca viene accerchiata e completamente annientata. La sconfitta di
Stalingrado rappresenta la prima tappa dell’imminente declino delle forze tedesche
sul fronte russo.
Nel maggio 1942 le truppe italiane e l’Africa Korps tedesco scatenano una controf-
fensiva contro la Gran Bretagna per riprendere il controllo sulla Cirenaica riuscendo
ad avanzare fino ad El Alamein, a 80 Km da Alessandria d’Egitto. Mussolini si reca
in Libia per assistere alla conquista dell’Egitto. Al fine di concentrare le forze militari
in Africa settentrionale l’Italia allenta la pressione su Malta. Tale azione si dimostra
però essere un grave errore strategico. Dalle basi situate sull’isola, infatti, gli aerei della
Royal Air Force attaccano i convogli di rifornimento dell’Asse ostacolando il loro arrivo
sui porti africani.
Il 23 ottobre ad El Alamein le truppe inglesi, guidate dal generale Montgomery,
scatenano una dura offensiva. Le divisioni tedesche comandante da Rommel oppongono
una tenace resistenza ma si vedono costrette alla ritirata. Le forze dell’Asse riparano
in Tunisia dove costituiscono una linea difensiva. L’8 novembre sulle coste del Marocco
e dell’Algeria sbarcano centomila soldati americani in appoggio dell’esercito inglese.
Nell’agosto del 1942 Inghilterra e URSS stipulano un’alleanza, estesa poi anche agli
Stati Uniti, secondo la quale i paesi alleati si impegnano a prestare aiuti e forniture
reciproche.

Film: El Alamein, la linea del fuoco


www.youtube.com/watch?v=iTprjxwjz8M

1.5.6 1943
Sul fronte africano la pressione contro le forze dell’Asse si fa sempre più pressante e il
13 maggio 1943 la Tunisia capitola definitivamente.
Durante la Conferenza di Casablanca del gennaio 1943 gli Alleati pianificano
le nuove strategie. Il Primo Ministro inglese Churchill e il Presidente americano Roo-
sevelt ipotizzano uno sbarco sulla costa francese previsto per la primavera dell’anno
successivo. Nel novembre e dicembre 1943, durante la Conferenza di Teheran, viene
ufficialmente presa la decisione dell’attacco francese.
Storia 201

Il 10 luglio le armate angloamericane sferrano un attacco contro l’Italia e dalla costa


africana sbarcano in Sicilia. Sotto il comando del generale Dwight Eisenhower, dopo
cinque settimane di scontri, gli alleati liberano l’isola. La presa della Sicilia determina
una grave crisi del regime fascista.
Il 25 luglio il Gran Consiglio del Fascismo stabilisce la consegna del comando delle
forze armate al re, Mussolini viene messo in minoranza e destituito. La sera dello stesso
giorno Mussolini viene arrestato e il re Vittorio Emanuele III nomina al suo posto il
maresciallo Badoglio, intenzionato a mantenere viva l’alleanza con la Germania.
Pur continuando formalmente la guerra a fianco della Germania, tuttavia il nuovo
governo avvia trattative segrete con gli alleati. Il 3 settembre, a Cassibile, in Sicilia,
viene firmato un trattato che prevede una resa incondizionata da parte dell’Italia:

Storia
Armistizio di Cassibile.
Lo stesso giorno in Calabria sbarcano le truppe inglesi guidate dal generale Mont-
gomery, l’8 settembre gli americani giungono a Salerno.
L’8 settembre l’armistizio viene reso ufficiale. La Germania assume il controllo mi-
litare dell’Italia settentrionale e centrale. L’occupazione tedesca di Roma costringe il
re e il governo alla fuga.
L’invasione tedesca in Italia provoca una forte resistenza da parte delle truppe
italiane e dei gruppi di civili.
L’Italia risulta ora divisa.
Le regioni centrali e settentrionali sono sotto il controllo dei tedeschi. Il 22 settembre,
dopo essere stato liberato da un gruppo di paracadutisti tedeschi, Mussolini dà vita
alla Repubblica Sociale Italiana, con sede di governo a Salò.
In questo periodo scoppia una guerra civile che vede scontrarsi i volontari del
movimento partigiano contro le milizie di Salò.
Il movimento di resistenza assume dimensioni sempre più consistenti e giunge ad un
piano di coordinamento con la creazione dei Comitati di Liberazione Nazionale
(CLN) che oltre a combattere contro gli invasori nazisti reclamano le dimissioni del
governo Badoglio e l’abdicazione del re.
Il sud Italia invece è controllato dagli alleati.
Durante una violenta insurrezione popolare, le Quattro giornate di Napoli, il
primo ottobre le truppe tedesche vengono allontanate dalla città.
Il 13 ottobre il governo Badoglio dichiara guerra alla Germania.

Documentario: Lo sbarco in Sicilia


www.youtube.com/watch?v=RmWGWJlovwA&feature=related

1.5.7 1944
Il 1944 è un anno decisivo per le sorti del conflitto.

In Italia
Nel marzo 1944 il segretario del Partito Comunista Palmiro Togliatti sostiene la
necessità della collaborazione di tutte le forze politiche per la liberazione dell’Italia dai
nazisti. Si costituisce un governo di unità nazionale guidato da Badoglio e formato dai
membri del CLN. La popolazione partecipa attivamente alla cacciata degli occupanti
202 La seconda guerra mondiale

tedeschi. Vengono organizzati importanti scioperi e manifestazioni che paralizzano la


produzione delle principali industrie settentrionali.
La reazione nazista è durissima e ha feroci conseguenze sulla popolazione collabo-
razionista dei partigiani.
Il 24 marzo 1944, a Roma, le truppe di occupazione compiono l’eccidio delle
Fosse Ardeatine, un massacro ai danni di 335 civili e militari italiani come atto di
rappresaglia in seguito a un attacco partigiano contro le truppe germaniche.
Tra il 25 settembre e il 5 ottobre i tedeschi distruggono l’intero paese di Marzabotto,
uccidendo intere famiglie e molti bambini. La strage di Marzabotto, con circa otto-
II Guerra Mond.

cento morti, è uno dei più gravi crimini di guerra contro la popolazione civile perpetrati
dalle forze armate tedesche in Europa occidentale.
Al sud Italia, nel tentativo di aggirare le linee nemiche, il 22 gennaio gli Alleati
realizzano uno sbarco ad Anzio. La reazione tedesca è immediata e riesce ad asserra-
gliare le truppe angloamericane. Dopo aver ricostituito le proprie forze, il 18 maggio
gli Alleati vincono la dura battaglia di Montecassino e il 4 giugno entrano a Roma.
La linea difensiva tedesca viene riorganizzata sull’Appennino tosco-emiliano e in-
terrompe l’avanzata alleata. I partigiani si trovano a fronteggiare da soli le truppe
naziste.

Trailer del film L’uomo che verrà, di Giorgio Diritti,


www.youtube.com/watch?v=YEsFlxacD-U

Lo sbarco in Normandia
Gli alleati organizzano l’operazione Overlord che prevede lo sbarco nel nord della
Francia.
Il 6 giugno le truppe angloamericane attraccano sulle coste della Normandia. A
causa delle avverse condizioni atmosferiche l’azione coglie di sorpresa le milizie tedesche.
La resistenza nazista è tenace, ma non si dimostra capace di respingere l’offensiva.
Il 15 agosto un secondo contingente sbarca sulle coste della Francia meridionale
costringendo le forze tedesche alla fuga.
Il 25 agosto De Gaulle entra trionfalmente a Parigi e il fronte si attesta dal mare
del Nord al confine svizzero.
I tedeschi preparano una grande controffensiva e il 16 dicembre attaccano nei pressi
delle Ardenne dando vita alla battaglia delle Ardenne. Il maresciallo Montgomery
organizza metodicamente le sue forze allo scopo di fermare l’avanzata del nemico.

Il fronte orientale
Sul Fronte Orientale la Russia raggiunge numerosi successi. L’esercito russo ottiene
la resa della Finlandia e della Romania, libera la Bulgaria e l’Ungheria e riesce a
raggiungere la Polonia e la Cecoslovacchia.
Nell’oceano Pacifico gli americani proseguono l’offensiva contro il Giappone otte-
nendo la liberazione di Filippine e Malesia.
Il 20 ottobre 1944 le truppe statunitensi invadono l’isola di Leyte. La Marina Im-
periale giapponese subisce una sconfitta importante e perde il controllo delle Filippine.
Il Giappone si trova cosı̀ tagliato fuori dai territori occupati nel sud-est asiatico,
fonte di vitali risorse come il petrolio.
Storia 203

1.5.8 1945
Durante i primi mesi del 1945 le operazioni degli alleati in Italia non producono esiti
significativi. Le forze partigiane al contrario intensificano l’azione. Il 25 aprile i Co-
mitati di Liberazione Nazionale proclamano l’insurrezione generale e costringono alla
fuga le truppe tedesche. Nello stesso giorno gli alleati raggiungono Milano e Mussolini
tenta la fuga verso la Svizzera, ma viene sorpreso a Giulino di Mezzegra sul Lago di
Garda, e il 28 aprile le formazioni partigiane lo fucilano.
Nel mese di gennaio i tedeschi muovono un’offensiva nel settore dei Vosgi ma vengo-
no affrontati dagli alleati che il 5 marzo occupano Colonia, superano il corso del Reno,
accerchiano il bacino della Ruhr e a febbraio giungono a 65 km da Berlino.
Nello stesso tempo i russi stanno assediando la città. Il 30 aprile Hitler si toglie

Storia
la vita e designa suo successore l’ammiraglio Karl Dönitz. Il 7 maggio, presso il
comando di Reims, la Germania firma la propria resa incondizionata.
In estremo Oriente, dopo la conquista delle Filippine e dell’Indonesia, l’America si
appresta a sferrare il colpo decisivo al Giappone.
Il 12 aprile muore il presidente americano Roosevelt e gli succede Harry Truman.
Consapevole che il proseguimento della guerra costerebbe un elevato numero di vittime,
il presidente si risolve ad impiegare l’arma nucleare. Il 6 agosto per la prima volta nella
storia viene utilizzata la bomba atomica che distrugge quasi completamente la città
di Hiroshima, e tre giorni dopo colpisce Nagasaki.
L’8 agosto la Russia dichiara guerra al Giappone invadendo la Manciuria e la Corea.
Il 2 settembre i giapponesi firmano la propria resa sulla corazzata Missouri.

Documentario: La caduta di Berlino


http://www.youtube.com/watch?v=UsH8kpKfx3M{&}feature=related
Video: La bomba atomica di Hiroshima e Nagasaki
http://www.youtube.com/watch?v=j{_}xSyrJVx3Q

I Trattati di pace
In previsione della risoluzione del conflitto, tra il 4 e l’11 febbraio 1945, Churchill,
Roosevelt e Stalin si incontrano in Crimea, a Jalta, per stabilire il futuro andamento
dell’Europa.
Durante la conferenza le tre potenze stabiliscono che, al termine degli scontri, la
Germania sarebbe stata smembrata in quattro aree assegnate a Francia, Gran Breta-
gna, Stati Uniti e Russia. Berlino sarebbe stata amministrata in modo congiunto dalle
quattro potenze.
La Germania avrebbe inoltre dovuto pagare un risarcimento per le devastazioni
procurate.
In Polonia sarebbe stato instaurato un governo di Unità Nazionale formato da
elementi filosovietici e filoccidentali.
I Paesi liberati avrebbero dato vita a governi rappresentativi del volere popolare.
Tra il 17 luglio e il 2 agosto 1945 si tiene la Conferenza di Potsdam, vicino
a Berlino. Durante il congresso i rappresentati delle potenze vincitrici non riescono
tuttavia a giungere a una conclusione definitiva sulle sorti della Germania e rinviano
la problematica dei confini polacco tedeschi e dei risarcimenti.
204 La seconda guerra mondiale

Si giunge però a un accordo che istituisce un Consiglio dei Ministri degli Esteri,
atto a stabilire i trattati di pace con l’Italia, la Romania, la Finlandia e la Bulgaria.
I Trattati di pace firmati a Parigi il 10 febbraio 1947 stabiliscono che la città di
Berlino venga divisa in due parti: l’est sotto il controllo dell’URSS, e l’ovest affidato
all’occidente.
La conclusione del conflitto porta una notevole espansione dei territori dell’URSS
che allarga la propria area d’influenza su tutti gli Stati orientali liberati dalle sue
armate.
Le nazioni dell’Europa occidentale invece ricevono aiuti economici dagli Sati Uniti
II Guerra Mond.

ed entrano pertanto nella sfera americana.


Vengono cosı̀ a crearsi due zone di influenza politica ben marcata che si contrappor-
ranno duramente.

La Germania
La Germania, punto di incontro tra le due realtà, rimane divisa. Nella parte occiden-
tale nasce la Repubblica Federale Tedesca (RFT), di stampo democratico, nella
parte orientale nasce la Repubblica Democratica Tedesca (RDT), di carattere
comunista.
La RFT, grazie agli aiuti americani, riesce a ricostruire la propria economia e a
integrarsi con gli altri Paesi europei.
La RDT invece vede lo smantellamento delle strutture capitalistiche e un pro-
gressivo indebolimento economico. Date le difficili condizioni di vita nella Repubbli-
ca Democratica, molte persone lasciano il settore orientale per rifugiarsi in quello
occidentale.
Per arginare tale flusso, nell’agosto 1961 Berlino risulta divisa da un filo spinato,
e in seguito viene costruito un muro che contrappone le due parti della città.

Video: Storia del muro di Berlino www.youtube.com/watch?v=wMOe88r5wrE

1.5.9 L’ONU
Al fine di garantire una pace duratura il 26 giugno 1945, a San Francisco, cinquanta
Paesi alleati sottoscrivono la Carta internazionale dell’ONU (Organizzazione delle
Nazioni Uniti) “al fine di salvare le future generazioni dal flagello della guerra e
mantenere la pace e la sicurezza internazionale”. I Paesi membri che costituiscono il
Consiglio di Sicurezza in modo permanete sono Stati Uniti, URSS, Gran Bretagna,
Francia e Cina. Ogni due anni, a rotazione si aggiungono altri sei Stati membri.
In seno all’ONU si crea la Corte internazionale di giustizia dell’Aia, con il fine
di risolvere eventuali problematiche sollevate dai Paesi coinvolti, l’UNESCO, organo
predisposto all’organizzazione dell’educazione, la scienza e la cultura, e la FAO inerente
all’agricoltura e all’alimentazione.
Tra le prime disposizioni dell’ONU figurano il processo di Norimberga (1945-
1946) e il processo di Tokyo (1946-1948). Al termine delle udienze vengono condan-
nati i principali responsabili delle atrocità commesse durante la guerra.
Storia 205

1.6 Il secondo dopoguerra


A partire dal secondo dopoguerra il mondo risulta diviso in due aree: l’Occidente, trai-
nato dagli Stati Uniti e caratterizzato dal sistema capitalista, e l’Oriente, rappresentato
dall’URSS in cui prevalgono i regimi comunisti.
Tra i due blocchi si instaura una guerra fredda: l’espressione indica una tensione,
durata circa mezzo secolo, che non si concretizza in un conflitto militare diretto, ma si
sviluppa negli anni incentrandosi sulla competizione in vari campi (militare, spaziale,
ideologico, psicologico, tecnologico, sportivo).

1.6.1 USA

Storia
Durante la seconda guerra mondiale gli Stati Uniti emergono come potenza economica
caratterizzata da una forte logica liberalista.
Nel 1945 Harry Truman succede a Roosevelt. Il nuovo presidente afferma la vo-
lontà di sostenere l’economia dei paesi amici in opposizione alla crescente potenza
comunista. A partire dagli anni Quaranta si diffonde il maccartismo, dal nome del
senatore Mac Carthy, un atteggiamento di forte ostilità nei confronti dell’URSS che
porta alla caccia degli elementi sovversivi comunisti all’interno della società americana.
Con l’elezione del Presidente Dwight Eisenhower, nel 1952, il sentimento anti-
comunista si acuisce, con un conseguente inasprimento della guerra fredda, negli stessi
anni si intensificano i conflitti raziali e si verifica una recessione economica.
Nel 1961 il democratico John F. Kennedy vince le elezioni. In politica estera egli è il
responsabile dell’intervento americano nella guerra del Vietnam. Il 22 novembre 1963
viene assassinato.
Nel 1968 viene ucciso anche Robert Kennedy, fratello di John, e alla presidenza
sale Richard Nixon. Questi anni sono caratterizzati da un clima di sospetto e violenza.
Anche Martin Luther King, leader del movimento per il riconoscimento dei diritti
degli americani di colore, il 4 aprile 1968 viene ucciso.
Sotto la presidenza di Nixon l’America incrementa le ricerche scientifiche e ottiene
il primato sull’Urss inviando il primo uomo nello spazio: il 21 luglio 1969 l’astronauta
Neil Armstrong è il primo uomo a calpestare il suolo lunare.
Alla presidenza di Nixon seguono quella di Gerald Ford e Jimmy Carter.
Il ruolo di predominio degli Stati Uniti si raggiunge negli anni Ottanta sotto la guida
di Ronald Reagan. A partire dal 1980 egli promuove il rilancio dell’iniziativa privata.
In questa fase muta l’atteggiamento di ostilità nei confronti della Russia davanti alla
perestrojka di Gorbaciov.

Documentario: Martin Luther King


www.youtube.com/watch?v=G5hEHee9ORc&feature=related

1.6.2 URSS
Stalin rappresenta la figura dominante della Russia del primo dopoguerra e la sua
politica repressiva si espande a tutti i Paesi del blocco comunista.
L’intera Europa dell’Est vive sotto l’influenza sovietica. Gli Stati vengono denomi-
nati democrazie popolari, ma nella realtà risultano direttamente sottomessi ai dettami
dell’URSS, caratterizzati da un’economia di stampo collettivista.
206 Il secondo dopoguerra

Alla morte di Stalin, avvenuta il 5 marzo 1953, i maggiori funzionari del partito
comunista assumono una guida collettiva del Paese.
Ben presto emerge la figura di Nikita Kruscev. Egli attua una politica di di-
stensione nei confronti degli Stati Uniti e di destalinizzazione dello Stato Sovietico. In
ambito economico Kruscev sostiene un importante incremento industriale della Russia
che in questi anni diventa una potenza molto forte. Il tenore di vita della popolazione
migliora notevolmente grazie all’incremento dell’introduzione di beni di consumo.
Anche in ambito scientifico l’Unione Sovietica fa grandi passi avanti, nel 1957 i
sovietici sono i primi a lanciare un satellite artificiale nello spazio, lo Sputnik, e il
cosmonauta Yuri Gagarin è il primo uomo a compiere un volo orbitale intorno alla
II dopoguerra

Terra portando a termine la missione con successo il 12 aprile 1961.


Dal 1964 al 1982 la guida dell’Unione Sovietica è nelle mani di Leonı̀d Brèžnev.
Egli teorizza la dottrina della “sovranità limitata”, secondo cui i Paesi sociali-
sti hanno il diritto di intervenire all’interno di altri Paesi del blocco qualora essi si
distacchino dalla “retta via”.
Sostenuto da tale presupposto nel 1968 Brèžnev interviene nella rivolta della Ceco-
slovacchia, la Primavera di Praga.
Nel 1979 si fa promotore dell’invasione dell’Afghanistan, le truppe sovietiche
però, contrastate dai mujaheddin, subiscono gravi perdite e dieci anni dopo sono
costrette a ritirarsi dal Paese.

Video: La corsa sovietica allo Spazio


www.youtube.com/watch?v=K3eSmeHmio8&feature=related

1.6.3 La guerra in Corea


Dopo la seconda guerra mondiale la Corea viene divisa lungo una linea di separazione
fissata al 38◦ parallelo. La parte settentrionale risulta sotto il controllo sovietico e quella
meridionale sotto il controllo statunitense.
Nel giugno 1950 i nordcoreani invadono la zona del sud innescando un conflitto
che rischia di estendersi oltre l’area asiatica. A sostegno della Corea del sud interviene
l’ONU, mentre Cina e Unione Sovietica appoggiano la parte settentrionale.
La guerra in Corea si inserisce in un quadro di forti tensioni fra gli Stati Uniti e
la Russia. Il conflitto coreano determina infatti una delle fasi più acute della guerra
fredda.
Negli USA si alimenta il sentimento ostile contro il comunismo che sfocia in una
vera e propria lotta al “pericolo rosso” promossa dal senatore Joseph Mc Carthy.
Nel 1951 vengono condannati a morte i coniugi Rosenberg, sostenitori dell’ideo-
logia comunista, nonostante non abbiano mai preso parte ad attività terroristiche.
Anche il nuovo presidente americano Dwight Eisenhower, in carica dal 1953 al 1961,
incoraggia la politica anticomunista.
In Asia il Giappone diventa base delle truppe militari americane e dell’ONU a
sostegno dell’ideologia statunitense.
Il 27 luglio1953 si concludono i negoziati di Pace di Panmunjom. L’armistizio
ristabilisce sostanzialmente la situazione preesistente. La Corea rimane divisa in due
stati: Corea del Nord, con capitale Pyongyang e Corea del Sud, con capita-
le Seoul.
Storia 207

1.6.4 La nascita della CEE


Gli Stati europei, per rivendicare un’autonomia rispetto al blocco americano e russo,
promuovono un’unità politica di base federale. Dal punto di vista politico non si giunge
a un effettivo accordo, sul fronte economico tuttavia nascono nuovi organi in grado di
fronteggiare la situazione mondiale.
Nel 1948 viene costituita l’OECE (Organizzazione Europea di Cooperazione Eco-
nomica) per la gestione degli aiuti economici provenienti dagli Stati Uniti.
Nel 1949 nasce il Consiglio d’Europa per promuovere la cooperazione politica degli
Stati europei.
Il 1951 vede la nascita della CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio).
Nel 1957 nasce la CEE (Comunità Economica Europea) ed entra in vigore il 1o gen-

Storia
naio 1958. Viene istituita da Italia Francia Belgio Paesi Bassi Lussemburgo e Germania
per l’integrazione delle singole economie e lo sviluppo della libera circolazione.

1.6.5 Proclamazione della Repubblica italiana


Dopo la guerra, l’Italia si trova a dover affrontare una serie di problematiche, dall’am-
bito industriale a quello agricolo, sociale e politico.
Nel giugno 1945 Ferruccio Parri, partigiano e promotore di una politica fortemen-
te riformista, ottiene la guida del governo. Già nel mese di dicembre tuttavia viene
sostituito dal moderato democristiano Alcide De Gasperi.
Il 2 giugno 1946 si compiono le prime elezioni della storia italiana dopo il periodo
di dittatura fascista e gli elettori sono chiamati a esprimere il proprio voto al referendum
istituzionale sulla scelta fra Monarchia e Repubblica. L’opzione repubblicana ha il
sopravvento e si elegge un’Assemblea Costituente con il compito di dare al Paese una
Costituzione conforme ai nuovi ideali democratici.
Il 18 giugno 1946 viene proclamata la Repubblica e Enrico De Nicola riceve
la nomina di capo provvisorio dello Stato.
Nel febbraio dell’anno seguente il governo aderisce al Trattato di Parigi secondo cui
l’Italia cede l’isola di Rodi e il Dodecaneso alla Grecia, e gran parte dell’Istria e della
Venezia Giulia alla Jugoslavia. (Nell’ottobre 1954 Trieste verrà ricongiunta all’Italia).
Il 1◦ gennaio 1948 entra in vigore la Costituzione che sancisce i principi del nuovo
Stato repubblicano e democratico.
Le prime elezioni per il Parlamento del 18 aprile 1948 determinano l’affermazione
della Democrazia Cristiana. Questo partito sostiene un progetto di riforma moderato
e sfrutta l’organizzazione sul territorio della Chiesa cattolica.
Alcide De Gasperi riceve l’incarico di formare il governo e diventa Presidente del
Consiglio fino al 1953.
L’11 maggio 1948 il liberale Luigi Einaudi viene eletto primo Presidente della
Repubblica.
Nel 1949 l’Italia entra nella Nato e stipula un’alleanza militare con l’Occidente, il
Patto Atlantico.
La seconda legislatura, dal 1953 al 1958, è caratterizzata dall’affermazione della
Sinistra democristiana, sensibile alle classi meno abbienti.
Durante la terza legislatura emerge il partito di centro-sinistra culminante con il
governo di Aldo Moro (1963-1964). Moro vara un programma di riforme volte ad
adeguare il Paese all’imponente crescita economica.
208 Il secondo dopoguerra

1.6.6 Terrorismo e contestazione studentesca


Durante gli anni Settanta l’Italia vive un periodo di forti tensioni dovute alle contesta-
zioni studentesche e al terrorismo.
Tra il 1968 e il 1969 il movimento studentesco, in nome di una democrazia diretta
e in contrasto con i valori dello stato borghese, dà vita a una serie di occupazioni di
scuole e università che giungono spesso a scontri con le forze dell’ordine.
Il dibattito politico inoltre infiamma il disaccordo e sfocia nel terrorismo di Destra o
di Sinistra con lo scopo di destabilizzare lo Stato democratico attuale.
Il terrorismo di Destra si serve delle stragi per convincere l’opinione pubblica
II dopoguerra

della necessità di un governo più autoritario.


Il terrorismo di Sinistra invece colpisce le figure rappresentative di uno Stato
considerato inefficiente. Fra le varie organizzazioni di questa fazione si distinguono le
Brigate rosse.
Tra le azioni compiute dalle diverse strutture alcune hanno un carattere particolar-
mente tragico.
La Strage di piazza Fontana è conseguenza di un grave attentato terroristico av-
venuto il 12 dicembre 1969 nel centro di Milano. L’esplosione di una bomba nella sede
della Banca Nazionale dell’Agricoltura rappresenta l’inizio di una vera e propria stra-
tegia della tensione. L’azione provoca la morte di diciassette persone e il ferimento di
ottantotto.
Il 28 maggio 1974 a Brescia si compie la Strage di piazza della Loggia. Una bom-
ba nascosta in un cestino portarifiuti viene fatta esplodere durante una manifestazione
contro il terrorismo neofascista.
Il 16 marzo 1978, giorno della presentazione del nuovo governo guidato da Giulio
Andreotti, il gruppo delle Brigate Rosse intercetta Aldo Moro, presidente della Demo-
crazia Cristiana, mentre si reca alla Camera dei Deputati. I terroristi, in pochi secondi,
uccidono cinque uomini della scorta (Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Raffaele Iozzino,
Giulio Rivera, Francesco Zizzi) e sequestrano Moro.
Dopo una prigionia durata cinquantacinque giorni, il 9 maggio 1978 il corpo del
presidente della DC viene ritrovato a Roma nel baule posteriore di un’automobile.

Documentario: Strage di piazza della Loggia


www.youtube.com/watch?v=ayQrVffS2fo
Video: Il terrorismo raccontato da Indro Montanelli
www.youtube.com/watch?v=iOuTIDxxofw
Dossier: Gli anni di piombo www.lastoriasiamonoi.rai.it/dossier.aspx?id=11

1.6.7 Cina
In Cina, nei primi anni del ‘900, si afferma il movimento nazionalista del Kuomintang
e nel 1912 nasce la Repubblica Cinese.
A partire dagli anni Trenta cominciano a sorgere idee di stampo comunista in
opposizione al governo.
Mao Tse-Tung, a capo della rivoluzione comunista, nel 1949 prende il potere
appoggiato dal sostegno della massa contadina.
I primi interventi del leader comunista sono la distribuzione delle terre al popolo e
la nazionalizzazione delle industrie.
Storia 209

Nonostante lo stato di forte arretratezza l’economia cinese in questo periodo vede un


rapido sviluppo.
All’interno del movimento comunista però cominciano a nascere dei dissapori che
culminano con la rivoluzione culturale del 1966 in cui gli oppositori vengono dura-
mente repressi.
Nel 1976, alla morte di Mao, sale al potere Deng Xiaoping, egli introduce signi-
ficative riforme economiche ma non dimostra apertura in senso democratico.
Apice della chiusura politica del sistema è la Strage di piazza Tienanmen
del 1989 contro gli studenti che manifestano per richiedere l’introduzione del regime
democratico.
Nello stesso anno Xiaoping si ritira da tutte le cariche ufficiali e, dopo il breve

Storia
governo di Zhao Ziyang, il potere passa all’autoritario Jiang Zemin. Zemin rimane
in carica fino al 2003 e introduce il capitalismo nel Paese.
Dal 2004 Hu Jintao è alla guida del partito, del governo e dell’esercito della Cina.

1.6.8 La decolonizzazione
La fine della seconda guerra mondiale rappresenta la fine della sudditanza delle colonie
nei confronti delle potenze europee.

India
Le rivendicazioni di indipendenza indiana hanno origine già negli anni precedenti e sono
caratterizzate dal movimento della non violenza guidato da Mahatma Gandhi
(1889 - 1948).
Nel 1935 viene concesso il Government of India che sancisce un ampliamento del
diritto di voto e una maggiore autonomia amministrativa.
Il 15 agosto 1947 l’India viene riconosciuta indipendente e si instituisce lo Stato
dell’Unione Indiana.
Nel 1956 lo Stato musulmano del Pakistan si stacca dall’Unione Indiana e
diventa autonomo. Tra le due nazioni nascono immediatamente dei contrasti per il
controllo dello stato del Kashmir.
Nel 1971 viene riconosciuta la Repubblica indipendente del Bangladesh.

Indocina
In Indocina il Partito comunista, guidato da Ho Chi Minh, è il fautore della rivolta
contro il dominio francese. In seguito agli scontri del 1954 in quest’area si costituiscono
quattro Stati: Laos, Cambogia, Vietnam del nord (a regime comunista) e Vietnam del
sud (sotto l’influsso occidentale).
La divisione del Vietnam sfocia presto in un conflitto, la guerra del Vietnam,
1960 - 1975. Il Vietnam del nord si fa promotore dell’unificazione dello Stato in-
contrando la dura opposizione statunitense. Nel 1963 le truppe americane combattono
contro i vietcong comunisti e bombardano duramente il Paese. L’intervento statuniten-
se comincia a generare dissenso tanto che nel 1973 il Presidente Nixon ordina il ritiro
delle truppe americane dal Vietnam.
Nel 1975 i vietcong entrano dunque a Saigon e nel 1976 viene istituita la Repub-
blica socialista del Vietnam, unione del nord e del sud del Paese.
In seguito all’unificazione migliaia di vietnamiti del sud abbandonano il territorio
a causa degli espropri dettati dal regime comunista.
210 Storia Contemporanea: dagli anni Ottanta a oggi

Nel 1953 la Cambogia proclama l’indipendenza dalla Francia. Nel 1975 si instaura il
regime dittatoriale di Pol Pot. Egli persegue una dura politica di cambiamento della
società. Sostenuto dai guerriglieri “Khmer rossi” occupa la capitale Phnom Penh e
comincia l’evacuazione della città con l’obiettivo di istituire una società agraria volta
all’isolamento del Paese. Mette in atto un duro sterminio di massa contro intellettuali,
borghesia e contadini.
Nel 1978 i vietcong entrano in Cambogia e nel 1979 pongono fine al regime ditta-
toriale di Pol Pot.
Nel dicembre 1979 le truppe sovietiche invadono l’Afghanistan. I mujaheddin or-
Storia Contemp.

ganizzano le proprie difese ponendo le basi nel vicino Pakistan e ricevono appoggio e
sostegno dagli Stati Uniti per affrontare il nemico moscovita.
Nel 1989 i russi si ritirano dall’area e lasciano il potere al presidente filosovietico Na-
jibullah. Nell’aprile 1992 però i mujaheddin entrano nella capitale Kabul, destituiscono
Najibullah e istituiscono un governo provvisorio.

Africa
Nel 1957 il Sudan ottiene l’indipendenza.
Nel 1960 tocca alla Costa d’Oro che vede la nascita di Ghana, Niger e Somalia
inglese.
Nel 1961 Sierra Leone e Tanganica.
Nel 1962 Uganda, Ruanda e Burundi.
Nel 1963 Kenya.
Nel 1964 Malawi.
Nel 1961 l’Unione sudafricana si rende indipendente dal Commonwealth britanni-
co con il nome di Repubblica Sudafricana. Fin da subito si instaura una politica
razzista fondata sull’apartheid, separazione, da parte della minoranza bianca rispetto
alla maggioranza della popolazione. La discriminazione sfocia in duri scontri razziali
fino a quando il regime dell’apartheid viene rovesciato nel 1989 grazie all’importante
opposizione nera capeggiata da Nelson Mandela.

1.7 Storia Contemporanea: dagli anni Ottanta a oggi


1.7.1 Il crollo del comunismo
Russia
A partire dagli anni Ottanta, in seguito all’elezione di Mikhail Gorbaciov nel 1985,
in Russia si verificano importanti cambiamenti.
Gorbaciov si fa promotore della perestroika, rinnovamento economico e politico,
e della glasnost, trasparenza.
Il nuovo presidente è l’artefice di numerosi cambiamenti.
In ambito economico approva delle leggi che consentono la privatizzazione dei mezzi
di produzione.
In ambito istituzionale introduce l’eleggibilità di organi statali di cittadini non
appartenenti al Partito comunista.
In politica estera si fa promotore della riduzione degli armamenti, del ritiro delle
truppe in Afghanistan, e dell’avvio di una politica pacifica con gli Stati Uniti.
Il 26 aprile 1986 si verifica un catastrofico incidente nucleare: l’esplosione del reat-
tore della centrale nucleare di Cernobyl, in Ucraina.
Storia 211

Nel 1989 Gorbaciov consente il primo governo non comunista.


Nel clima di maggiore libertà le Repubbliche che costituiscono l’Unione delle Re-
pubbliche Socialiste Sovietiche cominciano a rivendicare l’indipendenza da Mosca.
Gorbaciov attua una politica di mantenimento dell’unità nazionale con l’intervento
dell’Armata rossa.
Tuttavia, nel 1991 si indice un referendum relativo all’autonomia delle Repub-
bliche Sovietiche.
Nel dicembre 1991 Gorbaciov rassegna le dimissioni da presidente e il 26 dicembre
si assiste allo scioglimento dell’URSS.
Estonia, Lituania, Lettonia, Tagikistan, Uzbekistan, Moldavia e Ucraina vengono ri-
conosciute Repubbliche indipendenti e costituiscono la Comunità degli Stati Indi-

Storia
pendenti (CSI).
Dopo le dimissioni di Gorbaciov Boris Nikolaevič Eltsin assume la guida della
Russia.
Alle dimissioni di Eltsin, dal 31 dicembre 1999 Vladimir Putin riveste la fun-
zione di Capo dello Stato. Nel 2000 viene eletto Presidente della Federazione Russa e
riconfermato in carica nelle elezioni del 14 marzo 2004.
Impossibilitato ad un terzo mandato per il dettame della Costituzione russa, favo-
risce la vittoria del suo delfino Dmitrij Medvedev, che lo nomina Primo ministro il
giorno stesso del suo insediamento, il 7 maggio 2008.
Il 27 maggio 2008 il Presidente della Repubblica Bielorussa lo nomina Primo Mini-
stro dell’Unione Russia-Bielorussia.
Alle elezioni del 4 marzo 2012 Putin viene eletto per la terza volta Presidente della
Federazione Russa, rimarrà in carica fino al 2018.

Articolo di approfondimento sull’elezione di Putin:


www.balcanicaucaso.org/aree/Russia/Elezioni-del-4-marzo-2012-diario-da-Mosca-113203

Polonia
L’insofferenza polacca nasce già negli anni Settanta. Nel 1980 gli scioperi diventano
sempre più frequenti e importanti. Guidati dal sindacalista Walesa si istituisce un
Comitato di sciopero inter fabbriche. Con gli accordi di Gdansk vengono riconosciuti
la costituzione di un sindacato indipendente, il diritto di sciopero e la possibilità di
seguire la messa in tv.
Nel settembre 1980 nasce il movimento Solidarnosc, costituito da organizzazioni
cattoliche anticomuniste.
Nel 1990 Walesa viene eletto Presidente della Repubblica di Polonia.
Nel 2004 la Polonia entra nell’Unione Europea.

Cecoslovacchia
Nel 1968, durante il periodo definito la Primavera di Praga, il leader del partito
comunista Alexander Dubček promuove una serie di riforme politico istituzionali
che causano l’intervento soppressivo da parte delle truppe sovietiche. Nonostante la
repressione, nel paese si diffonde un sentimento di dissidenza. Nel 1977 gli intellettuali
istituiscono il movimento antisovietico Charta 77.
212 Storia Contemporanea: dagli anni Ottanta a oggi

Nel 1989 crescono le proteste e gli scioperi a favore dell’indipendenza nazionale. Nel
novembre il potere del partito comunista cecoslovacco si sgretola e Vaclav Havel,
leader di Charta 77, viene eletto Presidente della Repubblica.
Nel 1989 lo stato ridiventa uno stato democratico per mezzo dalla cosiddetta Ri-
voluzione di velluto.
Nel 1992, dopo un lungo periodo di discussioni, il parlamento federale decide di
suddividere lo stato tra la Repubblica Ceca e Slovacchia, la Cecoslovacchia cessa
di esistere il 1◦ gennaio del 1993.
La Repubblica Ceca, da sempre legata all’occidente è più stabile economicamente.
Storia Contemp.

Entrambi gli stati nel 2004 entrano nell’Unione Europea.

Ungheria
Già nel 1956 l’Ungheria cerca di liberarsi dall’influenza sovietica ma l’esercito russo
sopprime il tentativo. Il nuovo corso gorbacioviano tuttavia avvia un pluralismo politico
e ideologico che porta alla fine del potere comunista. Nel 1988 viene abbattuto il regime
di Kadar e sostituito da un governo riformatore.
Il 23 ottobre 1989 viene ufficialmente dichiarata la Repubblica d’Ungheria (dal
Presidente provvisorio della Repubblica Mátyás Szűrös). La costituzione sottolinea
anche i “valori della democrazia borghese e del socialismo democratico”, e dà eguale
status a proprietà pubblica e privata.
Nel 1990 si verifica il ritiro delle truppe sovietiche, lo scioglimento del patto di
Varsavia e l’introduzione del mercato libero.
Nel 2004 L’Ungheria entra nell’Unione Europea.

Bulgaria
Alla fine del 1989 il leader comunista Todor Živkov, dopo trentacinque anni di potere,
viene espulso dalla presidenza e dal Partito Comunista Bulgaro.
Il partito rinuncia subito dopo al suo monopolio sul potere e nel giugno 1990 si
tengono le prime elezioni libere in Bulgaria dal 1931.
Le elezioni portano al potere il Partito socialista bulgaro e viene eletto Presidente
il leader dell’opposizione di centro Zhelyu Zhelev.
Il Paese continua tuttavia a vivere una forte crisi economica. Nel 2001 l’ex sovrano
Simeone III, giurando fedeltà alla repubblica, vince le elezioni.
Nel 2007 la Bulgaria entra nell’Unione Europea.

Romania
Nel 1980 la Romania è assalita da una gravissima crisi economica. In questo momento
il regime dittatoriale di Nicolae Ceausescu comincia a dimostrare segni di debolezza.
Fino a questo momento Ceausescu aveva goduto di un potere personale rigidissimo.
Nel 1989 a Timisoara scoppia una violenta rivolta in seguito al progetto del
dittatore di distruggere migliaia di villaggi per costruire nuovi centri agroindustriali.
All’interno dello stesso esercito si costituisce un Fronte di Salvezza Nazionale.
Lo spirito rivoluzionario giunge a Bucarest, dove Ceausescu è costretto ad inter-
rompere un proprio discorso a causa delle manifestazioni di protesta.
Il dittatore e la moglie cercano di fuggire ma vengono fermati e arrestati. Il 25
dicembre 1989 Nicolae e Elena Ceausescu vengono condannati a morte dal tribunale
militare e fucilati.
Storia 213

Il giorno successivo il Fronte Nazionale di Salvezza nomina Petre Roman primo


ministro, ma la maggior parte dei comunisti conserva il proprio posto nel governo.
A partire dal 2000, sotto la presidenza di Ion Iliescu, la politica romena vive
un rinnovamento caratterizzato da una strategia di liberalizzazione economica e di
democratizzazione sociale. Nel 2007 la Romania entra nell’Unione Europea.
L’attuale Presidente delle Repubblica è Traian Basescu.

Albania
In seguito all’occupazione dell’Albania da parte dell’Italia, nel 1941 si sviluppa una
reazione antifascista guidata da Enver Hoxha.
Al termine del conflitto il Paese avvia una politica di isolamento dall’Europa che

Storia
provoca arretratezza economica e industriale. Dal 1946 al 1990 l’Albania è uno sta-
to comunista estremamente isolazionista, stalinista e anti-revisionista.
Alla morte di Hoxha, nel 1985, gli succede Ramiz Alia. Egli, a causa delle massicce
proteste e del clima di pressione, nel 1991 concede le prime elezioni libere. A partire
da questo momento il comunismo può considerarsi formalmente concluso.
La prima riforma legislativa riguarda la nuova Costituzione e la transizione ad un
sistema politico ed economico di tipo liberalistico; in particolare la gestione statale dei
beni viene sostituita con il ripristino alla proprietà privata.
Il Paese però continua a soffrire di molti problemi legati al limitato sviluppo socio-
economico. Migliaia di albanesi, in questi anni, decidono di partire per l’Italia.
Successivamente viene intrapresa la lunga strada verso l’adeguamento ai programmi
europei del Patto di stabilità e crescita secondo il protocollo del Trattato di Maastricht.
Il 4 aprile 2009 il Paese diventa membro della NATO.

Germania
Il 1989 è un anno importante anche per la Germania.
In occasione di una visita di Gorbaciov nella RDT, mi-
gliaia di tedeschi fuggono nel settore occidentale attraverso la
Cecoslovacchia, l’Ungheria e l’Austria. Il 9 novembre 1989 il
governo della Germania orientale liberalizza il transito verso
la RFT. Dopo l’annuncio una moltitudine di cittadini dell’Est
si arrampica sul muro e lo supera per raggiungere gli abitanti
della Germania Ovest. Durante le settimane successive picco-
le parti del muro vengono portate via dalla folla; in seguito si
ricorre all’equipaggiamento industriale per rimuovere quello
che è rimasto della struttura.
La caduta del muro di Berlino apre la strada per la riu-
nificazione tedesca che viene formalmente conclusa il 3 ot- Figura 1.5: Germania, Ca-
tobre 1990. Il nuovo stato assume il nome di Repubblica duta Muro di Berlino - 9
novembre 1989.
Federale di Germania.

1.7.2 La disgregazione della Jugoslavia


Nel 1928, in seguito all’unione del 1918 del Regno di Serbi, Croati e Sloveni, nasce il
Regno di Jugoslavia.
Fin dalla sua creazione tuttavia lo Stato è lacerato da forti tensioni e conflitti etnici.
214 Storia Contemporanea: dagli anni Ottanta a oggi

Nella regione convivono ventiquattro etnie diverse, tra cui prevalgono quella serba e
quella croata, si parlano quattro lingue differenti e si praticano tre diverse confessioni
religiose: musulmana, ortodossa e cattolica.
In seguito alla seconda guerra mondiale emerge la figura di Tito che si era distinto
nella lotta partigiana contro l’occupazione tedesca.
Tito fonda uno Stato socialista federale costituito da sei repubbliche indipendenti:
Croazia, Slovenia, Montenegro, Serbia, Bosnia – Erzegovina e Macedonia.
Negli anni Settanta la crisi economica contribuisce a segnare un divario tra le di-
verse aree, in questo clima si risvegliano le pretese indipendentistiche soprattutto delle
Storia Contemp.

repubbliche più ricche come la Slovenia e la Croazia.


Alla morte di Tito, avvenuta nel 1980, scoppiano le tensioni tra le diverse repubbli-
che sostenute dai partiti nazionalisti.
Nel 1981 si verificano moti nazionalistici nella regione del Kosovo, dove la situa-
zione economica e le condizioni di vita sono difficili.
Nel 1984 Slobodan Milosevic viene nominato Segretario della Federazione di Bel-
grado della Lega dei Comunisti. Dal maggio 1986 al maggio 1989 è presidente del Co-
mitato Centrale della Lega dei Comunisti, e al primo Congresso del Partito Socialista
di Serbia, nel luglio 1990 viene eletto Presidente del Partito, nato dall’unificazione della
Lega dei Comunisti e dalla Lega Socialista del Popolo Lavoratore di Serbia.
Nel maggio del 1989 riceve la nomina di Presidente della Repubblica di Serbia.
Nello stesso anno si intensificano i disordini in Kosovo e Milosevic revoca lo stato
di autonomia della regione.

Documentario: Slobodan Milosevic,


www.youtube.com/watch?v=5ubGsqPh5Cs&feature=relmfu

1.7.3 Guerra di secessione


Il 25 giugno 1991 Slovenia e Croazia proclamano la propria indipendenza. La reazione
serba alla dichiarazione slovena non ha conseguenze pesanti. Al contrario il governo
serbo assume una posizione molto dura di fronte all’indipendenza croata.
Nell’estate 1991 iniziano gli scontri tra le milizie croate e quelle serbe.
A settembre anche la Macedonia e la Bosnia – Erzegovina proclamano la propria
indipendenza.
Il conflitto si estende alla Bosnia, dove la coesistenza di diversi gruppi etnici diventa
il presupposto per degli scontri sanguinosi.
Sarajevo, capitale della Bosnia, viene sottoposta a un feroce assedio da parte delle
milizie serbe.
Nel 1993, a Ginevra, si aprono le trattative di pace ma non si riesce a giungere ad
un accordo circa la spartizione della regione.
Nel 1994 intervengono gli Stati Uniti a favore dell’istituzione di una federazione
croato musulmana in Bosnia – Erzegovina.
L’anno seguente la NATO bombarda la Bosnia contro i serbi.
Il 21 novembre 1995 si stipula la pace di Dayton tra Bosnia, Croazia e Serbia.
Il trattato stabilisce la divisione della Bosnia in due entità: la Repubblica Srpska e
la Federazione croato musulmana. La NATO mantiene una base multinazionale sul
territorio.
Storia 215

Nel 1998, in seguito all’affermazione dei partiti nazionalisti (in particolar modo l’UCK,
Esercito di Liberazione del Kosovo), in Kosovo si assiste a nuovi feroci scontri tra serbi
e albanesi.
Gli Stati Uniti presentano un piano per risolvere la questione kosovara che prevede
uno statuto di autonomia della regione per tre anni, la smilitarizzazione dell’UCK e il
diritto di extraterritorialità della NATO in Serbia e Montenegro.
Tale soluzione non viene tuttavia accolta e il 23 marzo 1999 le forze della NATO
attaccano direttamente la Serbia e il Montenegro.
L’esercito serbo, sotto attacco NATO, aumenta la pressione sulla popolazione al-
banese, che inizia a rifugiarsi verso la Macedonia e l’Albania. Il numero dei rifugiati
raggiunge gli 800.000.

Storia
Il conflitto armato ha portato a molte perdite di vite umane, distruzione e danni
economici, oltre che il rafforzamento della tensione etnica tra i due popoli.
Il 1o aprile 2001, su mandato del tribunale internazionale dell’Aja, Milosevic viene
arrestato per crimini contro l’umanità. Il processo si è interrotto a poca distanza dalla
sua conclusione, a causa della morte dell’imputato l’11 marzo.
Nel 2006 a Vienna sono iniziati nuovi colloqui bilaterali tra il governo serbo e quello
kosovaro per la definizione finale dello status dell’area.

Guerra di secessione
www.ilpost.it/2012/04/05/assedio-sarajevo-foto/

1.7.4 L’Occidente oggi


Il 7 febbraio 1992 i dodici stati CEE firmano il Trattato di Maastricht, e istituiscono
l’Unione europea (UE) che entrerà in vigore il 1 novembre 1993.
Si tratta di un soggetto politico a carattere sovranazionale ed intergovernativo che
comprende 28 paesi membri indipendenti e democratici.
L’Unione consiste attualmente in una zona di libero mercato, detto mercato comune,
caratterizzata, tra l’altro, da una moneta unica, l’euro. Il debutto dell’euro sui mercati
finanziari risale al 1999, mentre la circolazione monetaria ha effettivamente avuto inizio
il 1◦ gennaio 2002 nei dodici paesi dell’Unione che per primi hanno adottato la nuova
valuta.

Francia
Nel 1981 Francois Mitterand viene eletto alla Presidenza della Repubblica e nel
1988 riconfermato per un secondo mandato, fino al 17 maggio 1995. Egli ha contribuito
ad un riavvicinamento alla Germania e a una spinta nei confronti dell’attualizzazione
dell’Unione Europea.
Nel 1955 il gollista Jacques Chirac assume la carica Presidenziale e nel 2002
ottiene nuovamente l’incarico all’Eliseo.
Nel 2007 gli succede Nicolas Sarkozy il quale non viene riconfermato alle elezio-
ni del 2012. L’attuale Presidente della Repubblica Francese è il socialista François
Hollande.
216 Storia Contemporanea: dagli anni Ottanta a oggi

Gran Bretagna
A partire dal 1979 fino al 1990 il governo inglese è guidato dalla conservatrice Marga-
ret Thatcher. La sua politica si caratterizza per una consistente privatizzazione, lo
smantellamento dello Stato assistenziale e l’astensione del Paese all’ingresso nell’Unione
Europea.
Nel 1990 John Major succede alla Thatcher.
Dal 1997 al 2007 Tony Blair ricopre la carica di Primo Ministro del Regno Uni-
to. Viene dunque sostituito dal laburista Gordon Brown fino al 2010, quando il
conservatore David Cameron assume la carica di premier.
Storia Contemp.

Germania
La riunificazione della Germania, fortemente voluta dal popolo tedesco, comporta una
serie di difficoltà per il nuovo Stato in cui la debolezza della zona orientale pesa no-
tevolmente su quella occidentale. Tra il 1991 e il 1994 la Germania si trova a dover
affrontare una pesante crisi economica che fa insorgere episodi di razzismo nei confronti
degli immigrati.
Il Paese riesce tuttavia a ristabilire la politica e la propria forza economica fino ad
occupare una posizione importante sul piano internazionale.
Nel 1998 Gherard Schroder ricopre l’incarico di Cancelliere tedesco.
Nelle elezioni del 2005 gli succede Angela Merkel, leader del CDU (partito cri-
stianodemocratico), che assume la guida della Germania.

Spagna
Felipe Gonzales guida il governo spagnolo dal 1982 al 1996. Egli dà un importan-
te contributo all’opera di ammodernamento del Paese, nonostante la questione del
terrorismo basco per l’indipendenza continui a rappresentare un forte problema.
Gli succede il popolare José Maria Aznar fino al 2004, anno in cui entra in
carica Luis Zapatero. I provvedimenti principali del governo Zapatero sono il ritiro
dell’esercito spagnolo dall’Iraq, le controverse trattative con l’ETA, la legalizzazione
dei matrimoni tra omosessuali e un programma di regolarizzazione per gli immigrati
clandestini.
Nel 2008 Zapatero torna a vincere le elezioni. Nel 2010 diventa il primo Presidente
dell’Unione Europea dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona.
A seguito della pesante crisi economica e della speculazione che ha travolto il Paese,
nel luglio 2011 Zapatero comunica l’intenzione di indire elezioni anticipate, previste per
il 20 novembre 2011.
Mariano Rajoy Brey è l’attuale Presidente del Governo spagnolo.

Italia
I giorni che seguono il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro sono molto difficili e
l’ondata terroristica continua a insanguinare l’Italia.
Il 2 agosto 1980 una bomba esplode nella stazione di Bologna provocando 80
vittime, l’azione è attribuita al terrorismo nero di Destra.
Nel luglio 1980 il socialista Sandro Pertini viene eletto Presidente della Repub-
blica.
Storia 217

Nel 1981 nasce il Pentapartito, formato dall’intesa tra i partiti del vecchio centro-
sinistra con l’aggiunta del PLI. Il governo si sostiene mediante l’appoggio di cinque
partiti politici:
la Democrazia Cristiana (DC),
il Partito Socialista Italiano (PSI),
il Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI),
il Partito Repubblicano Italiano (PRI),
il Partito Liberale Italiano (PLI).

Storia
La coalizione reggerà il governo fino al 1992.
Nel marzo 1981 i giudici istruttori Gherardo Colombo e Giuliano Turone,
nell’ambito di un’inchiesta sul presunto rapimento dell’avvocato e uomo d’affari sicilia-
no Michele Sindona, vengono in possesso di una lista cui appartengono 962 componenti
ad un’associazione segreta: la Propaganda, P2.
Sin dal momento della fondazione nel 1877 col nome di Propaganda massoni-
ca, la sua caratteristica principale è stata quella di garantire un’adeguata copertura
e segretezza agli iniziati di maggior importanza. A partire dal 1970 l’organizzazione
viene riorganizzata e guidata dal faccendiere Licio Gelli, il quale sarà condannato per
depistaggio delle indagini della strage di Bologna del 1980.
“Con la P2 avevamo l’Italia in mano. Con noi c’era l’Esercito, la Guardia di Finanza,
la Polizia, tutte nettamente comandate da appartenenti alla Loggia.” Licio Gelli.
L’orientamento della loggia è decisamente anticomunista e antisindacale.
Nel giugno 1981 Giovanni Spadolini diventa Presidente del consiglio, egli persegue
un programma di inserimento del Paese all’interno del circuito internazionale e di lotta
alla mafia.
Dal 1983 al 1987 il socialista Bettino Craxi ricopre la carica di Presidente del
Consiglio dei Ministri.
Dopo brevi governi, nel 1989 la direzione dell’esecutivo passa a Giulio Andreotti
che rimane in carica fino al 1993.
Il decennio si chiude con una crescente conflittualità tra la DC e il PSI, accompa-
gnata da un progressivo indebolimento del PCI.
Gli anni Novanta sono caratterizzarti da una degenerazione del sistema partitico,
partitocrazia.
Tale fenomeno si caratterizza per un’accentuazione del clientelismo, con la promessa
di favori e raccomandazioni in cambio di voti, un incremento delle collusioni con la
criminalità organizzata, la spartizione delle cariche pubbliche tra i vari esponenti dei
partiti e l’introduzione di un consistente sistema di tangenti.
In questi anni si assiste allo scioglimento del Partito Comunista e alla nascita del
PDS, Partito Democratico di Sinistra, guidato da Achille Occhetto. Alcuni delegati si
staccano dalla nuova coalizione e costituiscono il Partito della Rifondazione Comunista.
Si assiste allo sviluppo del fenomeno del Leghismo. Nato nei primi anni Ottanta,
nel 1990 diventa la quarta forza del Paese. La Lega Nord è un movimento federalista
contraddistinto da ambizioni secessioniste.
Le elezioni dell’aprile 1992 si svolgono con un nuovo sistema elettorale maggioritario
e le tradizionali forze politiche escono ridimensionate dalla consultazione elettorale.
218 Storia Contemporanea: dagli anni Ottanta a oggi

Il 17 febbraio 1992 il pm Antonio Di Pietro chiede e ottiene un ordine di cattura per


l’ingegnere Mario Chiesa. Chiesa era stato colto in flagrante mentre riceveva una tan-
gente dall’imprenditore monzese Luca Magni che, stanco di pagare, aveva chiesto aiuto
alle forze dell’ordine.
Questa data rappresenta l’inizio di Tangentopoli, un sistema di corruzione, con-
cussione e finanziamento illecito ai partiti.
Gli anni Novanta sono segnati da una serie di indagini giudiziarie nei confronti di
esponenti della politica, dell’economia e delle istituzioni italiane, l’operazione prende il
nome di Mani Pulite.
Storia Contemp.

Nell’operazione risultano coinvolti ministri, deputati, senatori, imprenditori e per-


fino ex presidenti del Consiglio.
Il 23 maggio 1992 il magistrato Giovanni Falcone viene assassinato dalla mafia
di Capaci insieme alla moglie e alla scorta.
In un clima di forte tensione si svolgono le elezioni che portano Oscar Luigi
Scalfaro alla Presidenza della Repubblica.
Il 19 luglio 1992 la mafia torna a colpire assassinando, a Palermo, il giudice Paolo
Borsellino. Negli stessi giorni a Milano viene arrestato Salvatore Ligresti, il maggiore
corruttore milanese.
Tangentopoli coinvolge un numero sempre maggiore di indagati e numerosi espo-
nenti politici vengono raggiunti da avvisi di garanzia. Bettino Craxi, nel 1994 lascia
l’Italia e si rifugia in Tunisia nella sua villa di Hammamet.
In questi mesi, in cui Carlo Alberto Ciampi è presidente del Consiglio, tramontano
i due storici partiti, la DC e il PSI.
La DC, guidata dal leader Mino Martinazzoli, muta il proprio nome in Partito
Popolare, mentre il PSI si scioglie definitivamente.
Il vuoto lasciato da queste forze politiche consente l’emergere delle nuove coalizioni.
Nel 1993 la Lega Nord si impone all’attenzione pubblica con le proprie posizioni
razziste e secessionistiche, il MSI raccoglie consensi da parte dei nostalgici fascisti e nel
novembre 1993 l’imprenditore Silvio Berlusconi fonda l’Associazione Nazionale Forza
Italia. Nel 1994 l’MSI si trasforma in Alleanza Nazionale.
Le elezioni del 1994 vedono trionfare la nuova formazione di Forza Italia e portano
Silvio Berlusconi al potere. Il nuovo governo di centro destra è costituito da Forza
Italia, AN e Lega Nord. Già nel dicembre tuttavia la coalizione si scioglie a causa della
dissociazione della Lega.
Segue un governo tecnico guidato da Lamberto Dini e nel 1996 il governo pas-
sa alla coalizione di centro sinistra dell’Ulivo guidata da Romano Prodi. Nel 1998
Massimo D’Alema subentra a Prodi e la legislatura si conclude con il governo di
Giuliano Amato.
Nel 2001 si assiste alla formazione di un nuovo governo presieduto da Silvio Ber-
lusconi. In seguito a contrasti interni alla Casa delle Libertà la coalizione cade nel
2005.
Le elezioni politiche del 2006 portano al governo l’alleanza di centro sinistra guidata
da Romano Prodi.
Il 14 ottobre 2007 nasce il partito di centro sinistra, il Partito Democratico (PD).
D’altro canto, dall’unione dei due principali partiti di centro-destra, Forza Italia
e Alleanza Nazionale, durante una manifestazione a Milano Berlusconi lancia la nascita
del nuovo partito il Popolo delle Libertà.
Storia 219

Il Popolo delle Libertà inizialmente si costituisce come federazione di partiti politici


per poi trasformarsi in soggetto politico unitario.
Nel 2008 cade il governo Prodi.
Nella primavera 2008 si tengono nuove elezioni politiche in cui si confrontano le due
nuove coalizioni. Le elezioni decretano la vittoria del partito di centro destra.
Le elezioni amministrative del 2011 segnano un netto arretramento del Popolo delle
Libertà.
Nelle grandi città si registra una vittoria del centrosinistra. Il 1 giugno 2011 Angelino
Alfano, già Ministro della Giustizia, viene nominato segretario politico del PdL.
Il 12 novembre 2011, dopo l’approvazione della legge di stabilità in entrambe le
camere a causa della perdita della maggioranza assoluta alla Camera dei deputati e della

Storia
crisi economica del Paese, Berlusconi rassegna le dimissioni e quelle del suo governo.
Il 13 novembre 2011, a seguito delle dimissioni di Silvio Berlusconi, Mario Monti ri-
ceve dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano l’incarico per la formazione
di un nuovo governo.
Il 16 novembre Mario Monti assume l’incarico di Presidente del Consiglio dei Mi-
nistri e presenta la lista dei Ministri per la nomina. Il suo governo viene definito
tecnico.
Fino al luglio 2012 Mario Monti ricopre anche la carica di Ministro dell’Economia,
successivamente il Premier lascia la poltrona da lui occupata ad interim e nomina
Vittorio Grilli al dicastero di via XX Settembre.
Il 31 ottobre viene approvato un decreto legge volto a riordinare l’assetto territoriale
dello Stato in particolar modo coinvolgendo le province e le città. Il 6 dicembre il partito
del Popolo delle Libertà lascia la maggioranza causando una crisi di governo.
Il 21 dicembre il Presidente del Consiglio Mario Monti lascia l’incarico rimettendo
il proprio mandato al Capo dello Stato dopo l’approvazione della legge di stabilità.
Il Presidente della Repubblica consulta i partiti e non esistendo spazio in sede
Parlamentare per costituire un nuovo Governo, provvede a sciogliere le Camere ed
indice nuove elezioni politiche nei giorni 24 e 25 febbraio 2013. Il Quirinale ufficializza
con decreto la prima data di convocazione delle nuove Camere per il 15 marzo 2013.
Il quadro politico uscito dalle urne è totalmente frammentato e caotico. La coalizione
di sinistra di Bersani si impone alla Camera per mezzo punto percentuale rispetto
all’alleanza guidata da Berlusconi. Il Movimento 5 Stelle di Grillo risulta il primo
partito nazionale. Viene a crearsi un situazione di estrema ingovernabilità del nostro
Paese.

USA
Nel 1989 George Herbert Walker Bush conquista la presidenza americana. Nel
1991, al fine di liberare il Kuwait dall’aggressione irachena coinvolge gli Stati Uniti
nella Guerra del Golfo.
Nel 1992 non viene riconfermato e gli succede il democratico Bill Clinton il quale
ottiene la rielezione nel 1996.
La Presidenza della Casa Bianca nel 2001 passa a George W. Bush, figlio del
presidente in carica negli anni Novanta.
In seguito all’attentato terroristico dell’11 settembre 2001, Bush intraprende una
dura lotta nei confronti dell’Afghanistan che nel 2002 porta alla caduta del governo
talebano.
220 Storia Contemporanea: dagli anni Ottanta a oggi

Nel 2003 il Presidente Bush dà inizio alla guerra contro l’Iraq, accusato di detenere
armi di distruzione di massa che non saranno mai rinvenute. Il leader iracheno Saddam
Hussein viene catturato e giustiziato.
George W. Bush viene riconfermato alla Presidenza alle elezioni del 2004.
Le elezioni del 2008 decretano la vittoria del democratico Barack Obama, il primo
Presidente afroamericano nella storia degli USA.
Nelle elezioni presidenziali del 2012 Obama ha la meglio sul rappresentante del
partito repubblicano Mitt Romney ottenendo cosı̀ il governo per altri quattro anni.
Storia Contemp.

1.7.5 Il conflitto arabo israeliano


Il 14 maggio 1948 l’ONU proclama lo Stato di Israele dove si insediano coloni ebrei
giunti da ogni parte del mondo. In seguito al riconoscimento dei diritti ai soli cittadini
di origine ebraica, le masse arabo palestinesi che fino a questo momento hanno popolato
la zona trovano rifugio nei campi profughi degli Stati confinanti.
Tale situazione sfocia ben presto in un conflitto. Da una parte gli ebrei, perseguitati
dal nazismo, considerano lo Stato di Israele come una “Terra promessa”, dall’altra le
popolazioni arabe non accettano una posizione marginale nel territorio che da sempre
abitano.
Nel 1956 un gruppo di esuli palestinesi fonda il movimento di Al Fatah, un gruppo
armato che contrasta Israele.
Nello stesso anno il leader egiziano Gam l ‘Abd al-Nasser, promotore del nazio-
nalismo arabo, dà avvio ad un’opera di nazionalizzazione della Compagnia del Canale
di Suez, delle banche e delle industrie e promuove una riforma agraria.
Tali manovre provocano la reazione di Francia e Inghilterra che fino a questo mo-
mento hanno esercitato il controllo sull’area. Le due potenze europee, sostenute da
Israele, con truppe armate invadono l’Egitto in difesa degli interessi coloniali.
L’ONU costringe Francia e Inghilterra al ritiro, mentre Israele deve cedere i territori
di Gaza e Sinai occupati.
La politica di Nasser, sostenuta dall’Unione Sovietica, si dichiara apertamente ostile
al mondo occidentale.
Nel giugno 1967 il leader egiziano chiude ad Israele il golfo di Aqaba sul Mar Rosso.
Lo stato ebraico attacca dunque Egitto, Giordania e Siria. Lo scontro è molto rapido,
definito guerra dei sei giorni. Israele conquista il Sinai, la Cisgiordania, Gerusalemme
e le alture siriane del Golan.
Nel 1969 si costituisce l’OLP, Organizzazione per la liberazione della Palestina,
guidata da Yasser Arafat.
Accanto al popolo palestinese si schierano Egitto, Siria, Giordania, Arabia Saudita,
Libia, Algeria e URSS.
D’altro canto gli Stati Uniti sostengono Israele.
Nell’ottobre 1973 il nuovo leader egiziano Anwar Sadat attacca Israele per ricon-
quistare il Sinai. Anche in questo caso il conflitto viene sedato grazie all’intervento
dell’ONU.
La reazione degli Stati arabi è quella di sospendere l’esportazione del petrolio per
colpire le nazioni che appoggiano Israele. Nel 1978 tuttavia Sadat si avvicina ai Paesi
occidentali firmando a Camp David, negli USA, un trattato di pace con Israele che
sancisce la restituzione della regione del Sinai.
Storia 221

I fondamentalisti islamici considerano negativamente la posizione mediatrice del leader


egiziano che, nel 1981, viene ucciso durante un attentato.
In Libano, tra il 1975 e il 1976 si scatena una violenta guerra civile tra diversi
gruppi musulmani in lotta tra loro e i cristiani maroniti. Nel Paese intervengono le
milizie siriane in difesa dei gruppi islamici e quelle israeliane in appoggio ai cristiani.
Nel 1982 Israele entra nuovamente in Libano meridionale e i cristiani libanesi massa-
crano migliaia di profughi palestinesi.
A partire dal 1987 i palestinesi promuovono l’Intifadah, rivolta delle pietre, una
lotta armata all’interno dei territori occupati contro Israele.
Nel 1988 Arafat proclama la nascita dello Stato di Palestina, riconosce lo Stato
di Israele e rinnega le azioni terroristiche.

Storia
I conflitti interni tuttavia non si arrestano e nel 2000 prende vita una nuova e più
sanguinosa Intifadah.
Nel 2004 muore lo storico leader Arafat.
Nel 2005 le truppe israeliane si ritirano dalla striscia di Gaza.
La tensione continua tuttavia ad essere alta. La causa palestinese viene sostenuta
da gruppi fondamentalisti islamici che fanno del terrorismo la propria arma principa-
le. Al Quaeda, la base, è l’organizzazione responsabile degli attentati di New York
dell’11 settembre 2001. L’azione, guidata da Osama bin Laden, provoca circa tremila
vittime.
La reazione statunitense è quella di attaccare l’Afghanistan, regime fondamentali-
sta musulmano dei taliban. Una coalizione angloamericana invade il Paese provocando,
nel dicembre 2011, la caduta del regime talebano. Dal 2002 Hamid Karzai è alla
guida del Paese.
In reazione al sequestro di due soldati israeliani da parte delle milizie islamiche
Ezbollah stanziate nel Libano meridionale, Israele intenta una guerra contro il Libano.
Gli scontri si perpetuano per trentacinque giorni senza giungere a risultati definitivi.
Il premier israeliano Ehud Olmert in patria viene criticato per non aver riportato
una vittoria decisiva sui nemici.
Dal 2007 il Presidente dello Stato di Israele è Shimon Peres, egli riapre il conflitto
con i palestinesi.
Tra il dicembre 2008 e gennaio 2009 l’esercito israeliano attacca la Striscia di Gaza.
L’azione, intesa come punizione nei confronti del leader palestinese Hamas, ritenuto
responsabile degli atti terroristici arabi, provoca più di 1500 morti e 5000 feriti. Il
29 novembre 2012 l’ONU delibera l’innalzamento dello status dell’autorità palestinese
a Stato Osservatore. Si tratta di un primo passo verso il riconoscimento dello Stato
Palestinese.

1.7.6 Il conflitto Iran – Iraq


Tra il 1978 e il 1979 l’Iran vive un periodo di forte rivoluzione guidata dall’Ayatollah
Khomeini. La rivolta porta alla caduta del regime dello scià di persia Reza Pahlevi
e all’instaurazione della Repubblica Islamica d’Iran.
Fin dal principio la Repubblica Islamica è caratterizzata da un intrinseco dualismo
tra potere religioso e istituzioni statali.
Nel 1980 si innesca una guerra tra l’Iraq e l’Iran per la conquista di alcuni territori
di confine. Il leader iracheno Saddam Hussein è sostenuto dai Paesi occidentali.
222 Storia Contemporanea: dagli anni Ottanta a oggi
Storia Contemp.

Figura 1.6: Conflitto in Iraq: Saddam Hussein.

Il conflitto si arresta nel 1988 e Hussein riveste il ruolo di difensore degli interessi
occidentali nel mondo arabo.
Dal 1997 l’Iran è guidato dallo sciita moderato Mohamad Khatami.
Le elezioni del 2005 segnano la vittoria alla Presidenza della Repubblica di Mah-
moud Ahmadinejad che dimostra ben presto le proprie idee anti-sioniste, le posizio-
ni anti-americane e anti-occidentali.
Il 3 agosto 2005 riceve l’approvazione della Guida Suprema l’ayatollah Ali Khamenei.
Il 23 agosto 2008 Khamenei annuncia di vedere “Ahmadinejad come Presidente per
i prossimi cinque anni”, un commento interpretato come un sostegno favorevole per la
rielezione di Ahmadinejad.
Durante le elezioni si verificano proteste per presunti brogli elettorali. Il 3 agosto
2009 l’Ayatollah approva formalmente Ahmadinejad come Presidente, il quale presta
giuramento per un secondo mandato.
Le elezioni presidenziali lo riconfermano nella sua carica, ma la correttezza delle
operazioni di voto è oggetto di grande contestazione da parte dell’opposizione. Nei
giorni successivi alle elezioni si tengono numerose manifestazioni di protesta che ven-
gono duramente represse dal governo e si registra la morte di un indefinito numero di
manifestanti.

1.7.7 La guerra del Golfo


La guerra del Golfo è il conflitto che oppone l’Iraq a una coalizione formatasi sotto
l’egida dell’ONU e guidata dagli Stati Uniti.
Il 2 agosto 1990 Saddam Hussein invade il Kuwait entrando in conflitto con Francia,
Inghilterra e Usa che fino a questo momento hanno gestito il monopolio della produzione
petrolifera in Kuwait.
Il 15 gennaio 1991 l’ONU impone a Saddam il ritiro delle truppe. Il leader iracheno
necessita dunque dell’appoggio dei paesi arabi e si rivela garante della causa palestinese
contro il Kuwait, paese traditore e asservito all’Occidente.
Il 17 gennaio 1991 le truppe americane, supportate dai contingenti della coalizione,
penetrano in territorio iracheno.
Saddam reagisce attaccando Israele e dando fuoco a settecento pozzi petroliferi in
Kuwait.
Storia 223

Il conflitto si conclude a favore degli Stati Uniti il 28 febbraio 1991. L’ONU impone dure
sanzioni all’Iraq che per contro ristabiliscono la figura del leader Hussein all’interno del
mondo arabo.
Il regime instaurato da Saddam Hussein tuttavia, fin dal 1979, ha un carattere
fortemente repressivo nei confronti dei dissidenti politici e delle minoranze etniche
curde e sciite.
In seguito alle rivolte del popolo curdo e ai bombardamenti chimici che il dittatore
aveva sferrato contro i villaggi, nel 1992 a Saddam viene imposto il divieto di sorvolare
le zone occupate dai ribelli.
Il popolo curdo, costituito da venticinque milioni di persone, non ha mai visto il
riconoscimento di un proprio Stato.

Storia
In seguito alle incursioni aeree di Saddam sugli spazi interdetti, nel gennaio 1993 il
presidente americano Bill Clinton attacca nuovamente l’Iraq.

1.7.8 La seconda guerra del Golfo


Accusato di non aver adempiuto agli obblighi imposti dalla comunità internazionale e di
possedere ancora armi nucleari, chimiche e biologiche (mai trovate però dagli ispettori
dell’ONU), il 19 marzo 2003 l’Iraq viene nuovamente attaccato.
300.000 soldati statunitensi e britannici invadono il territorio dando il via all’ope-
razione Iraq Freedom con l’obiettivo di disarmare e distruggere il regime di Saddam,
accusato di collusione con il terrorismo internazionale.
Le truppe della coalizione prevalgono facilmente sull’esercito iracheno.
Il 9 aprile cade la capitale e i Marines entrano vittoriosi nella piazza del Paradiso
dove viene abbattuta la statua di Saddam Hussein. Il 15 aprile le truppe statuniten-
si attaccano e conquistano Tikrt, ultimo bastione di Saddam. Il 1◦ maggio 2003 il
presidente americano George W. Bush proclama la fine dei combattimenti in Iraq.
L’ex presidente iracheno viene catturato, sottoposto a processo da un tribunale
iracheno per crimini contro l’umanità e condannato a morte. L’esecuzione per impic-
cagione avviene il 30 dicembre 2006.
Nel marzo 2004 il Consiglio interinale di governo raggiunge un accordo su una “legge
di transizione” per accompagnare il Paese nel delicato processo del passaggio dei poteri
all’amministrazione civile nazionale.
Il Consiglio di sicurezza dell’ONU avvia la fase di passaggio della sovranità dall’am-
ministrazione militare a un nuovo governo provvisorio iracheno. Alla sua guida viene
nominato lo sciita Iyad Allawi, uomo di fiducia degli Stati Uniti. Il nuovo governo si
trova di fronte a una situazione difficile.
In un clima di forte tensione, il 30 gennaio 2005 si svolgono le elezioni per eleggere
il nuovo Parlamento.
Nonostante le pressioni statunitensi e britanniche, la costituzione del nuovo governo
viene più volte rimandata a causa dei disaccordi tra le varie forze politiche. Il governo
si forma finalmente sotto la guida dello sciita Nuri Kàmil al-Màliki.
Nei primi mesi del 2006 si rafforzano le attività guerrigliere contro le forze d’occu-
pazione e si intensifica lo scontro tra le comunità sciita e sunnita, provocando la morte
di centinaia di persone.
Il bilancio dei tre anni di conflitto è tragico.
224 Storia Contemporanea: dagli anni Ottanta a oggi

1.7.9 La primavera araba


Con l’espressione primavera araba si indica la serie di rivolte scoppiate in Medio
Oriente e Nord Africa nel dicembre 2010 e per certi versi ancora in corso.
Le principali cause delle manifestazioni sono
la corruzione, l’assenza di libertà individuali,
la violazione dei diritti umani e le condizioni
di vita molto dure della popolazione.
La scintilla per l’intera rivolta, in segui-
to denominata “rivoluzione dei gelsomini”, è
Storia Contemp.

stata il gesto estremo compiuto dal tunisino


Mohamed Bouazizi che si è dato fuoco in se-
guito ai maltrattamenti subiti da parte del- Figura 1.7: La primavera araba.
la polizia. A partire da questo momento un
effetto domino si è propagato ad altri Paesi del mondo arabo.

La primavera araba e le donne


www.ilpost.it/2011/10/21/la-primavera-araba-e-le-donne/

Le rivolte in Tunisia
Dopo il gesto disperato di Mohamed Bouazizi, avvenuto 17 dicembre 2010, la popo-
lazione organizza a Tunisi una serie di manifestazioni duramente colpite dalla polizia.
Nonostante gli atti di violenza da parte delle istituzioni statali le rivolte nel Paese
non si placano. Il 13 gennaio il Presidente tunisino Ben Ali si impegna a lascia-
re il potere nel 2014 e promette di garantire la libertà di stampa. Nonostante que-
sto intervento le manifestazioni continuano. Ben Ali dichiara lo stato d’emergenza
e impone il coprifuoco in tutto il Paese. La sera stessa viene dato l’annuncio che
il Presidente, dopo ventiquattro anni al potere, ha lasciato il Paese. Il 6 febbraio
2011 il Ministro degli Interni annuncia la cessazione delle attività del partito del
Presidente deposto, l’RCD, e la chiusura di tutte le sedi del partito. Il 27 febbra-
io l’ex Presidente della Camera Fouad Mebazaa, che aveva assunto provvisoriamen-
te la presidenza, si dimette. Nel mese di ottobre si assiste alle elezioni per l’Assem-
blea Costituente e a dicembre Hamadi Jebali diventa primo ministro della Tuni-
sia.

Le rivolte in Egitto
Il 25 gennaio 2011 al Cairo, durante le proteste della “giornata della collera”, si svilup-
pano violenti scontri con feriti ed arresti. I manifestanti, contrari al regime di Hosni
Mubarak, invocano la liberazione dei detenuti politici, la liberalizzazione dei media e
accusano la corruzione dell’oligarchia.
Nei giorni seguenti le contestazioni si estendono ad altre città egiziane. Il 5 febbraio
si dimette l’esecutivo del Partito nazionale democratico di Mubarak e l’11 febbraio ven-
gono annunciate le dimissioni del rais. L’Egitto si trova nelle mani di una giunta militare
in attesa dell’emendamento della Costituzione e delle prossime elezioni presidenziali.
Il 23 e il 24 maggio 2012 si svolgono le prime elezioni presidenziali libere del Paese. Il
primo turno vede l’assegnazione del 24,7% dei voti al candidato dei Fratelli Musulmani
Mohammed Mursi, mentre al secondo posto risulta Ahmed Shafiq.
Storia 225

Mohammed Mursi vince il ballottaggio e nel mese di giugno diventa il nuovo presidente
egiziano.

Articolo sul nuovo Presidente egiziano


www.ilpost.it/2012/06/24/mohammed-mursi-e-il-nuovo-presidente-egiziano/

Le rivolte in Libia
Nella città di Bengasi il 16 febbraio si verificano violenti scontri fra manifestanti e
polizia. Parallelamente nel Paese si tengono manifestazioni a sostegno del governo del

Storia
leader Mu’ammar Gheddafi.
Bengasi diventa la città simbolo della rivolta libica a favore della cacciata del ditta-
tore, al potere da oltre quarant’anni. Le forze dell’ordine intervengono violentemente a
sopprimere la protesta, il 20 febbraio il bilancio delle vittime si avvicina ai 300 morti.
Intanto la rivolta si allarga anche alla capitale Tripoli dove, per soffocare la protesta,
si fa ricorso a raid dell’aviazione sui manifestanti. Il 21 febbraio la delegazione libica
all’Onu prende le distanze dal leader Muammar Gheddafi. Le azioni di repressione
sono sempre più violente, tanto da venir definite crimini contro l’umanità. Dopo un
estenuante conflitto il 20 ottobre 2011 Muammar Gheddafi viene catturato e ucciso
vicino a Sirte.

Le rivolte in Siria
Le sommosse popolari sorte in Siria nel 2011 e 2012 assumono connotati violenti sfo-
ciando in sanguinosi scontri tra polizia e manifestanti. L’obiettivo della rivolta è quello
di spingere il Presidente siriano Bashar al-Assad a dare un’impronta democratica
allo Stato. In virtù di una legge degli anni Sessanta che impedisce le manifestazioni, il
regime ha soppresso con violenza le dimostrazioni popolari.
Il conflitto, iniziato il 15 marzo 2011, si trasforma in guerra civile nel 2012. Secondo
le varie fonti sono state uccise fino a 30.000-37.000 persone, di cui circa la metà sono
civili. La Lega Araba, gli Stati Uniti, l’Unione Europea, gli Stati del CCG e altri Paesi
condannano l’uso di violenze contro i manifestanti. Nel dicembre 2011 la Lega Araba
invia una missione di osservatori per una risoluzione pacifica della crisi. Un ulteriore
tentativo di risolvere la crisi è intrapreso con la nomina di Kofi Annan come inviato
speciale dell’Onu. Le violenze tuttavia non si arrestano. Nel corso di una protesta
presso le Alture del Golan, il 5 giugno 2012 i soldati israeliani aprono il fuoco contro
i dimostranti palestinesi. Il 21 agosto il Presidente degli Stati Uniti Obama ammette
la possibilità di un intervento militare degli Stati Uniti se la Siria impiegherà armi
chimiche contro popolazione civile. Il 25 agosto 2012 l’esercito governativo lancia missili
su quartieri residenziali nelle periferie di Damasco. La situazione rimane altamente
critica.
Le truppe del Presidente bombardano gli ospedali e gli edifici civili di Hama e Homs,
il numero delle vittime aumenta tragicamente.
In sede Onu la Russia e la Cina pongono il veto per bloccare la risoluzione con il
regime di Damasco, mentre la Lega Araba vorrebbe delle sanzioni congiunte e chiede
al Rais di lasciare e di porre fine alle violenze.
226 Storia Contemporanea: dagli anni Ottanta a oggi

1.7.10 Attualità
11 febbraio 2013: il cardinale tedesco Joseph A. Ratzinger, eletto papa nel 2005 con
il nome di Benedetto XVI, annuncia la sua intenzione di rinunciare al soglio pontificio
a partire dal successivo 28 febbraio, a causa dell’età avanzata e delle forze non più
adeguate all’esercizio del ministero.
12 marzo 2013: nelle sale della Cappella Sistina si apre il Conclave per l’elezione
del successore di Benedetto XVI.
13 marzo 2013: dopo cinque scrutini viene eletto papa l’argentino Jorge Mario
Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, il quale assume il nome di Francesco I. Si tratta
Storia Contemp.

del primo papa proveniente dall’America Latina e del primo gesuita innalzato al soglio
pontificio.

Nella storia della Chiesa altri sei pontefici hanno rinunciato volontariamente all’incarico pa-
pale. Il primo in ordine di tempo fu Clemente I (92-97), che, dopo essere stato arrestato ed
esiliato, rinunciò alla carica a favore di Evaristo (97-105). Nel 235 fu la volta di Ponziano,
che, dopo essere stato deportato in Sardegna dai romani, abdicò a favore di Antero per non
lasciare i fedeli senza guida. Nel 537 Silverio, dopo essere stato deposto dal nuovo pontefice
Vigilio gradito all’imperatrice Teodora, fu indotto ad abdicare ufficialmente. Benedetto IX,
divenuto papa nel 1033, abdicò una prima volta nel 1044 a favore di Silvestro III, che resse
il seggio papale fino al 1045. Benedetto IX riprese la carica nel 1045, per poi venderla, dopo
pochi mesi, a Gregorio VI, che venne accusato di averla acquisita illegalmente rinunciando a
sua volta. Il più celebre caso di rinuncia fu quello di Pietro da Morrone, che divenne papa
col nome di Celestino V il 29 agosto 1294 e cinque mesi più tardi rinunciò all’incarico, giudi-
candosi privo delle qualità occorrenti al governo della Chiesa. In seguito alla sua rinuncia fu
eletto Bonifacio VIII, che fece imprigionare Celestino V fino alla sua morte. Di fazione politica
opposta a Dante Alighieri, Celestino fu inviso al poeta che lo collocò nel girone degli ignavi,
etichettandolo come “colui che fece per viltade il gran rifiuto” (Inferno III, 58-60). L’ultima
rinuncia prima di Benedetto XVI è quella del veneziano Angelo Correr, eletto papa col nome
di Gregorio XII all’epoca dello scisma che lacerava la Chiesa d’Occidente, divisa tra ben tre
papi (Gregorio XII “papa di Roma”, Benedetto XIII “papa di Avignone” e l’antipapa Gio-
vanni XXIII). Durante il Concilio di Costanza l’imperatore Sigismondo intimò ai tre pontefici
di abdicare, nel caso che non si trovasse una soluzione e non si raggiungesse l’accordo fra i tre
pretendenti al Soglio. Solo Gregorio XII ubbidı̀ alla richiesta imperiale e si dimise. Benedetto
XIII rifiutò e fu deposto, cosı̀ come Giovanni XXIII. Il concilio pose quindi fine allo scisma
eleggendo all’unanimità un nuovo e unico papa, il cardinale Ottone Colonna, il quale assunse
il nome di Martino V (1417-1431).

16 marzo 2013: L’ex magistrato Piero Grasso viene nominato Presidente del Se-
nato della Repubblica. Nello stesso giorno, Laura Boldrini, in precedenza portavo-
ce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), viene eletta
Presidente della Camera dei Deputati.
18 Aprile 2013: iniziano le elezioni per il nuovo Presidente della Repubblica
Italiana.
20 Aprile 2013: Al sesto scrutinio e con 738 voti Giorgio Napolitano viene rieletto
Presidente della Repubblica, con i voti del Partito Democratico, del Popolo della Li-
bertà, della Lega Nord e di Scelta Civica. Napolitano diventa cosı̀ il primo presidente
nella storia repubblicana italiana ad ottenere un secondo mandato.
24 aprile 2013: Napolitano, appena rieletto presidente della Repubblica, vista
l’impossibilità di dar vita a un governo guidato da Pier Luigi Bersani, capo della coali-
Storia 227

zione di centro-sinistra uscita vincitrice alla elezioni del 24 e 25 febbraio ma priva della
necessaria maggioranza al Senato, conferisce a Enrico Letta, vice segretario del Par-
tito Democratico, l’incarico di formare un nuovo governo. Letta accetta l’incarico con
riserva, che scioglie positivamente il 27 aprile. Lo stesso giorno presenta al Presidente
Napolitano la lista dei ministri.
28 aprile 2013: si insedia il LXII governo della Repubblica Italiana, composto
da esponenti del Partito Democratico, del Popolo della Liberta e di Scelta Civica.
Presidente del Consiglio è Enrico Letta. La carica di vice presidente del Consiglio dei
ministri è affidata al segretario del Popolo della Libertà Angelino Alfano.
29 aprile 2013: il governo Letta ottiene la fiducia della Camera dei Deputati con
453 voti favorevoli, 153 contrari e 17 astenuti. Il giorno successivo ottiene la fiducia

Storia
anche al Senato con 233 sı̀, 59 no e 18 astenuti.
28 settembre 2013: i ministri del Partito della Libertà si dimettono dall’incarico,
prendendo a pretesto la decisione di posticipare il decreto che impediva l’aumento
dell’IVA dal 21 al 22%. Si apre di fatto una crisi di governo. Il giorno seguente Letta
si reca al Colle dal Presidente della Repubblica per cercare una possibile soluzione.
2 ottobre 2013: al termine di una convulsa giornata il governo Letta ottiene la
rinnovata fiducia sia al Senato che alla Camera.
5 dicembre 2013: all’età di 95 anni muore Nelson Mandela, leader sudafricano
simbolo della lotta all’apartheid (“separazione” in lingua afrikaans) e premio Nobel per
la pace nel 1993. Soprannominato Madiba, dopo mezzo secolo di lotte nel 1991 divenne
il primo presidente nero del Sudafrica.

Le rivolte in Egitto
12 agosto 2012: il presidente Morsi ordina la rimozione dall’incarico di Hussein Tanta-
wi, capo dell’esercito e ministro della Difesa del suo governo, e di molti generali di alto
livello; inoltre impedisce ai militari di intervenire sulla legislazione e sulla stesura della
nuova Costituzione. Il nuovo primo ministro Hisham Qandil forma un governo compo-
sto da tecnocrati, islamisti e membri del vecchio governo, escludendo le forze laiche e
liberali. Combattenti islamici attaccano un avamposto militare nel Sinai, uccidendo 16
soldati. Morsi allontana il Ministro della Difese e il Capo di Stato maggiore
novembre 2012: Morsi si attribuisce, mediante decreto, ampi poteri giudiziari,
giustificandosi con la necessità di voler rendere non impugnabili i suoi decreti presiden-
ziali per mettere al riparo il lavoro dell’Assemblea Costituente incaricata di redigere
una nuova Costituzione. Il decreto richiede anche un nuovo processo da intentare agli
imputati legati al regime di Mubarak ed estende il mandato dell’Assemblea Costituente
di due mesi. Inoltre, la dichiarazione autorizza Morsi a prendere tutte le misure neces-
sarie per proteggere la rivoluzione. Il provvedimento scatena una serie di proteste in
Piazza Tahrir e in varie altre località del Paese, fomentate dai partiti all’opposizione.
Nello stesso tempo anche la magistratura egiziana proclama uno sciopero di protesta
contro quello che viene definito un vero e proprio golpe del presidente Morsi. Dopo le
proteste popolari Morsi rinuncia al decreto.
26 dicembre 2012: la nuova Assemblea Costituente, con maggioranza islamica,
approva la bozza della nuova Costituzione, che accresce il ruolo dell’Islam e limita la li-
bertà di parola e di riunione. Un referendum approva la nuova Costituzione, scatenando
in tutto il paese le proteste dell’opposizione laica e cristiana.
228 Storia Contemporanea: dagli anni Ottanta a oggi

Marzo 2013: un tribunale amministrativo annulla le elezioni parlamentari indette


da Morsi per il 22 aprile, per non aver trasmesso alla Corte Costituzionale la legge
elettorale emendata dalla Camera alta.
30 giugno 2013: milioni di egiziani manifestano al Cairo e nelle principali città
egiziane per chiedere le dimissioni di Morsi a un anno dalla sua elezione. Un nuovo
movimento popolare di opposizione, Tamrod, guida la proteste. La Corte Suprema
annulla le elezioni parlamentari vinte dai Fratelli Musulmani e il Consiglio supremo
delle forze armate scioglie l’assemblea. Morsi revoca l’ordine di scioglimento.
1 luglio 2013: le forze armate egiziane e il ministero della difesa impongono un
Storia Contemp.

ultimatum di 48 ore al presidente Morsi.


2 luglio 2013: Morsi lancia un “appello al martirio”, affermando di voler proteggere
la democrazia con la sua stessa vita.
3 luglio 2013: il Supremo Consiglio Militare respinge la richiesta di Morsi di dare
vita ad un governo di coalizione nazionale e lo depone dalla carica di presidente. Morsi
e altri membri del governo vengono arrestati per scongiurare il pericolo di fuga.
4 luglio 2013: viene nominato presidente ad interim fino alle future elezioni il
giudice e presidente della Corte Costituzionale, Adli Mansour; Mohamed El Baradei,
premio Nobel per la pace nel 2005, è vicepresidente. I militari mantengono un ruolo
chiave nel nuovo governo mentre i Fratelli Musulmani ne sono completamente esclusi.
5 luglio 2013 (“Venerdı̀ del rifiuto”): al Cairo e in altre città scoppiano violenti
scontri tra i Fratelli Musulmani e la Guardia Repubblicana: il conto finale è di decine
di morti e centinaia feriti.
6 luglio 2013: il Fronte di salvezza nazionale, che riunisce tutte le forze laiche di
opposizione, convoca una manifestazione per “difendere la rivoluzione del 30 giugno”.
8 luglio 2013: un gruppo di sostenitori dell’ex-presidente Morsi, che manifestava
davanti a una sede della Guardia Repubblicana (esercito egiziano), viene attaccato da
un gruppo di militari, causando decine di vittime e centinaia di feriti. I Fratelli Mu-
sulmani convocano una nuova ondata di manifestazioni per chiedere la liberazione di
Morsi e il ripristino della legalità. Nello stesso giorno il presidente Mansour emana un
decreto che definisce la road map istituzionale per riportare il paese alla normalità: tra i
provvedimenti l’istituzione di una commissione costituente che entro due mesi presenti
alla presidenza gli emendamenti alla nuova costituzione di stampo islamico voluta dai
Fratelli Musulmani; la convocazione di un referendum popolare per approvare gli emen-
damenti proposti entro un mese dalla loro presentazione; nuove elezioni parlamentari
e presidenziali. Il decreto presentato da Mansour viene accolto con molte protesta dai
Fratelli Musulmani.
26 luglio 2013: il Procuratore generale egiziano emana un mandato d’arresto per
l’ex presidente Morsi; i militari arrestano anche gran parte della leadership politica
dei Fratelli Musulmani. In tutto il paese scoppiano proteste da parte dei sostenitori di
Morsi.
14 agosto 2013: l’esercito sgombera con la forza due sit-in dei sostenitori di Morsi
al Cairo; negli scontri perdono la vita centinaia di manifestanti. Il vicepresidente El
Baradei si dimette dal suo incarico. Il governo stabilisce lo stato di emergenza per
almeno un mese e il coprifuoco in gran parte del paese. La comunità internazionale
condanna l’azione repressiva dell’esercito che rischia di spingere il paese verso la guerra
civile.
Storia 229

16 agosto 2013 (“Giorno della rabbia”): i Fratelli Musulmani organizzano


una serie di manifestazioni in tutto il paese dopo l’uccisione di centinaia di persone
negli scontri del 14 agosto. Al Cairo, migliaia di persone organizzate in diversi cortei
si concentrano in piazza Ramses. La situazione peggiora in breve tempo e per tutto
il pomeriggio si registrano violenti scontri in alcune zone del Cairo e in altre città del
paese, che causano diverse decine di morti.

Le rivolte in Siria
ottobre 2012: il governo siriano dichiara di voler rinunciare alle operazioni militari
durante la festa islamica dell’Eid al-Adha (“festa del sacrificio”), ma nondimeno si dice
pronto a rispondere ad ogni offensiva delle truppe ribelli. La tregua non viene accettata

Storia
da tutti i gruppi di opposizione e gli scontri continuano.
novembre 2012: si intensificano i bombardamenti su Damasco da parte dell’eser-
cito regolare mentre i ribelli ottengono conquiste significative nel nord del Paese. Il
fronte dei ribelli si riunisce sotto il cartello della Coalizione nazionale Siriana (Siryan
Opposition Coalition), subito riconosciuta come “unico e legittimo rappresentante del
popolo siriano” da Stati Uniti d’America, Regno Unito, Francia, Turchia e monarchie
del Golfo.
gennaio 2013: proseguono gli scontri tra ribelli e lealisti ad Aleppo e Homs. L’Alto
Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani quantifica in circa 60.000 le
vittime del conflitto siriano dal marzo 2011, mentre sono stimati in due milioni e mezzo
i profughi.
29 aprile 2013: viene resa nota la scomparsa ormai da una ventina di giorni
dell’inviato della “Stampa” Domenico Quirico, entrato in Siria per un reportage e il
cui ultimo contatto era avvenuto il 9 aprile. Sarà liberato l’8 settembre dopo cinque
mesi di prigionia.
6 luglio 2013: dopo le dimissioni di Moaz al-Khatib, viene eletto il nuovo presidente
della Colazione Nazionale Siriana nella figura di Ahmad al-Jarba.
25 luglio 2013: il segretario generale dell’ONU, Ban Ki-Moon, annuncia che, secon-
do le stime delle Nazioni Unite, dall’inizio del conflitto sono state uccise oltre 100.000
persone.
21 agosto 2013: l’opposizione siriana accusa le forze governative di aver ucciso
centinaia di persone durante attacchi con armi chimiche nella provincia di Ghuta, a
est di Damasco. Il governo nega, ma ritarda di cinque giorni l’autorizzazione a visitare
la zona agli ispettori Onu già presenti nel paese per indagare su precedenti denunce di
uso di armi chimiche.
9 settembre 2013: Damasco accoglie la proposta elaborata dalla Russia di porre
sotto controllo internazionale le armi chimiche siriane. La proposta russa rinvia il voto
al congresso degli Stati Uniti America sull’intervento militare in Siria.
14 settembre 2013: a Ginevra, viene siglato un accordo tra gli Stati Uniti e la
Russia con cui si stabilisce la distruzione delle armi chimiche in mano alla Siria entro la
prima metà del 2014. Qualora il governo siriano non dovesse collaborare alla distruzione,
verrebbe richiesta una risoluzione all’ONU in cui potrebbe essere paventato anche l’uso
della forza.
16 settembre 2013: il Segretario Generale dell’ONU, Ban Ki-Moon, conferma
l’utilizzo di armi chimiche nella zona est di Damasco, dichiarando che quanto accaduto
costituisce un crimine contro l’umanità di cui i responsabili dovranno rispondere in
230 Storia Contemporanea: dagli anni Ottanta a oggi

futuro di fronte ai Tribunali Internazionali. Tuttavia egli conferma che l’ispezione Onu
non è in grado di stabilire chi abbia utilizzato questo tipo di armi.

Il governo Renzi
14 febbraio 2014: la direzione del Pd approva a maggioranza un documento che
sfiducia il presidente del Consiglio Enrico Letta e sostiene una possibile candidatura del
segretario Matteo Renzi a Palazzo Chigi. Letta rassegna le dimissioni. Il Presidente della
Repubblica Napolitano avvia le consultazioni per la formazione di un nuovo governo.
21 febbraio 2014: Renzi scioglie le ultime riserve e riceve da Napolitano l’incarico
Storia Contemp.

di formare il nuovo governo.


22 febbraio 2014: Renzi giura nelle mani del Presidente della Repubblica. Nasce
il sessantatreesimo Governo della Repubblica Italiana.
14 gennaio 2015: Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano dopo quasi 9
anni lascia l’incarico al Quirinale che aveva assunto per la prima volta nel 2006 e che
aveva di nuovo accettato 7 anni dopo.
31 gennaio 2015: viene eletto al quarto scrutinio con 665 voti il dodicesimo
Presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella.

La crisi ucraina
22–27 febbraio 2014: la tensione esplosa in Ucraina alla fine del 2013 fra il governo
filo-russo e l’opposizione, che spinge per l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea,
porta il paese sull’orlo di una vera e propria guerra civile. In seguito alle proteste
di piazza, il premier filo-russo Viktor Yanukovych abbandona il paese e denuncia un
“colpo di Stato”. Arseniy Yatsenyuk, leader del partito di opposizione Patria, viene
nominato primo ministro. Nel paese esplodono gli scontri fra gli insorti e le truppe
fedeli al deposto presidente Yanukovych.
1–2 marzo: il parlamento russo approva la richiesta del presidente russo Vladimir
Putin e autorizza l’uso della forza militare in Ucraina. In molte città hanno luogo ma-
nifestazioni di sostegno al governo di Mosca; la flotta militare russa rafforza il controllo
delle coste navali e circonda la base militare ucraina di Perevalnoe, in Crimea.
3–6 marzo: le truppe paramilitari russe assumono il controllo di vaste zone di
confine tra Crimea e Ucraina. Il parlamento della Crimea si pronuncia all’unanimità
per l’adesione alla Federazione Russa staccandosi cosı̀ dall’Ucraina. Un referendum
ratifica a grande maggioranza l’annessione alla Russia. La legittimità del referendum è
contestata dall’Unione europea e dagli Stati Uniti d’America.
21 marzo: Putin dichiara la Crimea parte della Federazione Russa. In seguito a
questa decisione la Russia viene sospesa dal G8. Pochi giorni dopo, Ucraina, Russia,
Stati Uniti e Unione europea firmano a Ginevra un accordo per porre fine alla crisi,
ma gli scontri si estendono anche ad altre zone del paese.
15 maggio: come la Crimea, anche le città dell’Ucraina orientale indicono un
referendum sull’indipendenza da Kiev.
18 luglio: un Boeing 777-200ER di linea della compagnia Malaysia Airlines preci-
pita al confine tra Ucraina e Russia causando la morte dei 298 passeggeri. La notizia
dell’aereo abbattuto è seguita da un serrato scambio di accuse tra Kiev e i separatisti-
filorussi. Il ministero della difesa ucraina accusa i separatisti di aver colpito l’aereo della
Malaysia Airlines nel tentativo di centrare un aereo da trasporto ucraino che gli era
stato segnalato dalle forze di difesa anti aerea russe.
Storia 231

20 agosto: in varie località dell’Ucraina orientale esplodono scontri armati fra le


truppe governative e gli insorti filo-russi.
5 settembre: dopo giorni di colloqui di pace il presidente russo Putin e il nuovo
presidente ucraino Poroshenko si accordano per la sospensione delle ostilità.

Siria e Iraq
29 giugno: i miliziani dello Stato islamico dell’Iraq e della Siria (Isis) annunciano
la creazione di un califfato islamico, nominando come proprio leader Abu Bakr al-
Baghdadi. Le truppe dell’Isis conquistano Mosul, la seconda città più grande dell’Iraq,
e altre città irachene. La distruzione di siti religiosi e storici provoca la reazione della
popolazione locale, che si organizza in gruppi armati per combattere l’esercito dello

Storia
Stato Islamico.
25 luglio: l’Isis si impadronisce di Qaraqosh, la pi grande città cristiana in Iraq,
costringendo migliaia di persone a fuggire.
8 agosto: il presidente degli Stati Uniti d’America Barack Obama autorizza i primi
bombardamenti mirati contro lo Stato Islamico nel nord dell’Iraq.
15 agosto: il Consiglio Europeo approva la fornitura di armi ai Curdi per fronteg-
giare l’avanzata dello Stato Islamico. Nei giorni successivi l’esercito dello Stato islamico
si rendono responsabili di numerosi massacri di civili sia in Iraq che in Siria.
19 agosto: con l’aiuto dei raid aerei americani l’esercito iracheno lancia un’offensiva
per riconquistare la città irachena di Tikrit. Violenti combattimenti infuriano in tutto
l’Iraq e in Siria.

Conflitto israeliano-palestinese
8 luglio: Israele lancia l’operazione “Margine Protettivo” contro i territori palestinesi
della Striscia di Gaza in risposta al lancio di razzi dei guerriglieri palestinesi di Hamas
contro le città ebraiche.
17 luglio: l’esercito israeliano inizia l’operazione di terra nella Striscia di Gaza per
distruggere i tunnel di Hamas.
5 agosto: i soldati israeliani si ritirano dalla Striscia di Gaza. Israele e Hamas
accettano un cessate il fuoco di 72 ore.
8 Agosto: falliscono i negoziati di pace e riprendono le ostilità.
26 agosto: le parti in conflitto, riunite al Cairo, raggiungono un accordo per una
tregua duratura.

Africa
Nel corso del 2014 si diffonde in Guinea ed in tutta l’Africa occidentale (Liberia, Sierra
Leone, Nigeria) un’epidemia di febbre emorragica della malattia virus detta “Ebola”,
la più grave nella storia che fa registrare migliaia di morti.
Si mobilitano diverse Organizzazioni Internazionali inviando personale e fondi utili
per contrastare l’epidemia.
Letteratura
2

Figura 2.1: Dante Alighieri (Firenze, tra il 22 maggio e il 13 giugno 1265 – Ravenna, 14 settembre 1321)

I quesiti inerenti alla letteratura compaiono con una certa frequenza negli esami d’am-
missione.
Molto spesso sono accorpati a quelli di logica. Per esempio, data una serie di roman-
zi, può essere richiesto di indicare l’elemento estraneo, o di individuare l’accoppiamento
corretto tra autore e la sua opera.
Gli esercizi vertono generalmente sulla letteratura italiana dell’Ottocento e Nove-
cento, tenendo come riferimento il programma della scuola secondaria di secondo grado.
Possono essere presenti tuttavia anche domande sui grandi della letteratura del pas-
sato, come Dante, Petrarca, Machiavelli, Shakespeare, Molière, oppure sugli autori di
spicco degli anni più recenti, come Pier Paolo Pasolini o Umberto Eco.

Biblioteca della letteratura italiana: Testi e schede sui principali autori


www.letteraturaitaliana.net/index.html
Letteratura 233

I quesiti sono essenzialmente di natura nozionistica, vertono soprattutto sui titoli delle
opere, le date di nascita, o le correnti letterarie. Talvolta si possono incontrare anche
domande inerenti al contenuto dell’opera, in questi casi si tratta di testi molto celebri
o di cui comunque si presuppone la conoscenza.

2.1 Le origini della letteratura


I primi componimenti in lingua italiana risalgono al IX secolo. L’italiano, cosı̀ come le
lingue romanze (spagnolo, rumeno, portoghese e francese) ha origine dal latino, ed è

Letteratura
giunto a costituirsi formalmente solo dopo una lunga serie di trasformazioni e muta-
menti intermedi. La prima evoluzione dal latino si ha con l’acquisizione del volgare, la
lingua parlata dal popolo che, con la caduta dell’Impero romano d’Occidente, si evolve
in modo diverso di regione in regione.

2.1.1 Il Duecento
In Italia cominciano a prodursi testi in volgare a partire dal XIII secolo. Questa
letteratura è costituita da opere religiose e laiche, da scritti poetici e in prosa.

La poesia
In ambito poetico si possono distinguere quattro principali correnti:
La poesia religiosa
San Francesco (Assisi, 1181- Assisi, 1226) è il massimo esponente. La sua opera
principale, datata intorno al 1224, è il Cantico delle Creature, una lirica semplice
ma molto delicata, una delle prime opere capitali della poesia italiana.
Jacopone da Todi (Todi, 1236 – Collazzone, 1306) è tra i più celebri autori di laudi
religiose della letteratura italiana. Jacopone ha composto circa 90 Laude, un’epistola
latina a Giovanni della Verna, il Pianto della Madonna e lo Stabat Mater.
La scuola poetica siciliana
Nel Mezzogiorno l’attività culturale raggiunge il proprio apice presso la corte dell’impe-
ratore Federico II e con la scuola poetica siciliana. I rappresentanti principali di questa
corrente sono Jacopo da Lentini, Guido delle Colonne e Rinaldo d’Aquino.
La poesia cortese toscana
La Toscana è in questi anni la regione più fertile in ambito letterario.
Guittone d’Arezzo (Arezzo, 1235 circa – Bologna, 1294) compone le Rime, un cor-
pus che conta 50 canzoni e 251 sonetti. I sonetti amorosi di Guittone sono legati tra
loro da uno sviluppo macrotestuale che anticipa per alcuni aspetti la struttura del Can-
zoniere petrarchesco. Nella sua vasta opera si contano anche molte lettere di argomento
civile e cortese.
Poesia popolare giocosa e burlesca
Cecco Angiolieri (1258-1313) è il principale rimatore burlesco. La sua poetica rispetta
i canoni della tradizione comica toscana. Cecco fa ampio uso della parodia e stravolge
i caratteri propri dello stilnovismo. Molto celebre è il sonetto S’i’ fosse foco, arderei ’l
mondo.
234 Le origini della letteratura

La prosa
La prosa in volgare appare in ritardo rispetto alla poesia. I primi documenti sono
essenzialmente di carattere giuridico, morale, pedagogico o scientifico.
Nel Duecento si eseguono molti volgarizzamenti, traduzioni in volgare di testi
latini e francesi. Tali composizioni hanno contribuito alla formazione dello stile volgare.
L’esponente principale della prosa del Duecento è il fiorentino Brunetto Latini
(Firenze, 1220 – Firenze, 1294 circa), maestro di Dante.
Al suo rientro in patria dopo un esilio in Francia scrive il Tesor o, in lingua d’oil.
L’opera è un’enciclopedia che affronta vari argomenti come la storia, la geografia, la
fisica, l’agricoltura, la teologia, la retorica e la politica. Suo è anche il poema incompiuto
Le origini

il Tesoretto.
Altro grande esponente del Duecento è Bono Giamboni (1240 – 1292 circa).
La sua opera principale è il Libro de’ vizi e delle virtudi, un componimento allegorico-
didascalico del 1270, il testo unisce elementi etico-filosofici con altri allegorico-narrativi.
Il Novellino, pubblicato postumo nel 1476, è una raccolta di cinquanta novelle (di
uno o più autori anonimi) che risale al XIII secolo. L’opera fornisce alla borghesia una
serie di modelli di comportamento e di educazione raffinata. Le novelle sono brevi e
scritte in volgare fiorentino.
In questo periodo si colloca anche il primo grande libro di viaggio: Il Milione,
di Marco Polo (1254-1324). Nel 1271 il mercante veneziano compie un viaggio in
Cina e al suo ritorno, nel 1292, viene fatto prigioniero dai genovesi durante la battaglia
di Curzola. Nel periodo della permanenza in cella Marco Polo compone Il Milione in
lingua d’oil, la più diffusa all’epoca dopo il latino. L’opera, dettata al compagno di
cella Rustichello da Pisa, racconta le esperienze e le avventure vissute dall’autore in
Oriente, la meraviglia e la grande diversità dei paesi e dei popoli incontrati.

Il Dolce Stilnovo
Il Dolce Stilnovo è una scuola poetica che si sviluppa negli ultimi anni del Duecento.
È Dante Alighieri, in alcuni versi del XXIV canto del Purgatorio, ad attribuirgli tale
appellativo.

“ ...Ma dı̀ s’i’ veggio qui colui che fore


trasse le nove rime, cominciando
Donne ch’avete intelletto d’amore.
E io a lui: I’mi son un che, quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch’e’ ditta dentro vo significando.
O frate, issa vegg’io, diss’elli, il nodo
che ’l Notaro e Guittone e me ritenne
di qua dal dolce stil novo ch’i’ odo!...”

Il Dolce Stilnovo rappresenta un punto di riferimento importante che influenzerà la


poesia italiana successiva.
Letteratura 235

L’aggettivo “dolce” è da attribuirsi all’argomento trattato: l’amore. L’amore è inteso


come adorazione mistica di un essere ideale, la donna angelo, capace di elevare l’animo
umano a Dio.
“Novo” fa riferimento allo stile e alla concezione dell’amore, in grado di innalzare
spiritualmente l’uomo.
Gli esponenti principali sono Guido Guinizzelli, Guido Cavalcanti e Dante.
I testi si caratterizzano per una sintassi complessa e costruita, precisa, ricca e molto
elaborata.

Guido Guinizzelli (Bologna, 1235 – Monselice, 1276) è l’autore di Al cor gentil rem-

Letteratura
paira sempre Amore, manifesto dello stilnovo. Lo stile è rivolto alla resa del sentimento
interiore che scaturisce dall’amore. Egli rompe con gli schemi cortesi e introduce la
donna angelicata in grado di innalzare l’animo umano.

Guido Cavalcanti (Firenze, 1259 – Firenze, 1300) compone Il Canzoniere, opera che
raccoglie 52 testi, fra canzoni, ballate e sonetti. Il tema principale è l’Amore, inteso
come passione irrazionale, come malattia che porta alla morte morale e a volte anche
fisica.

2.1.2 Il Trecento
Durante il Trecento si assiste al fiorire della letteratura italiana con le composizioni
poetiche di Dante, Petrarca e Boccaccio.
Nonostante la letteratura latina e la tradizione classica siano ancora fonte di grande
interesse per gli scrittori italiani, la nuova forma poetica contribuisce ad unificare e a
costruire l’identità di una realtà geografica frammentaria e divisa.

Dante Alighieri (Firenze, 1265 – Ravenna, 1321)


Dante Alighieri, il Sommo Poeta, è considerato tra i principali autori della letteratura
mondiale.
La sua scrittura è caratterizzata da una forte passione civile e morale e da un’intensa
tensione spirituale.
La vita nuova, del 1293, è la sua prima opera. Il testo è composto da 25 sonetti,
4 canzoni, una ballata, una stanza ed alcune pagine di prosa. La vita nuova può con-
siderarsi uno scritto di natura autobiografica dal momento che viene descritto l’amore
di Dante per Beatrice, ragazza amata dal poeta e morta prematuramente. L’amore
è inteso qui come un sentimento idealizzato e cristiano, di contemplazione. La vita
nuova contiene i famosi sonetti Tanto gentile e tanto onesta pare e Donne che avete
intelletto d’amore.
Intorno al 1296 Dante compone una serie di rime denominate in seguito dai com-
mentatori Rime Petrose.
Si tratta di un ciclo di quattro componimenti (due canzoni, una sestina e una sestina
doppia) che narrano l’amore terribile e sensuale per “Petra”, una donna provocante
e crudele, indifferente all’amore del poeta, ma compiaciuta del proprio fascino. Fonte
d’ispirazione di queste rime è il trobar clus (poetare oscuro) dell’elaborato Arnaut
Daniel da cui Dante deriva l’uso della sestina. Questi componimenti, lontani dal mondo
rarefatto dello stilnovismo, si caricano di passione sensuale e di forza erotica, in cui
l’amore appare duro e crudele, di “petra”.
236 Le origini della letteratura

Intorno al 1304 risale la composizione del Convivio. L’opera ha finalità enciclopediche


e didattiche e affronta tre temi principali: l’ordinamento dei cieli, la filosofia e la natura
della nobiltà.
Il Convivio ruota intorno all’immagine della “donna gentile”, allegoria della
Filosofia.
Nello stesso anno Dante inizia la composizione del De vulgari eloquentia, testo
che rimane incompiuto. In quest’opera, dedicata alla teoria linguistica, l’autore sostiene
la superiorità della lingua volgare rispetto al latino. Il volgare può rappresentare la
lingua unitaria della comunicazione artistica.
Il De monarchia è un trattato politico suddiviso in tre libri scritto nel 1308
Le origini

in seguito alla morte di Arrigo VII. Nel primo libro Dante sostiene la necessità di
una monarchia universale per raggiungere i più alti ideali dell’uomo. Nel secondo si
precisa che la monarchia deve essere romana, erede dell’Impero. Nell’ultimo volume
vengono esaminati i rispettivi poteri del sovrano e del papa. Al papa spetta il compito
di condurre l’uomo alla beatitudine eterna, all’imperatore quello di garantire la felicità
terrena.
Nel 1306 Dante dà avvio alla sua opera più importante a cui lavorerà per tutta la
vita. Il titolo originale è Commedia, cui, nel 1555, Ludovico Dolce accosterà l’attributo
Divina.
La Divina Commedia è composta da 3 cantiche:
L’Inferno (34 canti, compresa un’introduzione)
Il Purgatorio (33 canti)
Il Paradiso (33 canti)
L’opera è composta in endecasillabi riuniti in terzine.
Le Sacre Scritture, i testi classici latini e la letteratura cristiana rappresentano la
fonte di ispirazione e il modello per l’opera.
La Divina Commedia può essere considerata un viaggio allegorico che rappresenta
la conversione, il passaggio dalla conoscenza del male alla redenzione dai peccati, fino
alla scoperta dell’alta spiritualità.
Struttura dell’opera:
Inferno
Il viaggio di Dante nel mondo dell’Aldilà prende avvio dagli Inferi, dove il poeta Vir-
gilio rappresenta la giuda spirituale. L’Inferno ha una struttura ben precisa. Prima di
entrare nell’Inferno c’è un Antinferno, dove risiedono gli ignavi.
Seguono poi 9 gironi:
I – Limbo
II – Lussuriosi
III – Golosi
IV – Avari e i prodighi
V – Iracondi e accidiosi
VI – Eretici
VII – Bestemmiatori, sodomiti e usurai
Letteratura 237

VIII – È diviso in 10 bolge che contengono: seduttori, adulatori, simoniaci, indovini,


barattieri, ipocriti, ladri, consiglieri fraudolenti, seminatori di discordie, falsari.
IX – Traditori della patria, degli ospiti e dei benefattori.
Nei primi 5 gironi Dante incontra le anime che in vita non sono state in grado di
dominare le proprie pulsioni (Francesca da Rimini, Filippo Argenti. . . ). Negli altri 4 si
trovano coloro che hanno commesso violenza consapevolmente (Pier delle Vigne, Ulisse,
il Conte Ugolino. . . ).
Purgatorio
Nel Purgatorio, rappresentato come una montagna agli antipodi di Gerusalemme sotto

Letteratura
cui si colloca l’Inferno, le anime attendono di essere liberate.
Alla base del Purgatorio si trova un Antipurgatorio dove vi sono: gli scomunicati, i
pigri a pentirsi e i morti di morte violenta. Virgilio continua ad essere la guida spirituale
di Dante.
Il Purgatorio vero e proprio è diviso in cornici, ognuna corrisponde a un peccato
capitale. Quanto più le anime sono in alto, tanto meno grave è il peccato capitale
commesso:
I – Superbi
II – Invidiosi
III – Iracondi
IV – Accidiosi
V – Avari e prodighi
VI – Golosi
VII – Lussuriosi
Sopra la montagna c’è il Paradiso Terrestre.
Paradiso
Nell’ultima tappa del viaggio allegorico Beatrice, che rappresenta Rivelazione, Amore
Divino, Grazia, Fede, Teologia, è la guida spirituale di Dante.
Il Paradiso è diviso in 9 cieli presieduti dagli angeli.
I – cielo della Luna, presieduto dagli Angeli
II – cielo di Mercurio, presieduto dagli Arcangeli
III – cielo di Venere, presieduto dai Principati
IV – cielo del Sole, presieduto dal Potestà
V – cielo di Marte, presieduto dalla Virtù
VI – cielo di Giove, presieduto dalle Dominazioni
VII – cielo di Saturno, presieduto dai Troni
VIII – cielo delle Stelle Fisse, presieduto dai Cherubini
IX – cielo Cristallino o Primo Mobile, presieduto dai Serafini
Nei tre cieli inferiori si trovano coloro che non hanno raggiunto la perfezione assoluta,
nei cieli intermedi si collocano gli spiriti attivi e negli ultimi due cieli il pellegrino si
perfeziona per raggiungere il Paradiso vero e proprio: l’Empireo, la sede dei Beati e
di Dio.
238 Le origini della letteratura

L’Inferno e il Purgatorio sono regolati dalla Legge del contrappasso la quale afferma
che la pena inflitta deve richiamare la colpa commessa, per analogia o per contrasto.

Sito sulla Divina Commedia. Testo e parafrasi:


www.mediasoft.it/dante/

Francesco Petrarca (Arezzo, 1304 – Arquà, 1374)


Petrarca, influenzando profondamente i suoi successori, viene considerato il precursore
dell’Umanesimo.
Le origini

Fin da giovane manifesta un forte interesse per i testi classici e per i padri della
Chiesa. Una figura centrale nella vita del poeta è quella di Laura, donna amata, morta
di peste e fonte di ispirazione per la sua intera opera.
Petrarca trascorre la propria infanzia in Toscana fino al 1311, quando con la famiglia
si trasferisce in Francia, in Provenza. Ad Avignone, nella chiesa di Santa Chiara, il 6
aprile 1327, un venerdı̀ santo, Petrarca incontra Laura e se ne innamora. In seguito
intraprende la carriera ecclesiastica, viaggia molto, ottiene importanti riconoscimenti
e nel 1341 viene incoronato poeta dal Senato di Roma.
Attraverso le Lettere, raccolta epistolare, è possibile conoscere il percorso di vita
dello scrittore, i suoi viaggi, le sue scelte politiche, intellettuali, e riflessioni morali. Le
epistole sono divise per argomento: Rerum familiarum libri (libri delle cose familiari),
Sine nomine (senza nome), Rerum senilium libri (libri della vecchiaia, dove polemizza
contro il papato avignonese), Variae (varie) e Posteritati (alla posterità, una sorta di
riassunto della sua vita).
Intorno al 1342 compone il Secretum. L’opera è divisa in tre libri ognuno dei quali
rappresenta un dialogo fra il poeta e Sant’Agostino.
Petrarca compone numerose opere latine tra cui L’Africa (poema epico su Scipione
l’Africano), il De viris illustribus (raccolta di ritratti di personaggi illustri), il De vita
solitaria (esaltazione della solitudine per giungere alla perfezione intellettuale e morale).
Lo scritto principale di Petrarca è il Canzoniere (1330 – 1365, titolo originale:
Francisci Petrarchae laureati poetae Rerum vulgarium fragmenta), composto da 317 so-
netti, 29 canzoni, 9 sestine, 7 ballate e 4 madrigali. Il testo rappresenta una mediazione
tra il classico e il volgare e tra l’amor sacro e l’amor profano.
L’amore viene inteso come esperienza intima, al cui centro vi è l’esaltazione della
figura femminile, incarnata da Laura. Nell’ultimo componimento Petrarca esalta la
“donna divina”, unico porto di salvezza per l’anima e per il raggiungimento della verità
assoluta.
I Trionfi , scritti in terzine, trattano il disagio dell’uomo, diviso tra la ricerca
dell’eterno e la dispersione del mondano.
I Trionfi, visione allegorico-didattica, hanno un chiaro intento pedagogico.
Giovanni Boccaccio (Certaldo, 1313 – Certaldo, 1375)
Fin da giovane Boccaccio si trasferisce a Napoli, città che gli permette di frequentare
l’ambiente dei signori e della corte angioina e che segna la svolta nella sua carriera di
letterato. In questi anni scrive Caccia di Diana, Filocolo (romanzo in prosa), Filostrato
e Teseida delle nozze d’Emilia.
Ritornato a Firenze intorno al 1340, ricopre molti incarichi pubblici, svolge un’intensa
attività diplomatica e stringe un’importante amicizia con Petrarca.
Letteratura 239

A Firenze compone la Comedia delle ninfe fiorentine, Amorosa visione, Elegia di


madonna Fiammetta, Ninfale fiesolano e il suo capolavoro, il Decameron.
Boccaccio dà avvio alla composizione del Decameron nel 1348, anno successivo
alla peste. Il testo è una raccolta di cento novelle intervallate da parti in poesia. I dieci
protagonisti del testo si incontrano nella Chiesa di Santa Maria Novella e decidono di
trovare un rifugio fuori città per sottrarsi all’epidemia di peste nera che sta distruggendo
Firenze.
In questa cornice bucolica, ogni giorno, per 10 giorni, i personaggi scelgono un tema
per le novelle.
Il Decameron anziché celebrare l’eterno ed il divino, descrive e narra l’umano agire

Letteratura
nel mondo della quotidianità. I sentimenti sono più vividi e le tematiche terrene. Il
Decameron è il preludio alla grande letteratura del Rinascimento.

2.1.3 Il Quattrocento
In Italia nel Quattrocento si afferma la corrente letteraria dell’Umanesimo.
L’umanesimo è caratterizzato dalla riscoperta dei testi classici e dal fiorire degli
studi greci. La cultura classica infatti è considerata la sola forma in grado di elevare
l’uomo spiritualmente. L’attenzione agli scritti antichi porta alla nascita della filologia.
Nei primi anni del Quattrocento la lingua letteraria torna ad essere il latino, verso
la metà del secolo si sviluppa poi nuovamente la letteratura in volgare.
I principali esponenti sono:
Leon Battista Alberti (Genova, 1404 – Roma, 1472) è fondamentalmente un archi-
tetto, egli ha progettato la facciata di Santa Maria Novella a Firenze. Leon Battista
Alberti è tuttavia una figura eclettica, impegnata anche in studi scientifici, artistici e
letterari.
La sua opera più nota è il De famiglia, un trattato sul matrimonio, l’educazione,
la proprietà domestica e la felicità. Il testo ruota intorno al concetto umanistico di
rinascita, possibile attraverso lo studio e la cultura.
Lorenzo Valla (Roma, 1405 – Roma, 1457) è una delle figure più importanti del
Quattrocento italiano. Egli si schiera contro il potere temporale dei papi. Valla applica
la filologia come strumento di conoscenza a favore della libertà di ricerca. Le sue idee
lo costringono a lasciare Roma. Dopo un soggiorno a Milano e a Firenze entra a far
parte della corte di Alfonso V, re d’Aragona e di Sicilia, ma nel 1435 rientra a Roma
nominato segretario apostolico di papa Niccolò V.
Le sue opere principali sono: De vero falsoque bono (1431), De libero arbitrio (1439),
De professione religiosoru (1439), Dialecticae disputatione (1439), De falso credita et
ementita Constantini donatione (1440), Elegantiae Latinae linguae (1444), Historiarum
Ferdinandi Regis Aragoniae libri tre (1447).
Marsilio Ficino (Figline Valdarno, 1433 – Careggi, 1499) è un letterato e un filo-
sofo neoplatonico. Nel 1462 fonda l’Accademia Fiorentina e comincia il suo lavoro di
traduzione dei testi di Platone. Ficino introduce il pensiero platonico nella tradizione
cristiana. Fra le sue opere ricordiamo De religione Christiana, De vita, De voluptate e
Theologia platonica.
Giovanni Pico della Mirandola (Mirandola, 1463 – Firenze 1494), grande studioso
di filosofia, si dedica alla ricerca del principio di mediazione tra la filosofie e la religione,
in particolare tra la cabala e il cristianesimo.
240 Le origini della letteratura

Secondo Pico della Mirandola l’uomo è un essere ricco di grandezza e di valore,


che ha ricevuto da Dio la possibilità di decidere autonomamente il proprio destino.
L’Oratio de dignitate homini (1486) è la sua opera principale.
Nella seconda metà del Quattrocento, a partire dalla sperimentazione e dalla ricerca
di una forma linguistica attuale e concreta, nasce la letteratura umanistica in volgare.
Firenze, centro culturale e artistico, ne è il centro. Lorenzo il Magnifico, signore
di Firenze, è la figura di riferimento. L’arte e le lettere si sostengono e si sviluppano
grazie al mecenatismo signorile, punto di incontro tra gli ideali della classicità e la
tradizione comunale.
Gli autori principali sono Lorenzo de’ Medici, Luigi Pulci e Agnolo Poliziano.
Le origini

Lorenzo de’ Medici (Firenze, 1449 – Firenze, 1492) detto Lorenzo il Magnifico
è signore di Firenze nella seconda metà del Quattrocento. La sua attività politica
ha un importante influsso nazionale, egli infatti riveste un ruolo di moderatore della
politica italiana, consentendo l’equilibrio fra gli Stati italiani per evitare aggressioni
dagli eserciti stranieri.
Anche dal punto di vista artistico è molto attivo. Oltre ad essere un importante
mecenate si dedica in prima persona alla composizione letteraria. Le sue principali opere
sono Caccia col falcone, Uccellagione di starne, Beon, Nencia da Barberin, Corint,
Canzoni a ball, Canti carnascialeschi, Capitoli, Laude, Sacra rappresentazione dei Santi
Giovanni e Paolo.
Luigi Pulci (Firenze, 1432 – Padova, 1484) lavora alla corte di Lorenzo il Magnifico
dove si dedica alla stesura del suo testo principale, Il Morgante. Quest’opera è un
poema in ottave di carattere cavalleresco che narra le vicende del gigante Morgante al
seguito del paladino Orlando. Pulci ironizza su alcuni temi classici come l’immortalità
dell’anima e la figura dell’eroe.
Agnolo Ambrogini, detto Poliziano (Montepulciano, 1454 – Firenze, 1494) compie
una perfetta sintesi fra la cultura del mondo classico e la tradizione volgare fiorentina.
Precettore dei figli di Lorenzo il Magnifico, nel 1479 si allontana dalla corte Medicea
per trasferirsi presso la corte dei Gonzaga di Mantova. Le sue opere principali sono
Stanze per la giostra, Carmina, Orfeo e Silvae.

2.1.4 Il Cinquecento
Nel Cinquecento si afferma l’impero asburgico di Carlo V, l’Italia diventa una terra di
conquista e nel 1527 Roma viene invasa dai lanzichenecchi.
Nella prima metà del secolo si sviluppa il classicismo rinascimentale, una cor-
rente che tenta di superare la riproduzione della letteratura classica riproponendo una
nuova definizione di “classico”. Uno dei principali esponenti di questa corrente è Pietro
Bembo.
Le figure di spicco in ambito letterario sono Niccolò Machiavelli e Ludovico Ariosto.
Ludovico Ariosto (Reggio Emilia, 1474 – Ferrara, 1533) è una figura centrale del-
la poesia rinascimentale. La sua opera principale è l’Orlando Furioso, un poe-
ma epico-cavalleresco in ottave. L’opera si pone come continuazione dell’ Orlando
innamorato del Boiardo.
Il poema affronta tre temi:
– la guerra fra cristiani e saraceni
– la ricerca di Angelica da parte di Orlando
Letteratura 241

– l’amore fra il moro Ruggiero e la cristiana Bradamante.


L’Orlando furioso fonde eleganza narrativa e ironica comicità. Le contraddizioni umane
e l’imprevedibilità della vita diventano specchio dello spirito del tempo.
Le altre principali opere dell’autore sono L’Epistolario, le Rime, le Commedie e le
Satire.
Niccolò Machiavelli (Firenze, 1469 – Firenze, 1527) è uno degli iniziatori del pen-
siero politico moderno e teorico della politica razionale, intesa come rimedio
alla naturale propensione egoistica dell’uomo.
Durante la propria esistenza ricopre diverse cariche politiche e diplomatiche nella

Letteratura
Repubblica fiorentina. In seguito alla caduta della Repubblica fiorentina e al ritorno
dei Medici al potere, viene rimosso da ogni incarico e condannato al confino. Nel 1513
si ritira in isolamento e comincia a comporre i suoi scritti.
La sua opera principale è Il Principe (1513-1514), un trattato di dottrina politica.
Nella prima parte l’autore riflette sui vari tipi di principato (ereditario, nuovo e misto)
e sull’operato di alcuni personaggi analizzati, tra cui emerge la figura di Cesare Borgia,
modello di uomo prudente e virtuoso. Nella seconda parte Machiavelli espone le proprie
teorie secondo cui l’attività politica deve ricercare l’utile per lo Stato. Interessante è la
definizione di Fortuna: sintesi tra instabili e imprevedibili forze storiche che il principe
deve saper dominare e contrastare.
Tra gli altri suoi scritti si ricordano i Discorsi sopra la prima deca di Tito Li-
vio (1515-1517), De re militari (1521), Vita di Castruccio Castracani (1520) e la
Mandragola (1513), capolavoro comico del teatro europeo.
Francesco Guicciardini (Firenze, 1483 – Arcetri, 1540) riveste importanti cariche
pubbliche e dedica i propri sforzi teorici allo studio della storia, egli può essere infatti
considerato il fondatore della storiografia moderna. A partire dalle tesi di Machiavelli,
Guicciardini elabora una propria teoria politica caratterizzata da maggiore pessimismo
e individualismo. Le sue opere principali sono Storia di Firenze, Ricordi civili e politici,
Considerazioni attorno ai discorsi di Machiavelli e Storia d’Italia.
Pietro Bembo ( Venezia, 1470 – Roma, 1547) pone le basi del classicismo rinasci-
mentale e del petrarchismo. I suoi studi contribuiscono alla codifica letteraria della
lingua. Bembo considera il volgare come la lingua della letteratura italiana e sostiene il
recupero della lingua di Dante, Boccaccio e Petrarca. Petrarca è considerato il modello
di perfezione stilistica, riferimento per la lingua letteraria nazionale. La sua opera più
importante è Prose della volgar lingua in cui teorizza una codifica della lingua volgare
unitaria. Tra le altre opere si ricordano Rerum venetarum historiae libri XII, Asolani
e Rime.
Baldesar Castiglione (Casatico, 1478 – Toledo, 1529) lavora a servizio di Fran-
cesco Gonzaga dove ha modo di conoscere Bembo, in seguito intraprende la carriera
ecclesiastica presso la Corte di Carlo V. La sua opera principale è Il Cortegiano, un
trattato in quattro libri scritto in forma di dialogo in cui vengono descritti gli ideali
rinascimentali per la perfetta società aristocratica. L’uomo di corte deve avere nobiltà
morale, essere esperto nell’esercizio delle armi, conoscere le arti e in generale incarnare
gli ideali di equilibrio e classicità.
Tra le opere minori si ricordano i Tirsi, un Epistolario e De vita et gestis Guidubaldi
Urbini ducis.
242 Le origini della letteratura

Giovanni Della Casa (Borgo San Lorenzo, 1503 – Roma, 1556) è un rappresentante
del petrarchismo manierista.
Le sue Rime costituiscono un Canzoniere di grande valore. Narrano la vanità del
mondo, il divario tra realtà e ideale, la disillusione. Lo stile ricalca quello di Petrar-
ca. L’opera più nota di Della Casa è Galateo overo de’ costumi , un trattato sul
comportamento e sulle belle maniere.
Torquato Tasso (Sorrento, 1544 – Roma, 1595) è una figura fondamentale della
letteratura e della poesia cinquecentesca.
La sua è una vita travagliata. Durante il servizio per Luigi d’Este diventa vittima
di manie di persecuzione, tanto da essere rinchiuso in un ospedale psichiatrico per sette
Le origini

anni.
Tasso ha scritto moltissime opere come il Rinaldo, Discorsi sull’arte poetica, l’Aminta,
I Dialoghi, la Genealogia di casa Gonzaga, le Rime e molti poemetti di contenuto re-
ligioso. La Gerusalemme liberata (1581) la sua opera più importante è un poe-
ma epico in cui vengono descritti gli scontri tra cristiani e musulmani nell’assedio di
Gerusalemme alla fine della prima crociata.
Giordano Bruno (Nola, 1548 – Roma, 1600) elabora una nuova teologia in cui Dio,
oltre ad essere creatore dell’universo, è incarnazione stessa della natura. L’idea di
unità panteistica tra pensiero e materia viene considerata eretica dall’Inquisizione della
Chiesa romana che lo condanna al rogo il 17 febbraio 1600. La sua morte simboleggia
la fine del Rinascimento. Le sue opere sono prevalentemente di natura filosofica, tra le
più importanti si ricordano la Cena de le ceneri, lo Spaccio della bestia trionfante, De
monade e gli Eroici furori.

2.1.5 Il Seicento
Nel Seicento, in ambito artistico e letterario, si afferma lo stile Barocco. L’armonia
e il classicismo, tipiche forme dell’umanesimo e del rinascimento, vengono soppiantate
dal gusto per l’eccezione e l’anomalia. L’attenzione del poeta in questi anni è
volta all’innovazione e all’originalità stilistica. Gli scrittori fanno grande uso di artifici,
enigmi, concettismi, metafore e allegorie, a dimostrazione dell’acutezza dell’ingegno
artistico.
La ricerca forzata della novità nelle forme esteriori ed estetiche si definisce Mari-
nismo. Tale denominazione deriva dal poeta Giambattista Marino (Napoli, 1569 –
Napoli, 1625). Secondo Marino il fine della poesia è la meraviglia delle cose eccellenti.
I suoi componimenti utilizzano in maniera stravagante i moduli stilistici e le situazio-
ni della tradizione poetica. La sua opera principale è il poema mitologico Adone, si
ricordano inoltre i componimenti Galerı̀a, Lira e Sampogna.
Nel Seicento inoltre si sviluppa la letteratura scientifica.
Galileo Galilei (Pisa, 1564 – Arcetri, 1642), padre della scienza moderna, introduce
il metodo induttivo sperimentale, secondo cui l’indagine scientifica deve basarsi sull’os-
servazione diretta piuttosto che sul principio di autorità. Egli sostiene la necessità di
adattare la filosofia all’esperienza del mondo e la superiorità della tesi eliocentrica di
Copernico su quella geocentrica di Tolomeo. Per tali ragioni Galileo viene processato,
costretto a ritrattare le proprie tesi e condannato al carcere perpetuo. Le sue opere
principali, scritte in volgare, sono Dialogo sui massimi sistemi, Nuncius Sidereus e Il
Saggiatore.
Letteratura 243

Un altro genere tipico dell’età barocca è la commedia dell’arte, un’opera comica,


generalmente in tre atti, recitata da comici professionisti guidati da un capocomico.
I testi consistono in canovacci, base per l’improvvisazione messa in scena successiva-
mente durante lo spettacolo. Queste commedie sono generalmente comico mimiche, e
le maschere ritraggono tipi comici standardizzati.
Su un versante più impegnato si colloca il lavoro di Paolo Sarpi (Venezia, 1552 –
Venezia, 1623). Sarpi è un grande sostenitore dell’indipendenza di Venezia dalle pretese
del papato. Il suo lavoro principale è l’Istoria del concilio di Trento, altri scritti sono
Lettere ai protestanti, Trattato di pace e Breve relazione della Valtellina.

Letteratura
2.1.6 Il Settecento
La produzione letteraria subisce l’influsso della rivoluzione scientifico-matematica ca-
ratterizzata dal nuovo metodo d’indagine empirico e razionale. L’illuminismo influen-
za anche la letteratura la quale attribuisce un ruolo di primo piano alla ragione intesa
come lume in grado di far luce sulle tenebre dell’ignoranza e della superstizione.
Stilisticamente si torna ad una maggiore linearità. La semplificazione stilistica di-
venta lo strumento necessario per veicolare i messaggi edificanti e morali che maggior-
mente interessano gli scrittori di questo periodo.
Nel 1690 a Roma Gian Vincenzo Gravina e Giovanni Mario Crescimbeni fondano
l’Accademia dell’Arcadia, in riferimento alla tradizione bucolico pastorale e ai poeti
della mitica regione dell’Arcadia. L’Accademia dà vita a un vero e proprio movimento
culturale e letterario che si sviluppa e diffonde in tutta Italia. L’ideologia alla base del
gruppo è la volontà di superare il cattivo gusto del Barocco attraverso una nuova poesia
classicheggiante, regolare e aggraziata, di matrice petrarchesca.
Tra i principali rappresentanti dell’Arcadia si distingue Pietro Metastasio (Ro-
ma, 1698 – Vienna, 1782) che può essere considerato il riformatore del melodramma.
Il tema centrale dei suoi scritti è l’amore che nelle arie e nelle poesie assume un conno-
tato malinconico. Didone abbandonata è il suo scritto più celebre, si ricordano anche
Clemenza di Tito, Temistocle e Attilio Regolo.
Sul fronte dell’impegno civile e dello studio più rigoroso, degno di nota è il lavoro di
Giambattista Vico (Napoli, 1668 – Napoli, 1744) filosofo, storico e letterato precur-
sore dei tempi. Il suo pensiero è racchiuso nei cinque volumi della sua opera maggiore,
La Scienza Nuova.
Fino ad ora la storia è stata considerata come una successione cronologica di eventi. Vi-
co dimostra invece l’esistenza di un ordine fondamentale costituito da leggi immutabili
che ne governano l’evoluzione.
Dal momento che la natura si sottrae alla completa comprensione da parte dell’uo-
mo, la storia appare come l’unica disciplina degna di studio, in quanto è l’uomo stesso
a generarla. L’assunto inziale di Vico è il concetto del verum ipsum factum, per cui si
può conoscere veramente solo ciò si fa. Essendo opera dell’uomo, la storia del mondo
civile può essere pertanto oggetto di vera conoscenza: la Scienza Nuova.
Pietro Verri (Milano, 1728 – Milano, 1797) è un altro importante filosofo del Sette-
cento e una figura di spicco dell’illuminismo italiano. Verri è il fondatore della rivista Il
Caffè e dell’Accademia dei Pugni, intorno alla quale, in Lombardia, viene a crearsi
un importante centro di aggregazione illuminista. Le sue riflessioni spaziano dall’ambito
filosofico (tema della felicità e del piacere) a quello politico economico (liberalizzazione
244 Le origini della letteratura

del commercio e abolizione della tortura e pena di morte). Tra le sue opere principali
compaiono Meditazioni sulla felicità, Discorso sull’indole del piacere e del dolore e
numerosi Carteggi.
Cesare Beccaria, (Milano, 1738 – Milano, 1794) è amico di Verri e prossimo all’am-
biente culturale lombardo.
La sua opera principale, Dei delitti e delle pene (1763), gli conferisce fama
a livello mondiale. In questo testo Beccaria critica fortemente la pratica della pena
di morte e della tortura. Alla base delle riflessioni vi è la convinzione che lo Stato
rappresenti la somma dei diritti e dei doveri dei cittadini. Eseguendo la pena capitale
lo Stato, al fine di punire un delitto, si macchia a sua volta di un ulteriore delitto. La
Le origini

tortura invece è considerata uno strumento disumano poiché vi si ricorre ancor prima
di dimostrare la colpevolezza dell’imputato.
Un’altra istituzione milanese è l’Accademia dei Trasformati. Il gruppo propone
una letteratura legata ai modelli del classicismo rinascimentale, si connota però per il
tentativo di superare il modello pastorale arcadico, aprendosi piuttosto ai temi della
vita contemporanea.
Giuseppe Parini (Bosisio, 1729 – Milano, 1799) ne è il membro di maggior rilievo.
La sua poesia si pone un compito civile e didascalico di educazione all’uguaglianza
sociale.
Secondo Parini la funzione principale della letteratura è quella di rispecchiare la
realtà, offrendo uno stimolo di riflessione sull’acquisizione della virtù umana e civile.
La sua opera principale è Il Giorno, poema didascalico in endecasillabi sciolti. La
voce narrante incarna quella di un precettore che illustra in prima persona le cure e le
attività che impegnano un signore dell’aristocrazia nelle diverse ore della giornata. Il
tono del testo è ironico, a sottolineare la vacuità della vita del ceto nobiliare settecen-
tesco. Gli altri scritti celebri sono le Odi, Dialogo sopra la nobiltà e Discorso sopra la
poesia.
Carlo Goldoni (Venezia, 1707 – Parigi, 1793) è uno dei principali narratori ita-
liani, padre della commedia moderna. Egli compie un’importante riforma del teatro,
superando gli stilemi della commedia dell’arte. Goldoni compie un approfondito lavoro
sul testo prima della rappresentazione, che va ben oltre la modalità dell’improvvisa-
zione. Un altro aspetto dell’innovazione goldoniana consiste nella caratterizzazione dei
personaggi in modo da porre in risalto l’individualità all’interno di un ambiente più
verosimile. Egli scrive oltre duecento commedie, in italiano e in dialetto veneziano;
quelle composte a partire dal 1750 rappresentano i lavori più evoluti. Tra le sue opere
principali si segnalano La bottega del caffè, La locandiera, Il campiello, Trilogia della
villeggiatura, I rusteghi e Il ventaglio.
Vittorio Amedeo Alfieri (Asti, 1749 – Firenze, 1803) è l’altra figura di spicco in
ambito teatrale.
Influenzato del teatro francese di Racine e Corneille, Alfieri si distacca fortemente
da Goldoni. Il narratore piemontese si cimenta nel genere tragico e si serve di una
lingua aulica e solenne. Assente ogni intenzione realistica, non c’è sfondo teatrale che
ambienti i personaggi, né intreccio o azione.
Alfieri concepisce il teatro come mezzo di educazione civile e politica, l’artista è inteso
come sacerdote dell’umanità. I protagonisti della scena sono i grandi personaggi,
capaci di suscitare l’amore per la libertà e l’odio contro la tirannide. Il protagonista
Letteratura 245

delle sue tragedie è il singolo eroe che cerca di opporsi alla tirannia del potente. Il
fato, alla base di ogni vicenda, costringe il protagonista a reagire. Proprio nella lotta
con il fato gli eroi rivelano la loro forza, ricreando modelli esemplari da riproporre ai
contemporanei. Le sue opere principali sono le tragedie Saul , Mirra, i trattati politici
Della tirannide e il Misogallo e la sua celebre autobiografia Vita.
Un’altra reazione alla complessità e all’artificio dell’arte barocca è la corrente del
Neoclassicismo. In seguito alle scoperte archeologiche di Pompei ed Ercolano, duran-
te il Neoclassicismo torna ad affermarsi l’interesse per la cultura classica e mitologi-
ca. J. Winckelmann ripropone il modello dell’arte greca come ideale del bello eterno,
caratterizzato dal dominio delle passioni e dall’armonia interiore.

Letteratura
Vincenzo Monti (Alfonsine, 1754 – Milano, 1828) è l’esponente per eccellenza del Neo-
classicismo italiano. Grande studioso dei testi antichi, Monti è celebre soprattutto per
i suoi lavori di traduzione, si ricorda fra tutti la sua traduzione dell’Iliade di Omero.
Altre opere composte seguendo gli stilemi classici sono Musogonia e Feroniade.

Lo Sturm und Drang


Tra il 1765 e il 1785 in Germania si sviluppa un movimento ideologico, letterario e cul-
turale che rivaluta l’elemento passionale contro il razionalismo illuministico: lo Sturm
und Drang, che letteralmente significa Tempesta e Impeto. Tale corrente prende il
nome dal dramma Wirrwarr (caos), pubblicato nel 1776 da Maximilian Klinger.
Influenzato dai filosofi tedeschi Johann Gottfried von Herder e Johann Georg Ha-
mann, questo movimento coinvolge personalità come Johann Wolfgang von Goe-
the, Friedrich Schiller, Friedrich Müller e Jakob Michael Reinhold Lenz. Le
caratteristiche principali dello Sturm und Drang sono l’opposizione al razionalismo
illuminista, il ritorno all’arte gotica, il richiamo al primigenio spirito tedesco, la risco-
perta delle forze della natura intesa come manifestazione della divinità, l’esaltazione
dell’istintività e della passionalità, della poesia e dell’artista.

2.2 Letteratura Moderna


2.2.1 L’Ottocento
Nell’Ottocento letterario si sviluppa un’inversione di tendenza caratterizzata dal rifiuto
del classicismo a favore dell’individualismo sentimentale, il Romanticismo. In questi
anni prevalgono inclinazioni di carattere negativo come il dolore, l’inquietudine, l’infe-
licità individuale, la delusione, il rifiuto della realtà e il desiderio della morte, il fascino
del mistero e dell’orrore. Nei primi anni del secolo si sviluppano correnti preromantiche
come lo Sturm und Drang, il wertherismo e la letteratura gotica. Prevale l’evasione nel
sogno, nelle tenebre, nell’allucinazione, e il mondo interiore diventa la vera essenza del
reale.
Il poeta romantico si dimostra insofferente alle regole e ai modelli, i componimenti
diventano espressione di un soggettivismo libero e originale, spontaneo e autentico.
Le figure di maggior rilievo nella letteratura ottocentesca italiana sono Ugo Fo-
scolo, Giacomo Leopardi, Alessandro Manzoni e Giosuè Carducci. Nello stesso tem-
po si sviluppano alcune correnti letterarie come la letteratura civile, il Verismo e la
Scapigliatura.
246 Letteratura Moderna

Niccolò Ugo Foscolo (Zante, 1778 – Turnham Green, 1827) è il principale espo-
nente letterario italiano del suo tempo, nelle sue opere si manifestano le peculiarità
del neoclassicismo, del preromanticismo e del romanticismo.
Dopo la discesa dei francesi in Italia, sotto l’influenza delle idee giacobine, s’impegna
in un’intensa attività politica che lo accompagna per quasi tutta la vita. In seguito alle
delusioni riscontrate dai trattati politici e dalla sottomissione straniera cui è costretta
la patria, Foscolo intraprende numerosi viaggi dove stringe vari legami sentimentali.
La sua esistenza è caratterizzata dall’inquietudine, dall’angoscia davanti al nulla
eterno e all’oblio della morte. Il pessimismo e il desiderio di sopravvivenza alla morte,
non trovando sollievo nella religione, cercano sfogo nei componimenti letterari. Nelle
Moderna

sue opere Foscolo dà voce alla propria insofferenza, alleviata da valori fondamentali
come l’amore per la patria, la poesia, la libertà, la bellezza e l’arte. La pratica di tali
attività e le nobili imprese dell’uomo rendono l’individuo degno del ricordo, e il sepolcro
diventa legame di affetto, simbolo di civiltà ed esempio per i compatrioti.
Stilisticamente Foscolo è legato all’estetica neoclassica, nei suoi scritti sono fre-
quenti i richiami alla mitologia e alla Grecia classica, concepita come rifugio ideale di
serenità. La sua composizione poetica comprende le Odi, Le Grazie (1803-1827) I Se-
polcri (1806), il romanzo epistolare Le ultime lettere di Jacopo Ortis (1802-1803)
e numerosi sonetti come Alla sera (1803), A Zacinto (1803), Alla Musa (1803), In
morte del fratello Giovanni (1803).
Giacomo Leopardi (Recanati, 1798 – Napoli, 1837) durante la giovinezza, caratte-
rizzata dall’isolamento e dalla rigida educazione, trova rifugio nello studio “matto e
disperatissimo” dei classici e delle lingue.
Tra il 1815 e il 1816 Leopardi vive una profonda crisi spirituale che lo porta ad
abbandonare l’erudizione per dedicarsi alla poesia. Tale mutamento è stato definito
come una conversione dall’erudizione al bello.
Per tutta la vita Leopardi soffre di una salute cagionevole che contribuisce ad acu-
tizzare il suo disagio sociale, facendolo sentire in condizione di inferiorità nei confronti
del mondo. Tale sentimento lo spinge a indagare il dolore e la condizione umana.
Persa la fede, Leopardi rivolge le sue attenzioni alla filosofia sensistica e materiali-
stica e la sua riflessione vive una nuova conversione, dal bello al vero.
Il pessimismo è l’aspetto filosofico che caratterizza l’evolversi del suo pensiero e nel
corso del tempo assume connotati diversi. Fondamentalmente possono distinguersi tre
fasi del pessimismo leopardiano: il “pessimismo individuale”, il “pessimismo storico” e
il “pessimismo cosmico”.
In giovinezza Leopardi sostiene un pessimismo individuale per cui ritiene che
la vita sia stata spietata con lui solo. Ben presto giunge a considerare la sofferenza
come il frutto negativo dell’evoluzione storica: il pessimismo storico. Secondo questa
concezione il sapere razionale ha negato la spontanea e libera immaginazione, conforto
al disagio esistenziale. Da ultimo, il pessimismo cosmico afferma che l’infelicità è
connaturata alla stessa vita dell’uomo. La natura è la sola colpevole dei mali dell’uomo,
che si trova destinato a soffrire per tutta la vita.
Contraltare al pessimismo, il poeta sviluppa la “teoria del piacere” secondo la
quale l’uomo tende comunque spontaneamente a ricercare un piacere infinito come
soddisfazione di un desiderio illimitato. Grazie alla facoltà immaginativa l’individuo
può figurarsi piaceri inesistenti e illimitati. La speranza dunque si configura come il
bene maggiore e la felicità umana trova realizzazione nell’immaginazione.
Letteratura 247

Stilisticamente le opere di Leopardi sono caratterizzate dall’essenzialità del lin-


guaggio che con estrema sapienza ritmica e sintattica è in grado di creare immagini di
straordinaria suggestione. Il pensiero di Leopardi trova sublime espressione nei Canti
tra cui All’Italia, Il Passero solitario, L’Infinito, A Silvia, La Quiete dopo la tempesta,
il Sabato del villaggio e La Ginestra. Tra le opere in prosa si segnalano Le Operette
morali , i Pensieri , lo Zibaldone e l’Epistolario.

Sito di approfondimento su Giacomo Leopardi: www.leopardi.it/

Letteratura
Alessandro Manzoni (Milano, 1785 – Milano, 1873), nipote di Cesare Beccaria, è
tra i principali autori della letteratura italiana. Manzoni vive un intenso rapporto con
il suo tempo di cui si fa interprete in opere come le Odi Civili (tra cui Marzo 1821 e
Il 5 maggio).
I Promessi Sposi , iniziato nel 1821 e pubblicato in dispense nella sua forma
definitiva tra il 1840 e il 1842, è il primo esempio di romanzo storico italiano. In questo
testo, ambientato nell’Italia del ‘600 sotto la dominazione spagnola, la componente
realistica è dominante, e la grande novità consiste nel continuo alternarsi di racconto
e riflessione. Dal punto di vista linguistico I Promessi Sposi rappresenta una tappa
fondamentale nella nascita della lingua italiana, l’autore introduce infatti l’utilizzo del
linguaggio parlato, fino a ora non ammissibile in letteratura.
Manzoni scrive anche liriche di stampo neoclassico e Inni sacri. Questi scritti co-
stituiscono una svolta nella poesia manzoniana derivante dalla sua conversione al cat-
tolicesimo, evento che influenza non soltanto la vita privata dello scrittore, ma anche
la sua attività letteraria.
Il Conte di Carmagnola (1816-20) e l’Adelchi (1820-22) sono due importanti
opere tragiche che segnano la rinascita del genere in Italia.
Giosuè Carducci (Valdicastello, 1835 – Bologna, 1907), considerato nei suoi anni
come guida nazionale della cultura italiana, è stato insignito del Premio Nobel nel
1906.
Sebbene non rientri in alcuna corrente di pensiero, Carducci prende le distanze dal
romanticismo, prediligendo una forma letteraria più classicista. I temi affrontati dal
poeta sono per lo più edificanti come la bellezza, l’eroismo e il paesaggio. Nelle sue
opere si avverte l’impegno morale rinascimentale, volto a recuperare la forza interiore
attraverso il ricordo nostalgico di un lontano tempo eroico.
Stilisticamente le liriche di Carducci sono auliche e raffinate, spesso impetuose e dram-
matiche. I suoi versi sono raccolti nei testi Levia Gravia, Iuvenilia, Giambi ed Epodi,
Rime nuove e Odi Barbare.

La letteratura civile e politica dei patrioti


Durante l’Ottocento in Italia si sviluppa un forte senso politico che trova voce anche
nelle opere letterarie.
Gli intellettuali si fanno portavoce di sentimenti civili ed edificanti, in questa ten-
denza si può riscontrare un’identificazione tra romanticismo e risorgimento.
Giuseppe Mazzini (Genova, 1805 – Pisa, 1872) contribuisce in maniera decisiva alla
nascita dello Stato unitario italiano.
248 Letteratura Moderna

Le sue teorie assumono grande importanza nella definizione dei moderni movimenti
europei per l’affermazione della democrazia. Secondo l’ideologia mazziniana l’arte
deve essere al servizio dell’ideologia civica e politica, operando in funzione del progresso.
Mazzini, impegnato in un’intensa attività politica, esprime le proprie teorie attraverso i
giornali e la composizione di saggi di natura economica e sociale tra cui Della Giovine
Italia e Doveri dell’uomo.
Carlo Cattaneo (Milano, 1801 – Castagnola-Cassarate, 1869) partecipa attivamente
al Risorgimento italiano. Cattaneo è il promotore di un sistema politico basato
su una confederazione di stati italiani. All’alba dell’unificazione italiana le sue idee
federaliste sono incentrate su un pensiero liberale e laico. Il progresso della società
Moderna

deve essere guidato dalla scienza e dalla giustizia acquisendo il valore della libertà di
pensiero per giungere all’evoluzione collettiva. L’individuo è chiamato a partecipare
alla vita della società, solo attraverso il confronto si può infatti giungere al progresso.
Nel 1839 fonda Il Politecnico – Repertorio mensile di studi applicati alla prosperità
e coltura sociale.
Tra le sue opere si segnalano La città considerata come principio ideale delle istorie
italiane, Notizie naturali e civili su la Lombardia e Dell’analisi delle menti associate.
Ippolito Nievo (Padova, 1831 – mar Tirreno, 1861) alterna la propria attività politica
a quella di letterato.
Affascinato dal programma democratico di Mazzini e Cattaneo, nel 1848 partecipa
all’insurrezione di Mantova.
Negli anni si avvicina al giornalismo militante milanese e collabora al settimanale Il
Caffè.
Nel 1860 partecipa alla Spedizione dei Mille unendosi alle truppe garibaldine. Il
suo lavoro più importante è il romanzo pubblicato postumo nel 1867, Le confessioni di
un italiano. Tra gli altri testi si ricordano Novelliere campagnuolo e altri racconti e Le
invasioni moderne. Silvio Pellico (Saluzzo, 1789 – Torino, 1854) nel 1820 viene arre-
stato dalla polizia austriaca in quanto membro della setta segreta dei “Federati”. Viene
trasferito nella prigione dei Piombi di Venezia, fino all’anno seguente, quando la
sentenza definitiva lo condanna alla pena di morte. La pena viene in realtà commutata
a quindici anni di carcere da scontarsi nella fortezza di Spielberg a Brno in Moravia.
La dura esperienza carceraria è il soggetto del suo libro di memorie, Le mie prigioni .
Massimo D’Azeglio (Torino, 1798 – Torino, 1866), patriota italiano, cosciente delle
profonde differenze tra i vari regni d’Italia, sostiene la creazione di una confederazione
che mantenga le sovranità legittime. Per queste posizioni federali viene osteggiato da
Cavour e dai mazziniani.
Dal 1849 al 1852 riveste la carica di primo ministro del Regno di Sardegna di cui
diventa senatore nel 1853. Nel 1859 riceve l’incarico di costituire un governo provviso-
rio a Bologna dopo la cacciata delle truppe pontificie. L’anno successivo viene nomi-
nato Governatore della Provincia di Milano. Nonostante l’attività politica, D’Azeglio
si dedica all’arte e il suo componimento letterario più celebre è il romanzo Ettore
Fieramosca.
Francesco de Sanctis (Morra Irpina, 1817 – Napoli, 1883) svolge un’intensa attività
politica ricoprendo le cariche di Ministro dell’Istruzione e di Presidente della Camera
del Regno d’Italia.
Letteratura 249

Egli si dedica tuttavia anche agli studi filosofici e letterari. L’incontro tra l’attività
politica e quella accademica deriva dalla convinzione della necessità di superare il di-
stacco tra l’artista e l’uomo, tra la cultura e la vita nazionale, tra la scienza e la vita.
Il progetto letterario di De Sanctis può dunque essere interpretato come una battaglia
culturale inserita nel suo contesto storico.
Il capolavoro critico di De Sanctis è la Storia della letteratura italiana in cui si
instaura un legame tra il contenuto e la forma al fine di ricostruire l’orizzonte culturale
e morale da cui nascono le grandi opere. Tra gli altri lavori si segnalano Il Farinata di
Dante, il Saggio sul Petrarca e L’Uomo di Guicciardini.

Letteratura
Il verismo
Il verismo si afferma in Italia verso la fine del secolo in concomitanza con la co-
stituzione della nazione come Stato unitario. Questa corrente letteraria deriva dal
Naturalismo francese di Emile Zola, Guy de Maupassant e dal Positivismo.
Dal Positivismo trae la fiducia nel metodo scientifico basato sull’osservazione diretta
dei fenomeni, dal Naturalismo l’interesse a fotografare oggettivamente la realtà sociale
e umana.
Il verismo teorizza dunque una rigorosa fedeltà al “vero”, alle situazioni reali, ai
fatti e ai personaggi.
A partire da tale presupposto lo scrittore indaga, scientificamente, le leggi che rego-
lano la società umana. Scompare l’esclusività dell’oggetto artistico, nel senso che anche
le scene più umili e i personaggi più abbietti diventano degni di studio e descrizio-
ne. Il verismo dimostra particolare interesse per le forme sociali basse e disagiate, con
particolare attenzione alle regioni più emarginate della penisola.
Da ciò deriva l’attenzione al quotidiano, agli aspetti “normali” dell’esistenza.
L’atteggiamento adottato dai veristi è scientifico. Lo scrittore cerca le cause deter-
ministiche che muovono i personaggi e le loro azioni, e i sentimenti sono considerati in
termini psicofisiologici. I principali rappresentanti del verismo sono Luigi Capuana e
Giovanni Verga.

Luigi Capuana (Mineo, 1839 – Catania, 1915) può essere considerato il teorico e
il padre del verismo. Nella raccolta di saggi Il Teatro italiano contemporaneo. Studi
sulla letteratura contemporanea (1872) Capuana elabora la poetica del verismo basata
sulla narrazione tratta direttamente dal vero. Secondo tale concezione lo scrittore deve
attingere il materiale per le proprie storie dalla vita contemporanea e narrare i fatti
realmente accaduti, ricostruendo scientificamente il processo dell’azione. Dal punto di
vista della produzione letteraria, il suo romanzo Giacinta (1879), ispirato ad un fatto
di vita reale, rappresenta il primo testo verista. Il romanzo è puramente naturalista, c’è
l’attenzione per i fatti patologici e la figura che emerge è quella di un medico che inter-
viene nella realtà malata con approccio scientifico. L’azione è descritta da un narratore
onnisciente che osserva i fatti dall’esterno ed interviene con i suoi commenti. L’ope-
ra più apprezzata di Capuana è Il Marchese di Roccaverdina, tra i suoi scritti si
segnalano inoltre La Sfinge, Profumo, Rassegnazione.

Giovanni Verga (Catania, 1840 – Catania, 1922) è il rappresentante più significativo


del Verismo. Meno interessato alla teorizzazione del movimento, Verga dedica i propri
sforzi alla composizione letteraria narrativa e teatrale.
250 Letteratura Moderna

Nelle sue opere sono presenti i temi veristi dell’attenzione al reale, al quotidiano, alla
popolazione disagiata. La grande innovazione introdotta da Verga consiste nella tecnica
narrativa. Lo scrittore ricerca l’imparzialità di giudizio sopprimendo il proprio pensiero
e la propria ideologia. In questo modo Verga raggiunge una perfetta sintonia con il
materiale narrativo descritto. Lo scrittore si immedesima con i propri protagonisti fino
ad assumerne il linguaggio. Verga riproduce magistralmente la sintassi del dialetto
siciliano restituendone la struttura nella lingua italiana. Da tale immedesimazione
consegue un sentimento di pietà e ammirazione nei confronti dei protagonisti delle
storie: pena per la loro miseria e ammirazione per la loro capacità di sopportazione. Il
romanzo in cui i temi veristi sono espressi al meglio è I Malavoglia.
Moderna

Con il termine Ciclo dei Vinti viene indicato un corposo progetto letterario co-
stituito da cinque romanzi: I Malavoglia, Mastro-don Gesualdo, La duchessa di Leyra,
L’onorevole Scipioni e L’uomo di lusso. L’opera riamane tuttavia incompiuta in quanto
La Duchessa de Leyra è solo abbozzato e gli ultimi due romanzi del Ciclo non vengono
neppure iniziati.
Verga compone inoltre due importanti raccolte di novelle: Vita dei campi (1880)
che comprende, tra le altre, Cavalleria Rusticana, Rosso Malpelo, Nedda e La lupa e
Novelle Rusticane (1883) che include, tra le altre, La roba, Pane nero e Libertà.

Sito si approfondimento su Giovanni Verga: www.giovanniverga.com/

Federico De Roberto (Napoli, 1861 – Catania, 1927) aderisce al naturalismo dando ai


suoi scritti un tono freddo e documentaristico, ricco di riflessioni psicologiche. Molti suoi
scritti come Documenti umani (1888), La morte dell’amore (1892) e Spasimo (1897),
affrontano temi sentimentali ed erotici, analisi ed indagini psicologiche di personaggi
del mondo politico ed aristocratico. La sua opera più importante è I Viceré ( 1894).
In questo scritto De Roberto realizza un affresco dell’aristocrazia siciliana, orgogliosa,
gelosa dei suoi privilegi, assetata di denaro e di potere. Lo stile è stato definito realismo
epico, in cui si inseriscono inflessioni grottesche e un lieve compiacimento per i mali
dell’anima, del corpo e per la morte.
Maria Grazia Cosima Deledda (Nuoro, 1871 – Roma, 1936), vincitrice del Premio
Nobel nel 1926, è vicina al verismo per l’ambientazione rurale dei suoi scritti ma se ne
distacca per l’atteggiamento, maggiormente intimista e psicologico, e per l’attenzione
a tematiche come l’amore, il peccato e il dolore.
L’universo narrativo di Grazia Deledda è quello sardo che assume una connotazione di
luogo mitico, senza tempo. L’ambientazione diventa cosı̀ archetipo per le vicende in cui
si consuma il dramma dell’esistenza.
La lingua è fortemente influenzata dal dialetto, le pagine scritte diventano eco
del fraseggio quotidiano e colloquiale. Lo stile si mette cosı̀ a servizio di storie an-
cestrali e fortemente passionali. I suoi testi più celebri sono Racconti sardi (1895),
L’edera (1908), Canne al vento (1913), e La madre (1920).
Matilde Serao (Patrasso, 1856 – Napoli, 1927) è la prima donna italiana ad aver fon-
dato, nel 1892, un quotidiano: Il Mattino. La sua intensa attività di giornalista affianca
quella di scrittrice in cui narra la Napoli della piccola borghesia di fine Ottocento. Tra
i suoi testi più importanti Il paese della cuccagna (1891) e Il romanzo della fanciulla
(1886).
Letteratura 251

Il naturalismo francese
Dal punto di vista letterario il naturalismo francese ha un’importanza rilevante.
Le principali caratteristiche di questo movimento sono l’analisi, condotta con meto-
do analitico e scientifico, dei costumi della società e della vita quotidiana delle classi
inferiori.
Il principale esponente del Naturalismo è Emile Zola (1840-1902). Nel 1867 pub-
blica il suo primo romanzo importante, Teresa Raquin. L’opera narra le vicende di
una donna che fa uccidere il marito dall’amante ma, ossessionata dal delitto, finisce
per suicidarsi insieme al compagno. Il libro viene considerato osceno e immorale, ma
l’autore replica sostenendo che voleva raccontare la vicenda da un’angolatura “scien-

Letteratura
tifica”. Anche nelle opere successive Zola affronta i problemi della piccola borghesia e
del proletariato, fino ad allora ignorati dalla letteratura. Egli descrive con precisione
e impassibilità la condizione dell’uomo del suo tempo ridotto a “bestia umana” dal-
l’industrializzazione. Caposcuola del naturalismo, Zola esprime il proprio pensiero e le
teorie letterarie nel saggio Il romanzo sperimentale, pubblicato nel 1880.

La scapigliatura
La scapigliatura è un movimento artistico e letterario che si sviluppa nell’Italia setten-
trionale a partire dagli anni Sessanta dell’Ottocento. Il termine scapigliatura corrispon-
de alla traduzione del termine francese bohème, in riferimento alla vita anticonformista
e originale degli artisti parigini. L’appellativo viene utilizzato per la prima volta nel
1862 da Cletto Arrighi nel romanzo La Scapigliatura e il 6 febbraio. Questo
testo è la fotografia di un gruppo di scontenti e rivoltosi inseriti nel clima sociale e
politico di quegli anni.
Gli artisti scapigliati sono accomunati da un sentimento di estraneità e ribellione nei
confronti della società borghese e dei suoi valori. Nonostante non si sia mai costituito
formalmente, il movimento della Scapigliatura pone in primo piano il divario che separa
l’artista dalla società ben pensante. Gli scrittori che si riconoscono in questa ideologia
sono accomunati da un sentimento di ribellione e disprezzo nei confronti delle norme
morali precostituite.
I principali esponenti del movimento scapigliato sono Vittorio Imbriani, Giovanni
Camerana, Iginio Ugo Tarchetti, Carlo Dossi, Arrigo Boito ed Emilio Praga.

2.3 Letteratura del ‘900


2.3.1 Il Novecento
La letteratura italiana nel Novecento è molto variegata, ricca e fortemente influenzata
da fattori storico-politici e socioculturali. Al fine di fornire una panoramica chiara e
schematica procediamo cronologicamente analizzando le diverse correnti che si sono
sviluppate nel corso degli anni.

2.3.2 Tra l’800 e il ‘900: il decadentismo


Il decadentismo delinea un movimento artistico e letterario che si sviluppa in Europa
tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Il termine decadentismo deriva dalla
parola francese décadent, per indicare il senso di decadenza morale avvertito dagli
artisti di quegli anni.
252 Letteratura del ’900

In questo periodo i poeti e gli scrittori si sentono estranei a un mondo considerato


decaduto e materialista, assumono pertanto un atteggiamento antitetico rispetto al
razionale positivismo scientifico e al materialismo.
Gli artisti trovano rifugio nella sfera dell’intuizione e della sensibilità, convinti che
solamente il sentimento sia la chiave di accesso ai misteri della vita. In questi anni
nasce una nuova figura di intellettuale: il poeta veggente. Lo scrittore non è più la guida
morale tipica del romanticismo, né il promotore della scienza come nell’illuminismo o il
cantore della bellezza nel rinascimento. Il poeta è ora veggente, colui che intuisce e
sente mondi arcani e invisibili.
I principali autori italiani di questo periodo sono Giovanni Pascoli, Antonio Fogaz-
Del ‘900

zaro e Gabriele D’Annunzio.

Giovanni Pascoli (San Mauro di Romagna, 1855 – Bologna, 1912) è una figura em-
blematica della tradizione poetica italiana. La sua opera si inserisce nel panorama del
decadentismo, caratterizzata da una visione pessimistica della vita. Il mondo appare
come misterioso e indecifrabile. Non potendo comprenderne razionalmente il significa-
to, il poeta può pertanto coglierne spiritualmente solo alcuni aspetti particolari. La
poesia di Pascoli pone dunque l’accento al particolare e al quotidiano, con un’attenzio-
ne precisa alla dimensione infantile. Celebre è la sua poetica del fanciullino, secondo
la quale la poesia riesce a trovare la propria espressione migliore nel momento in cui
ritrova la voce del fanciullo. La capacità di stupirsi e la disposizione irrazionale, tipiche
del mondo infantile, permettono al poeta di giungere alla verità dell’esistenza. Attra-
verso l’irrazionalità e l’intuizione, il poeta fanciullo può cosı̀ accedere al mistero della
natura.
Tra le sue opere si segnalano Il fanciullino (testo in cui Pascoli esprime il proprio
pensiero sulla poesia), le raccolte poetiche Myricae, i Poemetti, i Canti di Castel-
vecchio, Odi e Inni, i Poemi Italici, i Poemi del Risorgimento, le Canzoni di re Enzio
e La grande proletaria si è mossa.

Sito di approfondimento su Giovanni Pascoli: www.classicitaliani.it/index350.htm

Antonio Fogazzaro (Vicenza, 1842 – Vicenza, 1911), ricevuta una forte educazione
cattolica, vive intensamente e conflittualmente il proprio rapporto con la religione. Con
i romanzi Leila e Il Santo Fogazzaro tenta una mediazione al conflitto tra fede e l’idea
di evoluzione scientifica. Questi scritti incontrano il disappunto della Chiesa Cattolica
che li mette all’Indice dei libri proibiti.
Nella trilogia di romanzi Piccolo mondo antico, Piccolo mondo moderno e
Il Santo, Fogazzaro affronta la tesi dell’evoluzione morale e del progresso dell’uomo
che riesce a evolversi da una condizione misera e infelice.
All’interno delle sue opere sono centrali il tema dell’amore infelice e non corrisposto,
la tendenza al misticismo, reazione decadente al positivismo. L’analisi psicologica, il
realismo e la vena umoristica sono una costante dei suoi scritti.

Gabriele D’Annunzio (Pescara, 1863 – Gardone Riviera, 1938), soprannominato il


Vate (il profeta), riveste un ruolo centrale sia in ambito letterario che nell’attività
pubblica e politica. La sua visione del mondo può definirsi naturalistica panteistica,
caratterizzata dall’ispirazione naturalistica e dalla cultura materialistica nel medesimo
Letteratura 253

tempo. Al termine della prima guerra mondiale D’Annunzio sviluppa poi un forte
individualismo dai contorni idealisti e nazionalisti.
Il pensiero dannunziano si evolve nel tempo a fianco del processo storico.
Inizialmente abbraccia un naturalismo individualista e ottimista. In questi anni
compone le raccolte di liriche Primo Vere (1879), Canto novo (1882), Le novelle della
Pescara (1902) e i romanzi Il piacere (1889), l0 Innocente (1892) e Il trionfo della
morte (1894).
Una seconda fase si ispira alla morale eroica del superuomo di Nietzsche. In que-
st’ottica dapprima cerca di realizzare la morale del superuomo in relazione alla politica,
compone Le vergini delle rocce (1896)) e La Gloria (1889). In seguito il poeta si

Letteratura
ripiega su se stesso ed esalta la passione fuori da ogni convenzione morale, scrive le
tragedie La Gioconda (1889), Francesca da Rimini (1901), La fiaccola sotto il mog-
gio (1905) e il romanzo Il fuoco (1900). Infine D’Annunzio coglie più sinceramente la
propria essenza e celebra la vita in tutti i suoi valori, incitando a viverla con gioia e
forza. A questo periodo appartengono le Laudi del cielo, del mare, della terra, degli
eroi (Maia, Elettra, Alcione e Mèrope). Le Laudi vengono concepite come un poema in
sette libri intitolato alle Pleiadi, tuttavia solo i primi quattro vedono la pubblicazione.
In una terza fase, con lo scoppio della guerra e con l’impresa di Fiume, D’Annunzio
abbandona l’individualismo ed emerge una rigenerazione morale ed estetica. In questo
periodo il Vate pone il proprio individualismo al servizio della storia e della patria.
In questi anni scrive la novella Leda senza Cigno (1913-1916), le orazioni Per la più
grande Italia (1915), la raccolta di discorsi pronunciati dopo Caporetto, La riscossa
(1918), il diario di guerra Notturno (1921), i discorsi Per l’Italia degli Italiani (1923),
La penultima ventura (1931), I canti della guerra latina (1934) e i diari Cento e cento
pagine del libro segreto di G. D’Annunzio tentato di morire (1935) e Solis ad solam
(1939).

2.3.3 Idealismo filosofico


Al rinnovamento della cultura italiana nei primi anni del Novecento contribuisce l’ide-
alismo filosofico che reagisce alla cultura positivistica di fine Ottocento. I principali
rappresentanti di questo pensiero sono Benedetto Croce e Giovanni Gentile.
Benedetto Croce (Pescasseroli, 1866 – Napoli, 1952) è il principale ideologo del li-
beralismo novecentesco italiano, fondatore del ricostituito Partito Liberale Italiano
ed esponente di spicco dello storicismo di matrice hegeliana.
Lontano dalle teorie positivistiche, Croce concepisce la filosofia come disciplina in
grado di comprendere e concepire il reale, a discapito della scienza che si limita ad
assumere un ruolo di “misuratrice” della realtà. Importante filosofo idealista, Croce
fonda la rivista Critica e scrive numerosi saggi letterari raccolti in Poesia e non poesia.
Giovanni Gentile (Castelvetrano, 1875 – Firenze, 1944) rivendica l’unità di natura
e lo spirito nella coscienza. La coscienza è vista come sintesi di soggetto e oggetto e
come fondamento del reale.
Gentile dedica la sua attenzione all’arte intesa come espressione di soggettività, al-
la religione e alla filosofia. Secondo il pensatore la dialettica dell’atto puro si attua
nell’incontro tra la soggettività rappresentata dall’arte e l’oggettività incarnata dal-
la religione, la cui sintesi si trova infine nella filosofia. Tra le sue opere principali si
segnalano Sommario di pedagogia, Discorsi di religione e Filosofia dell’arte.
254 Letteratura del ’900

2.3.4 La poesia
In questi anni si sviluppano fondamentalmente due correnti letterarie poetiche: il
crepuscolarismo e il futurismo.

2.3.5 Il crepuscolarismo
Il termine crepuscolarismo viene coniato da Giuseppe Antonio Borghese nel 1911
per indicare la poesia interessata agli aspetti evanescenti, malinconici, crepuscolari,
appunto. Influenzati dalle liriche di Pascoli, i crepuscolari cantano la vita casalinga
e modesta, il piccolo mondo borgese, descritto con mezze tinte e luci morenti. Stili-
sticamente si fa grande utilizzo del verso libero, espressione del carattere quotidiano
Del ‘900

delle tematiche. Oltre all’esponente principale, Guido Gozzano, si segnalano altri poeti
crepuscolari come Sergio Corazzini (Roma, 1887-1907) e Fausto Maria Martini (Roma,
1886-1931).

Guido Gozzano (Agliè Canavese, 1883 – Torino 1916) è il più apprezzato e fecondo
poeta crepuscolare. Egli canta l’umiltà del tempo antico e la nostalgia per la vita
semplice di provincia. All’inquietudine per lo scorrere inesorabile del tempo, la fede
pare l’unico appiglio di speranza e conforto. Tra le sue raccolte di versi si ricordano La
via del rifugio, I primi e gli ultimi colloqui, e il libro Verso la cuna del mondo in cui
racconta un proprio viaggio attraverso l’Italia.

2.3.6 Il futurismo
In contrapposizione al crepuscolarismo, questa corrente avanguardistica sostiene la ne-
cessità di un rinnovamento della vita in senso attivistico, il dinamismo dell’arte e dei
nuovi tempi. Caratterizzata dal disprezzo per la tradizione, la poesia futurista fa ampio
uso delle “parole in libertà”, dell’improvvisazione e del verso libero.

Filippo Tommaso Marinetti (Alessandria d’Egitto, 1876 – Bellagio 1944) è il fon-


datore del movimento futurista. Nel 1909, a Parigi, è autore del primo manifesto
futurista, pubblicato sulle pagine del Figaro, di cui sono celebri le parole “Un auto-
mobile ruggente è più bello della Vittoria di Samotracia. . . Noi vogliamo glorificare la
guerra – sola igiene del mondo”. Nelle sue opere sono presenti l’esaltazione della forza,
della velocità, della potenza e della macchina. I suoi principali componimenti sono La
bataile de Tripoli, Zang-Tumb-Tumb, Les mots en liberté futuristes, Spagna veloce e toro
futurista e il manifesto in prosa contro il romanticismo Uccidiamo il chiaro di luna!

Aldo Palazzeschi (Firenze, 1885 – Roma, 1974) pur rientrando nel movimento futu-
rista e abbracciando l’avanguardia letteraria, risente anche dell’influenza crepuscolare.
Le sue opere più celebri sono le raccolte di versi L’incendiario, l’Antidolore e le Poesie.
Palazzeschi scrive inoltre alcuni romanzi come Sorelle materassi , I fratelli Cuccoli e
Stefanino.

2.3.7 L’ermetismo
L’ermetismo, altrimenti detto poesia pura, si afferma tra gli anni Trenta e Quaranta
e si caratterizza per la sua essenzialità. La poesia ermetica ha un carattere chiuso (er-
metico) e complesso.
Letteratura 255

Perseguendo l’ideale di una “poesia pura”, libera da ogni finalità pratica ed educa-
tiva, il poeta esprime il senso della solitudine e della disperazione umana davanti a un
mondo incomprensibile, sconvolto dalle guerre e dalle dittature.
La parola perde la funzione comunicativa per assumere un carattere evocati-
vo che descrive uno stato d’animo pessimista e sfiduciato dell’uomo. Stilisticamente i
componimenti ermetici sono molto brevi, suggestivi ed essenziali.
Giuseppe Ungaretti (Alessandria d’Egitto, 1888 – Milano, 1970), il maggiore rap-
presentante della poesia ermetica, ha partecipato alla guerra combattendo in Francia
e in Italia.

Letteratura
Nel 1916 scrive Il porto sepolto, canti brevi e scarni in cui emerge l’esperienza del
male e della morte nella guerra.
Allegria di naufragi (1919) rappresenta un momento chiave della storia della lette-
ratura italiana e l’insieme dei componimenti viene ripubblicato nel 1931 con il titolo
Allegria, in cui si percepisce la volontà di ricercare una nuova armonia con il cosmo.
In Sentimento del Tempo (1939) il respiro lirico si fa più ampio e la parola torna
a riprendere il suo valore naturale e più tradizionale. Tra le altre raccolte si segnalano
Il dolore (1945) e La terra promessa (1950).

Intervista a Giuseppe Ungaretti: www.youtube.com/watch?v=LSyeMUhPH64

Eugenio Montale (Genova, 1896 – Milano, 1981) è stato insignito del premio Nobel
nel 1975. Detto anche “poeta della disperazione”, Montale vive un forte sentimento di
dolore e proietta il proprio male di vivere sul mondo circostante. Il paesaggio assume
un ruolo centrale nelle sue liriche. La Liguria, arida e rocciosa, diventa protagonista
dei componimenti e si carica di simbolismi esistenziali. Le sue liriche più celebri sono
raccolte nei volumi Ossi di seppia (1925) in cui si intravede qualche spiraglio di
speranza, La casa dei doganieri (1932) in cui si accentua l’elemento umano, Le
occasioni (1939) dall’ermetismo chiuso e di difficile comprensione, La bufera e altre
poesie sul tema della guerra e Satura (1971).
Salvatore Quasimodo (Modica, 1901 – Napoli, 1968), poeta nostalgico e malinconico,
riceve il premio Nobel nel 1959.
La sua prima raccolta di poesie Acque e terre (1930) si rifà alla poesia di Pascoli e
dei crepuscolari. Vengono affrontati temi come l’amore per la Sicilia, la malinconia e il
ricordo dell’infanzia.
In seguito si avvicina allo studio dei lirici greci di cui nel 1940 pubblica un’impor-
tante traduzione.
Nella raccolta Ed è subito sera (1942) il poeta esprime il bisogno di uscire dalla
propria solitudine per confrontarsi con i luoghi e le persone della sua vita.
Le poesie successive sono segnate da un forte impegno civile e politico determinato
dalla tragedia della guerra; la poesia rarefatta dei primi anni assume ora un linguaggio
più comprensibile. In Giorno dopo giorno (1947) il tema dominante è costituito
dalle vicende belliche. In La vita non è sogno (1949) il Sud è cantato come luogo di
ingiustizia, sofferenza e solitudine.
Nella raccolta Il falso e vero verde (1956) ritorna il tema della Sicilia, ed è presente
una meditazione sui campi di concentramento.
256 Letteratura del ’900

La terra impareggiabile (1958) descrive Milano, città devastante in cui l’uomo si


ritrova ad essere solo.
L’ultima raccolta di liriche, Dare e avere (1966) costituisce un bilancio della vita
del poeta e della sua attività letteraria.

Sito di approfondimento su Salvatore Quasimodo: www.salvatore-quasimodo.it/

Umberto Saba (Trieste, 1883 – Gorizia, 1957), pseudonimo di Umberto Poli, risente
dell’influenza crepuscolare e si distacca parzialmente dall’ermetismo per il linguaggio
Del ‘900

semplice e prosastico. La sua poesia autobiografica e quotidiana è caratterizzata da


uno stile umile e profondamente malinconico. Il suo temperamento contemplativo e
nostalgico trova espressione in una forma poetica semplice, melodica e chiara. Gli scritti
di Saba comprendono il Canzoniere (1900-45), Mediterranee (1947), Uccelli (1951)
e la raccolta di racconti Scorciatoie e raccontini (1946).

2.3.8 La prosa
I romanzi del ‘900 presentano caratteristiche nuove rispetto a quelli dell’800. I testi
del secolo precedente erano espressione di una società e di una cultura dai valori ben
definiti in cui i personaggi, i fatti e gli ambienti sociali venivano descritti con puntualità
ed esattezza.
Nel ‘900 invece la consapevolezza dei limiti della scienza, gli sconvolgimenti delle
guerre e il diffuso relativismo portano alla nascita di un nuovo genere di romanzo.
I personaggi appaiono inquieti, in cerca di un’identità, e le azioni sono riferite alla
soggettività degli individui piuttosto che alla collettività.
Molto spesso si tratta di romanzi psicologici, esistenziali, in cui vi è una for-
te componente autobiografica. In questi testi la vita appare tormentata, inquieta e i
protagonisti sono alla ricerca di valori che non riescono a definire.
Il Novecento vede l’introduzione del monologo interiore, in cui le idee non si
susseguono secondo rapporti causali, ma a partire dalla soggettività dei protagonisti.
Il nuovo romanzo non pone al centro dell’attenzione i fatti e gli eventi, ma la rifles-
sione, l’analisi degli stati d’animo e dei conflitti interiori. Si introduce cosı̀ la figura
dell’inetto, alienato, un personaggio incapace di vivere, inadeguato al mondo in cui si
trova catapultato.
I principali narratori dei primi anni del Novecento che incarnano questa nuova
visione del romanzo sono Italo Svevo, Luigi Pirandello, Federigo Tozzi, Emilio Cecchi,
Giuseppe Tommasi di Lampedusa.

Italo Svevo (Trieste, 1861 – Motta di Livenza, 1928) rappresenta perfettamente la


crisi del naturalismo e più in generale la crisi di una società disorientata e smarrita. La
sua opera più celebre è La coscienza di Zeno (1923) in cui il protagonista scrive le
proprie memorie per sottoporle a uno psicanalista. Zeno non racconta i fatti importanti
ma i pensieri più insignificanti, le sue contraddizioni, le incertezze.
I sentimenti di disagio, frustrazione e sconfitta sono al centro anche degli altri scrit-
ti come Una vita (1892), Senilità (1898 e 1927) e Una madre (1926), in cui il
protagonista, generalmente inetto, è colpito o circondato dalla malattia, frustrato e
inadeguato al mondo.
Letteratura 257

Luigi Pirandello (Agrigento, 1867 – Roma, 1936) è insignito del premio Nobel per
la letteratura nel 1934. Riprendendo i temi del verismo verghiano, Pirandello vi
innesta la propria visione pessimistica della vita caratterizzata da una vena malinconica
e umoristica.
Il suo primo grande successo è il romanzo Il fu Mattia Pascal , (1904) che affronta
i temi della famiglia, l’identità, l’inettitudine e il gioco d’azzardo.
Negli anni Venti aderisce al fascismo firmando nel 1925 il Manifesto degli intellet-
tuali fascisti e nello stesso anno fonda la Compagnia del teatro d’arte.
Dopo la guerra lo scrittore si dedica soprattutto al teatro, definito “teatro del-
lo specchio”, in cui raffigura la vita reale, senza la maschera dell’ipocrisia e delle

Letteratura
convenienze sociali.
Il lavoro teatrale di Pirandello attraversa quattro fasi:
1. Il teatro siciliano. I testi sono scritti in siciliano, lingua capace di esprimere
maggiore aderenza alla realtà.
2. Il teatro umoristico e grottesco. Pirandello si distacca dal verismo introdu-
cendo la versione relativistica della realtà con l’intenzione di esprimere la dimen-
sione autentica della vita al di là della maschera. Le opere più significative di
questo periodo sono Cosı̀ è (se vi pare) (1917), Liolà (1916), Il berretto a
sonagli (1917), La giara (1917), Il giuoco delle parti (1918).
3. Il metateatro. È la fase di maggiore innovazione. Pirandello abolisce il concetto
di quarta parete, cioè la parete immaginaria che sta tra attori e pubblico. Il teatro
deve parlare direttamente, viene cosı̀ introdotto il palcoscenico multiplo, in cui si
assiste allo svolgersi di più scene contemporaneamente. In questi anni compone
Sei personaggi in cerca d’autore (1921), Enrico IV (1922), L’uomo dal
fiore in bocca (1923), Ciascuno a suo modo (1924), Come tu mi vuoi (1930),
Questa sera si recita a soggetto (1930).
4. Il teatro dei miti. Un teatro che tenta di fondare valori, di trovare soluzioni al
problema del vivere umano attraverso la religione e l’arte. In questa fase compone
la trilogia delle opere La nuova colonia, Lazzaro e I giganti della montagna.
Sul versante della prosa Pirandello compone sette romanzi: L’esclusa (1901), Il tur-
no (1902), Il fu Mattia Pascal (1904), Suo marito (1911), I vecchi e i giova-
ni (1913), Quaderni di Serafino Gubbio operatore (1925), Uno, nessuno e
centomila (1925).
L’autore affronta il problema dell’identità, la teoria della crisi dell’io. Il solo modo
per recuperare la propria identità paradossalmente è la follia. Il dire sempre la verità,
al di là delle convenzioni sociali, corrisponde alla piena affermazione di se stessi, ma
conduce all’isolamento da parte della società che in tale atteggiamento riconosce la
pazzia.
L’uomo, infatti, per adeguarsi alla società deve rispettare una parte, un ruolo. L’in-
dividuo dunque non può capire gli altri né se stesso, dal momento che vive indossando
una maschera. Ne deriva l’incomunicabilità tra gli uomini che produce un sentimento
di solitudine ed estraneità.
258 Letteratura del ’900

Articolo su Luigi Pirandello per i 145 anni dalla sua nascita:


www.ilpost.it/2012/06/28/chi-era-luigi-pirandello/

Federigo Tozzi (Siena, 1883 – Roma, 1920) è stato definito il romanziere della piccola
borghesia. Ispirandosi al verismo di Verga ritrae con stile sobrio e vigoroso la vita della
piccola borghesia di provincia che, schiava dei propri istinti, si dibatte tra aspirazioni
idealistiche e la materialità dell’esistenza. I suoi scritti principali sono Bestie (1917),
Tre croci (1920), Il podere (1912) e Gli egoisti (postumo, 1921).
Emilio Cecchi (Firenze, 1884 – Roma, 1966) è uno scrittore raffinato. Cecchi è con-
siderato il creatore della “prosa d’arte”, una prosa ingegnosa, ricca di umori, magica,
Del ‘900

elaborata e intelligente. I suoi scritti sono raccolti nei volumi Pesci rossi (1920), La
giornata delle belle donne (1924), L’osteria del cattivo tempo (1927) e Corse al
trotto e altre cose (1952).
Giuseppe Tomasi di Lampedusa (Palermo, 1896 – Roma, 1957) è l’autore di un
unico ma celebre romanzo: Il Gattopardo pubblicato postumo nel 1958. Il libro è
ambientato nel Risorgimento in Sicilia e descrive la morte della classe nobiliare sop-
piantata dalla nascente borghesia. Pur trattando di eventi passati, tuttavia l’autore
racconta il tempo presente, in particolare lo spirito siciliano, definito “gattopardesco”.
Nel romanzo sono presenti i temi della decadenza, del fluire del tempo e della morte.
Dino Buzzati (San Pellegrino di Belluno, 1906 – Milano, 1972), affronta temi come
l’angoscia, il mistero, la paura della morte, il sentimento di rivalsa dell’uomo mediocre.
Impregnati di un sentimento fatalista, gli scritti di Buzzati danno particolare rilievo
al destino ineluttabile, onnipotente, imperscrutabile e beffardo. I suoi romanzi più
celebri sono Bàrnabo delle montagne (1933), Il segreto del Bosco Vecchio (1949),
Il deserto dei Tartari (1940), La famosa invasione degli orsi in Sicilia (1945), Il
grande ritratto (1960), Un amore (1963).
Tommaso Landolfi (Pico, 1908 – Ronciglione, 1979) oltre ad essere un importante
scrittore ha svolto un’intensa attività di traduttore dal russo. La sua è una scrittura
complessa ed elaborata, attenta soprattutto allo stile e alle sperimentazioni linguisti-
che. Nei suoi scritti vi è un ampio uso di neologismi, vocaboli desueti, termini gergali e
dialettali. Tra i suoi libri si segnalano Dialogo dei massimi sistemi(1937), La pie-
tra lunare. Scene della vita di provinci a (1939), II mar delle blatte e altre storie
(1939), Il principe infelice (1943), Le due zitelle (1942), Racconti (1961), Tre racconti
(1964), Un amore del nostro tempo (1965), Racconti impossibil i (1966), Breve canzo-
niere (1971).

2.3.9 Il neorealismo
Il movimento neorealista si sviluppa nel periodo del dopoguerra con l’intenzione di
rappresentare la realtà del conflitto. Le storie trattano sovente episodi di vita vissuta
in prima persona e sono narrate con uno stile chiaro e diretto. A partire dal 1944 la
produzione narrativa è molto densa. I libri, spesso sotto forma di cronache o di diario,
raccontano l’esperienza della guerra e in particolare della Resistenza.
Questo tipo di letteratura è stata definita “impegnata” per la sua riflessione sulla storia
nazionale, volta alla ricostruzione di una nazione democratica e antifascista.
Letteratura 259

In questi anni nascono alcune riviste che sviluppano il dibattito politico e culturale,
la più celebre è Il Politecnico fondata nel 1945 da Elio Vittorini.
Elio Vittorini (Siracusa, 1908 – Milano, 1966) è considerato uno scrittore antifascista.
Durante la guerra svolge attività clandestina per il partito comunista e viene arrestato.
Anche in seguito al suo rilascio continua a collaborare con riviste e giornali in cui ha
occasione di esprimere le proprie idee politiche, nel ’45 dirige per alcuni mesi “L’Unità”.
Il suo lavoro di scrittore è affiancato da quello di traduttore dall’inglese. Vittorini
contribuisce a diffondere in Italia la moderna letteratura anglosassone, creando cosı̀ il
mito dell’America. Tra i suoi lavori si segnalano Conversazione in Sicilia (1941),

Letteratura
Uomini e no (1945), Il garofano rosso (1948) ed Erica e i suoi fratelli (1956).
Alberto Moravia (Roma, 1907 – Roma, 1990) nel 1929 pubblica il suo romanzo più
significativo Gli indifferenti. In questo libro, scritto con una prosa fredda e chirur-
gica, vengono descritti il torpore morale e la sessualità morbosa della classe borghese.
Il romanzo suscita una forte reazione da parte del fascismo. Sebbene Moravia eser-
citi un ruolo d’intellettuale militante, i suoi romanzi non trattano direttamente della
guerra o della resistenza. I temi più ricorrenti sono piuttosto l’umanità mediocre in-
capace di slanci, oppressa dal desiderio di sesso e di denaro. I suoi scritti più celebri
sono Agostino (1944), La romana (1947), La ciociara (1957), La noia (1960),
L’attenzione (1965), Racconti romani (1954) e alcuni reportage di viaggio.
Cesare Pavese (Santo Stefano Belbo, 1908 – Torino, 1950) accusato di antifasci-
smo, nel 1935 viene arrestato, incarcerato e in seguito condannato a tre anni di con-
fino a Brancaleone Calabro. La sua posizione antifascista è forte, si iscrive al partito
Comunista e collabora al quotidiano l’Unità. Scrive molte opere in cui tratta la vita
delle persone semplici, afflitte dalla guerra. Il tono tuttavia è lieve, asciutto e nono-
stante le vicende narrate siano spesso drammatiche la leggerezza dello scrittore rende
la lettura dei testi piacevole e scorrevole. Accanto all’attività di scrittore si dedica alla
traduzione dall’inglese, facendo conoscere al pubblico italiano le opere dei contempora-
nei americani. Pavese inoltre collabora stabilmente con la casa editrice Einaudi di cui
diventa collaboratore di primissimo piano.
I suoi scritti principali sono Lavorare stanca (1943), Il carcere (1949), Paesi
tuoi (1941), La bella estate (1949), Dialoghi con Leucò (1947), Il compagno
(1947), La casa in collina (1949), Tra donne sole (1949), La luna e i falò (1950), Le
poesie Verrà la morte e avrà i tuoi occhi pubblicata postuma, il saggio La letteratura
americana e altri saggi (1951) e il diario pubblicato postumo Il mestiere di vivere.
Diario 1935-1950.
Vasco Pratolini (Firenze, 1913 – Roma, 1991) è stato definito “il poeta del suo
quartiere”, dato il forte legame con la città di Firenze, dove è cresciuto. Nei suoi testi
la città è intesa come luogo di incontro per gli individui, occasione di condivisione di
idee e sentimenti. Pratolini, sensibile alla politica della Resistenza, attraverso la storia
dei singoli personaggi narra la storia collettiva del Paese. Tra i suoi componimenti si
segnalano Cronache di poveri amanti (1947), Metello (1955), Lo scialo (1960) e
La costanza della ragione (1963).
Ignazio Silone (Pescina, 1900 – Ginevra, 1978), fortemente antifascista, ha parteci-
pato attivamente alla vita politica italiana risultando tra i fondatori del Partito Co-
munista. Nei suoi libri Silone affronta le tematiche sociali e si fa rappresentante delle
260 Letteratura del ’900

masse contadine. Il suo romanzo più importante è Fontamara (1933) che diventa
un caso letterario. Fotografando uno spaccato della vita italiana nelle campagne nel
periodo fascista, il testo denuncia la condizione di oppressione e ingiustizia sociale da
cui emerge un forte senso di solidarietà e pietà cristiana. Altri romanzi sono Pane e
vino (1936), Il seme sotto la neve (1941), Il segreto di Luca (1956) e L’avventura di
un povero cristiano (1968).
Carlo Levi (Torino, 1902 – Roma, 1975) nel 1931 aderisce al movimento antifascista
Giustizia e libertà e nel 1934 viene arrestato e successivamente condannato al confino
nel piccolo centro di Aliano, in Basilicata. Da questa esperienza nasce il suo romanzo
più celebre, Cristo si è fermato a Eboli (1945). Nel libro Levi denuncia le gra-
Del ‘900

vissime condizioni di vita dei contadini, dimenticati dalle istituzioni, dove neppure la
parola di Cristo sembra essere mai giunta. Tra gli altri testi si segnalano Le parole
sono pietre (1955), Il futuro ha un cuore antico (1956), Tutto il miele è finito (1965)
e L’orologio (1950).
Levi si dedica anche alla pittura e nel 1954 partecipa alla Biennale di Venezia con
dipinti neorealisti.
Carlo Cassola (Roma, 1917 – Montecarlo, 1987) aderisce ai gruppi comunisti del
volterrano e partecipa alla resistenza.
I temi principali della sua opera sono la vita e la felicità, che si realizzano al meglio
compiendo i piccoli gesti quotidiani e intrecciando semplici rapporti umani.
L’ambiente descritto da Cassola è quello della sua Maremma, descritta come terra
discreta, modesta, abitata da contadini, artigiani e piccolo borghesi.
Generalmente le sue storie sono ambientate durante il ventennio fascista. Pur in-
serendosi nella corrente neorealista per le tematiche affrontate, Cassola ne prende in
parte le distanze dal punto di vista stilistico. Al linguaggio popolare e dialettale, Cas-
sola predilige una scrittura semplice, pulita e lineare, specchio delle storie che intende
raccontare. I suoi scritti principali sono Il taglio del bosco (1963), La ragazza di Bube
(1960), Un cuore arido (1961), La visita (1962) Monte Mario (1973), Gisella (1974)
e Troppo tardi (1975).

Approfondimento: Film, La ragazza di Bube di Luigi Comencini, 1963


Approfondimento su La ragazza di Bube
www.youtube.com/watch?v=3qj1AKjXzwE&feature=related

Beppe Fenoglio (Alba, 1922 – Torino, 1963) nel 1944 si unisce alle prime formazioni
partigiane e dopo la guerra inizia a dedicarsi alla narrativa, pur non diventando mai
un letterato di professione.
Nei suoi scritti è presente l’elemento autobiografico. Molti scritti affrontano il tema
della lotta partigiana. La peculiarità di Fenoglio è l’assenza di enfasi o mitizzazione,
al contrario, la resistenza viene descritta con estrema semplicità cui si fondono anche
altri argomenti come l’amore e la vita quotidiana.
L’ambientazione dei testi è quella delle Langhe, luogo caro allo scrittore e protagoni-
sta delle sue storie. Nei suoi libri è forte l’influenza del dialetto piemontese e dell’inglese
che si fondono andando a creare una lingua unica. Tra le sue opere I ventitré giorni
della città di Alba (1952), La malora (1954) e Primavera di bellezza (1959). Ven-
Letteratura 261

gono pubblicati postumi Un giorno di fuoco (1963), Una questione privata (1963),
Il partigiano Johnny (1968) e La paga del sabato (1969).

Un documentario su Beppe Fenoglio di Guido Chiesa (1996):


www.youtube.com/watch?v=Nqagx97OtLk

Il cinema neorealista
Tra il 1943 e il 1955 in Italia il neorealismo si sviluppa non solo in ambito letterario ma anche
in quello cinematografico. Il termine neorealismo è stato impiegato per la prima volta nel 1943

Letteratura
in riferimento al film Ossessione di Luchino Visconti.
La caratteristica principale di questo nuovo modo di fare cinema è l’interesse per la realtà:
le scene non vengono girate negli studi ma per la strada, in ambienti reali, senza l’uso di attori
professionisti. Il cinema neorealista pone l’attenzione al disperato paesaggio sociale raffiguran-
do la realtà italiana post fascista, arretrata e contradditoria. Il film simbolo del neorealismo
è Roma città aperta di Roberto Rossellini, girato per le strade di Roma durante gli ultimi
giorni dell’occupazione tedesca. A Roma città aperta segue una serie di film riconosciuti tra
i più grandi capolavori del cinema del dopoguerra: Ladri di biciclette di De Sica, Paisà di
Rossellini e Riso amaro Giuseppe De Santis. Convenzionalmente l’esperienza neorealista si
chiude all’inizio degli anni Cinquanta con Umberto D. di De Sica.

Tabella 2.1: Scheda dei principali film neorealisti


FILM REGISTA ANNO
Ossessione Luchino Visconti 1943
La terra trema Luchino Visconti 1948
Bellissima Luchino Visconti 1951
Roma città aperta Roberto Rossellini 1945
Paisà Roberto Rossellini 1946
Germania anno zero Roberto Rossellini 1948
Stromboli terra di Dio Roberto Rossellini 1949
Viaggio in Italia Roberto Rossellini 1953
Sciuscià Vittorio De Sica 1946
Ladri di biciclette Vittorio De Sica 1958
Miracolo a Milano Vittorio De Sica 1951
Umberto D Vittorio De Sica 1952
Stazione Termini Vittorio De Sica 1953
Riso amaro Giuseppe De Santis 1949
Non c’è pace tra gli ulivi Giuseppe De Santis 1950
I Vitelloni Federico Fellini 1953

2.3.10 Il secondo Novecento


Leonardo Sciascia (Racalmuto, 1921 – Palermo, 1989) è fortemente legato alla Sicilia,
luogo intorno cui ruota la maggior parte dei suoi scritti. Il giorno della civetta (1961)
è il suo romanzo più celebre, in cui l’autore dimostra il proprio impegno civile e affronta
il tema della mafia, dell’omertà e del malgoverno. I problemi della Sicilia sono una
costante nei suoi testi, tra cui si segnalano A ciascuno il suo (1966), Il contesto (1971),
Todo modo (1974), Porte aperte (1987) e Il cavaliere e la morte (1988).
262 Letteratura del ’900

Sito di approfondimento su Leonardo Sciascia: www.fondazioneleonardosciascia.it/

Pier Paolo Pasolini (Bologna, 1922 – Roma, 1975) è un intellettuale a vasto raggio,
si occupa di narrativa, cinema e giornalismo. Il tema di fondo delle sue opere è il pro-
letariato, con una particolare attenzione agli ambienti bassi e disagiati. I protagonisti
dei suoi testi spesso sono miseri, poveri, ma non per questo negativi dal punto di vista
morale. I personaggi più umili al contrario sono sovente portatori di valori incorrotti
e puri. Roma è l’ambientazione privilegiata dallo scrittore, in particolare la periferia
delle borgate, di cui descrive la vita notturna, le prostitute, i protettori e i clienti. La
lingua di Pasolini è sapientemente bassa, con intromissioni dialettali e gergali. Il lessi-
Del ‘900

co diventa cosı̀ espressione delle storie e dei personaggi raccontati. La sua produzione
letteraria è molto vasta, si segnalano.
Ragazzi di vita (1955), Una vita violenta (1959), Il sogno di una cosa (1962), Petro-
lio (1992), le raccolte poetiche La meglio gioventù (1954) e La religione del mio tempo
(1961). Tra i suoi film Accattone (1961), Comizi d’amore (1964), Il Vangelo secondo
Matteo (1964), Teorema (1968), Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975).

Sito di approfondimento su Pier Paolo Pasolini: www.pasolini.net/index00.html

Carlo Emilio Gadda (Milano, 1893 – Roma, 1973) è uno scrittore molto attento alla
lingua e alla costruzione narrativa. Calvino descrive la sua opera sostenendo che “Cercò
per tutta la vita di rappresentare il mondo come un garbuglio, o groviglio, o gomitolo,
di rappresentarlo senza attenuarne affatto l’inestricabile complessità, o per meglio dire
la presenza simultanea degli elementi più eterogenei che concorrono a determinare ogni
evento”. La sua opera principale è Quer pasticciaccio brutto de via Merulana
(1957), un romanzo giallo atipico e sperimentale ambientato nei primi anni del fascismo.
Tra gli altri scritti si segnalano La cognizione del dolore (1963), Eros e Priapo (da
furore a cenere) (1967) e La meccanica (1970).
Primo Levi (Torino, 1919 – Torino, 1987) nel 1943 viene catturato dai nazifasci-
sti e deportato nel campo di concentramento di Auschwitz. La sua vita, e di
conseguenza il suo lavoro letterario, sono fortemente segnati da questa esperienza. La
maggior parte dei suoi scritti ruota intorno all’esperienza della prigionia nel lager. Levi
affronta il tema con uno stile realista-descrittivo, la sua è una narrazione asciutta e
sintetica, priva di sentimentalismo.
I suoi scritti principali sono Se questo è un uomo (1947), La tregua (1963), La
chiave a stella (1978), Se non ora, quando? (1982), I sommersi e i salvati (1986).

Testimonianze di Primo Levi: www.youtube.com/watch?v=72ElOxRd228

Giorgio Bassani (Bologna, 1916 – Roma, 2000) ritrae la realtà attraverso il filtro
della memoria. Il tema centrale delle sue opere è il mondo ebraico di Ferrara durante il
regime fascista. Le persecuzioni razziali acuiscono il pessimismo, il senso di solitudine
e di tristezza di Bassani. Pur narrando fatti e vicende che si inseriscono nel quadro
storico di quegli anni, nei suoi scritti sono presenti intimismo e introspezione. Le sue
Letteratura 263

opere principali sono Cinque storie ferraresi (1956), Gli occhiali d’oro (1958) e Il
giardino dei Finzi-Contini (1962).
Italo Calvino (Santiago de Las Vegas, 1923 – Siena, 1985) è tra gli intellettuali italiani
più importanti nel Novecento.
Inizialmente Calvino aderisce alla corrente neorealista. La sua attenzione è rivolta
all’impegno politico e alla realtà, egli racconta l’esperienza partigiana oggettivamente
e lucidamente, non tralasciando però leggerezza e ironia. In questo periodo compone
Il sentiero dei nidi di ragno (1947) e la raccolta di racconti Ultimo viene il corvo
(1949).

Letteratura
Con il trascorrere del tempo lo scrittore comincia a percorrere la strada dell’inven-
zione fantastica. Attento studioso della cultura popolare e delle fiabe, Calvino assume
un linguaggio allegorico e simbolico in cui si scardina la pretesa di una verità assoluta.
La trilogia I nostri antenati, che comprende i tre romanzi Il visconte dimezzato
(1952), Il barone rampante (1957), e Il cavaliere inesistente (1959), è composta
secondo tale visione illusoria.
In Le cosmicomiche o Ti con zero (1965) si può notare un avvicinamento alla lette-
ratura di fantascienza. La peculiarità è che le vicende sono ambientate in un passato
remoto, costituendo una sorta di mito originario.
Accanto alla produzione onirico fantastica Calvino continua comunque a produrre
testi che descrivono la realtà quotidiana ed esaminano il ruolo dell’intellettuale impe-
gnato a comprendere il senso della vita. In questa direzione sono i racconti Marcovaldo
(1958) e La giornata di uno scrutatore (1963).
A partire dagli anni Sessanta Calvino abbraccia poi una letteratura “combinatoria”,
basata sull’artificio e sul gioco linguistico, in cui la forma e la struttura del testo
assumono un ruolo centrale.
Il Castello dei destini incrociati (1969) è il primo frutto di questa nuova concezione,
segue Le città invisibili (1972), una sorta di riscrittura del Milione di Marco Polo, in
cui il protagonista descrive delle città immaginarie.
Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979) infine è un’opera metanarrativa
in cui i meccanismi della narrazione vengono messi a nudo per indurre il lettore a
riflettere sulla scrittura e sui suoi meccanismi.
Elsa Morante (Roma 1912 – Roma 1985) nel 1941 sposa Alberto Moravia e pubblica il
suo primo libro Il gioco segreto, una racconta dei suoi lavori comparsi precedentemente
sui giornali. Il suo primo romanzo è Memoria e sortilegio, del 1948. Nel 1957 esce il
suo secondo romanzo L’isola di Arturo e nel 1974 La storia. La vita di Elsa Morante
è caratterizzata da numerosi viaggi e dalle frequentazioni di intellettuali importanti
come Pier Paolo Pasolini.
Mario Luzi (Sesto Fiorentino, 1914 – Firenze, 2005) è una figura importante nell’am-
bito della poesia italiana. La sua produzione è molto vasta e si divide sostanzialmente
in tre periodi. Le poesie degli esordi sono fortemente essenziali ed ermetiche. La se-
conda fase è quella più apprezzata dalla critica e comprende le raccolte Primizie del
deserto (1952), Onore del vero (1957), Dal fondo delle campagne (1965) e Su fonda-
menti invisibili (1971), in queste liriche l’inquietudine del poeta è rappresentata dalla
descrizione della natura. L’ultimo periodo poetico è stato definito pieno, lo stile infatti
è più prosastico e i contenuti rimandano ai ricordi dell’adolescenza, alla descrizione di
ambienti quotidiani e ai paesaggi esotici.
264 Letteratura del ’900

Oriana Fallaci (Firenze 1929 – Firenze 2006) è stata un’importante giornalista, in-
viata di guerra e scrittrice. In gioventù aderisce al movimento partigiano clandestino
della Resistenza Giustizia e Libertà. In seguito collabora con testate importanti come
L’Europeo per il quale realizza molti reportage. Nel 1967 si reca in Vietnam come
corrispondente di guerra, da questa esperienza scrive il libro Niente e cosı̀ sia (1969).
Come corrispondente di guerra segue anche i conflitti tra India e Pakistan, in Sud
America e in Medio Oriente. Nel 1973 conosce Alekos Panagulis, un leader dell’oppo-
sizione greca al regime dei Colonnelli, con il quale stringe una relazione sentimentale.
Nel romanzo Un uomo, pubblicato nel 1979, Fallaci racconta la storia del suo com-
pagno. Nel 1990 esce il romanzo Insciallah, ambientato tra le truppe italiane inviate
dall’ONU nel 1983 a Beirut.
Del ‘900

Il seguito ai fatti dell’11 settembre 2001 la scrittrice denuncia la decadenza della ci-
viltà occidentale che, minacciata dal fondamentalismo islamico, risulta incapace di
difendersi.

Sito di approfondimento su Oriana Fallaci: www.oriana-fallaci.com/

Carlo Fruttero (Torino, 1926 – Castiglione della Pescaia 2012) ha condiviso gran
parte del proprio lavoro letterario con lo scrittore Franco Lucentini (Roma, 1920
– Torino, 2002). Insieme hanno diretto la collana di fantascienza Mondadori Urania
e scritto molti libri in prevalenza di genere giallo come La donna della domeni-
ca (1972), A che punto è la notte, (1979) da cui è stato tratto un film diretto
da Luigi Comencini e Il quarto libro della fantascienza (1991).
Antonio Tabucchi (Pisa, 1943 – Lisbona, 2012) è il maggior conoscitore e tradut-
tore italiano dell’opera del portoghese Fernando Pessoa. Ha inoltre svolto un’intensa
attività di scrittore in cui l’impegno politico e sociale si fondono con il piano narrativo
e ludico. I suoi scritti hanno ricevuto molti riconoscimenti in Italia e all’estero, tra i più
noti Notturno indiano (Sellerio, 1984), Sostiene Pereira (1994), Si sta facendo
sempre più tardi (2001).

Ritratto di Antonio Tabucchi:


www.scrittoriperunanno.rai.it/scrittori.asp?currentId=8
Tabucchi, uomo libero, di Marco Travaglio:
www.ilfattoquotidiano.it/2012/03/25/tabucchi-uomo-libero/200072/

Giorgio Bocca (1920) a diciotto anni ottiene la tessera del Partito nazionale fascista
e sottoscrive il Manifesto in difesa della razza italiana. Nel 1943 passa nella Resistenza
e milita nella formazione Giustizia e Libertà. Nel 1975 è tra i fondatori di Repubblica e
collabora con diverse testate giornalistiche. Dalla pratica del giornalismo nasce la sua
attività di scrittore. Tra i suoi libri Il provinciale. Settant’anni di vita italiana (2012),
Aspra Calabria (2011), L’Italia è malada (2005).
Dario Fo (Sangiano, 24 marzo 1926), drammaturgo e attore teatrale, è stato insignito
del Premio Nobel nel 1997. Egli fa uso degli stilemi comici della commedia dell’arte
rielaborandoli in chiave di satira politica.
Fortemente polemico nei confronti dell’attualità, il passato e il presente vengono mes-
si a confronto provocando un effetto straniante e grottesco. La lingua e le acrobazie
Letteratura 265

diventano protagoniste dei suoi testi. Fo ricorre sapientemente al grammelot, una


lingua inventata che riproduce suoni e fonemi di una lingua straniera senza tuttavia
rispettarne minimamente la grammatica. Tra le sue opere più importanti Gli arcan-
geli non giocano a flipper (1959), Mistero buffo (1969), Morte accidentale di un
anarchico (1970), Manuale minimo dell’attore (1987).

Ritratto di Dario Fo:


www.scrittoriperunanno.rai.it/scrittori.asp?currentId=107

Umberto Eco (Alessandria, 1932) è un saggista e semiologo di fama internazionale.

Letteratura
I suoi scritti letterari traggono spunto da leggende o vicende storiche che diventano
pretesto per riflessioni filosofiche, morali o interpretazioni della realtà contemporanea.
Le tematiche più affrontate sono quelle legate ad aspetti misteriosi dell’esistenza come
i Templari, il sacro Graal e la sacra Sindone. Il suo libro più celebre è Il nome della
rosa (1980) in cui vengono messi in risalto i timori dell’uomo medievale. Tra gli altri
scritti narrativi si segnalano Il pendolo di Foucault (1988), L’isola del giorno prima
(1994), Baudolino (2000), La misteriosa fiamma della regina Loana (2004) e Il cimitero
di Praga (2010).
Alberto Bevilacqua (Parma, 1934) è tra gli scrittori italiani contemporanei più co-
nosciuti. Il primo libro che lo rende celebre è La califfa (1964), mentre il suo romanzo
più significativo è Questa specie d’amore in cui lo scrittore descrive il conflitto del-
l’intellettuale protagonista tra nostalgia del passato vissuto in provincia e l’impegno
sociale e culturale proprio della vita nella capitale. Da Questa specie di amore l’autore
stesso cura la trasposizione cinematografica che vince il David di Donatello. Tra gli
altri suoi scritti L’occhio del gatto (1968), La polvere sull’erba (2000).
Dacia Maraini (Fiesole, 1936) dopo un’infanzia difficile in cui vive l’esperienza del
campo di concentramento a Tokyo, comincia a Roma la propria carriera di scrittri-
ce e giornalista. Si occupa di teatro e scrive diversi libri tra cui Donna in guerra
(1975), Il treno per Helsinki (1984), Buio (1999) che parla della violenza sull’infanzia
e sull’adolescenza raccontata in dodici storie e Colomba (2004).
Claudio Magris (Trieste, 1939) è un importante scrittore e docente di letteratu-
ra tedesca. Il suo lavoro più importante è Danubio (1986). Altri libri celebri sono
Microcosmi (1997) e Lei dunque capirà (2006).
Sandro Veronesi (Firenze, 1959) caratterizza la propria scrittura con uno stile ironico
e umoristico a partire da tematiche serie e talvolta drammatiche. Tra i suoi lavori più
celebri Live (1996) e La forza del passato (2000). Nel 2006 pubblica Caos Calmo, un
libro considerato come una delle migliori prove narrative degli ultimi anni.
Roberto Saviano (Napoli, 1979) è uno scrittore e personaggio televisivo che ha rag-
giunto successo pubblicando il suo primo libro Gomorra nel 2006. Si tratta di un testo
di non-fiction in cui l’autore racconta la realtà della camorra e della criminalità orga-
nizzata. Nel 2009 pubblica La bellezza e l’inferno. Collabora con alcune trasmissioni
televisive come Che tempo che fa e Vieni via con me.

Approfondimento su Roberto Saviano www.robertosaviano.it/


www.youtube.com/watch?gl=IT&hl=it&v=R3YWH2hrH9g
266 Letteratura straniera

2.4 Letteratura straniera


2.4.1 Principali autori della letteratura francese

François Rabelais (1494-1553) Pantagruel (1532)


Gargantua (1534)
Pierre Corneille (1606-1684) Le Cid (1636)
Cinna (1641)
Molière (1622 – 1673) La scuola delle mogli (1662)
pseudonimo di Jean-Baptiste Poquelin Il tartufo (1664)
Il misantropo (1666)
L’avaro (1668)
Straniera

Il malato immaginario (1673)


Jean Racine (1639 – 1699) Andromaca (1667)
Berenice (1670)
Fedra (1677)
Montesquieu (1689-1755) Lettre persiane (1721)
Lo spirito delle leggi (1748)
Voltaire (1694-1778) Zadig (1748)
pseudonimo di François-Marie Arouet Candide o l’Ottimismo (1759)
Stendhal (1783 – 1842) Il rosso e il nero (1830)
La certosa di Parma (1839)
Honorè de Balzac (1799 – 1850) La commedia umana (comprende 137 opere) tra
cui:
Un medico di campagna (1833)
Eugenia Grandet (1833)
Victor Hugo (1802-1885) L’ultimo giorno di un condannato a morte (1829)
Notre-Dame de Paris (1831)
I miserabili (1862)
Gustave Flaubert (1821 – 1880) Madame Bovary (1857)
L’educazione sentimentale (1869)
Charles Baudelaire (1821 – 1867) I fiori del male (1857)
I paradisi artificiali (1860)
Lo spleen di Parigi (1869)
Andrè Gide (1869 – 1951) I nutrimenti terrestri (1897)
Sinfonia pastorale (1919)
Marcel Proust (1871- 1922) Alla ricerca del tempo perduto, opera suddivisa
in 7 volumi: Dalla parte di Swann (1913). Al-
l’ombra delle fanciulle in fiore (premio Goncourt,
1919). I Guermantes (1920). Sodoma e Gomor-
ra (1921-1922). La prigioniera (1923). La fuggiti-
va o anche Albertine scomparsa (1925). Il tempo
ritrovato (1927)
Letteratura 267

Louis-Ferdinand Céline (1894 – 1961) Viaggio al termine della notte (1932)


Morte a credito (1936)
Raymond Queneau (1903 – 1976) Esercizi di stile (1983)
Zazie nel metrò (1959)
I fiori blu (1965)
Jean-Paul Sartre (1905-1980) La Nausea (1938)
Il muro (1939)
L’età della ragione (1945)
Georges Simenon (1903 – 1989) Simenon ha scritto oltre centinaia di roman-
zi. I suoi lavori più celebri sono i libri polizie-
schi appartenenti alla saga del commissario di

Letteratura
polizia Jules Maigret.
Albert Camus (1913-1960) Lo straniero (1942)
Caligola (1944)
La Peste (1947)

2.4.2 Principali autori della letteratura tedesca

Johann Wolfgang von Goethe I dolori del giovane Werther (1774)


(1749 – 1832) Le affinità elettive (1809)
Friedrich Von Schiller (1759 – 1805) I Masnadieri (1781)
Intrigo e amore (1783)
Maria Starda (1800)
Friedrich Hoelderlin (1770 – 1843) Hyperion (1797 – 1799)
Jacob e Wilhelm Grimm Le favole (1812 -1822)
Thomas Mann (1875 – 1955) I Buddenbrook (1901)
Tonio Kroeger (1903)
La morte a Venezia (1912)
La montagna incantata (1924)
Hermann Hesse (1877 – 1962) Amicizia (1908)
Siddharta (1922)
Narciso e Boccadoro (1939)
Franz Kafka (1883 – 1924) La metamorfosi (1915)
Il processo (1925)
Il castello (1926)
America (1927)
Alfred Doeblin (1878 – 1957) Berlin Alexanderlplatz (1929)
Bertolt Brecht (1898 – 1956) L’Opera da tre soldi (1928)
Le poesie
Robert Musil (1880 – 1942) L’uomo senza qualità (1930 – 1933)
Heinrich Böll (1917 – 1985) Opinioni di un clown (1963)
Foto di gruppo con signora (1971)
Günter Grass (1927) Il tamburo di latta (1959)
268 Letteratura straniera

2.4.3 Principali autori della letteratura inglese e americana


William Shakespeare (1564 – 1616) La bisbetica domata (1593)
Romeo e Giulietta (1594)
Sogno di una notte di mezza estate (1595)
Le allegre comari di Windsor (1599)
Amleto (1600)
Otello (1604)
Macbeth (1605)
La tempesta (1611)
John Milton (1608 – 1674) Paradiso perduto (1667)
Jonathan Swift (1667 – 1745) I viaggi di Gulliver (1726)
Straniera

Jane Austen (1775 – 1817) Orgoglio e pregiudizio (1813)


Edgar Allan Poe (1809 – 1849) L’uomo della folla (1840)
Racconti (1845)
Charles Dickens (1812 – 1870) Oliver Twist (1837)
David Copperfield (1849)
Tempi difficili (1854)
Herman Melville (1819 – 1891) Moby Dick (1851)
Bartleby lo scrivano (1856)
Mark Twain (1835 – 1910) Le avventure di Tom Sawyer (1876)
Le avventure di Huckleberry Finn (1885)
Oscar Wilde (1854 – 1900) Il ritratto di Dorian Grey (1891)
L’importanza di chiamarsi Ernesto (1895)
Il fantasma di Canterville (1887)
George Bernard Shaw (1856 – 1950) L’uomo del destino (1896)
Pigmaglione (1912)
Sir Arthur Conan Doyle (1859 – 1930) Le avventure di Sherlock Holmes (1892)

Edgar Lee Masters (1868 – 1950) L’antologia di Spoon River (1915)


James Joyce (1882 – 1941) Gente di Dublino (1914)
Ulisse (1922)
Finnegans Wakes (1939)
Virginia Woolf (1882 – 1941) La signora Dalloway (1925)
Gita al faro (1927)
Una stanza tutta per sé (1929)
David Herbert Lawrence (1885 – Figli ed amanti (1913)
1930) L’amante di Lady Chatterley (1928)
Henry Miller (1891 – 1980) Tropico del cancro (1934)
Tropico del capricorno (1939)
Aldous Huxley (1894 – 1963) Il mondo nuovo (1932)
Francis Scott Key Fitzgerald Il grande Gatsby (1925)
(1896 – 1940)
Letteratura 269

William Cuthbert Faulkner (1897 – L’urlo e il furore (1929)


1962)
Ernest Hemingway (1899 – 1961) Addio alle armi (1929)
Il vecchio e il mare (1952)
John Ernst Steinbeck (1902 – 1968) Pian della tortilla (1935)
Uomini e topi (1937)
George Orwell (1903 – 1950) La fattoria degli animali (1945)
1984 (1948)
Samuel Beckett (1906 – 1989) Aspettando Godot (1952)
Finale di partita (1965)
L’ultimo nastro di Krapp (1958)

Letteratura
Saul Bellow (1915-2005) La resa dei conti (1956)

Doris Lessing (1919) Il taccuino d’oro (1962)


Jerome David Salinger (1919-2010) Il giovane Holden (1951)

Jack Kerouac (1922-1969) Sulla strada (1957)

Truman Capote (1925 – 1984) Colazione da Tiffany (1958)


Philip K. Dick (1928-1982) La svastica sul sole (1962)

Philip Roth (1933) Lamento di Portnoy (1969)


Pastorale americana (1997)
Il complotto contro l’America (2005)
Raymond Carver (1938-1988) Cattedrale (1983)

Premi letterari:
PREMIO STREGA

Il più importante premio letterario italiano è il Premio Strega, istituito nel 1947 per ini-
ziativa dei coniugi Bellonci, Goffredo, giornalista e critico letterario, e Maria, scrittrice
e traduttrice. Il premio unico è assegnato a un libro di narrativa in prosa di autore
italiano, pubblicato tra il 1◦ aprile dell’anno precedente ed il 31 marzo dell’anno in
corso. Tra i promotori del premio letterario figurava anche Guido Alberti, produttore
del liquore Strega e sponsor dell’omonimo premio fin dalla prima edizione. Il premio,
gestito dal 1986 dalla Fondazione Bellonci, è assegnato annualmente da una giuria (gli
“Amici della domenica”) che riunisce 400 importanti personalità della cultura italiana
e gli ex-vincitori.

VINCITORI DEL PREMIO STREGA DAL 1947 A OGGI

1947: Ennio Flaiano, Tempo di uccidere (Longa- 1952: Alberto Moravia, I racconti (Bompiani)
nesi) 1953: M. Bontempelli, L’amante fedele (Monda-
1948: Vincenzo Cardarelli, Villa Tarantola (Meri- dori)
diana) 1954: Mario Soldati, Lettere da Capri (Garzanti)
1949: G. B. Angioletti, La memoria (Bompiani) 1955: Giovanni Comisso, Un gatto attraversa la
1950: Cesare Pavese, La bella estate (Einaudi) strada (Mondadori)
1951: Corrado Alvaro, Quasi una vita (Bompiani) 1956: Giorgio Bassani, Cinque storie ferraresi
270 Premi letterari

(Einaudi) 1986: Maria Bellonci, Rinascimento privato


1957: Elsa Morante, L’isola di Arturo (Einaudi) (Mondadori)
1958: Dino Buzzati, Sessanta racconti (Mondado- 1987: Stanislao Nievo, Le isole del paradiso
ri) (Mondadori)
1959: Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gatto- 1988: Gesualdo Bufalino, Le menzogne della notte
pardo (Feltrinelli) (Bompiani)
1960: Carlo Cassola, La ragazza di Bube (Einaudi) 1989: Giuseppe Pontiggia, La grande sera
1961: Raffaele La Capria, Ferito a morte (Mondadori)
(Bompiani) 1990: Sebastiano Vassalli, La Chimera (Einaudi)
1962: Mario Tobino, Il clandestino (Mondadori) 1991: Paolo Volponi, La strada per Roma
1963: Natalia Ginzburg, Lessico famigliare (Ei- (Einaudi)
1992: Vincenzo Consolo, Nottetempo, casa per
Premi letterari

naudi)
1964: Giovanni Arpino, L’ombra delle colline casa (Mondadori)
(Mondadori) 1993: Domenico Rea Ninfa plebea (Leonardo)
1965: Paolo Volponi, La macchina mondiale 1994: Giorgio Montefoschi, La casa del padre
(Garzanti) (Bompiani)
1966: Michele Prisco, Una spirale di nebbia 1995: M. Teresa Di Lascia, Passaggio in ombra
(Rizzoli) (Feltrinelli)
1967: Anna Maria Ortese, Poveri e semplici 1996: Alessandro Barbero, Bella vita e guerre
(Vallecchi) altrui di Mr Pyle, gentiluomo (Mondadori)
1968: Alberto Bevilacqua, L’occhio del gatto 1997: Claudio Magris, Microcosmi (Garzanti)
(Rizzoli) 1998: Enzo Siciliano, I bei momenti (Mondadori)
1999: Dacia Maraini, Buio (Rizzoli)
1969: Lalla Romano, Le parole tra noi leggere
2000: Ernesto Ferrero, N. (Einaudi)
(Einaudi)
2001: Domenico Starnone, Via Gemito (Feltrinel-
1970: Guido Piovene, Le stelle fredde (Mondadori)
li)
1971: Raffaello Brignetti, La spiaggia d’oro
2002: Margaret Mazzantini, Non ti muovere
(Rizzoli)
(Mondadori)
1972: Giuseppe Dess, Paese d’ombre (Mondadori)
2003: Melania G. Mazzucco, Vita (Rizzoli)
1973: Manlio Cancogni, Allegri, gioventù (Rizzoli) 2004: Ugo Riccarelli, Il dolore perfetto (Mondado-
1974: Guglielmo Petroni, La morte del fiume ri)
(Mondadori) 2005: Maurizio Maggiani, Il viaggiatore notturno
1975: Tommaso Landolfi, A caso (Rizzoli) (Feltrinelli)
1976: Fausta Cialente, Le quattro ragazze Wiesel- 2006: Sandro Veronesi, Caos calmo (Bompiani)
berger (Mondadori) 2007: Niccol Ammaniti, Come Dio comanda
1977: Fulvio Tomizza, La miglior vita (Rizzoli) (Mondadori)
1978: Ferdinando Camon, Un altare per la madre 2008: Paolo Giordano, La solitudine dei numeri
(Garzanti) primi (Mondadori)
1979: Primo Levi, La chiave a stella (Einaudi) 2009: Tiziano Scarpa, Stabat Mater (Einaudi)
1980: Vittorio Gorresio, La vita ingenua (Rizzoli) 2010: Antonio Pennacchi, Canale Mussolini
1981: Umberto Eco, Il nome della rosa (Bompia- (Mondadori)
ni) 2011: Edoardo Nesi, Storia della mia gente
1982: Goffredo Parise, Sillabario n.2 (Mondadori) (Bompiani)
1983: Mario Pomilio, Il Natale del 1833 (Rusconi) 2012: Alessandro Piperno, Inseparabili. Il fuoco
1984: Pietro Citati, Tolstoj (Longanesi) amico dei ricordi (Mondadori)
1985: Carlo Sgorlon, L’armata dei fiumi perduti 2013: Walter Siti, Resistere non serve a niente
(Mondadori) (Rizzoli)

PREMIO CAMPIELLO

Il premio Campiello viene assegnato annualmente a opere di narrativa italiana. è stato


istituito nel 1962 dagli Industriali del Veneto. La prima edizione si svolse nel 1963 a
Venezia nell’isola di San Giorgio e vide la vittoria del romanzo di Primo Levi La tregua.
Vincitori del premio Campiello dal 1963 a oggi
Letteratura 271

1963: Primo Levi, La tregua 1991: Isabella Bossi Fedrigotti, Di buona famiglia
1964: Giuseppe Berto, Il male oscuro 1992: Sergio Maldini, La casa a Nord-Est
1965: Mario Pomicio, La compromissione 1993: Raffaele Crovi, La valle dei cavalieri
1966: Alberto Bevilacqua, Questa specie d’amore 1994: Antonio Tabucchi, Sostiene Pereira
1967: Luigi Santucci, Orfeo in Paradiso 1995: Maurizio Maggiani, Il coraggio del petti-
1968: Ignazio Silone, L’avventura di un povero rosso
cristiano
1996: Enzo Bettiza, Esilio
1969: Giorgio Bassani, L’airone
1997: Marta Morazzoni, Il caso Courrier
1970: Mario Soldati, L’attore
1971: Gianni Mancini, Ritratto in piedi 1998: Cesare De Marchi, Il talento
1972: Mario Tobino, Per le antiche scale 1999: Ermanno Rea, Fuochi fiammanti a un’ora

Educazione Civica
1973: Carlo Sgorlon, il trono di legno di notte
1974: Stefano Terra, Alessandra 2000: Sandro Veronesi, La forza del passato
1975: Stanislao Nievo, Il prato in fondo al mare 2001: Giuseppe Pontiggia, Nati due volte
1976: Gaetano Tumiati, Il busto di gesso 2002: Franco Scaglia, Il custode dell’acqua
1977: Saverio Strati, Il selvaggio di Santa Venere 2003: Marco Santagata, Il Maestro dei santi
1978: Gianni Granzotto, Carlo Magno pallidi
1979: Mario Rigoni Stern, Storia di Tönle 2004: Paola Mastrocola, Una barca nel bosco
1980: Giovanni Arpino, Il fratello italiano 2005 (ex aequo): Pino Rovereto, Mandami a dire
1981: Gesualdo Bufalino, Diceria dell’untore e Antonio Scurati, Il sopravvissuto
1982: Primo Levi, Se non ora quando? 2006: Salvatore Niffoi, La vedova scalza
1983: Carlo Sgorlon, La conchiglia di Anataj 2007: Mariolina Venezia, Mille anni che sto qui
1984: Pasquale Festa Campanile, Per amore, solo
2008: Benedetta Cibrario, Rosso vermiglio
per amore
2009: Margaret Mazzantini, Venuto al mondo
1985: Mario Biondi, Gli occhi di donna
1986: Alberto Ongaro, La partita 2010: Michela Murgia, Accabadora
1987: Raffaele Nigro, I fuochi di Basento 2011: Andrea Molesini, Non tutti i bastardi sono
1988: Rosetta Loy, Le strade di polvere di Vienna
1989: Francesca Duranti, Effetti personali 2012: Carmine Abate, La collina del vento
1990: Dacia Maraini, La lunga vita di Marianna 2013: Ugo Ricciarelli, L’amore graffia il mondo
Ucrı́a 2014: Giorgio Fontana, Morte di un uomo felice
Educazione Civica
3
Nei Test di ammissione possono essere
presenti anche quesiti di educazione ci-
vica. Generalmente non è richiesta una
conoscenza eccessivamente approfon-
dita, è importante tuttavia apprendere
le principali norme della Costituzione
italiana e l’ordinamento giuridico del
nostro Stato.
Inoltre, dato il sempre maggiore
peso della Comunità Europea nella vi-
ta delle singole nazioni e dei cittadini,
è bene conoscere anche le norme del
diritto internazionale.
Figura 3.1: Unione europea.
Nelle pagine seguenti proponiamo
una schematizzazione delle nozioni fondamentali che ricorrono con maggiore frequenza.

Che cos’è il diritto?

Il diritto è l’insieme di regole di condotta, dette anche norme, generali e astratte, che
regolano le azioni dei soggetti appartenenti a una determinata collettività.
L’Ordinamento Giuridico indica le norme che regolano la vita di una comunità, di
una popolazione.
Esso comprende inoltre l’organizzazione interna dello Stato e tutto ciò che riguarda i
rapporti giuridici tra gli organi dello Stato e i membri della collettività. L’Ordinamento
giuridico regola i rapporti fra le persone riconoscendo diritti e imponendo obblighi e
doveri.
All’interno di questo insieme di norme si possono distinguere due rami del diritto: il
diritto pubblico e il diritto privato.

Le norme giuridiche
Le norme giuridiche sono le regole che concorrono a disciplinare l’organizzazione
della vita della collettività. La giuridicità di una norma deriva dal suo inserimento
nell’Ordinamento. La forza vincolante delle norme giuridiche deriva infatti proprio dal
fatto di essere previste da un atto dotato di autorità e si presentano dunque come
imposte dall’Ordinamento.
I fatti produttivi delle norme si chiamano fonti, la norma è l’espressione della
volontà dell’organo investito del potere di elaborare regole.
Educazione Civica 273

Le norme giuridiche si distinguono in:


Norme prescrittive o di condotta: vietano o impongono determinati comporta-
menti a tutti i membri della società.
Norme sanzionatorie: stabiliscono le sanzioni che devono essere applicate nei
confronti di chi viola le norme prescrittive.
Norme organizzative: forniscono indicazioni sugli organi che compongono lo Stato
e i loro poteri.

Educazione Civica
3.1 Diritto pubblico
Il diritto pubblico raccoglie le disposizioni inderogabili a tutela degli interessi dell’intera
collettività. Disciplina la formazione, l’organizzazione e l’attività dello Stato e degli enti
pubblici, nonché i loro rapporti con i privati.
Il diritto pubblico si articola in:
diritto costituzionale: comprende le norme essenziali e i principi fondamentali
della vita dello Stato e dei cittadini. Tali norme sono contenute nella Costituzione
e nelle leggi costituzionali.
diritto amministrativo: disciplina, nel rispetto della Costituzione e della legge,
l’attività amministrativa dello Stato in tutti i suoi molteplici aspetti.
diritto penale: comprende le norme con cui lo Stato, mediante la minaccia di
una sanzione o pena, proibisce determinati comportamenti definiti reati.
diritto finanziario: regola l’attività finanziaria dello Stato e degli altri enti
pubblici.
diritto tributario: comprende le norme che disciplinano il fisco e i contribuenti.
diritto processuale: regola e disciplina i diversi procedimenti inerenti le con-
troversie relative all’applicazione del diritto civile, penale e amministrativo.
diritto ecclesiastico: comprende le norme che disciplinano i rapporti dello Stato
con le Chiese e le confessioni religiose.
diritto della navigazione: comprende le norme che disciplinano la navigazione
marittima e aerea.
diritto pubblico internazionale: comprende le norme che regolano i rapporti
tra Stati e tra gli Stati e le organizzazioni internazionali.

3.1.1 Ordinamento della Repubblica


L’Italia è una Repubblica parlamentare costituzionale democratica in cui si
distinguono tre principali poteri:
Potere legislativo
Potere esecutivo
Potere giudiziario
274 Diritto pubblico

Potere legislativo
Il potere legislativo compete al Parlamento.
Il Parlamento italiano si compone di due organi: la Camera dei deputati e il
Senato della Repubblica. In sintesi, le principali funzioni ad essi attribuite sono:

Funzione di revisione costituzionale.

Funzione legislativa.

Funzione di indirizzo politico, che si esprime tramite il conferimento e la revoca


Dir. Pubblico

della fiducia al Governo.

Funzione di controllo sull’Esecutivo.

La Costituzione prevede inoltre che le Camere si riuniscano congiuntamente - si parla


allora di un terzo organo, il Parlamento in seduta comune, presieduto dal Presidente
della Camera dei deputati - per esercitare alcune specifiche funzioni:

L’elezione del Presidente della Repubblica.

La messa in stato d’accusa dello stesso Presidente per i reati di alto tradimento
o di attentato alla Costituzione.

La ricezione del giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Co-


stituzione da parte del Capo dello Stato, condizione indispensabile affinché questi
possa assumere le sue funzioni.

L’elezione di un terzo dei giudici costituzionali, nonché di un terzo dei componenti


del Consiglio Superiore della Magistratura.

Il Senato e la Camera, eletti a suffragio universale, durano in carica cinque anni, a meno
che il Presidente della Repubblica non eserciti il potere di scioglimento anticipato, per
entrambe o anche per una sola delle due. La durata della legislatura è identica per
entrambe le Camere, che invece si differenziano per la composizione ed i criteri di
elezione.
I 630 deputati della Camera, la cui età non può essere inferiore ai 25 anni, vengono
eletti da tutti i cittadini maggiorenni. I 315 senatori elettivi, la cui età non può essere
inferiore ai 40 anni, vengono invece eletti dai cittadini che abbiano compiuto il 25◦
anno di età.
Oltre ai componenti elettivi in Senato siedono anche gli ex Presidenti della Repub-
blica e i 5 senatori a vita, nominati dal Presidente della Repubblica fra i cittadini che
abbiano ottenuto importanti meriti in campo sociale, scientifico, artistico o letterario.

3.1.2 Potere esecutivo


Il potere esecutivo compete al Governo.
Il Governo della Repubblica è composto dal Presidente del Consiglio e dai
Ministri che costituiscono insieme il Consiglio dei Ministri.
Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su
proposta di questo, i ministri.
Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere.
Educazione Civica 275

Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne
la fiducia.
Il voto contrario di una o di entrambe le Camere su una proposta del Governo non
comporta obbligo di dimissioni.
La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componen-
ti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua
presentazione.

Educazione Civica
Sito del Governo italiano: www.governo.it/

Nel Governo si distinguono tre organi fondamentali:

1. Presidente del Consiglio dei Ministri (primo ministro) è il Capo del Governo.
Egli dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di in-
dirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri.
Viene nominato dal Presidente della Repubblica nell’ambito dei partiti che hanno ot-
tenuto la maggioranza. Non appena nominato propone al Presidente della Repubblica
le nomine dei singoli ministri assieme ai quali, dopo avere prestato giuramento dinanzi
al Presidente della Repubblica e dopo avere ricevuto il voto di fiducia da entrambi i
rami del parlamento, andrà a formare il Consiglio dei Ministri.

2. Ministri sono nominati dal Presidente della Repubblica su proposta del Presidente
del Consiglio e sono responsabili degli atti adottati dai dicasteri loro affidati e del-
le deliberazioni del Consiglio dei Ministri. Ai ministri spetta la funzione di indirizzo
politico, la definizione degli obiettivi e dei programmi da attuare, e una funzione di
controllo sulla rispondenza dei risultati della gestione amministrativa. Sotto il profilo
organizzativo, oltre che degli uffici del proprio ministero, i ministri si avvalgono di una
struttura di diretta collaborazione, denominata Ufficio di Gabinetto.

3. Il Consiglio dei Ministri, in quanto organo collegiale, riveste un ruolo di assoluto


rilievo nell’ambito del Governo. Esso è presieduto dal Presidente del Consiglio ed è
composto da tutti i ministri con o senza portafoglio. Il Consiglio dei Ministri determina
la politica generale del Governo e, ai fini della sua attuazione, l’indirizzo generale
dell’azione amministrativa.
Organi Ausiliari:

Il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL) è composto da esper-


ti e da rappresentanti delle categorie produttive. È organo di consulenza delle Ca-
mere e del Governo, ha l’iniziativa legislativa e può contribuire all’elaborazione della
legislazione economica e sociale secondo i principi ed entro i limiti stabiliti dalla legge.

Il Consiglio di Stato è un organo di consulenza giuridico-amministrativo e di tutela


della giustizia nell’amministrazione.

La Corte dei conti esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo
e quello successivo sulla gestione del bilancio dello Stato. Partecipa, nei casi e nelle
forme stabiliti dalla legge, al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo
Stato contribuisce in via ordinaria. Riferisce direttamente alle Camere sul risultato del
riscontro eseguito.
276 Diritto pubblico

Elenco dei ministeri:


Ministero degli Affari Esteri
Ministero dell’Interno
Ministero della Giustizia
Ministero della Difesa
Ministeri con compiti economico-finanziari
Ministero dell’Economia e delle Finanze
Ministero dello Sviluppo Economico
Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali
Ministeri con compiti di servizio sociale e culturale
Dir. Pubblico

Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca


Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
Ministero della Salute
Ministeri con compiti relativi a infrastrutture e servizi
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare

Consiglio dei Ministri costituito dall’unione dei precedenti due organi è presieduto
dal Presidente del Consiglio ed è composto da tutti i Ministri.
Il Consiglio dei Ministri determina la politica generale del Governo e l’indirizzo
generale dell’azione amministrativa. Esso delibera su ogni altra questione relativa al-
l’indirizzo politico fissato dal rapporto fiduciario con le Camere e provvede a dirimere
i conflitti di attribuzione tra i Ministri.

Elenco dei governi italiani


Segue l’elenco dei governi italiani che si sono succeduti dal 1943 ad oggi. Per ogni
governo è riportata la data d’inizio, che coincide con il giorno del giuramento nelle mani
del Presidente della Repubblica, e quella della fine, che coincide con il giuramento del
governo subentrante.
La durata di ogni legislatura parte dal giorno della prima convocazione, a seguito di
elezioni politiche, e ha termine il giorno dello scioglimento delle Camere per l’indizione
delle elezioni.

XVII Legislatura (dal 15 marzo 2013) elezioni politiche del 24 e 25 febbraio 2013
Il compito di formare il secondo governo della legislatura viene affidato a Matteo Renzi
che il 25 febbraio 2014 ottiene la fiducia delle due Camere.
Il primo governo della XVII legislatura viene affidato ad Enrico Letta, che entra in carica
a partire dal 28 aprile 2013.
XVI Legislatura (dal 29 aprile 2008) elezioni politiche 13 e 14 aprile 2008.
Il secondo governo della legislatura è il Governo Monti (dal 16 novembre al 21 dicembre
2012). Si tratta in realtà di un Governo Tecnico, che esaurisce il suo mandato a seguito di
una crisi di governo.
Governo Berlusconi IV (dall’8 maggio 2008 al 16 novembre 2011). Entra in crisi a se-
guito delle divisioni interne con il Ministro del MEF (Tremonti) e delle bocciature delle
varie agenzie di rating che anticipano l’esplosione della crisi del debito e l’impennata del
differenziale Btp-Bund, cosidetto Spread.
Educazione Civica 277

Il Governo Tecnico nasce quando, in particolari situazioni politiche, i singoli partiti non
giungono ad istituire un’alleanza politica vera e propria. Il Governo Tecnico scaturisce
dalla fiducia da parte dei partiti nei confronti della creazione di un tipo di governo
di natura transitoria. Il Governo Tecnico resta in carica per un determinato periodo di
tempo e precede solitamente una successiva fase elettorale vera e propria. I vari ministri
e il capo del Governo Tecnico vengono eletti al di fuori di un determinato partito politico
e non dal Parlamento.

Educazione Civica
XV Legislatura (28 aprile 2006 - 6 febbraio 2008) elezioni politiche 9 e 10 aprile 2006
Governo Prodi II (dal 17 maggio 2006 al 6 maggio 2008)
XIV Legislatura (30 maggio 2001 - 27 aprile 2006) elezioni politiche il 13 maggio 2001
Governo Berlusconi III (dal 23 aprile 2005 al 17 maggio 2006)
Governo Berlusconi II (dall’11 giugno 2001 al 23 aprile 2005)
XIII Legislatura (9 maggio 1996 - 9 marzo 2001) elezioni politiche il 21 aprile 1996
Governo Amato II
Governo D’Alema II
Governo D’Alema
Governo Prodi
XII Legislatura (15 aprile 1994 - 16 febbraio 1996) elezioni politiche il 27 marzo 1994
Governo Dini
Governo Berlusconi
XI Legislatura (23 aprile 1992 - 16 gennaio 1994) elezioni politiche il 4 aprile 1992
Governo Ciampi
Governo Amato
X Legislatura (2 luglio 1987 - 2 febbraio 1992) elezioni politiche il 14 giugno 1987
Governo Andreotti VII
Governo Andreotti VI
Governo De Mita
Governo Goria
IX Legislatura (12 luglio 1983 - 28 aprile 1987) elezioni politiche il 26 giugno 1983
Governo Fanfani VI
Governo Craxi II
Governo Craxi
VIII Legislatura (20 giugno 1979 - 4 maggio 1983) elezioni politiche il 3 giugno 1979
Governo Fanfani V
Governo Spadolini II
Governo Spadolini
Governo Forlani
Governo Cossiga II
Governo Cossiga
VII Legislatura (5 luglio 1976 - 2 aprile 1979) elezioni politiche il 20-21 giugno 1976
Governo Andreotti V
Governo Andreotti IV
Governo Andreotti III
VI Legislatura (25 maggio 1972 - 1 maggio 1976) elezioni politiche il 7-8 maggio 1972
Governo Moro V
Governo Moro IV
Governo Rumor V
Governo Rumor IV
Governo Andreotti II
278 Diritto pubblico

V Legislatura (5 giugno 1968 - 28 febbraio 1972) elezioni politiche il 19 maggio 1968


Governo Andreotti
Governo Colombo
Governo Rumor III
Governo Rumor II
Governo Rumor
Governo Leone II
IV Legislatura (16 maggio 1963 - 11 marzo 1968) elezioni politiche il 28 aprile 1963
Governo Moro III
Governo Moro II
Dir. Pubblico

Governo Moro I
Governo Leone
III Legislatura (12 giugno 1958 - 18 febbraio 1963) elezioni politiche il 25 maggio 1958
Governo Fanfani IV
Governo Fanfani III
Governo Tambroni
Governo Segni II
Governo Fanfani II
II Legislatura (25 giugno 1953 - 14 marzo 1958) elezioni politiche il 7 giugno 1953
Governo Zoli
Governo Segni
Governo Scelba
Governo Fanfani
Governo Pella
Governo De Gasperi VIII
I Legislatura (8 maggio 1948 - 4 aprile 1953) elezioni politiche il 18 aprile 1948
Governo De Gasperi VII
Governo De Gasperi VI
Governo De Gasperi V
Ordinamento provvisorio (25 luglio 1943 - 23 maggio 1948) Assemblea costituente (25
giugno 1946 - 31 gennaio 1948) Proclamazione della Repubblica: 2 giugno 1946
Governo De Gasperi IV
Governo De Gasperi III
Governo De Gasperi II (primo governo della Repubblica)
Governo De Gasperi
Governo Parri
Governo Bonomi II
Governo Bonomi
Governo Badoglio II
Governo Badoglio

Pubblica Amministrazione
Gli uffici pubblici sono organizzati secondo disposizioni di legge in modo da assicu-
rare il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Nell’ordinamento degli
uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità dei
funzionari. I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione.
Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo in
casi stabiliti dalla legge.
Educazione Civica 279

Enti locali
Gli enti locali sono enti pubblici la competenza dei cui organi è limitata in una
determinata circoscrizione territoriale.
Nell’Ordinamento italiano il termine ente locale fa riferimento agli enti territoriali di-
versi della regione: comuni, province e città metropolitane, nonché comunità monta-
ne, comunità isolane, unioni di comuni e consorzi fra enti territoriali.

3.1.3 Potere giudiziario

Educazione Civica
La Magistratura è un organo costituzionale con funzioni giurisdizionali che opera auto-
nomamente e indipendentemente dagli altri poteri. Detiene la funzione giurisdizionale
dello Stato che esercita e amministra in nome del popolo sovrano.
L’organo di governo della Magistratura Italiana è il Consiglio Superiore della
Magistratura (CSM), il cui presidente è il Presidente della Repubblica. Il CSM ha il
potere di nominare, assumere, promuovere, assegnare, trasferire in piena autonomia e
indipendenza i magistrati. Compito del Consiglio Superiore della Magistratura è anche
quello di prendere provvedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati.
I magistrati che operano all’interno della Magistratura possono essere distinti nelle
seguenti categorie:
Amministrativi: Hanno giurisdizione in merito alla tutela degli interessi legittimi
riferiti alla Pubblica Amministrazione. Ne fanno parte il Consiglio di Stato e i TAR.
Ordinari: Si tratta dei magistrati civili e penali, con competenza in materia di diritto
civile e penale.
Tributari: Esercitano la loro attività in ambito di tasse e imposte; ne fanno parte le
Commissioni Provinciali e Regionali.
Contabili: Hanno competenze relative al risarcimento del danno erariale e si identifi-
cano nella Corte dei Conti.
Costituzionali: Hanno competenze in merito alla costituzionalità delle varie leggi e
fanno capo alla Corte Costituzionale.
Militari: Esercitano sui reati commessi dalle forze militari, e si esplicano nei tribunali
militari.

Consiglio Superiore della Magistratura: www.csm.it/

3.1.4 Il Presidente della Repubblica


Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato, rappresenta l’unità nazionale e
viene eletto dal Parlamento. Per tale carica può essere eletto ogni cittadino che abbia
compiuto cinquanta anni d’età e goda dei diritti civili e politici. L’ufficio di Presidente
della Repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica e il suo mandato ha una
durata di sette anni. Prima di assumere le sue funzioni, il Presidente presta giuramento
di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione dinanzi al Parlamento
in seduta comune. In caso di impedimento permanente, di morte o di dimissioni, il
Presidente della Camera dei deputati indice la elezione del nuovo Presidente della
Repubblica.
280 Diritto pubblico

www.quirinale.it/

Le sue principali funzioni sono:

Inviare messaggi alle Camere.

Indire le elezioni delle nuove Camere.

Autorizzare la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del


Governo.
Dir. Pubblico

Promulgare le leggi ed emanare i decreti aventi valore di legge e i regolamenti.

Indire il referendum popolare nei casi previsti dalla Costituzione.

Nominare, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato.

Accreditare e ricevere i rappresentanti diplomatici e ratificare i trattati interna-


zionali.

Il Presidente della Repubblica ha inoltre il comando delle Forze armate, presiede il


Consiglio supremo di difesa, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere, presiede
il Consiglio superiore della magistratura, può concedere grazia e commutare le pene e
conferire le onorificenze della Repubblica.
Il Presidente della Repubblica ha facoltà di sciogliere le Camere o anche una sola
di esse, ma non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo
che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura.
Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai
ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità.
Nel caso in cui il Presidente della Repubblica sia impossibilitato, temporaneamente,
a esercitare le proprie funzioni tale compito spetta al Presidente del Senato.

Elenco completo dei Presidenti della Repubblica Italiana


Enrico De Nicola (1o gennaio-12 maggio 1948); già capo provvisorio dello Stato (1946-
1947)
Luigi Einaudi (1948-1955)
Giovanni Gronchi (1955-1962)
Antonio Segni (1962-1964)
Giuseppe Saragat (1964-1971)
Giovanni Leone (1971-1978)
Sandro Pertini (1978-1985)
Francesco Cossiga (1985-1992)
Oscar Luigi Scalfaro (1992-1999)
Carlo Azeglio Ciampi (1999-2006)
Giorgio Napolitano (2006-2015)
Sergio Mattarella (2015-in carica)
Educazione Civica 281

3.1.5 Corte Costituzionale


www.cortecostituzionale.it/default.do

La Corte costituzionale svolge la fondamentale funzione di garante della Costituzione.


La Corte costituzionale è composta di quindici giudici nominati per un terzo dal Pre-
sidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento in seduta comune e per un terzo
dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrative.
I giudici della Corte costituzionale sono scelti tra i magistrati delle giurisdizioni

Educazione Civica
superiori ordinaria ed amministrative, i professori ordinari di università in materie
giuridiche e gli avvocati dopo venti anni d’esercizio.
I giudici della Corte costituzionale sono nominati per nove anni e successivamente
non possono essere rieletti. L’ufficio di giudice della Corte è incompatibile con quello
di membro del Parlamento, di Consiglio regionale, e con l’esercizio della professione di
avvocato.
La Corte elegge tra i suoi componenti il Presidente che rimane in carica per un
triennio ed è rieleggibile.
La Corte costituzionale giudica:

Sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti
aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni.

Sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e tra lo Stato e le Regioni.

Sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica.

Quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di legge, questa


cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione.
Contro le decisioni della Corte costituzionale non è ammessa alcuna impugnazione.

3.2 Diritto privato


Il diritto privato regola i rapporti tra gli individui della comunità, sia in merito alla
sfera personale e familiare, che ai rapporti patrimoniali.
A fondamento del diritto privato vi è il concetto di autonomia privata: il diritto
della persona di autodeterminarsi perseguendo e regolando i propri interessi.
Nel caso in cui avvengano comportamenti di violazione, il soggetto leso può agire
in giudizio. Le parti litiganti possono ricorrere ad un contratto di transazione con cui,
facendosi reciproche concessioni, ricompongono la lite, oppure possono ricorrere ad un
giudice privato, detto arbitro. Il principale corpus normativo regolante il diritto privato
è il codice civile italiano.
Il diritto privato si articola in:

diritto civile: comprende le norme che riguardano l’esistenza del singolo sogget-
to.

diritto commerciale: disciplina le azioni di coloro che svolgono professional-


mente attività economiche e di coloro che interagiscono in rapporti commerciali
quali le imprese e le società.
282 Diritto privato

diritto del lavoro: si occupa di disciplinare tutte le materie attinenti al rapporto


di lavoro.

diritto agrario: è l’insieme delle norme inerenti l’agricoltura.

diritto industriale: disciplina la protezione e la circolazione di beni immateriali,


cioè i frutti dell’attività creativa ed inventiva dell’uomo.

3.2.1 Le fonti del diritto italiano


Dir. Privato

Le principali fonti dell’ordinamento giuridico italiano sono le seguenti:

Costituzione

Leggi costituzionali

Leggi ordinarie

Atti aventi forza di legge: decreti legge, decreti legislativi, referendum

Leggi regionali

Regolamenti dell’esecutivo

Regolamenti degli enti locali

Consuetudine

Accanto alle fonti del diritto italiano esistono anche le fonti derivanti dall’adesione
della Repubblica italiana all’Unione Europea, alla Comunità Europea e ai vari trattati
internazionali.

3.2.2 La Costituzione della Repubblica Italiana


La Costituzione italiana, approvata dall’Assemblea costituente, è entrata in vigore il
1◦ gennaio 1948. La Costituzione sta al vertice della gerarchia delle fonti.
La Costituzione italiana è di tipo rigido, in quanto può essere modificata soltanto
con procedure particolari.
Può definirsi deliberata e democratica, in quanto redatta da un’Assemblea costi-
tuente rappresentante del popolo italiano.
La nostra Costituzione è composta da 139 articoli suddivisi in:

Principi fondamentali, artt. 1-12;

Diritti e doveri dei cittadini, Parte I, artt. 13-54;

Ordinamento della Repubblica, Parte II, artt. 55-139.


Educazione Civica 283

Principi fondamentali
I primi dodici articoli della Costituzione stabiliscono i Principi supremi dell’ordina-
mento giuridico e non possono essere modificati neanche attraverso il procedimento di
revisione costituzionale.

Art. 1

L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.


La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della

Educazione Civica
Costituzione.

Art. 2

La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia
nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei
doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Art. 3

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza di-
stinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni
personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che,
limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo
della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione
politica, economica e sociale del Paese.

Art. 4

La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni


che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria
scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della
società.

Art. 5

La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei


servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; ade-
gua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del
decentramento.

Art. 6

La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.

Art.7

Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.
I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti ac-
cettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.
284 Diritto privato

Art. 8

Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.


Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo
i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.
I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative
rappresentanze.
Art. 9

La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.


Dir. Privato

Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.

Art. 10

L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale ge-
neralmente riconosciute.
La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle
norme e dei trattati internazionali.
Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà
democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della
Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge.
Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici.

Art. 11

L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come
mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità
con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri
la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali
rivolte a tale scopo.

Art. 12

La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande
verticali di eguali dimensioni.

Parte I

La Parte I della Costituzione (artt.13-54) tratta dei diritti e dei doveri riconosciuti
ai cittadini.
La legge italiana riconosce a ogni persona che nasce la qualità di soggetto di diritto,
e riconosce quindi la capacità di possedere diritti e doveri.
La capacità giuridica
Per capacità giuridica si intende l’idoneità del soggetto a essere titolare di diritti e
obblighi e si acquista al momento della nascita. Ogni persona fisica quindi possiede
tale capacità per il solo fatto di esistere, a prescindere dalla durata della sua esistenza.
La capacità di agire
La capacità di agire è l’idoneità del soggetto ad esercitare i diritti e ad assumere gli
obblighi di cui è titolare.
Educazione Civica 285

Un bambino, ad esempio, potrà ricevere in donazione dal nonno un appartamento,


divenendo cosı̀ titolare del diritto di proprietà, ma non potrà esercitarlo in concreto
dando, ad esempio, in affitto il bene.
I diritti si distinguono tra assoluti e relativi.
I diritti assoluti si possono far valere verso chiunque, mentre i diritti relativi si
possono far valere solo nei confronti di determinati soggetti. Tra i diritti assoluti vi
sono il diritto di proprietà, il diritto alla vita, all’integrità fisica, al nome, all’immagine
e alla vita privata. Per quanto riguarda i diritti relativi vi sono i diritti di credito, ma
anche i diritti non patrimoniali ed alcuni diritti della personalità quando si fanno valere

Educazione Civica
all’interno di un rapporto tra soggetti particolari, come tra marito e moglie.
I diritti garantiti ai cittadini sono:

I diritti individuali e collettivi di libertà

Tra i diritti individuali di libertà sono indicate la:

1. libertà personale; art. 13

2. libertà di domicilio, di circolazione e di soggiorno; art. 14-art. 15-art.16

3. libertà di manifestazione del pensiero.

Tra i diritti collettivi di libertà sono comprese la:

1. libertà di riunione; art. 17

2. libertà di associazione; art. 18

3. libertà di religione; art. 19

I diritti sociali, improntati a eliminare le disuguaglianze all’interno della società:

1. il diritto alla salute; art. 32


2. il diritto all’istruzione; art. 33-art. 34
3. il diritto al lavoro; art. 4- art. 35
4. il diritto di iniziativa economica. Art. 41

I DOVERI, ovvero le situazioni giuridiche consistenti nell’obbligo di osservare deter-


minate disposizioni o di comportarsi in un determinato modo sono:

il dovere di difesa, art. 52

il dovere di contribuire alle spese pubbliche, art. 53

il dovere di fedeltà alla Repubblica e di osservanza alla Costituzione, art. 54


286 Diritto privato

3.2.3 Leggi costituzionali e di revisione costituzionale


Le leggi costituzionali servono per modificare (leggi di revisione costituzionale) o per
integrare (leggi costituzionali) la Costituzione.
Le leggi costituzionali richiedono l’approvazione del Parlamento con il procedimen-
to aggravato, un sistema di votazione che richiede maggioranze più ampie di quelle
necessarie per l’approvazione delle leggi ordinarie e una doppia approvazione da parte
di ciascuna delle due Camere a distanza di un termine non inferiore a tre mesi l’u-
na dall’altra in entrambi i rami del Parlamento. Qualora nella seconda votazione non
venga raggiunta la maggioranza dei 2/3 in una delle due Camere le leggi di revisione
costituzionale e quelle costituzionali vengono sottoposte a referendum.
Dir. Privato

3.2.4 Leggi ordinarie


Si tratta di leggi emanate dal Parlamento e sono le fonti più frequentemente utilizzate
quando l’ordinamento intende regolare l’azione umana.
Ogni proposta di legge, approvata da una Camera, deve essere approvata, nello
stesso testo, anche dall’altra. Se vengono apportate modifiche, queste devono essere
approvate anche dall’altra Camera.

3.2.5 Decreti legge


I decreti legge, abbreviati con la sigla D.L., sono emanati dal Governo solo in casi
straordinari di necessità e di urgenza.
Il decreto legge è un atto che il Governo delibera direttamente sotto la propria
responsabilità senza aver ottenuto una delega dal Parlamento.
Il Governo non può comunque deliberare decreti legge in merito a quelle materie in
cui è obbligatoria l’adozione di una legge formale ordinaria del Parlamento es. legge di
autorizzazione della ratifica di trattati internazionali, legge elettorale, legge di bilancio,
legge di amnistia e indulto.
Il decreto legge entra in vigore immediatamente con la sua pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale ma perde efficacia sin dall’inizio se non viene convertito in legge dal
Parlamento entro i sessanta giorni successivi alla sua pubblicazione.

3.2.6 Decreti legislativi o leggi delegate


I decreti legislativi, indicati in modo abbreviato con la sigla D.Lgs., sono atti emanati
dal Governo su espressa legge di delegazione o di delega del Parlamento che lo autorizza
a svolgere la funzione legislativa nelle materie indicate entro i limiti determinati.
Con la legge di delegazione o legge delega, il Parlamento indica al Governo:

La materia oggetto della delega sulla quale il Governo potrà eccezionalmente


legiferare.

Il termine entro cui il Governo deve fare uso di questa potestà legislativa.

I principi normativi e i criteri direttivi che il Governo dovrà seguire nell’emanare


il decreto legislativo.

Il Governo delibera il testo normativo che verrà poi emanato con Decreto del Presidente
della Repubblica, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.
Educazione Civica 287

3.2.7 Leggi regionali


Le leggi regionali hanno un’efficacia limitata al territorio della Regione che le emana.
Sono deliberate dal Consiglio regionale, promulgate dal Presidente della Regione e
pubblicate sul Bollettino Ufficiale di ciascuna Regione (BUR).
La Regione è autorizzata a esercitare la potestà legislativa dalla Costituzione stes-
sa. La Costituzione infatti prevede che per tutte le materie in cui non è espressamente
prevista una competenza dello Stato, la Regione possiede la competenza legislativa,
disponendo invece le materie nelle quali lo Stato ha potestà esclusiva o concorrente con
il governo regionale.

Educazione Civica
3.2.8 Regolamenti del potere esecutivo o del Governo
I regolamenti dell’esecutivo rappresentano l’attività normativa secondaria del Governo,
diretta a produrre norme subordinate a quelle primarie.
I regolamenti sono fonti secondarie e come tali non possono derogare né alla Co-
stituzione né alle leggi ordinarie. Non possono regolare materie coperte da riserva di
legge. Infine, le sanzioni penali non possono essere previste con un regolamento.
A seconda del soggetto che li emana si distinguono in:
Regolamenti del Presidente del Consiglio, emanati dal Presidente del Consiglio
dei Ministri.
Regolamenti ministeriali (D.M.), emanati da singoli ministri nell’ambito delle
competenze del Dicastero o Ministero che presiedono.
Regolamenti interministeriali (D.P.C.M.), emanati dal Presidente del Consiglio
dei Ministri e riguardanti materie attinenti a più Ministeri.
A seconda del contenuto e dell’oggetto i regolamenti si distinguono in:
Regolamenti di esecuzione, adottati per regolare le modalità di esecuzione di una
legge senza introdurre novità giuridiche sostanziali e senza creare nuovi diritti,
obblighi o doveri a carico dei cittadini.
Regolamenti di attuazione e integrazione, adottati per integrare o attuare i prin-
cipi contenuti all’interno di una legge o di un decreto legislativo.
Regolamenti indipendenti, con cui il Governo detta norme nei più svariati settori
di interesse pubblico al di là di quanto già previsto dalle legge, determinando
spesso nuovi diritti e doveri dei cittadini.
Regolamenti delegati, finalizzati a permettere un processo di delegificazione. Que-
sti regolamenti disciplinano ex novo una materia precedentemente disciplinata
da norma primaria abrogandola per espressa previsione contenuta nella legge di
delega (norma primaria).
I regolamenti vengono emanati con D.P.R. ovvero con Decreto del Presidente della
Repubblica e sono pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale.

3.2.9 Regolamenti degli enti locali


Indicano le fonti secondarie o regolamentari emanate dagli Enti locali, ovvero dalle
Regioni, dai Comuni, dalle Province e dalle Città.
288 Diritto internazionale

3.2.10 Consuetudine
La consuetudine, a differenza delle precedenti fonti, che sono rigorosamente scritte, è
una fonte del diritto non scritta basata sulla tradizione.
Perché si possa parlare di consuetudine occorrono due condizioni:

l’abitudine a seguire un certo comportamento per un determinato periodo di


tempo.

La convinzione che quel comportamento sia giuridicamente obbligatorio.


Internazionale

Un esempio è rappresentato dalla procedura di consultazione per la formazione del


Governo, secondo cui il Presidente della Repubblica, prima di scegliere la persona a
cui conferirà l’incarico di formare un nuovo Governo, riceve e consulta i segretari dei
partiti politici, i Presidenti di Camera e Senato, i Presidenti dei gruppi parlamentari e
gli ex Presidenti della Repubblica.

3.2.11 Gerarchia delle fonti del diritto


Le fonti del diritto non hanno tutte lo stesso valore. La loro efficacia normativa dipende
infatti dalla collocazione gerarchica. Secondo il principio ubi maior minor cessat,
una norma di grado inferiore non può modificare o abrogare una norma giuridica di
grado superiore. Può invece accadere l’inverso, ossia una norma di grado superiore può
modificare o abrogare una norma giuridica di grado inferiore.
Nel caso in cui le norme abbiano il medesimo grado gerarchico interviene il principio
lex posterior abrogat priorem, per cui viene applicato il criterio cronologico secondo
cui la norma più recente nel tempo può modificare o abrogare la norma giuridica più
vecchia.
Ordine gerarchico delle Fonti:

Fonti super primarie: Costituzione e leggi costituzionali

Fonti primarie: Trattati internazionali ratificati e comunitari e norme comunita-


rie, leggi ordinarie, referendum, decreti legge

Fonti secondarie: Regolamenti, circolari.

3.3 Diritto Internazionale


Il Diritto internazionale, chiamato anche diritto delle genti (ius gentium) regola la vita
della comunità internazionale, disciplina la convivenza fra gli Stati ponendosi come base
per la pace e la stabilità, e mira a proteggere le persone e a promuoverne il benessere.
Il diritto internazionale si applica a ogni Stato solo nella misura in cui esso abbia
accettato di assumer determinati impegni internazionali.
Le forme, i contenuti e le procedure per la formazione del diritto convenzionale sono
state codificate nella Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati.
L’essenza del diritto internazionale è il suo essere ’internazionale’, con giurisdizione
su una pluralità di Stati o nei luoghi non regolati dalle legislazioni nazionali, ad esempio
il mare e il cosmo.
Il diritto internazionale si può distinguere tra pubblico e privato.
Educazione Civica 289

Il diritto internazionale pubblico è l’insieme di norme che regolano i rapporti tra i


soggetti della comunità internazionale come Stati, enti equiparabili agli Stati e orga-
nizzazioni internazionali.
Il diritto internazionale privato è un diritto statale che disciplina i rapporti di
estraneità nei confronti dello Stato stesso come ad esempio i rapporti giuridici tra i
cittadini e gli stranieri.
Il diritto internazionale abbraccia diversi settori:
divieto della violenza: gli Stati devono risolvere le reciproche divergenze in ma-

Educazione Civica
niera pacifica
diritti umani: ogni essere umano può esigere il rispetto dei diritti fondamentali
(diritto alla vita, all’incolumità fisica, alla libertà personale, alla libertà di opinio-
ne e di coscienza ecc.). Il diritto umanitario internazionale fissa regole per i casi
di guerra e in particolare per la protezione di persone civili, feriti e prigionieri di
guerra
la lotta contro i terrorismo e altri crimini
ambiente
commercio e sviluppo
telecomunicazioni
trasporti

3.3.1 Le fonti del diritto internazionale


In molti casi gli Stati non si limitano a fissare delle regole di comportamento, ma
istituiscono organismi internazionali cui vengono affidati compiti specifici e assegnati
mezzi finanziari, materiali e risorse umane. Il primo tentativo per dare un ordinamento
unitario alla comunità internazionale risale al 1919 con la creazione della Società delle
Nazioni (SDN). Nel 1945 l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) ha sostituito la
SDN.
Le norme internazionali, per essere eseguite all’interno degli Stati, devono trasfor-
marsi in norme di diritto interno ovvero norme di recepimento.
Le fonti del diritto internazionale si suddividono in:
fonti del diritto internazionale generali o primarie (consuetudine);
fonti del diritto internazionale particolari o secondarie (trattati o accordi inter-
nazionali).

CONSUETUDINE
L’insieme di comportamenti consacrati dal lungo uso nelle relazioni tra gli Stati. Hanno
valenza universale per tutti i soggetti internazionali.
TRATTATI O ACCORDI INTERNAZIONALI
I trattati o accordi (o patti, convenzioni, statuti, etc.) sono norme di diritto interna-
zionale nate dall’incontro della volontà di due o più soggetti dell’ordinamento interna-
zionale al fine di regolare i rapporti reciproci.
290 Diritto internazionale

Le norme pattizie, a differenza di quelle generali, sono valide solo per i soggetti che
partecipano alla loro formazione. Inoltre, devono essere recepite all’interno degli Stati
interessati attraverso norme di esecuzione.
Tra le norme pattizie di grande rilevanza si ricorda la Carta istitutiva delle Nazioni
Unite o Carta ONU, il Trattato istitutivo della NATO (North Atlantic Treaty Orga-
nization), dell’FMI (Fondo Monetario Internazionale) e del Consiglio d’Europa nonché
l’accordo GATT (General Agreement on Tariffs and Trade, attualmente incorporato
nel WTO - World Trade Organization).
Internazionale

3.3.2 Principali Organizzazioni Internazionali

ONU
L’Organizzazione delle Nazioni Unite, ONU, è la più importante ed estesa or-
ganizzazione intergovernativa e comprende 193 Stati membri. È stata fondata il 24
giugno 1945 e può considerarsi un’evoluzione della precedente Società delle Nazioni.
Il 26 giugno 1945 a San Francisco si tenne la Conferenza Internazionale delle Nazioni
Unite e il 24 ottobre venne firmato lo Statuto da parte dei cinque membri permanenti
del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e dalla maggioranza degli altri 49 firma-
tari. I membri permanenti del Consiglio di sicurezza sono i cinque Stati usciti vincitori
dalla Seconda guerra mondiale: Regno Unito, Francia, Stati Uniti, Unione Sovietica e
Cina.
L’Italia è entrata a far parte dell’ONU il 14 dicembre 1955.
La sede centrale delle Nazioni Unite è a New York (USA). L’attuale segretario
generale delle Nazioni Unite è Ban Ki Moon che ha sostituito Kofi Annan il 1o
gennaio 2007, insignito del premio Nobel per la pace nel 2001.
La finalità principale delle Nazioni Unite è il conseguimento della cooperazione
internazionale in materia di sviluppo economico, progresso socioculturale, diritti uma-
ni e sicurezza internazionale.
Gli scopi principali dell’ONU sono:

mantenere la pace e la sicurezza internazionale.

promuovere la soluzione delle controversie internazionali e risolvere pacificamente


le situazioni che potrebbero portare ad una rottura della pace.

sviluppare le relazioni amichevoli tra le nazioni sulla base del rispetto del principio
di uguaglianza tra gli Stati e l’autodeterminazione dei popoli.

promuovere la cooperazione economica e sociale.

promuovere il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali a vantaggio


di tutti gli individui.

promuovere il disarmo e la disciplina degli armamenti.

promuovere il rispetto per il diritto internazionale e incoraggiarne lo sviluppo


progressivo e la sua codificazione.
Educazione Civica 291

I principali organi dell’ONU sono:


L’Assemblea Generale, l’organo più rappresentativo delle Nazioni Unite. È formata
dai rappresentanti di tutti gli Stati aderenti e si occupa di questioni fondamentali
quali: segnalazioni di pace, entrata, sospensione o espulsione di Stati membri, problemi
di bilancio.
Ogni Stato ha il diritto ad avere 5 rappresentanti nell’Assemblea ma dispone di un solo
voto.
Il Consiglio di sicurezza è l’organo delle Nazioni Unite che detiene maggiori poteri.

Educazione Civica
Ha la competenza esclusiva di decidere contro gli Stati colpevoli di aggressione o di
minaccia alla pace. Al Consiglio viene infatti conferita la responsabilità principale del
mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. È costituito da quindici Stati
membri, di cui cinque sono membri permanenti, mentre i restanti dieci vengono eletti
ogni due anni. I membri permanenti hanno il diritto di veto e possono bloccare qualsiasi
decisione loro sgradita. La presidenza del Consiglio è detenuta a rotazione mensile
secondo ordine alfabetico dagli altri Stati. Le decisioni prese dal Consiglio prendono il
nome di risoluzioni. Le forze armate, caschi blu, provengono tutte dagli Stati membri.
Il Segretariato è guidato dal segretario generale delle Nazioni Unite ed è costituito
da un insieme di uffici e dipartimenti finalizzati alla gestione amministrativa dell’ONU.
Il segretario generale, in carica per cinque anni, è il leader dell’Organizzazione, viene
nominato dall’Assemblea Generale e lavora come diplomatico tra gli Stati membri e
come amministratore all’interno dell’Organizzazione. L’attuale segretario generale è
Ban-Ki-Moon, eletto nel 2007 e riconfermato per il quinquennio 2012-2016.
Il Consiglio Economico e Sociale, composto da 54 membri, è l’organo consultivo
e di coordinamento dell’attività economica e sociale delle Nazioni Unite e delle varie
organizzazioni ad esse collegate. Il Consiglio ha fondato molte organizzazioni di sussidio
come la FAO: Food and Agriculture Organization of the United Nations (Organizzazio-
ne delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura), l’UNICEF: United Nations
Children’s Fund (Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia), l’UNCTAD: United Nations
Conference on Trade and Development (Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio
e sullo Sviluppo).
Il Consiglio per i diritti umani ha il compito di supervisionare il rispetto e le
violazioni dei diritti umani negli Stati aderenti alle Nazioni Unite e informare l’opinione
pubblica mondiale dello stato dei diritti umani nel mondo.
La Corte Internazionale di Giustizia, conosciuta anche come Corte Mondiale, è
il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite e ha sede all’Aja, nei Paesi Bassi.
Fondata nel 1945 la sua funzione principale è di dirimere le dispute fra gli Stati membri
delle Nazioni Unite.

NATO
La North Atlantic Treaty Organization, NATO (Organizzazione del Trattato dell’A-
tlantico del Nord) è un’organizzazione internazionale per la collaborazione nella difesa.
Il trattato istitutivo della NATO, il Patto Atlantico, fu firmato a Washington nel
1949 ed entrò in vigore nello stesso anno.
Fanno parte della NATO 26 Paesi: Italia, Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Ger-
mania, Usa, Grecia, Islanda, Lussemburgo, Norvegia, Olanda, Polonia, Portogallo, Re-
292 Diritto internazionale

pubblica Ceca, Spagna, Regno Unito, Turchia, Ungheria, Bulgaria, Estonia, Lettonia,
Lituania, Romania, Slovenia e Slovacchia.
L’art. 5 del Trattato di Washington esprimeva la sua “ragione sociale” originaria
stabilendo che:
Le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o
nell’America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le
parti, e di conseguenza convengono che se un tale attacco si producesse, ciascuna di
esse, nell’esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, riconosciuto
dall’Art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti attacca-
Internazionale

te, intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti,


l’azione che giudicherà necessaria, compreso l’uso delle forze armate, per ristabilire e
mantenere la sicurezza nella regione dell’Atlantico settentrionale. Ogni attacco armato
di questo genere e tutte le misure prese in conseguenza di esso saranno immediatamente
portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza. Queste misure termineranno allorché
il Consiglio di Sicurezza avrà preso le misure necessarie per ristabilire e mantenere la
pace e la sicurezza internazionali.
Il Consiglio Atlantico è l’organo supremo cui compete la direzione politica dell’Al-
leanza. È formato dai ministri degli Esteri degli Stati membri e da rappresentanti
permanenti. Altri organi sono il Segretariato, con a capo il segretario generale cui spet-
ta di presiedere le sedute del Consiglio, il Comitato (Alto Comando) militare, costituito
dai capi di Stato Maggiore dei Paesi membri, vari Uffici tecnici, quali l’Ufficio milita-
re di standardizzazione, il Gruppo consultivo per la ricerca e lo sviluppo aerospaziali
(AGARD, con sede a Parigi), il Collegio di Difesa (una specie di Scuola di guerra, la cui
sede nel 1968 è stata trasferita da Parigi a Roma), gli Uffici relativi alle comunicazioni
(con sede a Bruxelles).

Unione europea
L’Unione europea (UE) è un partenariato economico e politico che coinvolge 28 paesi
membri.
L’origine ha da ascriversi alle tre istituzioni della CECA, EURATOM e CEE i cui
organi nel trattato di integrazione del 1965 vennero fusi tra loro, sino alla permanenza
attiva della sola CEE, poi denominata esclusivamente CE Comunità Europea. Con il
trattato di Maastricht, nel 1993, nasce l’Unione europea.
L’Unione europea si fonda sul principio dello stato di diritto, i suoi poteri si basano
infatti sui trattati europei, sottoscritti volontariamente e democraticamente dai Paesi
membri. I valori fondamentali dell’Unione Europea, sanciti nel 2009 dal Trattato di
Lisbona e nella CEDU, la Convenzione Europea dei diritti umani disposta nel Consi-
glio Europeo di Nizza, sono il rispetto della dignità umana, la libertà, la democrazia,
l’uguaglianza e lo stato di diritto.
Il mercato unico permette la libera circolazione di beni, servizi, capitali, persone e
rappresenta il principale motore economico dell’UE.

Le fonti del diritto dell’Unione europea


Le fonti del diritto dell’Unione europea sono di tre tipi:

1. Fonti primarie
Educazione Civica 293

2. Fonti derivate

3. Fonti complementari

Le fonti di diritto primario: Comprendono essenzialmente i trattati istitutivi, ovvero


il trattato sull’Unione europea e il trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
Tali trattati stabiliscono la ripartizione delle competenze tra l’Unione europea e gli
Stati membri e fondano il potere delle istituzioni europee. Definiscono inoltre il quadro
giuridico all’interno del quale le istituzioni dell’UE attuano le politiche europee.

Educazione Civica
Le fonti di diritto derivato: Sono composte dagli atti unilaterali e dagli atti conven-
zionali (gli accordi internazionali tra l’Unione europea e un Paese o un’organizzazione
terza, gli accordi tra Stati membri, gli accordi tra le istituzioni dell’UE).
Le fonti di diritto complementare: Oltre alla giurisprudenza della Corte di giustizia, le
fonti di diritto complementare comprendono il diritto internazionale e i principi generali
del diritto.

Trattati dell’UE
Un Trattato è un accordo vincolante tra i Paesi membri dell’UE. Esso definisce gli obiet-
tivi, le regole di funzionamento delle istituzioni europee, le procedure per l’adozione
delle decisioni e le relazioni tra l’UE e i suoi Paesi membri.
I Trattati sono approvati dai capi di Stato e/o di governo di tutti i paesi membri e
ratificati dai loro Parlamenti.
I Trattati principali sono:

Trattato di Lisbona (2009): Si pone come obiettivo quello di rendere l’UE una
comunità più democratica ed efficiente davanti ai problemi di portata mondiale.

Trattato di Nizza (2003): Firmato per riformare le istituzioni europee in seguito


all’allargamento a 25 paesi membri.

Trattato di Maastricht (1993): Intende preparare la creazione dell’Unione mone-


taria europea e gettare le basi per un’unione politica.

Trattati di Roma - trattati CEE e EURATOM (1958): Si pone l’obiettivo di isti-


tuire la Comunità economica europea (CEE) e la Comunità europea dell’energia
atomica (Euratom).

Istituzione e organi
I poteri e le responsabilità delle singole istituzioni sono sanciti dai Trattati che stabili-
scono le regole e le procedure che le istituzioni devono seguire.
Il Consiglio europeo riunisce i leader politici a livello nazionale ed europeo.
Stabilisce le priorità e definisce i programmi dell’Unione Europea.
Il Consiglio europeo stabilisce gli orientamenti politici generali ma non ha il potere
di approvare la legislazione.
È costituito dai capi di Stato o di governo dei Paesi membri e dal Presidente della
Commissione, ruolo attualmente ricoperto da Herman Van Rompuy.
Il potere legislativo è affidato a tre istituzioni:

Parlamento europeo
294 Diritto internazionale

Consiglio dell’Unione europea

Commissione europea

Queste tre istituzioni elaborano insieme le politiche e le leggi che regolano l’Unione
europea. In linea di principio la Commissione propone i nuovi atti legislativi che il
Parlamento europeo e il Consiglio devono adottare. La Commissione e i Paesi membri
applicano poi le norme e la Commissione si assicura che vengano applicate e fatte
rispettare correttamente.
Il Parlamento europeo, attraverso i deputati europei, rappresenta i cittadini dell’UE.
Internazionale

Il Parlamento europeo svolge tre funzioni principali:

discutere e approvare le normative europee congiuntamente al Consiglio.

controllare le altre istituzioni dell’UE.

discutere e adottare il bilancio dell’UE congiuntamente al Consiglio.

Il Consiglio dell’Unione europea rappresenta i governi dei singoli Stati membri.


Le sue funzioni sono

Approvare la legislazione.

Coordinare le politiche economiche dei Paesi membri.

Firmare accordi tra l’UE e gli altri Paesi.

Approvare il bilancio annuale.

Elaborare la politica estera e di difesa.

Coordinare la cooperazione fra i tribunali e le forze di polizia nazionali dei Paesi


membri.

Il Consiglio dell’Unione Europea non deve essere confuso con il Consiglio europeo, l’i-
stituzione che riunisce i capi di Stato e di governo e con il Consiglio d’Europa, che non
è un’istituzione dell’UE.
La Commissione europea rappresenta gli interessi dell’Europa nel suo complesso.
Prepara le proposte per le nuove normative europee e gestisce il lavoro quotidiano per
l’attuazione delle politiche UE e l’assegnazione dei fondi.
La Commissione è costituita da 28 Commissari, uno per ogni paese dell’UE. Al
vertice vi è il Presidente il quale attribuisce a ogni Commissario la responsabilità per
uno specifico settore. Le sue funzioni sono:

Proporre atti legislativi al Parlamento e al Consiglio.

Gestire il bilancio dell’UE e attribuire finanziamenti.

Vigilare sull’applicazione del diritto dell’UE.

Rappresentare l’Unione europea a livello internazionale.


Educazione Civica 295

Altre due istituzioni che svolgono ruolo fondamentale nell’Unione Europea sono:
La Corte di giustizia che si occupa di far rispettare il diritto europeo nei diversi
Paesi dell’UE e di giudicare le controversie tra i governi dei Paesi membri e le istituzioni
dell’UE.
La Corte dei conti che verifica le finanze dell’UE.
La Banca centrale europea (BCE, con sede a Francoforte, in Germania) è
responsabile per la politica monetaria europea. La Banca centrale europea gestisce
l’euro e garantisce la stabilità dei prezzi nell’UE.

Educazione Civica
L’Unione Europea è stat insignita del Premio Nobel per la pace 2012. Tr le mo-
tivazioni, il Comitato per il Premio Nobel ha evidenziato che uno dei più prestigiosi
riconoscimenti viene concesso all’UE in quanto “da oltre sessant’anni contribuisce a
promuovere pace, riconciliazione, democrazia e diritti umani in Europa”.

Il sito ufficiale dell’Unione europea: http://europa.eu/index it.htm

3.4 Glossario dei termini giuridici

Aliquota: Percentuale che si applica alla base Concorso di persone: Collaborazione,


imponibile ai fini del calcolo di un’imposta. cooperazione, accordo.
A.N.M.: Associazione Nazionale Magistrati. Concussione: Reato commesso da un pubbli-
Appalto: Contratto con cui una società assu- co ufficiale o da un incaricato di un pubblico
me il compimento di un’opera o di un servizio servizio che costringe o induce taluno a dare
in cambio di un corrispettivo in denaro. o a promettere denaro e vantaggi.

Associazione per delinquere: Unione di al- Custodia cautelare: Carcerazione preven-


meno tre persone finalizzata alla commissione tiva che precede la sentenza definitiva. Ha
di reati. lo scopo di salvaguardare l’inquinamento del-
le prove, l’eventuale fuga dell’accusato o la
C.C.: Codice civile. reiterazione del reato.
C.S.M.: Consiglio Superiore della Magistra- D.L.: Decreto legge.
tura.
D.M.: Decreto ministeriale.
C.P.: Codice Penale.
D.P.R.: Decreto del Presidente della Repub-
C.P.C.: Codice di Procedura Civile. blica.
C.P.P.: Codice di Procedura Penale. Deontologia: Insieme di regole scritte che re-
Calunnia: Reato commesso da chi espone de- golano il comportamento di ogni professioni-
nunzia, querela o istanza nei confronti di una sta.
persona che si sa innocente. Dibattimento: Parte centrale del proces-
Cancelleria: Segreteria del giudice. so nella quale si raccolgono le prove e le
testimonianze.
Cancelliere: Impiegato di cancelleria.
Capo di imputazione: Descrizione det- Diffamazione: Reato commesso da chi
tagliata di un fatto con l’indicazione degli offende la reputazione altrui.
articoli di legge violati. Emendamento: Modifica.
Comma: Periodo di un articolo di legge o Fideiussione: Garanzia di chi, impegnando-
di un codice che comincia dopo un punto e a si verso il creditore, permette l’esecuzione di
capo. un’obbligazione altrui.
296 Glossario dei termini giuridici

Flagranza: Condizione di chi viene colto sce la sola pena dell’ammenda ed estinzione
nell’atto di commettere un reato. del reato.
Foro: Tribunale. Onorario: Somma di denaro che il cliente
G.I.P.: Giudice per le indagini preliminari. deve pagare all’avvocato.

G.U.: Gazzetta Ufficiale. Ordinamento giuridico: Stato o insieme di


norme che regolano la vita dello Stato.
G.U.P.: Giudice per l’udienza preliminare.
Ordinanza: Provvedimento motivato del
Giudizio abbreviato: Tipo di processo pe- giudice contestualmente alla sentenza.
nale privo di dibattimento richiesto dall’im-
putato o dal suo avvocato. Tale processo pre- P.G.: Polizia Giudiziaria.
Glossario

vede, in caso di condanna, la riduzione di un P.M.: Pubblico Ministero.


terzo della pena.
Parcella: Richiesta di onorario.
Giudizio direttissimo: Processo specia-
le previsto per una persona arrestata in Parte civile: Persona che ha subito il reato e
flagranza di reato. decide di far parte del processo penale con lo
scopo di ottenere dall’imputato il risarcimento
Giudizio immediato: Tipo di processo pe- del danno.
nale che non prevede l’udienza preliminare ed
è richiesto esclusivamente nel caso in cui la Patteggiamento: Applicazione della pena
prova risulti evidente. su richiesta dell’imputato al pubblico mini-
stero di una sanzione sostitutiva o pecuniaria
Grazia: Decreto del Presidente della Repub- diminuita fino a un terzo.
blica che condona la pena inflitta o la permu-
ta con un’altra pena stabilita dalla legge. La Perizia: Accertamento richiesto dalle parti di
grazia si riferisce sempre ad una sola persona. un processo al giudice quando si richiedono
specifiche competenze tecniche, scientifiche o
Guardasigilli: Ministro di giustizia. artistiche.
Imputato: Persona sottoposta ad un proces- Persona informata dei fatti: Persona a co-
so penale. noscenza di fatti inerenti un reato chiama-
Incensurato: Persona che non ha mai subito ta a riferire, prima del processo, al Pubblico
una condanna penale. Ministero o alla polizia giudiziaria.
Indagato: Persona accusata di un reato, ma Persona offesa: Chi ha subito un reato.
cui non è ancora iniziato il processo. Persone giuridiche: Associazioni, fondazio-
Indulto: Decreto del Presidente della Repub- ni, comitati, società di capitali ed enti pub-
blica in seguito a legge di delegazione del Par- blici. Sono considerate come soggetti distin-
lamento. Differisce dall’amnistia, poiché con- ti dalle persone fisiche che le compongono e
dona, in tutto o in parte, la pena (non il rea- sono esse stesse soggetti di diritto, dotate di
to) inflitta, o la commuta in un’altra stabilita capacità giuridica e titolari di diritti e doveri.
dalla legge. Prescrizione: Indica la scadenza del tem-
Ingiuria: Reato commesso da chi offende po previsto dalla legge dopo la quale un
l’onore o il decoro di una persona. determinato disaccordo non può più essere
risolto.
Mandato: Documento scritto con cui una
persona indica l’avvocato dal quale desidera Preterintenzione: Oltre l’intenzione. Si ve-
essere difeso. rifica quando dall’azione deriva un evento più
grave di quello voluto.
Nomina: Atto scritto nel quale è specificato,
dall’indagato o dall’imputato, l’avvocato dal Procedura civile: Regole scritte che disci-
quale desidera essere assistito. plinano il processo civile.
Oblazione: Possibilità di pagamento nelle Procedura penale: Regole scritte che
contravvenzioni per le quali la legge stabili- disciplinano il processo penale.
Educazione Civica 297

Procuratore Generale: E’ il magistrato che Requisitoria: Discussione del Pubblico Mi-


svolge le funzioni di P.M. in Corte di Appel- nistero al termine del processo penale. Con-
lo, in Corte di Assise di Appello, in Corte di tiene l’illustrazione delle prove raccolte e le
Cassazione o al Tribunale di sorveglianza. richieste di assoluzione o di condanna.
Promulgazione: Firma del Presidente del- Rogatoria: Richiesta da parte di un’auto-
la Repubblica a qualsiasi norma scritta senza rità giudiziaria rivolta a un’altra autorità
la quale la norma stessa non può entrare in quando, nel corso di un processo pendente,
vigore. debbano eseguirsi atti processuali in un’altra
Pubblico Ministero: Ufficio che sostiene circoscrizione o all’estero.

Educazione Civica
l’accusa nel processo penale. S.C.: Suprema corte.
Querela: Descrizione dei fatti da cui emergo- Sentenza: Provvedimento finale del giudice
no gli estremi di reato. Per essere valida deve in un processo.
contenere un’esplicita richiesta di condanna.
Teste: Testimone.
Questioni preliminari: Le dichiarazioni che
precedono il dibattimento. Udienza: Insieme di processi.
Recidiva: Condizione di chi, dopo essere sta- Udienza preliminare: Prima udienza del
to condannato per un delitto non colposo, ne processo penale. Si svolge senza pubblico.
commette un altro. Usucapione: Situazione per cui si acquista la
Referto: Atto obbligatorio con cui un me- proprietà dei beni immobili e altri diritti dopo
dico o un operatore sanitario comunica alle un possesso continuato dei beni per vent’anni.
autorità competenti la propria assistenza o Vacatio legis: Periodo di tempo che inter-
opera. corre dall’approvazione di una legge alla sua
Reo: Colpevole. effettiva entrata in vigore.

3.5 Quesiti

1) Da quanti membri elettivi è composto il C Il Consiglio Superiore della Magistratu-


Senato della Repubblica Italiana? ra

A 315 D Il Consiglio Statale dei Ministri

B 630 E Il Centro Sindacale dei Metalmeccanici

C 200 4) Chi esercita le funzioni del Presidente


della Repubblica nel caso in cui egli non
D 90 possa transitoriamente adempierle?
E 1000 A Il Vicepresidente della Repubblica
2) Da chi viene nominato il Presidente del B Il Presidente del Senato
Consiglio?
C L’ex Presidente della Repubblica
A Dai segretari dei partiti di maggioranza
D Il presidente della Camera
B Dai cittadini E Il Primo Ministro
C Dal Presidente della Repubblica
5) L’articolo 32 della Costituzione italiana
D Dai sindaci delle diverse città prevede che la tutela della salute sia da
considerarsi:
E Dal presidente della Camera
A un diritto irrinunciabile della collettività
3) L’acronimo CSM identifica
B l’interesse prioritario dell’individuo
A Il Centro Sperimentale della Medicina
C fondamentale diritto dell’individuo e
B Il Consiglio Statale dei magistrati interesse della collettività
298 Risposte commentate ai quesiti

D il principale ammortizzatore sociale B Le forze armate che dipendono dalla UE


E nessuna delle risposte precedenti C Le forse armate dell’Esercito italiano
6) I decreti legge vengono deliberati da: D L’aeronautica italiana
Risposte commentate ai quesiti

A Il Presidente del Consiglio E I soldati di sesso maschile


B Il Presidente della Repubblica 8) Quale dei Paesi seguenti non ha aderito
C Il Governo all’Unione Europea?

D Il Parlamento A Belgio
E Nessuna delle risposte precedenti B Portogallo
7) Che cosa indica l’espressione “caschi C Ungheria
blu”?
D Malta
A Le forze armate che dipendono dall’O-
NU E Svizzera

3.6 Risposte commentate ai quesiti


1) La risposta corretta è la A . Il numero di elettori elettivi è pari a 315. Il distrattore
è rappresentato dalla risposta B , che indica infatti il numero dei deputati della
Camera.
2) La risposta corretta è la C . Il Presidente del Consiglio viene nominato dal Presidente
della Repubblica e, una volta ricevuta la nomina, il Presidente del Consiglio si
presenta alle Camere per ottenere la fiducia.

3) La risposta corretta è la C . Il CSM corrisponde al Consiglio Superiore della


Magistratura ed è presieduto dal Presidente della Repubblica.
4) La risposta corretta è la B . Il Presidente del Senato ha il compito, secondo espressa
disposizione della Costituzione, di esercitare le funzioni del Presidente della Repub-
blica nel caso in cui questi ne sia temporaneamente impossibilitato. La risposta A
rappresenta un’assurdità dal momento che non esiste tale carica.

5) La risposta esatta è la C . La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto


dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per
disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal
rispetto della persona umana.

6) La risposta corretta è la C . Il decreto legge è un atto deliberato dal Governo


direttamente sotto la propria responsabilità senza aver ottenuto una delega dal
Parlamento in casi di straordinaria necessità o urgenza.

7) La risposta corretta è la A . I caschi blu sono le forze armate che dipendono dall’ONU
e intervengono per sedare i focolai di guerra secondo principi di imparzialità e con
il consenso delle parti in causa belligeranti.

8) La risposta corretta è la E . Nonostante numerosi accordi bilaterali leghino l’Unione


Europea e la Svizzera, quest’ultima non ha aderito all’Unione.
Geografia
4
I quesiti di geografia generalmente sono di natura nozionistica. Le domande spesso
fanno riferimento ad aspetti della geografia fisica come laghi, monti e fiumi, oppure alla
collocazione degli Stati e delle loro città. Nelle pagine che seguono vengono affrontati i
temi principali secondo una suddivisione per continenti. Per ciascuna area sono messe
in risalto le peculiarità e le caratteristiche fondamentali come le vette più alte, i fiumi
più lunghi. . .
Un suggerimento per lo studio è quello di osservare con attenzione le cartine, la memoria
fotografica infatti permette di fissare meglio le informazioni nozionistiche.
Un altro metodo è quello di approfondire le notizie apprese durante le vacanze, proprie o di
conoscenti. Se un amico, per esempio, ci racconta di aver visitato la Grecia e descrive le sue
tappe, sarà più facile memorizzare e focalizzare le informazioni perché legate a un’esperienza
in qualche modo diretta.
La lettura di riviste di viaggio inoltre è un ottimo modo per apprendere informazioni geografiche
in modo piacevole e spontaneo.
www.nationalgeographic.it/

Sito che presenta una serie di cartine mute. http://d-maps.com/index.php?lang=it

Allenatevi a collocare gli Stati, le città, i fiumi. . .

Sito di approfondimento sulla geografia con schede sui vari continenti e i singoli Stati.
www.geografiaonline.it/

4.1 La Terra
Il termine Terra deriva dal latino terra, col significato di secco, arido.
La Terra è il più grande pianeta terrestre del sistema solare. Un pianeta terrestre
è un pianeta composto per lo più da roccia e metalli. I pianeti terrestri sono 4:

Mercurio

Venere

Terra

Marte
300 La Terra

Caratteristiche fisiche della Terra


Raggio terrestre equatoriale 6.378,38 km
Circonferenza equatoriale 40.076,51 km
Volume 1.083.319.780.000 km3
Superficie totale 510.000.000 km2
Superficie terre emerse 149.450.000 km2
Superficie oceani e mari 360.650.000 km2
Superficie ghiacciata 15.300.000 km2 i
Distanza Terra - Sole 149.509.000 km
Distanza Terra - Luna 384.365 kKm
La Terra

4.1.1 Grandezze geografiche

I monti più alti della Terra


Monte Altezza m Stato
Everest 8.848 Nepal - Tibet
K2 8.816 Pakistan - Cina
Kanchenjunga 8.586 India - Nepal
Lhotse 8.516 Nepal - Tibet
Makalu 8.463 Nepal - Tibet
Cho Oyu 8.201 Nepal - Tibet

I maggiori altipiani della Terra


Altopiano Altitudine m Superficie km2 Stato
Tibet 5.000 1.200.000 Tibet
Pamir 4.000 100.000 Cina
Altiplano 4.000 350.000 Bolivia
Puria 3.000 400.000 Cile-Bolivia-Argentina
Altopiano etiopico 2.000 350.000 Etiopia

Le pianure più estese della Terra


Pianura Superficie km2 Stato
Bassopiano siberiano 2.250.000 Russia
Pianura amazzonica 1.400.000 Brasile
Gran Chaco-Pampas 1.250.000 Argentina - Paraguay
Grandi Pianure 1.025.000 USA
Bassopiano turanico 850.000 Kazakistan
Bassopiano sarmatico 750.000 Russia
Pianura del Gange 600.000 India
Bassopiano germanico 270.000 Germania - Polonia
Bassopiano francese 140.000 Francia
Pianura Padana 46.000 Italia
Geografia 301

Le penisole più grandi della Terra

Penisola Superficie km2 Collocazione


Arabia 3.250.000 Mar Rosso – Mar Arabico
Deccan 2.088.000 Oceano Indiano
Alaska 1.518.000 Oceano Pacifico – Mar Glaciale Artico
Labrador 1.500.000 Oceano Atlantico
Scandinavia 770.000 Mar Baltico
Penisola Iberica 590.000 Oceano Atlantico – Mar Mediterraneo
Asia Minore 510.000 Mar Nero – Mar Mediterraneo
Penisola Balcanica 470.000 Mar Mediterraneo

Geografia
I mari più estesi della Terra

Mare Superficie km2 Profondità m


Oceano Pacifico 179.680.000 4.040
Oceano Atlantico 106.463.000 3.330
Oceano Indiano 79.920.000 3.900
Mar Glaciale Artico 14.090.000 1.205
Mar Cinese meridionale 3.447.000 1.900
Mar Mediterraneo 2.966.000 1.430
Mare di Bering 2.261.060 1.491
Mare dei Caraibi 1.870.000 2.200
Golfo del Messico 1.560.000 1.440

I fiumi più lunghi della Terra

Fiume Lunghezza km Foce


Nilo 6.671 Mar Mediterraneo
Rio delle Amazzoni 6.280 Oceano Atlantico
Fiume Azzurro 5.800 Mar Cinese Orientale
Ob - Irttys 5.410 Golfo di Ob
Fiume Giallo 4.845 Mar Giallo
Paranà 4.700 Oceano Atlantico
Mekonk 4.500 Mar Cinese Orientale
Mississipi 3.780 Golfo del Messico

I laghi più estesi della Terra


Lago Superficie km2 Continente
Mar Caspio 317.000 Asia - Europa
Lago Superiore 84.131 America del Nord
Lago Vittoria 68.800 Africa
Aral 66.500 Asia
Huron 61.797 America del Nord
Michigan 57.850 America del Nord
302 America del Nord, Centro America e Caraibi

4.2 America del Nord, Centro America e Caraibi


Superficie: 24.709.036 km2
Abitanti: 523.736.302
Densità: 20 ab/km2

L’America del Nord è composta da tre


grandi Stati: Canada, Usa e Messico,
cui si aggiungono le Nazioni del Centro
America e le isole dei Caraibi. Fa parte
Nord America

del continente anche la Groenlandia,


l’isola più estesa del Globo (2.166.086
Km2 ). La Groenlandia, dal punto di
vista politico, è una contea autonoma
della Danimarca.
Clima: L’America presenta una gran-
de varietà climatica. Generalmente Figura 4.1: Lago Powell e Glen Canyon in Arizona,
si possono distinguere 5 macro aree USA.
climatiche:
1. La Groenlandia, due terzi settentrionali del Canada e dell’Alaska hanno un clima
subartico e artico. Gran parte della regione, che riceve relativamente scarse
precipitazioni, è coperta da neve e ghiaccio per quasi tutto l’anno.
2. Una seconda regione climatica è formata dai due terzi orientali degli Stati Uniti
e dal Canada meridionale. È caratterizzata da un clima che risente degli influssi
continentali, ma in cui tutte e quattro le stagioni sono ben riconoscibili e il
tempo è molto variabile.
3. Una terza regione comprende la zona interna occidentale degli Stati Uniti e gran
parte del Messico settentrionale. Si tratta di un’area montuosa, tendenzialmente
arida a causa dello sbarramento esercitato dalle Montagne Rocciose.
4. La quarta area climatica è costituita da una stretta zona lungo l’oceano Pacifico
che va dall’Alaska meridionale alla California meridionale. Qui gli inverni sono
relativamente miti ma umidi e le estati quasi prive di pioggia: per certi aspetti è
un clima che si avvicina a quello mediterraneo.
5. Il Messico meridionale, il Centro America e le Isole caraibiche presentano per-
lopiù un clima tropicale, con temperature elevate per tutto l’anno e notevoli
precipitazioni, soprattutto in estate.
Fiumi: I fiumi più importanti dell’America Settentrionale sono il Mississippi, di una
lunghezza complessiva di circa 3.780 km. Uno dei suoi affluenti, il Missouri, è più
lungo nel Nord America. La lunghezza totale di questi due fiumi supera i 6.800 km.
Un altro corso d’acqua importante è il San Lorenzo, lungo circa 1.200 km. La prima
parte del suo corso delimita la frontiera fra Canada e Stati Uniti e termina in un ampio
estuario nell’Oceano Atlantico.
Laghi: I Grandi Laghi dell’America settentrionale sono un complesso di cinque laghi
d’acqua dolce fra i più grandi al mondo. Costituiscono una sorta di mare interno fra gli
Geografia 303

Stati Uniti e il Canada. I Grandi Laghi sono: il Michigan (57.850 km2 ), il Superiore
(82.414 km2 ), l’Erie (25.744 km2 ), l’Ontario (19529 km2 ) e l’Huron (59.600 km2 ).
Catene montuose: Le Montagne Rocciose sono tra le catene montuose più vaste della
Terra. Si snodano su una lunghezza che supera i 4.800 km, dal nord della Columbia
Britannica, in Canada, al Nuovo Messico, negli Stati Uniti. La vetta più alta è il Monte
Elbert, in Colorado, che tocca i 4.401 m s.l.m.
Popolazione: Gli Stati Uniti, con più di 313.000.000 di abitanti, sono il terzo Paese al
mondo per popolazione, dopo Cina ed India.
La zona più popolata è quella nordorientale, di antica urbanizzazione.

Geografia
Il 79,6% della popolazione è bianca, il 12,9% nera o afroamericana, il 4,6% asiatica,
e l’1% di origine amerindia.
La presenza di immigrati e di loro discendenti diretti è molto consistente nella parte
sud occidentale del Paese: oltre 37.000.000 cittadini sono nati all’estero e circa la metà
sono stati naturalizzati cittadini statunitensi.
Il 6% della popolazione è di origine italiana. La maggior parte dell’immigrazione
italiana risale alla prima metà del Novecento.
Le lingue più diffuse sono l’inglese, lo spagnolo, e il francese.
Religione: Il Cristianesimo è la regione principale, corrisponde all’81% della popo-
lazione. È presente in tutte le sue grandi derivazioni: protestanti (51,4%), cattolici
(23,9%), mormoni (1,4%), testimoni di Geova (0,7%) e ortodossi (0,3%).
Inoltre è presente una radicata comunità ebraica (1,4%) e, specialmente nello Stato
di New York, vi sono presenze islamiche (0,6%), buddiste (0,5%) e induiste (0,4%).
Economia: L’economia dell’America del Nord si identifica principalmente con quella
degli Stati Uniti.
Nonostante l’importante concentrazione industriale e terziaria la solidità economi-
ca dell’America Settentrionale rimane legata alla grande disponibilità e ricchezza degli
spazi destinati alle attività primarie di cui l’agricoltura rappresenta una base fon-
damentale. La parte meridionale, con l’ampia fascia subtropicale del Cotton Belt,
rappresenta una delle maggiori aree cotoniere del mondo.
Più a nord si estende il Corn Belt, la grande area del mais, dove si concentra poco
meno della metà della produzione mondiale di granoturco, destinato soprattutto agli
allevamenti di bestiame e all’esportazione.
Nel suo complesso l’agricoltura, attraverso l’impiego di ingenti capitali e di alta
tecnologia, si è molto modernizzata assumendo le caratteristiche di un’imprenditoria
molto complessa. Questo processo di radicale trasformazione è stato accompagnato da
una profonda modifica delle basi sociali e culturali della popolazione agricola e da una
crescente concentrazione delle unità produttive.
Accanto alle risorse agricole si pongono quelle forestali che alimentano, soprattutto
nel Canada, importanti industrie del legno e della carta. Un’altra rilevante attività
industriale è rappresentata dalla pesca.
Le risorse del sottosuolo sono state sottoposte a un intenso sfruttamento ma il
patrimonio minerario, costituito soprattutto da carbone, petrolio, ferro, rame, zinco,
nichel, rimane ricchissimo.
Dal punto di vista industriale il Nord America rappresenta una delle aree più svi-
luppate del mondo, detenendo il primato in vari settori. Da segnalate gli ambiti a
304 America del Nord, Centro America e Caraibi

elevata tecnologia, il cui sviluppo è stato favorito dai programmi spaziali e militari.
Particolarmente sviluppate inoltre sono l’industria aeronautica e automobilistica.

Città più popolose dell’America del Nord

Città Popolazione Densità Stato


Città del Messico 8.658.576 5.800 Messico
New York City 8.175.133 10.427 New York
Los Angeles 3.834.340 7.876 California
Nord America

Gli Stati dell’America del Nord e Centrale


Paese o Superficie Popolazione Densità Capitale
Territorio (km2 ) (luglio 2007) (per km2 )
Anguilla (Gran Bretagna) 102 13.677 134,1 The Valley
Antigua e Barbuda 443 69481 157,0 Saint John’s
Aruba (Paesi Bassi) 193 100.018 518,2 Oranjestad
Bahamas 13940 305.655 21,9 Nassau
Barbados 431 280.946 651,8 Bridgetown
Belize 22.966 294.385 12,8 Belmopan
Bermuda (Gran Bretagna) 53 66.163 1241,3 Hamilton
Isole Vergini britanniche 153 23.552 153,9 Road Town
(Gran Bretagna)
Canada 9.984.670 33.390.141 3,3 Ottawa
Isole Cayman (Gran Bretagna) 262 46.600 177,9 George Town
Clipperton (Francia) 9 0 0,0 —
Costa Rica 51.100 4.133.884 80,9 San José
Cuba 110.860 11.394.043 102,8 L’Avana
Dominica 754 72.386 96,0 Roseau
Repubblica Dominicana 48.730 9.365.818 192,2 Santo Domingo
El Salvador 21.040 6.948.073 330,2 San Salvador
Groenlandia (Danimarca) 2.166.086 56.344 0,026 Nuuk
Grenada 344 89.971 261,5 St. George’s
Guadalupa (Francia) 1.628 400.736 246,1 Basse-Terre
Guatemala 108.890 12.728.111 116,9 Città del Guate-
mala
Haiti 27.750 8.706.497 313,7 Port-au-Prince
Honduras 112.090 7.483.763 66,8 Tegucigalpa
Giamaica 10.991 2.780.132 252,9 Kingston
Martinica (Francia) 1.100 436.131 396,5 Fort-de-France
Messico 1.972.550 108.700.891 55,1 Città del Messico
Montserrat (Gran Bretagna) 102 9.538 93,5 Plymouth; Brades
Navassa (Stati Uniti) 5 0 0,0 —
Antille Olandesi (Paesi Bassi) 960 223.652 233,0 Willemstad
Nicaragua 129.494 5.675.356 43,8 Managua
Panamá 78.200 3.242.173 41,5 Panamá
Porto Rico (USA) 8.870 3.944.259 444,7 San Juan
Saint Barthélemy (Francia) 21 6.852 326,3 Gustavia
Saint Kitts e Nevis 261 39.349 150,8 Basseterre
Santa Lucia 616 170.649 277,0 Castries
Saint-Martin (Francia) 54 33.102 608,5 Marigot
Saint-Pierre e Miquelon (Francia) 242 7.036 29,1 Saint-Pierre
Saint Vincent e Grenadine 389 118.149 303,7 Kingstown
Trinidad e Tobago 5.128 1.056.608 206,0 Port of Spain
Turks e Caicos (Gran Bretagna) 430 21.746 50,6 Cockburn Town
Stati Uniti 9.826.630 301.139.947 30,6 Washington
Isole Vergini americane (USA) 346 108.448 313,4 Charlotte Amalie
Geografia 305

4.3 Americhe del Sud


Superficie: 17.824.513 km2
Abitanti: 397.426.313
Densità: 25 ab/km
Quasi metà della superficie dell’America del
Sud è costituita dal Brasile, cui segue l’Ar-
gentina. L’altitudine media del continente è
di 590 m, ma praticamente l’intera parte oc-
cidentale dell’area è attraversata dalla catena
montuosa delle Ande.

Geografia
Le coste sono per lo più uniformi, con po-
che isole e insenature, ad eccezione dell’estre-
ma parte meridionale.
Nell’America del Sud si trovano:
Le più alte cascate del mondo, il Salto
Angel in Venezuela, di 979 m. Figura 4.2: Antico villaggio Incas. Machu
Il deserto più secco del globo, il deserto Picchu, Cusco, Perù.
di Atacama, situato nel Cile settentrionale.
La più vasta foresta pluviale, l’Amazzonia. L’area conosciuta dell’Amazzonia su-
pera i 7.000.000 di km2 , anche se la zona boschiva ne occupa circa 5,5 milioni. La foresta
è situata per circa il 65 % del territorio in Brasile, ma si estende anche in Colombia,
Perù, Venezuela, Ecuador, Bolivia, Guyana, Suriname e Guyana Francese.
La Paz, in Bolivia, è la più alta capitale del mondo, si trova ad un’altitudine media
di circa 3.600 m sul livello del mare.
Clima: Il clima varia da tropicale, equatoriale e temperato nel Sud e nei Paesi Andini,
fino agli influssi polari della Terra del Fuoco.
Fiumi: Il Rio delle Amazzoni scorre attraverso il Perú, la Colombia (per un breve
tratto), il Brasile e sfocia nell’oceano Atlantico. È il fiume con il bacino idrografico più
ampio della Terra (6.150.000 km), ed è lungo 6.280 km.
Laghi: Non vi sono grandi laghi, ma il Lago Titicaca, di 8.330 km2 , situato tra Bolivia
e Perù, è il lago navigabile posto alla maggiore altitudine (3.812 m sopra il livello del
mare) e presenta una profondità massima di 281 m.
Catene montuose: Le Ande rappresentano la catena montuosa più lunga del mondo,
la cui cima più elevata è l’Aconcagua a 6.959 m sul livello del mare.
Popolazione: La parte più consistente della popolazione sudamericana si è andata co-
stituendo durante il periodo della colonizzazione e successivamente all’indipendenza
attraverso una serie di migrazioni dalla penisola Iberica e dall’Africa. La popolazione
autoctona, infatti, è stata decimata durante le guerre di conquista.
Attualmente circa il 50% della popolazione vive in Brasile, mentre oltre un quinto
risiede in Colombia, Venezuela ed Ecuador.
In crescita è il fenomeno dell’urbanizzazione. La migrazione dalle aree periferiche
verso le città determina una crescita della popolazione urbana superiore al 4% annuo.
Tale fenomeno ha generato il problematico fenomeno della distribuzione della popola-
zione, dal momento che le città sono circondate da vasti quartieri decisamente poveri
e sottosviluppati detti favelas, barrios o villas miserias.
306 Americhe del Sud

Religione: La religione maggiormente diffusa in America Latina è quella cattolica,


evidente eredità della migrazione ispanica.
Economia: A partire dal 2004 l’economia sudamericana è stata caratterizzata da una
forte crescita del PIL e della competitività. Il rapido sviluppo ha contribuito all’accen-
tuazione delle differenze regionali e della disparità nella distribuzione del reddito. Nella
maggior parte delle nazioni del Sud America infatti il divario economico tra ricchi e
poveri è consistente. In Venezuela, Paraguay, Bolivia e molti altri paesi sudamericani,
il 20% della popolazione più ricca detiene più del 60% della ricchezza nazionale, mentre
il 20% della popolazione più povera ne possiede meno del 5%. Rispetto a questa si-
Sud America

tuazione si differenziano il Cile, l’Argentina e l’Uruguay che vengono considerati paesi


sviluppati con bassi tassi di povertà e reddito medio-alto. Il Brasile d’altro canto viene
annoverato nel BRIC: il gruppo delle quattro più grandi e promettenti economie in
via di sviluppo a livello mondiale (insieme a Russia, India e Cina).
Le principali fonti dell’economia sudamericana sono le estrazioni minerarie della
regione amazzonica e l’agricoltura presente in quasi tutti i paesi.
L’estrazione e l’esportazione di petrolio è consistente in Venezuela, Argentina e
nell’Oceano Atlantico. La Bolivia si distingue per la produzione di gas naturale.
Per quanto riguarda l’agricoltura hanno importanza la coltura del cacao, prodotto
soprattutto in Brasile orientale e nell’Ecuador centroccidentale, le banane e la canna
da zucchero.
Le regioni più ricche e industrializzate sono lo Stato di San Paolo in Brasile e
l’Argentina.

Città più popolose del Sud America


Città popolazione densità Stato

San Paolo 11.115.244 7.389 Brasile


Rio de Janeiro 6.320.446 4.999 Brasile
Buenos Aires 2.891.082 14.312 Argentina

Stati dell’America del Sud


Paese o Territorio Superficie Popolazione Densità Capitale
(km2 ) (luglio 2007) (per km2 )
Argentina 2.766.890 40.677.348 14,3 Buenos Aires
Bolivia 1.098.580 9.247.816 8,1 Sucre
Brasile 8.514.877 200.908.598 23,6 Brasilia
Cile 756.950 16.800.000 21,1 Santiago
Colombia 1.138.910 45.013.674 37,7 Bogotá
Ecuador 283.560 13.927.650 47,1 Quito
Isole Falkland (Regno Unito) 12.173 2.967 0,24 Port Stanley
Georgia del Sud e isole Sandwich 3.093 20 0,0 Grytviken
meridionali (Regno Unito)
Guiana Francese (Francia) 91.000 209.000 2,1 Cayenne
Guyana 214.970 770.794 3,6 Georgetown
Paraguay 406.750 6.347.884 15,6 Asunción
Perù 1.285.220 27.925.628 21,7 Lima
Suriname 163.270 438.144 2,7 Paramaribo
Uruguay 176.220 3.477.778 19,4 Montevideo
Venezuela 912.050 26.414.815 27,8 Caracas
Geografia 307

4.4 Africa
Superficie: 30.221,532 km2
Abitanti: 1.032.532,974
Densità: 30.51 ab/km2

L’Africa è caratterizzata da una grande


varietà di ambienti ed ecosistemi.
L’estrema parte nord-ovest del continen-
te (la zona settentrionale di Algeria, Tuni-
sia e Marocco) presenta ambienti tipicamente

Geografia
mediterranei, per il resto è occupata dal de-
serto del Sahara, il più vasto deserto della
Terra, con una superficie di 9.000.000 Km2 .
A sud del Sahara l’ambiente predominan-
te è la savana. Nella zona equatoriale vi sono
le grandi foreste tropicali. Altre aree deserti- Figura 4.3: Masai mara, Kenya.
che si trovano nella zona del Corno d’Africa e nella zona sud-ovest del continente, dove
si trova il grande deserto del Kalahari.
Un’estesa foresta pluviale occupa anche la parte orientale del Madagascar, per il
resto ricoperto da savane. Nell’altopiano Etiopico si trovano paesaggi tipicamente di
alta montagna.
L’unica isola di grandi dimensioni è il Madagascar, la quarta più grande del
mondo. Presso la costa della Tanzania si trova l’isola di Zanzibar.
Lo stato più grande del continente è l’Algeria mentre quello più piccolo sono le
Seychelles, un arcipelago al largo della costa orientale.
Clima: Il clima è generalmente caldo, anche se con importanti variazioni a seconda
delle zone. Le aree più settentrionali e meridionali del continente sono caratterizzate
da un clima mediterraneo. Il resto del nord Africa presenta un clima desertico, mentre
avvicinandosi all’equatore si fa tropicale. Sull’altopiano Etiopico e sulle vette più alte,
come il Kilimangiaro e il Ruwenzori, il clima è caratteristico dell’alta montagna.
Fiumi: Il principale fiume africano è il Nilo (6.671 km).
Vi sono poi estese zone areiche, prive di corsi d’acqua, e regioni endoreiche,
con fiumi che si perdono nel deserto o sfociano in laghi chiusi. Nella zona centrale del
continente si trovano corsi d’acqua che confluiscono nel mare, come il fiume Niger
(4.160 km) che sfocia con un grande delta nel golfo di Guinea e il fiume Congo,
(4.200 km) con sbocco nell’Oceano Atlantico. Da questo fiume deriva il nome di due
repubbliche che si affacciano sulle sue rive, la Repubblica del Congo e la Repubblica
Democratica del Congo.
Laghi: I Grandi Laghi africani si trovano nella parte meridionale della Rift Valley.
Complessivamente sono 7: il Lago Tanganica, il Lago Vittoria, che con i suoi 68.800
km2 di superficie è il più grande lago del continente e il lago tropicale più grande del
mondo, il Lago Alberto, il Lago Eduardo, il Lago Kivu e il Lago Malawi. Con il termine
Grandi Laghi si indica anche la regione in cui essi si trovano. Questa regione comprende
gli stati di Ruanda, Burundi, Uganda, Congo Kinshasa, Tanzania e Kenya.
Catene montuose: Le altitudini maggiori si trovano in prossimità della Rift Valley. Il
Kilimangiaro (5.895 m) si trova in Tanzania e con i suoi tre vulcani Kibo, Mawenzi
308 Africa

e Shira, è uno dei vulcani più alti del mondo. Il Kirinyaga (5.199 m) è situato nello
stato omonimo ed anch’esso è un vulcano spento.
Popolazione: Gran parte della popolazione africana vive nei villaggi o in piccoli centri,
l’urbanesimo tuttavia è in fase di sviluppo. Il villaggio rappresenta l’imprescindibile
elemento della geografia del continente. In esso si esprime tutta la civiltà africana nelle
sue motivazioni sociali, economiche e religiose.
Tra i popoli allevatori, gran parte dei quali praticano il nomadismo, l’abitazione è
mobile o provvisoria. Diversamente il tipico villaggio prevede che ogni gruppo familia-
re disponga di una o più capanne distribuite secondo un’organizzazione comunitaria
secondo uno schema circolare che forma un’unità compatta.
Con i contatti tra il mondo africano e islamico e quello europeo si assiste alla nascita
Africa

dell’urbanesimo. La sua origine dunque è in pura funzione commerciale. Con l’imporsi


delle potenze europee si assiste alla fioritura di nuovi centri sulle coste occidentali, che
ripetono l’architettura europea, soprattutto portoghese, inglese e francese.
L’intensificarsi delle attività commerciali e lo sfruttamento coloniale porta alla for-
mazione di città europee nelle quali inevitabilmente si fonde lo stile di vita tipica-
mente africano caratterizzato dalle capanne. La bidonville è una tipica espressione
dell’urbanesimo africano.
Le città sudafricane hanno invece un volto decisamente razionale, moderno e ame-
ricaneggiante.
Religione: La mappatura religiosa è molto complessa. Nell’Africa subsahariana e, in ge-
nerale, nei villaggi, sono molto presenti i culti e le tradizioni animiste. Il Nord Africa
e la parte orientale del continente hanno invece subito una forte influenza coloniale da
parte delle popolazioni arabe ed europee. Le due religioni maggiormente praticate sono
dunque l’islamismo e il cristianesimo.
Economia: La situazione economica africana è molto complessa: 25 nazioni, sulle 54
che compongono il continente, sono tra le più povere al mondo. In generale, se in molti
Paesi la popolazione vive in una condizione al di sotto della soglia di povertà, alcuni
stati del Nord e del Sud Africa vivono un’economia in forte sviluppo.
L’agricoltura impiega circa il 60% dei lavoratori. Spesso si tratta di piccole realtà
familiari alle quali si affiancano strutture latifondiste impegnate nella produzione di
cotone, caffè, cacao e gomma, prodotti destinati soprattutto all’esportazione.
L’attività col maggiore ritorno finanziario è il settore minerario. In molti paesi
dell’Africa Occidentale e Australe si trovano grandi quantità di oro, diamanti e rame.
Lungo la fascia saheliana, le coste occidentali, in Nigeria, Kenya e lungo la Rift Valley
si trovano importanti giacimenti di petrolio.

Città più popolose dell’Africa

Città popolazione densità Stato

Lagos 11.128.451 11.878 Nigeria


Kinshasa 8.754.000 4.342 Congo
Casablanca 7.162.864 22.176 Marocco
Geografia 309

Stati dell’Africa
Paese o Territorio Superficie Popolazione Densità Capitale
(km2 ) (luglio 2007) (per km2 )
Africa Orientale
Burundi 27.830 8.988.091 322,9 Bujumbura
Comoros 2.170 752.438 346,7 Moroni
Eritrea 121.320 5.647.168 46,5 Asmara
Etiopia 1.127.127 85.237.338 75,6 Addis Abeba
Gibuti 23.000 516.055 22,4 Gibuti
Kenya 582.650 39.002.772 66,0 Nairobi
Madagascar 587.040 20.653.556 35,1 Antananarivo
Malawi 118.480 14.268.711 120,4 Lilongwe
Mauritius 2.040 1.284.264 629,5 Port Louis

Geografia
Mayotte (Francia) 374 223.765 489,7 Mamoudzou
Mozambico 801.590 21.669.278 27,0 Maputo
Réunion (Francia) 2.512 743.981 296,2 Saint-Denis
Ruanda 26.338 10.473.282 397,6 Kigali
Seychelles 455 87.476 192,2 Victoria
Somalia 637.657 9.832.017 15,4 Mogadiscio
Tanzania 945.087 41.048.532 43,3 Dodoma
Uganda 236.040 32.369.558 137,1 Kampala
Zambia 752.614 11.862.740 15,7 Lusaka
Africa Centrale
Angola 1.246.700 12.799.293 10,3 Luanda
Camerun 475.440 18.879.301 39,7 Yaoundé
Ciad 1.284.000 10.329.208 8,0 N’Djamena
Repubblica Centrafricana 622.984 4.511.488 7,2 Bangui
Repubblica del Congo 342.000 4.012.809 11,7 Brazzaville
Repubblica Democratica 2.345.410 68.692.542 29,2 Kinshasa
del Congo
Guinea Equatoriale 28.051 633.441 22,6 Malabo
Gabon 267.667 1.514.993 5,6 Libreville
San Tomè 1.001 212.679 212,4 S ao Tomé
Africa del Nord
Algeria 2.381.740 34.178.188 14,3 Algeri

Isole Canarie (Spagna) 7.492 2.118.519 226,2 Las Palmas de


Gran Canaria.
Santa Cruz de
Tenerife
Ceuta 20 71.505 3.575.2 —
Egitto 1.001.450 83.082.869 82,9 Il Cairo
Libia 1.759.540 6.310.434 3,6 Tripoli
Madeira 797 245.000 307,4 Funchal
Marocco 446.550 34.859.364 78,0 Rabat
Melilla 12 66.411 5.534.2 —
Sudan del Sud 619.745[97] 8.260.490 13,3 Juba
Sudan 1.861.484 36.787.012 19,7 Khartoum
Tunisia 163.610 10.486.339 64,1 Tunisi
Repubblica Araba Saharawi De- 266.000 405.210 1,5 El Aaiún
mocratica
Africa Meridionale
Botswana 600.370 1.990.876 3,3 Gaborone
Lesotho 30.355 2.130.819 70,2 Maseru
Zimbabwe 390.580 11.392.629 29,1 Harare
Namibia 825.418 2.108.665 2,6 Windhoek
Sud Africa 1.219.912 49.052.489 40,2 Bloemfontein,
Città del
Capo, Pretoria
Swaziland 17.363 1.123.913 64,7 Mbabane
310 Asia

Paese o Territorio Superficie Popolazione Densità Capitale


(km2 ) (luglio 2007) (per km2 )
Africa Occidentale
Benin 112.620 8.791.832 78,0 Porto-Novo
Burkina Faso 274.200 15.746.232 57,4 Ouagadougou
Capo Verde 4.033 429.474 107,3 Praia
Costa d’Avorio 322.460 20.617.068 63,9 Abidjan.[105]
Yamoussoukro
Gambia 11.300 1.782.893 157,7 Banjul
Ghana 239.460 23.832.495 99,5 Accra
Guinea 245.857 10.057.975 40,9 Conakry
Guinea-Bissau 36.120 1.533.964 42,5 Bissau
Liberia 111.370 3.441.790 30,9 Monrovia
Mali 1.240.000 12.666.987 10,2 Bamako
Mauritania 1.030.700 3.129.486 3,0 Nouakchott
Niger 1.267.000 15.306.252 12,1 Niamey
Asia

Nigeria 923.768 158.259.000 161,5 Abuja


Sant’Elena (UK) 410 7.637 14,4 Jamestown
Senegal 196.190 13.711.597 69,9 Dakar
Sierra Leone 71.740 6.440.053 89,9 Freetown
Togo 56.785 6.019.877 106,0 Lomé

4.5 Asia
Superficie: 44.614.000 km2 43 810 582 km2
Abitanti: 4.054.921.714
Densità: 93 ab/Km2

L’Asia è il continente più vasto della Terra


e presenta al suo interno profondi contrasti
fisici.
Geograficamente può essere diviso in tre
grandi regioni.
La regione settentrionale: pianeggiante,
costituita dal bassopiano turanico-siberiano
e dal tavolato siberiano.
La regione centrale: con enormi sistemi
montuosi e altipiani che si annodano nel
Pamir, il tetto del mondo. Figura 4.4: Coltivazione a terrazza di riso in
La regione meridionale: che presenta tre Longsheng, Guangxi, Cina.
grandi penisole: l’Arabia, l’India e l’Indocina. A quest’ultima seguono come prolunga-
mento naturale le isole dell’Indonesia. Più a est, nell’Oceano Pacifico, vi sono grandi
festoni di isole come le Curi, il Giappone e le Filippine.
Clima: I contrasti climatici sono molto forti, l’Asia infatti si espande in tutte tre le zone
astronomiche dell’emisfero boreale: la glaciale, la temperata e la torrida. In Siberia si
registrano temperature sino a -70 ◦ C , mentre nel deserto di Lut, in Iran, si toccano i
+54 ◦ C.
Fiumi: Nel continente si trovano fiumi molto importanti che si possono distinguere in
quattro gruppi.

1. Il primo gruppo (tra cui i corsi d’acqua Ob, Jenisej e Lena) è formato da fiumi
che sfociano nel mar Glaciale Artico, gelati per molti mesi dell’anno.
Geografia 311

2. Il secondo è gruppo è costituito dal Fiume Giallo (4.845 Km) e il Fiume


Azzurro (5.800 Km) che sfociano nell’oceano Pacifico dopo avere attraversato
le pianure cinesi.

3. Il terzo gruppo è formato da quei fiumi che si gettano nell’Oceano Indiano e che
provengono dalle grandi catene montuose centrali. I più importanti sono l’Indo
(3.180 Km), il Gange, il Tigri (1.900 Km) e l’Eufrate (2.760 Km)

4. Il quarto gruppo è costituito dai corsi d’acqua che, a causa della conformazione
del terreno o della sua aridità, non riescono a raggiungere il mare e alimentano
bacini e laghi interni.

Geografia
Laghi: Il Mar Caspio (317.000 km2 ) viene considerato il lago più esteso della Terra. Il
lago Bajkal (1.642 m) quello più profondo e il Mar Morto (-395 m) il più depresso.
Catene montuose: L’Asia è il continente con la maggiore altitudine media (960 m). La
catena principale è quella dell’Himalaya che comprende vette quali l’Everest (8.848
m), il punto più alto della Terra, il Dhaulagiri (8.167 m) e il Kanchenjunga (8.586 m).
Nella catena del Karakorum le vette più elevate sono il K2 (8.816 m) e il Gasherbrum
I (8.068 m).
Popolazione: La popolazione asiatica supera i 4 miliardi di persone, rappresentando
più del 60% dell’intera popolazione mondiale. Data l’enorme estensione del territorio,
però, la densità media è intorno ai 92 abitanti per km2 .
La distribuzione della popolazione asseconda le caratteristiche del territorio e per-
tanto non è omogenea. Vi sono vaste regioni praticamente disabitate come le aree mon-
tuose, gli aridi altipiani interni e la fredda fascia settentrionale, dove gli insediamenti
umani sono scarsi.
E vi sono al contrario altre aree come l’Asia meridionale, ricche di corsi d’acqua,
coste e arcipelaghi, in cui il popolamento è estremamente elevato.
La Cina e l’India sono i due paesi più popolati del mondo e insieme rappresentano
più di un terzo della popolazione mondiale.
Nella popolazione asiatica si possono distinguere prevalentemente due gruppi etnici:
quello mongoloide (cinesi, tibetani, giapponesi, coreani, mongoli e siberiani) e quello
europoide (indoariani del subcontinente indiano, gli afghani, gli armeni, i persiani,
gli arabi e la maggior parte delle popolazioni del Caucaso).
Sono presenti inoltre minoranze austroloidi e negroidi: i vedda dello Sri Lanka e
dell’India meridionale, i dravida del Deccan e i negritos delle Filippine.
Le lingue sinotibetane (cinese, mandarino e lingue tibetiche) prevalgono in Cina
e nella penisola indocinese. Fra le popolazioni bianche sono praticate invece le lingue
indoeuropee (hindi, persiano, russo ecc.), quelle semitiche (arabo, ebraico) e quelle
caucasiche. Il giapponese costituisce una lingua a sé.
Religione: L’Asia è la culla delle religioni più antiche e più diffuse del mondo.
Sulle coste del Mediterraneo ebbe origine l’ebraismo, professato in Israele, e il
cristianesimo, oggi diffuso soprattutto in Armenia e nelle Filippine.
In India nacquero l’induismo e il buddismo, oggi diffuso in Indocina, Mongolia,
Cina e Giappone. In Cina si svilupparono inoltre il confucianesimo e il taoismo,
mentre in Giappone lo scintoismo. L’Arabia è la culla dell’islamismo, che in seguito
312 Asia

si diffuse in Medio Oriente, Asia occidentale, Pakistan, Indonesia, Malesia e in varie


repubbliche della Russia asiatica.
Economia: Negli ultimi anni l’Asia sta vivendo una forte crescita economica dovuta,
tra l’altro, all’inteso processo di industrializzazione avviato in alcune aree. La realtà
economica dell’intero continente è però complessa e contraddittoria. Nel continente
convivono aree geografiche come il Giappone e la Cina in forte evoluzione ed altre
realtà rurali arretrate ed economicamente sottosviluppate.
Le attività tradizionalmente più praticate in Asia sono l’agricoltura e l’alleva-
mento. Il clima monsonico ha favorito la coltivazione del riso mentre nelle zone aride
è diffusa la coltivazione del frumento e del mais. Accanto a queste colture di sussistenza
le grandi società multinazionali si dedicano alle piantagioni di tè, caffè, cacao, canna
Asia

da zucchero, caucciù, arachidi, banane e cotone.


Un caso a se stante è costituito dal Giappone che a partire dal Novecento ha avviato
un processo di industrializzazione che l’ha indotto in breve tempo a diventare una
delle maggiori potenze economiche. Negli ultimi anni anche la Cina ha intrapreso un
intenso processo di sviluppo economico grazie agli investimenti esteri su vasta scala,
alla privatizzazione e alla forte industrializzazione.

Città più popolose dell’Asia


Città popolazione densità Stato

Mumbai 13.830.884 31.214 India


Karachi 12.991.000 3.527 Pakistan
Shanghai 10.934.642 3.632 Cina

Stati dell’Asia
Paese o Territorio Superficie Popolazione Densità Capitale
(km2 ) (luglio 2007) (per km2 )
Afghanistan 647.500 31.056.997 48 Kabul
Arabia Saudita 2.152.000 27.019.731 12 Riyad
Armenia 29.800 2.976.372 100 Erevan
Azerbaigian 86.600 8.177.717 92 Baku
Bahrain 665 686.585 1.032 Manama
Bangladesh 144.000 156.050.883 1.023 Dhâkâ
Bhutan 47.000 2.279.723 48 Thimphou
Brunei 5.770 379.444 66 Bandar Seri
Begawan
Cambogia 181.035 13.881.427 76 Phnom Penh
Cina 9.596.960 1.338.000.000 137 Pechino
Corea del Nord 120.540 23.113.019 191 Pyongyang
Corea del Sud 99.274 49.232.844 492 Seul
Emirati Arabi 82.880 3.870.936 46 Abu Dhabi
Georgia 69.700 4.661.473 67 Tbilisi
Hong Kong 1.104 7.018.636 6.357 Hong Kong
India 3.287.590 1.185.680.833 333 New Delhi
Indonesia 1.919.440 245.452.739 127 Giacarta
Iran 1.648.000 68.688.433 41 Téhéran
Iraq 437.072 26.783.383 61 Baghdad
Giappone 377.835 127.463.611 337 Tokyo
Giordania 92.300 5.906.760 64 Amman
Kazakistan 2.717.300 15.233.244 5 Astana
Kirghizistan 198.500 5.213.898 135 Bichkek
Kuwait 17.820 2.418.393 115 Kuwait
Laos 236.800 6.368.481 27 Vientiane
Geografia 313

Paese o Territorio Superficie Popolazione Densità Capitale


(km2 ) (luglio 2007) (per km2 )
Filippine 300.000 97.976.603 298 Manila
Libano 10.452 3.874.050 370 Beirut
Macao 29,5 542.200 18.380
Malesia 329.750 28.250.000 74 Kuala Lumpur
Maldive 298 359.008 1.204 Malé
Mongolia 1.565.000 2.832.224 1,8 Ulan Bator
Myanmar 678.500 47.382.633 69 Naypyidaw
Népal 147.781 28.287.147 191 Katmandu
Oman 309.500 3.102.229 10 Mascate
Pakistan 803.940 170.209.000 206 Islâmâbâd
Qatar 11.437 885.359 77 Doha
Russia 17.075.200 142.893.540 8 Mosca
Singapore 699 4.492.150 6.426 Singapore

Geografia
Sri Lanka 65.610 21.513.990 308 Colombo
Siria 185.180 18.881.361 101 Damasco
Tagikistan 143.100 7.320.815 51 Dushanbe
Taı̈wan 35.980 23.146.090 640 Taipei
Thailandia 514.000 65.493.298 125 Bangkok
Timor orientale 15.007 1.062.777 70 Dili
Turkménistan 488.100 5.042.920 10 Ashgabat
Uzbekistan 447.400 27.307.134 61 Tachkent
Vietnam 329.560 86.116.559 256 Hanoı̈
Yémen 527.970 23.013.376 40 Sanaa

4.6 Oceania
Superficie: 7.617.930 km2
Abitanti: 22.618.521
Densità: 5 ab/km

L’Oceania è un continente caratterizzato da


terre unificate tra loro da una continuità ma-
rittima anziché terrestre. L’Oceania si tro-
va nell’Oceano Pacifico, si estende su quasi
8.000.000 di km2 e comprende l’Australia, la
Nuova Zelanda, la Polinesia, la Melanesia e
la Micronesia.
Nel continente sono presenti alcuni terri-
tori di Stati americani come l’isola di Pasqua
(Cile) e le Hawaii (Stati Uniti d’America).
Figura 4.5: Loch Ard Gorge Arch, Great Ocean
Clima: Il clima è generalmente tropicale ed Road, Australia.
equatoriale. Nelle parti interne dell’Australia
è caldo torrido, in Nuova Zelanda si ha un clima temperato.
Fiumi: L’Oceania è povera di acque superficiali. I principali fiumi si trovano in Australia
e sono il Darling (2.740 Km), il Murray (2.520 Km) e il Murrumbidge (1.575 Km).
Laghi: Anche i laghi sono molto pochi, di dimensioni relativamente piccole e concentrati
esclusivamente in Australia e Nuova Zelanda. I principali sono l’Eyre, un lago molto
particolare perché immerso nel deserto, e il Torrens.
Catene montuose: L’altitudine media del continente è abbastanza bassa, circa 340 m.
Nuova Zelanda e Papua Nuova Guinea sono comunque regioni piuttosto montuose.
314 Oceania

Tra le principali montagne: Mount Wilhelm (4.509 m) e Cook Alpi Meridionali


(3.764 m).

Popolazione: L’Oceania, con una densità di 5 abitanti per km2 , è la parte meno popolata
del mondo dopo l’Antartide. La distribuzione è irregolare: convivono zone maggiormen-
te popolate come le coste dell’Australia, dove si raggiunge una densità di 100 abitanti
per km2 , e vaste aree pressoché disabitate dell’interno del continente e della Nuova
Zelanda. La popolazione è costituita da bianchi e da indigeni e convivono molte razze
differenti. In generale possono distinguersi tre ceppi differenti: La razza bianca costi-
tuita dagli immigrati europei, la razza maori che si identifica con gli antichi abitanti
della Nuova Zelanda e gli aborigeni, gli abitanti originari dell’Australia. In Nuova
Oceania

Guinea inoltre, oltre ad una razza papuasica, vive anche una razza pigmea.
Le lingue parlate in Oceania sono molteplici: la più diffusa è l’inglese, seguita dal
francese, retaggio delle potenze coloniali. Esistono inoltre numerose lingue aborigene
australiane che negli ultimi anni stanno però estinguendosi.

Religione: Le religioni professate sono sostanzialmente 3: il cristianesimo, importato


dai colonizzatori, l’animismo, professato dagli indigeni e aborigeni e il buddismo,
meno diffuso ma comunque presente.

Economia: In seguito alle forti emigrazioni europee in Oceania si è assistito a un forte


sviluppo dell’agricoltura, i prodotti principali sono il frumento, la frutta, la canna da
zucchero e gli agrumi. Data la presenza di numerose foreste tropicali un’altra attività
sviluppata è quella legata al legname pregiato.
Un’importanza fondamentale è rivestita dall’allevamento, soprattutto ovino, da
cui derivano anche la produzione di lana e le industrie ad essa collegate.
Per quanto riguarda i prodotti minerari i principali sono l’oro, il piombo, lo zinco,
l’uranio, il carbone, il petrolio ed i gas naturali e la bauxite.
L’attività industriale è in continua crescita specialmente in Australia, dove si trova-
no importanti impianti siderurgici e chimici. In Nuova Zelanda riveste grande impor-
tanza l’industria alimentare.

Città più popolose dell’Oceania

Città popolazione densità Stato

Sydney 4.399.722 2.058 Australia


Melbourne 4.170.000 2.446 Australia
Brisbane 2.004.262 340 Australia

Stati dell’Oceania
Paese o Territorio Superficie Popolazione Densità Capitale
(km2 ) (luglio 2007) (per km2 )
Australia 7.686.850 22.028.000 2,7 Canberra
Nuova Zelanda 268.680 4.108.037 14,5 Wellington
Geografia 315

Paese o Territorio Superficie Popolazione Densità Capitale


(km2 ) (luglio 2007) (per km2 )
Fiji 18,270 856,346 46.9 Suva
Guam (USA) 549 160.796 292,9 Hagåt na
Hawaii (USA) 16.636 1.360.301 81,8 Honolulu
Isola di Pasqua (Cile) 163.6 3.791 23,1 Hanga Roa
Isole Cook (NZ) 240 20.811 86,7 Avarua
Isole Marianne Settentrionali 477 77.311 162,1 Saipan
(USA)
Isole Marshall 181 73.630 406,8 Majuro
Isole Salomone 28.450 494.786 17,4 Honiara
Kiribati 811 96.335 118,8 Tarawa Sud
Nauru 21 12.329 587,1 Yaren (de facto)
Niue (NZ) 260 2.134 8,2 Alofi
Nuova Caledonia 19.060 240.390 12,6 Nouméa

Geografia
Palau 458 19.409 42,4 Melekeok
Papua Nuova Guinea 462.840 5.172.033 11,2 Port Moresby
Polinesia Francese 4.167 257.847 61,9 Papeete
Samoa 2.944 179.000 63,2 Apia
Samoa Americane (USA) 199 68.688 345,2 Pago Pago,
Fagatogo
Stati Federati della Micronesia 702 135.869 193,5 Palikir
Tonga 748 106.137 141,9 Nuku’alofa
Tuvalu 26 11.146 428,7 Funafuti
Vanuatu 12.200 240.000 19,7 Port Vila
Wallis e Futuna 274 15.585 56,9 Mata-Utu

4.7 Europa
Superficie: 10.180.000 Km2
Abitanti: 832.211.436
Densità: 81,8 ab/Km2

L’Europa è composta da un insieme di peni-


sole connesse. Le principali sono la “terrafer-
ma” europea e la Scandinavia. Tre penisole
minori sono l’Iberica, l’Italia e i Balcani che
sorgono dal margine meridionale dell’entro-
terra nel mar Mediterraneo. A est la terra-
ferma europea si allarga fino al confine con
l’Asia sui monti Urali.
Si rilevano molte diversità nelle coste, che
sono frastagliate e ricche di isole. I principali
mari europei sono l’Oceano Atlantico, il Mar Figura 4.6: Dybrovnik, Mar Adriatico, Croazia.
Glaciale Artico, il Mediterraneo. Altri mari minori, ma importanti da un punto di vista
economico sono il Mare del Nord, il Baltico, il Mar Nero, che si caratterizza in realtà
per essere un lago salato.
Clima: Il clima va dalle zone subpolari della Scandinavia a quelle mediterranee del sud,
passando per fasce continentali.
Fiumi: La maggior parte dei fiumi più lunghi d’Europa si trova nel territorio della
Russia: il Volga, l’Ural, il Dnepr, il Don. I due fiumi più lunghi d’Europa sono il Volga
(3.531 km) e il Danubio (2.858 Km) che scorre in Germania, Austria, Slovacchia, Un-
gheria, Croazia, Serbia, Romania, Bulgaria, Ucraina, Moldavia. Il Reno (1.362 Km)
non è tra i fiumi più lunghi ma è molto importante per le attività economiche che si svol-
316 Europa

gono nel territorio che attraversa: Svizzera, Austria, Francia, Paesi Bassi e Germania.
Il Po (652 km) è il principale fiume italiano.
Laghi: Il più grande lago europeo è il Lago Ladoga (17.700 km2 ) che si trova in Russia
vicino al confine con la Finlandia. Il Ladoga è in comunicazione con il Lago Onega
(9.610 km2 ), il secondo lago più grande d’Europa. Il Lago di Garda è il più grande
lago italiano, la cui superficie è di circa 370 km2 .
Catene montuose: Le regioni meridionali sono prevalentemente montuose. Procedendo
verso nord il terreno scende verso altipiani collinosi fino alle ampie pianure. La zona
pianeggiante è conosciuta come la Grande Pianura Europea e ha il suo centro nella
Pianura Tedesca del Nord. Le catene montuose principali sono le Alpi, la cui cima più
Europa

elevata è rappresentata dal Monte Bianco (4.810 m). I Pirenei, catena montuosa
che forma il confine fra la Francia e la Spagna, il Picco d’Aneto (3.404 m) ne è la cima
più alta. I Carpazi, l’ala orientale del grande sistema montuoso centrale dell’Europa,
si estendono per 1.500 km lungo i confini di Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia,
Ungheria, Serbia, Romania e Ucraina. La cima più elevata dei Carpazi è Gerlachovský
štı́t (2.655 m).
Popolazione: La popolazione europea è di circa 832.211.436 abitanti, distribuiti su un
territorio relativamente piccolo, 10.180.000 km2 . La densità media è dunque elevata,
pari a 82/km2 , seconda solo rispetto all’Asia. L’elevata popolosità dell’Europa è dovuta
soprattutto al clima temperato che nei secoli ha favorito gli insediamenti umani e
lo sviluppo dell’agricoltura. Negli anni Ottanta l’Europa aveva la più alta densità di
popolazione del mondo. La zona dove si concentravano maggiormente i suoi abitanti
era tra l’Inghilterra, i Paesi Bassi, la Germania, la Cecoslovacchia, la Polonia e la parte
europea dell’URSS. Durante il XX secolo la distribuzione della popolazione è stata
determinata da due importanti flussi migratori: la migrazione da uno Stato a un altro
da parte delle persone in cerca di lavoro (provenienti da Italia, Jugoslavia, Grecia,
Spagna e Portogallo verso Germania, Regno Unito, Belgio, Francia e Svizzera) e, per
la stessa ragione ci fu una forte migrazione dalle zone rurali a quelle industrializzate.
Tra il 1950 e il 1975 la popolazione dell’Europa occidentale è diventata urbana per il
70, 80%.
Dal 2000 in poi si è assistito a un declino demografico dovuto alla diminuzione della
natalità.
Religione: Nel corso dei secoli la religione ha avuto una grande influenza sull’arte, la
cultura, la filosofia e la storia dell’Europa. Il Cristianesimo è stato la religione più
diffusa per più di un millennio. Oggi, a seconda delle diverse aree, si possono distin-
guere sostanzialmente tre confessioni: Il Protestantesimo, praticato nel Regno Unito,
Norvegia, Svezia, Finlandia e Germania, il Cattolicesimo diffuso in tutta l’area centrale
dell’Europa, e la Chiesa Ortodossa, sviluppata lungo tutta l’area orientale. Sono poi
presenti comunità minori come l’ebraismo, il buddismo, l’induismo e l’islamismo.
Economia: Il livello economico dell’Europa è generalmente elevato, ma naturalmente
sussistono delle differenze all’interno del continente. I Paesi con l’economia nazionale
più forte sono la Germania (quarta potenza mondiale in termini di PIL nominale), il
Regno Unito, l’Italia e la Russia. Le aree più povere sono quelle orientali che hanno
risentito del collasso dell’Unione Sovietica e dell’ex Jugoslavia. Anche questi Paesi
stanno tuttavia vivendo una fase di maggiore sviluppo.
Geografia 317

Un fattore fondamentale nell’economia dell’Europa è stata la fondazione della Comu-


nità Europea, UE.
Grazie al mercato unico infatti l’UE è una delle principali potenze a livello mondiale.
A partire dal 2004, con l’ingresso di 14 nuovi Paesi, il PIL UE ha superato quello degli
Stati Uniti.
Dal punto di vista commerciale l’UE si colloca al primo posto mondiale per le
esportazioni e al secondo per le importazioni. Gli Stati Uniti e la Cina sono i principali
partner commerciali.
L’agricoltura riveste un ruolo importante nell’economia europea. Le attività gene-
ralmente sono policolturali, per cui all’interno della stessa regione convive una varietà

Geografia
di colture. Nei paesi mediterranei i prodotti maggiormente coltivati sono l’ulivo, l’uva,
gli agrumi e i cereali. Negli Stati Nordici l’agricoltura è meno sviluppata e si assiste a
un incremento dell’attività industriale.
Un’altra attività importante è rappresentata dall’allevamento di bovini.
Per quanto riguarda le risorse minerarie l’UE dipende per oltre il 50% del pro-
prio fabbisogno energetico dalle importazioni. Per ridurre tale dipendenza l’UE ha
intrapreso un percorso di sviluppo e impiego di forme di energia rinnovabile.
Altro settore fondamentale per l’economia è il turismo che rappresenta uno dei
settori maggiormente sviluppati.

Città più popolose dell’Europa

Città popolazione densità Stato

Istanbul 13.483.052 2.532 Turchia


Mosca 10.231.000 10.000 Russia
Londra 8.174.100 5.199 Regno Unito

Stati dell’Europa
Paese o Territorio Superficie Popolazione Densità Capitale
(km2 ) (luglio 2007) (per km2 )
Albania 28.748 3.600.523 125,2 Tirana
Andorra 468 82.403 146,2 Andorra la Vella
Austria 83.858 8.470.929 97,4 Vienna
Belgio 30.510 10.574.595 336,8 Bruxelles
Bielorussia 207.600 9.735.382 49,8 Minsk
Bosnia ed Erzegovina 51.129 4.048.500 77,5 Sarajevo
Bulgaria 110.910 7.621.337 68,7 Sofia
Cipro 9.251 863.457 85,0 Nicosia
Città del Vaticano 0,44 900 2.045,5 Città del Vaticano
Croazia 56.542 4.637.460 77,7 Zagabria
Danimarca 43.094 5.568.854 124,6 Copenaghen
Estonia 45.226 1.315.681 31,3 Tallinn
Finlandia 336.593 5.357.537 15,3 Helsinki
Francia 547.030 65.447.374 109,3 Parigi
Georgia 69.700 4.461.473 64,0 Tbilisi
Germania 357.021 81.757.600 233,2 Berlino
Grecia 131.940 11.645.343 80,7 Atene
Irlanda 70.280 4.434.925 60,3 Dublino
Islanda 103.000 304.261 2,7 Reykjavı́k
Italia 301.230 60.418.711 200,6 Roma
Lettonia 64.589 2.366.515 36,6 Riga
Liechtenstein 160 35.322 205,3 Vaduz
Lituania 65.200 3.401.138 55,2 Vilnius
Lussemburgo 2.586 472.569 173,5 Lussemburgo
318 La Repubblica Italiana
Paese o Territorio Superficie Popolazione Densità Capitale
(km2 ) (luglio 2007) (per km2 )
Macedonia 25.333 2.054.800 81,1 Skopje
Malta 316 408.009 1.257,9 La Valletta
Moldavia 33.843 3.834.547 131,0 Chişinǎu
Monaco 1,95 32.087 16.403,6 Monaco
Montenegro 13.812 672.180 44,6 Podgorica
Norvegia 324.220 4.930.116 14,0 Oslo
Paesi Bassi 41.526 16.518.199 393,0 Amsterdam
Polonia 312.685 38.192.000 123,5 Varsavia
Portogallo 91.568 10.607.995 110,1 Lisbona
Regno Unito 244.820 62.041.708 244,2 Londra
Rep. Ceca 78.866 10.256.760 130,1 Praga
Romania 238.391 21.959.278 91,0 Bucarest
Russia 17.075.400 141.927.297 8,5 Mosca
San Marino 61 31.730 454,6 San Marino
Serbia 88.361 9.150.000 103,6 Belgrado
Italia

Slovacchia 48.845 5.422.366 111,0 Bratislava


Slovenia 20.273 2.012.917 95,3 Lubiana
Spagna 504.851 46.030.109 89,3 Madrid
Svezia 449.964 9.360.113 19,7 Stoccolma
Svizzera 41.290 7.785.000 176,8 Berna
Turchia 783.562 70.104.712 93,0 Ankara
Ucraina 603.628 45.939.820 76,0 Kiev
Ungheria 93.030 10.075.034 108,3 Budapest

4.8 La Repubblica Italiana


Superficie: 301.340 km2
Popolazione: 60.813.326
Densità: 201 ab/km
Capitale: Roma
Forma di governo: Repubblica Parlamentare
Proclamazione Regno d’Italia: 17 marzo 1861
Nascita della Repubblica Italiana: 18 giugno 1946
Presidente della Repubblica: Giorgio Napolitano
Presidente del Consiglio: Mario Monti
Delimitata a nord in gran parte dall’arco alpino, l’Italia confina ad ovest con la Francia,
a nord con la Svizzera e l’Austria e ad est con la Slovenia. Nel territorio italiano sono
presenti i micro stati di San Marino e Città del Vaticano.

Divisione amministrativa
L’Italia si costituisce di 20 Regioni e 110 Province. Secondo l’articolo 116 della Co-
stituzione ci sono 5 Regioni a Statuto Speciale: Sicilia, Sardegna, Friuli Venezia Giu-
lia, Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta che godono di forme e condizioni speciali di
autonomia.
Regione Capoluogo Province Popolazione Densità
Abruzzo L’Aquila Chieti, Pescara, Teramo 1.339.317 124
Basilicata Potenza Matera 588.593 59
Calabria Catanzaro Cosenza, Crotone, Reggio Calabria, 2.009.307 133
Vibo Valentia
Campania Napoli Avellino, Benevento, Caserta, Sa- 5.824.625 428
lerno
Emilia Romagna Bologna Ferrara, Forlı̀, Cesena, Modena, 4.405.486 196
Parma, Piacenza, Ravenna, Rimini,
Reggio Emilia
Friuli Venezia Giulia Trieste Gorizia, Pordenone, Udine 1.234.441 157
Geografia 319

Regione Capoluogo Province Popolazione Densità


Lazio Roma Frosinone. Latina, Rieti, Viterbo 5.695.048 330
Liguria Genova Imperia, La Spezia, Savona 1.615.088 298
Lombardia Milano Bergamo, Brescia, Como, Cremo- 9.844.943 412
na, Lecco, Lodi, Mantova, Monza e
Brianza, Pavia, Sondrio, Varese
Marche Ancona Ascoli Piceno, Fermo, Macerata, 1.560.785 166
Pesaro, Urbino
Molise Campobasso Isernia 320.042 72
Piemonte Torino Alessandria, Asti, Biella, Cuneo, 4.450.359 175
Novara, Vercelli
Puglia Bari Barletta, Brindisi, Foggia, Lecce, 4.984.941 211
Taranto
Sardegna Cagliari Carbonia Iglesias, Medio Cam- 1.672.607 69
pidano, Nuoro, Ogliastra, Olbia,
Oristano, Sassari

Geografia
Sicilia Palermo Agrigento, Caltanissetta, Catania, 5.043.723 196
Enna, Messina, Ragusa, Siracusa,
Trapani
Toscana Firenze Arezzo, Grosseto, Livorno, Luc- 3.734.355 162
ca, Massa Carrara, Pisa, Pistoia,
Prato, Siena
Trentino Alto Adige Trento Bolzano 1.030.816 75
Umbria Perugia Terni 902.792 106
Valle d’Aosta Aosta 127.836 39
Veneto Venezia Belluno, Padova, Rovigo, Treviso, 4.917.395 267
Verona, Vicenza

Fiumi: Grazie alla presenza di numerosi rilievi montuosi elevati, l’Italia è ricca di corsi
d’acqua. I fiumi più lunghi e di maggiore portata appartengono alla regione alpina, i
fiumi appenninici, ad eccezione del Tevere e dell’Arno, hanno corso più breve e regime
torrentizio.

I fiumi più lunghi d’Italia

Fiume Lunghezza km Regioni attraversate


Po 652 Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto
Adige 410 Trentino Alto Adige, Veneto
Tevere 405 Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Lazio
Adda 313 Lombardia
Oglio 280 Lombardia
Tanaro 267 Piemonte, Liguria

Laghi: I laghi italiani sono molto numerosi. Si possono distinguere:


Laghi alpini: Sono abbastanza estesi e collocati ad un’altitudine elevata, spesso oc-
cupano conche scavate dai ghiacciai.
Laghi prealpini: I più grandi e principali.
Laghi vulcanici: Si trovano nella fascia antiappenninica del Lazio e riempiono i crateri
spenti di antichi vulcani.
Laghi appenninici: Situati in conche ampie e poco profonde, devono generalmente
la loro formazione al sollevamento della catena appenninica.
Laghi costieri: Sono stati formati dal moto ondoso del mare che ha accumulato lidi
sabbiosi e cordoni di dune, che hanno chiuso le acque retrostanti.
320 La Repubblica Italiana

I principali laghi d’Italia

Lago Superficie km2 Regione

Garda 370 Lombardia, Veneto, Trentino Alto Adige


Maggiore 212 Piemonte, Lombardia, Ticino (Svizzera)
Como 145 Lombardia
Trasimeno 128 Umbria

Catene montuose: I rilievi montuosi e collinari occupano in Italia i 3/4 dell’intera


superficie. Si possono distinguere due principali catene montuose:
Italia

Le Alpi: si stendono per 1.200 km. La città di Imperia segna l’inizio delle Alpi e
Gorizia segna la fine dalla catena alpina italiana. La vetta più alta è il Monte Bianco
(4810 m).
Le Alpi si suddividono in: Alpi Ligure e Marittime, Alpi Cozie, Alpi Graie, Alpi
Pennine, Alpi Lepontine, Alpi Retiche, Prealpi Lombarde, Alpi Noriche, Alpi Carniche,
Alpi Giulie, Prealpi Trivenete.
Gli Appennini: si estendono per circa 1.300 km e attraversano praticamente l’intera
penisola da nord a sud. L’estremità nord è costituita dal Colle di Cadibona, mentre
quella meridionale è data dalla punta estrema dell’Aspromonte. La cima più elevata è
il Gran Sasso (2.912 m).

I monti più alti d’Italia

Monte Altezza m Catena montuosa

Monte Bianco 4.810 Alpi Graie


Monte Rosa 4.634 Alpi Pennine
Cervino 4.478 Alpi Pennine
Pizzo Bernina 4.050 Alpi Retiche
Monviso 3.841 Alpi Cozie

Popolazione: L’Italia è il quarto paese dell’Unione europea per popolazione (dopo Ger-
mania, Francia e Regno Unito), la sua densità demografica invece è la più alta della
media dell’Unione e la popolazione si concentra prevalentemente nelle zone costiere e
pianeggianti.
Alla fine dell’Ottocento l’Italia ha vissuto un periodo di forte emigrazione verso
l’America e l’Europa del nord. Nel Novecento l’emigrazione si è trasformata in un
fenomeno interno che ha visto le masse più povere del sud trasferirsi verso grandi poli
industriali del nord come Milano e Torino.
A partire dagli anni Novanta si è assistito al fenomeno inverso dell’immigrazione.
Le comunità più numerose che hanno raggiunto il nostro Paese sono quella rumena,
albanese e marocchina.
Religione: In Italia vige il principio della laicità dello Stato e pertanto non vi è una
religione ufficiale. Circa l’80% dei cittadini italiani sono cattolici di cui almeno il
30% si dichiara praticante. Con il notevole flusso migratorio sono in aumento alcune
minoranze religiose tra cui i cristiani ortodossi, i musulmani, i buddisti e gli induisti.
Geografia 321

Economia: L’Italia è uno tra gli Stati più sviluppati del mondo. La crisi economica
del 2008-2012 ha tuttavia colpito fortemente il Paese in cui il tasso di disoccupazione
è passato dal 6,1% del 2007 all’8,4% del 2011 e il PIL nel 2011 è più basso del 4,5%
rispetto al 2007, con un parallelo aumento del debito pubblico di 17 punti percentuali
rispetto al PIL.
I settori più sviluppati sono quello dell’industria, in particolare quella del turismo,
dell’automobile, dell’acciaio, del tessile e del terziario. L’agricoltura e l’allevamento
sono penalizzati a causa della scarsa disponibilità di territorio coltivabile. Le colture
più diffuse sono quelle dell’uva, delle olive, degli agrumi e del frumento.

Geografia
4.9 Quesiti

1) Quali tra i seguenti laghi ha E Termoli


un’estensione maggiore?
4) Qual è la capitale della Nuova
A Lago Vittoria Zelanda?
B Gran Lago degli Orsi
A Sidney
C Lago Maggiore
B Wellington
D Aral
C Auckland
E Mar Caspio
D Inglewood
2) Dove si trova il Pamir?
E Matamata
A Russia
5) Il termine “villas miserias” che
B Tibet
cosa indica?
C Cina
A ville abbandonate africane
D Arabia Saudita
E Giappone B residenze di antichi principi india-
ni
3) Qual è il capoluogo del Molise?
C favelas sudamericane
A Enna
D quartieri degradati dell’Africa
B Saluzzo subsahariana
C Isernia E residenze dei narcotrafficanti su-
D Campobasso damericani

4.10 Risposte commentate ai quesiti


1) La risposta corretta è la E . Il Mar Caspio, nonostante la denominazione di mare,
è la più grande massa d’acqua chiusa della Terra, pertanto viene considerato il più
grande lago (inteso come bacino acqueo isolato) del mondo. Le sue coste bagnano
la Russia, l’Iran, il Kazakistan, il Turkmenistan e l’Azerbaigian.

2) La risposta esatta è la C . Il Pamir, con i suoi 4.000 m, è il secondo altopiano più


alto del mondo e si trova in Cina.

3) La risposta corretta è la D . I distrattori sono rappresentati dalle alternative


C ed E dal momento che entrambe sono città del Molise.
322 Risposte commentate ai quesiti

4) La capitale della Nuova Zelanda è Wellington, risposta B . Le risposte C , D e E


indicano città della Nuova Zelanda ma non la capitale. Sidney si trova in Australia.

5) La risposta corretta è la C . Le villas miserias sono i quartieri periferici, costituiti


da case precarie e capanne, abitati dalla popolazione più povera dell’Argentina.
Italia
Matematica
Premessa

Riuscire a condensare l’enorme corpus di conoscenze matematiche richieste per il su-


peramento del test di ammissione in uno spazio relativamente esiguo di un paio di
centinaia di pagine non è certo impresa banale. Ogni argomento esposto nei vari capi-
toli si presta a diversi livelli di trattazione. L’intento che ha guidato la stesura dell’intera
parte di teoria è stato quello di indirizzare tutti gli sforzi al superamento del
test.
L’avvicendarsi dei capitoli segue uno stringente ordine logico cosı̀ come quello delle
sezioni all’interno dei capitoli. Ogni oggetto matematico utilizzato in un determinato
punto del testo è stato preventivamente introdotto e definito. Le definizioni stesse sono
rigorose ma improntate alla massima chiarezza possibile: laddove si è ritenuto op-
portuno sono state riprese come approfondimento definizioni alternative o più rigorose
ma basate su un livello di complessità troppo alto per gli scopi prefissati.
Nel corso del testo sono spesso descritte operativamente procedure atte a svilup-
pare meccanismi logici automatici per lo studente, in modo che scomponendo una
richiesta complessa in una sequenza ordinata di sottoproblemi semplici ogni lettore sia
in grado di affrontare nel tempo giusto quesiti all’apparenza difficili. I continui esem-
pi posti subito dopo l’enunciato di regole o proprietà importanti consente di applicare
prontamente quanto affermato onde verificare l’effettivo livello di comprensione.
Nonostante siano riportate tutte le regole di calcolo del caso, in tutti i capitoli
l’accento è posto sui principi, sulla visione unificante e chiarificatrice alla base dello
sviluppo dei vari argomenti. Le idee e i concetti alla base della matematica affrontata
in questo testo non sono poi cosı̀ tante: assimilarne la logica di base e il modus operandi
garantisce un esito positivo quando ci si confronta con le prove.
La parte di matematica del test, sebbene numericamente meno rilevante rispetto
ad altre, rappresenta un innegabile vantaggio: è una disciplina caratterizzata dal mas-
simo grado di certezza. Se quindi, grazie all’esercizio e alla continua autoverifica del
proprio livello di competenze, lo studente raggiunge la consapevolezza dei metodi riso-
lutivi dei quesiti matematici si avrà la certezza di ottenere punti positivi nella prova.
Considerando il livello medio di preparazione degli studenti italiani, statisticamente ca-
renti proprio nelle discipline matematiche, i punti guadagnati con i quesiti matematici
rappresentano un vantaggio competitivo rispetto agli altri aspiranti.
Per usufruire al meglio del testo si consiglia di seguire l’ordine dei capitoli in una
prima lettura. In quelle successive, invece, ogni capitolo rappresenta un’unità a sé stante
e si potrà seguire l’ordine preferito in base alle proprie esigenze di rinforzo o di ripasso.
La prima volta che si affronta un capitolo sarebbe opportuno leggerlo interamente,
tornando poi in una seconda lettura a fissare i concetti delle diverse sezioni. Un primo
sguardo d’insieme, infatti, favorisce una comprensione dei dettagli delle singole sezioni
Matematica 325

e rende più chiara la motivazione di alcune procedure matematiche che altrimenti


sembrerebbero arbitrarie.
Al termine di ogni capitolo sono presenti 10 quesiti di carattere teorico: una volta
che lo studente è in grado di rispondere correttamente a tali domande può avere la
certezza di aver compreso l’argomento trattato nel capitolo e passare a quello seguente
con tranquillità.
La parte di teoria è strutturata in 4 moduli:
I primi quattro capitoli costituiscono un corpus di conoscenze basilari necessarie
per acquisire manualità con i calcoli, velocità di esecuzione, chiarezza nell’approc-
ciarsi al resto della parte. L’idea unificante di questo modulo è quella di insieme.
Il padroneggiare le conoscenze e le competenze legate a questi capitoli fondamen-
tali è inoltre alla base dell’accrescimento dell’autostima: ingrediente essenziale
per affrontare la prova nello spirito giusto.
I capitoli 5 e 6 e 10 e 11 trattano conoscenze analitiche di livello più complesso
rispetto al modulo precedente. Si basano sui concetti fondamentali del primo
modulo per sviluppare e approfondire aree della matematica notoriamente più

Matematica
ostiche per gli studenti. L’idea unificante di questo modulo è quella di funzione,
che a sua volta si basa su quella di insieme. Il gran numero di immagini illustrate
nel testo e gli esempi applicativi consentono al lettore di far proprie le tecniche di
calcolo descritte e la logica che guida la risoluzione dei quesiti di questi argomenti.
I capitoli 7, 8 e 9 rappresentano un’unica entità di pensiero, con alla base l’idea di
geometria. Il primo è centrato sulla logica deduttiva della geometria euclidea e
sugli enti fondamentali e i postulati, il secondo sulle applicazioni e gli sviluppi di
questa grandiosa costruzione del pensiero umano e il terzo sulla mirabile sintesi
tra l’analisi matematica e la descrizione geometrica.
Gli ultimi tre capitoli formano l’insieme dei complementi di matematica utilissimi
per risolvere numerosi quesiti che si incontrano spesso nei test. L’idea alla base
di questa parte finale è quella di statistica e delle sue svariate applicazioni.
Le conoscenze qui riportate sono state suddivise per comodità nei tre capitoli
menzionati ma in effetti creano un’unità operativa e concettuale molto potente.
Far proprie le tecniche risolutive descritte nei numerosi esempi di questi capitoli
assicura punti preziosi nel superamento del test di ammissione.
Le formule presenti sono indispensabili a una corretta definizione degli argomenti e
sono molto utili per la risoluzione dei quesiti. Tutto il testo è cosparso di osservazioni
e di evidenziazioni per fissare alcuni concetti chiave o chiarire punti eventualmente
ambigui.
Ogni definizione introdotta è stata segnalata con un’opportuna veste grafica, in
modo da permettere un ripasso più rapido e meglio organizzato. Per lo stesso fine sono
state evidenziate in grassetto le parole più significative delle varie sezioni.
I commenti riportati nella risoluzione degli esercizi hanno carattere formativo,
chiariscono alcuni punti e specificano le applicazioni dei concetti descritti nei capitoli.
Piuttosto che porre l’enfasi su quale sia la risposta corretta si consiglia di leggere
attentamente i motivi che spingono ad escludere le alternative non corrette, in modo
da sviluppare la competenza adeguata per risolvere in poco tempo e con cognizione di
causa il maggior numero possibile di quesiti.
Insiemi numerici e
operazioni
1
Introduzione
In questo capitolo discuteremo i fondamenti dell’insiemistica e dell’aritmetica. La prima
parte del capitolo ha un carattere più astratto e concerne gli insiemi e le operazioni
su di essi. La seconda parte si focalizza sugli insiemi numerici e sulle proprietà delle
operazioni in essi introdotte. La terza ha un carattere più applicativo e tratta di vari
argomenti utili per la risoluzione di problemi di calcolo numerico.

1.1 Definizione di insieme

Figura 1.1: Il concetto di insieme, sebbene mol-


to astratto, è molto potente. Costituiscono
un esempio di insieme gli alberi di un bosco.

Un insieme è un concetto matematico primitivo, può comunque essere definito come


una collezione di oggetti matematici che hanno una proprietà in comune, ovvero un
raggruppamento di oggetti di cui si può stabilire inequivocabilmente l’appartenenza o
meno al raggruppamento. Gli oggetti appartenenti all’insieme sono detti suoi elementi e
vengono indicati con lettere minuscole, mentre gli insiemi con lettere latine maiuscole.

Il termine collezione non ha lo stesso significato che ha in italiano, ma è sinonimo di


classe, aggregato, di insieme appunto. Se un elemento x appartiene a un insieme X si
scrive x ∈ X, altrimenti x ∈/ X e si legge rispettivamente x appartenente ad X e x
non appartenente ad X. L’insieme non composto da alcun elemento è detto insieme
vuoto e si indica con ∅.

L’insieme vuoto ∅ è quello non composto da alcun elemento ed è diverso dall’insieme


composto dal solo numero 0. Quest’ultimo, come tutti gli insiemi composti da un
solo elemento, è detto insieme unitario.

Una proprietà relativa a un elemento di un insieme viene introdotta facendo seguire


il simbolo dell’elemento dal simbolo | o equivalentemente da :, entrambi i simboli si
Matematica 327

leggono tale che. Se una proprietà vale per tutti gli elementi x ∈ X si usa il quantifi-
catore universale, che ha simbolo ∀ e si legge per ogni. L’esistenza di un elemento è
invece indicata dal quantificatore esistenziale che ha simbolo ∃ e si legge esiste.

Ad esempio scegliendo come X l’insieme di numeri interi positivi e negativi si ha che per
ogni numero x esiste il suo opposto x0 , proposizione che nella simbologia degli insieme si
scrive ∀x ∈ X ∃ x0 |x0 = −x.

Quando una proprietà o una proposizione discende da un’altra proposizione si usa il


simbolo di implicazione ⇒, che si legge implica o allora; spesso la prima condizione è
preceduta dalla parola se. Quando due proposizioni sono equivalenti o meglio quando
si implicano a vicenda allora si usa il simbolo ⇔ che si legge se e solo se.

Un sottoinsieme A è un insieme contenuto in un altro insieme B, ovvero è composto


da elementi a ∈ B che godono di un’ulteriore proprietà rispetto a quella definitoria di

Matematica
B. Se ogni elemento del sottoinsieme è anche elemento dell’insieme di partenza si dice
che il sottoinsieme è contenuto nell’insieme. Questa proposizione si scrive cosı̀: A ⊆ B
se a ∈ B ∀a ∈ A. Se alcuni elementi di B non appartengono al sottoinsieme A si dice
che A è contenuto propriamente in B: A ⊂ B se a ∈ B ∀a ∈ A, ∃ b ∈ B|b ∈ / A.

Il simbolo di inclusione propria ⊂ ricorda il simbolo di minore: la parte di ampiezza


minore è quella che punta verso il sottoinsieme. Come il simbolo di minore anche
quello di inclusione può essere invertito: A ⊂ B ⇒ B ⊃ A. Analogamente l’inclusione
impropria ricorda il simbolo di minore o uguale e può anch’esso essere invertito: A ⊆
B ⇒ B ⊇ A.

L’inclusione impropria in realtà indica che due insiemi sono costituiti dagli stessi ele-
menti, in tal caso si dice che sono uguali. Ogni insieme è uguale a se stesso, cioè
è incluso in se stesso: A ⊆ A ∀A. Ogni insieme ammette inoltre come sottoinsieme
se stesso e l’insieme vuoto. Se esiste almeno un elemento di un insieme A che non
appartiene a un secondo insieme B allora i due insiemi non sono uguali, ma si dicono
diversi e si scrive A 6= B.

Se due insiemi non hanno elementi in comune si dicono disgiunti. L’insieme maggiore
che si può definire di volta in volta viene detto insieme universo U o insieme ambiente.
Tutti gli insiemi sono quindi sottoinsiemi di U .

Utilizzando una terminologia che sarà spiegata nella sezione 5.4 del capitolo dedicato alle fun-
zioni, si può definire un insieme infinito: quando si può stabilire una corrispondenza biunivoca
tra un insieme e una sua parte, cioè un suo sottoinsieme proprio, allora l’insieme è detto
infinito.
Ad esempio l’insieme dei numeri naturali N è infinito perché può essere posto in corrispon-
denza biunivoca con il sottoinsieme dei naturali pari, ovvero ad ogni n si può associare il pari
2n e viceversa.
328 Insiemi numerici e operazioni

In termini più intuitivi si può affermare che se un insieme è composto da un numero


finito, cioè limitato, di elementi allora è detto insieme finito, altrimenti è un insieme
infinito. È ad esempio infinito l’insieme dei punti di un segmento di lunghezza qualsiasi.
Per un insieme finito il numero n di elementi che lo compongono è detto cardinalità.

Un insieme può essere suddiviso in vari sottoinsiemi non vuoti disgiunti chiamati parti
dell’insieme: le parti costituiscono una partizione dell’insieme. Elementi nella stessa
partizione sono anche elementi di una classe di equivalenza. Per ogni insieme finito X
formato da n elementi si ha la partizione formata dall’unica parte che coincide con
X stesso, quella formata dalle n parti ognuna delle quali è un singolo elemento di X,
quelle formate da due parti ovvero un qualsiasi sottoinsieme di X e il suo complemento.
Il numero di partizioni di un insieme aumenta con la sua cardinalità ed è pari a 2n con
n cardinalità di un insieme finito.
Insiemi

1.2 Rappresentazioni di insiemi

Figura 1.2: Insiemi disgiunti


non hanno elementi in comune.

Esistono vari modi per rappresentare un insieme. La natura dell’insieme e il numero di


elementi che lo compongono porta a scegliere la rappresentazione più adatta alle varie
situazioni.

Rappresentazione tabulare o estensiva L’insieme è indicato con una pa-


rentesi graffa al cui interno si elencano i suoi elementi separati tra virgole. Ad
esempio se per insieme A si sceglie l’insieme dei numeri naturali pari si scrive
A = {2, 4, 6, . . . }. Questa rappresentazione è utile quando l’insieme è composto
da pochi elementi. L’ordine degli elementi non è importante: insiemi composti
dagli stessi elementi scritti in ordine diverso sono lo stesso insieme.

Rappresentazione per caratteristica o intensiva L’insieme è indicato an-


cora con una parentesi graffa al cui interno si scrive un simbolo che indica l’e-
lemento generico dell’insieme seguito dalla proprietà definitoria dell’insieme. Lo
stesso insieme A della rappresentazione precedente in questo caso si indica cosı̀:
A = {a|a = 2n}. Usualmente il simbolo n denota multipli interi positivi dell’u-
nità. Con questa stessa convenzione i numeri dispari possono essere rappresentati
dall’insieme B = {b|b = 2n + 1}. Questa rappresentazione è utile per insiemi
infiniti.
Matematica 329

Diagrammi di Eulero-Venn L’insieme è indicato da una linea chiusa che non


interseca mai se stessa, ad esempio una circonferenza o un’ellissi. All’interno
dell’area di piano cosı̀ delimitata ogni punto indicato rappresenta un elemento
dell’insieme. Questa rappresentazione è utile per operare sugli insiemi. L’insieme
universo U è rappresentato come un rettangolo che contiene gli altri diagrammi.

1.3 Unione, intersezione, differenza e complemento


Vi sono tre operazioni principali tra insiemi: l’unione, l’intersezione e il complemento.
Un importante risultato teorico dimostra che solo due qualsiasi di queste tre sono
basilari, in quanto la terza si può esprimere in termini delle altre due.

All’inizio del XX secolo la generalità dell’insiemistica permise di riscrivere in termini di insiemi


e operazioni su di essi tutta la matematica sino ad allora conosciuta. I risultati sulle operazioni
tra gli insiemi sono fondamentali anche per l’algebra booleana, che tratta solo variabili binarie
che possono valere 0 o 1, e per l’informatica, in cui le porte logiche costruite con i transistor
realizzano fisicamente le operazioni di complemento e di unione o intersezione sulle variabili
binarie.

Matematica
Unione L’unione tra due o più insiemi è un
insieme composto da tutti gli elementi che ap-
partengono ad almeno uno degli insiemi. L’u-
nione logicamente corrisponde alla congiun-
zione o e matematicamente all’addizione.
L’unione viene indicata con il simbolo ∪: A ∪
B = {x|x ∈ A o x ∈ B}.
Ad esempio l’unione tra l’insieme A dei pri-
mi due numeri pari e l’insieme B dei pri-
mi cinque numeri interi positivi è l’insieme Figura 1.3: L’unione di due insiemi
A ∪ B = {1, 2, 3, 4, 5}. Si deduce che se uno consiste in tutti gli elementi che ap-
partengono almeno ad uno dei due
dei due insiemi è sottoinsieme dell’altro, come insiemi.
nel caso considerato in cui si ha A ⊂ B, allora
l’unione coincide con l’insieme maggiore: nel
nostro caso A ∪ B = B.
L’unione gode della proprietà commutativa,
ovvero scambiando l’ordine degli insiemi il
risultato non cambia: A ∪ B = B ∪ A.
Intersezione L’intersezione tra due o più in-
siemi è un insieme composto da tutti gli ele-
menti comuni, ovvero dagli elementi che ap-
partengono contemporaneamente a tutti gli
insiemi di cui si calcola l’intersezione. Logica-
mente corrisponde alla congiunzione e e mate-
maticamente alla moltiplicazione. L’interse- Figura 1.4: L’intersezione di due insie-
zione viene indicata con il simbolo ∩: A ∩ B = mi consiste negli elementi comuni ai due
{x|x ∈ A e x ∈ B}. insiemi.
330 Insiemi numerici e operazioni

Ad esempio l’intersezione tra i due insiemi A e B usati per illustrare l’unione è A ∩ B =


{2, 4}. Si deduce che A ⊂ B ⇒ A∩B = A, ovvero se uno dei due insiemi è sottoinsieme
dell’altro l’intersezione tra i due coincide con l’insieme minore. Gli insiemi disgiunti
sono quelli che per intersezione hanno l’insieme vuoto ∅, ovvero non hanno elementi
in comune.
L’intersezione gode della proprietà commutativa, ovvero scambiando l’ordine degli
insiemi il risultato non cambia: A ∩ B = B ∩ A.

Differenza La differenza tra due insiemi è un


insieme composto dagli elementi del primo in-
sieme che non appartengono anche al secon-
do. Logicamente corrisponde alla congiunzio-
ne tranne e matematicamente alla sottrazio-
ne. La differenza tra due insiemi viene indicata
con lo stesso simbolo della differenza tra nu-
meri, il comune meno −, o con il simbolo r:
A r B = {x|x ∈ A e x ∈ / B}.
Insiemi

Ad esempio la differenza tra i due insiemi A Figura 1.5: La differenza tra A e B


consiste negli elementi di A che non
e B degli esempi precedenti è A r B = ∅. Si appartengono anche a B.
deduce che se il primo insieme è sottoinsieme
del secondo la differenza coincide con l’insieme
vuoto ∅.
La differenza non gode della proprietà commu-
tativa, infatti cambiando ordine degli insieme
l’insieme risultato è composto da elementi di-
versi. Per tornare all’esempio con A e B si ha
infatti B r A = {1, 3, 5}.
Complemento Per definire il complemento
X di un insieme X occorre prima specifica-
re l’insieme universo U . Si definisce comple-
mento la differenza tra l’insieme universo e
l’insieme scelto: X = U r X. Logicamente il
complemento corrisponde alla negazione non:
X = {x|x ∈ / X}.
Figura 1.6: Il complemento di A coinci-
Si noti che il complemento del complemento di de con la differenza tra l’insieme universo
X coincide con X: X = X, ovvero una doppia U e A.
negazione afferma.

Le leggi di de Morgan per l’algebra booleana consentono di trasformare unioni di variabili


binarie in intersezioni e viceversa sfruttando il complemento e grazie ad esse con due sole
porte logiche si costruiscono circuti di elevata complessità. Le due leggi sono le seguenti:
A ∩ B = A ∪ B e A ∪ B = A ∩ B. In italiano si esprimono dicendo rispettivamente che
il complemento dell’intersezione è uguale all’unione dei complementi e che il complemento
dell’unione è uguale all’intersezione dei complementi.
Matematica 331

1.4 Prodotto cartesiano

Si definisce prodotto cartesiano tra due insiemi, non necessariamente distinti, l’insieme
formato da tutte le coppie ordinate in cui il primo elemento appartiene al primo
insieme e il secondo al secondo insieme: A × B = {(a, b)|a ∈ A, b ∈ B}. Poiché si
parla di coppie ordinate il prodotto cartesiano non gode della proprietà commutativa,
ovvero A × B 6= B × A, infatti B × A = {(b, a)|b ∈ B, a ∈ A}.

Se A è un insieme finito composto da m elementi e B è un insieme finito costituito da


n elementi allora il prodotto cartesiano A × B è un insieme finito composto da m · n
elementi. Se almeno uno dei due insiemi A o B è infinito anche A × B e B × A lo sono.
Un esempio di prodotto cartesiano è rappresentato dai punti del piano cartesiano. Se si
usano due rette perpendicolari orientate su cui è stata individuata la stessa unità e in
corrispondenza di ogni distanza dalla loro intersezione (detta origine) pari a un multiplo
dell’unità si assegna un numero intero si ha un piano cartesiano. Tracciando rette verticali

Matematica
che partono dai punti individuati sull’asse orizzontale e rette orizzontali che partono
dai punti dell’asse verticale in corrispondenza di ogni intersezione si determinano punti
del piano che rappresentano proprio gli elementi del prodotto cartesiano. Il punto di
coordinate (1, 2) è diverso dal punto (2, 1) proprio perché l’ordine conta.

1.5 Relazioni tra insiemi

Figura 1.7: Rappresentazione di una relazione tra due


insiemi disgiunti e della relazione inversa.

Se è possibile associare ad elementi di un insieme A elementi di un insieme B attraverso


una certa proprietà allora si dice che i due insiemi A e B sono in relazione e si scrive
A R B. Se ciò non è possibile si scrive A R6 B.
Una relazione R tra l’insieme A e l’insieme B è un sottoinsieme del prodotto cartesiano
tra A e B: A R B ⊂ A×B. Se a R b, b è chiamato immagine di a tramite R e a è detto
controimmagine di b. Il sottoinsieme di A formato dagli elementi a ∈ A che sono in
relazione con elementi b ∈ B è detto dominio della relazione R, mentre il sottoinsieme
di B formato dagli elementi b ∈ B che sono corrispondenti tramite R di elementi a ∈ A
è chiamato insieme immagine.
332 Insiemi numerici e operazioni

Per ogni relazione tra due insiemi A R B esiste sempre una relazione inversa R−1
tra gli insiemi B ed A definita nel modo seguente: b R−1 a ⇔ a R b. Ad esempio se si
stabilisce una relazione tra l’insieme dei colori dell’arcobaleno e quello costituito dagli
aggettivi caldo e freddo, si ha una relazione diretta che ad un colore associa il relativo
aggettivo (ad esempio il rosso è un colore caldo) e la relazione inversa che all’aggettivo
associa i colori (ad esempio sono colori freddi il verde, il blu, l’indaco e il viola).

Il simbolo R−1 non significa in alcun modo 1/R come se fosse un esponente negativo!

Le relazioni tra due insiemi possono essere rappresentate ricorrendo ai diagrammi di


Eulero-Venn per gli insiemi e a frecce che connettono elementi del primo insieme a
elementi del secondo insieme. In tal caso la freccia indica la relazione.
Poiché nel prodotto cartesiano non è necessario che i due insiemi siano distinti, si
può avere anche una relazione tra un insieme e se stesso, possibilità realizzata spesso
negli insiemi numerici. Le relazioni tra un insieme e se stesso godono di particolari
proprietà:
Insiemi

Riflessiva Se ogni elemento a ∈ A è in relazione con se stesso R è detta riflessiva:


R ⊆ A × A è riflessiva se ∀a ∈ A a R a. Ad esempio se si considera l’insieme degli
esseri umani e come relazione l’omonimia si ha che ognuno è omonimo di se stesso.

Antiriflessiva Se nessun elemento a ∈ A è in relazione con se stesso R è detta


antiriflessiva: R ⊆ A × A è antiriflessiva se ∀ a ∈ A a 6 R a. Ad esempio se si
considera l’insieme degli esseri umani e come relazione l’essere genitore si ha che
nessuno è genitore di se stesso.

Simmetrica Se per ogni elemento a ∈ A in relazione con un elemento b ∈ A si ha


che anche b è in relazione con a R è detta simmetrica: R ⊆ A × A è simmetrica se
∀a, b ∈ A a R b ⇒ b R a. Ad esempio se si considera l’insieme degli esseri umani e
come relazione l’essere fratello/sorella si ha che se una persona è fratello/sorella
di un’altra allora anche la seconda è fratello/sorella della prima.

Antisimmetrica Se per ogni elemento a ∈ A in relazione con un elemento b ∈ A


il fatto che anche b è in relazione con a R implica che i due elementi coincidono R
è detta antisimmetrica: R ⊆ A × A è antisimmetrica se ∀a, b ∈ A a R b e b R a ⇒
a = b. Un esempio semplice per illustrare questa proprietà si ha se si considera
l’insieme delle altezze degli alberi di un parco e come relazione il non essere
maggiore: si ha che se l’altezza di un albero non è maggiore di quella di un altro
e viceversa le due altezze devono coincidere.

Transitiva Se per ogni elemento a ∈ A in relazione con un elemento b ∈ A e b


è in relazione con c ∈ A si che anche a è in relazione con c R è detta transitiva:
R ⊆ A × A è transitiva se ∀a, b, c ∈ A a R b e b R c ⇒ a R c. Ad esempio se si
considera l’insieme degli esseri umani e come relazione l’essere fratello/sorella si
ha che se una persona è fratello/sorella di una seconda e questa a sua volta è
ancora fratello/sorella di una terza allora anche la prima è fratello/sorella della
terza.
Matematica 333

Una relazione che gode delle proprietà riflessiva, simmetrica e transitiva è detta relazio-
ne di equivalenza. Gli elementi x di un insieme A che sono in relazione di equivalenza
con un certo elemento a costituiscono un sottoinsieme di A chiamato classe di equiva-
lenza. L’insieme delle classi di equivalenza di un insieme A rispetto alla relazione R è
chiamato insieme quoziente, si indica con A/R e costituisce una partizione di A.

Ad esempio nell’insieme degli esseri umani se si considera la relazione avere lo stesso


cognome è semplice verificare che è una relazione di equivalenza.

Una relazione che gode delle proprietà simmetrica, antiriflessiva e transitiva è detta re-
lazione d’ordine. Ne sono un esempio le relazioni maggiore o uguale e minore o uguale
definite negli insiemi numerici. Se la relazione gode solo delle proprietà antiriflessiva e
transitiva è detta relazione d’ordine stretto, come ad esempio il maggiore o il minore.

Matematica
Le relazioni d’ordine consentono di stabilire un ordinamento tra gli elementi di un
insieme, come accade ad esempio ai nominativi di un elenco telefonico ordinati alfabe-
ticamente.

1.6 Numeri naturali


L’insieme che oggi indichiamo con il termine numeri
è in realtà un’entità astratta che ha subito uno svi-
luppo storico in base alle necessità pratiche o teo-
riche della società umana. Se i primi numeri erano
quelli indicati dalle dita, man mano che venivano
proposti problemi più complessi nasceva l’esigenza
di estendere il concetto di numero. Gli ampliamenti
hanno sempre rispettato il principio in base al qua-
le un’operazione aritmetica introdotta in un insieme
più esteso deve avere le stesse proprietà possedute Figura 1.8: I numeri naturali vengono
in un sottoinsieme numerico. definiti attraverso classi di insiemi con la
stessa cardinalità.

Sebbene sia un concetto intuitivo, quello di numero naturale non è un concetto primitivo
in matematica. La sua definizione è anzi piuttosto complessa e si basa sulla teoria degli
insiemi e sugli assiomi di Peano. In tale ottica un numero naturale può essere definito
come una classe di equivalenza di insiemi che hanno la stessa cardinalità.
Per i nostri scopi seguendo gli assiomi di Peano cominciamo con l’assumere l’esistenza
di un numero naturale e chiamiamolo unità 1. Definiamo quindi l’insieme dei numeri
naturali N come l’insieme costituito dall’unità e da tutti i numeri ottenibili aggiungendo
all’unità se stessa un certo numero di volte.

L’insieme dei naturali è allora N = {1, 2, 3, 4, 5, . . . } ovvero è costituito dai numeri


interi positivi. Qualche testo include nei naturali anche lo zero 0, indicando con N i
numeri interi non negativi. I numeri naturali sono infiniti.
334 Insiemi numerici e operazioni

1.7 Numeri interi relativi

Utilizzando la stessa struttura algebrica dei numeri naturali e replicandola si ottengono


i numeri interi o relativi Z. L’insieme dei relativi è definito come l’insieme dei numeri
naturali unito allo zero e ai numeri naturali preceduti dal segno meno −.

In tal modo i naturali sono anche chiamati interi positivi e costituiscono un sottoinsieme
dei relativi: N ⊂ Z. Il complemento a N rispetto a Z costituisce gli interi negativi cui
va unito lo zero 0.
Occorre fare attenzione: gli interi positivi sono i numeri in N, gli interi non negativi
sono i naturali e lo zero 0. Allo stesso modo gli interi negativi sono i numeri dell’insieme
{−1, −2, −3, . . . }, mentre gli interi non positivi sono costituiti da {0, −1, −2, −3, . . . }
Il simbolo Z0 indica tutti i numeri relativi ad esclusione dello zero, cioè l’unione degli
interi positivi e negativi. Con il simbolo Z+ si intendono gli interi positivi, con il simbolo
Z− gli interi negativi.

I numeri relativi sono infiniti.


Insiemi

1.8 Numeri razionali e frazioni

Utilizzando le strutture algebriche di N e Z si definiscono i numeri razionali Q, an-


che detti razionali relativi. I numeri razionali sono tutti quei numeri esprimibili come
rapporto tra un intero e un naturale: Q = {m/n, ∀ m ∈ Z, ∀ n ∈ N}. In termini più
comprensibili sono razionali tutti quei numeri esprimibili come frazioni o che convertiti
in notazione decimale (descritta nella sezione 1.20) hanno un numero finito di cifre non
nulle dopo la virgola o hanno infinite cifre decimali con alcune di esse che si ripetono
all’infinito (numeri periodici).

Il numero intero che compone il razionale viene detto numeratore N , il numero na-
turale è chiamato denominatore D. Se N ∈ N si introduce una classificazione delle
frazioni: per N > D si ha una frazione impropria, cioè un razionale maggiore dell’u-
nità; per N < D si ha una frazione propria, cioè un razionale minore dell’unità; per
N = D si ha l’unità che è una frazione apparente. Ogni volta che N è un multiplo
di D si ha una frazione apparente, concetto estensibile anche a numeratori relativi.
Il motivo per il quale D ∈ N piuttosto che D ∈ Z è che in tal modo si esclude
la possibilità di dividere per zero. Il risultato di questa procedura tenderebbe infatti
ad infinito ∞, che rappresenta un valore limite ma non un numero. Motivo per il
quale spesso si legge che non si può dividere per zero, che la divisione per zero è
impossibile.

Frazioni che hanno come risultato lo stesso razionale si dicono equivalenti e costituisco-
no una classe di equivalenza. Le classi di equivalenza definite in tal modo costituiscono
l’insieme dei numeri razionali assoluti QA .

I numeri razionali relativi e i razionali assoluti sono infiniti.


Matematica 335

Dalla definizione dei relativi si ha che poiché tra di essi si trovano tutte le frazioni im-
proprie Q ammette come sottinsiemi propri sia N che Z. Con il simbolo Q+ si intendono
i razionali positivi, con il simbolo Q− i razionali negativi.

1.9 Numeri reali

Si definisce l’insieme dei numeri reali R l’unione dei numeri razionali Q con i numeri
irrazionali I. Questi ultimi sono i numeri che non possono essere espressi come frazioni,
ovvero che in notazione decimale hanno infinite cifre a destra della virgola senza che
queste formino una sequenza che si ripete all’infinito.

Gli irrazionali vengono anche definiti come elementi separatori tra due classi contigue
di razionali con l’assioma di continuità di Dedekind.

Matematica
Due classi contigue sono due insiemi di razionali tali che ogni elemento del primo insieme è
minore di ogni elemento del secondo insieme. Ad esempio la classe di razionali il cui quadrato
è maggiore di 2 e quella di razionali il cui√quadrato è minore di 2 hanno come unico elemento
separatore proprio il numero irrazionale 2.

Sono irrazionali sia numeri trascen-


denti come π, il numero di Nepero e
sia numeri algebrici come molte ra-
dici √
√ (descritte
√ nella sezione 3.1) quali
2, 3 e 5. L’insieme dei reali con-
tiene come sottoinsiemi N, Z, Q e I.
Gli ultimi due sono uno il complemen-
to dell’altro rispetto ai reali: I = Q.
Nel resto del testo quando si userà il
termine numeri ci si riferirà ai reali.
Con il simbolo R+ si intendono i Figura 1.9: I naturali sono contenuti negli interi che sono
reali positivi, con il simbolo R− i reali contenuti nei razionali che sono contenuti nei reali.
negativi.

1.10 Rappresentazione della retta dei reali e ordinamento


L’assioma della completezza di Dedekind consente di rappresentare i numeri reali con
una retta orientata, ovvero una retta su cui si sia scelta una direzione privilegiata. Per
convenzione il verso prescelto per la retta dei reali è quello destro. Si scelga un punto
a caso della retta e lo si indichi con lo 0. Si scelga poi la lunghezza di un segmento
unitario e riportandola a destra dello 0 si determini dove cade il punto denominato 1.
A partire dal punto 1 tutti gli altri punti che si ottengono riportando ancora il seg-
mento di lunghezza unitaria facendo in modo che il suo estremo di sinistra coincida con
l’ultimo punto tracciato rappresentano i numeri naturali N. Dato un numero naturale,
il naturale che si ottiene spostandosi ancora a destra di un’unità si chiama successivo.
336 Insiemi numerici e operazioni

Quello da cui si è partiti è il precedente di


quello cui si arriva.
Se si ripete la stessa operazione nella se-
miretta che si trova a sinistra dello 0 tutti
i punti cosı̀ ottenuti sono gli interi negativi,
che insieme ai punti precedenti rappresentano
i numeri relativi Z. Figura 1.10: Rappresentazione dei numeri reali
Se invece del segmento unitario si prende attraverso una retta orientata.
solo una sua parte, ad esempio suddividendolo in 5 segmenti congruenti si prende solo
la lunghezza corrispondente a due di questi segmenti posti consecutivamente, si ottiene
una frazione, in questo caso 2/5. Ripetendo il procedimento scegliendo un numero
arbitrario di suddivisioni e prendendone consecutivamente un numero ancora arbitrario
si ottengono tutti i razionali Q. Questi saranno positivi o negativi a seconda che siano
a destra o a sinistra dello zero.
Tra due numeri relativi sono compresi infiniti razionali, ciononostante si ha ancora
un’infinità di punti della retta che non sono stati selezionati con le procedure descritte
in precedenza. Tra ogni coppia di razionali, infatti, sono compresi infiniti numeri ir-
razionali. Selezionando anche questi in aggiunta ai punti corrispondenti ai razionali si
Insiemi

ottengono tutti i punti della retta: la retta è una rappresentazione dei reali R.

La retta dei reali consente anche di visualizzare rapidamente e in modo certo


l’ordinamento dei numeri: un numero è maggiore di un altro se si trova più a de-
stra nella retta, mentre è minore se si trova più a sinistra. Ciò consente di evitare
confusioni nei confronti tra numeri con segni negativi.

Dalla rappresentazione ci si può anche convincere della veridicità dell’affermazione che


Q è denso in R: la distanza tra un qualsiasi punto che rappresenta un numero reale e il
più vicino punto razionale è sempre molto piccola, ovvero che si può approssimare
un reale con un razionale con la precisione voluta.
Nonostante Q sia denso in R la maggior parte dei reali è costituita da irrazionali.
Oltre a N anche Z e Q sono infatti insiemi numerabili, ovvero possono essere messi in
corrispondenza biunivoca (si veda la sezione 5.4) con N, al contrario di I. La numera-
bilità è associata al fatto di avere misura nulla: sebbene infiniti i razionali sono come
una goccia nel mare dei reali.

La rappresentazione dei reali tramite retta orientata consente anche di carpire il senso
della definizione di modulo di un numero. Si definisce modulo o valore assoluto |x|
di un reale x ∈ R il numero privo di segno, ovvero il numero stesso se questo è positivo
o il suo opposto se è negativo.
Nella rappresentazione il modulo di un numero rappresenta la distanza tra il punto
corrispondente al numero e lo zero. Poiché la distanza è una quantità sempre positiva
e non varia se viene percorsa in un verso o in un altro si arguisce perché due numeri
opposti hanno lo stesso valore assoluto: i loro punti corrispondenti hanno la stessa
distanza dallo zero.
Matematica 337

(
x, se x ≥ 0
(1.1) |x| = .
−x, se x < 0

Anche il modulo consente di confrontare numeri reali secondo le seguenti regole:

Se due numeri sono discordi, ovvero hanno segni opposti, il numero positivo è
sempre maggiore di quello negativo.

Se due numeri sono positivi, il numero con il modulo maggiore è maggiore


dell’altro.

Se due numeri sono negativi, il numero con il modulo minore è maggiore dell’al-
tro.

1.11 Operazioni sugli insiemi numerici

Matematica
Un’operazione binaria interna su un insieme numerico è una legge di composizione
interna che agisce su coppie di valori dell’insieme e restituisce come risultato ancora
un valore dell’insieme. Se il risultato non è un elemento dell’insieme allora l’operazione
è esterna.

Le quattro usuali operazioni di addizione


(simbolo +), sottrazione (simbolo −), mol-
tiplicazione (simbolo ·) e divisione (simbolo :
o /) ad esempio sono operazioni binarie defi-
nibili nel prodotto cartesiano R × R e a valori
in R e sono tutte e quattro interne a pat-
to che per la divisione si restringa il dominio
a R × R0 ovvero si escluda la possibilità di
dividere per 0. Figura 1.11: Rappresentazione geometrica di
In altri termini +, − e · sono leggi di somma e sottrazione.
composizione interna in R, mentre : lo è in
R0 .

La caratteristica di essere interna o meno di un’operazione dipende sia dalla corrispondenza


che la definisce sia dal dominio e dall’immagine. Variando anche uno solo di questi tre elementi
la proprietà può cambiare. Ad esempio la sottrazione non è interna in N perché se il numero
che si sottrae (sottraendo) è maggiore del primo numero (minuendo) la differenza è negativa,
ovvero non è un numero naturale. La stessa operazione definita in Z, Q o R è interna.
La divisione è interna solo in Q o R, non lo è in N o Z.

Addizione e moltiplicazione sono interne in tutti e quattro gli insiemi numerici, inoltre
le loro proprietà sono fortemente simmetriche.
338 Insiemi numerici e operazioni

1.11.1 Addizione
L’addizione è l’operazione che agendo su numeri, chiamati addendi, fornisce come
risultato un numero chiamato somma. È caratterizzata dalle seguenti proprietà:
Elemento neutro È definito come quell’elemento e che aggiunto ad un numero
qualsiasi x dà come risultato il numero stesso: x+e = x. Per l’addizione l’elemento
neutro è 0.

Elemento inverso È definito come quell’elemento x0 che aggiunto ad un numero


qualsiasi x dà come risultato l’elemento neutro e: x0 + x = e. Per l’addizione
l’inverso di un numero x coincide con il suo opposto −x, infatti si ha x + (−x) =
x − x = 0.
Proprietà commutativa Cambiando l’ordine degli addendi la somma non cam-
bia: ∀a, b ∈ R a + b = b + a. Ad esempio 2 + 3 = 3 + 2 = 5.
Proprietà associativa Associando (cioè mettendo insieme) addendi in modi
diversi la somma non cambia: ∀a, b, c ∈ R a + b + c = a + (b + c). Ad esempio
2 + 3 + 4 = 2 + (3 + 4) = 9.
Insiemi

1.11.2 Moltiplicazione
La moltiplicazione è l’operazione che agendo su numeri, chiamati fattori, fornisce come
risultato un numero chiamato prodotto. È caratterizzata dalle seguenti proprietà:
Elemento neutro È definito come quell’elemento e che moltiplicato per un nu-
mero qualsiasi x dà come risultato il numero stesso: x·e = x. Per la moltiplicazione
l’elemento neutro è 1.

Elemento inverso È definito come quell’elemento x0 che moltiplicato per un


numero qualsiasi x dà come risultato l’elemento neutro e: x0 · x = e. Per la
moltiplicazione l’inverso di un numero x coincide con il suo reciproco 1/x, infatti
si ha (1/x) · x = x/x = 1.
Proprietà commutativa Cambiando l’ordine dei fattori il prodotto non cambia:
∀a, b ∈ R a · b = b · a. Ad esempio 2 · 3 = 3 · 2 = 6.
Proprietà associativa Associando (cioè mettendo insieme) fattori in modi di-
versi il prodotto non cambia: ∀a, b, c ∈ R a · b · c = a · (b · c). Ad esempio
2 · 3 · 4 = 2 · (3 · 4) = 24.

La moltiplicazione è un modo più veloce per eseguire un’addizione: moltiplicare un


numero per un altro vuol dire aggiungere il primo numero a se stesso un numero di
volte pari al secondo numero. Ad esempio 5 · 3 = 5 + 5 + 5.

Quando in un insieme sono definite due leggi di composizione interna, ad esempio sia
l’addizione che la moltiplicazione, si parla di proprietà proprietà distributiva se in
un’espressione con termini comprendenti sia un prodotto che una somma, ad esempio
2 · (3 + 5), si può distribuire il prodotto sui termini della somma nel modo seguente:
2 · (3 + 5) = 2 · 3 + 2 · 5.
Matematica 339

1.11.3 Somma algebrica


La sottrazione è definita tramite l’addizione e la divisione tramite la moltiplicazione. In
realtà queste due operazioni non sono necessarie una volta che si è ampliato l’insieme
numerico fino ai reali. Dai relativi in poi, infatti, la somma può essere estesa alla somma
algebrica e quindi una sottrazione coincide con una somma algebrica.

Si definisce somma algebrica di numeri l’addizione di numeri sia positivi che negativi. La
differenza viene quindi inglobata nella somma algebrica: sottrarre un numero equivale
ad aggiungere il suo opposto.

Nel seguito con il termine somma (o addizione) si intenderà sempre la somma al-
gebrica. Per orientarsi meglio nelle addizioni e sottrazioni di numeri relativi può essere
utile ricorrere alla rappresentazione dei reali. Aggiungere un numero positivo equivale a
uno spostamento verso destra, aggiungere un numero negativo (cioè sottrarre) equivale
a uno spostamento verso sinistra.

Matematica
Se si deve eseguire una somma algebrica tra due numeri si può sempre immaginare di
avere uno zero prima del primo numero e applicare gli spostamenti verso destra o sinistra
a seconda che ogni numero sia preceduto rispettivamente da segno positivo o negativo.
Quando un numero non è preceduto da alcun segno si sottintende il segno +.
Se in una somma algebrica si hanno due segni vicini è necessario che il secondo numero
insieme al suo segno sia posto tra parentesi tonde. I due segni vicini vanno convertiti
in un unico segno seguendo la regola dei segni: se i segni sono concordi (uguali) si
sostituiscono entrambi con un unico segno +, se sono discordi (opposti) si sostituiscono
entrambi con un unico segno −.
Ad esempio in Z si hanno i seguenti casi:

2 + 3 = +5 , 2 + (−3) = +2 − 3 = −1 , 2 − (−3) = +2 + 3 = +5
(1.2)
−2 − 3 = −5 , −2 − (−3) = −2 + 3 = +1 , −2 + (−3) = −2 − 3 = −5.

1.11.4 Divisione e moltiplicazione tra frazioni


Dai razionali in poi il rapporto tra due numeri coincide con il prodotto del primo per
il reciproco del secondo. Ad esempio 6 : 3 = 6 · (1/3) = 6/3 = 2. Quando nel seguito
si parlerà di dividere per un numero si intenderà sempre la moltiplicazione per il suo
reciproco.

Poiché le frazioni altro non sono che numeri razionali, la divisione di un numero intero
per una frazione equivale al prodotto del numero per il reciproco della frazione e allo
stesso modo la divisione tra due frazioni equivale al prodotto della prima per l’inverso
della seconda. La divisione tra una frazione e un intero equivale al prodotto tra la
frazione e il reciproco del numero. Si può anche immaginare un numero intero come
una frazione che abbia 1 al denominatore e ricordare solo le procedure relative alle
frazioni.
340 Insiemi numerici e operazioni

Illustriamo alcuni esempi ricordando che nel prodotto tra due frazioni si moltiplica il
numeratore dell’una con il numeratore dell’altra e il denominatore della prima con il
denominatore della seconda.
2 4 3 4·3 12
4: = 2 =4· = = =6
3 3
2 2 2
8
8 2 9 8 3 8·3 24 4
(1.3) : = 2 = · = = =
9 3 3
9 2 9·2 18 3
2
2 3 2 1 2·1 2 1
:4= = · = = = .
3 4 3 4 3·4 12 6

1.11.5 Strutture algebriche


Un insieme dotato di una legge di composizione interna che gode della proprietà associa-
tiva è detto semigruppo. Se l’operazione ammette elemento neutro allora la struttura
algebrica è detta monoide. Se ad ogni elemento è associabile un elemento inverso al-
lora si parla di gruppo. Se l’operazione gode della proprietà commutativa le rispettive
strutture algebriche sono dette abeliane o commutative.
Insiemi

Se un insieme A è dotato di due operazioni, ad esempio + e ·, si hanno strutture


algebriche più ricche. Se l’insieme è un gruppo abeliano per +, un semigruppo per
· e vale la proprietà distributiva allora si ha un anello (A, +, ·). Se A è un gruppo
abeliano rispetto a + e A0 è un gruppo rispetto a · si ha un corpo. Se infine A è un
gruppo abeliano per + e A0 lo è per · e vale la proprietà distributiva si parla di campo
(A, +, ·).
I razionali e i reali con le operazioni di addizione e moltiplicazione sono campi.

1.12 Procedure di calcolo


Grazie a quanto esposto nella sezione precedente per eseguire calcoli aritmetici ba-
sta usare le proprietà di addizione e moltiplicazione e convertire in esse sottrazione e
divisione. Occorre inoltre ricordare le seguenti regole e procedure:

Priorità nelle operazioni Normalmente le operazioni vanno eseguite proce-


dendo da sinistra verso destra. La moltiplicazione (e la divisione) ha la preceden-
za rispetto all’addizione (e alla sottrazione). Grazie alle proprietà commutative
se si hanno successioni di somme o di prodotti queste possono venire eseguite
nell’ordine che si preferisce.
Se vi sono parentesi occorre prima eseguire l’operazione tra parentesi e poi tornare
alla normale priorità da sinistra a destra. Se vi sono parentesi annidate bisogna
procedere risolvendo prima le operazioni nelle parentesi più interne, poi passare
a quelle via via più esterne fino a tornare alla normale priorità.

Moltiplicazione e divisione per l’unità Moltiplicare o dividere per 1 non


cambiano il valore di un numero.

Regola dei segni Se si ha il prodotto (o il rapporto) tra due numeri il risultato è


positivo se i due numeri sono concordi, ovvero se hanno lo stesso segno; negativo
se sono discordi, ovvero hanno segno opposto. La stessa regola vale nelle somme
Matematica 341

algebriche quando si trovano due segni vicini.


 
−2 2 2 2 −2 2
(1.4) = =− = =− − .
3 −3 3 3 −3 3

Principio di annullamento del prodotto Se si ha una successione di fattori


e almeno uno di questi è 0 il prodotto finale è 0.
Operazioni apparenti Se in una somma algebrica si aggiunge e sottrae lo stesso
numero il risultato non cambia perché è come aggiungere 0 che è l’elemento
neutro dell’addizione. Allo stesso modo se un prodotto (quindi anche una frazione)
viene moltiplicato e diviso per lo stesso numero il risultato non cambia perché è
come moltiplicare per 1 che è l’elemento neutro della moltiplicazione. Ad esempio
−5 + 3 − 3 = −5 e −5 · (4/4) = −5.
Proprietà invariantiva Se in un’uguaglianza si esegue la stessa operazione ai
due lati dell’uguale, cioè al membro sinistro e al membro destro dell’uguaglian-
za, l’espressione risultante è ancora un’uguaglianza. Su tale proprietà si basa la
risoluzione delle equazioni di primo grado.

Matematica
La proprietà distributiva se viene letta da destra a sinistra coincide con la regola di
scomposizione chiamata raccoglimento a fattor comune totale. Questa proprietà è inoltre
estremamente utile quando usata insieme all’associativa per eseguire moltiplicazioni di
numeri a due cifre senza necessità di ricorrere alla calcolatrice.
Si ricordi infatti che moltiplicare per 10 equivale ad aggiungere uno zero a destra di un
numero intero o a spostare di un posto a destra la virgola di un numero decimale. Quindi
moltiplicare un intero per 30, ad esempio, equivale a moltiplicare per 3 e poi aggiungere
uno 0 a destra.
Se si vogliono moltiplicare due numeri grandi basta usare la proprietà associativa in senso
inverso (in tal modo è chiamata proprietà dissociativa) sul numero più prossimo a una
decina e poi sfruttare la distributiva: cosı̀ un prodotto si trasforma in una somma che è
usualmente più semplice da calcolare a mente.

21 · 13 = (20 + 1) · 13 = 20 · 13 + 1 · 13 = 260 + 13 = 273


(1.5) 17 · 32 = 17 · (30 + 2) = 17 · 30 + 17 · 2 = 510 + 34 = 544
38 · 45 = (40 − 2) · (45) = 40 · 45 − 2 · 45 = 1800 − 90 = 1710.
Nell’ultima espressione per calcolare 40 · 45 si è sfruttato il fatto che 4 è il doppio di 2.
Se quindi si riesce a calcolare agevolmente che 45·2 = 90 dev’essere 45·4 = 90·2 = 180.
Aggiungendo un ulteriore 0 perché si ha in realtà 40 il conto è concluso.

Impratichirsi nello svolgere calcoli corretti a mente e in poco tempo è solo questione
di allenamento e del ricorso a tutti i trucchi possibili per semplificarsi la vita. Se si
provasse a eseguire due prodotti di numeri a due cifre al giorno, in un paio di settimane
si raggiungerebbe un buon livello di competenza, il che assicura una marcia in più
nell’affrontare i quesiti e una maggiore sicurezza nei confronti della matematica in
generale.
342 Insiemi numerici e operazioni

1.13 Multipli, divisibilità e numeri primi


In N e in Z sono molto utili le seguenti definizioni, estensibili a tutto R.

Un numero x è multiplo di un altro numero y quando x = n · y con n ∈ Z0 . Se x è


multiplo di y allora si dice che x è divisibile per y, cioè che il loro rapporto è pari a un
intero: x/y = n.

Se un numero non è divisibile per un altro, allora il risultato della divisione (che è
chiamato non solo rapporto, ma anche quoto o quoziente) non è un intero e la parte
decimale del risultato è detta resto della divisione. In tal caso la divisione non è esatta.
Ogni numero è comunque divisibile per se stesso, caso in cui il rapporto vale 1, o per
l’unità, caso in cui il rapporto coincide con il numero di partenza.

Un naturale divisibile soltanto per se stesso e per l’unità è detto numero primo. I
numeri primi minori sono 2, 3, 5, 7, 11, 13, . . .
Insiemi

Stabilire se un numero è divisibile per un numero primo è molto utile ai fini della
semplificazione dei calcoli, soprattutto nei prodotti tra frazioni. A tal fine sono stati
elaborati alcuni criteri che consentono di stabilire quando un numero è divisibile per
altri numeri. I criteri di divisibilità più utili sono i seguenti:

Divisibilità per 2 Un numero intero è divisibile per 2 quando è pari, ovvero


quando termina per una delle seguenti cifre: 0, 2, 4, 6, 8. Ad esempio sono divisibili
per 2 i numeri 100, −746 e 3292.

Divisibilità per 3 Un numero intero è divisibile per 3 quando la somma delle


sue cifre è un multiplo di 3, cioè appartiene alla tabellina del 3. Ad esempio sono
divisibili per 3 i numeri 960, −8043 e 147.

Divisibilità per 5 Un numero intero è divisibile per 5 quando termina per una
delle seguenti cifre: 0, 5. Ad esempio sono divisibili per 5 i numeri 765, −6090 e
185.

Un numero può essere divisibile contemporaneamente per più numeri. Se si vuole


determinare quanti naturali minori di un certo numero M sono divisibili contempo-
raneamente per un certo set di numeri basta moltiplicare tra loro i divisori e dividere
M per il risultato: la parte intera del quoziente rappresenta la risposta.

1.14 Potenze e loro proprietà


La potenza è un’operazione che agendo su un numero ne restituisce un altro come
risultato. È un modo più veloce di eseguire un prodotto: la potenza ennesima di un
numero, infatti, equivale a moltiplicare il numero per se stesso n volte.
Matematica 343

∀a ∈ Q+ n
0 , ∀n ∈ Z0 si definisce potenza di base a ed esponente n il numero a definito
come a · a · a · . . . · a n volte.

L’estensione del concetto di potenza con esponente razionale verrà data nel capitolo 3.
∀a, b ∈ Q+0 , ∀m, n ∈ Z0 valgono le seguenti importanti proprietà, la cui padronanza
facilita molto i calcoli:

Prodotto di potenze con la stessa base Il prodotto di due potenze che hanno
la stessa base è una potenza con ancora la stessa base e con esponente la somma
degli esponenti: am · an = am+n . Ad esempio 25 · 23 = 28 .

Rapporto di potenze con la stessa base Il rapporto di due potenze che


hanno la stessa base è una potenza con ancora la stessa base e con esponente la
differenza degli esponenti: am : an = am−n . Ad esempio 25 : 23 = 22 .

Potenza di potenza La potenza di una potenza è ancora una potenza con la

Matematica
stessa base e con esponente il prodotto degli esponenti: (am )n = am·n . Ad esempio
(23 )4 = 212 .

Potenza con esponente nullo Una potenza con base non nulla ed esponente
nullo vale 1: a0 = 1. Ad esempio 1760 = 1.

Potenza con esponente negativo Una potenza con esponente negativo equi-
vale a una frazione avente 1 al numeratore e la stessa potenza ma con esponente
positivo al denominatore: a−m = 1/(am ). Ad esempio 2−3 = 1/(23 ). Con le fra-
zioni si ha che la potenza negativa equivale ad avere stesso esponente ma come
base il reciproco della base: (3/7)−4 = (7/3)4 .

Prodotto di potenze con lo stesso esponente Il prodotto di due potenze


con lo stesso esponente è una potenza che ha ancora lo stesso esponente e come
base il prodotto delle basi: am · bm = (a · b)m . Ad esempio 23 · 53 = (10)3 .

Rapporto di potenze con lo stesso esponente Il rapporto di due potenze


con lo stesso esponente è una potenza che ha ancora lo stesso esponente e come
base il rapporto delle basi: am : bm = (a/b)m . Ad esempio 23 : 53 = (2/5)3 .

Se la potenza ha la base negativa valgono ancora tutte regole precedentemente descritte cui
va aggiunta la seguente: se l’esponente di una potenza con base negativa è dispari, il risultato
della potenza è negativo.
In altri termini utilizzando da destra a sinistra la regola del prodotto di potenze con lo
stesso esponente si ha che ∀a ∈ Q+ 0 (−a)
m
= (−1)m · (a)m . Dalla regola dei segni e dal fatto
che (−1) indica (−1) moltiplicato per se stesso m volte si ha che se m è pari (−1)m = +, se
m

m è dispari (−1)m = −.

(1.6) (−2)3 = (−1)3 · (2)3 = −(2)3 = −8 (−2)4 = (−1)4 · (2)4 = +(2)4 = 16.
344 Insiemi numerici e operazioni

Si noti che potenze con esponente positivo dei numeri naturali sono sempre maggiori
della base, potenze con esponente negativo dei naturali sono sempre minori della base;
potenze aventi per base una frazione propria positiva e un esponente positivo sono
sempre minori della base, potenze aventi per base una frazione impropria positiva e un
esponente positivo sono sempre maggiori della base.

Ad esempio si ha
 5  9
7 −5 2 2 8 8
(1.7) 3 >3 4 <4 < > .
3 3 5 5

Nelle espressioni aritmetiche le potenze hanno la precedenza su tutte le altre ope-


razioni: occorre prima calcolare le potenze, magari utilizzando le proprietà appena
esposte, e poi si possono eseguire prodotti o somme.

Il concetto di potenza può anche essere esteso ammettendo sia come base che come
esponente numeri reali purché si evitino i problemi connessi con le proprietà dello zero.
Insiemi

Una potenza avente esponente irrazionale si calcola come elemento separatore di due clas-
si contigue di potenze aventi esponenti razionali, analogamente alla definizione di numero
irrazionale basata sull’assioma di continuità di Dedekind.

1.15 Proprietà dello zero


Quando in aritmetica si dice che un’espressione è impossibile significa che il risultato
non è un numero reale, quindi l’espressione è priva di senso. Quando invece si usa il
termine indeterminata si intende che l’espressione ha un certo valore che però non
può essere conosciuto. Entrambi i casi si riscontrano spesso quando si ha a che fare con
lo 0.
Riportiamo allora i possibili termini che coinvolgono lo zero attraverso esempi nu-
merici chiarificatori e indicando con la sigla ‘ind’ un risultato indeterminato e con la
sigla ‘imp’ un risultato impossibile:

(1.8) 0+0= 0, 0 − 0 = 0, 2 + 0 = 2, 0 + 2 = 2, 0 : 0 = ind, 02 = 0,


0 − 2 = −2, 2 − 0 = 2, 2 · 0 = 0, 0 · 2 = 0, 2 : 0 = imp, 20 = 1,
0·0= 0, 0 : 2 = 0, 1 · 0 = 0, 0 : 1 = 0, 00 = ind, 01 = 0.

1.16 Scomposizione in fattori primi


La definizione di numeri primi e quella delle potenze consente di introdurre in Z0 una
procedura chiamata scomposizione in fattori primi, utilissima per la semplificazione dei
calcoli e necessaria per la somma di frazioni.

Scomporre in fattori primi un numero significa scriverlo come prodotto di fattori


primi, ognuno di questi alla potenza opportuna.
Matematica 345

Per scomporre occorre dividere il numero per gli opportuni fattori primi, scelti di
volta in volta in base ai criteri di divisibilità esposti nella sezione 1.13. Se un numero
è divisibile per più fattori primi si può scegliere di dividerlo sempre per il minore.
Si prosegue con successive divisioni fino a giungere all’unità. Moltiplicando tra loro i
numeri primi per i quali è stato diviso il numero e raggruppandoli con le opportune
potenze si ottiene la scomposizione.
Riportiamo di seguito alcuni esempi di scomposizione in fattori primi.

15 5 45 5 24 2 250 2 490 2 121 11


3 3 9 3 12 2 125 5 245 5 11 11
1 3 3 6 2 25 5 49 7 1
1 3 3 5 5 7 7
1 1 1

15 = 3 · 5, 45 = 32 · 5, 24 = 23 · 3, 250 = 2·53 , 490 = 2 · 5 · 72 , 121 = 112 .

Matematica
Se due numeri naturali non hanno divisori in comune si dicono primi tra loro.

1.17 M.C.D. e m.c.m.


Dato un sottoinsieme di naturali (ma è immediata l’estensione agli interi) composto da
n elementi, cioè una ennupla non ordinata, si possono introdurre due nuove operazioni
che agendo su tutti gli elementi della ennupla danno sempre come risultato un naturale.

Massimo Comun Divisore Il M.C.D. è il più grande tra i divisori comuni,


cioè tra i numeri che ammettono tutti gli elementi della ennupla prescelta come
multipli. Per determinarlo occorre innanzitutto scomporre tutti i numeri della
ennupla in fattori primi. Il M.C.D. è dato dal prodotto dei soli fattori comuni,
presi una volta sola e con l’esponente minore.
Riferendoci alle scomposizioni della sezione precedente si avrà che M.C.D.(15, 45) =
3 · 5 = 15, M.C.D.(250, 490) = 2 · 5 = 10 e M.C.D.(250, 24) = 2.

Se due numeri non hanno divisori comuni, come ad esempio 121 e 24 allora si pone il
M.C.D. pari a 1, infatti si può immaginare ogni numero come moltiplicato per l’unità:
tutti i numeri hanno l’unità come divisore. Si scrive quindi M.C.D.(121, 24) = 1.

Minimo Comune Multiplo Il m.c.m. è il più piccolo tra i multipli comuni,


cioè tra i numeri che ammettono tutti gli elementi della ennupla prescelta come
divisori. Per determinarlo occorre innanzitutto scomporre tutti i numeri della
346 Insiemi numerici e operazioni

ennupla in fattori primi. Il m.c.m. è dato dal prodotto dei fattori comuni e non
comuni (cioè di tutti), presi una volta sola e con l’esponente maggiore.
Riferendoci alle scomposizioni della sezione precedente si avrà che m.c.m.(15, 45) =
32 · 5 = 45, m.c.m.(250, 490) = 2 · 53 · 72 = 12250 e m.c.m.(250, 24) = 23 · 3 · 53 =
3000.

Se due numeri non hanno divisori comuni, come ad esempio 121 e 24 allora si pone il
m.c.m. pari al loro prodotto. Se invece uno dei due è un multiplo dell’altro il m.c.m.
coincide con il maggiore dei due. Si scrive quindi m.c.m.(121, 24) = 11 · 24 = 264 e
m.c.m.(3, 6) = 6.
Se uno dei numeri di cui si vuole impropriamente calcolare il M.C.D. o il m.c.m. è una
frazione il risultato di entrambe le operazioni è 1.

1.18 Somma algebrica tra frazioni


Il m.c.m. è fondamentale per calcolare la somma tra frazioni. Possono essere sommate
Insiemi

algebricamente solo frazioni di pari denominatore, per procedere all’operazione occorre


quindi prima riscriverle in modo che abbiano lo stesso denominatore. Quest’ultima
procedura si basa sul fatto che moltiplicare e dividere un numero per lo stesso numero
non lo modifica, perché equivale a moltiplicare per l’unità.
Generalmente il denominatore di una somma algebrica di frazioni è il
m.c.m. tra i denominatori delle varie frazioni. A loro volta i numeratori vanno mol-
tiplicati ognuno per lo stesso fattore per il quale è stato moltiplicato il denominatore
corrispondente prima di essere sommati.
Per semplicità distinguiamo quattro casi in ordine di complessità e trattiamo solo
due frazioni alla volta: la procedura non perde di generalità.

Stesso denominatore Se due frazioni hanno lo stesso denominatore il risultato


di una somma algebrica è una frazione che ha ancora lo stesso denominatore e
come numeratore la somma algebrica dei numeratori. Ad esempio
2 5 2+5 7 4 6 4−6 2
(1.9) + = = , − = =− .
3 3 3 3 3 3 3 3

Denominatori primi tra loro Se due frazioni hanno denominatori primi tra
loro il risultato di una somma algebrica è una frazione che ha per denominatore il
prodotto dei denominatori e come numeratore la somma algebrica dei numeratori,
ognuno dei quali va prima moltiplicato per il denominatore dell’altra frazione. Ad
esempio
(1.10)
2 5 2·7+5·3 14 + 15 29 1 2 1·5−2·2 5−4 1
+ = = = , − = = = .
3 7 3·7 21 21 2 5 2·5 10 10

Un denominatore multiplo dell’altro Se due frazioni hanno denominatori


uno multiplo dell’altro il risultato di una somma algebrica è una frazione che
ha per denominatore il maggiore dei denominatori e come numeratore la somma
Matematica 347

algebrica dei numeratori con l’accortezza che il numeratore della frazione con de-
nominatore minore va moltiplicato per il rapporto tra i denominatori. Ad esempio
si ha
2 5 2·2+5 4+5 9 3 1·8−3 8−3 5
(1.11) + = = = , 1− = = = .
3 6 6 6 6 8 8 8 8

Denominatori diversi Se due frazioni hanno denominatori diversi il risultato


di una somma algebrica è una frazione che ha per denominatore il m.c.m. dei
denominatori e come numeratore la somma algebrica dei numeratori, ognuno dei
quali va prima moltiplicato per il rapporto tra il mc.m. dei denominatori e il
denominatore originale della frazione. Ad esempio

2 5 2 · (60/15) + 5 · (60/12) 2·4+5·5 33


+ = = = ,
15 12 m.c.m.(15, 12) = 60 60 60
(1.12)
3 7 3 · (66/22) − 7 · (66/33) 3·3−7·2 5
− = = =− .
22 33 m.c.m.(22, 33) = 66 66 66

Matematica
La regola introdotta per la somma algebrica tra frazioni consente anche di confrontarle
per poterle ordinare. Per stabilire quale frazione sia la maggiore tra alcune frazioni basta
riscriverle con lo stesso denominatore, che sarà il m.c.m. tra tutti i denominatori. A
questo punto l’ordinamento è eseguito semplicemente tra i numeratori secondo le
regole riportate nella sezione 1.10.

Le proprietà delle potenze, la definizione di numeri primi e le regole di calcolo


introdotte per le frazioni consentono di determinare come procedere alla semplificazione
di frazioni, una procedura utilissima che si consiglia di eseguire ogni qual volta sia
possibile.

Una frazione è detta irriducibile se il numeratore N e il denominatore D sono primi


tra loro.
Semplificare una frazione significa scomporre in numeri primi N e D e utilizzare le
proprietà delle potenze sui fattori che si trovano sia in N che in D per ottenere una
frazione irriducibile.
Alternativamente si può semplificare dividendo N e D per uno stesso numero ogni
volta che ciò sia possibile.

2 2 21 1 24 412
2 1
 24 4
(1.13) = 2 =  = , = 15 = 5 = .
4 2 2→1
2 2 30 
3
0 1
5 5

Bisogna prestare attenzione: si può semplificare solo quando si hanno prodotti o


rapporti, mai quando si hanno anche somme o sottrazioni.
348 Insiemi numerici e operazioni

Ciò vale sia per il numeratore che per il denominatore. Se la somma o la sottrazione sono
all’interno di una parentesi che a sua volta è moltiplicata per un fattore, quest’ultimo
fattore può essere semplificato, il contenuto della parentesi no. L’unico caso in cui si
semplifica anche in presenza di una somma algebrica è quando tutti i termini della
somma sono divisibili per lo stesso numero per il quale si semplifica.
Riportiamo alcuni esempi chiarificatori:

2+3 2+ 31 2+1 3 2+3 2 3 5


6 = 2
= = infatti = + =
6 6
 2 2 6 6 6 6
1
3 3 1 1 3 3
6 = 
2
= = infatti =
2+6 2+ 6 2+2 4 2+6 8
(1.14)
1 2
2+4 2
 +4  = 1+2 = 3 3 · (2 − 7) 31 · (2 − 7) (2 − 7)
= oppure = = .
8 84
 4 4 9 9 3 3

1.19 Sistema decimale


Insiemi

Il sistema numerico che usiamo è un sistema posizionale, ovvero la posizione di una


cifra all’interno di un numero ha un preciso significato. Cambiando l’ordine delle cifre
in un numero si ottiene un altro numero.

Il sistema decimale è un sistema numerico posizionale in base 10. Le dieci cifre di cui
fa uso sono 0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9. La posizione di una cifra indica la corrispondente
potenza di 10 per la quale la cifra va moltiplicata.

Dalle proprietà delle potenze possiamo stabilire che le unità corrispondono a una cifra
moltiplicata per 100 , infatti 100 = 1. Le decine corrispondono a una cifra moltiplicata
per 101 e cosı̀ via.
In un numero intero le unità corrispondono alla cifra più a destra. In un numero con
la virgola le unità corrispondono alla cifra immediatamente a sinistra della virgola e il
numero è detto numero decimale.

Anche gli interi possono essere considerati decimali: è come se alla loro destra inseris-
simo una virgola seguita da alcuni 0.

I numeri che hanno un numero finito di cifre a destra della virgola sono detti decimali li-
mitati, altrimenti sono chiamati decimali illimitati. I decimali sono una rappresentazione
dei razionali tramite la base 10.

Le cifre a destra della virgola, corrispondenti a decimi, centesimi e cosı̀ via sono
caratterizzate da potenze negative della base.
In un sistema posizionale quale quello decimale, quindi, il modo di intendere un numero
è esprimibile dai seguenti esempi:
(1.15)
1324 = 4·100 +2·101 +3·102 +1·103 , 42, 357 = 2·100 +4·101 +3·10−1 +5·10−2 +7·10−3 .
Matematica 349

Questa scomposizione viene anche espressa dicendo che il numero 1324 equivale a 1
migliaio, 3 centinaia, 2 decine e 4 unità e che il numero 42, 357 equivale a 4 decine, 2
unità, 3 decimi, 5 centesimi e 7 millesimi.

Quello decimale non è l’unico sistema posizionale. Variando il set di cifre e la base si ottengono
infiniti altri sistemi posizionali, tra i quali sono usati in informatica quello binario (base 2),
quello ottale (base 8), quello esadecimale (base 16). Il numero di cifre coincide con la base:
il sistema binario ha solo due cifre (0, 1), quello ottale 8 (da 0 a 7) e quello esadecimale 16
(0, 1, . . . , 9, A, B, C, D, E, F.)
Prendendo ad esempio il sistema binario, una decina nel sistema binario corrisponde
alla prima potenza della base, che in questo caso è 2, un centinaio a 22 è cosı̀ via. Il numero
binario 1101 vale quindi 1 · 20 + 0 · 21 + 1 · 22 + 1 · 23 = 1 · 1 + 0 · 2 + 1 · 4 + 1 · 8 = 1 + 0 + 4 + 8 = 13.
In informatica il numero di cifre usate per rappresentare un numero è detto numero di bit.
Nel sistema binario con 4 bit si possono rapprentare numeri compresi tra 0 e 15, ovvero 24 − 1
numeri. In generale con n bit si possono rappresentare 2n − 1 numeri interi positivi.

Matematica
1.20 Numeri decimali e frazioni

Una frazione che al denominatore ha una potenza positiva di 10, ovvero 10, 100, 1000
e cosı̀ via è detta frazione decimale.

I numeri decimali limitati possono essere convertiti in frazioni decimali e poi even-
tualmente queste possono essere ridotte a frazioni con denominatori minori semplifi-
cando con il numeratore.

Per trasformare un numero decimale limitato in frazione si procede nel seguente modo:
al numeratore si scrivono nell’ordine tutte le cifre del numero senza riportare la virgola,
al denominatore si scrive un 1 seguito da tanti 0 quante sono le cifre che compongono
la parte decimale. Se il numero comincia per 0 questo non si riporta.

Vediamo alcuni esempi esplicativi:


1537 2439 6 3
(1.16) 15, 37 = 2, 439 = 0, 6 = = .
100 1000 10 5

La procedura inversa, cioè la conversione di una frazione in un numero decimale limitato


non può sempre essere eseguita. È possibile solo per frazioni decimali e per frazioni il
cui denominatore una volta scomposto è formato solo da potenze di 2 e di 5.

Per convertire una frazione decimale in numero decimale basta scrivere il numeratore
della frazione e poi inserire una virgola in modo che la parte decimale sia composta da
tante cifre quanti sono gli 0 al denominatore della frazione, secondo i seguenti esempi.
2823 9862 125
(1.17) = 282, 3 = 0, 9862 = 1, 25.
10 10000 100
350 Insiemi numerici e operazioni

Per convertire una frazione non decimale il cui denominatore è composto da potenze di
2 e di 5 bisogna moltiplicare sia il numeratore che il denominatore per lo stesso numero
in modo da trasformare la frazione in frazione decimale e poter quindi sfruttare la
procedura già illustrata.
A tal fine per ogni potenza di 2 al denominatore bisogna moltiplicare e dividere
per la stessa potenza di 5, mentre per ogni potenza di 5 al denominatore bisogna
moltiplicare e dividere per la stessa potenza di 2.
Alcuni esempi possono rendere tutto più chiaro:
(1.18)
3 3 2 6 7 7 5 35 12 12 12 22 48
= · = = 0, 6 = · = = 3, 5 = 2 = 2· 2 = = 0, 48.
5 5 2 10 2 2 5 10 25 5 5 2 100

Se il denominatore contiene fattori diversi da 2 e 5 la frazione può essere convertita in un


decimale illimitato, ovvero genera un numero periodico, descritto nella sezione 1.22. Se il
denominatore ha solo fattori diversi da 2 e 5 si genera un periodico semplice, altrimenti un
periodico misto.
Insiemi

1.21 Notazione scientifica e potenze di dieci


Nei calcoli è spesso molto utile ricorrere a una rappresentazione dei numeri decimali
chiamata notazione scientifica, che sfrutta le potenze di dieci. Per rappresentare un
numero formato da molte cifre bisogna prima anche scegliere un’approssimazione,
cioè scrivere soltanto alcune cifre.

Per approssimare un numero si sceglie la precisione, ovvero il numero di cifre che


compongono la parte decimale, si eliminano le cifre in eccesso a destra e l’ultima cifra
a destra del numero restante viene aumentata di un’unità se la cifra successiva nel
numero originale era ≥ 5 oppure viene lasciata inalterata se la cifra che si trovava alla
sua destra era < 5.

Ad esempio per una precisione con due cifre significative si ha che 8, 95752 ≈ 8, 96,
mentre se si vuole avere una precisione con tre cifre significative si ha 11, 7653998 ≈
11, 765.

Per scrivere un numero decimale grande in notazione scientifica si riscrive il numero


scegliendo la precisione voluta e lo si approssima, facendolo poi seguire da una potenza
di 10 avente per esponente il numero di cifre che compongono la parte intera del
numero meno 1.
Per scrivere un numero decimale molto piccolo in notazione scientifica si riscrive il
numero scegliendo la precisione voluta e lo si approssima, facendolo poi seguire da una
potenza negativa di 10 avente per esponente l’opposto del numero di 0 che precedono
la prima cifra non nulla della parte decimale.
Matematica 351

Si veda ad esempio

3456789676432 ≈ 3,46 × 1012 0, 0000000065476 ≈ 6,5 × 10−9 453464, 5654 ≈ 45 × 104 .

La notazione scientifica è molto utile anche per operare conversioni, ovvero per riscri-
vere numeri con la precisione voluta. Questa procedura spesso consente di semplificare
notevolmente i calcoli perché le potenze di dieci che compaiono vengono combinate
facilmente con le proprietà delle potenze. Esempi di conversioni e nomi di multipli e
sottomultipli dell’unità sono riportate nella sezione 1.5 della parte di fisica, dove si
trova anche la rappresentazione della figura 1.2.

1.22 Numeri periodici e frazioni generatrici

Un numero decimale è detto periodico se una parte delle sue cifre si ripete indefinita-

Matematica
mente. La sequenza che si ripete è detta periodo. Le cifre a sinistra della virgola sono
dette parte intera, le cifre a destra della virgola che precedono il periodo si chiamano
antiperiodo.

In realtà anche i decimali limitati potrebbero essere considerati periodici, in essi infatti
lo 0 si ripete indefinitamente. Se un numero periodico non ha antiperiodo è chiamato
periodico semplice, altrimenti periodico misto.
Poiché i decimali sono una rappresentazione dei razionali e i periodici sono decimali,
anche i periodici possono essere scritti come frazioni, dette frazioni generatrici. Si veda
a tal proposito l’approfondimento nella sezione 1.20.

Per ottenere la frazione generatrice di un numero periodico si scrive una frazione


irriducibile equivalente a una frazione avente per numeratore la differenza tra il numero
scritto senza virgola e la parte di numero diversa dal periodo e per denominatore tanti
9 quante sono le cifre che compongono il periodo seguiti da tanti 0 quante sono le cifre
che compongono l’antiperiodo.

Riportiamo tre esempi in ordine di complessità:


(1.19)
4−0 4 275 − 2 273 91
0, 4̄ = 0, 4444444 . . . = = 2, 75 = 2, 75757575 . . . = = =
9 9 99 99 33
342168 − 342 341826 56971
3, 42168 = 3, 42168168168 . . . = = = .
99900 99900 16650

Ricordando che i razionali assoluti sono le classi di equivalenza formate da frazioni


equivalenti, si ha che il numero periodico 0, 9̄ e 1 appartengono alla stessa classe di
equivalenza, ovvero 0, 9̄ = 1.
352 Insiemi numerici e operazioni

1.23 Proporzioni

Una proporzione è un’uguaglianza tra due rapporti, ovvero tra due frazioni appar-
tenenti alla stessa classe di equivalenza. Il numeratore della prima frazione e il deno-
minatore della seconda sono detti estremi della proporzione, gli altri due sono detti
medi.

Dalla definizione stessa di equivalenza tra frazioni si ricava la proprietà fondamentale


delle proporzioni: il prodotto dei medi è uguale al prodotto degli estremi.
Ad esempio si ha
2 6
2:3=6:9 ⇔ = ⇔ 2 · 9 = 3 · 6.
3 9
Le proporzioni godono di numerose proprietà, di cui sono riportati esempi nella tabella
1.1, che possono essere illustrate dalle seguenti proposizioni. Invertendo le due frazioni
della proporzione si ha ancora una proporzione, cioè i reciproci sono in proporzione
Insiemi

(invertire). Permutando (scambiando di posto) i due medi o i due estremi si ha ancora


una proporzione (permutare). Aggiungendo o sottraendo la stessa quantità a destra e
sinistra si ha ancora un’uguaglianza, in particolare se si aggiunge o sottrae l’unità scritta
come rapporto di due numeri uguali entrambi ai rispettivi denominatori o numeratori.
Viceversa se all’unità si aggiungono o sottraggono frazioni equivalenti si hanno ancora
frazioni equivalenti (comporre e scomporre).

2 6 3 9
2:3=6:9 ⇔ 3 = 9 ⇔ 2 = 6 invertire,
2 6 2 3
2:3=6:9 ⇔ 3 = 9 ⇔ 6 = 9 permutare i medi,
2 6 9 6
2:3=6:9 ⇔ 3 = 9 ⇔ 3 = 2 permutare gli estremi,
2 6 2+3 6+9
2:3=6:9 ⇔ 3 = 9 ⇔ 3 = 9 comporre,
2 6 2+3 6+9
2:3=6:9 ⇔ 3 = 9 ⇔ 2 = 6 comporre,
2 6 2−3 6−9
2:3=6:9 ⇔ 3 = 9 ⇔ 3 = 9 scomporre,
2 6 2−3 6−9
2:3=6:9 ⇔ 3 = 9 ⇔ 2 = 6 scomporre,
2 6 2+3 6+9
2:3=6:9 ⇔ 3 = 9 ⇔ 2−3 = 6−9 comporre e scomporre.

Tabella 1.1: Proprietà delle proporzioni.

Grazie alla proprietà invariantiva le proporzioni consentono di risolvere numerosi pro-


blemi in un cui uno dei numeri è incognito: conoscendo tre termini di una proporzione
il quarto è univocamente determinato.

Tipici problemi risolvibili con le proporzioni sono il calcolo degli sconti applicati, il
calcolo dell’interesse semplice su un capitale e le similitudini tra triangoli.
Matematica 353

Ad esempio si sa che per contenere 50 oggetti identici servono 5 scatole uguali e si


vuole determinare quanti oggetti possono essere contenuti in sole 2 scatole. Questo è un
problema risolvibile con una proporzione, come si può evincere dal testo realizzando che
si hanno tre informazioni numeriche e una relazione che lega a coppie i valori disponibili.
La proporzione in questo caso è 5 : 50 = 2 : x.
Per risolvere una proporzione si può usare una delle proprietà descritte, a partire nei casi
più semplici proprio da quella fondamentale. Uguagliando il prodotto dei medi a quello
degli estremi si ha 5 · x = 50 · 2. Grazie alla proprietà invariantiva si possono dividere
ambo i membri per il coefficiente del termine ignoto, cioè 5, per ottenere x = (50 · 2)/5 =
100/5 = 20.

In generale conviene tradurre in relazioni matematiche le informazioni di un problema e


poi risolverlo con le tecniche risolutive delle equazioni descritte nella sezione 4.2. L’uso
delle proporzioni, infatti, oltre che limitativo richiede uno sforzo mnemonico maggiore.
Ciononostante le proporzioni si rivelano utili in molti casi.

Se due operai impiegano 10 ore per montare 40 pezzi, quanto tempo occorre a 4 operai per

Matematica
montare 80 pezzi? In questi casi è opportuno ricavare l’unità di base, che qui corrisponde
a quanti pezzi monta un operaio in un’ora. Ovviamente se due operai ne montano 40 in
10 ore nello stesso tempo un operaio ne monta 20. La proporzione è allora 10 : 20 = 1 : x.
Risolvendola si ha 10 · x = 20 · 1 ovvero x = (20 · 1)/10 = 2. Si può allora calcolare il
numero di pezzi montati da 4 operai in un’ora semplicemente moltiplicando per il numero
di operai: 2 · 4 = 8. Dividendo il totale richiesto per il numero di pezzi montati all’ora si
trova il numero di ore: 80/8 = 10.

Si poteva giungere alla soluzione notando che sia il numero di operai che il numero di
pezzi montati sono raddoppiati. Poiché le due grandezze sono state moltiplicate per lo
stesso fattore il tempo deve restare costante.

Ricordando la definizione fisica di potenza P come di rapporto tra lavoro L e tempo


t, si ha la relazione P = L/t. Questa relazione unita alla proprietà invariantiva
consente di risolvere numerosi problemi analoghi realizzando che il numero di persone
corrisponde alla potenza P e il numero di oggetti finiti al lavoro L.

1.23.1 Carte geografiche


Un ambito di frequente utilizzo delle proporzioni è quello delle carte geografiche o delle
mappe, per le quali si ha una proporzione del tipo distanza sulla carta : distanza reale
= 1 : fattore di scala, in simboli d : D = 1 : F s.

Il fattore di scala di una carta geografica è il rapporto tra la distanza reale tra due punti
della superficie terrestre e la corrispondente distanza sulla carta geografica. L’inverso
del fattore di scala è chiamato rapporto di scala.

Vi sono tre tipi di problemi relativi alle carte geografiche, tutti e tre risolvibili con le
proporzioni come illustrato di seguito.
354 Insiemi numerici e operazioni

Calcolare la distanza reale In questa situazione si conoscono il fattore di


scala e la distanza sulla carta. Dopo aver trovato D attraverso la proprietà
fondamentale delle proporzioni bisogna convertire i centimetri in kilometri.
Se d = 20 cm per calcolare D su una carta con F s = 2000 si ha

(1.20) 20 cm : D = 1 : 2000 ⇒ D = 20 · 2000 ⇒ D = 4 × 104 cm = 0, 4 km.

Calcolare la distanza sulla carta In questa situazione si conoscono il fattore


di scala e la distanza reale. Occorre innanzitutto convertire la distanza reale in
centimetri esprimendola con le potenze di 10 e poi risolvere la proporzione con
la proprietà fondamentale, il che equivale a calcolare il rapporto tra la distanza
reale e il fattore di scala: d = D/F s.
Se D = 2 km per calcolare d su una carta con F s = 2000 si ha
(1.21)
d 1 2 × 105 cm
d : 2 km = 1 : 2000 ⇒ 5 = 3 ⇒ d= = 100 cm.
2 × 10 cm 2 × 10 2 × 103
Insiemi

Calcolare il fattore di scala In questa situazione si conoscono la distanza reale


e la distanza sulla carta. Il loro rapporto è l’inverso del fattore di scala.

Se d = 20 cm e D = 2 km per calcolare F s si ha
(1.22)
20 cm 1 1 1
20 cm : 2 km = 1 : F s ⇒ = ⇒ = ⇒ F s = 10000.
2 × 105 cm Fs 104 Fs

1.24 Percentuali
Le percentuali sono un modo comodo di scrivere numeri decimali espressi come frazione
di una certa quantità scelta come unità.

Una percentuale è una frazione di una certa quantità e rappresenta quindi una gran-
dezza adimensionale in quanto espressa come rapporto tra due grandezze omologhe.
Per esprimere una quantità come percentuale di una seconda scelta come riferimento
occorre dividere la prima per la seconda e poi moltiplicare per 100.
Se si vuole determinare una certa percentuale di una quantità nota occorre moltiplicare
il numero percentuale per la quantità e poi dividere per 100. Spesso è molto utile
semplificare prima della moltiplicazione, ad esempio elidendo uno 0 al numeratore e
uno al denominatore.

Nel seguito illustreremo alcuni esempi per calcolare sconti e interessi; ricorrere a una
percentuale o usare una proporzione sono spesso procedure analoghe, ognuno può
decidere di usare quella che risulta più congeniale.
Matematica 355

Se si vuole sapere il numero 40 che percentuale è di 80 si calcola: (40/80)·100 = 0, 5·100 =


50%.
Se si vuole calcolare il 20% di 96 si calcola (20 · 96)/100 = (2 · 96)/10 = 2 · 9, 6 = 19, 2.

Sconti Se un collo del costo iniziale di 840 e è venduto al 15% di sconto qual
è il prezzo di vendita? Ci sono due modi di procedere: o calcolare lo sconto e
poi sottrarre la quantità dal prezzo iniziale per determinare il prezzo di vendita
o calcolare la percentuale del prezzo iniziale come 100− percentuale di sconto e
poi calcolare la percentuale ottenuta del prezzo iniziale. Mostriamo la seconda
procedura: in questo caso la percentuale del prezzo iniziale è 100% − 15% = 85%.
Il prezzo di vendita si calcola quindi come (85 · 840)/100 = (85 · 84)/10 = 714 e.
Capitali e interessi Se su un capitale di 2500 e si ha un interesse semplice del
4% su base semestrale, quale somma si ritira dopo 3 anni di giacenza? Innanzitut-
to occorre determinare quante unità temporali utilizzate per stabilire l’interesse
sono contenute nell’intervallo di tempo considerato. Come prima cosa, quindi,

Matematica
bisogna convertire gli anni in semestri. Poiché in un anno ci sono 2 semestri si ha
che 3 anni sono pari a 6 semestri.
Dopo un semestre la somma ritirata, chiamata montante M , è composta dal
capitale iniziale C più gli interessi I: M = C + I. In regime di interesse semplice
dopo n periodi il montante si calcola con la formula M (n) = C · (1 + i)n , dove i
è il tasso di interesse. Nell’esempio i = 4% = 0, 04, quindi M (6) = 2500 · (1 +
0, 04)6 ≈ 3163 e. Gli interessi I sono dati da M − C = 3163 − 2500 = 663 e.

La percentuale di una percentuale è pari al prodotto delle percentuali. Ad esempio il


20% del 20% di una quantità X è pari a (20/100) · (20/100) · X, cioè è il 4% di X.

Concludiamo la sezione con l’utile tabella 1.2 che illustra alcune uguaglianze tra fra-
zioni, percentuali e decimali. Le ultime due righe sono ottenute semplicemente come
multipli di relazioni precedenti, ad esempio 2/5 è il doppio di 1/5 e cosı̀ via.

1 100% 1, 00 1/20 5% 0, 05
1/2 50% 0, 50 1/25 4% 0, 04
1/3 33% 0, 33 1/50 2% 0, 02
1/4 25% 0, 25 2/3 66% 0, 66
1/5 20% 0, 20 2/5 40% 0, 40
1/6 17% 0, 17 3/5 60% 0, 60
1/10 10% 0, 10 4/5 80% 0, 80
Tabella 1.2: Utili corrispondenze tra frazioni, percentuali e decimali.
356 Insiemi numerici e operazioni

1.25 Proporzionalità diretta e inversa

Figura 1.12: Due grandezze direttamente proporzionali


sono rappresentabili con una retta passante per l’origine.

Figura 1.13: Due grandezze inversamente proporzionali


sono rappresentabili con un ramo di iperbole equilatera.
Insiemi

Due grandezze x e y sono direttamente proporzionali quando all’aumentare dell’una


aumenta anche l’altra dello stesso fattore k chiamato coefficiente di proporziona-
lità diretta, ovvero quando il loro rapporto è costante. Graficando una grandezza in
funzione dell’altra si ottiene una retta passante per l’origine.

y
(1.23) x e y sono direttamente proporzionali ⇔ y =k·x ⇔ = k.
x

Il coefficiente k è legato all’angolo α tra la retta e il verso positivo delle ascisse misurato
a partire da quest’ultimo e ruotando in senso antiorario. Più precisamente k = arctg α.
Maggiore è il valore di k e maggiore è la pendenza della retta, ovvero l’angolo α.

Sono ad esempio direttamente proporzionali il costo totale di un acquisto di tot oggetti


identici e il numero di oggetti acquistati. Un ulteriore esempio di proporzionalità diretta
si ha tra lo spazio percorso e il tempo trascorso in un moto rettilineo uniforme di un
oggetto che è partito dall’origine di un sistema di riferimento.

Due grandezze x e y sono inversamente proporzionali quando all’aumentare dell’una di


un fattore k l’altra diminuisce di un fattore inverso 1/k, ovvero quando il loro prodotto
è costante. k è chiamato coefficiente di proporzionalità inversa. Graficando una
grandezza in funzione dell’altra si ottiene un ramo di iperbole equilatera.

k
(1.24) x e y sono inversamente proporzionali ⇔ y= ⇔ y · x = k.
x
Matematica 357

Il coefficiente k rappresenta l’area costante dei rettangoli che hanno per lati i valori di
x e di y e che sono delimitati dagli assi e dall’iperbole.

Sono ad esempio inversamente proporzionali la velocità media e il tempo impiegato per


percorrere un certo tratto. Un ulteriore esempio di proporzionalità inversa si ha tra la
densità di un cubo omogeneo e il volume da esso occupato a parità di peso.

Quesiti
1) Se A ⊆ B, l’insieme A, complemento 4) La frazione generatrice del numero
di A rispetto a B, è: 21, 0354 è:

A l’insieme degli elementi che stanno 210354


A
sia in A che in B 99
210354
B l’insieme degli elementi che non B
990
stanno né in A né in B 210354
C

Matematica
C l’insieme degli elementi contenuti in 9900
A o in B 210354 − 2103
D
D non può mai coincidere con l’insieme 990
vuoto ∅ 210354 − 2103
E
9900
E è un sottoinsieme di B
5) Un articolo dal prezzo iniziale di
2) Il numero 2,46 si può ottenere come: 2500 e è venduto con uno sconto del
20%. A quanto ammonta il risparmio
A 3 − 4 · 10−1 − 6 · 10−2 per l’acquirente?
B 2 − 4 · 10−1 − 6 · 10−2
A 2000 e
C 3 − 5 · 10−1 − 4 · 10−2
B 80%
D 2 + 5 · 10−1 + 4 · 10−2
C 500 e
E 3 − 5 · 10−1 + 4 · 10−2
D 200 e
3) Quale delle seguenti affermazioni ri- E 250 e
guardanti le operazioni definite sugli
insiemi numerici è vera? 6) Dalla definizione di numero primo si
ha che:
A in Q ci sono infinite coppie di nu-
meri per le quali non è definita la A un numero naturale si dice primo se
moltiplicazione è divisibile solo per 1 e per se stesso
B i numeri naturali da 0 a 9 sono tutti
B in Z è definita la divisione per ogni
numeri primi
coppia di numeri
C un numero reale è divisibile per lo
C dati due numeri naturali a e b, si dice
zero solo se esso è primo
che a diviso b è uguale a q se esiste
q ∈N : q =a·b D nell’insieme dei numeri reali esistono
210 numeri primi
D dati due numeri naturali a e b, si dice
che a diviso b è uguale a q se esiste E l’insieme dei numeri primi contiene
q ∈N : a=q·b l’insieme dei numeri naturali
E l’insieme dei divisori di un numero 7) Stabilire la quaterna posta in ordine
reale è l’insieme vuoto ∅ decrescente:
358 Insiemi numerici e operazioni

834 834
A 834 · 10−3 ; ; ; 8, 034 A 1000
999 1001
834 834 B 1
B 8, 034; ; 834 · 10−3 ;
999 1001
834 834 C 2
C 834 · 10−3 ; ; 8, 034;
1001 999
834 834 D 3
D 8, 034; ; 834 · 10−3 ;
1001 999
834 834 E 4
−3
E ; 834 · 10 ; ; 8, 034
999 1001
8) Il M.C.D. (121, 66, 60) è: 10) Il risultato dell’espressione
02 · 03 − 5 · 0 + 30 è:
A 2
B 11
C 1 A indeterminato
D 6 B 1
E 33
C impossibile
9) Quanti naturali minori o uguali a
1000 che siano divisibili contempo- D 3
Insiemi

raneamente per 7, per 8 e per 9 ci


sono? E −3

Risposte commentate ai quesiti


1) La A va esclusa perché coincide con A ∩ B. La C va esclusa perché coincidente
con A ∪ B. La D va esclusa perché dalle premesse del quesito può aversi A = B.
La risposta corretta è la E .

2) Il sistema decimale è posizionale: ogni numero è la somma di potenze di dieci che


hanno come fattori la cifra corrispondente. Il numero 2, 46 è la somma di due unità
con 4 decimi e 6 centesimi. Nessuna delle alternative riporta questa somma. Allo
stesso numero si può giungere sottraendo 4 centesimi e 5 decimi al numero 3, come
riporta la C , che è la risposta corretta.

3) La A è falsa perché in R e quindi anche in Q la moltiplicazione è sempre definita.


La B è falsa perché la divisione può essere definita senza problemi in Z0 ma non in
Z. La E è falsa perché in generale i divisori di un reale formano un insieme finito
di numeri, composto almeno dal numero stesso e dall’unità. Tra la C e la D la
definizione di divisione in N implica che la risposta corretta è la D .

4) La frazione generatrice di un numero periodico si costruisce riportando a numeratore


la differenza tra tutto il numero scritto senza virgole e la parte che non è periodica
e a denominatore tanti 9 quante sono le cifre del periodo seguiti da tanti 0 quante
sono le cifre dell’antiperiodo: la risposta corretta è la E .

5) Il quesito si risolve calcolando il 20% del costo iniziale, ovvero moltiplicando la cifra
per 20 e dividendo il totale per 100. Più semplicemente si può realizzare che il 20%
equivale a 1/5 della somma, quindi basta dividere per 5: la risposta corretta è la
C.
Matematica 359

6) La B è falsa perché 4, 6, 8, 9 non sono primi. La C è falsa perché nessun numero è


divisibile per lo zero. La E inverte la relazione d’inclusione, cioè i numeri naturali
contengono i numeri primi come sottinsieme; quindi va esclusa. La risposta corretta
è la A , in quanto esprime la definizione stessa di numero primo.
7) In presenza degli stessi numeratori, la frazione con il denominatore minore rappre-
senta il numero maggiore. 8, 034 è un numero maggiore dell’unità, mentre gli altri
tre sono frazioni proprie, quindi la risposta corretta è la B .

8) Scomponendo i numeri si ha 121 = 112 , 66 = 2·3·11 e 60 = 22 ·3·5. Poiché il M.C.D.


si ottiene dal prodotto dei fattori comuni, presi una volta sola con l’esponente
minimo, si ha che la risposta corretta è la C .
9) Se un numero è divisibile per altri numeri significa che ne è multiplo. Numeri divisori
contemporaneamente per 7, per 8 e per 9 devono essere quindi multipli del loro
prodotto, cioè multipli di 7 · 8 · 9 = 504. La parte intera del quoziente tra il massimo
numero ammesso, cioè 1000 e il numero ottenuto, cioè 504 rappresenta la soluzione.
Poiché 1000 è minore del doppio di 504 si ha che la risposta corretta è la B .

Matematica
10) Dalle proprietà dello zero si ricava che 0n con n positivo è nullo e che qualsiasi reale
non nullo per 0 è ancora uguale a 0. Poiché qualsiasi positivo elevato alla 0 vale 1
si ha che la risposta corretta è la B .
Monomi e polinomi
2
Introduzione
In questo capitolo verranno discussi gli elementi dell’algebra classica, ovvero le espres-
sioni letterali, i monomi e il calcolo polinomiale. In tutto il capitolo si pone l’accento
sull’estensione delle operazioni e delle procedure già introdotte in aritmetica, onde
evitare al lettore ulteriori sforzi mnemonici.
Ogni regola è corredata da esempi e dalle possibili situazioni, mentre le varie formule
utili sono state accorpate in tabelle per favorire l’attività di ripasso.

2.1 Espressioni algebriche letterali

Un’espressione algebrica letterale consta di un insieme di operazioni da eseguire in un


determinato ordine su numeri e lettere.

Si tratta di una generalizzazione delle espres-


sioni aritmetiche in cui si hanno solo numeri.
Immaginando che le lettere siano numeri pri-
mi e procedendo in maniera analoga a quella
delle espressioni numeriche (cioè seguendo le
procedure indicate nella sezione 1.12) si evita
la maggior parte dei possibili errori.
Per calcolare il valore di un’espressione al-
gebrica in corrispondenza di particolari valo-
ri assunti dalle lettere basta sostituire questi
ultimi al posto delle lettere nell’espressione e Figura 2.1: Le manipolazioni algebriche sono
seguire le usuali procedure di calcolo. molto più utili dell’utilizzo di una calcolatrice.

Se si vuole calcolare il valore della seguente espressione per a = 2 e b = 0 basta sostituire:


(2.1)
a2 + b − 2 22 + 0 − 2 4−2 2 2
per a = 2 , b = 0 ⇒ = = =− .
−2a − b + 1
3 −2 · 23 − 0 + 1 −16 + 1 −15 15

Affinché l’espressione abbia senso, ossia corrisponda a un numero, bisogna porre atten-
zione ai possibili valori da sostituire alle lettere.
Matematica 361

Nelle espressioni algebriche corrispondenti ad una frazione bisogna evitare che al


denominatore si abbia un valore nullo, perché altrimenti l’espressione è impossibile
(si veda quanto indicato nella sezione 1.15).

In presenza di un denominatore contenente lettere bisogna quindi imporre le condi-


zioni di esistenza (C.E.) per limitare i valori ammessi. Se il denominatore contiene
una sola lettera e numeri si ha che la lettera non può assumere uno o più valori, a
seconda della potenza con cui compare al denominatore. Se il denominatore contiene
più lettere si ha una condizione che lega il valore di una lettera a quello delle altre.
Le procedure per risolvere una C.E. una volta posto il denominatore diverso da
0 sono quelle per la risoluzione delle equazioni a patto di sostituire il simbolo di diverso
6= con quello di uguale = e sono illustrate nel capitolo 4.
I seguenti esempi possono essere di aiuto:

a2 + b − 2
⇒ C.E. a + 1 6= 0 ⇒ a 6= −1,
a+1
(2.2)

Matematica
a3 − b + 9
⇒ C.E. a − 2b 6= 0 ⇒ a 6= 2b.
a − 2b

2.2 Definizione di monomio

Si definisce monomio un’espressione algebrica con numeri e lettere contenente solo le


operazioni di moltiplicazione e divisione.
Con le regole di semplificazione tra frazioni e le proprietà delle potenze si può fare in
modo che il monomio abbia un unico fattore numerico reale, detto coefficiente, e una
parte letterale in cui ogni lettera compare una volta solta con esponente intero. In tal
caso il monomio è detto ridotto o in forma normale.

Sono esempi di monomi ridotti 3 a b, −5 a2 b5 c e


(2/3) a4 b−2 , mentre 3 a b 2 a2 può essere ridotto a
6 a3 b. Quando tra diversi simboli non è posto alcun
segno si intende il segno · di moltiplicazione.

Se gli esponenti della parte letterale di un


monomio ridotto sono interi positivi il mono-
mio è detto intero o proprio. Se sono presenti
anche esponenti costituiti da interi negativi il
monomio è fratto o frazionario o improprio. Figura 2.2: I reali sono un sottoinsieme
In quest’ultimo caso le lettere con esponen- dei monomi: coincidono con i monomi
aventi solo lettere con esponenti nulli.
te negativo possono andare a denominatore
cambiando segno all’esponente in base alle
proprietà delle potenze.
362 Monomi e polinomi

Sono ad esempio monomi impropri 2 a−5 b, −5 a−2 b−3 c e (2/3) a4 b−2 .

Poiché gli esponenti sono interi e 0 ∈ Z si ha che i numeri sono un sottoinsieme dei
monomi. Se infatti un coefficiente è seguito da lettere tutte elevate alla 0, la parte
letterale è uguale a 1 e quindi l’intero monomio coincide con il suo fattore numerico:
3 a0 b0 = 3.

Per i monomi interi ridotti si definisce il grado complessivo o semplicemente grado


come la somma degli esponenti della parte letterale. Il grado parziale rispetto a una
lettera è invece l’esponente della lettera.

Ad esempio il monomio 3 a b è di secondo grado e di primo grado rispetto alla a e rispetto


alla b, −5 a2 b5 c è di ottavo grado e di secondo grado rispetto alla a, di quinto rispetto
alla b e di primo rispetto alla c.

Ai fini della comprensione delle operazioni da introdurre nell’insieme dei monomi sono
utili le definizioni della tabella 2.1.
Algebra

Monomi omogenei hanno lo stesso grado.


Monomi simili hanno la stessa parte letterale.
Monomi uguali hanno la stessa parte letterale e lo stesso coefficiente.
Monomi opposti hanno la stessa parte letterale e coefficienti opposti.
Monomi inversi o reciproci hanno coefficienti reciproci e la parte letterale dell’uno
ha le stesse lettere ma con esponenti opposti a quella
dell’altro.
Monomio nullo è lo 0 o qualsiasi monomio avente come coefficiente 0.
Monomio unità è il numero 1.

Tabella 2.1: Definizioni in M

2.3 Operazioni tra monomi


Nell’insieme dei monomi M si possono introdurre le quattro operazioni di addizione,
sottrazione, moltiplicazione e divisione. La moltiplicazione dota M della struttura di
gruppo abeliano definita nella sezione 1.11.5. L’addizione (e quindi la somma algebrica)
tra monomi non simili però non è una legge di composizione interna, ovvero il suo
risultato non è un monomio (si tratta infatti di un polinomio). Restringendo l’insieme
ad uno degli infiniti sottoinsiemi di monomi simili, per ognuno di essi si può definire
anche l’addizione. In tali sottoinsiemi, però, la moltiplicazione non è un’operazione
interna.

La somma algebrica di due monomi simili è ancora un monomio simile avente come
coefficiente la somma algebrica dei coefficienti.

Ad esempio 7 a b−4 a b = 3 a b e (7/2) a2 b+2 a2 b = (11/2) a2 b. Definita tale operazione


si ha che due monomi sono opposti quando la loro somma è il monomio nullo, che
costituisce l’elemento neutro per l’addizione tra monomi.
Matematica 363

Il prodotto di due monomi è un monomio avente come coefficiente il prodotto dei


coefficienti e come parte letterale il prodotto delle parti letterali, per eseguire il quale
si usano le proprietà delle potenze.

Ad esempio 7 a b · 4 a2 b = 28 a3 b2 e (7/2) a2 b · 2 a2 b = 7 a4 b2 . Definita tale operazione


si ha che due monomi sono inversi quando il loro prodotto è il monomio unità, che
costituisce l’elemento neutro per la moltiplicazione tra monomi.

Analogamente a quanto avviene negli insiemi numerici il quoziente di due monomi è un


monomio che si ottiene moltiplicando il primo per l’inverso del secondo. Un monomio
intero è divisibile per un altro se il loro quoziente è un monomio intero, quindi se
contiene tutte le lettere del secondo monomio con esponente non minore.

Ad esempio 7 a3 b : 4 a2 b = (7/4) a e (7/2) a2 b : (2/3) a5 b3 = (21/4) a−3 b−2 . Soltanto

Matematica
nel primo caso il primo monomio è divisibile per il secondo; nell’altro invece il quoziente
ha esponenti negativi e quindi non si ha divisibilità.

La potenza di un monomio è un monomio che ha per coefficiente la potenza data del


coefficiente e la stessa parte letterale avente per esponenti il prodotto degli esponenti
di partenza per l’esponente della potenza.

Ad esempio (7 a3 b)2 = 49 a6 b4 e [(5/2) a2 b−4 ]3 = (125/8) a6 b−12 .

2.4 M.C.D. e m.c.m. tra monomi

Se il quoziente tra due monomi è un monomio intero allora il primo è un multiplo del
secondo e il secondo è un divisore del primo.

Le operazioni di M.C.D. e m.c.m. in M sono del tutto analoghe a quelle in N descritte


nella sezione 1.17 ma vanno ristrette ai monomi interi. Il M.C.D. tra monomi interi
sarà dato dal prodotto del M.C.D. tra i coefficienti con il M.C.D. delle parti letterali e
allo stesso modo per il m.c.m. Si ottengono quindi le regole seguenti.

Il M.C.D. tra monomi è un monomio che ha per coefficiente il M.C.D. tra i coefficienti
e per parte letterale le lettere comuni ai monomi prese una volta sola e con l’esponente
minimo.

Ad esempio il M.C.D. (7 a3 b , 4 a2 b) = a2 b e il M.C.D. (10 a2 b4 , 4 c2 d) = 2. Quando


il M.C.D. tra monomi è privo di parte letterale, cioè è un numero, i monomi si dicono
primi tra loro.
364 Monomi e polinomi

Il m.c.m. tra monomi è un monomio che ha per coefficiente il m.c.m. tra i coefficienti
e per parte letterale tutte le lettere presenti nei monomi prese una volta sola e con
l’esponente massimo.

Ad esempio il m.c.m. (7 a3 b , 4 a2 b) = 28 a3 b e il m.c.m. (10 a2 b4 , 4 c2 d) = 20 a2 b4 c2 d.

Se almeno uno dei monomi interi di cui si calcola il M.C.D. o il m.c.m. ha un


coefficiente frazionario allora si pone come coefficiente sia del M.C.D. che del
m.c.m. 1.

2.5 Definizione di polinomio

Si definisce polinomio una somma algebrica di monomi.


Algebra

Un polinomio composto da due monomi è detto bi-


nomio, se composto da tre monomi trinomio e cosı̀
via. Un polinomio è ordinato se i suoi monomi sono
scritti in ordine crescente o decrescente rispetto al
grado parziale riferito a una lettera. Un polinomio
è detto in forma normale se è ordinato e se non
contiene monomi simili. Un polinomio è intero se è
somma algebrica di monomi interi. Nel seguito pri-
ma della sezione 2.13 considereremo solo polinomi
interi.
Figura 2.3: I reali sono un sottoinsie-
Ad esempio è ordinato il polinomio 7 a3 b + me dei monomi che a loro volta sono
2 a b−4 a2 b mentre è in forma normale il polinomio
3
contenuti nei polinomi.
9 a3 b − 4 a2 b.
polinomio omogeneo ha tutti termini dello stesso grado.
polinomio completo ha tutte le potenze di una lettera, dal massimo al grado 0.
polinomio nullo è lo 0 o una somma algebrica di monomi aventi come coefficienti
0.
polinomio unità è il numero 1.
polinomi uguali hanno gli stessi monomi.
polinomi opposti hanno gli stessi monomi ma con i segni opposti

Tabella 2.2: Definizioni in P

L’insieme dei polinomi P contiene sia quello dei reali R sia quello dei monomi M,
come mostra la Figura 2.3. Se infatti un polinomio è composto dalla somma algebrica
di due monomi simili può essere ridotto ad un unico monomio. Rientrano in questo
caso monomi che hanno solo esponenti nulli, ovvero numeri. Se un polinomio è
composto dalla somma algebrica di due monomi opposti coincide con il numero 0.
Matematica 365

Il grado dei termini che compongono un polinomio è il grado usuale dei monomi. Anche
per un polinomio si definisce un grado complessivo e un grado rispetto a una lettera.

Il grado di un polinomio è il massimo grado dei suoi termini; il grado di un polinomio


rispetto a una lettera è l’esponente massimo con cui compare la lettera nei suoi termini.

Se un polinomio è composto da monomi ridotti aventi solo diverse potenze della stessa
lettera si dice polinomio in una variabile. Usualmente la lettera è la x e il polinomio
in tal caso si indica con P (x). Un polinomio in una variabile completo di grado n è
composto da n + 1 elementi, ovvero da tutte le potenze della x da 0 a n e il coefficiente
della potenza i-esima viene indicato con ai . a0 è chiamato termine noto mentre deve
essere an 6= 0 per avere grado n. Se alcuni ai con i 6= n sono nulli allora P (x) non è
completo.

2.6 Operazioni tra polinomi

Matematica
Si definisce prodotto di due polinomi il polinomio ottenuto moltiplicando ogni termine
del primo polinomio per ogni termine del secondo e sommando.

Ad esempio (7 a3 b + 2 a2 b) · (−3 a2 b3 + 5 a b4 ) = −21 a5 b4 + 35 a4 b5 − 6 a4 b4 + 10 a3 b5 .

Si definisce somma di due polinomi la somma algebrica tra i monomi simili che li
compongono cui vanno aggiunti con il proprio segno i termini che non hanno altri
termini simili.

Ad esempio (7 a3 b + 2 a2 b) + (−3 a2 b3 + 5 a2 b) = 7 a3 b − 3 a2 b3 + 7 a2 b.

L’insieme dei polinomi P con l’addizione costituisce un gruppo commutativo, mentre è un


monoide commutativo rispetto alla moltiplicazione. Ne deriva che P con le due operazioni
introdotte ha la struttura algebrica di anello. Ciò vale anche per la restrizione all’insieme dei
polinomi in una sola variabile.

La differenza tra due polinomi si ottiene semplicemente sommando al primo l’opposto


del secondo. La divisione tra due polinomi è invece un’operazione più complessa. Ge-
neralmente è utile eseguire una divisione tra polinomi di una variabile, come illustrato
nel seguito. Qualora si avessero polinomi in più variabili considerando le altre lettere
come numeri la procedura è analoga.

Un polinomio A(x) è divisibile per un polinomio B(x) se esiste un polinomio Q(x)


che moltiplicato per B(x) è uguale ad A(x): A(x) è divisibile per B(x) se ∃ Q(x) :
B(x) · Q(x) = A(x).

Per stabilire l’uguaglianza tra due polinomi in una variabile si ricorre al principio di
identità dei polinomi, che costituisce una condizione necessaria e sufficiente per la
366 Monomi e polinomi

loro uguaglianza: due polinomi in x sono identici se hanno lo stesso grado e coefficienti
uguali per le potenze simili.
Se un polinomio A(x) non è divisibile per un altro B(x), il quoziente Q(x) non è
esatto e si ha un ulteriore polinomio come resto R(x).

Si dimostra che dati due polinomi A(x) e B(x), tali che il grado di A(x) sia maggiore
o uguale al grado di B(x), esistono soltanto due polinomi Q(x) e R(x) tali che A(x) =
B(x) · Q(x) + R(x).

Vediamo di seguito come si esegue una divisione tra polinomi, ricordando inoltre
che la divisione di un polinomio per un monomio ne costituisce un caso particolarmente
semplice e non è un’operazione ulteriore. Qualunque siano i polinomi A(x) e B(x) (con
grado di B(x) non superiore al grado di A(x))si procede nel seguente modo:
Si pongono sia A(x) che B(x) in forma normale.
Si scrivono A(x) e B(x) nell’apposita griglia con il primo a sinistra e il secondo
a destra, avendo cura nel caso A(x) non sia completo di lasciare spazi maggiori
Algebra

tra i termini di A(x) in corrispondenza della potenza di x mancante.


Si divide il termine di grado maggiore di A(x) per il termine di grado maggiore
di B(x).
Si scrive il risultato della divisione sotto B(x).
Si moltiplica il quoziente ottenuto per ogni termine di B(x).
Si riporta il polinomio cosı̀ ottenuto sotto A(x) ponendo ogni sua potenza sotto
la stessa potenza di A(x).
Si esegue una sottrazione tra A(x) e il polinomio sottostante sottraendo termine
a termine.
Il termine di grado maggiore deve annullarsi, quindi il polinomio risultante ha un
grado minore di A(x) di almeno un’unità.
Se il grado del polinomio risultante è minore del grado di B(x) la divisione è ter-
minata. In questo caso il quoziente è il polinomio scritto al di sotto di B(x) mentre
il resto eventuale è il polinomio risultante. Se il grado del polinomio differenza è
maggiore o uguale al grado di B(x) si procede iterando il procedimento.
Si divide il termine maggiore del polinomio a sinistra per il termine maggiore di
B(x).
Si aggiunge il quoziente al primo quoziente scritto sotto B(x).
Si moltiplica solo l’ultimo termine del quoziente ottenuto per ogni termine di
B(x).
Si ripete la differenza tra il polinomio cosı̀ ottenuto e il polinomio scritto in basso
a sinistra iterando la procedura finché il grado del polinomio di sinistra è minore
del grado di B(x).
Matematica 367

Vediamo un esempio di divisione tra il polinomio x2 + 5x + 6 e il polinomio x + 2

x2 + 5x + 6 x+2 =⇒ x2 + 5x + 6 x+2 =⇒ x2 + 5x + 6 x+2


x x2 + 2x x

x2 + 5x + 6 x+2 =⇒ x2 + 5x + 6 x+2 =⇒ x2 + 5x + 6 x+2


x2 + 2x x x2 + 2x x+3 x2 + 2x x+3
// +3x + 6 //+3x + 6 // +3x + 6
+ 3x + 6

x2 + 5x + 6 x+2 =⇒ (x2 + 5x + 6) : (x + 2) = x + 3 e R(x) = 0.


x2 + 2x x+3
// +3x + 6
+ 3x + 6
// //

Matematica
2.7 Potenza intera positiva di un polinomio

La potenza intera positiva di un polinomio è un polinomio ottenuto moltiplicando il


polinomio per se stesso un numero di volte pari all’esponente.

Qualunque sia il polinomio di cui si calcola la po-


tenza, un principio basilare per controllare che si
siano svolti bene i conti è verificare che il polinomio
ottenuto sia omogeneo. In pratica indicando i ter-
mini del polinomio con singoli simboli, ad esempio
a, b e c, se si calcola la terza potenza del polinomio
(a + b + c) si deve verificare che lo sviluppo otte-
nuto abbia tutti termini di grado complessivo pari
a 3 come a2 b, a3 , b2 c e cosı̀ via. Questa procedura
non consente però di verificare il coefficiente dei di- Figura 2.4: Prime righe del triangolo di
versi termini. Ad esempio nello sviluppo precedente Tartaglia.
il termine a2 b ha coefficiente 3 perché esistono tre
diversi modi per ottenerlo grazie alla proprietà commutativa del prodotto: a a b, a b a e
b a a.
Un caso particolare è costituito dallo sviluppo della potenza n-esima di un bino-
mio: i coefficienti dei vari termini dello sviluppo possono essere ricavati dal triangolo
di Tartaglia mostrato nella Figura 2.4. Nel triangolo, chiamato anche triangolo di
Pascal, ogni termine di una certa riga è pari alla somma di due adiacenti della riga pre-
cedente. Il primo e l’ultimo termine di ogni riga hanno soltanto un elemento adiacente
nella riga precedente ed è 1, perciò i lati obliqui esterni del triangolo sono composti
interamente dall’unità.
368 Monomi e polinomi

I coefficienti dei termini della potenza n-esima sono i termini della riga (n + 1)-esima
del triangolo.

Il triangolo di Tartaglia è un costrutto geometrico ricco di proprietà numeriche: da esso


possono essere estratte numerose successioni notevoli come la sequenza di Fibonacci,
dalle sue righe possono essere lette le potenze del numero 11, dalle sue diagonali si
hanno le successioni dei numeri politopici, e cosı̀ via. Sarà infatti ripreso anche nella
sezione delle progressioni aritmetiche 13.2.

Per calcolare la quarta potenza del binomio (a−b) ci si ispira all’omogeneità dei polinomi
e quindi ogni termine dello sviluppo deve essere di quarto grado. Tutti i termini di
quarto grado possibili si ottengono partendo dal termine che ha parte letterale a4 (−b)0
e aggiungendo di volta in volta termini che hanno un grado in meno in a e un grado in
più in b in modo che il grado complessivo resti 4.
Per i coefficienti basta usare i numeri della quinta riga del triangolo di Tartaglia e si
ottiene
Algebra

(2.3) (a − b)4 = a4 + 4 a3 b + 6 a2 b2 + 4 a b3 + b4 .

I termini della riga (n + 1)-esima rappresentano proprio il numero di possibili modi di


ottenere la stessa parte letterale del corrispondente termine della potenza n-esima del
binomio, come discusso in precedenza.

In generale il termine di posto k+1 della riga n+1 del triangolo di Tartaglia indica il numero di
combinazioni possibili di n oggetti a gruppi di k, si chiama coefficiente binomiale e si indica
con il simbolo nk . Questi coefficienti sono usati nel calcolo combinatorio, come discusso nella


sezione 13.6. I coefficienti binomiali sono ottenuti come prodotti e rapporti di fattoriali, come
mostrato nella 2.4. Nella stessa riga è indicata anche la definizione di fattoriale: il prodotto
di tutti gli interi positivi compresi tra l’unità e il numero indicato con il punto esclamativo.
Tramite i coefficienti binomiali la potenza n-esima di un binomio può essere espressa con
la formula del binomio di Newton:
n
! !
X n n n!
(2.4) (a + b)n = an−k bk , = , n! = 1 · 2 · 3 · · · (n − 1) · n.
k k k!(n − k)!
k=0

Prodotti e rapporti di potenze di polinomi sfruttano le usuali proprietà delle potenze


descritte nella sezione 1.14. Ad esempio (x + 3)3 · (x + 3)5 = (x + 3)8 e (x + 3)4 :
(x + 3)5 = 1/(x + 3).

2.8 Zeri di un polinomio e teorema di Ruffini


Un polinomio di una variabile P (x) può essere considerato come una corrisponden-
za tra due insiemi numerici: assegnando un valore alla x si può calcolare il risultato
dell’espressione costituita dal polinomio.
Matematica 369

Si definisce zero del polinomio o radice del polinomio o soluzione del polinomio ogni
valore della x che sostituito nel polinomio rende nulla l’espressione.

Ad esempio il valore x = −2 è uno zero del trinomio x2 + 5x + 6 perché (−2)2 + 5 ·


(−2) + 6 = 0.

Un’utile regola pratica afferma che le radici intere di un polinomio a coefficienti interi
vanno ricercate tra i divisori del termine noto. In generale le radici vanno ricercate
tra le frazioni irriducibili che hanno al numeratore un divisore del termine noto e al
denominatore un divisore del coefficiente del grado massimo.

Diamo due importanti risultati le cui conseguenze sono utili nella scomposizione dei
polinomi.

teorema del resto: dividendo P (x) per un binomio (x − a) il resto è dato dal

Matematica
valore P (a) assunto dal polinomio quando x = a.

Ad esempio dividendo il trinomio x2 + 5x + 6 per (x − 1) si ha che R(1) = 12, infatti


12 + 5 · 1 + 6 = 12.

Dal teorema del resto e dalla definizione di zero del polinomio si ricava un altro
importante teorema.

teorema di Ruffini: condizione necessaria e sufficiente perché P (x) sia divisibile


per un binomio del tipo (x − a) è che a sia radice del polinomio.

Ad esempio poiché il trinomio P (x) = x2 + 5x + 6 si annulla per x = −3, cioè P (−3) = 0,


esso è divisibile per (x + 3), come si evince dalla divisione eseguita nella sezione 2.6.

Il teorema di Ruffini implica la validità delle seguenti proprietà, che saranno riprese
nelle sezioni successive:

La differenza di due potenze dello stesso grado è sempre divisibile per la differenza
delle basi.

La differenza di due potenze dello stesso grado è divisibile per la somma delle
basi solo se il grado è pari.

La somma di due potenze dello stesso grado non è mai divisibile per la differenza
delle basi.

La somma di due potenze dello stesso grado è divisibile per la somma delle basi
solo se il grado è dispari.
370 Monomi e polinomi

2.9 M.C.D. e m.c.m. tra polinomi: definizioni


Le regole che determinano il M.C.D. e il m.c.m. tra polinomi sono identiche a quelle
relative ai monomi. Occorre innanzitutto scomporre un polinomio in fattori.

Scomporre nell’insieme dei polinomi significa trasformare somme algebriche in prodotti


in modo che i fattori abbiano grado minore del polinomio di partenza. Con ciò si intende
che un polinomio di grado maggiore o uguale a due può a volte essere scritto come
prodotto di più fattori, ognuno dei quali è un numero o un monomio o un polinomio
di grado minore.

La divisione svolta nella sezione 2.6 ad esempio mostra che il polinomio x2 + 5x + 6


può essere scomposto nel prodotto (x + 2) · (x + 3).
Una volta scomposto un polinomio, per trovare il M.C.D. bisogna calcolare il pro-
dotto dei soli fattori comuni, presi una volta sola con l’esponente minimo. Per il m.c.m.
invece si calcola il prodotto di tutti i fattori, presi una volta sola con l’esponente
massimo.
Algebra

Si considerino i polinomi x2 + 5x + 6 e x2 − 4. È facile notare che sostituendo ±2 alla x nel


binomio questo si annulla. Per il teorema di Ruffini, quindi, il binomio si può scomporre
come (x + 2) · (x − 2).
Si ha dunque:
M.C.D.[(x2 + 5x + 6), (x2 − 4)] = (x + 2)
m.c.m.[(x2 + 5x + 6), (x2 − 4)] = (x + 2) · (x + 3) · (x − 2).

Se due polinomi non hanno divisori comuni sono detti primi tra loro.

2.10 Prodotti notevoli


Sfruttando i risultati della sezione 2.8 si hanno le identità della Tabella 2.3 chiamate
prodotti notevoli. Per le prime righe sono stati riportati alcuni possibili casi dei segni dei
termini; in generale la regola dei segni determina il segno di ogni termine degli sviluppi.
A tal fine bisogna considerare le differenze come somme algebriche, cioè a−b = a+(−b)
e ricordare che una potenza pari di un termine negativo è un termine positivo, mentre
una potenza dispari di un termine negativo è ancora un termine negativo.
È inoltre utile realizzare che per utilizzare i prodotti notevoli si può beneficiare
della proprietà commutativa dell’addizione e della moltiplicazione. Se inoltre si ha
un’espressione che è l’opposto di un prodotto notevole si può usare il corrispondente
sviluppo cambiando segno ad ogni termine, il che equivale a mettere il segno meno in
evidenza. Ad esempio −a3 + b3 = b3 − a3 e anche −a3 + b3 = −(a3 − b3 ).

La differenza di due quadrati è anche chiamato somma per differenza per ovvie
ragioni. Si noti l’esempio dato nella Tabella 2.3. L’utilizzo di tale prodotto notevole
è abbastanza diffuso anche in ragione del fatto √ che 12 = 1 e che qualsiasi numero
positivo è il quadrato della propria radice: a = ( a)2 ∀ a ∈ R+ 0.
Matematica 371

(a + b)2 = a2 + b2 + 2ab
(a − b)2 = a2 + b2 − 2ab
Quadrato del binomio
(−a + b)2 = a2 + b2 − 2ab
(−a − b)2 = a2 + b2 + 2ab
⇐= es. (x + 2)2 = x2 + 4 + 4x , (2x − 3)2 = 4x2 + 9 − 12x .
(a + b + c)2 = a2 + b2 + c2 + 2ab + 2bc + 2ac
(a − b + c)2 = a2 + b2 + c2 − 2ab − 2bc + 2ac
Quadrato del trinomio
(a + b − c)2 = a2 + b2 + c2 + 2ab − 2bc − 2ac
(−a − b + c)2 = a2 + b2 + c2 + 2ab − 2bc − 2ac
⇐= es. (x2 − 3x + 5)2 = x4 + 9x2 + 25 − 6x3 − 30x + 10x2 .

(a + b)3 = a3 + b3 + 3a2 b + 3ab2


(a − b)3 = a3 − b3 − 3a2 b + 3ab2
Cubo del binomio
(−a + b)3 = −a3 + b3 + 3a2 b − 3ab2

Matematica
(−a − b)3 = −a3 − b3 − 3a2 b − 3ab2 = −(a + b)3
⇐= es. ( 23 x2 − 4)3 = 8 6
27
x − 64 − 48 4
9
x + 32 2
3
x .
Somma di due quadrati a2 + b 2 è irriducibile
Differenza di due quadrati a2 − b2 = (a + b)(a − b)
√ √
2 2 2 2
=⇒ es. 9
x −1=( 3
x + 1)( 3
x − 1) .
Somma di due cubi a3 + b3 = (a + b)(a2 + b2 − ab)
=⇒ es. x3 + 27 = (x + 3)(x2 + 9 − 3x) .
Differenza di due cubi a3 − b3 = (a − b)(a2 + b2 + ab)
=⇒ es. 27x3 − 8 = (3x − 2)(9x2 + 4 + 6x) .
Trinomio notevole x2 + sx + p = (x + a)(x + b), con a + b = s, a · b = p
=⇒ es. x2 + 7x + 10 = (x + 2)(x + 5) .

Tabella 2.3: Prodotti notevoli.

Molti dei prodotti notevoli possono essere eseguiti senza particolari accorgimenti. Per
il trinomio notevole conviene invece seguire la seguente procedura.

Per usare il trinomio notevole occorre partire dal segno del termine noto: se è positivo
i due numeri cercati sono concordi, se è negativo discordi. Si noti poi il segno del
coefficiente del termine di primo grado: se è positivo e i termini sono concordi significa
che si sta cercando due numeri positivi, se è negativo e i termini sono concordi si sta
cercando due numeri negativi. Nel caso in cui i termini siano discordi il segno di s
coincide con il segno del numero che ha modulo maggiore tra i due cercati.
Una volta determinati i segni si cercano le coppie di numeri il cui prodotto è pari a p a
cominciare da (1, p) nel caso siano entrambi positivi. Tra le coppie trovate quella che
soddisfa anche la condizione della somma è quella cercata.
372 Monomi e polinomi

Le frecce inserite a sinistra della Tabella 2.3 indicano in quale senso l’identità costituisce
una scomposizione, ovvero in quale verso occorre utilizzare l’espressione per trasformare
una somma algebrica di polinomi in un prodotto di polinomi che abbiano segno minore
del polinomio di partenza.

2.11 Regole di scomposizione


I prodotti notevoli sono molto utili nella scomposizione di polinomi, ma non esauri-
scono le possibili procedure per ottenere polinomi di grado inferiore. Tra le restanti
che descriviamo in questa sezione merita una considerazione a parte il raccoglimento a
fattor comune totale.

Una regola pratica che favorisce le scomposizioni è che tutte le volte che si può
procedere al raccoglimento totale è opportuno farlo. Se un polinomio può essere
scomposto in diversi modi e tra questi c’è anche il raccoglimento totale è meglio
prima raccogliere e poi eventualmente procedere con altre scomposizioni.
Algebra

Raccoglimento a fattor comune totale Questa procedura è chiamata anche


mettere in evidenza e consiste nella procedura inversa della proprietà distri-
butiva. Ogni volta che una somma algebrica di termini è tale che i termini hanno
fattori comuni a tutti, questi ultimi possono essere raccolti, cioè scritti all’inizio
della somma, e moltiplicati per i quozienti tra i termini della somma e il prodotto
dei fattori raccolti.

I seguenti esempi possono essere d’aiuto, per chiarimenti sulla manipolazione dei radicali
si rimanda al capitolo 3:

12 a3 b4 + 15 a2 b2 c − 3 a4 b = 3 a2 b · (4 a b3 + 5 b c − a2 ) ,
− 20x3 + 14x = −2x · (10x2 − 7x) ,
(2.5) √ 2 4 √ √ 1
2 a b + 4 a2 b − a b = 2 a b · (a b3 + 2 2 a − √ ) ,
2
1 2 3 5 9 3 1 4
x + x − x = x · ( x + x − 6) .
8 4 2 4 6

A volte è utile raccogliere un fattore presente in alcuni termini della somma ma non in
tutti.
Si può procedere comunque con l’accortezza di moltiplicare e dividere per il fattore
interessato i termini che non lo contengono e poi raccogliere. Quando si raccoglie un
fattore complessivamente negativo i termini vanno scritti cambiando loro il segno.

Raccoglimento a fattor comune parziale Questa regola è analoga alla pre-


cedente con l’unica differenza che il raccoglimento viene fatto solo su un sot-
toinsieme dei termini costituenti la somma algebrica. Solitamente è sconsigliabile
applicare questa regola di scomposizione quando possono essere riconosciuti al-
cuni prodotti notevoli, soprattutto se il polinomio che si vuole scomporre ha un
numero dispari di termini.
Matematica 373

L’utilità del raccoglimento parziale si ha in una somma algebrica costituita da un


numero pari di termini, ad esempio 4 o 6, in cui grazie al primo raccoglimento parziale
si può poi procedere a un raccoglimento totale perché le parentesi dei due termini (in
cui compaiono i quozienti tra i termini iniziali e il fattore parziale raccolto) coincidono.

In virtù dell’ultima affermazione non sempre conviene sommare subito termini simili
se si ha una somma algebrica composta da un numero pari di termini.

Si vedano a tal proposito i seguenti esempi:

12 a3 b4 + 15 a2 b2 c − 7 d = 3 a2 b2 · (4 a b2 + 5 c) − 7 d poco utile.
7x2 − 14x + 6x − 12 = 7x · (x − 2) + 6 · (x − 2) = (x − 2) · (7x + 6).

Matematica
Regola di Ruffini La regola di Ruffini è una procedura che consente di scom-
porre un polinomio in una variabile P (x) in un prodotto di un binomio di primo
grado del tipo (x − a), dove a è uno zero di P (x), per un polinomio in x avente
un grado inferiore di un’unità rispetto a quello di partenza. Questa regola è da
considerare come ultima spiaggia, cioè è meglio applicarla solo quando nessuna
delle altre risulta applicabile. Ciò a causa sia del tempo maggiore necessario al
suo utilizzo sia alla possibilità di non essere subito in grado di determinare il
giusto valore di a.

Si ricorda che gli zeri del polinomio vanno ricercati tra i divisori del termine noto, come
indicato nella sezione 2.8.

La regola di Ruffini rappresenta un modo alternativo di eseguire la divisione tra P (x)


e (x − a).
Per scomporre un polinomio con la regola di Ruffini si procede nell’ordine seguente:

Si pone il polinomio in forma normale, cioè ordinato e ridotto.

Si scrivono i coefficienti delle potenze del polinomio dal grado massimo a quello
nullo in una riga orizzontale lasciando un certo spazio tra di essi e riportando
ognuno con il proprio segno. Se il polinomio non contiene alcune potenze di grado
compreso tra il massimo e quello nullo allora nella riga dei coefficienti va inserito
uno 0 in corrispondenza di ognuno dei gradi mancanti.

Nella riga dei coefficienti si traccia una linea verticale prima del primo termine e
una linea verticale prima dell’ultimo termine.

Dopo aver lasciato lo spazio per un’ulteriore riga da scrivere sotto quella dei coef-
ficienti, si traccia una riga orizzontale di lunghezza pari alla riga dei coefficienti.
374 Monomi e polinomi

Sopra la riga orizzontale e a sinistra della prima linea verticale si scrive uno zero
del polinomio, ad esempio a.
Si riporta il primo coefficiente da sinistra al di sotto della riga orizzontale trac-
ciata.
Si moltiplica il numero scritto sotto la riga orizzontale per a scrivendo il prodotto
al di sotto del secondo coefficiente.
Si esegue la somma algebrica tra il coefficiente e il termine scritto al di sotto di
esso e si riporta il risultato nella stessa colonna della griglia ma al di sotto della
riga orizzontale.
Si moltiplica il numero ottenuto per a e lo si scrive sotto il coefficiente di grado
immediatamente inferiore reiterando la somma e il successivo prodotto fino al
termine dei coefficienti compreso quello del termine noto.
Se la colonna corrispondente ai coefficienti del termine noto termina con 0 la
scomposizione è esatta, altrimenti il numero scritto in basso a destra della griglia
rappresenta il resto della divisione.
Algebra

Si eguaglia il polinomio di partenza di grado n al prodotto tra (x − a) e un


polinomio avente come coefficienti i numeri scritti sotto la riga orizzontale, presi
da sinistra a destra. Il primo numero è il coefficiente di xn−1 , il secondo di xn−2
e cosı̀ via fino al termine noto.
Illustriamo nella Tabella 2.4 la procedura passo passo per scomporre il polinomio 3x5 −
6x4 + 5x − 10.
3 −6 0 0 5 −10 ⇒ 3 −6 0 0 5 −10 ⇒ 3 −6 0 0 5 −10
2 2 6 2 6
3 3 3 0

3 −6 0 0 5 −10 ⇒ 3 −6 0 0 5 −10 ⇒ 3 −6 0 0 5 −10


2 6 0 2 6 0 2 6 0 0
3 0 3 0 0 3 0 0

3 −6 0 0 5 −10 ⇒ 3 −6 0 0 5 −10 ⇒ 3 −6 0 0 5 −10


2 6 0 0 2 6 0 0 0 2 6 0 0 0
3 0 0 0 3 0 0 0 3 0 0 0 5

3 −6 0 0 5 −10 ⇒ 3 −6 0 0 5 −10
2 6 0 0 0 10 2 6 0 0 0 10 a
3 0 0 0 5 3 0 0 0 5 // R

Tabella 2.4: Scomponendo con la regola di Ruffini si ha 3x5 − 6x4 + 5x − 10 = (x − 2) · (3x4 + 5), con
a = 2 e R = 0.

La regola di Ruffini può essere usata anche per la divisione di P (x) per un binomio del tipo
(ax − b) a patto di scrivere il binomio come a · (x − b/a). In tal caso chiamando Q(x) il
polinomio quoziente si ha l’identità P (x)/a = (x − b/a) · Q(x) + R/a, quindi bisogna ricordarsi
di dividere ogni coefficiente di P (x) per a prima di procedere con la regola scrivendo a sinistra
in basso della griglia il numero b/a. Per ottenere il resto, inoltre, al termine della procedura
bisogna moltiplicare per a il resto ottenuto dalla griglia.
Matematica 375

2.12 M.C.D. e m.c.m. tra polinomi: applicazioni


Una volta acquisiti i risultati delle ultime due sezioni, cioè la conoscenza dei prodotti
notevoli e delle regole di scomposizione, si può determinare l’eventuale scomposizione
univoca di un polinomio di grado superiore al primo.

Stanti le stesse definizioni di M.C.D. e m.c.m. valevoli per numeri e per monomi, anche
le procedure sono esattamente le stesse: per determinare il M.C.D. tra una ennupla di
polinomi si calcola il prodotto dei soli fattori comuni, presi una volta sola, con esponente
minimo. Per il m.c.m. si calcola il prodotto di tutti i fattori, presi una volta sola, con
esponente massimo.

Riportiamo per esempio il calcolo del M.C.D. e del m.c.m. di una terna di polinomi.

P1 (x) = 3x, P2 (x) = 2x + 2, P3 (x) = x2 + 2x + 1. Innanzitutto vanno scomposti: il primo

Matematica
è di primo grado e ridotto, quindi non ulteriormente scomponibile; nel secondo si può
mettere in evidenza il fattore 2 per avere P2 (x) = 2 · (x + 1); il terzo si può scomporre
attraverso il riconoscimento del quadrato del binomio (x + 1) per avere P3 (x) = (x + 1)2 .
Si ha quindi M.C.D.(P1 (x), P2 (x), P3 (x)) = 1 perché i tre polinomi non hanno fattori
comuni, mentre m.c.m.(P1 (x), P2 (x), P3 (x)) = 6x · (x + 1)2 in quanto i fattori sono 2, 3,
x e (x + 1) e l’ultimo compare elevato alla seconda in uno dei polinomi.

In modo analogo si può eseguire qualunque altro esercizio ispirandosi ai metodi acquisiti
con i numeri per i fattori numerici e con i monomi per le parti letterali.

Si noti che la x del termine 3x è stata presa nonostante la presenza della stessa variabile
nel fattore (x + 1). Ogni fattore è infatti considerato separatamente dagli altri e ogni
parentesi costituisce un fattore: non si può prendere un termine da una somma ma
bisogna visualizzarla come un’unica entità.

2.13 Frazioni algebriche

Si definisce frazione algebrica il quoziente tra due polinomi interi di cui il primo è
chiamato numeratore N della frazione e il secondo, chiamato denominatore D, non
deve essere il polinomio nullo: D 6= 0.
Nell’insieme dei polinomi nella sola variabile x una frazione algebrica F (x) è un’espres-
sione del tipo F (x) = N (x)/D(x) con N (x) e D(x) polinomi interi e D(x) diverso
dal polinomio nullo.

Per le frazioni algebriche vale la stessa terminologia in uso tra frazioni numeriche,
ad esempio due frazioni algebriche sono equivalenti se il prodotto del denominatore
della prima per il numeratore della seconda è uguale al numeratore della prima per il
denominatore della seconda, ovvero N1 · D2 = N2 · D1 . Allo stesso modo il reciproco di
una frazione F = N/D è la frazione 1/F = D/N .
376 Monomi e polinomi

La relazione di equivalenza consente di suddividere l’insieme delle frazioni algebriche in una


variabile in classi di equivalenza, ognuna delle quali è chiamata funzione razionale.

Le operazioni tra frazioni algebriche sono definite nello stesso modo in cui sono definite
tra frazioni numeriche, ad esempio il prodotto di due frazioni algebriche è una frazione
che ha al numeratore il prodotto dei numeratori e al denominatore il prodotto dei
denominatori. L’esistenza del reciproco consente anche di effettuare una divisione tra
due frazioni algebriche calcolando il prodotto tra la prima e l’inverso della seconda.

N1 N2 N1 · N2 1 N1 · D2
(2.6) F1 = , F2 = , ⇒ F1 · F2 = , F1 : F2 = F1 · = .
D1 D2 D1 · D2 F2 D1 · N2
Moltiplicare e dividere una frazione per uno stesso fattore equivale a moltiplicare per
l’unità e quindi non modifica l’espressione. Viceversa questa proprietà fondamentale
consente di semplificare le frazioni algebriche. Una volta scomposti N e D si può
semplificare dividendo N e D per i fattori comuni. Quando non vi sono ulteriori fattori
comuni la frazione è detta irriducibile.
Tra frazioni algebriche irriducibili la somma algebrica si esegue come tra frazioni
Algebra

numeriche: occorre scrivere le frazioni con lo stesso denominatore, dato dal m.c.m. dei
diversi denominatori e seguire passo passo le procedure riportate nella sezione 1.18.

Le funzioni razionali con le operazioni indicate sono un insieme F avente la struttura algebrica
di campo. Un sottoinsieme F1 di tale campo è fornito dalle funzioni razionali aventi al deno-
minatore solo 1, chiamate funzioni razionali intere. Questo sottoinsieme è isomorfo all’anello
dei polinomi P, cioè è in corrispondenza biunivoca con P, come spiegato nella sezione 5.4.

Particolare attenzione merita invece la considerazione sulle condizioni di esistenza


(C.E.), non presenti nelle frazioni numeriche.

Le C.E. sono vincoli posti sui possibili valori che possono assumere le variabili del polino-
mio a denominatore onde evitare che sia D = 0. In ogni espressione contenente frazioni
algebriche occorre scrivere le C.E. In presenza di un’espressione con più denominatori
si scrive una C.E. per ogni fattore non numerico di ogni denominatore, consistente nel
porre quel fattore diverso da 0. Se alla variabile si dà valore pari a uno dei valori esclusi
dalle C.E. tutta l’espressione diventa priva di senso.

Quando si ha a che fare con un’espressione contenente frazioni algebriche l’obiettivo è


di solito semplificare l’espressione. A tal fine occorre procedere nell’ordine seguente:

Scomporre tutti i polinomi a numeratore e a denominatore.

Scrivere le C.E.

Semplificare ove possibile tra numeratori e denominatori.

Calcolare il m.c.m. tra i denominatori.

Eseguire la somma algebrica tra frazioni.


Matematica 377

Eseguire i prodotti al numeratore.


Scomporre ove possibile il numeratore cosı̀ ottenuto.
Semplificare se possibile il numeratore con il denominatore.

L’ordine della procedura è importante. Se ad esempio dopo aver scomposto si procede


prima con la semplificazione e poi con la scrittura delle C.E. potrebbe capitare che
alcuni fattori al denominatore siano stati cancellati e non compaiano nelle C.E. che
saranno quindi errate.

Vediamo come semplificare un’espressione contenente frazioni algebriche.


Si consideri l’espressione seguente:

3x + 9 x2 − 4 x+4
(2.7) + − .
x2 − 2x + 1 4x − 8 1−x
Occorre innanzitutto semplificare. Nel primo numeratore e nel secondo denominatore si

Matematica
può usare il raccoglimento a fattor comune totale, nel primo denominatore si può usare il
riconoscimento del quadrato di un binomio, nel secondo numeratore la differenza di due
quadrati. Si ottiene
(2.8)
3x + 9 = 3(x + 3) , x2 − 2x + 1 = (x − 1)2 , x2 − 4 = (x − 2)(x + 2) , 4x − 8 = 4(x − 2) .

Sostituendo le scomposizioni nella 2.7 si ha


3(x + 3) (x − 2)(x + 2) x+4
(2.9) + − .
(x − 1)2 4(x − 2) 1−x

Si nota che il terzo denominatore è l’opposto di uno dei fattori presenti nel primo denomi-
natore. In questi casi si può cambiare il segno davanti a una frazione algebrica e cambiare
segno al suo denominatore, ma non al numeratore. Con questa accortezza si riduce il nu-
mero dei fattori del m.c.m., perché fattori opposti non essendo uguali andrebbero presi
entrambi. L’espressione quindi diventa

3(x + 3) (x − 2)(x + 2) x+4


(2.10) + + .
(x − 1)2 4(x − 2) x−1

A questo punto si possono scrivere le C.E., che sono le seguenti

(2.11) x − 1 6= 0 ⇒ x 6= 1 , x − 2 6= 0 ⇒ x 6= 2.

Dopo le C.E. si può procedere ad eventuali semplificazioni ottenendo

3(x + 3) x+2 x+4


(2.12) + + .
(x − 1)2 4 x−1

Il m.c.m. dei denominatori è 4(x − 1)2 , quindi l’espressione diventa

4 · 3(x + 3) + (x − 1)2 (x + 2) + 4(x − 1)(x + 4) x3 + 4x2 + 21x + 22


(2.13) = .
4(x − 1) 2 4(x − 1)2

Si poteva anche realizzare che (x − 1)2 = (1 − x)2 , quindi non cambiare segno alla terza
frazione e al suo denominatore. Si sarebbe ottenuto lo stesso risultato.
378 Monomi e polinomi

2.14 Quesiti
−a2 − 2a A le condizioni di esistenza riguardano solo
1) L’espressione per a = −2
a2 − 2a i numeri presenti
vale:
B bisogna trovare i valori che rendono il de-
A 1 nominatore nullo, quelle sono le soluzioni
dell’espressione
B −1
C si deve determinare un’unica frazione
C 0 numerica sommando i numeratori ed i
denominatori
D è indeterminata
D quando il denominatore contiene una so-
E è impossibile la lettera questa può assumere tutti i
valori che annullano il numeratore
a2 + 2b
2) L’espressione non è definita per: E se il denominatore contiene più lettere
a2 − b
la condizione di esistenza lega il valore
A a=0 di una di esse con le altre nel porre il
denominatore diverso da 0
B b=0
7) La somma algebrica di monomi è:
C a=b
√ A un’operazione interna in un sottoinsieme
D a= b
Algebra

√ di monomi simili
E a=± b B un monomio di grado pari alla somma
dei monomi addendi
3) Quale delle seguenti affermazioni è
corretta? C un’operazione sempre possibile e si ot-
tiene un unico monomio anche se gli
A tutti i monomi sono anche numeri reali addendi non sono simili
B tutti i numeri reali sono anche monomi D un monomio e se gli addendi han-
no parte numerica frazionaria la par-
C tutti i monomi sono anche numeri te numerica del monomio somma si
razionali ottiene sommando i numeratori con i
D tutti i monomi interi sono anche numeri denominatori
reali E il monomio unità se i monomi addendi
E tutti i monomi ridotti sono anche numeri sono opposti
reali
8) Qual è la proprietà corretta della
4) Quale delle seguenti coppie è costituita divisione tra polinomi?
da monomi omogenei?
A è un’operazione commutativa
A 2a3 e 2b5 c B ha come risultato il m.c.m. fra il
B 2a3 b e 2b5 dividendo ed il quoziente
C è sempre possibile e si ottiene come resto
C 2a3 e 2b3 c il polinomio nullo
D 2a3 e −2b2 c D presenta una procedura simile alla
E −2a3 e 2bc moltiplicazione tra polinomi
E ha come risultato un quoziente ed un
5) Il prodotto di due monomi opposti è: resto, ed il grado del polinomio resto è
minore del grado del divisore
A un numero
9) Come si ottiene la potenza intera di un
B pari a 1
polinomio?
C un monomio
A moltiplicando tra loro i monomi compo-
D un polinomio nenti un numero di volte pari all’espo-
E pari a −1 nente
B moltiplicando il polinomio per se stesso
6) Nelle frazioni algebriche: un numero di volte pari all’esponente
Matematica 379

C elevando a potenza le parti letterali dei polinomio?


singoli monomi
A si definisce zero di un polinomio il
D nel caso particolare della potenza en-
monomio col coefficiente numerico nullo
nesima di un binomio si eseguono le
moltiplicazioni indicate dall’esponente, B un polinomio ha sempre degli zeri
non essendoci formule che consentono di determinati
determinare lo sviluppo C gli zeri di un polinomio sono in nume-
E ricavando gli esponenti dei coefficienti ro pari alla somma degli esponenti dei
delle parti letterali col triangolo di Tar- singoli monomi
taglia nel caso particolare della potenza D gli zeri di un polinomio vanno ricercati
ennesima di un binomio tra i divisori del termine noto
10) Quale delle seguenti affermazioni è cor- E gli zeri interi di un polinomio vanno
retta a proposito degli zeri di un ricercati tra i divisori del termine noto

2.15 Risposte commentate ai quesiti


1) Sostituendo il valore nell’espressione si ottiene la frazione 0/4 che è pari a 0. La
risposta corretta è la C .

Matematica
2) Un’espressione algebrica letterale necessita l’imposizione di C.E. per evitare pro-
blemi di definizione, in genere per escludere che il denominatore sia nullo. Occorre
quindi porre tutto il denominatore diverso da zero, cioè a2 − b = 0. Risolvendo
come se a fosse l’incognita e b un numero si ottiene a2 = b, che ha come soluzione
l’alternativa E , che è la risposta corretta.

3) Poiché in generale i monomi hanno una parte letterale non possono essere numeri,
né reali né razionali. Se però si considerano i monomi con parte letterale costituita
solo da lettere elevate alla 0 allora in tal caso questi monomi coincidono con numeri
pari ai loro coefficienti. Poiché in generale i coefficienti possono essere numeri reali
si ha che la risposta corretta è la B .

4) Due monomi sono omogenei quando hanno lo stesso grado, che coincide con la som-
ma degli esponenti della loro parte letterale. L’unica risposta in cui i due monomi
hanno lo stesso grado è la D , che presenta due monomi di terzo grado ed è la
risposta corretta.

5) In generale il prodotto di due monomi è un monomio. Se i monomi sono inversi il


loro prodotto è 1, quindi la A e la B vanno escluse. Se due monomi sono opposti
la loro somma è 0, ma il loro prodotto è in generale un monomio con coefficiente
negativo. La risposta corretta è la C .

6) La A è errata perché la condizione di esistenza riguarda i denominatori. La B e


la D vanno scartate perché i valori che annullano i denominatori sono quelli da
escludere, in quanto il denominatore deve essere diverso da zero. Nella C è errata
la procedura. La risposta corretta è la E .

7) Nella B e nella D sono errate le procedura di somma quindi vanno escluse. La C


è errata perchè si ottiene un polinomio quando gli addendi non sono simili. La E
va esclusa perché la somma di monomi opposti è pari al monomio nullo. La risposta
corretta è la A .
380 Monomi e polinomi

8) La A è errata: somma e prodotto sono commutative, ma nella divisione si scam-


bierebbero dividendo e divisore. La B è errata perché esprime un collegamento
inesistente tra procedure differenti. La C è errata perchè il resto 0 si ha soltanto
se il dividendo è pari al prodotto tra quoziente e divisore. La D è errata perchè la
procedura per eseguire la moltiplicazione è molto più semplice. La risposta corretta
è la E .

9) Nella A è errata la procedura. La C è errata perchè trascura i coefficienti numerici e


non indica la procedura corretta. La D e la E sono errate: la prima perchè ignora il
triangolo di Tartaglia, l’altra perché lo utilizza per gli esponenti della parte letterale
invece che per i coefficienti numerici. La B è la risposta corretta perché indica la
giusta procedura.
10) La A è errata perché lo zero è tale se, sostituito alla variabile, rende nullo il polino-
mio. La B è errata perché l’esistenza degli zeri non è assicurata. La C va esclusa
perché il numero di zeri è al massimo pari al grado del polinomio. La D trascura
che la procedura è valida per gli zeri interi, pertanto la risposta corretta è la E .
Algebra
Radicali
3
Introduzione
In questo capitolo verranno trattati i radicali e le loro proprietà ponendo l’accento
sull’equivalenza tra radicali e potenze con esponente razionale. Tale punto di vista rende
più semplice ricavare le varie manipolazioni algebriche ammesse sui radicali riducendo
lo sforzo mnemonico e il numero di regole da imparare. L’ultima sezione racchiude le
condizioni di esistenza degli esempi discussi nel capitolo: per ogni esempio il lettore è
invitato a imporre di volta in volta le C.E. che ritiene corrette e alla fine potrà verificare
il proprio operato.

3.1 Radicali aritmetici ed algebrici


L’operazione chiamata estrazione di radice n-esima di un numero reale non negativo
è l’inverso dell’elevamento a potenza n-esima, cosı̀ come l’addizione e la sottrazione sono
due operazioni√inverse.
L’espressione n a è detta radicale, il naturale n è
chiamato indice della radice, mentre l’espressione
scritta sotto il segno di radice è detta radicando o
argomento della radice.
L’indice dà anche il nome alla radice, ad esempio
se n = 2 si ha una radice quadrata, se n = 3 una
radice cubica, se n = 4 una radice quarta e cosı̀ via
con gli ordinali corrispondenti ai valori di n.

Figura 3.1: Il numero 5 compare nei
Per ogni reale non negativo a e per ogni in- progetti di diversi monumenti dell’anti-
dice naturale n si definisce radice n-esima chità, dagli Egizi ai templi greci sino al-
le cattedrali gotiche, è infatti legato al
di a l’unico numero reale non negativo y la rapporto aureo.
cui potenza n-esima√coincide con a: ∀ a ∈
R+ ∃ y ∈ R+ | y = n a.

La restrizione del radicando ai reali non negativi fa sı̀ che il radicale sia un radicale
aritmetico e che esista sempre una e una sola soluzione, espressa da un numero non
negativo.
Si ricorda che i naturali N partono dall’unità e non dallo zero. Poiché elevare un numero
alla prima potenza equivale a non compiere alcuna operazione anche l’estrazione di
radice con indice unitario equivale al radicando. Dalle proprietà dello 0, inoltre, si ha
che la radice n-esima di 0 è sempre nulla perché 0 elevato a qualsiasi potenza positiva
vale 0.
382 Radicali

Tutte le affermazioni sin qui esposte si riassumono nelle seguenti identità:


(3.1) √
√ √ √
y = n a ⇔ y n = a , ( n a)n = a , 0 = 0 , 1 a = a , ∀ a, y ∈ R+ , ∀ n ∈ N .
n


Eliminando la restrizione sul radicando si ha un’espressione del tipo n a con a ∈ R
chiamata radicale algebrico.

Mentre un radicale aritmetico ha sempre una sola soluzione non negativa, per un
radicale algebrico sono possibili quattro situazioni:
radicando positivo e indice pari: esistono sempre due numeri opposti
±y | y n = a.
radicando positivo e indice dispari: esiste sempre un solo numero non ne-
gativo y | y n = a, ovvero la situazione è equivalente a quella dei radicali
aritmetici.
radicando negativo e indice pari: non esistono numeri reali y | y n = a. In
questo caso le radici sono numeri complessi, mentre nel campo dei reali una
Radicali

radice con indice pari ed argomento negativo non è definita.


radicando negativo e indice dispari: esiste sempre un solo numero negativo
y | y n = a. Inpquesto caso la radice è l’opposto della radice n-esima del modulo
di a: y = − n |a|.


A differenza di quanto avviene in altre nazioni, purtroppo in Italia lo stesso simbolo n a
indica sia un radicale aritmetico che algebrico. La convenzione usualmente adottata è
che in assenza di ulteriori specificazioni si sottintende un radicale aritmetico: bisogna
che sia indicato espressamente l’aggettivo algebrico se si intende un radicale di quel
tipo.

Con entrambi i radicali quando l’argomento non è un semplice numero ma consta


anche di una parte letterale occorre imporre delle C.E. per evitare che l’espressione
sia priva di senso.
Per un radicale algebrico con indice pari occorre porre maggiore o uguale a zero
l’argomento del radicale per determinare l’insieme di definizione del radicale.
La radice di un radicale aritmetico con parte letterale sarà svolta nel modo usuale
purché la parte letterale nella soluzione sia presente in modulo, accorgimento che
assicura che il radicale sia ben definito.

Vediamo alcune espressioni utili a capire la diversa natura dei due tipi di radicali e le
condizioni di esistenza da imporre.
√4
√2
x − 5 ⇒ x − 5 ≥ 0 r. aritmetico, 4x2 = 2|x| r. aritmetico,
√4

2
x − 5 ⇒ x − 5 ≥ 0 r. algebrico, 4x2 = ±2x r. algebrico.
(3.2)
Matematica 383

Le proprietà descritte nel resto del capitolo valgono per i radicali aritmetici. Un’even-
tuale estensione ai radicali algebrici va valutata caso per caso in base alle definizioni
date in questa sezione poiché non sempre è possibile farlo, a cominciare dalla proprietà
invariantiva.
Proprietà invariantiva dei radicali Moltiplicando o dividendo per lo stesso
fattore positivo sia l’indice n che l’esponente del radicando il radicale non cambia
valore. Bisogna al più porre attenzione per evitare che un radicale aritmetico
dopo tale procedura sia divenuto privo di senso. I seguenti esempi mostrano come
procedere con i radicali aritmetici e come per i radicali algebrici si possa incorrere
in errore.


3
√3·2

6

4

4/2 √
a4 = a4·2 = a8 , a2 = a2/2 = 2 a , ma
(3.3) √ p √6
− 2 = 3 −8 = 3·2 (−8)1·2 = 64 = 2 .

Matematica
3.2 Radicali e potenze con esponente razionale
Quando un radicando è positivo il radicale può essere espresso come una potenza con
base positiva ed esponente razionale. Viceversa la definizione di potenza data nella
sezione 1.14 può essere estesa al caso di esponente razionale quando la base è positiva.
Si evita di considerare una base negativa perché in tal caso si potrebbero avere
problemi di esistenza con radicandi negativi in radicali con indici pari.

Una potenza con base positiva ed esponente frazionario è esprimibile come un radicale
avente come indice il denominatore dell’esponente e come esponente del radicando il
numeratore dell’esponente.

n √ √
4 3
(3.4) am = m
an , ∀a ∈ R+ , n , m ∈ N . Ad esempio 53 = 5 4 .
L’identificazione dei radicali con potenze ad esponente frazionario consente di ricavare
tutte le procedure di calcolo e le proprietà dei radicali attraverso le proprietà delle
potenze riportate nella sezione 1.14. Questo modo di intendere i radicali semplifica di
molto il calcolo e riduce lo sforzo mnemonico.
Ad esempio la proprietà invariantiva alla luce della definizione delle potenze con espo-
nente razionale appare ovvia. Moltiplicare sia l’indice di un radicale che l’esponente del
rispettivo radicando per lo stesso fattore, infatti, equivale a moltiplicare per lo stes-
so fattore numeratore e denominatore dell’esponente della potenza corrispondente al
radicale. Ciò non modifica l’esponente razionale, semplicemente lo rende una frazione
non irriducibile.

La proprietà invariantiva equivale infatti a scrivere


√3

3·2
√6 4 4·2 8
(3.5) a4 = a4·2 = a8 ⇔ a 3 = a 3·2 = a 6 .
384 Radicali

3.3 Estrazione di radice


La prima operazione da eseguire in presenza di un radicale è scomporre il radicando
in fattori, sia che si tratti di un numero che di un polinomio. Una volta completata
la scomposizione, se qualcuno dei fattori componenti il radicando ha un esponente
maggiore o uguale all’indice si può portare fuori il fattore, cioè estrarre il fattore dal
segno di radice.

Dato un radicale con indice n, se uno dei fattori a del radicando ha esponente p | p ≥ n
allora fuori dal segno di radice si scrive il fattore |a| avente come esponente il quoziente
p/n e nella radice resta il fattore |a| elevato al resto della divisione tra p e n.

Se il quoziente è pari non c’è bisogno di scrivere il modulo (fuori) in quanto le potenze
pari sono sempre positive per la regola dei segni, idem per il resto (dentro).

3
p √
5
p √
3

4
p
(3.6) a4 = |a| 3 |a| , a11 = a2 5 |a| , 8a3 = 2|a| , 64a7 = 2|a| 4 4|a|3 .

Questa procedura è semplicemente l’applicazione delle proprietà delle potenze aventi


esponenti razionali con l’unico accorgimento di usare il modulo per lettere elevate a
Radicali

potenze intere dispari (se queste ultime sono a coppie e concordi non servono i moduli).

Infatti
√3 4 3 1 1 p √5 11 10 1 p
a4 = a 3 = a 3 · a 3 = |a| · a 3 = |a| 3 |a|, a11 = a 5 = (a) 5 · (a) 5 = a2 5 |a|,
√3 1 1 1 1 3 3
8a3 = (8a3 ) 3 = (23 a3 ) 3 = (23 ) 3 · (a3 ) 3 = 2 3 · a 3 = 2|a|,
√4 1 1 1 1 6 7 4 2 4 3
64a7 = (64a7 ) 4 = (26 a7 ) 4 = (26 ) 4 · (a7 ) 4 = 2 4 · a 4 = 2 4 · 2 4 · a 4 · a 4 =
1 p
= 2|a| · (22 a3 ) 4 = 2|a| 4 4|a|3 .

Tutte le identità di questa sezione possono anche essere lette da destra a sinistra,
ovvero si può anche portare un fattore sotto il segno di radice purché si moltiplichi il
suo esponente per l’indice della radice.

3.4 Prodotto e rapporto tra radicali


Il prodotto tra radicali può sempre essere eseguito, occorre però distinguere il caso in
cui hanno lo stesso indice dal caso in cui hanno indice diverso.

Prodotto di radicali con lo stesso indice Se i radicali hanno lo stesso indice


allora il prodotto delle radici è la radice del prodotto: si scrive un’unica radice
con lo stesso indice e come radicando si ha il prodotto dei radicandi.

(3.7)
√ √ √ √
r r r r
3 3 3 3 5 4 3 2 5 49 4 5 7 7 3 5 7 2
2ab · 4a2 c = 8a3 bc = 2|a| bc , x y · x y= x y = |x| x |y|3 .
7 16 4 4
Matematica 385

Prodotto di radicali con indice diverso Bisogna ridursi al caso preceden-


te, ovvero esprimere i due radicali con uno stesso indice. A tal fine si scrivono
entrambi con indice pari al m.c.m. tra gli indici, facendo attenzione a modi-
ficare i radicandi secondo la proprietà invariantiva. L’esponente di ogni radicando
va infatti moltiplicato per il quoziente tra il m.c.m. degli indici e l’indice della
rispettiva radice, in analogia alla procedura di somma algebrica tra frazioni con
denominatori diversi. A questo punto si scrive un’unica radice con indice l’m.c.m.
degli indici e come radicando si ha il prodotto dei nuovi radicandi.

(3.8) √ √ √ √ √ √ √
3 2 3·2 2·3 6 6 6
2ab · 4a2 c = 22 a2 b2 · 43 a2·3 c3 = 22 a2 b2 · 43 a6 c3 = 28 a8 b2 c3 =
p
= 2|a| 6 4a2 b2 |c|3 ,
p
3
p p p p p p
2x2 y · 9 3x4 y 5 = 3·3 23 x2·3 y 3 · 9 3x4 y 5 = 9 23 x6 y 3 · 9 3x4 y 5 = 9 24x10 y 8 =
p
= |x| 9 24|x|y 8 .

Matematica
Per il rapporto tra radicali valgono esattamente le stesse regole in quanto, come già
visto nel primo capitolo, il rapporto è il prodotto di un fattore per l’inverso del secondo.

√ √ √ √
rr r
1 1 2 2
3 3 3 3 3 2ab
3 3 2 b
2ab2
: 5a2 c
= 2ab2 · √ = 2ab2 ·= = ,
3 2
5a c 5a2 c 5a2 c 5 ac
r s
p p p 1 p 1 75 x5 y 5
(3.9)
2
7xy : 5 6x4 y 2 = 2 7xy · p = 10
75 x5 y 5 · 10
8 y4
= 10 8 y4
=
5 4
6x y 2 36x 36x
s
10 16807 |y|
= .
36 |x|3

Tutte le regole per il prodotto e il rapporto di radicali sono applicazioni delle proprietà
delle potenze: il prodotto di due potenze con lo stesso esponente è pari a una potenza
avente ancora lo stesso esponente e come base il prodotto delle basi. Poiché la radice
n-esima equivale all’elevamento alla 1/n si ha l’asserto. Questa equivalenza può essere
d’aiuto in caso di dubbi su come procedere.

3.5 Potenze di radicali

La potenza di una radice n-esima è una radice con lo stesso indice e con radicando la
potenza n-esima del radicando.

Poiché la radice n-esima equivale all’elevamento alla 1/n, per la proprietà relativa alla
potenza di una potenza si ha come risultato una potenza che ha la stessa base (cioè
386 Radicali

stesso radicando) e per esponente il prodotto degli esponenti. Se quindi l’esponente


della potenza di radice è un naturale si ha che solo il numeratore della potenza ad
esponente razionale viene moltiplicato per il nuovo fattore e quindi solo il radicando
cambia esponente mentre l’indice di radice resta invariato.

√ 3 √
4 4
p p
5a3 b24
(5a3 b2 )3 = 125a9 b6 = a2 |b| 4 125|a|b2 .
= Infatti
(3.10)  √ 3 3 1 √
4 3 9 6 4
p
5a3 b2 = 5a3 b2 4 = 5 4 a 4 b 4 = 53 a9 b6 4 = 125a9 b6 = a2 |b| 4 125|a|b2 .
 

3.6 Somma algebrica di radicali


L’addizione e la sottrazione tra radicali vengono trattate come casi della somma al-
gebrica di radicali, ovvero la sottrazione equivale all’addizione dell’opposto del secon-
do radicale al primo. A differenza della moltiplicazione, però, non è sempre possibile
Radicali

sommare radicali.
Innanzitutto bisogna scomporre i radicali e portar fuori tutti i fattori e allo stesso
modo occorre ridurre l’esponente razionale del radicando a una frazione irriducibile.
Una volta estratto dal segno di radice tutto ciò che si può estrarre e aver semplificato
gli esponenti razionali si hanno varie possibilità.
Radicali con indici diversi In questo caso non è possibile sommare i radicali:
è una situazione analoga a quella di monomi non simili.
Radicali con indici uguali ma radicandi diversi Nemmeno in questo caso è
possibile sommare i radicali: è ancora una situazione analoga a quella di monomi
non simili.
Radicali con indici uguali e radicandi uguali In questo caso è possibile
sommare i radicali: il risultato è un radicale avente lo stesso indice e lo stesso
radicando e come fattore la somma algebrica dei coefficienti dei radicandi. La
somma segue quindi le stesse regole di quella tra monomi simili.

√2
√3
2ab + 2ab Non sommabili perché l’indice è diverso.
√2
√2
2ab + 3ab Non sommabili perché il radicando è diverso.
(3.11) √
2
√2
√2 3√2

2 17 √
2
2ab + 7 2ab = 8 2ab, 2ab − 5 2ab = − 2ab .
4 4

4

2

2

2
√2
4a2 b2 + 3 8a3 b = 2ab + 6|a| 2ab = (1 + 6|a|) 2ab .

Nell’ultimo esempio si è mostrato come riducendo l’esponente razionale a una frazione


irriducibile e portando fuori si possano sommare termini che a prima vista non sono
sommabili.
Matematica 387

Si ribadisce che bisogna aver scomposto


√ i√radicandi prima di decidere in merito alla
sommabilità. Ad esempio sebbene 5 e √ 125 sembrino non sommabili, il secondo
radicando una volta scomposto diventa 5 5√e quindi i due radicali hanno stesso
indice e stesso radicando e la loro somma è 6 5.

3.7 Radicali doppi


p √ p √
Per radicali doppi si intendono espressioni del tipo a + b o a − b con a > 0 e
b > 0. Nel caso in cui a2 − b > 0 e a2 − b è un quadrato perfetto si possono usare le
seguenti identità per ridurre l’espressione ad un unico radicale.
s √ s √
√ a2 − b a − a2 − b
q
a+
(3.12) a± b= ± .
2 2

Matematica
(3.13)
√ √ √ √
s s r r

q
5 + 52 − 9 5 − 52 − 9 5 + 25 − 9 5 − 25 − 9
5+ 9= + = +
2 2 2 2
√ √
s s r r r r
5 + 16 5 − 16 5+4 5−4 9 1
= + = + = + =
2 2 2 2 2 2

r r r r
1 1 1 16
=3 + =4 = = 8.
2 2 2 2
√ √
s s
√ x + x2 − 2x + 1 x − x2 − 2x + 1
q
x > 1/2 ⇒ x − 2x − 1 = −
2 2
r r r r r r
x+x−1 x−x+1 2x − 1 1 1 1
= − = − = x− − .
2 2 2 2 2 2

3.8 Razionalizzazione

In base al tipo di frazione da razionalizzare


si hanno diverse procedure, tutte atte a ri-
scrivere la frazione in una forma diversa pur
lasciandone invariato il valore. Si ricorda che
prima di procedere bisogna sempre scompor-
re i radicandi e portar fuori ove possibile ol-
Figura 3.2: La sezione aurea è presente anche
tre a rendere gli esponenti razionali frazioni in molte architetture naturali, ad esempio nei
irriducibili. girasoli.
388 Radicali

Razionalizzare significa eliminare i radicali dai denominatori di una frazione, sia essa
una frazione numerica che una frazione algebrica.

Da ricordare che un radicale presente al denominatore non comporta come C.E. il


porre il radicando maggiore o uguale a 0, bensı̀ strettamente positivo, in quanto
bisogna escludere che il denominatore sia nullo.

Denominatore composto da una radice quadrata contenente un unico


fattore come radicando In questo caso per razionalizzare basta moltiplicare sia
il numeratore che il denominatore della frazione per la radice quadrata presente
a denominatore. In tal modo al denominatore si ha il quadrato di una radice
quadrata, che coincide con il radicando. Al numeratore compare un fattore uguale
alla radice presente al denominatore. In pratica si moltiplica la frazione per l’unità
(e quindi la si lascia invariata) scrivendo l’unità come rapporto tra due quantità
uguali.
Radicali

(3.14)
√ √ √ √ √ p
2 2 5 2 5 2 5 −3x −3x 6y −3x 6y −3x 6|y|
√ = √ ·√ = √ = , √ = √ ·√ = √ 2 = .
5 5 5 ( 5)2 5 6y 6y 6y ( 6y) 6|y|

Denominatore composto da una radice con indice n > 2 contenente un


unico fattore elevato alla m come radicando In questo caso per razionaliz-
zare basta moltiplicare sia il numeratore che il denominatore della frazione per
una radice avente lo stesso indice di quella presente a denominatore e come radi-
cando ancora lo stesso radicando ma elevato alla n−m piuttosto che alla m. In tal
modo grazie alle proprietà delle potenze al denominatore si ha la potenza n-esima
di una radice n-esima, che coincide con il radicando. Al numeratore compare un
fattore uguale alla radice presente al denominatore ma con radicando elevato alla
n − m. Anche in questo caso si moltiplica la frazione per l’unità (e quindi la si
lascia invariata) scrivendo l’unità come rapporto tra due quantità uguali.

(3.15) √ √ √ √ √ √
5 3 5 5 3 3 3
1 1 1 3 27 27 7 7 4x2 7 4x2 7 4x2

5
= √
5 2
= √
5 2
· √
5 3
= √
5 5
= , √
3
= √
3
· √
3
= p = .
9 3 3 3 3 3 2x 2x 4x2 3
(2x)3 2|x|

Denominatore composto da una radice con indice n > 2 contenente più


fattori nel radicando Si segue la procedura del caso precedente moltiplicando
sia il numeratore che il denominatore della frazione per una radice avente lo
stesso indice di quella presente a denominatore e come radicando ancora lo stesso
radicando ma ogni fattore è elevato alla differenza tra n e il suo esponente.
Matematica 389


4 2 3
√4
p
2 2 a b 2 a2 b 3 2 4 a2 |b|3
(3.16) √
4 2
= √
4 2
· √
4 2 3
= √4 4 4
= .
a b a b a b a b ab

Denominatore composto da una radice avente come radicando una


somma algebrica In questo caso si esegue la stessa procedura dei due punti
precedenti, a seconda che si abbia una radice quadrata o con indice n > 2. Basta
considerare la somma algebrica del radicando come un unico fattore racchiuso
tra parentesi.


2
√ √
2 2 3+x 223+x 223+x

2
= √
2
· √ = p = ,
3+x 3+x 23+x 2
(3 + x)2 3+x
(3.17) p √ √
−5 −5 3
(2 − x)2 −5 3 x2 − 4x + 4 −5 3 x2 − 4x + 4
√ = √ · p = = .
2−x
3 3
p
2−x 2 − x 3 (2 − x)2 3
(2 − x)3

Matematica
Denominatore composto da una somma algebrica di due radici qua-
drate In questo caso si sfrutta la regola di scomposizione chiamata somma per
differenza che è uguale alla differenza di due quadrati. Quindi se al denominato-
re si ha una differenza di due radicali sia il numeratore che il denominatore vanno
moltiplicati per la somma dei due radicali, mentre se al denominatore si ha una
somma di due radicali sia il numeratore che il denominatore vanno moltiplicati
per la differenza dei due radicali.

(3.18) √ √ √ √ √ √
2 2 3− 4 2( 3 − 4) 2( 3 − 4) √ √
√ √ = √ √ ·√ √ = √ √ = = −2( 3 − 4) ,
3+ 4 3+ 4 3− 4 2
( 3) − ( 4) 2 3 − 4
p √ p √
−3 −3 2 (1 − x) + 5 4x −(6 (1 − x) − 15 4x)
p √ = p √ · p √ = p √
2 (1 − x) − 5 4x 2 (1 − x) − 5 4x 2 (1 − x) + 5 4x 4( (1 − x))2 − 25( 4x)2
p √ p p
−(6 (1 − x) − 15 4x) −3 2 (1 − x) + 5 4|x|
= = .
4 − 4x − 100x 4 1 − 26x

La procedura appena illustrata si segue anche nel caso in cui uno solo dei termini della
somma algebrica sia un radicale: la razionalizzazione procede comunque attraverso il
ricorso alla somma per differenza.

Denominatore composto da una somma algebrica di due radici cubiche


Si procede in analogia con il caso in cui il denominatore sia una somma algebrica
di radici quadrate. In questo caso, però, si sfrutta la regola di scomposizione
chiamata somma o differenza di due cubi riportata nella tabella 2.3. In entrambi
i casi si moltiplicano numeratore e denominatore per il corrispondente fattore
chiamato falso quadrato.
390 Radicali

(3.19)
 √ 2 √ 2 √ √
3 2 3
a b + ( 3 a) + a2 b 3 a √
3
√3

3 √
1 1 a ab2 + a2 + a2 b 3 a
√ √ = √ ·
√  √ 2 = .
3 2
a b− 3a
3 2
a b− 3a 3 2 √ 2 √ 3 √ a2 b − a
a b + ( 3 a) + a2 b 3 a

3.9 Condizioni di esistenza


Al termine di questo capitolo dedicato ai radicali e alle procedure di calcolo utilizzabili
in espressioni contenenti radicali è opportuno ribadire ancora una volta due concetti
importanti.

La prima cosa da fare quando si deve manipolare un radicale è scomporre i suoi


fattori. La seconda cosa da fare, prima di portare fattori fuori dal segno di radice, è
scrivere le condizioni di esistenza.
Radicali

Nel seguito riportiamo le condizioni di esistenza necessarie per i radicali utilizzati negli
esempi del capitolo, se interpretati come radicali algebrici, ossia quando non si scrivano
esplicitamente i moduli.

In tutti gli esempi della 3.6 bisogna porre a ≥ 0.


Nella 3.7 bisogna porre b e c concordi e x ≥ 0.
Nel primo esempio della 3.8 bisogna porre a e b concordi e c ≥ 0.
Nel secondo esempio della 3.8 bisogna porre x > 0 e y ≥ 0.
Nel primo esempio della 3.9 bisogna porre a > 0, c > 0
Nel secondo esempio della 3.9 bisogna porre x > 0, y > 0.
Nella 3.10 bisogna porre a ≥ 0.
In tutti gli esempi della 3.11 bisogna porre a e b concordi.
Nel secondo esempio della 3.14 bisogna porre y > 0.
Nel secondo esempio della 3.15 bisogna porre x > 0.
Nella 3.16 bisogna porre a 6= 0 e b > 0.
Nel primo esempio della 3.17 bisogna porre x > −3.
Nel secondo esempio della 3.17 bisogna porre x 6= 2.
Nel secondo esempio della 3.18 bisogna porre x > 0 e x < 1, quindi 0 < x < 1.
Nella 3.19 bisogna porre a 6= 0 e b > 0.
Matematica 391

3.10 Quesiti
1) Qual è la differenza tra radicali algebrici 6) Quale delle seguenti estrazioni di radice
ed aritmetici? è corretta?
√5 6 
A il radicale aritmetico presenta solo A a = |a| 5 |a|
somme nel radicando √5 6 √
B a =a5a
B il radicale algebrico considera solo √ √
4 9
numeri razionali C a = ±a2 4 a
C il radicale aritmetico considera solo √3 √
D 27a28 = 3a9 3 a
radicandi reali non negativi √2
D il radicale aritmetico ha per indice solo E 16a6 = 4a3
reali non negativi 7) Quale delle seguenti operazioni è svolta
E il radicale algebrico ha per indice un correttamente?
numero reale √3 2
√3

9
A a b · a3 b5 = a5 b 6
2) Quale delle seguenti identità è esatta? √3 2
√3
√3
√ n B a b · a4 b = a2 b2
n
A a =a  
√ n C 2 5 2
xy · 3 5xy =1
B n
a = n n
=1 2

n n √ √ 
n

Matematica
C 0 =0 =n D 2
5xy · 3 3xy = 6 15x2 y 2

n 1 √4 8 16 √ √
2
2
D a =a E a b : ab = a7 b15

E 1
a = a1 8) Quale delle seguenti somme tra radicali
3) Qual è la soluzione esatta per un radicale è svolta correttamente?
algebrico? 
5
 
A a2 xy 3 + 2 5 a2 xy 3 = 3 10 a2 xy 3
A con radicando positivo ed indice pari esi- 
5
 
B a4 x2 y 9 − 2 5 a2 xy 3 = − 5 a2 xy 6
stono due soluzioni opposte solo se il   
5
radicando è intero C a2 xy 3 + 2 5 a3 x2 y 4 = 3 5 3a5 x3 y 7
B con radicando negativo ed indice dispari 
5
 
D a2 xy 3 + 2 5 a2 xy 3 = 3 5 a2 xy 3
esistono sempre due soluzioni opposte  √ 
5
C con radicando negativo ed indice dispari E a2 xy 3 + 2 5 ax = 3 5 a3 x2 y 3
esiste sempre una soluzione negativa
9) Su quale condizione si basa l’applicazio-
D con radicando negativo ed indice pari ne della formula
 che √riguarda i radicali
esistono sempre due soluzioni opposte
doppi del tipo a ± b?
E con radicando positivo ed indice dispari
esistono sempre due soluzioni opposte A che sia a > 0 e b < 0
4) Qual è la C.E. esatta da imporre ai B che a2 −b2 > 0 e sia un quadrato perfetto
seguenti radicali?
√ C che a2 − b > 0 e sia un quadrato perfetto
A x + 1 ⇒ C.E. x + 1 ≥ 0
√ D che a + b > 0 e sia un quadrato perfetto
3
B x + 1 ⇒ C.E. x + 1 ≥ 0
√ E che a2 − b > 0 e sia a2 che b siano
C x + 1 ⇒ C.E. x ≥ 1 divisibili per 2

3
D 2x2 ⇒ C.E. x ≥ 0
√ 10) Quale delle seguenti razionalizzazioni è
E 2x2 ⇒ C.E. x > 0 eseguita correttamente?
√ √
5) Come è possibile esprimere corretta- A √1 = √3· 3
mente come potenze i seguenti radicali? 3 3·1

√7 5 B √1 = √1· √3
A x = x7/5 3 3· 3
√7 5 4x2

B x = x5·7 C √1 = √ · 2x
2x 2x 1

12 6 √
C x = x6 −3 −3 3 5x
√ D √
3 √
3= √
12 6 5x 5x· 3 5x
D x = x1/2 √
3 x+1
√ 1 1·
6 12 E √ = √ √
E x = x3 x+1 x+1· 3 x+1
392 Radicali

3.11 Risposte commentate ai quesiti


1) La A e la B sono errate perché nella definizione si parla di radicale di un numero,
non di un’espressione. La D e la E sono errate perché la differenza riguarda il
radicando, non l’indice. Dalla definizione si ha che la risposta corretta è la C .
2) La risposta corretta è la A . La B è errata perché si confondono l’indice e l’e-
sponente con il radicando. La C rappresenta un’uguaglianza errata, mentre nella
D non si considera l’indice. Nella E non è esatto il passaggio al reciproco.

3) La A è errata perché esprime una limitazione inesistente. La B e la E lo sono


perché nei casi indicati la soluzione è unica. La D è errata perché rappresenta un
caso privo di soluzioni. La risposta corretta è la C .
4) La risposta corretta è la A . La B e la D sono errate perché l’indice dispari non
richiede un radicando non negativo. La C è errata perché le soluzioni della C.E.
partono da x ≥ −1, la E è errata perché il radicando non può mai essere negativo
essendo un quadrato.
5) La A è errata perché inverte numeratore e denominatore. La B lo è perché inverte
Radicali

l’operazione tra numeratore e denominatore. La C è errata perché 6/12 = 1/2, che


è il motivo per il quale la risposta corretta è la D . La E è invece errata in quanto
12/6 = 2 e non 3.
6) La risposta corretta è la A . La B , la D e la E sono errate perché essendo dispari il
quoziente tra esponente del radicando e indice di radice le quantità estratte vanno
scritte in valore assoluto. La C è errata perché il quoziente è pari e quindi non si
deve porre l’indeterminazione di segno attraverso il valore assoluto.
7) La A è errata perché l’indice non deve essere il prodotto degli indici. Le alternative
C , D ed E corrispondono ad operazioni errate. La risposta corretta è la B .

8) La A è errata perché gli indici non vanno sommati. La B , la C e la E sono errate


perché gli esponenti dei radicandi non si sommano né si sottraggono nella somma
algebrica dei radicali. La risposta corretta è la D .
9) La A è errata: la condizione espressa è parziale e devono essere entrambi positivi.
La B è errata perché è la quantità a2 − b a dover rispettare le condizioni, non va
posto b al quadrato; infatti la risposta corretta è la C . La D e la E sono errate
perché nella condizione riportano una quantità diversa da quella corretta.

10) La A e la C sono errate perché moltiplicano il numeratore per quantità che non
sono nell’espressione di base. La D e la E sono errate perché la quantità per
cui vengono moltiplicate le frazioni non sono i fattori razionalizzanti. La risposta
corretta è la B .
Equazioni
e disequazioni
algebriche 4
Introduzione
In questo capitolo vengono illustrati i metodi di risoluzione delle equazioni e delle
disequazioni algebriche. L’accento è posto sui principi generali di risoluzione ma gli
esempi consentono di apprendere metodologie specifiche relative alle varie situazioni.
Per una fruizione proficua del capitolo si consiglia la padronanza dei contenuti di
algebra riportati nel capitolo 2.

4.1 Definizioni e tipi di equazioni

Un’equazione è un’uguaglianza in cui almeno


un termine è variabile ed è chiamato incogni-
ta. I numeri o le lettere di cui si conosce il
valore corrispondente sono chiamati termini
noti.
Il grado di un’equazione è rappresentato dal-
l’esponente massimo delle sue incognite e dà
il nome all’equazione: se di primo grado è
detta lineare, se di secondo grado è detta
quadratica, se di terzo è detta cubica, se di
quarto quartica.

Sono esempi di equazione x = 5 − 3 o 2x4 − 16 = Figura 4.1: Le equazioni sono uno stru-
mento utilissimo per creare modelli ma-
0. Entrambi sono esempi di equazione in una sola tematici della realtà, ad esempio il flusso
incognita, la prima è di primo grado e la seconda di del traffico in una grande città.
quarto.

Le soluzioni o radici di un’equazione sono quei valori numerici o letterali che sosti-
tuiti al posto dell’incognita rendono l’uguaglianza un’identità, cioè restituiscono una
proposizione matematica vera. Un’equazione è detta algebrica quando equivale a un
polinomio uguagliato a 0: la ricerca delle sue soluzioni coincide con la ricerca degli zeri
del polinomio corrispondente.

Nell’esempio precedente il valore 2 è soluzione della prima equazione perché 2 = 5 − 3 è


una proposizione vera. Il dominio D o insieme di definizione di un’equazione rappresenta
l’insieme dei valori per i quali l’equazione è definita e condiziona l’insieme delle
394 Equazioni e disequazioni algebriche

soluzioni S. Ad esempio x = 3 − 5 non ha soluzioni se come dominio si sceglie N. Nel


seguito si considererà per tutte le equazioni il dominio D = R.
Il teorema di Abel-Ruffini dimostra che equazioni algebriche di grado pari a 5 o
superiore sono risolvibili con procedure algebriche solo in casi particolari, ma in generale
per esse non esiste una procedura risolutiva.

Un’equazione è detta intera se ha coefficienti reali (quindi anche frazioni) e l’incognita


non ha potenze negative. È detta frazionaria o fratta quando l’incognita ha anche
potenze negative, ovvero quando il polinomio corrispondente è una frazione algebrica.
È detta infine irrazionale quando contiene radicali aventi l’incognita nel radicando.

A prescindere dal grado di un’equazione, queste possono essere distinte in tre tipi.

Determinate L’equazione ammette un numero finito di soluzioni. Un’equazione


determinata di primo grado ammette una soluzione. Un’equazione determinata
di secondo grado ammette fino a due soluzioni reali distinte, una di terzo grado
Equazioni

ammette fino a tre soluzioni reali distinte, una di quarto grado fino a quattro
soluzioni reali distinte e cosı̀ via.
Una volta calcolate le soluzioni di un’equazione determinata la verifica delle
soluzioni consiste nel sostituire alla x nell’equazione il valore corrispondente
alla soluzione trovata. La soluzione è verificata quando si ha un’identità.

Indeterminate L’equazione ammette infinite soluzioni che quindi non possono


essere determinate. Nella risoluzione dell’equazione l’incognita sparisce e resta
un’identità: qualsiasi valore si scelga per la variabile la proposizione è sempre
vera. Ad esempio dopo alcuni passaggi algebrici si ha 0 = 0.

Impossibili L’equazione non ammette soluzioni, ovvero l’insieme delle soluzioni


è l’insieme vuoto ∅. Nella risoluzione dell’equazione l’incognita sparisce e resta
una proposizione falsa: qualsiasi valore si scelga per la variabile la proposizione
non è mai vera. Ad esempio dopo alcuni passaggi algebrici si ha 0 = 3.

Un’equazione è detta diofantea quando sia D che S sono sottoinsiemi di Z, ovvero quando
sia i coefficienti che le soluzioni sono numeri interi. Ad esempio l’equazione x2 + y√ 2
= 2
se ha D = R ha come soluzione tutti i punti della circonferenza di raggio r = 2, se
è considerata come equazione diofantea quadratica ha come soluzioni i soli quattro punti
(1, 1), (1, −1), (−1, 1), (−1, −1). Le terne pitagoriche costituiscono un esempio di soluzioni di
equazioni diofantee quadratiche.
Il famoso ultimo teorema di Fermat del 1637, dimostrato soltanto nel 1994, afferma che
le equazioni diofantee con potenze superiori a 2, cioè del tipo xn + y n = z n con n > 2, non
hanno soluzioni intere positive.

4.2 Procedura generale per la risoluzione di equazioni


Spesso per la risoluzione delle equazioni i testi riportano diverse regole, ognuna con un
proprio nome. Piuttosto che focalizzarsi sulle regole da imparare a memoria è preferibile
Matematica 395

avere una visione globale e flessibile che consente di poter trovare la soluzione di ogni
equazione.
Le equazioni algebriche vengono risolte seguendo alcune semplici regole di base.
I principi su cui si basa la risoluzione generale sono due: la proprietà invariantiva e la
definizione di operazione inversa.

La proprietà invariantiva afferma che eseguendo la stessa operazione ai due


membri di un’uguaglianza la veridicità della proposizione matematica non viene
meno, cioè la stessa operazione applicata a destra e a sinistra dell’uguale non
modifica S. Ad esempio se x = 2 + 3 allora è vero anche che x − 4 = 2 + 3 − 4.

Un’operazione è inversa di un’altra quando, applicandola al risultato della


prima, restituisce l’argomento della prima, cioè l’operazione ∗ è l’inversa dell’o-
perazione # se ∗(#(x)) = x. Sono operazioni reciprocamente inverse l’addizione
e la sottrazione, la moltiplicazione e la divisione, l’elevamento a potenza intera
positiva e la radice con lo stesso√indice quando l’argomento è positivo. Infatti
5 + (x − 5) = x, 3 · (x : 3) = x e x2 = x per x ≥ 0.

Matematica
Questo approccio funziona molto bene con le equazioni di primo grado e con quelle
di grado superiore in cui si ha un solo termine incognito di grado n, oltre a tutti i
casi in cui l’equazione iniziale può essere fattorizzata in un prodotto dei suddetti casi.
Nelle equazioni di secondo grado complete, invece, conviene seguire la procedura della
sezione 4.10.
In generale occorre sempre sommare eventuali termini simili presenti nelle equazioni,
ovvero porre il polinomio corrispondente in forma normale, prima di fare considerazioni
sul possibile metodo risolutivo.

Se si ha un unico fattore contenente l’incognita si può procedere applicando le opera-


zioni inverse di ogni operazione che è stata applicata all’incognita, seguendo l’ordine
inverso a quello dato dalle regole di priorità delle operazioni.

La prima cosa da fare è invertire una somma algebrica, poi bisogna invertire un prodotto
e infine una potenza dell’incognita, giungendo cosı̀ alle soluzioni. Si ricordi che una
potenza di indice pari ha come soluzioni sia le radici positive che quelle negative.

Se si vuole risolvere l’equazione 3x2 − 5 = 0 si può procedere secondo il metodo descritto.


Innanzitutto bisogna invertire la differenza, quindi aggiungendo 5 a destra e a sinistra
si giunge a 3x2 = 5. Poi si deve invertire il prodotto dividendo ambo i membri per 3 e
ottenendo x2 = 5/3. Infinep si inverte la potenza applicando la radice quadrata a destra e
a sinistra e si ha x = ± 5/3.

Va infine ricordato che se in un’equazione si scambiano il membro destro con il sinistro


si ha un’equazione equivalente a quella di partenza, dove per equazioni equivalenti
si intendono equazioni che hanno le stesse soluzioni. Spesso tale accorgimento evita
inutili passaggi legati al cambio di segno e alla conseguente possibilità di sbagliare un
segno. Ad esempio 2 + 5 = x è equivalente a x = 2 + 5.
396 Equazioni e disequazioni algebriche

4.3 Risoluzione di equazioni di primo grado


Un’equazione di primo grado si risolve portando a sinistra tutti i termini contenenti
l’incognita e a destra tutti i termini noti. Con l’espressione portare a destra o portare
a sinistra si intende spostare un termine da un lato all’altro dell’uguale cambiandone il
segno. Ciò è in realtà il risultato di aggiungere o sottrarre il termine ad ambo i membri
dell’equazione, ma d’ora innanzi per semplicità useremo la terminologia menzionata.
Come secondo passo bisogna sommare tutti i termini simili sia a sinistra che a destra,
giungendo ad avere un unico termine con l’incognita (per le equazioni determinate) e
un solo termine noto: la forma canonica.
Se l’equazione è determinata si dividono ambo i membri per il coefficiente dell’inco-
gnita e si giunge alla soluzione, se non si ha l’incognita occorre stabilire se l’equazione
è impossibile o indeterminata a seconda che l’uguaglianza rimasta sia rispettivamente
falsa o vera.

Sia data l’equazione 2x − 4 = x − 5 − 7x + 3. Portando i termini con l’incognita a sinistra


e i termini noti a destra si ha 2x − x + 7x = 4 − 5 + 3. Sommando i termini simili resta
8x = 2. Dividendo ambo i membri per 8 la soluzione è x = 1/4.
Equazioni

Allo stesso modo si procede con le seguenti equazioni:


(4.1)
2 1 2 1 5 29 29 3 29
x + 5 = − x ⇒ x + x = −5 + ⇒ x=− ⇒ x=− · =− .
3 6 3 6 3 6 6 5 10
x − 5 + 1 = 2x − 7 − x + 3 ⇒ x − 2x + x = 5 − 1 − 7 + 3 ⇒ 0 = 0 ⇒ indeterminata.

3 5 3 2 3 2 5 3 1
x− =x− − x ⇒ x−x+ x= − ⇒ 0= ⇒ impossibile.
4 8 8 8 4 8 8 8 4

Quando l’unico termine con l’incognita rimasto è negativo occorre cambiare di segno
all’equazione, il che equivale a moltiplicare ambo i membri per −1. Con tale procedura
l’uguale resta uguale e tutti i termini dell’equazione invertono il proprio segno.

(4.2) 2x − 6 = 5x + 3 ⇒ 2x − 5x = 6 + 3 ⇒ −3x = 9 ⇒ 3x = −9 ⇒ x = −3.

4.4 Equazioni fratte


La procedura di risoluzione delle equazione fratte si basa sulla procedura di sempli-
ficazione delle espressioni contenenti frazioni algebriche, riportata nella sezione 2.13.
Per prima cosa occorre scomporre i polinomi presenti nei vari termini dell’equazione.
Poi si devono scrivere le C.E. per escludere soluzioni in corrispondenza delle quali
l’espressione è priva di significato. Quindi si semplificano i fattori al numeratore e al
denominatore e poi si procede a calcolare il denominatore comune.

Le C.E. per equazioni algebriche razionali consistono nell’evitare che il denominatore


sia nullo, quindi ogni fattore al denominatore va posto diverso da 0.
Matematica 397

A questo punto se si moltiplicano ambo i membri per il denominatore comune questo


sparisce e si ha un’equazione costituita dai soli numeratori. La legittimità di tale ope-
razione è legata all’aver precedentemente imposto le C.E. Con l’equazione restante si
procede esattamente come per le equazioni intere, quindi in base al grado dell’equazione
bisogna adottare la procedura opportuna.

5x x+3 5x x+3
= 2 ⇒ = ⇒ C.E. x + 2 6= 0, x + 3 6= 0
x+2 x + 5x + 6 x+2 (x + 2)(x + 3)
(4.3) ⇒ x 6= −2, −3

5x 1 1
= ⇒ 5x = 1 ⇒ x = accettabile.
x+2 x+2 5

Se una delle soluzioni coincide con uno dei valori escluso in base alle C.E. allora quella

Matematica
soluzione è non accettabile. Se nessuna delle soluzioni è accettabile l’equazione non
ammette soluzioni, ovvero è impossibile.

4.5 Equazioni letterali


Un’equazione letterale si risolve nello stesso identico modo in cui si risolve un’equa-
zione numerica dello stesso grado e dello stesso tipo, considerando le lettere come se
fossero numeri primi e potendo su di esse applicare le regole di calcolo dei monomi.
Una differenza tra le equazioni intere numeriche e quelle letterali è che nelle ultime
bisogna imporre le C.E. sui valori delle lettere che possono rendere l’espressione priva
di significato.
Se poi il coefficiente dell’incognita contiene una o più lettere occorre discutere i
valori delle lettere in concomitanza dei quali l’equazione potrebbe divenire impossibile
o indeterminata.

Il primo esempio seguente mostra una situazione analoga alle equazioni fratte:
(4.4)
2x 2b(x − a) 2x 2b(x − a)
= 2 ⇒ = ⇒ C.E. x − a 6= 0, x + a 6= 0 ⇒ x 6= ±a
x+a x − a2 x+a (x − a)(x + a)

2x 2b
= ⇒ 2x = 2b ⇒ x=b accettabile.
x+a x+a
Il secondo mostra un’equazione letterale intera che necessita di C.E. in quanto ha lettere
al denominatore:
(4.5)
2x − a b − a a(2x − a) (a + 2b)(b − a)
= ⇒ C.E.a + 2b 6= 0, ⇒ a 6= −2b, a 6= 0 ⇒ =
a + 2b a a(a + 2b) a(a + 2b)

b(2b − a)
2ax − a2 = ab − a2 + 2b2 + −2ab ⇒ 2ax = 2b2 − ab ⇒ x= .
2a
398 Equazioni e disequazioni algebriche

Nel terzo esempio poiché il coefficiente dell’incognita dipende da una lettera occorre
calcolare con le C.E. i valori per i quali il coefficiente si annulla. Se in corrispondenza di
tali valori il termine noto non si annulla si ha un’equazione impossibile per quei valori
della lettera.
3ax − 5 = x + 2a ⇒ 3ax − x = 5 + 2a ⇒ x(3a − 1) = 2a + 5
(4.6) 1 5 + 2a 1
C.E. 3a − 1 6= 0, ⇒ a 6= ⇒ x= ⇒ se a = impossibile.
3 3a − 1 3
Nel quarto esempio il valore che rende nullo il coefficiente dell’incognita annulla anche il
termine noto, quindi l’equazione è indeterminata se la lettera assume il valore determinato
con le C.E.
2ax + 2 = x + 2a + 1 ⇒ 2ax − x = −2 + 2a + 1 ⇒ x(2a − 1) = 2a − 1
(4.7) 1 2a − 1 1
C.E. 2a − 1 6= 0, ⇒ a 6= ⇒ x= se a = indeterminata.
2 2a − 1 2
Equazioni

4.6 Sistemi di equazioni lineari

Un sistema di equazioni è un insieme di equazioni che devono essere soddisfatte con-


temporaneamente dalla soluzione del sistema. Il sistema è detto lineare se le incognite
che compaiono nelle equazioni sono al più di primo grado.

Se le incognite sono due, x e y, il si-


stema ha come soluzione una coppia
ordinata (x0 , y0 ), che rappresenta un
punto nel piano cartesiano identificato
dalle variabili x e y. Se le incognite so-
no tre, x, y, e z, il sistema ha come so-
luzione una terna ordinata (x0 , y0 , z0 ),
che rappresenta un punto nello spazio
euclideo identificato dalle tre variabi-
li. In genere la soluzione di un siste-
ma di n equazioni lineari è un vetto- Figura 4.2: Intepretazione geometrica del tipo di un
re n-dimensionale, cioè una ennupla di sistema lineare di due equazioni in due incognite.
numeri reali.
Limitiamo la discussione a sistemi composti da due equazioni in due incognite, del
tipo
(
a1 x + b1 y = c1
(4.8)
a2 x + b2 y = c2

Un sistema scritto in questa forma è detto in forma normale. Come per una singola
equazione, anche un sistema può essere determinato, indeterminato o impossibile a
seconda che ammetta un’unica soluzione, infinite soluzioni o nessuna.
Matematica 399

Come discusso nella sezione 9.5, un’equazione lineare è la rappresentazione di una retta in
un piano cartesiano. Se due rette sono incidenti, la loro intersezione rappresenta la soluzione
univoca del sistema. Se le rette sono parallele il sistema non ha soluzioni in quanto le due rette
non avranno punti in comune. Se le rette sono coincidenti il sistema ha infinite soluzioni, cioè
è indeterminato.
Il parametro che consente di effettuare questa analisi geometrica del sistema è la quantità
−a/b. Se i due rapporti sono diversi, cioè se a1 /b1 6= a2 /b2 , il sistema è determinato. Se sono
uguali e c1 = c2 il sistema è indeterminato, se sono uguali ma c1 6= c2 il sistema è impossibile,
come illustrato nella Figura 4.2.

Un’importante proprietà dei sistemi lineari è che se una delle equazioni viene rimpiaz-
zata da una combinazione lineare delle equazioni di partenza lo spazio delle soluzioni
non cambia.
Una combinazione lineare di due oggetti matematici A e B è una somma algebrica
tra i prodotti degli oggetti per numeri reali, ovvero un’espressione del tipo α · A + β · B
con α, β ∈ R. La definizione può essere estesa ad un numero qualsiasi di oggetti.

Matematica
Per risolvere un sistema determinato esistono diversi metodi.
Metodo di sostituzione È il metodo concettualmente più semplice, sebbene sia
efficace solo quando le equazioni non sono troppo complesse. Consiste nell’isolare
una variabile in una delle due equazioni (trattando l’altra variabile come se fosse
un numero) e sostituire nella seconda equazione l’espressione trovata in luogo
della variabile. Una volta determinata l’altra variabile si sostituisce il valore nella
prima equazione e si trova la soluzione numerica della prima variabile.

( ( (
x + 2y = 3 x = 3 − 2y x = 3 − 2y
⇒ ⇒
2x + 5y = 1 2(3 − 2y) + 5y = 1 6 − 4y + 5y = 1
(4.9) ( ( (
x = 3 − 2y x = 3 + 10 x = 13
⇒ ⇒
y = −5 y = −5 y = −5

Metodo di confronto Consiste nell’isolare la stessa variabile in entrambe le


equazioni (trattando l’altra variabile come se fosse un numero) e uguagliare i
membri di destra. Una volta determinata l’altra variabile si sostituisce il valore
in una delle due equazioni di partenza e si trova la soluzione numerica della prima
variabile isolata.

(4.10)
( ( (
x + 2y = 3 x = 3 − 2y x = 3 − 2y
⇒ ⇒
2x + 5y = 1 x = 12 − 25 y 3 − 2y = 12 − 52 y
( ( (
x = 3 − 2y x = 3 − 2y x = 13
⇒ ⇒
6 − 4y = 1 − 5y y = −5 y = −5
400 Equazioni e disequazioni algebriche

Metodo di riduzione Consiste nel sostituire a una delle due equazioni una
combinazione lineare delle due equazioni. Una volta determinata una variabile
si sostituisce il suo valore in una delle due equazioni di partenza e si trova la
soluzione numerica della prima variabile. Nell’esempio che segue per determinare
la y al posto della seconda equazione utilizziamo una combinazione lineare data
dalla differenza tra il doppio della prima e la seconda.

( ( (
x + 2y = 3 x + 2y = 3 x + 2y = 3
⇒ ⇒
2x + 5y = 1 4y − 5y = 6 − 1 −y = 5
(4.11) ( ( (
x = −2y + 3 x = 10 + 3 x = 13
⇒ ⇒
y = −5 y = −5 y = −5
Equazioni

Metodo di Cramer Questo metodo usa le matrici dei coefficienti del sistema e ha il
pregio di essere meccanico. Una matrice è una tabella formata da righe e colonne. Una
matrice con 2 righe e 2 colonne è detta matrice quadrata di ordine 2 o semplicemente
matrice 2 × 2.
Il sistema 4.8 è associabile ad una matrice M2,3 con due righe e tre colonne: la prima
colonna è quella dei coefficienti della x, la seconda è quella dei coefficienti della y e la
terza è data dai termini noti.
Dal sistema in forma normale 4.8 è possibile estrarre la matrice quadrata di ordine 2
relativa al sistema omogeneo associato, ovvero al sistema avente stessi coefficienti delle
variabili ma tutti i termini noti nulli. Chiamiamo questa matrice Ms e indichiamo con
Mx e My le due matrici quadrate di ordine 2 ottenibili da Ms scambiando rispettiva-
mente la prima colonna con quella dei termini noti e la seconda con quella dei termini
noti. Otteniamo quindi
       
a1 b 1 c 1 a1 b 1 c1 b 1 a1 c 1
(4.12) M2,3 = Ms = Mx = My = .
a2 b 2 c 2 a2 b 2 c2 b 2 a2 c 2

Da una matrice quadrata è possibile calcolare un numero chiamato determinante. Se il


determinante di una matrice è nullo almeno una delle sue righe (o delle sue colonne) è ottenibile
come combinazione lineare delle altre. Geometricamente ciò significa che le due rette del
sistema sono parallele o coincidenti, quindi il sistema non è determinato.
Il determinante di una matrice quadrata di ordine 2 si calcola moltiplicando gli elementi
della diagonale principale (ad esempio a1 ·b2 ) e sottraendo al risultato il prodotto degli elementi
della diagonale secondaria (ad esempio a2 · b1 ). Il determinante si indica anche sostituendo
alle parentesi tonde della matrice due righe verticali. Per le tre matrici quadrate associate al
sistema 4.8 si ha:

a1 b1 c1 b 1 a1 c 1
(4.13) D = det(Ms ) = D x = det(M x ) = D y = det(M y ) = a2 c 2 .

a2 b 2 c2 b 2

La regola di Cramer afferma che le soluzioni del sistema, quando è determinato, sono x =
Dx /D e y = Dy /D.
Matematica 401

Nel caso del sistema degli esempi precedenti si ha


       
1 2 3 1 2 3 2 1 3
(4.14) M2,3 = Ms = Mx = My = .
2 5 1 2 5 1 5 2 1

(4.15)
Dx 13
 
 D = a1 · b 2 − a2 · b 1 = 1 · 5 − 2 · 2 = 1
 x =
 = = 13
Dx = c1 · b2 − c2 · b1 = 3 · 5 − 1 · 2 = 13 =⇒ D 1
y = D y = −5
= −5
 
Dy = a1 · c2 − a2 · c1 = 1 · 1 − 2 · 3 = −5

D 1
Il metodo di Cramer funziona anche con sistemi di tre equazioni in tre incognite attraverso
una naturale estensione di quanto riportato, sebbene le regole per calcolare il determinante di
una matrice 3 × 3 siano un po’ più complesse.

Si noti che i quattro metodi forniscono lo stesso risultato come soluzione dello stesso
sistema. È infatti indifferente la scelta di quale usare per risolvere un sistema lineare,
sta all’esperienza e al gusto del risolutore praticare la scelta più opportuna.

Matematica
4.7 Disequazioni di primo grado intere
La procedura di risoluzione di una disequazione intera di primo grado determinata è
pressoché identica a quella di un’equazione intera di primo grado purché si sostituisca
il simbolo di uguaglianza = con il predicato maggiore > o minore < o maggiore-uguale
≥ o minore-uguale ≤.
L’unica differenza si ha quando occorre cambiare segno: oltre a cambiare segno
sia ai termini di destra che di sinistra, bisogna anche invertire il predicato, ovvero
il maggiore diventa minore, il maggiore-uguale diventa minore-uguale e cosı̀ via.

La differenza concettuale, invece, tra un’equazione intera di primo grado determinata e


una disequazione intera di primo grado determinata sta nella natura delle soluzioni: nel
caso di equazione la soluzione è un unico valore della variabile, per una disequazione
le soluzioni sono un’infinità di valori appartenenti a un intervallo di ampiezza infinita.

Per la rappresentazione delle soluzioni di una disequazione utilizziamo le convenzioni


standard: se in corrispondenza di un valore si traccia un cerchietto pieno significa che
il valore appartiene all’insieme delle soluzioni S, se invece il cerchietto è vuoto allora il
valore non appartiene a S. L’intervallo sotteso da una linea continua è quello dei valori
che soddisfano la disequazione, cioè dei valori di S, mentre l’intervallo sotteso da una
linea tratteggiata è quello dei valori che non sono soluzione della disequazione.

2 1 2 1 5 29 29
(4.16) x+5< −x ⇒ x + x < −5 + ⇒ x<− ⇒ x<− .
3 6 3 6 3 6 10
1 1 29 29
(4.17) 3x + 5 ≤ + 4x ⇒ 3x − 4x ≤ −5 + ⇒ −x ≤ − ⇒ x≥ .
6 6 6 6
402 Equazioni e disequazioni algebriche

In Figura 4.3 sono mostrate le soluzioni dell’equa-


zione x = 2 e delle disequazioni dell’esempio pre-
cedente che mostrano le convenzioni indicate e la
natura degli intervalli considerati.

Se nel corso della risoluzione di una disequa-


zione l’incognita sparisce occorre valutare l’e-
spressione numerica restante: se è vera allora
la disequazione di partenza è indetermina-
ta, ovvero ammette infinite soluzioni (qua-
lunque valore reale sostituito alla x soddisfa
la disequazione); se è falsa allora la disequa-
zione è impossibile, ovvero non ammette so- Figura 4.3: Rappresentazione delle solu-
luzioni perché non esistono valori reali che la zioni di equazioni e disequazioni di primo
grado intere.
soddisfano.
Equazioni

4.8 Disequazioni di primo grado fratte


Per la risoluzione di disequazioni di primo grado fratte non si può seguire fino in fondo
la procedura per le equazioni di primo grado fratte. I primi passi da compiere sono gli
stessi, purché si inizi con il portare a sinistra tutti i termini del predicato lasciando
0 al membro di destra. Occorre quindi scomporre numeratore e denominatore, scri-
vere le C.E. e poi semplificare ove possibile tra numeratore e denominatore, trovare il
denominatore comune e eseguire le opportune moltiplicazioni al numeratore per poi
sommare i termini simili. Si giunge in tal modo alla forma normale della disequazione
fratta, che è del tipo N (x)/D(x) R 0, dove il numeratore N (x) e il denominatore D(x)
sono polinomi in x.
A questo punto si risolvono separatamente le due disequazioni N (x) > 0 e
D(x) > 0 ponendo come predicato sempre maggiore, a prescindere dal predicato
della disequazione fratta di partenza. Una volta determinate le soluzioni delle due
disequazioni le si rappresenta su due rette allineate attraverso l’origine, si disegna una
terza retta allineata su cui si indicano le soluzioni della disequazione originale in base
alla regola dei segni. Dove le due disequazioni N (x) > 0 e D(x) > 0 sono soddisfatte
sugli intervalli corrispondenti si pongono dei segni positivi, nelle restanti parti delle
rette si pongono segni negativi. Si divide la terza retta in tanti intervalli quante sono le
interruzioni nelle due rette precedenti e per decidere nei vari intervalli se porre un segno
positivo o negativo si applica la regola dei segni: ad intervalli concordi corrispondono
intervalli positivi, ad intervalli discordi corrispondono intervalli negativi.
Per decidere se prendere come soluzioni gli intervalli negativi o positivi bisogna
guardare il predicato della disequazione di partenza: se è maggiore si prendono gli
intervalli positivi, se è minore quelli negativi. Se è maggiore-uguale o minore-uguale si
prendono anche gli estremi degli intervalli.
Bisogna infine controllare che non vi siano valori da escludere da S in virtù delle
C.E. scritte all’inizio.
Matematica 403

Per illustrare la procedura risolviamo la disequazione seguente


2x 4
(4.18) −3≥1 ⇒ C.E. 5x + 4 6= 0 ⇒ x 6= − .
5x + 4 5
Sia l’unico numeratore che l’unico denominatore sono irriducibili, in quanto di primo gra-
do e privi di fattori comuni. Si procede quindi a scrivere le C.E. come indicato nella 4.18.
Il calcolo del denominatore comune è banale in questo caso e si giunge alla disequazione
in forma normale:
(4.19)
2x 2x 2x − 4 · (5x + 4) −18x − 16
−3−1 ≥ 0 ⇒ −4 ≥ 0 ⇒ ⇒ ≥ 0.
5x + 4 5x + 4 5x + 4 5x + 4
A questo punto risolviamo separatamente N (x) > 0 e D(x) > 0. N (x) > 0 dà
8
(4.20) − 18x − 16 > 0 ⇒ 18x + 16 < 0 ⇒ 2 · (9x + 8) < 0 ⇒ 9x + 8 < 0 ⇒ x < − .
9
D(x) > 0 dà
4

Matematica
(4.21) 5x + 4 > 0 ⇒ 5x > −4 ⇒ x > − .
5
Riportando le due soluzioni su due rette allineate
e applicando la regola dei segni come illustrato in
Figura 4.4 si ricavano le soluzioni della disequazio-
ne considerando gli intervalli positivi compresi gli
estremi, in quanto il predicato della disequazione
originale è ≥. In seguito si scarta l’estremo di destra
perché è uno dei valori esclusi dalle C.E. ottenendo Figura 4.4: Rappresentazione delle solu-
zioni di una disequazione fratta.
la soluzione finale riportata nella Figura 4.4.

4.9 Sistemi di disequazioni


Risolvere un sistema di disequazioni è analogo a risolvere un sistema di equazioni. Si
risolve ogni disequazione separatamente e la soluzione del sistema è data dalle soluzioni
comuni alle disequazioni che compongono il sistema, ovvero dall’intersezione delle
soluzioni delle singole disequazioni.

A titolo di esempio si consideri il seguente sistema


di due disequazioni intere di primo grado

(
1 − 2x > 0
3x + 5 ≤ 0
(4.22) (
x < 12 5
⇒ ⇒ S =] − ∞, − ].
x ≤ − 53 3
Figura 4.5: Rappresentazione delle so-
luzioni di un sistema di due disequazioni
La soluzione del sistema è data dall’intervallo comu- intere di primo grado.
5
ne, ovvero S =] − ∞,− 3 ], come rappresentato in Fi-
gura 4.5.
404 Equazioni e disequazioni algebriche

Qualora le disequazioni costituenti il sistema non avessero soluzioni comuni, allora il


sistema non ammette soluzioni o, più correttamente, l’insieme delle soluzioni S coincide
con l’insieme vuoto ∅.

Il seguente sistema ad esempio non ha soluzioni


( (
1 − 2x < 0 x > 21
(4.23) ⇒ ⇒ S = ∅.
3x + 5 ≤ 0 x ≤ − 53

4.10 Equazioni di secondo grado complete


Un’equazione algebrica di secondo grado corrisponde a un polinomio di secondo grado
uguagliato a 0. Se il polinomio è completo l’equazione è completa e ha la seguente
forma normale
Equazioni

(4.24) ax2 + bx + c = 0 , a ∈ R0 , b, c ∈ R.

Geometricamente il polinomio è la funzione rappresentativa di una parabola con asse di


simmetria verticale, la cui concavità è data dal segno di a: se a > 0 la concavità è verso
l’alto, se a < 0 è verso il basso. Il termine noto c rappresenta il valore dell’ordinata del
punto di intersezione della parabola con l’asse delle ordinate. Le soluzioni dell’equazione
rappresentano gli zeri del polinomio, ovvero i valori di x in cui la parabola interseca
l’asse delle ascisse, come mostrato in Figura 4.6.

Figura 4.6: Le soluzioni di un’equazione di secondo grado sono le intersezioni di una parabola con l’asse
delle ascisse.

Per valutare le soluzioni dell’equazione occorre calcolare il discriminante ∆. Si hanno


tre possibilità:
(4.25) 
∆ > 0
 ⇒ due soluzioni reali distinte x1 e x2 ,
∆ = b2 − 4ac , ∆=0 ⇒ due soluzioni reali coincidenti x1 = x2 ,

∆<0 ⇒ nessuna soluzione reale: S = ∅.

Matematica 405

La formula generale per la determinazione delle eventuali soluzioni è


√ √
−b − ∆ −b + ∆
(4.26) x1 = , x2 = .
2a 2a
Le radici dell’equazione di secondo grado possono essere messe in relazione con i
coefficienti dell’equazione attraverso le formule di Viète-Girard, ricavabili dalla 4.26:

b c
(4.27) s = x1 + x2 = − , x1 · x2 = .
a a
Tali relazioni consentono anche di determinare i segni delle soluzioni attraverso la regola
di Cartesio. Supponiamo di avere a > 0 (in caso contrario basta cambiare segno a tutti i
termini dell’equazione), si hanno 4 combinazioni per i segni di b e di c: entrambi positivi,
entrambi negativi o b positivo e c negativo e viceversa. Associando tali combinazioni
alle formule di Viète-Girard si ottiene la regola di Cartesio:
(4.28)

b > 0, c > 0 x1 < 0, x2 < 0.

Matematica



b > 0, c < 0 x1 e x2 discordi, la maggiore in modulo tra le due è negativa.


 b < 0, c > 0 x1 > 0, x2 > 0.
b < 0, c < 0 x1 e x2 discordi, la maggiore in modulo tra le due è positiva.

Ad esempio risolviamo l’equazione 2x2 + 10x + 12 = 0. In tal caso abbiamo


(4.29) 
∆ = b2 − 4ac = 102 − 4 · 2 · 12 = 100 − 96 = 4 > 0 ⇒ x1 6= x2
√ √
 
a = 2


−b − ∆ −10 − 4 −10 − 2 −12
 

b = 10 ⇒ x1 = = = = = −3
  2a√ 4 √ 4 4

c = 12

 −b + ∆ −10 + 4 −10 + 2 −8
x2 = = = = = −2

2a 4 4 4
Allo stesso risultato si poteva giungere anche realizzando che si può raccogliere un fattore
2 nell’equazione, il che porta a dover risolvere x2 + 5x + 6 = 0. Volendo si può anche
scomporre il trinomio grazie al trinomio notevole e ricordare che i due numeri determi-
nati nella scomposizione sono gli opposti delle soluzioni dell’equazione. Analogamente si
possono applicare le 4.27: la somma delle radici è −5 e il loro prodotto è 6. Inoltre la
regola di Cartesio 4.28 ci dice che sono entrambe negative perché b > 0 e c > 0. È facile
dedurre che le soluzioni sono quelle già determinate.

Se il discriminante di un’equazione è negativo non ha senso applicare le 4.26: si può


subito concludere che l’equazione è impossibile.

Quando si riconosce che un’equazione di secondo grado completa è il quadrato di un


binomio, automaticamente si può dedurre che le due soluzioni sono coincidenti e sono
l’opposto del termine noto del binomio, ovvero che il discriminante dell’equazione è
nullo.
406 Equazioni e disequazioni algebriche

4.11 Equazioni di secondo grado pure

Se in un’equazione di secondo grado in forma normale si ha b = 0, l’equazione è detta


pura e ha la forma ax2 + c = 0.

Un’equazione di questo tipo rappresenta una funzione algebrica pari, ovvero una pa-
rabola avente l’asse delle ordinate come asse di simmetria. Le due soluzioni, quindi,
devono essere l’una l’opposta dell’altra.

Nel caso particolare b = c = 0 l’equazione è detta monomia e l’unica soluzione


dell’equazione è x1,2 = 0: la parabola ha vertice nell’origine.

Per determinare le soluzioni si può utilizzare il metodo della sezione precedente, ovvero
calcolare il discriminante e usare le relazioni 4.26 oppure si può procedere secondo
la filosofia generale esposta all’inizio del capitolo. Nel secondo caso si deve isolare
l’incognita, quindi portare a destra il termine noto e dividere ambo i membri per a. A
Equazioni

questo punto per invertire il quadrato occorre applicare a destra e a sinistra la radice
quadrata, ricordando di prendere sia il valore positivo che quello negativo del risultato.

Risolviamo l’equazione 2x2 − 5 = 0 nel secondo modo.


r
5 5
(4.30) 2x2 − 5 = 0 ⇒ 2x2 = +5 ⇒ x2 = ⇒ x1,2 = ± .
2 2

Si noti che se i due termini dell’equazione pura sono concordi allora non si hanno
soluzioni: in questo caso è sempre possibile ricondursi con un cambio di segno alla
situazione ax2 + c = 0 con a > 0 e c > 0. Poiché il quadrato è una quantità sempre
positiva, è impossibile che sommando due quantità positive l’espressione si possa
annullare, quindi l’equazione è impossibile.

Geometricamente ciò si può interpretare come in Figura 4.7 considerando che se una
parabola ha concavità verso l’alto (a > 0) e interseca l’asse y nel semipiano superiore
rispetto all’asse delle ascisse (c > 0) è impossibile che intersechi l’asse delle ascisse,
quindi non può avere soluzioni. Allo stesso modo se ha concavità verso il basso (a < 0)
e interseca l’asse y nel semipiano inferiore rispetto all’asse delle ascisse (c < 0) è
impossibile che intersechi l’asse delle ascisse, quindi non può avere soluzioni.

4.12 Equazioni di secondo grado spurie

Se in un’equazione di secondo grado in forma normale si ha c = 0, l’equazione è detta


spuria e ha la forma ax2 + bx = 0.
Matematica 407

Figura 4.7: Rappresentazione di equazioni di secondo grado pure impossibili.

Matematica
Un’equazione di questo tipo rappresenta una parabola che interseca l’asse delle ordinate
solo nell’origine, punto che coincide con una delle due soluzioni.
Per determinare le soluzioni si può calcolare il discriminante e usare le 4.26 op-
pure procedere in un modo più rapido: raccogliendo la x (oltre a eventuali fattori
numerici) si fattorizza l’equazione di secondo grado nel prodotto di due equazioni di
primo grado, una delle quali ha sempre soluzione nulla x1 = 0 in virtù del principio
dell’annullamento del prodotto.

Risolviamo l’equazione 3x2 + 9x = 0 nel secondo modo.


(
3x = 0 ⇒ x1 = 0 ,
(4.31) 3x2 + 9x = 0 ⇒ 3x · (x + 3) = 0 ⇒
x+3=0 ⇒ x2 = −3.

4.13 Disequazioni di secondo grado


Per risolvere una disequazione di secondo grado occorre innanzitutto trovare le solu-
zioni dell’equazione associata, ovvero le intersezioni della parabola con l’asse delle
ascisse, come mostrato in Figura 4.6. A questo punto si guarda il predicato della dise-
quazione: se è maggiore, significa che le soluzioni sono i valori di x in corrispondenza
dei quali la parabola giace nel semipiano superiore rispetto all’asse delle ascisse (cioè
sopra l’asse x), se è minore le soluzioni sono i valori di x per i quali la parabola si trova
sotto l’asse x.
Le soluzioni possono dunque essere più intervalli, un intervallo, un punto o l’insieme
vuoto ∅ a seconda dei casi. Per una comprensione della determinazione delle soluzioni è
fondamentale innanzitutto considerare la concavità della parabola, quindi dal grafico
della stessa ricavare le soluzioni in base al predicato.
408 Equazioni e disequazioni algebriche

Per fornire una regola mnemonica (sebbene si suggerisca di estrarre le soluzioni dal
grafico) si consideri sempre la parabola con concavità verso l’alto.

Si ha che se il predicato è maggiore le soluzioni sono gli intervalli esterni rispetto alle
soluzioni dell’equazione associata, se il predicato è minore le soluzioni coincidono con
l’intervallo interno.

Se nella disequazione a < 0 si può sempre cambiare segno a tutti i termini.

Si ricordi che il cambiamento di segno implica anche una inversione del predicato.

I seguenti esempi possono chiarire le procedure illustrate.

(4.32) x2 +2x+1 < 0 ⇒ riconoscendo il quadrato del binomio ⇒ (x+1)2 < 0.


Equazioni

Piuttosto che risolvere l’equazione associata si può subito concludere che la disequazione
non ha soluzioni, perché un quadrato è una quantità sempre positiva quindi nessun valore
della x può rendere negativo il membro di sinistra.
Se la disequazione fosse stata x2 + 2x + 1 ≤ 0 allora l’unica soluzione sarebbe stata
x = −1.

Geometricamente si può anche vedere che la concavità è positiva e la parabola ha


il vertice sull’asse delle ascisse in x = −1, quindi non vi sono valori di x per i quali i
rami della parabola si trovano sotto l’asse delle ascisse.

Si consideri la disequazione x2 + x − 12 > 0. Le soluzioni dell’omogenea associata possono


essere trovate con il discriminante oppure anche con il trinomio notevole: l’equazione
associata si può scomporre in (x − 3)(x + 4) = 0. Infatti 4 · (−3) = −12 e 4 + (−3) = 1.
Le soluzioni sono quindi x1 = −4 e x2 = 3.
Poiché il predicato è maggiore e a > 0 le soluzioni della disequazione sono gli intervalli
esterni, ovvero S =] − ∞, −4[∪]3, ∞[. Se il predicato fosse stato ≥ gli estremi degli
intervalli sarebbero stati compresi in S.

Consideriamo infine i casi estremi in cui si ha S = R o S = ∅.

La disequazione 6x2 + 7 < 0 non ha alcuna soluzione. Senza effettuare calcoli si può
subire giungere a tale conclusione considerando che a > 0, che c > 0 e che il predicato è
minore. La parabola giace interamente sopra l’asse delle ascisse, quindi nessun valore di
x corrisponde a un tratto di parabola che giace nel semipiano inferiore rispetto all’asse
delle x, come si può intuire dalla Figura 4.7.
La disequazione −6x2 −7 < 0 ha invece come soluzione tutto R. Infatti una volta cambiato
segno per avere concavità verso l’alto si hanno considerazioni analoghe al caso precedente,
con la differenza che si cercano i valori di x per i quali la parabola giace sopra l’asse delle
ascisse, quindi vanno bene tutti.
Matematica 409

4.14 Equazioni irrazionali


Nello studio delle equazioni irrazionali, cioè di quelle in cui l’incognita è sotto il segno
di radice, bisogna distinguere il caso in cui l’indice di radice è pari da quello in cui
è dispari. Nel primo caso occorre quindi imporre la non negatività del radicando e
del
p polinomio cui è eguagliato il radicale. Per un’equazione irrazionale della forma
n
P (x) = Q(x) si hanno le sequenti possibilità:
 (
p P (x) = [Q(x)]n
⇒ P (x) = Q(x) ⇔

n pari n

(4.33) P (x) ≥ 0 , Q(x) ≥ 0 ,


 p
n dispari ⇒ n
P (x) = Q(x) ⇔ P (x) = [Q(x)]n .

Cominciamo con il considerare il caso di indice pari.

 2

2
√ (2 − x) = x + 1
 4 + x − 4x = x + 1

2−x= x+1 ⇔ 2−x≥0 ⇔ x≤2 ⇔
 
x+1≥0 x ≥ −1
 
(4.34)

Matematica
(
x2 − 5x + 3 = 0 √ √
⇔ ∆= 25 − 12 = 13 ≈ 3, 6
−1 ≤ x ≤ 2

(4.35)
 √ 
5 − 3, 6 1, 4
5 ± 13 x1 ≈ = = 0, 7
 (

x1,2 = 2 2 x1 accettabile
2 poiché si ha

−1 ≤ x ≤ 2 x2 ≈ 5 + 3, 6 = 8, 6 = 4, 3 > 2
 x2 non acc.
2 2

Passiamo a un esempio di equazione irrazionale con indice dispari.

p
−3x2 − 8x − 5 ⇔ (1 + x)3 = −3x2 −8x−5 ⇔ 1+x3 +3x2 +3x = −3x2 −8x−5 .
3
1+x =

Ponendo il polinomio in forma normale si ricava x3 + 6x2 + 11x + 6 = 0.


Si può provare a scomporre con la regola di Ruffini, non potendo raccogliere nulla a fattor
comune e non essendo proficuo un raccoglimento parziale. I divisori del termine noto sono
1, 2 e 3. Cominciando con il minore proviamo a dividere il polinomio per −1, usando un
numero negativo perché tutti i termini del polinomio sono positivi e quindi per ottenere
un resto nullo occorre una quantità negativa. Si trova

1 6 11 6
−1 −1 −5 −6 =⇒ x3 + 6x2 + 11x + 6 = 0 ⇔ (x + 1)(x2 + 5x + 6) = 0.
1 5 6 //

Il polinomio di secondo grado è l’ormai familiare trinomio notevole scomponibile come


(x+2)(x+3), quindi per il principio di annullamento del prodotto l’equazione di partenza
diventa
 
x + 1 = 0
 x = −1

(4.36) (x + 1)(x + 2)(x + 3) = 0 ⇔ x+2=0 ⇔ x = −2
 
x+3=0 x = −3
 
410 Equazioni e disequazioni algebriche

4.15 Disequazioni irrazionali


Nello studio delle disequazioni irrazionali, come per le equazioni associate, bisogna
distinguere il caso in cui l’indice di radice è pari da quello in cui è dispari. Poiché delle
due possibilità la seconda è più semplice cominciamo a mostrare come si risolve una
disequazione irrazionale con indice dispari.

n dispari
p Come nel caso delle equazioni basta elevare ambo i membri dell’espres-
sione n P (x) = Q(x) alla potenza con esponente n per eliminare il simbolo di
radice:

p
(4.37) n
P (x) R Q(x) ⇔ P (x) R [Q(x)]n .

La procedura è poi analoga a quella delle disequazioni discussa in precedenza.


Risolviamo la disequazione 3 3x + 1 > x + 1.
Equazioni

(4.38)
3x+1 > (x+1)3 ⇔ 3x+1 > x3 +3x2 +3x+1 ⇔ 0 > x3 +3x2 ⇔ x2 ·(x+3) < 0.

Poiché il quadrato è una quantità sempre positiva per qualunque valore assunto dall’in-
cognita, le soluzioni della disequazione coincidono con le soluzioni di x + 3 < 0 e sono
quindi x < −3.

Nella risoluzione di disequazioni di grado superiore al primo capita spesso di scomporre


il polinomio e di dover risolvere la disequazione che a destra ha lo 0 e a sinistra un
prodotto di polinomi o monomi.

Quando si deve risolvere una disequazione del tipo P (x) · Q(x) R 0 bisogna ragionare
sui segni. Ad esempio se il predicato è maggiore, allora P (x) e Q(x) sono concordi,
se il predicato è minore sono discordi. Ne deriva che si hanno le seguenti equivalenze:
( (
P (x) > 0 P (x) < 0
P (x) · Q(x) > 0 ⇔ ∪ ,
Q(x) > 0 Q(x) < 0
(4.39) ( (
P (x) > 0 P (x) < 0
P (x) · Q(x) < 0 ⇔ ∪ .
Q(x) < 0 Q(x) > 0

Quindi per risolvere una disequazione avente un prodotto di polinomi o monomi bisogna
risolvere un sistema di disequazioni, tranne nei casi in cui uno dei termini ha segno
costante in virtù delle sue caratteristiche, come nell’esempio precedente.

n pari Questa possibilità


p è più complessa
p e va discussa considerando separa-
tamente i due casi P (x) > Q(x) e P (x) < Q(x), dove per semplificare la
trattazione stiamo analizzando solo le radici con indice n = 2.
Matematica 411

Come per l’osservazione precedente, anche nel caso di disequazioni irrazionali con indice
pari la risoluzione equivale a risolvere uno o più sistemi di disequazioni.
( (
p P (x) ≥ 0 Q(x) ≥ 0
(4.40) P (x) > Q(x) ⇔ ∪ .
Q(x) < 0 P (x) > [Q(x)]2


Si consideri la disequazione x − 1 > x + 4. In base alla 4.40 si ha
(4.41) ( (
√ x−1≥0 x+4≥0
x−1>x+4 ⇔ ∪
x+4<0 x − 1 > (x + 4)2
( ( ( (
x≥1 x ≥ −4 x≥1 x ≥ −4
∪ ⇔ ∪
x < −4 x − 1 > x2 + 8x + 16 x < −4 x2 + 9x + 17 < 0

−9 − 13
Poiché per l’unica disequazione di secondo grado si ha ∆ = 13 e quindi x1 = e
√ 2
−9 + 13 √

Matematica
x2 = . Valutando che 13 ≈ 3, 6 si ha x1 ≈ −6, 3 e x2 ≈ −2, 7. La disequazione
2
di secondo grado ha concavità verso l’alto e predicato minore, quindi le sue soluzioni
coincidono con l’intervallo compreso tra x1 e x2 . Inserendone i valori nella 4.41 si ricava
che il primo sistema è privo di soluzioni e il secondo ha le soluzioni mostrate:

(
x ≥ −4
 √
x≥1 √ √ −9 + 13
∪ ⇔ ∅ ∪ −4 ≤ x < .
x < −4  −9 − 13 < x < −9 + 13
 2
2 2

p
Passiamo a considerare il caso in cui P (x) < Q(x), per il quale vale la seguente
equivalenza:

p P (x) ≥ 0 C.E. per il radicando

(4.42) P (x) < Q(x) ⇔ Q(x) > 0 concordanza del segno .

P (x) < [Q(x)]2


Risolviamo la disequazione 2 + x < x. Per la 4.42 si ha
 
√ 2 + x ≥ 0
 x ≥ −2

(4.43) 2+x<x ⇔ x>0 ⇔ x>0
 
2 + x < x2
 2
x −x−2>0

L’ultima disequazione ha ∆ = 9, x1 = −1 e x2 = 2 e poiché a > 0 e il predicato è


maggiore le sue soluzioni sono gli intervalli esterni. Si ha quindi

x ≥ −2

(4.44) x>0 =⇒ x > 2 .

x < −1 ∪ x > 2

412 Equazioni e disequazioni algebriche

Si ricorda che per determinare le soluzioni di un sistema di disequazioni bisogna con-


siderare solo gli intervalli in cui tutte le disequazioni sono soddisfatte, operazione resa
più agevole dalla rappresentazione grafica delle soluzioni.

La 4.40 e la 4.42 valgono anche con predicati rispettivamente ≤ e ≥, in tal caso nei
sistemi i predicati hanno tutti anche il segno di uguale.

4.16 Equazioni di grado superiore al secondo


Ricordando quanto detto nella sezione 4.2 a proposito del metodo generale di risoluzione
di equazioni algebriche e che non sempre esistono procedure algebriche per determinare
soluzioni di equazioni di grado maggiore o uguale al quinto, mostriamo come risolvere
equazioni di terzo o di quarto grado.
Equazioni

Figura 4.8: Le equazioni e le disequazioni di grado elevato consentono di implementare modelli matematici
di fenomeni anche molto complessi quali il volo degli uccelli.

Equazioni di terzo grado Quando è possibile conviene sempre scomporre,


ciò può essere ottenuto usando la regola di Ruffini, la somma o la differenza
di due cubi, il riconoscimento del cubo di un binomio o iterando due volte il
raccoglimento parziale. L’obiettivo è rendere l’equazione uguale al prodotto di
un fattore di primo grado per un altro fattore di secondo grado o addirittura al
prodotto di tre fattori di primo grado.
Se l’equazione non è completa, ad esempio è priva di termine noto, raccogliere
l’incognita porta sempre alla fattorizzazione desiderata. In ogni caso il principio
di annullamento del prodotto implica che l’equazione di terzo grado di partenza
equivale a un’equazione di primo grado e ad una di secondo o a tre equazioni di
primo grado, per la cui soluzione rimandiamo alle sezioni precedenti.

Come esempio dell’applicazione della regola di Ruffini a un’equazione completa si con-


fronti la procedura svolta nella 4.36 per l’equazione x3 + 6x2 + 11x + 6 = 0. Il caso di
equazione di terzo grado non completa è stato invece illustrato nella 4.38: l’equazione
x3 + 3x2 = 0 è equivalente alle equazioni x2 = 0 e x + 3 = 0 e ha quindi soluzioni x = 0
e x = −3.
Matematica 413

Mostriamo infine come usare il raccoglimento parziale due volte di seguito. Risolviamo
l’equazione x3 + 2x2 + 3x + 6 = 0. Raccogliendo x2 dai primi due termini e 3 dagli
ultimi due si ottiene x2 (x + 2) + 3(x + 2) = 0. Raccogliendo il fattore (x + 2) si ricava
(x2 + 3)(x + 2) = 0, ovvero l’equazione di terzo grado completa originale equivale alle
equazioni x + 2 = 0 e x2 + 3 = 0. La prima ha soluzione x = −2 mentre la seconda non
ha soluzione.

Equazioni di quarto grado L’obiettivo resta quello di scomporre il polinomio


di quarto grado corrispondente all’equazione in un prodotto di polinomi di primo
o di secondo grado. Se l’equazione di quarto grado è completa, l’unica speranza è
la regola di Ruffini. Se non è completa può essere utile ricorrere al raccoglimento.

Sfruttando l’esempio precedente il lettore può verificare che l’equazione x4 + x3 + x2 +


3x − 6 = 0 può essere scomposta con la regola di Ruffini in (x2 + 3)(x + 2)(x − 1) = 0.
Le sue soluzioni sono dunque x = −2 e x = 1 in quanto il primo fattore non può mai
annullarsi perché somma di quantità positive.

Matematica
Un caso particolare è rappresentato dalle equazioni biquadratiche.

Un’equazione di quarto grado è detta biquadratica quando comprende solo un termine


di quarto grado, uno di secondo e un termine noto, ovvero quando è del tipo ax4 +
bx2 + c = 0.

Queste equazioni si risolvono con la posizione x2 = t. Grazie all’incognita ausiliaria


t sono equivalenti a equazioni di secondo grado in t. Una volta risolta l’equazione in
t bisogna sostituire nuovamente a t l’espressione x2 e trovare le soluzioni delle due
equazioni di secondo grado in x cosı̀ ottenute.

Risolviamo ad esempio l’equazione 4x4 − 4x2 + 1 = 0. Ponendo x2 = t questa diventa


4t2 − 4t + 1 = 0. Si ha

1 1 2
(4.45) ∆ = 16 − 16 = 0, t1,2 = ⇒ x2 = ⇒ x=± .
2 2 2

4.17 Disequazioni di grado superiore al secondo


Le disequazioni di grado superiore al secondo si risolvono con la stessa filosofia delle
equazioni di grado maggiore di due e con lo studio dei segni dei fattori mostrato nella
4.39.

Una volta posta la disequazione in forma normale, obiettivo primario è la scomposi-


zione del polinomio corrispondente alla disequazione di terzo grado nel prodotto di
un polinomio di primo grado e di un polinomio di secondo grado. Se invece il poli-
nomio corrispondente alla disequazione è di quarto grado, allora bisogna scomporlo
nel prodotto di due polinomi di secondo grado.
414 Equazioni e disequazioni algebriche

A questo punto in entrambi i casi la disequazione di partenza equivale all’unione di


due sistemi di disequazioni: nel primo caso una disequazione è di primo grado e una di
secondo, nel secondo caso sono entrambe di secondo grado.

Risolviamo la disequazione x3 + x2 + 4x + 4 ≥ 0. Raccogliendo x2 nei primi due termini


e 4 negli ultimi due si ha x2 (x + 1) + 4(x + 1) ≥ 0, ovvero (x + 1)(x2 + 4) ≥ 0.
Questa disequazione è allora equivalente ai sistemi
(4.46) ( ( ( (
2 (x + 1) ≥ 0 (x + 1) ≤ 0 x ≥ −1 x ≤ −1
(x+1)·(x +4) ≥ 0 ⇔ ∪ ⇔ ∪ .
(x2 + 4) ≥ 0 (x2 + 4) ≤ 0 ∀x ∈ R ∅

Il secondo sistema non ammette soluzione, quindi le soluzioni della disequazione


coincidono con quelle del primo sistema, ovvero sono x ≥ −1.

Mostriamo la risoluzione di una disequazione di quarto grado, scegliendone per sem-


plicità una priva di termine noto.
Equazioni

La disequazione 2x4 − x3 + 8x2 − 4x < 0 si può scomporre raccogliendo x3 nei primi due
termini e 4x negli ultimi due: si ricava x3 (2x−1)+4x(2x−1) < 0 ovvero (2x−1)(x3 +4x) <
0.
Questa scomposizione non è però conveniente perché si ha un fattore di terzo grado.
Raccogliamo in esso la x scomponendo x3 + 4x in x(x2 + 4) e moltiplichiamo per x il
fattore (2x − 1) raccolto prima ottenendo (2x2 − x). A questo punto il polinomio di
partenza è equivalente al prodotto di due fattori di secondo grado.
Questa disequazione è allora equivalente ai sistemi
( (
2 2 (2x2 − x) < 0 (2x2 − x) > 0
(4.47) (2x − x) · (x + 4) < 0 ⇔ 2
∪ .
(x + 4) > 0 (x2 + 4) < 0

L’equazione associata alla prima disequazione ha soluzioni x1 = 0 e x2 = 21 , come si può


ricavare raccogliendo la x. Il segno di a e il predicato portano a considerare l’intervallo
interno per il sistema di sinistra e quelli esterni per il sistema di destra. Per la seconda
disequazione basta considerare che è una somma di quantità positive.
 
0 < x < 1 x < 0 ∪ x > 1
1
(4.48) 2 ∪ 2 ⇒ 0<x< .
∀ x ∈ R ∅ 2

Il secondo sistema non ammette soluzione, quindi le soluzioni della disequazione


coincidono con quelle del primo sistema, ovvero sono 0 < x < 12 .

4.18 Equazioni con valori assoluti


Il valore assoluto è indicato da due barre verticali e rappresenta un modo di indicare
solo i valori positivi del suo argomento, cioè dell’espressione scritta tra le barre verticali.
Si ricorda che spesso il termine modulo è utilizzato come sinonimo.
Matematica 415

Ogni valore assoluto presente in un’equazione dà vita a uno sdoppiamento dell’equa-
zione in due equazioni indipendenti, una per l’intervallo in cui l’argomento del valore
assoluto è positivo e una per l’intervallo in cui è negativo. La presenza di più valori
assoluti può portare alla suddivisione del campo dei reali in diversi intervalli, per ognuno
dei quali si ha un’equazione che rappresenta l’equazione iniziale.

Quando si eliminano le barre verticali del valore assoluto in un intervallo in cui l’ar-
gomento è positivo, allora si copia semplicemente l’argomento; in un intervallo in cui
esso è negativo ogni termine dell’argomento va cambiato di segno. Cominciamo con il
considerare un unico valore assoluto.

Risolviamo l’equazione 2 + |x + 1| = x + 3. Poniamo l’argomento del valore assoluto


≥ 0 e otteniamo x + 1 ≥ 0, ovvero x ≥ −1. Tale intervallo rappresenta la parte della
retta dei reali in cui l’argomento del modulo è positivo. In tale intervallo, quindi, possiamo
eliminare le barre verticali del valore assoluto senza modificare in alcun modo l’equazione.
Nell’intervallo complementare, ovvero in x < −1 quando eliminiamo il valore assoluto

Matematica
dobbiamo cambiare segno ad ogni termine. Abbiamo
(
2+x+1=x+3 per x ≥ −1 ,
(4.49) 2 + |x + 1| = x + 3 ⇔
2−x−1=x+3 per x < −1 .

Risolviamo ognuna delle due equazioni in maniera indipendente:


( (
0=0 per x ≥ −1 , indeterminata per x ≥ −1 ,

2x = −2 per x < −1 . impossibile per x < −1 .

Il valore x = −1 non appartiene al secondo intervallo perché l’estremo −1 è escluso.

Consideriamo il caso in cui si abbiano due valori assoluti non annidati uno dentro
l’altro. La prima cosa da fare è verificare quando gli argomenti dei due valori assoluti
sono positivi e in base a ciò suddividere la retta dei reali in intervalli. Se si scelgono
ad esempio equazioni di primo grado, la retta dei reali viene suddivisa in tre zone: una
zona dove entrambi gli argomenti sono positivi, una dove sono entrambi negativi e una
dove uno dei due è positivo e l’altro no. L’equazione di partenza, quindi, equivale a tre
diverse equazioni indipendenti nelle tre zone delineate.

Risolviamo l’equazione 2 + |x + 1| = |x − 1| + 4x. Poniamo l’argomento del primo valore


assoluto ≥ 0 e otteniamo x + 1 ≥ 0, ovvero x ≥ −1. La stessa operazione sul secondo
valore assoluto dà x ≥ 1. La retta è quindi divisa nella zona x ≥ 1 in cui entrambi gli
argomenti sono positivi, nella zona −1 ≤ x < 1 in cui il primo è positivo e il secondo
negativo e nella zona x < −1 in cui sono entrambi negativi.
Si ha quindi

2 + x + 1 = x − 1 + 4x
 per x ≥ 1
(4.50) 2+|x+1| = |x−1|+4x ⇔ 2 + x + 1 = −x + 1 + 4x per − 1 ≤ x < 1

2 − x − 1 = −x + 1 + 4x per x < −1 .

416 Equazioni e disequazioni algebriche

Risolviamo ognuna delle tre equazioni in maniera indipendente:


 
4x = 4
 per x ≥ 1 , x = 1
 per x ≥ 1 ,
2x = 2 per − 1 ≤ x < 1 , ⇔ x=1 per − 1 ≤ x < 1 ,
 
4x = 0 per x < −1 . x=0 per x < −1 .
 

x = 1
 per x ≥ 1 ,
impossibile per − 1 ≤ x < 1 ,

impossibile per x < −1 .

Le soluzioni nei due intervalli più a sinistra non sono compatibili con l’intervallo
considerato e quindi sono state escluse.

Consideriamo infine il caso di due valori assoluti annidati e per semplicità prendiamo
tutti argomenti di primo grado. Si procede come nel caso precedente, ma la considera-
zione sugli intervalli in cui viene suddivisa la retta dei reali deve procedere dal valore
assoluto più interno per spostarsi a quello più esterno.
Equazioni

( (
|x + x − 1 − 3| = 2 per x ≥ 1 , |2x − 4| = 2 per x ≥ 1 ,
|x+|x−1|−3| = 2 ⇔ ⇔
|x − x + 1 − 3| = 2 per x < 1 . | − 2| = 2 per x < 1 .

Il secondo valore assoluto ha come argomento un numero, quindi la seconda equazione si


riduce semplicemente a 2 = 2 il che implica che è indeterminata per x < 1. Nella prima
equazione compare un valore assoluto, quindi bisogna operare un ulteriore sdoppiamento:
(4.51)
 

 2x − 4 = 2 per x ≥ 2 , 
 x=3 per x ≥ 2 ,
−2x + 4 = 2 per 1 ≤ x < 2 , ⇔ x=1 per 1 ≤ x < 2 ,
 
indeterminata per x < 1 . indeterminata per x < 1 .
 

Se ne deduce che le soluzioni x = 3 e x = 1 sono ammissibili nei rispettivi intervalli,


mentre per x < 1 l’equazione è indeterminata.

Nel caso in cui gli argomenti dei valori assoluti siano polinomi di grado superiore al
primo gli intervalli in cui viene ripartita la retta dei reali possono essere in numero
superiore, ma la filosofia risolutiva non cambia: suddivisa la retta in zone che differi-
scono per la positività di almeno uno degli argomenti dei valori assoluti, per ognuna di
esse si scrive la corrispondente equazione senza valori assoluti e alla fine si confronta
la soluzione trovata con l’intervallo di appartenenza per stabilirne l’ammissibilità.

4.19 Disequazioni con valori assoluti


La risoluzione delle disequazioni con valori assoluti segue la stessa procedura illustra-
ta nella sezione precedente. L’unica differenza è che per ogni intervallo in cui viene
frazionata la retta dei reali si ha una disequazione da risolvere in luogo di un’equazione.
Matematica 417

Le soluzioni delle disequazioni indipendenti in cui viene convertita la singola dise-


quazione di partenza vanno poi messe a sistema con la condizione relativa al loro
intervallo per stabilirne l’ammissibilità o eventuali restrizioni.

A titolo d’esempio mostriamo solo il caso di una disequazione di secondo grado con
un unico valore assoluto. Scegliamo coefficienti non banali in modo che il lettore possa
seguire i calcoli facendo pratica di scomposizioni, di estrazione da radice e di soluzione
di equazioni di secondo grado.

Per risolvere la disequazione |x2 − 4x − 94 | < 2 − x bisogna innanzitutto porre l’argomento


del valore assoluto non negativo. Poiché ∆ = 25, da cui x1 = − 12 e x2 = 92 , a > 0 e
il predicato è maggiore-uguale gli intervalli per i quali l’argomento è non negativo sono
quelli esterni alle soluzioni dell’equazione associata, ovvero x ≤ − 12 ∪ x ≥ 92 .
La disequazione di partenza è quindi equivalente alla seguente coppia di disequazioni
(4.52) 
 9 1 9
 x2 − 4x − < 2 − x
 per x ≤ − ∪ x ≥ ,
9 4 2 2
|x2 − 4x − | < 2 − x ⇔

Matematica
4 
 −x2 + 4x + 9 < 2 − x
 1
per − < x < .
9
4 2 2
Mettendo le due disequazioni di secondo grado in forma normale si ha
  √ √
 1 9 
 3 − 26 3 + 26
 4x2 − 12x − 17 < 0 per x ≤ − ∪ x ≥ ,  <x<
2 2 ⇔ 2 √ 2 √
 4x2 − 20x − 1 > 0 per − 1 < x < 9 .
 
x < 5 − 26 ∪ x > 5 + 26

2 2 2 2
Nel secondo sistema non abbiamo riportato le condizioni degli intervalli per non appe-
santire la notazione. Ponendo ora a sistema queste ultime con le rispettive soluzioni delle
disequazioni si hanno le seguenti restrizioni:
 √

 3 − 26 1
 <x≤−
2 √ 2 .

− 1 < x < 5 − 26

2 2

4.20 Quesiti

1) Che cosa significa risolvere un’equazio- E isolare il termine noto per determinare i
ne? coefficienti della variabile.

A ridurla alla forma più semplice possibile 2) Come si risolve un’equazione di I grado?

B determinare i valori dei coefficienti A si riduce in forma canonica e poi si isola


il termine noto;
C sostituire alla variabile i valori che B si riduce in forma canonica e poi si divide
rendono uguali i due membri per il coefficiente della variabile;
D determinare i valori della variabile che C si riduce in forma canonica e poi si
rendono uguali i due membri applica la formula risolutiva
418 Equazioni e disequazioni algebriche

D si applica la formula risolutiva x = 7) Da che cosa dipende che abbia soluzioni


−b/2a l’equazione ax2 + bx + c = 0?
E si applica la formula risolutiva x = b/2a A dal segno del coefficiente del termine di
3) Qual è la definizione corretta tra le grado massimo
seguenti? B dal segno del coefficiente del termine di
primo grado
A un’equazione è indeterminata se non
C dal segno del prodotto 4ac
ammette soluzioni
D dal segno del discriminante dell’equazio-
B un’equazione è indeterminata se ammet-
ne
te infinite soluzioni
E da come è rivolta la concavità della
C un’equazione è determinata quando
parabola
ammette una sola soluzione
D un’equazione è frazionaria quando al- 8) Quali sono le soluzioni corrette delle
meno uno dei coefficienti è un numero equazioni 4x2 − 25 = 0 e 4x2 + 25x = 0?
razionale A x = ± 52 e x = 0; x = 25
4
E un’equazione è detta intera se la variabile 25
B x= 4
e x = 0; x = − 254
che vi compare ha esponente negativo
C x= ± 52 e x = 0; x = − 25 4
4) Qual è la procedura corretta per risolve-
2x − 1 D x= ± 254
e x = 0; x = − 25 4
re l’equazione frazionaria = 0?
x+3 E x= ± 25 e x = 0; x = − 25
Equazioni

A x + 3 = 0 ⇒ x = −3 , 2x − 1 = 0 ⇒ 9) Quale delle seguenti proposizioni è


x = 1/2 acc. corretta?
B x + 3 = 0 ⇒ x1 = −3 , 2x − 1 = 0 ⇒ A le disequazioni di secondo grado si
x2 = 1/2 acc. risolvono come quelle di primo grado
C x + 3 = 0 ⇒ x = 3 , 2x − 1 = 0 ⇒ x = B la risoluzione delle disequazioni di
1/2 acc. secondo grado è esclusivamente algebrica
D x + 3 = 0 ⇒ x = −3 , 2x − 1 = 0 ⇒ C la risoluzione delle disequazioni di se-
x = 1/2 imp. condo grado è esprimibile soltanto
E 2x − 1 = 0 ⇒ x = 1/2 , x + 3 = 0 ⇒ geometricamente
x = −3 acc. D la risoluzione delle disequazioni di secon-
do grado dipende dal segno del primo
5) Che
 tipo di sistema lineare è
coefficiente, dal segno del discriminante
x − 2y + 1 = 0 e dal predicato della disequazione
?
4y − 2x + 5 = 0 E le soluzioni delle disequazioni di secondo
grado sono rappresentabili geometrica-
A determinato, perché i coefficienti delle mente come intersezioni di una parabola
variabili sono diversi con una retta obliqua
B indeterminato, perché i rapporti a1 /a2 e
b1 /b2 sono uguali 10) Quale delle seguenti proposizioni è
corretta?
C non risolubile, perché spariscono le
incognite A la regola di Ruffini è l’unico modo
D determinato, perché le due rette sono per scomporre un’equazione di grado
perpendicolari superiore al secondo
E impossibile, perché le due rette sono B l’unico modo per scomporre un’equazio-
parallele ne di grado superiore al secondo è quello
di applicare i prodotti notevoli
6) Qual è la risoluzione corretta della C esistono formule risolutive per le equa-
disequazione 5x − 10 ≥ 0? zioni fino al quarto grado
A 5x ≥ 10 ⇒ x ≥ 10 − 5 ⇒ x ≥ 5 D scomporre un’equazione di grado su-
periore al secondo è una procedura
B 5x ≥ 10 ⇒ x ≥ 10 + 5 ⇒ x ≥ 15 complessa e inutile
C 5x ≥ 10 ⇒ x ≥ 10 5
⇒ x≥2 E per risolvere un’equazione di grado su-
D 5x ≥ −10 ⇒ −5x ≥ 10 ⇒ x ≥ −2 periore al secondo occorre scomporre
l’equazione data in polinomi di grado
E 5x ≥ −10 ⇒ −5x ≤ −10 ⇒ x ≤ −2 minore
Matematica 419

4.21 Risposte commentate ai quesiti


1) La A è errata perché parziale, la B è errata perché sono i valori della variabile da
determinare, non quelli dei coefficienti. La C indica una procedura successiva alla
risoluzione e la E indica una procedura errata. La risposta corretta è la D .
2) La A e la B indicano una procedura errata; la D e la E oltre ad essere parziali
usano una formula errata. La risposta corretta è la C .
3) La A è errata perché si riferisce a un’equazione impossibile. La C non specifica che
il numero delle soluzioni è legato all’esponente massimo con cui compare la variabile.
La D è errata perché l’equazione è frazionaria se l’incognita ha esponente negativo,
motivo per il quale è errata anche la E . La risposta corretta è la B .
4) La risposta corretta è la A . La B è errata perché non scarta la soluzione che annulla
il denominatore. La C è errata perché il termine noto spostato cambia segno. La
D è errata perché scarta una soluzione accettabile. La E è errata perché inverte
l’ammissibilità delle soluzioni.

Matematica
5) La A e la B sono errate perché trascurano il rapporto tra i termini noti. La
D è errata perché le rette sono parallele, infatti la risposta corretta è la E .
La C è errata perché trae una conclusione sbagliata: se le incognite spariscono
le rette sono parallele e coincidenti.
6) La A e la B sono errate perché il secondo passaggio deve essere una divisione per 5.
La D e la E sono errate perché il termine noto cambia segno quando viene spostato
e anche perché non ha senso, al secondo passaggio, cambiare segno al coefficiente
positivo. La risposta corretta è la C .
7) La A e la E sono errate: entrambe si riferiscono alla forma della parabola. La C
è errata perché considera una quantità parziale, la B è errata perché il segno del
secondo coefficiente è ininfluente. La risposta corretta è la D .
8) La A è errata nel segno della seconda soluzione. La B è errata perché non estrae
la radice della soluzione della prima equazione. Per lo stesso motivo è errata la D
, oltre che per un’ingiustificabile indeterminazione di segno. La E è errata perché
in essa numeratore e denominatore della prima soluzione sono invertiti. La risposta
corretta è la C .
9) La A è errata perché la procedura è diversa. La B e la C esprimono una limitazione
inesistente. La E è errata perché le soluzioni sono rappresentabili come intersezioni
di una parabola con l’asse delle ascisse e soltanto per le equazioni, non per le
disequazioni. La risposta corretta è la D .

10) La A e la B sono errate perché affermano un’esclusività non vera. La C afferma


il falso, in quanto formule risolutive esistono solo per il primo ed il secondo grado.
La D è errata non tanto per l’affermazione sulla complessità quanto per quella
sull’inutilità. La risposta corretta è la E .
Funzioni
5
Introduzione
In questo capitolo è introdotto il concetto fondamentale di funzione e le sue proprietà.
Si consiglia di acquisire i grafici delle funzioni elementari per una migliore fruibilità dei
capitoli successivi.
Prima di affrontare il capitolo può essere utile riguardare il concetto di relazione e
le sue proprietà discusse nella sezione 1.5.

5.1 Definizione di funzione

Figura 5.1: Un plastico è un esempio di funzio-


ne non numerica: ad ogni modello del plastico
si associa uno ed un solo edificio della realtà.

Una funzione f è una relazione tra due insiemi X e Y che ad ogni elemento x ∈ X fa
corrispondere uno ed un solo elemento y ∈ Y . La funzione (o applicazione) f : X → Y
da X a Y ha l’insieme X come insieme di definizione o dominio Df e l’insieme Y
come codominio Cf . L’insieme di partenza X e l’insieme di arrivo Y possono anche
coincidere.

Il simbolo f (x) indica sia la funzione f , nel senso che indica l’insieme di valori che
la funzione assume al variare di x ∈ X, sia il particolare valore di y che corrisponde
attraverso la legge f ad un certo valore x, cioè y = f (x). Dal contesto di volta in volta
è semplice capire a quale delle due accezioni si sta facendo riferimento. In generale
per evitare ambiguità quando si intende un particolare valore assunto dalla funzione
si sceglie un particolare simbolo per l’elemento x ∈ X considerato, ad esempio x0 o x,
per cui si avrà y0 = f (x0 ) o y = f (x).

Il sottoinsieme di Y costituito da tutti gli y ∈ Y che sono corrispondenti di elementi


x ∈ X è chiamato immagine di f Imf : Imf = {y ∈ Y | y = f (x), x ∈ X}.

L’immagine può essere sia un sottoinsieme proprio che improprio del codominio.
Matematica 421

Una funzione è definita attraverso il suo dominio Df , il suo codominio Cf e la legge


f : X → Y che associa elementi di X ad elementi di Y . Cambiando anche uno
solo di questi tre oggetti matematici si sta selezionando una funzione diversa, che
potrebbe avere proprietà differenti da quella iniziale.

Un esempio di funzione è dato da un’operazione unaria, cioè un’operazione che agisca


su un solo operando. Ad esempio si può definire la funzione g : R → R attraverso la
legge g(x) = x + 2. Se si sceglie la stessa legge ma si considera un sottoinsieme di Df ,
ad esempio g ∗ : N → N, si ha una restrizione di g. Le due funzioni g e g ∗ hanno
proprietà diverse, come sarà chiarito nel seguito.

Quando Df e Cf sono insiemi numerici, cioè N, Z, Q, R o loro sottoinsiemi, f è detta


funzione numerica. La legge che associa il valore di y a un particolare valore di x è
detta equazione della funzione. Se Df = Cf = R f è detta funzione reale di variabile
reale. Il primo aggettivo reale indica che y ∈ R, la variabile reale è la x.
In generale la x è detta variabile indipendente e la y variabile dipendente, perché il suo

Matematica
valore dipende da quello di x attraverso la legge f .

L’equazione di una funzione è in genere un’espressione analitica, ovvero è formata da


un certo numero di operazioni che vanno eseguite in un certo ordine. Le funzioni ana-
litiche a loro volta si dividono in funzioni algebriche e funzioni trascendenti. Sono
algebriche le funzioni che corrispondono a polinomi o le cui equazioni sono equazioni
algebriche: in altri termini contengono numeri e potenze con esponente intero o frazio-
nario della variabile. Sono dunque algebriche le funzioni razionali e le irrazionali, sia
intere che fratte.
Tra le funzioni trascendenti, che sono quelle non esprimibili come un polinomio, si
hanno le funzioni goniometriche discusse nel capitolo 10 e le esponenziali e logaritmiche
discusse nel capitolo 6.

5.2 Grafico di una funzione

Il grafico di una funzione f : X → Y è un sottoinsieme del prodotto cartesiano X × Y ,


cioè è un insieme di punti del piano che ha come ascisse i valori x ∈ X e come ordinate i
valori y ∈ Y . Appartengono al grafico tutti i punti del piano le cui coordinate soddisfano
l’equazione della funzione y = f (x).

Sono esempi di grafici di funzione le Figure 5.4, 5.5 e 5.6.


Dal grafico di una funzione si possono desumere sia Df che Cf oltre a diverse altre
proprietà di f . Per ricavare Df basta considerare tutti i punti dell’asse x interessati
dalla proiezione di f sull’asse. Per proiettare un punto P = (xP , yP ) del grafico sull’asse
x basta tracciare una linea verticale dal punto sino ad incontrare l’asse delle ascisse
nel valore xP . Allo stesso modo per ricavare Cf basta considerare tutti i punti dell’asse
y interessati dalla proiezione di f sull’asse. Per proiettare un punto P = (xP , yP ) del
422 Funzioni

grafico sull’asse y basta tracciare una linea orizzontale dal punto sino ad incontrare
l’asse delle ordinate nel valore yP .
Se il grafico di una funzione è una curva che si può disegnare senza mai staccare
la penna dal foglio la funzione è detta continua e gode di notevoli proprietà. Se per
tracciare il grafico di f ad un certo punto bisogna staccare la penna dal foglio, spostarsi
in verticale di una quantità ∆y e poi continuare a tracciare una funzione continua,
allora il valore x0 in corrispondenza del salto ∆y è detto punto di discontinuità. Se
si esclude x0 da Df la funzione diventa continua.
Sono ad esempio continue la funzione seno, l’esponenziale e la logaritmica, mentre
non è continua la funzione tangente, come si può osservare dai loro grafici riportati in
Figura 5.6(a), 5.5(a), 5.5(c) e 5.6(e).

Sia I ⊂ Df un intorno del punto x∗ dotato di tale proprietà: ∀x ∈ I f (x) ≥ f (x∗ ). In


tal caso il punto x∗ è detto punto di minimo relativo di f . È chiamato invece punto
di massimo relativo se accade il contrario, ovvero se ∀x ∈ I f (x) ≤ f (x∗ ). Il valore
y(x∗ ) è detto rispettivamente minimo relativo o massimo relativo di f .
Funzioni

Tra i massimi e i minimi relativi, se esistono, si hanno rispettivamente l’unico massimo


assoluto max(f ) e l’unico minimo assoluto min(f ). La proprietà soddisfatta dal punto
di massimo assoluto xM è la seguente: ∀x ∈ Df f (x) ≤ f (xM ). Analogamente per il
punto di minimo assoluto xm si ha ∀x ∈ Df f (x) ≥ f (xm ).
Per ricavare dal grafico i punti di massimo e di minimo basta osservare i punti in cui
il grafico ha tangente orizzontale, dove per definizione la tangente è una retta avente
un solo punto in comune con la curva del grafico di f . Se il resto del grafico è al di
sotto della tangente orizzontale allora il punto è di massimo assoluto, se è al di sopra
è di minimo. Lo stesso procedimento consente di determinare graficamente massimi e
minimi locali, cioè relativi.

Un asintoto è una retta cui tende il grafico della funzione senza però mai coincidere
con essa. Esistono asintoti orizzontali, verticali e obliqui. Gli asintoti orizzontali e quelli
obliqui possono essere presenti in funzioni che hanno un dominio che si estende sino
a +∞ o a −∞, cioè un intervallo aperto. Gli asintoti verticali si possono trovare nei
punti isolati di discontinuità della funzione o negli estremi finiti del dominio.

Un esempio di asintoto orizzontale è dato dalla retta y = π/2 che è asintoto orizzontale
per la funzione arcotangente, come si vede dalla Figura 5.6(f). Per la stessa funzione
è asintoto orizzontale anche la retta y = −π/2. Un esempio di asintoto verticale si ha
nella retta x = π/2 per la funzione tangente, come si vede dalla Figura 5.6(e), o nella
retta x = −5 per la funzione riportata nella Figura 5.4(h).

5.3 Funzioni iniettive e suriettive

Una funzione f : X → Y è detta iniettiva quando elementi diversi di X vengono


mappati in elementi diversi di Y : f è iniettiva ⇔ ∀x1 , x2 ∈ X |x1 6= x2 si ha y1 6=
y2 , y1 = f (x1 ) e y2 = f (x2 ).
Matematica 423

(a) iniettiva. (b) suriettiva.

(c) biettiva. (d) non è una funzione.

Matematica
Figura 5.2: Tipi di funzioni.

Per stabilire se una funzione è iniettiva, quindi si parte dal dominio e si vede se da
punti diversi di X partono frecce che terminano nello stesso punto y ∈ Y , nel qual caso
la funzione non è iniettiva.

La funzione f : N → N definita come f (x) = x + 2 è iniettiva in quanto ad ogni coppia


di naturali diversi fa corrispondere una coppia di naturali diversi.

Per stabilire se una funzione è suriettiva occorre invece focalizzarsi sul codominio.

Una funzione f : X → Y è detta suriettiva quando ogni elemento di Y è il corri-


spondente di un elemento di X: f è suriettiva ⇔ ∀y ∈ X y = f (x), x ∈ X. Più
semplicemente si può affermare che f è suriettiva quando il codominio coincide con
l’immagine: f è suriettiva ⇔ Cf = Imf .

La suriettività è una proprietà meno evidente dell’iniettività ma con un po’ di allena-


mento si può stabilire con certezza se una funzione gode o meno di tale proprietà.

La funzione f : N → N definita come f (x) = x+2 non è suriettiva in quanto è impossibile


ottenere i numeri 1 e 2 come risultato dell’applicazione di f a qualche naturale. Se si
modificasse la funzione in questo modo f : N → N − {1, 2} allora f sarebbe suriettiva.

L’iniettività può essere desunta facilmente dal grafico di f nel modo seguente.
Se tracciando una linea orizzontale in corrispondenza di qualsiasi punto del grafico di
f questa retta interseca il grafico in almeno un altro punto allora f non è iniettiva,
perché a valori diversi della x corrisponde lo stesso valore della y.
424 Funzioni

Sempre graficamente si può anche determinare se una curva è o meno il grafico di una
funzione. Si traccia una retta verticale in corrispondenza di un punto qualsiasi della
curva. Se questa retta interseca la curva in almeno un altro punto allora la curva non
è il grafico di una funzione, infatti in tal caso lo stesso valore della x viene mappato in
due diversi valori della y contraddicendo la definizione di funzione.

5.4 Funzioni biettive e funzioni inverse


Funzioni

Figura 5.3: L’associazione tra ogni supereroe e il


suo alter ego è un esempio di funzione biettiva.

Una funzione f è biettiva o biunivoca quando è contemporaneamente iniettiva e su-


riettiva, ovvero quando associa elementi diversi ad elementi diversi e il suo codominio
coincide con la sua immagine.

Solo le funzioni biettive possono essere invertite, l’inversa di una funzione f si indica
con il simbolo f −1 senza alcun richiamo al simbolo di esponente negativo.

Una funzione f −1 è l’inversa di una funzione f quando f −1 (f (x)) = x ∀x ∈ X.

Il dominio della funzione inversa coincide con l’immagine della funzione di partenza e
il suo codominio coincide con il dominio della funzione di partenza.

La funzione f : N → N − {1, 2} definita dalla legge f (x) = x + 2 dell’esempio precedente è


sia iniettiva che suriettiva, dunque esiste la sua inversa f −1 definita dalla legge f −1 (x) =
x − 2.

Il grafico di una funzione inversa si ottiene da quello della funzione diretta considerando
la curva simmetrica rispetto alla bisettrice I-III quadrante, ovvero dalla curva che si
ottiene scambiando l’asse delle ascisse con quello delle ordinate.
Matematica 425

5.5 Funzioni elementari

90 90

80 80

70 70

60 60

50 50

40 40

30 30

20 20

10 10

1 1

-4 -2 2 4 -4 -2 2 4

(a) costante. (b) lineare.

90
1000
80
800
70
600
60

400
50

40 200

30
-10 -5 5 10
20
-200

10
-400
1

-10 -5 5 10 -600

-800

Matematica
-1000

(c) quadrato. (d) cubo.

3
6

5 2

4
1

2 -20 -15 -10 -5 5 10 15 20

1 -1

-10 -5 5 10 15 20 -2

-1

-3

(e) radice quadrata. (f) radice cubica.

5 40

30
4

20

3
10

2
-20 -15 -10 -5 5 10 15 20

-10
1

-20

-4 -2 2 4 -30

-1 -40

(g) valore assoluto. (h) razionale.


Figura 5.4: Grafici delle funzioni elementari algebriche.

Una funzione è definita elementare quando è equivalente ad un numero finito di ap-


plicazioni delle quattro operazioni aritmetiche, della funzione potenza con esponente
intero o razionale (il che comprende le radici), della funzione esponenziale e della fun-
zione logaritmo. Le identità di Eulero consentono di annoverare tra le elementari anche
le funzioni goniometriche come seno e coseno.

Poiché per numero finito si può intendere anche l’unità, spesso con il termine fun-
zioni elementari si intendono direttamente le funzioni potenza, razionale, logaritmo,
426 Funzioni

90 90

80 80

70 70

60 60

50 50

40 40

30 30

20 20

10 10
1 1

-4 -2 2 4 -4 -2 2 4

(a) esponenziale con a > 1. (b) esponenziale con 0 < a < 1.

1 2 4 6 8 1 2 4 6 8

(c) logaritmo con a > 1. (d) logaritmo con 0 < a < 1.


Figura 5.5: Grafici delle funzioni elementari trascendenti.
Funzioni

1.5 1.5

1 1

0.5 0.5

-0.5 -0.5

-1 -1

-1.5 -1.5

(a) seno. (b) coseno.

-1 -0.5 0.5 1

-1 -0.5 0.5 1

(c) arcoseno. (d) arcocoseno.

-10 -5 5 10

-2

-4

-6

(e) tangente. (f) arcotangente.


Figura 5.6: Grafici delle funzioni elementari goniometriche.

esponenziale e goniometriche. Per queste funzioni sono riportati il grafico, il dominio e


il codominio. Nelle Figure 5.4, 5.5 e 5.6 in grigio sono state colorate le zone dove non
è possibile trovare il grafico delle diverse funzioni.
Matematica 427

Dal dominio bisogna trarre le condizioni di esistenza (C.E.), che corrispondono ad


escludere le aree dell’asse delle ascisse interessato dalla zona grigia nelle Figure 5.4, 5.5
e 5.6.

Si ricordano i tre principali tipi di C.E. da considerare:


se una funzione si trova a denominatore va posta diversa da 0. Un esempio
dell’ultimo caso è rappresentato dalla funzione razionale di Figura 5.4(h).
Se si ha una radice con indice pari l’argomento della radice, cioè il radicando,
va posto maggiore o uguale a 0.
Se si ha un logaritmo l’argomento del logaritmo, cioè tutto ciò che è contenuto
nella parentesi che segue la scritta log, va posto strettamente maggiore di 0.
Le funzioni lineari, l’esponenziale e le potenze con indice naturale sono invece
sempre definite.
L’argomento delle funzioni arcoseno e arcocoseno va sempre compreso tra −1

Matematica
e 1.

Si hanno inoltre le seguenti considerazioni:

In Figura 5.5(a) è riportato il grafico della funzione esponenziale con base mag-
giore dell’unità. Al crescere del valore della base la curva diventa sempre più
ripida. Analogo discorso vale per la pendenza dell’esponenziale con base minore
dell’unità di Figura 5.5(b): più la base diventa piccola più la curva diventa ripida.

In Figura 5.5(c) è riportato il grafico della funzione logaritmo con base maggiore
dell’unità. Al crescere del valore della base la curva sale più rapidamente. Analo-
go discorso vale per la pendenza dell’esponenziale con base minore dell’unità di
Figura 5.5(d): più la base diventa piccola più la curva scende rapidamente.

Tra le funzioni elementari si nota che l’esponenziale è quella che cresce più ra-
pidamente. Dai grafici, inoltre, si osserva che la funzione logaritmo cresce meno
rapidamente della funzione potenza.

Per definire le funzioni goniometriche inverse si pone una restrizione del dominio
ad un unico periodo, con uno dei due estremi escluso, in modo da evitare che allo
stesso valore del seno o del coseno corrispondano più angoli.

5.6 Funzioni composte

Una funzione composta è una funzione di funzione, ovvero una funzione applicata al
risultato di un’altra funzione.
428 Funzioni

Le funzioni composte si comportano come


scatole cinesi: le funzioni che compongono la
funzione composta vanno applicate partendo
da quella scritta più a destra e spostandosi
man mano verso sinistra. Il dominio della fun-
zione più a destra deve coincidere con l’insie-
me cui appartiene la variabile indipendente, Figura 5.7: Rappresentazione di una funzione
composta h : X → W .
il dominio della funzione successiva coincide
con l’immagine della funzione precedente.

Matematicamente una funzione h composta dalle funzioni f e g viene indicata dal


simbolo h = g ◦ f . Se f : X → Y e g : Y → W allora h : X → W e si ha
w = h(x) = [g ◦ f ](x) = g(f (x)) = g(y). Si noti che la composizione generalmente
non commuta, ovvero h = g ◦ f 6= f ◦ g = d.

Una funzione può essere composta da più di due funzioni, l’importante è che ogni volta
il dominio della funzione successiva coincide con l’immagine della funzione precedente.
Funzioni

√5
È ad esempio composta la funzione h(x) = 2 · (3 + x2 )3 . Per elencare le funzioni
componenti si parte dalla funzione che agisce prima sulla x, in questo caso è f (x) = x2 .

La funzione successiva è g(y) = 5 y. In seguito si ha l(z) = 3+z e ancora m(w) = w3 fino a
n(t) = 2·t. Nell’esempio, dunque, h(x) = [n◦m◦l◦g◦f ](x) ovvero h(x) = n[m(l{g[f (x)]})].

Nella pratica conoscendo le leggi delle funzioni componenti basta sostituirle al posto
della variabile per ricavare la funzione composta.

Il dominio della funzione composta è dato dall’intersezione dei domini delle funzioni
componenti.

5.7 Parità

Una funzione è pari quando ∀x ∈ X f (−x) = f (x). I grafici delle funzioni pari sono
simmetrici rispetto all’asse y, come si nota per la Figura 5.4(c).

Come indica il nome sono pari tutte le funzioni polinomiali ottenute come somma di
potenze pari della variabile ed eventualmente di un termine noto. Sono inoltre pari la
funzione quadrato f (x) = x2 , che d’altronde è un caso particolare del precedente, e la
funzione goniometrica f (x) = cos(x).

Una funzione è dispari quando ∀x ∈ X f (−x) = −f (x). I grafici delle funzioni dispari
sono simmetrici rispetto all’origine, come si nota dalla Figura 5.4(d).
Matematica 429

Come indica il nome sono dispari tutte le funzioni polinomiali ottenute come somma
di potenze dispari della variabile e prive di un termine noto. Sono inoltre dispari la
funzione cubo f (x) = x3 , che d’altronde è un caso particolare del precedente, e la
funzione goniometrica f (x) = sen(x).
La parità è una proprietà delle funzioni ma non tutte le funzioni sono pari o dispari.
Quelle che non sono né pari né dispari hanno parità indefinita. Si noti che con parità
si intende sia la proprietà di una funzione di essere pari sia quella di essere dispari.

La parità opera in maniera analoga al segno: il prodotto di due funzioni pari è una
funzione pari, il prodotto di due funzioni dispari è ancora una funzione pari, il prodotto
di una funzione pari per una dispari è una funzione dispari.

Si ricorda che un rapporto tra due funzioni è equivalente al prodotto della prima per
il reciproco della seconda, quindi la regola vale anche per i rapporti.

Matematica
sen(x)
Ad esempio la funzione tangente tg(x) = è una funzione dispari in quanto rapporto
cos(x)
tra una funzione dispari e una pari.

Il prodotto di una funzione pari o dispari per una con parità indefinita generalmente è
una funzione con parità indefinita. La somma algebrica di una funzione pari con una
dispari è una funzione con parità indefinita.

Come ulteriore chiarimento si considerino i seguenti esempi:

(5.1)
f (x) = 3x2 − x4 è pari, infatti f (−2) = 3 · (−2)2 − (−2)4 = −4 = f (2) ;
3 5 3 5
f (x) = 2x + x è dispari, infatti f (−1) = 2 · (−1) + (−1) = −3 = −f (1) ;
2 3 2 3
f (x) = x − x ha parità indefinita, infatti f (−3) = (−3) − (−3) = 36 6= f (3) = −18.

5.8 Periodicità

Una funzione è periodica di periodo T quando ∀x ∈ X f (x+T ) = f (x), con x+T ∈ X


e T > 0. In altri termini una funzione è periodica quando dopo un certo intervallo della
variabile indipendente assume nuovamente gli stessi valori.

Questa proprietà è ricorsiva, ovvero anche dopo un intervallo corrispondente a due


periodi o a venti periodi la funzione assume ancora gli stessi valori e ciò sia spostan-
dosi lungo l’asse delle ascisse verso destra che verso sinistra, cioè sia aggiungendo che
sottraendo un multiplo intero del periodo all’argomento della funzione.
430 Funzioni

Il grafico di una funzione periodica è la ripetizione continua sia a destra sia a sinistra
della parte di grafico corrispondente a un periodo.

Sono funzioni periodiche il seno e il coseno, entrambi di periodo 2π, come si osserva dalle
Figure 5.6(a) e 5.6(b), ed è periodica la tangente√con periodo π, come mostrato nella
Figura 5.6(e). Infatti sen(π/4 − 6π) = sen(π/4) = 2/2 e tg(π/4 + 3π) = tg(π/4) = 1.

5.9 Quesiti
1) Che cosa s’intende per funzione? 4) Che cosa s’intende per funzione inversa?

A un modo per modificare l’insieme di A una funzione in cui l’ascissa si determina


partenza e di arrivo in base all’ordinata
B un meccanismo per far funzionare le B una funzione in cui l’ordinata si ottiene
applicazioni tra insiemi calcolando l’inversa dell’ascissa
C un ampliamento dell’insieme di partenza C una funzione in cui si divide ogni
Funzioni

ordinata per ogni ascissa


D un restringimento dell’insieme di arrivo
D una funzione in cui non si può individua-
E una legge che associa ad ogni elemen- re l’ordinata dei punti
to dell’insieme di partenza un elemento E una funzione in cui non si può individua-
dell’insieme di arrivo re l’ascissa dei punti
2) Come si ottiene il grafico di una 5) Come si ottiene una funzione composta?
funzione?
A moltiplicando le ascisse dei due domini
A si disegna la forma della curva in un concatenati
sistema di riferimento OXY B dividendo le ascisse dei due domini
B si può ottenere solo se il dominio è concatenati
illimitato C applicando all’ordinata della prima fun-
C si uniscono i punti ottenuti calcolando zione le operazioni indicate dalla seconda
l’ordinata relativa ad ogni ascissa funzione

D si riportano i valori dell’ordinata sul- D ricalcolando l’ascissa di partenza in base


l’asse orizzontale e quelli dell’ascissa all’ordinata ottenuta
sull’asse verticale E eseguendo le operazioni indicate dalla
prima funzione sul risultato ottenuto
E si tracciano i valori dell’ordinata risalen-
dalla seconda
do, poi, a quelli dell’ascissa

6) L’immagine della funzione f (x) = x − 2
3) Che cosa vuol dire che una funzione è +5 è:
biettiva?
A y ≥ −2
A che il grafico della funzione è simmetrico
rispetto all’asse delle ordinate B y≥2

B che il grafico della funzione è ribaltabile C y≥7


rispetto all’asse delle ascisse √
D y ≥ 2+5
C che si parte da valori distinti dell’ascissa E y≥5
per ottenere valori distinti dell’ordinata
D che ogni valore dell’ordinata proviene da 7) La funzione f (x) = 4x2 − 2x2 + 5:
almeno un valore dell’ascissa
A è biettiva
E che ad ogni valore dell’ascissa corri-
B è iniettiva
sponde un solo valore dell’ordinata e
viceversa C è pari
Matematica 431

D è dispari C non è una funzione periodica in quanto


non è definita in tutto R
E è periodica
D non è periodica pur essendo definita in
2
8) La funzione f (x) = e(4x +25x−2)/3 è tutto R
definita: E è il quadrato della funzione cotangente
A in R − {3} 10) Il rapporto tra due funzioni dispari è una
B in R funzione:
C in R0 A pari
D in R+
0 B dispari
E in R − {0, 3} C priva di parità definita
2
9) La funzione f (x) = tg(x)
: D pari se la funzione a denominatore ha
coefficiente pari
A è periodica di periodo T = 2π E pari se la funzione a denominatore ha
B è periodica di periodo T = π coefficiente dispari

Matematica
5.10 Risposte commentate ai quesiti
1) La A , la C e la D sono errate perché dominio e codominio non si modificano ma
si collegano, pertanto la risposta corretta è la E . La B va esclusa perché in essa è
errata la definizione di meccanismo.

2) La A è errata perché non indica la procedura, anche la B è da escludere perché


indica una limitazione inesistente. Allo stesso modo vanno scartate la D e la E in
quanto esprimono procedure errate. La risposta corretta è la C .

3) La A e la B sono errate perché esprimono proprietà non collegate necessariamente


alla biettività. La C va esclusa perché esprime soltanto la proprietà di iniettività,
mentre la D va esclusa perché esprime soltanto la suriettività. La risposta corretta
è la E .

4) La B e la C sono errate perché individuano procedure scorrette, mentre la D e


la E sono da escludere in quanto indicano limitazioni inesistenti. Ne deriva che la
risposta corretta è la A .

5) La A , la B e la D indicano procedure scorrette e vanno quindi escluse. La E va


invece scartata perché inverte l’ordine procedurale. La risposta corretta è la C .

6) La funzione è composta da una radice con indice pari e da una somma. L’argomento
della radice deve essere non negativo e lo stesso vale per il suo risultato. L’immagine
della radice è quindi R+ e sommando il numero 5 si ottiene che la risposta corretta
è la E .

7) Poiché la funzione è una funzione algebrica composta solo da numeri e da potenze


pari, queste ultime non riescono a discriminare tra due valori opposti assegnati
alla variabile. Ne deriva che la funzione non può essere iniettiva e quindi nemmeno
biettiva, ovvero che la B e la A sono da scartare. Anche la E va esclusa perché la
funzione non è periodica. Tra le due restanti la risposta corretta è la C in quanto
la funzione contiene solo potenze pari e numeri.
432 Funzioni

8) La funzione esponenziale è definita in tutto R. La funzione del quesito è una funzione


composta formata da un’esponenziale e da una funzione algebrica che pure è definita
su tutta la retta dei reali. La presenza del numero 3 a denominatore dell’esponente
non comporta alcun problema di definizione. Ne discende che la risposta corretta è
la B , in quanto tutte le altre pongono restrizioni inesistenti.
9) La E è errata perché la funzione è il doppio della cotangente. Poiché la tangente
ammette zeri in R una funzione avente la tangente al denominatore non può es-
sere definita su tutto R, quindi la D va esclusa. Anche la C va esclusa perché al
denominatore si ha una funzione periodica e la moltiplicazione per una costante
numerica non altera il carattere periodico della tangente. Poiché il periodo della
tangente è T = π e la moltiplicazione per uno scalare non altera il valore di T si ha
che la risposta corretta è la B .

10) Il prodotto o il rapporto tra funzioni a parità definita ricalca la regola dei segni
sulla positività dei termini. La parità del risultato non è influenzata da coefficienti
numerici, quindi la D e la E vanno escluse. Poiché le funzioni a numeratore e a
denominatore hanno parità definita anche la C è errata. La risposta corretta è la
Funzioni

A.
Equazioni e disequa-
zioni esponenziali e
logaritmiche 6
Introduzione
In questo capitolo verranno trattati i metodi di risoluzione delle equazioni esponenziali e
logaritmiche. Ognuna delle due parti è preceduta da un riepilogo delle relative proprietà
e dalle definizioni principali ed è corredata da esempi che illustrano le tecniche descritte.
Per una comprensione più approfondita del capitolo si consiglia di guardare il capi-
tolo precedente, in particolare la sezione riguardante i grafici delle funzioni e i grafici
delle funzioni esponenziali e logaritmiche.

6.1 Richiami sulle proprietà delle potenze


Per una discussione completa sulle proprietà delle
potenze si rimanda alla sezione 1.14, nel seguito si
riporta una tabella riassuntiva. Si consiglia inoltre
di guardare il grafico della funzione esponenziale con
base il numero di Nepero e, riportato nella Figura
5.5.

am · an = am+n
am : an = am−n
(am )n = am·n
a0 = 1
a−m = 1/(am )
am · bm = (a · b)m
am : bm = (a/b)m
Tabella 6.1: proprietà delle potenze Figura 6.1: Il decadimento radioatti-
vo è matematicamente espresso da
un’esponenziale con esponente negativo.

6.2 Equazioni esponenziali

Un’equazione esponenziale è un’equazione in cui l’incognita è presente come esponente


di una certa base. Per risolverle occorre trasformarle in equazioni algebriche.

A tal fine è opportuno applicare le proprietà riportate nella sezione precedente con
l’obiettivo di giungere alla forma normale: un unico termine a sinistra, contenente
l’incognita, e un unico termine a destra, rappresentato da un termine noto.
434 Equazioni e disequazioni esponenziali e logaritmiche

Per giungere a tale forma bisogna precedentemente sommare algebricamente tra di loro
tutti i termini noti e sommare tutte i termini con le incognite seguendo le proprietà
delle potenze.
Generalmente le proprietà della tabella 6.1 consentono di avere la stessa base a
destra e a sinistra. A questo punto si possono eguagliare gli esponenti ottenendo
un’equazione algebrica nell’incognita. Ad esempio
(6.1)
Forma normale: ax = bc . =⇒ Con le proprietà di tabella 6.1: ax = ad =⇒ x = d .

(6.2) 2x = 85 ⇔ 2x = (23 )5 ⇔ 2x = 215 =⇒ x = 15 .


1
(6.3) 2x = ⇔ 2x = (4)−1 ⇔ 2x = 2−2 =⇒ x = −2 .
4
√ 5
(6.4) 2x = 32 ⇔ 2x = (32)1/2 ⇔ 2x = 25/2 =⇒ x= .
2
Exp e log

Quando nella forma normale non è possibile ottenere la stessa base a destra e a sinistra
bisogna ricorrere al principio generale di risoluzione delle equazioni, ovvero invertire
l’operatore applicato all’incognita. Poiché l’operatore inverso all’esponenziazione è il
logaritmo, rimandiamo tale caso alla sezione 6.8.

Poiché i radicali sono esprimibili come


√ potenze con esponente razionale, è esponenziale
P (x)
anche un’equazione del tipo aQ(x) = bT (x) , dove P (x) è un polinomio in x
corrispondente all’indice della radice e quindi si ha P (x) ∈ N, Q(x) e T (x) sono altri
polinomi in x corrispondenti agli esponenti di a e di b e a ≥ 0 in conformità alle C.E.
legate ai radicali.
Qualora si riesca ad esprimere b come una potenza di a si può procedere come nei casi
precedenti: una volta che sono presenti le stesse le basi si eguagliano gli esponenti per
avere un’equazione algebrica. Il caso si presenta più complesso in virtù della necessità
del controllo dell’ammissibilità della soluzione in base alle C.E.

(6.5)

x−1 x 2x−3 x x
7x = 492x−3 ⇔ 7 x−1 = 72 ⇔ 7 x−1 = 72(2x−3) =⇒ = 4x − 6 ,
x−1
x (4x − 6)(x − 1)
= =⇒ x = 4x2 − 6x − 4x + 6 ⇔ 4x2 − 11x + 6 = 0
x−1 x−1

C.E. x > 1 , x ∈ N dall’indice e x 6= 1 dal denominatore comune. ∆ = 25 ,

11 − 5 6 3 11 + 5 16
x1 = = = non accettabile, x2 = = =2 accettabile.
8 8 4 8 8

L’intersezione delle due C.E. dell’esempio coincide con la prima C.E. riportata e rende
inaccettabile la soluzione x1 .
Matematica 435

6.3 Disequazioni esponenziali

Una disequazione esponenziale è una disequazione in cui l’incognita è presente co-


me esponente di una certa base. Per risolverle occorre trasformarle in disequazioni
algebriche.

Usando ancora le proprietà delle potenze della tabella 6.1 si persegue ancora l’obiettivo
di giungere alla forma normale: un unico termine a sinistra, contenente l’incognita,
e un unico termine a destra, rappresentato da un termine noto.
Come per le equazioni esponenziali, per giungere a tale forma bisogna precedente-
mente sommare algebricamente tra di loro tutti i termini noti e sommare tutte i termini
con le incognite seguendo le proprietà delle potenze.
Qualora si riesca a scrivere la stessa base a destra e a sinistra si possono
eguagliare gli esponenti ottenendo una disequazione algebrica nell’incognita.

Matematica
Se la base è maggiore dell’unità (a > 1) allora il predicato della disequazione algebri-
ca tra gli esponenti è lo stesso predicato della disequazione esponenziale di partenza;
se invece la base è minore dell’unità (a < 1) allora il predicato della disequazio-
ne algebrica tra gli esponenti è inverso a quello della disequazione esponenziale di
partenza.

Ad esempio

a > 1 ax > bc =⇒ Con le proprietà di tabella 6.1: ax > ad =⇒ x > d ,


(6.6)
a < 1 ax > bc =⇒ Con le proprietà di tabella 6.1: ax > ad =⇒ x < d .

2x > 42 ⇔ 2x > (22 )2 ⇔ 2x > 24 =⇒ x > 4.


1
2x < ⇔ 2x < (16)−1 ⇔ 2x < 2−4 =⇒ x < −4 .
(6.7) 16
 x  x  x  −2
1 1 1 1
>4 ⇔ > (2)2 ⇔ > =⇒ x < −2 .
2 2 2 2

Anche per le disequazioni esponenziali si può avere una forma del tipo di quella ripor-
tata nell’equazione 6.5 a patto di sostituire il segno di uguaglianza con un predicato di
maggiore o minore. Le tecniche risolutive sono analoghe a quelle mostrate nell’esempio
6.5 a patto di integrarle con quanto esposto nell’esempio 6.7 in merito all’eventuale
cambio dei predicati.
Come per le equazioni esponenziali, quando nella forma normale non è possibile
ottenere la stessa base a destra e a sinistra bisogna ricorrere ai logaritmi per ottenere
una disequazione algebrica, rimandiamo tale caso alla sezione 6.8.
436 Equazioni e disequazioni esponenziali e logaritmiche

6.4 Utilizzo di un’incognita ausiliaria


Ci sono casi in cui non è possibile ridurre un’equazione o una disequazione esponenziale
alla forma normale. Ciò è dovuto principalmente all’impossibilità di sommare i termini
contenenti l’incognita in quanto non simili. In tali casi per risolvere l’equazione o la
disequazione si ricorre a un’incognita ausiliaria.
Nel seguito mostriamo soltanto la risoluzione di equazioni con l’incognita ausiliaria
t: per le disequazioni i casi in cui ricorrere a tale metodo sono gli stessi e le modalità di
risoluzione sono facilmente deducibili dal contenuto di questa sezione e delle precedenti.
I principali casi in cui si usa l’incognita ausiliaria t sono i seguenti:
Nell’equazione si ha un termine con la x all’esponente e uno con 2x
all’esponente: i due termini non sono simili e quindi non possono essere som-
mati. Indicando con a la generica base presente nell’equazione, se si pone ax = t
in virtù della terza proprietà della tabella 6.1 si ha che il termine a2x diventa in
tal caso t2 perché a2x = (ax )2 = t2 .
Si risolve l’equazione algebrica di secondo grado e si determinano i valori della
t. Per ognuno di tali valori si procede quindi alla soluzione dell’equazione ax = t
Exp e log

secondo i metodi indicati nella sezione 6.2.

3 · 2x + 4x = −2 =⇒ 3 · 2x + 22x = −2 . 2x = t =⇒ 3t + t2 + 2 = 0 .
(6.8)
t1 = −1 ⇒ 2x = 1 ⇔ x = 0; t2 = −2 ⇒ 2x = −2 ⇔ S = ∅.

La seconda soluzione t2 = −2 non porta a nessuna soluzione in x poiché è impossibile


che una potenza qualsiasi di una base positiva dia come risultato un numero negati-
vo. Analogamente si può interpretare lo stesso risultato alla luce del codominio della
funzione esponenziale, il cui grafico è riportato in Figura 5.5.

Nell’equazione si ha un termine con la x all’esponente e uno con −x


all’esponente: i due termini non sono simili e quindi non possono essere som-
mati. Indicando con a la generica base presente nell’equazione, se si pone ax = t
in virtù della quinta proprietà della tabella 6.1 si ha che il termine a−x diventa
in tal caso 1/t.
Si moltiplica ogni termine dell’equazione per t e si risolve l’equazione algebrica di
secondo grado determinando i valori della t. Per ognuno di tali valori si procede
quindi alla soluzione dell’equazione ax = t secondo i metodi indicati nella sezione
6.2.

1
3x + 3−x = 2 =⇒ 3x + = 2. 3x = t =⇒ t2 + 1 − 2t = 0 .
(6.9) 3x
t1 = t2 = 1 =⇒ 3x = 1 ⇔ x = 0 .
Matematica 437

6.5 Definizione e proprietà dei logaritmi

Si definisce logaritmo di un numero reale positivo b ∈ R+ 0 in una certa base reale


positiva a ∈ R+0 l’esponente reale c da assegnare alla base a per ottenere come risultato
il numero b e si scrive loga (b) = c. Il numero b si chiama argomento del logaritmo.

Il logaritmo è una funzione elementare il cui grafico


è riportato nella Figura 5.5 ed è l’operatore inverso
dell’esponenziale. In base a quanto si può dedurre
dal grafico si ricorda che l’argomento del logaritmo
deve essere strettamente positivo, ovvero il dominio
della funzione logaritmo è R+ 0.
Poiché il termine logaritmo è sinonimo di espo-
nente conviene aver chiara la seguente equivalenza: Figura 6.2: Uno degli esempi spettaco-
lari in cui la natura segue i logaritmi è

Matematica
(6.10) loga (b) = c ⇔ ac = b . nella spirale generata da alcuni mollu-
schi, chiamata appunto spirale logarit-
mica in virtù della relazione matematica
In analogia alle proprietà delle potenze riportate che ne detta la forma.
nella tabella 6.1, per i logaritmi valgono proprietà
speculari in quanto appunto il logaritmo è l’inverso dell’esponenziale:

Dalla terza proprietà si può ricavare il caso particolare loga ( 1b ) = loga (b−1 ) =
−loga (b).

Le prime quattro proprietà sono corrispondenti alle prime quattro proprietà delle po-
tenze della tabella 6.1, la quinta è invece la regola del cambiamento di base: un loga-
ritmo di un certo numero in una base è uguale al logaritmo dello stesso numero in una
nuova base diviso il logaritmo della vecchia base. Questa proprietà può essere utile per
ricondurre un’equazione o una disequazione logaritmica alla forma normale.

Quando la base del logaritmo è il numero di Nepero e = 2, 718 allora in luogo di


loge (b) si scrive ln(b) dove ln sta per logaritmo naturale. Un’ulteriore convenzione
utilizzata in ambito matematico è che se si scrive log(b) senza specificare la base si
sta sottintendendo una base decimale, ovvero log10 (b).

6.6 Equazioni logaritmiche

Un’equazione logaritmica è un’equazione in cui l’incognita è presente come argomento


di un certo logaritmo. Per risolverle occorre trasformarle in equazioni algebriche.
438 Equazioni e disequazioni esponenziali e logaritmiche

A tal fine è opportuno applicare le proprietà ripor- loga (b) + loga (c) = loga (b · c)
tate nella tabella 6.2 con l’obiettivo di giungere al- loga (b) − loga (c) = loga (b/c)
la forma normale: un unico termine a sinistra,
loga (bc ) = c · loga (b)
contenente l’incognita, e un unico termine a destra,
rappresentato da un termine noto. loga (1) = 0
Per giungere a tale forma bisogna precedente- logc (b)
loga (b) =
mente sommare algebricamente tra di loro tutti logc (a)
i termini noti e sommare tutte i termini con le
incognite seguendo le proprietà dei logaritmi. Tabella 6.2: proprietà dei logaritmi
Generalmente le proprietà della tabella 6.2 consentono di avere un unico termine
logaritmico con coefficiente unitario a destra e un unico termine logaritmico con coeffi-
ciente unitario a sinistra aventi la stessa base. A questo punto si possono eguagliare
gli argomenti ottenendo un’equazione algebrica nell’incognita.

(6.11) Forma normale: loga (x) = loga (c) =⇒ x=c C.E. x > 0 .
Exp e log

log(x) = 3 ⇔ log(x) = log(1000) =⇒ x = 1000 .


 
1 1
log4 (x) = −1 ⇔ log4 (x) = log4 =⇒ x = .
4 4
4 · log2 (8x) = 24 ⇔ log2 (8x) = 6 ⇔ log2 (8x) = log2 (64) =⇒ 8x = 64 =⇒ x = 8 .

Poiché l’argomento del logaritmo deve essere strettamente positivo, prima di risolve-
re un’equazione (o una disequazione) occorre scrivere le opportune C.E, ovvero porre
l’argomento del logaritmo maggiore di 0. Una volta risolta l’equazione (o la disequa-
zione) bisogna poi controllare che la soluzione trovata sia compatibile con le C.E. (o
che l’intervallo delle soluzioni abbia una intersezione con l’intervallo determinato dalle
C.E.).

Negli esempi precedenti le C.E. di tutte e tre le equazioni sono x > 0, quindi tutte e
tre le soluzioni sono accettabili.

Consideriamo un’equazione meno semplice:

(6.12)
2log2 (x − 5) − 3 = log2 (x + 2) ⇔ log2 [(x − 5)2 ] − log2 (x + 2) =
(x − 5)2
 
= 3 ⇔ log2 = log2 (8)
x+2

C.E. x > 5 e x > −2 =⇒ x > 5 le C.E. vanno messe a sistema.

(x − 5)2 (x − 5)2 8x + 16
=8 ⇔ = ⇔ (x − 5)2 − 8x − 16 = 0 ⇔ x2 − 18x + 9 = 0
x+2 x+2 x+2
Matematica 439

(6.13)
√ 18 − 17 1 18 + 17 35
∆ = 288 ∆ ≈ 17 =⇒ x1 = = non accettabile, x2 = = accettabile.
2 2 2 2

Le equazioni (e disequazioni) logaritmiche, come quelle esponenziali, possono richiedere


l’introduzione di un’incognita ausiliaria per determinarne la soluzione.

Analogamente al caso esponenziale, si pone loga (b) = t quando nell’equazione (o


disequazione) si ha un termine con il logaritmo e uno con il suo quadrato o il suo
inverso.

Rimandiamo all’ultimo esempio 6.18 del capitolo per illustrare l’utilizzo dell’incognita
ausiliaria al fine di risolvere una disequazione logaritmica non banale.

Matematica
6.7 Disequazioni logaritmiche

Una disequazione logaritmica è una disequazione in cui l’incognita è presente come


argomento di un certo logaritmo. Per risolverle occorre trasformarle in disequazioni
algebriche.

Usando ancora le proprietà dei logaritmi della tabella 6.2 si persegue ancora l’obiettivo
di giungere alla forma normale: un unico termine a sinistra, contenente l’incognita,
e un unico termine a destra, rappresentato da un termine noto.
Come per le equazioni logaritmiche, per giungere a tale forma bisogna precedentemente
sommare algebricamente tra di loro tutti i termini noti e sommare tutte i termini con
le incognite seguendo le proprietà dei logaritmi.
Qualora si riesca a scrivere un logaritmo con la stessa base a destra e a
sinistra si possono eguagliare gli argomenti ottenendo una disequazione algebrica
nell’incognita.

Se la base è maggiore dell’unità (a > 1) allora il predicato della disequazione algebri-


ca tra gli argomenti è lo stesso predicato della disequazione logaritmica di partenza;
se invece la base è minore dell’unità (a < 1) allora il predicato della disequazio-
ne algebrica tra gli argomenti è inverso a quello della disequazione logaritmica di
partenza.

(6.14)
a>1 log4 (x) > log4 (5) =⇒ x>5 C.E. x > 0 .
a<1 log1/6 (−2x) > log1/6 (12) =⇒ −2x < 12 =⇒ x > −6 C.E. x > 0 .
440 Equazioni e disequazioni esponenziali e logaritmiche

Come per le equazioni logaritmiche, quando nella forma normale non è possibile otte-
nere logaritmi con la stessa base a destra e a sinistra bisogna ricorrere all’operatore
esponenziale per ottenere una disequazione algebrica atraverso l’identità 6.15.

Nella seconda disequazione poiché l’intervallo delle soluzioni è più ampio di quello
corrispondente alle C.E. come insieme delle soluzioni bisogna prendere l’intersezione
tra i due, quindi in quel caso le soluzioni si riducono a S = {x > 0}.

6.8 Esponenziali e logaritmi come operatori inversi


Sono due le formule che esprimono il fatto che esponenziale e logaritmo siano uno
l’inverso dell’altro:

(6.15) loga (ab ) = b , aloga (b) = b .

La prima afferma che l’esponente da dare alla base a per avere come risultato il numero
Exp e log

ab è appunto b. La seconda afferma che elevando la base a all’esponente di a che dà


come risultato b si ottiene appunto il numero b.
La prima identità è utile per la risoluzione di equazioni o disequazioni esponenziali
in cui non si riesca ad avere la stessa base a destra e a sinistra. Applicando l’operatore
logaritmo ad entrambi i membri, utilizzando come base la base dell’incognita nell’equa-
zione/disequazione, a sinistra resta solo l’incognita e a destra si ha la soluzione espressa
in termini logaritmici.

3x = 2 =⇒ log3 (3x ) = log3 (2) =⇒ x = log3 (2) .


(6.16)
   
5 5 5
2 · ex = 5 =⇒ ex = ⇔ loge (ex ) = loge =⇒ x = loge .
2 2 2

Le C.E. che garantiscono la positività degli argomenti dei logaritmi sono in tal caso
automaticamente soddisfatte perché una potenza è sempre positiva e i termini noti
sono numeri positivi.
La seconda identità è utile per la risoluzione di equazioni o disequazioni logaritmi-
che in cui non si riesca ad avere un unico logaritmo con la stessa base a destra e a
sinistra. Applicando l’operatore esponenziale ad entrambi i membri, utilizzando come
base la base del logaritmo che contiene l’incognita come argomento, a sinistra resta
solo l’incognita e a destra si ha la soluzione espressa in termini esponenziali.

log3 (x) = 2 =⇒ 3log3 (x) = 32 =⇒ x = 9.


(6.17) 8
2 · log(5x) = 8 =⇒ 10log(5x) = 10 2 ⇔ 5x = 104 =⇒ x = 2000 .
Matematica 441

Anche in tal caso bisogna porre attenzione alle C.E. legate agli argomenti dei lo-
garitmi. Entrambe le soluzioni delle ultime due equazioni sono accettabili perché le
corrispondenti C.E. coincidono con x > 0.
Vediamo per concludere il capitolo una disequazione logaritmica che richiede il
cambiamento di base e l’introduzione di un’incognita ausiliaria per la sua risoluzione,
oltre all’utilizzo dell’identità 6.15.

(6.18)
log4 (4)
log4 (3 + x) > 2 − logx+3 (4) ⇔ log4 (3 + x) + >2 =⇒ C.E. x > −3 ,
log4 (3 + x)
1 1
log4 (3 + x) + >2 ⇔ t = log4 (3 + x) =⇒ t+ −2>0
log4 (3 + x) t

t2 − 2t + 1 > 0 ⇔ (t − 1)2 > 0 =⇒ St = {t ∈ R | t = 1}

log4 (3 + x) = 1 =⇒ 3 + x = 4 =⇒ x = 1 =⇒ Sx = {x ∈ R | x > −3 ∪ x = 1}.

Matematica
6.9 Quesiti
1
1) L’equazione esponenziale e2x−1 = 5 ha E nell’intervallo 0 ≤ x < e
come soluzioni:
1
4) L’equazione e2x
= 1 ha soluzione:
1
A x= 2 1
A x= 2
B R − { 12 }
B x=2
C ln(5) C x=1
ln(5)+1
D 2
D x=0
E ∅ E non ammette soluzioni reali
5) L’utilizzo di un’incognita ausiliaria è ne-
2) La disequazione esponenziale
√ cessario per la risoluzione di un’equa-
2 x−1 < 1
8
ha come soluzioni: zione esponenziale in cui compaiono un
termine esponenziale e:
A R
A Un termine con la stessa base e lo stes-
B ∅ so esponente ma coefficiente numerico
doppio
C x = 1
B un termine con la stessa base e con
D x < −2 esponente doppio di quello del termine
E 1≤x<9 considerato
C un termine con base doppia rispetto al
3) Ricorrendo a metodi grafici si può sta- termine considerato e pari esponente
bilire che la disequazione trascendente D un termine avente sia una base dop-
ex < x è verificata: pia che un esponente doppio del termine
considerato
A In tutta la retta dei reali
E nessuna delle precedenti affermazioni è
B mai, è sempre falsa corretta
C nell’intervallo 0 < x < 1 6) L’equazione log2 (−64) = x ha soluzione:
D nell’intervallo x < 1 A x=6
442 Equazioni e disequazioni esponenziali e logaritmiche

B x = −6 D x < 1/81
C x = 1/6 E la disequazione ha come soluzione
l’insieme vuoto ∅
D x = −1/6
E l’equazione non ammette soluzioni reali 9) La disequazione log3 [(x − 2)2 ] < 2 ha
come soluzioni:
7) L’espressione logx − 2logx è equivalente
a: A −1 < x < 2 ∪ 2 < x < 5
B −1 < x < 5
A log(−x)
C 2<x<5
B −log(−x)
D R+
0 − {2}
C −log(1/x)
E R0 − {2}
D log(1/x)
10) Il logaritmo log1/4 (1) è: s
E −log(1/(−x))
A 4
8) La disequazione 4log2 (3) > −log2 (x) ha
soluzioni: 1
B 4

A x > 81 C 0
Exp e log

B x > 1/81 D ∞

C x < 81 E −∞

6.10 Risposte commentate ai quesiti


1) Poiché non si riesce ad avere la stessa base a destra e a sinistra dell’uguale, per
risolvere l’equazione occorre applicare il logaritmo come nella prima identità 6.15.
L’algebra necessaria ad isolare l’incognita nel membro di sinistra porta a concludere
che la risposta corretta è la D .

2) Il termine di destra può essere scritto come 2−3 il che consente di avere la stessa
base in entrambi√i membri della disequazione. Ciò permette di ridursi alla disequa-
zione algebrica x − 1 < −3. Per la risoluzione bisogna considerare il sistema di
disequazioni indicato nella 4.42, dal quale si evince che la risposta corretta in tal
caso è la B in quanto il termine noto è negativo.

3) Ricorrendo ai grafici delle funzioni elementari riportati nel capitolo precedente o al-
la definizione di numero di Nepero e si può senza dubbio concludere che la risposta
corretta è la B . Risolvere graficamente una disequazione, in generale, significa de-
terminare per quale intervallo dell’incognita il grafico della funzione corrispondente
al membro di sinistra (in tal caso y = ex ) giace sopra al grafico della funzione del
membro di destra (in tal caso y = x).

4) Moltiplicando ambo i membri per e2x , grazie alla proprietà e0 = 1 si ricava che la
risposta corretta è la D .

5) La risposta corretta è la B . La A va esclusa perché in tal caso si possono tranquil-


lamente sommare i termini simili senza ricorrere alla t. La C e la D vanno escluse
perché non consentono di avere termini simili né tantomeno rendono funzionale
l’introduzione della t.
Matematica 443

6) Poiché l’argomento del logaritmo deve sempre essere positivo affinché l’espressione
abbia senso, se ne ricava che la risposta corretta è la E .
7) Poiché log(ab ) = blog(a), nel caso in cui b = −1 si ha log(a−1 ) = −log(a). Ne deriva
che la risposta corretta è la D .
8) Per giungere alla forma normale il coefficiente del logaritmo viene trasformato in
esponente dell’argomento in base alle proprietà dei logaritmi. Uguagliando gli ar-
gomenti dei logaritmi che hanno la stessa base e mantenendo inalterato il predicato
in quanto la base è maggiore dell’unità si ottiene che la risposta corretta è la B .

9) Applicando l’operatore esponenziale a entrambi i membri dell’equazione si ottiene


una disequazione algebrica con lo stesso predicato in quanto la base è maggiore del-
l’unità. Le due soluzioni dell’equazione di secondo grado associata alla disequazione
algebrica sono x = −1 e x = 5 e il segno di minore implica che le soluzioni della
disequazione sono i valori compresi tra i due estremi. Le C.E. relative all’argomento
del logaritmo, però, impongono di scrivere x = 2 perché se x = 2 l’argomento nullo
e il logaritmo non è definito. Ne deriva che la risposta corretta è la A .

Matematica
10) Dal grafico della funzione logaritmo in qualsiasi base si ha che log(1) = 0 perché
qualsiasi numero elevato alla 0 è pari a 1. Se ne deduce che la risposta corretta è la
C.
Geometria euclidea
piana
7
Introduzione
In questo capitolo e nel prossimo si parla di geometria euclidea con un approccio snello
e moderno. Il rigore estremo di alcune dimostrazioni e la terminologia originale di
Euclide renderebbero la trattazione meno efficace in vista del superamento dei quesiti
su questi argomenti.
Oltre ai fondamenti, il capitolo tratta solo di geometria piana, lasciando la solida
al prossimo capitolo. Per le misure di angoli in radianti si rimanda al capitolo 10.

7.1 Postulati e definizioni


La geometria euclidea è una costruzione del pensiero
umano che ha dominato incontrastata la descrizione
dello spazio fisico per oltre duemila anni. Dalla sua
nascita nel III sec. a.C. fino alla prima metà del XIX
sec. non è mai stata posta in discussione.
Questa teoria, contenuta nei 13 libri del mate-
matico greco Euclide, si fonda su un nucleo di ve-
rità (proposizioni) date per ovvie, dette postulati o
assiomi. A partire dagli enti fondamentali e appli- Figura 7.1: Eliminando il postulato del-
cando regole di logica deduttiva si dimostrano nuove le parallele si hanno geometrie che
proposizioni e teoremi. Queste sono valide in quanto descrivono superfici curve.
non vanno in conflitto con nessuna altra proposizione dimostrata in precedenza.
Gli enti fondamentali euclidei sono i seguenti:

Punto Il punto è un ente fondamentale privo di dimensioni.

Retta La retta è un insieme infinito di punti allineati, illimitato in entrambe le


direzioni.

Piano Il piano è l’insieme dei punti generati da due rette.

La retta è caratterizzata da una dimensione mentre il piano da due.


Dei postulati di Euclide, che nel corso dei secoli hanno avuto varie riformulazioni,
riportiamo i primi:

I Per due punti passa una sola retta.

II Una linea retta può sempre essere prolungata.

III Per tre punti non allineati passa una sola circonferenza.

IV Tutti gli angoli retti sono congruenti.


Matematica 445

V Data una retta e un punto esterno a tale retta, per questo punto passa una e
una sola retta parallela alla retta data.

Euclide postula inoltre la continuità della retta, ovvero che questa non ammette punti
isolati.

Il quinto postulato, chiamato postulato delle parallele, è diverso dagli altri in quanto
nessuna altra proposizione fondamentale dipende da esso. Eliminandolo la teoria resta coerente
ma assume caratteristiche diverse: si ha una geometria non euclidea. Queste geometrie che
negano il postulato delle parallele sono nate nella prima metà del XIX sec. e hanno assunto
rilevanza anche fisica nella relatività generale di Einstein che descrive lo spaziotempo.
La geometria ellittica o riemanniana descrive una superficie a curvatura costante positiva,
ad esempio una sfera. In tale geometria le parallele non esistono perché tutte le rette si
incontrano, come accade ai meridiani che si incontrano nei poli. Nella geometria ellittica,
inoltre, la somma degli angoli interni di un triangolo è maggiore di un angolo piatto.
La geometria iperbolica descrive invece una superficie a curvatura costante negativa, ad

Matematica
esempio una sella di cavallo. In tale geometria una retta ha infinite parallele e la somma degli
angoli interni di un triangolo è minore di un angolo piatto.

Dai postulati e dagli enti fondamentali discendono le definizioni di altri enti geometrici
importanti.

Un segmento è una parte di retta delimitata da due punti detti estremi. Una semiretta
si ottiene dividendo una retta in due parti rispetto a un suo punto arbitrario. Ognuna
delle due parti si chiama semiretta e il punto scelto è detto origine della semiretta.

Se due segmenti hanno un estremo in comune sono detti consecutivi, se giacciono


anche sulla stessa retta sono allora adiacenti.
In questo capitolo, dedicato alla geometria piana, tratteremo solo rette compla-
nari, cioè appartenenti allo stesso piano. Nello spazio se non sono complanari e non
hanno intersezioni due rette sono dette sghembe.

Due rette aventi un solo punto in comune sono rette incidenti. Come caso particolare
di incidenza si hanno rette perpendicolari, quando la loro intersezione forma quattro
angoli retti.
Due rette complanari prive di punti in comune sono dette parallele.

In geometria euclidea due rette parallele non si incontrano mai e la distanza tra di
esse è costante.
446 Geometria euclidea piana

Due grandezze geometriche che hanno la stessa misura sono dette congruenti: sono
ad esempio congruenti due segmenti della stessa lunghezza, due angoli della stessa
ampiezza, due figure piane perfettamente sovrapponibili. Nel linguaggio comune al
posto del termine congruenti si usa impropriamente il termine uguali.

Un punto che divide un segmento in due parti congruenti è detto punto medio M del
segmento. La distanza di M da un estremo è pari a quella di M dall’altro estremo.

La retta a passante per il punto medio M di un segmento e che è perpendicolare al


segmento è detta asse del segmento. L’asse è descritto nella sezione 9.11.
Geom.Piana

(a) Enti fondamentali (b) Rette

(c) Segmenti (d) Angoli


Figura 7.2: Rette, segmenti ed angoli.

7.2 Angoli

Date due semirette aventi origine in comune, si definisce angolo la parte di piano da
esse delimitata. Le semirette sono dette lati dell’angolo. Analogamente gli angoli sono
formati anche da segmenti o da rette. Due rette incidenti formano quindi 4 angoli. Un
angolo si misura in gradi, simbolo ◦ .

Alternativamente si può misurare un angolo in radianti, come descritto nella sezione


10.1. In questo capitolo e nel prossimo useremo soltanto i gradi.
Si hanno i seguenti angoli notevoli:
Angolo retto è l’angolo formato da due rette perpendicolari e misura 90◦ .
Angolo piatto è l’angolo formato da due semirette opposte e misura 180◦ .
Angolo giro è l’angolo formato da due semirette coincidenti e misura 360◦ .
Matematica 447

Se un angolo ha ampiezza maggiore di quella di un angolo retto ma minore di un angolo


piatto è detto ottuso, se è minore di un angolo retto è acuto. Nel primo caso contiene i
prolungamenti delle semirette che lo delimitano e quindi è anche concavo, nel secondo
no ed è convesso. In base alla loro somma si hanno inoltre angoli
Complementari la loro somma è un angolo retto.
Supplementari la loro somma è un angolo piatto.
Esplementari la loro somma è un angolo giro.

Matematica
Figura 7.3: Angoli complementari, supplementari, esplementari.

Se due angoli hanno un lato in comune e gli altri due da parti opposte rispetto al lato
in comune sono detti consecutivi. Sono adiacenti quando oltre a un lato in comune
hanno gli altri due giacenti sulla stessa retta e opposti. Angoli complementari sono
consecutivi, angoli supplementari sono adiacenti.

Consideriamo due parallele tagliate da una trasversale, come nella Figura 7.4(b). Gli
angoli che si trovano nella parte di piano compresa tra le due rette sono detti interni,
gli altri esterni. Angoli che si trovano dalla stessa parte rispetto alla trasversale sono
detti coniugati, altrimenti alterni. Sono ad esempio coniugati gli angoli α4 e α5 , come
pure α1 e α5 . Coppie di angoli che si trovano dalla stessa parte rispetto alle due rette
sono detti corrispondenti.

(a) Rette incidenti (b) Parallele tagliate da


una trasversale
Figura 7.4: Angoli congruenti.

Consideriamo i vari tipi di angoli congruenti:


448 Geometria euclidea piana

Opposti al vertice Due rette incidenti delimitano due coppie di angoli opposti
al vertice: i prolungamenti dei lati dell’uno costituiscono i lati dell’altro.

Alterni interni Sono congruenti gli angoli α3 e α5 , cosı̀ come α4 e α6 .

Alterni esterni Sono congruenti gli angoli α1 e α7 , cosı̀ come α2 e α8 .

Corrispondenti Sono congruenti gli angoli α1 e α5 , cosı̀ come α2 e α6 . Lo stesso


si ha per α3 e α7 , cosı̀ come α4 e α8 .

Mettendo insieme tutte le relazioni di congruenza della Figura 7.4(b) si ha che sono
congruenti tutti gli angoli con pedice pari, cosı̀ come sono congruenti tutti quelli con
pedice dispari: α1 = α3 = α5 = α7 e α2 = α4 = α6 = α8 .

7.3 Poligoni
Geom.Piana

Un poligono è una figura piana delimitata da una spezzata chiusa, chiamata anche
poligonale, composta da segmenti consecutivi. Gli estremi dei segmenti sono detti
vertici, i segmenti tra essi compresi sono i lati. Un poligono di n lati ha n angoli e n
vertici.

Un segmento interno al poligono che connette due vertici non consecutivi è detto dia-
gonale. Con il calcolo combinatorio si dimostra che un poligono di n lati ha n(n − 3)/2
diagonali: da ogni vertice partono n−3 diagonali e considerando n vertici ogni diagonale
viene contata due volte, quindi bisogna dimezzare il totale.

Un poligono è detto concavo quando contiene al suo interno il prolungamento di


almeno uno dei suoi lati. Se invece tutti i prolungamenti dei lati sono esterni alla figura
è detto convesso.

(a) Concavo (b) Convesso


Figura 7.5: Poligoni.

Alternativamente un poligono è detto concavo quando almeno uno dei suoi angoli è
maggiore o uguale a un angolo piatto, altrimenti è convesso.
Se tutti gli angoli sono congruenti il poligono è detto equiangolo, se tutti i lati sono
congruenti allora è equilatero.
Matematica 449

Un poligono è regolare quando è convesso, equilatero ed equiangolo.

Un angolo delimitato da due segmenti di un poligono è detto interno quando è contenuto


nel poligono. Un angolo delimitato da un lato del poligono e dal prolungamento del lato
consecutivo è detto esterno. Un angolo esterno è supplementare al suo angolo interno.

La somma degli angoli interni di un poligono di n lati è pari a n − 2 angoli piatti.

Euclide non diede una definizione di area A (o superficie) del poligono, sebbene intui-
tivamente essa sia la parte di piano racchiusa dal poligono. Operativamente può essere
misurata scomponendo il poligono in triangoli e sommando le aree dei triangoli.

La somma delle lunghezze dei lati di un poligono è detta perimetro. La metà di tale

Matematica
lunghezza è detta semiperimetro e si indica con p, quindi il perimetro è 2p.

In geometria piana è possibile la quadratura di ogni poligono: ogni poligono può essere
scomposto in un numero finito di triangoli che ricomposti formano un quadrato. La quadratura
del cerchio è invece impossibile.

7.4 Triangoli e loro classificazione

Un poligono con tre lati è detto triangolo.

Ogni triangolo è caratterizzato dalla disuguaglianza triangolare: ogni lato è minore


della somma degli altri due.

Ad esempio la terna 1, 2 e 4 non può costituire le misure dei lati di un triangolo in quanto
non soddisfa la disuguaglianza triangolare perché 4 > 1 + 2.

I triangoli possono essere classificati sia in base agli angoli che ai lati:

Lati Triangolo Angoli Triangolo


tutti diversi scaleno uno ottuso ottusangolo
due congruenti isoscele tutti acuti acutangolo
tre congruenti equilatero uno retto rettangolo
Tabella 7.1: Classificazione dei triangoli in base a lati e angoli.
450 Geometria euclidea piana

(a) Scaleno (b) Isoscele e ottusangolo

(c) Equilatero e acu- (d) Rettangolo


tangolo
Geom.Piana

Figura 7.6: Triangoli.

Nel triangolo isoscele il lato non congruente agli altri due è detto base e gli angoli ad
esso adiacenti, detti angoli alla base, sono congruenti. Nel triangolo isoscele, inoltre,
l’altezza relativa alla base è anche mediana e bisettrice. Il triangolo equilatero è un
poligono regolare: è anche equiangolo. Ne deriva che ogni suo angolo interno misura
60◦ . Essendo un caso particolare di triangolo isoscele, in quello equilatero ogni altezza
è anche mediana e bisettrice.
Ognuno dei lati di un triangolo può essere chiamato base b. Si definisce altezza h il
segmento che congiunge il vertice opposto alla base con la base stessa formando un
angolo retto. Ne deriva che ogni triangolo ha 3 basi e 3 altezze. Scelta una qualsiasi
coppia formata da una base e dall’altezza corrispondente, l’area A del triangolo è il
semiprodotto di queste due lunghezze. Noto il semiperimetro p, inoltre, chiamando i
tre lati del triangolo a, b e c, l’area si può esprimere anche attraverso la formula di
Erone:
p
(7.1) A = (b · h)/2 , A = p(p − a)(p − b)(p − c) .

Da ogni vertice di un triangolo si possono tracciare altri due segmenti oltre all’altezza
h: la bisettrice s e la mediana m.

Si definisce bisettrice s di un angolo interno α di un triangolo il segmento che parte


dal vertice e divide l’angolo in due parti congruenti.

La definizione di bisettrice si estende senza problemi agli altri poligoni e a qualsiasi


angolo.

Si definisce mediana m di un lato di un triangolo il segmento che parte dal vertice


opposto al lato e divide quest’ultimo in due segmenti congruenti.
Matematica 451

In generale un triangolo non ha un centro, ma i tre tipi di segmenti discussi identificano


tre punti particolari in quanto ogni loro terna si interseca in un unico punto.

Si definisce baricentro B di un triangolo il punto di intersezione delle mediane.


L’ortocentro O è il punto di intersezione delle altezze e l’incentro I è il punto di
intersezione delle bisettrici.

Il baricentro divide ogni mediana in due parti. Quella avente un estremo nel vertice ha
lunghezza doppia rispetto all’altra.
Nel triangolo equilatero i tre punti coincidono e vengono chiamati centro C del
triangolo.

Si definisce circocentro di un triangolo il punto di intersezione degli assi dei lati del triangolo.
Mentre il baricentro e l’incentro sono sempre interni al triangolo, l’ortocentro e il circocentro
non lo sono. L’ortocentro coincide con il vertice dell’angolo retto in un triangolo rettangolo,
mentre è esterno per un triangolo ottusangolo. Il circocentro corrisponde al punto medio
del lato opposto all’angolo retto in un triangolo rettangolo ed è esterno per un triangolo

Matematica
ottusangolo.

Dalle proprietà dei poligoni discende che la somma degli angoli interni di un trian-
golo è 180◦ . Un angolo esterno è formato da un lato e dal prolungamento del lato ad
esso consecutivo ed è supplementare del corrispondente angolo interno. Per ogni vertice
ci sono due angoli esterni, congruenti in quanto opposti al vertice. Considerando un
solo angolo esterno per vertice si hanno due risultati rilevanti.

La somma degli angoli esterni di un triangolo è un angolo giro. Ogni angolo esterno
di un triangolo è congruente alla somma dei due angoli interni ad esso non adiacenti.

(a) Incentro (b) Baricentro

(c) Ortocentro (d) Circocentro


Figura 7.7: Per lo stesso triangolo sono mostrati i vari punti di intersezione. Ortocentro e circocentro
possono anche essere esterni.
452 Geometria euclidea piana

7.5 Teorema di Pitagora


I due lati di un triangolo equilatero che formano un angolo retto sono detti cateti.
Quello con lunghezza maggiore è il cateto maggiore, l’altro il cateto minore. Il lato
opposto all’angolo retto è detto ipotenusa.

In un triangolo equilatero vale il fondamentale teo-


rema di Pitagora: il quadrato costruito sull’ipote-
nusa è pari alla somma dei quadrati costruiti sui
cateti. Indicando con i l’ipotenusa, con C il cateto
maggiore e con c quello minore si ha

p
i2 = C 2 + c2 =⇒ i = C 2 + c2 ,
(7.2) p p
C = i2 − c2 , c = i2 − C 2 .
Geom.Piana

Figura 7.8: Il teorema di Pitagora vale


solo grazie al quinto postulato.

Se il triangolo ABC ha l’ipotenusa di 10 √


cm e un cateto
√ di 6 cm, quanto
√ misura√
l’altro
cateto? Applicando la 7.2 si ottiene c = i2 − C 2 = 102 − 62 = 100 − 64 = 36 =
6 cm.

Si noti che i numeri 10, 8 e 6 sono rispettivamente il doppio di 5, 4 e 3.


Come conseguenza del teorema di Pitagora possiamo affermare che l’ipotenusa è sempre
maggiore di ogni cateto.

Le terne di numeri che soddisfano alla relazione matematica del teorema di Pitagora sono
dette terne pitagoriche. Quella con gli interi minori è proprio 5, 4 e 3. Da ogni terna se ne
possono ottenere infinite altre moltiplicando ogni elemento per uno stesso intero.

7.6 Teoremi di Euclide


Per i triangoli rettangoli esistono due teoremi di Euclide.

Il primo teorema di Euclide afferma che un cateto è medio proporzionale tra l’ipo-
tenusa e la proiezione dello stesso cateto sull’ipotenusa. Geometricamente ciò equivale
ad affermare che il quadrato costruito su un cateto è congruente al rettangolo avente
come dimensioni l’ipotenusa e la proiezione dello stesso cateto sull’ipotenusa.

Indicando un cateto con c, l’ipotenusa con i e la proiezione di c su i con d si ha


√ c2 c2
(7.3) i : c = c : d, =⇒ c= i · d, i= , d= .
d i
Matematica 453

Se un triangolo rettangolo ha l’ipotenusa di 12 cm e la proiezione di un cateto sull’ipo-


tenusa misura
√ 3 cm,
√ quanto √misura il cateto? Applicando la seconda relazione della 7.3
si ha c = i · d = 12 · 3 = 36 = 6 cm.

Il secondo teorema di Euclide è abbastanza simile al primo, bisogna fare attenzione a


non mischiare i due enunciati.

Il secondo teorema di Euclide afferma che l’altezza relativa alll’ipotenusa è media pro-
porzionale tra le proiezioni dei due cateti sull’ipotenusa. Geometricamente ciò equivale
ad affermare che il quadrato costruito sull’altezza relativa all’ipotenusa è congruente
al rettangolo avente come dimensioni le proiezioni dei cateti sull’ipotenusa.

Indicando l’altezza relativa all’ipotenusa con h e le proiezioni dei cateti sull’ipote-


nusa con d ed e si ha
√ h2 h2
(7.4) d : h = h : e, =⇒ h= d · e, d= , e= .

Matematica
e d

Se in un triangolo rettangolo le proiezioni dei cateti sull’ipotenusa misurano 16 cm e 4 cm,


quanto misura
√ l’altezza
√ relativa√ all’ipotenusa? Applicando la seconda relazione della 7.4
si ha h = m · n = 16 · 4 = 64 = 8 cm.

(a) Teoremi di Euclide (b) Similitudine


Figura 7.9: I due triangoli sono simili: hanno stessa forma ma area diversa.

7.7 Criteri di similitudine


La similitudine è una relazione di equivalenza tra figure piane, ovvero gode della pro-
prietà riflessiva, simmetrica e transitiva. Per semplicità restringiamo la trattazione ai
poligoni, sebbene la relazione si applichi a una classe più estesa di figure.

La similitudine, come pure il teorema di Pitagora, ha valenza solo nella geometria euclidea,
non in quella iperbolica o ellittica

Per introdurre la relazione di similitudine occorre prima definire vertici corrispondenti


tra figure. Dati due poligoni, un vertice dell’uno è il corrispondente o omologo di un
vertice dell’altro quando sono vertici di angoli congruenti. I lati compresi tra due coppie
di vertici corrispondenti sono detti a loro volta corrispondenti o omologhi.
454 Geometria euclidea piana

Due poligoni sono simili quando hanno tutti gli angoli congruenti e i lati corrispondenti
proporzionali.

In termini più semplici due figure sono simili quando hanno la stessa forma ma area
diversa, sebbene una delle due possa essere ruotata rispetto all’altra.
La similitudine può essere applicata anche ai triangoli, per i quali esistono tre criteri
di similitudine.

Il teorema di Talete afferma che un fascio di rette parallele tagliate da due trasversali
genera coppie di segmenti direttamente proporzionali.

Il teorema di Talete, una proposizione fondamentale conosciuta già dai Babilonesi, è


alla base delle dimostrazioni dei criteri di similitudine.
Per dimostrare la similitudine occorrerebbe considerare 6 elementi di ogni triangolo,
mentre con i criteri ne bastano 3.
Geom.Piana

Primo criterio di similitudine Due triangoli sono simili quando hanno due
angoli corrispondenti congruenti.
Si noti che il vincolo che la somma degli angoli interni sia un angolo piatto evita di dover
considerare tre angoli: se i primi due sono congruenti il terzo lo sarà automaticamente
al suo omologo.

Secondo criterio di similitudine Due triangoli sono simili quando hanno un


angolo congruente e i lati adiacenti all’angolo proporzionali.
La richiesta di proporzionalità relativa ai lati significa che il rapporto tra due lati
omologhi è uguale al rapporto degli altri due lati omologhi.

Terzo criterio di similitudine Due triangoli sono simili quando hanno i lati
corrispondenti proporzionali.
La richiesta di proporzionalità relativa ai lati significa che tutti i rapporti tra due lati
omologhi sono uguali.

Oltre ai triangoli, per tutti i poligoni simili valgono le seguenti proprietà.

Il rapporto tra i perimetri di due poligoni simili è uguale a quello tra due lati omologhi.
Il rapporto tra le aree di due poligoni simili è uguale al rapporto dei quadrati di due lati
omologhi.

7.8 Criteri di congruenza


Estendiamo a figure piane un’altra relazione di equivalenza. Non bisogna confondere la
relazione di congruenza con quella di equivalenza. In geometria due figure piane sono
equivalenti quando hanno la stessa estensione, cioè la stessa area pur avendo forma
diversa.
Matematica 455

La congruenza, definita nella sezione 7.1, si applica anche a figure piane: sono congruenti
le figure che hanno tutti gli angoli congruenti e tutti i lati dell’una congruenti ai lati
omologhi dell’altra.

Per dimostrare che due triangoli sono congruenti bisognerebbe considerare 6 elementi,
cioè tre angoli e tre lati. Grazie ai criteri di congruenza basta dimostrare la congruenza
di tre elementi per essere certi che i due triangoli siano congruenti.

Primo criterio di congruenza Due triangoli sono congruenti quando hanno


due lati e l’angolo compreso ordinatamente congruenti.

Per semplicità è chiamato anche criterio LAL da lato-angolo-lato.

Matematica
Secondo criterio di congruenza Due triangoli sono congruenti quando hanno
due angoli e il lato compreso ordinatamente congruenti.

Per semplicità è chiamato anche criterio ALA da angolo-lato-angolo.

Terzo criterio di congruenza Due triangoli sono congruenti quando hanno i


tre lati ordinatamente congruenti.

Per semplicità è chiamato anche criterio LLL da lato-lato-lato.

Nei triangoli rettangoli il teorema di Pitagora consente di determinare la congruenza dei


triangoli conoscendo soltanto due elementi del triangolo invece di tre. I tre criteri di congruenza
dei triangoli rettangoli affermano che i due triangoli rettangoli sono congruenti una volta
verificata la congruenza di due cateti (primo), di un angolo acuto e di un lato (secondo), di
un cateto e dell’ipotenusa (terzo).

7.9 Quadrilateri

I poligoni con quattro lati sono detti quadrilateri. Ogni quadrilatero ha 4 vertici, 4
angoli la cui somma è un angolo giro e 2 diagonali.
456 Geometria euclidea piana

(a) Quadrato (b) Rettangolo

(c) Parallelogramma
Geom.Piana

Figura 7.10: Quadrilateri.

7.9.1 Quadrato

Il quadrato è un quadrilatero avente tutti i lati congruenti e paralleli a due a due ed è


dotato di 4 angoli retti.

Chiamando l il lato del quadrato e d la sua diagonale si hanno le seguenti relazioni


√ √ d d2 √
(7.5) 2p = 4l , A = l2 , l = A , d = 2l , l = √ , A = , d = 2A .
2 2
Il quadrato è l’unico quadrilatero regolare, il punto d’incontro delle diagonali è il centro
del quadrato e divide ogni diagonale in due parti congruenti. Le diagonali dividono il
quadrato in 4 triangoli isosceli congruenti, ogni diagonale lo divide in due triangoli
rettangoli congruenti.

7.9.2 Rettangolo

Il rettangolo è un quadrilatero avente i lati a due a due congruenti e paralleli ed è


dotato di 4 angoli retti.

Chiamando b (base) e h (altezza) due lati non congruenti e d la diagonale si hanno le


seguenti relazioni
A A p
(7.6) 2p = 2(b + h) , A = b · h , b = , h = , d = b2 + h2 .
h b
Il quadrato è un caso particolare di rettangolo. Ogni diagonale divide il rettangolo in
due triangoli rettangoli congruenti. Le diagonali sono anche bisettrici e si bisecano, cioè
il punto d’intersezione delle diagonali divide ognuna di esse in due parti congruenti.
Matematica 457

7.9.3 Parallelogramma

Il parallelogramma è un quadrilatero avente i lati a due a due congruenti e paralleli.

Chiamando b la base, a uno dei lati obliqui e h l’altezza, si hanno le seguenti relazioni
A A
(7.7) 2p = 2(a + b) , A = b · h, b= , h= .
h b
Poiché il parallelogramma ha una diagonale minore e una maggiore che non sono con-
gruenti, le formule dirette e inverse relative alla diagonale del rettangolo non sono valide
per il parallelogramma.
Il rettangolo (e quindi anche il quadrato) è un caso particolare di parallelogram-
ma. Ogni diagonale è anche bisettrice e divide il parallelogramma in due triangoli
congruenti. Il punto d’incontro delle diagonali divide ognuna di esse a metà.
Angoli interni consecutivi sono supplementari.

Matematica
7.9.4 Rombo

(a) Rombo (b) Trapezio isoscele (c) Trapezio rettangolo


Figura 7.11: Quadrilateri.

Il rombo o losanga è un quadrilatero avente i lati congruenti e a due a due paralleli.

Chiamando d la diagonale minore e D quella maggiore e l il lato, si hanno le seguenti


relazioni
d·D
(7.8) 2p = 4l , A= .
2
Il rombo è un caso particolare di parallelogramma, mentre il quadrato è un tipo
particolare di rombo.
Le diagonali sono anche bisettrici e dividono il rombo in quattro triangoli rettangoli
congruenti, ognuna di esse lo divide in due triangoli isosceli congruenti. Le diagonali si
bisecano, cioè il punto d’intersezione delle diagonali divide ognuna di esse in due parti
congruenti.
Gli angoli opposti sono congruenti e quelli consecutivi sono supplementari.
458 Geometria euclidea piana

7.9.5 Trapezio

Il trapezio è un quadrilatero avente due lati paralleli.

Dei due lati paralleli, quello più lungo è chiamato base maggiore B, l’altro base minore
b. La distanza tra le due basi è l’altezza h del trapezio.
Se i due lati obliqui sono congruenti il trapezio è isoscele, se uno dei lati non paralleli
forma un angolo retto con le basi il trapezio è detto rettangolo. Nel trapezio isoscele
l’altezza può essere trovata applicando il teorema di Pitagora al triangolo avente come
ipotenusa un lato obliquo e come cateto la semidifferenza delle basi.
Per i trapezi il perimetro è la somma dei 4 lati e l’unica relazione notevole riguarda
l’area, che si calcola attraverso un triangolo equivalente al trapezio, cioè avente la stessa
altezza del trapezio e come base la somma delle basi del trapezio:

(B + b) · h
Geom.Piana

(7.9) A= .
2
Tutti i quadrilateri discussi sinora sono casi particolari di trapezio, rombo compreso.
Ogni diagonale divide il trapezio in due triangoli. Le diagonali possono essere de-
terminate dividendo opportunamente la figura in triangoli rettangoli e applicando il
teorema di Pitagora. L’intersezione delle diagonali le divide in parti proporzionali, ov-
vero il rapporto tra la parte più lunga e quella meno lunga di una diagonale è uguale
al rapporto delle parti omologhe sull’altra diagonale.
Gli angoli consecutivi sono supplementari.

Si noti che il termine trapezoide indica un quadrilatero qualsiasi. Tra i vari tipi di
quadrilateri vale la seguente catena di inclusioni:

(7.10) Trapezi ⊃ Parallelogrammi ⊃ Rettangoli ⊃ Quadrati .

7.10 Cerchio

Il cerchio è una parte di piano formata da punti che distano da un punto fisso detto
centro C una distanza minore o uguale di una distanza fissa detta raggio R. La linea
curva che delimita il cerchio è il luogo geometrico dei punti distanti R da C e si chiama
circonferenza C.

La misura della circonferenza rappresenta il perimetro 2p del cerchio. Questa figura può
essere idealizzata come un poligono regolare con infiniti lati. Una parte di circonferenza
delimitata da due punti è detta arco. Qualunque segmento che unisce il centro C con
la circonferenza C è chiamato raggio R. Il doppio del raggio è il diametro D = 2R:
un diametro è un segmento che unisce due punti della circonferenza opposti rispetto al
Matematica 459

centro. Un cerchio ha quindi infiniti raggi e infiniti diametri. Ogni diametro divide il
cerchio in due parti congruenti, dette semicerchi.
Un segmento che unisce due punti qualsiasi di C è detto corda: il diametro è la
corda massima ovvero una corda passante per C. Il raggio non è una corda, sebbene
possa esistere una corda lunga proprio R.
Un angolo delimitato da due raggi, ovvero avente come vertice C è detto angolo
al centro. Un angolo delimitato da due corde è invece detto angolo alla circonferenza.
Nella Figura 7.12(a) il segmenti b, c, d, ed e sono corde; gli angoli con vertice in E e in
B sono angoli alla circonferenza, mentre l’angolo con vertice in A è il corrispondente
angolo al centro.

Ogni angolo alla circonferenza è la metà di un angolo al centro che insiste sullo stesso
arco. Angoli alla circonferenza aventi vertici diversi ma che insistono sullo stesso arco sono
congruenti. Come conseguenza di questi due teoremi se ne ricava un terzo che afferma che ogni
triangolo inscritto in una semicirconferenza (cioè avente un diametro come lato) è rettangolo:
l’angolo alla circonferenza è la metà di quello al centro che in tal caso è piatto. Il teorema è
illustrato nella Figura 7.12(a).

Matematica
La parte di cerchio delimitata da due raggi è detta settore circolare. Se l’angolo al
centro del settore circolare è retto questo si chiama quadrante. Se due cerchi hanno lo
stesso centro sono detti concentrici. In quest’ultimo caso la parte di piano racchiusa
tra le due circonferenze è detta corona circolare.

Il rapporto tra la circonferenza C e il diametro D di un cerchio è il numero


trascendente π: π = C/D.

(a) Corde, angoli al centro e (b) Settore e corona circolare.


alla circonfereza.
Figura 7.12: Grandezze caratteristiche di un cerchio.

Valgono le seguenti relazioni:


r
2D2 A
(7.11) C = 2πR , A = πR = π , R= .
4 π

Il rapporto tra l’area di un settore circolare e l’area del cerchio è lo stesso tra l’angolo al
centro α e l’angolo giro. L’area del settore circolare di angolo al centro α quindi si trova con
460 Geometria euclidea piana

la formula A = πR2 360 α 2 α


◦ = πR 2π . L’ultima uguaglianza deriva dal fatto che un angolo giro
vale 2π se espresso in radianti. L’area di una corona circolare è semplicemente la differenza
delle aree delle due circonferenze concentriche. Ricorrendo alla formula dell’area del cerchio
7.11, chiamando R il raggio maggiore e r quello minore e raccogliendo π si ha A = π(R2 − r2 ).
Il perimetro della corona circolare è semplicemente pari alla somma delle due circonferenze.

Un punto che dista da C una distanza maggiore di R è esterno al cerchio, altrimenti


interno. Analoghe definizioni valgono per una retta. Se una retta interseca una cir-
conferenza in un solo punto è detta tangente, se le intersezioni sono due è secante,
altrimenti è esterna.
Geom.Piana

(a) Teorema delle cor- (b) Teorema delle secanti. (c) Teorema della secante e
de. della tangente.
Figura 7.13: Teoremi su corde, secanti e tangenti.

Per un cerchio si hanno i seguenti teoremi:

Teorema delle secanti Tracciando da un punto P esterno a un cerchio due


secanti s e u che intersecano C rispettivamente nei punti A e B e C e D si ha
che il rapporto tra le corde è uguale a quello tra le parti esterne delle secanti:
P A : P C = P D : P B.

Teorema delle corde Scelti 4 punti arbitrari di una circonferenza C e tracciate


le due secanti che uniscono A con B e C con D e che si intersecano nel punto P si
ha che il rettangolo avente per dimensioni le due parti di una corda è equivalente
al rettangolo avente per dimensioni le due parti dell’altra corda: AP : P C =
DP : P B.
In questo teorema e nel precedente unendo gli estremi delle corde si formano due
triangoli simili, ragion per cui si hanno proporzioni.

Teorema della secante e della tangente Tracciando da un punto P esterno


a un cerchio una secante che interseca C nei punti A e B e una tangente che
interseca C nel punto D si ha che il segmento di tangenza è medio proporzionale
tra l’intera secante e la sua parte esterna: P A : P D = P D : P B.

7.11 Poligoni regolari, inscritti e circoscritti


Come per i triangoli, il punto d’incontro degli assi dei lati del poligono inscritto è
detto circocentro. Il punto d’incontro delle bisettrici degli angoli interni di un poligono
circoscritto è detto incentro.
Matematica 461

(a) Quadrato. (b) Esagono.


Figura 7.14: Poligoni regolari.

Un poligono è circoscritto ad una circonferenza quando tutti i suoi lati sono tangenti
alla circonferenza, cioè ogni lato ha con essa un solo punto in comune.
Un poligono è detto inscritto in una circonferenza quando tutti i suoi vertici
appartengono alla circonferenza.

Matematica
In un poligono irregolare circoscritto l’area A è pari al prodotto del semiperimetro p
per il raggio R della circonferenza: A = p · R.
I poligoni regolari sono sia inscrivibili che circoscrivibili. Per ogni valore di n
esiste un n-agono regolare, sebbene non tutti siano costruibili esattamente solo con
riga e compasso.

Si presti attenzione a non confondere il pentagono regolare con il pentagramma, che


è una stella a cinque punte o con il pentacolo, che è un pentagramma inscritto in una
circonferenza e rappresenta un simbolo magico.

Per costruire un poligono regolare inscritto basta individuare sulla circonferenza n punti
che la dividono in archi congruenti. Le corde che congiungono tali punti rappresentano
gli n lati del poligono inscritto. Tracciando poi le corde che collegano i vertici del poli-
gono inscritto al centro della circonferenza si hanno n angoli al centro congruenti,
ognuno dei quali ha ampiezza 360◦ /n.
Queste corde dividono il poligono inscritto in n triangoli isosceli congruenti,
essendo raggi dello stesso cerchio. Per alcuni poligoni regolari, come per l’esagono,
questi triangoli sono equilateri. Poiché la somma degli angoli interni di un triangolo
è 180◦ e i triangoli sono isosceli, si ha che gli angoli interni di un poligono regolare
misurano 180◦ · (n − 2)/n.

L’altezza di ognuno degli n triangoli isosceli in cui è scomposto un poligono regolare è


detta apotema a e l’area di ogni triangolo si trova come semiprodotto della sua base
(il lato l del poligono regolare) per la sua altezza (l’apotema a).

Il rapporto tra l’apotema e il lato di un poligono regolare è detto numero fisso f :


f = a/l e per ogni poligono regolare con n lati ha un determinato valore.
462 Geometria euclidea piana

Si trovano tabulati sia f che il semiprodotto (n · f )/2 che compare nella formula dell’area A.
Per il triangolo equilatero si ha f ≈ 0, 29, per il quadrato f = 1, per il pentagono regolare
f ≈ 0, 69 e per l’esagono regolare f ≈ 0, 87.

Per i poligoni regolari valgono le seguenti relazioni:


a·l n·f A A
(7.12) 2p = nl , A=n = l2 A = p · a, p= , a= .
2 2 a p
L’apotema a di un quadrato coincide con la metà del lato l e con il raggio r della
circonferenza inscritta: a = l/2 = r. Il raggio R della circonferenza
√ circoscritta a un
quadrato è pari a metà della diagonale d del quadrato: R = l 2/2.
L’apotema a di un triangolo equilatero di lato l coincide con il raggio r della circon-
ferenza inscritta e con un terzo dell’altezza
√ h del triangolo: a =
√ h/3. Dal teorema di
Pitagora si ottiene la relazione h = l 3/2, da cui si ricava A = l2 3/4. Il raggio R della
circonferenza circoscritta è il doppio dell’apotema: R = 2a = 2h/3.

Per costruire un poligono regolare circoscritto basta individuare sulla circonferenza n


Geom.Piana

punti che la dividono in archi congruenti. Le intersezioni delle tangenti a tali punti
rappresentano gli n vertici del poligono circoscritto.
Tutti i triangoli sono sia inscrivibili che cir-
coscrivibili. Per ogni triangolo, infatti, l’incentro e
il circocentro esistono sempre e sono interni alla
figura. Si hanno inoltre le seguenti relazioni:

r raggio cerchio inscritto ⇒ A = p·r,


a·b·c
R raggio cerchio circoscritto ⇒ A= .
4R
Per i quadrilateri si hanno i seguenti teoremi:

Condizione necessaria e sufficiente affinché un


quadrilatero sia inscrittibile è che i lati op-
posti siano supplementari. Ne deriva che i
quadrati, i rettangoli e i trapezi isosceli sono Figura 7.15: Triangolo inscritto e circo-
certamente inscrittibili. scritto.

Condizione necessaria e sufficiente affinché un


quadrilatero sia circoscrittibile è che la somma di due lati opposti sia congruente
alla somma degli altri due lati opposti. Ne deriva che i quadrati e i rombi sono
certamente circoscrittibili.

7.12 Quesiti
1) Su che cosa è basata la geometria B sugli enti fondamentali e sui poligoni
euclidea?
C sugli enti fondamentali e sui postulati

A sul concetto di punto e sulla proprietà D sui postulati di continuità e di


delle rette parallele e perpendicolari appartenenza
Matematica 463

E sugli enti fondamentali e sulle pro- B un triangolo isoscele non può essere
prietà dei triangoli anche ottusangolo

2) Che cosa si intende per angolo? C un triangolo scaleno non può essere
anche rettangolo
A due semirette aventi l’origine in D un triangolo equilatero non può
comune essere anche isoscele
B le parti in cui due rette che si E un triangolo equilatero può essere
intersecano dividono un piano anche rettangolo
C un insieme finito di punti
6) Qual è il significato del teorema di
D la parte di piano delimitata da due
Pitagora?
semirette con l’origine in comune
E uno dei due semipiani in cui una retta A esiste un legame algebrico tra i cateti
divide l’intero piano dei triangoli rettangoli
B esiste un legame algebrico tra un
3) Quale delle seguenti proposizioni sui
cateto e l’ipotenusa dei triangoli
poligoni è corretta?
rettangoli
A un poligono è la parte di piano C esiste un legame algebrico tra i qua-

Matematica
delimitata dall’intersezione tra due drati dei cateti e quello dell’ipotenusa
rette dei triangoli rettangoli
B un poligono ha tanti angoli piatti D in un triangolo rettangolo in cui i
quanti sono i lati cateti sono congruenti l’ipotenusa ha
C un poligono divide il piano in tante misura unitaria
parti quanti sono i lati E in un triangolo rettangolo esiste un
D nei poligoni convessi i prolungamenti legame algebrico tra i lati e gli angoli
dei lati non s’intersecano ad essi adiacenti
E i poligoni godono delle stesse pro- 7) Il secondo teorema di Euclide afferma
prietà, indipendentemente dal nume- che in un triangolo rettangolo:
ro dei lati
A l’altezza è media proporzionale tra l’i-
4) Quale delle seguenti proprietà è potenusa e la proiezione dell’altezza
valida per i triangoli? sull’ipotenusa
A la mediana relativa alla base è la metà B l’ipotenusa è media proporzionale tra
dell’altezza; le proiezioni dei cateti sull’ipotenusa
B l’altezza e la bisettrice relative allo C l’ipotenusa è media proporzionale tra
stesso lato sono parallele l’altezza e la proiezione del cateto
C Se ci sono due lati congruenti lo sono maggiore sull’ipotenusa
anche i due lati ad essi adiacenti D l’altezza è media proporzionale tra le
D in un triangolo isoscele l’altezza re- proiezioni dei cateti sull’ipotenusa
lativa alla base è la metà della E l’altezza è media proporzionale tra la
mediana somma dei cateti e l’ipotenusa
E la somma degli angoli interni è 270◦ 8) Quali sono gli elementi che consen-
5) In base alla classificazione dei trian- tono di determinare una similitudine
goli quale tra le seguenti proposizioni tra due triangoli?
è corretta? A due triangoli rettangoli sono sempre
A un triangolo isoscele può essere anche simili tra loro
rettangolo B tre angoli ordinatamente congruenti
464 Geometria euclidea piana

C due lati ordinatamente in proporzio- E quando il poligono è scomponibile in


ne triangoli inscritti nella circonferenza
D due angoli ordinatamente congruenti
10) Quale delle seguenti proposizioni è
E un angolo e un lato dell’uno con- corretta?
gruenti agli omologhi dell’altro
A due figure equivalenti hanno lo stesso
9) Quando si dice che un poligono è
perimetro
inscritto in una circonferenza?
B due figure uguali hanno stessa esten-
A quando uno dei lati è congruente al sione ma forma anche diversa
diametro
C due figure equivalenti hanno stessa
B quando ognuno dei lati è tangente
estensione ma forma anche diversa
alla circonferenza
C quando ogni vertice è un punto della D due figure equivalenti hanno la stessa
circonferenza forma
D quando i vertici opposti sono equidi- E due figure possono essere uguali ma
stanti dal centro non equivalenti
Geom.Piana

7.13 Risposte commentate ai quesiti


1) La A include proprietà di parallelismo e perpendicolarità che non sono fonda-
mentali, quindi non possono essere alla base della geometria. Allo stesso modo la
B include i poligoni e quindi va scartata. Un ragionamento analogo permette di
scartare la E e la D invece va esclusa in quanto specifica solo alcuni dei postulati
alla base della geometria euclidea. La risposta corretta è la C .
2) La A è errata in quanto confonde gli oggetti che delimitano l’angolo con l’angolo
stesso. La B definisce un semipiano e non un angolo: va esclusa. La C si può
escludere in quanto troppo vaga. La E va esclusa per lo stesso motivo della B . La
risposta corretta in base alla definizione è la D .
3) La A va esclusa in quanto l’intersezione tra due rette divide il piano in quattro
parti. Bisogna escludere anche la B in quanto il numero di angoli piatti è n − 2 e
non n. La C è errata perché un poligono divide il piano in due sole parti: quella
interna e quella esterna al poligono e ciò indipendentemente dal numero di lati. Le
proprietà dei poligoni dipendono dal numero dei lati e quindi la E va esclusa. La
risposta corretta è la D .
4) La E è falsa in quanto la somma degli angoli interni di un triangolo è un angolo
piatto. Sono da escludere in quanto false anche la A , la B e la D . Un teorema
afferma invece che la risposta corretta è la C .
5) La B va esclusa perché basta che siano rispettate la disuguaglianza triangolare e
la misura della somma degli angoli interni di un triangolo pari a un angolo piatto
purché si abbia un triangolo isoscele. Sempre in base alla somma degli angoli interni
si può escludere la E . La D va esclusa in quanto il triangolo equilatero è un
caso particolare di isoscele. La C va esclusa in quanto rappresenta una limitazione
inesistente. La risposta corretta è la A .
6) Il teorema di Pitagora può essere scritto come i2 = c2 + C 2 : si deduce che l’unica
risposta corretta è la C .
Matematica 465

7) Il secondo teorema di Euclide, indicando l’altezza con h e le proiezioni dei cateti


sull’ipotenusa con d ed e può essere scritto come d : h = h : e, quindi si deduce che
l’unica risposta corretta è la D .
8) In base ai tre criteri di similitudine tra triangoli si sa che bisogna individuare una
relazione tra tre elementi di un triangolo e i tre omologhi dell’altro. La A è palese-
mente falsa e va esclusa. La C , la D e la E individuano solo due elementi e vanno
quindi escluse. La risposta corretta è la B .
9) La D implica simmetria ma non garantisce la circoscrivibilità e quindi va esclusa.
Le altre proprietà sono errate tranne la C , che rappresenta la risposta corretta.
10) Due figure sono equivalenti quando hanno la stessa estensione, ma anche forma di-
versa. Sono invece uguali quando sono perfettamente sovrapponibili. L’uguaglianza,
quindi, implica l’equivalenza e non il contrario. Se ne deduce che la risposta corretta
è la C .

Matematica
Geometria euclidea
solida 8
Introduzione
Dopo aver sviluppato i fondamenti di geometria euclidea nel capitolo precedente, in
questo viene trattata la geometria solida. Per una migliore comprensione degli argo-
menti trattati si consiglia di far precedere la lettura di questo capitolo da un ripasso
del capitolo 7.

8.1 Definizioni
La geometria euclidea solida si occupa dell’esten-
sione in tre dimensioni della costruzione logico-
matematica della geometria euclidea piana. Gli en-
ti fondamentali sono dunque gli stessi del capitolo
precedente, come pure gli assiomi e i metodi per
ricavare nuove proposizioni.
Le proprietà di parallelismo e perpendicolarità,
ad esempio, sono le stesse descritte nella sezione
7.1. Nello spazio due rette non parallele sono dette Figura 8.1: Esempio di poliedro.
sghembe quando non giaccono nello stesso piano e
sono prive di intersezioni.
Dopo le definizioni fondamentali in geometria piana ci siamo occupati di studiare
le proprietà dei poligoni. Le figure della geometria solida analoghe ai poligoni sono i
poliedri, argomento centrale di questo capitolo. L’etimologia del termine indica una
figura contenente più diedri.

Si definisce diedro una parte di spazio delimitata da due semipiani aventi come origine
una stessa retta, detta spigolo.

Il concetto di diedro è una delle estensioni in tre dimensioni del concetto di angolo
piano. Intersecando il diedro con un piano perpendicolare allo spigolo si determina
un angolo, la cui misura rappresenta quella del diedro. I diedri, quindi, si misurano
ancora in gradi o in radianti. La classificazione in acuto, retto e ottuso resta la stessa
di quella degli angoli piani. Se la somma di due diedri è un diedro retto allora sono
detti complementari, se è un diedro piatto allora sono detti adiacenti.

Quella di diedro non è l’unica estensione possibile in tre dimensioni del concetto di angolo
piano. Un’altra estensione molto usata è quella di angolo solido: la parte di piano delimitata
da una superficie formata da semirette aventi la stessa origine, detta vertice. Gli angoli solidi
si misurano in steradianti.
Matematica 467

La definizione di poliedro non è univoca, nel seguito ne adottiamo una sufficientemente


rigorosa e che renda chiara l’idea.

Si definisce poliedro una parte di spazio delimitata da un numero finito di poligoni,


ognuno dei quali ha ogni lato in comune con un solo altro poligono.

Per rendere più comprensibile la trattazione bisogna procedere a definire gli elementi
dei poliedri:
Facce ognuno dei poligoni che delimitano il poliedro. Le facce non devono neces-
sariamente essere congruenti né avere lo stesso numero di lati.
Spigoli ognuno dei lati dei poligoni che delimitano il poliedro. Ogni spigolo
appartiene a due facce.
Vertici ognuno dei vertici dei poligoni che delimitano il poliedro. Ogni vertice
appartiene ad almeno 3 diverse facce. La valenza del vertice è il numero di facce

Matematica
cui appartiene, coincidente con il numero di spigoli di cui fa parte. Se due vertici
appartengono alla stessa faccia sono detti adiacenti. Un segmento che unisce
vertici non adiacenti è detto diagonale D del poliedro.

Ad ogni vertice del poliedro corrisponde un angoloide convesso o semplicemente


angoloide: la parte di spazio delimitata dagli spigoli cui appartiene il vertice.

Indicando con F il numero di facce, con S il numero di spigoli e con V quello di vertici,
questi oggetti sono collegati dalla relazione di Eulero:

(8.1) F + V − S = 2.

Il poliedro con il numero minore di facce, spigoli e vertici è il tetraedro, formato da


quattro triangoli. Ha quindi F = 4, S = 6 e V = 4. Per ogni altro poliedro i valori di
F , S, e V sono maggiori e verificano la 8.1.

Si definisce poliedro convesso un poliedro tale che ogni segmento che unisce due
vertici qualsiasi del poliedro è interamente contenuto nel poliedro.

Alternativamente un poliedro convesso è identificabile come la parte di spazio delimi-


tata dall’intersezione di un numero finito di semispazi, dove un semispazio è una delle
due parti in cui un piano divide uno spazio.

Si definisce volume V di una figura solida la parte di spazio racchiusa all’interno della
figura.
La superficie totale ST di un poliedro è la somma delle superfici dei poligoni che
ne costituiscono le facce. Generalmente viene scomposta in superficie di base Sb e
superficie laterale Sl .
468 Geometria euclidea solida

La base di un poliedro è una delle facce i cui vertici hanno valenza 3, ovvero una faccia
non contenente il vertice nel caso della piramide o del cono. Alcuni poliedri come cubo,
parallelelipedo e prisma hanno due facce opposte congruenti chiamate entrambi base.
Generalmente le dimensioni che costituiscono la base di un poliedro sono chiamate
larghezza b e profondità l. La distanza tra le due basi costituisce l’altezza h del
poliedro, che nella piramide è invece la distanza tra la base e il vertice.

Un poliedro è detto regolare quando ha per facce poligoni regolari congruenti e ha


tutti gli angoloidi congruenti.

Come i poligoni assumono il proprio nome dal numero n di lati, cosı̀ i poliedri prendono
il nome dal numero F di facce premettendo il suffisso numerale greco al termine edro.
Se F = 4 si ha il tetraedro, se F = 5 il pentaedro, per F = 6 l’esaedro e cosı̀ via fino a
giungere per F = 8 all’ottaedro, per F = 12 al dodecaedro, per F = 20 all’icosaedro,
etc.
Geom. 3D

Gli ultimi tre solidi citati, insieme al cubo (esaedro regolare) e al tetraedro regolare costi-
tuiscono i solidi platonici. Con tale termine ci si riferisce a questi cinque poliedri convessi
regolari. Poiché la somma delle facce di un angoloide deve essere inferiore a un angolo giro
per evitare che le facce siano complanari, si ricava che non esistono altri poliedri regolari. Il
tetraedro è una sorta di piramide a base triangolare, l’ottaedro è ottenibile facendo comba-
ciare le due basi di due piramidi a base quadrata. Questi, insieme all’icosaedro, hanno per
facce triangoli equilateri. Il cubo ha per facce 6 quadrati e il dodecaedro ha per facce dei
pentagoni regolari.

Ogni poliedro regolare ha un centro O, punto dal quale i


vertici e le facce sono equidistanti. Nel centro si intersecano
le diagonali; la distanza di un vertice dal centro è detto
raggio R mentre la distanza di una faccia dal centro è
detta apotema a. Ad eccezione del tetraedro, nei poliedri
regolari si hanno vertici, spigoli e facce opposti, perché
le facce e gli spigoli sono a due a due paralleli. Infine i
centri delle facce di un poliedro regolare sono vertici di un
altro poliedro regolare, detto coniugato o duale al primo.
Ciò accade per il cubo e l’ottaedro e per il dodecaedro e
l’icosaedro.
In questo capitolo oltre ai poliedri saranno trattati
Figura 8.2: Esempio di solido
anche i principali solidi di rotazione: cilindro, cono e sfera. platonico.

Si definisce solido di rotazione o di rivoluzione il solido ottenibile dalla rotazione,


intorno a una retta detta asse di rotazione, di un poligono complanare all’asse stesso.

Per i solidi di rotazione la definizione di volume è identica a quella dei poliedri. Le


superfici verranno invece discusse nelle singole sezioni dedicate a queste figure.
Matematica 469

8.2 Prisma

(a) Prisma (b) Prisma retto

Matematica
(c) Elementi di un prisma
Figura 8.3: Prisma non retto a base rettangolare e prisma retto a base pentagonale.

Si definisce prisma un poliedro formato da due poligoni congruenti, detti basi del
prisma, giacenti su piani paralleli e connessi con un numero di parallelogrammi pari al
numero di lati delle basi. Questi parallelogrammi sono le facce laterali.

La distanza tra le basi è l’altezza h del poliedro. Se questa lunghezza coincide con
uno degli spigoli delle facce laterali, allora il prisma è detto retto. In altri termini un
prisma è retto quando gli spigoli delle facce laterali non appartenenti alle basi sono
perpendicolari ai piani in cui giacciono queste ultime. Un prisma non retto è detto
anche obliquo, come quello rappresentato in Figura 8.3(a).
La superficie totale ST del prisma è composta dalla superificie delle due basi 2Sb
e da quella delle facce laterali Sl . La superficie di ognuna delle facce laterali si ottiene
moltiplicando lo spigolo di base per l’altezza della faccia: sommando tutti questi termini
si ottiene Sl = 2p · h, dove 2p indica il perimetro di base.
Il volume è rappresentato dal prodotto della superficie di base per l’altezza. Per un
prisma qualsiasi valgono quindi le seguenti relazioni
(8.2) ST = 2Sb + Sl , Sl = 2p · h , V = Sb · h .
470 Geometria euclidea solida

8.3 Parallelepipedo

(a) Parallelepipedo dall’esterno (b) Elementi del parallelepipedo


Figura 8.4: Parallelepipedo.

Si definisce parallelepipedo un prisma retto avente per basi due parallelogrammi. Se


Geom. 3D

le basi sono in particolare due rettangoli allora il parallelepipedo è detto parallelepipedo


rettangolo.

Per il parallelepipedo valgono tutte le considerazioni riportate per il prisma. L’area di


base si trova con il prodotto delle due dimensioni di base: larghezza b e profondità l.
Moltiplicando questo prodotto per la terza dimensione, l’altezza h, si ottiene il volume
V . La superficie laterale Sl si trova ancora come prodotto del perimetro per l’altezza,
ma poiché per il rettangolo si ha 2p = 2 · (b + l) si ottengono le seguenti relazioni

(8.3) ST = 2Sb +Sl , Sb = b·l , Sl = 2p·h = 2·(b+l)·h , V = Sb ·h = b·l·h .

Un parallelepipedo ha sia una diagonale di base d, coincidente con la diagonale del


poligono di base, sia una diagonale D. Entrambe si determinano applicando il teorema
di Pitagora: d si trova applicando Pitagora a b e l, mentre D si trova applicando
Pitagora a d e a h. Si ottengono le relazioni
p p p
(8.4) d = b2 + l2 , D = d2 + h2 = b2 + l2 + h2 .

8.4 Cubo

Si definisce cubo un parallelepipedo rettangolo avente tutte le facce congruenti, cioè


le tre dimensioni congruenti. Il cubo è un esaedro regolare ed è uno dei solidi platonici.

Per il cubo valgono tutte le considerazioni riportate per il prisma e il parallelepipedo.


L’area di base è l’area di un quadrato, quindi Sb = l2 . Il volume è ancora Sb · h ma
poiché h = l si ha V = l3 . Per la superficie laterale, considerando che il perimetro di
base è 2p = 4l si ottiene sl = 2p · h = 4l2 .
Matematica 471

(a) Cubo dall’esterno (b) Elementi del cubo


Figura 8.5: Cubo.

Per il cubo si hanno quindi le seguenti relazioni


(8.5) ST = 2Sb + Sl = 6l2 , Sb = l2 , Sl = 2p · h = 4l2 , V = Sb · h = l3 .

Matematica
Anche il cubo ha sia una diagonale di base d, coincidente con la diagonale del quadrato,
sia una diagonale D. Entrambe si determinano applicando il teorema di Pitagora: d
si trova applicando Pitagora a due lati di base che misurano entrambi l, mentre D si
trova applicando Pitagora a d e a h, che a sua volta è ancora l. Si ottengono le relazioni
p √ p p √
(8.6) d = l2 + l2 = l 2 , D = d2 + h2 = l2 + l2 + l2 = l 3 .

8.5 Piramide

(a) Piramide dall’esterno (b) Elementi della piramide


Figura 8.6: Piramide a base quadrata.

Si definisce piramide un poliedro avente un poligono per base e come facce laterali
tanti triangoli quanti sono i lati del poligono di base: ognuno di tali triangoli ha per
lati uno spigolo di base e due segmenti che congiungono due vertici di base consecutivi
con un punto comune detto vertice V (o apice) che non giace nel piano della base.

L’area di base Sb è l’area del poligono di base. Si hanno piramidi a base triangola-
re, quadrangolare, rettangolare, pentagonale, esagonale e cosı̀ via. La formula per Sb
472 Geometria euclidea solida

dipende dal poligono di base. L’altezza h è la distanza tra il vertice V e la base.


Se si può inscrivere una circonferenza nel poligono di base e h congiunge V con il centro
della circonferenza la piramide è detta piramide retta, come quella rappresentata nella
Figura 8.6. La proiezione di V sul piano di base è detta piede.
Il segmento che congiunge V con il punto medio di un lato della base è detto
apotema a. Poiché l’apotema a rappresenta l’altezza dei triangoli delle facce laterali,
per trovare la superficie di una di queste facce si deve considerare il semiprodotto di a
per il lato. Ne deriva che la superficie laterale è il semiprodotto del perimetro 2p per
a. Il volume V è invece un terzo del volume di un prisma retto avente la stessa base
della piramide.
L’apotema a, l’altezza h e il raggio r della circonferenza inscritta nel poligono di
base formano un triangolo rettangolo cui si può applicare il teorema di Pitagora per
ricavare una di queste lunghezze note le altre due.
Per la piramide si hanno le seguenti relazioni

2p · a
ST = Sb + Sl , Sl = = p · a,
(8.7) 2
Geom. 3D

Sb · h p p
V = , a = h2 + r2 , h = a2 − r2 .
3

8.6 Cilindro

(a) Cilindro (b) Cono


Figura 8.7: Solidi di rotazione.
La definizione di cono e cilindro può essere data in almeno tre diversi modi. Nel seguito
sceglieremo quello più diretto.

Si definisce cilindro un solido di rotazione ottenuto dalla rotazione completa di un


rettangolo intorno a uno dei suoi lati.

La retta sostegno del lato attorno cui ruota il cilindro è detta asse del cilindro. Il
lato parallelo a quello giacente lungo l’asse definisce la superficie laterale del cilindro
attraverso la sua rotazione. L’altra coppia di lati paralleli del rettangolo ruotando
descrive le due circonferenze di base che sono perpendicolari all’asse.
Matematica 473

La retta sostegno del lato attorno cui avviene la rotazione e la retta sostegno del lato parallelo
al primo sono anche dette rette generatrici. Considerando la rotazione di tutte queste due
rette si ottiene una superficie cilindrica indefinita. Per ottenere da essa il cilindro occorre
tagliarla con due piani paralleli perpendicolari all’asse che identificano le due circonferenze di
base attraverso l’intersezione con la superficie cilindrica.

La distanza tra le due basi è l’altezza h del cilindro. Se il diametro di base d = 2r è


pari all’altezza h, cioè se h = 2r, allora il cilindro è detto equilatero.

Si può definire il cono e il cilindro anche attraverso la proiezione dei punti di una circonferenza
generatrice da un punto non complanare con la circonferenza detto vertice. Nel caso del cono
il vertice è un punto proprio e coincide con il vertice del cono, nel caso del cilindro il vertice
è un punto improprio: il cilindro è un cono con vertice all’infinito.

Per il cilindro si hanno le seguenti relazioni

(8.8) ST = 2Sb + Sl , Sl = 2πr · h , V = Sb · h = πr2 · h .

Matematica
8.7 Cono

Si definisce cono un solido di rotazione ottenuto dalla rotazione completa di un


triangolo rettangolo intorno a uno dei suoi cateti.

La retta sostegno del lato attorno cui ruo-


ta il cilindro è detta asse del cilindro. Il
lato non perpendicolare all’asse definisce la
superficie laterale del cilindro attraverso la
sua rotazione. Il lato perpendicolare all’as-
se ruotando descrive il cerchio di base che è
perpendicolare all’asse.

Se si considerano la retta sostegno del cateto at-


torno cui avviene la rotazione e la retta ad essa
incidente nel vertice V , queste sono anche det-
te rette generatrici. La rotazione completa della
seconda attorno alla prima definisce una superfi-
cie conica indefinita. Per ottenere da essa il cono
occorre tagliarla con un piano perpendicolare al-
l’asse di rotazione che identifica la circonferenza
di base attraverso l’intersezione con la superficie
conica.

La distanza tra il vertice V e la base è l’al- Figura 8.8: Esempio di cono.


tezza h del cono. La distanza tra il vertice V
e uno dei punti della circonferenza di base è detta apotema a. Se l’apotema a è pari
al diametro di base d = 2r, cioè se a = 2r, allora il cono è detto equilatero.
474 Geometria euclidea solida

Per il cono si hanno quindi le seguenti relazioni


(8.9)
Sb · h πr2 · h
Sb = πr2 , Sl = πr · a , ST = Sb + Sl = πr(r + a) , V = = .
3 3
Come per la piramide, anche nel cono h, a e raggio r di base formano un triangolo
rettangolo: applicando ad esso il teorema di Pitagora si può ricavare una delle tre
lunghezze note le altre due.

p p p
(8.10) a= h2 + r2 , h= a2 − r 2 , r= a2 − h2 .

Nel √caso di cono equilatero le formule si semplificano: Sl = 2πr2 , ST = 3πr2 e V =


πr3 3/3.

8.8 Sfera
Geom. 3D

(a) Sfera (b) Segmenti circolari


Figura 8.9: Sfera e segmenti circolari.

Si definisce sfera un solido di rotazione ottenuto dalla rotazione completa di una


semicirconferenza intorno al suo diametro.

La retta sostegno del diametro è l’asse di rotazione. La sfera è il luogo geometrico dei
punti dello spazio equidistanti dal centro O della sfera.
Nella sfera non si ha distinzione tra superficie di base e laterale, in quanto non si
hanno basi. La definizione di volume è la stessa data per i poliedri. Si hanno le seguenti
relazioni
4 3
(8.11) ST = 4πr2 , V = πr .
3
Intersecando con un piano la sfera, questa viene divisa in due parti chiamate calotte
sferiche. Se la sezione della sfera avviene nel piano contenente il diametro le due calotte
sono dette emisferi. Il volume compreso tra la calotta sferica e il piano secante che
l’ha originata è detto segmento sferico.
Matematica 475

La superficie Sl della calotta sferica è data dal prodotto della lunghezza della circonfe-
renza massima ad essa appartenente per l’altezza h della calotta, intesa come distanza
massima tra il piano secante e la calotta stessa.
Si dimostra che per un segmento sferico a una base, rappresentato dalla porzione
di sfera che si trova sopra il cerchio di centro O0 di Figura 8.9(b), valgono le seguenti
relazioni
1 2
(8.12) Sl = 2πr · h0 , V = πh (3R0 − h0 ) .
3
Se si interseca una sfera con due piani paralleli si ottiene una zona sferica, il volume
all’interno della quale rappresenta il segmento sferico a due basi. Le basi sono i
due cerchi ottenuti dall’intersezione dei due piani con la sfera.
La definizione di superficie laterale della zona sferica è la stessa di quella della
calotta sferica. Indicando con h la distanza tra i due cerchi della zona, si dimostra che
per un segmento sferico a due basi, rappresentato dalla porzione di sfera compresa tra
il cerchio di centro O e quello di centro O0 di Figura 8.9(b), valgono le seguenti relazioni

Matematica
 2 
π h
(8.13) Sl = 2πr · h , V = h + R2 + R02 .
2 3

Si definisce fuso sferico la parte di superficie sferica delimitata da due semipiani aventi lo
stesso diametro come retta di origine. Un esempio di fuso sferico è dato approssimativamente
dalla parte di superficie terrestre compresa tra due meridiani.
Il volume racchiuso in un fuso sferico è detto spicchio sferico.

8.9 Tronco di piramide

(a) Tronco di piramide (b) Elementi del tronco di piramide


Figura 8.10: Tronco di piramide.

Si definisce tronco di piramide un poliedro ottenuto dalla sezione di una piramide con
un piano parallelo alla base. La parte di piramide compresa tra il piano secante e la
base costituisce il tronco di piramide.
476 Geometria euclidea solida

Il poligono delimitato dall’intersezione del piano secante con la piramide è simile alla
base ed è detto base minore, mentre la base originaria della piramide è ora detta base
maggiore. La distanza tra le due basi è l’altezza h del tronco. Le facce laterali sono
trapezi e la loro altezza è l’apotema a del tronco. Indicando con Sb la superficie della
base maggiore e con Sb quella della base minore, per il tronco di piramide si hanno le
seguenti relazioni che discendono da quelle della piramide:

2p + 2p h 
(8.14) ST = Sb + Sb + Sl , Sl = , V = (Sb + Sb + Sb · Sb ) .
2 3

8.10 Tronco di cono

Si definisce tronco di cono un solido di rotazione ottenuto dalla sezione di un cono


con un piano parallelo alla base. La parte di cono compresa tra il piano secante e la
base costituisce il tronco di cono.
Geom. 3D

Il piano secante intersecandosi con il cono indivi-


dua un cerchio detto base minore, mentre la base
originaria del cono è ora detta base maggiore. La
distanza tra le due basi è l’altezza h del tronco.
Il tronco di cono può essere immaginato come
ottenuto dalla rotazione completa di un trapezio
rettangolo intorno al lato che è perpendicolare a en-
trambi i lati paralleli del trapezio, cioè alle basi del
trapezio. Il lato obliquo del trapezio rettangolo che
genera il tronco di cono costituisce l’apotema a del Figura 8.11: Tronco di cono.
tronco di cono. Indicando con Sb la superficie della
base maggiore e con Sb quella della base minore, per il tronco di cono si hanno le
seguenti relazioni che discendono da quelle del cono:
πh 2
(8.15) ST = Sb + Sb + Sl = πR2 + πR2 + πa(R + R ) , V = (R + R2 + R · R ) .
3

8.11 Quesiti

1) La relazione di Eulero è: B parallelepipedo

A F +V −S =2 C tetraedro

B F −V +S =2 D ottaedro

C F −V −S =2 E icosaedro

D F +V +S =2 3) Quale delle seguenti definizioni di


parallelepipedo è corretta?
E F + V − S = −2
A un parallelepipedo è un prisma avente
2) Quale tra i seguenti non è un solido
per basi due parallelogrammi
platonico?
B un parallelepipedo è un prisma avente
A cubo per basi due rettangoli
Matematica 477

C un parallelepipedo è un prisma retto C al rapporto tra l’altezza della calotta


avente per basi due parallelogrammi e la lunghezza del diametro massimo
D un parallelepipedo è un prisma retto appartenente alla calotta
avente per basi due rettangoli D al prodotto tra l’altezza della calotta
E un parallelepipedo è un prisma retto e la lunghezza del diametro massimo
avente per basi due quadrati appartenente alla calotta

4) La diagonale di un cubo di spigolo l è: E una calotta sferica indica un volume e


non è quindi dotata di superficie laterale
A un cubo non è dotato di diagonale
8) Il tronco di piramide è ottenibile da una
B coincidente con la diagonale del quadra-
piramide intersecandola con:
to

C l 5 A un piano passante per l’altezza

D l 3 B un piano parallelo all’altezza

E l 2
C un piano parallelo alla base
5) La superficie laterale di una piramide
D un piano passante per la base
retta è:
E due piani incidenti
A non definibile perché la piramide è retta

Matematica
B p·h 9) Il tronco di cono è ottenibile dalla
rotazione completa intorno a un suo lato:
C 2p · a
D 2p · h A di un triangolo equilatero
E p·a B di un triangolo qualsiasi
6) Un cono è equilatero quando: C di un trapezio qualsiasi
A a = 2h D di un trapezio rettangolo
B a = 2r E di un triangolo isoscele
C h = 2r
10) Quale relazione matematica lega l’apo-
D a=h=r
tema di un cono con il raggio della sua
E solo il cilindro può essere equilatero e base?
non il cono
A nessuna relazione matematica, sono
7) La superficie laterale di una calotta parametri che individuano i diversi coni
sferica è pari:
B il primo teorema di Euclide
A al prodotto tra l’altezza della calotta e
la lunghezza della circonferenza massima C il secondo teorema di Euclide
appartenente alla calotta
D il teorema di Pitagora
B al rapporto tra l’altezza della calotta e
la lunghezza della circonferenza massima E solo una piramide ha un apotema, il cono
appartenente alla calotta ne è sprovvisto

8.12 Risposte commentate ai quesiti


1) La relazione di Eulero connette il numero di facce F , di vertici V e di spigoli S di
un poliedro. L’unica risposta corretta è la A .

2) I solidi platonici sono poliedri regolari, cioè aventi le facce congruenti e gli ango-
loidi congruenti. Gli unici poliedri tali sono 5: il cubo, il tetraedro, l’ottaedro, il
dodecaedro e l’icosaedro. Si ricava che la risposta corretta è la B .
478 Geometria euclidea solida

3) In base alla definizione si ha che la risposta corretta è la C . La D e la E van-


no escluse perché troppo restrittive, mentre le alternative restanti vanno scartate
perché in esse manca l’aggettivo retto.

4) La A va esclusa in quanto errata: il cubo ha vertici non adiacenti. La B e la


E sono coincidenti e quindi devono essere entrambe false. Dal teorema di Pitagora
si ricava che la risposta corretta è la D .
5) La superficie laterale si ottiene come somma delle superfici dei triangoli che costi-
tuiscono le facce laterali. Per un triangolo la superficie è il semiprodotto della base
per l’altezza e per le facce laterali l’altezza è l’apotema a. Si ricava che la risposta
corretta è la E .
6) La E va esclusa immediatamente perché anche il cono può essere equilatero, ciò si
verifica quando l’apotema è congruente al diametro di base. Si ricava che la risposta
corretta è la B .
7) La E va esclusa in quanto confonde il segmento sferico con la calotta sferica. Delle
altre quattro alternative in base a considerazioni dimensionali si possono escludere
Geom. 3D

la B e la C . La risposta corretta è la A .

8) La A è da escludere in quanto sono infiniti i piani passanti per l’altezza e un criterio


cosı̀ arbitrario non si addice alla geometria euclidea. Per lo stesso motivo anche la
B può essere scartata. La E si può escludere perché basta un solo piano secante
per delimitare il tronco di piramide. La D presenta di nuovo ambiguità: la risposta
corretta è la C .
9) La A , la B e la E vanno escluse in quanto la rotazione di un triangolo genera
un cono, per generare un tronco di cono occorre far ruotare un trapezio rettangolo
intorno al lato opposto a quello obliquo: la risposta corretta è la D .
10) La A e la E vanno escluse in quanto palesemente errate. Delle restanti tre la
costruzione geometrica della figura porta a intuire che la risposta corretta è la D .
Geometria analitica
9
Introduzione
In questo capitolo verranno discussi i principali luoghi geometrici descritti nel piano
cartesiano. La prima parte riguarda una trattazione dettagliata della retta, che consente
anche di familiarizzare con il formalismo della geometria analitica che rappresenta un
connubio tra proprietà geometriche e algebriche degli oggetti matematici descritti.
La seconda parte riguarda le coniche, ovvero riporta definizioni e proprietà di para-
bola, ellisse, circonferenza ed iperbole. Eventuali altri luoghi geometrici possono essere
affrontati in geometria analitica con la stessa logica e le stesse procedure mostrate per
retta e coniche.

9.1 Piano cartesiano

Si definisce piano cartesiano l’insieme di due rette orientate ortogonali che si intersecano
in un punto detto origine O del piano. La retta orizzontale si chiama asse delle ascisse,
in genere indicato con asse x, la retta verticale si chiama asse delle ordinate o asse y.
Di solito conviene utilizzare le stesse unità di misura su entrambi gli assi, sebbene ciò
non sia obbligatorio.

I due assi dividono il piano in quattro quadranti.


Per convenzione il quadrante in alto a destra, ov-
vero quello corrispondente a valori positivi sia delle
ascisse che delle ordinate, è chiamato primo qua-
drante. Quello in alto a sinistra, corrispondente a
valori positivi delle ordinate e negativi delle ascis-
se, è chiamato secondo quadrante. Quello in basso
a sinistra, corrispondente a valori negativi sia delle
ascisse che delle ordinate, è il terzo quadrante. Quel-
lo in basso a destra, corrispondente a valori negativi
delle ordinate ma positivi delle ascisse, è il quarto
quadrante.
Poiché è stretto il legame tra il piano cartesia-
no e un sistema di riferimento in due dimensioni si
consiglia di guardare le sezioni 2.2 e 2.3 del secondo
capitolo della parte di fisica. Figura 9.1: Esempio pratico di riferi-
Grazie all’introduzione delle unità di misura su- mento cartesiano: per indicare una certa
finestra occorre determinare numero di
gli assi l’operazione di proiezione consente di as- piano (asse y) e ordine da una delle due
sociare ad ogni punto una coppia ordinata di reali, estremità dell’edificio (asse x).
480 Geometria analitica

chiamati coordinate del punto: il primo numero in-


dica la corrispondente ascissa, il secondo l’ordinata. Per determinare la coordinata
x di punto si proietta il punto sull’asse x attraverso una retta parallela all’asse y che
congiunga il punto con l’asse delle ascisse. Il valore dell’intersezione tra tale retta e
l’asse x è l’ascissa del punto. In modo analogo si determina la coordinata y.
Un esempio di piano cartesiano è rappresentato dalla Figura 9.3.

I punti appartenenti all’asse delle ascisse hanno ordinata nulla, mentre quelli dell’asse
delle ordinata hanno ascissa nulla. L’origine ha coordinate O = (0, 0).

9.2 Distanza tra due punti


In generale la distanza è una funzione definita
positiva, cioè non ha senso parlare di distanze
negative. È inoltre un operatore binario sim-
Geom. Anal.

metrico, ovvero la distanza tra il punto P e


il punto Q è uguale a quella tra Q e P , per
qualunque coppia di punti P e Q del piano:
d(P, Q) = d(Q, P ).
Esiste una definizione di distanza tra due
punti che vale per qualsiasi coppia di punti, Figura 9.2: La distanza tra due punti è il seg-
ma conviene adoperare una procedura sem- mento più breve che li congiunge (geodetica): se i
plificata nel caso i due punti giacciano su una punti appartengono a curve il segmento è perpen-
dicolare a entrambe le curve, come nei sostegni
stessa retta orizzontale o verticale. della struttura.

Se due punti hanno la stessa ascissa la loro distanza è il valore assoluto della differenza
delle loro ordinate. Se hanno la stessa ordinata è il valore assoluto della differenza delle
loro ascisse.

Nel caso i due punti giacciano su una retta obliqua si può adoperare invece una formula
la cui validità permane anche nei casi precedenti.

La formula generica della distanza tra due punti del piano non è altro che il teorema
di Pitagora: la distanza tra due punti è l’ipotenusa di un triangolo rettangolo avente la
differenza delle ascisse e quella delle ordinate come cateti.

q
(9.1) P Q = d(P, Q) = (xP − xQ )2 + (yP − yQ )2 .

I seguenti esempi possono chiarire l’utilizzo delle tre formule discusse:


Matematica 481

Dati i punti A = (2, 3) , B = (2, 5) , C = (1, 3) si ha

d(A, B) = |yA − yB | = |3 − 5| = 2 , d(A, C) = |xA − xC | = |2 − 1| = 1 ,


p p
(9.2) d(B, C) = (xB − xC )2 + (yB − yC )2 = (2 − 1)2 + (5 − 3)2 =
p √ √
= (1)2 + (2)2 = 1 + 4 = 5 .

La validità delle formule può essere controllata grazie alla Figura 9.3.

Matematica
Figura 9.3: Rappresentazione nel piano cartesiano dei punti A, B e C e dei punti medi dei rispettivi
segmenti.

9.3 Punto medio di un segmento


Dalla geometria euclidea si sa che un segmento è l’insieme dei punti allineati compresi
tra due estremi.

Il punto medio M di un segmento è il punto equidistante dagli estremi del segmento.

Nel caso il segmento sia orizzontale l’ordinata del punto medio coincide con l’ordinata
degli estremi mentre la sua ascissa è la media aritmetica delle ascisse degli estremi. Se
il segmento è verticale l’ascissa di M è la stessa ascissa degli estremi mentre la sua
ordinata è la media aritmetica delle ordinate degli estremi.

In generale le coordinate del punto medio M di un segmento di estremi A e B sono le


medie aritmetiche delle corrispondenti coordinate degli estremi.

xA + xB yA + yB
(9.3) xM = , yM = .
2 2
482 Geometria analitica

Dati i segmenti AB, AC e BC con A = (2, 3) , B = (2, 5) , C = (1, 3), detti D, E e F i


rispettivi punti medi, come illustrato nella Figura 9.3, si ha
2+2 3+5
AB =⇒ xD = = 2 , yD = = 4,
2 2
2+1 3 3+3
(9.4) AC =⇒ xE = = , yE = = 3,
2 2 2
2+1 3 5+3
BC =⇒ xF = = , yF = = 4.
2 2 2

9.4 Luoghi geometrici

Un luogo geometrico è un insieme di punti del piano che soddisfano una certa proprietà.
In geometria analitica tale proprietà è espressa tramite una relazione matematica che
collega le coordinate dei punti del luogo geometrico.
Geom. Anal.

In geometria analitica, dunque, un luogo geometrico è rappresentato da un’equazione,


detta appunto equazione rappresentativa del luogo geometrico. Questa equazione
contiene di solito la x, la y e termini noti. Questa relazione analitica consente con
un’unica formula di intendere gli infiniti punti che compongono il luogo geometrico. La
x e la y stanno rispettivamente per l’ascissa e l’ordinata dei punti del luogo.

Appartengono a un luogo geometrico tutti e soli i punti le cui coordinate soddisfano


l’equazione del luogo geometrico.

Nel seguito verranno illustrati i seguenti luoghi geometrici: la retta, l’asse di un seg-
mento, la parabola, l’ellisse, la circonferenza e l’iperbole. Esistono comunque infiniti
luoghi geometrici, uno per ogni proprietà valida per i punti del piano cartesiano.

Tenendo conto anche della terza dimensione, ovvero della coordinata cartesiana z, si può
studiare la geometria analitica dello spazio, che estende quella del piano trattata in questo
capitolo. Nello spazio si definisce luogo geometrico un insieme di punti le cui coordinate
soddisfano una relazione analitica che può contenere le tre coordinate.

Un luogo geometrico può anche essere formato da un solo punto: il luogo geometrico dei
punti del piano equidistanti dai vertici di un triangolo, ad esempio, consiste dell’unico
punto chiamato circocentro.

9.5 Equazione della retta

La retta è un ente fondamentale della geometria euclidea. Si può anche definire come
luogo geometrico dei punti equidistanti da due punti dati.
Matematica 483

Figura 9.4: Retta nel piano cartesiano e coefficiente angolare.

Una retta è un insieme infinito e illimitato di punti del piano in cui giace. Per conven-
zione si assegnano alle rette nomi composti da lettere latine minuscole, come r, s, t,
etc. La sua equazione rappresentativa ha due forme: una forma implicita e una forma
esplicita.

Matematica
La forma implicita dell’equazione di una retta è ax + by + c = 0 con a, b e c ∈ R e
almeno a o b non nulli.

Ad esempio 2x − y + 1 = 0 è la retta r. Per verificare se un punto appartiene o meno


a una retta basta sostituire le sue coordinate all’equazione rappresentativa della retta
e controllare che questa diventi un’identità. Se ciò non accade il punto non appartiene
alla retta.

Ad esempio il punto A = (2, 3) non appartiene a r, infatti sostituendo si ha 2·2−1·3+1 = 0


cioè 1 = 0 che non è un’identità. È facile verificare che sia il punto B che il punto C
dell’esempio precedente appartengono alla retta, come si può anche vedere dalla Figura
9.4.

Per gli esercizi e per stabilire rapporti tra rette conviene utilizzare la forma esplicita
dell’equazione della retta.

La forma esplicita dell’equazione di una retta è y = mx + q con m e q ∈ R. La m


è il coefficiente angolare della retta, mentre la q è l’ordinata del punto di intersezione
tra la retta e l’asse y.

Il coefficiente angolare m esprime la pendenza della retta: se è nullo (m = 0) la retta


è orizzontale; se è positivo (m > 0) la retta ha pendenza verso l’alto, ovvero per
sovrapporsi ad essa descrivendo l’angolo minore l’asse delle ascisse deve ruotare in
senso antiorario; se è negativo (m < 0) la retta ha pendenza negativa. La retta r di
Figura 9.4 ha pendenza positiva, infatti per essa m = 2.
484 Geometria analitica

Con la convenzione che l’angolo α formato dalla retta con l’asse delle ascisse è positivo quando
quest’ultimo deve ruotare in senso antiorario per sovrapporsi alla retta descrivendo un angolo
minore e negativo nel caso opposto, si definisce m come la tangente dell’angolo α: m = tgα.

La tangente è il rapporto tra seno e coseno. Per l’angolo α il seno corrisponde alla
differenza tra le ordinate di due punti qualsiasi di r e il coseno alla corrispondente
∆y
differenza delle ascisse, si ha quindi l’utile formula m = ∆x . Nella Figura 9.4 l’area
evidenziata mostra appunto le differenze tra le coordinate di due punti arbitrari di r,
dai cui valori si può ricavare che m = 2/1 = 2.

Per passare dalla forma implicita alla forma esplicita basta usare l’algebra per portare
la forma implicita a coincidere con quella esplicita. È agevole verificare che il passaggio
si ottiene con le posizioni m = −a/b e q = −c/b.

L’intercetta q si determina ponendo x = 0 nell’equazione esplicita della retta: il valore


della y determinato in tal caso esprime il valore di q.
Geom. Anal.

Determinare una retta significa conoscere i due numeri reali m e q, ragion per cui
servono due equazioni indipendenti per determinare queste due incognite. Ogni equa-
zione è data da una condizione, ad esempio che un punto appartenga alla retta o
che la retta sia parallela o perpendicolare ad un’altra retta di equazione nota.

Solitamente conviene prima determinare la m e poi sostituire le coordinate di uno dei


punti appartenenti alla retta all’interno dell’equazione rappresentativa e ricavare la q.

In particolare le rette orizzontali hanno equazione y = k con k ∈ R e tra queste


l’asse delle ascisse ha equazione y = 0; le rette verticali hanno equazione x = k
con k ∈ R e tra queste l’asse delle ordinate ha equazione x = 0.

Se si indicano con q l’intersezione con l’asse y e con p quella con l’asse x, allora si può
scrivere l’equazione segmentaria della retta, che ha la forma xp + yq = 1.

9.6 Rette parallele e perpendicolari

Figura 9.5: Le rette r ed s sono parallele, la retta t è perpendicolare ad entrambe.


Matematica 485

Dai postulati della geometria euclidea piana, in particolare dal quinto, si ha che due
rette sono parallele se non hanno punti in comune. Ciò si traduce nell’affermare che
due rette parallele formano lo stesso angolo con l’asse delle ascisse e quindi hanno lo
stesso coefficiente angolare m.

Dunque la retta r e la retta s sono parallele se e solo se mr = ms . Ad esempio la retta


r : y = 2x + 1 e la retta s : y = 2x − 1 sono parallele, la retta t : y = −(1/2)x + 4 non
è parallela né a r né a s.

Due rette r e t sono perpendicolari quando intersecandosi formano quattro angoli retti.
Ricorrendo alla definizione di prodotto scalare applicata ai versori che definiscono le
direzioni delle rette si dimostra che la perpendicolarità tra due rette si ha quando il coef-
ficiente angolare dell’una è l’opposto del reciproco del coefficiente angolare dell’altra,
ovvero se e solo se mr = −1/mt .

Matematica
Si può anche affermare che due rette sono perpendicolari quando il prodotto dei loro
coefficienti angolari è −1: mr · mt = −1. Ad esempio la retta r : y = 2x + 1 e la retta
t : y = −(1/2)x + 4 sono perpendicolari, come mostrato nella Figura 9.5.

Data la condizione di parallelismo e stanti le relazioni di passaggio dalla forma implicita a


quella esplicita per il coefficiente angolare (m = −a/b) e per l’intercetta (q = −c/b), si può
stabilire dalle equazioni di due rette la loro posizione reciproca, ovvero se esse sono parallele
e distinte, coincidenti o incidenti.
parallele e distinte: hanno lo stesso m ma q diversa. In termini impliciti le rette r e
s sono parallele e distinte quando aars = bbrs 6= ccrs ;
coincidenti: hanno stesso m e stessa q. In termini impliciti le rette r e s sono coincidenti
quando aars = bbrs = ccrs ;
incidenti: non hanno lo stesso m. In termini impliciti le rette r e s sono incidenti
quando aars 6= bbrs .

9.7 Retta passante per due punti


Se si cerca l’equazione di una retta passante per due punti di coordinate note si può
procedere in due modi.

Si mettono a sistema l’equazione della retta con m e q generici ma con le coordi-


nate del primo punto al posto delle variabili e l’equazione della retta ancora con
m e q generici ma con le coordinate del secondo punto al posto delle variabili. Si
ottiene in tal modo un sistema di due equazioni nelle due variabili m e q, che può
essere risolto in uno qualsiasi dei modi indicati nella sezione 4.6.
∆y
Usando la relazione m = ∆x si determina la m sostituendo alle ascisse e alle
ordinate quelle dei due punti noti. Una volta determinato il coefficiente angolare
486 Geometria analitica

si scrive l’equazione della retta in forma esplicita inserendo il valore di m de-


terminato e sostituendo alla x e alla y le coordinate di uno dei due punti noti.
Si ottiene un’equazione nell’incognita q, risolvendo la quale si trova l’equazione
della retta cercata.

Dati i punti A = (2, 3) e B = (2, 5), determiniamo la retta passante per essi. Con il primo
metodo si ha
( ( (
3 = 2m + q q = 3 − 2m q = 3 − 2m
(9.5) =⇒ =⇒
5 = 2m + q 5 = 2m + 3 − 2m 5 =3

Si scopre che il sistema è impossibile. Ciò non deve stupire, in quanto i due punti hanno la
stessa ascissa, quindi giacciono su una retta verticale. Le rette verticali hanno equazione
y = k con k ∈ R.
Scegliamo dunque di determinare la retta r passante per il punto B precedente e il punto
C = (1, 3).
Geom. Anal.

( ( (
5 = 2m + q q = 5 − 2m q =1
(9.6) =⇒ =⇒
3 =m+q 3 = m + 5 − 2m m =2

Si noti che l’equazione coincide con quella determinata in precedenza. Applicando il


secondo metodo si ha
∆y yC − yB 3−5 −2
m= = = = =2
(9.7) ∆x xC − xB 1−2 −1

3=2·1+q =⇒ q =3−2=1

I risultati ottenuti coincidono con quelli determinati nell’altro metodo, ma in genere


quest’ultima procedura è più agevole e veloce.

Per completezza riportiamo la formula diretta per la determinazione di una retta


passante per due punti A e B di coordinate date:
y − yA x − xA
(9.8) = .
yB − yA xB − xA

9.8 Retta passante per un punto con m fissato


Per fissare m in genere si richiede che la retta da trovare oltre a passare per un certo
punto sia parallela o perpendicolare ad una retta di equazione data.
Al solito per determinare una retta bisogna imporre due condizioni onde trovare i
valori di m e q. In primo luogo si pone m pari al coefficiente angolare cercato, quindi
uguale a quello della retta data in caso di parallelismo o opposto al reciproco di quello
della retta data in caso di perpendicolarità.
In secondo luogo per determinare la q basta sostituire il coefficiente angolare trovato
nell’equazione generica della retta e inserire le coordinate del punto dato al posto di y e
di x. Si ottiene un’equazione nell’incognita q la cui soluzione consente la determinazione
completa della retta.
Matematica 487

Dato il punto A = (2, 3) e la retta t : y = −(1/2)x + 4, determiniamo la retta s


passante per A e perpendicolare alla retta t. La condizione di perpendicolarità implica
che ms · mt = −1 da cui si ricava ms = 2.
Imponendo che A appartiene alla retta si ha

(9.9) 3=2·2+q =⇒ q = 3 − 4 = −1 =⇒ s : y = 2x − 1 .

Le rette s e t sono rappresentate in Figura 9.5.

9.9 Fasci di rette

Matematica
Figura 9.6: A sinistra fascio proprio di
rette passanti per un punto, a destra
fascio improprio di rette.

Esistono due tipi di fasci di rette: i fasci propri e i fasci impropri; entrambi sono
composti da un’infinità di rette.

Fascio proprio Per fascio proprio si intende il fascio di rette passanti per un
punto P di coordinate note (xP , yP ), chiamato centro del fascio.
L’equazione del fascio proprio è

(9.10) y − yP = k(x − xP ) con k ∈ R0 .

Rette appartenenti a un fascio proprio hanno come punto di intersezione il centro del fascio.
L’angolo α formato da due qualsiasi rette r e t del fascio è
  
mr −mt
arctg 1+m

r ·mt
rette note in forma esplicita
(9.11) α=  
arctg ar bt −at br
 rette note in forma implicita
ar at +br bt

Fascio improprio Per fascio improprio si intende il fascio di rette parallele ad


un retta data di cui si conosce il coefficiente angolare.
L’equazione del fascio improprio di rette (non parallele all’asse y) è

(9.12) y = mx + k con k ∈ R0 .
488 Geometria analitica

Le varie rette, avendo lo stesso coefficiente angolare perché tutte parallele, differiscono
soltanto per il valore dell’intercetta q. Per selezionare una specifica retta del fascio,
cioè per fissare un determinato valore del parametro k si deve imporre una condizione
ulteriore, ad esempio il passaggio per un punto di coordinate date. Scegliendo k = 0 si
ottiene la retta passante per l’origine, detta retta base del fascio.

Se ad esempio si vuole determinare l’equazione della retta del fascio proprio passante per
il punto A = (2, 3) che passa anche per l’origine O si può scrivere l’equazione del fascio di
rette passanti per A: y − 3 = k(x − 2), che svolgendo i prodotti diventa y = kx + 3 − 2k,
ovvero una retta con m = k e q = 3 − 2k. Poiché la retta cercata ha intercetta q = 0 si
pone 3 − 2k = 0 e si ottiene k = 3/2.

La correttezza del risultato si può anche ricavare applicando la formula 9.8 usando i
punti A e O.

L’ultima considerazione fa anche capire che esistono di solito due o tre strade possibili
per risolvere un problema di geometria analitica, sta al lettore decidere quale sia la
Geom. Anal.

migliore in base alla situazione.

9.10 Distanza di un punto da una retta


Esistono due formule per determinare la distanza di un punto da una retta, una da
applicare nel caso si conosca l’equazione implicita della retta e una nel caso si conosca
l’equazione esplicita. Indichiamo con x0 e y0 le coordinate del punto prescelto.
Nel caso si conosca la forma implicita della retta la formula è la seguente:
|ax0 + by0 + c|
(9.13) d= √ .
a2 + b2
Nel caso si conosca la forma esplicita della retta la formula è la seguente:
|y0 − (mx0 + q)|
(9.14) d= √ .
1 + m2

Determiniamo la distanza tra il punto A = (2, 3) e la retta r di equazione y = 2x + 1,


entrambi rappresentati nella Figura 9.5.

|3 − (2 · 2 + 1)| |3 − 5| 2
(9.15) d= √ √ = √ ≈ 0, 89 .
1+2 2 1+4 5

9.11 Asse di un segmento e bisettrice

Si definisce asse di un segmento la retta passante per il punto medio M del segmento
e perpendicolare alla retta su cui giace il segmento.
Matematica 489

Conoscendo gli estremi del segmento si


può usare la formula m = ∆y/∆x per
ricavare il coefficiente angolare della
retta su cui giace il segmento e quindi
determinare quello dell’asse (che sarà
l’opposto dell’inverso).
Ricavando le coordinate del punto
medio M attraverso le relazioni 9.3, si
può usare la procedura indicata nel-
la sezione 9.8 per scrivere l’equazione Figura 9.7: Rappresentazione dell’asse del segmento
BC e della bisettrice dell’angolo formato dall’asse con
dell’asse. un’altra retta passante per M .
Alternativamente, detti A e B gli
estremi del segmento si può applicare direttamente la seguente formula:

(9.16) (x − xA )2 + (y − yA )2 = (x − xB )2 + (y − yB )2 .

La formula 9.16 non è altro che la definizione di asse: la distanza tra due punti è infatti

Matematica
esprimibile attraverso il teorema di Pitagora, cioè dalla relazione 9.1. Eguagliando le
due distanze della definizione dopo aver elevato ambo i membri al quadrato si ottiene
la 9.16.

Se ad esempio si vuole l’equazione dell’asse del segmento di estremi B = (2, 5) e C = (1, 3)


basta scrivere
(9.17)
(x − 2)2 + (y − 5)2 = (x − 1)2 + (y − 3)2 da cui si ricava
x 19
(x + 4 − 4x) + (y + 25 − 10y) = (x + 1 − 2x) + (y 2 + 9 − 6y) =⇒ y = − +
2 2 2
.
2 4
Si noti che il coefficiente angolare dell’asse è l’opposto dell’inverso della retta r su cui
giace il segmento di estremi A e B.

Con una procedura analoga si può scrivere l’equazione della bisettrice dell’angolo
formato da due rette di equazioni note.

La bisettrice di un angolo formato da due rette (o semirette) è la retta passante per il


vertice dell’angolo che divide l’angolo stesso in due angoli congruenti.

Se ne deduce che ogni punto generico P = (x, y) della bisettrice è equidistante dalle
rette che formano l’angolo. Indicando le due rette con le equazioni r : ar x+br y +cr = 0
e r : as x + bs y + cs = 0, grazie alla formula 9.13 la proprietà definitoria della bisettrice
genera la formula
(9.18)
|ar x + br y + cr | |as x + bs y + cs | ar x + br y + cr as x + bs y + cs
p = p =⇒ p =± p .
2
ar + br 2 2
as + bs2 2
ar + br2 a2s + b2s
490 Geometria analitica

Si hanno due soluzioni in quanto l’intersezione di due rette genera due coppie di angoli
congruenti opposti al vertice, per ognuna di esse si ha l’equazione della rispettiva
bisettrice.

9.12 Sezioni coniche

Le sezioni coniche, o semplicemente coniche, sono luoghi geometrici rappresentati dalla


generica equazione ax2 + bxy + cy 2 + dx + ey + f = 0.

Devono il loro nome ai matematici gre-


ci che intorno al III a.c. ne studiarono
le proprietà con metodi geometrici, ov-
vero come intersezioni di piani con un
cono a doppia falda. Per cono a dop-
Geom. Anal.

pia falda si intende l’insieme di due co-


ni aventi lo stesso asse di simmetria e
vertice in comune.
In generale la quantità b2 − 4ac è
chiamata discriminante di una conica
e se è negativa la conica è un’ellisse,
Figura 9.8: Le coniche si ottengono intersecando un pia-
se è nulla è una parabola, se è positi- no con un cono a doppia falda. In base all’angolo tra
va si ha un’iperbole. Una discussione piano e asse del cono si hanno i vari tipi.
a parte meriterebbero le coniche dege-
neri, costituite da un punto, una retta o da una coppie di rette, la cui trattazione esula
dagli scopi di questo capitolo.
Sia ϑ l’angolo tra l’asse di simmetria del cono e una sua retta generatrice. Se si
interseca il cono con un piano che forma con l’asse del cono un angolo maggiore di
ϑ ma minore di un angolo retto si ottiene un’ellisse. Come caso particolare, quando
il piano è perpendicolare all’asse del cono, la conica ottenuta è una circonferenza. Sia
l’ellisse che la circonferenza sono curve chiuse e giacciono su una sola falda del cono.
Intersecando il cono con un piano parallelo a una delle rette generatrici del cono si
ottiene una curva aperta chiamata parabola, giacente su una soltanto delle falde del
cono. Se l’angolo tra il piano e l’asse del cono è minore di ϑ si ottiene una curva aperta
detta iperbole composta da due rami, uno per ogni falda del cono.

9.13 Equazione della parabola

La parabola è il luogo geometrico del piano costituito dai punti equidistanti da un punto
fisso detto fuoco e da una retta detta direttrice.

Una parabola p è un luogo geometrico caratterizzato da un asse di simmetria a, da una


direttrice d, da un fuoco F e da un vertice V . Indicando con P = (x, y) un generico
Matematica 491

Figura 9.9: Rappresentazione di una parabola con


concavità verso l’alto (a > 0), vertice V = (2, 0),
fuoco F = (2, 1) e direttrice d : y = −1.

punto della parabola, la proprietà definitoria si traduce nell’equazione rappresentativa


y = ax2 + bx + c con a, b, c ∈ R , a 6= 0
(9.19)
se d è parallela all’asse x, cioè ha equazione y = k .

Determinare una parabola significa conoscere il


valore dei tre parametri a, b e c, quindi oc-
corrono tre equazioni per trovare l’equazione

Matematica
rappresentativa di una parabola.

Si può ad esempio ricavare l’equazione della para-


bola se si conoscono tre punti ad essa appartenenti.
Spesso le condizioni da imporre per scrivere l’equa-
zione della parabola sono apparentemente due, ma
Figura 9.10: I proiettili lanciati da can-
ciò è dovuto al fatto che la conoscenza delle coor- noni posti su alture o in fortezze de-
dinate del fuoco F o del vertice V equivale a due scrivono traiettorie paraboliche prima di
condizioni, una per la sua ascissa e una per la sua toccare il suolo.
ordinata.

Una parabola è caratterizzata dalle seguenti relazioni:


b ∆ b 1−∆
V = (− ,− ) , F = (− , )
(9.20) 2a 4a 2a 4a
b 1+∆
a: x=− , d: y=− .
2a 4a
Nelle 9.20 il simbolo ∆ indica la quantità b2 − 4ac, ovvero è il discriminante
dell’equazione di secondo grado associata alla parabola.

Come riportato nelle sezioni 4.10 e 4.11, di fondamentale importanza per conoscere le
caratteristiche di una parabola è la sua concavità, che è legata al segno di a. Si ha
che se a > 0 la concavità è verso l’alto, se a < 0 la concavità è verso il basso.

In realtà si può sforzare di meno la memoria ricordando soltanto le coordinate del


vertice V e il fatto che la distanza tra il fuoco F e V e tra la direttrice d e V è
1
la stessa e vale 4a , come indicato nella Figura 9.9. Dalla concavità della parabola si
1
deduce se occorre sommare o sottrarre la quantità 4a all’ordinata di V per ricavare F
e d.
492 Geometria analitica

Come per la retta, per verificare se un punto appartiene o meno a una parabola basta
sostituire le sue coordinate nell’equazione della parabola e verificare che questa diventi
un’identità.

Nel caso in cui la parabola abbia direttrice d parallela all’asse y e quindi asse di simmetria
orizzontale (d : x = k) la sua equazione rappresentativa e le sue caratteristiche si ottengono
dalla 9.19 e dalla 9.20 scambiando di posto la x e la y. In altri termini l’equazione è

(9.21) x = ay 2 + by + c con a, b, c ∈ R , a 6= 0 .

Se a > 0 la concavità è verso destra, se a < 0 la concavità è verso sinistra.

Per determinare le intersezioni della parabola con l’asse delle ascisse, basta porre y = 0,
cioè mettere la sua equazione a sistema con quella dell’asse delle ascisse. Tale operazione
si traduce nel risolvere l’equazione di secondo grado associata alla parabola ax2 + bx +
c = 0.
Geom. Anal.

Dalle proprietà delle equazioni di secondo grado descritte nella sezione 4.10 si arguisce
che se ∆ > 0 le intersezioni della parabola con l’asse x sono due; se ∆ = 0 ce n’è solo
una, quindi la parabola è tangente all’asse x; se ∆ < 0 non si hanno intersezioni. In
quest’ultimo caso se a > 0 la parabola giace tutta al di sopra dell’asse x, se a < 0
allora giace tutta al di sotto. Si rimanda per maggiore chiarezza alla Figura 4.7.

L’intersezione della parabola con l’asse delle ordinate (è unica!) si ottiene ponendo
x = 0 nella 9.19, ovvero mettendo a sistema la sua equazione con quella dell’asse delle
ordinate. Ciò si traduce nel fatto che l’ordinata di tale intersezione è rappresentata dal
valore di c.

In base a quanto appena affermato si ricava che se c = 0 la parabola passa per l’origine
O. Da quanto riportato nel capitolo 5, inoltre, si deduce che la parabola è una funzione
algebrica di secondo grado. Dalla sezione 5.7 si ricava che se b = 0 la parabola diventa
una funzione pari, ovvero il suo asse di simmetria coinciderà con l’asse y.
Mettendo insieme questi due risultati si capisce che se b = c = 0 la parabola ha vertice
nell’origine: V = O.

I risultati delle due ultime osservazioni valgono anche per parabole con asse di simmetria
orizzontale, a patto di scambiare la x con la y e il semipiano superiore rispetto all’asse
x con quello destro rispetto all’asse y.
Per determinare la posizione reciproca tra una retta e una parabola occorre
mettere a sistema le rispettive equazioni rappresentative. Se si usa l’equazione esplicita
per la retta si può risolvere il sistema con il metodo del confronto. Si ottiene l’equazione
risolvente nella sola incognita x. Il segno del discriminante di tale equazione indica la
posizione reciproca: se è positivo la retta è secante, se è nullo la retta è tangente e se è
negativo la retta è esterna. Nel secondo caso il punto di tangenza ha come coordinate
l’unica soluzione del sistema.
Matematica 493

Determiniamo l’equazione della parabola avente come vertice V = (2, 0) e come direttrice
la retta d : y = −1. Utilizzando le relazioni 9.20 si ha

b b2 − 4ac 1 + b2 − 4ac
(9.22) 2 = xV = − , 0 = yV = − , −1 = yd = − .
2a 4a 4a
Si ha quindi un sistema di tre equazioni nelle tre incognite a, b e c. Risolvendolo per
sostituzione si ricava
(9.23)
  
b = −4a
 b = −4a
 b = −1

2
−16a − 4ac = 0 =⇒ c = 4a =⇒ c=1
  
−4a = −1 − 16a2 + 4ac 4a = 1 + 16a2 − 16a2 a = 41
  

E quindi l’equazione della parabola è y = 14 x2 − x + 1, che è l’equazione della parabola


di Figura 9.9.

Matematica
9.14 Equazione dell’ellisse

Figura 9.11: Rappresentazione di


un’ellisse con fuochi sull’asse x.

L’ellisse è il luogo geometrico del piano costituito dai punti per i quali è costante la
somma delle loro distanze da due punti fissi detti fuochi.

Un’ellisse p è un luogo geometrico caratterizzato da un semiasse maggiore a, un


semiasse minore b, da due fuochi F1 e F2 . I due assi dell’ellisse sono assi di simmetria
della figura. Il punto medio del segmento F1 F2 è detto centro dell’ellisse, mentre la
lunghezza del segmento F1 F2 è chiamata distanza focale. Le intersezioni dell’ellisse
con gli assi cartesiani sono chiamati vertici. L’asse maggiore è indicato di solito con
A1 A2 = 2a, l’asse minore con B1 B2 = 2b.

In genere l’equazione dell’ellisse viene scritta sia nel caso in cui i fuochi giacciano
sull’asse delle x sia che giacciano sull’asse y e in entrambi i casi per semplicità si pone
il centro nell’origine O. Nel seguito tratteremo il primo caso, il secondo presenta le
stesse equazioni del primo a patto di scambiare la x con la y e la a con la b.
494 Geometria analitica

Indicando con P = (x, y) il generico punto dell’ellisse, con F1 = (−c, 0) il primo fuoco
e con F2 = (0, c) il secondo fuoco, la proprietà definitoria si scrive nel modo seguente:
p p
(9.24) (x − c)2 + y 2 + (x + c)2 + y 2 = 2a .

Elevando al quadrato ambo i membri due volte di seguito con un po’ di algebra si
riscrive l’equazione rappresentativa dell’ellisse nella forma normale o canonica:

x2 y2
(9.25) 2
+ 2 = 1.
a b

Determinare un’ellisse significa conoscere il valore dei due parametri a e b, quindi


occorrono due equazioni per trovare l’equazione rappresentativa di un’ellisse.
Geom. Anal.

Si può ad esempio ricavare l’equazione dell’ellisse conoscendo le misure dei suoi due
assi.
Dalla scelta del sistema di riferimento cartesiano è facile comprendere che i vertici
sull’asse maggiore hanno coordinate A1 = (−a, 0) e A2 = (a, 0) e quelli sull’asse minore
B1 = (0, −b) e B2 = (0, b). Se si vogliono determinarne analiticamente le coordinate
occorre porre a sistema l’equazione dell’ellisse 9.25 con quella dell’asse x, trovando
come soluzioni del sistema le coordinate di A1 e di A2 ; ponendo a sistema la 9.25 con
l’equazione dell’asse y, invece, si trovano come soluzioni le coordinate di B1 e di B2 .
La distanza focale è legata alle misure dei semiassi dalla relazione c2 = a2 − b2 .

q
2
Si definisce eccentricità e il rapporto ac = 1 − ab 2 . Dalle proprietà dell’ellisse si ha
che 0 < e < 1, in particolare se e = 0 significa che i due assi hanno pari lunghezza
e in tal caso l’ellisse si riduce a una circonferenza; se e = 1 si ha un’ellisse degenere
coincidente con il segmento F1 F2 .

Per familiarizzare con l’ellisse è utile considerare il seguente esempio.

Si vogliono determinare le caratteristiche di un’ellisse avente semiasse maggiore


orizzontale di misura a = 4 e semiasse minore verticale di misura b = 3.
Dalla 9.25 si può subito scrivere l’equazione rappresentativa:

x2 y2
(9.26) + = 1.
16 9

Poiché
√ c2 = a2 − b2 si ricavano subito le coordinate dei fuochi: F1 = (− 7, 0) e F2 =
( 7, 0). Ovviamente i vertici sono A1 = (−4, √ 0), A2 = (4, 0), B1 = (0, −3) e B2 = (0, 3).
L’eccentricità e è il rapporto c/a, quindi e = 7/4.
Matematica 495

9.15 Equazione della circonferenza


La circonferenza è un caso particolare di ellisse, ovvero è un’ellisse con i due assi della
stessa lunghezza e i due fuochi coincidenti. In conseguenza di ciò ha infiniti assi di
simmetria: le rette appartenenti al fascio proprio passante per il centro.

La circonferenza è il luogo geometrico del piano costituito dai punti equidistanti da un


punto fisso detto centro. La distanza tra i punti della circonferenza e il centro si chiama
raggio r della circonferenza.

Indicando il centro con C =


(α, β) e il generico punto della
circonferenza con P = (x, y) la
proprietà definitoria si scrive

(9.27) (x−α)2 +(y −β)2 = r2 .

Matematica
Svolgendo i quadrati e ponen-
do a = −2α, b = −2β e
c = α2 + β 2 − r2 si ottie-
ne l’equazione rappresentativa Figura 9.12: Rappresentazione di una circonferenza di centro C
della circonferenza in forma e raggio r.
canonica:

(9.28) x2 + y 2 + ax + by + c = 0 .

Il passaggio dalla forma canonica a quella esplicita si ottiene invertendo le posizioni


precedenti, ovvero utilizzando le identità
s
a b  a 2  b  2
(9.29) C = (− , − ) r= − + − − c.
2 2 2 2

Dalle posizioni di a, b e c si ricava che se a = 0 C appartiene all’asse y, se√b = 0 C


appartiene all’asse x, se a = b = 0 C coincide con l’origine O e inoltre r = −c.
Se c = 0 la circonferenza passa per O, se in particolare a = c = 0 la circonferenza è
tangente in O all’asse x e r = |b|/2; se b = c = 0 la circonferenza è tangente in O
all’asse y e r = |a|/2.
Se infine |a| = |b| la circonferenza è tangente a entrambi gli assi e ha raggio r = |a|.

Determinare la circonferenza significa conoscere il valore di a, b e c o equivalentemente


di α, β e di r, quindi in ogni caso servono tre equazioni per riuscire a scrivere l’equazione
rappresentativa di una data circonferenza. Se si conoscono tre punti appartenenti alla
circonferenza sostituendo le loro coordinate nell’equazione rappresentativa generica si
ha un sistema di tre equazioni in tre incognite che consente di determinare l’equazione
della circonferenza cercata.
Come per la parabola, per determinare la posizione reciproca tra una retta e
una circonferenza occorre mettere a sistema le rispettive equazioni rappresentative.
496 Geometria analitica

Si ottiene l’equazione risolvente di secondo grado nella sola incognita x. Il segno del
discriminante di tale equazione indica la posizione reciproca: se è positivo la retta è
secante, se è nullo la retta è tangente e se è negativo la retta è esterna. Nel secondo
caso il punto di tangenza ha come coordinate l’unica soluzione del sistema.

Una retta secante determina una corda sulla circonferenza. Con il termine corda si in-
tende un qualsiasi segmento che unisce due punti della circonferenza. La corda massima
è chiamata diametro ed è pari al doppio del raggio.

Alternativamente si può confrontare la distanza tra la retta e il centro della circon-


ferenza con la misura del raggio: se sono uguali la retta è tangente, se la distanza è
minore la retta è secante, se è maggiore è esterna.

Si vuole determinare l’equazione canonica della circonferenza di raggio r = 2 e centro


C = (3, 5). Dalla 9.27 si ha
(9.30)
Geom. Anal.

(x−3)2 +(y−5)2 = 22 =⇒ x2 +9−6x+y 2 +25−10y−4 = 0 =⇒ x2 +y 2 −6x−10y+30 = 0.

9.16 Equazione dell’iperbole

L’iperbole è il luogo geometrico del piano costituito dai punti per i quali la differenza
delle distanze tra i punti stessi e due punti fissi detti fuochi è costante.

Utilizzando la stessa nomencla-


tura dell’ellisse, i fuochi sono in-
dicati con F1 = e F2 , il pun-
to medio del segmento F1 F2 si
chiama centro, la lunghezza del
segmento F1 F2 è detta distan-
za focale e misura F1 F2 = 2c, i
vertici sull’asse x sono indicati
con A1 = (−a, 0) e A2 = (a, 0),
quelli sull’asse y con B1 = Figura 9.13: Rappresentazione di un’iperbole con fuochi sull’asse
(0, −b) e B2 = (0, b). A diffe- x.
renza dell’ellisse, però, l’iperbo-
le ha solo due vertici a seconda che i fuochi siano sull’asse delle ascisse o su quello delle
ordinate.
Indicando un generico punto dell’iperbole con P = (x, y) e ponendo il centro dell’i-
perbole nell’origine O e i fuochi sull’asse x come in Figura 9.13, aventi quindi coordinate
F1 = (−c, 0) e F2 = (c, 0), la proprietà definitoria dell’iperbole si scrive
p p x2 y2
(9.31) | (x + c)2 + y 2 − (x − c)2 + y 2 | = 2a =⇒ 2
− 2 = 1.
a b
Matematica 497

La seconda forma, che si ottiene eliminando il valore assoluto, elevando al quadrato e


riordinando i termini, è chiamata forma canonica dell’iperbole.
Una differenza degna di nota tra l’iperbole e l’ellisse è che nella forma implicita l’e-
quazione dell’iperbole ha un termine misto pari a un coefficiente reale che moltiplica
xy, mentre l’ellisse (e quindi anche la circonferenza) non ha termini misti.

Come per l’ellisse, le coordinate dei vertici si ottengono ponendo l’equazione canonica
a sistema con le equazioni degli assi cartesiani. L’asse contenente i vertici è chiamato
asse trasverso dell’iperbole.
Si noti che i valori a e b definiscono un rettangolo centrato in O tale che l’iperbole è
tutta all’esterno di tale rettangolo (laddove l’ellisse giaceva tutta all’interno dell’analogo
rettangolo).
Le diagonali di questo rettangolo sono dette asintoti e sono le rette di equazione
y = ± ab x. Sono chiamate asintoti perché l’iperbole si avvicina sempre più ad esse
allontanandosi da O senza mai intersecarle.

Matematica
Le proprietà di un’iperbole con fuochi sull’asse delle ordinate sono le stesse di quelle
descritte sinora, a patto di scambiare la x con la y e la a con la b nelle equazioni.
L’unica differenza è che nel termine destro della forma canonica si ha −1 in luogo di 1.

Esiste una relazione che lega la misura del semiasse trasverso a, quella del semiasse
non trasverso b e la semidistanza focale c: c2 = a2 + b2 con c > a.

q
2
Si definisce eccentricità e il rapporto ac = 1 + ab 2 . Tale rapporto è sempre maggiore
dell’unità ed è un indicatore dell’apertura dell’iperbole.

Il seguente esempio può essere utile per applicare quanto descritto sinora.

Si vuole determinare l’equazione canonica dell’iperbole avente primo fuoco F1 = (−4, 0)


e come vertice A1 = (2, 0).
L’ascissa di F1 fornisce l’informazione √
c = 4, mentre quella di A1 indica a = 2. La
relazione c2 = a2 + b2 implica che b = 2 3. Dalla 9.31 si ha l’equazione canonica

x2 y2
(9.32) − = 1.
4 12

Gli asintoti sono le rette di equazione y = ± 3x.

Chiudiamo questa sezione con un’approfondimento che vale sia per l’iperbole che per
l’ellisse.

Sia l’iperbole che l’ellisse possono essere traslate, ovvero avere centro diverso dall’origine O.
In tal caso le equazioni sono le stesse a patto di sostituire nella 9.31 o nella 9.25 x e y
rispettivamente con x − x0 e y − y0 , dove x0 e y0 sono le coordinate del nuovo centro della
curva. Un discorso analogo vale per la circonferenza.
498 Geometria analitica

L’iperbole dell’esercizio precedente, ad esempio, se venisse traslata sino ad avere nuovo centro
nel punto C = (1, 2) avrebbe equazione

(x − 1)2 (y − 2)2
(9.33) − = 1.
4 12

9.17 Iperbole equilatera

Si definisce iperbole equilatera riferita ai propri assi un’iperbole per cui a = b.

In tal caso gli asintoti sono le bi-


settrici del I-III quadrante e del
II-IV quadrante, ovvero hanno
Geom. Anal.

equazione y = ±x. Gli asintoti


sono perpendicolari tra di loro,
condizione generale per chiama-
re l’iperbole equilatera. Dalla
definizione di eccentricità, inol-
tre, si ha che per un’iperbole √
equilatera vale sempre e = 2. Figura 9.14: Rappresentazione di un’iperbole equilatera riferita
Le equazioni rappresentati- ai propri asintoti con k > 0.
ve dell’iperbole equilatera cen-
trata nell’origine O rispettiva-
mente con fuochi sull’asse x e sull’asse y sono
(9.34) x2 − y 2 = a2 con F1 , F2 ∈ x x2 − y 2 = −a2 con F1 , F2 ∈ y .
Si ottengono semplicemente dalle 9.31 con la condizione a = b.

Si definisce iperbole equilatera riferita ai propri asintoti un’iperbole equilatera avente


come asintoti gli assi cartesiani. Il suo grafico è ottenibile da quello di un’iperbole
equilatera riferita ai propri asintoti ruotato di un angolo pari alla metà di un angolo
retto.

L’equazione di un’iperbole equilatera riferita ai propri asintoti centrata nell’origine O



(9.35) xy = k con k ∈ R0 .
Se k > 0 i fuochi giacciono sulla bisettrice I-III quadrante, se k < 0 i fuochi giacciono
sulla bisettrice II-IV quadrante.
√ Per un’iperbole di questo tipo con √ k > 0 si ha che l’asse trasverso misura√ A1√A2 =
2 2k e la√ distanza
√ focale F1 F2 = 4
√ √k, i vertici hanno coordinate
√ √ A 1 = ( k, k) e
A2 = (− k, − k) e i fuochi F1 = ( 2k, 2k) e F2 = (− 2k, − 2k).
Matematica 499

Si noti che le ascisse e le ordinate di fuochi e vertici sono uguali in quanto tali punti
giacciono sulla bisettrice I-III quadrante. √ √ √ √
Nel√caso in√cui k < 0 si ha√A1 A2 √ = 2 −2k, F1 F2√= 4 −k, √ A1 = (− −k, −k),
A2 = ( −k, − −k), F1 = (− −2k, −2k) e F2 = ( −2k, − −2k).
Si notino i segni negativi nei radicandi, che consentono di avere radicandi positivi
(k è negativo).

Un’iperbole equilatera traslata è un caso particolare della funzione omografica y = ax+b cx+d
con c = 0 e a · d = b · c. In tal caso il centro ha coordinate C = (− dc , ac ) e gli asintoti hanno
equazioni x = − dc (quello verticale) e y = ac (quello orizzontale). La funzione omografica può
avere anche come caso particolare una retta.

Un caso di applicazione dell’iperbole equilatera si ha nella legge di Boyle dei gas perfetti:
P V = k.

9.18 Quesiti

Matematica
1) Che cos’è e come si ottiene la distanza B coefficienti angolari opposti per le
tra due punti? parallele, uguali per le perpendicolari
C coefficienti angolari uguali per le paral-
A è una retta e si applica la formula
y−y1
lele, opposti e reciproci per le perpendi-
y −y
= xx−x
−x
1
colari
2 1 2 1

B è una retta e si applica la formula y − D coefficienti angolari uguali per le paral-


yP = m(x − xP ) lele, reciproci per le perpendicolari
C è un segmento e si applica la formula E coefficienti angolari reciproci per le
 parallele, opposti per le perpendicolari
d = (x1 + x2 )2 + (y1 + y2 )2
D è la lunghezza di un segmen- 4) Quale delle seguenti affermazioni è
to corretta?
 e si applica la formula d =
(x1 − x2 )2 + (y1 − y2 )2
A un fascio improprio di rette è formato
E è un numero e si applica la formula da rette perpendicolari tra di loro a due
y−y1 a due
x −x
=d
2 1
B un fascio improprio è formato da rette
2) Come si determina un luogo geometrico? parallele tra di loro
A se ne scrive l’equazione rappresentativa C un fascio proprio è formato da rette che
scegliendola tra quelle note hanno due punti in comune a due a due

B si applica la proprietà geometrica comu- D un fascio proprio è formato da rette


ne a tutti i punti del luogo geometrico parallele tra di loro
E un fascio proprio è formato da rette che
C si interseca l’equazione di una circonfe-
non hanno alcun punto in comune
renza con quella della prima bisettrice
D si applicano le proprietà dedotte dai 5) Qual è il ruolo del valore assoluto nel-
postulati euclidei la formula della distanza di un punto da
una retta?
E si applicano le proprietà algebriche
richieste A è indispensabile perché la distanza non
può essere negativa
3) Come si traducono algebricamente le
B si può omettere perché rappresenta un
condizioni di parallelismo e perpendico-
formalismo che si mantiene per conven-
larità?
zione legata a una vecchia tradizione
A coefficienti angolari uguali per le paral- C serve ad accertarsi che vi sia almeno un
lele, opposti per le perpendicolari punto distante dalla retta
500 Geometria analitica

D serve ad accertarsi che il punto non A è indispensabile disegnare entrambe le


appartenga alla retta figure
E è equivalente alla radice quadrata per B si controlla se un punto della retta
calcolare le distanze soddisfa l’equazione della circonferenza
C si intersecano in due punti se nelle
6) Qual è il significato geometrico dei coef-
equazioni mancano i termini noti
ficienti dell’equazione rappresentativa
della parabola? D si controlla se la distanza della retta dal
centro della circonferenza è maggiore,
A il segno di a indica se l’asse di simmetria minore o uguale al raggio
della parabola è verticale o orizzontale E se il coefficiente angolare della retta è
B il segno di a indica se la concavità della positivo le intersezioni sono due
parabola è rivolta verso l’alto o verso il
basso 9) Che cosa risulta dal confronto tra
un’ellisse e un’iperbole?
C il segno di c indica se la concavità della
parabola è rivolta verso l’alto o verso il A la prima è una curva chiusa mentre la
basso seconda ha due rami che si estendono
D il segno di b indica l’ampiezza dell’aper- all’infinito
tura della parabola rispetto al proprio B la prima è una curva di secondo grado
Geom. Anal.

asse mentre la seconda è una curva di primo


E il segno di c indica se l’asse di simmetria grado
della parabola è verticale o orizzontale C la prima possiede due assi di simmetria
mentre la seconda solo uno
7) Come si ottiene l’equazione della circon-
D la prima possiede un solo asintoto
ferenza?
mentre la seconda due
A elevando al quadrato la distanza tra due E la prima è definita tramite due fuo-
suoi punti qualsiasi chi mentre la seconda tramite un unico
B estraendo la radice della distanza tra due centro
suoi punti qualsiasi
10) Che cosa risulta dal confronto tra una
C imponendo la condizione geometrica che circonferenza e un’ellisse?
la distanza tra due suoi punti qualsiasi
sia pari al raggio A possiedono entrambe un punto centrale
che serve a definire le loro equazioni
D imponendo la condizione geometrica che
il raggio sia uguale a tutte le corde della B la prima si definisce tramite il centro, la
circonferenza seconda tramite due fuochi
E imponendo la condizione geometrica che C entrambe hanno quattro assi di simme-
la distanza dal centro ad un suo punto tria
qualsiasi sia costante D entrambe hanno infiniti assi di simmetria

8) Come si determina la posizione recipro- E la prima è una curva chiusa mentre la


ca di una retta e di una circonferenza? seconda è una curva aperta

9.19 Risposte commentate ai quesiti


1) La A e la B sono errate perché la distanza non è una retta, quindi scartate. La
C è imprecisa e presenta inoltre una formula errata, quindi va esclusa anch’essa. La
formula della E è quella del coefficiente angolare m, ne deriva che la risposta cor-
retta è la D , che rispecchia la definizione di distanza, ricavata tramite l’applicazione
del teorema di Pitagora.

2) La A è errata perché soltanto una parte dei luoghi geometrici corrisponde a equazio-
ni rappresentative note. La C rappresenta una procedura per ottenere intersezioni,
Matematica 501

quindi va esclusa. La D va esclusa perché i postulati sono alla base della geome-
tria, ma i luoghi si ottengono su risposte a proprietà geometriche specifiche, non
algebriche, ragion per cui si può eliminare anche la E . La risposta corretta è la B .
3) Si può escludere la A perché in essa la seconda condizione è errata e si possono
escludere la B e la E perché in esse sono errate entrambe le condizioni. Nella D
la seconda condizione è incompleta, quindi si puà escludere. La risposta corretta è
la C .
4) La A è errata perché le rette del fascio improprio sono parallele tra di loro, infatti
la risposta corretta è la B . Se fosse vera la condizione della C le due rette coinci-
derebbero. La D e la E vanno escluse perché descrivono un fascio improprio e non
proprio.
5) La B va esclusa in quanto la matematica non prevede l’uso di formalismi superflui.
La C , la D e la E indicano funzioni non attribuibili al valore assoluto e vanno
quindi scartate. La risposta corretta, per definizione di distanza, è la A .
6) La D va esclusa perché b dà conto della traslazione dell’asse di simmetria rispetto

Matematica
all’asse delle ordinate. La C va esclusa perché c indica l’intersezione della parabola
con l’asse delle ordinate. La A e la E sono errate perché lo scambio delle variabili
è legato all’avere un asse di simmetria verticale o orizzontale. La risposta corretta
è la B .
7) Le prime due alternative possono essere escluse perché indicano procedure algebri-
che scorrette di una proprietà geometrica errata. La C e la D indicano proprietà
geometriche sbagliate e quindi vanno escluse. Per definizione di circonferenza la
risposta corretta è la E .
8) La A va esclusa in quanto in geometria analitica è possibile esprimersi in merito
a quesiti grazie alle coordinate e a proposizioni algebriche, non necessariamente
occorre disegnare le figure. La B indica una procedura errata e va scartata. La
C e la E indicano proprietà algebriche inesistenti quindi si possono escludere. La
risposta corretta è la D .
9) Poiché sono entrambe coniche e quindi entrambe curve associate a equazioni di
secondo grado la B va esclusa. Le ultime tre alternative esprimono proprietà non
corrette e quindi sono da scartare. Come risulta dalle definizioni dei due luoghi
geometrici la risposta corretta è la A .

10) Le alternative A , C , D ed E esprimono proprietà non corrette per una delle due
curve. L’unica che è valida per entrambe è la B che è quindi la risposta corretta.
Goniometria
10
Introduzione
In questo capitolo verranno discusse le proprietà delle funzioni goniometriche, i cui
grafici sono riportati nelle figure 5.6. Oltre a dominio e codominio delle funzioni go-
niometriche e delle loro inverse si porrà particolare enfasi sulla riduzione degli angoli
al primo quadrante, piuttosto che privilegiare un approccio mnemonico basato sulle
numerose formule che legano queste funzioni.
L’ultima sezione del capitolo applica alla trigonometria le proprietà del seno e del
coseno fornendo utili identità per i triangoli rettangoli.

10.1 Circonferenza goniometrica


Il termine goniometria ha origine greca e signifi-
ca letteralmente misura di angoli. Questa branca
della matematica si occupa degli angoli e di al-
cune funzioni, dette appunto goniometriche, che
associano numeri ad angoli.
Nel capitolo 7 si è affermato che l’angolo è
una parte di piano delimitata da due semirette
aventi origine in comune, è una grandezza priva
di dimensioni e si misura usualmente in gradi,
con simbolo ◦ .
Per utilizzare un’unità di misura angolare oc-
Figura 10.1: Una ruota panoramica è un ot-
corre preventivamente scegliere un adeguato si- timo esempio concreto per visualizzare una
stema di riferimento, ovvero un punto valido co- circonferenza goniometrica: rispetto all’oriz-
me origine e una direzione privilegiata a partire zontale ad ogni cabina compete un certo
valore di seno e di coseno.
dalla quale si misurano gli angoli. A tal fine si
adopera la circonferenza goniometrica mostrata
in Figura 10.2.

La circonferenza goniometrica è una circonferenza centrata nell’origine di un sistema di


riferimento cartesiano avente raggio unitario. Il raggio della circonferenza descrive un
angolo rispetto al semiasse positivo delle ascisse con il quale ha l’origine in comune. Per
convenzione l’angolo è positivo se la rotazione di ampiezza minore che deve compiere
l’asse delle ascisse per sovrapporsi al raggio è in senso antiorario, negativo se la rotazione
dell’asse x è in senso orario.

In goniometria si introduce un’altra unità di misura degli angoli, i radianti, che risulta
più comoda quando si ha a che fare con le funzioni goniometriche.
Matematica 503

Si definisce radiante la misura di un angolo espressa come rapporto tra la lunghez-


za l dell’arco di circonferenza spazzato dall’angolo e la lughezza del raggio r della
circonferenza considerata.
Ne discende che un angolo misurato in radianti è un numero puro in quanto la grandezza
è espressa come rapporto di due grandezze omologhe.

Per trasformare la misura di un angolo da gradi a radianti si può usare come riferimento
la misura di un angolo piatto, che in gradi misura 180◦ e in radianti π.
Quest’ultima misura si ricava dalla definizione di angolo espresso in radianti e dalla
formula della circonferenza C = 2πr dove r indica il raggio di C. Facendo il rapporto
tra la misura di C e il suo raggio r si ottiene la misura di un angolo giro espressa in
radianti: 2πr/r = 360 ◦ . Essendo un angolo piatto la metà di un angolo giro è banale
giungere all’identità discussa sopra.

Matematica
Da questa equivalenza si può scrivere la proporzione che consente di convertire la misura
di un angolo ϑ da gradi a radianti, ovvero 180 : π = ϑ : x. Usando la proprietà fondamen-
tale delle proporzioni, cioè che il prodotto dei medi è uguale al prodotto degli estremi, si
può determinare la x.
Allo stesso modo per convertire la misura di un angolo ϑ da radianti a gradi si usa la
proporzione π : 180 = ϑ : x e si ricava la x.

Tutti i punti della circonferenza goniometrica distano un’unità dall’origine O e in par-


ticolare essa interseca l’asse x nei punti di coordinate (−1, 0) e (1, 0) e l’asse y nei punti
(0, −1) e (0, 1). La distanza fissa da O, però, fa sı̀ che si abbia in realtà un solo grado di
libertà nella determinazione delle coordinate di un punto della circonferenza. L’unico
parametro che individua un punto della circonferenza è infatti l’angolo ϑ sotteso dal
punto nella circonferenza goniometrica.
Le quattro intersezioni della circonferenza goniometrica con gli assi, quindi, sono
identificate rispettivamente dagli angoli π, 0, −π/2 e π/2 se espressi in radianti o
equivalentemente dagli angoli 180◦ , 0◦ , −90◦ e 90◦ se espressi in gradi.

Esistono anche i gradi centesimali, usati soprattutto in topografia. In questa unità di misura
un angolo piatto corrisponde a 200◦c , un angolo giro a 400◦c e un angolo retto a 100◦c .
Per trasformare la misura di un angolo ϑ da gradi a gradi centesimali basta usare la
proporzione 180 : 200 = ϑ : x e determinare x. Viceversa, per trasformare la misura di un
angolo ϑ da gradi centesimali a gradi si usa la proporzione 200 : 180 = ϑ : x.

10.2 Definizione di seno e coseno


Un punto P sulla circonferenza goniometrica C definisce un triangolo rettangolo: il
raggio di C ne rappresenta l’ipotenusa, il segmento verticale che proietta P sull’asse
delle ascisse ne rappresenta un cateto mentre l’altro cateto è identificato dal segmento
orizzontale che congiunge O con la proiezione di P sull’asse x.
504 Goniometria

Si definisce la funzione goniometrica seno associata all’angolo ϑ e si scrive senϑ il


rapporto tra il cateto verticale e l’ipotenusa. Poiché quest’ultima coincide con il raggio
ed è quindi unitaria, si ha che il seno è identificato dal valore dell’ordinata del punto
P.

Dalle proprietà della circonferenza goniometri-


ca e dalla definizione della funzione seno si
ha che quest’ultima assume valori nell’interval-
lo [−1, 1], che rappresenta il suo codominio. Il
dominio è invece tutto R, come illustrato nella
Figura 5.6(a).
Caratteristica importante della funzione se-
no è la sua periodicità: un angolo ϑ e un angolo
descritto dallo stesso raggio dopo aver percorso
un certo numero di giri (sia in senso orario che
antiorario) di C hanno lo stesso valore del se- Figura 10.2: Circonferenza goniometrica,
no. Poiché un giro corrisponde a un angolo di quadranti e funzioni seno, coseno e tangente.
Goniometria

ampiezza 2π si ha che il seno è una funzione


periodica di periodo 2π: senϑ = sen(ϑ + 2kπ) con k ∈ Z.
Ragioni di simmetria, inoltre, fanno sı̀ che angoli positivi e angoli negativi di pari
ampiezza corrispondano ad ordinate opposte. Si deduce che il seno è una funzione
dispari, ovvero sen(−ϑ) = −senϑ.
Sempre per simmetria si ha che angoli descritti da punti che giacciono su una
parallela rispetto all’asse x hanno lo stesso valore del seno. In altri termini l’angolo ϑ
e l’angolo π − ϑ sono associati allo stesso valore del seno.

Si definisce la funzione goniometrica coseno associata all’angolo ϑ e si scrive cosϑ


il rapporto tra il cateto orizzontale e l’ipotenusa. Poiché quest’ultima coincide con il
raggio ed è quindi unitaria, si ha che il coseno è identificato dal valore dell’ascissa del
punto P .

Dalle proprietà della circonferenza goniometrica e dalla definizione della funzione co-
seno si ha che quest’ultima assume valori nell’intervallo [−1, 1], che rappresenta il suo
codominio. Il dominio è invece tutto R, come illustrato nella Figura 5.6(b).
Come il seno, anche la funzione coseno ha periodo 2π per lo stesso ragionamento
esposto riguardo al seno: cosϑ = cos(ϑ + 2kπ) con k ∈ Z.
Ragioni di simmetria, inoltre, fanno sı̀ che angoli positivi e angoli negativi di pari
ampiezza corrispondano alla stessa ascissa. Si deduce che il coseno è una funzione pari,
ovvero cos(−ϑ) = cosϑ.
Detto in altri termini, angoli descritti da punti che giacciono su una parallela ri-
spetto all’asse y hanno lo stesso valore del coseno. Quindi l’angolo ϑ e l’angolo −ϑ sono
associati allo stesso valore del coseno.

Il coseno è la cofunzione del seno, cosı̀ come la cotangente definita oltre è la cofunzione
della tangente. In generale una funzione g è detta cofunzione di un’altra funzione f se le
due assumono lo stesso valore quando sono calcolate in angoli complementari, ovvero quando
f (α) = g(β) per α + β = π/2.
Matematica 505

10.3 Definizione di tangente e cotangente


Come illustrato nella Figura 10.2, se si traccia una retta parallela all’asse delle ordi-
nate e orientata nello stesso verso in corrispondenza del punto (1, 0), il raggio della
circonferenza goniometrica associato a un punto P intercetta tale retta in un punto Q.
Il valore dell’ordinata di Q è positivo per punti appartenenti al I e al III quadrante
e negativo per punti del II e del IV quadrante. Per determinare il valore di Q dal II
o dal IV quadrante, infatti, bisogna prolungare il raggio che dal punto P raggiunge O
sino ad intercettare la retta verticale.

Si definisce la funzione goniometrica tangente associata all’angolo ϑ e si scrive tgϑ


(o anche tanϑ) il rapporto tra la funzione seno e la funzione coseno calcolate per il
determinato valore dell’angolo.

senϑ
(10.1) tgϑ = .
cosϑ
Dalle proprietà della circonferenza goniometrica e dalla definizione della funzione tan-

Matematica
gente si ha che quest’ultima assume valori nell’intervallo [−R, R], che rappresenta il suo
codominio. Il dominio è invece tutto R tranne i multipli interi di π/2, come illustrato
nella Figura 5.6(e).
Dal grafico si arguisce anche che la funzione tangente è continua a tratti e ha
periodo π: tgϑ = tg(ϑ + kπ) con k ∈ Z.
Essendo un rapporto tra una funzione dispari e una funzione pari, per le proprietà
della parità discusse nella sezione 5.7 si ha che la tangente è una funzione dispari,
ovvero tg(−ϑ) = −tgϑ.
Se si traccia una retta orizzontale passante per il punto (0, 1) orientata come l’asse
delle ascisse e si prolunga il raggio della circonferenza goniometrica associato al pun-
to P sino ad intercettare tale retta si costruisce geometricamente la cofunzione della
tangente: la cotangente.

Si definisce la funzione goniometrica cotangente associata all’angolo ϑ e si scrive cotϑ


il rapporto tra la funzione coseno e la funzione seno calcolate per il determinato valore
dell’angolo, ovvero l’inverso della funzione tangente.

cosϑ 1
(10.2) cotϑ = = .
senϑ tgϑ
Dalle proprietà della circonferenza goniometrica e dalla definizione della funzione tan-
gente si ha che quest’ultima assume valori nell’intervallo [−R, R], che rappresenta il
suo codominio. Il dominio è invece tutto R tranne i multipli interi di π. Il suo grafico si
ottiene da quello della tangente 5.6(e) effettuando prima una riflessione intorno all’asse
delle ordinate e poi traslando il grafico verso sinistra di π/2.
Come la tangente, anche la sua cofunzione è continua a tratti e ha periodo π:
cotϑ = cot(ϑ + kπ) con k ∈ Z.
Essendo un rapporto tra una funzione pari e una funzione dispari, per le proprietà
della parità discusse nella sezione 5.7 si ha che anche la cotangente è una funzione
dispari, ovvero cot(−ϑ) = −cotϑ.
506 Goniometria

L’inverso della funzione coseno e della funzione seno hanno un nome proprio: si definisce
secante l’inverso della funzione coseno e cosecante la sua cofunzione, che è l’inverso della
funzione seno:
1 1
(10.3) secϑ = , cosecϑ = .
cosϑ senϑ

10.4 Funzioni goniometriche inverse


Dalle definizioni riportate nella sezione 5.4 una fun-
zione inversa f −1 di una funzione f è quella fun-
zione che va dal codominio di f al dominio di f in
modo che valga f −1 (f (ϑ)) = ϑ per ogni angolo del
dominio di f .
Le funzioni goniometriche inverse, dunque, han-
no come dominio un intervallo di R o tutto R e
come codominio un intervallo di valori di un an-
Goniometria

golo. Sorge però un problema: le funzioni seno e


coseno non possono essere invertite senza prendere
accorgimenti opportuni. Figura 10.3: Una serie continua di ar-
chi quale quella di un anfiteatro roma-
Il dominio della funzione seno e coseno, infat- no rappresenta il grafico della funzio-
ti è tutto R ma un angolo ϑ e un angolo pari a ϑ ne f (x) = |senx| o equivalentemente
più o meno un certo numero di angoli giro è asso- f (x) = |cosx|.
ciato ancora allo stesso valore di seno e di coseno.
Applicando la funzione inversa, dunque, non si saprebbe a quale angolo tornare.
Per rendere le funzioni goniometriche invertibili il loro dominio va ristretto a un solo
periodo.

Una volta ristretto il dominio della funzione seno al periodo compreso nell’intervallo
[−π/2, π/2], si può invertire tale funzione ottenendo la funzione arcoseno.

Si definisce la funzione goniometrica inversa arcoseno associata ad un numero x ∈


[−1, 1] e si scrive arcsenx la funzione che ad x associa il corrispondente angolo ϑ ∈
[−π/2, π/2] tale che senϑ = x.

Il grafico della funzione arcoseno è riportato nella Figura 5.6(c) e da esso si ricava
che l’arcoseno è una funzione continua e strettamente crescente. Il grafico è inoltre
simmetrico rispetto ad O e quindi l’arcoseno è una funzione dispari: arcsen(−ϑ) =
−arcsenϑ.
Per invertire la funzione coseno si ha lo stesso problema legato alla periodicità della
funzione e quindi si deve restringere il dominio. Per convenzione si restringe il dominio
all’intervallo [0, π].

Si definisce la funzione goniometrica inversa arcocoseno associata ad un numero x ∈


[−1, 1] e si scrive arccosx la funzione che ad x associa il corrispondente angolo ϑ ∈ [0, π]
tale che cosϑ = x.
Matematica 507

Il grafico della funzione arcocoseno è riportato nella Figura 5.6(d) e da esso si ricava
che l’arcocoseno è una funzione continua e strettamente decrescente.
Poiché la tangente è una funzione con infiniti punti non appartenenti al dominio,
per invertirla occorre restringere il dominio ad un solo periodo e per convenzione si
sceglie l’intervallo [−π/2, π/2].

Si definisce la funzione goniometrica inversa arcotangente associata ad un numero


x ∈ [−∞, ∞] e si scrive arctgx o arctanx la funzione che ad x associa il corrispondente
angolo ϑ ∈ [−π/2, π/2] tale che tgϑ = x.

Il grafico della funzione arcotangente è riportato nella Figura 5.6(f) e da esso si ricava
che la funzione è continua e strettamente crescente e che ha due asintoti orizzontali di
equazione y = ±π/2.

10.5 Relazione fondamentale e formule goniometriche

Matematica
Le definizioni di tangente, di cotangente, di secante e di cosecante sono talvolta anno-
verate tra le relazioni fondamentali della goniometria.
Esiste però una relazione tra seno e coseno che è universalmente nota come relazione
fondamentale della goniometria e discende direttamente dal teorema di Pitagora.
L’incipit della prima sezione del presente capitolo afferma che un punto P sul-
la circonferenza goniometrica C definisce un triangolo rettangolo: il raggio di C ne
rappresenta l’ipotenusa, il segmento verticale che proietta P sull’asse delle ascisse ne
rappresenta un cateto mentre l’altro cateto è identificato dal segmento orizzontale che
congiunge O con la proiezione di P sull’asse x.
Applicando il teorema di Pitagora a questo triangolo rettangolo si ottiene che il
quadrato costruito sull’ipotenusa, ovvero 12 è pari alla somma dei quadrati costruiti
sui cateti, che sono cosϑ2 e senϑ2 . In formule
(10.4) p p
cosϑ2 + senϑ2 = 1 =⇒ cosϑ = 1 − senϑ2 , senϑ = 1 − cosϑ2 .

Si presti attenzione alle notazioni: cosϑ2 = cos2 ϑ ma è diverso da cos(ϑ2 ).

Sono talvolta utili anche alcune relazioni tra funzioni goniometriche di angoli diversi,
in genere tali che uno ha ampiezza doppia dell’altro. Nelle relazioni riportate di seguito
seguendo una convenzione usuale si è posto t = tg(ϑ/2).
Le formule di prostaferesi e quelle di Werner, ricavabili dalle formule di addizione,
sono state omesse dal momento che la loro complessità le rende poco pratiche.
formule di duplicazione


 sen(2ϑ) = 2senϑcosϑ


cos(2ϑ) = cos2 ϑ − sen2 ϑ

(10.5)

 tg(2ϑ) = 2tgϑ



1 − tg2 ϑ
508 Goniometria

formule parametriche
 2t
sen(ϑ) =
1 + t2




1 − t2

(10.6) cos(ϑ) =

 1 + t2
 tg(ϑ) = 2t



1 − t2
formule di addizione
(
sen(α ± β) = senαcosβ ± cosαsenβ
(10.7)
cos(α ± β) = cosαcosβ ∓ senαsenβ

formule di bisezione
 r
1 − cosϑ
sen(ϑ/2) = ±


2

(10.8)
Goniometria

r

cos(ϑ/2) = ±
 1 + cosϑ
2

10.6 Angoli notevoli


Il seno e il coseno non sono funzioni lineari, come si desume facilmente dai loro grafici.
Calcolarne il valore in corrispondenza di un angolo qualunque richiede quindi l’ausilio
di uno strumento di calcolo quale una calcolatrice. Esistono però angoli notevoli, per i
quali il seno e il coseno assumono valori che è opportuno memorizzare.
I valori sono riportati nella Tabella 10.1 . Si noti la simmetria dell’andamento e il
fatto
√ che una funzione è crescente e l’altra decrescente. Ricorrendo anche all’identità
1 = 1 si ha che ogni termine della tabella segue l’altro in una successione semplice
da ricordare. I valori della tangente possono semplicemente essere ricavati dal rapporto
dei valori di seno e coseno senza ulteriori sforzi mnemonici.
ϑ(rad) ϑ(◦ ) cosϑ senϑ tgϑ
0 0 1 0 0
√ √
π 3 1 3
30
6 2 2 3
√ √
π 2 2
45 1
4 2 2

π 1 3 √
60 3
3 2 2
π
90 0 1 ∞
2
Tabella 10.1: Seno, coseno e tangente per angoli notevoli.

Grazie alle proprietà di simmetria e periodicità delle funzioni seno e coseno e alla
riduzione al primo quadrante della sezione successiva i valori riportati nella tabella 10.1
sono gli unici che serve ricordare per risolvere equazioni e disequazioni goniometriche.
Matematica 509

10.7 Riduzione al primo quadrante

(a) π/2 − ϑ (b) π − ϑ

Matematica
(c) π + ϑ (d) 2π/2 − ϑ
Figura 10.4: Riduzione al primo quadrante.

Piuttosto che manipolare le funzioni goniometriche per angoli qualsiasi è spesso molto
utile rapportare gli angoli dati ad angoli notevoli del primo quadrante, come mostrato
nelle figure 10.4. Ovviamente tale procedura non è sempre possibile, ma nella grande
maggioranza dei casi gli esercizi riguardano angoli che possono essere ridotti ad angoli
noti corrispondenti del primo quadrante.
Dalle definizioni delle funzioni seno e coseno si possono ricavare le seguenti proprietà
generali:
Nel secondo quadrante il seno è sempre positivo e il coseno è sempre negativo;
nel terzo quadrante sia il seno che il coseno sono entrambi sempre negativi;
nel quarto quadrante il seno è sempre negativo e il coseno sempre positivo.
In generale dato un punto P che determina un certo angolo ϑ conviene disegnare
un rettangolo inscritto nella circonferenza goniometrica di cui P rappresenta uno dei
quattro vertici. Tale costruzione, attraverso le simmetrie dei rettangoli, aiuta nella
riduzione opportuna.
Dalla Figura 10.4(a) si vede che per angoli complementari, cioè tali che la loro somma
è un angolo retto, i valori del seno e del coseno si scambiano.

Per angoli del secondo, terzo e quarto quadrante, con l’aiuto delle illustrazioni 10.4(b),
10.4(c) e 10.4(d) è facile convincersi della validità delle identità riportate nella tabella
10.2, dove con α si indica l’angolo corrispondente del primo quadrante.
510 Goniometria

Si noti che ai fini del calcolo di seno e coseno gli angoli esplementari sono angoli
opposti, ovvero 2π − α = −α.

relazione tra angolo ϑ quadrante di ϑ cosϑ senϑ tgϑ cotϑ


gli angoli
π
complementari ϑ= −α I senα cosα cotα tgα
2
supplementari ϑ=π−α II −cosα senα −tgα −cotα
ϑ=π+α III −cosα −senα tgα cotα
esplementari ϑ = 2π − α IV cosα −senα −tgα −cotα
Tabella 10.2: Relazioni tra angoli qualsiasi ϑ e angoli corrispondenti α del primo quadrante.

Si consiglia di ricorrere alla costruzione grafica piuttosto che alla memoria. Tale
metodo sarà utile anche per la risoluzione delle disequazioni goniometriche.

A titolo di esempio applichiamo le considerazioni ad alcuni angoli.


Goniometria

Se si considera l’angolo ϑ = 65 π = 150◦ si ha che questo fa parte del secondo quadrante,


quindi avrà seno positivo e coseno negativo. La differenza tra π e ϑ è di π6 = 30◦ , quindi
l’angolo corrispondente a ϑ nel primo quadrante è α = π6 = 30◦ . Quindi cosϑ = −cosα =

− 23 e senϑ = senα = 21 .

Se si considera l’angolo ϑ = 67 π = 210◦ si ha che questo fa parte del terzo quadrante,


quindi avrà seno e coseno negativi. La differenza tra ϑ e π è di π6 = 30◦ , quindi l’angolo

corrispondente a ϑ nel primo quadrante è α = π6 = 30◦ . Quindi cosϑ = −cosα = − 23 e
senϑ = −senα = − 21 .

10.8 Formule goniometriche per i triangoli


Riconsideriamo la definizione di seno e coseno come
di rapporto tra cateti di un triangolo rettangolo e
l’ipotenusa. Nel triangolo contenuto nella circonfe-
renza goniometrica l’ipotenusa coincide con il raggio
e quindi il denominatore del rapporto è unitario, ec-
co perché seno e coseno coincidono con le misure dei
cateti.
In un triangolo rettangolo qualsiasi quale quel- Figura 10.5: Lati di un triangolo rettan-
lo di Figura 10.5 l’ipotenusa non è necessariamen- golo qualsiasi.
te unitaria. Dalle definizioni stesse delle due fun-
zioni goniometriche si ottengono quindi le seguenti
identità:
(
a · cosγ = b
(10.9) =⇒ b · tgγ = c .
a · senγ = c
Matematica 511

Quindi moltiplicando l’ipotenusa per il coseno di un angolo adiacente si ottiene il cateto


adiacente all’angolo, moltiplicandola per il seno di un angolo adiacente si ottiene il
cateto opposto all’angolo. Facendo il rapporto membro a membro tra la seconda e la
prima identità della 10.9 si ottiene la terza: moltiplicando un cateto per la tangente di
un angolo adiacente si ottiene l’altro cateto.
Sfruttando queste relazioni si capisce anche il senso della formula generale per il
calcolo dell’area di un triangolo qualsiasi. Infatti in luogo della solita formula
A = (b · h)/2 che uguaglia l’area al semiprodotto di base per altezza, si può usare la
definizione di seno per ricavare l’altezza a partire dal lato del triangolo e si ottiene
1
(10.10) A = a · b · senγ .
2
Nella 10.10 γ è l’angolo tra i lati a e b di un triangolo qualsiasi. In altri termini il
prodotto b · senγ costituisce l’altezza rispetto alla base a.

Si consideri un triangolo rettangolo di ipotenusa a = 5 2 cm e avente un angolo interno

β√= 60 . Con la√prima relazione 10.9 si ricava che uno dei cateti vale c = a · cosβ =
5 2 · (1/2) = 5/ 2 cm. √ √

Matematica
Usando
√ la formula 10.10
√ si ottiene la misura dell’area: A = (a · c · senβ)/2 = 5 2 · (5/ 2) ·
( 3/2) · (1/2) = 25 3/4 cm2 .

Sempre con il seno si può scrivere un importante teorema per i triangoli qualsiasi.

Teorema dei seni: in un triangolo qualsiasi il rapporto tra un lato e il seno dell’angolo
opposto al lato è costante.

Riutilizzando la notazione della Figura 10.5 il teorema si esprime attraverso le relazioni


seguenti:
a b c
(10.11) = = = 2R .
senα senβ senγ
Con il simbolo R si intende il raggio del cerchio circoscritto al triangolo: i tre rapporti
sono uguali al diametro del cerchio circoscritto.

L’ultima uguaglianza, inoltre, fa sı̀ che la relazione venga anche chiamata teorema della
corda. Se infatti si considera un lato del triangolo rettangolo come una corda della circonfe-
renza circoscritta si ottiene che la corda è pari al diametro per il seno dell’angolo di ampiezza
la metà dell’angolo al centro corrispondente alla corda.

Con la funzione coseno, invece, si può scrivere un importante teorema valido per un
triangolo qualsiasi che generalizza il teorema di Pitagora: quest’ultimo ne è un caso
particolare valido quando il triangolo è rettangolo.

Teorema del coseno o di Carnot: in un triangolo qualsiasi il quadrato di un lato


qualsiasi è uguale alla differenza tra la somma dei quadrati degli altri due lati e il
doppio prodotto dei due lati moltiplicati per il coseno dell’angolo tra essi compreso.

In formule utilizzando sempre la notazione della Figura 10.5 si scrive:


(10.12) c2 = a2 + b2 − 2abcosγ .
512 Goniometria

10.9 Quesiti
1) Che cosa caratterizza la circonferenza D la lunghezza dell’arco staccato sulla cir-
goniometrica? conferenza dalla semiretta che individua
l’arco
A il raggio è infinito e il centro è nell’origine
E l’ampiezza dell’angolo staccato dalla
degli assi cartesiani
semiretta che individua l’arco sulla
B non ha caratteristiche specifiche, è una circonferenza
circonferenza qualsiasi
5) Che cosa risulta dal confronto tra le
C il raggio è unitario e il centro è in un
funzioni tangente e cotangente?
punto qualsiasi del piano
D il raggio è unitario e il centro è A che la tangente ha un grafico spezzato e
nell’origine degli assi cartesiani la cotangente continuo
E il raggio ha un valore qualsiasi e il centro B entrambe sono illimitate e hanno un gra-
è nell’origine degli assi cartesiani fico non continuo, la tangente è sem-
pre crescente mentre la cotangente è
2) Su che cosa si basa la goniometria? decrescente in tutto il dominio
A su associazioni tra angoli ed archi e sulla C la tangente ha dei punti esclusi dal
proporzione che li lega analiticamente dominio a differenza della cotangente
Goniometria

B sulla circonferenza goniometrica e sui D la tangente è illimitata mentre la


triangoli cotangente assume valori in [−1, 1]

C sulle proprietà dei triangoli e della E la tangente ha come periodo π mentre la


circonferenza goniometrica cotangente 2π

D sui postulati euclidei e le proprietà della 6) Quale delle seguenti affermazioni è


circonferenza corretta?
E sui postulati euclidei e le proprietà dei A le funzioni seno e coseno sono aperiodi-
triangoli che e illimitate
3) Quali enti matematici si associano alla B le funzioni seno e coseno hanno periodo
funzione seno? π
C le funzioni seno e tangente hanno grafici
A gli archi della circonferenza e la loro
simmetrici rispetto all’origine
lunghezza
D le funzioni seno e tangente sono definite
B l’ipotenusa del triangolo rettangolo che
nell’intervallo ] − π/2, π/2[
si forma proiettando il punto che
individua il raggio E le funzioni coseno e cotangente hanno
grafici simili
C il cateto verticale del triangolo rettango-
lo che si forma proiettando il punto che 7) Che cosa si intende per calcolare le fun-
individua l’arco zioni inverse delle funzioni goniometri-
D il cateto orizzontale del triangolo rettan- che?
golo che si forma proiettando il punto che
A significa passare ad esempio da senx a
individua l’arco
1/senx
E gli angoli al centro della circonferenza e
B significa passare ad esempio da tgx a
la loro ampiezza
tg(1/x)
4) Che cosa indica la definizione della C significa calcolare la funzione conoscendo
funzione coseno? l’angolo
A la proiezione del raggio della circonferen- D significa calcolare il coseno conoscendo
za goniometrica sull’asse orizzontale il seno e la cotangente conoscendo la
tangente
B la proiezione sull’asse orizzontale del ca-
teto verticale del triangolo rettangolo che E significa calcolare l’angolo conoscendo il
si forma individuando l’arco valore della funzione goniometrica

C la proiezione dell’angolo sull’asse oriz- 8) Che cosa indicano le relazioni fondamen-


zontale tali?
Matematica 513

A il modo di associare ad ogni arco il valore D le funzioni goniometriche sono definite a


delle funzioni goniometriche partire da archi
B uguaglianze tra le funzioni goniometri- E le funzioni goniometriche sono periodi-
che dello stesso arco che
C il rapporto di proporzionalità tra angoli
10) In ogni triangolo rettangolo si può
ed archi
ottenere la misura di un cateto:
D il legame analitico tra ogni funzione e la
sua cofunzione A moltiplicando l’ipotenusa per il seno
E il modo di associare un angolo al suo dell’angolo opposto al cateto
corrispondente arco B moltiplicando l’ipotenusa per il coseno
dell’angolo opposto al cateto
9) Con quale considerazione si attua la
riduzione al primo quadrante? C moltiplicando l’altro cateto per il seno
dell’angolo opposto al primo
A le funzioni goniometriche sono limitate
D moltiplicando l’altro cateto per il coseno
B le funzioni goniometriche sono illimitate dell’angolo opposto al primo
C per ogni funzione goniometriche è defini- E moltiplicando l’ipotenusa per la tangente
ta una cofunzione dell’angolo opposto al cateto

Matematica
10.10 Risposte commentate ai quesiti
1) La A , la C e la E sono errate perché non individuano le caratteristiche di raggio
unitario e centro in O. La B va esclusa perché nega tali caratteristiche. La risposta
corretta è per definizione la D .

2) La B e la C vanno escluse a priori perché equivalenti. La D e la E sono troppo


vaghe per essere corrette, mentre la risposta corretta è la A perché riguarda i
fondamenti della trigonometria, che associa alla misura di angoli la misura di archi
di circonferenza e delle funzioni goniometriche.

3) Si può escludere la D perché descrive il coseno. La B descrive invece il raggio


della circonferenza che coincide con l’ipotenusa del triangolo rettangolo e va esclusa
anch’essa. La A e la E sono errate perché il valore della funzione seno viene
associato ad angoli o archi ma consiste nell’ordinata del punto che individua l’arco.
La risposta corretta è infatti la C .

4) La proiezione discussa nella B è sempre nulla, mentre quella della C è inesistente:


entrambe le alternative vanno escluse. La D e la E sono in corrispondenza ma
individuano l’intero angolo e non la funzione coseno ad esso associata. La risposta
corretta è per definizione la A .

5) La B è la risposta corretta, mentre tutte le altre alternative presentano una prima


proprietà che è valida anche per la cotangente e quindi vanno escluse.

6) Dalle definizioni delle funzioni goniometriche si ha che l’unica alternativa che pre-
senta proprietà corrette è la C laddove le altre vanno escluse in quanto esprimono
proprietà non valide per le funzioni menzionate.

7) Calcolare la funzione inversa significa invertire i valori del dominio con quelli del-
l’immagine, quindi la risposta corretta è la E . La A e la B vanno escluse in
quanto usano la definizione di reciproco, la C va esclusa in quanto considera le
514 Goniometria

funzioni dirette e non le inverse, mentre la D è errata perché passa dalle funzioni
alle cofunzioni.

8) La C e la D vanno escluse in quanto indicano tipi di relazioni diversi da quel-


le fondamentali, mentre la A e la E sono legate a definizioni e non a relazioni
goniometriche. La risposta corretta è la B .

9) La riduzione al primo quadrante si basa sugli angoli associati per i quali è fonda-
mentale la periodicità delle funzioni goniometriche, infatti la risposta corretta è la
E.

10) Nella B la funzione presente è errata, mentre nelle ultime tre alternative è sbagliato
il lato considerato. Dalla definizione della funzione seno discende che la risposta
corretta è la A .
Goniometria
Equazioni e
disequazioni
goniometriche 11
Introduzione
In questo capitolo verrà applicata la teoria delle funzioni goniometriche descritta nel
capitolo precedente e verranno illustrate le diverse tipologie di equazioni e disequazioni
in cui compaiono una o più di tali funzioni.
Il taglio del capitolo è quindi decisamente operativo, per qualsiasi richiamo teorico
si rimanda ai grafici del capitolo 5 e alla teoria del capitolo 10.

11.1 Equazioni con una sola funzione goniometrica


Le equazioni in cui compaiono funzioni goniometri-
che si risolvono in modo diverso a seconda che vi
siano una o più funzioni presenti e che vi sia o me-
no il termine noto, cioè un numero o in generale un
termine da considerarsi indipendente dalla variabile
e quindi costante.

L’incognita di tali funzioni, indicata con il


simbolo x, rappresenta l’angolo che si vuole Figura 11.1: Il moto ondoso è rappre-
determinare. sentabile con una funzione sinusoidale.

L’idea alla base dei vari metodi risolutivi è che tali equazioni si risolvono grazie
all’applicazione di una funzione goniometrica inversa che restituisce il valore
dell’angolo cercato. A tal fine sono risolubili soltanto quando vengono poste nella forma
canonica in cui al membro di sinistra si ha un unico termine di primo grado contenente
un’unica funzione goniometrica e a destra si ha un unico termine consistente in un
termine noto.

Le equazioni goniometriche elementari, contenendo solo un termine di primo grado e non di


grado superiore, sono lineari.

Cominciamo con il risolvere un’equazione goniometrica elementare, ovvero un’equa-


zione già posta nella forma canonica. Per semplicità tratteremo solo equazioni conte-
nenti un angolo notevole come √ argomento della funzione goniometrica. Ad esempio di
consideri l’equazione senx = 3/2.
Per isolare l’incognita, come visto nel capitolo 4, occorre applicare l’operazione
inversa rispetto a quella subita dalla variabile. Poiché in tal caso la x è l’argomento
di una funzione goniometrica, per isolarla si deve applicare la funzione goniometrica
inversa. Per la proprietà invariantiva, però, bisogna applicare la funzione inversa sia
516 Equazioni e disequazioni goniometriche

a destra che a sinistra, altrimenti non si avrebbe più a che fare con una proposizione
matematica vera.
Applicando la funzione arcoseno a entrambi i lati dell’equazione si ottiene:
√ √ !
3 3
senx = =⇒ arcsen(senx) = arcsen =⇒
2 2
(11.1)
π 2
=⇒ x = + 2kπ ∪ x = π + 2kπ , k ∈ Z .
3 3

Un’equazione goniometrica con la funzione seno ha sempre due soluzioni, cioè una
coppia di angoli supplementari.

Nel caso la soluzione sia positiva si ha un angolo del primo quadrante ϑ e il corrispon-
dente del secondo quadrante π − ϑ; se la soluzione è negativa si ha un angolo del quarto
Eq. Goniom.

quadrante −ϑ e il suo supplementare π + ϑ.


Si hanno due soluzioni perché per la simmetria della funzione seno angoli corrispon-
denti a punti che giacciono su una linea parallela all’asse delle ascisse hanno lo stesso
valore del seno, come illustrato nella Figura 10.4(b).

I due soli casi in cui l’equazione goniometrica con il seno ha una sola soluzione sono
quando il termine noto è pari a ±1.

Esiste infatti un unico angolo per il quale il seno ha valore unitario e corrisponde a
ϑ = π/2, cosı̀ come l’unico angolo il cui seno vale −1 è ϑ = −π/2.
Se si ha una funzione elementare con il coseno il metodo risolutivo è il medesimo:
si applica l’arcocoseno a entrambi i lati e si determinano le soluzioni.


Si consideri l’equazione cosx = 3/2. Applicando la funzione arcocoseno a entrambi i
lati dell’equazione si ottiene:
√ √ 
3 3 π
(11.2) cosx = =⇒ arcos(cosx) = arcos =⇒ x = ± + 2kπ , k ∈ Z .
2 2 6

Si noti che anche le equazioni con il coseno hanno in genere due soluzioni opposte, in
virtù della parità della funzione coseno, come mostrato dalla Figura 10.4(d).

Gli unici casi in cui l’equazione nel coseno ha un solo angolo come soluzione sono i
termini noti pari a ±1, proprio come per il seno.

L’unico angolo il cui coseno è unitario è infatti ϑ = 2π, mentre l’unico avente coseno
pari a −1 è ϑ = π.
Matematica 517

Si noti che le soluzioni sono in realtà infinite piuttosto che una o due, in virtù della
periodicità delle funzioni goniometriche, come attesta il multiplo intero k riportato
insieme al relativo periodo della funzione.
Nel caso il termine noto sia nullo sia per un’equazione con il seno che per una con il
coseno invece di scrivere due soluzioni se ne può riportare solo una a patto di dimezzare
il periodo: per il seno nullo si ha soluzione x = kπ con k ∈ Z, mentre per il coseno
nullo si ha soluzione x = π/2 + kπ con k ∈ Z.

Se l’equazione è nella tangente, ad esempio tgx = 1, il metodo è sempre lo stesso: in


questo caso va applicata l’arcotangente ad entrambi i membri.
π
(11.3) tgx = 1 =⇒ arctan(tgx) = arctan(1) =⇒ x= + kπ , k ∈ Z .
4
Si noti che in virtù della periodicità della tangente, che è π, un’equazione nella tangente
ha sempre una sola soluzione per ogni periodo.

Bisogna fare attenzione ai domini per equazioni con il seno o il coseno: l’equazione

Matematica
senx = 2 ad esempio non ammette soluzione, come pure non ha soluzione l’equazione
cosx = −5, in quanto seno e coseno hanno come codominio l’intervallo [−1, 1].

Se si ha a che fare con un’equazione goniometrica con una sola funzione goniometrica ma
non elementare, ovvero contenente più termini noti e più termini nella stessa funzione
goniometrica applicata alla stessa variabile x, bisogna seguire le normali procedure
risolutive delle equazioni per ridursi alla forma normale.
Prima di considerare equazioni non elementari conviene trattare il caso di un’equa-
zione elementare che abbia come argomento non solo x ma una funzione di x. In tal
caso prima si risolve l’equazione goniometrica applicando la funzione inversa e poi si
risolve l’equazione risultante nell’incognita x, come nell’esempio seguente.

(11.4)  
 π 1 h  π i 1 π π
sen 2x − = =⇒ arcsen sen 2x − = arcsen =⇒ 2x − = .
6 2 6 2 6 4
1 π π
Risolvendo l’equazione algebrica di primo grado in x si ha x= · ( + ).
2 4 6
5
Dalla periodicità del seno si ottiene x= π + 2kπ , k ∈ Z .
24

Si noti che equazioni come la precedente possono anche essere risolte grazie alle formule
di addizione 10.7 e di duplicazione 10.5.
Se i termini nella funzione goniometrica sono di primo grado allora vanno por-
tati tutti a sinistra del segno di uguale e i loro coefficienti vanno sommati al-
gebricamente, cosı̀ come tutti i termini noti vanno portati a destra e poi som-
mati algebricamente. A questo punto ci si ritrova con un’equazione goniometrica
elementare e si segue la procedura descritta in precedenza.
518 Equazioni e disequazioni goniometriche

Si consideri ad esempio la seguente equazione


3 1 1 1 3 1 1 1
senx + = senx + =⇒ senx − senx = − + =⇒ senx = −
4 2 2 2 4 2 2 4
(11.5)  
1 π 7
senx = − =⇒ x = − ∪ − π + 2kπ , k ∈ Z .
2 6 6

Se l’equazione è di secondo grado si procede alla sostituzione senx = y nel


caso del seno (o analogamente cosx = y per il coseno) e si risolve algebricamente
l’equazione di secondo grado. Una volta trovate le eventuali soluzioni per ognuna
di esse si risolve l’equazione goniometrica elementare corrispondente.

Se ad esempio si ha l’equazione sen2 x = 1/2√ si pone senx


√ = y e si risolve l’equazione
algebrica y 2 = 1/2 che ha soluzioni y1 = 1/ 2 e y2 = −1/ 2.
√ Ricordando la sostituzione
Eq. Goniom.

si risolve la prima equazione goniometrica, ovvero senx = 2/2, che dà come risultato
x = π4 + 2kπ ∪ x = 34 π + 2kπ , k ∈ Z.

Con la seconda equazione si ottiene senx = − 2/2, che dà come risultato x = − π4 +
5
2kπ ∪ x = 4 π + 2kπ , k ∈ Z. Essendo l’equazione di partenza di secondo grado si hanno
quindi quattro soluzioni diverse ognuna con la sua periodicità.

Se l’equazione è di grado superiore al secondo si procede ancora con la sostituzio-


ne senx = y nel caso del seno (o analogamente cosx = y per il coseno) e si risolve
algebricamente l’equazione con i metodi discussi nel capitolo 4. Una volta deter-
minate le soluzioni per la variabile y si procede alla sostituzione e si risolvono le
corrispondenti equazioni goniometriche elementari.

11.2 Equazioni goniometriche omogenee

Un’equazione è detta omogenea quando è


priva di termine noto, ovvero quando tutti
i suoi termini contengono l’incognita.

Ad esempio l’equazione goniometrica elementare


senx = 1 è non omogenea, mentre l’equazione
2cosx = 0 lo è.

Per risolvere un’equazione con più funzioni go-


niometriche bisogna sempre ricondursi al caso Figura 11.2: Un metronomo, come un
pendolo, è un oscillatore armonico: an-
in cui se ne ha una sola. che le sue oscillazioni sono descritte da
una funzione sinusoidale.
Matematica 519

Se manca il termine noto si divide tutto per il coseno e si rimane con un’equazione
in tangente, come nell’esempio seguente:

√ √ senx cosx √
3senx − 1cosx = 0 =⇒ 3 −1 =0 ⇔ 3tgx − 1 = 0
cosx cosx
(11.6) 1 π
tgx = √ =⇒ x= + kπ , k ∈ Z .
3 6

11.3 Disequazioni con una sola funzione goniometrica


Occorre posporre la trattazione di equazioni goniometriche non omogenee in quanto la
loro risoluzione presuppone quella di una disequazione goniometrica.

Matematica
Le disequazioni in cui compaiono le funzioni goniometriche aventi l’incognita come
argomento sono dette disequazioni goniometriche. Se consistono in un unico termine
di primo grado a sinistra contenente un’unica funzione goniometrica e un unico termine
noto a destra sono dette elementari.

Per risolvere una disequazione goniometrica elementare è opportuno prima risolvere la


sua equazione associata. Una volta determinati i due angoli corrispondenti conviene
usare un metodo grafico per stabilire le soluzioni della disequazione.
Per semplicità consideriamo di aver determinato soltanto uno dei due angoli solu-
zione dell’equazione goniometrica associata.

Se la disequazione coinvolge la funzione seno, a partire dal punto sulla circonfe-


renza goniometrica corrispondente all’angolo trovato si traccia una linea orizzon-
tale che interseca la circonferenza in un altro punto (a meno non si abbia a che
fare con gli angoli ±π/2).
Se il predicato della disequazione è maggiore le soluzioni sono gli angoli corri-
spondenti all’arco situato sopra la linea orizzontale, se il predicato è minore le
soluzioni sono gli angoli corrispondenti all’arco situato sotto la linea orizzontale.
Il seno, infatti, rappresenta l’ordinata del punto sulla circonferenza goniometrica,
quindi determinare le soluzioni di una disequazione nel seno equivale a confrontare
due lunghezze verticali, cioè due valori delle ordinate.
Tale metodo grafico è illustrato nella Figura 11.3(a).


3 π 2
(11.7) senx > =⇒ + 2kπ < x < π + 2kπ , k ∈ Z .
2 3 3
520 Equazioni e disequazioni goniometriche

Se la disequazione coinvolge la funzione coseno, a partire dal punto sulla circonfe-


renza goniometrica corrispondente all’angolo trovato si traccia una linea verticale
che interseca la circonferenza in un altro punto (a meno non si abbia a che fare
con gli angoli π e 2π).
Se il predicato della disequazione è maggiore le soluzioni sono gli angoli corri-
spondenti all’arco situato a destra della linea verticale, se il predicato è minore
le soluzioni sono gli angoli corrispondenti all’arco situato a sinistra della linea
verticale.
Il coseno, infatti, rappresenta l’ascissa del punto sulla circonferenza goniome-
trica, quindi determinare le soluzioni di una disequazione nel coseno equivale a
confrontare due lunghezze orizzontali, cioè due valori delle ascisse.
Tale metodo grafico è illustrato nella Figura 11.3(b).

1 π 9
(11.8) cosx < √ =⇒ + 2kπ < x < π + 2kπ , k ∈ Z .
4 4
Eq. Goniom.

Se la disequazione coinvolge la funzione tangente, a partire dal punto sulla


circonferenza goniometrica corrispondente all’angolo trovato si prolunga il raggio
fino a intersecare la retta verticale passante per il punto (1, 0). Si considerano
poi gli archi compresi tra il punto individuato sulla circonferenza goniometrica e
l’asse delle ordinate, delimitando in tal modo soltanto il I e il IV quadrante ed
escludendo il II e il III.
Se il predicato della disequazione è maggiore le soluzioni sono gli angoli cor-
rispondenti all’arco situato sopra il raggio, ovvero congiungente il punto sulla
circonferenza con il semiasse positivo delle ordinate; se il predicato è minore le
soluzioni sono gli angoli corrispondenti all’arco situato sotto il raggio, ovvero
congiungente il punto sulla circonferenza con il semiasse negativo delle ordinate.
Tale metodo grafico è illustrato nella Figura 11.3(c).

1 π π
(11.9) tgx ≥ √ =⇒ + kπ ≤ x < + kπ , k ∈ Z .
3 6 2

Occorre solo prestare attenzione a scrivere gli intervalli delle soluzioni prima inseren-
do l’angolo di ampiezza minore e poi quello di ampiezza maggiore, sebbene graficamente
a volte a sinistra si abbia l’angolo di ampiezza maggiore e a destra quello di ampiezza
minore, il che comporta un’inversione rispetto alle posizioni in cui vanno scritti.
Si noti che nello scrivere l’intervallo delle soluzioni si ha da un lato un predicato di
minore-uguale e dell’altro uno di strettamente minore. Questo è dovuto al dominio della
funzione tangente, che diverge per angoli pari a ±π/2 e quindi l’estremo dell’intervallo
va escluso.
Matematica 521

(a) Disequazione con il (b) Disequazione con il (c) Disequazione con la


seno coseno tangente
Figura 11.3: Metodo grafico per le disequazioni goniometriche.

11.4 Disequazioni goniometriche omogenee

Una disequazione contenente una o più funzioni goniometriche aventi l’incognita come
argomento ma priva del termine noto è detta omogenea.

Matematica
Nel caso in cui si abbia una sola funzione goniometrica basta sommare i coefficienti
dei vari termini contenenti la funzione fino a ridursi a una disequazione elementare. A
questo punto la risoluzione procede esattamente come in uno dei tre casi indicati nella
sezione precedente, a seconda della funzione presente.
Se si hanno sia la funzione seno che la funzione coseno si procede con lo stesso me-
todo utilizzato nelle equazioni goniometriche omogenee: si divide tutto per il coseno. In
tal modo ci si riconduce al caso di disequazione goniometrica elementare e si applicano
nuovamente i metodi grafici discussi nella sezione precedente.
Se la disequazione è di grado superiore al primo si comincia con il dividere eventual-
mente per il coseno fino a restare con un’unica funzione goniometrica e poi si pone la
funzione uguale alla variabile algebrica t, come indicato per le equazioni goniometriche
di grado superiore al primo. Si risolvono algebricamente le disequazioni e poi per ogni
soluzione della disequazione algebrica si applicano ancora i metodi grafici della sezione
precedente.

11.5 Equazioni goniometriche non omogenee


Ci sono due modi per risolvere queste equazioni, in entrambi i casi ci si riconduce a un’e-
quazione quadratica con una sola funzione goniometrica, quindi l’aumento del grado
compensa in qualche modo la semplificazione nel numero di funzioni goniometriche.
Formula inversa della relazione fondamentale: con questo modo in un’e-
quazione in cui compaiono sia il seno che il coseno si sostituisce al posto di una
delle due la formula inversa presente nella 10.4.
Per risolvere l’equazione irrazionale bisogna seguire le procedure indicate nella
sezione 4.14 che trasformano l’equazione in un sistema di equazioni: l’equazione
ottenuta elevando al quadrato sia tutto il membro di destra che tutto il membro
di sinistra e la disequazione che impone che il radicando sia positivo in quanto
l’indice è pari.
522 Equazioni e disequazioni goniometriche

Dovendo risolvere un’equazione di secondo grado si deve seguire il metodo indicato


nell’ultimo punto della sezione 11.1, ovvero introdurre un’incognita ausiliaria e risolvere
un’equazione algebrica di secondo grado per poi risolvere separatamente le equazioni
goniometriche elementari rappresentate dalle sue soluzioni.
Per risolvere la disequazione goniometrica si procede come indicato nella sezione
11.3.
Si consideri l’esempio seguente:

(11.10) p
2senx − cosx = 5 =⇒ 2 1 − cos2 x = 5 + cosx ⇔ 4(1 − cos2 x) = cos2 x + 25 + 10cosx
− 5cos2 x − 10cosx − 21 = 0 =⇒ t = cosx , ∆ < 0 =⇒ S = ∅.

Poiché l’equazione quadratica associata all’equazione goniometrica non ha soluzione,


nemmeno quest’ultima ne ha.
Eq. Goniom.

Formule parametriche: con questo modo in un’equazione in cui compaio-


no sia il seno che il coseno si ricorre alle formule parametriche 10.6 per avere
un’equazione nella tangente dell’angolo di ampiezza dimezzata.
Come nel caso precedente si deve poi risolvere un’equazione di secondo grado,
quindi vale lo stesso discorso.

Poiché a denominatore si ha un termine del tipo 1 + t2 , cioè sempre positivo, non


bisogna preoccuparsi di eventuali C.E. da imporre per evitare che il denominatore sia
nullo.

Si consideri l’esempio seguente:

(11.11)
2t 1 − t2 2t + 1 − t2 1 + t2
senx + cosx = 1 =⇒ + = 1 ⇔ =
1 + t2 1 + t2 1 + t2 1 + t2
2
2t − 2t = 0 =⇒ 2t(t − 1) = 0 =⇒ t1 = 0 , t2 = 1
 x
t1 = 0 =⇒ tg(x/2) = 0 =⇒ = 0 + kπ , k ∈ Z =⇒ x = 0 + 2kπ , k ∈ Z ,
2
x π π
t2 = 1 =⇒ tg(x/2) = 1 =⇒ = + kπ , k ∈ Z =⇒ x = + 2kπ , k ∈ Z .
2 4 2

Le soluzioni dell’esempio precedente coincidono con i valori noti di seno e coseno e


dimostrano che al di là dei valori nullo e unitario assunti negli angoli nullo e retto non
esistono altri angoli intermedi per i quali la somma di seno e coseno è unitaria.
Matematica 523

11.6 Quesiti
1) L’equazione senx = 1/2: D si porta il termine noto al secondo
membro e al primo si divide per cosx
A ammette una sola soluzione perché è di
primo grado E si elimina il termine noto e si divide per
cosx
B è soddisfatta da infiniti valori dell’arco x
perché senx è una funzione periodica 6) Quali sono le soluzioni della disequazio-
C non è soddisfatta da alcun valore di x ne senx ≥ 1/2?
perché senx è una funzione periodica A [2kπ, π + 2kπ]
D è soddisfatta dai due valori x = π/6 e
B [− π2 + 2kπ, π
+ 2kπ]
x = (5/6)π 2

E non è soddisfatta da nessun valore reale C [ π6 + 5


kπ, 6 π + kπ]
D [ π6 + 2kπ, 56 π + 2kπ]
2) L’equazione sen2 x − 2senx + 1 = 0:
E [ π3 + 2kπ, 23 π + 2kπ]
A equivale all’equazione senx = 1
B non ammette soluzioni reali 7) Quali sono le soluzioni della disequazio-
ne tgx ≥ 1?
C ammette soltanto soluzioni esterne al-
l’intervallo [−1, 1] A non ha soluzioni perché è compresa
nell’intervallo [−1, 1]

Matematica
D ammette soltanto soluzioni interne all’in-
tervallo [−1, 1] B [ π4 + 2kπ, π2 + 2kπ[
E ammette due soluzioni perché è di C [ π2 + kπ, π
4
+ kπ]
secondo grado D [0, π
]
4
3) Qual è la procedura per risolvere E [ π4 + kπ, π
+ kπ[
2
l’equazione senx − cosx = 0?
8) Come si risolvono le disequazioni con
A si divide tutto per cosx seno e coseno senza termine noto?
B s’impone che cosx sia nullo
A dividendo per cosx
C si trasforma il coseno in un’espressione
B dividendo per senx
contenente il seno
D si trasformano seno e coseno in due C interpretandole graficamente tramite le
espressioni contenenti solo la tangente intersezioni di una retta con la circonfe-
renza goniometrica
E si elevano al quadrato le due funzioni e
D non sono risolvibili algebricamente
poi si divide tutto per cos2 x
E non sono risolvibili geometricamente
4) Che cosa vuol dire risolvere un’equazio-
ne goniometrica? 9) Quali sono le soluzioni della disequazio-
ne senx + cosx > 3?
A trovare i valori della funzione che
soddisfano l’equazione A è impossibile: la somma di due quantità
B trovare i valori degli archi che soddisfano non maggiori dell’unità non può essere
l’equazione maggiore di 3

C determinare il periodo della funzione B [ 12 , 2
3
]
D trovare i limiti in cui sono compresi i C ] π3 + 2kπ, 23 π + 2kπ[
valori della funzione D 2kπ < x < π + 2kπ
E trovare un’espressione equivalente a π π
quella data che evidenzi le soluzioni E ]− 2
+ 2kπ, 2
+ 2kπ[

5) Qual è la tecnica risolutiva per un’e- 10) Quali 2


sono le soluzioni della disequazio-
quazione in seno e coseno con termine ne cos x − 2cosx + 1 ≥ 0?
noto? A [− π2 + 2kπ, π2 + 2kπ[
A si divide per cosx oppure per senx B qualsiasi valore reale di x
B si trasforma una delle due in funzione C nessun valore reale di x
dell’altra D [0 + 2kπ, π + 2kπ]
C si trasformano entrambe in funzione  
E x = π2 + 2kπ
della tangente dell’arco dimezzato
524 Equazioni e disequazioni goniometriche

11.7 Risposte commentate ai quesiti


1) La A è errata perché sarebbe valida per un’equazione algebrica. La C e la E sono
da escludere perché negano ciò che è vero in quanto la funzione senx è definita per
qualsiasi x reale. La D è parziale è quindi va esclusa. La riposta corretta è la B .

2) La risposta corretta è la A perché si tratta del quadrato del binomio (senx − 1).
La B è errata perché nega il vero. La C e la D vanno escluse perché [−1, 1] è
l’intervallo in cui assume valore la funzione seno, non rappresenta i valori ammissibili
per gli archi che invece variano in tutto l’insieme reale. La E va esclusa perché è
parziale.

3) La B e la E non sono procedure risolutive e vanno quindi escluse. La C lascia


un’ambiguità di segno e quindi non porta ad una soluzione univoca. La D va
esclusa perché la tecnica prevede l’uso della funzione tangente dell’arco dimezzato.
La risposta corretta è la A perché manca il termine noto.
4) La A va esclusa perché le incognite sono archi. La C , la D e la E sono da scartare
perché indicano procedure non risolutive. La risposta corretta è la B , proprio perché
Eq. Goniom.

le incognite sono archi.


5) La A va esclusa perché l’equazione rimarrebbe con due funzioni. La B , oltre
ad essere complicata, lascia un’ambiguità nel segno. La D e la E vanno escluse
perché violano l’invariabilità delle operazioni da eseguire ad entrambi i membri
dell’equazione. La risposta corretta è la C .
6) La A va esclusa perché rappresenta l’intervallo in cui il seno è positivo. Allo stesso
modo va esclusa la B perché rappresenta l’intervallo in cui il seno è crescente. Nella
C è errata la scrittura dei multipli e quindi va scartata. La E sarebbe la soluzione

se in luogo di 1/2 ci fosse 3/2. La risposta corretta è la D .

7) La A va scartata perché la tangente è una funzione illimitata. Nella B la scrittura


dei multipli è sbagliata quindi va esclusa. Nella C è invertito l’ordinamento e quindi
va scartata. Nella D l’intervallo è sbagliato e mancano i multipli: va esclusa. La
risposta corretta è la E .

8) La A e la B vanno escluse in quanto seno e coseno sono quantità che incidono sui
segni perché possono essere sia positive che negative: poi bisognerebbe risolvere due
sistemi. La D e la E vanno escluse perché affermano il falso. La risposta corretta
è la C .
9) La B è errata, anche perché riporta valori non corrispondenti ad archi. La C , la D
e la E sono soluzioni di altre disequazioni e vanno escluse. La risposta corretta è la
A , infatti la retta corrispondente all’espressione è parallela alla seconda bisettrice
passante per (0, −3), che non interseca la circonferenza goniometrica.

10) Le alternative A , C , D ed E vanno escluse perché riferite ad altre disequazioni.


La risposta corretta è la B , infatti nell’equazione si può riconoscere il termine
(cosx − 1)2 che, essendo un quadrato, è sempre positivo.
Statistica
12
Introduzione
In questo capitolo tratteremo brevemente i principali metodi della statistica descrittiva.
La statistica inferenziale, infatti, esula dagli scopi di questo testo.
Il capitolo ha un approccio abbastanza pratico: attraverso esempi e rappresentazioni
si vogliono trasmettere al lettore i concetti e i metodi che ad essi si applicano senza
addentrarsi troppo nella teoria statistica.

12.1 Scopo e definizioni


Definire la statistica non è semplice, sia perché la
disciplina ha subito una forte evoluzione dai suoi
albori ad oggi sia perché l’argomento non si presta
a categorizzazioni rigide.
La stessa differenza tra dato e informazione, ter-
mini alla base della statistica, è eterea: possiamo
affermare che un dato è un elemento acquisito dal-
l’ambiente attraverso vari canali, l’informazione è
invece il risultato di elaborazione e analisi dei dati.
L’utilizzo dell’informazione a fini decisionali porta Figura 12.1: La statistica studia feno-
meni collettivi.
ad un aumento di conoscenza.
Gli scopi di questa branca trasversale della matematica sono molteplici e in generale
possiamo riassumerli nella raccolta, organizzazione, analisi e comparazione dei
dati. Tutte queste operazioni sono inoltre finalizzate a prendere decisioni.
Con il termine individuale si intende un fenomeno riferito ad un elemento di un
certo insieme, mentre con il termine collettivo si intende un fenomeno il cui studio
richiede l’osservazione di un insieme di manifestazioni individuali.

Si può definire la statistica come analisi qualitativa o quantitativa di fenomeni collettivi.

La proprietà variabile che può assumere qualità o quantità diverse a seconda dell’indivi-
duo considerato è chiamata carattere. L’unità elementare cui si dedica l’osservazione
dei caratteri interessati dall’indagine statistica è chiamata unità statistica. L’insieme
di unità statistiche che rientrano nell’osservazione e che sono quindi omogenee rispetto
ad uno o più caratteri è chiamato popolazione.

Un’azienda meccanica interessata ad incrementare la qualità dei propri processi può ad


esempio intraprendere un’indagine statistica. I pezzi prodotti in una determinata catena
di montaggio costituiscono la popolazione statistica; una loro proprietà, ad esempio lo
spessore, rappresenta il carattere osservato. Ogni singolo pezzo è un’unità statistica.
526 Statistica

I valori che un carattere può assumere all’interno di un certo campo costituiscono


le modalità del carattere. Perché l’indagine statistica sia ben posta occorre che
le modalità siano esaustive, ovvero che rappresentino tutti i possibili valori che il
carattere può assumere, e non sovrapposte, cioè ad ogni unità statistica si deve
associare un solo valore per ogni carattere studiato.
I caratteri si dividono in qualitativi e quantitativi. Sono ad esempio qualitativi
il colore degli occhi o la professione di una persona, mentre sono quantitativi l’età o
l’altezza. I caratteri quantitativi si distinguono poi in discreti e continui. Sono discreti
i caratteri che assumono solo valori interi, come ad esempio il numero di pezzi prodotti
in un giorno; sono continui i caratteri che assumono valori anche non interi, cioè
possono assumere gli infiniti valori compresi tra due interi qualsiasi non coincidenti.

Un esempio di carattere quantitativo discreto è il numero dei figli di una persona, mentre
un esempio continuo è la lunghezza di un pezzo meccanico.

Per i caratteri quantitativi è semplice introdurre un ordinamento, riprendendo quello


dell’insieme numerico da cui prendono valore i caratteri. Per un carattere qualitativo
si può definire arbitrariamente un ordinamento tra diverse modalità. Se invece si può
Statistica

solo stabilire se due modalità di un carattere qualitativo sono uguali o meno allora il
carattere è detto sconnesso piuttosto che ordinato.

Un esempio di carattere sconnesso è costituito dal sesso di una persona, mentre il


segmento di un’automobile è un carattere qualitativo che può essere ordinato.

Per un carattere quantitativo x si chiama campo di variabilità o range ∆x la


differenza tra il valore massimo xM e quello minimo xm assunti dal carattere.

Ad esempio il campo di variabilità del carattere età di una popolazione di persone, la più
giovane delle quali ha 2 anni e la più anziana delle quali ne ha 85, è ∆x = xM − xm =
85 − 2 = 83.

Talvolta i dati si distribuiscono su un numero elevato di valori, conviene quindi rag-


grupparli in intervalli.

Si definisce classe l’insieme di valori numerici compresi tra due estremi di un intervallo.

Per favorire l’elaborazione dei dati quindi si distribuiscono i dati in classi, facendo in
modo che il campo di variabilità venga partizionato in un opportuno insieme di classi.
Le classi, come le modalità, devono essere esaustive e non sovrapposte. A seconda
degli scopi prefissati per l’indagine non è obbligatorio che ogni classe abbia la stessa
ampiezza, intesa come differenza tra i suoi valori estremi, sebbene ciò sia preferibile.

Nell’esempio precedente delle età di una popolazione di persone, la più giovane delle quali
ha 2 anni e la più anziana delle quali ne ha 85, i dati raccolti possono essere partizionati
in 9 classi ognuna delle quali si estende per una decade. Se la prima classe comprende le
età da 0 a 9 anni e l’ultima quelle da 81 a 90 si riescono a distribuire tutti i valori raccolti
durante l’indagine.
Matematica 527

A seconda degli scopi specifici la statistica si distinge in due branche:


Statistica descrittiva Si occupa essenzialmente di sintetizzare, ovvero orga-
nizzare e rappresentare i dati raccolti in forme e modi che permettono di capire
meglio i fenomeni di interesse e aumentare la propria conoscenza in merito.
Statistica inferenziale Si occupa essenzialmente di generalizzare, ovvero di
estendere con metodi induttivi le informazioni raccolte da un sottoinsieme limi-
tato di unità statistica, chiamato campione della popolazione.
I due aspetti hanno ambiti e applicazioni differenti e sono in qualche modo complemen-
tari. Definito campione un opportuno sottoinsieme in cui la distribuzione dei caratteri
di studio presenti più o meno la stessa distribuzione dell’intera collettività, la statistica
inferenziale è ad esempio molto usata da aziende che intendono lanciare nuovi prodotti
sia in fase di progettazione che di marketing.
Gli errori che si possono compiere nella scelta del campione sono cruciali ai fini
delle previsioni elaborate da questo tipo di indagine statistica. Le differenze tra le
caratteristiche del campione e quelle della totalità implicano un’incertezza ineliminabile
nelle informazioni statistiche elaborate. Spesso le differenze sono dovute a fenomeni

Matematica
aleatori, cioè casuali.
Nel seguito ci occuperemo soltanto di statistica descrittiva, sebbene quest’ultima
richieda aspetti di quella inferenziale.
Può capitare che un’indagine totale, in cui si rilevano dati su tutte le unità statisti-
che della popolazione prescelta, sia ad esempio difficile se non impossibile da realizzare.
In questo caso bisogna ricorrere a tecniche di campionamento proprie della statistica
inferenziale.
I principali tipi di raccolta dati sono i seguenti:
rilevazione sperimentale si registrano le risposte a determinati stimoli fornite
dalle unità statistiche che fanno parte di un certo ambiente.
serie storiche si osservano ripetutamente nel tempo le varie modalità con cui
avviene uno stesso processo.
Una volta acquisiti i dati questi vengono rappresentati e sintetizzati tramite tabelle,
grafici o numericamente.

12.2 Frequenze assolute e relative


Per effettuare uno studio statistico occorre inannzitutto individuare un carattere di
interesse e rilevarne le modalità all’interno della popolazione (o del campione) formata
da N unità statistiche. I dati grezzi rilevati vengono registrati ad esempio in una tabella.
Successivamente i k valori distinti osservati vengono ordinati (se possibile) e ognuno
dei valori distinti delle modalità del carattere in esame sarà stato registrato un certo
numero di volte.

Si definisce frequenza assoluta f di un certa modalità il numero di volte in cui essa


è stata registrata.

L’i-esima modalità distinta ha dunque la frequenza assoluta fi e la somma delle fre-


quenze assolute deve corrispondere al totale N delle rilevazioni effettuate.
528 Statistica

Si definisce frequenza relativa p di un certa modalità il rapporto tra il numero di volte


in cui essa è stata registrata e il numero totale della popolazione o del campione.

L’i-esima modalità distinta ha dunque la frequenza relativa pi e la somma delle fre-


quenze relative deve corrispondere all’unità.

Si definisce frequenza percentuale ε di un certa modalità il prodotto della frequenza


relativa per 100.

L’i-esima modalità distinta ha dunque la frequenza percentuale εi e la somma delle


frequenze percentuali deve corrispondere al 100%.
(12.1)
k k k k k c
X X X fi 1 X N X X
fi = N , pi = = fi = = 1, εi = 100% , Fc = pi .
N N i=1 N
Statistica

i=1 i=1 i=1 i=1 i=1

Talvolta è anche utile conoscere il numero di volte in cui è stato registrato un intervallo
di modalità inferiori ad un certo valore fissato.

Si definisce frequenza cumulativa Fc di un certa modalità xc la somma delle frequenze


relative dei valori inferiori a quello fissato, cioè la somma sui valori xi |xi < xc .

L’i-esima modalità distinta ha dunque la frequenza cumulativa Fi , la frequenza cu-


mulativa del valore minimo rilevato coincide con la sua frequenza relativa F1 = p1
e la frequenza cumulativa del valore massimo registrato deve corrispondere all’unità
Fk = 1.
Si può anche utilizzare la frequenza cumulativa percentuale δ, pari al prodotto
della frequenza cumulativa per 100.

Si definisce distribuzione statistica l’insieme delle modalità e delle rispettive frequenze


registrate.

12.3 Rappresentazione dei dati statistici


La prima possibile rappresentazione dei dati consiste nel riportare semplicimente ciò
che è stato osservato, ossia nei dati grezzi, chiamati anche distribuzione unitaria
perché per ogni unità statistica si riporta semplicemente il valore misurato.
Generalmente è utile rappresentare i dati grezzi tramite una tabella. Riprendiamo
l’esempio dell’indagine statistica relativa all’età di una popolazione di persone e appro-
fondiamolo per illustrare le diverse rappresentazioni dei dati. In questo caso di studio,
quindi, il carattere di interesse è quantitativo e discreto.
Matematica 529

Poiché in realtà l’età di una persona dipende anche da mesi, giorni e ore per renderla
una grandezza propriamente discreta stabiliamo che l’età di una persona è n se nel suo
ultimo compleanno ha compiuto n anni a prescindere da quanto tempo sia trascorso
da allora. Questa precisazione è equivalente a raggruppare l’età in classi, ognuna di
ampiezza pari esattamente a un anno.
Ipotizziamo che la popolazione oggetto di studio consista nelle persone presenti in
una determinata ora in una certa azienda che si occupa di servizi innovativi per altre
aziende già da una decina di anni, ha un fatturato medio e presenta un basso turn
over dei dipendenti. Un tale studio potrebbe fornire ad esempio informazioni utili per
prendere decisioni relative alla sicurezza sul luogo di lavoro.
Indicando le unità statistiche con ui , dove i è un indice che etichetta le diverse unità
statistiche, i dati grezzi del nostro caso di studio sono costituiti dalla tabella 12.1.
Tale risultato potrebbe essere spie-
gato con la presenza imprevista del fi- ui xi ui xi ui xi ui xi
glio di un dipendente (u7 ), con quel- u1 51 u6 42 u11 35 u16 52
la di uno studente che svolge uno sta- u2 25 u7 2 u12 52 u17 62
ge presso l’azienda (u14 ) e con la visi- u3 63 u8 47 u13 53 u18 55

Matematica
ta del padre dell’amministratore dele- u4 32 u9 28 u14 17 u19 42
gato (u10 ). In tutto sono state rileva- u5 32 u10 85 u15 40 u20 42
te 20 presenze, quindi la totalità della Tabella 12.1: Distribuzione unitaria.
popolazione è N = 20.
È più comodo inserire i dati in clas-
si di ampiezza pari a una decade. Come classe fi pi εi Fi δi
già anticipato nella sezione precedente x1 1 0, 05 5% 0, 05 5%
i dati raccolti possono essere partizio- x2 1 0, 05 5% 0, 10 10%
nati in 9 classi indicate con il simbolo x3 2 0, 10 10% 0, 20 20%
xk : la prima x1 comprende le età da 0 x4 3 0, 15 15% 0, 35 35%
a 9 anni e l’ultima x9 quelle da 81 a 90. x5 5 0, 25 25% 0, 60 60%
Si ottiene la tabella 12.2 in cui sono in- x6 5 0, 25 25% 0, 85 85%
dicate le classi poste in ordine crescen- x7 2 0, 10 10% 0, 95 95%
te e tutti i tipi di frequenza associati x8 0 0, 00 0% 0, 95 95%
ad ogni classe. x9 1 0, 05 5% 1, 00 100%
Come si nota l’organizzazione dei tot 20 1 100%
dati grezzi in distribuzione statistica Tabella 12.2: Distribuzione statistica.
rende già più facile l’elaborazione sta-
tistica. Quando la popolazione è molto ampia, cioè N è grande, è ancora più utile
ricorrere a rappresentazioni grafiche. Nel seguito illustreremo le principali.

Istogramma: Nella rappresentazione chiamata istogramma si utilizza il primo


quadrante di un piano cartesiano avente per ascisse le modalità suddivise in classi
e per ordinate numeri corrispondenti alle frequenze assolute. In questo piano si
disegnano rettangoli aventi come basi gli intervalli che costituiscono le ampiezze
delle classi e come altezze segmenti proporzionali alle frequenze assolute.
Se le classi fossero state costruite utilizzando ampiezze diverse allora i rettan-
goli avrebbero avuto aree e non altezze proporzionali alle frequenze assolute. In
quest’ultimo caso le altezze dei rettangoli coinciderebbero con il rapporto tra la
frequenza e l’ampiezza della classe, valore chiamato densità di frequenza.
530 Statistica

Nel caso tutte le ampiezze fossero uguali le altezze dei rettangoli sono proporzio-
nali, oltre che alle frequenze assolute, anche alle frequenze relative o percentuali.
Un esempio di istrogramma, relativo al nostro caso di studio, è riportato nella
figura 12.2(a).
Grafico a nastro: Quando si ha a che fare con caratteri qualitativi sconnessi,
piuttosto che un istogramma può risultare più utile un grafico a nastro. Quest’ul-
timo si costruisce come un istogramma ma scambiando le ascisse con le ordinate.
In tal modo balzano subito all’occhio le differenze tra le varie classi.
Un esempio di grafico a nastro, relativo al nostro caso di studio, è riportato nella
figura 12.2(e).
Poligono di frequenza: Se nello stesso piano cartesiano utilizzato per costruire
un istogramma si uniscono i punti aventi come ascissa i valori medi delle varie
classi e come ordinata la rispettiva frequenza si ottiene un poligono di frequenza.
Rispetto ad un istogramma questa rappresentazione rende più agevole studia-
re l’andamento del carattere al variare delle classi. Un esempio di poligono di
frequenza, relativo al nostro caso di studio, è riportato nella figura 12.2(b).
Statistica

Poligono cumulativo o ogiva: Questa rappresentazione si utilizza per una di-


stribuzione cumulativa di dati. All’interno di ogni classe il valore minore è chia-
mato limite inferiore della classe e quello maggiore limite superiore. Se si utilizza
lo stesso piano cartesiano costruito per un istogramma, si possono riportare i
punti aventi come ascissa i limiti superiori delle varie classi e come ordinata le
rispettive frequenze cumulative. Collegando tali punti si disegna l’ogiva.
Un esempio di poligono cumulativo, relativo al nostro caso di studio, è riportato
nella figura 12.2(d).
Areogramma o grafico a torta: Di impatto visivo immediato, il grafico a torta
(in inglese pie-chart) si costruisce suddividendo un cerchio in settori proporzionali
alla frequenza relativa. Ogni settore rappresenta una classe. Per disegnarlo occorre
stabilire una proporzione tra la frequenza relativa p di una classe e l’angolo α che
le compete nella torta, ovvero pi : 1 = αi : 360◦ .
Un esempio di areogramma, relativo al nostro caso di studio, è riportato nella
figura 12.2(e).

12.4 Indici statistici


Le frequenze delle diverse modalità di un carattere qualitativo sono sufficienti per
un’analisi adeguata dei dati. Per un carattere quantitativo, invece, le sole frequenze
non consentono di estrarre immediatamente dai dati informazioni utili. A tal fine sono
stati definiti degli indicatori numerici chiamati indici statistici i cui valori caratterizzano
la distribuzione dei dati di una popolazione.
Un primo insieme di tali indici riguarda la tendenza centrale della popolazione
ed è costituito dagli indici di posizione chiamati media, moda e mediana.

Si definisce media di una distribuzione il valore che avrebbe il carattere studiato se tutte
le unità statistiche della popolazione fossero caratterizzate da una stessa modalità.
Matematica 531

(a) Istogramma (b) Poligono di frequenza

Matematica
(c) Areogramma (d) Ogiva (e) Grafico a nastro
Figura 12.2: Rappresentazioni grafiche di una popolazione statistica.

La media x è la prima informazione che caratterizza


una distribuzione e il concetto è abbastanza intui-
tivo. Per calcolare questo indice si esegue la media
aritmetica dei valori su tutta la popolazione (o sul
campione), ovvero si sommano tutti i valori e si di-
vidono per N . Allo stesso risultato si può giungere
Figura 12.3: Gli indici statistici danno
sommando i k prodotti delle modalità distinte per informazioni sugli scarti tra gli individui
le loro frequenze assolute dividendo infine per N . di una popolazione e l’individuo medio
della stessa.

PN Pk k Pk
i=1 xi i=1 xi · fi X
i=1 xi · fi
(12.2) x= , x= = xi · pi , x= Pk .
N N i=1 i=1 fi

L’ultima relazione, che per la statistica rappresenta un’inutile complicazione, è la de-


finizione di media pesata, un’operazione di media che generalizza la media aritme-
tica e viene usata spesso in fisica per mediare tra grandezze che non hanno la stessa
importanza.

Si definisce moda di una distribuzione il valore della modalità che ha frequenza


maggiore.

Il termine rispecchia il significato attribuitogli anche nel linguaggio comune: la moda è


costituita dai valori seguiti dal maggior numero di individui. Se più classi presentano la
stessa frequenza massima, allora si può procedere in due modi. Come prima alternativa
si può decidere che la moda coincide con tutte le modalità che hanno la frequenza
532 Statistica

massima. In tal caso piuttosto che essere unimodale la distribuzione è bimodale o


multimodale. Nel nostro esempio ciò avviene per le classi x5 e x6 , quindi si potrebbe
concludere che la moda della popolazione è l’età compresa tra i 41 e i 60 anni.
Tale conclusione, però, è poco significativa e non fornisce informazioni molto utili.
Realisticamente il fatto che più classi rappresentino la moda dovrebbe essere un segnale
di una scelta poco oculata della partizione della popolazione o del campione in classi:
sono state scelte classi troppo ampie. Sarebbe quindi opportuno procedere a una nuova
suddivisione dei dati in classi più ristrette e ricalcolare i vari indici.
Nel nostro esempio se si decidesse di usare come classi i singoli anni di età si trove-
rebbe che la moda della distribuzione coincide con l’età 42, un valore compreso nella
precedente classe x5 .
Si noti che scegliendo classi troppo ristrette si avrebbe il problema opposto: ogni
classe avrebbe frequenza unitaria e la distribuzione sarebbe comunque priva di moda.

Si definisce mediana µ di una distribuzione il valore della modalità che divide la distri-
buzione in due parti, facendo in modo da avere lo stesso numero di dati a sinistra e a
destra del valore nel caso di variabili discrete. Nel caso di variabili continue, in cui la
distribuzione è una curva continua, si può generalizzare il concetto definendo mediana
Statistica

quel valore che divide l’area sottesa dalla curva in due parti congruenti.

In una distribuzione discreta di N individui, dopo aver ordinato i dati la mediana


coincide con il valore che occupa il posto (N + 1)/2. Se si ha un numero pari di dati
allora la mediana è la media aritmetica dei due dati centrali.

La mediana viene anche generalizzata negli indici di posizione non centrale: indicatori
chiamati quartili e ancor più nei percentili. Il primo quartile è il valore che divide l’area
della distribuzione in una parte di sinistra pari al 25% dell’area sottesa e in una parte destra
che corrisponde al 75% dell’area totale. Valgono le proporzioni inverse per il terzo quartile,
mentre il secondo quartile coincide con la mediana.
Lo scarto interquartile è dato dalla differenza tra il terzo ed il primo quartile: è un
intervallo che copre il 50% dei dati, cioè la metà dei dati che più si avvicina al centro della
distribuzione. Questo numero quindi è più preciso del range dell’intera popolazione.
L’insieme degli estremi inferiore e superiore della popolazione, della mediana e del primo
e terzo quartile forma una quintupla di indici chiamata box-plot della distribuzione. Con
questi soli 5 numeri si ha già un contenuto rilevante di informazioni sulla distribuzione e già
a partire da essi si può procedere ad individuare valori anomali.
I percentili sono una suddivisione ancora più fine: dividendo l’area sottesa dalla curva in
100 parti congruenti, il percentile n-esimo è quel valore che divide la distribuzione in due parti:
a sinistra si hanno valori tali che l’area sottesa è l’n % dell’area totale.

Generalmente la conoscenza di moda, media e mediana caratterizza già sufficientemente


la tendenza centrale di una distribuzione.

Calcoliamo i tre indici per il nostro caso di studio. La moda è già stata discussa ampia-
mente nel corso della sezione e coincide con l’età 42. Per la media procediamo al calcolo
seguendo la 12.2:
Pk
i=1 ui · fi
(12.3) x= = 38, 35 ≈ 38 . µ = x5 = 41 − 50 .
20
Matematica 533

La definizione di mediana µ implica di scegliere tra le 9 classi quella di posto (9+1)/2 = 5.


Notiamo che la media è un valore che può non coincidere con la modalità di nessuna delle
unità statistiche, come accade per l’età del nostro caso di studio.

Gli indici di tendenza centrale non caratterizzano in tutto e per tutto una distribuzione.
Consideriamo una distribuzione di 20 unità statistiche distribuita in tal modo: 10 unità
aventi età pari a 42 anni, 8 unità con età pari a 34 anni e 2 unità di 38 anni. È facile
calcolare che tale distribuzione presenta stessa moda e stessa media del nostro caso di
studio, sebbene il suo campo di variazione sia molto più ristretto.
Come primo indicatore dell’ampiezza della distribuzione si potrebbe pensare di
calcolare la somma degli scarti, cioè delle differenze tra le varie modalità e il valor
medio: lo scarto della modalità i-esima è si = xi − x. Si
PNdimostra però che la somma
degli scarti di qualsiasi distribuzione è sempre nulla: i=1 si = 0. Questa proprietà
discende dalla definizione stessa di media.
Occorre dunque qualche altro indice che esprima quanto i dati si discostano dalla
tendenza centrale, in particolare dal valore medio. A tal fine si definiscono gli indici
di variabilità o indici di dispersione: campo di variazione, devianza, varianza,

Matematica
deviazione standard e coefficiente di variabilità.
Abbiamo già definito precedentemente il range della distribuzione, procediamo con
l’introduzione degli altri indici.

Si definisce devianza S la somma dei quadrati degli scarti, cioè dei quadrati delle
differenze tra le modalità e il valore medio della distribuzione. Dividendo la devianza
per N − 1 si ottiene la varianza σ 2 , la cui radice quadrata è chiamata deviazione
standard σ o scarto quadratico medio (in inglese RMS, cioè root mean square).

s
N PN 2
PN
X
i=1 (xi − x) i=1 (xi− x)2
(12.4) S= (xi − x)2 , 2
σ = , σ= .
i=1
N −1 N −1
Si dimostra che la deviazione standard può anche essere espressa dalla differenza tra
la media dei quadrati e il quadrato della media:
v
u
u1 X N
(12.5) σ=t x2 − x2 .
N i=1 i

Si definisce coefficiente di variabilità CV il rapporto tra la deviazione standard σ e


la media x moltiplicato per 100: è un indice percentuale indipendente dalle unità di
misura poiché σ e x hanno la stessa unità di misura.

σ
(12.6) CV = · 100 .
x
La conoscenza della dispersione dei dati di una distribuzione aiuta a capire se ci sono
dati presi erroneamente nella fase di osservazione ed è essenziale per l’analisi o il rigetto
dei dati.
534 Statistica

12.5 Distribuzioni statistiche


Riportando i dati in un istogramma si possono osservare
simmetrie nella forma della loro distribuzione. La forma
più significativa è quella a campana: la distribuzione pre-
senta una coda a destra e una a sinistra e un picco centra-
le, quindi è simmetrica rispetto a una linea verticale che
attraversa la zona centrale.
Esistono anche distribuzione asimmetriche. Se il picco
è nella zona sinistra e verso destra si ha una coda la distri-
buzione è detta obliqua a destra o con asimmetria positiva; Figura 12.4: Distribuzione nor-
se il picco è a destra e la coda è a sinistra la simmetria è male o gaussiana.
detta obliqua a sinistra o con asimmetria negativa.
Se la media e la mediana coincidono la distribuzione è simmetrica. Se la media è
maggiore la distribuzione ha asimmetria positiva, se è minore negativa.

Nel nostro caso di studio, quindi, la distribuzione ha una lieve asimmetria negativa,
cioè presenta una coda a sinistra (il figlio piccolo di uno dei dipendenti).
Statistica

L’asimmetria può anche essere caratterizzata, in entità e segno, dal coefficiente di


asimmetria di Pearson SK, un indice adimensionale compreso tra −3 e 3 definito
nel modo seguente:
3(x − µ)
(12.7) SK = .
σ
Tra le distribuzioni simmetriche quella più rilevante è chiamata distribuzione nor-
male o gaussiana, in cui i dati si dispongono come a disegnare una campana. Indican-
do con x un carattere quantitativo continuo la curva della campana è descritta dalla
funzione di Gauss:
1 x−x
(12.8) f (x) = √ e− 2σ2 .
σ 2π

Si dimostra che per un grande numero di dati tutte le distribuzioni tendono a


coincidere con una gaussiana.

Tutti i fenomeni naturali associati a grandi numeri, quindi, compresi quelli umani
seguono una statistica normale. Si noti che la forma della curva dipende solo dal valore
medio e dalla deviazione standard. Quest’ultima è legata all’apertura della campana.
Si è soliti poi standardizzare la gaussiana con un cambiamento di variabili: intro-
ducendo la variabile z = (x − x)/σ si fa in modo che il valor medio sia nullo z = 0 e lo
scarto quadratico medio sia unitario σ = 1.

La gaussiana è molto utilizzata anche per calcolare probabilità di eventi aleatori collegati a
fenomeni collettivi. In generale dalle proprietà della funzione gaussiana si ha che il 68% dei
dati dista meno di una σ dal valor medio, il 95% è compreso entro 2σ dal valor medio e il
99, 7% dei dati dista meno di 3σ dalla media.
In tal modo se si ottiene da una rilevazione statistica un dato che dista 5σ dalla media si
può considerare di rigettarlo in quanto è altamente improbabile.
Matematica 535

Quando si opera un campionamento su una popolazione molto vasta si ipotizza che


le differenze tra le caratteristiche dei campioni scelti e quelle della popolazione siano
casuali. Questa assunzione conduce a dimostrare il teorema del limite centrale valido
per la distribuzione delle medie dei vari campioni di ampiezza n: la media campionaria
standardizzata è una variabile aleatoria che ha una distribuzione gaussiana.
Se n ≥ 30 la media campionaria ha quindi una distribuzione normale e ciò sem-
plifica i calcoli della statistica inferenziale. Le considerazioni sulla media campionaria,
inoltre, danno anche conto del particolare denominatore della 12.4.

12.6 Quesiti
1) Qual è la proprietà variabile che si studia B la popolazione statistica suddivisa in
in un’indagine statistica? gruppi
C i dati statistici suddivisi in intervalli
A l’unità statistica
rispetto al carattere
B il carattere D i valori compresi nel campo di variabilità
C i dati E i caratteri suddivisi in gruppi non

Matematica
sovrapposti
D la comparazione
E la popolazione statistica 5) Qual è la differenza tra frequenza
assoluta e relativa?
2) Quali devono essere le modalità di un
A la frequenza relativa dà un dato indipen-
carattere?
dente dal campione
A devono essere complete, cioè sia qualita- B la frequenza assoluta dà un dato slegato
tive che quantitative rispetto al campione
B devono essere qualitative e sovrapponi- C la frequenza assoluta può esprimersi in
bili percentuale
C devono essere quantitative e sovrapponi- D la frequenza relativa non può esprimersi
bili in percentuale
E la frequenza assoluta compare nella
D devono avere valori esaustivi e non
frequenza cumulativa
sovrapposti
E devono avere valori esaustivi e sovrappo- 6) In che cosa differiscono le distribuzioni
sti unitaria e statistica?

3) Che cosa s’intende per campo di A la distribuzione unitaria è un modo più


variabilità? comodo di disporre i dati
B la distribuzione statistica è un modo più
A la differenza tra il valore massimo e il comodo di disporre i dati
minimo assunti dalla popolazione
C nella distribuzione unitaria la somma dei
B la differenza tra il valore massimo e il dati deve essere espressa in percentuale
minimo assunti dalle unità statistiche D nella distribuzione statistica la som-
C la differenza tra il valore massimo e il ma dei dati deve essere espressa in
minimo assunti dai dati raccolti percentuale
D la differenza tra il valore massimo e il E nella distribuzione statistica il numero
minimo assunti da due modalità dei dati deve avere come somma 100
E la differenza tra il valore massimo e il 7) Come si definisce la moda di una
minimo assunti dal carattere distribuzione?

4) Che cosa s’intende per classe? A è il valore che avrebbe il carattere se tut-
te le unità fossero caratterizzate dalla
A l’insieme delle unità statistiche stessa modalità
536 Statistica

B è il dato centrale che divide l’area de- A la radice quadrata della varianza
scritta dalla curva della distribuzione in
B la radice quadrata della devianza
due parti congruenti
C è il valore della distribuzione che ha la C la devianza divisa per il numero delle
frequenza maggiore modalità

D è il valore corrispondente alla media D il quadrato della varianza


pesata E il quadrato della devianza
E è la media dei valori divisi in classi
10) Come si rappresenta una gaussiana?
8) Perché la somma degli scarti di qualsiasi
distribuzione è sempre nulla? A disponendo le frequenze sull’asse oriz-
zontale e le modalità su quello verticale
A perché è pari alla media B disponendo i dati simmetricamente ri-
B perché è pari alla mediana spetto alla media
C disponendo i dati simmetricamente ri-
C discende dalla definizione di moda
spetto alla mediana
D dipende dalla definizione di media D disponendo la larghezza della campana
E non è vero che la somma degli scarti è in base alla devianza
sempre nulla E disponendo i valori delle modalità sul-
Statistica

l’asse orizzontale e le frequenze su quello


9) Che cos’è la deviazione standard? verticale

12.7 Risposte commentate ai quesiti


1) Il carattere è la proprietà variabile per conoscere la quale si avvia un’indagine
statistica: la risposta corretta è la B . Le altre alternative indicano oggetti diversi
che rientrano nel campo della statistica.

2) La A è errata perché le modalità devono essere ben definite e quindi non possono
essere sia qualitative che quantitative. La B e la C vanno escluse perché le moda-
lità non devono essere sovrapponibili, altrimenti sarebbero illeggibili. Per lo stesso
motivo la risposta corretta è la D .

3) La popolazione e le unità statistiche non sono variabili, quindi non assumono va-
lori massimi e minimi: la A e la B vanno escluse. Si esclude anche la C perché
la differenza in essa menzionata serve a calcolare la media della distribuzione. In
un’indagine statistica si osserva di solito una sola modalità quindi anche la D va
scartata. La risposta corretta è la E .

4) I dati vengono suddivisi in classi per favorirne l’elaborazione statistica: la risposta


corretta è la C . Le altre alternative descrivono invece altri oggetti statistici e vanno
escluse.

5) La A è errata perché riguarda la frequenza assoluta, mentre la C e la E vanno


escluse perché riguardano la frequenza relativa. La D va scartata in quanto nega
un’affermazione vera. La risposta corretta è la B .

6) La A è da scartare perché quando i dati sono numerosi la distribuzione unitaria


è troppo scomoda per l’elaborazione dei dati. La C , la D e la E esprimono una
necessità inesistente e quindi vanno escluse. La risposta corretta è la B .
Matematica 537

7) La A va esclusa perché indica la media. Allo stesso modo si scarta la B perché


indica la mediana. La D e la E indicano altre grandezze e vanno escluse: la risposta
corretta è per definizione la C .
8) La risposta corretta è la D . Le altre alternative vanno escluse perché esprimono
una dipendenza falsa mentre l’ultima è errata perché nega una proprietà vera.

9) Le alternative B , C , D , ed E indicano grandezze diverse dalla deviazione standard.


La risposta corretta per definizione è la A .
10) Le alternative B , C e D vanno escluse in quanto i dati vanno disposti in base a
come sono stati rilevati, altrimenti l’indagine viene falsata. La A inverte gli assi,
ragion per cui la risposta corretta è la E .

Matematica
Progressioni e calcolo
combinatorio 13
Introduzione
In questa sezione verranno affrontati argomenti di matematica che richiedono buone
competenze di calcolo numerico. La prima parte tratta di progressioni e rappresenta
un prezioso aiuto per la risoluzione anche di quesiti di logica numerica. Si consiglia al
lettore di esercitarsi assiduamente con l’aritmetica, soprattutto eseguendo mentalmente
calcoli che richiedono l’applicazione delle proprietà delle operazioni. In tal modo sarà
molto più semplice individuare la ragione di una progressione.
La seconda parte tratta di calcolo combinatorio, che richiede ancora buone compe-
tenze di aritmetica. Gli oggetti trattati in quest’area della matematica si dimostrano
anche strumenti utilissimi nella risoluzione di esercizi sulle probabilità.

13.1 Successioni numeriche

Una successione numerica è una sequenza ordinata di numeri e si indica con i simboli
a1 , a2 , a3 , a4 , etc. a1 è chiamato primo termine della successione, o termine di posto
uno; a2 è detto secondo termine della successione o termine di posto due e cosı̀ via.

In generale esiste una regola che consente di


determinare l’ennesimo termine della succes-
sione an . Una successione può anche essere
composta da infiniti termini, in quanto n ∈ N
e N ha cardinalità infinita. Se non si conosces-
Figura 13.1: Nelle successioni numeriche è
se una regola che al valore n fa corrispondere semplice ritrovarsi con risultati sbagliati.
l’ennesimo termine della successione an , bisognerebbe elencare infiniti termini, compito
impossibile.

Una successione è infatti definita rigorosamente come una funzione f : N → R, cioè una
funzione reale di variabile naturale. L’ennesimo termine an , quindi non è altro che f (n) il
valore della funzione calcolato per un certo n. Poiché ad una funzione si associa di solito una
regola che la definisce (oltre al dominio e al codominio, come descritto nel capitolo 5), in luogo
di elencare i suoi infiniti termini una successione viene scritta esplicitando tale regola.

Il simbolo an quindi, oltre ad indicare il termine n-esimo si usa di solito anche per
indicare l’intera successione quando è seguito da un segno di = e da un’espressione
dipendente da n, come nella scrittura an = 2n3 che rappresenta la successione dei
doppi dei cubi dei naturali, cioè 2, 16, 54, etc.
Matematica 539

La successione più semplice che può venire in mente è proprio rappresentata dai naturali,
ossia è an = n. Banalmente il suo primo termine è a1 = 1, il secondo è a2 = 2 e cosı̀ via.

Un altro modo utilizzato per indicare una successione è quello di specificare il suo
primo termine e una regola ricorsiva che lega ogni termine al successivo. Ad esempio
la successione dei numeri positivi pari si può definire scrivendo a1 = 2 e an = an−1 + 2,
ovvero specificando che si parte da 2 e per ottenere il termine successivo di volta in
volta si aggiunge 2 al termine corrente.

La somma dei termini di una successione an è chiamata serie e si indica con il simbolo
Σn an . Tale termine vale per la somma degli infiniti termini di una successione. La
somma dei primi n termini è chiamata somma parziale n-esima.

Mentre in italiano il termine serie indica una sequenza ordinata, cioè una successione
matematica; in matematica il termine serie indica un unico numero risultato della
somma. Non è certo banale operare una somma su infiniti termini, a tal fine sono

Matematica
stati elaborati dei criteri di convergenza delle serie numeriche. I risultati sono a volte
sorprendenti e danno luogo ad apparenti paradossi, come nel caso del famoso paradosso
di Achille e della tartaruga di Zenone.

Se ∀n ∈ N an > an−1 , se cioè ogni termine di una successione è strettamente maggiore


del precedente, la successione è monotona crescente; se ∀n ∈ Nan < an−1 , cioè è
strettamente minore, la successione è monotona decrescente, in perfetta analogia con
la terminologia usata per la funzioni. Eliminando l’avverbio strettamente si ottengono
rispettivamente successioni non decrescente e non crescenti, in tal caso nelle proprietà
di sopra in luogo dei simboli > e < si scrivono rispettivamente ≥ e ≤.

La convergenza delle successioni aiuta a comprendere come sia possibile che un numero
ottenuto da una somma infinita di termini positivi possa convergere ad un valore finito.
In tal caso la serie è detta convergente. Se al crescere di n il termine n-esimo della
successione diventa sempre più grande (in modulo) la successione è detta divergente.
Se la successione da un certo valore di n in poi non converge a un unico numero né
diverge ma assume valori compresi in un certo intervallo, allora è detta oscillante.
Le proprietà di convergenza di una serie possono essere dedotte graficamente dai
punti che rappresentano i termini della successione su un piano cartesiano avente per
ascisse i naturali e per ordinate i reali. Immaginando di unire con una curva i punti
della successione si può arguire se quest’ultima converge o meno e in caso affermativo
a quale valore converge.

1/n
La famosa successione an = 1 + n1 , ad esempio, pur essendo una sequenza di infiniti
numeri positivi converge al numero di Nepero e.

Tra le successioni numeriche ve ne sono due che meritano una discussione approfondita:
le progressioni aritmetiche, oggetto della prossima sezione, e quelle geometriche discusse
nella successiva.
540 Progressioni e calcolo combinatorio

13.2 Progressioni aritmetiche

Si definisce progressione aritmetica una successione per la quale è costante la dif-


ferenza tra due termini successivi: ∀n ∈ N an − an−1 = q. Questa costante q è detta
ragione della progressione.

Dalla definizione e dalla sua ricorsività si ricava che il termine n-esimo della successione
è pari a

(13.1) an = a1 + (n − 1)q .

Allo stesso modo se si conosce il termine di posto m e si vuole ricavare quello di posto
p la ricorsività implica la relazione ap = am + (p − m)q.

Un esempio famoso di successione aritmetica generata da una regola ricorsiva è la sequenza di


Calc. Comb.

Fibonacci, che parte da 0 e 1 e genera ogni termine come somma dei due precedenti. Questa
sequenza può essere letta dal triangolo di Tartaglia, illustrato nella figura 2.4.

I numeri pari che abbiamo citato nella sezione precedente sono una progressione arit-
metica di ragione 2, infatti 4 − 2 = 2, 6 − 4 = 2, 8 − 6 = 2, e cosı̀ via. Allo stesso modo
anche la successione dei numeri dispari è una progressione aritmetica di ragione 2. Per
convenzione la successione dei numeri pari è scritta come an = 2n mentre quella dei
dispari è an = 2n − 1.
Nelle progressioni aritmetiche la natura della ragione q determina il carattere della
successione: se q > 0 la successione è positivamente divergente, se q < 0 an è
negativamente divergente, se q = 0 la successione è costante e ogni suo termine è
uguale al primo.

Per calcolare la somma dei termini di una successione compresi tra un termine arbitrario
iniziale am e un termine finale arbitrario ap esiste una formula elaborata da Gauss alla
tenera età di 10 anni: il risultato è pari alla media dei due termini estremi moltiplicata
per il numero di termini considerati.
p N
X ap + am X aN + a1
(13.2) an = · n, =⇒ an = · n.
n=m
2 n=1
2

Questa relazione è la stessa usata per calcolare l’area di un trapezio rettangolo avente
altezza n = p − m + 1 e basi am e ap : se ad ogni termine della successione compreso
tra i due estremi considerati si fa corrispondere un punto la somma è pari al numero
dei punti contenuti nel trapezio descritto.

Gauss arrivò a tale formula spinto dal dover calcolare la somma dei primi 100 naturali. Si
accorse che scrivendo in colonna questi naturali e sommandoli a loro stessi scritti in ordine
inverso otteneva 100 volte il numero 101, cioè 5050. Generalizzando questo risultato si ottiene
la 13.2.
Matematica 541

Esistono formule analoghe per la somma dei primi n naturali pari e dei primi n naturali
dispari ottenibili attraverso il principio di induzione. Si osserva infatti che 1 + 3 = 4 =
22 , 1 + 3 + 5 = 9 = 32 e cosı̀ via. Ora 3 è il termine di posto 2 della successione dei
dispari positivi e 5 è il termine di posto 3 della stessa successione, quindi la somma
dei primi n dispari positivi è proprio n2 . Non è complicato verificare la validità delle
seguenti formule:

n(n + 1)
somma dei primi n naturali 1 + 2 + 3 + ··· + n = ,


2



(13.3) somma dei primi n dispari positivi 1 + 3 + 5 + · · · + 2n − 1 = n2 ,




somma dei primi n pari positivi 2 + 4 + 6 + · · · + 2n = n(n + 1) .
L’ultima formula si ricava considerando che 2 + 4 = 6 = 2 · (2 + 1), 2 + 4 + 6 = 12 =
3 · (3 + 1) e che 4 è il termine di posto 2 dei pari mentre 6 è il termine di posto 3.

Applichiamo le formule in alcuni esercizi. Se ad esempio si vuole calcolare la somma dei


primi 4 numeri dispari si ha 1 + 3 + 5 + 7 = 42 = 16. Se si vuole calcolare la somma dei

Matematica
primi 5 numeri pari si ha invece 2 + 4 + 6 + 8 + 10 = 5(5 + 1) = 5 · 6 = 30. La somma dei
primi 20 naturali usando la prima relazione 13.3 è 1 + 2 + · · · + 19 + 20 = n(n + 1)/2 =
20 · 21/2 = 10 · 21 = 210.

Un’altra operazione possibile con le progressioni aritmetiche è l’inserimento di m


medi aritmetici tra due termini dati della progressione. Si vuole, cioè, stabilire quali
siano gli m numeri a1 , a2 , · · · am da inserire tra i due estremi a e b fissati rispettando
la ricorsività della progressione. A tal fine si deve trovare la ragione della progressione
e per farlo basta invertire la 13.1 e si ha
an − a1 b−a
(13.4) q= =⇒ q= infatti n = m + 2 .
n−1 m+1
Una volta determinata la ragione q il primo medio aritmetico sarà pari a a + q, il
secondo a a + 2q fino all’ultimo che sarà a + m · q = b − q.

Se si vogliono inserire tre medi aritmetici tra gli estremi 10 e 50 si applica la 13.4 e
si ottiene q = (50 − 10)/4 = 10. Quindi i medi aritmetici sono a1 = 10 + 10 = 20,
a2 = 10 + 2 · 10 = 30 e a3 = 10 + 3 · 10 = 40.

13.3 Progressioni geometriche

Si definisce progressione geometrica una successione per la quale è costante il rap-


porto tra due termini successivi: ∀n ∈ N an /an−1 = q. Questa costante q è detta
ragione della progressione.

Per le progressioni geometriche conviene partire dal termine a0 per avere un’espressione
ricorsiva più semplice.
542 Progressioni e calcolo combinatorio

Dalla definizione e dalla sua ricorsività si ricava


che il termine n-esimo della successione è pari a

(13.5) an = an−1 · q .

Allo stesso modo se si conosce a0 e si vuole ri- Figura 13.2: La successione dei valo-
cavare il termine di posto n la ricorsività implica la ri delle monete rappresentate costituisce
relazione an = a0 · q n ; conoscendo invece am si ha una progressione?
ap = am · q p−m .
Considerando il primo termine positivo, anche per le progressioni geometriche il
carattere di convergenza è determinato dalla ragione q. Se q > 1 la progressione di-
verge positivamente, se q = 1 la progressione è costantemente uguale a a1 e quindi
è convergente, se 0 < q < 1 i termini della progressione sono in ordine decrescente e
questa è convergente. Nel caso banale q = 0 dopo a1 tutti i termini della progressione
dopo il primo sono nulli e quindi questa è convergente a zero.
Grazie alla ricorsività della progressione geometrica, si dimostra facilmente che la
somma parziale n-esima dei primi n termini della progressione vale
Calc. Comb.

n ∞
X 1 − qn X a0
(13.6) ai = a0 , =⇒ ai = .
i=0
1−q i=0
1−q

La formula per la serie geometrica si ricava nel caso di progressione convergente, cioè
per 0 < q < 1, grazie al fatto che essendo la ragione minore dell’unità le sue potenze con
esponente elevato contano sempre meno nella somma, cioè sono trascurabili rispetto
all’unità.
Si dimostra inoltre che il prodotto p di n termini compresi tra un termine iniziale
am e un termine finale ap vale Pn = (ap am )n .
Un’operazione possibile con le progressioni geometriche è l’inserimento di m medi
geometrici tra due termini dati della progressione. Si vuole, cioè, stabilire quali siano
gli m numeri a1 , a2 , · · · am da inserire tra i due estremi a e b fissati rispettando la
ricorsività della progressione. A tal fine si deve trovare la ragione della progressione e
per farlo basta invertire la 13.5 e si ha
r
an m+1 b
(13.7) q= =⇒ q = infatti n = m + 2 .
an−1 a
Una volta determinata la ragione q il primo medio geometrico sarà pari ad a1 = a · q,
il secondo ad a2 = a · q 2 fino all’ultimo che sarà am = a · q m = b/q.

Se si vogliono
√ inserire due medi geometrici tra gli estremi 702 e 26 si applica la 13.7 e si
ottiene q = 3 27 = 3. Quindi i medi geometrici sono a1 = 26 · 3 = 78 e a2 = 78 · 3 = 234.
Si verifica poi che b = 234 · 3 = 702.

13.4 Disposizioni semplici


Il calcolo combinatorio si occupa di analizzare i gruppi che possono formarsi da
un dato set di elementi e le loro proprietà. In base alla legge con la quale vengono
Matematica 543

costruiti questi gruppi, essi avranno nomi diversi: disposizioni, permutazioni o combi-
nazioni. Ognuno di questi tre casi viene poi suddiviso in una modalità in cui nessun
elemento del gruppo creato può essere ripetuto, cioè ogni elemento è unico, e in una
modalità in cui uno o più elementi del gruppo creato possono essere ripetuti.
Affronteremo prima i tre casi privi di ripetizioni, in quanto più semplici, poi vedremo
le tre varianti con ripetizione.

Dati n elementi distinti di un insieme, si considerino i gruppi formati da k di essi,


con k < n. Ognuno di tali gruppi è detto disposizione semplice di classe k quando
i raggruppamenti dei k oggetti tra gli n a disposizione differiscono per almeno un
elemento o per l’ordine in cui sono presi.

Una disposizione semplice di n elementi presi k a k, cioè di classe k, si indica con il


simbolo Dn,k . Se k = 2 si parla di coppie, se k = 3 di terne, se k = 4 quaterne e
cosı̀ via. Il modo migliore per visualizzare o calcolare graficamente il numero Dn,k è
attraverso un diagramma ad albero, come quello utilizzato nella figura 13.4 per le

Matematica
permutazioni.
Intuitivamente ogni volta che si seleziona un membro del gruppo questo può essere
accoppiato con i restanti n − 1. Quindi moltiplicando n(n − 1) si ottiene Dn,2 . Se si
procede per creare terne, ad ogni sottogruppo creato (coppia), possono essere abbinati
i restanti n − 2 elementi distinti dell’insieme. Quindi Dn,3 = n(n − 1)(n − 2). Con il
principio di induzione è facile convincersi che Dn,4 = n(n − 1)(n − 2)(n − 3) e che in
generale vale la seguente relazione:
(13.8)
n!
Dn,k = dove il fattoriale n! è per definizione n! = n(n − 1)(n − 2) · . . . · 2 · 1 .
(n − k)!

Il fattoriale di un naturale n, indicato con un punto esclamativo dopo il simbolo del


numero come in n!, è il prodotto del numero stesso con tutti i naturali minori di quel
numero. Valgono inoltre le convenzioni 0! = 1! = 1. Si ricorda che i fattoriali nei
rapporti non possono essere semplificati come i numeri normali.

In altri termini 4! : 2! 6= 2! = 2 ma (4 · 3 · 2 · 1) : (2 · 1) = 4 · 3 = 12.

Calcoliamo in quanti modi si possono mettere insieme 5 monete diverse, scegliendole a


caso da una scatola contenente 10 monete tutte diverse. Stabiliamo che consideriamo di-
versi i raggruppamenti che differiscono per l’ordine: concludiamo che ci interessa calcolare
il numero D10,5 .
In base alla 13.8 la risposta è D10,5 = 10!/(10−5)! = 10!/5! = 10·9·8·7·6 = 30240. Come
si vede quando i numeri sono alti non è proponibile ricorrere a diagrammi ad albero ma
la formula data consente comunque una rapida e certa soluzione.

Rientrano certamente nel calcolo delle disposizioni semplici gli esercizi che richiedono
quanti numeri di tot cifre si possono creare o quanti numeri pari o dispari di tot cifre.
544 Progressioni e calcolo combinatorio

Calcoliamo quanti numeri di 4 cifre dispari si possono creare senza ripetizioni. Nei numeri
l’ordine conta perché il sistema decimale è posizionale. Nel nostro caso n = 5 perché le
cifre dispari sono 1, 3, 5, 7 e 9. Volendo formare numeri con solo 4 di queste ci interessa
calcolare il numero D5,4 .
In base alla 13.8 la risposta è D5,4 = 5!/(5 − 4)! = 5!/1! = 5! = 5 · 4 · 3 · 2 · 1 = 120.

La situazione è più complicata con i numeri pari, in quanto tra di essi si contempla
anche lo 0.

Se si vuole calcolare quanti numeri di 4 cifre pari si possono creare senza ripetizioni
bisogna prima considerare il fatto che vanno eliminati dal computo i numeri che iniziano
per 0.
Cominciamo con il procedere come per i numeri dispari. Le cifre pari sono in tutto 5: 0,
2, 4, 6 e 8. Volendone 4 di queste e poiché l’ordine conta perché stiamo costruendo un
numero dobbiamo calcolare ancora D5,4 = 120.
Sorge il problema che se la prima delle 4 cifre, cioè quella più sinistra, è 0 il numero è
Calc. Comb.

come se fosse di tre cifre e quindi non fa parte del gruppo che vogliamo creare. Come
facciamo ad escludere tutti i rappresentanti di questa evenienza?
Dobbiamo calcolare quanti numeri di 3 cifre pari distinte non nulle si possono comporre:
infatti i numeri che vogliamo escludere hanno necessariamente lo zero come cifra di sini-
stra, soltanto le altre 3 cifre alla sua destra possono variare nell’insieme scelto. Calcoliamo
allora D4,3 = 4!/(4 − 3)! = 4!/1! = 4! = 4 · 3 · 2 · 1 = 24.
Dal nostro computo iniziale dobbiamo quindi sottrarre questi 24 numeri per giungere al
risultato 120 − 24 = 96.

Un altro insieme in cui l’ordine conta è quello delle parole. I quesiti in cui si chiede
quante parole di tot lettere tutte distinte devono essere risolti con le disposizioni
semplici. Ci sono infatti due numeri qui: il 21 che è il numero di lettere dell’alfabeto
italiano e corrisponde all’indice n e il tot che corrisponde al k, cioè alla classe del
raggruppamento.

Per calcolare quante parole di 5 lettere esistono bisogna semplicemente ricorrere al numero
D21,5 = 21!/(21 − 5)! = 21!/16! = 21 · 20 · 19 · 18 · 17 = 2441880. Si noti che il numero
è enorme perché la matematica a questo livello non si interessa del senso compiuto: nel
computo saranno comprese anche parole del tipo hiqml.

Un altro classico tipo di problemi risolubili con le disposizioni è quello di determinare


quanti diversi podii si possono avere al termine di una gara cui partecipano n atleti.
Il podio infatti è composto da soli 3 posti quindi si cerca il numero Dn,3 .

13.5 Permutazioni semplici


Sebbene siano concettualmente più semplici da capire delle disposizioni, in quanto
una permutazione è un sinonimo del termine italiano ordinamento, le permutazioni
costituiscono un tipo particolare di disposizioni quindi vanno definite dopo di esse e
non prima.
Matematica 545

Dati n elementi distinti di un insieme, si considerino i gruppi formati da n di essi,


cioè da tutti. Ognuno di tali gruppi è detto permutazione semplice Pn quando i
raggruppamenti differiscono solo per l’ordine in cui sono presi gli elementi.

Sono un classico esempio di permutazione gli ana-


grammi, giochi enigmistici in cui si formano tutte
le possibili parole ottenibili da una parola iniziale
scambiando le lettere di posto. A differenza dell’e-
nigmistica, però, nei quesiti matematici di questo ti-
po non si bada al senso compiuto o meno dei termini
anagrammati.
Se ho soltanto due elementi posso formare solo
Figura 13.3: In quanti modi diversi si
due diverse coppie con essi, dove la differenza è data possono permutare i 4 pedalò tutti
appunto dall’ordinamento. Si ha quindi che P2 = 2. differenti?
Se ho 3 elementi posso cominciare la mia sequenza
con uno qualsiasi dei tre. Per ognuna di queste ipotesi posso poi aggiungere uno qualsiasi

Matematica
degli altri 2 mentre il terzo è obbligatoriamente quello rimasto, quindi ho 3 · 2 modi
diversi di creare terne differenti per l’ordinamento.
È semplice convincersi con il principio di induzione o con un diagramma ad albero
che vale la seguente relazione:

(13.9) Pk = k! = k(k − 1)(k − 2) · . . . · 2 · 1 .

Si noti che è facile distinguere se per la risoluzione di un quesito serve una disposizione
o una permutazione: nel primo caso abbiamo due indici, nel secondo solo uno.

Rientrano tra i problemi risolvibili con le permutazioni la richiesta di quanti modi


diversi ci sono di far accomodare n persone intorno a un tavolo con n posti o quanti
numeri diversi di n cifre si possono formare con n cifre distinte. Vediamo un anagramma
senza ripetizione per allenarci.

Se si vuole calcolare quante parole si possono comporre con le lettere del termine case si
capisce subito che bisogna utilizzare una permutazione. Si ha infatti un unico numero a
disposizione, il quattro. Va allora calcolato il numero P4 = 4! = 4 · 3 · 2 · 1 = 24.
Le parole sono infatti quelle riportate nel diagramma ad albero di figura 13.4. Si noti che
l’ultima lettera è stata aggiunta in automatico in quanto non ci sono ulteriori biforcazioni
nell’aggiungere l’ultimo termine.

Una volta definite le disposizioni e le permutazioni possiamo introdurre le combinazioni.


Prima però è doveroso un approfondimento.

Se si è interessati a permutazioni cicliche, cioè di gruppi di n elementi in cui il primo e l’ultimo


coincidono, allora si hanno in realtà n − 1 elementi distinti e quindi il gruppo è formato in
Pn−1 modi diversi solo per l’ordinamento.
546 Progressioni e calcolo combinatorio

Figura 13.4: Delle 24 permutazioni della parola case soltanto 4 hanno senso compiuto in italiano.
Calc. Comb.

13.6 Combinazioni semplici

Dati n elementi distinti di un insieme, si considerino i gruppi formati da k di essi, con


k < n. Ognuno di tali gruppi è detto combinazione semplice di classe k quando
i raggruppamenti dei k oggetti tra gli n a disposizione differiscono per almeno un
elemento.

Una combinazione semplice di n elementi presi k a k, cioè


di classe k, si indica con il simbolo Cn,k . Se k = 2 si parla
di coppie, se k = 3 di terne, se k = 4 quaterne e cosı̀ via. Il
modo migliore per visualizzare o calcolare graficamente il
numero Cn,k è attraverso un diagramma ad albero, su
cui però bisogna poi lavorare per tener conto dei diversi
ordinamenti che sono ininfluenti per le combinazioni.
Figura 13.5: Nel gioco degli
Da un insieme di 3 elementi a, b, c, ad esempio, le cop- scacchi pochi pezzi diversi con
pie a, b e b, a rappresentano due disposizioni diverse semplici regole danno vita a
moltissime partite diverse.
ma la stessa combinazione perché differiscono soltanto
per l’ordinamento.

L’unica discriminante tra disposizioni e combinazioni è solo l’ordine: se conta si hanno


disposizioni, se non conta si hanno combinazioni. Per tale ragione per calcolare il nu-
mero di combinazioni semplici di classe k basta calcolare quello di disposizioni semplici
di classe k e poi dividere per le permutazioni dei k elementi considerati, cioè per tutti
i possibili ordinamenti diversi, che per le combinazioni sono ininfluenti. Il numero di
combinazioni Cn,k quindi si calcola nel modo seguente:
 
Dn,k n! n
(13.10) Cn,k = = = =⇒ Cn,k < Dn,k .
k! (n − k)!k! k
Matematica 547

Si ricorda che il simbolo nk è chiamato coefficiente binomiale perché questi numeri rappre-


sentano i coefficienti dello sviluppo del binomio di Newton. Si possono inoltre ricavare dal
triangolo di Tartaglia, come descritto nella sezione 2.7.

Un classico tipo di problemi risolvibili con le combinazioni sono quelli del calcolo delle
partite dei tornei di tipo round robin, dove ogni squadra gioca contro tutte le altre.
Analogamente calcolare quante combinazioni vincenti ci sono in un gioco ad estrazione
numerica (tipo cinquine nella tombola o nel lotto) richiede le combinazioni perché in
esse l’ordine non è importante.

Calcoliamo quante strette di mano avvengono se 10 persone si incontrano tutte insieme


per la prima volta e devono presentarsi. Il problema sembra portare a calcolare quante
coppie si possono formare da 10 elementi in quanto una stretta di mano coinvolge due
persone. Va però considerato che se A stringe la mano a B o se B stringe la mano ad A
stiamo considerando lo stesso evento: l’ordine non conta.
10!
Per risolvere il problema basta quindi calcolare il numero C10,2 = 8!2! = 10 · 9/2 = 5 · 9 =
45.

Matematica
13.7 Disposizioni con ripetizione

Dati n elementi di un insieme, si considerino i gruppi formati da k di essi non neces-


sariamente tutti distinti, con k qualsiasi, anche maggiore di n. Ognuno di tali gruppi è
detto disposizione con ripetizione di classe k quando i raggruppamenti dei k oggetti
tra gli n a disposizione differiscono per almeno un elemento o per l’ordine in cui sono
presi.

Dalla definizione si ricava che ogni elemento


può essere ripetuto al più k volte nel gruppo.
Il numero delle disposizioni con ripetizione si
0
indica con il simbolo Dn,k . Si dimostra che
vale la seguente relazione, a prescindere da
quanti dei k elementi si ripetano e da quante
volte si ripetano:
Figura 13.6: Grazie al gran numero di disposi-
0 k zioni possibili con pochi oggetti formati anche so-
(13.11) Dn,k =n . lo da due tipi diversi si possono creare tantissime
configurazioni diverse.
Sono problemi risolvibili con le disposizioni
con ripetizione quelli in cui si richiede quanti numeri di tot cifre possono essere formati
o quante parole di tot lettere, se non si specifica che tutti i termini devono essere
distinti.

Determiniamo quanti numeri di 3 cifre si possono scrivere. L’ordine nei numeri conta, quindi
si usano le disposizioni. Esistono anche numeri con cifre ripetute, come 333, quindi dobbiamo
548 Progressioni e calcolo combinatorio

usare le disposizioni con ripetizione. Nel sistema decimale le cifre sono 10, i simboli da 0 a 9,
0
quindi n = 10. Nel nostro caso k = 3, quindi dobbiamo calcolare D10,3 = 103 = 1000. Come
nel caso dei numeri pari, si ha però il problema di eliminare dal computo i numeri che iniziano
per 0 perché non sono considerati di 3 cifre. Bisogna quindi considerare attentamente quali e
quanti numeri eliminare dai 1000 previsti. Vanno esclusi quelli che cominciano per 0 e quelli
che cominciano per 00. Il numero dei primi corrisponde a quanti numeri di due cifre si possono
0
creare, cioè è D10,2 = 102 = 100. I secondi sono in realtà già compresi nei primi perché un
numero che comincia per 0 e ammette ripetizioni può avere lo 0 anche come seconda cifra.
Si giunge al totale 1000 − 100 = 900. Il risultato è convincente, come si può capire conside-
rando che stiamo cercando tutti i numeri tra 100 e 999 che sono appunto 900, come si ricava
facendo la differenza tra i due estremi e aggiungendo un’unità: 999 − 100 + 1 = 900.

13.8 Permutazioni con ripetizione

Dati n elementi distinti di un insieme, si considerino i gruppi formati da n di essi, cioè


0
da tutti. Ognuno di tali gruppi è detto permutazione con ripetizioni Pn,k,h quando
Calc. Comb.

i raggruppamenti differiscono solo per l’ordine in cui sono presi gli elementi e di questi
n elementi uno si ripete k volte e uno h volte.

Sono un classico esempio di permutazione con ripetizioni gli anagrammi con lettere
ripetute come nella parola pollo, purché non si badi al senso compiuto o meno dei
termini anagrammati.
La formula usata per calcolare il numero di tali permutazioni si ricava da quella
delle permutazioni semplici dividendo però per il fattoriale o i fattoriali del numero di
ripetizioni.

0 Pn n! 0 Pn n!
(13.12) Pn,k = = , Pn,k,h,m = = .
k! k! k!h!m! k!h!m!
Il numero di permutazioni con ripetizioni è inferiore a quello senza ripetizioni, perché
quando un elemento si ripete i raggruppamenti che differiscono per due posizioni diverse
di uno stesso elemento ripetuto rappresentano un solo raggruppamento. In altri termini
se nella parola pollo scambiamo la seconda lettera con la quinta, che sono entrambe o,
i due raggruppamenti sono indistinguibili e vanno conteggiati come uno solo.

Calcoliamo allora il numero di anagrammi della parola pollo. La parola è composta da 5


lettere, quindi n = 5. La lettera o si ripete 2 volte, quindi k = 2 e la lettera l si ripete 2
0
volte, quindi anche h = 2. Va allora usata la formula P5,2,2 = 5!/(2!2!) = (5 · 4 · 3)/2 =
5 · 2 · 3 = 30.

Altri esempi classici dell’uso delle permutazioni si hanno nel calcolo delle probabilità,
in particolare si ricorre alle permutazioni con ripetizione nel calcolo dei modi possibili
di disporre palline di tipi diversi (ad esempio estrando da un’urna contenente biglie
bianche e rosse) o dei possibili esiti di un certo numero di lanci della stessa moneta
(quindi testa e croce si ripetono).
Matematica 549

Calcoliamo ad esempio quanti sono i casi che possono corrispondere all’uscita di 2 volte
testa in una sequenza di 5 lanci della stessa moneta. In tal caso n = 5, k = 2 e necessa-
riamente h = 3, dove k indica un esito testa e h un esito croce. Va allora usata la formula
0
P5,2,3 = 5!/(2!3!) = 5 · 4 = 20.

Si noti che non si vuole che necessariamente i primi due lanci siano testa, ma due
qualsiasi sul totale dei lanci.

Se invece si cercasse il numero di modi in cui i primi due lanci su 5 sono testa, allora
i primi due elementi del raggruppamento sono fissati e soltanto gli altri tre possono
0
variare. Si tratterebbe in tal caso di determinare il numero D2,3 = 23 = 8.
Infatti, indicando con T l’uscita testa e con C l’uscita croce, ogni raggruppamento
avrebbe T T come sequenza iniziale seguita da qualsiasi sequenza di tre elementi con-
tenenti T o C. Ovvero T T T T T , T T T T C, T T T CC, T T T CT , T T CT T , T T CCT ,
T T CT C, T T CCC, esattamente 8 possibilità.

Matematica
Le singole parole dei problemi sono molto importanti, soprattutto i quantificatori come
al più o almeno e i termini che indicano l’ordine come l’aggettivo primo o ultimo o
qualsiasi.

Se nei 5 lanci di monete precedenti si cercasse il numero di modi in cui gli unici due
lanci che sono testa sono i primi 2, allora sono fissati sia i primi due elementi del
raggruppamento, cioè T T , sia sono fissati gli altri tre che non possono variare ma
sono obbligati a valere CCC. L’unica configurazione che realizza la richiesta è quindi
T T CCC.
In un caso del genere non bisogna ricorrere al calcolo combinatorio ma alla logica,
considerazione che vale sempre: il calcolo combinatorio è uno strumento formidabile,
ma va utilizzato soltanto dopo una riflessione sulla situazione descritta nel problema
da risolvere.

13.9 Combinazioni con ripetizione

Dati n elementi distinti di un insieme, si considerino i gruppi formati da k di essi non


tutti necessariamente distinti, con k qualsiasi, anche maggiore di n. Ognuno di tali
gruppi è detto combinazione con ripetizione di classe k quando i raggruppamenti
dei k oggetti tra gli n a disposizione differiscono per almeno un elemento.

La formula per tali raggruppamenti è abbastanza complessa e infatti sono rari i pro-
blemi proposti che vanno risolti con tale relazione. Come nel caso delle permutazioni,
le combinazioni con ripetizioni di uno stesso insieme di elementi sono inferiori a quelle
semplici, perché i raggruppamenti in cui due istanze dello stesso elemento si scambiano
sono indistinguibili e vengono contati una sola volta.
550 Progressioni e calcolo combinatorio

Si dimostra che vale la relazione

 (n + k − 1)!
(13.13) Cn,k = .
(n − 1)!k!

Calcoliamo ad esempio in quanti modi possiamo distribuire 20 copie dello stesso libro sui
4 scaffali dell’espositore di una libreria. Per risolvere questo problema bisogna invertire
la prospettiva e considerare di suddividere i 4 scaffali tra i 20 libri. Abbiamo quindi 4
oggetti diversi, gli scaffali, che possiamo ripetere fino a 20 volte (se inseriamo tutte le
copie sullo stesso scaffale). La risposta è il numero

  (4 + 20 − 1)! 23! 23 · 22 · 21
(13.14) Cn,k = C4,20 = = = = 23 · 11 · 7 = 1771 .
(4 − 1)!20! 3!20! 3·2

Prima di terminare il capitolo è opportuno un breve riepilogo sul diverso utilizzo dei
tre tipi di raggruppamento del calcolo combinatorio.
Calc. Comb.

Se i gruppi formati differiscono solo per l’ordine degli elementi, allora si hanno per-
mutazioni. Se i gruppi differiscono solo per la natura degli elementi ma non per
l’ordine, allora si hanno combinazioni. Se differiscono sia per ordine che per natura
degli elementi allora si hanno disposizioni.

13.10 Quesiti
1) Che cosa s’intende per successione E una serie monotona è certamente diver-
numerica? gente

A un insieme finito di elementi legati tra 3) Qual è la differenza tra progressione


loro da una legge aritmetica e successione?
B una sequenza di infiniti termini inter- A nelle progressioni ogni termine è maggio-
scambiabili re del precedente
C una sequenza ordinata di termini asse- B nelle progressioni ogni termine è minore
gnati secondo una stessa legge del precedente
D una funzione reale di variabile reale C la progressione è la somma dei termini
della successione
E una funzione che associa una sequenza di
termini ad ogni numero D in una progressione i termini aumentano
sempre della stessa quantità
2) Quale delle seguenti proposizioni è E una successione è sempre convergente
corretta? mentre una progressione diverge sempre
A una successione monotona è soltanto 4) Che cosa significa inserire m medi arit-
crescente metici tra a e b in una progressione
B una successione monotona è soltanto aritmetica?
decrescente
A determinare la ragione q e poi aggiunge-
C una serie è la somma dei termini di una re tra a e b i termini a + q, a + 2q e cosı̀
successione via fino a a + mq
D una serie motonona è certamente conver- B calcolare due valori medi ed inserirli a
gente partire dal termine centrale
Matematica 551

C suddividere la ragione q in m parti e E il semplice scambio di ogni elemento di


inserire queste tra a e b un gruppo con il suo successivo
D dividere due termini successivi per m e
8) In che cosa differiscono combinazioni e
inserirli uno dopo l’altro tra a e b
disposizioni semplici?
E sommare il primo termine e il termine
m-esimo e poi dividere per b − a A le combinazioni sono raggruppamenti di
n oggetti in n − 1 modi distinti
5) Come si ottiene la ragione in una
progressione geometrica? B le disposizioni sono raggruppamenti di n
oggetti in n − 1 modi distinti
A calcolando la media aritmetica tra due
C soltanto nell’ordine degli elementi dei
termini successivi
raggruppamenti
B calcolando il prodotto tra due termini
successivi D le disposizioni sono calcolabili solo per
n < 10
C calcolando il rapporto tra due termini
successivi E le combinazioni sono calcolabili solo per
n < 10
D calcolando il valore assoluto della diffe-
renza di due termini successivi 9) Quanti sono gli anagrammi anche privi
E calcolando la semisomma tra il primo e di senso della parola calotta?
l’ultimo termine

Matematica
A 1260
6) La disposizione semplice di n oggetti
presi a k a k è data dalla relazione: B 7

(n−k)! C 28
A Dn,k = n!
k! D 140
B Dn,k = (n−k)!
(n+k)!
E 280
C Dn,k = k!
n! 10) Quando si hanno permutazioni con
D Dn,k = (n−k)! ripetizione?
(k−n)!
E Dn,k = n! A quando degli n oggetti si possono for-
7) Che cosa si intende per permutazione mare solo raggruppamenti con elementi
semplice? uguali
B quando degli n oggetti non si posso-
A una disposizione semplice con k = n con
no formare raggruppamenti con un solo
i raggruppamenti che differiscono solo
elemento diverso
per l’ordine degli elementi
B una legge che scambia, uno dopo l’altro, C quando i raggruppamenti di n oggetti
i termini di un raggruppamento hanno un ordine preciso

C un insieme di n oggetti combinati in D quando 2 o più tra gli n elementi si


gruppi di (n − 1)/2 termini ripetono nei diversi ordinamenti
D il semplice scambio di ogni elemento di E quando non conta l’ordine in cui vengono
un gruppo con il suo precedente raggruppati gli elementi

13.11 Risposte commentate ai quesiti


1) La A va esclusa perché non è detto che l’insieme sia finito. Bisogna escludere
anche la B perché i termini non sono interscambiabili. La D va scartata in quanto
il dominio è N e non R. La E va esclusa perché ad ogni numero una successione
associa un solo termine. La risposta corretta è per definizione la C .

2) In generale i termini soltanto e certamente dovrebbero portare, in caso di dubbio,


ad optare per l’alternativa che non li contiene. In questo caso la A e la B sono
552 Progressioni e calcolo combinatorio

da escludere perché monotona si riferisce sia alla crescenza che alla decrescenza. La
convergenza di una serie non dipende dalla monotonia, ragion per cui si possono
scartare la D e la E . La risposta corretta è la C .
3) La A , la B e la E vanno escluse perché affermano proposizioni false. In particolare
la A e la B sono troppo restrittive come richieste. La C è la definizione di una
serie, quindi va scartata. La risposta corretta è per definizione la D .
4) Dalla definizione di medi aritmetici si ricava immediatamente che la risposta cor-
retta è la A . Tutte le altre alternative indicano procedure errate o prive di senso.
5) Dalla definizione stessa di progressione geometrica si ricava immediatamente che la
risposta corretta è la C . Tutte le altre alternative indicano procedure errate o prive
di senso.
6) Il coefficiente numerico corrispondente al numero di disposizioni di n oggetti presi
a k a k, stabilendo che i raggruppamenti possono differire anche solo per l’ordine
degli elementi scelti, è il rapporto tra due fattoriali. L’unica risposta corretta è la
Calc. Comb.

D.

7) La B va scartata perché la permutazione non è una legge; allo stesso si può escludere
la C perché la permutazione non è un insieme. La D e la E vanno escluse perché
non corrispondono all’operazione di commutazione degli elementi: per definizione
la risposta corretta è la A .
8) La A e la B vanno escluse in quanto non descrivono correttamente né combina-
zioni né disposizioni. La D e la E possono essere scartate perché esprimono una
limitazione falsa. La risposta corretta è la C .
9) Gli anagrammi si calcolano ricorrendo alle permutazioni, in questo caso con ripe-
tizione perché sia la lettera a che la lettera t si ripetono due volte. Il coefficiente
P7,2,2 è quindi pari a 7!/(2!2!). Ne deriva che la risposta corretta è la A .

10) La A e la B affermano una limitazione inesistente e vanno quindi escluse. La


C e la E invece esprimono una proprietà non vera e possono essere scartate. Dalla
definizione di permutazione si ha che la risposta corretta è la D .
Probabilità
14
Introduzione
In questo capitolo verranno introdotti i tre modelli probabilistici e verrà utilizzato
quello classico per la risoluzione degli esercizi. L’impronta del capitolo è di carattere
applicativo: una trattazione esaustiva della teoria delle probabilità esula dagli scopi di
questo manuale.
Per una piena comprensione delle definizione e dell’uso delle probabilità si racco-
manda un ripasso della teoria degli insiemi descritta nella prima parte del capitolo
1.

14.1 Eventi aleatori


Prima di introdurre i vari modelli probabilistici è opportuno richiamare alcuni concetti
generali.

Si definisce esperimento aleatorio qualunque fenomeno del mondo reale cui è asso-
ciabile un’incertezza. L’insieme Ω dei risultati possibili di un esperimento aleatorio è
detto spazio campionario.

Come classico esempio di esperimento aleatorio pos-


siamo considerare il lancio di un dado a sei facce. La
sestupla di numeri {1, 2, 3, 4, 5, 6} rappresenta tut-
ti i possibili esiti dell’esperimento e quindi coincide
con lo spazio campionario Ω.

Si definisce evento aleatorio una proposizio-


ne riguardante un esperimento aleatorio. Un
evento rappresenta una parte, cioè un sot-
toinsieme, di Ω e per essere definito aleatorio Figura 14.1: La probabilità di un evento
bisogna che il suo valore di verità sia ignoto. aleatorio è nulla solo quando si è certi
che l’evento non si verificherà.

Tornando all’esempio del dado l’uscita del numero 3 rappresenta un evento aleatorio. Se
il dado avesse sei facce uguali tutte con il numero 3 allora la stessa proposizione relativa
all’uscita del 3 non sarebbe più un evento aleatorio: si avrebbe sempre e comunque la
certezza di quanto accade.

L’aggettivo aleatorio è sinonimo di casuale.


554 Probabilità

Focalizzandoci sullo spazio aleatorio possiamo classificare ulteriormente gli eventi alea-
tori:
Se un evento coincide con uno solo degli elementi di Ω allora è detto evento
elementare. Ad esempio nel nostro lancio di dadi l’uscita del numero 3 è un
evento elementare, mentre l’uscita di un numero dispari non lo è, perché coincide
con l’unione di tre eventi elementari.
Se un evento coincide con l’intero spazio campionario Ω allora è detto evento
certo. Ne costituisce un esempio la richiesta che il risultato del lancio di un dado
sia un numero compreso tra 1 e 6.
Se un evento rappresenta l’insieme vuoto allora è detto evento impossibile. È
evidente che l’uscita di un numero maggiore di 7 nel lancio di un dado è un evento
impossibile.
Se tutti gli eventi dividono lo spazio campionario in parti uguali sono detti eventi
equiprobabili. Qualora il dado non sia truccato, ad esempio, l’uscita di uno
qualsiasi dei sei numeri delle facce è equiprobabile a quella degli altri.
Probabilità

14.2 Modelli probabilistici


Il primo modello di probabilità che trattiamo è quello storicamente sviluppato prima,
nato in seguito all’interesse di Pascal in merito alla richiesta di un suo amico sulle poste
eque da attribuire nel gioco d’azzardo. Lo studio di Pascal fu ripreso e sistematizzato
da Laplace, considerato il padre del modello classico di probabilità.
Questo modello assume che si possa conoscere a priori le diverse modalità in cui
evento aleatorio può verificarsi e che i diversi eventi siano tutti equiprobabili.

Nel modello classico si definisce probabilità P (E) di un evento E il rapporto tra il


numero di casi favorevoli e il numero di casi totali, cioè tra il numero di elementi di Ω
corrispondenti al verificarsi di E e il numero totale di elementi di Ω.

(14.1)
f
P (E) = , f = n. casi favorevoli , N = n. casi totali , 0 ≤ P (E) ≤ 1 .
N
La probabilità definita in tal modo è chiamata probabilità a priori o matematica
o teorica, in quanto si presuppone che si conosca a priori il valore di f e di N , prima
dall’effettiva realizzazione dell’esperimento aleatorio. In base alla definizione si ha che la
probabilità di un evento P (E) è un numero compreso tra 0 e 1. In particolare P (E) = 0
corrisponde a un evento impossibile: non può mai verificarsi. Al contrario P (E) = 1
corrisponde a un evento certo: siamo sicuri che si verifica quell’evento.

Nel lancio del dado dell’esempio precedente, l’evento corrispondente all’uscita del numero
3 ha una probabilità su sei di verificarsi, quindi si ha P (E) = 1/6 = 0, 17. Solitamente è
più conveniente moltiplicare il valore della probabilità per 100 esprimendola in percen-
tuale. L’uscita del 3 nel lancio del dado ha quindi probabilità pari al 17%. Si osservi che
in realtà il risultato è approssimato: la probabilità è leggermente inferiore al 17%.
Matematica 555

Allo stesso modo lanciando una moneta in aria e assumendo che non possa cadere pog-
giando il bordo ma soltanto una delle sue facce, indicando con T l’evento corrispon-
dente all’uscita della testa e con C l’uscita della croce. La probabilità che esca testa è
P (T ) = 0, 5 = 50%, pari a quella che esca croce: P (C) = 0, 5 = 50%.

Questo modello ha il difetto di dover conoscere in anticipo il numero di casi favorevoli


di un evento e non sempre è possibile tale assunzione. Ci sono eventi che si verificano
una sola volta, privi di precedenti, o dipendenti da un numero enorme di variabili che
non possono essere associati a una probabilità seguendo il modello aprioristico. Per tale
ragione è nata l’esigenza di definire in modi alternativi la probabilità di un evento.
Condizione essenziale per la concezione statistica della probabilità è che un espe-
rimento aleatorio sia ripetibile un gran numero di volte, cioè che possa essere
osservato un gran numero di esiti dello stesso esperimento ripetuto sempre nelle stesse
condizioni.

Nel modello statistico o frequentista si definisce probabilità P (E) di un evento E


il valore cui tende il rapporto tra il numero di prove di un esperimento aleatorio con

Matematica
esito favorevole all’evento e il numero N di prove totali, con N grande.

Il modello laplaciano fallisce ad esempio nel definire correttamente la probabilità del


lancio di un dado truccato. Soltanto se si prende il dado truccato e lo si lancia un gran
numero di volte si può costruire la probabilità delle diverse facce con la definizione
statistica.
Le due condizioni estreme di caso certo P (E) = 1 e di caso impossibile P (E) = 0
hanno lo stesso valore del modello matematico e anche in questa accezione si ha 0% ≤
P (E) ≤ 100%. Ciò non è un caso, ma deriva dalla legge empirica del caso o legge dei
grandi numeri.

La legge empirica del caso afferma che ripetendo un gran numero di volte un espe-
rimento aleatorio nelle stesse condizioni la probabilità a posteriori di un evento tende
al valore corrispondente alla sua probabilità a priori.

Nel modello frequentista la probabilità rappresenta la frequenza relativa associa-


ta a un evento. Per una più chiara comprensione di tale definizione può essere utile
consultare la sezione 12.2.
Esistono però esperimenti aleatori che non possono essere ripetuti nelle stesse con-
dizioni e per i quali gli eventi non sono tutti equiprobabili: un classico esempio di tale
situazione si ha in una partita di poker o in una gara sportiva. Ad ogni mano la distri-
buzione delle carte è diversa, cosı̀ come in ogni gara gli atleti hanno condizioni fisiche
ed emotive diverse, come possono essere diverse le condizioni climatiche o altri fattori.
A tale scopo è stato elaborato un terzo modello di probabilità, chiamato soggettivo.

Nel modello soggettivo si definisce probabilità P (E) di un evento E il rapporto tra


il prezzo P che un individuo considera equo pagare nel caso in cui l’evento E non si
verifichi e la somma S cui ha diritto nel caso in cui l’evento si verifichi.
P
(14.2) P (E) = .
S
556 Probabilità

Si capisce che in questo modello la probabilità esprime il grado di fiducia che una
persona ripone nel verificarsi dell’evento E, da cui deriva il nome del modello, che è
appunto soggettivo.
In virtù di un principio di coerenza cui deve obbedire la probabilità in questo
modello, permane la condizione 0 ≤ P (E) ≤ 1. Il principio di coerenza prevede che
l’individuo sia disposto a sua volta a ricevere P da un altro individuo e a pagare S se
l’evento si verifica.
Un esempio di probabilità in tale modello è rappresentato dalla posta che si riceve
quando si punta su una corsa di cavalli. Si noti che in tale modello, dominato dalla
soggettività, individui diversi possono attribuire probabilità diverse allo stesso evento
E.

Esiste una teoria assiomatica delle probabilità che comprende i tre modelli descritti sinora.
Tale teoria si basa su quella degli insiemi ed è quindi indipendente dalla natura del problema
probabilistico. Assumiamo ancora valide le definizioni della prima sezione.
La teoria si basa su due soli assiomi: che esista una funzione p : Ω → [0, 1] dallo spazio
campionario all’intervallo [0, 1] che assume valore unitario se applicata all’intero Ω (cioè l’e-
vento certo deve avere probabilità unitaria) e l’assioma di additività finita, ovvero che per
Probabilità

ogni coppia di eventi disgiunti la probabilità che si verifichi almeno uno dei due è la somma
delle singole probabilità.

L’aggettivo disgiunti del secondo assioma indica che i due eventi hanno intersezione
nulla. Da ora in poi seguiremo il modello classico di probabilità utilizzando però il
linguaggio assiomatico della teoria degli insiemi, il che facilita considerevolmente la
risoluzione dei problemi.

14.3 Eventi compatibili e incompatibili


Conviene introdurre una definizione molto utile nel considerare la somma di probabilità
e che inoltre consente di definire gli eventi complementari.

Due eventi A e B sono detti eventi incompatibili quando sono disgiunti, cioè hanno
intersezione nulla: A ∩ B = ∅. Se invece l’interesezione non è nulla gli eventi sono
detti compatibili.

In termini più discorsivi due eventi sono incompatibili quando non possono verificar-
si entrambi: il verificarsi dell’uno preclude il verificarsi dell’altro. Viceversa se possono
accadere contemporaneamente allora sono detti compatibili.

Sono incompatibili l’arrivo in orario di un treno e il ritardo dello stesso treno; sono
incompatibili il segnare una rete su rigore o il non segnare goal sullo stesso rigore. Sono
invece compatibili l’uscita testa di una moneta e l’uscita del numero 2 nel lancio di un
dado, cosı̀ come sono compatibili l’uscita di un numero pari nel lancio di un dado e
l’uscita del numero 4.

Si noti che nell’ultimo esempio il numero 4 è un numero pari, quindi il primo evento
costituisce un sottoinsieme del secondo evento, se visti come parti di Ω. In generale
Matematica 557

quando ad un evento A corrisponde una parte di Ω che è un sottoinsieme della parte


corrispondente a un secondo evento B, allora il verificarsi di B implica automaticamente
il verificarsi di A: B ⇒ A. I due eventi sono inoltre sempre compatibili. Non è invece
vera l’implicazione contraria: l’uscita di un numero pari non coincide necessariamente
con l’uscita del numero 4.
Nel seguito useremo indifferentemente gli aggettivi incompatibili e disgiunti come
sinonimi.

14.4 Eventi complementari

Due eventi A e B sono detti eventi complementari quando sono disgiunti e la somma
delle loro probabilità è unitaria: P (A) + P (B) = 1, A ∩ B = ∅.

In altri termini due eventi sono complementari quando rappresentano una partizione
di Ω in due sottoinsiemi a intersezione nulla la cui unione coincide con Ω stesso.

Matematica
L’esempio più classico di eventi complementari è l’uscita di testa T o di croce C nel lancio
di una moneta. In tal caso Ω = {T, C} e T ∩ C = ∅.
Sono ancora eventi complementari l’uscita di un numero pari e quella di un numero
dispari nel lancio di un dado, cosı̀ come l’uscita di un numero maggiore di 4 e quella di
un numero minore o uguale a 4 sempre nel lancio di un dado.
Si noti che considerando ancora il lancio di un dado gli eventi uscita di un numero
maggiore di 3 e uscita di un numero minore di 3 non sono complementari: pur essendo
disgiunti la loro unione non coincide con tutto Ω perché l’evento uscita del numero 3 non
è compreso in nessuno dei due.

Per gli eventi complementari vale il seguente teorema:

Teorema della probabilità contraria Se un evento E ha probabilità P (E), allora il


suo evento complementare E C ha probabilità P (E c ) = 1 − P (E).

Nella teoria assiomatica come conseguenza di tale teorema si ha che la probabilità di


un evento impossibile è nulla.

Se nel lancio di un dado la probabilità che esca 2 è P (E = 2) = 1/6 ≈ 17%, la probabilità


che non esca 2 è quella dell’evento complementare e quindi P (E 6= 2) = 1 − P (E) =
1 − 1/6 = 5/6 ≈ 83%.

14.5 Eventi unione

Si definisce evento unione di due o più eventi quello che corrisponde al verificarsi di
almeno uno di quelli menzionati. Nel linguaggio parlato l’evento unione è caratterizzato
dalla congiunzione o, cui corrisponde l’operazione di unione tra insiemi e quella di
addizione tra numeri.
558 Probabilità

Se quindi un problema richiede che si verifichi l’evento A o l’evento B bisogna conside-


rare l’evento unione A∪B. A tal proposito si deve considerare se A e B sono compatibili
o meno. In generale, infatti, vale il seguente teorema:

Teorema della probabilità totale La probabilità dell’evento unione A ∪ B è la somma


delle probabilità P (A) e P (B) con l’accortezza di non considerare due volte gli eventi
che appartengono all’intersezione A ∩ B: P (A ∪ B) = P (A) + P (B) − P (A ∩ B).

L’intersezione tra le due parti di Ω contiene infatti modalità che appartengono a en-
trambi gli eventi e se si contassero separatamente le configurazioni in cui si verifica A
e quelle in cui si verifica B queste modalità verrebbero contate due volte. Per evitare
tale errore bisogna sottrarre al conteggio cosı̀ effettuato il numero di configurazioni
appartenenti all’intersezione.
Cominciamo con l’analizzare l’evento unione di due eventi incompatibili.

Consideriamo il lancio di un dado e calcoliamo la probabilità che esca un numero pari


o il 3. La prima cosa da notare è la congiunzione, cui associamo l’operazione di somma
Probabilità

tra le probabilità dei singoli eventi E1 =numero pari e E2 = 3. La seconda cosa da


considerare è se E1 e E2 sono o meno compatibili. In questo caso sono incompatibili,
ovvero E1 ∩ E2 = ∅. Basta quindi considerare le due probabilità singole e poi sommarle.
Nel lancio di un dado vi sono 3 possibilità che esca un numero pari corrispondenti al-
l’insieme {2, 4, 6} e una possibilità che esca il numero 3, si ha quindi P (E1 ∪ E2 ) =
P (E1 ) + P (E2 ) = 3/6 + 1/6 = 4/6 = 2/3 = 0, 66 = 66%.

La situazione è più delicata nel caso di due eventi compatibili, come nell’esempio
seguente.

Consideriamo il lancio di un dado e calcoliamo la probabilità che esca un numero dispari


o un numero maggiore di 3. La prima cosa da notare è la congiunzione, cui associamo
l’operazione di somma tra le probabilità dei singoli eventi E1 =numero dispari e E2 =
numero maggiore di 3. La seconda cosa da considerare è se E1 e E2 sono o meno com-
patibili. In questo caso sono compatibili, ovvero E1 ∩ E2 = {5}, perché 5 è sia dispari
sia maggiore di 3. Bisogna quindi considerare le due probabilità singole, sommarle e poi
sottrarre la probabilità che esca 5 perché questa evenienza sarebbe contata due volte.
Nel lancio di un dado vi sono 3 possibilità che esca un numero dispari corrispondenti
all’insieme {1, 3, 5} e tre possibilità che esca un numero maggiore di 3 corrispondenti
all’insieme {4, 5, 6}, ed è semplice vedere che l’intersezione tra i due insiemi è appunto
E1 ∩E2 = {5}. Si ha quindi P (E1 ∪E2 ) = P (E1 )+P (E2 )−P (E1 ∩E2 ) = 3/6+3/6−1/6 =
5/6 = 0, 83 = 83%.

14.6 Eventi dipendenti e indipendenti

Due eventi sono detti eventi indipendenti quando il verificarsi dell’uno non incide sul
verificarsi dell’altro. Se invece il verificarsi di un evento modifica le possibilità con cui
si realizza un secondo evento allora i due sono detti eventi dipendenti.
Matematica 559

In altri termini se nel medesimo esperimento aleatorio il verificarsi di un evento non


modifica in alcun modo la probabilità che si verifichi il secondo evento allora i due sono
indipendenti.

Nel lancio contemporaneo di due dadi le uscite dei due dadi sono indipendenti: se
ad esempio il primo dado si ferma con la faccia corrispondente al 5 rivolta verso l’alto
il secondo può fermarsi con una qualsiasi delle sei facce verso l’alto, è indipendente dal
primo.
L’indipendenza di due eventi si vede ancora meglio nelle estrazioni da un’urna: se la
prima pallina estratta viene reinserita nell’urna la seconda estrazione è indipendente dalla
prima, perché le condizioni iniziali della seconda estrazione sono le stesse della prima. Se
invece la pallina estratte viene tenuta fuori la seconda estrazione avviene in condizioni
diverse rispetto a quelle che si avrebbero se non ci fosse stata la prima estrazione, quindi
la seconda estrazione dipende in tal caso dalla prima.

Quando un evento dipende da un altro la sua probabilità è differente da quella che gli
competerebbe se avvenisse singolarmente. In altri termini l’evento da cui dipende va a
modificare o il numero di casi favorevoli per il secondo evento o quello dei casi totali o

Matematica
entrambi i numeri, per cui in ogni caso la probabilità associata al secondo evento è un
numero diverso da quello della sua probabilità singola.

Si definisce probabilità condizionata dell’evento A rispetto all’evento B e si scrive


P (A|B) la probabilità associata ad A a seguito del verificarsi di B. Quando A e B sono
dipendenti P (A|B) 6= P (A); se invece A e B sono indipendenti allora P (A|B) = P (A).

Torniamo a considerare l’estrazione di palline nere e bianche da un’urna.

Se l’urna contiene 3 palline bianche e 7 palline nere la probabilità a priori di estrarre una
pallina bianca è P (B) = 3/10 = 30%. Si supponga di procedere con una prima estrazione
in cui viene estratta una pallina nera e a una seconda estrazione in cui la pallina nera
viene rimessa nell’urna. La probabilità che in questa seconda estrazione esca una pallina
bianca è identica alla probabilità singola determinata prima, perché le due estrazioni sono
indipendenti: le condizioni in cui avviene la seconda estrazione sono immutate rispetto
all’estrazione singola della pallina bianca, cioè P (B|N ) = P (B).
Consideriamo invece la probabilità che la seconda pallina estratta sia bianca nel caso in
cui la prima pallina nera estratta venga tenuta fuori dall’urna. Le due estrazioni sono ora
dipendenti, infatti per la seconda estrazione il numero di casi favorevoli è ancora 3 ma
il numero di casi totali non è più 10 bensı̀ 9. Si ha quindi P (B|N ) = 3/9 = 1/3 = 33%.
Si noti che la probabilità è ora aumentata rispetto a quella singola. È semplice verificare
che invece la probabilità che la seconda estrazione dia una pallina nera è inferiore alla
probabilità singola di estrarre una pallina nera: 6/9 = 66% < 7/10 = 70%.

Questo esempio numerico consente agevolmente di convincersi della validità del seguen-
te teorema: la probabilità condizionata di un evento A rispetto a un evento B è data
dalla relazione
P (A ∩ B)
(14.3) P (A|B) = .
P (B)
560 Probabilità

La probabilità condizionata consente di definire eventi causa ed eventi effetto e di correlarli


tramite il teorema di Bayes. Partizionando Ω in n sottoinsiemi A1 . . . An corrispondenti a
eventi chiamati cause, la probabilità che l’evento B chiamato effetto sia stato prodotto dalla
causa Ai è
P (B|Ai ) · P (Ai )
(14.4) P (Ai |B) = .
P (B|A1 ) · P (A1 ) + P (B|A2 ) · P (A2 ) + · · · + P (B|An ) · P (An )

Chiudiamo la sezione con un utile considerazione di carattere pratico.

Spesso due eventi sono contemporanei. In tal caso bisogna fissare arbitrariamente
un ordine temporale e ipotizzare che uno dei due avvenga un istante prima dell’altro.
Questa ipotesi consente di determinare se i due eventi sono dipendenti o meno.
Probabilità

14.7 Eventi intersezione

Si definisce evento intersezione di due o


più eventi quello che corrisponde al verificar-
si di tutti quelli menzionati. Nel linguaggio
parlato l’evento intersezione è caratterizzato
dalla congiunzione e, cui corrisponde l’ope-
razione di intersezione tra insiemi e quella
di moltiplicazione tra numeri.

Se quindi un problema richiede che si verifichino Figura 14.2: La probabilità di incontra-


re due personaggi è pari al prodotto del-
l’evento A e l’evento B bisogna considerare l’e- la probabilità di incontrare il primo per
vento A ∩ B. Invertendo la relazione 14.3 è facile quella di incontrare il secondo. In questo
convincersi della validità del seguente teorema: caso è decisamente molto bassa.

Teorema della probabilità composta La probabilità dell’evento intersezione di due


eventi A e B è
(
P (A ∩ B) = P (A|B) · P (B) = P (B|A) · P (A) eventi dipendenti,
(14.5)
P (A ∩ B) = P (A) · P (B) eventi indipendenti.

Notiamo che poiché la probabilità di un singolo evento è non maggiore dell’unità il pro-
dotto di due o più probabilità è un numero sempre più piccolo al procedere delle mol-
tiplicazioni. D’altronde ciò corrisponde a richiedere contemporaneamente il verificarsi
di più condizioni e questo restringe sempre più il numero di configurazioni favorevoli.
Matematica 561

Spesso la congiunzione viene mascherata nel testo di un problema non banale: qua-
lunque sia il testo che riguarda più di un evento elementare bisogna trasformarlo in
modo da avere sempre una congiunzione o e una congiunzione e.

Nel caso di problemi molto difficili talvolta bisogna scindere il problema in due sot-
toproblemi, generalmente a uno dei due compete la congiunzione e mentre all’altro la
congiunzione o.

Calcoliamo P (T T T ), cioè la probabilità di lanciare la stessa moneta tre volte ottenendo


tre volte testa. Nel testo del problema non è presente alcuna congiunzione, quindi va
trasformato. Qui si sta richiedendo che la prima moneta sia testa e la seconda sia testa
e la terza sia testa: abbiamo tutte moltiplicazioni perché si ha a che fare con l’evento
intersezione T ∩ T ∩ T .
Bisogna poi chiedersi se gli eventi sono o meno dipendenti. Ogni volta che la moneta viene
lanciata si ha un evento indipendente rispetto ai precedenti, quindi dobbiamo calcolare
il semplice prodotto P (T ) · P (T ) · P (T ). Sappiamo che P (T ) = 1/2, quindi abbiamo
P (T T T ) = (1/2)3 = 1/8 = 12, 5%.

Matematica
Un discorso analogo vale nelle estrazioni dei giochi numerici come il lotto o il su-
perenalotto: nonostante molte persone ritengano di puntare su un numero che non
viene estratto da molto tempo, ogni estrazione è indipendente dalle altre. È come se
la memoria delle estrazioni venisse cancellata e quindi un numero che non esce da
numerose estrazioni non è favorito rispetto a un numero che è stato estratto soltanto
nell’estrazione precedente.

Calcoliamo la probabilità che nell’estrazione di tre palline da un’urna contenente 3 palline


bianche e 7 nere la prima sia bianca e le altre due siano nere. Nel testo è presente la
congiunzione e: si sta cercando P (BN N ), la probabilità che la prima sia bianca e la
seconda sia nera e la terza sia nera.
Avendo a che fare con l’evento intersezione B ∩ N ∩ N bisogna chiedersi se i tre eventi
siano o meno indipendenti. Poiché a meno che non venga specificato diversamente le
palline estratte di solito non vengono rimesse nelle urne, i tre eventi sono dipendenti.
Cominciamo con il calcolare P (B) = 3/10. La seconda estrazione dipende dalla prima e
si ha P (N |B) = 7/9 perché il totale delle palline è ora 9 e non più 10. La terza estrazione
dipende dalla seconda (e dalla prima) e si ha P (N |BN ) = 6/8 = 3/4 perché le palline
nere rimaste nell’urna sono 6 e quelle totali sono 8.
Per determinare la probabilità totale dobbiamo calcolare il prodotto P (B) · P (N |B) ·
P (N |BN ) = (3/10) · (7/9) · (3/4) = 7/40 = 17, 5%.

14.8 Probabilità e calcolo combinatorio


In problemi più difficili conviene a volte ricorrere al calcolo combinatorio per deter-
minare più rapidamente la soluzione. Alcune volte il ricorso al calcolo combinatorio è
l’unico mezzo risolutivo di un problema probabilistico.
In genere il ricorso a questo strumento si ha per determinare in quante modalità
può verificarsi un evento, cioè il numero di casi favorevoli. Ciò avviene sia per un
562 Probabilità

singolo evento sia quando l’evento non è elementare e può corrispondere a diverse
configurazioni. Nel seguito illustriamo alcuni esempi chiarificatori.

Torniamo all’esempio della sezione precedente, riguardante l’urna con 3 palline bianche e
7 palline nere. Abbiamo già calcolato la probabilità che la prima estratta sia bianca e le
altre due nere, cioè P (BN N ). Nel testo l’aggettivo numerale fa corrispondere un’unica
configurazione all’evento voluto. Se si eliminano gli aggettivi prima e altre il discorso
cambia: vi sono più configurazioni corrispondenti al caso favorevole.
Calcoliamo infatti la probabilità che in tre estrazioni consecutive dalla stessa urna si
abbia come risultato una pallina bianca e due nere. Stavolta non è più richiesto che la
bianca sia la prima. Abbiamo quindi le seguenti configurazioni favorevoli: BN N , N BN
e N N B. Poiché vanno bene tutte, cioè una qualsiasi di esse va bene, dobbiamo sommare
le rispettive probabilità!
In altri termini l’esercizio richiede che l’estrazione sia BN N o N BN o N N B. I tre eventi
globali sono indipendenti: o si verifica il primo o il secondo o il terzo e si escludono a
vicenda, quindi una volta determinate le tre probabilità dovremo semplicemente sommar-
le. P (BN N ) è stata già determinata. Troviamo ora P (N BN ) = (7/10) · (3/9) · (6/8) =
7/40 = 17, 5%. Allo stesso modo P (N N B) = (7/10) · (6/9) · (3/8) = 7/40 = 17, 5%. Si
Probabilità

noti che i tre risultati sono identici e questo non è un caso, ma la norma, come si può
realizzare basandosi su considerazioni statistiche come quelle riportate nel capitolo 13.
Il risultato del problema è dunque Ptot = P (BN N ) + P (N BN ) + P (N N B) =
3P (BN N ) = 3 · 17, 5% = 52, 5%.

Il coefficiente 3 davanti alla singola probabilità poteva essere determinato grazie al


calcolo combinatorio: corrisponde al numero di permutazioni di 3 elementi dei quali
uno può ripetersi 2 volte (la pallina nera). È quindi il numero P3,2 = 3!/2! = 3, come
si ricava dalla sezione 13.8.
Ovviamente, non avendo il vincolo che la bianca sia la prima pallina, la probabilità
totale è maggiore che nell’esercizio precedente dove il vincolo era presente. Da questo
esercizio possiamo dedurre la seguente utilissima regola pratica.

Tutte le volte che un evento composto è esprimibile in più configurazioni le probabilità


delle singole configurazioni sono uguali. Ne discende che per calcolare la probabilità
totale basta calcolare quella di una singola configurazione favorevole e moltiplicarla
per il numero totale di configurazioni favorevoli.

Vediamo invece quando il calcolo combinatorio è utile per determinare direttamente il


numero di casi favorevoli e di quelli totali di un esercizio complesso.

Immaginiamo di avere una partita di 10 uova di pasqua tutte con la stessa confezione
esterna. Di queste solo 3 contengono una sorpresa d’oro e le altre un monile d’argento.
Troviamo la probabilità di trovare due sorprese dorate aprendo 4 uova a caso. A differenza
delle estrazioni di prima, qui non è agevole rappresentare per elencazione le configura-
zioni favorevoli: bisogna ricorrere al calcolo combinatorio. Una configurazione favorevole
corrisponde ad avere 2 scatole con sorpresa d’oro e 2 con sorpresa d’argento: è il prodotto
di due numeri.
Matematica 563

Nelle aperture delle uova l’ordine non conta, quindi si considerano le combinazioni sem-
plici della sezione 13.6. Il prodotto è dato da C3,2 · C7,2 : ci si chiede in quanti modi si
possono avere coppie di uova con sorpresa dorate da un totale di 3 di esse abbinate a
coppie di uova con sorpresa argentata da un totale di 7 uova di questo secondo tipo. Il
risultato è
3! 7! 3·2·1 7·6
(14.6) C3,2 · C7,2 = · = · = 3 · 7 · 3 = 42 .
2! · 1! 2! · 5! 2·1 2
Bisogna ricorrere al calcolo combinatorio anche per determinare il numero di configu-
razioni totali. In questo caso si deve calcolare in quanti modi si possono selezionare 4
uova da un gruppo di 10. L’ordine non conta quindi si tratta di combinazioni semplici:
calcoliamo C10,4 .
10! 10 · 9 · 8 · 7
(14.7) C10,4 = = = 30 · 7 = 210 .
4! · 6! 4·3·2
La probabilità cercata è quindi il rapporto tra i due numeri determinati:
42
(14.8) Ptot = = 0, 2 = 20% .

Matematica
210

14.9 Quesiti

1) Che cosa s’intende per evento aleatorio? A è un valore aleatorio

A una proposizione con valore di verità, B è un valore ben definito


espressa in modo incerto C è un valore che non si può calcolare
B una proposizione con valore di verità D è un valore molto grande
ignoto
E è un valore che ha senso solo se il numero
C una proposizione con un valore di verità di eventi è molto grande
falso
D un’apparente verità espressa tramite una 4) Quale delle seguenti proposizioni sul
proposizione modello soggettivo di probabilità è
corretta?
E una proposizione falsa con valore di
incertezza A nel modello soggettivo la probabilità è
calcolata in maniera più precisa che nel
2) Qual è la definizione classica di probabi- modello classico
lità?
B nel modello soggettivo la probabilità è
A il prodotto tra il numero di casi calcolata in maniera più precisa che nel
favorevoli e quello di casi totali modello statistico
B la differenza tra il numero di casi C la soggettività è espressa dal fatto che
favorevoli e quello di casi totali viene attribuito un prezzo equo da
C il rapporto tra il numero di casi pagare e riscuotere
favorevoli e quello di casi totali D la soggettività è espressa dal rapporto
D il rapporto tra i casi totali e quelli tra casi favorevoli e casi possibili
favorevoli E la soggettività è espressa dalla differenza
tra eventi favorevoli ed eventi possibili
E la somma tra i casi totali e quelli
favorevoli 5) Che cosa caratterizza gli eventi incom-
patibili?
3) Come s’interpreta nel modello statistico
la definizione di probabilità? A l’essere disgiunti
564 Probabilità

B l’essere consecutivi C per eventi compatibili basta sommare le


singole probabilità
C l’essere contemporanei
D per eventi compatibili si calcola l’inter-
D l’essere entrambi aleatori
sezione tra i due insiemi corrispondenti
E l’essere complementari agli eventi

6) Due eventi complementari sono: E per eventi incompatibili si calcola l’inter-


sezione tra i due insiemi corrispondenti
A consecutivi e disgiunti agli eventi
B consecutivi e a somma di probabilità 9) Che cosa si intende per probabilità
nulla condizionata di A rispetto a B?
C disgiunti e a somma di probabilità
unitaria A la probabilità che si verifichino A e B
D consecutivi e compatibili B la probabilità che si verifichi A e non B
E disgiunti e incompatibili C la probabilità che si verifichi B e non A
7) Il calcolo della probabilità che si verifichi D la probabilità che A condizioni B
almeno uno tra due eventi considerati
equivale: E la probabilità di A a seguito del
verificarsi di B
Probabilità

A all’operazione di prodotto cartesiano tra


insiemi 10) Quale delle seguenti proposizioni è
corretta?
B all’operazione di complemento tra insie-
mi A le congiunzioni e ed o nel calcolo della
C all’operazione di intersezione tra insiemi probabilità sono equivalenti
D all’operazione di unione tra insiemi B le congiunzioni e ed o nel calcolo della
probabilità sono incompatibili
E all’operazione di differenza tra insiemi
C il prodotto di due o più probabilità è un
8) Qual è la differenza nel calcolo del- numero sempre più piccolo all’aumentare
l’unione di due eventi compatibili e del numero degli eventi
incompatibili?
D il prodotto di due o più probabilità è un
A per eventi incompatibili basta sommare numero sempre più grande all’aumentare
le singole probabilità del numero degli eventi
B per eventi incompatibili oltre a somma- E l’unico elemento di calcolo combinatorio
re le singole probabilità bisogna sottrarre utilizzabile nel calcolo delle probabilità è
l’intersezione rappresentato dalle disposizioni

14.10 Risposte commentate ai quesiti


1) La A va esclusa perché non è il modo che delinea l’incertezza. La C va scartata
perché rappresenta una contraddizione. La D è errata: la verità non è apparente e
non è un evento ma una qualità. Va esclusa anche la E perché l’evento non è falso.
La risposta corretta è per definizione la B .

2) La A , la B e la E vanno escluse perchè indicano l’operazione sbagliata. Si può


scartare la D perché in essa denominatore e numeratore sono invertiti: la risposta
corretta è la C .

3) La A , la B e la C vanno escluse perché false. La D si può scartare in quanto


imprecisa. L’aggettivo statistico ha in genere senso solo se riferito a un gran numero
di eventi, infatti la risposta corretta è la E .
Matematica 565

4) La A e la B sono errate in quanto il modello è detto soggettivo proprio per il peso


della scelta del soggetto. La D e la E forniscono spiegazioni false e vanno quindi
escluse. La risposta corretta è la C .
5) Tutte le alternative all’infuori della prima descrivono caratteristiche che non sono
connesse all’incompatibilità. Dalla definizione di quest’ultima proprietà, invece, se-
gue che la risposta corretta è la A : eventi incompatibili hanno intersezione nulla,
ovvero sono disgiunti.

6) L’unica alternativa che fornisce una risposta legata alla complementarietà è la


C , che infatti rappresenta la risposta corretta. Le altre forniscono caratteristiche
slegate tra loro e non legate alla complementarietà, sono quindi da escludere.
7) La parola almeno indicata nel testo corrisponde alla congiunzione o e quindi alla
somma di probabilità. Come indicato dal teorema della probabilità totale la som-
ma di probabilità coincide con l’unione tra gli insiemi dello spazio campionario Ω
corrispondenti agli eventi considerati. Ne discende che la risposta corretta è la D .

8) La B va esclusa perché inverte le definizioni di compatibili e incompatibili. La C ,

Matematica
la D e la E vanno scartate perché incomplete e imprecise. La risposta corretta è
la A in quanto eventi incompatibili hanno intersezione nulla.
9) La A , la B e la C espongono situazioni non corrispondenti alla probabilità con-
dizionata e vanno escluse. La D inverte la correlazione e quindi va scartata. La
risposta corretta in base alla definizione è la E .

10) La A è errata perché le due congiunzioni esprimono concetti diversi. La B va


esclusa perché esprime una proprietà falsa. Bisogna scartare anche la D in quanto
la probabilità è sempre minore dell’unità e quindi il totale diminuisce al crescere
del numero di eventi. Per la stessa ragione la risposta corretta è la C . La E è
invece falsa in quanto si può ricorrere anche alle permutazioni e alle combinazioni
a seconda del testo del problema.
Fisica
Prefazione
La teoria di fisica è strutturata in cinque moduli:
I primi tre capitoli costituiscono un corpus di conoscenze necessarie per la com-
prensione e la trattazione corretta di tutti i capitoli successivi. Spesso questa
parte viene considerata introduttiva e magari trascurata, eppure la natura delle
grandezze considerate e le loro dimensioni e unità di misura consentono di far luce
su numerosi dubbi che possono essere rilevati durante la risoluzione di quesiti.
I capitoli dal quattro al sette trattano di meccanica. Il loro contenuto ha carat-
tere generale, nel senso che le grandezze e i principi definiti in questo modulo
vengono poi ripresi e magari ampliati o specificati nei capitoli successivi quando
vengono applicati a singoli fenomeni. La padronanza dei fondamenti di statica e
di dinamica è essenziale per avere una panoramica chiara del mondo fisico e per
affrontare con le competenze adeguate i quesiti di fisica.
Il capitolo otto parla di meccanica dei fluidi, una branca della meccanica che
richiede nuove grandezze rispetto alla meccanica del punto materiale o dei corpi
solidi, ad esempio la pressione. Sebbene sia un ambito relativamente ristretto
della fisica, la constatazione che sia l’aria che l’acqua sono fluidi lascia intendere la
vastità delle possibili applicazioni di questo settore. E’ necessario quindi adattare
i principi appresi nel modulo precedente di meccanica alla nuova visione che
contempla la presenza di fluidi. Piuttosto che imparare a memoria nuove leggi
che regolano questi fenomeni è opportuno realizzare che si tratta di applicazioni
dei principi basilari di meccanica, in modo da poterli padroneggiare meglio ed
essere in grado di risolvere i relativi quesiti senza problemi.
I capitoli nove e dieci trattano di fenomeni termici. La visione di tale modulo
è molto diversa da quella della meccanica, ma poiché ogni parte del mondo fi-
sico può essere descritta come un sistema termodinamico la rilevanza di questo
argomento non può in alcun modo essere sottovalutata. Ogni volta che è parso
opportuno è stata data l’interpretazione microscopica delle leggi che regolano i
sistemi termodinamici, in modo da consentire una comprensione approfondita dei
fondamenti che governano questa branca.
I capitoli dall’undici al sedici costituiscono un unico corpus che tratta dei va-
ri aspetti dell’elettromagnetismo. Per comodità questo vasto argomento è stato
suddiviso in capitoli che trattano singolarmente le varie specificità dei fenomeni
elettromagnetici, lasciando al capitolo quattordici il compito di mostrare la sin-
tesi delle varie parti. Il nostro mondo è visibile grazie alla luce, che è un’onda
elettromagnetica, ed è riscaldato dal Sole attraverso radiazione elettromagnetica,
gran parte dell’attuale tecnologia si basa sull’elettronica: questo ambito permea
la nostra esistenza e ha innumerevoli applicazioni. Si tratta di un argomento più
astratto rispetto ai precedenti e richiede quindi un maggiore sforzo per essere
compreso a fondo, ma l’energia profusa verso tale obiettivo viene ripagata dalla
nuova visione che si acquista, che consente di muoversi su diversi livelli di ge-
neralizzazione e di essere in grado di risolvere quesiti che all’apparenza possono
sembrare particolarmente difficili.
568

In tutta la teoria di fisica si è fatto ricorso il meno possibile alle relazioni matematiche
per facilitare la comprensione dei fenomeni descritti. Le formule presenti sono indispen-
sabili a una corretta definizione di alcune grandezze e sono molto utili per la risoluzione
di svariati quesiti. Nei primi due moduli, che contengono formule in percentuale supe-
riore rispetto al resto del testo, si è fatto largo uso di esempi anche numerici in modo
da consentire al lettore di provare subito l’applicazione delle relazioni riportate.
Nel quarto e quinto modulo, invece, che sono a carattere più teorico e trattano
descrizioni macroscopiche di fenomeni la cui reale natura si fonda nel mondo microsco-
pico, si è fatto ampio uso di approfondimenti per facilitare una visione più chiara
dei meccanismi che regolano quanto riportato.
Tutto il testo è poi cosparso di osservazioni e di evidenziazioni per fissare alcuni
concetti chiave o chiarire punti eventualmente ambigui per una persona che si avvicina
per la prima volta al mondo della fisica.
Ogni volta che è stata introdotta la definizione di una grandezza, inoltre, ciò è
stato segnalato con un’opportuna veste grafica, in modo da permettere un ripasso più
rapido e meglio organizzato. Per lo stesso fine sono state evidenziate in grassetto le
parole più significative delle varie sezioni.
Ogni modulo è concepito come a sé stante e allo stesso modo ogni capitolo rappre-
senta un’unità di apprendimento che può essere affrontata indipendentemente dalle
altre. All’interno dei capitoli le varie sezioni seguono lo stesso criterio: gli argomenti
trattati in una sezione per lo più non necessitano una consultazione di altre sezioni.
Eccezione a tale regola è rappresentata dalle dimensioni e dalle unità di misura delle
varie grandezze, che sono riportate nel primo capitolo. Ogni volta però è stato indicato
il riferimento opportuno.
Il testo presenta comunque una sua continuità, per cui sebbene sia possibile dedicarsi
Fisica

ai singoli moduli o capitoli nell’ordine che si preferisce, è consigliabile in una prima


lettura seguire l’ordine naturale dei capitoli.
I commenti riportati nella risoluzione degli esercizi hanno carattere altamente
formativo, chiariscono alcuni punti e specificano le applicazioni dei concetti descritti
nei capitoli. Piuttosto che porre l’enfasi su quale sia la risposta corretta si consiglia
di leggere attentamente i motivi che spingono ad escludere le alternative non corrette,
in modo da sviluppare la competenza adeguata per risolvere in poco tempo e con
cognizione di causa il maggior numero possibile di quesiti.
Misure
1
Introduzione
In questo capitolo analizzeremo i diversi tipi di grandezze fisiche e i fondamenti della
procedura di misurazione. Questi contenuti di base, spesso trascurati, si rivelano invece
molto utili nella risoluzione dei quesiti grazie soprattutto all’analisi dimensionale.

1.1 Grandezze fisiche


La fisica indaga i fenomeni naturali e li de-
scrive con il linguaggio della matematica. Og-
getto della fisica è dunque tutto ciò che ci cir-
conda, l’intero universo, eppure è necessario
porre una chiara distinzione iniziale su co-
sa può essere trattato in questa disciplina e
cosa invece non rientra nei suoi campi di ap-
plicazione. La fisica è una scienza quantitati-
va, ovvero si occupa di stabilire relazioni ma- Figura 1.1: Di una montagna si può misurare
tematiche tra quantità, chiamate grandezze l’altezza, la temperatura al suolo, la densità, che
sono tutte grandezze fisiche; non lo è invece la
fisiche. bellezza di una montagna non essendo misurabile
oggettivamente.

Si definisce grandezza tutto ciò cui può essere associato un numero. L’associazione
avviene tramite il processo di misurazione.

Da tale definizione discende che mentre rientrano nel campo della fisica ad esempio la
frequenza della luce emessa dal sole, l’energia contenuta in ogni fotone che viaggia con
essa e il tempo impiegato a raggiungere il nostro viso, lo stesso non si può dire delle
variazioni di umore associate a tale emissione luminosa.

1.2 Misurazione

Misurare significa confrontare una grandezza con un’analoga grandezza scelta come
campione, cioè calcolare il rapporto tra la grandezza in questione e il campione, cui si
associa valore unitario.

Per conoscere la lunghezza di un’asse, ad esempio, basta vedere quante volte la grandezza
chiamata metro è contenuta nella lunghezza da misurare.
570 Misure

Sebbene si possa utilizzare qualsiasi grandezza come campione conviene sceglierne una
facilmente reperibile, su cui ci sia accordo universale e che non risenta delle influenze
dell’ambiente. Le grandezze campione vengono chiamate unità di misura. Teorica-
mente ogni grandezza potrebbe avere una propria unità di misura ma ciò sarebbe
controproducente. Nel sistema internazionale (S.I.), una convenzione sulle misure in-
trodotta nel 1960, le grandezze vengono distinte in fondamentali e derivate. Le prime
sono chiamate anche dimensioni e alle loro unità di misura sono associati nomi specifici,
le unità di misura delle seconde vengono ricavate in base alle prime, non sempre hanno
nomi propri.

1.3 Sistemi di unità di misura


Al di là delle scelte del S.I., vi sono altri possibili gruppi di grandezze da scegliere come
fondamentali. Ognuna di tali opzioni, con le relative unità di misura, è detta sistema
di unità di misura. Tra i principali vi sono l’M.K.S., il cui nome deriva dalle iniziali di
metro, kilogrammo e secondo, che coincide con il S.I.; il c.g.s., con nome derivante da
centimetro, grammo e secondo, e il sistema pratico, anche noto come sistema tecnico
o degli ingegneri. Alcune unità di misura di quest’ultimo vengono accettate anche dal
S.I. perché estremamente precise o per motivi commerciali e di comunicazione e sono
riportate nella Tabella 1.3.
La scelta dell’M.K.S. quale convenzione internazionale risiede nelle sue caratteristi-
che; esso infatti è

completo: ogni grandezza in esso è legata alle altre da relazioni matematiche;


Misure

coerente: le relazioni che esprimono le unità delle grandezze derivate contengono


solo fattori di proporzionalità unitari;

decimale: multipli e sottomultipli delle unità di misura sono potenze di dieci, a


parte le misure di tempo.

Nelle tabelle 1.1 e 1.2 sono riportate rispettivamente le grandezze fondamentali e le


principali grandezze derivate del S.I., mentre in Tabella 1.3 si trovano alcune unità
di misura del c.g.s. e del sistema pratico. Molte unità di misura derivate del c.g.s. si
trovano semplicemente partendo dalle corrispondenti unità del S.I. e sostituendo le
rispettive unità di misura delle grandezze fondamentali che compongono la grandezza

Grandezza Unità di misura Dimensioni


Lunghezza (l) metro (m) [L]
Massa (m) chilogrammo (kg) [M]
Tempo (t) secondo (s) [T]
Intensità di corrente elettrica (i) ampere (A) [i]
Temperatura (T) kelvin (K) [K]
Intensità luminosa (I) candela (cd) [I]
Quantità di sostanza mole (mol) [m]

Tabella 1.1: Grandezze fondamentali nel S.I.


Fisica 571

Grandezza Unità di misura Dimensioni


Velocità (v) metro/secondo (m/s) [L·T−1 ]
Velocità angolare (ω) radiante/secondo (rad/s) [T−1 ]
Accelerazione (a) metro/secondo2 (m/s2 ) [L·T−2 ]
Forza (F) newton (N) [M·L · T−2 ]
Momento di una forza (M) newton·metro (N m) [M·L2 · T−2 ]
Lavoro (L) joule (J) [M·L2 · T−2 ]
Energia (E) joule (J) [M·L2 · T−2 ]
Impulso (J) newton·secondo (N s) [M·L · T−1 ]
Quantità di moto (p) newton·secondo (N s) [M·L · T−1 ]
Momento angolare (L) joule·metro (J m) [M·L3 · T−2 ]
Frequenza (f) hertz (Hz) o (1/s) [T−1 ]
Potenza (P) watt (W) [M·L2 · T−3 ]
Pressione (P) pascal (Pa) [M·L− 1 · T−2 ]
Densità (%) kilogrammo/metro3 (kg/m3 ) [M·L−3 ]
Portata (Q) metro3 /secondo (m3 /s) [L3 · T−1 ]
Quantità di calore (Q) joule (J) [M·L2 · T−2 ]
Entropia (S) joule/Kelvin (J/K) [M·L2 · T−2 · K−1 ]
Carica elettrica (q) coulomb (C) [i·T]
Campo elettrico (E) volt/metro (V/m) [M·L · T−3 · i−1 ]
Potenziale elettrico (V) volt (V) [M·L2 · T−3 · i−1 ]
Capacità elettrica (C) farad (F) [M−1 · L−2 · T−4 · i2 ]
Resistenza elettrica (R) ohm (Ω) [M·L2 · T−3 · i−2 ]
[M·T−2 · i−1 ]

Fisica
Induzione magnetica (B) tesla (T)
Tabella 1.2: Principali grandezze derivate nel S.I.

derivata. Ad esempio l’unità di misura c.g.s. dell’impulso e della quantità di moto sarà
dina·secondo.

1.4 Analisi dimensionale


Uno strumento utilissimo per capire se una formula fisica è corretta o meno è l’analisi
dimensionale. Come non ha senso chiedersi se la somma di due caramelle possa essere
uguale a una penna, perché non si possono confrontare elementi di insiemi diversi, cosı̀
in fisica tutti i termini di una uguaglianza (o disuguaglianza) devono avere le stesse
dimensioni. Le dimensioni di un termine si ricavano attraverso il prodotto o il rapporto
delle grandezze che lo compongono.
Per eseguire correttamente l’analisi bisogna considerare tutti i multipli e sotto-
multipli delle unità di misura presenti in una relazione e convertire i valori in quelli
dell’unità di misura moltiplicati per l’opportuna potenza di dieci. La Tabella 1.4 indica
le conversioni e i nomi dei prefissi, mentre la Figura 1.2 mostra le relazioni tra i prefissi.

Un limite dell’analisi dimensionale è che non consente di determinare se in una formula


vi sono fattori numerici diversi da uno, poiché i numeri non hanno dimensioni.
572 Misure

Grandezza c.g.s. sistema pratico


Lunghezza centimetro (cm) angstrom (Å)
Massa grammo (g) unità di massa atomica (u)
minuto (min)
Tempo secondo (s) ora (h)
giorno (d)
Velocità cm/s km/h
Accelerazione galileo (Gal) (1 Gal = cm/s2 ) km/h2
Forza dina (1 dina = 10−5 N) kg peso (kgpeso )
Lavoro caloria (cal)
Energia erg (1 erg = 10−7 J) elettronvolt (eV)
Quantità di calore kilowattora (kW h)
atmosfera (atm)
bar (bar)
Pressione baria (1 baria = 10−1 Pa)
millimetri di mercurio
(mmHg)
Potenza erg/s kilocaloria/ora (kcal/h)
franklin
Carica elettrica -
(1 franklin = 3,34 × 10−10 C)
Induzione magnetica gauss (1 gauss = 104 T) -
Tabella 1.3: Unità di misura del c.g.s. e del sistema pratico.

Multiplo Simbolo Potenza Sottomultiplo Simbolo Potenza


di 10 di 10
yotta Y 1024 yocto y 10−24
zetta Z 1021 zepto z 10−21
Misure

exa E 1018 atto a 10−18


peta P 1015 femto f 10−15
tera T 1012 pico p 10−12
giga G 109 nano n 10−9
mega M 106 micro µ 10−6
chilo k 103 milli m 10−3
etto h 102 centi c 10−2
deca da 101 deci d 10−1
Tabella 1.4: Multipli e sottomultipli decimali validi per qualsiasi unità di misura.

Per ricavare le unità di misura di una costante presente in una formula basta invertire
la formula come se la costante fosse l’incognita e le sue dimensioni saranno quelle della
soluzione. Ad esempio per ricavare le dimensioni della costante di gravitazione universale
G si inverte la formula della gravitazione universale:

m1 · m2 r2 N m2
(1.1) F =G ⇒ G=F ⇒ [G] = [F ][L2 ][M −2 ] = .
r2 m1 · m2 kg2
Fisica 573

1.5 Conversioni

Figura 1.2: Retta dei multipli e dei sottomultipli.

Per operare una conversione tra diversi multipli della stessa unità di misura conviene
considerare i seguenti aspetti:

vedere se nella retta dei multipli e sottomultipli ci si sposta verso destra o verso
sinistra;

in uno spostamento a destra si sta moltiplicando, quindi il risultato sarà maggiore


del valore di partenza;

in uno spostamento a sinistra si sta dividendo, quindi il risultato sarà minore del
valore di partenza;

contare di quanti posti ci si sposta;

Fisica
spostare la virgola del valore da convertire di tanti posti quanti quelli contati;

se nel valore iniziale non compare la virgola la si considera come a destra dell’ul-
tima cifra;

in una moltiplicazione ogni posto rimasto libero a destra tra l’ultima cifra a destra
del numero e la virgola va riempito con uno zero;

in una divisione ogni posto rimasto libero a sinistra tra la virgola e la prima cifra
a sinistra del numero va riempito con uno zero e inoltre va aggiunto uno zero a
sinistra della virgola

moltiplicare per una potenza positiva di dieci equivale a spostare la virgola a


destra di un numero di posti pari all’esponente;

moltiplicare per una potenza negativa di dieci equivale a spostare la virgola a


sinistra di un numero di posti pari al modulo dell’esponente.

Quando la conversione riguarda potenze di una certa unità di misura, ad esempio aree
o volumi che sono rispettivamente lunghezze alla seconda e alla terza, allora l’esponente
della potenza (nell’esempio il 2 o il 3) va moltiplicato per il numero di posti in Figura
1.2 tra i multipli che interessano la conversione. In altre parole mentre 1 dm = 0,1 m si
ha che 1 dm3 = 0,001 m3 .
574 Misure

Se si vuole convertire una velocità espressa in m/s in km/h basta considerare che 1 km
= 1000 m e 1 h = 3600 s quindi

km 103 m 1 m m km
(1.2) 1 =1 = ⇒ 1 = 3,6 .
h 3,6 × 103 s 3, 6 s s h

Ciò però non significa che per convertire un’accelerazione da m/s2 in km/h2 occorra
dividere per 3,6 come nel caso della velocità. La misura di tempo, infatti, in questo caso
è moltiplicata al quadrato. La conversione quindi è

km 103 m 1 m m km
(1.3) 1 2 = 1 = ⇒ 1 = 12 960 2 .
h (3,6 × 103 s)2 12,96 × 103 s2 s2 h

Se la conversione invece riguarda unità di misura di diversi sistemi allora occorre


conoscere il fattore di conversione. Alcuni dei principali sono riportati nella Tabella 1.5.

sistema pratico S.I. sistema pratico S.I.


1 min 60 s 1 atm 1,013 × 105 Pa
1h 3600 s 1 bar 105 Pa
1d 86 400 s 1 mmHg 133 Pa
1 eV 1,6 × 10−19 J 1t 103 kg
1 cal 4,186 J 1u 1,66 × 10−27 kg
1 kgpeso 9,8 N 1 Å 10−10 m
1◦ π/180 rad 1l 10−3 m3
Misure

1kcal/h 1,163 W 1 ha 104 m2


Tabella 1.5: Alcuni fattori di conversione tra grandezze del sistema pratico e le corrispondenti del S.I.

Bisogna fare attenzione a non confondere i multipli decimali con i multipli binari. Dal 1998
la convenzione accettata dal S.I. implica che questi ultimi vengano distinti aggiungendo una i
minuscola al simbolo del corrispondente multiplo decimale, precisazione particolarmente utile
in ambito informatico. In tal modo 1 kB = 1000 B mentre 1 KiB = 1024 B.

Quesiti
1) Una grandezza è qualsiasi cosa che: A cal e joule

A occupi un certo volume B newton e dyna


C erg e elettronvolt
B abbia almeno due dimensioni
D pascal e galileo
C abbia almeno tre dimensioni
E giorni e secondi
D sia quantificabile
E possa essere osservato 3) Il quadrato di un’accelerazione si
misura in:
2) Quale delle seguenti coppie di unità
A m4 /s
di misura non rappresenta grandezze
omologhe? B m2 /s
Fisica 575

C m/s4 A f, p, µ, h, a
D m4 /s4 B p, f, h, a, µ
E m2 /s4 C a, f, p, µ, h

4) Uno dei limiti dell’analisi dimensionale D p, f, h, µ, a


è che:
E f, p, µ, a, h
A indica solo le dimensioni e non le unità
8) Quale delle seguenti affermazioni sul
di misura
S.I. è corretta?
B non permette di capire se in una formula
si hanno fattori diversi da uno A tutti i suoi multipli e sottomultipli sono
potenze di dieci
C non funziona con unità di misura che
non sono del S.I. B contiene solo grandezze fondamentali
D non vale se vi sono potenze maggiori di C può contenere più unità di misura per
due delle grandezze coinvolte ogni grandezza
E si applica soltanto alla meccanica ma D ogni grandezza è legata alle altre da
non funziona nelle altre branche della relazioni logaritmiche
fisica
E le unità delle grandezze derivate so-
5) Un importante teorema di meccanica no ricavate da relazioni che hanno solo
uguaglia, sotto certe condizioni, la va- fattori di proporzionalità unitari
riazione di una grandezza ad un’altra
grandezza. Quale delle seguenti coppie 9) Dal prodotto di una frequenza per una
di grandezze può rientrare nel suddetto velocità si ottengono le dimensioni di
teorema? una:

A energia e forza A lunghezza

B forza e momento di una forza B accelerazione

C impulso e quantità di moto C velocità angolare

Fisica
D lavoro e potenza D forza
E velocità e velocità angolare E distanza

6) Quale delle seguenti frequenze è mino- 10) Che relazione c’è tra il sistema M.K.S.
re? e il S.I.?

A 2 Hz A il sistema M.K.S. è un sottoinsieme del


S.I.
B 2 s−1
B il sistema M.K.S. contiene solo le
C 2 h−1
grandezze fondamentali del S.I.
D 2 d−1 C sono due sinonimi
E 2 min−1 D il sistema M.K.S. è la versione italiana
del S.I.
7) Quale delle seguenti sequenze è nel cor-
retto ordine crescente dei multipli e E il S.I. contiene solo le grandezze
sottomultipli di una grandezza? fondamentali del sistema M.K.S.

1.6 Risposte commentate ai quesiti


1) Poiché anche una lunghezza è una grandezza e le quantità monodimensionali non
hanno volume le alternative A , B e C vanno scartate. La E è errata poiché una
descrizione puramente qualitativa non rientra nel campo della fisica. La risposta
esatta è la D , poiché una grandezza è ciò cui può essere associato un numero.
576 Misure

2) La coppia A misura l’energia, come pure la C . La B misura la forza, mentre la E


intervalli di tempo. La risposta corretta è la D , perché i pascal misurano la pressione
nel S.I. e i galileo l’accelerazione nel c.g.s.

3) Poiché un’accelerazione si misura in m/s2 , la risposta corretta in base alle proprietà


delle potenze è necessariamente la E : nella potenza di potenza gli esponenti si
moltiplicano e la potenza di un rapporto si calcola come rapporto delle potenze.

4) Dalla definizione di analisi dimensionale e dalla sua universalità, in quanto confronto


di dimensioni, si ha che l’unica risposta corretta è la B .
5) In base alle unità di misura delle grandezze presenti nella Tabella 1.2 e all’analisi
dimensionale, per la quale si possono eguagliare soltanto grandezze omologhe, cioè
che hanno le stesse dimensioni, se ne deduce che l’alternativa corretta è la C .

6) La A e la B indicano lo stesso numero, poiché Hz e s−1 sono sinonimi in base


alla definizione di hertz, e quindi vanno scartate. Delle restanti tre, in base alle
definizioni di minuti, ore e giorni, ricavabili dalla Tabella 1.5, si ha che la risposta
corretta è la D , perché ha il denominatore maggiore.

7) Le potenze di dieci corrispondenti ai prefissi riportati nella Tabella 1.4 indicano che
la risposta esatta è la C .
8) In base alle caratteristiche enunciate nella sezione 1.3 si deduce che la risposta
corretta è la E . Infatti la A è falsa perché non vale per le unità di misura di
tempo, la B e la C sono palesemente false, la D è falsa perché le relazioni sono
matematiche e non necessariamente logaritmiche.
Misure

9) La A e la E sono da scartare a priori perché una distanza è una lunghezza, quindi


sono equivalenti. Poiché una frequenza si può misurare in 1/s e una velocità si
misura in m/s, dal prodotto si ha una grandezza che si può misurare in m/s2 ,
ovvero un’accelerazione. Se ne deduce che la risposta esatta è la B .

10) Dalle definizioni dei due sistemi presenti nella sezione 1.3 si ha che i due sistemi
sono sinonimi, quindi la risposta esatta è la C .
Grandezze scalari
e vettoriali 2
Introduzione
Poiché molte grandezze fisiche hanno una natura vettoriale, in questo capitolo verrà
presentata l’algebra dei vettori. Si illustreranno la rappresentazione di un vettore in un
sistema di riferimento e come effettuare le operazioni sui vettori.
Nella seconda parte si affronterà l’importante concetto di campo, specificando le
proprietà di un campo vettoriale e il relativo flusso.

2.1 Scalari e vettori

Una grandezza è detta scalare quando è determinata da un unico parametro reale, un


numero, in genere associato ad essa attraverso un processo di misurazione.

Sono esempi di grandezze scalari la temperatura, l’energia e la distanza.

Una grandezza ha natura vettoriale quando per la sua completa determinazione è


necessario un quantitativo di informazione maggiore di un singolo numero reale. In
generale una grandezza vettoriale è determinata dalla conoscenza della sua intensità,
o modulo, della sua direzione e del suo verso.

Sono esempi di grandezze vettoriali l’accelerazione, la forza e la quantità di moto.

Le grandezze scalari, essendo rappresentate da numeri, sono soggette alle usuali rego-
le dell’algebra, ovvero possono essere composte utilizzando le normali proprietà delle
operazioni sui numeri reali. Le grandezze vettoriali, invece, hanno un’algebra differen-
te, cioè nell’insieme dei vettori si introducono operazioni diverse rispetto a quelle sui
numeri reali, come si vedrà nella sezione 2.4.
Nel seguito si indicherà una grandezza vettoriale con una freccia sopra il suo simbolo,
ad esempio ~v , mentre il suo modulo viene indicato senza la freccia, cioè v.

2.2 Sistemi di riferimento


Per rappresentare un vettore è necessario ricorrere a un sistema di riferimento. Il nu-
mero di coordinate da utilizzare dipende dalle dimensioni del problema. Ad esempio
nello studio di un moto lungo un percorso sottile basterà un solo parametro, la distanza
578 Grandezze scalari e vettoriali

dal punto di partenza, mentre nello studio dell’espansione di un gas occorreranno tre
dimensioni perché il fenomeno interessa un volume.

Per dimensioni di un problema, quindi, si intende il numero di parametri reali


indipendenti necessari a specificare completamente il problema.

Si definisce sistema di riferimento cartesiano una coppia (in due dimensioni) o una
terna (in tre dimensioni) di assi ortogonali, cioè rette orientate perpendicolari. Il punto
d’incontro degli assi è chiamato origine e indicato con una O mentre le coordinate sono
indicate con x, y e z. Per convenienza si sceglie la stessa unità di misura sugli assi.

Per determinare la coordinata z di un punto


P si congiunge il punto con l’asse z attraver-
so una retta parallela al piano xy; per deter-
minare x si proietta prima il punto nel piano
xy attraverso una retta parallela all’asse z e
poi si congiunge tale proiezione con l’asse x
attraverso una retta parallela all’asse y. In
modo analogo si determina la coordinata y,
come mostrato in Figura 2.1.
Grandezze

Sia le direzioni degli assi che il loro verso ed il


punto di origine possono essere scelti arbitraria-
mente. Principio cardine della fisica, infatti è la Figura 2.1: Piano cartesiano e scomposizione di
relatività della descrizione: in altri termini le un vettore.
leggi fisiche valgono a prescindere dal punto di
osservazione scelto.

Quando il sistema ha simmetria radiale (o sferi-


ca) è più opportuno utilizzare coordinate radiali
(o sferiche).

Per realizzare che il contenuto di infor-


mazione in coordinate cartesiane o ra-
diali è lo stesso consideriamo un proble-
ma in due dimensioni con simmetria ra-
diale. Piuttosto che usare come due pa-
rametri reali le posizioni lungo l’asse x e Figura 2.2: Sebbene un treno sia un og-
l’asse y, come accade nel riferimento car- getto tridimensionale per descriverne il mo-
tesiano bidimensionale, si possono usare la to lungo i binari basta un solo grado di li-
distanza dall’origine % e l’angolo rispetto a bertà: la distanza dal punto iniziale. Il moto
una direzione ϑ. Quest’ultimo è anche no- del treno è quindi descrivibile come un moto
unidimensionale.
to come azimut e infatti % e ϑ sono anche
coordinate azimutali.
Fisica 579

Allo stesso modo per descrivere un problema tridi-


mensionale a simmetria sferica conviene utilizzare
le coordinate sferiche , ϑ e ϕ, corrispondenti ri-
spettivamente alla distanza dall’origine, all’angolo
(l’azimut) formato dalla retta che congiunge la pro-
iezione del punto su un piano di riferimento con una
direzione di riferimento e all’angolo (altezza) forma-
to dalla retta che congiunge il punto all’origine con
il piano azimutale.

Un esempio di tale situazione si ha nella


determinazione di un punto sulla superficie Figura 2.3: Coordinate sferiche e cilin-
driche.
terrestre (vedi Figura 2.4), operazione ese-
guibile attraverso la conoscenza di longitu-
dine (corrispondente all’azimut ϑ) e lati-
tudine (corrispondente all’altezza ϕ) oltre
alla quota, cioè alla variazione di distanza
dal centro della Terra rispetto al livello di
riferimento (ad esempio il livello del mare).

L’arbitrarietà delle scelte nei sistemi di coordinate


si evidenzia ad esempio nelle coordinate astrono-
miche, dove vi sono ben quattro tipi di coordinate
sferiche adoperate, le cui uniche differenze risiedono
nella scelta dei piani di riferimento e delle direzio-

Fisica
ni di riferimento. Si hanno infatti il sistema equa-
Figura 2.4: Coordinate sferiche per de-
toriale, quello orizzontale, quello eclittico e quello
terminare un punto sulla superficie
galattico. terrestre o sulla volta celeste.
Quando il sistema ha simmetria cilindrica
conviene usare coordinate cilindriche, formate dalla distanza dall’origine (),
dall’azimut (ϑ) e dall’altezza (z).

Si può sempre passare da un sistema di coordinate ad un altro attraverso le op-


portune formule di trasformazione, riportate nella Tabella 2.1, che derivano dalle
definizioni delle varie coordinate rappresentante nelle figure 2.1 e 2.3 e da identità
trigonometriche.

2.3 Scomposizione di un vettore


Un vettore può essere rappresentato agevolmente in un riferimento cartesiano, come
mostrato in Figura 2.1. La procedura indicata nella sezione precedente per definire le
coordinate cartesiane, infatti, stabilisce una corrispondenza biunivoca tra i punti dello
spazio e l’insieme dei vettori dello spazio che hanno il primo estremo fissato nell’origine.
Un risultato analogo vale tra i punti del piano e i vettori bidimensionali con il primo
580 Grandezze scalari e vettoriali

(
x = % cos ϑ ,
da polari a cartesiane nel piano
y = % sen ϑ .
 p
 % = x2 + y 2 ,
da cartesiane a polari nel piano
 ϑ = arctan y .
 
 x
 x = % sen ϕ cos ϑ ,

y = % sen ϕ sen ϑ , da polari a cartesiane nello spazio

z = %pcos ϕ .


2 2 + z2 ,
 % = x +y 

y


 ϑ = arctan

,
x ! da cartesiane a polari nello spazio
p
x2 + y 2



 ϕ = arctan


z


 x = % cos ϑ ,
y = % sen ϑ , da cilindriche a cartesiane nello spazio

z=h p.



 % = x2 + y 2 ,
 y
ϑ = arctan , da cartesiane a cilindriche nello spazio

 x

h=z
Tabella 2.1: Trasformazioni di coordinate nel piano e nello spazio.

−→
estremo nell’origine. Un vettore OP quindi può essere rappresentato come una freccia
Grandezze

che parte da O e termina nel punto P dato.


Un discorso analogo può essere compiuto dalle proiezioni del punto sui tre assi: le
coordinate x, y e z sono in corrispondenza biunivoca con vettori che giacciono rispet-
tivamente sugli assi x, y e z e hanno il primo estremo nell’origine. Tali vettori sono
−→ −→ −→ −→
chiamati componenti del vettore OP e indicati rispettivamente con OP x , OP y e OP z .

Le componenti di un vettore sono vettori giacenti lungo gli assi di riferimento tali che la
loro somma vettoriale è uguale al vettore considerato e ottenuti attraverso le proiezioni
del vettore di partenza sugli assi.

Quando un vettore ha modulo unitario, viene chiamato versore e indicato con un accen-
to circonflesso invece che con una freccia. I versori servono semplicemente ad indicare
direzioni. Sono esempi di versori le direzioni dell’asse x, y e z, generate rispettivamente
dai versori î, ĵ e k̂.

Bisogna quindi fare attenzione a non confondere le coordinate, che sono numeri, con
le componenti, che sono vettori.

Considerando per semplicità un vettore bidimensionale, è semplice determinare la re-


lazione tra il suo modulo e i moduli delle sue componenti. Essi infatti descrivono un
Fisica 581

triangolo rettangolo di cui il vettore è l’ipotenusa e le componenti rappresentano i


cateti. Applicando il teorema di Pitagora si ottiene

(2.1) OP 2 = OPx2 + OPy2 .

Una relazione analoga vale nello spazio, dove basta aggiungere il quadrato della com-
ponente lungo il terzo asse.
Scomporre i vettori è molto utile, perché in tal modo le operazioni sui vettori si ri-
ducono a operazioni sulle loro componenti, cioè su numeri. Per sommare due vettori
bidimensionali, ad esempio, basta scomporli nelle rispettive componenti, sommare le
componenti x e quelle y e poi applicare il teorema di Pitagora alle due somme per
trovare il modulo del vettore risultante.

2.4 Algebra vettoriale


I vettori soggiacciono a regole algebriche proprie, diverse da quelle degli scalari. Nel-
l’insieme dei vettori si introducono le operazioni di somma e differenza tra vettori, di
prodotto di un vettore per uno scalare, di prodotto scalare tra vettori e di prodotto
vettoriale tra vettori.

2.4.1 Somma e differenza tra vettori


La somma di due o più vettori è ancora un vettore. Tale somma può essere effettuata
graficamente in due modi, o con la regola del parallelogramma o con la regola punta-
coda. La prima può però essere applicata soltanto a coppie di vettori, quindi se occorre
calcolare la somma di più vettori va applicata prima ai primi due, poi al vettore risultan-
te e a un terzo, poi al nuovo risultante e a un quarto e cosı̀ via. La seconda invece ha ap-

Fisica
plicazione generale e può essere utilizzata per la somma di un numero arbitrario di vet-
tori.
Per applicare la regola del parallelogramma bi-
sogna far coincidere gli estremi iniziali dei due vet-
tori e dalle estremità di ognuno dei due costruire
un parallelogramma riportando l’altro vettore, co-
me mostrato in Figura 2.5. Il vettore somma è rap- Figura 2.5: Somma e sottrazione tra
presentato dalla diagonale del parallelogramma che una coppia di vettori con la regola del
congiunge l’origine comune dei vettori con l’estremo parallelogramma.
opposto del parallelogramma.
Per applicare la regola punta-coda si sceglie
arbitrariamente un vettore, dalla sua estremità si fa
partire un secondo vettore, dalla cui estremità si fa
partire un terzo e cosı̀ via sino a formare una spez-
zata, come mostrato in Figura 2.6. Congiungendo Figura 2.6: Somme algebriche tra un
l’estremità iniziale della spezzata con la finale si numero arbitrario di vettori con la regola
punta-coda.
ottiene il vettore risultante.
Qualora la spezzata fosse una poligonale, ovvero rappresentasse un percorso chiuso,
ciò non significa che la somma dei vettori è 0, bensı̀ che è il vettore nullo. Quest’ultimo
è un vettore di modulo nullo e rappresenta l’elemento neutro della somma tra vettori.
582 Grandezze scalari e vettoriali

Per calcolare la differenza tra due vettori si può costruire il parallelogramma come
indicato per la somma, il vettore differenza è rappresentato dall’altra diagonale. Un
modo più efficace per calcolare la differenza tra vettori è considerare quest’ultima come
una somma algebrica. Un vettore preceduto da un segno meno può essere identificato
con il vettore opposto a quello originario, cioè uguale a quest’ultimo moltiplicato per
il numero −1. Si ottiene in tal modo un vettore che ha la stessa origine del precedente
e la stessa direzione, ma verso opposto. Sommare il vettore opposto equivale a fare la
differenza, come mostrato in Figura 2.6.

La somma algebrica di un numero arbitrario di vettori, quindi, può essere agevolmente


calcolata con la regola punta-coda purché si sommi il vettore opposto di ogni vettore
preceduto dal segno meno.

2.4.2 Prodotto di un vettore per uno scalare


Il prodotto di un vettore per uno scalare è ancora
un vettore. Se lo scalare è positivo il vettore risul-
tante ha la stessa origine e lo stesso verso di quello
originario ma il suo modulo viene moltiplicato per
il numero. Nella rappresentazione è come se il vet-
tore venisse allungato o compresso (nel caso in cui
lo scalare sia minore di uno). Se lo scalare è nega-
Figura 2.7: Esempio di prodotto di un
Grandezze

tivo l’origine del risultante è ancora la stessa, come


vettore per uno scalare: uno scalare po-
pure la direzione, ma il verso del vettore è l’oppo- sitivo allunga il vettore, uno negativo ne
sto del precedente. Qualora lo scalare fosse lo 0 il inverte anche il verso.
risultante sarebbe il vettore nullo.

2.4.3 Prodotto scalare tra vettori


Il prodotto scalare tra due vettori è uno scalare. Esso rappresenta quale parte del primo
vettore viene proiettata nella direzione del secondo. Il risultato del prodotto scalare tra
un vettore ~a e un vettore ~b le cui direzioni formano un angolo α è il seguente:

(2.2) ~a · ~b = |~a| |~b| cos α.

Poiché il coseno vale 0 per angoli di 90◦ , 1 per angoli nulli e −1 per angoli di 180◦ si
ha che il prodotto scalare tra due vettori è nullo quando i vettori sono perpendicolari,
è massimo e coincide con il prodotto dei moduli quando sono paralleli ed è invece
minimo (cioè pari al massimo ma negativo) quando sono antiparalleli, cioè hanno la
stessa direzione ma verso opposto.

Nel seguito per non appesantire la notazione si userà lo stesso simbolo per il prodotto
scalare tra vettori e per l’usuale moltiplicazione tra scalari. La natura delle grandez-
ze coinvolte nell’espressione consentirà senza ambiguità di capire di quale delle due
operazioni si tratta.
Fisica 583

2.4.4 Prodotto vettoriale tra vettori


Il prodotto vettoriale tra due vettori è un vettore. La sua
direzione è perpendicolare al piano in cui giacciono i due vet-
tori di partenza, il suo verso (in un sistema di riferimento
destrogiro) è dato dalla regola della mano destra: se l’indice
della mano destra punta nella direzione del vettore €a e il di-
to medio in quella di €b, il pollice indica il vettore prodotto.
La convenzione è rappresentata dalla Figura 2.8. Il modulo
del prodotto vettoriale tra un vettore €a e un vettore €b le cui
direzioni formano un angolo α è uguale all’area racchiusa nel Figura 2.8: Prodotto vetto-
riale e convenzione per la
parallelogramma formato dai due vettori: regola della mano destra.

(2.3) |€a ∧ €b| = |€a| |€b| sen α.

Poiché il seno vale 0 per angoli di 0◦ e 180◦ e 1 per angoli di 90◦ si ha che il prodotto
vettoriale tra due vettori è il vettore nullo quando i vettori sono paralleli o antiparalleli,
mentre è un vettore il cui modulo è pari al prodotto dei moduli dei vettori di partenza
quando i vettori sono perpendicolari.

Il vettore risultante di un prodotto vettoriale è più propriamente definito come uno


pseudovettore, o vettore assiale, perché esso non appartiene all’insieme dei vettori
di partenza. Per tale motivo la velocità angolare, il momento di una forza e il momento
angolare sono vettori assiali.

Fisica
2.5 Campi scalari e vettoriali

Figura 2.9: Esempio di campo di forze genera- Figura 2.10: Esempio di campo vettoriale dato
to da una carica sorgente: lo spessore della frec- dalla velocità in ogni punto della corrente di un
cia è proporzionale all’intensità del vettore forza corso d’acqua.
in quel punto. Nell’esempio l’intensità della for-
za è inversamente proporzionale alla distanza del
punto dalla carica sorgente.
584 Grandezze scalari e vettoriali

Un campo è una regione di spazio caratterizzata da una certa proprietà, in virtù della
quale ad ogni punto della regione è possibile associare un oggetto matematico. Questa
caratteristica deriva dalle modificazioni ai punti dello spazio generate da una sorgente
del campo, chiamata anche carica centrale.

Qualora ad ogni punto si possa associare un numero allora si parla di campo scalare.
L’associazione è effettuata attraverso un processo di misura.

Un esempio di campo scalare è rappresentato dalle temperature all’interno di una stanza.


Immaginando di dividere il volume d’aria in volumi infinitesimi e misurando la tempe-
ratura di ognuno di essi con un termometro estremamente preciso si costruirà un campo
scalare.

Se ad ogni punto si può invece associare un vettore si ha un campo vettoriale. Anche


in questo caso l’associazione è operata tramite misurazioni.

Un esempio di campo vettoriale è dato dalla velocità della corrente di un fiume: ad ogni
volume infinitesimo di acqua corrisponde un valore preciso della velocità. A causa di
perturbazioni vorticose e della conformazione del letto del corso d’acqua le velocità non
saranno tutte uguali.
Grandezze

Poiché le forze sono vettori, campi vettoriali particolarmente interessanti in fisica sono
i campi di forza. Si tratta di regioni di spazio in cui ad ogni punto è possibile asso-
ciare un vettore forza. Tale forza è generata dalla sorgente del campo. Tale situazione
corrisponde ad esempio a una regione vuota con una massa al centro fissa. Ponendo
una piccola massa mobile in ogni altro punto della regione, questa risentirà della forza
di gravità che la attrae verso la massa centrale. Al variare della posizione della massa
mobile varieranno direzione e intensità del vettore forza.
Per rappresentare meglio un campo vettoriale si ricorre spesso all’introduzione delle
sue linee di forza, linee che in ogni punto sono tangenti alla direzione del campo stesso.
Lungo le linee di forza si disegnano frecce per indicare l’intensità del campo in quel
punto, con la convenzione che la lunghezza delle frecce è direttamente proporzionale al
modulo del campo calcolato in quel punto.

Il concetto di campo è fondamentale in fisica, perché descrive accuratamente la pro-


pagazione delle interazioni a distanza. Nel momento in cui in una zona si ha una
modificazione questa creerà un campo che propagherà la perturbazione nello spazio
circostante. A seconda del tipo di perturbazione e di interazione, quindi, occorrerà
un certo tempo affinché la forza si manifesti in un punto a una certa distanza dalla
sorgente. Un esempio estremo della velocità finita di propagazione delle interazioni a
distanza è rappresentato dall’onda d’urto generata da un’esplosione.
Fisica 585

2.6 Flusso di un campo vettoriale


Per orientare una superficie si può associare ad es-
sa un vettore, chiamato superficie orientata. Ta-
le vettore ha come modulo l’area della superficie,
come direzione la normale alla superficie (cioè la
retta ad essa perpendicolare) e come verso uno dei
due versi, scelto arbitrariamente. In genere il verso
della superficie orientata viene rappresentato da un
Figura 2.11: Flusso di un campo vet-
versore normale alla stessa denominato n̂. toriale B attraverso una superficie
 di normale n̂.
orientata S

Si definisce flusso di un campo vettoriale attraverso una superficie il prodotto scalare


tra il campo e la superficie orientata.

€ attraverso una
Il flusso Φ di un campo vettoriale B
€ la cui normale forma un an-
superficie orientata S
golo α con le linee di forza del campo è espresso
dalla seguente formula:

(2.4) € = |B|
ΦS (B) € · S cos α .

Dalle proprietà del prodotto scalare discende che se le linee di forza del campo sono
parallele alla superficie il flusso è nullo, mentre è massimo in modulo quando le linee
sono perpendicolari; il segno dipende dalla concordanza o meno del verso della superficie
orientata con quello del campo.

Fisica
Un’importante applicazione delle definizione di flusso si ha in elettromagnetismo, in cui le
variazioni del flusso del campo magnetico generano tensioni.

Quesiti

1) La quantità di informazione contenuta D azimutali


in un vettore del piano è equivalente a: E polari
A un numero reale 3) La latitudine e la longitudine sono
B due numeri reali grandezze definite in un sistema di
coordinate:
C due numeri complessi
A cartesiano tridimensionale
D tre numeri reali
B polare bidimensionale
E tre numeri relativi
C cilindrico
2) Quale dei seguenti sistemi di coordinate D polare tridimensionale
rispecchia l’assenza di simmetrie in un
problema? E cartesiano bidimensionale
4) Se un pilota di caccia informa il suo co-
A cartesiane
pilota di un pericolo ad ore 3 sta usando
B cilindriche un sistema di coordinate:
C sferiche A cartesiane bidimensionali
586 Grandezze scalari e vettoriali

B cartesiane tridimensionali D il risultato è un vettore giacente nel


piano xy
C azimutali
E nessuna delle precedenti affermazioni è
D sferiche corretta
E cilindriche
8) Quale dei seguenti termini non può es-
5) Per calcolare la differenza tra due vet- sere sempre correlato al concetto di
tori con la regola del parallelogramma: campo di forza?

A il risultato è rappresentato dalla diago- A linee di forza


nale maggiore del parallelogramma
B sorgente
B il risultato è rappresentato dalla diago-
nale minore del parallelogramma C flusso
C sostituendo al secondo il suo opposto il D simmetria
risultato è rappresentato dalla diagona-
le maggiore del parallelogramma E massa
D sostituendo al secondo il suo oppo-
sto il risultato è rappresentato dalla 9) È possibile che il flusso di un campo
diagonale minore del parallelogramma vettoriale attraverso una superficie sia
costantemente nullo?
E il risultato è rappresentato dalla diago-
nale che non contiene l’estremo iniziale A non è mai possibile
dei vettori come suo estremo
B è possibile se il versore normale alla
6) Quando nella somma algebrica di tre superficie resta costantemente parallelo
vettori non si ha un risultato nullo? alla direzione del campo

A quando con la regola punta-coda si C è possibile se il versore normale alla su-


forma una poligonale perficie resta costantemente ortogonale
alla direzione del campo
B quando con la regola punta-coda si
Grandezze

forma una spezzata chiusa D è possibile se il versore normale alla su-


perficie resta costantemente antiparalle-
C quando con la regola punta-coda si
lo alla direzione del campo
forma un percorso ciclico
E è possibile solo se la superficie ha area
D quando con la regola punta-coda l’estre-
nulla
mo iniziale e quello finale differiscono
E quando con la regola punta-coda l’estre- 10) Tra una pressione di 1 mmHg e la forza
mo iniziale e quello finale coincidono di 1 N quale grandezza è maggiore?

7) Quale delle seguenti affermazioni relati- A sono equivalenti


ve al prodotto vettoriale tra il vettore
 = −3 ĵ è corretta?
v = 3 î e il vettore w B non ha senso confrontare grandezze
aventi dimensioni diverse
A il risultato è un vettore parallelo al
C è maggiore la pressione
versore ẑ
B il risultato è un vettore perpendicolare D è maggiore la forza
al versore ẑ E non ha senso il confronto perché l’unità
C il risultato è un vettore di modulo di misura della pressione non appartiene
unitario al S.I.

2.7 Risposte commentate ai quesiti


1) Un numero complesso è equivalente a due numeri reali, quindi due numeri complessi
equivalgono a quattro reali. Poiché il piano indica due dimensioni, un vettore del
piano sarà rappresentato dalle coordinate del suo estremo, che sono due numeri
reali. La risposta esatta è quindi la B .
Fisica 587

2) La B , come dice il nome, si usa quando si ha una simmetria cilindrica, la C quando


si ha una simmetria sferica, la D quando si ha una simmetria radiale nel piano, la
E quando si ha una simmetria radiale nel piano o nello spazio, quindi la risposta
corretta è la A .
3) Latitudine e longitudine sono ampiezze angolari definite in un sistema di coordina-
te sferiche, cioè polari tridimensionali, corrispondenti rispettivamente all’altezza e
all’azimut della Figura 2.4. Ne discende che la risposta corretta è la D .

4) Il pilota comunica un’informazione che riguarda soltanto un angolo, trascurando la


distanza del pericolo rispetto alla sua posizione. Il numero di ore, infatti, richiama
il corrispondente angolo sul quadrante di un orologio a lancette: ad ore 3 equivale a
dire alla propria destra. La coordinata angolare porta quindi ad escludere la A e la
B . Poichè sia la D che la E contengono due angoli (e inoltre si usano per problemi
in tre dimensioni, mentre qui il problema ha una sola dimensione, quella angolare)
vanno scartate. La risposta corretta è la C , infatti l’informazione trasmessa dal
pilota coincide con l’azimut.
5) In base a quanto mostrato nella Figura 2.5 si ricava che la risposta corretta è la
E . Le altro quattro, infatti, parlano di diagonale maggiore e minore, ma l’ordine di
grandezza delle diagonali dipende dai moduli dei vettori di cui si calcola la differenza
e non può essere conosciuto a priori.

6) In base alla definizione della procedura da seguire per la regola punta-coda, come
rappresentato in Figura 2.6, si ha che la risposta corretta è la D . Le altre quattro
sono affermazioni equivalenti e quindi andrebbero comunque scartate a priori.

Fisica
7) Dalle proprietà del prodotto vettoriale definito dalla relazione 2.3 si ha che il ri-
sultato deve essere un vettore perpendicolare a entrambi i vettori di partenza. In
questo caso non può dunque giacere nel piano xy (la D è da scartare) né tanto-
meno essere perpendicolare al versore ẑ (la B è da scartare), poiché queste due
affermazioni sono equivalenti. Il modulo del vettore risultante in generale dipende
dai moduli dei vettori iniziali, se ne deduce che la risposta esatta è la A .
8) In base alla definizione di campo di forza come campo vettoriale, si ha che tutte
le alternative potrebbero essere corrette. La E , però, va correlata soltanto a un
campo gravitazionale in cui la massa centrale ne rappresenta la sorgente, quindi
rappresenta la risposta corretta.

9) Dalla definizione di flusso di campo vettoriale attraverso una superficie si ha che


questo è nullo quando è nullo il campo, è nulla l’area della superficie o il versore
normale alla superficie resta costantemente perpendicolare alla direzione del campo.
Ne discende che la risposta corretta è la C .

10) In base a quanto riportato nei capitoli 1 e 2 si ha che la risposta esatta è la B .


Cinematica
3
Introduzione
In questo capitolo definiremo le grandezze cinematiche dei punti materiali, quali
posizione, velocità e accelerazione. Grazie ad esse potremo classificare i moti in base
alla velocità e alla traiettoria e per ognuno di essi analizzeremo la legge oraria.

3.1 Moto del punto materiale

Si definisce punto materiale qualsiasi oggetto dotato di massa le cui dimensioni siano
trascurabili rispetto a quelle del sistema fisico di cui fa parte.

La validità dell’approsimazione di punto ma-


teriale dipende quindi dall’oggetto di studio:
può essere descritta come un punto materiale
una formica se il suo moto è osservato da una
grande distanza, cosı̀ come può essere iden-
tificata con un punto materiale una nave che
si sposta sull’oceano se il suo moto è seguito
da un satellite.
Per parlare di moto è necessario scegliere
un sistema di riferimento. Rispetto all’o-
rigine di tale sistema un punto materiale oc- Figura 3.1: Un paracadutista può benissimo es-
cupa nel tempo una certa posizione. Se essa sere descritto come un punto materiale durante
resta invariata nel tempo si dice che il punto il suo moto dal momento che le sue dimensio-
è in quiete, altrimenti si ha il moto. ni sono trascurabili rispetto all’ambiente in cui si
muove.

3.2 Posizione

La posizione ~r è una grandezza vettoriale che indica dove si trova un punto materiale
rispetto all’origine del sistema di riferimento scelto.

Poiché nel moto la posizione varia nel tempo, per descrivere il moto bisogna conoscere
la funzione vettoriale ~r(t). Questa richiesta si traduce nel volere conoscere come variano
le coordinate nel tempo, che sono funzioni scalari. In tre dimensioni, quindi, per de-
terminare il moto bisogna conoscere tre funzioni scalari del tempo: x(t), y(t) e z(t) nel
Fisica 589

caso di riferimento cartesiano. In due dimensioni, invece, basta conoscere due funzioni
scalari del tempo, ad esempio %(t) e ϑ(t) in un riferimento polare.

Non bisogna confondere il vettore posizione con la distanza del punto dall’origine.

3.3 Coordinate, traiettoria e spostamento


Nel moto il valore delle coordinate cambia
nel tempo man mano che il punto materia-
le si sposta. Note le funzioni coordinate, in
qualsiasi istante si può determinare la distan-
za del punto dall’origine applicando il teore-
ma di Pitagora, come indicato nella quarta
riga della Tabella 2.1.

Si definisce traiettoria l’insieme delle posizio-


ni occupate dal punto materiale al variare del
tempo.

Figura 3.2: Vettore posizione, funzioni coordi-


Nella Figura 3.2 sono indicate le coordinate nate durante il moto e traiettoria.

Fisica
cartesiane all’istante iniziale t0 e quelle ad
un istante successivo t1 . La linea curva che unisce la posizione del punto P all’istante
t0 a quella occupata dal punto nell’istante t1 rappresenta la traiettoria. La distanza in
linea retta che va da P (t0 ) a P (t1 ) rappresenta il modulo dello spostamento.

−→
Si definisce spostamento ∆r il vettore rappresentato dalla differenza tra il vettore
posizione in un certo istante e lo stesso vettore in un istante precedente.

In formule si ha
−→
(3.1) ∆r = ~r (t1 ) − ~r (t0 ).

La lunghezza della traiettoria può essere minore della distanza percorsa durante il
moto: considerando un atleta che corre lungo un pista dritta dal punto A al punto
B e poi torna indietro ad A, si ha che la traiettoria è lunga quanto il segmento AB
mentre la distanza percorsa è pari a 2 AB.
590 Cinematica

3.4 Velocità media e istantanea

Si definisce velocità media ~vm tra due istanti il rapporto tra il vettore spostamento
tra i due istanti e l’intervallo di tempo considerato. La velocità media è un vettore, si
misura in m/s e ha le dimensioni [v] = [L]1 [M ]0 [T ]−1 .

−→
∆r ~r (t1 ) − ~r (t0 )
(3.2) ~vm = = .
∆t t1 − t0
Dalla definizione si deduce che la velocità media ha la stessa direzione e lo stesso verso
del vettore spostamento.

Si definisce velocità istantantea ~v (t) il limite per intervalli di tempo infinitesimi della
velocità media. La velocità istantanea ha le stesse dimensioni e unità di misura della
velocità media.

(3.3)
−→
∆r ~r (t1 ) − ~r (t0 )
~v (t) = lim = lim .
∆t→0 ∆t t1 →t0 t1 − t0
Cinematica

La velocità istantanea è in ogni istante tan-


gente alla traiettoria. Il rapporto tra sposta-
mento, velocità media e istantanea è rappre-
sentato nella Figura 3.3.
Figura 3.3: Spostamento, velocità media e
istantanea.

3.5 Accelerazione media e istantanea


Il rapporto che c’è tra velocità e posizione è lo stesso presente tra accelerazione e
velocità.

Si definisce accelerazione media il rapporto tra la variazione di velocità tra due istanti e
l’intervallo di tempo compreso tra di essi. L’accelerazione media è un vettore, si misura
in m/s2 e ha le dimensioni [a] = [L]1 [M ]0 [T ]−2 .

−→
∆v ~v (t1 ) − ~v (t0 )
(3.4) ~am = = .
∆t t1 − t0
Dalle regole dell’algebra vettoriale si ha che in genere accelerazione e velocità hanno
direzioni diverse. L’unico caso in cui la direzione è la stessa si ha in un moto rettilineo,
in cui anche il verso coinciderà in caso di aumento di velocità (accelerazione), mentre
sarà opposto per diminuzione di velocità (frenata).
Fisica 591

In fisica anche in caso di frenata si parla di accelerazione; in tal caso l’intensità


dell’accelerazione sarà un numero negativo.

Si definisce accelerazione istantantea ~a (t) il limite per intervalli di tempo infinitesimi


dell’accelerazione media. L’accelerazione istantanea ha le stesse dimensioni e unità di
misura dell’accelerazione media.

−→
∆v ~v (t1 ) − ~v (t0 )
(3.5) ~a (t) = lim = lim .
∆t→0 ∆t t1 →t0 t1 − t0

3.6 Classificazione dei moti


I moti possono essere classificati o in base alla traiettoria o in base alla velocità, secondo
quanto riportato nella tabella.

Traiettoria Tipo di moto Velocità Tipo di moto


retta rettilineo costante uniforme
cerchio circolare variabile in modo costante uniformemente
accelerato
curva curvilineo variabile vario

Tabella 3.1: Classificazione dei moti in base a traiettoria e velocità.

Le due classificazioni possono sovrapporsi per identificare particolari tipi di moti, quali

Fisica
quelli riportati nelle sezioni seguenti, che rappresentano i principali moti studiati in
cinematica. Ogni moto è caratterizzato dalla propria legge oraria e dalla legge della
variazione della velocità, un sistema di relazioni matematiche che lega posizione,
velocità e accelerazione in ogni istante. Conoscendo il valore iniziale di queste grandezze
cinematiche, il sistema consente di calcolarne il valore in ogni altro istante. Spesso con
legge oraria si intende l’intero sistema; laddove necessario sarà invece specificato a quale
delle due relazioni ci si riferisce.
Sia l’origine del sistema di riferimento che i versi positivi degli assi che l’istante iniziale
per descrivere il moto in un opportuno sistema di riferimento sono scelte arbitrarie.
Operare la scelta adeguata significa semplificare molto i calcoli.

3.7 Moto rettilineo uniforme (M.R.U.)

Un moto rettilineo uniforme ha per traiettoria una linea retta (o parte di essa) e velocità
costante.

Ovviamente per tale moto conviene usare un sistema di coordinate cartesiano mo-
nodimensionale. Chiamando x (t) la coordinata del moto, la legge oraria del M.R.U.
592 Cinematica


(
x (t) = x (t0 ) + v · t ,
(3.6)
v (t) = v (t0 ) .

La velocità è un vettore, quindi quando si richiede velocità costante si intende che non
deve variarne né il modulo, né la direzione né il verso.

Prima di illustrare l’utilità della legge oraria riportando il seguente esercizio si ricorda
la necessità di convertire sempre le grandezze cinematiche nelle opportune unità di
misura, secondo quanto mostrato nel capitolo 1.

Se un’auto viaggia verso nord a 20 km/h, che distanza avrà percorso dopo 90 minuti?
Per rispondere a questo problema, come per tutti gli altri riguardanti la cinematica,
piuttosto che usare semplicemente la relazione v = s/t conviene inserire i dati disponibili
nella corrispondente legge oraria. In questo caso la posizione iniziale x (t0 ) può essere
arbitrariamente assunta pari a 0, soprattutto perché in tal modo la richiesta di distanza
equivale a trovare la posizione all’istante t = 90 minuti. Trattandosi di un M.R.U. la
velocità iniziale coincide con quella di tutto il tragitto. Convertendo il tempo in ore
(90/60 = 1, 5) e moltiplicandolo per la velocità grazie alla 3.6 si trova x (1, 5) = 0 + 20 ·
1, 5 = 30 km.
Cinematica

3.8 Moto uniformemente accelerato (M.U.A.)

Un moto uniformemente accelerato ha per traiettoria una linea retta (o parte di essa)
e accelerazione costante.

La costanza dell’accelerazione implica che essa non può variare neppure solo per verso o
per direzione, dunque il moto deve essere rettilineo. Conviene ancora usare un sistema
di coordinate cartesiano monodimensionale. Chiamando x (t) la coordinata del moto,
la legge oraria del M.U.A. è
 x (t) = x (t ) + v (t ) · t + 1 a · t2 ,

0 0
(3.7) 2
v (t) = v (t0 ) + a · t .

Si noti che la relazione tra velocità e accelerazione nel M.U.A. è la stessa di quella
tra posizione e velocità nel M.R.U. Tale dipendenza funzionale è meglio evidenziata
dai grafici 3.4 e 3.5 spazio-tempo, velocità-tempo e accelerazione-tempo dei due moti
riportati di seguito.

Molti quesiti di cinematica si risolvono sostituendo ai membri di sinistra delle leg-


gi orarie un valore numerico indicato dal problema (a volte esplicitamente a volte
ricavato attraverso il ragionamento).
Fisica 593

Per illustrare tale procedura discutiamo il seguente problema.

Se un’auto che viaggia per 30 minuti verso nord a 20 km/h, a un certo punto frena
con decelerazione costante a = −10 km/h2 , quanto impiega a fermarsi? A volte alcune
informazioni fornite sono inutili alla risoluzione del problema. In questo caso, ad esempio,
il tempo per il quale è stata mantenuta la velocità costante non ha alcuna importanza
per calcolare il tempo di frenata. Conviene inoltre porre uguali a 0 sia il tempo in cui
inizia la frenata sia la corrispondente posizione, cioè x (t0 ) = 0. Il tempo è presente sia
nella legge oraria che nella legge della variazione delle velocità della 3.7. Per capire quale
delle due occorre usare bisogna tradurre in numeri la situazione descritta. Sapendo che
all’istante finale il veicolo è fermo, si può sostituire 0 al posto di v (t) nel secondo rigo,
perché nell’istante finale la velocità è appunto nulla. Si ricava 0 = 20 − 10 · t. Invertendo
l’equazione si trova t = 20/10 = 2 h.

Figura 3.4: Grafici di posizione, velocità e accelerazione in funzione del tempo per il M.R.U.

Fisica
Figura 3.5: Grafici di posizione, velocità e accelerazione in funzione del tempo per il M.U.A.

3.9 Moto dei gravi

Si definisce moto di un grave quello di un punto materiale dotato di massa soggetto


alla sola forza peso. Quest’ultima agisce sempre verso il basso, in direzione del centro
della Terra, cioè perpendicolarmente a un piano orizzontale.

In base a quanto si vedrà nella sezione 4.8.5 si ha che un grave è soggetto all’acce-
lerazione costante ~a = ~g rivolta verso il basso. Scegliendo un sistema di riferimento
cartesiano orientato verso l’alto con asse y, la legge oraria è

 y (t) = y (t ) + v (t ) · t − 1 g · t2 ,

0 0
(3.8) 2
v (t) = v (t0 ) − g · t .

594 Cinematica

Se si orientasse l’asse y verso il basso allora i due termini negativi diventerebbero


positivi, perché in tal caso l’accelerazione avrebbe verso concorde all’asse. È solo la
concordanza o meno di un vettore con l’asse che ne determina il segno nelle leggi
orarie.

Se un corpo viene lanciato verso l’alto con velocità vi = 10 m/s, quale altezza massima
h raggiunge? Il moto è monodimensionale e l’accelerazione in tal caso ha modulo a =
−g, come nella 3.8. La risposta deve trovarsi nella prima riga della legge oraria, perché
l’altezza è una lunghezza. Non conoscendo però a quale istante il corpo occuperà proprio la
posizione corrispondente ad h, bisogna utilizzare la legge della variazione della velocità per
ricavarlo. Nell’istante desiderato, infatti, la velocità sarà nulla. Sostituendo 0 al termine
di sinistra si può ricavare il tempo necessario per raggiungere h:
v (t0 )
(3.9) 0 = v (t0 ) − g · t =⇒ t= .
g
Sostituendo tale espressione di t nella prima riga della 3.8, dove si pone y (t0 ) = 0, si ha

v (t0 ) 1 v 2 (t0 ) 1 v 2 (t0 )


(3.10) h = v (t0 ) · − g· = .
g 2 g2 2 g

Nel nostro caso, ponendo per semplicità g = 10 m/s2 , si ricava t = 1 s e h = 5 m.

Invertendo la 3.10 si ricava la velocità vh con cui un corpo cadendo da un’altezza h


tocca il suolo, detta velocità di caduta:
Cinematica

p
(3.11) vh = 2 g h.

3.10 Moto del proiettile

Si definisce moto del proiettile un moto parabolico di un punto materiale che può essere
scomposto in un M.R.U. lungo l’asse orizzontale e in un moto di un grave lungo l’asse
verticale.

Note in ogni istante le coordinate x (t) e y (t)


con il teorema di Pitagora si può ricavare
la posizione del corpo. Sempre con la 2.1 si
può ricavare la velocità istantanea del corpo
conoscendo le componenti vx (t) e vy (t).
Per questo moto, rappresentato nella
Figura 3.6, le leggi orarie sono dunque Figura 3.6: Traiettoria del moto del proiettile.
riportate in Tabella 3.2:
Le componenti della velocità iniziale si calcolano conoscendo l’angolo α e la velocità
iniziale v (t0 ) nel seguente modo: vx (t0 ) = v (t0 ) · cos α e vy (t0 ) = v (t0 ) · sen α. La
distanza massima l lungo l’asse x si chiama gittata, mentre con h si è indicata l’altezza
massima. La simmetria della traiettoria parabolica implica che l’altezza massima
Fisica 595

Asse x: M.R.U. Asse


 y: Moto dei gravi
 y (t) = y (t ) + v (t ) · t − 1 g · t2
(
x (t) = x (t0 ) + v · t a) 0 y 0 c)
2
vx (t) = vx (t0 ) b)  v (t) = v (t ) − g · t d)
y y 0

Tabella 3.2: Leggi orarie del moto del proiettile sui due assi.

viene raggiunta esattamente a metà della gittata e a metà del tempo di volo, che
l’angolo di caduta coincide con quello iniziale α e che la velocità di caduta vh è uguale
in modulo a quella iniziale v (t0 ). Nel punto di altezza massima si ha che la velocità vy
lungo l’asse y è nulla.
Data la scomposizione del moto e le simmetrie riportate si ha che per l’altezza
massima vale ancora la 3.10 (sostituendo al posto di v la sola componente vy ), mentre
il tempo di volo tv è dato dal doppio della 3.9. Sostituendo tale valore nel tempo
lungo l’asse x (nella a) della Tabella 3.2) si ottiene la gittata:

vy (t0 ) vy (t0 ) v 2 (t0 ) sen(2α)


(3.12) tv = 2 =⇒ l = 2 · vx (t0 ) · = .
g g g

L’ultima uguaglianza deriva da una nota relazione trigonometrica: 2 sen α cos α =


sen(2α).

Si voglia ad esempio calcolare gittata l, tempo di volo tv e altezza massima h raggiunta da


un proiettile lanciato con velocità iniziale v (t0 ) = 10 m/s che forma un angolo α = 45◦

Fisica

con il piano orizzontale. Ricordando√che cos(45◦ ) = sen(45◦ ) = 2/2, si ricavano le due
velocità iniziali vx (t0 ) = vy (t0 ) = 5 2. Utilizzando per semplicità il valore g = 10m/s2 ,
dalle leggi orarie della Tabella 3.2 e dalle relazioni 3.10 e 3.12 sostituendo √ ai simboli
√ i
2
valori numerici
√ dati si ottiene
√ h = (1/2) · 10 /10 = 5 m, tv = 2 · 10 · ( 2/2)/10 = 2 s e
l = 2 · 10 · ( 2/2) · 10 · ( 2/2)/10 = 20 m.

L’angolo scelto nell’esempio, α = 45◦ , è l’angolo per il quale, a parità di velocità


iniziale, si ha la gittata maggiore.

3.11 Moto circolare uniforme (M.C.U.)

Si definisce moto circolare uniforme il moto di un punto materiale che avviene lungo
una circonferenza con velocità angolare ω
~ costante.
596 Cinematica

La velocità angolare è un vettore che rap-


presenta la variazione dell’angolo al centro
(rispetto a una direzione di riferimento) in
un certo intervallo di tempo. La definizione
del suo modulo è identica a quella del modu-
lo della velocità media, a patto di sostituire
−→
la variazione di posizione ∆r con quella an-
−→
golare ∆ϑ. La direzione di ω € è perpendico-
lare al piano della traiettoria, il suo verso è
dato dalla regola della mano destra: positivo Figura 3.7: Convenzione per il verso del vettore
per rotazioni antiorarie. ω € , che si misura in velocità angolare.
rad/s o s−1 nel S.I. (si veda la Tabella 1.2),
è definito attraverso la seguente relazione

∆ϑ
(3.13) € ∧ €r
€v = ω ω= .
∆t

Relativamente ai moduli in ogni istante e per qualunque moto con traiettoria circolare
vale la relazione

(3.14) v = r·ω.

Per questo moto la vera coordinata è ϑ(t). Se si volesse graficare il moto si avrebbero
gli stessi andamenti della Figura 3.4 a patto di sostituire x(t) con ϑ(t). A differenza
Cinematica

del M.C.U. questo è un moto periodico ovvero dopo un preciso intervallo di tempo,
detto periodo T , il punto occupa nuovamente la stessa posizione con la stessa velocità
e la stessa accelerazione di un istante precedente. Si deduce che il periodo è il tempo
necessario a compiere un giro, che corrisponde a un angolo di 2π rad, per cui si ha

2π 2π
(3.15) ω= =⇒ T = .
T ω

L’inverso del periodo è chiamato frequenza f e rappresenta il numero di giri compiuti


in un secondo. Poiché è l’inverso di un tempo f si misura in Hz o s−1 nel S.I. (si veda
la Tabella 1.2). Dalla 3.14 si ricava

1 ω
(3.16) f= =⇒ ω = 2π · f =⇒ f= .
T 2π

La velocità €v è chiamata velocità tangenziale perché è sempre tangente alla traiettoria,


cioè perpendicolare al raggio €r. In questo moto, poiché in ogni istante a causa della tra-
iettoria curva €v cambia direzione pur restando costante in modulo, si ha accelerazione.
Questa è rivolta verso il centro O ed è infatti chiamata accelerazione centripeta €ac .
Il suo modulo vale

v2
(3.17) ac = = r · ω2 .
r
Fisica 597

3.12 Moto armonico

Si definisce moto armonico quello della proiezione sul diametro di una circonferenza
del moto di un punto materiale che si muove di M.R.U.

La traiettoria di questo moto coincide con il


diametro della circonferenza e si pone pari a
2A, dove A è chiamata ampiezza del moto
e indica la distanza massima rispetto all’o-
rigine raggiunta durante il moto (A coincide
con il raggio della circonferenza di cui il mo-
to armonico è proiezione). In questo moto il
punto oscilla avanti e indietro, infatti viene
chiamato moto di un oscillatore armonico.
Questo moto è periodico, la posizione va-
ria con legge sinusoidale. Si può dimostrare Figura 3.8: Moto armonico come proiezione su
che la velocità è massima nel centro O ed è un diametro di un M.C.U.
nulla nei due estremi della traiettoria, i punti
di coordinate A e −A. Viceversa l’accelerazione è nulla in O e massima in A e −A,
dove la velocità cambia verso. La legge oraria è

(3.18) x (t) = A cos(ω t + ϕ) ,

dove ω è la pulsazione del moto, corrispondente alla velocità angolare del M.C.U. che

Fisica
genera il moto armonico; ϕ è la fase iniziale, cioè l’angolo dal quale parte il M.C.U. ed
è quindi legato alla x (t0 ). Sfasando di un angolo retto l’angolo iniziale, cioè ponendo
ϕ = 90◦ la 3.18 ha il seno al posto del coseno, dalla proprietà cos(π/2 + α) = sen(α).

Peculiarità del moto armonico è che in ogni istante l’accelerazione è legata alla
posizione dalla relazione a (t) = −ω 2 x(t).

3.13 Moto vario

Si definisce moto vario un moto nel quale l’accelerazione varia in modo arbitrario, non
costante. La traiettoria di un moto vario è una curva.

Localmente, cioè per piccoli intervalli di tem-


po, si può approssimare il moto vario a un
M.R.U., come avviene nel tratto compreso
tra le due linee tratteggiate di Figura 3.9, o
a un M.C.U. che avviene lungo un tratto di
circonferenza detta cerchio osculatore gia- Figura 3.9: Moto vario approssimato localmente
cente nel piano osculatore. Tale piano varia a un M.R.U. o a un M.C.U.
598 Cinematica

orientamento nello spazio in continuazione appena ci si sposta lungo la traiettoria di


un tratto tale da rendere non più corretta l’approssimazione precedente. In questo caso
per ogni cerchio osculatore si potrà usare la relazione 3.17.

3.14 Moti relativi

Le leggi orarie per descrivere il moto di un oggetto di-


pendono dall’osservatore, cioè dal sistema di riferimento
scelto. Se ad esempio si osserva da fermi un canoa che si
muove lungo un canale rettilineo si parlerà di moto della
canoa. Osservando la stessa canoa mentre si viaggia lun-
go la sponda in bicicletta esattamente alla stessa velocità
della canoa quest’ultima rispetto a noi apparirà in quiete.
Talvolta per comodità può essere utile definire il moto Figura 3.10: Composizione del-
di un punto rispetto a un certo sistema di riferimento e poi le velocità per una canoa che
attraversa un corso d’acqua.
rapportare questo moto a un altro sistema di riferimen-
to, operazione che si può compiere se si conosce il moto
dell’origine del primo sistema di riferimento rispetto al secondo. Questa procedura si
chiama composizione dei moti relativi.
Si consideri un’altra canoa che si muove
perpendicolarmente alle sponde di un fiume
(da sud a nord) con una velocità di 1 m/s
rispetto all’acqua e la corrente del fiume ab-
Cinematica

bia una velocità costante di 2 m/s verso est


rispetto alla sponda. Il sistema di riferimento
della sponda, fisso, viene detto riferimento
assoluto mentre quello della corrente vie-
ne chiamato relativo. La velocità assoluta €vA
della canoa rispetto alla sponda (riferimen- Figura 3.11: Una persona seduta su un tram
to assoluto) sarà la somma vettoriale dei due sarà in quiete rispetto al tram, ma in movimento
vettori velocità: la velocità relativa €vR della rispetto a un osservatore fermo sul marciapiedi.
canoa rispetto alla corrente e quella di tra-
scinamento €vT R della corrente rispetto alla sponda. In formula la composizione delle
velocità si scrive

(3.19) €vA = €vR + €vT R .

Si noti che la distanza l percorsa dalla canoa una volta giunta alla sponda opposta
è maggiore di quella y tra le due sponde perché, a causa della corrente, nel tempo
impiegato per percorrere y sull’asse verticale avrà percorso in orizzontale la distanza
x. Per trovare l si applica il Teorema di Pitagora.

Anche le accelerazioni possono essere sommate vettorialmente, dando luogo a termini


più complessi soprattutto in presenza di sistemi di riferimento rotanti. In quest’ultimo
le velocità relative giocano un ruolo fisico, ad esempio danno vita alla forza di Coriolis,
descritta nella sezione 4.1.3.
Fisica 599

Quesiti
1) Per conoscere il moto di un punto ma- 5) Se un corpo viene lasciato cadere da
teriale nello spazio occorre conoscere: un’altezza iniziale h = 20 m, approssi-
mando il valore di g a 10 m/s2 , con quale
A tre funzioni scalari del tempo velocità tocca terra?
B tre funzioni vettoriali del tempo A 400 m s−1
C una funzione scalare del tempo B 20 m s−1
C 40 m s−1
D una funzione vettoriale dello spazio
D 2 m s−1
E il modulo di una funzione vettoriale del
tempo E 4 m s−1
6) Se un proiettile viene lanciato verso
2) Che rapporto c’è tra la velocità istan- l’alto con velocità iniziale vi = 10 m/s
tanea e la traiettoria di un punto che forma un angolo con l’orizzonte di
materiale? 30◦ approssimando il valore di g a 10
m/s2 , quanto tempo impiega per toccare
A nessuno
terra?
B la traiettoria è sempre tangente alla A 1s
velocità istantanea
B 10 s
C la velocità istantanea è sempre tangente
alla traiettoria C 2s

D la velocità istantanea in alcuni moti può D 0,5 s


essere tangente alla traiettoria E 0,1 s
E la traiettoria è tangente alla velocità 7) Il rapporto tra un’accelerazione cen-
istantanea solo nei moti rettilinei tripeta e una velocità angolare si può
misurare in:
3) Compiendo un giro esatto lungo una

Fisica
circonferenza mantenendo una velocità A rad/s
tangenziale costante di 10 m/s quale B rad m/s
affermazione è corretta riguardo alla
velocità media? C rad/s2
D m/s2
A è un vettore di modulo 10 m/s
E rad s
B coincide con il modulo del vettore
8) Quale delle seguenti relazioni è corretta
velocità tangenziale e vale 10 m/s
per il moto armonico?
C coincide con il vettore nullo
A v (t) = −ω 2 x(t)
D la domanda è priva di senso perché la
B x (t) = −ω 2 v(t)
velocità media è definita solo per moti
rettilinei C x (t) = −ω 2 a(t)
E è un vettore il cui modulo vale 3600 m/s D a · t = −ω 2 x(t)
E a (t) = −ω 2 x(t)
4) Quale dei seguenti criteri non consente
una classificazione appropriata dei tipi 9) Se una canoa viaggia da nord a sud con
di moto? velocità vS in un fiume la cui corren-
te verso est ha velocità vE doppia di
A traiettoria e velocità vS , qual è il rapporto tra i moduli della
velocità assoluta vA e di vS ?
B traiettoria e accelerazione
A 2
C traiettoria
B 1/2
D velocità √
C 3
E traiettoria e posizione √
D 2
600 Cinematica


E 5 B 0m
10) Se un atleta salta verso l’alto con velo-
C 30 m
cità v = 10 m/s e tocca nuovamente ter-
ra soltanto dopo 3 s, quanto vale il suo
D 15 m
spostamento?
A la domanda non ha senso perché E la domanda non ha senso perché non
non si conosce la velocità orizzontale viene fornita la velocità con cui l’atleta
dell’atleta tocca terra

3.15 Risposte commentate ai quesiti


1) Come rappresentato nella Figura 3.2 la risposta esatta è la A : conoscendo come va-
riano nel tempo le tre funzioni scalari delle coordinate, che in un sistema cartesiano
sono x(t), y(t) e z(t), si determina completamente il moto del punto materiale.

2) La risposta corretta è la C : il vettore velocità istantanea è sempre tangente alla


traiettoria.

3) In base alla definizione si ha che la risposta corretta è la C . Durante un giro,


infatti, sebbene il modulo resti costante la velocità cambia direzione. Operando
una somma vettoriale tra tutte le velocità di tutte le posizioni si ottiene il vettore
nullo. Equivalentemente, poiché dopo un giro la posizione iniziale e quella finale
coincidono, la velocità media è nulla.

4) In base a quanto riportato nella Tabella 3.1 si ha che la risposta corretta è la E . La


Cinematica

B può indicare un criterio di classificazione dei moti perché si può sostituire velocità
costante con accelerazione nulla per avere un moto uniforme, velocità variabile in
modo costante con accelerazione costante per un M.U.A. e velocità variabile con
accelerazione variabile per un moto vario.

5) Nessuna delle alternative può essere scartata a priori perché hanno tutte le giuste
unità di misura. L’unica però che soddisfa la relazione 3.11 ed è quindi corretta è
la B .

6) Dalla relazione 3.12 la risposta corretta è la A . Nessuna di esse è da escludere


per le unità di misura, ma l’unica che fornisce il numero esatto è la A in virtù
dell’identità sen 30◦ = 1/2.

7) La risposta corretta in base alla 3.17 è la B . Ulteriore indicazione della correttezza


della risposta deriva dall’analisi dimensionale, per la quale l’unica possibilità giusta
può essere la B .

8) In base alla legge oraria del moto armonico 3.18 e alla relazione riportata al termine
della sezione 3.12 si ha che la risposta corretta è la E .

9) La composizione vettoriale delle velocità 3.19 implica che la somma dei moduli
segue il teorema di Pitagora in questo caso, perché i due vettori sono ortogonali.
Essendo una somma in quadratura, il fattore 2 diventa un 4 che nella somma dà
vita a un 5 sotto radice: la risposta corretta è la E .
Fisica 601

10) Lo spostamento è una differenza di posizione e infatti si misura in metri. In que-


sto caso l’atleta salta per poi ricadere nella stessa posizione occupata nell’istante
iniziale, quindi lo spostamento è nullo. La risposta corretta è la B .

Fisica
Dinamica
4
Introduzione
In questo capitolo analizzeremo le cause del moto, cioè le forze. Nella prima parte
verranno illustrati i tre principi di Newton. Nella seconda, grazie a un’analisi delle
principali forze macroscopiche, vedremo come le leggi della dinamica consentono di
determinare il moto del punto materiale. La trattazione degli esempi riportati per ogni
forza macroscopica consentirà di acquisire le competenze necessarie per poter risolvere
autonomamente i problemi di dinamica.

4.1 Obiettivi della dinamica


La dinamica indaga le cause del moto degli oggetti e, per corpi estesi, le cause delle
deformazioni. Limitandoci allo studio del punto materiale e posticipando l’analisi dei
corpi estesi nel capitolo di statica, considereremo solo moti lineari: le traslazioni. Le
cause del moto di un punto materiale sono le interazioni cui esso è soggetto.

In fisica le interazioni sono rappresentate da grandezze vettoriali chiamate forze, la


cui unità di misura nel S.I. è il newton (N).

Una forza costante ha intensità di 1 N quando causa un’accelerazione di 1 m s−2 ad un


corpo di massa 1 kg. Come sarà chiaro dal secondo principio della dinamica le dimensioni
di una forza sono [F ] = [M · L · T 2 ].

Le interazioni fondamentali sono quattro: forza gravitazionale, forza elettromagnetica,


forza nucleare debole e forza nucleare forte. La forza di gravità è quella interazione sempre
attrattiva che si origina tra corpi dotati di massa. È applicabile a qualsiasi scala di grandezza.
La forza elettromagnetica comprende sia le forze elettriche che quelle magnetiche, espressioni
complementari della stessa interazione generata dalla carica elettrica. La forza nucleare debole
è responsabile dei decadimenti radioattivi, mentre la forza nucleare forte tiene legati nel nucleo
atomico i protoni e i neutroni.

Poiché, ad eccezione della gravità, esse agiscono a livello microscopico, la schematizza-


zione di situazioni fisiche ha portato ad introdurre numerose forze che operano a livello
macroscopico, ad esempio forze di attrito e reazioni vincolari.

Qualunque sia la forza considerata, la dinamica consente sempre di prevedere il


moto del punto materiale grazie alla conoscenza di intensità, direzione e verso della
forza e della massa del punto materiale.
Fisica 603

Per determinare completamente il problema dinamico, inoltre, occorre conoscere


posizione iniziale e velocità iniziale del punto materiale.

La massa è una proprietà fondamentale della materia, ciò che la contraddistingue


dall’energia, che invece non ha massa. Tutte le particelle hanno massa positiva: non
esiste un oggetto con massa negativa. La luce invece, essendo energia, è priva di massa.

La massa nel S.I. si misura in kg, ha dimensioni [M ] = [M · L0 · T 0 ] ed è una grandezza


scalare fondamentale.

4.2 Concezione newtoniana di spazio e tempo


Prima di affrontare le tre leggi della dinamica, note anche come principi di Newton, è
utile delineare l’idea di spazio e tempo che soggiace alla meccanica classica. Secondo
Newton lo spazio ed il tempo sono entrambi enti assoluti, immutabili e immodi-
ficabili. Lo spazio non è influenzato dagli oggetti che si muovono in esso e il tempo
scorre ovunque sempre allo stesso modo. Sono concezioni che suonano familiari, nor-
mali; infatti nella maggior parte delle situazioni descrivono abbastanza bene i fenomeni
che si osservano.
Quando però ci si discosta dalla scala di grandezze cui siamo abituati in quanto
esseri umani le cose cambiano. A livello atomico o subatomico, dove le particelle si
muovono spesso a velocità prossime a quella della luce, il tempo smette di scorrere allo
stesso modo per tutti gli oggetti.

Fisica
Secondo la meccanica relativistica introdotta nel 1905 da Einstein nella teoria della rela-
tività ristretta, o speciale, il tempo scorre più lentamente per oggetti che si muovono a velocità
prossime a quella della luce (una delle conseguenze più famose di questo comportamento è
descritta nel paradosso dei gemelli). Le rilevazioni quotidiane di raggi cosmici confermano la
validità di tale previsione.
Sempre ad Einstein si deve anche la modifica del concetto di spazio.

Nella relatività generale del 1916, in cui estende la teoria della gravità newtoniana, lo spazio
è deformato dagli oggetti che contiene: maggiore è la quantità di massa in un certo spazio e
più esso è curvato. Conseguenze estreme di tale concezione si trovano nei buchi neri, dove la
curvatura dello spaziotempo non consente nemmeno alla luce di fuoriuscire.

4.3 Sistemi di riferimento inerziali

Le tre leggi della dinamica valgono solo in sistemi di riferimento inerziali.

Newton immaginava un riferimento assoluto: una terna immobile di assi cartesiani


posta in qualche luogo dello spazio, lontano da ogni sorgente di gravità.
604 Dinamica

Figura 4.1: Se un treno viaggia a velocità co-


stante un passeggero non può desumere se
è il suo treno a muoversi o quello affianco
perché si trova su un riferimento inerziale.

Per definizione un sistema di riferimento è inerziale se rispetto a questo riferimento


privilegiato è in quiete o si muove di moto rettilineo uniforme.

I sistemi di riferimento che accelerano o che ruotano sono detti non inerziali.
Nello studio pratico dei sistemi fisici un sistema è considerato inerziale se non accelera
rispetto a un riferimento opportuno: rispetto alla riva una canoa che si muove in linea
retta con velocità costante è un riferimento inerziale, ma rispetto alla Luna no, poiché
la Terra su cui si trova la canoa sta ruotando e quindi ha un’accelerazione.
Dinamica

4.4 Principio di inerzia

Si definisce inerzia di un corpo la sua tendenza a permanere nel proprio stato di moto.

Quindi maggiore è l’inerzia di un corpo e più esso si opporrà a variare la propria


velocità.

La prima legge della dinamica, nota come principio di inerzia, afferma che in un
sistema di riferimento inerziale un corpo permane nel proprio stato di quiete o di moto
rettilineo uniforme quando non vi sono forze esterne applicate su di esso o quando la
somma vettoriale delle forze esterne è nulla.

Nei sistemi non inerziali tale principio non è più valido. Stando fermi in piedi in un
autobus, ad esempio, se il veicolo frena bruscamente si riceve una spinta in avanti, e
dunque si cambia il proprio stato di moto, pur in assenza di forze esterne.
Fisica 605

4.5 Secondo principio di Newton

Prima del Rinascimento la fisica aristotelica considerava grandezza cinematica fondamentale


la velocità. Non riuscendo ad astrarre e a eliminare l’attrito con l’aria o con il suolo, si pensava
che per mantenere un corpo in moto con velocità costante bisognasse applicargli una forza,
altrimenti questo avrebbe rallentato fino a fermarsi. Prima di Newton, quindi, si credeva che
la forza fosse proporzionale alla velocità.

Newton attraverso una serie di esperimenti si accorse che applicando forze diverse a
uno stesso corpo questo subiva diverse accelerazioni, ma il rapporto tra forza e acce-
lerazione restava costante. In altre parole la forza e l’accelerazione sono direttamente
proporzionali.

La seconda legge della dinamica afferma che in ogni istante l’accelerazione di un corpo
è direttamente proporzionale alla forza ad esso applicata, essendo la massa del corpo
la costante di tale proporzionalità.

In formula:
(4.1) F~ = m · ~a.

La F~ della 4.1 è la risultante delle forze applicate sul corpo. Tale legge, inoltre, vale
a prescindere dalla natura della forza: la F~ può essere la somma di una forza di attrito
e di una forza elastica.

Fisica
La 4.1 è una relazione vettoriale, forza e accelerazione hanno stessa direzione e stesso
verso. Per essere applicata va proiettata sugli assi di riferimento, ovvero il vettore forza
va scomposto nelle sue componenti x, y e z. Si troveranno in tal modo la componente
x dell’accelerazione ax , la y ay e la z az .

4.6 Massa inerziale

La massa inerziale è definita come il rapporto tra la forza applicata a un corpo e


l’accelerazione che esso subisce.

È la costante della 4.1. Poiché da questa legge si evince che la massa è inversamente
proporzionale all’accelerazione, si deduce che essa misura la resistenza del corpo a
variare la propria velocità, la sua inerzia, da cui il nome.

Corpi diversi se soggetti a forze di pari intensità subiscono la stessa accelerazione se


hanno la stessa massa inerziale.

Questa grandezza scalare è una proprietà caratteristica di un corpo e si misura in kg


nel S.I.
606 Dinamica

4.7 Principio di azione e reazione


La terza legge della dinamica afferma che le forze che si scambiano due corpi sono
opposte.

La validità di tale principio si ha solo in un sistema isolato, ovvero che non scambia
interazioni con il resto dell’universo.

Figura 4.2: Una barca si sposta in orizzontale Figura 4.3: Un aereo si sposta orizzontalmente
perché la spinta fornita dalle eliche al mare è grazie al principio di azione e reazione.
eguagliata da una spinta in avanti.
In un sistema isolato composto da un corpo A e un corpo B la forza che A esercita
su B F~AB ha lo stesso modulo e direzione ma verso opposto a quella che B esercita su
A F~BA :

(4.2) F~AB = F~BA .


Dinamica

Applicazioni pratiche di tale principio si osservano nel moto di una barca a motore,
dove la spinta all’indietro impressa dalle eliche all’acqua genera una spinta in avanti
impressa al natante; lo stesso vale nel moto di un aereo, dove la spinta all’indie-
tro fornita dai reattori e impressa all’aria genera quella in avanti che fa muovere
il velivolo; analogamente la spinta all’indietro fornita dai nostri piedi al pavimento
grazie all’attrito con il suolo genera quella in avanti che ci permette di spostarci
camminando.

Negli esempi precedenti si ha un’ulteriore applicazione di tale principio lungo l’asse


verticale: barca, aereo e persona non sprofondano verso il basso attirati dalla gravità
del pianeta perché ricevono una spinta verso l’alto che bilancia il loro peso.

4.8 Principali forze macroscopiche


4.8.1 Reazioni vincolari

La forza con cui un corpo si oppone ad essere attraversato da un altro corpo è detta
reazione vincolare o forza di contatto o anche forza normale, poiché ha sempre
direzione perpendicolare (cioè normale) alla superficie di contatto tra i due corpi.
Fisica 607

Tale interazione è sempre una forza di reazione: ha verso uscente dalla superficie del
corpo che riceve una spinta e intensità pari a quella della spinta.

Appoggiando un libro su una scrivania, questo per la forza di gravità è attratto verso il
centro della Terra, dunque in base al secondo principio dovrebbe accelerare verso il basso.
Il motivo per cui il libro resta fermo è che su di esso agisce anche la reazione vincolare
N del piano che bilancia la forza peso P.

Le reazioni vincolari si trovano anche in corpi che scivolano lungo piani inclinati e sono
normali alla superficie del piano. In genere si chiamano reazioni vincolari tutte quelle
forze di reazione che limitano il movimento dei corpi, si trovano ad esempio nelle
giunture tra parti meccaniche, nei cardini, etc.

4.8.2 Tensioni

Se si vincola l’estremità di un filo inestensibile e di massa trascurabile e si applica


all’altra estremità una forza, ad esempio la forza peso di un corpo appeso al filo, nel
filo si ha una forza di reazione chiamata tensione €τ .

In ogni sezione del filo la forza risultante è nulla, cioè la


forza applicata sul filo e trasmessa lungo di esso è bilan-
ciata dalla tensione. Se cosı̀ non fosse in base alla secon-
da legge della dinamica si avrebbe un’accelerazione invece
della quiete.

Fisica
4.8.3 Forze di attrito

La forza che si oppone al moto di un corpo Figura 4.5: Bilanciamento tra


si chiama forza di attrito. la forza peso e la tensione che
agisce lungo una corda.

Se la forza si oppone alla rotazione di un corpo su una


superficie si ha l’attrito volvente, se si oppone allo scivo-
lamento di un corpo lungo una superficie si ha l’attrito
radente.

La condizione di rotolamento puro di un corpo


su un altro è che la velocità relativa tra i due nel
punto di contatto sia nulla. Figura 4.6: La forza di attrito
dinamico F a ha stessa direzione
ma verso opposto a quello della
Nel seguito considereremo per semplicità solo attrito velocità, la forza di attrito stati-
radente. co giace all’interno del cono di
attrito statico, la reazione vin-
Le forze di attrito sono sempre proporzionali alla rea- colare della superficie è sempre
zione vincolare della superficie, il coefficiente di proporzio- normale, cioè perpendicolare alla
nalità è un parametro adimensionale chiamato coefficiente superficie.
608 Dinamica

di attrito µ e dipende dalla natura dei corpi e dal grado di levigatezza della superficie
di contatto, ma non dall’area della sezione di contatto:

(4.3) F~a = µ · N
~.

Le forze di attrito si dividono in statiche e dinamiche. La forza di attrito statico si


oppone a una spinta che tende a mettere in moto un corpo a contatto con un altro.
La sua direzione giace all’interno del cono di attrito statico (il cui asse è normale
alla superficie) e non è determinata, cosı̀ come non lo è la sua intensità. Il suo valore
massimo è quello oltre il quale il corpo soggetto alla spinta si mette in moto.
Una volta che il corpo è in moto si ha la forza di attrito dinamico, la cui direzione è
la stessa del moto ma il verso è opposto a quello della velocità del corpo, come illustrato
in Figura 4.6. La forza di attrito dinamico è sempre minore di quella di attrito statico,
cioè µd < µs .

Ciò è dovuto al fenomeno dell’adesione. La superficie di contatto tra due corpi, per quanto
essi siano ben levigati, è una serie di solchi e di alture. Immaginando un corpo posato su un
piano, il suo peso grava in realtà soltanto su pochi punti, dove la pressione è cosı̀ intensa da
avvicinare molto gli atomi dei due corpi e rendere importanti le forze elettromagnetiche tra
elettroni e protoni.

Queste considerazioni svelano anche la natura microscopica delle forze di attrito, cosı̀
come delle reazioni vincolari: sono forze dovute alle interazioni elettromagnetiche
tra elettroni e protoni degli atomi dei diversi corpi.
Dinamica

4.8.4 Forze viscose

La forza resistente esercitata da un fluido su un corpo che si muove al suo interno è


detta forza viscosa.

Le forze viscose sono direttamente proporzionali alla velocità e la costante di pro-


porzionalità dipende dalla geometria del corpo e dalla viscosità del mezzo: F~ ∝
−~v .

4.8.5 Forza peso

La forza con cui un corpo dotato di massa è attratto verso il centro della Terra si
chiama forza peso, o più brevemente peso.

In italiano spesso si confondono la massa m, grandezza scalare che misura la quantità


di materia di un corpo, con il peso P~ , grandezza vettoriale che misura la forza con cui
si è attratti dal pianeta. Mentre la massa è quindi ovunque costante, il peso dipende
dal luogo in cui ci si trova.
Fisica 609

Si consideri un paracadutista nel momento in cui


inizia il proprio lancio, con il paracadute ancora
chiuso. Su di esso agiscono la forza peso, che ten-
de ad attirarlo verso il basso, e la forza viscosa.
All’inizio quest’ultima è poco intensa perché la ve-
locità del paracadutista è bassa. Man mano che
accelera durante la caduta la forza viscosa, che
nel caso della resistenza offerta dall’aria si chiama
forza di Stokes, aumenta con l’aumentare del-
la velocità. La risultante delle due forze opposte
Figura 4.7: Un paracadutista dopo un
diventa sempre minore finché raggiunta una certa certo tempo scende verso terra con
velocità, detta velocità limite, la forza viscosa velocità costante.
bilancia esattamente quella peso. Da questo istan-
te in poi sul paracadutista la risultante delle forze
è nulla e si muoverà di moto rettilineo uniforme. Quando apre il paracadute, cambiando
la geometria del corpo (uomo + paracadute) in quanto aumenta l’area di contatto, la
forza viscosa aumenta e l’uomo si muoverà a velocità minore.

La forza peso di un corpo è pari a

(4.4) P~ = m · ~g .

La costante ~g è detta accelerazione di gravità, il suo modulo vale mediamente g =


9,8 m s−2 . Il suo valore sulla Terra dipende da tre cose: diminuisce con l’altitudine,
aumenta con la latitudine (è minore all’equatore e massima ai poli), aumenta in zone
ricche di giacimenti di metalli pesanti nel sottosuolo. Su altri pianeti dipende dalla

Fisica
massa del pianeta (in realtà da massa e volume, quindi dalla densità): nel caso della
Luna g è 1/6 di quella terrestre e dunque anche il peso di una persona sulla Luna è
1/6 di quello sulla Terra, sebbene la massa della persona resti la stessa.

4.8.6 Forza elastica

La forza di richiamo esercitata da una molla spostata dalla propria lunghezza a riposo
è detta forza elastica.

Questa forza si oppone alla variazione di lunghez-


za della molla, detta elongazione ~x (sia allungamen-
to che compressione) ed è ad essa proporzionale, come
espresso dalla legge di Hooke:

(4.5) F~el = −k · ~x.


Figura 4.8: Una molla compressa
subisce un’elongazione che genera
La costante di proporzionalità k, detta costante elasti- una forza elastica che tende a ri-
ca della molla, nel S.I. si misura in N m−1 . La direzio- portare la molla alla lunghezza a
ne della forza è la stessa dello spostamento, mentre il riposo.
verso è opposto.
610 Dinamica

4.9 Moto di caduta libera

Il moto di un grave che cade da altezza h con velocità iniziale nulla è detto di caduta
libera.

Poiché sul corpo agisce la sola forza peso di modulo P = m · g, diretta lungo la verticale
e orientata verso il basso, per la seconda legge della dinamica si ha m · ~g = m · ~a,
da cui ~a = ~g . Il moto è dunque un moto rettilineo uniformemente accelerato,
l’accelerazione è rivolta verso il basso e ha modulo pari a g. In un sistema di riferimento
in cui l’asse x è verticale e rivolto verso il basso e l’origine è la posizione iniziale del
corpo la legge oraria è
1
(4.6) x(t) = g · t2 v(t) = g · t.
2
Ponendo h al posto di x(t) e invertendo la formula si ricava il tempo di caduta:
p
(4.7) t = 2 h/g.
Sostituendo il tempo di caduta alla t della 4.6 si ricava la velocità con cui il corpo
tocca terra:
p
(4.8) v = 2 g h.

4.10 Moto lungo un piano inclinato


Dinamica

Studiamo il moto di un corpo che scivola lungo un


piano inclinato di un angolo α in assenza di attri-
to. Sul corpo agiscono la forza peso P~ e la reazio-
ne vincolare N ~ del piano, come mostrato in Figu-
ra 6.3. Conviene scegliere un sistema di riferimento
con l’asse x orientato come il piano e quello y per-
pendicolare al piano. Proiettando le due forze su
questi assi si ha che la componente del peso diretta
lungo il piano è PT = m · g · sen α, mentre quel-
la normale è bilanciata dalla reazione N ~ del piano, Figura 4.9: Vettori forza agenti su un
punto materiale che scivola senza attrito
che quindi ha modulo N = m · g · cos α. lungo un piano inclinato.
Dalla seconda legge della dinamica si ha che lun-
go l’asse x vale m · ax = m · g · sen α, da cui si ricava
che il moto è uniformemente accelerato con accelerazione ax = g · sen α.
Scegliendo l’origine degli assi nella posizione iniziale del corpo e considerando velo-
cità iniziale nulla la legge oraria è
1
(4.9) x(t) = g · sen α · t2 .
2
Se il piano è lungo l, sostituendo l nel membro di sinistra si può ricavare il tempo di
caduta:
p
(4.10) t = 2l/g sen α.
Fisica 611

Poiché la velocità è v(t) = a · t, si può ricavare la velocità con cui il corpo tocca
terra sostituendo il tempo di caduta:
p
(4.11) v = 2l · g · sen α.
Poiché la sezione di piano inclinato rappresenta un triangolo rettangolo, di cui l è
l’ipotenusa e h il cateto opposto all’angolo α, dalla trigonometria si può ricavare che
l sen α = h e quindi si ha
p
(4.12) v = 2g h.

In altri termini la velocità di caduta è la stessa del moto di caduta libera.

4.11 Moto di un oscillatore armonico

Si definisce oscillatore armonico qualsiasi oggetto la cui legge oraria sia quella del moto
armonico, illustrata nella sezione 3.12.

Un esempio di oscillatore armonico è dato dal moto di un corpo di massa m vincolato a


un’estremità di una molla la cui altra estremità sia fissata a una parete. Tale corpo lungo
l’asse orizzontale è soggetto alla sola forza elastica di modulo Fel = −k · x. Dalla seconda
legge della dinamica si ha allora

Fisica
k
(4.13) m · ~a = −k · ~
x =⇒ ~a = − ~
x.
m
In altri termini l’accelerazione in ogni istante è proporzionale allo spostamento ma diretta
in verso opposto.

Definendo la pulsazione ω, che nel S.I. si misura in s−1 o Hz, come


p
(4.14) ω = k/m,
La legge oraria è
(4.15) x(t) = A · sen(ω t + ϕ).
L’ampiezza A è la massima elongazione della molla e si misura in m, la ϕ è la fase
iniziale, di solito si scelgono i parametri in modo da poterla annullare. Per periodo T
e frequenza f valgono le leggi del moto armonico 3.15 e 3.16.

4.12 Moto di un pendolo

Si definisce pendolo semplice un punto materiale di massa m legato a un filo


inestensibile di massa trascurabile vincolato a una sua estremità in assenza di attriti.
612 Dinamica

Le uniche forze che agiscono sul punto materiale


sono la forza peso P€ , diretta verso il basso, e la
tensione €τ del filo, diretta lungo il filo e orientata
verso il vincolo. Conviene scegliere un sistema di
riferimento solidale al punto materiale, avente l’asse
y diretto lungo il filo orientato verso il vincolo e
l’asse x perpendicolare al filo diretto nel verso che
aumenta l’apertura angolare del pendolo.

Il moto del pendolo è dunque planare: avviene Figura 4.10: Scomposizione delle forze
sempre in un piano, anche se l’ambiente in cui per un pendolo semplice.
si trova il pendolo nel frattempo ruota.

Proiettando la forza peso sui due assi, si ha che sull’asse y vi è la quiete, in quanto
la tensione bilancia la componente della forza peso. Sull’asse x, invece, dalla seconda
legge della dinamica si ha:
(4.16) m · a = −m · g · sen ϑ .
In regime di piccole oscillazioni, cioè per angoli inferiori a 15◦ , si può approssimare
il seno dell’angolo con il valore dell’angolo stesso. Dalla definizione di accelerazione
angolare si ha che per l’angolo vale una relazione analoga alla 4.13:
g
(4.17) aang = − ϑ .
l
Definendo quindi la pulsazione ω come
Dinamica


(4.18) ω = g/l ,
si ha che anche il pendolo ha il moto di un oscillatore armonico. Ricordando la
definizione di periodo si ottiene:

1 2π l
(4.19) T = = = 2π .
f ω g

Il periodo di oscillazione del pendolo non dipende dalla massa oscillante, ma solo
dalla lunghezza del filo e dal valore di g in quel luogo. Per tale motivo invertendo la
formula la si può usare per misurare g: conoscendo la lunghezza l del filo e misurando
accuratamente con un cronometro il periodo T del pendolo si ricava g. Inoltre le
piccole oscillazioni sono isocrone, poiché T non dipende dall’ampiezza.

4.13 Forze apparenti

Una forza si chiama apparente quando è introdotta solo a causa dell’accelerazione del
sistema di riferimento.
Fisica 613

Per ripristinare la validità formale della seconda legge del-


la dinamica in un sistema di riferimento non inerzia-
le, infatti, si aggiunge alle forze dovute a interazioni tra
oggetti fisici un altro tipo di forze dette apparenti.

Una forza apparente è un vettore orientato


in verso opposto all’accelerazione del sistema
di riferimento e ha modulo pari al prodotto Figura 4.11: La forza centrifuga
della massa del corpo che subisce la forza che si avverte su un carosello è
apparente per l’accelerazione del sistema di una forza apparente dovuta alla
rotazione della giostra.
riferimento.

(4.20) F~app = −m · ~aRIF .

Se stiamo fermi su una giostra che ruota risentiamo una forza centrifuga diretta radial-
mente verso l’esterno. Tale forza è dovuta all’accelerazione centripeta del moto rotatorio
della giostra.

Tra le forze apparenti più note, oltre a quella centrifuga, vi è la forza di Coriolis, che si ha
soltanto quando un oggetto è in movimento in un sistema di riferimento rotante. Tale forza è
responsabile della maggiore erosione delle sponde destre dei fiumi nell’emisfero australe e di
quelle sinistre in quello boreale; essa inoltre contribuisce alla rotazione dei fluidi in senso

Fisica
orario nell’emisfero australe e antiorario in quello boreale.

4.14 Moto di tipo orbitale


Si consideri un satellite che orbita ad altezza h intorno alla Terra, approssimata come
una sfera di raggio R. Sul satellite agiscono due forze radiali: l’attrazione gravitazionale
diretta verso il centro della Terra e la forza centrifuga diretta verso l’esterno.

Nel moto orbitale in cui la distanza dalla Terra non varia l’attrazione gravitazionale
è bilanciata dalla forza centrifuga.

Indicando con r la distanza dal centro della Terra, il bilanciamento delle forze si
scrive nel modo seguente:

G·M ·m m · v2
(4.21) = .
r2 r
Dalla 4.21 Si ricava che la velocità tangenziale con cui si muove un satellite in orbita
ad altezza h = r − R è
p
(4.22) v = G · M/r .
614 Dinamica

Un’orbita si chiama geosincrona o stazionaria quando la velocità angolare del satellite coincide
con quella del pianeta, ovvero quando la proiezione della posizione del satellite sulla superficie
planetaria non cambia nel tempo.

4.15 Quesiti
1) Quale delle seguenti affermazioni relati- 4) Nel moto di un oggetto all’interno di
ve al secondo principio della dinamica è un fluido si definisce velocità limite la
corretta? velocità:

A il rapporto tra accelerazione e risultante A oltre la quale la pressione del flui-


delle forze equivale alla massa inerziale do deformerebbe irrimediabilmente il
corpo
B il prodotto tra accelerazione e risultante B in corrispondenza della quale il corpo è
delle forze equivale alla massa inerziale immobile rispetto alla sezione di fluido
C la massa inerziale equivale al rap- considerata
porto tra la risultante delle forze e C più piccola che può avere il corpo
l’accelerazione muovendosi all’interno del fluido
D il rapporto tra risultante delle for- D che avrebbe il corpo se fosse perfetta-
ze e massa gravitazionale equivale mente sferico
all’accelerazione E alla quale le forze viscose bilanciano la
E il prodotto di massa gravitazionale per forza propulsiva
accelerazione equivale alla risultante 5) L’accelerazione di gravità g:
delle forze
A è maggiore ai poli rispetto all’equatore
2) Quale delle seguenti affermazioni di- B è maggiore in montagna rispetto al
Dinamica

scende dal secondo principio della livello del mare


dinamica?
C è maggiore in zone carsiche rispetto a
A in assenza di forze un corpo è fermo zone basaltiche
D è maggiore su Marte che sulla Terra
B quando la risultante delle forze è nulla
un corpo è fermo E è maggiore sulla Luna che sulla Terra

C l’accelerazione subita da un corpo ha la 6) La velocità con cui un corpo tocca terra


stessa direzione della forza con modulo scivolando senza attrito lungo un piano
maggiore inclinato non è:

D se la risultante delle forze è nulla il corpo A v = 2l · g · sen α
mantiene la propria velocità √
B v = 2·g·h ;

E nessuna delle affermazioni precedenti C v = 2l · g · cos α
discende dal secondo principio della
D la stessa del moto di caduta libera
dinamica
E la stessa del moto di un grave
3) Da quale dei seguenti fattori non dipen-
de il modulo della forza di attrito tra 7) Il celebre scienziato Foucault grazie ad
due corpi? un pendolo:
A misurò per la prima volta l’accelerazio-
A il grado di levigatezza dei corpi ne di gravità
B l’area di contatto tra di essi B dimostrò che la Terra ruotava su se
stessa
C la sostanza di cui sono composti
C dimostrò il celebre teorema di Foucault
D la reazione vincolare del primo corpo sul D fornı̀ un campione per le misure di
secondo intervalli di tempo
E dipende da tutti i fattori riportati E fu scomunicato dalla chiesa
Fisica 615

8) Introducendo forze apparenti nel secon- D maggiore di quella precedente di un


do principio della dinamica: fattore minore di 1/10

A si ottengono effetti fittizi E 10 volte quella precedente

B si ristabilisce la validità del principio 10) Se in assenza di gravità un astronauta


anche in sistemi di riferimento non durante una passeggiata extraveicolare
inerziali si dà una spinta con una mano contro la
C si garantisce la validità della conserva- paratia esterna del veicolo:
zione dell’energia meccanica
A non si sposta perché si è in assenza di
D si invalida il terzo principio della gravità
dinamica
B si allontana dal veicolo in linea retta
E si rende il riferimento sempre inerziale finché non incontra un ostacolo
9) Se un satellite in orbita ad altezza h dal- C si allontana dal veicolo in linea retta per
la superficie terrestre riduce il raggio un tempo molto lungo prima di fermarsi
della sua orbita di h/10, la sua velocità D si allontana dal veicolo in linea ret-
nella nuova orbita è: ta e ruotando su se stesso finché non
A un decimo di quella precedente incontra un ostacolo
√ E si allontana di poco dal veicolo prima
B 1/ 10 volte quella precedente
che la gravità generata dalla massa del
C 9/10 di quella precedente veicolo l’attiri nuovamente

4.16 Risposte commentate ai quesiti


1) In base all’espressione matematica del secondo principio di Newton 4.1 si ha che la
risposta corretta è la C . La D e la E sono equivalenti e quindi vanno scartate a
priori. La A e la B possono essere scartate in base all’analisi dimensionale.

Fisica
2) L’espressione matematica del secondo principio di Newton 4.1 è una relazione vet-
toriale, in base alla quale l’accelerazione ha stessa direzione e verso della risultante
delle forze. La C è dunque da scartare. La A e la B sono false perché in assenza
di forze o quando la risultante è nulla si ha che la velocità non varia, non che il
corpo è fermo. La risposta corretta è la D .

3) In base a quanto indicato nella sezione 4.8.3 si ha che la risposta corretta è la B .

4) La velocità limite è quella per cui le forze di spinta (la forza peso nel caso di
caduta libera) sono bilanciate dalle forze viscose, ragion per cui l’oggetto una volta
raggiunta tale velocità si muove di M.R.U. con velocità proprio pari a quella limite.
Ne consegue che la risposta corretta è la E .

5) Poiché g è legata alla forza che il pianeta esercita su un oggetto posto a una certa
distanza dal suo centro, si ha che diminuisce con l’altezza, aumenta con la densità
del terreno e la latitudine a causa della forma non sferica della Terra e aumenta
all’aumentare della massa del pianeta cui si riferisce. Poiché la Terra ha una massa
maggiore di quelle di Marte e della Luna, si ricava che la risposta corretta è la A .

6) Le relazioni 4.11 e 4.12 permettono di ricavare che la risposta corretta è la C .

7) Ponendo un pendolo in oscillazione all’interno di una cattedrale e lasciando che il suo


estremo tracciasse segni nella sabbia posta sul pavimento della struttura, Foucault
riuscı̀ a dimostrare che la Terra ruota. Grazie al moto planare del pendolo, infatti, e
616 Dinamica

al disegno complesso tracciato dal pendolo, si poteva dedurre l’asserto. La risposta


corretta è la B .
8) Dalla definizione 4.20 si ha che la risposta corretta è la B : grazie alle forze apparenti
si può usare la seconda legge della dinamica anche in riferimenti non inerziali.

9) Come si ricava dal bilanciamento di gravità e forza centrifuga e dalla velocità, la


risposta corretta è la D . La E è sbagliata perché la velocità non dipende da h ma
da r, di cui h è una frazione minore del 10%.

10) La forza di gravità ha in genere intensità molto deboli, a parte quella generata da
masse almeno planetarie, quindi la E è da escludere. La A è da scartare perché
il terzo principio vale anche in assenza di gravità e quindi la reazione del veicolo
fornisce una spinta all’astronauta. La C è falsa perché nello spazio cosmico non
vi è attrito e quindi l’uomo non si ferma finché non trova un ostacolo. La risposta
corretta è la D , perché la spinta del veicolo agisce sul baricentro dell’uomo facendolo
allontanare di M.R.U. ma al contempo lo pone in rotazione perché agisce sulla mano
che si trova a una certa distanza dal baricentro dell’uomo.
Dinamica
Leggi di Keplero
e gravitazione
universale
5
Introduzione
In questo capitolo si giungerà alla legge di gravitazione universale attraverso le leggi di
Keplero. Nella seconda parte saranno chiarite alcune proprietà del campo gravitazionale
e il legame tra forza di gravità e forza peso.

5.1 Legge delle orbite


L’immensa mole di dati osservativi raccolti dal più
grande astronomo prima dell’avvento dei telescopi,
Tycho Brahe, erano in conflitto sia con il model-
lo geocentrico tolemaico che con quello eliocentrico
copernicano. I dati vennero rielaborati da Keplero,
che nel 1608 propose un modello che con tre leggi
rendeva conto delle osservazioni. Il modello di Ke-
plero, eliocentrico, abbandona le orbite circolari per
passare alle ellissi. Figura 5.1: Rappresentazione dell’orbita
ellittica dei pianeti intorno al Sole e della
legge delle aree.

Le leggi di Keplero hanno carattere cinematico: decrivono il moto dei pianeti senza
indagarne le cause. Sono inoltre valide, e quindi estendibili ad altri sistemi planetari,
soltanto nel limite in cui le masse dei pianeti sono trascurabili rispetto all’astro centrale
e le interazioni gravitazionali tra i pianeti (che perturbano le orbite) sono trascurabili.

La prima legge di Keplero, o legge delle orbite, afferma che i pianeti nel loro moto
intorno al Sole descrivono orbite ellittiche di cui il Sole occupa uno dei due fuochi.
Il piano in cui giacciono le orbite planetarie è chiamato eclittica e soltanto i pianeti
più esterni hanno orbite che non giacciono esattamente su di essa, come pure la maggior
parte di asteroidi e comete.

Il punto dell’orbita più vicino al Sole si chiama perielio, mentre il punto più lontano
dal Sole è detto afelio.

5.2 Legge delle aree


La seconda legge di Keplero, o legge delle aree, afferma che le aree descritte dai raggi
vettori che congiungono i pianeti al Sole sono direttamente proporzionali ai tempi
618 Leggi di Keplero e gravitazione universale

impiegati a descriverle. Definita la velocità areolare come il rapporto tra un’area e il


tempo impiegato a descriverla, la seconda legge può essere riformulata nel seguente
modo: i pianeti percorrono orbite la cui velocità areolare è costante. In termini
più semplici, si può semplificare dicendo che i pianeti nelle loro orbite spazzano aree
uguali in tempi uguali.

Come conseguenza di questa legge, confrontando la Figura 5.1, si ricava che nei pressi del
perielio la velocità areolare è maggiore, fino a toccare il massimo proprio al perielio, mentre
nei pressi dell’afelio è minore, avendo il minimo proprio nell’afelio.

5.3 Legge dei periodi


La terza legge di Keplero, o legge dei periodi, afferma che i quadrati dei periodi di
rivoluzione T delle orbite sono direttamente proporzionali ai cubi dei semiassi maggiori
a delle stesse. In formula, indicando con K una costante, si ha:

T2
(5.1) =K.
a3

5.4 Legge di gravitazione universale


Riunendo in un’unica espressione matematica i ri-
sultati sperimentali di Keplero, Newton formulò e
pubblicò nel 1687 la celeberrima legge di gravita-
Gravità

zione universale che rappresenta la forza di gravità


che si instaura tra due corpi di masse M ed m posti
a distanza r, diretta lungo la loro congiungente:
G·M ·m
(5.2) F~G = .
~r2 Figura 5.2: La Luna orbita intorno alla
Terra grazie alla forza gravitazionale che
La costante G prende appunto il nome di costante lega i due corpi celesti.
di gravitazionale universale, perché il suo valore è uguale in tutti i luoghi e in tutti
i tempi. Il suo valore è 6,67 × 10−11 N m2 /kg2 e le sue unità di misura e dimensioni
possono essere ricavate invertendo la 5.2.

L’impatto filosofico di una legge che descriveva al tempo stesso fenomeni del mondo terreno
e fenomeni celesti fu immenso nel XVII secolo e rappresentò l’ultimo definitivo colpo alla
presunta perfezione dei fenomeni celesti, ritenuti necessariamente diversi da quelli terreni
perché più vicini al divino.

Si noti che le due masse nella 5.2 si attraggono a vicenda. Se una delle due è diversi
ordini di grandezza maggiore dell’altra, come nel caso di un satellite artificiale in
orbita intorno a un pianeta, sembra che sia solo la prima ad attirare la seconda. Ciò
discende dal secondo principio della dinamica 4.1, in cui l’accelerazione è inversamente
proporzionale alla massa a parità di forza: l’accelerazione subita dalla massa maggiore
(e il conseguente spostamento) è infinitesima.
Fisica 619

5.5 Massa gravitazionale

La massa gravitazionale è definita come quella proprietà dei corpi in virtù della quale
viene risentita la forza di gravità (massa gravitazionale passiva) o si genera un campo
gravitazionale (massa gravitazionale attiva). È una grandezza scalare che rappresenta
il parametro di accoppiamento del corpo con il campo gravitazionale.

La definizione è quindi completamente diversa da quella di massa inerziale. Cionono-


stante massa gravitazionale e massa inerziale coincidono, sebbene siano entram-
be misurabili con elevata precisione.

La fisica newtoniana non riesce a spiegare la coincidenza di questi due valori, soltanto dalla
relatività generale di Einstein discende naturalmente tale proprietà. In tale teoria, infatti,
il principio di equivalenza forte afferma che la gravità localmente non può essere distin-
ta da un’accelerazione. Da ciò deriva il principio di equivalenza debole che attesta appunto
l’equivalenza dei due parametri.

Un famoso esempio dell’applicazione del principio di equivalenza e della conseguente


equivalenza delle due masse è rappresentato dall’esperimento mentale dell’uomo che lascia
cadere una palla all’interno di un’ascensore privo di finestre. Constatando che la palla
cade verso il basso con accelerazione di modulo g, l’uomo può dedurre sia che l’ascensore
si trovi fermo sulla Terra e che quindi il pianeta attrae la palla, sia che l’ascensore è a
bordo di un’astronave che viaggia con accelerazione di modulo pari a g in verso opposto
a quello di moto della palla.

Fisica
5.6 Campo gravitazionale

Un campo gravitazionale è una zona di spazio in cui ad ogni punto è possibile associare
un vettore di forza gravitazionale. Tale vettore esprime l’intensità della forza con cui
una massa unitaria viene attratta verso la massa centrale che genera il campo.

Poiché la gravità è una forza attrattiva, i vettori del campo gravitazionale sono tutti
rivolti verso la sorgente del campo. Se in un campo si introduce una massa abbastanza
grande, questa perturba il campo poiché ne genera uno meno intenso a sua volta i cui
effetti si sovrappongono a quelli del primo.
Dalla definizione di campo e dalla legge di gravitazione universale si ha che il campo
~
gravitazionale G(r) generato da una massa M ha espressione

~ F~G G·M
(5.3) G(r) = = .
m ~r2
Si noti che il campo dipende solo dalla distanza dalla sorgente, quindi ha simmetria
radiale. Masse uguali di forma o sostanza diverse, inoltre, generano lo stesso campo
gravitazionale.
620 Leggi di Keplero e gravitazione universale

Figura 5.3: Un uccello per alzarsi in volo deve


compiere lavoro contro la forza peso dovuta
all’attrazione gravitazionale della Terra.

Secondo la relatività generale la gravità è assimilabile a una deformazione dello spaziotempo,


che viene curvato dalla massa contenuta in esso. La deviazione della luce in un campo gravita-
zionale (lensing), effetto osservabile per esempio durante un’eclissi totale di sole, è spiegabile
solo in questi termini, visto che la luce è priva di massa e non dovrebbe quindi risentire della
gravità newtoniana.

Per campo dei gravi si intende il campo gravitazionale intorno alla Terra, cioè il
campo rappresentato dal vettore accelerazione di gravità ~g .
Un campo gravitazionale produce gli stessi effetti di un’accelerazione e viceversa. Gra-
zie a questa proprietà si può creare un ambiente a gravità artificiale ponendo ad
esempio in rotazione un’astronave: la forza centrifuga verrà avvertita dagli astronauti
come una forza di gravità.
Gravità

5.7 Forza di gravità e forza peso


La forza di gravità 5.2 e la forza peso 4.4 sono la stessa forza. A rigor di termini,
infatti, soltanto la prima è un’interazione fondamentale, mentre la seconda ne costitui-
sce un’approssimazione valida soltanto attorno alla superficie terrestre. Si osservino le
seguenti relazioni:
G·M ·m G·M
F~G = = ·m =
~r2 ~r2
G·M G·M
(5.4) = ·m ≈ ·m =
~
(RT + h)~ 2 ~2
R T
G·M
= m · ~g =⇒ ~g = .
~2
R
T
L’approssimazione della forza peso, quindi, è valida finché l’altezza h rispetto alla
superficie terrestre è trascurabile in confronto al raggio della Terra RT . Poiché il raggio
della Terra RT misura più di 6000 km, si può ritenere senz’altro valida l’approssimazione
di forza peso ad altezze inferiori a 60 km.
È proprio la definizione di ~g che implica perché essa dipende da latitudine, altitudine
e densità del sottosuolo: la prima è legata alla forma non sferica della Terra e quindi
a una variazione di RT , la seconda è legata a una variazione di r e la terza è legata a
una variazione della massa M avvertita da un certo punto della superficie terrestre.
Fisica 621

5.8 Quesiti
1) Quale dei seguenti termini non rientra 5) Che cosa si intende affermando che una
nel modello kepleriano? piccola massa introduce una perturba-
zione in un campo gravitazionale?
A semiasse
A che in una piccola zona ad essa circo-
B ellittico stante annulla il campo gravitazionale
C geocentrico B che gli effetti prodotti dal debole campo
gravitazionale da essa generato varia-
D afelio no di poco gli effetti prodotti dal primo
E perielio campo gravitazionale
C che la sua presenza rende sbagliata, seb-
2) Quale delle seguenti affermazioni sulle bene di poco, la rappresentazione di
leggi di Keplero è non corretta? campo gravitazionale
D che gli effetti prodotti dal debole campo
A hanno solo carattere cinematico
gravitazione da essa generato vanno sot-
B consentono di predire il moto dei pianeti tratti a quelli del campo gravitazionale
ma non di indagarne le cause preesistente
C descrivono con estrema precisione il E nessuna delle precedenti affermazioni
moto dei pianeti senza spiegare le 6) Che relazione esiste tra forza di gravità
interazioni alla base e forza peso?
D sono tutte derivabili dalla legge di
gravitazione universale A sono nomi diversi della stessa interazio-
ne
E sono un primo tentativo sistemati-
B la prima vale nello spazio e la seconda
co di spiegare matematicamente la
sulla Terra
gravitazione
C sono la stessa forza
3) Quale delle seguenti affermazioni non D la seconda è un’interazione fondamenta-
può essere ricavata dalla seconda legge le di cui la prima è un’approssimazione

Fisica
di Keplero?
E la seconda è un’approssimazione della
A la velocità con cui orbitano i pianeti è prima per distanze non troppo elevate
costante dalla superficie terrestre

B la velocità areolare con cui orbitano i 7) In quale delle seguenti situazioni un


pianeti è costante astronauta si accorge di essere in una
nave spaziale, se essa è priva di oblò?
C la velocità di un pianeta è massima al
perielio A se la nave è ferma sulla Terra
D la velocità di un pianeta è minima B se la nave viaggia nello spazio con un
all’afelio M.U.A. di accelerazione g
E un pianeta durante l’orbita copre aree C se la sezione della nave in cui si trova
uguali in tempi uguali ruota su se stessa
D se la nave viaggia nello spazio con un
4) La massa gravitazionale: M.R.U.
A è una grandezza vettoriale che nel S.I. E in assenza di oblò è impossibile per l’a-
si misura in kg stronauta capire se si trova o meno su
una nave spaziale
B è una grandezza vettoriale che nel S.I.
si misura in g 8) Quale dei seguenti motivi implica che
il valore di g non è costante in tutti i
C è una grandezza scalare che nel S.I. si
luoghi della Terra?
misura in kg
D è una grandezza scalare che nel S.I. si A la Terra ruota intorno al Sole
misura in g B la Terra ruota su se stessa
E è una grandezza vettoriale che coincide C la Terra ha un campo magnetico non
con la massa inerziale uniforme
622 Leggi di Keplero e gravitazione universale

D la Terra risente dell’attrazione gravita- 10) Se due masse identiche inizialmente fer-
zionale di Sole e Luna me nello spazio, una di forma cilindrica
E la Terra non è una sfera perfetta e una di forma sferica, risentono del-
la reciproca attrazione gravitazionale
9) Lasciando cadere dalla stessa altezza in accade che:
un tubo a vuoto verticale due masse di
1 kg consistenti in una sfera di ferro e A nessuna delle due si mette in moto
un cubo di legno, quale delle due tocca perché i due campi gravitazionali si
terra per prima? annullano

A la domanda è priva di senso perché B entrambe si muovono fino a incontrarsi


non essendovi aria nel tubo non si ha esattamente a metà strada
nemmeno campo gravitazionale C si muovono entrambe ma si incontra-
B la sfera di ferro, perché la simme- no in un punto più vicino alla massa
tria sferica offre minore resistenza cilindrica perché quella sferica in virtù
aerodinamica della sua simmetria può muoversi più
C la sfera di ferro, perché il legno è un velocemente
materiale poroso e quindi offre maggiore D si muovono entrambe ma si incontra-
resistenza aerodinamica no in un punto più vicino alla massa
D i dati sono insufficienti per poter sferica perché quella cilindrica in virtù
formulare una risposta certa della sua simmetria può muoversi più
velocemente
E toccano terra contemporaneamente
perché hanno la stessa velocità iniziale E nessuna delle precedenti affermazioni è
e sono soggette alla stessa accelerazione corretta

5.9 Risposte commentate ai quesiti


1) Il modello kepleriano poneva il Sole al centro del sistema solare, quindi la risposta
corretta è la C . Le orbite erano ellittiche (luoghi geometrici dotati di semiassi) e i
Gravità

punti di maggiore e minore vicinanza delle orbite al Sole erano chiamati perielio e
afelio, quindi le altre alternative sono da scartare.
2) Le leggi di Keplero sono geometriche, hanno solo carattere cinematico. La risposta
corretta è la E , perché la legge di gravitazione universale ha come conseguenze
anche le leggi di Keplero.
3) La seconda legge di Keplero attesta che la velocità areolare durante l’orbita è co-
stante, da cui si ricava la veridicità della C e della D e della E . La risposta corretta
è la A .
4) La A e la B sono da escludere perché la massa gravitazionale è una grandezza
scalare. La E è falsa perché la massa inerziale è una grandezza scalare e due gran-
dezze per coincidere devono avere la stessa natura. La D va scartata perché nel
S.I. la massa si misura in kg. La risposta corretta è quindi la C .
5) In base al principio di sovrapposizione e al fatto che ogni massa genera un suo
campo gravitazionale si ricava che la risposta corretta è la B .
6) La A e la C vanno scartate a priori perché affermano lo stesso concetto. La B va
scartata perché la forza di gravità può instaurarsi ovunque, anche sulla Terra. La
risposta corretta è la E , come si evince dalla 5.4.
7) Se la nave viaggia di M.R.U. nello spazio, lontano da sorgenti gravitazionali, al suo
interno vi sarà un ambiente privo di gravità, quindi la risposta corretta è la D .
Fisica 623

Negli altri casi, invece, il principio di equivalenza forte implica che l’accelerazione
subita dall’astronauta produce effetti indistinguibili da quelli gravitazionali della
Terra.

8) Poiché la Terra non è perfettamente sferica la distanza dal suo centro nei vari punti
della sua superficie è diversa. Essendo g legato alla distanza dal centro della Terra,
come si evince dalla 5.4, si ha che la risposta corretta è la E .

9) La A è da scartare perché il campo gravitazionale si instaura in qualsiasi mezzo,


vuoto compreso. La B e la C sono da escludere perché nel tubo a vuoto non vi è
aria. La risposta corretta è la E .
10) Tenuto conto del secondo principio della dinamica 4.1 e del fatto che la gravità è
indipendente dalla forma e che nello spazio non vi è attrito causato da forze resistive
si ricava che la risposta corretta è la B .

Fisica
Lavoro, energia
e grandezze
conservate
6
Introduzione
In questo capitolo si tratterà di nuove grandezze che consentono di determinare il
valore di alcune caratteristiche del punto materiale senza ricorrere alla cinematica.
Nella seconda parte verranno illustrati i diversi tipi di energia e come le considerazioni
energetiche siano utili alla risoluzione di problemi.

6.1 Sistemi isolati

Un sistema è isolato quando non ha interazioni con l’ambiente esterno, cioè quando
tra il sistema e l’ambiente esterno non vi è scambio di massa o di energia.

Se si considera un blocco fermo poggiato su un piano orizzontale perfettamente liscio


in una campana entro la quale è stato praticato il vuoto, pur evitando di applicare
qualsiasi forza sul blocco questo non può considerarsi un sistema isolato: sull’asse ver-
ticale interagisce con il piano attraverso la forza peso e la reazione vincolare del piano
uguale e opposta.

Dalla considerazione precedente si può dedurre che un sistema può essere isolato
anche solo lungo una certa direzione, mentre nelle direzioni ad essa ortogonali
può scambiare interazioni o energia con l’ambiente. Nell’esempio precedente il blocco
è isolato lungo l’asse orizzontale, pur non essendolo lungo quello verticale.

6.2 Quantità di moto

Si definisce quantità di moto il vettore p~ dato dal prodotto di massa m per velocità ~v .
Dalla definizione segue che p~ ha la stessa direzione e lo stesso verso di ~v .

(6.1) p~ = m · ~v .
Le dimensioni e le unità di misura di p~ sono riportate nella Tabella 1.2. La quan-
tità di moto è un vettore la cui variazione è legata all’azione di una forza, cioè rap-
presenta un’alternativa all’accelerazione per fare considerazioni e calcoli sugli effetti
dell’applicazione di una forza.
Fisica 625

Ricordando la seconda legge della dinamica 4.1 e la definizione di accelerazione 3.4,


utilizzando la 6.1 e la costanza della massa m si ottiene la seguente catena di ugua-
glianze:

∆~v ∆(m · ~v ) ∆~
p
(6.2) F~ = m · ~a = m · = = .
∆t ∆t ∆t

La risultante F~ delle forze esterne agenti su un corpo produce una corrispondente va-
riazione della sua quantità di moto p~. Se in un sistema la risultante delle forze esterne
è nulla allora la quantità di moto totale del sistema è una grandezza conservata, non
varia.

Questa importante relazione prende il nome di teorema della conservazione della


quantità di moto. Essa non è altro che un diverso modo di esprimere la terza legge
della dinamica, come si può evincere dalla seguente catena di uguaglianze che fa uso
della 4.2 , della definizione di p~ e di quella di ~a:

~v1 − ~v1i
F~12 = −F~21 ⇒ m1 · ~a1 = −m2 · ~a2 ⇒ m1 f =
∆t
~v2 − ~v2i
= −m2 f ⇒ m1 · ~v1f + m2 · ~v2f = m1 · ~v1i + m2 · ~v2i .
∆t

Fisica
Quindi la conservazione della quantità di moto totale di un sistema isolato composto
da due oggetti si esprimere nella seguente relazione:

(6.3) F~ = 0 =⇒ p~1f + p~2f = p~1i + p~2i .

Il membro di sinistra dell’ultima uguaglianza rappresenta la quantità di moto totale


del sistema, cioè la somma delle quantità di moto degli oggetti che lo compongono,
nell’istante finale, mentre il membro di destra la quantità corrispondente nell’istante
iniziale.

Un uomo è fermo in piedi sul bordo di un carrello che può scorrere senza attrito su
un piano orizzontale. Se l’uomo e il carrello hanno la stessa massa e l’uomo salta verso
destra con velocità vu = 10 m/s, che cosa succede al carrello? Poiché inizialmente tutto il
sistema uomo più carrello era in quiete, ne consegue che la quantità di moto totale iniziale
del sistema era nulla. Le forze di azione e reazione che si scambiano uomo e carrello sono
forze interne del sistema, quindi la risultante F ~ delle forze esterne è nulla: la quantità
di moto totale del sistema si conserva. Dalla 6.2 si deduce quindi che la quantità di moto
del carrello dopo il salto deve essere uguale e opposta a quella dell’uomo. Avendo pari
massa si ricava che il carrello si muoverà verso sinistra con velocità vc = 10 m/s.

La relazione 6.2 va utilizzata proiettando forza e quantità di moto lungo gli assi.
626 Lavoro, energia e grandezze conservate

Un corpo di massa m = 10 kg che poggia da fermo su un piano liscio orizzontale subisce


per un secondo una forza di intensità F = 1 N agente lungo una direzione che forma un
angolo di 45◦ con il piano orientata verso il basso. Il vettore forza va scomposto lungo
l’asse orizzontale x e quello verticale y. Il sistema non è isolato lungo l’asse y, dove sono
presente forza peso P ~ e reazione vincolare N ~ . La componente Fy della forza diretta lungo
y, quindi, viene bilanciata da un aumento della reazione vincolare ∆N ~ . La componente
Fx invece, visto che il sistema è isolato lungo l’asse x, si traduce in una variazione della
componente orizzontale della quantità di moto. Applicando la 6.2 e considerando che la
velocità orizzontale iniziale è nulla vxi = 0 si ha:

∆~
px Fx · ∆t
(6.4) Fx = =⇒ m · (vxf − vxi ) = Fx · ∆t =⇒ vxf = .
∆t m
Conoscendo la componente della risultante delle forze esterne lungo una certa direzione e
il tempo di applicazione, quindi, si può ricavare la corrispondente variazione di quantità
di moto e dunque di velocità.

6.3 Teorema dell’impulso di una forza

Per una forza F~ costante si definisce una grandezza vettoriale chiamata impulso J~
data dal prodotto della forza per l’intervallo di tempo durante il quale la forza agisce.
È evidente che l’impulso J~ ha stessa direzione e stesso verso di F~ .
Energia

(6.5) J~ = F~ · ∆t .

Unità di misura e dimensioni di J~ si trovano nella Tabella 1.2. La 6.4 comporta che
per un sistema isolato una forza impulsiva, cioè costante e che agisce per un intervallo
di tempo generalmente di breve durata, causa una variazione della quantità di moto.
Invertendola si ottiene il teorema dell’impulso: la variazione della quantità di moto
di un sistema isolato prodotta da una forza impulsiva è pari all’impulso della forza
stessa. In formula
∆~v
(6.6) J~ = F~ · ∆t = m · ~a · ∆t = m · ∆t = m · ∆~v =⇒ J~ = ∆~
p.
∆t

6.4 Definizione di lavoro

−→
Si definisce lavoro il prodotto scalare tra una forza F~ e lo spostamento ∆r di un punto
materiale prodotto dalla forza.

−→
(6.7) L = F~ · ∆r = F · ∆r · cos α .
Fisica 627

Dalla definizione, in cui α rappresenta l’angolo tra la forza e lo spostamento, si ha che


il lavoro è una grandezza scalare e nel S.I. si misura in joule (J). Le sue dimensioni
sono riportate nella Tabella 1.2.
Quando la forza è perpendicolare allo spostamento il lavoro è nullo per le proprietà del
coseno. Se ad esempio un uomo porta lungo una pianura una valigia molto pesante
reggendola lungo il fianco ad altezza costante, sebbene compia molta fatica per la
fisica non compie alcun lavoro contro la forza peso: questa agisce in verticale mentre
lo spostamento è in orizzontale.

6.5 Potenza ed energia

Si definisce potenza P il rapporto tra il lavoro compiuto L e l’intervallo di tempo ∆t


in cui il lavoro è stato compiuto.

L
(6.8) P = .
∆t
La potenza è per definizione uno scalare, nel S.I. si misura in watt (W), le sue dimen-
sioni, insieme a quelle dell’energia, sono riportate nella Tabella 1.2. Invertendo la 6.8
si ha che uno stesso lavoro può essere ottenuto con una piccola potenza per un tempo

Fisica
lungo o con una potenza elevata e un tempo breve.

Si definisce energia E la capacità di compiere lavoro. L’energia è una grandezza scalare


che nel S.I. si misura in joule (J).

L’energia è una grandezza molto importante ma sfuggente. Si può affermare che più
energia ha un sistema e più eventi possono verificarsi, più trasformazioni avvenire.

I processi spontanei hanno la tendenza a diminuire l’energia, perché in tal modo, potendo
verificarsi meno trasformazioni, si ha maggiore stabilità. La natura ha un carattere molto
democratico: durante l’evoluzione dei sistemi l’energia in eccesso di una parte del sistema
tende ad essere equipartita tra le altre parti. Verranno definite diverse forme di energia e in
qualsiasi evento fisico l’energia può solo cambiare forma, ma mai sparire nel nulla o crearsi
dal nulla.
Un’eccezione all’ultima affermazione si ha nella relatività speciale, teoria che consente
la conversione di massa in energia e viceversa, secondo la famosa formula E = m · c2 . Dato
l’elevato valore della velocità della luce c, quando una particella di massa molto piccola e la sua
antiparticella di pari massa si incontrano e si annichiliscono al loro posto si ha una tremenda
quantità di energia. L’idea di generare energia dosando materia e antimateria è usata
largamente nella fantascienza, allo stato attuale la tecnologia non permette che sia conveniente
e sicuro stoccare sufficienti quantità di antimateria.
628 Lavoro, energia e grandezze conservate

L’unità di misura kilowattora kW h riguarda l’energia e non la potenza: è l’energia


prodotta da una potenza di 1000 W durante un’ora. Infatti 1 kW h = 103 W·1 h =
103 J/s·3600 s = 3,6 × 106 J.

6.6 Energia cinetica

Si definisce energia cinetica K di un corpo di massa m l’energia che esso possiede in


virtù della sua velocità.

1
(6.9) K= m · v2 .
2
Essendo una forma di energia nel S.I. si misura in joule (J) e le sue dimensioni sono
quelle dell’energia riportate nella Tabella 1.2. K è uno scalare ed è sempre positiva, al
più è nulla per un corpo fermo.

Se un corpo viaggia in una direzione con una certa velocità e poi in direzione opposta
con la stessa velocità ha nei due casi la stessa energia cinetica.

Il teorema dell’energia cinetica (o teorema delle forze vive) afferma che il lavoro
compiuto dalla risultante delle forze agenti su un corpo è pari alla corrispondente
variazione di energia cinetica del corpo.
Energia

(6.10) L = ∆K .
Questo risultato vale per qualsiasi forza ed è una conseguenza della seconda legge della
dinamica. Il nome forza viva in passato si riferiva al prodotto della massa per il quadrato
della velocità.

6.7 Campi conservativi


Una forza il cui lavoro è indipendente dal percorso
è detta forza conservativa, in caso contrario è chia-
mata forza dissipativa. L’esempio principale di forze
dissipative è rappresentato dalle forze di attrito.
Campi conservativi importanti sono il campo gravi- Figura 6.1: In un campo di forze
tazionale (quindi quello dei gravi), il campo elettro- conservativo il lavoro compiuto dalle
forze del campo per andare dal punto
statico e il campo elastico. In un campo conservati- A al punto B è indipendente dal per-
vo, e solo in esso, si può definire una forma di energia corso: il lavoro lungo il percorso 1 L1
chiamata enegia potenziale. coincide con quello lungo il percorso
2 L2 e con L3 .

Si definisce campo conservativo un campo di forze in cui il lavoro prodotto dalla forza
del campo è indipendente dal percorso, ma dipende solo dalla posizione iniziale e da
quella finale.
Fisica 629

6.8 Energia potenziale


Visto che in un campo conservativo il lavoro dipende solo
dalle posizioni iniziali e finali, in esso è possibile introdurre
una funzione matematica scalare U tale che la differenza
tra il valore di questa funzione nella posizione iniziale UA
e quello nella posizione finale UB è pari al lavoro LAB
necessario per spostare un corpo dalla posizione iniziale
A a quella finale B:

(6.11) − ∆U = UA − UB = LAB .

La grandezza scalare U è chiamata energia potenziale, nel


S.I. si misura in joule (J) e le sue dimensioni sono quelle
dell’energia riportate nella Tabella 1.2.

Non ha senso chiedersi il valore dell’energia po-


tenziale di un certo punto: si può solo parlare
di differenza di energia potenziale tra due punti.
Quando per brevità sembra si parli dell’energia
potenziale di un punto in realtà si sta dando per
scontato un altro punto cui per convenzione vie- Figura 6.2: L’energia potenzia-
ne assegnato valore nullo all’energia potenziale, le del campo dei gravi dipende
solo dall’altezza: più ci si tro-
come capita all’altezza del suolo per l’energia po- va in alto e maggiore è l’energia
tenziale gravitazionale o all’infinito per l’energia potenziale.
potenziale elettrostatica o alla lunghezza della

Fisica
molla a riposo per quella elastica. La differenza
∆U , però, non dipende dal punto scelto come
riferimento per il valore nullo di U .

L’energia potenziale del campo dei gravi, spesso in


meccanica chiamata semplicemente energia potenziale, è data dalla seguente
espressione:

(6.12) UA − UB = m · g · hA − m · g · hB = m · g · (hA − hB ) =⇒ U (h) = m · g · h.

Nell’ultima uguaglianza, che in realtà è una notazione impropria per i motivi specificati
prima, si è assunta nulla l’energia potenziale al livello del suolo: U (0) = 0.
Nella sezione 5.8 si è visto che non sempre il campo dei gravi e il campo gravitazio-
nale sono lo stesso campo. Considerando un vero e proprio campo gravitazionale, ad
esempio quello generato da una massa M posta nello spazio, la simmetria radiale della
forza di gravità espressa dalla 5.2 porta a definire un’altra espressione per la relativa
energia potenziale posseduta da un corpo di massa m a distanza r dalla sorgente del
campo:

G·M ·m
(6.13) U (r) = − .
r
In questo caso si assegna un’energia potenziale nulla a distanza infinita dalla massa M .
630 Lavoro, energia e grandezze conservate

Assumendo come valore di riferimento quello della lunghezza a riposo della molla, l’e-
nergia potenziale elastica di una molla con costante elastica k nel punto corrispondente
ad elongazione ~x è data dalla seguente espressione:

1
(6.14) U (x) = k · x2 .
2

A differenza dell’energia potenziale del campo dei gravi, l’energia potenziale elastica
e quella gravitazionale sono quantità sempre positive o al più nulle.

L’energia potenziale elettrostatica verrà trattata nella sezione 11.6.

6.9 Lavoro nel campo dei gravi


Se un corpo di massa m è in caduta libera sotto
l’azione della sola forza peso P~ , che lo fa spostare
dalla quota iniziale hi a quella finale hf , definendo
lo spostamento totale h come h = hi − hf si ha che
il lavoro della forza peso è
−→
(6.15) L = P~ · ∆r = m · g · h .
Energia

Si noti che lavoro ed energia potenziale per il Figura 6.3: Lavoro della forza peso lun-
campo dei gravi hanno la stessa espressione. Ciò go un piano inclinato: l’espressione coin-
cide con quella della caduta libera dalla
non deve stupire, visto che le due grandezze han- stessa altezza iniziale.
no la stessa unità di misura. L’unica differenza, in
questi casi, può infatti consistere solo in un diver-
so fattore numerico perché le dimensioni totali
devono coincidere.

Si consideri ora un corpo di massa m che scivola lungo un piano inclinato privo di attrito
dal punto di altezza iniziale h fino al termine del piano inclinato di lunghezza l posto
ad altezza del suolo, come mostrato nella Figura 6.3. Ricordando la scomposizione delle
forze descritta nella sezione 4.10, lungo la direzione del piano si ha solo la componente
della forza peso m·g·sen α. Poiché la sezione di piano inclinato rappresenta un triangolo
rettangolo, di cui l è l’ipotenusa e h il cateto opposto all’angolo α, dalla trigonometria
si può ricavare che l sen α = h. Per il lavoro quindi si ha

(6.16) L = P~ · ~l = m · g · sen α · l = m · g · h .

Il lavoro compiuto dalla forza peso lungo un piano inclinato in assenza di attrito ha
la stessa espressione del lavoro compiuto dalla forza peso nel moto di caduta libera,
purché i due dislivelli coincidano.
Fisica 631

L’espressione 6.15 consente anche di dare un esempio del teorema dell’energia cinetica. Se si
considera un corpo in caduta libera da altezza h sotto l’azione della sola forza peso, ricordando
la velocità di caduta 4.8, invertendola per ricavare l’altezza h = v 2 /2g e sostituendo tale
espressione nella 6.15 si ha:
v2 1
(6.17) L=m·g·h=m·g = m · v 2 = Kf − Ki = ∆K .
2g 2
Il lavoro compiuto dalla forza peso, quindi, è pari alla variazione di energia cinetica, come
attestato dal teorema delle forze vive.

6.10 Energia meccanica

Si definisce energia meccanica E la somma dell’energia potenziale e di quella cinetica.


L’energia meccanica è una grandezza scalare che nel S.I. si misura in joule (J).

(6.18) E =U +K.
Se un corpo si muove in un campo non conservativo la sue energia meccanica coincide
con quella cinetica, se è fermo in un campo conservativo allora E coincide con U , se si
muove in un campo conservativo vale la 6.18, se è fermo in un campo non conservativo
E = K = 0.

In un campo conservativo va-


le il principio di conserva-
zione dell’energia meccani-

Fisica
ca, cioè E è una costante del
moto. In tal caso la somma del-
l’energia cinetica iniziale e di
quelle potenziali iniziali è ugua-
le alla somma dell’energia cine-
tica finale e di quelle potenziali
finali:
(6.19) Figura 6.4: Una palla lasciata cadere ha all’inizio solo energia
potenziale, durante la caduta una parte sempre maggiore di que-
E = costante =⇒ sta si converte in energia cinetica finché nell’istante dell’urto con
=⇒ Ui + Ki = Uf + Kf . il pavimento è diventata tutta cinetica. Durante il moto se si
trascura l’attrito con l’aria la somma U +K è rimasta costante.

Si consideri un corpo di massa m posto fermo ad un’altezza h. Nello stato iniziale si


avrà Ui = m · g · h e Ki = 0. Lasciando libero il corpo si ha una caduta in cui esso
accelera sempre più sotto l’influenza della forza conservativa P  . Un istante prima di
toccare terra la √4.8 rende l’espressione della sua velocità, quindi si ha che Uf = 0 e
Kf = 1/2 · m · ( 2 · g · h)2 = m · g · h. Nella caduta in ogni istante U è diminuita e K
aumentata con il vincolo che la loro somma è rimasta costante ed uguale a Ui .
Viceversa, dalla conservazione dell’energia meccanica applicata a un corpo che cade da
2
√ l’azione della forza peso, uguagliando Ui = m · g · h a Kf = 1/2 · m · vf
altezza h solo sotto
si ricava vf = 2 · g · h. Questo risultato vale sia per una caduta in verticale che lungo
un piano inclinato, poiché il campo dei gravi è conservativo.
632 Lavoro, energia e grandezze conservate

6.11 Gli attriti

Figura 6.5: Gli attriti hanno anche valenza positi-


va: senza di essi non sarebbe possibile camminare o
arrampicarsi sfruttando la terza legge della dinamica.

Gli attriti sono forze sempre dissipative, e nella realtà sono sempre presenti. Si ha
attrito sia per la presenza di un mezzo che di un vincolo. Soltanto nello spazio cosmico
o in un tubo a vuoto si può immaginare una situazione in cui è lecito trascurare gli
attriti.
In presenza di attriti il teorema della conservazione dell’energia meccanica non è
più valido, ma si può generalizzare al seguente risultato:

(6.20) ∆E = Ei − Ef = −La .

La differenza tra l’energia meccanica iniziale e quella finale è uguale al lavoro speso a
causa delle forze di attrito, quindi la dissipazione di energia meccanica è una quantità
Energia

sempre positiva, cioè Ei > Ef .

Il segno meno nella 6.20 deriva dal fatto che le forze di attrito hanno verso opposto
allo spostamento, quindi il lavoro da esse compiuto è sempre negativo.

Si consideri la Figura 6.6 dove un disco di


massa m = 1 kg scivola lungo una semi-
circonferenza, partendo da altezza h = 10
m. Sapendo che durante il percorso tra due
massimi dell’altezza le forze di attrito com-
piono un lavoro pari a La = −10 J, appros-
simando g a 10 m/s2 a quale altezza mas-
sima giungerà il disco dalla parte opposta Figura 6.6: Il lavoro speso contro le forze di at-
della semicirconferenza? trito dissipa energia meccanica: senza attrito la
Usando la 6.20 si ricava che m·g·(hi −hf ) = palla scivola lungo la semicirconferenza sino a
−La , cioè 10 · hi − 10 · hf = 10, da cui tornare ad altezza hf = hi , con attrito l’altezza
raggiunta ha è minore di hi .
−hf = 1 − hi ovvero hf = 9 m.
Fisica 633

6.12 Gli urti


Figura 6.7: Schema di urto:
a sinistra per un urto qual-
siasi vale la conservazione
della quantità di moto, a
destra in un urto perfetta-
mente anelastico si ha anche
che dopo l’urto i due cor-
pi viaggiano insieme, cioè
hanno la stessa velocità.

Si definisce urto un’interazione tra corpi che avviene in un tempo breve, al termine del
quale in genere le quantità di moto dei corpi sono variate.

Generalmente durante un urto il sistema si considera isolato. Per un urto tra un corpo
di massa m1 con velocità v~1 e un corpo di massa m2 con velocità v~2 si ha allora la
conservazione della quantità di moto:

(6.21) m1 · ~v1i + m2 · ~v2i = m1 · ~v1f + m2 · ~v2f .

Gli urti vengono divisi in urti elastici e anelastici. Nei primi oltre alla conservazione
della quantità di moto si ha anche la conservazione dell’energia cinetica, nei secondi
invece si ha una dissipazione di energia cinetica a causa degli attriti, che trasformano
parte dell’energia in calore. Un urto completamente anelastico corrisponde alla perdita

Fisica
massima possibile di energia cinetica, il che si verifica quando le velocità finali dei due
corpi coincidono, come mostrato nel lato destro della Figura 6.7.

Le considerazioni sugli urti, in primis la conservazione della quantità di moto, valgono


per altri fenomeni impulsivi quali le esplosioni.

Se un proiettile di massa m = 10 g viene sparato con velocità iniziale v = 100 m/s e


colpisce un bersaglio fermo di massa M = 1 kg restandone imprigionato nella struttura,
con quale velocità V si muovono proiettile e bersaglio?
Questo è un caso di urto perfettamente anelastico, quindi la velocità finale di proiettile e
bersaglio è la stessa. Essendo un urto, poi, vale la conservazione della quantità di moto.
Mettendo insieme le informazioni si ricava un’equazione in cui l’incognita è la velocità
finale V :
m
(6.22) m · v + M · 0 = (m + M ) · V =⇒ V = ·v.
m+M
Inserendo i numeri dell’esempio si ricava V = 0, 01/1, 01 · 100 = 0, 99 m/s.
634 Lavoro, energia e grandezze conservate

6.13 Quesiti
1) Un sistema non completamente isolato E la velocità del carrello sarà verso sinistra
può essere isolato: e uguale a quella dell’uomo

A ad una sua estremità 5) Quale delle seguenti affermazioni rela-


tive all’impulso di una forza costante
B in un suo semipiano agente su un corpo di massa m è non
corretta?
C in una direzione
A l’impulso è direttamente proporzionale
D in un intorno circolare di piccolo raggio
alla variazione di velocità
E se non è completamente isolato non può B l’impulso è uguale alla variazione della
essere parzialmente isolato quantità di moto
C l’impulso è pari al prodotto di massa per
2) Il teorema della conservazione della
accelerazione per intervallo di tempo
quantità di moto:
considerato
A vale solo per campi conservativi D l’impulso è pari al rapporto tra massa e
differenza di velocità
B vale solo in assenza di forze di attrito
E l’impulso è pari al prodotto di forza per
C vale solo in assenza di forze dissipative intervallo di tempo considerato

D vale solo se la risultante delle forze 6) In quale delle seguenti situazioni si


esterne è nulla produce un lavoro maggiore?
E nessuna delle precedenti affermazioni è A una potenza di 10 W che agisce per 50 s
corretta B una potenza di 50 W che agisce per 10 s
3) Il teorema della conservazione della C una potenza di 10−2 kW che agisce per
quantità di moto per un sistema isola- 50 s
to composto da due corpi è un modo D una potenza di 10 W che agisce per
diverso di esprimere: 5 × 10−5 Ms
Energia

E nessune delle precedenti è la risposta


A la seconda legge della dinamica
corretta
B la terza legge della dinamica
7) Quale delle seguenti affermazioni sulle
C la prima legge della dinamica forme di energia è corretta?
D l’introduzione delle forze apparenti A l’energia cinetica si può definire solo in
campi conservativi
E l’esistenza di sistemi di riferimento non
B l’energia potenziale si può definire solo
inerziali
in campi dissipativi
4) Se un uomo si trova fermo su un car- C l’energia cinetica si può definire solo in
rello che ha una massa doppia rispetto assenza di attriti
a quella dell’uomo e può scivolare senza D l’energia cinetica può sempre essere
attrito lungo un piano orizzontale, qua- definita
le sarà la velocità di rinculo del carrel- E l’energia potenziale può sempre essere
lo quando l’uomo salta verso destra con definita
una certa velocità di modulo v?
8) Un campo è conservativo quando:
A i dati sono insufficienti per formulare
una risposta A l’energia cinetica si conserva durante
qualsiasi trasformazione
B poiché la massa del carrello è maggio- B l’energia potenziale si conserva durante
re di quella dell’uomo il carrello non si qualsiasi trasformazione
sposterà
C l’energia cinetica dipende solo dalla
C la velocità del carrello sarà verso sinistra posizione iniziale e da quella finale
e doppia di quella dell’uomo
D il lavoro compiuto per andare da una
D la velocità del carrello sarà verso sinistra posizione ad un’altra è indipendente dal
e pari alla metà di quella dell’uomo percorso
Fisica 635

E la potenza si conserva durante qualsiasi 10) Se un giocatore di hockey su ghiaccio


trasformazione fornisce un impulso di 100 N m a un di-
sco di massa 5 × 10−2 kg colpendolo men-
9) Se un macchinario ha maggiore potenza tre giaceva fermo sulla pista, il cui at-
di un altro significa che: trito con il disco è trascurabile come
A può esercitare maggiori sforzi a parità quello del disco con l’aria, quale sarà la
di operatore utilizzatore velocità del disco dopo un secondo?
B può sopportare maggiori sollecitazioni a
parità di condizioni atmosferiche A 1500m/s
C può sollevare carichi più pesanti a parità B 5000m/s
di imballaggio
C 500m/s
D può compiere maggiore lavoro a parità
di tempo D 200m/s
E nessuna delle precedenti risposte è
corretta E 2000m/s

6.14 Risposte commentate ai quesiti


1) Dalla definizione, poiché le forze si scompongono lungo le direzioni degli assi del
sistema di riferimento scelto, si ha che la risposta corretta è la C .
2) La A la B e la C sono equivalenti, quindi vanno scartate. La risposta corretta è
la D , come si evince dalla 6.3.
3) La D e la E sono equivalenti, vanno quindi scartate a priori. La risposta corretta
è la B , come si evince dalla catena di uguaglianze poste tra la 6.2 e la 6.3.
4) All’inizio il sistema è in quiete, quindi p€tot = 0. Essendo il sistema isolato la somma

Fisica
delle quantità di moto finali deve essere ancora nulla, quindi dalla 6.3 si ricava:
0 = m/3 · v + 2/3 · m · x, dove x è la velocità del carrello e m la massa totale. È
semplice verificare che la risposta corretta è la D .
5) Dalla definizione di impulso 6.5 e dalla catena di uguaglianze 6.6 si ricava che la
risposta corretta è la D .
6) Invertendo la definizione di potenza 6.8, grazie alle conversioni tra multipli di dieci
si ricava che la A la B la C e la D forniscono lo stesso prodotto, quindi la risposta
corretta è la E .
7) Dalla definizione 6.9 si ha che l’energia cinetica può sempre essere definita, viceversa
quella potenziale ha senso solo in un campo conservativo. La risposta corretta,
quindi è la D .
8) Dalla definizione di campo conservativo si ha che la risposta corretta è la D , risultato
illustrato nella Figura 6.1.
9) La definizione di potenza 6.8 come rapporto tra lavoro e intervallo di tempo, implica
che la risposta corretta è la D .
10) La relazione 6.6 implica che l’impulso è uguale alla variazione della quantità di
moto, che a sua volta è data dal prodotto della massa per la velocità. Quest’ultima
quindi si ottiene dividendo l’impulso per la massa, visto che la velocità iniziale del
disco è nulla. Ne consegue che la risposta corretta è la E .
Statica
7
Introduzione
In questo capitolo si illustreranno nuove grandezze vettoriali utili per determinare l’e-
quilibrio di un corpo rigido. Nella seconda parte verranno applicate per determinare i
tipi di equilibrio di un corpo e descrivere alcune macchine semplici.

7.1 Definizione di corpo rigido

Si definisce corpo rigido un sistema di punti materiali le cui distanze reciproche non
variano nel tempo. Come conseguenza un corpo rigido sottoposto a una sollecitazione
esterna non varia la sua forma.

Nella realtà non esistono corpi perfettamente rigidi, ma


per molti di essi nella maggior parte delle condizioni l’ap-
prossimazione di corpo rigido può considerarsi esatta. Se
un corpo rigido è sottoposto a una sollecitazione troppo
intensa allora può rompersi. Viceversa un corpo è definito
elastico se in conseguenza di piccole sollecitazioni torna
ad assumere la sua forma iniziale. Molti corpi hanno un
comportamento elastico finché non sono sottoposti a una Figura 7.1: Il gambo di un fiore
rappresenta un esempio di corpo
sollecitazione di soglia, in corrispondenza della quale elastico: sotto l’azione del vento
cominciano a deformarsi. In tal caso escono dal regime si deforma temporaneamente. Il
elastico e vengono chiamati corpi plastici. fiore è un corpo plastico: eserci-
tando sollecitazioni su di esso lo
si deforma permanentemente.
7.2 Momento di una forza

Si definisce momento M~ O di una forza F~ rispetto a un punto O calcolato nel punto


P , o momento torcente, il vettore dato dal prodotto vettoriale tra la posizione del
punto P rispetto ad O, rappresentata dal vettore ~r, e la forza F~ .

(7.1) ~ O = ~r ∧ F~
M =⇒ MO = r · F · sen α =⇒ MO = b · F .

Nella formula α è l’angolo tra ~r e F~ , mentre il braccio b della forza rappresenta la


distanza tra la retta di applicazione della forza e il punto O.
Fisica 637

Dalle proprietà del prodotto vettoriale segue che il mo-


mento di una forza è un vettore perpendicolare al piano
in cui giacciono la forza e la congiungente il punto di ap-
plicazione della forza con il punto O rispetto al quale si
calcola il momento, come mostrato nella Figura 7.2. Il ver-
so, come per tutti i prodotti vettoriali, deriva dalla regola Figura 7.2: Convenzioni per il
della mano destra descritta nella sezione 2.2.4. Nel S.I. verso del momento angolare e
M~ O si misura in N m, le sue dimensioni sono riportate del momento di una forza.
nella Tabella 1.2.

~ O il teorema
Il punto O rispetto al quale si calcola il momento è arbitrario, noto M
di Huygens-Steiner consente di calcolare il momento della stessa forza rispetto a
qualsiasi altro punto.

Essendo una grandezza vettoriale, il momento è additivo: il momento di più forze è


pari alla somma dei momenti delle singole forze. In altri termini la somma dei momenti
delle forze agenti su un corpo è uguale al momento della risultante delle forze agenti
sul corpo.

7.3 Coppia di forze

Fisica
Si definisce coppia di forze l’insieme di due forze di pari intensità F , rette d’azione
parallele ma distinte e versi opposti agenti su uno stesso corpo rigido. La distanza tra
le due forze, rappresentata dal vettore d~ che congiunge il punto di applicazione della
prima forza con quello della seconda, è chiamata braccio della coppia.

Una coppia di forze genera un momento torcente su un


corpo rigido, come mostrato nella Figura 7.3, dato dalla
formula

(7.2) ~ = d~ ∧ F~
M =⇒ M =d·F .

Il braccio d di una coppia è sempre ortogonale alle rette


di applicazione delle forze, ragion per cui il seno che si Figura 7.3: Il momento di una
avrebbe nella formula vale 1. Il momento di una coppia coppia di forze che agiscono su
ha ovviamente le stesse unità di misura e dimensioni del rette parallele ma con verso op-
posto: sebbene la risultante del-
momento di una forza. le forze sia nulla il corpo rigido
Una coppia di forze pone sempre in rotazione un cor- viene posto in rotazione.
po rigido, quando questo non è vincolato. Se la rotazione
avviene in senso antiorario il momento è orientato verso
l’alto e viceversa.
638 Statica

7.4 Momento angolare

Si definisce momento angolare L~ O di un punto materiale il momento della quantità di


moto p~ rispetto a un punto qualsiasi O.

(7.3) ~ O = ~r ∧ p~
L =⇒ LO = r · p · sen α =⇒ LO = b · p .

Nella formula b rappresenta il braccio, in analogia a quanto riportato per MO . Nel S.I.
~ O si misura in J m e le sue dimensioni sono riportate nella Tabella 1.2. Il verso e la
L
direzione del momento angolare sono riportati nella Figura 7.2. Il rapporto che c’è tra
~O e M
L ~ O è lo stesso che si ha tra ~v e ~a:

~
(7.4) ~ O = ∆LO .
M
∆t

Anche L~ O , come M ~ O , è una quantità vettoriale additiva: il momento angolare di più


punti materiali è dato dalla somma dei momenti dei singoli punti materiali.

7.5 Baricentro di un corpo


Statica

Figura 7.4: Corpo rigido formato da n punti ma- Figura 7.5: Sui trampoli è più difficile mantene-
teriali le cui posizioni reciproche sono fisse. Il cen- re l’equilibrio perché il proprio baricentro è più
tro di massa C può non coincidere con nessuno in alto e perché è più complicato bilanciare il
dei punti materiali. momento risultante della forza peso.

Si definisce centro di massa C di un corpo il punto le cui coordinate corrispondono alla


media ponderata delle posizioni ~ri dei centri dei volumi infinitesimi Vi che compongono
il corpo, ottenuta usando come pesi le masse mi dei volumi stessi.

Pn
k=1 mi · ri
(7.5) C= P n .
k=1 mi
Fisica 639

Nella formula si è supposto il corpo diviso in n volumi infinitesimi con il vincolo che
la
Pnsomma delle masse degli n volumi infinitesimi è uguale alla massa m del corpo:
k=1 mi = m.

In fisica si definisce baricentro G di un corpo il punto in cui è applicata la risultante di


tutte le forze peso parallele.

Il baricentro fu introdotto da Archimede nel III secolo a.C. nello studio dell’equilibrio
delle leve. Il concetto va distinto da quello geometrico di baricentro, che nel triangolo è
definito come punto di intersezione delle mediane, mentre nel quadrato, nel rettangolo e
nel parallelogramma come punto di intersezione delle diagonali o ancora delle mediane.

Per corpi rigidi con densità uniforme o simmetrici il baricentro e il centro di massa
coincidono.

Un altro termine spesso confuso con il centro di massa è il centro di gravità. Quest’ul-
timo coincide con il baricentro qualora il corpo sia immerso in un campo gravitazionale
uniforme. Per corpi abbastanza piccoli da considerare la gravità che agisce sui vari pun-
ti costituenti il corpo come costante i due termini coincidono. I tre termini coincidono
per corpi rigidi non troppo estesi con densità uniforme o con particolari simmetrie quali
la cubica o la sferica.

Fisica
Il baricentro può non coincidere con nessuna delle posizioni dei punti materiali che
compongono un sistema rigido, come mostrato nella figura 7.4. Lo stesso avviene nel
caso di un anello con densità uniforme, il cui baricentro si trova nel centro geometrico
dell’anello che è appunto al di fuori del corpo.

Per determinare il baricentro di un corpo bisogna considerare gli assi di simmetria del
corpo. Il baricentro, infatti, rappresenta il punto di intersezione di tali assi. Ne consegue
che se un corpo ha un asse di simmetria o un piano di simmetria, il baricentro giace
sull’asse o sul piano.

Per trovare il baricentro di un corpo rigido si può usare anche il teorema di Torricelli: un
corpo tende ad assumere una posizione per cui il baricentro si trova più in basso possibile. La
causa di tale comportamento è che in questo modo i corpi minimizzano la loro energia.

Nella pratica se si appende un corpo rigido vincolandolo per un suo punto, qualora sia
vincolato per il baricentro risulterà fermo, poiché il momento della forza peso rispetto al
baricentro è nullo per definizione di momento di una forza e di baricentro. Se il vincolo
non è il baricentro, il corpo si comporta come un pendolo smorzato. Se si traccia sul
corpo la linea retta verticale che passa per il vincolo e si ripete l’operazione per un’altra
posizione del vincolo sempre diversa dal baricentro, il punto di intersezione delle linee
tracciate rappresenta il baricentro.
640 Statica

Il baricentro è additivo: se un sistema è composto da più parti, si può calcolare i


baricentri delle singole parti, sostituire le parti con punti materiali di massa pari alla
massa della parte considerata e calcolare il baricentro totale.

7.6 Equazioni cardinali


Per determinare la dinamica di un corpo rigido si hanno
due equazioni, chiamate equazioni cardinali, che consento-
no di determinare il moto del centro di massa C del corpo
e di quello degli altri punti rispetto a C. La prima equa-
zione cardinale descrive quindi le traslazioni di C rispetto
all’origine del sistema di riferimento. Indicando con F~ la
risultante delle forze esterne, con m la massa totale del
corpo rigido, con ~aC l’accelerazione del centro di massa e Figura 7.6: Se la risultante delle
con p~tot la quantità di moto totale si ha forze è nulla il centro di massa
del sistema non si muove.
∆~
ptot
(7.6) F~ = m · ~aC = .
∆t
Le due uguaglianze discendono dalla definizione di centro di massa 7.5, da quella di
quantità di moto 6.1 e da quella di accelerazione 3.4.
La seconda equazione cardinale descrive le rotazioni degli altri punti materiali
rispetto a C. Nel caso di quiete del centro di massa C essa si riduce a
~
(7.7) ~ C = ∆LC .
M
∆t
Statica

~ C si è indicato il momento angolare totale del sistema rispetto a


Nella formula con L
C.

Si può affermare allora che le forze esterne generano le traslazioni dei corpi, mentre
i momenti delle forze sono i generatori delle rotazioni.

Le due equazioni cardinali mostrano il parallelismo tra forza e momento e tra quantità
di moto, anche chiamato momento lineare, e momento angolare.

7.7 Equilibrio
Nel caso della statica, quando la risultante F~ delle forze esterne è nulla, come pure il
momento M ~ C della risultante, le due equazioni cardinali si riducono a

(7.8) F~ = 0 e ~C = 0
M =⇒ ∆~
p=0 e ~C = 0.
∆L

Un corpo è definito in equilibrio statico quando è in quiete e la risultante delle forze


esterne è nulla, come pure il suo momento rispetto al baricentro del corpo. Se viene
meno la richiesta di quiete si ha equilibrio dinamico, in cui il corpo si muove di M.R.U.
Fisica 641

Poiché l’equilibrio discende dalle due equazioni car-


dinali, si hanno ancora due tipi di equilibrio: quan-
do la risultante delle forze esterne è nulla si ha
equilibrio traslazionale, quando invece è nul-
Figura 7.7: Per bilanciare il momento
lo il momento risultante delle forze esterne si ha della forza peso della massa m1 posta
equilibrio rotazionale. Un esempio della seconda a una distanza b1 dal fulcro occorre una
situazione è mostrato nella Figura 7.7. massa minore m2 per generare un mo-
Si ha un’ulteriore classificazione dei tipi di equi- mento di uguale modulo, visto che b2 >
b1 .
librio che si basa sul comportamento di un corpo in
quiete soggetto a piccole sollecitazioni, come mo-
strato in Figura 7.8. Se a seguito di una sollecitazione il corpo è soggetto a una forza
di richiamo che tende a riportarlo nella posizione iniziale, allora si ha equilibrio sta-
bile. La posizione iniziale è detta in tal caso posizione di equilibrio. Se una piccola
sollecitazione fa sı̀ che il corpo sia soggetto a una forza di richiamo che tende ad al-
lontanarlo dalla posizione iniziale, si ha allora equilibrio instabile. Se a seguito di
una piccola sollecitazione, invece, il corpo non è soggetto ad alcuna forza di richiamo si
ha equilibrio indifferente. Nell’ultimo caso la posizione iniziale e tutte le posizioni
appartenenti a un suo intorno sono posizioni di equilibrio.

Una conseguenza del teorema di Torricelli permette di determinare il tipo di equilibrio sia
di un corpo rigido poggiato su un piano orizzontale sia di uno sospeso per un suo punto:
se la proiezione del baricentro di un corpo rigido poggiato su di un piano orizzontale cade
all’interno della base, allora il corpo è in equilibrio stabile, se cade sul bordo della base il
corpo è in equilibrio instabile, mentre se cade all’esterno il corpo non è in equilibrio. Per
un corpo rigido sospeso, invece, si ha il seguente risultato: se il baricentro si trova sulla retta
verticale passante per il punto di sospensione e al di sotto di esso allora si ha equilibrio stabile;

Fisica
se il baricentro è sulla retta verticale passante per il punto di sospensione ma sopra al punto
stesso allora si ha equilibrio instabile; se il baricentro coincide con il punto di sospensione si
ha equilibrio indifferente.

Una sorprendente applicazione del teorema


di Torricelli è rappresentata dal paradosso
meccanico, costituito da un doppio cono li-
bero di rotolare su due aste il cui profilo è
un triangolo rettangolo poggiato in orizzon-
tale per l’altezza. Ponendo il doppio cono sul
punto più basso delle aste si osserva che il co-
no rotola verso l’alto! In realtà le due aste si
divaricano, quindi il cono muovendosi pog- Figura 7.8: I tre tipi di equilibrio definiti in
gia su circonferenze di raggio sempre minore funzione della forza di richiamo generata da
un piccolo spostamento da una posizione di
e quindi in realtà il suo baricentro si abbassa
equilibrio.
sempre più.

L’equilibrio rotazionale non implica affatto quello traslazionale. Se si ha equilibrio tra-


slazionale bisogna distinguere due casi: se la risultante delle forze è nulla, può comun-
que esservi l’azione di una coppia di forze e quindi non esservi equilibrio rotazionale;
se il corpo non è soggetto a forze esterne allora necessariamente si ha anche equilibrio
rotazionale.
642 Statica

Considerazioni sull’equilibrio consentono di risolvere numerosi quesiti. Per avere equi-


librio traslazionale bisogna proiettare le varie forze esterne sugli assi del riferimento e
su ogni asse imporre che la componente della risultante sia nulla.

Si consideri il seguente esempio: si vuole determinare quale forza F ~1 orientata verso l’alto
e applicata a 1 m dal vincolo è necessaria per mantenere in equilibrio una trave orizzontale
vincolata a un suo estremo a cui è applicata una forza F ~2 di 10 N orientata verso il basso
in un punto posto a 6 m dal vincolo.
La condizione da utilizzare è che la somma dei momenti delle forze sia nulla. Forze
orientate verso l’alto generano momenti di verso opposto a quelle orientate verso il basso.
Di conseguenza basta imporre che il modulo M1 del momento di F ~1 sia uguale al modulo
M2 del momento di F ~2 . Poiché l’angolo tra la distanza dal punto di riferimento e le
forze è retto, il modulo del momento coincide con il prodotto del modulo delle forze per
le rispettive distanze dal vincolo. Chiamando x il modulo di F ~1 la seconda equazione
cardinale diventa x · 1 = 10 · 6. E’ semplice ricavare che x = 60 N.

7.8 Leve

Una leva è una macchina semplice, costituita da un corpo rigido vincolato in un punto,
detto fulcro, su cui agiscono una forza motrice F~M (impropriamente chiamata
anche potenza) e una forza resistente F~R di verso opposto a quello della prima e
chiamata anche resistenza. Per l’azione dei momenti di queste forze il corpo può ruotare
intorno ad un asse passante per il fulcro.
Statica

Esistono tre tipi di leve in base alle posizioni reciproche di fulcro, forza motrice e forza
resistente. Per tutte all’equilibrio si ha che i momenti di F~M e di F~R si bilanciano, ovvero
FM · bM = FR · bR . Il rapporto tra le intensità della resistenza e della potenza viene
chiamato guadagno meccanico. Dalla relazione di equilibrio si ha che il guadagno è
anche pari al rapporto tra il braccio della potenza e quello della resistenza:
bM
(7.9) G= .
bR

Se G > 1 una leva è definita vantaggiosa, viceversa se G < 1 la leva è detta svantaggiosa.
Nel caso G = 1 la leva è indifferente. Dalla definizione di G si intuisce che l’essere vantaggiosa
o meno per una leva dipende dalle posizioni della potenza e della resistenza rispetto al fulcro.

Si definisce leva di primo genere una leva in cui la forza motrice e quella resistente
si trovano ai lati opposti rispetto al fulcro, ovvero in cui il fulcro è tra la potenza e
la resistenza. Una leva di primo genere può essere vantaggiosa o meno a seconda del
rapporto tra i bracci delle due forze.

Una leva di primo genere è illustrata nella Figura 7.9; un esempio di leva di primo
genere è dato dalle forbici.
Fisica 643

Figura 7.9: Leva di primo genere.

Si definisce leva di secondo genere una leva in cui il braccio della forza motrice è
maggiore di quello della forza resistente, ovvero in cui la resistenza è tra il fulcro e la
potenza. Una leva di secondo genere è sempre vantaggiosa.

Una leva di secondo genere è illustrata nella Figura 7.10; un esempio di leva di secondo
genere è costituito dalla carriola.

Figura 7.10: Leva di secondo genere.

Si definisce leva di terzo genere una leva in cui il braccio della forza motrice è minore
di quello della forza resistente, ovvero in cui la potenza è tra il fulcro e la resistenza.
Una leva di terzo genere è sempre svantaggiosa.

Una leva di terzo genere è illustrata nella Figura 7.11; un esempio di leva di terzo
genere è rappresentato dal braccio umano.

Fisica
Figura 7.11: Leva di terzo genere.

7.9 Quesiti

1) Il momento torcente è: D va calcolato rispetto a un punto


qualsiasi del corpo rigido
A il momento della quantità di moto E nessuna delle precedenti risposte è
B il momento di una forza corretta

C il momento angolare 3) Il momento angolare è definito come il


momento:
D il momento lineare
A della velocità
E nessuno dei precedenti
B dell’accelerazione
2) Il momento di una forza applicata a un C della potenza
corpo rigido:
D della quantità di moto
A va calcolato rispetto al centro di massa E della velocità angolare
B va calcolato rispetto al baricentro 4) Il centro di massa di un corpo rigido si
C va calcolato rispetto al centro di gravità trova all’esterno del corpo rigido:
644 Statica

A in una penna a sfera C non solleverà il masso perché ha


realizzato una leva di terzo genere
B in un tubo di rame
D pur avendo realizzato una leva op-
C in una sfera di sughero portuna non riuscirà a sollevare il
D in una lamina d’oro masso

E in un cubo di ardesia E solleverà il masso solo esercitando una


forza pari alla forza peso agente sul
5) Il centro di massa e il baricentro di un masso
corpo rigido coincidono:
8) Una bilancia a due piatti costituisce:
A solo quando la gravità è debole
A una leva di primo genere
B solo sulla Terra
B una leva di secondo genere
C solo nello spazio cosmico lontano da
astri o pianeti C una leva di terzo genere

D solo per oggetti di piccole dimensio- D un sistema in equilibrio indifferente


ni posizionati all’interno di un campo E nessuna delle precedenti affermazioni è
gravitazionale corretta
E solo se il corpo rigido ha particolari
simmetrie 9) Quali delle seguenti affermazioni è non
corretta?
6) Se una trottola in rotazione formata da
cinque strutture coniche concentriche A poggiando su un piano orizzontale un
perde all’improvviso il proprio strato cono per il suo vertice si ha un corpo in
più esterno: equilibrio instabile
B poggiando su un piano orizzontale un
A smette istantaneamente di ruotare cono per un suo apotema si ha un corpo
B continua a ruotare con le stesse in equilibrio indifferente
caratteristiche cinematiche C poggiando su un piano orizzontale un
Statica

C continua a ruotare ma con velocità cono per la sua base si ha un corpo in


angolare maggiore equilibrio stabile
D continua a ruotare ma con velocità D poggiando su un piano orizzontale un
angolare minore cono per l’ipotenusa del triangolo ret-
tangolo la cui rotazione genera il cono
E continua a ruotare ma il suo asse di si ha un corpo in equilibrio indifferente
rotazione comincia ad oscillare
E tutte le affermazioni precedenti sono
7) Se un uomo pone un cuneo vicino a corrette
un masso e inserisce un lungo bastone
tra la base del masso e la sommità del 10) Se su un corpo cubico poggiato su un
cuneo, facendo forza verso l’alto all’e- piano orizzontale liscio agisce una forza
stremità opposta del bastone rispetto al peso di 10 N il corpo si trova:
masso:
A in equilibrio stabile
A solleverà agilmente il masso perché ha B in equilibrio instabile
realizzato una leva di secondo genere
C in equilibrio dinamico
B solleverà agilmente il masso perché ha
realizzato una leva di primo genere in D in equilibrio indifferente
cui il braccio della potenza è maggiore
di quello della resistenza E non in equilibrio

7.10 Risposte commentate ai quesiti


1) Il momento torcente è semplicemente un altro nome del momento di una forza, la
cui origine risiede nel fatto che l’azione di un momento di una forza tende a far
ruotare un corpo libero o a torcere un corpo vincolato. La risposta corretta è la B .
Fisica 645

2) Il momento di un forza è il prodotto vettoriale del vettore posizione rispetto a un


punto e della forza. Il punto scelto come riferimento è arbitrario, quindi la risposta
corretta è la D .
3) La C va scartata a priori perché la potenza è uno scalare, quindi non può avere
momento, che è un prodotto vettoriale. La risposta corretta può essere data o
attraverso l’analisi dimensionale o grazie alla definizione ed è la D .
4) L’unico oggetto il cui centro di massa, per simmetria, non è un punto all’interno del
corpo è il tubo: il suo centro di massa si trova lungo l’asse di simmetria del tubo.
La penna è assimilabile a un cilindro pieno, quindi sebbene la sua densità non
sia omogenea il centro di massa deve coincidere con uno dei suoi punti. Discorso
analogo vale per la C , la D e la E . La risposta corretta è la B .
5) Il centro di massa è un concetto geometrico, il baricentro è il punto di applicazione
della risultante delle forze peso parallele. La C è quindi da scartare perché non
prevede campi gravitazionali. La B va esclusa perché intorno alla Terra il campo
della forza peso non ha linee di forza sempre parallele. La E va esclusa perché non
implica la presenza di campo gravitazionale. La A va scartata perché anche un
campo intenso va bene, purché le linee di forza siano parallele. La risposta corretta
è la D , perché localmente un campo gravitazionale ha linee di forza parallele.
6) La E è da escludere perché non ci sono informazioni sufficienti per stabilirne la
veridicità. La A e la B vanno scartate perché in condizioni di equilibrio rotazionale
il prodotto della velocità angolare per il momento di inerzia del corpo è costante. Il
momento di inerzia è una quantità legata alla distribuzione delle masse del corpo.
Se le masse sono meno distribuite il momento di inerzia è minore, ne consegue che

Fisica
deve aumentare la velocità angolare. La risposta corretta è la C .
7) L’uomo ha realizzato una leva di secondo genere, quindi la B , la C e la E sono
sicuramente da escludere. La risposta corretta è la D , perché il momento della forza
esercitata dall’uomo non tende ad opporsi al momento della forza peso agente sul
masso. Ciò si realizza solo esercitando una forza verso il basso.
8) Una bilancia a due piatti è costruita in modo tale che i bracci dei due piatti siano
di uguale lunghezza e posti ai lati opposti rispetto al fulcro: è una leva di primo
genere. La risposta corretta è la A . La D è da escludere perché variando di poco
il peso posto su uno dei due piatti la bilancia si muove.
9) La correttezza delle affermazioni può essere valutata in base alle conseguenze del
teorema di Torricelli che consentono di determinare il tipo di equilibrio per un
corpo rigido poggiato su un piano orizzontale. Nel cono l’apotema è rappresentato
dall’ipotenusa del triangolo rettangolo la cui rotazione genera il cono: la B e la D
sono equivalenti e sono entrambe corrette. Anche la A e la C sono esatte, quindi
la risposta corretta è la E .
10) Il piano orizzontale liscio esercita sul corpo una reazione vincolare per la terza
legge della dinamica, quindi la risultante delle forze è nulla. La forma del corpo fa
sı̀ che esso sia in equilibrio indifferente: spostandolo di poco esso conserva la nuova
posizione. La risposta corretta è la D .
Meccanica dei fluidi
8
Introduzione
Nella prima parte di questo capitolo verranno trattati diversi principi fondamentali
per determinare il comportamento di un fluido e di un corpo immerso in esso. Nella
seconda parte l’attenzione verrà spostata sulle considerazioni energetiche nei fluidi e
sul comportamento dei fluidi reali.

8.1 Stati di aggregazione


I punti materiali discussi in cinematica si organiz-
zano a formare la materia secondo proprietà diver-
se, in base alle quali si definiscono distinti stati di
aggregazione. Un volume anche piccolo di materia
è costituito da un enorme numero di particelle, è
quindi impossibile determinare per ognuna di esse
posizione, velocità ed accelerazione in ogni istan-
te. Per conoscere e prevedere il comportamento del
sistema si ricorre a un tipo di informazione a ca-
rattere statistico: in luogo delle coordinate spaziali
di ogni particella si introducono coordinate macro-
scopiche per il sistema, come pressione, volume e
temperatura. Il valore di queste grandezze, descrit- Figura 8.1: Diagramma di stato che
te in dettaglio nella sezione 9.3, identifica uno sta- illustra gli stati di aggregazione del-
to del sistema e può essere rappresentato come un la materia al variare di pressione P e
temperatura T .
punto in un grafico che ha sulle ascisse la tempe-
ratura T e sulle ordinate la pressione P , chiamato
diagramma di stato.
Il diagramma 8.1 è diviso in zone, ognuna delle quali corrisponde a determinate
proprietà macroscopiche del sistema. Si distinguono tre stati di aggregazione della
materia: solido, liquido e aeriforme.

In un solido le distanze tra le particelle costituenti sono fisse e queste ultime possono
solo vibrare intorno alle loro posizioni. Un solido ha forma e volume propri.

Generalmente allo stato solido si aggiunge anche la richiesta di una struttura cristal-
lina, cioè ordinata e ripetuta. Sostanze apparentemente solide che non rispettano tale
requisito, come il vetro, vengono definite amorfe.
Fisica 647

In un liquido i legami tra le molecole sono sufficientemente forti da mantenerle a


contatto ma non tali da garantire una struttura fissa. Le molecole infatti sono libere di
scorrere le une sulle altre. Un liquido ha volume proprio ma forma data dal contenitore.

Lo stato liquido rappresenta uno stato intermedio tra quello solido e quello aerifome.
Attraverso i passaggi di stato una sostanza può cambiare il proprio stato. È anche pos-
sibile la coesistenza di due stati, rappresentata nel diagramma dalle linee che separano
le tre aree. La coesistenza di tutti e tre gli stati si ha solo in corrispondenza del punto
triplo.

In un aeriforme le distanze tra le molecole sono elevate e le interazioni tra le molecole


sono deboli. Lo stato aeriforme non ha né forma né volume propri.

Lo stato aeriforme si distingue a sua volta in gas e vapore. Concetto fondamentale


per capire la distinzione è quello di temperatura critica, ovvero la temperatura al di
sopra della quale una sostanza non può esistere allo stato liquido. Un gas è allora un
aeriforme la cui temperatura è superiore alla temperatura critica o, equivalentemente, la
cui temperatura critica è inferiore alla temperatura ambiente; un vapore è un aeriforme
la cui temperatura è inferiore al valore critico o, equivalentemente, la cui temperatura
critica è superiore a quella ambiente.

Un vapore può essere liquefatto per sola compressione mantenendo costante la tem-
peratura, un gas può essere liquefatto per compressione solo portando la temperatura

Fisica
al di sotto di quella critica.

I passaggi di stato verranno discussi in dettaglio nella sezione 9.14.

Il quarto stato della materia è chiamato plasma. Il plasma è un gas ionizzato, cioè costituito
da elettroni e da ioni, cioè da particelle cariche. A differenza dei gas, nel plasma le forze
intermolecolari sono forti e a lungo raggio. Il plasma è un buon conduttore di elettricità e
reagisce significativamente ai campi elettromagnetici. Sulla Terra si può parlare di plasma per
pochi fenomeni, quali fulmini e aurore boreali. Nell’universo invece, rappresenta la stragrande
maggioranza della materia, dalle nebulose alle stelle. Il Sole, ad esempio, è una sfera di plasma.

8.2 Definizione di fluido

Il termine fluido indica sia lo stato liquido sia quello aeriforme (e anche quello di
plasma): comprende gli stati in cui la materia non ha forma propria e si deforma
illimitatamente se sottoposta a forze esterne (più precisamente a sforzi di taglio).

Caratteristica fondamentale dei fluidi è la loro viscosità µ, ovvero la resistenza posta


dal fluido allo scorrimento. Un fluido incomprimibile con viscosità nulla è detto fluido
648 Meccanica dei fluidi

ideale. Più un fluido è viscoso e più il suo comportamento si avvicina a quello di un


solido, fino a giungere al limite dei solidi amorfi come il vetro che possono anche essere
considerati fluidi con valori molto elevati di viscosità. µ ha le dimensioni di una forza
per un tempo diviso una superficie, cioè [M]·[L]−1 · [T]−1 e nel S.I. si misura in Pa s.
La viscosità ha un andamento diverso nei liquidi e negli aeriformi: nei primi diminuisce
all’aumentare della temperatura, nei secondi aumenta con la temperatura.

La viscosità si misura anche in poise, con simbolo P . Il poise è l’unità di misura della viscosità
nel c.g.s. ed è usato perché 1 cP è il valore della viscosità dell’acqua a temperatura ambiente.
La conversione con le unità del S.I. si ottiene dall’identità 1 Pa s = 10P . Il reciproco della
viscosità si chiama fluidità.

Le forze agenti su un fluido, cosı̀ come su ogni suo elemento, vengono distinte in forze
di volume e forze di superficie. Le prime (tra cui c’è il peso) agiscono sull’intero volume
di fluido considerato, le seconde solo sulla superficie del volume considerato.

8.3 Densità e peso specifico


Un’altra grandezza fondamentale per determinare il comportamento di un fluido è la
sua densità %.

Si definisce densità % il rapporto tra massa di una sostanza e volume della sostanza,
infatti andrebbe chiamata più correttamente massa volumica o massa specifica. Nel
S.I. si misura in kg/m3 , nel c.g.s. in g/cm3 .
Mecc. Fluidi

m
(8.1) %= .
V

Occorre fare attenzione alle conversioni: 1000 kg/m3 = 1 g/cm3 . A temperatura


ambiente la densità dell’acqua è circa 1 g/cm3 .

La densità, le cui dimensioni sono riportate nella Tabella 1.2, si misura con uno stru-
mento detto picnometro. Generalmente % diminuisce con la temperatura a causa della
dilatazione termica che aumenta il volume, cioè il denominatore della densità.

Alcune sostanze, tra cui l’acqua, hanno un comportamento anomalo. Tra 0◦ C e 4◦ C l’ac-
qua diminuisce di volume, cioè la solidificazione comporta un aumento di volume. Tale pe-
culiarità, rappresentata dalla linea tratteggiata nel diagramma di stato 8.1 e causata dalla
natura del legame a idrogeno, implica che il ghiaccio ha densità minore dell’acqua e quindi
galleggia su di essa in virtù del principio di Archimede descritto nella sezione 8.8. Questo
comportamento anomalo consente la vita di molti organismi viventi negli specchi di acqua
ghiacciata: lo strato di ghiaccio si forma in superficie e il fondo ha ancora acqua allo stato
liquido.
Fisica 649

Per densità relativa si intende il rapporto tra la densità di una sostanza e quella di
uno stesso volume di acqua pura alla temperatura di 4◦ C e alla pressione di 1 bar, cioè
il rapporto tra la densità della sostanza e quella dell’acqua usata come riferimento.

Si definisce peso specifico ps il rapporto tra peso di una sostanza e volume della
sostanza. Nel S.I. si misura in N/m3 .

m·g
(8.2) ps = = ·g.
V
Analogamente alla densità relativa, il peso specifico relativo è il rapporto tra peso
specifico di una sostanza e quello di un ugual volume d’acqua.

8.4 Pressione

Si definisce pressione P una grandezza scalare data dal rapporto tra l’intensità della
forza F che agisce perpendicolarmente su una superficie S e la superficie stessa. Nel
S.I. P si misura in pascal (Pa).

F
(8.3) P = .
S

Fisica
Le dimensioni di P si trovano nella Tabel-
la 1.2, le conversioni con le altre unità di mi-
sura per P sono nella Tabella 1.3. Se una
forza non agisce perpendicolarmente a una
superficie occorre moltiplicare il suo modulo
per il coseno dell’angolo compreso tra la ret-
ta di applicazione della forza e la direzione Figura 8.2: A parità di peso la profondità del-
normale alla superficie. le impronte lasciate nella neve è inversamente
proporzionale alla superficie di appoggio.

8.5 Legge di Stevino


Alla fine del XVI secolo Stevino nel suo trattato sull’idrostatica, la branca della fisica
che si occupa di fluidi in equilibrio, enunciò il suo fondamentale principio.

Figura 8.3: All’aumentare del livello del liquido aumenta la pressione sul fondo del bicchiere.
650 Meccanica dei fluidi

La pressione idrostatica in un punto di un fluido in quiete è direttamente proporzionale


alla densità del fluido e alla profondità del punto rispetto al pelo libero.

Indicando con % la densità del fluido, con g il valore dell’accelerazione di gravità e con
h la profondità dal pelo libero, la legge di Stevino si scrive

(8.4) Ph = % · g · h .
Qualora il pelo libero sia esposto all’aria, al membro di destra va aggiunto il termine
PA corrispondente alla pressione atmosferica pari a 1 atm.

8.6 Principio dei vasi comunicanti

Un liquido soggetto alla forza peso contenuto in più contenitori (vasi) comunicanti
all’equilibrio raggiunge lo stesso livello in tutti i vasi.

Il principio dei vasi comunicanti, rappresentato nella Figura 8.4, è una diretta conse-
guenza della legge di Stevino.

Questo principio viene utilizzato per fornire ac-


Mecc. Fluidi

qua anche ai piani più alti dei palazzi costruendo


torri piezometriche, cioè serbatoi la cui quota
è maggiore di quella della sommità dei palazzi.
Sullo stesso principio si basa la realizzazione dei
pozzi artesiani: in bacini concavi dove si tro-
vano serbatoi sotterranei di acqua imprigiona-
ta tra due strati impermeabili di roccia si scava
un pozzo nel fondo della conca. Poiché la bocca Figura 8.4: Vasi comunicanti pur avendo forma
del pozzo si trova comunque più in basso rispet- diversa sono riempiti dal fluido allo stesso livello.
to alle estremità dei serbatoi sotterranei, l’acqua
sgorga spontaneamente dal pozzo.

8.7 Legge di Pascal


Poco più di mezzo secolo dopo la pubblicazione del trattato di Stevino Pascal effettuò il
famoso esperimento della botte: inserendo un tubo verticale in una botte piena d’acqua
e aggiungendo acqua nel tubo la pressione della botte aumenta fino a far esplodere la
botte. Ne dedusse un principio che porta il suo nome e che ha svariate applicazioni.

In un fluido ideale le variazioni di pressione sono isotrope, cioè la pressione è indi-


pendente dall’orientazione della superficie su cui agisce, finché si trascura la forza
peso.
Fisica 651

Tra le applicazioni va ricordato il


torchio idraulico (o pressa idraulica),
strumento costituito da un liquido
contenuto in due vasi comunicanti di
diversa superficie illustrato in Figu-
ra 8.5. Applicando una forza di piccola
intensità su una superficie di piccola
area si genera nel liquido una pressio-
ne che si trasmette invariata fino al- Figura 8.5: Schema di funzionamento della pressa
la seconda superficie, dove si traduce idraulica secondo il principio di Pascal.
in una forza di intensità pari a quella
iniziale moltiplicata per un fattore uguale al rapporto delle superfici:
F1 F2 S2
(8.5) P1 = P2 =⇒ = =⇒ F2 = F1 · .
S1 S2 S1

L’esperimento della botte di Pascal rappresenta anche un esempio di paradosso idrostatico,


conseguenza diretta della legge di Stevino. Pur utilizzando tubi di forme e diametri diversi,
la rottura della botte si ha sempre in corrispondenza dello stesso livello, corrispondente alla
pressione di soglia della struttura.

8.8 Principio di Archimede

Fisica
Il principio di Archimede afferma che un corpo immerso in un fluido riceve dal basso
verso l’alto una spinta pari al peso del fluido spostato.

Figura 8.6: Condizioni di equilibrio, di affondamento e di galleggiamento secondo il principio di Archimede.

Il volume di fluido spostato è uguale al volume della parte immersa del corpo. La
superficie di questi due volumi è la stessa, quindi le forze di superficie agenti sul volume
sono le stesse e quindi è identica anche la loro risultante, che rappresenta la spinta verso
l’alto. L’unica differenza nei due casi è data dal diverso peso del corpo rispetto al fluido.
Ricordando la definizione di densità 8.1 e quella di peso 4.4, poiché i volumi considerati
del corpo e del fluido sono uguali, come pure il valore di g, la differenza tra il peso del
volume immerso e quello del fluido spostato consiste nella differenza della densità %c
del corpo rispetto a quella %f del fluido.
652 Meccanica dei fluidi

(a) Il calore riscalda l’a- (b) I palloncini riempiti con gas a den-
ria nella mongolfiera, la sità minore dell’aria salgono fino a
sua densità diminuisce e 10 km.
il pallone sale.

Figura 8.7: Applicazioni della spinta di Archimede.

Dalla seconda legge della dinamica si ha che se il peso del corpo e la spinta di Archimede
sono uguali, allora il corpo è in equilibrio indifferente. Se il peso del corpo è maggiore
della spinta di Archimede allora il corpo affonda, mentre se è minore il corpo galleggia.
Le tre alternative, mostrate nella Figura 8.6, sono cosı̀ riassunte:
%c = %f =⇒ il corpo è in equilibrio indifferente,
%c > %f =⇒ il corpo affonda, %c < %f =⇒ il corpo galleggia.
Mecc. Fluidi

Il punto di applicazione della spinta di Archimede CA è chiamato centro di galleggia-


mento, o di spinta, e coincide con il baricentro C del corpo solo per corpi con densità
uniforme e totalmente immersi. Ricordando i tipi di equilibrio della sezione 7.7, si ha
che un corpo che galleggia è in equilibrio stabile se CA è sulla verticale di C e più in alto
rispetto a C, instabile se CA è più in basso. Se i due punti non giacciono sulla stessa
verticale il peso e la spinta di Archimede formano una coppia di forze con momento
non nullo che pone il corpo in rotazione.

8.9 Fluidi ideali e moto stazionario


Immaginando di dividere il fluido in tanti elementi di vo-
lume infinitesimo, le linee tangenti in ogni punto alle ve-
locità di tali elementi si chiamano linee di flusso e non si
intersecano mai. Le linee di flusso passanti per i punti di
una curva chiusa costituiscono un tubo di flusso. Gli ele-
menti di fluido che viaggiano in un tubo di flusso restano
sempre al suo interno.
Il moto si chiama laminare quando i diversi elementi
scorrono uno accanto all’altro senza mescolarsi, altrimenti Figura 8.8: Se il letto di un cor-
il moto è detto caotico o turbolento. Se la configurazione so d’acqua si restringe la velocità
delle linee di flusso non dipende dal tempo, allora il moto della corrente aumenta.
si chiama stazionario. In altre parole il moto è stazionario
quando la velocità di un punto del fluido è costante.
Fisica 653

Si definisce portata Q il volume di fluido che attraversa una sezione di condotta


nell’unità di tempo. Nel S.I. Q si misura in m3 /s.

V
(8.6) Q= .
∆t
Le dimensioni di Q sono riportate nella Tabella 1.2.
Quando la portata di una condotta è costante si ha che il volume di fluido che
scorre in un tratto della condotta deve essere costante. Se la condotta ha una sezione di
diametro minore, cioè un restringimento, per mantenere costante la portata la velocità
aumenta in conseguenza della diminuzione della sezione. Il volume V , infatti, si può
immaginare come un cilindro di area di base S e lunghezza ∆x, per cui la portata
diventa Q = S · ∆x/∆t. Identificando il rapporto ∆x/∆t con la velocità del fluido, si
ha

(8.7) Q=v·S.

In un moto stazionario la portata è costante: il prodotto v · S = costante. Questa


relazione prende il nome di equazione di continuità.

Dunque in regime stazionario se diminuisce la sezione aumenta la velocità del fluido.


Questo risultato è noto come legge della portata: in corrispondenza delle strozzature
la velocità aumenta.

Fisica
8.10 Teorema di Bernoulli

Il teorema di Bernoulli esprime la conservazione dell’energia meccanica per un fluido


ideale in moto stazionario dentro una condotta sotto l’azione della forza peso e della
pressione.

In un fluido ideale si riconoscono tre termini che concorrono all’espressione dell’energia


meccanica per unità di volume: la densità di energia potenziale m · g · h/V = % · g · h, la
densità di energia cinetica (1/2)·m·v 2 /V = (1/2)·%·v 2 e la densità di energia pressoria
(lavoro delle forze di superficie per unità di volume) F · ∆x/V = P · S · ∆x/V = P .
Con questi termini il teorema di Bernoulli si scrive
1
(8.8) %·g·h+ · % · v 2 + P = costante .
2
Il primo termine nel membro di sinistra si chiama pressione idrostatica: è la pres-
sione esercitata da una colonna di fluido di altezza h. Il secondo si chiama pressione
cinetica: è la pressione esercitata dal fluido contro un ostacolo che si oppone al moto.
Il terzo viene chiamato pressione piezometrica: è la pressione esercitata dal fluido
sulle pareti della condotta.
654 Meccanica dei fluidi

Il teorema di Bernoulli è semplicemente l’applicazione del teorema delle forze vive a


un elemento di fluido. Dividendo tutti i termini per la costante % · g si ottiene una
formulazione equivalente del teorema con tre termini che hanno le dimensioni di una
lunghezza:

v2 P
(8.9) h+ + = costante .
2g % · g

Il primo termine nel membro di sinistra si chiama altezza geometrica: è la quota


del centro dell’elemento di fluido considerato rispetto a una quota di riferimento. Il
secondo si chiama altezza cinetica: è l’altezza massima di un elemento di un fluido
lanciato verso l’alto con velocità v. Il terzo viene chiamato altezza piezometrica: è
l’altezza a cui sale un fluido spinto dalla pressione P .

Applicando il teorema di Bernoulli alle due estremità di un tratto di condotta


orizzontale a sezione costante si ha
1 1
(8.10) % · g · h1 + · % · v12 + P1 = % · g · h2 + · % · v22 + P2 .
2 2
Essendo la condotta orizzontale le due pressioni idrostatiche si possono elidere perché sono
uguali. Poiché la sezione e la portata sono costanti anche le due velocità devono esserlo,
quindi le due pressioni cinetiche si possono elidere. Ne consegue che le due pressioni
piezometriche sono uguali: P1 = P2 .
Mecc. Fluidi

Se la condotta orizzontale ha invece sezione variabile la velocità è maggiore nella sezione


con diametro minore, come spiegato nella sezione 8.12.

Applicando il teorema di Bernoulli alle due estremità di un tratto di condotta non


orizzontale a sezione costante si ha che le due pressioni cinetiche si possono elidere
perché il moto stazionario e la sezione costante implicano uguale velocità. Rinominando
il dislivello tra le due sezioni h2 − h1 = h, la 8.10 diventa

(8.11) P1 = P2 + % · g · h .

Quindi la pressione è maggiore nella sezione posta più in basso.

8.11 Teorema di Torricelli


Un’applicazione notevole del teorema di Bernoulli viene chiamata teorema di Torricelli.

La velocità con cui un liquido esce da un foro posto alla profondità h di un contenitore
di diametro molto maggiore di quello del foro e soggetto alla pressione √ atmosferica
coincide con la velocità di caduta libera di un grave da altezza h: v = 2 · g · h.
Fisica 655

Sia S1 la sezione superiore del contenitore di


Figura 8.9 e S2 quella del foro, il teorema
di Bernoulli è espresso dalla 8.10. Conside-
rando che entrambe le sezioni sono soggette
alla pressione atmosferica PA i due termini di
pressione si possono elidere. Inoltre il liquido
sulla sommità è inizialmente fermo, quindi
v1 = 0, mentre al livello del foro h2 = 0.
Rinominando v2 = v e h1 = h si ha l’asserto:
(8.12) Figura 8.9: La velocità di un fluido alla base di
1 p una colonna di altezza h coincide con quella di
%·g·h = ·%·v 2 =⇒ v = 2 · g · h. caduta libera di un grave da altezza h.
2

8.12 Paradosso idrodinamico


Un’altra applicazione del teorema di Bernoulli che sem-
bra violare il senso comune ha il nome di paradosso
idrodinamico o effetto Venturi.
Si consideri un fluido in moto all’interno di una condot-
ta orizzontale che a un certo punto diminuisce la propria
sezione. Considerando come riferimento per le altezze l’as-
se della condotta e applicando il teorema di Bernoulli si
ha
1
(8.13) · % · v 2 + P = costante.
2
In regime di portata costante a un restringimento della

Fisica
Figura 8.10: La maggiore velo-
sezione deve corrispondere un aumento della velocità per cità dovuta alla strozzatura può
la 8.7. Poiché la densità % del fluido è costante, si ha che ridurre la pressione fino a un va-
quando la velocità aumenta si deve avere una diminuzione lore inferiore a PA , in tal caso la
della pressione secondo la 8.13. valvola si chiude.
Per illustrare il paradosso si immagini una condotta in cui scorre un fluido a pres-
sione leggermente maggiore di quella atmosferica e che termina con una piastra che può
poggiare sull’imboccatura della condotta, come rappresentato in Figura 8.10. In corri-
spondenza della strozzatura rappresentata dalla piastra la velocità del fluido aumenta
e quindi la sua pressione diminuisce. Quando la pressione diventa inferiore a quella
atmosferica la piastra chiude la condotta. Il senso comune, invece, vorrebbe che la pia-
stra saltasse via per l’alta velocità del fluido, cui si potrebbe immaginare di associare
un’elevata quantità di moto.

8.13 Fluidi reali


In un fluido reale la viscosità non è nulla. Poiché le
forze viscose sono di tipo dissipativo, in un fluido
reale non può valere la conservazione dell’energia,
a causa dell’attrito che si ha tangenzialmente tra
Figura 8.11: Nelle condotte reali a cau-
diverse parti del fluido. Ciò comporta il fenomeno sa delle perdite la pressione si abbassa
delle perdite di carico, che possono essere sia loca- progressivamente.
lizzate, come avviene nelle strozzature, nei giunti o nelle valvole, sia distribuite lungo
656 Meccanica dei fluidi

l’intera lunghezza di una condotta. Un esempio di perdite si ha in una condotta che


abbia vasi comunicanti, come illustrato nella Figura 8.11: allontanandosi dal livello
iniziale del fluido il livello dei vasi si abbassa sempre più a causa delle perdite.
In un fluido reale, inoltre, le velocità di volumi infinitesimi di fluido in moto laminare
non sono uniformi, ma si ha un profilo concavo. La velocità del fluido vicino alle pareti
delle condotte, a causa dell’adesione, è minore. La velocità aumenta allontanandosi
dalle pareti fino a raggiungere il valore massimo nel punto più lontano dalle pareti, che
in una condotta cilindrica corrisponde all’asse del tubo.

8.14 Tensione superficiale ed adesione


Tra le molecole di un fluido, soprattutto di un liqui-
do, vi sono forze attrattive, chiamate forze di coe-
sione. Queste forze originano una risultante non
nulla sulle molecole della superficie di separazione
tra il fluido e il resto dell’ambiente diretta verso l’in-
terno del fluido. Una goccia di liquido nello spazio
cosmico assume forma perfettamente sferica pro-
prio a causa di tali forze. La tipica forma a goccia
osservata sulla Terra dipende dalla forza peso che
agisce sul volume di liquido. Le forze che invece at-
Figura 8.12: Incurvamento del pelo
traggono le molecole di un liquido verso le pareti libero di un fluido.
del contenitore si chiamano forze di adesione.
Mecc. Fluidi

Il rapporto tra le forze di coesione e quelle di adesio-


ne dà luogo all’incurvamento della superficie di separazione tra un liquido contenuto in un
contenitore e il resto dell’ambiente. L’incurvarsi di tale superficie è ben osservabile in tubi
dal diametro molto sottile (chiamati capillari) ed è responsabile del fenomeno della capilla-
rità: il livello del liquido in un capillare è diverso da quello nel resto del contenitore, il che è
un’apparente violazione della legge di Stevino 8.4.
Quando le forze di adesione sono maggiori di quelle di coesione il liquido bagna le pareti
del contenitore, cioè la superficie ha concavità verso l’alto; altrimenti si ha concavità verso il
basso. L’intensità delle due forze dipende dal liquido e dalla sostanza del contenitore.

Per tensione superficiale si intende il fenomeno generato dalla risultante delle forze
di coesione, in virtù della quale sembra che il liquido sia avvolto da una pellicola
trasparente. L’acqua, con la sua struttura molecolare e la particolare intensità del
legame a idrogeno, ha una tensione superficiale abbastanza elevata: questa proprietà
consente ad alcuni insetti di camminare sull’acqua.
Alla tensione superficiale è legato un coefficiente che nel S.I. si misura in N/m.
Quando si tenta di immergere un corpo in un liquido nella fase iniziale si ha una
sovrapposizione degli effetti dovuti alla tensione superficiale e alla spinta di Archimede.
Fisica 657

8.15 Quesiti
1) In fisica una sostanza è definita amorfa C un gas è un aeriforme a temperatura
quando: superiore alla temperatura critica
D un vapore è un aeriforme a pressione
A è un miscuglio di più sostanze elemen- superiore alla pressione critica
tari
E un gas è un aeriforme mentre un vapore
B non ha forma propria è un fluido
C non ha densità uniforme 5) La densità relativa di una sostanza nel
D ha le caratteristiche di un solido ma non S.I. viene misurata in:
la struttura cristallina A kg/m3
E non è omogenea B kg/cm3
2) Nelle sostanze che hanno un compor- C g/m3
tamento anomalo nel diagramma di D g/cm3
stato:
E è una grandezza adimensionale
A la curva di separazione tra solido e li- 6) Perché per camminare meglio sulla neve
quido è inclinata di un angolo maggiore fresca conviene usare le ciaspole?
di un angolo retto rispetto al semiasse
positivo della temperatura A perché tengono caldi i piedi
B la curva di separazione tra solido e li- B perché favoriscono la circolazione san-
quido è inclinata di un angolo minore guigna e quindi un buon ritmo dei
di un angolo retto rispetto al semiasse passi
positivo della temperatura C perché sono di un materiale il cui coef-
C la curva di separazione tra solido e li- ficiente di attrito con la neve è inferiore
quido è inclinata di un angolo maggiore di quello delle normali scarpe
di un angolo retto rispetto al semiasse D perché aumentano la superficie su cui si
positivo della pressione distribuisce il peso e quindi consentono

Fisica
D la curva di separazione tra aeriforme e di affondare di meno nella neve
liquido è inclinata di un angolo minore E perché impediscono rotazioni casuali
di un angolo retto rispetto al semiasse della caviglia che possono provocaure
positivo della temperatura microtraumi all’apparato locomotore
E la curva di separazione tra solido e 7) Quale dei seguenti fluidi presenta sul
liquido è verticale fondo una pressione maggiore?

3) In quale dei seguenti sistemi natura- A un cilindro pieno d’acqua a temperatura


li non si ha lo stato di aggregazione ambiente alto 1 m e con la base di 1 m2
chiamato plasma? B un cubo pieno d’acqua a temperatura
ambiente alto 1 m e con la base di 1 m2
A un asteroide
C un parallelepipedo pieno d’acqua a tem-
B una stella di classe G a metà del suo peratura ambiente alto 1 m e con la base
ciclo vitale di 1 m2
C un fulmine D un prisma retto pieno d’acqua a tempe-
ratura ambiente alta 1 m e con la base
D un’aurora boreale
di 1 m2
E una nebulosa E hanno tutti la stessa pressione sul fondo

4) La differenza tra vapore e gas consiste 8) La leva idraulica, o torchio idraulico,


nel fatto che: è un congegno che per sollevare grossi
pesi sfrutta:
A un gas è un aeriforme a temperatura
inferiore alla temperatura critica A il teorema di Torricelli

B un vapore è un aeriforme a pressione B il paradosso idrostatico


inferiore alla temperatura critica C il principio di Pascal
658 Meccanica dei fluidi

D la spinta di Archimede E nessuna delle precedenti affermazioni è


corretta
E l’effetto Venturi
10) La tensione superficiale:
9) La legge della portata, valida per
un fluido ideale in moto stazionario, A è una forza legata alla pressione atmo-
implica che: sferica che agisce sulla superficie di un
liquido
A se una condotta aumenta la propria
sezione la velocità del fluido diminuisce B deriva dalle forze di coesione di un
liquido
B se una condotta è in verticale la velocità
del fluido alla base è maggiore di quella C deriva dalle forze di adesione di un
nella parte superiore liquido
C se una condotta è in verticale la velo- D è il rapporto tra le forze di adesione e
cità del fluido alla base è la stessa di un quelle di coesione
grave in caduta libera da pari dislivello E si misura con un coefficiente che ha
D se una condotta è obliqua la sua portata le dimensioni di una forza su una
non può essere costante superficie

8.16 Risposte commentate ai quesiti


1) La C e la E sono equivalenti e quindi vanno scartate a priori. La B si riferisce ai
fluidi e va esclusa. La A indica semplicemente i miscugli, la risposta corretta è la
D . Un esempio di sostanza amorfa è il vetro.

2) Hanno un comportamento anomalo quelle sostanze, come l’acqua, il bismuto e l’an-


timonio, che solidificando aumentano il proprio volume e quindi hanno un picco
Mecc. Fluidi

di densità corrispondente alla fase liquida. Ne consegue che la curva di separazio-


ne liquido-solido è inclinata di un angolo maggiore di un angolo retto rispetto al
semiasse positivo della temperatura, come mostrato nella Figura 8.1. La risposta
corretta è la A .
3) I fulmini e le aurore boreali sono tra i pochi fenomeni naturali presenti sulla Terra
in cui si ha il plasma, quindi la C e la D vanno escluse. Una stella è una sfera di
gas ionizzato, cioè di plasma, quindi anche la B va esclusa. Si può scartare anche
la E perché le nebulose sono ammassi di gas tipicamente ionizzato. La risposta
corretta è la A , dal momento che un asteroide è un frammento di roccia.
4) La E va esclusa perché il termine fluido comprende quello di aeriforme, che a sua
volta comprende sia gas che vapore. L’unica differenza tra gas e vapore è che per
il primo la temperatura critica è inferiore a quella ambiente, quindi il gas è un
aeriforme a temperatura superiore a quella critica. La risposta corretta è la C .
5) Essendo il rapporto tra due grandezze omologhe la densità relativa è adimensionale:
la risposta corretta è la E .
6) Le ciaspole sono le racchette che si posizionano sotto le calzature per camminare
sulla neve fresca offrendo una maggiore superficie e quindi riducendo la pressione.
Affondando di meno nella neve si cammina più speditamente. La risposta corretta
è la D .
7) Per la legge di Stevino 8.4 la pressione sul fondo di un recipiente pieno di fluido
dipende solo dalla profondità, dalla densità del fluido e dal modulo di g. Nei casi
Fisica 659

considerati si deve supporre che g abbia lo stesso valore. Trattandosi dello stesso
liquido si ha la stessa densità, inoltre i solidi hanno tutti la stessa altezza, quindi
la risposta corretta è la E .
8) Come mostrato nella Figura 8.5 il torchio utilizza il principio di Pascal per sollevare
grossi pesi applicando forze poco intense. La risposta corretta è la C .

9) L’equazione di continuità implica che in un fluido ideale in moto stazionario la


portata è costante. Poiché la portata è il prodotto tra velocità del fluido e sezio-
ne, la legge della portata afferma che nelle strozzature la velocità aumenta. Come
conseguenza si ha che la risposta corretta è la A .
10) Il coefficiente di tensione superficiale ha le dimensioni di una forza diviso una lun-
ghezza, quindi la E va esclusa. Alla D è legato il fenomeno della capillarità, quindi
si può scartare. La risposta corretta è la B : la resistenza che un liquido pone alla
tendenza ad attraversare la sua superficie esterna deriva dalle forze di coesione.

Fisica
Termologia
9
Introduzione
In questo capitolo analizzeremo i sistemi termodinamici attraverso l’introduzione di
nuove grandezze di carattere statistico. La prima parte tratta del calore e della tempe-
ratura, nella seconda parte la discussione si focalizzerà sui cambiamenti di stato e sui
modi di trasmissione del calore.

9.1 Sistema termodinamico


Nell’ambito termodinamico il termine sistema mantiene il significato attribuitogli in
meccanica.

Un sistema termodinamico è una porzione di universo osservabile. Il suo confine, cioè


la superficie di separazione tra il sistema e il resto dell’universo, può essere sia una
superficie fisica sia una immaginaria convenzionale. Un sistema è detto chiuso se può
scambiare energia con il resto dell’universo ma non massa; se scambia anche massa è
detto aperto. Se non consente scambi di energia né di massa è un sistema isolato.

Il sistema più ampio possibile coincide con l’universo intero. Qualsiasi sistema, anche
il più piccolo, è composto da un numero enorme di particelle. Se queste sono tutte
identiche si dice che il sistema ha un’unica componente, se il sistema è formato da
più specie chimiche allora ha più componenti. Se il sistema può essere suddiviso in
porzioni caratterizzate da proprietà diverse dal resto del sistema, allora si dice che il
sistema è formato da più fasi. Se il sistema è omogeneo allora ha un’unica fase.
Poiché determinare l’andamento rispetto al tempo di posizione, velocità e acce-
lerazione di ogni particella del sistema è oltre le possibilità di calcolo umane (pur
considerando l’utilizzo di computer molto potenti), bisogna rinunciare alla descrizione
dell’evoluzione di un sistema nei termini deterministici propri della meccanica. Per lo
studio di un aggregato di cosı̀ tante particelle, allora, si ricorre all’introduzione di gran-
dezze a carattere statistico, che forniscono informazioni quantitative sull’intero sistema.
La procedura per determinare il valore di queste coordinate macroscopiche presuppone
che le particelle siano tutte identiche e abbiano lo stesso comportamento. Le singole
particelle possono avere comportamenti diversi da quelli previsti per la particella media
rappresentativa, ma il gran numero di particelle assicura l’efficacia di questo tipo di
descrizione.

9.2 Stati di equilibrio


Un sistema si dice in equilibrio quando il valore delle sue coordinate macroscopiche non
varia. L’insieme di valori delle coordinate macroscopiche, chiamate grandezze di stato
Fisica 661

o proprietà di stato, rappresenta uno stato di equilibrio del sistema, chiamato sempli-
cemente stato. Quando tali valori variano si parla di trasformazione termodinamica,
che in genere va da uno stato di equilibrio A a uno stato di equilibrio B.

Soltanto all’equilibrio ci sono le condizioni adatte all’introduzione e alla definizione delle gran-
dezze di stato. Ne consegue che durante l’evoluzione di un sistema cadrebbe la descrizione sta-
tistica. Per calcolare i valori delle varie grandezze si procede come se qualsiasi trasformazione
termodinamica avvenisse attraverso una successione di un gran numero di stati di equilibrio i
cui valori delle grandezze di stato differiscono per quantità infinitesime.

In particolare si parla di equilibrio chimico quando le concentrazioni delle varie specie


chimiche non variano; di equilibrio termico quando il sistema non scambia calore con
il resto dell’universo; di equilibrio meccanico quando la risultante delle forze esterne
ed interne è nulla. Se valgono tutte queste richieste contemporaneamente si dice che il
sistema è in equilibrio termodinamico o semplicemente in equilibrio.

9.3 Grandezze di stato


Il numero di grandezze di stato necessarie a descrivere completamente un sistema si
chiama varianza o numero di gradi di libertà del sistema e dipende dal numero di
componenti e dal numero di fasi secondo la regola delle fasi di Gibbs. Indicando con
ν la varianza, con F il numero di fasi e con C il numero di componenti indipendenti,
cioè di componenti non legate ad altre componenti da relazioni matematiche, la regola
di Gibbs diventa ν = C − F + 2. Per sistemi in una sola fase con una sola componente
sono quindi necessarie solo due grandezze di stato. Scegliendone due qualsiasi si può
in ogni momento passare a un’altra coppia di grandezze di stato con un cambio di

Fisica
coordinate macroscopiche attraverso opportune relazioni che legano le varie grandezze.
Le principali grandezze di stato sono le seguenti:

il volume V rappresenta lo spazio occupato dalle particelle del sistema;


la pressione P rappresenta le forze che le particelle del sistema esercitano sulla
superficie esterna del sistema;
la temperatura T rappresenta l’agitazione termica media delle particelle del si-
stema;
l’energia interna U rappresenta l’energia non cinetica posseduta dalle particelle
del sistema;
l’entalpia H ha le dimensioni di un’energia e verrà discussa nella sezione 10.10;
l’entropia S ha le dimensioni di un’energia diviso una temperatura e verrà discussa
nella sezione 10.15.

Una grandezza si dice estensiva quando il suo valore dipende dalle dimensioni del siste-
ma, altrimenti intensiva. Sono estensive volume, energia interna, entalpia ed entropia;
sono intensive pressione e temperatura.
662 Termologia

9.4 Temperatura

La grandezza di stato che tiene conto dell’agitazione termica delle particelle del sistema
e quindi è legata all’energia cinetica media delle particelle è chiamata temperatura.
Questa grandezza nel S.I. si misura in kelvin (K) ed è una grandezza fondamentale.

La sua misurazione è possibile perché variazioni di tale grandezza producono effetti


osservabili, che possono essere rilevati con un termoscopio. Qualora un termoscopio
sia tarato con una scala graduata si parla allora di termometro, strumento di misura
della temperatura. Tarando un termometro in corrispondenza di due diversi fenomeni
cui si attribuisce per convenzione un certo valore della temperatura si crea una scala
termometrica. Dividendo l’intervallo di variazione della proprietà del termometro in
intervalli uguali si costruisce una definizione operativa di grado di temperatura.

Le proprietà che mostrano un andamento con la temperatura sono diverse e quindi si hanno
vari tipi di termometri:
quando si misura la differenza di potenziale elettrico tra due estremi di una giunzione
tra due conduttori si ha una termocoppia (si basa sull’effetto Seebeck);
quando si misura la dilatazione termica di un solido si ha un termometro a solido o un
termometro bimetallico (simili e spesso confusi);
quando si misura la dilatazione termica di un liquido si ha un termometro del tipo di
quelli a mercurio usati fino al 2009 per uso domestico e oggi soppiantati da quelli a
galinstano (lega di gallio, indio e stagno);
Termologia

quando si misura la pressione di un gas si ha un termometro a gas, molto preciso;


quando si misura l’intensità luminosa emessa da un corpo per irraggiamento si ha un
pirometro;
grazie alla variazione di densità con la temperatura e al principio di Archimede la tem-
peratura può essere misurata anche con un termometro galileiano, sebbene quest’ultimo
sia poco preciso.
Il primo termometro fu inventato da Fahrenheit nel 1709 ed era ad alcool, cinque anni dopo
fu inventato il termometro a mercurio.

9.5 Scale termometriche


Le principali scale termometriche utilizzate attualmente sono tre: la centigrada di uso
comune in tutto il mondo, la kelvin nel S.I. e la Fahrenheit di uso comune negli U.S.A.
e in alcuni paesi anglosassoni.

Scegliendo come temperature di riferimento quella della solidificazione dell’acqua, cui


si attribuisce il valore di 0 ◦C, e quella di ebollizione dell’acqua al livello del mare e
alla pressione atmosferica, cui si attribuisce il valore di 100 ◦C, si costruisce la scala
termometrica chiamata scala Celsius o centigrada.

Un grado Celsius (simbolo ◦C) è quindi la temperatura pari a un centesimo della


differenza di temperatura che si ha tra i due fenomeni indicati.
Fisica 663

Prendendo come riferimento due temperature fondamentali come lo zero assoluto e il


punto triplo dell’acqua si costruisce la scala termometrica chiamata scala kelvin o scala
assoluta della temperatura.

Lo zero assoluto è la temperatura minima possibile in fisica e rappresenta un valore


asintotico. Il punto triplo dell’acqua è la temperatura in cui si trovano contemporanea-
mente i tre stati di aggregazione dell’acqua. Il primo valore corrisponde a −273,15 ◦C,
il secondo a 0,01 ◦C. Un kelvin coincide con un grado centigrado, l’unica differenza tra
le due scale consiste nel rispettivo valore nullo. Indicando con t la temperatura in gradi
Celsius e con T quella in kelvin, il passaggio tra le due scale si ottiene nel seguente
modo:

(9.1) t = T + 273, 15 =⇒ T = t − 273, 15 .

Prendendo come riferimento la temperatura di un’opportuna miscela di acqua, sale e


ghiaccio e quella del sangue di cavallo e dividendo l’intervallo in 96 gradi si costruisce
la scala termometrica chiamata scala Fahrenheit.

Questa scala fu introdotta nel 1724 da Fahrenheit utilizzando come zero la temperatura
più bassa raggiungibile allora in laboratorio. Considerando la poca precisione connessa
alla miscela da lui utilizzata e soprattutto alla temperatura del sangue di cavallo,
variabile da animale ad animale, una ridefinizione di tale scala ha fissato a 32 ◦ F e a
212 ◦ F le temperature corrispondenti rispettivamente a 0 ◦C e a 100 ◦C.

Fisica
Un grado Fahrenheit è 5/9 di un grado centigrado e lo 0 ◦ F corrisponde a −17,8 ◦C.
Indicando con t la temperatura in gradi Celsius e con tF quella in gradi Fahrenheit, il
passaggio tra le due scale si ottiene nel seguente modo:
tF − 32
(9.2) t= =⇒ tF = t · 1, 8 + 32 .
1, 8

Le conversioni tra kelvin e gradi Fahrenheit si ottengono dalla 9.2 sostituendo il valore
32 con −459, 67. Le scale Celsius e Fahrenheit possono avere valori negativi, la scala
kelvin ha solo valori positivi.

9.6 Dilatazione termica


Un corpo che varia la propria temperatura subisce in genere il fenomeno della dilata-
zione termica. Introducendo il coefficiente di dilatazione termica lineare λ, supponendo
che un corpo sia vincolato e possa variare la propria dimensione solo in una direzione
(come accadeva al mercurio nei termometri domestici) la dilatazione termica è descritta
dalla prima delle seguenti relazioni:

(9.3) l(T ) = l(Ti ) · (1 + λ · ∆T ) =⇒ ∆l = l(Ti ) · λ · ∆T .


664 Termologia

(9.4) V (T ) = V (Ti ) · (1 + k · ∆T ) =⇒ ∆V = V (Ti ) · k · ∆T .


La seconda relazione descrive la dilatazione termica volumica, il coefficiente k è il
coefficiente di dilatazione termica volumica. Usualmente per corpi isotropi si ha che k
è il triplo di λ. Per ricavare le unità di misura e le dimensioni di λ e di k basta invertire
la 9.3 e la 9.4.
Qualora si avesse dilatazione superficiale la formula è analoga alla 9.3 a patto di
introdurre un coefficiente di dilatazione superficiale σ che per materiali isotropi è il
doppio di λ.

Quando si viaggia in inverno su un viadotto autostradale si avvertono sobbalzi regolari


nel veicolo. Questi sono dovuti a giunti di espansione: le varie sezioni del viadotto hanno
un piccolo spazio tra di esse per fare in modo che d’estate con il caldo le sezioni combacino
grazie alla dilatazione termica. Se i viadotti venissero progettati con sezioni attaccate,
d’estate la dilatazione provocherebbe spaccature nel manto stradale dei viadotti. Anche
i binari dei treni hanno ogni tanto piccoli spazi vuoti per lo stesso motivo.

9.7 Calore

La quantità di calore Q è una forma di energia di trasferimento. Il calore non si associa


a uno stato di un sistema termodinamico, ma può solo fluire da un corpo a un altro. Nel
S.I. Q si misura in joule (J). Per convenzione Q è positiva se il calore viene assorbito
dal sistema, negativa se viene ceduto.
Termologia

Le dimensioni di Q sono riportate nella Tabella 1.2, le unità di misura del c.g.s. e del
pratico nella Tabella 1.3. L’esperienza di Joule permette di determinare l’equivalente
meccanico della caloria, un coefficiente adimensionale che consente di convertire
joule in calorie secondo le seguenti relazioni:
(9.5) 1cal = 4, 186J , 1kcal = 4186J .

La caloria è definita come la quantità di calore necessaria per portare un grammo di


acqua distillata alla pressione di una atmosfera da 14,5 ◦C a 15,5 ◦C.

Quando il calore fluendo da un corpo a un altro provoca una variazione di tempera-


tura si chiama calore sensibile, quando invece a causa del calore trasferito si ha un
cambiamento di stato si parla di calore latente, descritto nella sezione 9.15.
Occorre distinguere tra calore Q, cioè quantità di calore che fluisce tra due corpi,
potenza termica Q̇, cioè calore fluito nell’unità di tempo, e flusso di calore q,
cioè calore fluito nell’unità di tempo per unità di superficie:
Q Q
(9.6) Q̇ = , q= .
∆t ∆t · S
La potenza termica si misura in W, mentre il flusso di calore si misura in W/m2 .
Fisica 665

9.8 Capacità termica

Si definisce capacità termica C di un corpo il rapporto tra la quantità di calore Q


scambiata dal corpo e la corrispondente differenza di temperatura. Nel S.I. C si misura
in J/K.

La capacità termica dipende dalla massa del corpo e dalla natura del materiale di cui è
composto. Invertendo la definizione di C si ha che il calore sensibile che fluisce da o verso
un corpo è direttamente proporzionale alla differenza di temperatura corrispondente e
C rappresenta proprio il coefficiente di proporzionalità:
Q
(9.7) Q = C · ∆T =⇒ C= .
∆T

9.9 Calore specifico

Si definisce calore specifico c di una sostanza, o più correttamente capacità termica


specifica, la quantità di calore necessaria per aumentare di 1 K un’unità di massa della
sostanza. Nel S.I. c si misura in J/(kg K).

Il calore specifico è una proprietà che caratterizza una sostanza e per intervalli di
temperatura non troppo elevati si può assumere costante. Tra capacità termica e calore

Fisica
specifico si ha il seguente rapporto:
C
(9.8) C =m·c =⇒ c= .
m

L’acqua a pressione di 1 atm e alla temperatura di 15 ◦C ha un calore specifico c = 1


cal/(g◦C) o equivalentemente c = 4186 J/(kg K). Il ghiaccio invece ha un calore specifico
alla temperatura di 0 ◦C pari a c = 0, 505 cal/(g◦C) o equivalentemente c = 2090 J/(kg K).

Una volta introdotto c, il calore sensibile Q che fluisce da o verso un corpo si può
esprimere con la seguente formula:
Q
(9.9) Q = m · c · ∆T =⇒ c= .
m · ∆T

Secondo la legge di Dulong e Petit tutti i solidi hanno lo stesso calore specifico molare, cioè per
mole di sostanza, pari a circa 25J/(mol K). A temperatura ambiente moltissimi solidi rispet-
tano questa legge, tranne poche eccezioni come il diamante e il silicio. Ad alte temperature
tutti i solidi rientrano in questa legge.
666 Termologia

9.10 Principio dell’equilibrio termico

Il principio dell’equilibrio termico, anche noto come principio zero della termodinamica,
afferma che dopo un tempo sufficientemente lungo corpi posti a contatto avranno la
stessa temperatura.

Prendiamo per semplicità il caso di due soli corpi che non


scambiano calore con il resto dell’universo ma solo tra di
essi, come in Figura 9.1. Se inizialmente hanno la stessa
temperatura, allora il principio garantisce che manterran-
no lo stesso valore di temperatura. Se invece hanno va-
lori diversi di temperatura, allora Q fluirà dal corpo cal-
do a quello freddo finché si raggiungerà un valore detto
temperatura di equilibrio Te .
La temperatura di equilibrio rappresenta la media pe-
sata delle temperature dei corpi a contatto, utilizzando
come pesi le capacità termiche dei corpi. Questa proce- Figura 9.1: Principio zero della
dura di calcolo deriva dall’uguagliare il calore ceduto da termodinamica: due corpi a con-
tatto dopo un tempo sufficiente
un corpo a quello assorbito dall’altro usando la 9.9 ed è
hanno la stessa temperatura.
quindi valida solo in assenza di passaggi di stato.
Termologia

m1 · c1 · T1 + m2 · c2 · T2
(9.10) Te = .
m1 · c1 + m2 · c2

Un blocco di rame con massa pari a 2 kg


alla temperatura di 20 ◦C è posto a con-
tatto con un secondo blocco della stessa
sostanza di massa pari a 4 kg alla tempe-
ratura di 40 ◦C. Qual è la temperatura di
equilibrio Te ?
Per calcolare Te usiamo la 9.10. Poiché i
due blocchi sono della stessa sostanza non
c’è bisogno di conoscere il valore di c, che
può essere fattorizzato e semplificato. Per
Figura 9.2: L’alta capacità termica della
rendere ancora più semplici i calcoli, si può
neve dovuta alla grande massa nevosa fa
realizzare che la temperatura maggiore ha sı̀che dopo un certo tempo l’oggetto a
un peso doppio dell’altra, perché ad es- contatto si trovi a 0 ◦C.
sa corrisponde una massa doppia. Si può
quindi calcolare una normale media arit-
metica come se vi fossero due corpi a tem-
peratura 40 ◦C e uno a 20 ◦C. Il risultato è
TE = 33,3 ◦C.
Fisica 667

9.11 Conduzione
La conduzione termica è un trasferimento di calore tra due corpi posti a contatto
aventi temperature diverse. Questo tipo di trasmissione di calore avviene per diffusione
molecolare negli aeriformi, mentre nei solidi e nei liquidi comporta principalmente un
trasporto di energia.

La conduzione è dovuta al trasferimento della differenza di energia cinetica tra le


molecole che tende ad uniformare la loro agitazione termica.

A livello microscopico un fluido non ha molecole immobili nemmeno all’equilibrio, bensı̀ queste
hanno un moto caotico dovuto all’agitazione termica, detto moto browniano. Negli aeriformi
la diffusione delle molecole, cioè il loro spostarsi all’interno del volume occupato dall’aerifor-
me, porta ad urti tra le stesse durante i quali si hanno trasferimenti di quantità di moto. I
corrispondenti trasferimenti di energia cinetica spiegano il fenomeno della conduzione termica.
La conduzione nei liquidi e nei solidi avviene per un trasferimento di quantità di moto
tra le molecole che, oscillando intorno alle loro posizioni di equilibrio, si urtano. Maggiore
l’energia cinetica di una molecola, maggiore l’ampiezza della sua oscillazione, maggiore quindi
la probabilità che urti altre molecole e trasmetta loro parte della sua quantità di moto.
Nei metalli il contributo principale alla conduzione deriva dalle oscillazioni degli elettroni
liberi, il che rende i metalli generalmente buoni conduttori. Le oscillazioni intorno alle posizioni
di equilibrio si rappresentano come sovrapposizioni di onde chiamate fononi, ragion per cui
si dice che la conduzione sfrutta un meccanismo fononico. Qualora alcuni elettroni liberi oltre
a oscillare si muovano anche contribuendo ulteriormente alla conduzione, si parla anche di
meccanismo elettronico.

Limitando la trattazione al caso di un solido e scegliendo per

Fisica
semplicità un parallelepipedo che abbia la faccia A alla tempera-
tura TA e la faccia B alla temperatura TB > TA come mostrato
in Figura 9.3, la conduzione termica è regolata dalla legge di
Fourier:
λ · S · ∆T · ∆t
(9.11) Q= .
d
Nella legge di Fourier si è indicato con λ il coefficiente di condu-
cibilità termica, con S la superficie attraverso cui fluisce il calore,
con ∆T = TB −TA , con d la distanza tra A e B e con ∆t l’intervallo
di tempo considerato.
La conducibilità termica λ, chiamata anche conduttività Figura 9.3: Trasmis-
sione di calore per con-
termica, si misura in W/(m K) ed è una proprietà caratteristica duzione attraverso una
dei materiali: dipende dalla loro natura ma non dalla loro forma. lastra di materiale soli-
Materiali che presentano alti valori di λ sono detti conduttori do di spessore d, con-
di calore, ad esempio l’argento e l’oro; materiali con bassi valori ducibilità termica λ e
facce di area S a
di λ sono detti isolanti, ad esempio legno e vetro. temperature diverse.
In generale i solidi conducono meglio dei liquidi e questi me-
glio degli aeriformi. Tra i solidi quelli amorfi conducono meno.
Materiali conduttori di calore sono generalmente anche conduttori elettrici (si pen-
si ai metalli), un’eccezione degna di nota è costituita dal diamante, che è un ottimo
conduttore termico e un cattivo conduttore elettrico.
668 Termologia

L’aria ha un basso valore di conducibilità termica, ragion per cui per isolare termica-
mente un oggetto spesso si imprigiona intorno ad esso uno strato di aria, come avviene
nell’isolamento delle finestre con i doppi vetri.

9.12 Convezione

In termologia e termodinamica si definisce sorgente termica un sistema che pur


scambiando calore con altri corpi mantiene invariata la propria temperatura.

Mentre nei solidi la convezione è di solito il meccanismo principale di trasporto di


calore, nei fluidi non troppo viscosi alla conduzione si sovrappone la convezione, che
rappresenta il contributo maggiore al trasporto di calore.

La convezione è il trasporto prevalente di calore nei fluidi ad opera di un gradiente di


temperatura e della spinta di Archimede, realizzato attraverso correnti convettive che
portano verso l’alto le molecole calde, ove si raffreddano e tornano verso il basso per
poi riscaldarsi a contatto di una sorgente calda in un moto ciclico.

Si immagini un recipiente contentente fluido


Termologia

la cui base sia posta su una piastra termica,


come in Figura 9.4. Il calore per conduzio-
ne fluisce attraverso la base del recipiente e
giunge al fluido posto in basso. Riscaldando-
si, gli elementi di fluido in basso si espando-
no e quindi diminuiscono la propria densità.
Per il principio di Archimede, allora, si spo-
stano verso l’alto e il loro posto viene preso
da elementi di fluido che prima si trovava-
no in alto e sono quindi più freddi. Il ciclo
che si realizza in tal modo si chiama corrente
convettiva. Figura 9.4: Correnti convettive in un liquido in
Nel caso di convezione tra una parete di ebollizione.
superficie S a temperatura Tp e un fluido a temperatura Tf il calore Q scambiato per
convezione nell’intervallo di tempo ∆t si può calcolare con la legge di Newton:

(9.12) Q = k · S · ∆T · ∆t .

La 9.12 in realtà non è una vera legge, bensı̀ una definizione del coefficiente di convezione
k, un parametro che dipende da numerosi fattori e non è quindi una caratteristica dei
materiali come λ. Nel S.I. k si misura in W/(m2 K). Maggiore è k e più è efficiente la
convezione.
In base all’origine del moto convettivo si parla di convezione forzata e naturale. In
quella forzata la differenza di densità non è la causa primaria delle correnti convettive.
Fisica 669

La convezione forzata è più efficiente di quella naturale. Anche il moto del fluido in-
fluenza la convezione: è più efficiente in regime di moto turbolento rispetto a quello di
moto laminare. Negli aeriformi la convezione è meno efficiente che nei liquidi. Il massi-
mo dell’efficienza si ha quando il liquido sta subendo un passaggio di fase. Sommando
tutte queste discriminanti si capisce perché un meccanismo molto efficiente di cottura
dei cibi è l’immersione in acqua bollente.

Le correnti convettive trasportano calore in molti meccanismi naturali: il calore generato


nel nucleo delle stelle è trasportato fino alla loro superficie esterna da correnti convettive
nel plasma stellare; il calore emesso dal nucleo terrestre viaggia nel mantello attraverso
correnti convettive che generano il movimento delle placche tettoniche.

9.13 Irraggiamento

L’irraggiamento è un trasferimento di calore da un corpo caldo all’ambiente circostante


per emissione di onde elettromagnetiche. L’irraggiamento avviene senza trasporto di
materia e non ha nemmeno bisogno di un mezzo per propagarsi: può avvenire anche
nel vuoto. L’oggetto che riceve calore per irraggiamento può trovarsi anche a grande
distanza dall’emettitore.

L’irraggiamento da un corpo a temperatura T avviene se-


condo la legge di Stefan-Boltzmann, in cui la costante

Fisica
σ è chiamata costante di Stefan-Boltzmann e vale σ =
5,6696 × 10−8 W m−2 K−4 :
(9.13) q = σ · T4 .
Per la 9.13 il flusso di calore, cioè la potenza emessa per
unità di superficie, è direttamente proporzionale alla quar- Figura 9.5: Il calore generato
ta potenza della temperatura. Per tale motivo ad alte tem- dalla combustione si irraggia in
tutte le direzioni. Si propaga
perature l’irraggiamento predomina sugli altri due metodi maggiormente in alto grazie alla
di trasmissione del calore. convezione.

Se un corpo non riflette, cioè ha coefficiente di riflessione nullo, viene chiamato corpo nero.
Un corpo nero assorbe tutta l’energia incidente su di esso e, per la conservazione dell’energia,
la riemette per irraggiamento. La radiazione di corpo nero dipende solo dalla temperatura
del corpo: grazie ad essa si deduce ad esempio la temperatura delle stelle. Dalla differenza
tra l’emissione teorica di corpo nero e quella di un corpo reale si ricava la sua composizione
chimica, come si fa abitualmente in astronomia.

Tutti i corpi oltre a emettere calore per irraggiamento lo ricevono anche, ovvero sono
dotati di un coefficiente di assorbimento. Per il corpo nero quest’ultimo è massimo e
vale 1, quando questo coefficiente è minore di 1 si parla di corpo grigio. Per un corpo
perfettamente riflettente vale 0. Un corpo caldo emette più calore di quello che riceve.
670 Termologia

9.14 Passaggi di stato

Si definisce passaggio di stato, o cambiamento di stato o transizione di fase, la


trasformazione che porta un sistema termodinamico a cambiare il proprio stato di
aggregazione.

I passaggi di stato nel diagramma di stato sono trasformazioni che attraversano le linee
di demarcazione del diagramma, dette linee di transizione, e sono i seguenti:

fusione: da solido a liquido;

solidificazione: da liquido a solido;

vaporizzazione: da liquido ad aeriforme;

condensazione o liquefazione: da aeriforme a liquido;

sublimazione: da solido ad aeriforme;

brinamento o deposizione: da aeriforme a solido;

ionizzazione: da aeriforme a plasma;


Termologia

deionizzazione: da plasma ad aeriforme;

Durante una transizione di fase varia la struttura molecolare del sistema. Questo pro-
cesso non è mai istantaneo e nel tempo in cui avviene si ha una mistura in cui sono
presenti contemporaneamente due fasi.

Figura 9.6: Diagramma di stato


con illustrate le transizioni di fase
tra stato solido, liquido e aeriforme.
Fisica 671

Un liquido che evapora lo fa trovandosi in equilibrio con la sua fase di vapore in una zona
del diagramma P − V chiamata campana dei vapori saturi, illustrata nella Figura 9.7.
Quando si ha equilibrio ma la sostanza è tutta allo stato liquido, si dice che il sistema si
trova sulla curva limite inferiore, cioè sul confine sinistro della campana. Man mano che
procede l’evaporazione la percentuale di sostanza che passa allo stato di vapore, chiamata
titolo x, aumenta e lo stato del sistema si sposta in orizzontale nel diagramma (aumenta il
volume ma la pressione resta costante). Si giunge al punto in cui, pur essendoci equilibrio
tra le due fasi, tutta la sostanza è allo stato di vapore: il sistema si trova sulla curva
limite superiore, il confine destro della campana.
Durante tutta la transizione di fase oltre alla pressione di equilibrio tra liquido e va-
pore, chiamata pressione di vapore o tensione di vapore, è rimasta costante la
temperatura: il calore fornito per il passaggio non è calore sensibile ma calore latente.
Il punto più in alto della campana è chiamato punto critico. Per valori di P maggiori della
pressione critica Pc il sistema non può trovarsi allo stato liquido, ma solo in quello gassoso.
Per il punto critico passa una curva chiamata isoterma critica, che indica tutti gli stati
del sistema che hanno la stessa temperatura del punto critico. Quando un aeriforme ha
una temperatura maggiore della critica si chiama gas, altrimenti vapore. Per temperature
maggiori di 2 Tc si ha un gas perfetto (si veda la sezione 10.4).

Se il contenitore in cui avviene la vaporizzazione è aperto, tutto il liquido evapora


completamente nonostante sia un processo di equilibrio. La tensione di vapore aumenta
con la temperatura. Se il sistema è alla temperatura Teb in cui la tensione di vapore è
uguale alla pressione dell’ambiente, il passaggio da liquido a vapore può avvenire in un
qualsiasi punto del liquido e non solo sulla superficie di separazione. Di conseguenza
nel liquido si formano bolle di vapore che salgono con un moto turbolento per la spinta
di Archimede verso il pelo libero: si ha l’ebollizione. La temperatura Teb è detta

Fisica
temperatura di ebollizione. Sebbene il recipiente sia chiuso, se si ha ebollizione non si
ha equilibrio tra liquido e vapore e tutto il liquido passa allo stato di vapore.

In alta montagna la colonna d’aria che grava su un oggetto è minore, quindi la pressione
atmosferica è inferiore rispetto al livello del mare. Si ha quindi che la temperatura di
ebollizione Teb è minore rispetto a quella al livello del mare. Per tale motivo in alta
montagna la cottura di pasta in acqua bollente avviene a temperatura minore con risultati
deludenti.

9.15 Calore latente

Il calore latente r è il calore assorbito o ceduto da un corpo durante una transizione di


fase. Tale energia serve a modificare la struttura molecolare del sistema.

Durante i passaggi di stato, quindi, la temperatura resta costante perché l’energia for-
nita ad esempio per vaporizzare un liquido serve ad allontare le molecole le une dalle
altre rompendo i legami intermolecolari (e quindi aumentando l’energia potenziale e
672 Termologia

non quella cinetica). In un passaggio di stato


la 9.9 non è più valida e viene rimpiazzata
dalla seguente relazione:
Q
(9.14) Q=r·m =⇒ r= .
m
L’espressione mostra che nel S.I. r si misura
in J/kg. Il calore latente è una caratteristi-
ca della sostanza ma dipende dalla pressione
cui si trova il sistema. Ogni sostanza ha un
valore di calore latente in corrispondenza di
un certo passaggio di stato: esiste il calore Figura 9.7: La campana dei vapori saturi in un
diagramma P − V che illustra i diversi stati di
latente di fusione, quello di vaporizzazione e aggregazione.
quello di sublimazione. Un passaggio di stato
inverso ha lo stesso valore di r del passaggio
diretto.

9.16 Quesiti
1) Quale dei seguenti termini non rap- 4) Se si vuole misurare la temperatura
presenta una proprietà associata a uno di un ambiente usando solo cifre in-
stato di un sistema termodinamico? tere qual è la scala termometrica più
precisa?
A Ccomponenti
A kelvin
Termologia

B fasi
B Celsius
C confine C Fahrenheit
D calore D centigrada
E varianza E sono tutte equivalenti
5) Il valore 2 ◦C corrisponde alla tempera-
2) Quale delle seguenti grandezze di stato tura di:
non è estensiva?
A −2 ◦ F
A volume
B 275 K
B pressione C 35,6 ◦ F
C energia interna D 275,16 K
D entalpia E 34 ◦ F

E entropia 6) Se un corpo ha capacità termica


maggiore di un altro significa che:
3) Quanti sono i gradi di libertà di un si- A può ricevere una maggiore quantità di
stema composto da acqua che si trova calore prima di fondersi
al suo punto triplo?
B può ricevere una maggiore quantità di
A 0 calore in minor tempo
C deve ricevere una maggiore quantità di
B 1 calore per ottenere una pari variazione
C 2 di temperatura
D deve ricevere una minore quantità di
D 3 calore per cambiare stato
E 4 E ha massa maggiore dell’altro
Fisica 673

7) Se una massa d’acqua si trova nelle stes- C alla conducibilità termica


se condizioni di pressione di una secon-
D alla superficie
da massa d’acqua, la cui massa è il tri-
plo di quella della prima mentre la cui E allo spessore della lastra
temperatura è il doppio di quella della
prima, ponendo le due a contatto do- 9) Il calore fluito per convezione secon-
po un certo tempo la temperatura di do la legge di Newton è inversamente
equilibrio sarà: proporzionale a:

A 7/4 della temperatura della massa A il coefficiente di convezione


d’acqua con temperatura minore
B la superficie di scambio
B 6/4 della temperatura della massa
d’acqua con temperatura minore C il tempo

C 6/3 della temperatura della massa D la differenza di temperatura


d’acqua con temperatura minore E nessuno dei precedenti
D 7/3 della temperatura della massa
d’acqua con temperatura minore 10) L’ebollizione di un liquido avviene
quando:
E 7/5 della temperatura della massa
d’acqua con temperatura minore A la pressione supera la pressione critica

8) Secondo la legge di Fourier il calo- B il liquido si trova al punto critico


re scambiato per conduzione attraver- C il liquido si trova al punto triplo
so una lastra piana non è direttamente
proporzionale: D la tensione di vapore è uguale alla
pressione dell’ambiente
A al tempo
E non è più possibile che la fase liquida sia
B alla differenza di temperatura in equilibrio con quella di vapore

9.17 Risposte commentate ai quesiti

Fisica
1) Uno stato di un sistema ha una varianza, cioè un numero di gradi di libertà, calcolato
con la regola di Gibbs in base al numero di fasi e di componenti, quindi la A , la
B e la E vanno escluse. Un sistema ha sempre anche un confine, sia reale che
immaginario, quindi anche la C va esclusa. La risposta corretta è la D , perché il
calore fluisce da un sistema a un altro o durante una trasformazione da uno stato
a un altro dello stesso sistema ma non è una grandezza associabile al singolo stato.
2) La pressione è l’unica delle grandezze indicate che non dipende dalle dimensioni del
sistema, quindi è intensiva. La risposta corretta è la B .
3) Nel punto triplo si ha equilibrio tra le tre fasi, quindi F = 3. Il sistema ha una
componente, quindi C = 1. Per la regola di Gibbs la varianza è ν = C − F + 2: la
risposta corretta è la A .
4) Un kelvin è equivalente a un grado Celsius e centigrado è sinonimo di Celsius. Un
grado Fahrenheit, però, è 5/9 di un grado Celsius, quindi a parità di intervallo di
temperatura la Fahrenheit è più precisa. La risposta corretta è la C .
5) La 9.2 mostra che per passare da gradi Celsius a gradi Fahrenheit occorre moltipli-
care per 1, 8 e aggiungere 32. Al contrario la 9.1 mostra che per passare da Celsius
a kelvin basta aggiungere la temperatura corrispondente al modulo dello zero asso-
luto misurato in gradi Celsius, cioè 273,15 ◦C. Si ricava che la risposta corretta è la
C.
674 Termologia

6) La capacità termica C è pari al prodotto di massa per calore specifico, quindi se un


corpo ha massa minore ma alto calore specifico può comunque avere C maggiore
rispetto a un corpo di massa maggiore: la E va esclusa. La definizione di C 9.7 non
parla di cambiamenti di stato, quindi la A e la D vanno escluse. Si può scartare
anche la B perché varrebbe se si parlasse di potenza termica. La risposta corretta
è la C .

7) La media pesata per determinare Te può essere semplificata fattorizzando sia c


(che si elide), sia la massa minore m (che si elide) sia la temperatura minore T
semplicemente esprimendo la massa maggiore come 3 · m e la temperatura maggiore
come 2 · T . La seconda massa d’acqua ha quindi un peso pari a 6 rispetto al peso
unitario della prima. Si ricava che la risposta corretta è la A . La D andava esclusa
a priori perché maggiore della temperatura maggiore delle due.
8) La legge di Fourier indica che la risposta corretta è la E : il calore è inversamente
proporzionale allo spessore.
9) La legge di Newton indica che la risposta corretta è la E : tutte le altre grandezze
sono direttamente proporzionali al calore fluito.
10) L’ebollizione avviene per definizione quando la pressione di vapore, cioè quella in
cui liquido e vapore sono in equilibrio, coincide con quella ambiente. La risposta
corretta è la D .
Termologia
Termodinamica
10
Introduzione
In questo capitolo verranno analizzate le trasformazioni di un sistema termodinamico.
Nella prima parte verranno introdotti i concetti e le leggi necessari alla descrizione
dei gas perfetti e reali e dei vari tipi di trasformazione termodinamica. Nella seconda
parte si affronteranno i principi della termodinamica ponendo particolare attenzione
alle applicazioni del concetto di entropia.

10.1 Leggi di Gay-Lussac


Le leggi di Gay-Lussac collegano variazioni di pressione e di volume di un gas con quelle
di temperatura.

Secondo la prima legge di Gay-Lussac a pressione costante le variazioni di volume di


un gas sono direttamente proporzionali alle variazioni di temperatura.

Esprimendo la temperatura t in gradi Celsius, il volu-


me iniziale con V0 e quello a temperatura t con Vt e
introducendo il coefficiente di espansione dei gas β =
1/273,15 ◦C−1 la legge si scrive

(10.1) Vt = V0 · (1 + β · t) =⇒ Vt = V0 · β · T .

La seconda relazione rappresenta la stessa legge scritta


usando la temperatura espressa in kelvin e si ottiene sem-
plicemente ricordando la conversione 9.1: per passare da
Figura 10.1: Per la prima leg-
gradi Celsius a kelvin occorre aggiungere il valore 273,15. ge di Gay-Lussac a temperatu-
re inferiori allo zero assoluto cor-
risponderebbero volumi negativi
La formulazione in termini di temperatura assoluta im- di gas perfetti, il che è privo di
plica che il volume di un gas a pressione costante è senso fisico.
direttamente proporzionale alla temperatura assoluta.

Sperimentalmente per pressioni non troppo elevate e non prossime a quelle di liquefa-
zione dei gas la legge di Gay-Lussac è rispettata dai gas reali, perché in tali condizioni
il loro comportamento si discosta poco da quello ideale. Analoghe verifiche sperimentali
valgono per la seconda legge riportata di seguito.
676 Termodinamica

La prima legge di Gay-Lussac offre un’interpretazione del perché lo zero assoluto sia il
valore asintoticamente più basso della temperatura raggiungibile in natura: allo zero
assoluto corrisponderebbe un gas con volume nullo, il che è privo di senso fisico.

Una trasformazione a pressione costante si chiama isobara.

La seconda legge di Gay-Lussac afferma che a volume costante le variazioni di pressione


di un gas sono direttamente proporzionali alle variazioni di temperatura.

Esprimendo la temperatura t in gradi Celsius, la pressione iniziale con P0 e quella a tem-


peratura t con Pt e ricordando il coefficiente di espansione dei gas β = 1/273,15 ◦C−1
la legge si scrive

(10.2) Pt = P0 · (1 + β · t) =⇒ Pt = P0 · β · T .

La seconda relazione rappresenta la stessa legge scritta usando la temperatura espressa


in kelvin, in analogia a quanto mostrato per la prima legge. L’analogia continua anche
per quanto riguarda l’interpretazione della seconda relazione.

La formulazione in termini di temperatura assoluta implica che la pressione di un gas


Termodinamica

a volume costante è direttamente proporzionale alla temperatura assoluta.

Questa proporzionalità è il principio in base al quale funzionano i termometri a gas.


Una trasformazione a volume costante si chiama isocora.

10.2 Legge di Boyle

La legge di Boyle afferma che a temperatura costante il prodotto del volume e del-
la pressione di un gas è una grandezza conservata, cioè P e V sono inversamente
proporzionali.

K(T )
(10.3) P · V = costante =⇒ P = .
V
La seconda relazione mostra che il valore costante dipende dalla temperatura. Anche
la legge di Boyle è sperimentalmente verificata per gas che hanno un comportamento
simile ai gas ideali, cioè per pressioni non troppo elevate e temperature lontane da
quella di liquefazione. La legge non vale per i liquidi, che sono sostanze con volume quasi
costante finché la pressione non raggiunge valori molto elevati. Una trasformazione a
temperatura costante si chiama isoterma.
Fisica 677

10.3 Definizione di mole

Si definisce mole di una sostanza la quantità di sostanza contenente un numero di


Avogadro di particelle. Analogamente una mole è la quantità di sostanza che ha massa
in grammi pari alla massa molecolare espressa in unità di massa atomica (u).

La mole è una delle grandezze fondamentali del S.I. e si misura in mol. Il numero di
Avogadro NA è il numero di atomi contenuti in 12 g di C 12 e vale 6,022 × 1023 mol−1 .
Una mole di atomi di ferro conterrà NA atomi di ferro, una mole di ossigeno allo stato
gassoso conterrà NA molecole di O2 e cosı̀ via. Una mole di atomi di C 12 corrisponde
a 12 g di C 12 , una mole di acqua corrisponde a 18,016 g di H2 O perché un atomo di
idrogeno ha massa 1,0078 u e uno di ossigeno 15,9994 u.

Il numero di moli n di una sostanza rappresenta il rapporto tra la massa m della


sostanza e la massa molare Mm . Quest’ultima non va confusa con la mole: la mole
misura la quantità di materia, che è una grandezza estensiva, la massa molare misura
la massa di una mole, che è una grandezza intensiva.

Il numero di Avogadro esprime il rapporto tra le unità di misura non omogenee g e u


e quindi non è una costante fondamentale, nonostante la sua importanza.

Quando il comportamento di un gas si avvicina a quello di un gas ideale una mole in condizioni
standard di temperatura e pressione (condizione indicata con la sigla STP e corrispondente a

Fisica
T = 273,15 K e P = PA = 101,325 kPa) occupa il volume di Avogadro VA = 22,414 l. Per i
gas ideali, quindi, il volume molare v = V /n coincide; per i gas reali invece questa proprietà,
nota come legge di Avogadro, non viene rispettata.

10.4 Equazione di stato dei gas perfetti

Un gas che soddisfa le due leggi di Gay-Lussac e la legge di Boyle viene chiamato gas
perfetto o ideale. A temperature elevate e pressioni basse ogni gas fisico si comporta
come un gas ideale.

Matematicamente le tre leggi menzionate possono essere comprese in un’unica relazione


chiamata equazione di stato dei gas perfetti che lega in uno stato di equilibrio i valori
di alcune grandezze di stato:

(10.4) P ·V =n·R·T .

La costante R è chiamata costante universale dei gas e rappresenta il lavoro compiu-


to da una mole di gas che in seguito a un’aumento di temperatura di 1 K si espande alla
pressione costante PA . Nel S.I. si ha R = 8,314 JK−1 mol−1 e si ottiene come prodotto
tra il numero di Avogadro NA e la costante di Boltzmann kB : R = NA · kB , dove
678 Termodinamica

kB = 1,38 × 10−23 JK−1 . La costante di Boltzmann è fondamentale per la trattazione


statistica dei sistemi termodinamici.

Storicamente Joule eseguı̀ un’espansione libera di un gas a bassa pressione e scoprı̀ che l’e-
nergia interna dipendeva solo dalla temperatura. Questa proprietà caratterizza i gas perfet-
ti ed è soddisfatta in condizione di alta rarefazione, quando le molecole non interagiscono
significativamente.

10.5 Legge di Dalton


Si consideri una miscela di gas ideali. Per ognuno di essi si chiama pressione parziale Pi
la pressione che avrebbe se occupasse da solo l’intero volume occupato dalla miscela.

La legge di Dalton, o legge delle pressioni parziali, afferma che la pressione totale di
una miscela ideale di gas perfetti è la somma delle pressioni parziali dei gas componenti
la miscela.

La pressione parziale Pi di un gas è proporzionale alla sua concentrazione molare ni :


Pi ni
(10.5) P = P1 + P2 + · · · + Pn , n = n1 + n2 + · · · + nn , = .
P n
Termodinamica

Se quindi in una miscela un gas è presente al 70%, la sua concentrazione sarà del 70%.
La legge di Dalton è importante perché l’aria è una miscela di gas composta per circa
il 78% da azoto N2 , per circa il 21% da ossigeno O2 e per il resto da altri gas. La
concentrazione di un gas in un liquido è quella in cui il gas nel liquido esercita la stessa
pressione che vi esercita dall’esterno (legge di Henry). Se la pressione totale raddoppia
per esempio durante un’immersione subacquea, per la legge di Dalton raddoppierà anche
la concentrazione di azoto nel sangue.

10.6 Gas reali

Un gas è detto reale quando non verifica le leggi di Gay-Lussac e la legge di Boyle,
ovvero quando per esso non vale l’equazione di stato dei gas perfetti.

Esistono diverse equazioni di stato che descrivono il comportamento di un gas reale,


una delle più usate è l’equazione di Van der Waals:
n2
 
(10.6) P + a 2 · (V − n · b) = n · R · T .
V
Il fattore numerico b si chiama covolume e il prodotto n · b rappresenta il volume
da sottrarre al volume totale del gas perché le molecole hanno un volume proprio e le
Fisica 679

repulsioni tra gli elettroni esterni delle molecole non consentono loro di sovrapporsi. Il
fattore numerico a rappresenta l’intensità delle interazioni tra le molecole del gas. Il
termine aggiunto alla pressione si chiama pressione di coesione e indica la pressione
che va sottratta a quella teorica del gas per via delle interazioni attrattive delle molecole
che limitano quella che il gas esercita sulla pareti. La pressione sulle pareti è infatti
legata al numero di urti delle molecole di gas con le pareti stesse e questo diminuisce
se le molecole si attraggono.

10.7 Teoria cinetica dei gas


Per comprendere meglio la natura della pressione di coesione conviene descrivere il
modello matematico dei gas perfetti, chiamato teoria cinetica dei gas. Questa formula-
zione rappresenta uno dei maggiori traguardi della fisica matematica classica e unisce
meccanica e statistica.
Il modello cinetico dei gas parte dalle seguenti assunzioni:

le molecole del gas sono puntiformi, ovvero il covolume è nullo;

le molecole non interagiscono tra di loro;

gli urti tra molecole e tra molecole e recipiente sono elastici;

le molecole sono identiche e indistinguibili;

il gas è isotropo: non ha direzioni privilegiate per il moto delle molecole.

Da queste assunzioni si ricavano importanti relazioni matematiche per i gas ideali, tra

Fisica
cui che un gas non può essere liquefatto per sola compressione, che il calore specifico
è indipendente dalla temperatura, che il calore specifico molare a volume costante cv
vale 3/2 R per i gas monoatomici e 5/2 R per i gas biatomici, che cv e il calore specifico
molare a pressione costante cp sono legati dalla relazione di Mayer: cp − cv = R.
Di maggior rilievo sono poi le conseguenze riguardanti l’energia cinetica media E,
che per un gas ideale è direttamente proporzionale alla temperatura assoluta T , il
che indica come la temperatura sia una grandezza macroscopica legata all’agitazione
termica delle molecole.
(10.7)
ν 3 5
E = ·kB ·T =⇒ E = ·kB ·T gas monoatomici, E = ·kB ·T gas biatomici.
2 2 2
La prima relazione deriva dal teorema dell’equipartizione dell’energia, secondo il
quale ogni grado di libertà ν comporta un contributo energetico pari a 1/2 kB · T . La
seconda relazione rappresenta l’energia di un gas monoatomico che è formata dalla sola
energia cinetica traslazionale. Essendoci nello spazio tre gradi di libertà traslazionali si
ha il fattore numerico mostrato.

10.8 Lavoro
In termodinamica il lavoro L compiuto da un sistema termodinamico sull’ambiente
esterno è considerato positivo, quello che l’ambiente Le compie sul sistema negativo.
Per determinare il lavoro compiuto da un sistema durante una trasformazione conviene
680 Termodinamica

utilizzare una trasformazione isobara reversibile quasi statica, cioè composta da un


gran numero di trasformazioni che legano stati di equilibrio i cui valori delle grandezze
di stato differiscono per quantità infinitesime. L’aggettivo reversibile sarà specificato
nella sezione 10.14. Durante la trasformazione il sistema è in equilibrio meccanico con
l’ambiente, quindi il lavoro compiuto dal sistema sull’ambiente sarà uguale e opposto a
quello compiuto dall’ambiente sul sistema: L = −Le . Questo punto di vista è necessario
perché è sempre possibile determinare le forze esterne che agiscono sul sistema mentre
è di solito arduo trovare quelle del sistema agenti sull’esterno.
Se il sistema è vincolato in un volume V di cui è fissa l’area di base S e può variare
solo l’altezza l, come mostrato in Figura 10.2, il lavoro compiuto dall’ambiente sarà
Le = F~e · ∆l,
~ quindi si ha L = Fe · ∆l. Ricordando la definizione di pressione P = F/S
si ha L = Pe · ∆V = P · ∆V perché all’equilibrio Pe = P .

Figura 10.2: Il lavoro L ottenuto comprimendo Figura 10.3: Il lavoro nel piano di Clapeyron è
un gas a pressione costante è pari al prodotto l’area delimitata dalla curva della trasformazione.
Termodinamica

P · ∆V .

Il lavoro compiuto da un sistema termodinamico durante una trasformazione isobara


è pari al prodotto della pressione P per la variazione di volume del sistema ∆V : L =
P · ∆V .

Una qualsiasi trasformazione può essere rappresentata nel piano di Clapeyron, aven-
te per ascisse il volume V e per ordinate la pressione P . Ogni punto del piano rappre-
senta uno stato di equilibrio del sistema e ogni trasformazione è una curva che collega
lo stato iniziale con quello finale. Una trasformazione ciclica è una curva chiusa.
Per una trasformazione qualsiasi il lavoro è rappresentato dall’area sottesa dalla
curva della trasformazione nel piano di Clapeyron. L’espressione matematica usata
per calcolare il lavoro in una trasformazione di un gas perfetto dipende dal tipo di
trasformazione.

10.9 Primo principio della termodinamica


Fino al XIX secolo si riteneva che il calore fluisse da un corpo ad un altro attraverso
lo scambio di un fluido, detto calorico, alla cui maggiore o minore concentrazione era
legata la temperatura di un corpo. Con il famoso esperimento con cui Joule determinò
il valore dell’equivalente meccanico della caloria si affermò l’equivalenza tra calore ed
energia.
Fisica 681

Il primo principio della termodinamica è una generalizzazione del principio di


conservazione dell’energia e afferma che anche il calore è una forma di energia.

(10.8) ∆U = Q − L .

Delle tre grandezze che compaiono nel primo principio solo l’energia interna U è una funzione
di stato, cioè ∆U dipende solo dallo stato iniziale e da quello finale. Matematicamente tale
proprietà si afferma dicendo che ∆U è un differenziale esatto. Lavoro e calore, invece, non
sono differenziali esatti e il loro valore dipende anche dalla trasformazione che collega lo stato
iniziale a quello finale.

10.10 Trasformazioni isobare

Si definisce trasformazione isobara una trasformazione termodinamica che avviene a


pressione costante.

Una trasformazione isobara soddisfa la prima legge di Gay-Lussac 10.1 e nel piano di
Clapeyron è rappresentata da un segmento orizzontale.

Fisica
Si definisce entalpia H una grandezza di stato che ha le dimensioni di un’energia:
H =U +P ·V.

Per una trasformazione isobara si ricava Q invertendo la


10.8 e sostituendo l’espressione del lavoro L = P · ∆V
si ricava che il calore è un differenziale esatto, perché
differenza di una funzione di stato:

(10.9) H = U + P · V =⇒ Q = ∆H .
Figura 10.4: Una trasformazio-
ne isobara è un segmento oriz-
10.11 Trasformazioni isocore zontale nel piano di Clapeyron.
Una trasformazione isocora soddisfa la seconda legge di
Gay-Lussac 10.2 e nel piano di Clapeyron è rappresentata da un segmento verticale.
Poiché ∆V = 0 si ha che queste trasformazioni avvengono a lavoro nullo, quindi dal
primo principio 10.8 si ricava che il calore è un differenziale esatto, perché differenza
di una funzione di stato:

(10.10) ∆V = 0 =⇒ L=0 =⇒ Q = ∆U .
682 Termodinamica

Si definisce trasformazione isocora una trasformazione termodinamica che avviene a


volume costante.

Figura 10.5: Una trasformazione isocora è un Figura 10.6: Una trasformazione isoterma è
segmento verticale nel piano di Clapeyron. un tratto di iperbole equilatera nel piano di
Clapeyron.

10.12 Trasformazioni isoterme

Si definisce trasformazione isoterma una trasformazione termodinamica che avviene a


temperatura costante.
Termodinamica

Nel piano di Clapeyron una trasformazione isoterma è un


tratto di iperbole equilatera, come mostra analiticamente
la legge di Boyle 10.3. Per un gas perfetto, poiché l’energia
interna è funzione solo della temperatura, si ha
∆U = 0 =⇒ Q = L =⇒
(10.11) VB PA
=⇒ L = n · R · T · ln = n · R · T · ln .
VA PB
La formula usata per calcolare il lavoro si ricava Figura 10.7: Un esempio di tra-
sformazione isoterma è un pas-
dall’equazione di stato dei gas perfetti 10.4. saggio di stato, come nel caso di
ghiaccio che si scioglie in acqua.

10.13 Trasformazioni adiabatiche

Si definisce trasformazione adiabatica una trasformazione termodinamica che avviene


senza scambio di calore.

Nel piano di Clapeyron una trasformazione adiabatica è una curva che ha una pendenza
maggiore di quelle di un’iperbole equilatera. Dal primo principio 10.8 poiché Q = 0, si
ha che il lavoro è un differenziale esatto:
(10.12) Q = 0 =⇒ ∆U = −L =⇒ P · V γ = costante =⇒ T · V γ−1 = costante.
Fisica 683

Ne consegue che se un gas si espande adiabaticamente


compie lavoro a scapito della sua energia interna e quindi
si raffredda. Nelle ultime due relazioni il coefficiente di
espansione adiabatica γ (anche chiamato indice adia-
batico) è il rapporto tra i calori specifici: γ = cp /cv . Que-
sto coefficiente è caratteristico di ogni sostanza ma varia
con la temperatura.
Generalizzando l’equazione dell’adiabatica a P · V n =
costante si ottiene una trasformazione politropica, che Figura 10.8: Una trasformazio-
ammette le isoterme, isocore, isobare e adiabatiche co- ne adiabatica nel piano di Cla-
me casi particolari. Nelle politropiche l’esponente n può peyron è una curva a pen-
assumere qualsiasi valore. denza maggiore di quella di
un’isoterma.

10.14 Trasformazioni irreversibili

Una trasformazione viene detta reversibile se può essere invertita riportando il sistema
nelle condizioni iniziali senza che questo comporti alcuna variazione nell’ambiente. Una
trasformazione non reversibile è detta irreversibile.

Le trasformazioni reversibili sono considerate quasistati-


che, ovvero si presuppone che la trasformazione connetta
un gran numero di stati di equilibrio che differiscono per
valori infinitesimi delle grandezze di stato.

Fisica
In natura tutte le trasformazioni sono irreversibili, ov-
vero comportano una dissipazione di energia a causa
degli attriti. Le reversibili sono un’idealizzazione. La
quasistaticità, inoltre, a rigore richiederebbe un tempo
Figura 10.9: Una trasformazio-
infinito per compiersi.
ne reale è irreversibile e compor-
ta una perdita di energia utile. È
quanto accade in una lavalamp,
dove si dissipa energia sotto for-
ma di calore generato da una
10.15 Entropia resistenza elettrica nonostante il
sistema sia ciclico.

Si definisce entropia S una grandezza di stato che aumenta con la temperatura e che
rappresenta il disordine del sistema. Per una trasformazione reversibile l’entropia si può
calcolare attraverso l’integrale di Clausius ∆Q/T tra gli stati iniziale A e finale B.


Q
(10.13) S = kB · ln Γ ⇐⇒ S= =⇒ S = n · cv · logT + n · R · logV .
T rev
La relazione di sinistra rappresenta la definizione statistica di entropia: S è il logaritmo
naturale del numero di microstati corrispondenti al macrostato del sistema, ovvero del
684 Termodinamica

numero di tutte le configurazioni possibili a livello microscopico che danno origine


allo stesso stato macroscopico. Poiché più uno stato è ordinato e minore è il numero
di configurazioni che lo realizzano, si ha che passando da uno stato ordinato a uno
disordinato l’entropia aumenta.
La relazione centrale rappresenta la definizione termodinamica di entropia: S è
l’integrale di Clausius calcolato lungo una trasformazione isoterma reversibile a
temperatura T . Poiché è una funzione di stato, quindi dipende solo dagli stati iniziale
e finale, la variazione di entropia si può calcolare lungo una trasformazione qualsiasi
che colleghi A e B. Scegliendo un’isocora reversibile seguita da un’isoterma reversibile
si ottiene per un gas perfetto la relazione di destra.

L’entropia può essere definita in termini assoluti anche in meccanica quantistica attraverso
l’entanglement, cioè la sovrapposizione di stati quantistici. In questo modo la sua definizione
è connessa all’indeterminazione di un sistema. Le definizioni sono equivalenti: meno uno stato
quantistico è puro, più sarà possibile ottenerlo come sovrapposizione di stati quindi saranno
maggiori sia l’indeterminazione che le diverse sovrapposizioni corrispondenti allo stesso stato.
Analogamente l’entropia viene definita nella teoria dell’informazione, in cui il teorema di
Shannon la lega all’incertezza connessa alla trasmissione di un segnale e al numero di bit
minimo necessario alla trasmissione, pari proprio al valore di S.

10.16 Secondo principio della termodinamica


Il secondo principio della termodinamica ha molteplici formulazioni e altrettante conse-
Termodinamica

guenze. Si può dimostrare matematicamente che tutte le formulazioni sono equivalenti.


Mentre il primo principio indica che il calore è una forma di energia, il secondo prici-
pio afferma che è una forma degradata, meno utile, rispetto alle altre. Riportiamo di
seguito i principali enunciati del secondo principio:

enunciato di Clausius: è impossibile realizzare una trasformazione termodina-


mica ciclica che abbia come unico risultato il passaggio di calore da un corpo
freddo a uno caldo;

enunciato di Lord Kelvin o di Kelvin-Planck: è impossibile realizzare una


trasformazione termodinamica ciclica il cui unico risultato sia la trasformazione
completa di calore sottratto a una sola sorgente termica in lavoro;

teorema di Carnot: è impossibile realizzare una macchina termica che abbia


rendimento unitario;

formulazione matematica: in un sistema isolato l’entropia può solo aumentare,


al più resta costante per trasformazioni reversibili;

formulazione statistica: in un sistema isolato le trasformazioni spontanee ten-


dono ad aumentare il grado di disordine del sistema.

(10.14) ∆S ≥ 0.
Fisica 685

Il teorema di Carnot afferma anche che tutte le


macchine termiche che lavorano tra due tempera-
ture hanno lo stesso rendimento e consente di di-
mostrare l’equivalenza degli enunciati di Clausius e
di
PKelvin-Planck. La disuguaglianza di Clausius Figura 10.10: Le trasformazioni sponta-
i Qi /Ti ≤ 0 permette di dimostrare l’equivalen- nee in un sistema isolato tendono ad au-
za tra il terzo e il quarto enunciato. La definizione mentare l’entropia, che al più resta co-
statistica di entropia connette la formulazione ma- stante per quelle reversibili. L’entropia
tematica con l’ultimo enunciato: se un macrostato è connessa al grado di disordine di un
è espressione di un numero maggiore di microstati sistema.
allora è più probabile che il sistema evolva verso
quel macrostato e dalla constatazione che più un macrostato è disordinato maggiore
sarà il numero di microstati corrispondenti si ha l’equivalenza degli enunciati.

Le equazioni della meccanica sono invarianti rispetto all’inversione temporale, ovvero la ci-
nematica e la dinamica descrivono allo stesso modo sia una tazza che cade da un tavolo e si
rompe in mille pezzi sia il fenomeno opposto, ovvero tanti pezzi che si ricompongono e tornano
sulla tavola a formare una tazza integra. Nel mondo reale osserviamo soltanto il primo feno-
meno e non il suo inverso grazie al secondo principio della termodinamica: soltanto la rottura
della tazza aumenta il disordine e quindi l’entropia dell’universo.
Il fenomeno inverso è possibile: bastano un po’ di colla e qualcuno che poi poggi la tazza
sul tavolo. In questo caso, però, la trasformazione non è spontanea! Se si facesse un calcolo
dell’entropia si scoprirebbe che la diminuzione dell’entropia dovuta al riportare la tazza sul
tavolo è inferiore all’aumento dell’entropia dell’universo dovuto all’incollaggio e al sollevare la
tazza.

Fisica
L’entropia è dunque una grandezza che ha una rilevanza particolare nella fisica. Le
trasformazioni ad entropia costante sono dette isoentropiche e corrispondono alle
adiabatiche reversibili.

Si dice che l’entropia introduce la freccia del tempo, ovvero discrimina tra lo scorrere
del tempo in avanti e all’indietro. Se un sistema è isolato il graduale aumento d’en-
tropia tende a uniformare ogni porzione del sistema, che giungerà in tal modo alla
morte termica, stato in cui la temperatura è uniforme e quindi non avvengono ulte-
riori processi. Anche in un sistema in tali condizioni, però, quantisticamente possono
avvenire processi che scatenano un’evoluzione del sistema.

10.17 Macchine termiche

Si definisce macchina termica qualsiasi dispositivo che trasforma calore in lavoro. Una
macchina termica generalmente assorbe calore da una sorgente termica e a sua volta
cede calore e produce lavoro.

In genere il lavoro viene prodotto attraverso l’espansione di un gas in un cilindro, quindi


per avere un lavoro continuo una macchina esegue trasformazioni cicliche. Caratteristica
686 Termodinamica

importante di una macchina termica è il suo rendimento, che rappresenta l’efficienza


della macchina.

Il rendimento η di una macchina termica è il rapporto tra il lavoro prodotto dalla


macchina e il calore da essa assorbito.

L Qa − Qc Qc
(10.15) η= = =1− .
Qa Qa Qa

Il segno di uguaglianza tra le espressioni deriva dal primo principio della termodina-
mica: essendo una trasformazione ciclica si ha ∆U = 0 e quindi L = ∆Q.

L’ultima espressione mostra che il rendimento è unitario solo se il calore ceduto è nullo,
cioè se la macchina trasforma tutto il calore assorbito in lavoro. Poiché ciò è vietato
dal secondo principio si ha che tutte le macchine hanno rendimento minore di uno.

Il teorema di Carnot ha come conseguenza che una macchina termica deve lavorare
tra due sorgenti di calore di cui una a temperatura maggiore Tc e una a temperatura
minore Tf , che la sua efficienza è tanto più grande quanto maggiore è la differenza
Tf − Tc , che il rendimento potrebbe essere unitario solo se la temperatura minore Tf
fosse lo zero assoluto.
Termodinamica

Qc Tf
(10.16) η =1− ≤1− .
Qa Tc

Il segno del teorema di Carnot è minore per le macchine reali e uguale per quelle ideali
che funzionano con trasformazioni reversibili: le macchine reali hanno efficienza minore
di quelle ideali a causa degli attriti che comportano dispersioni di calore e quindi perdire
di energia utile.

Poiché T = 0 K è un limite fisicamente irraggiungibile si ha che il rendimento deve


essere minore di uno per qualsiasi macchina termica, anche per quelle ideali che
operano trasformazioni reversibili.

10.18 Ciclo di Carnot


Esistono diversi cicli realizzabili con macchine ter-
miche, tra cui quello di Stirling e quello di Rankine
dei motori a vapore, il ciclo Otto su cui si basa
il motore a scoppio, quello Diesel e quello Wan-
kel come alternative del motore a scoppio. Il ciclo
Figura 10.11: Un ciclo di Carnot: espan-
teoricamente più rilevante è il ciclo di Carnot che sione isoterma A-B, espansione adiaba-
rappresenta una macchina ideale con il massimo tica B-C, compressione isoterma C-D,
rendimento possibile. compressione adiabatica D-A.
Fisica 687

Il ciclo di Carnot è il ciclo di funzionamento di una macchina termica ideale che opera
tra due sorgenti termiche effettuando un’espansione isoterma grazie al calore assorbito
dalla sorgente calda, un’espansione adiabatica in cui si raffredda, una compressione
isoterma in cui il gas cede calore alla sorgente fredda e una compressione adiabatica in
cui il gas si riscalda nuovamente.

Il lavoro compiuto in un ciclo dalla macchina è rappresentato nel piano di Clapeyron


dall’area racchiusa all’interno del ciclo. Se si percorre il ciclo in senso inverso si ha il
ciclo frigorifero di Carnot. In questo caso la macchina compie lavoro per sottrarre
calore alla sorgente a temperatura minore e cederlo a quella a temperatura maggiore.

Per come opera il ciclo frigorifero se si lascia aperto un frigorifero in estate la stanza in
cui si trova invece di rinfrescarsi si raffredda. La macchina infatti cede calore alla stanza
cercando di raffreddare il suo interno, che però non è più isolato, quindi lavora di più
cedendo più calore alla stanza in un circolo vizioso.

10.19 Terzo principio della termodinamica


Come il secondo principio ha più formulazioni anche il terzo ne ha diverse che possono
essere raggruppate in due enunciati equivalenti:
teorema di Nernst: è impossibile raggiungere la temperatura chiamata ze-
ro assoluto e pari a 0 K = −273,15 ◦C con un numero finito di trasformazioni

Fisica
termodinamiche;
enunciato di Planck: allo zero assoluto l’entropia di un cristallo puro è nulla.
Questo enunciato ha carattere statistico.
Il senso della seconda formulazione si spiega ricordando che l’entropia di un solido è
minore di quella di un liquido che a sua volta è minore di quella di un aeriforme. Tra i
solidi i cristalli puri hanno entropia minore. Allo zero assoluto corrisponderebbe energia
cinetica nulla, quindi molecole immobili e la configurazione mascoscopica del cristallo
in tal caso è data da un unico microstato. Dalla definizione statistica di entropia 10.13
e dal fatto che il log(1) = 0 si ricava l’asserto.

Un’ulteriore conferma della non fisicità del valore di temperatura pari allo zero assoluto
viene dalla legge di Gay-Lussac, per le quali a un gas perfetto allo zero assoluto compete
volume nullo.

Il terzo principio valse il premo Nobel per la chimica a Nernst nel 1920 ed è tuttora
sperimentalmente verificato.

L’equivalenza dei due enunciati non è scontata, tanto che alcuni affermano anche che il terzo
principio non esiste. A differenza degli altri, questo principio riguarda le basi matematiche
della termodinamica, profondamente diverse da quelle della meccanica.
688 Termodinamica

10.20 Quesiti
1) La prima legge di Gay-Lussac ha tra E che le concentrazioni parziali sono in-
le sue conseguenze una conferma della versamente proporzionali alle pressioni
validità: parziali

A del primo principio della termodinamica 5) Il fattore numerico a presente nell’equa-


zione di Van der Waals:
B del secondo principio della termodina-
mica A è maggiore per sostanze le cui molecole
hanno scarse interazioni attrattive
C del terzo principio della termodinamica
B è maggiore per sostanze le cui molecole
D del principio zero della termodinamica hanno rilevanti interazioni attrattive
E del principio dell’equilibrio termico C è maggiore per sostanze le cui molecole
hanno volume notevole
2) Quale delle seguenti affermazioni sui D è maggiore per sostanze le cui molecole
gas reali è corretta? hanno volume ridotto
E è uguale per tutte le sostanze
A rispettano sempre la prima legge di
Gay-Lussac 6) Quale dei seguenti calori specifici molari
B non rispettano mai la prima legge di di un gas perfetto è maggiore?
Gay-Lussac A quello a pressione costante
C rispettano la prima legge di Gay-Lussac B quello a volume costante
solo per pressioni elevate
C quello a entropia costante
D rispettano la prima legge di Gay-Lussac
solo per pressioni non troppo eleva- D quello a entalpia costante
te e temperatura lontane da quella di E hanno tutti lo stesso valore
liquefazione
Termodinamica

7) Secondo il primo principio della termo-


E rispettano la prima legge di Gay-Lussac dinamica:
solo per temperature non troppo vicine
a quella di liquefazione A il calore è una forma di energia
degradata
3) Quale proprietà di una grandezza di B il calore è sempre maggiore del lavoro
stato caratterizza i gas perfetti?
C il calore è sempre maggiore della
A il lavoro dipende solo dalla temperatura variazione di energia interna
B l’energia interna dipende solo dalla D il calore è una forma di energia meno
temperatura utilizzabile
E considerando anche il calore si estende
C il calore dipende solo dalla temperatura
la conservazione dell’energia
D la pressione dipende solo dalla tempera-
8) Quale delle seguenti affermazioni sul
tura
coefficiente di espansione adiabatica è
E il volume dipende solo dalla temperatu- non corretta?
ra
A coincide sempre con l’indice adiabatico
4) La legge delle pressioni parziali si basa B è il rapporto tra cp e cv
sull’assunto:
C varia con la temperatura
A che ogni miscela di gas si comporta D è caratteristico di ogni sostanza
come un gas ideale
E è minore di 1
B che i componenti di una miscela ideale
di gas si comportano come gas ideali 9) Quale delle seguenti trasformazioni
reali è irreversibile?
C che le pressioni parziali hanno sempre
somma nulla A un aereo che decolla
D che le concentrazioni parziali hanno B un bicchiere pieno di liquido che cade e
sempre somma nulla si frantuma spargendo il suo contenuto
Fisica 689

C l’espansione di un gas all’interno di un C lo stato in cui la temperatura è talmen-


pistone te elevata da disintegrare le molecole del
D la compressione isoterma di un fluido sistema
E tutte le trasformazioni considerate sono D lo stato in cui il sistema è allo ze-
irreversibili ro assoluto, in cui le molecole sono
virtualmente immobili
10) Per morte termica di un sistema
termodinamico si intende: E lo stato in cui il sistema subisce
una trasformazione cosı̀ radicale da
A lo stato in cui il sistema ha la minore non essere più considerato un sistema
temperatura possibile termodinamico
B lo stato in cui ogni parte del sistema
è identica alle altre per contenuto di
energia e di materia

10.21 Risposte commentate ai quesiti


1) La D e la E vanno escluse perché coincidono. Estrapolando la curva del volume
di un gas in funzione della temperatura secondo la prima legge di Gay-Lussac 10.1,
riportata nel grafico 10.1, si avrebbe un volume nullo per un gas allo zero assoluto,
quindi la legge è una conferma della validità del terzo principio della termodinamica.
La risposta corretta è la C .

2) La prima legge di Gay-Lussac 10.1 descrive il comportamento di un gas perfetto.


I gas reali hanno un comportamento simile a quello dei gas ideali in condizioni di
pressioni non troppo elevate e temperature non troppo vicine a quella di liquefa-
zione, quindi in tali condizioni verificano le leggi dei gas perfetti, tra cui la prima
legge di Gay-Lussac. La risposta corretta è quindi la D .

Fisica
3) La D e la E vanno escluse perché mancano le ulteriori condizioni che il volume
sia costante per la D o che la pressione sia costante per la E, ovvero i gas perfetti
verificano le leggi di Gay-Lussac. La A e la C vanno escluse perché lavoro e calore
non sono in genere grandezze di stato. La risposta corretta è la B , come scoperto
da Joule.

4) La legge di Dalton delle pressioni parziali 10.5 si ricava dall’applicazione dell’e-


quazione di stato dei gas perfetti alla miscela di gas e ai suoi componenti, quindi
la risposta corretta è la B . La C e la D sarebbero state corrette se in luogo
dell’aggettivo nulla ci fosse stata la parola unitaria.

5) L’equazione di Van der Waals 10.6 rappresenta una correzione per un gas reale
rispetto al comportamento dei gas ideali, quindi i fattori numerici in essa presenti
sono caratteristici delle diverse sostanze: la E va esclusa. La C e la D vanno
escluse perché il fattore b riguarda il volume molecolare, non a, che invece riguarda
le interazioni attrattive tra le molecole. Maggiori sono queste ultime e maggiore
sarà la pressione di coesione e quindi a. La risposta corretta è la B .

6) La C e la D vanno escluse perché rappresentano grandezze che non vengono defi-


nite in termodinamica. La E va esclusa perché la relazione di Mayer indica appunto
quale dei due tra cp e cv è maggiore. La risposta corretta è la A : la differenza tra
cp e cv è proprio pari a R secondo la relazione di Mayer.
690 Termodinamica

7) Il primo principio della termodinamica 10.8 afferma che calore, lavoro ed energia
hanno le stesse unità di misura e consiste in un’estensione della conservazione del-
l’energia inglobando in questo termine anche il calore. La risposta corretta è la E
. La A e la D vanno escluse perché rappresentano possibili enunciati del secondo
principio della termodinamica. La B e la C vanno escluse perché dipendono dal
tipo di trasformazione.

8) Il coefficiente di espansione adiabatica, anche chiamato indice adiabatico, è il rap-


porto cp /cv , quindi la A e la B vanno escluse. Dalle sue proprietà si ha che anche
la C e la D vanno escluse. La relazione di Mayer, invece, per la quale cp − cv = R,
permette di concludere che la risposta corretta è la E .
9) Soltanto le trasformazioni ideali sono reversibili, quelle reali sono tutte irreversibili,
come sancito dal secondo principio della termodinamica. La risposta corretta è
quindi la E .

10) Ogni parte di universo ha un contenuto energetico e in quanto tale può essere
considerata un sistema termodinamico, quindi la E va esclusa. Per morte termica
si intende uno stato asintotico cui tende il sistema in virtù del secondo principio della
termodinamica: lo stato più probabile è quello perfettamente omogeneo. Da un tale
stato non possono avvenire ulteriori evoluzioni del sistema per la termodinamica
classica. La risposta corretta è la B .
Termodinamica
Elettrostatica
11
Introduzione
In questo capitolo verranno trattati i fenomeni legati a distribuzioni di cariche elet-
triche in quiete. Dopo aver introdotto il campo elettrostatico e il potenziale elettrico
si darà risalto al teorema di Gauss e alle sue conseguenze. Nella seconda parte come
applicazioni verranno discussi i condensatori nei loro diversi collegamenti in un circuito.

11.1 Definizione di carica elettrica

La carica elettrica q è una proprietà fondamentale della materia, cosı̀ come lo è la


massa.

La massa gravitazionale viene introdotta in meccanica per spiegare perché tutti i cor-
pi si attraggono, per generare i campi gravitazionali e dar conto del perché un corpo
risenta di un campo gravitazionale. Dall’evidenza che alcuni corpi si attraggono e altri
si respingono con intensità di gran lunga maggiore di quella legata all’interazione gra-
vitazionale nasce l’esigenza di introdurre una nuova proprietà della materia: la carica
elettrica.
Poiché le interazioni elettriche sono sia attrattive che repulsive occorre introdurre
due tipi di carica elettrica, mentre il carattere solo attrattivo della gravità è legato a
un solo tipo di massa. I due tipi di carica elettrica vengono chiamati per convenzione
carica positiva e carica negativa, nomi che non hanno alcuna connotazione particolare
se non l’essere uno l’opposto dell’altro. L’evidenza sperimentale porta ad affermare che
corpi con carica dello stesso tipo si respingono, mentre corpi con carica di tipo opposto
si attraggono.

Non esiste la carica elettrica neutra, che sarebbe un terzo tipo di carica: se un corpo
non ha carica elettrica è detto neutro.

Nel S.I. q si misura in Coulomb (C), le sue dimensioni sono riportate nella Tabella 1.2.
Pur essendo una proprietà fondamentale della materia, a differenza della massa non
è una grandezza fondamentale del S.I., ma una grandezza derivata dall’intensità di
corrente elettrica, discussa nella sezione 12.1.

La carica elettrica q è una grandezza scalare additiva: la carica totale di una somma
di cariche è pari alla somma algebrica delle singole cariche.
692 Elettrostatica

Le particelle costituenti l’atomo, cioè elettrone e protone, hanno una carica elettrica
molto piccola: il suo modulo vale |e| = 1,6 × 10−19 C. A tal fine è più utile introdurre
l’unità di carica elettrica e, pari alla carica elettrica del protone. In queste unità
di carica il protone ha carica +1 e l’elettrone ha carica opposta −1. Il neutrone non
ha carica elettrica e gli atomi in genere sono neutri, ovvero contengono tante cariche
elettriche positive quante negative: hanno lo stesso numero di elettroni e di protoni. In
caso contrario, se hanno una carica elettrica globale non nulla si chiamano ioni.
Se un corpo ha carica elettrica risente di un campo elettrico, se ha carica elettrica
nulla invece si hanno due possibilità: se la distribuzione di carica è uniforme il corpo
non risente di un campo elettrico, se la distribuzione non è uniforme si hanno valori
diversi della densità di carica elettrica che creano dipoli elettrici.

In questo caso pur essendo un corpo globalmente neutro è come se avesse un’estremità
leggermente carica positivamente e una con una lieve carica negativa e quindi è soggetto
a forze elettriche. Molti legami chimici sono dovuti proprio alle interazioni elettriche tra
dipoli, cioè molecole globalmente neutre con distribuzione di carica elettrica non uniforme.

11.2 Conduttori, isolanti e semiconduttori


Elettrostatica

Figura 11.1: La proprietà di un materiale di essere o meno conduttore dipende dalla struttura delle bande di
valenza e di conduzione. Le linee curve laterali rappresentano la buca di potenziale elettrostatico attrattivo
del nucleo.

Il passaggio di cariche elettriche in un corpo è detto corrente elettrica, che nei solidi
consiste nel moto di elettroni. I livelli più esterni per gli orbitali elettronici degli atomi
vengono detti banda di valenza. Tale banda contiene quegli elettroni che facilmente
si sottraggono all’attrazione del nucleo e possono muoversi per il solido. Quando gli
elettroni non sono più vincolati al singolo atomo si dice che si trovano nella banda
di conduzione. L’energia associata a tale banda è superiore a quella della banda di
valenza e a seconda del gap energetico tra i due insiemi di livelli si hanno diverse
proprietà dei corpi.

conduttori Nei conduttori la differenza di energia tra banda di valenza e banda


di conduzione è piccola e gli elettroni riescono a passare facilmente nella secon-
da. In tale condizione gli elettroni non sono più vincolati al singolo atomo ma
liberi di muoversi per tutto il reticolo cristallino del solido. Sono generalmente
Fisica 693

buoni conduttori elettrici i metalli, in primis argento e rame. Per tale motivo nei
dispositivi elettronici si trovano minime quantità di argento.
isolanti Negli isolanti, anche chiamati dielettrici, il gap energetico tra le due
bande elettroniche è elevato, quindi gli elettroni sono confinati nel loro atomo.
Questa situazione rende il passaggio di cariche nel solido molto difficile, tanto che
si può considerare nulla la corrente elettrica che può scorrere in essi.
semiconduttori I semiconduttori sono materiali il cui comportamento è a metà
strada tra quello dei conduttori e degli isolanti. In condizioni normali questi
materiali si comportano come dielettrici, variando le condizioni si comportano
come conduttori. Ciò è dovuto al fatto che il gap energetico tra banda di valenza
e banda di conduzione non è elevato, quindi fornendo energia sufficiente agli
elettroni questi passano nella banda di conduzione. Tale energia viene fornita
o attraverso un aumento di temperatura che accresce l’agitazione termica degli
elettroni e quindi la loro energia cinetica o attraverso l’energia potenziale elettrica
fornita dall’applicazione di un campo elettrico.
Una grandezza scalare che permette una classifica-
zione dei materiali in conduttori, isolanti o semi-
conduttori è la resistività elettrica o resistenza
elettrica specifica %. Questa grandezza caratteristi-
ca dei materiali nel S.I. si misura in Ω m e general-
mente cresce linearmente con la temperatura. Buo-
ni conduttori in condizioni ordinarie hanno valori
Figura 11.2: In un elettrodotto i cavi so-
di % dell’ordine di 10−8 -10−7 , buoni isolanti han-
no di solito di alluminio, conduttore più
no valori di % dell’ordine di 1010 fino a 1016 . Nei

Fisica
leggero ed economico del rame sebbe-
semiconduttori % decresce esponenzialmente all’au- ne quest’ultimo abbia una resistività in-
mentare della temperatura. Degna di nota è una feriore. A differenza dei cavi dei dispo-
sitivi domestici, i cavi dell’alta tensione
lega di rame e nichel chiamata costantana, per la non sono rivestiti da uno strato di ma-
quale % non dipende dalla temperatura. teriale isolante: la stessa aria funge da
dielettrico.

Esistono anche materiali chiamati superconduttori e sono quelli che oppongono una resistenza
minima al passaggio di cariche elettriche al loro interno. Questa condizione si realizza per lo
più a bassissime temperature per composti ceramici. La temperatura alla quale un materiale
diventa superconduttore è detta temperatura critica Tc : per temperature inferiori la resistività
del superconduttore diventa nulla. Il superconduttore con la più alta temperatura ha una Tc =
−135 ◦C. Il fenomeno della superconduttività è spiegabile solo con la fisica quantistica: secondo
la teoria BCS gli elettroni formano coppie di Cooper che si comportano come particelle di un
fluido con viscosità nulla.

11.3 Tipi di elettrizzazione

Si definisce elettrizzazione il trasferimento di carica elettrica da un corpo a un altro.


Esistono tre tipi di elettrizzazione: per contatto, per strofinio e per induzione.
694 Elettrostatica

Dalla costituzione atomica della materia si sa che le


cariche positive che risiedono nei protoni sono con-
finate nel nucleo atomico, mentre alcune cariche ne-
gative possono lasciare l’atomo grazie alla mobilità
di alcuni elettroni del guscio di valenza più esterno. Figura 11.3: La carica elettrica di un
Per i solidi, quindi, il trasferimento di carica elettri- corpo induce una polarizzazione in un
ca avviene attraverso uno spostamento di elettroni. conduttore posto nelle vicinanze. Le cari-
che positive non sono protoni ma lacune,
Avendo tutti la stessa carica, gli elettroni si respin- cioè elettroni mancanti.
gono e quindi tendono a posizionarsi il più lontano
possibile l’uno dall’altro. Questa tendenza spiega il
fenomeno dell’elettrizzazione.

Elettrizzazione per contatto Quando due corpi vengono a contatto, se uno


dei due ha un eccesso di elettroni (cioè ha carica negativa) parte degli elettroni
in eccesso si spostano nell’altro corpo massimizzando le distanze tra gli elettroni.
Come risultato la carica del primo corpo viene divisa tra i due corpi.
Elettrizzazione per strofinio Quando un corpo neutro viene strofinato con un
altro corpo lungo la superficie di contatto si crea attrito dovuto allo strofinio.
L’attrito è una forza dissipativa che genera calore, che è una forma di energia.
L’energia generata dallo strofinio viene assorbita da alcuni elettroni che quindi
riescono a liberarsi dal proprio atomo. La configurazione elettronica di alcuni
elementi fa sı̀ che con opportune coppie di corpi (ad esempio strofinando vetro o
ambra con un panno di lana) gli elettroni in eccesso si dispongano su uno dei due
Elettrostatica

corpi. In tal modo il corpo che acquista elettroni acquisisce una carica elettrica
negativa, mentre quello che li ha persi una carica elettrica positiva. Generalmente
affinché un corpo venga elettrizzato deve essere un isolante.

È un esempio di elettrizzazione per strofinio la carica elettrica acquisita da un’automobile


in viaggio. Pur essendo di metallo, l’auto è isolata dal terreno dalla gomma dei pneu-
matici. L’attrito con il vento può quindi caricare l’auto, motivo per il quale capita di
avvertire una scossa elettrica nella mano quando si tocca la parte esterna dell’auto e si
mette un piede per terra indossando scarpe non isolanti.

Elettrizzazione per induzione L’elettrizzazione per induzione avviene quan-


do un corpo carico viene posto nelle vicinanze di un conduttore. Gli elettroni
liberi del conduttore, che è globalmente neutro, risentono la forza elettrica del
corpo carico, quindi migrano. Se il corpo carico ha carica negativa gli elettroni
liberi del conduttore si spostano nell’estremità opposta rispetto al corpo carico,
se quest’ultimo ha carica positiva gli elettroni liberi del conduttore si muovono
verso il corpo carico. Come risultato il conduttore si polarizza: dove ha un ec-
cesso di elettroni è carico negativamente, dove ha un difetto di elettroni è carico
positivamente. Se si allontana il conduttore, chiamato in tal caso corpo indotto,
dal corpo carico, chiamato induttore, il conduttore perde la sua polarizzazione.
Se invece si riesce a separare le due parti cariche del corpo indotto si creano due
nuovi corpi carichi.
Fisica 695

Simile all’elettrizzazione è il fenomeno della polarizzazione elettrica, che avviene ponendo


un corpo carico nelle vicinanze di un isolante. Le molecole dell’isolante vengono polarizzate:
divengono dipoli elettrici lungo la congiungente i due corpi. La parte dei dipoli verso il corpo
carico avrà una lieve carica di segno opposto a quella del corpo carico, l’altra parte avrà una
lieve carica dello stesso segno di quella del corpo carico. In tal modo pur essendo neutre le
molecole dell’isolante possono dar vita a una forza elettrostatica capace di attirare piccoli
corpi.

11.4 Legge di Coulomb

La legge di Coulomb esprime la forza elettrica che si instaura tra due cariche elettriche
q1 e q2 poste a distanza r. Tale forza è diretta lungo la congiungente le due cariche,
repulsiva per cariche di pari segno e attrattiva per cariche di segno opposto, diretta-
mente proporzionale al prodotto delle cariche, inversamente proporzionale al quadrato
della distanza e dipendente dal mezzo in cui si trovano le cariche.

1 q 1 · q2 q 1 · q2
(11.1) F€e = · ⇐⇒ k· r̂ .
4πε €r2 r2

Fisica
La costante ε si chiama costante dielettrica o
permittività elettrica del mezzo e nel S.I. si mi-
sura in C2 /(N m2 ). È una caratteristica del mezzo
in cui si trovano le cariche e ha valore minimo nel
vuoto, dove si ha ε0 = 8,854 × 10−12 C2 /(N m2 ).
In un qualsiasi altro mezzo la forza risulta mino- Figura 11.4: Cariche di segno opposto
re, quindi ε è maggiore. A tal fine si introduce la si respingono. Il campo elettrostatico to-
costante dielettrica relativa εr = ε/ε0 e si ha εr > 1. tale si può ricavare con il principio di
sovrapposizione.

I termini 1/€r2 e (1/r2 ) · r̂ sono equivalenti, in realtà il primo è più rapido ma il secondo
è matematicamente più corretto. Il simbolo r̂ indica un versore, ovvero un vettore di
modulo unitario, serve quindi soltanto ad esprimere direzione e verso della forza.

Per analogia con l’espressione della forza di gravità 5.2 la costante dielettrica viene
inglobata nella costante di Coulomb k. Mentre la costante di gravitazione universale
G è davvero universale, k invece dipende dal mezzo. Nel vuoto si ha il valore k =
8,99 × 109 N m2 /C2 , le sue unità di misura si possono ricavare invertendo la legge di
Coulomb.
696 Elettrostatica

La legge di Coulomb, come la legge di gravitazione universale, è una forza centrale,


quindi per essa vale la legge di Gauss. In altri termini la legge di Coulomb può essere
estesa a cariche non puntiformi utilizzando il principio di sovrapposizione degli effetti.
La forza elettrostatica esercitata da una carica non puntiforme si ottiene sommando
vettorialmente le forze di ogni porzione puntiforme della distribuzione di carica. Ne
consegue che per una carica con distribuzione simmetrica come quella sferica, ad
esempio, si può considerare la forza elettrostatica esercitata da una carica puntiforme
posta nel centro della sfera di carica e pari alla somma algebrica delle cariche della
distribuzione.

11.5 Campo elettrostatico


La legge di Coulomb, cosı̀ come la legge di gravita-
zione universale, presenta il problema dell’azio-
ne a distanza. Non solo la forza non ha bisogno
di un mezzo per propagarsi, cioè si propaga anche
nel vuoto, ma ha un’azione istantanea anche tra
cariche poste a grande distanza. Figura 11.5: Il campo elettrostatico ge-
nerato da una carica positiva ha linee di
La soluzione a questi problemi teorici è rappre- flusso radiali uscenti, quello di una ca-
sentata dall’introduzione del campo elettrostatico, rica negativa ha linee entranti. Il cam-
un’entità fisica e non solo matematica. po è sempre ortogonale alle superfici
equipotenziali.

€
Il campo elettrostatico E(r) è una regione di spazio le cui proprietà sono modificate
dalla presenza di una carica elettrica Q in quiete detta sorgente del campo. In ogni
Elettrostatica

punto di tale regione il campo è dato dal rapporto tra la forza elettrostatica che si
esercita tra la sorgente Q e una carica puntiforme di prova q e la carica q stessa e ha
stessa direzione e verso della forza elettrostatica.

€ F€e (r) € Q €r
(11.2) E(r) = =⇒ E(r) = · .
q 4πε |€r|3
Il campo elettrostatico E € si propaga alla velocità della luce e la sua intensità nel S.I.
si misura in V/m, le sue dimensioni sono riportate nella Tabella 1.2.
L’espressione di destra nella 11.2 rappresenta il campo elettrostatico generato da
una carica sorgente puntiforme Q. I termini 1/€r 2 e €r/|€r|3 sono modi analoghi di indicare
lo stesso termine, il primo è più rapido ma il secondo è matematicamente più corretto.
Un’altra alternativa matematicamente corretta è (1/r2 ) · r̂, come già indicato per la
legge di Coulomb. Le linee di forza del campo generato da una carica puntiforme
sono mostrate nella figura 11.5: sono radiali e uscenti dalla carica se questa è positiva,
entranti se è negativa.
In realtà l’informazione contenuta nel campo elettrostatico di una carica puntiforme è
ridondante. Il campo, infatti, ha simmetria centrale perché la forza è centrale, quindi a
parità di mezzo e di cariche non occorrono tre gradi di libertà per calcolare il valore del
campo in un punto ma solo uno: la distanza da Q. Ne consegue che una funzione scalare
della distanza da Q potrebbe descrivere le stesse informazioni di E. € Tale funzione è il
potenziale elettrico, descritto nella sezione 11.7.
Fisica 697

11.6 Energia potenziale elettrostatica


Il campo elettrostatico è il campo di una forza centrale, come accadeva per la gravità.
Questa analogia matematica può far intuire che anche questo è un campo conser-
vativo ed è quindi possibile definire un’energia potenziale elettrostatica. Nei campi di
forza centrale, infatti, l’importante è la variazione di distanza dalla carica sorgente del
campo e non il percorso legato a tale variazione: il lavoro non dipende dal percorso ma
solo dalle posizioni iniziali e finali.
Si definisce energia potenziale elettrostatica Ue (r) una funzione scalare della posizione
che rappresenta l’energia posseduta da una carica di prova q posta all’interno di un
campo elettrostatico E ~ in virtù della posizione ~r che essa occupa rispetto alla carica
sorgente Q.

1 Q·q
(11.3) Ue (A) − Ue (B) = LA→B =⇒ Ue (r) = · .
4πε r
La seconda espressione indica l’energia potenziale a distanza r da una carica puntifor-
me sorgente Q e per poterla definire va assunta l’ipotesi che a distanza infinita dalla
sorgente si abbia Ue (∞) = 0. Ovviamente nel S.I. Ue si misura in J e ha le dimensioni
di un’energia, indicate nella Tabella 1.2.

Il segno dell’energia potenziale elettrica dipende dal segno della carica elettrica, a
differenza di quella gravitazionale in cui la massa è sempre positiva.
La densità di energia elettrica potenziale ue contenuta in una regione di volume V può
essere espressa dalle seguenti formule:

Fisica
1 1 ~ ~
(11.4) ue = · ε0 · E02 , ue = ·E ·D.
2 2
La prima espressione vale nel vuoto, la seconda in un dielettrico, cioè un mezzo, di
~ è chiamato induzione elettrica e tiene conto anche
costante dielettrica ε. Il vettore D
della polarizzazione del dielettrico dovuta alla presenza del campo elettrostatico. Per
mezzi omogenei ed isotropi si ha la semplice relazione D ~ = ε · E.
~ D~ nel S.I. si misura
in C/m2 .
Il vettore di polarizzazione elettrica P~ definito dalla relazione D~ = εE ~ + P~ per
mezzi omogenei ed isotropi è direttamente proporzionale al campo elettrostatico:

(11.5) P~ = (εr − 1) · ε0 · E
~ = ε0 · χ · E
~.

La grandezza scalare adimensionale χ = εr −1 è detta suscettività elettrica e misura


la polarizzazione del dielettrico. Per il vuoto è infatti nulla.

11.7 Potenziale elettrico


Il potenziale elettrico V (r) è una funzione scalare della posizione definita come l’energia
potenziale per unità di carica.
698 Elettrostatica

Ue (r) 1 Q
(11.6) V (r) = = · .
q 4πε r

Nel S.I. V si misura in volt (V), le sue dimensioni sono riportate nella Tabella 1.2.
V dipende solo dalla carica sorgente, dal mezzo e dalla distanza. L’espressione del
potenziale a distanza r da una carica sorgente puntiforme Q mostra che questa funzione
ha simmetria radiale. I punti dello spazio che hanno lo stesso valore di V formano
superfici equipotenziali. Per una carica puntiforme queste sono sfere concentriche,
come mostrato in Figura 11.5.

Matematicamente V è definito a meno di una costante arbitraria, che andrebbe fissata con
opportune condizioni al contorno. Nella pratica è rilevante la differenza di potenziale (d.d.p.),
anche chiamata tensione, quindi il valore della costante arbitraria è ininfluente.

11.8 Tensione e lavoro


Combinando le relazioni 11.3 e 11.6 si ricava un’espressione che lega il lavoro alla d.d.p.

LA→B
(11.7) LA→B = q · (V (A) − V (B)) ⇐⇒ ∆V = V (B) − V (A) = − .
q
Elettrostatica

In altri termini il potenziale elettrico nel campo elettrico svolge lo stesso ruolo del-
l’altezza nel campo dei gravi. Una carica posta in un campo elettrico si muove solo
tra punti a potenziale diverso, tentando di diminuire la propria energia potenziale cosı̀
come un grave posto in alto cade per diminuire la propria energia potenziale gravita-
zionale. Le cariche non si muovono lungo le superfici equipotenziali, che sono sempre
ortogonali alle linee di flusso del campo elettrico in ogni punto.

Per far funzionare apparecchi elettrici ad uso domestico li si collega ad una presa di
corrente, dove si legge l’indicazione 220 V. Ciò significa che la d.d.p. tra la presa e un
punto di riferimento, usualmente chiamato massa o terra, è pari a 220 V. Spostando
elettroni all’interno dell’apparecchio grazie a questa tensione si compie lavoro facendo
funzionare l’apparecchio.

Uguagliando la definizione meccanica di lavoro come di prodotto tra forza per spo-
stamento e quella appena data di prodotto di carica per tensione si ottiene una rela-
zione tra modulo del campo elettrico E e potenziale elettrico V valida per spostamenti
ortogonali alle superfici equipotenziali:

∆V
(11.8) L = Fe · ∆l = q · E · ∆l , L = −q · ∆V =⇒ E=− .
∆l

Da questa relazione si capisce perché nel S.I. E si misura in V/m. Dall’identità 1 V/m
= 1 N/C si ricava che E può anche essere espresso in N/C.
Fisica 699

Matematicamente la relazione 11.8 si esprime dicendo che il campo elettrostatico è l’opposto


del gradiente del potenziale elettrico.

Il lavoro compiuto per spostare la carica di un protone tra due punti a d.d.p. di 1 V,
pari a 1,6 × 10−19 J, è chiamato elettronvolt ed è un’unità di misura di energia su scala
atomica e subatomica.

11.9 Teorema di Gauss


Come descritto nella sezione 2.6, ad ogni campo vettoriale concatenato con una super-
ficie si può associare una grandezza scalare chiamata flusso, pari al prodotto scalare
del campo per la superficie orientata. Al flusso del campo elettrostatico attraverso una
superficie chiusa è legato il teorema di Gauss.

Il teorema di Gauss afferma che il flusso del campo elettrostatico attraverso una super-
ficie chiusa è pari al rapporto tra la carica totale interna alla superficie e la costante
dielettrica del mezzo.

Il teorema di Gauss vale per qualunque superficie


chiusa, non solo per quelle sferiche. Essendo di fa-
cile verifica sperimentale e discendendo dalla leg-
ge di Coulomb consente di verificare la validità di
quest’ultima. Se all’interno della superficie chiusa
la carica elettrica totale è nulla si ha ovviamente

Fisica
che il flusso del campo elettrostatico attraverso la
superficie è nullo. Figura 11.6: La zona a curvatura mag-
Dal teorema di Gauss per il campo elettrostatico giore della superficie esterna di un con-
si traggono rilevanti conseguenze per i conduttori in duttore ha maggiore densità di carica: nei
pressi delle punte il campo elettrico è più
equilibrio elettrostatico, tra cui:
intenso.

All’interno di un conduttore carico il campo elettrostatico è nullo: gli


elettroni liberi si dispongono in modo da massimizzare la loro distanza e la somma
vettoriale delle interazioni è nulla. Poiché il campo è dato dal prodotto di forza
per carica si ha che il campo risultante è nullo dato che la carica per ipotesi non
è nulla. Il campo elettrostatico all’esterno del conduttore è inoltre perpendicolare
alla superficie esterna del conduttore.

In un conduttore le cariche libere si dispongono solo sulla superficie:


se infatti all’interno il campo è nullo, applicando il teorema si ricava che anche la
somma delle cariche interne è nulla, quindi si hanno cariche solo sulla superficie.

Tutti i punti del conduttore hanno lo stesso potenziale, detto potenziale


del conduttore: in particolare la superficie esterna del conduttore è equipoten-
ziale. Infatti all’interno il campo è nullo, quindi anche il lavoro sarà nullo. Poiché
il lavoro è dato dal prodotto di carica per d.d.p. si ricava che la d.d.p. è nulla e
quindi l’asserto.
700 Elettrostatica

In prossimità della superficie esterna del conduttore il campo elet-


trostatico è pari al rapporto tra la densità superficiale di carica e la
costante dielettrica, ovvero E = σ/ε: questa proprietà si ricava consideran-
do che le superfici sono equipotenziali e che il campo elettrostatico è sempre
ortogonale a tali superfici.
Potere delle punte o effetto punta, ovvero nelle zone in cui il conduttore
ha minore curvatura il campo elettrostatico è più intenso: dalla proprietà
precedente si ha che la densità superficiale di carica è maggiore dove la curvatura
è maggiore, ovvero nelle zone appuntite.
L’ultima proprietà deriva dalla definizione di densità superficiale di carica: σ = Q/S.
Considerando per semplicità una superficie sferica S = 4π r2 si ricava che σ è inversa-
mente proporzionale al quadrato del raggio di curvatura. Questo andamento vale per
qualsiasi superficie. Dove quindi la curvatura è maggiore, ovvero il raggio di curvatu-
ra è minore, nelle punte, la densità è molto grande. Poiché il campo elettostatico è
proporzionale a σ si ricava la proprietà.

Sull’ultima proprietà si basano diversi fenomeni osservabili. Il motivo per il quale durante
un temporale in campagna è più probabile che un fulmine colpisca un albero piuttosto che
una parte piana di terreno è che l’albero è una punta, quindi il campo elettrostatico della
terra è maggiore nella sua prossimità e il fulmine è attratto verso l’albero. Il fulmine
infatti non è altro che un passaggio enorme e repentino di carica elettrica all’interno
dell’atmosfera.
Allo stesso modo durante un temporale con fulmini lungo una spiaggia conviene stendersi
Elettrostatica

a terra per non essere una punta e attirare la saetta. Su questo stesso principio si basano
i parafulmini, che non sono altro che punte metalliche poste sugli edifici con lo scopo di
evitare che i fulmini si scarichino dentro le abitazioni. Elemento essenziale del parafulmine
è la messa a terra, altrimenti l’edificio cui è collegato resta carico e una persona potrebbe
fungere da chiusura del circuito prendendo una forte scossa elettrica.

Il parafulmine è un esempio di gabbia di Faraday. Con


questo nome si intende qualsiasi struttura formata da un
conduttore che serve a schermare da un campo elettrosta-
tico esterno il suo contenuto. A tal fine non c’è bisogno
che il contenitore sia chiuso può essere formato anche da
Figura 11.7: Per evitare l’effet-
maglie metalliche, da cui il nome gabbia. Questa applica-
to corona degli elettrodotti, ov-
zione del teorema di Gauss si trova ad esempio nelle sale di vero archi elettrici verso il suo-
calcolo, dove per proteggere le macchine da campi esterni lo, i cavi dell’alta tensione van-
di disturbo si rivestono le pareti interne della stanza con no posti ad una certa altezza dal
terreno.
maglie metalliche.

Un altro effetto derivato dall’applicazione del teorema di Gauss è noto come effetto corona.
Quando la differenza di potenziale tra un conduttore e un altro punto è sufficientemente
elevata, l’intenso campo elettrico ionizza il dielettrico e si crea una scarica: un arco elettrico
che collega il punto a potenziale maggiore con quello a potenziale minore. Di solito l’arco si
origina dalle punte del conduttore. Questo fenomeno può avvenire anche negli elettrodotti:
l’alta tensione può ionizzare l’aria facendola divenire un plasma. Se posti troppo in basso si
potrebbe anche generare un arco fino al terreno.
Fisica 701

Oltre all’altezza, una superficie molto liscia dei cavi riduce questo rischio perché riduce le
possibili punte. Questo effetto ha anche applicazioni utili, viene ad esempio impiegato per
ionizzare l’aria rendendola più salubre o per filtrarla.

11.10 Capacità elettrica


Fornendo una carica elettrica a un conduttore, questo si troverà ad un certo potenziale
elettrico, tanto maggiore quanto è maggiore la carica, come si può intuire dalla 11.6.

Si definisce capacità elettrica C il rapporto tra la variazione di carica elettrica di un


conduttore e la corrispondente variazione di potenziale elettrico.

∆Q
(11.9) C= .
∆V
Nel S.I. C si misura in Farad, (simbolo F) e le sue dimensioni sono riportate nella
Tabella 1.2. La capacità dipende dalla forma geometrica del conduttore, dalle sue di-
mensioni e dal mezzo in cui si trova. Si può immaginare C come una grandezza che
indica quanta carica si può immagazzinare in un conduttore quando questo assume un
certo potenziale.

11.11 Condensatore
Applicando il teorema di Gauss a una lastra piana di con-

Fisica
duttore avente densità superficiale di carica elettrica σ
immersa in un mezzo con costante dielettrica ε, si ricava
che nelle zone prossime alla lastra ma lontane dai bor-
di il campo elettrostatico è uniforme, normale alla lastra
e ha modulo E = σ/(2 ε). Questa relazione non è per-
fettamente verificata ai bordi perché il risultato si ricava
nell’ipotesi di lastra piana infinita.
Ponendo due lastre piane parallele a distanza d l’una
dall’altra si crea un condensatore, in tal caso le lastre si
chiamano anche armature del condensatore. Se la prima Figura 11.8: Il campo elettrico
E in un condensatore piano è
armatura ha densità di carica σ l’altra per induzione avrà uniforme e direttamente propor-
densità −σ. Il risultato della singola lastra piana, grazie al zionale alla tensione ∆V ai capi
principio di sovrapposizione, fornisce il valore del campo delle sue armature.
elettrostatico del condensatore piano.

Il campo elettrostatico è nullo all’esterno delle armature, tra le due armature è orto-
gonale alle stesse, uniforme, va dall’armatura positiva a quella negativa e ha modulo
E = σ/ε.

All’interno del condensatore piano il campo elettrostatico è legato al potenziale dalla re-
lazione E = ∆V /d, formula dimensionalmente coerente con la definizione di potenziale
11.8.
702 Elettrostatica

Qualsiasi coppia di conduttori tra cui vi è induzione completa, ovvero tali che le linee
di flusso uscenti dall’uno entrano nell’altro, e isolati l’uno dall’altro viene detta con-
densatore. La capacità elettrica del condensatore è il rapporto tra il valore assoluto
della carica posta su una delle armature del condensatore e la tensione che si instau-
ra tra le due armature. In un condensatore l’accumulo di carica elettrica si traduce
nell’immagazzinamento di energia elettrostatica pari al lavoro compiuto per caricare il
condensatore.

|Q| S Re · Ri l
(11.10) C= =⇒ C = ε · , C = 4πε · , C = 2πε · .
∆V d Re − Ri log(Re /Ri )

La prima relazione è la definizione di capacità di un condensatore, le tre relazioni se-


guenti sono rispettivamente la capacità di un condensatore piano, quella di un conden-
satore sferico formato da una sfera esterna di raggio Re e una sfera concentrica interna
di raggio Ri , quella di un condensatore cilindrico formato da due cilindri coassiali lunghi
l di cui quello esterno ha raggio Re e quello interno raggio Ri .
Se le due armature di un condensatore vengono poste a una tensione ∆V , per
portare una carica Q sulle armature bisogna compiere un lavoro L = Q·∆V per vincere
le forze elettriche. Questo lavoro si traduce in energia elettrostatica immagazzinata nel
condensatore e si dimostra che tale energia vale

1 Q2
Elettrostatica

1 1
(11.11) Uc = Q · ∆V = C · ∆V 2 = .
2 2 2 C

Le due uguaglianze derivano dalla definizione di capacità elettrica 11.10.

11.12 Condensatori in serie e in parallelo


Condensatori in serie: Se un’armatura di un condensatore di capacità elettrica
C1 viene collegata a un’armatura di un altro condensatore di capacità C2 si dice
che i due condensatori sono collegati in serie. Per l’induzione elettrica l’armatura
del secondo condensatore collegata a quella del primo avrà carica opposta a que-
st’ultima, mentre l’altra armatura del secondo condensatore avrà la stessa carica,
come mostrato in Figura 11.9.
Considerando gli estremi della serie, la d.d.p. ∆V = V (B) − V (A) viene sud-
divisa ai capi dei due condensatori. Indicando con ∆V1 la tensione ai capi del
primo condensatore e con ∆V2 quella ai capi del secondo, per la conservazione
dell’energia si ha ∆V = ∆V1 + ∆V2 . Invertendo la definizione di capacità 11.10
si ottengono le relazioni ∆V1 = Q/C1 e ∆V2 = Q/C2 , che inserite nella somma
delle tensioni consentono di definire la capacità equivalente della serie:
   
Q Q 1 1 Q 1 1 1
(11.12) ∆V = + =Q· + = ⇐⇒ = + .
C1 C2 C1 C2 Ceq Ceq C1 C2
Fisica 703

Figura 11.9: Nei condensatori in serie la tensio-


ne viene ripartita ai capi dei due condensatori,
in quelli in parallelo si ha la stessa tensione ai
capi dei due condensatori.

Si ha che l’inverso della capacità equivalente di una serie di condensatori è pari alla
somma degli inversi delle capacità dei singoli condensatori.

Da questa definizione segue che Ceq è sempre minore delle singole capacità. Nel
caso particolare C1 = C2 si ha Ceq = C1 /2.

Condensatori in parallelo: Se due condensatori sono collegati in modo tale


che la prima armatura del primo abbia la stessa carica della prima armatura del
secondo e la seconda armatura del primo abbia la stessa carica della seconda
armatura del secondo, come mostra in Figura 11.9, si dice che sono collegati in
parallelo.
Il collegamento tra le armature le pone allo stesso potenziale, quindi le tensioni

Fisica
dei due condensatori sono le stesse: ∆V1 = ∆V2 . Per la conservazione della
carica elettrica, invece, la carica Q del parallelo sarà data dalla somma della
carica del primo condensatore Q1 e di quella Q2 del secondo: Q = Q1 + Q2 .

Definendo la capacità equivalente del parallelo come rapporto tra la carica totale del
parallelo e la tensione ai capi del parallelo, si ottiene che Ceq è la somma delle singole
capacità ed è quindi maggiore delle capacità dei singoli condensatori.

Q Q1 + Q2 Q1 Q2
(11.13) Ceq = = = + =⇒ Ceq = C1 + C2 .
∆V ∆V ∆V ∆V

11.13 Quesiti
1) Per dipolo elettrico si intende: C un oggetto con un’estremità carica
positivamente e l’altra negativamente
A un oggetto attraversato da cariche D un legame tra due molecole
elettriche da un’estremità ad un’altra
E nessuna delle precedenti affermazioni è
B un oggetto con due cariche elettriche corretta
704 Elettrostatica

2) Le cariche positive sulla superficie di un E ponendo due cariche in un gas ioniz-


conduttore sono: zato l’interazione elettrica tra le due
è maggiore che nel vuoto a parità di
A protoni provenienti da nuclei atomici distanza
B protoni provenienti da idrogeno ionizza- 6) Ponendo nel vuoto alla stessa distan-
to za reciproca quattro coppie di cariche
C protoni liberi catturati dagli elettroni in elettriche di pari segno, quale delle se-
eccesso del corpo guenti coppie si respinge con intensità
maggiore?
D lacune lasciate da elettroni che hanno
abbandonato il corpo A due sfere di ferro di raggio 1 m
E protoni liberi legati ad isotopi del B due sfere d’argento di raggio 1 m
materiale che si portano in superficie C due sfere d’oro di raggio 1 m
3) Per temperatura critica di un supercon- D due sfere di platino di raggio 1 m
duttore si intende: E tutte le coppie si respingono con la
stessa intensità
A la temperatura massima alla quale il
materiale superconduce 7) Quale delle seguenti affermazioni relati-
ve a una superficie equipotenziale non è
B la temperatura minima alla quale il
corretta?
materiale superconduce
C la temperatura minima alla quale il A tutti i suoi punti hanno lo stesso valore
materiale diventa isolante di potenziale elettrico
B è sempre ortogonale alle linee di flusso
D la temperatura massima alla quale il
del campo elettrostatico
materiale diventa isolante
C una carica non si muove lungo di essa
E la temperatura alla quale il materiale si
rompe D il lavoro per un percorso qualsiasi su di
essa è nullo
Elettrostatica

4) Se si porta una locomotiva a vapore ad E tutte le affermazioni sono equivalenti


alta velocità in una giornata ventosa:
8) Qual è la procedura più sicura da segui-
A la locomotiva si elettrizza molto perché re se si viene sorpresi da un temporale
ha una grande massa metallica con fulmini in aperta campagna?

B la locomotiva non si elettrizza perché ha A ripararsi sotto le fronde di un albero


una propulsione non elettrica B entrare nel tronco cavo di un albero
C la locomotiva non si elettrizza perché C ripararsi nei resti di una torre e usare il
poggia con ruote metalliche su binari telefono cellulare per chiamare soccorsi
metallici
D stendersi in una buca nel terreno
D la locomotiva si elettrizza molto per
E correre per i campi fino ad uscire dal
l’alta velocità
raggio d’azione del temporale
E la locomotiva si elettrizza molto perché
la giornata è ventosa 9) Se si collegano in parallelo due conden-
satori di pari capacità:
5) Quale delle seguenti affermazioni non è
A la capacità equivalente del parallelo è
equivalente alle altre?
uguale al valore di capacità di uno
qualsiasi dei due condensatori
A la costante dielettrica assoluta ha valore
minore nel vuoto B la capacità equivalente del parallelo
è uguale al doppio della capacità dei
B la costante dielettrica relativa del vuoto singoli condensatori
è unitaria
C la capacità equivalente del parallelo
C la costante dielettrica relativa di un è uguale alla metà della capacità dei
mezzo è maggiore rispetto a quella del singoli condensatori
vuoto
D la capacità equivalente del parallelo è
D l’interazione elettrica nel vuoto è più uguale al quadruplo della capacità dei
intensa singoli condensatori
Fisica 705

E la capacità equivalente del parallelo è B è pari alla velocità massima raggiungi-


uguale a un quarto della capacità dei bile nel vuoto da un protone
singoli condensatori
C è pari alla velocità della luce
10) Il campo elettrostatico risolve il proble-
ma dell’azione a distanza. La velocità di D è pari alla velocità della luce nel vuoto
propagazione del campo:
A è pari alla velocità massima raggiungi- E è pari alla velocità massima di polariz-
bile nel vuoto da un elettrone zazione in un mezzo superconduttore

11.14 Risposte commentate ai quesiti


1) Se un oggetto viene polarizzato le sue cariche si dispongono a formare un dipolo:
le cariche positive libere ad un’estremità e le negative all’altra. Ciò può verificarsi
anche per corpi globalmente neutri a seguito di induzione. La risposta corretta è la
C . La D va esclusa perché sebbene sia vero che la natura di molti legami molecolari
risieda nelle interazioni elettriche tra dipoli, questo non esaurisce la definizione di
dipolo.

2) Fornendo energia ad un conduttore, ad esempio attraverso calore, alcuni elettroni


degli strati più esterni possono arrivare all’energia sufficiente a vincere le forze
attrattive che li tengono legati agli atomi del corpo e a migrare su un altro corpo.
In tal modo il conduttore resta con cariche negative in meno, ovvero cariche positive
non bilanciate. Ciò non significa che le cariche positive si portano in superficie, esse
restano identificate dai protoni nei nuclei. Le cariche positive sulla superficie di un
conduttore sono lacune, ovvero assenze di elettroni. La risposta corretta è la D .

3) Alla temperatura critica si ha il passaggio alla fase superconduttiva, per temperatu-

Fisica
re inferiori il materiale oppone una resistenza nulla al passaggio di cariche elettriche,
per temperature superiori la resistività non è nulla. La risposta corretta è quindi la
A.

4) Un’auto si elettrizza in una giornata ventosa perché lo strofinio del vento sulla
carrozzeria produce cariche che non possono disperdersi nel terreno a causa della
gomma isolante delle ruote. Una locomotiva invece è messa a terra, ovvero attraverso
il metallo delle ruote le cariche in eccesso si disperdono lungo i binari, che pure sono
conduttori. La risposta corretta è la C .

5) La risposta corretta è la E . Le altre affermazioni si equivalgono nel dire che le


interazioni elettriche nel vuoto sono maggiori che in un altro mezzo, come attesta il
fatto che la costante dielettrica del vuoto è la minima possibile e quindi quella rela-
tiva è unitaria, mentre gli altri mezzi hanno costanti dielettriche relative maggiori.
Essendo al denominatore, un valore maggiore di ε implica una forza meno intensa.

6) La legge di Coulomb 11.1 ha una dipendenza dal prodotto delle cariche, dalla di-
stanza e dal mezzo, non dal materiale di cui fanno parte le cariche. Ne consegue
che la risposta corretta è la E .

7) Per definizione una superficie equipotenziale ha tutti i punti allo stesso valore
del potenziale ed è ortogonale alle linee di flusso del campo elettrico: la A e la
B vanno escluse. Poiché le cariche si muovono solo da punti a potenziale maggiore
706 Elettrostatica

verso punti a potenziale minore si può escludere la C . Dalla definizione di lavoro


11.7 segue che la D va esclusa. La risposta corretta è la E .
8) Tra le conseguenze del teorema di Gauss vi è il potere delle punte: il campo elet-
trostatico è più intenso in prossimità di oggetti appuntiti. Poiché un valore più
intenso del campo elettrostatico guida i fulmini è sconsigliabile trovarsi accanto a
un albero, quindi la A e la B vanno escluse. I resti di una torre hanno comunque
una forma appuntita rispetto alla campagna e il telefono cellulare ha comunque un
campo elettromagnetico, quindi anche la C va esclusa. La E va esclusa perché il
corpo umano è una punta rispetto alla pianura. La risposta corretta è la D .
9) Dalla relazione 11.13 si ricava che la capacità equivalente è la somma delle capacità
dei singoli condensatori, quindi la risposta corretta è la B .

10) La E va esclusa perché usa termini che si riferiscono ad ambiti diversi. La risposta
corretta è la C , mentre la D va esclusa perché la luce in un mezzo si muove con
velocità inferiore a quella nel vuoto, dipendente dal mezzo. Poiché non è specificato
il mezzo va scelta l’alternativa più generica, quindi la C .
Elettrostatica
Elettrodinamica
12
Introduzione
In questo capitolo verranno trattati i fenomeni connessi con il passaggio di corren-
te elettrica in un conduttore e in un circuito elettrico. Nella seconda parte si fisserà
l’attenzione sui principi fisici alla base delle regole per la risoluzione dei circuiti.

12.1 Corrente elettrica

Figura 12.1: La corrente elettrica è un flusso di Figura 12.2: La corrente elettrica nei condutto-
elettroni in un conduttore metallico. Le lampa- ri metallici è un flusso di elettroni. In regime di
dine tradizionali ad incandescenza utilizzano fi- A.C. la zona scura centrale del conduttore non
lamenti di tungsteno sotto vuoto che al passag- sarebbe attraversata da corrente a causa dell’ef-
gio di corrente si scaldano cosı̀ tanto da divenire fetto pelle: la corrente scorrerebbe solo in uno
incandescenti ed emettere luce. spessore esterno.

Si definisce corrente elettrica i un flusso di cariche elettriche, ovvero una quantità di


carica elettrica che attraversa una superficie in un certo intervallo di tempo. Si può
avere una corrente elettrica in un solido, in un liquido, in un aeriforme e in un plasma.

∆q
(12.1) i= .
∆t
Nel S.I. l’intensità di corrente elettrica i è una grandezza fondamentale e si misura in
ampere (simbolo A), dalla definizione si ha che 1 A = 1 C/1 s. Se la corrente è costante
il numero di cariche in una data sezione di conduttore è costante, cionondimeno si
parla di corrente elettrica, ragion per cui spesso la 12.1 si scrive semplicemente come
i = q/∆t.

Le particelle cariche di un corpo non soggetto a nessuna d.d.p. non sono comunque ferme.
In un fluido sono soggette al moto browniano, dovuto all’agitazione termica, e anche in un
solido gli elettroni di conduzione si muovono per agitazione termica. La velocità degli elettroni
connessa all’agitazione termica a temperature ordinarie è dell’ordine di 105 m/s.
708 Elettrodinamica

Se al moto caotico si sovrappone un moto di deriva, in inglese drift, questa componente del
moto è quello che chiamiamo corrente elettrica. In ogni secondo le cariche si muovono in tutte
le direzioni ma un po’ di più nella direzione indicata dalla corrente. Applicando una d.d.p. ai
capi di un conduttore si genera una velocità di deriva negli elettroni che, pur essendo di vari
ordini di grandezza inferiore a quella legata all’agitazione termica, generalmente dell’ordine
di 10−5 m/s, rappresenta la velocità di propagazione della corrente elettrica.

Le cariche elettriche il cui movimento genera la corrente elettrica sono dette portatori
di carica. La loro natura dipende dal mezzo in cui si ha passaggio di corrente. Nei
conduttori solidi, soprattutto nei solidi metallici che hanno una struttura cristallina ed
elettroni liberi nella banda di conduzione, la corrente elettrica consiste in un passaggio
di elettroni. Nei solidi, quindi, i portatori di carica sono gli elettroni. In alcuni casi
si considera il moto di elettroni come il moto inverso di cariche positive, chiamate
lacune. Queste considerazioni sono particolarmente utili nelle giunzioni tra materiali
semiconduttori con polarizzazione diversa. Nei fluidi i portatori di carica sono ioni sia
positivi, detti cationi, che negativi, detti anioni, che si muovono rispettivamente verso
il polo a potenziale negativo, il catodo, e quello a potenziale positivo, l’anodo.

Storicamente si riteneva che la corrente fosse dovuta a un moto di cariche positive,


quindi il segno convenzionale della corrente nei circuiti elettrici è opposto al reale
flusso di elettroni. Questi ultimi andrebbero dal polo negativo a quello positivo,
mentre per convenzione la corrente nei circuiti va dal polo positivo a quello negativo.
Pur avendo un verso, i è una grandezza scalare.
Elettrodinamica

12.2 Prima e seconda legge di Ohm


Tralasciando i superconduttori, discussi nella sezione 11.2, il passaggio di corrente elet-
trica nei materiali incontra sempre una certa resistenza. Gli elettroni, infatti, devono
muoversi attraverso gli atomi del materiale risentendo sia delle repulsioni degli elettro-
ni degli atomi sia delle forze attrattive dei nuclei atomici. Tale resistenza dipende dal
tipo di materiale considerato e dalle caratteristiche geometriche del conduttore, come
specificato dalla seconda legge di Ohm:

l
(12.2) R=%· .
S

La seconda legge di Ohm afferma che la resistenza offerta da un tratto di conduttore


al passaggio di corrente è direttamente proporzionale alla lunghezza di conduttore e
inversamente proporzionale alla sezione del conduttore. La resistenza dipende inoltre
dal tipo di materiale attraverso il coefficiente % chiamato resistività o resistenza elettrica
specifica.

Buoni conduttori hanno bassi valori di %, con argento e rame ai primi posti, mentre
cattivi conduttori hanno alti valori di %, come indicato nella sezione 11.2. La grandezza
Fisica 709

scalare R è chiamata resistenza elettrica e nel S.I. si misura in ohm (simbolo Ω),
le sue dimensioni sono riportate nella Tabella 1.2. Questa grandezza ha un posto di
rilievo anche nella prima legge di Ohm, che esprime la caduta di potenziale ai capi
di un conduttore:
V V
(12.3) V =R·i ⇐⇒ i= ⇐⇒ R= .
R i

La prima legge di Ohm afferma che la tensione V ai capi di un conduttore e l’intensità


di corrente elettrica i che fluisce nel conduttore sono direttamente proporzionali, la
costante di proporzionalità è chiamata resistenza elettrica R.

In altri termini la tensione V è ciò che genera una corrente elettrica i e la grandezza di
tale corrente dipende dal materiale attraverso la resistenza R. A parità di tensione un
materiale meno conduttore offrirà una resistenza maggiore e quindi in esso circolerà una
corrente meno intensa. Viceversa più un materiale è conduttore e meno intensa deve
essere la tensione da applicare ai suoi capi per ottenere la stessa corrente circolante.

La prima legge di Ohm matematicamente si esprime come linearità tra le funzioni scalari del
tempo V (t) e i(t). Il grafico della tensione in funzione della corrente si chiama caratteristica
voltamperometrica di un circuito. I circuiti cui si può applicare la prima legge di Ohm vengono
detti lineari o ohmici. Per tali circuiti la caratteristica voltamperometrica è una retta passante
per l’origine la cui pendenza è data da R. Gli altri circuiti vengono detti non lineari e portano
a fenomeni di distorsione o amplificazione dei segnali elettrici.

Fisica
Una corrente alternata (in inglese A.C.) è una corrente continua (in inglese D.C.)
che periodicamente inverte il proprio senso di flusso: per metà tempo fluisce in un
senso e per metà in senso opposto ciclicamente. Il comportamento di un conduttore
percorso da corrente alternata è diverso da quello di uno percorso da corrente continua.
L’intensità dei fenomeni legati alla corrente alternata dipende dalla pulsazione ω che è
legata alla frequenza f dalla solita legge ω = 2πf .

La corrente di uso domestico è corrente alternata, questa scelta risiede nel fatto che
industrialmente è più conveniente produrre una tensione alternata. Le linee di tra-
smissione dell’energia elettrica sono ad alta tensione perché in tal modo si riduce la
dissipazione dovuta all’effetto Joule, presente anche per correnti alternate.

La grandezza resistenza elettrica R introdotta in D.C. viene generalizzata in A.C. grazie


al concetto di impedenza Z, ~ una grandezza vettoriale la cui parte reale coincide con la
resistenza R mentre la parte immaginaria è chiamata reattanza X. Mentre la grandezza
inversa della resistenza viene chiamata conduttanza G = 1/R, l’inverso dell’impedenza
viene chiamato ammettenza Y ~ = 1/Z.
~ La parte reale dell’ammettenza coincide con la
conduttanza, la sua parte immaginaria invece si chiama suscettanza B e si misura in
siemens.
710 Elettrodinamica

L’impedenza di un elemento dipende dalla frequenza e si rappresenta come un


fasore, un vettore rotante nel piano complesso. L’angolo tra il vettore impedenza e
l’asse della sua parte reale rappresenta la fase del segnale alternato. La frequenza in
cui l’impedenza di un circuito ha solo parte reale si chiama frequenza di risonanza del
circuito. Un materiale ohmico, cioè un resistore, in A.C. avrà impedenza reale pari alla
sua resistenza.

La legge di Ohm può venire generalizzata anche al caso di corrente alternata, dove
vale istante per istante e in luogo della resistenza si pone l’impedenza.

12.3 Effetto Joule e altri effetti connessi alla corrente


Un filo di materiale conduttore è un buon mezzo per trasmettere un segnale elettrico,
cioè una corrente. Modi più evoluti e complessi rientrano nel termine linea di trasmis-
sione. Affinché nei circuiti elettrici si abbia corrente continua, ovvero affinché i sia
costante, occorre che nel circuito vi sia un dispositivo chiamato generatore. Si possono
avere sia generatori di tensione che di corrente.

Si definisce generatore di tensione qualsiasi dispositivo in grado di generare e mantenere


costante ai propri capi una d.d.p. chiamata forza elettromotrice del generatore. Un
generatore ha un polo positivo e uno negativo, quindi è un dipolo o elemento bipolare.
Elettrodinamica

Nella sezione precedente si è detto che i portatori di carica nel loro fluire devono
vincere le interazioni elettriche di disturbo dovute agli atomi del mezzo che attraver-
sano. Tale necessità si traduce in un dispendio di lavoro e quindi in una perdita di
energia.

Il passaggio di cariche in un mezzo fisico è sempre connesso a fenomeni di attrito,


che si manifestano macroscopicamente con un innalzamento della temperatura del
conduttore. Questa dissipazione di energia sotto forma di calore causata dal passaggio
di corrente è detta effetto Joule.

Matematicamente si può esprimere l’effetto Joule ricor-


rendo alla grandezza scalare chiamata potenza elettrica
P e definita come la potenza in meccanica, ovvero come
rapporto tra lavoro e intervallo di tempo:

L q·V q
(12.4) P = = =V · = V · i. Figura 12.3: A causa del calo-
∆t ∆t ∆t re dissipato dai circuiti elettri-
ci per garantire il funzionamen-
L’effetto Joule consente di determinare la potenza elet- to di un computer è necessario
trica dissipata da un conduttore di resistenza R attraver- utilizzare ventole e prese d’aria
sato da corrente elettrica i ai cui capi si ha una tensione per raffreddare la temperatura in
prossimità dei processori.
V:
Fisica 711

V2
(12.5) P = V · i = R · i2 = .
R
I segni di uguaglianza derivano dalla semplice applicazione della prima legge di Ohm
12.3.

L’effetto Joule è il principio di funzionamento di molti dispositivi elettrici basati sul


riscaldamento di una resistenza dovuto al passaggio di corrente elettrica in essa. Val
la pena citare l’asciugacapelli, in cui una ventola forza un flusso di aria a temperatura
ambiente a passare vicino ad una resistenza elettrica che cede calore per convezione
all’aria riscaldandola; il forno elettrico, in cui il passaggio di corrente nella resistenza
genera cosı̀ tanto calore che si diffonde per convezione e per irraggiamento da cuocere cibi
posti nel forno; la lampadina di vecchio tipo, in cui un filamento di tungsteno percorso
da corrente elettrica si scalda cosı̀ tanto da divenire incandescente ed emettere quindi
luce.

Un effetto rilevante connesso al passaggio di corrente elettrica alternata è l’effetto


pelle, per il quale la corrente scorre soltanto nella parte esterna di un cavo conduttore e
decresce esponenzialmente lungo il raggio della sezione del cavo andando verso l’interno.
Oltre un certo spessore dal bordo non si ha passaggio apprezzabile di corrente: è come se
il conduttore fosse cavo. La resistenza di un conduttore in corrente alternata è circa la
stessa di un conduttore cavo in corrente continua, la dimensione dello spessore dipende
dalla frequenza della corrente alternata. Diminuendo la sezione, per la seconda legge

Fisica
di Ohm la resistenza in A.C. aumenta, fenomeno rilevante alle alte frequenze.
Altro effetto legato al passaggio di corrente elettrica è l’effetto Peltier, per il quale
il flusso di corrente attraverso una giunzione tra due diversi conduttori porta ad un
trasferimento di calore da un conduttore all’altro. Su questo effetto di basano le celle
di Peltier, sostanzialmente piccole pompe di calore utilizzate per raffreddare in breve
tempo una piccola superficie. Le celle di Peltier vengono ad esempio impiegate per
raffreddare sensori di intensità luminosa CCD o alcuni tipi di processori per computer.
L’effetto Peltier è l’opposto dell’effetto Seebeck, per il quale ad un giunzione
tra due conduttori diversi sottoposti a un gradiente di temperatura si ha una certa
tensione. La maggiore temperatura di un lato della giunzione, infatti, si traduce in
una diffusione dei portatori di carica che hanno maggiore energia cinetica e quindi
alla creazione di una corrente elettrica. Sull’effetto Seebeck si basano le termocoppie,
dispositivi utilizzati per misurare la temperatura.
Con effetto piezoelettrico si intende la creazione di corrente elettrica, chiama-
ta appunto piezoelettrica, generata dalla tensione che si sviluppa in alcuni cristalli
(sostanze piezoelettriche) a seguito di compressioni o deformazioni meccaniche. La pie-
zoelettricità di un materiale è solitamente una proprietà assiale, quindi un cristallo
può manifestare tale comportamento in una direzione e non farlo nelle altre. L’effet-
to piezoelettrico ha numerose applicazioni, dai rilevatori sismici agli accendigas fino
a numerose applicazioni in campo musicale per la conversione di vibrazioni sonore in
segnali elettrici.
712 Elettrodinamica

L’effetto Joule è un fenomeno che presenta anche lati negativi oltre alle utili applicazioni
descritte in precedenza. Nei dispositivi elettronici si ha generazione di calore, ragion per cui
vengono dotati al loro interno di ventole per il raffreddamento. Proprio l’effetto Joule pone
un limite alla grandezza dei microprocessori e ha spinto in direzione di macchine con multi-
processori come dual-core o quad-core per avere alte prestazioni senza correre il rischio che i
microcircuiti si rompano per il troppo calore generato.
Altra conseguenza negativa dell’effetto Joule si ha nel trasporto di energia elettrica pro-
dotta nelle centrali. Gli elettrodotti utilizzano linee ad alta tensione formate da tre tensioni
alternate sfasate, perché in tal modo si ha la minore dispersione dovuta proprio all’effetto
Joule.

12.4 Principi di Kirchhoff


Di fondamentale importanza per la comprensione del funzionamento dei circuiti elet-
trici sono i due principi di Kirchhoff. Queste leggi di natura empirica rispecchiano due
basilari principi di conservazione, ragion per cui nella soluzione di un circuito han-
no la precedenza su qualsiasi altra formula si voglia utilizzare. Quando si ha un conflitto
apparente tra una formula (ad esempio quelle delle resistenze in serie o in parallelo) e
il funzionamento reale di un circuito è perché si sta trascurando una conseguenza dei
principi di Kirchhoff.

Il primo principio di Kirchhoff esprime la conservazione della carica elettrica. Il principio


afferma che la somma delle correnti elettriche entranti in un nodo deve eguagliare la
Elettrodinamica

somma delle correnti uscenti dal nodo. Stabilendo che le correnti entranti hanno verso
positivo e quelle uscenti verso negativo, il principio si può porre in quest’altro modo:
la somma algebrica delle correnti in un nodo dev’essere nulla.

Per la risoluzione di un circuito il primo principio di Kirchhoff, insieme al secondo e alla


prima legge di Ohm, è fondamentale. Applicandolo a tutti i nodi del circuito tranne
uno (cioè ai nodi indipendenti) in genere si riesce a determinare la corrente che scorre
in ogni ramo del circuito.

Figura 12.5: Il primo principio di Kirchhoff affer- Figura 12.6: Il secondo principio di Kirchhoff af-
ma che la somma algebrica delle correnti in un ferma che la somma delle f.e.m. in una maglia è
nodo è nulla. pari alla somma delle cadute di potenziale.

Se in un nodo con quattro rami entra una corrente di 10 mA e ne escono tre correnti, di
cui la prima vale 1 mA e la seconda 5 mA, in base al primo principio di Kirchhoff si può
immediatamente stabilire che nel terzo ramo scorre una corrente di 4 mA.

Spesso per determinare le correnti nei rami conoscendo le resistenze si usa la prima
legge di Ohm 12.3. Una delle applicazioni rilevanti del primo principio di Kirchhoff
Fisica 713

si ha nel funzionamento di un interruttore differenziale, comunemente chiamato sal-


vavita. Il dispositivo entra in funzione interrompendo l’erogazione di energia elettrica
quando rileva una somma non nulla delle correnti in un nodo, evidenza che indica una
dispersione.

Il secondo principio di Kirchhoff esprime la conservazione dell’energia. Il principio affer-


ma che la somma delle forze elettromotrici erogate dai generatori di una maglia deve
eguagliare la somma delle cadute di potenziale ai capi delle resistenze presenti nella
maglia stessa.

Occorre fare attenzione al verso dei generatori: se il polo negativo dell’uno segue il
polo positivo dell’altro allora le loro f.e.m. vanno sommate, in caso contrario vanno
sottratte.

Se in una maglia con due resistenze un generatore eroga una tensione pari a 10 V e R1
vale 9 Ω, sapendo che la corrente di maglia misura 1 A si può immediatamente ricavare
in base al secondo principio di Kirchhoff che R2 misura 1 Ω. Ai suoi capi, infatti, si deve
avere una caduta di potenziale di 1 V e utilizzando la prima legge di Ohm 12.3 si ricava
la risposta.

12.5 Resistenze in serie e in parallelo

Fisica
Figura 12.6: La resistenza equivalente di una Figura 12.7: L’inverso della resistenza equivalen-
serie è la somma delle resistenze. te di un parallelo è la somma degli inversi delle
resistenze.

Un circuito elettrico è di solito composto da un gran numero di elementi circuitali. I


circuiti più semplici sono composti da soli resistori, chiamati per semplicità resistenze,
dalla grandezza che li caratterizza. Qualsiasi modo di comporre le resistenze può essere
scomposto nella somma di due configurazioni di base: la serie e il parallelo di resistenze,
in analogia a quanto discusso per i condensatori nella sezione 11.12.

Resistenze in serie: Due o più resistenze sono collegate in serie quando sono
attraversate dalla stessa intensità di corrente i. Per semplicità limitiamo la di-
scussione al caso di due sole resistenze. Considerando la prima legge di Ohm 12.3
applicata al tratto di circuito compreso tra i punti A e B e alle resistenze R1 e
R2 si ottengono le seguenti uguaglianze:

(12.6) Vtot = Rtot · i, V1 = R1 · i, V2 = R2 · i .

Nelle relazioni si è ovviamente indicata con i l’intensità di corrente, che è la stessa


in entrambe le resistenze visto che non vi sono nodi tra di esse, con Vtot la tensione
714 Elettrodinamica

V (B) − V (A), con V1 la caduta di potenziale ai capi di R1 e con V2 la caduta


di potenziale ai capi di R2 . Sommando termine a termine la seconda e la terza
relazione si ottiene

(12.7) V1 + V2 = (R1 + R2 ) · i, Vtot = V1 + V2 , =⇒ Rtot = R1 + R2 .

Per la conservazione dell’energia la somma delle cadute di potenziale deve egua-


gliare la tensione totale (come stabilisce il secondo principio di Kirchhoff), quindi
raccogliendo la i si ricava la regola per la serie di resistenze.

La resistenza equivalente a una serie di resistenze è la somma delle singole resistenze.


Sostituendo una serie di resistenze con una singola resistenza di valore pari alla somma
il circuito non viene modificato.

Da questa definizione segue che la resistenza equivalente Req è sempre maggiore


della maggiore delle singole resistenze. Nel caso particolare R1 = R2 = R si ha
Req = 2R.

Una serie di resistenze viene chiamata partitore di tensione, perché la tensione totale ai capi
della serie viene divisa (ripartita) nelle diverse cadute di potenziale. Se ad esempio si dispone
di una tensione elevata e si vuole far funzionare un dispositivo il cui carico resistivo è tale da
Elettrodinamica

poter operare solo con basse tensioni si può risolvere ponendo una serie di resistenze prima
del dispositivo. In tal modo la tensione iniziale si abbassa ad ogni resistenza della serie fino a
giungere al dispositivo nel valore desiderato. L’inconveniente è che se si rompe una resistenza
di un partitore di tensione l’intero circuito non funziona più, come accadeva nelle vecchie serie
di decorazioni natalizie luminose.

Resistenze in parallelo: Due o più resistenze sono collegate in parallelo quando


ai loro capi si ha la stessa tensione. Limitiamo ancora la discussione al caso di due
resistenze mantenendo gli stessi simboli del caso precedente. Stavolta la tensione
ai capi delle resistenze è la stessa ma la corrente che le attraversa è inversamente
proporzionale alle resistenze, secondo la prima legge di Ohm 12.3.
V V V
(12.8) itot = , i1 = , i2 = .
Rtot R1 R2
Per la conservazione della carica elettrica la somma delle correnti dei rami del
parallelo è uguale alla corrente totale (come stabilisce il primo principio di Kirch-
hoff), quindi raccogliendo la tensione si ottiene la legge per le resistenze in
parallelo.
V V V 1 1 1
(12.9) i1 +i2 = itot ⇐⇒ + = , =⇒ = + .
R1 R2 Rtot Rtot R1 R2
Fisica 715

L’inverso della resistenza equivalente a un parallelo di resistenze è la somma degli inversi


delle singole resistenze. Sostituendo un parallelo di resistenze con una singola resistenza
il cui valore inverso sia pari alla somma degli inversi delle singole resistenze il circuito
non viene modificato.

Da questa definizione segue che la resistenza equivalente Req è sempre minore della
più piccola delle singole resistenze. Nel caso particolare R1 = R2 = R si ha
Req = R/2.

Un parallelo di resistenze viene chiamato partitore di corrente, perché la corrente totale ai capi
del parallelo viene divisa (ripartita) nelle diverse correnti di ramo. Se ad esempio si dispone
di una corrente elevata e si vuole far funzionare un dispositivo il cui carico resistivo è tale da
poter operare solo con deboli correnti si può risolvere usando un parallelo di resistenze che
abbia il dispositivo su uno dei suoi rami. In tal modo la corrente iniziale si divide e nel ramo
del dispositivo giunge quella desiderata.

12.6 Corrente elettrica nei fluidi


Nei fluidi, a differenza di quanto avviene nei solidi, si hanno due portatori di carica: gli
ioni positivi detti cationi e quelli negativi detti anioni. La conducibilità elettrica di un
fluido dipende dalla sostanza. Generalmente i liquidi hanno una conducibilità maggiore
dei gas.
Introducendo due anodi, cioè poli a potenziale diverso, in un liquido si osserva che
i cationi si dirigono verso il polo negativo, il catodo, mentre gli anioni verso il polo

Fisica
positivo, l’anodo.

La conduzione nei liquidi genera il processo chiamato elettrolisi. Grazie alla tensione nel
liquido le molecole polari vengono scisse in ioni che migrando ai poli formano composti
neutri, in genere gas che poi vengono liberati o metalli che rivestono il polo. I rivestimenti
metallici ottenuti tramite elettrolisi sono caratterizzati da un buon grado di purezza del
metallo e hanno svariate applicazioni industriali.

Se un liquido conduce, generalmente ha comunque un valore della resistività maggiore di


quelle tipiche dei solidi, ragion per cui i liquidi conduttori vengono chiamati conduttori
di seconda classe. La conduzione o meno del liquido dipende da quanti ioni si trovano in
esso. L’acqua distillata, ad esempio, è isolante, mentre una soluzione di acido cloridrico
condurrà abbastanza bene.

Mentre i liquidi seguono comunque la prima legge di Ohm, per i gas la relazione tra
intensità di corrente elettrica e tensione è più complessa.

Per i gas si ha un discorso analogo: l’aria è un buon isolante, ma convogliando radiazione


luminosa su di essa può diventare un conduttore. La radiazione in tal caso si comporta
come agente ionizzante: l’energia da essa trasportata viene assorbita dalle molecole del
gas e consente la rottura dei legami molecolari e la formazione di ioni.
716 Elettrodinamica

La conduzione nei gas è alla base dei dispositivi di illuminazione chiamati tubi a lumine-
scenza (più semplicemente neon, sebbene impropriamente) in cui una scintilla generata
dalla tensione ai capi del gas si propaga nel gas rarefatto diffondendo il bagliore luminoso.

12.7 Quesiti
1) Quale dei seguenti termini non indica E una stufa elettrica
un portatore di carica?
5) Per corto circuito si intende:
A lacuna
A un circuito che ha componenti miniatu-
B elettrone rizzati
C protone B un tratto di circuito costituito da una
sola resistenza
D catione
C un tratto di circuito costituito solo da
E anione filo conduttore
2) Quale dei seguenti termini non è D un tratto di circuito costituito da un
sinonimo degli altri? solo componente bipolare
E un tratto di circuito costituito da un
A tensione solo ramo
B forza elettromotrice
6) Se in una serie di quattro resistenze la
C differenza di potenziale prima ha un certo valore, la seconda un
valore doppio, la terza un valore triplo e
Elettrodinamica

D voltaggio
l’ultima ha un valore infinito, ovvero in
E reattanza corrispondenza della quarta resistenza
si stacca il circuito:
3) L’effetto Joule consiste in:
A la tensione tra i punti iniziale e finale
A un aumento del potenziale necessario ri- della serie si divide in parti uguali sulle
spetto a quello teorico per ottenere una prime tre resistenze
certa intensità di corrente in un circuito B la tensione tra i punti iniziale e finale
B una diminuzione del potenziale necessa- della serie si divide in parti uguali su
rio rispetto a quello teorico per ottene- tutte e quattro le resistenze
re una certa intensità di corrente in un C la caduta di potenziale della terza
circuito resistenza è tripla di quella della prima
C una dissipazione di potenza elettrica D la caduta di potenziale della seconda
passiva sotto forma di calore resistenza è doppia di quella della prima
D una dissipazione di energia elettrica do- E non si ha alcuna caduta di potenziale ai
vuta agli attriti che rallenta la velocità capi della prima resistenza
della corrente
E un aumento della resistenza del mate- 7) Il primo principio di Kirchhoff è un
riale che a causa del calore aumenta la modo di esprimere:
propria resistività A il principio di conservazione della massa
4) Quale dei seguenti dispositivi non B il principio di conservazione dell’energia
funziona sfruttando l’effetto Joule?
C il principio di conservazione della carica
A un phon elettrica
D il principio di conservazione della
B un forno elettrico
quantità di moto
C una lampadina ad incandescenza E il principio di conservazione dell’entro-
D un tubo al neon pia
Fisica 717

8) La resistenza equivalente di un parallelo D sul principio di conservazione dell’ener-


di resistenze: gia
A è più grande della maggiore delle E sul principio di induzione
resistenze del parallelo
B è più grande della minore delle resisten- 10) Perché una fonte di luce intensa
ze del parallelo può modificare le proprietà elettriche
C è più piccola della maggiore delle dell’aria?
resistenze del parallelo
D è più piccola della minore delle resisten- A perché l’energia luminosa può esse-
ze del parallelo re assorbita dalle molecole dell’aria e
ionizzarle
E è più grande della somma delle resisten-
ze del parallelo B perché la luce è parte dello spettro delle
radiazioni elettromagnetiche
9) Su quale principio si basa il funziona-
mento di un salvavita? C perché l’aria è trasparente alla luce
A sul primo principio di Kirchhoff D perché l’aria è composta solo da gas
B sul secondo principio di Kirchhoff biatomici
C sul principio di sovrapposizione degli E la luce non modifica le proprietà
effetti elettriche dell’aria

12.8 Risposte commentate ai quesiti


1) Nei solidi conduttori i portatori di carica sono gli elettroni: la B va esclusa. Nei
semiconduttori anche le lacune, cioè gli elettroni mancanti, sono portatori di carica,
quindi anche la A va esclusa. Nei fluidi i portatori di carica sono gli ioni sia positivi
che negativi: la D e la E vanno escluse. I protoni invece sono sempre confinati nei
nuclei atomici (trascurando il plasma): la risposta corretta è la C .

Fisica
2) I primi quattro termini indicano una d.d.p. che si misura in V, mentre la reattanza
è la parte reale di un’impedenza, che è la generalizzazione del concetto di resistenza
in regime di AC. La risposta corretta è la E .

3) Con effetto Joule in elettrodinamica si intende il riscaldamento di un conduttore


attraversato da corrente a causa della potenza dissipata per attrito degli elettroni
nel conduttore. La risposta corretta è la C .

4) Lo sfruttamento dell’effetto Joule nei dispositivi consiste nella generazione di ca-


lore attraverso il passaggio di corrente elettrica in un conduttore: è il caso delle
alternative A , B ed E . A volte lo sfruttamento riguarda un effetto indiretto come
nel caso della lampadina, dove più che il calore interessa l’incandescenza dovuta al
grande calore e quindi la luce. La risposta corretta è la D .

5) Un corto circuito è un tratto di circuito a resistenza nulla. La situazione reale che


si avvicina maggiormente a tale idealizzazione è il circuito composto da solo filo
conduttore: la risposta corretta è la C .

6) Poiché il circuito è staccato in esso non circola corrente, quindi per la prima legge
di Ohm 12.3 ai capi delle resistenze non si ha alcuna caduta di potenziale. La
risposta corretta è la E . La C e la D vanno escluse a priori perché entrambe vere
o entrambe false.
718 Elettrodinamica

7) La E va esclusa a priori perché un tale principio non esiste. Delle altre la risposta
corretta è la C , in quanto se la corrente non svanisce nel nulla e non appare dal
nulla si ha che il numero di cariche elettriche fluite è costante.

8) Poiché la resistenza equivalente di un parallelo di resistenze è tale che il suo inverso


è pari alla somma degli inversi delle resistenze del parallelo si ricava che la risposta
corretta è la D .

9) La E va esclusa perché rappresenta un principio matematico e non fisico, nono-


stante il termine induzione abbia anche una valenza fisica. Il salvavita rivela una
corrente elettrica non nulla come somma delle correnti in un nodo, quindi funziona
in base al primo principio di Kirchhoff. La risposta corretta è la A .
10) La risposta corretta è la A : l’energia luminosa dei fotoni, i quanti di luce, può venire
assorbita dalle molecole d’aria che si ionizzano. Un volta ionizzate, l’aria non è più
isolante ma può condurre elettricità, come avviene nei fulmini o nell’effetto corona.
Elettrodinamica
Magnetismo
13
Introduzione
In questo capitolo si tratteranno i fenomeni legati alle interazioni magnetiche e il con-
cetto di campo magnetico. Dopo aver discusso le origini microscopiche del magne-
tismo si passeranno in rassegna le proprietà magnetiche dei materiali e le configu-
razioni di base del campo di induzione magnetica. Le interazioni tra campi magne-
tici e correnti elettriche saranno invece discusse nel capitolo successivo in relazione
all’elettromagnetismo.

13.1 Fenomeni magnetici


Oltre ai fenomeni dovuti alla forza di gravità e a quelli legati
alle interazioni elettriche, sia macroscopici sia microscopici come
l’attrito, vi sono altri fenomeni che avvengono alla scala di gran-
dezza ordinaria per gli esseri umani: quelli dovuti alle interazioni
magnetiche. Figura 13.1: Alcuni
Si osserva che alcuni materiali elettricamente neutri danno corpi pur elettricamente
vita a forze attrattive o repulsive quando posti l’uno nelle vici- neutri manifestano inte-
razioni capaci di vincere
nanze dell’altro. Considerazioni analoghe a quelle riportate per la la forza gravitazionale:
carica elettrica nella sezione 11.1 inducono a stabilire l’esistenza si tratta di magneti
di due tipi di cariche magnetiche. che esercitano forze
magnetiche.

Le sorgenti delle interazioni magnetiche si chiamano poli magnetici ed esistono in due


tipi diversi, chiamati polo nord e polo sud. Poli di tipo opposto si respingono e poli
dello stesso tipo si attraggono.

Questi fenomeni si osservano ad esempio con le calamite, oggetti composti da parti-


colari materiali detti appunto materiali magnetici quale il minerale ferroso chiamato
magnetite. Una calamita è in grado di attirare a sé piccoli pezzi di ferro o lana
d’acciaio. Le calamite sono magneti permanenti e il campo magnetico da esse creato è
indipendente dal tempo, ovvero statico. Lo studio dei fenomeni da esse generato è detto
magnetostatica. Un oggetto che si comporta come un magnete è detto magnetizzato.
Come si vedrà nel capitolo sull’elettromagnetismo 14, anche un flusso di cari-
che elettriche genera un campo magnetico. Quando il campo magnetico dipende
dal tempo si parla di magnetodinamica e in generale non è corretto separare le inte-
razioni magnetiche da quelle elettriche, essendo due aspetti complementari di quelle
elettromagnetiche.
720 Magnetismo

A differenza delle cariche elettriche, i poli magnetici sono presenti sempre in coppia.
Ogni oggetto dotato di un polo nord magnetico deve possedere anche un polo sud:
non esistono monopoli magnetici. Questa caratteristica si esprime matematicamente
dicendo che il campo magnetico è solenoidale.

Una calamita, o magnete, è quindi un oggetto dotato di un polo nord e di un polo sud.
Quando un magnete viene spezzato in due parti, ognuna di esse ha a sua volta un polo
nord e un polo sud. Se si ripete il processo si osserva un’ulteriore proliferazione del
numero di poli magnetici.

Microscopicamente l’origine del magnetismo nei materiali è dovuta alla loro struttura elettro-
nica, in particolare ai dipoli magnetici degli elettroni. Per descrivere il fenomeno si suddivide
un oggetto in piccoli volumi detti domini di Weiss o semplicemente domini. Nei materiali non
magnetizzati i domini sono orientati a caso, quindi per il principio di sovrapposizione degli ef-
fetti non si ha alcun campo magnetico risultante. I domini sono separati dalle pareti di Bloch,
il cui spessore è dell’ordine delle distanze interatomiche, sottili regioni in cui l’orientamento
varia con gradualità. Ponendo un materiale magnetico in vicinanza di un magnete esso subisce
il processo della magnetizzazione, in analogia all’induzione elettrostatica. I suoi domini ruo-
tano e si dispongono lungo le linee di forza del campo magnetico del magnete, orientamento
che persiste dopo l’allontanamento del magnete. Il materiale magnetico che ha i suoi domini
tutti disposti lungo una direzione è ora un magnete con un suo polo nord e un suo polo sud.

La descrizione in termini di domini coincide con le proprietà osservate. Scaldando un


materiale magnetizzato, ad esempio, si sperimenta che questo perde la sua magnetiz-
Magnetismo

zazione. L’energia termica fornita con il calore, infatti, viene assorbita dai vari domini
che quindi si dispongono nuovamente in maniera casuale. Il valore della temperatura
in corrispondenza del quale il materiale perde la sua magnetizzazione è caratteristico
del materiale e si chiama temperatura di Curie Tc . Per il ferro Tc = 1043 K.

Teorie di unificazione prevedono naturalmente l’esistenza dei monopoli magnetici, oggetto


sulla cui esistenza scommetterebbero molti fisici. Alcuni modelli fenomenologici hanno provato
ad imputare ai monopoli magnetici parte del contenuto mancante di massa dell’universo, la
materia oscura.

13.2 Campo magnetico


Un magnete modifica lo spazio circostante generando un campo magnetico H ~ attraverso
i suoi poli magnetici. Ogni altro magnete interagirà con tale campo magnetico.

Il campo magnetico è una modifica delle proprietà di una regione di spazio al cui
interno si trovano un polo nord e un polo sud magnetici. Le linee di forza del campo
sono sempre linee chiuse: partono dal polo sud e terminano nel polo nord. Poiché non
esistono monopoli magnetici non è possibile misurare un campo con un sonda, ma si
possono tracciare le sue linee grazie al comportamento di un ago magnetico. Nel S.I.
H~ si misura in A/m.
Fisica 721

Un ago in ogni punto del campo punterà il proprio polo


nord verso il polo sud del campo magnetico, lungo una
direzione tangente alle linee di forza del campo. L’ago si
comporta allo stesso modo se posto nelle vicinanze di un
filo percorso da corrente elettrica di intensità i costante.
Se ne deduce che una corrente elettrica genera (induce)
un campo magnetico proprio come fa un magnete.

Il campo magnetico è descritto attraverso il vettore di


induzione magnetica B.€ Nel S.I. B€ si misura in tesla
Figura 13.2: Linee di forza di un
(T), mentre nel c.g.s. in gauss, con l’equivalenza 1 campo magnetico generato da
gauss = 104 T; le sue dimensioni sono riportate nella un magnete misurate attraverso
Tabella 1.2. l’uso di un ago magnetizzato.

€ si determinano attraverso un ago magnetico e vanno dal polo


Le linee di flusso di B
sud al polo nord, come descritto per il campo magnetico.

Un esempio di campo magnetico è il campo magnetico terrestre, rilevabile attraverso


una bussola. L’ago della bussola punta verso il polo nord geomagnetico, che non coincide
con il polo nord geografico. Il polo nord geomagnetico, infatti, non è costante, subisce
variazioni sia su breve periodo che su lungo periodo (chiamate secolari se il periodo è di
almeno un lustro). Attualmente si trova in territorio canadese e l’asse che lo congiunge
al polo sud geomagnetico forma un angolo di circa 11◦ con l’asse terrestre e non passa
per il centro della Terra. Ne consegue che nemmeno i poli sud geografico e geomagnetico

Fisica
coincidono, giungendo a distare anche alcune migliaia di kilometri. Durante la storia del
pianeta oltre a variazioni di posizione i poli hanno subito anche numerose inversioni,
ovvero hanno scambiato il proprio ruolo. L’analisi stratigrafica del terreno attraverso le
proprietà magnetiche dei materiali componenti il suolo ha determinato con certezza varie
inversioni negli ultimi milioni di anni.
Il campo magnetico terrestre è relativamente debole, infatti misura 2 × 10−5 T nella zona
dove è più debole, cioè all’equatore, fino ad arrivare a un valore di poco maggiore del triplo
in corrispondenza dei poli, dove è più intenso. Ciononostante svolge un ruolo fondamentale
per la vita sulla Terra. Il campo infatti si estende nello spazio per diverse decine di migliaia
di kilometri e devia le particelle cariche provenienti dal Sole (vento solare) e in generale
dallo spazio, chiamate raggi cosmici. Tali particelle hanno un’elevata energia e la loro
interazione con la materia vivente è dannosa, può ad esempio portare allo sviluppo di
mutazioni genetiche o di malattie tumorali. La zona intorno a un pianeta in cui il campo
controlla il moto dei raggi cosmici è detta magnetosfera e quella intorno alla Terra forma
le fasce di van Allen: una regione compresa tra la fascia esterna e quella interna di van
Allen che va da circa 103 km fino a circa 4 × 104 km dalla superficie terrestre e che si
estende nelle regioni polari (oltre il sessantacinquesimo parallelo nord e sud). Nelle fasce
di van Allen si trovano particelle cariche deviate dal campo geomagnetico e quando le
più energetiche colpiscono l’atmosfera creano le aurore polari: spettacolari fenomeni di
fluorescenza osservabili nei cieli polari. Magnetosfera e fasce di van Allen sono fenomeni
rilevati anche in altri pianeti, in primis Giove.
L’origine del campo geomagnetico risiede nel nucleo esterno del pianeta, che essendo
composto da materiale ferroso allo stato liquido è in rotazione.
722 Magnetismo

Le particelle cariche di tale zona essendo in movimento si comportano come una corrente
e quindi generano un campo magnetico. Un contributo inferiore al 10% al campo geoma-
gnetico deriva dalle rocce magnetizzate, mentre la magnetizzazione dell’atmosfera svolge
un ruolo marginale. Sebbene il campo geomagnetico sia trattato come il campo di un
dipolo magnetico, questa è solo un’approssimazione. Il nucleo esterno della Terra, infatti,
si trova a una temperatura superiore a 1043 K, valore corrispondente alla Tc del ferro.

13.3 Proprietà magnetiche della materia


I materiali vengono classificati in base alle lo-
ro proprietà magnetiche in tre categorie: fer-
romagnetici, paramagnetici e diamagnetici.
La grandezza fisica alla base di tale classifi-
cazione è lo scalare chiamato permeabilità
magnetica µ, che nel S.I. si misura in H/m
o equivalentemente in N/A2 . µ misura la ten-
denza di un materiale a lasciarsi magnetizza-
re. Una prima distinzione si ha tra sostanze
per le quali µ è costante e quelle per le quali
è variabile e dipendente dalle precedenti ma-
Figura 13.3: In un materiale ferromagnetico l’o-
gnetizzazioni attraverso il fenomeno dell’iste- rientamento dei domini (ossia dei loro momenti
resi magnetica. Il primo gruppo di materia- di dipolo magnetico µ  ) segue quello di un campo
li viene ulteriormente suddiviso in sostanze magnetico esterno.
Magnetismo

paramagnetiche e diamagnetiche, mentre del


secondo gruppo fanno parte le sostanze ferromagnetiche.
In analogia a quanto descritto per la permittività elettrica ε introdotta nella sezione
11.4, si è soliti indicare con µ0 la permeabilità magnetica del vuoto, che vale µ0 =
4π·10−7 H/m. La permeabilità magnetica µ di un mezzo può allora essere scomposta
nella fattorizzazione µ = µr ·µ0 , dove µr è la permeabilità magnetica relativa, un fattore
adimensionale che esprime il rapporto tra la permeabilità magnetica del mezzo e quella
del vuoto.

€ e il campo di
La permeabilità magnetica µ connette anche il campo magnetico H
€ € €
induzione magnetica B attraverso la relazione B = µH.

A differenza di quanto accade per la permittività elettrica ε, che ha un range molto


ampio, i valori di µ in genere non si discostano molto da µ0 , soltanto per le sostanze
ferromagnetiche µ è sensibilmente maggiore di µ0 .
Un’ulteriore analogia tra fenomeni elettrostatici e magnetostatici si ha con le ri-
spettive polarizzazioni. Un formalismo simile a quello introdotto nella sezione 11.6 a
proposito della polarizzazione elettrica P€ vale per la polarizzazione magnetica M
€.
Fisica 723

Il vettore polarizzazione magnetica M ~ è definito come momento di dipolo magnetico


per unità di volume, è dato dalla somma vettoriale dei momenti di dipolo magnetico
degli elettroni del materiale e nel S.I. si misura in A/m.

Introducendo la grandezza scalare adimensionale χm chiamata suscettività magne-


~ e la ma-
tica, si può esprimere una proporzionalità diretta tra il campo magnetico H
~ ~ ~
gnetizzazione M : M = χm · H. Grazie a χm si può anche avere una relazione tra
l’induzione magnetica B ~ e il campo magnetico H: ~

~ = µ0 · (H
(13.1) B ~ +M
~ ) = µ0 · (1 + χm ) · H
~ = µ·H
~ =⇒ µ = µ0 · (1 + χm ) .

La classificazione dei materiali oltre ai valori di µ può essere fatta anche in base a
quelli di χm : quando è positiva e ha valori elevati allora il materiale è ferromagnetico,
quando è positiva ma con valori piccoli il materiale è paramagnetico, quando è negativa
il materiale è diamagnetico.

Dalla definizione di suscettività χm , dal suo legame con la magnetizzazione M ~ e dal


segno si intuisce che nei materiali diamagnetici l’orientamento dei domini è opposto a
quello del campo magnetico esterno.

Per i materiali paramagnetici χm è soggetta alla legge di Curie: χm = C/T , dove T indica
la temperatura espressa in kelvin e C è una costante, detta costante di Curie, caratteristica
del materiale. Questa legge mostra come all’aumentare della temperatura la magnetizzazione
sia inferiore ad opera dell’orientamento casuale dovuto all’energia termica. Per i materiali

Fisica
ferromagnetici χm è soggetta alla legge di Curie-Weiss χm = C/(T − Tc ), che rappresenta
un’estensione della legge di Curie e indica il ruolo della temperatura di Curie Tc .

sostanze ferromagnetiche In sostanze come ferro, nichel e cobalto si ha µr >>


1. Quando sono soggette a un campo magnetico esterno queste sostanze se si
trovano ad una temperatura inferiore alla temperatura di Curie Tc orientano i
propri spin in accordo al campo, generano quindi un proprio campo magnetico che
va a sommarsi a quello esterno, che risulta in tal modo amplificato per il principio
di sovrapposizione degli effetti. Questo risultato è dovuto a forti interazioni di
scambio tra i momenti atomici.
L’orientamento persiste anche allontanando i materiali dal campo esterno: queste
sostanze vengono magnetizzate diventando a loro volta magneti. Poiché µ non è
costante non si ha una relazione lineare tra B~ e H,~ ma µ dipende dalla magne-
tizzazione precedente. Il processo di magnetizzazione avviene attraverso il ciclo
di isteresi magnetica, curva che esprime la complessa relazione tra B ~ e H.
~
Per descrivere il ciclo si comincia con un valore nullo di B ~ e quindi di H. ~ Au-
~ ~
mentando B nel materiale aumenta H fino al valore di saturazione. Diminuendo
ora B~ si ha una diminuzione di H ~ secondo un’altra curva in modo che per valori
~
nuovamente nulli di B si abbia un valore non nullo di H ~ detto magnetizzazione
residua. Il ciclo poi può proseguire per campi generati da correnti inverse e tor-
~ in corrispondenza del quale il valore di H
nare al valore nullo di B ~ è detto campo
724 Magnetismo

di coercizione. Il processo si può ripetere con una seconda magnetizzazione, una


terza e cosı̀ via.
I materiali ferromagnetici sono ad esempio utilizzati negli hard disk, dove il verso
della magnetizzazione residua rappresenta un bit pari a 1 o a 0.
sostanze paramagnetiche In tali sostanze µ è costante e si ha µr > 1. In questi
materiali gli atomi hanno elettroni spaiati in orbitali atomici incompleti e quindi
i domini, pur essendo orientati casualmente, hanno un proprio momento di dipolo
magnetico. In presenza di campo magnetico esterno si polarizzano allineandosi al
campo. In tal modo il campo magnetico esterno viene lievemente incrementato
poiché ad esso si somma il campo generato dalla sostanza orientato nello stesso
modo. Tali materiali perdono la magnetizzazione quando sono allontanati dal
campo magnetico esterno.
Esempi di sostanze paramagnetiche sono l’aria (per la presenza di ossigeno), il
calcio, il magnesio, il platino e l’alluminio.
sostanze diamagnetiche In tali sostante µ è costante e si ha µr < 1. Que-
sti materiali hanno atomi privi di elettroni spaiati: la completezza degli orbitali
fa sı̀ che non si abbia un momento di dipolo magnetico. In presenza di campo
magnetico esterno queste sostanze subiscono una lieve magnetizzazione generan-
do un debole campo che si oppone al campo esterno. Sono esempi di sostanze
diamagnetiche l’acqua, il quarzo e la calcite. In realtà tutte le sostanze hanno
un comportamento diamagnetico, ma tale effetto nei materiali paramagnetici e
ferromagnetici è inferiore rispetto agli altri due.
Magnetismo

In particolari condizioni di temperatura alcuni materiali presentano un comportamento


detto superparamagnetismo.

Per superparamagnetismo si intende il comportamento di alcune sostanze ferromagnetiche


che pur essendo ad un temperatura inferiore a Tc mostrano proprietà paramagnetiche. Tale
fenomeno si ha quando l’energia termica disponibile ai domini è comparabile con l’energia
che occorre per una rotazione del momento magnetico, condizione in cui un numero non
trascurabile di domini ha un’orientamento casuale.

Alcuni materiali come il cromo, il manganese e l’ematite invece hanno un comporta-


mento antiferromagnetico.

Per antiferromagnetismo si intende il comportamento di alcune sostanze per le quali si ha una


minimizzazione dell’energia quando gli spin dei domini sono orientati in verso opposto a quello
di un campo magnetico esterno. Analoga alla Tc descritta per i materiali ferromagnetici, quelli
antiferromagnetici hanno una temperatura, detta temperatura di Néel, in corrispondenza
della quale il comportamento da antiferromagnetico diventa paramagnetico.

Come mostrato per il campo elettrico con la relazione 11.4, anche al campo magnetico
si associa una densità di energia magnetica um . Questa energia ha una forma semplice
Fisica 725

€ eH
nel caso di materiali diamagnetici e paramagnetici, dove la relazione tra B € è lineare:

1€ € 1 B2
(13.2) um = H ·B = .
2 2 µ

13.4 Legge di Biot e Savart


Nel descrivere i fenomeni magnetici si è detto che la loro origine può risiedere in un
magnete o in una corrente elettrica. Avendo visto che il magnetismo di un magnete
deriva dalla sua struttura elettronica, ovvero
dal moto dei suoi elettroni, si può concludere
in linea generale che le interazioni magne-
tiche sono generate da flussi di cariche
elettriche, cioè da correnti elettriche. A se-
conda delle varie configurazioni del percorso
della corrente elettrica si ha una certa distri-
buzione spaziale del campo di induzione ma-
gnetica. Configurazioni più complesse posso-
no essere risolte attraverso quelle elementari Figura 13.4: Linee di forza per un campo di in-
e il principio di sovrapposizione degli effetti. duzione magnetica generato da un filo rettilineo
Come configurazione più semplice si con- percorso da corrente costante.
sideri un filo rettilineo di lunghezza infinita
percorso da corrente elettrica di intensità i costante immerso in un mezzo di permea-
bilità magnetica µ, come illustrato in Figura 13.4. Sperimentalmente si trova che il
campo di induzione magnetica B € generato da tale corrente i ha simmetria cilindrica:
il vettore B€ giace in piani perpendicolari al filo ed è tangente a circonferenze centrate

Fisica
nel filo. Allontanandosi dal filo il campo diminuisce: il suo modulo B è inversamente
proporzionale alla distanza r dal filo. Il verso di B € è antiorario se i è diretta verso
€ è determinato dalla legge di Biot
l’alto, orario se i punta verso il basso. Il modulo di B
e Savart:
µ i
(13.3) B= .
2π r

In generale si può concludere che maggiore è l’intensità della corrente i e maggiore è


B, maggiore è la permeabilità del mezzo e maggiore è B, maggiore è la distanza dal
filo e minore è B.

Sebbene sia stata usata l’approssimazione di filo di lunghezza infinita per ricavare la
€ nelle vicinanze di un
13.3, nella pratica la legge descrive bene il comportamento di B
filo di lunghezza finita.

13.5 Campo magnetico in una spira


Si consideri una spira circolare di raggio R percorsa da corrente elettrica di intensità
costante i, come illustrato in Figura 13.5. Il campo di induzione magnetica generato
dalla corrente nella spira è massimo lungo l’asse della spira in corrispondenza del centro
della spira stessa.
726 Magnetismo

Sommando i contributi di ogni tratto in-


finitesimo della spira, infatti, per il modulo
di B€ lungo l’asse ẑ della spira si ottiene

µ iR2 µ i
(13.4) B = 3
=⇒ B= .
2 z 2R
La seconda relazione si ricava dalla prima in
corrispondenza del centro della spira, ovve-
ro ponendo z = 0. Il verso di B € segue la
stessa regola adottata per la legge di Biot e Figura 13.5: Linee di forza per un campo
Savart: se i circola in senso orario il verso di di induzione magnetica generato da una spira
€ è entrante nella spira, se i circola in senso
B circolare percorsa da corrente costante.
antiorario B€ è uscente.

13.6 Solenoide
Un solenoide è un avvolgimento di filo a sim-
metria cilindrica e può essere considerato co-
me un insieme di N spire circolari coassiali
di raggio R percorse da corrente elettrica di
intensità i costante. Nell’idealizzazione di so-
lenoide di lunghezza infinita, i contributi dei
vari tratti e la simmetria del sistema fanno sı̀
che il campo di induzione magnetica sia nul-
Magnetismo

lo all’esterno del solenoide e uniforme al suo


interno, diretto lungo l’asse del solenoide.
La legge di Ampere consente di calco-
lare il modulo di B € conoscendo la permea-
bilità magnetica del mezzo µ, l’intensità di
Figura 13.6: Linee di forza per un campo di
corrente elettrica i, il numero di spire N che
induzione magnetica generato da un solenoide
compongono il solenoide e la lunghezza del percorso da corrente costante.
solenoide L:

µ·N ·i
(13.5) B= .
L

Nel caso reale di solenoide di lunghezza finita, il campo B€ è nullo solo ad una certa
distanza dal solenoide: all’esterno nei pressi del solenoide non è perfettamente nullo.
Nelle regioni terminali del solenoide, inoltre, non è diretto lungo la direzione dell’asse
del solenoide.

In generale si può concludere che maggiore è l’intensità della corrente i e maggiore


è B, maggiore è la permeabilità del mezzo e maggiore è B, maggiore è il numero di
spire e maggiore è B, maggiore è la lunghezza del solenoide e minore è B.

Il solenoide, anche detto bobina, è il componente fisico che nello studio dei circuiti
elettrici viene chiamato induttore. Per quanto discusso nel capitolo successivo, infatti,
Fisica 727

il passaggio di corrente variabile al suo interno induce un’ulteriore f.e.m. attraverso il


coefficiente di autoinduzione, chiamato induttanza L e misurato in Henry (H).

13.7 Forza di Lorentz


Una carica elettrica in moto all’interno di un campo di induzione magnetica B ~ è sog-
getta alla forza di Lorentz. Indicando con ~v la velocità della carica q l’espressione della
forza è

(13.6) F~L = q · ~v ∧ B
~ =⇒ FL = q · v · B · senα .

Essendo definita attraverso un prodotto vettoriale, la forza di Lorentz è nulla non


solo quando la carica è ferma rispetto al campo, ma anche quando la sua velocità è
~ La forza è massima quando ~v è perpendicolare a B.
parallela alla direzione di B. ~ Dalla
definizione di lavoro 6.7 come di prodotto scalare di forza per spostamento (cioè come
proiezione della forza nella direzione dello spostamento), inoltre, deriva che la forza di
Lorentz non compie lavoro: F~L è perpendicolare a ~v e quindi allo spostamento.

La forza di Lorentz domina il moto delle particelle nei campi magnetici, è ad esem-
pio responsabile della struttura a forma di bottiglia creata dalle fasce di van Allen
intorno alla Terra oppure regola la deflessione di fasci di particelle cariche all’interno

Fisica
degli acceleratori di particelle, che per la loro forma circolare vengono anche chiamati
ciclotroni.

Si consideri una particella di carica q in moto circolare uniforme con velocità tangenziale di
modulo v lungo una circonferenza di raggio R immersa in un campo di induzione magnetica
~ perpendicolare alla circonferenza. Uguagliando la forza di Lorentz alla forza centrifuga si
B
ottiene il raggio della circonferenza:

v2 m·v
(13.7) q·v·B =m =⇒ r= .
R q·B
Poiché il periodo T è il tempo necessario a percorrere un giro, cioè un percorso lungo 2πr,
dalla definizione di velocità come di spazio diviso il tempo e dalla definizione di pulsazione
ω = 2π/T si ottiene la pulsazione di ciclotrone:
2πr 2πm q·B
(13.8) T = = =⇒ ω= .
v q·B m

Un ciclotrone consente di accelerare particelle fino a velocità relativistiche, regime nel


quale le formule mostrate hanno bisogno di correzioni relativistiche. Quando invece la
velocità della carica ha una componente diretta lungo il campo B ~ il moto risultante è
elicoidale, come avviene nelle fasce di van Allen.
728 Magnetismo

La deflessione degli elettroni accelerati da una d.d.p. in un tubo catodico portò Thomson
nel 1897 alla scoperta della prima particella, l’elettrone. Sullo stesso principio si basa il
funzionamento dei televisori a tubo catodico. Sempre la deflessione dovuta alla forza di
Lorentz è alla base del funzionamento degli spettrometri di massa, in cui si accelerano
particelle cariche di massa m attraverso una d.d.p. e le si forza a passare in una regione
in cui c’è un campo B  ortogonale. Conoscendo il valore della d.d.p. e di B e misurando
il raggio di deflessione si ricava il rapporto tra la carica e la massa della particella. Se
quindi la carica è nota si può misurare la massa.

La forza di Lorentz è anche responsabile dell’effetto Hall, per il quale un campo


magnetico perpendicolare a un conduttore piano in cui circola corrente elettrica induce
una d.d.p., detta potenziale di Hall, tra le facce opposte del conduttore. Questa d.d.p.
è dovuta a un accumulo di elettroni su una faccia del conduttore a causa della forza
di Lorentz e al conseguente bilanciamento di cariche positive sulla faccia opposta dato
dalla neutralità del conduttore. L’effetto Hall consente anche di determinare in un
conduttore o semiconduttore quali sono i portatori di carica, cioè se sono elettroni o
lacune, grazie al verso della d.d.p. che si instaura.

13.8 Quesiti
1) Quale delle seguenti affermazioni non 3) Quali sono le unità di misura del campo
equivale a dire che il campo magnetico magnetico nel S.I.?
è solenoidale?
Magnetismo

A Am
A il campo magnetico ha sempre linee di
forza chiuse B A/m

B ogni linea di forza che parte da un C A m2


polo nord termina nel corrispondente
D A2 m
polo sud
C non esistono monopoli magnetici E A2 /m

D i poli magnetici sono presenti sempre in 4) Per distingure i materiali in ferroma-


coppia gnetici, paramagnetici e diamagnati-
ci si possono usare i valori di quale
E tutte le affermazioni precedenti equi-
grandezza?
valgono ad affermare che il campo
magnetico è solenoidale
A lo spin s dei loro elettroni
2) Che cosa si intende con temperatura di B la permeabilità magnetica µ
Curie?
C la temperatura di Curie Tc
A la temperatura massima alla quale un
D il magnetone di Bohr µB
materiale può essere ferromagnetico
B la temperatura minima alla quale un E la temperatura di Néel
materiale può essere ferromagnetico
5) Che cosa si intende per magnetizzazione
C la temperatura minima alla quale un residua?
materiale può essere diamagnetico
D la temperatura massima alla quale un A il valore del campo magnetico in un ma-
materiale può essere diamagnetico teriale a seguito della curva di prima
magnetizzazione dopo che il campo di
E la temperatura minima alla quale un induzione magnetica è stato riportato al
materiale può essere paramagnetico valore nullo
Fisica 729

B il valore del campo di induzione magne- D i giacimenti di minerali ferrosi


tica in un materiale a seguito della cur-
E la magnetizzazione dell’atmosfera
va di prima magnetizzazione dopo che
il campo magnetico è stato riportato al 8) Quale delle seguenti affermazioni sul
valore nullo geomagnetismo non è corretta?
C il valore del campo magnetico in un ma-
teriale a seguito della curva di seconda A i poli magnetici terrestri hanno subi-
magnetizzazione dopo che il campo di to diverse inversioni nel corso delle ere
induzione magnetica è stato riportato al geologiche
valore nullo B i poli geomagnetici non coincidono con
D il valore del campo di induzione magne- quelli geografici
tica in un materiale a seguito della cur- C la Terra è l’unico pianeta del sistema
va di seconda magnetizzazione dopo che solare ad avere una magnetosfera
il campo magnetico è stato riportato al
valore nullo D i poli geomagnetici subiscono continue
fluttuazioni di posizione
E il valore del vettore di polarizzazione
magnetica nell’istante in cui si inverte E la magnetosfera terrestre protegge la vi-
il senso della corrente ta sul pianeta dagli effetti dannosi del
vento solare
6) Che cosa si osserva applicando un
campo di induzione magnetica a un 9) Nella legge di Biot e Savart il modulo
materiale antiferromagnetico? del campo di induzione magnetica è:

A nulla perché i materiali antiferromagne- A inversamente proporzionale alla distan-


tici non risentono del magnetismo za dal filo percorso da corrente
B che i domini del materiale si orientano B direttamente proporzionale alla distan-
in direzioni casuali za dal filo percorso da corrente
C che i domini del materiale si orien- C inversamente proporzionale al quadra-
tano nello stesso verso di un cam- to della distanza dal filo percorso da
po di induzione magnetica applicato al corrente

Fisica
materiale D direttamente proporzionale al quadra-
D che i domini del materiale si orientano to della distanza dal filo percorso da
nel verso opposto di quello di un cam- corrente
po di induzione magnetica applicato al E indipendente dalla distanza dal filo
materiale percorso da corrente
E che i domini del materiale si orientano
perpendicolarmente al verso di un cam- 10) Il coefficiente di autoinduzione è una
po di induzione magnetica applicato al grandezza associata solitamente a:
materiale
A un ago magnetico
7) Quale si suppone sia la componen- B un filo rettilineo percorso da corrente
te maggiore che dà origine al campo elettrica
geomagnetico?
C una spira circolare percorsa da corrente
A i raggi cosmici elettrica
B il vento solare D un solenoide percorso da corrente
elettrica
C il nucleo esterno composto da ferro allo
stato liquido E un magnete permanente

13.9 Risposte commentate ai quesiti


1) La A e la B vanno escluse a priori perché indicano la stessa cosa: se ogni linea che
parte da un polo nord termina in un polo sud significa che tutte le linee sono chiuse
e viceversa. La C va esclusa perché ancora equivalente: un monopolo avrebbe linee
che partono da un polo senza chiudersi nel polo opposto corrispondente, cioè non
730 Magnetismo

linee chiuse. È facile comprendere che le stesse ragioni portano ad escludere anche
la D . La risposta corretta è la E .
2) La risposta corretta è la A : un materiale ferromagnetico se supera la temperatura
di Curie può essere al più paramagnetico, poiché i domini hanno troppa energia
termica per disporsi tutti con lo stesso orientamento.

3) La risposta corretta è la B . Le unità di misura del campo magnetico possono essere


dedotte da alcuni fenomeni elettromagnetici, come le forze che si instaurano tra due
fili, interazioni che consentono anche di definire l’ampere.

4) La C e la E possono essere escluse perché riguardano solo rispettivamente i mate-


riali ferromagnetici e quelli antiferromagnetici. La D va esclusa perché il magnetone
di Bohr è una costante fisica, non consente quindi alcuna classificazione. La A va
esclusa perché sebbene lo spin elettronico sia legato alle proprietà magnetiche dei
materiali non è il suo valore che consente la classificazione. La risposta corretta è
la B .
5) La risposta corretta è la A . La magnetizzazione residua, infatti, all’interno del
ciclo di isteresi magnetica dei materiali ferromagnetici rappresenta il valore della
magnetizzazione del corpo (e quindi del suo campo magnetico) dopo che il campo
di induzione esterna usato per una prima magnetizzazione è stato riportato a zero.

6) Per definizione un materiale è detto antiferromagnetico quando i suoi domini si


orientano nel verso opposto a quello di un campo di induzione magnetica applicato
al corpo stesso. La risposta corretta è quindi la D . La B va esclusa perché vale solo
Magnetismo

per temperature elevate, almeno superiori a quella di Néel, la C va esclusa perché


è la definizione di materiali ferromagnetici.
7) La A , la B e la E vanno escluse a priori perché le prime due si evidenzierebbero
attraverso la terza e sono quindi equivalenti. La risposta corretta è la C , perché
le particelle cariche nel nucleo esterno che è in rotazione si comportano come una
corrente e quindi generano un campo magnetico.

8) Tutte le affermazioni sono corrette ad eccezione della C , che è la risposta corretta.


Anche altri pianeti hanno una propria magnetosfera, tra i quali per intensità spicca
Giove.

9) In base alla relazione 13.3 si ricava che la risposta corretta è la A . In analogia


alla formula per il campo elettrostatico e ricordando le dimensioni della permea-
bilità magnetica, si poteva giungere alla risposta corretta anche grazie all’analisi
dimensionale.
10) La A e la E vanno escluse a priori perché sono oggetti con proprietà analoghe.
Dei restanti circuiti elettrici si parla di induttanza, o coefficiente di autoinduzione,
in relazione a correnti variabili che attraversano una bobina, cioè un solenoide. La
risposta corretta è la D .
Elettromagnetismo
14
Introduzione
In questo capitolo si tratteranno i fenomeni elettrici e magnetici come due aspetti della
stessa realtà fisica: l’elettromagnetismo. Nella prima parte si illustreranno i principali
fenomeni in cui le connessioni tra elettricità e magnetismo sono evidenti. Nella seconda
parte verrà discusso il campo elettromagnetico con il suo spettro e le sue proprietà.

14.1 Interazioni tra campi magnetici e correnti elettriche


Nel capitolo precedente nella sezione 13.7 è stata di-
scussa la forza di Lorentz, per la quale una par-
ticella dotata di carica q in moto con velocità ~v
all’interno di un campo di induzione magnetica B ~
risente di una forza perpendicolare sia alla sua velo-
cità (e quindi allo spostamento della carica) che al
campo B. ~ Questa forza è la responsabile delle inte-
razioni che si instaurano tra fili percorsi da corrente
elettrica.
Se un filo rettilineo di lunghezza l è percorso da
una corrente elettrica di intensità costante i1 gra-
zie alla legge di Biot e Savart 13.3 si conosce il
campo di induzione magnetica B ~ generato da i: il
Figura 14.1: A causa della forza di Lo-
suo modulo è B = (µ · i1 )/(2π · r), le sue linee di rentz tra due fili percorsi da corrente si
forze sono circonferenze concentriche centrate nel instaurano forze repulsive o attrattive a
filo giacenti su piani ad esso perpendicolari. Si con- seconda della concordanza del verso delle
sideri ora di porre un secondo filo di pari lunghezza, correnti.
percorso da una corrente i2 disposto parallelamente
al secondo a distanza d, come illustrato nella figura 14.1.

Per capire la causa dell’interazione macroscopica che si instaura tra i due fili occorre
ricordare che la corrente non è altro che un flusso di elettroni. Ogni elettrone è una
particella dotata di carica e muovendosi all’interno del filo risente del campo di in-
duzione magnetica generato dall’altro filo percorso da corrente attraverso la forza di
Lorentz. Quest’ultima è un prodotto vettoriale tra velocità dell’elettrone e campo di
induzione magnetica: il suo verso si può trovare con la regola della mano destra. Per
tale ragione a seconda che i versi delle correnti che scorrono nei fili siano concordi o
discordi tra i fili si hanno interazioni rispettivamente attrattiva o repulsiva.

A questo punto si hanno tutte le basi per interpretare la natura della forza che si
instaura tra due fili percorsi da corrente elettrica.
732 Elettromagnetismo

Tra due fili rettilinei di lunghezza l, paralleli e posti a distanza d, nei quali scorrono
due correnti di intensità i1 e i2 si ha una forza il cui modulo è
µ i1 · i2 · l
(14.1) F = .
2π d
Questa forza è attrattiva se le correnti nei due fili hanno lo stesso verso, altrimenti
repulsiva.

Che la forza sia direttamente proporzionale al prodotto delle intensità di corrente deriva
dal fatto che queste sono direttamente proporzionali ai campi di induzione magnetica
che generano, i quali a loro volta sono direttamente proporzionali alla forza di Lorentz.
Che sia direttamente proporzionale alla lunghezza dei fili discende dal fatto che questa
è direttamente proporzionale al numero di elettroni che risentono della forza di Lorentz.
La proporzionalità inversa rispetto alla distanza si ricava dalla legge di Biot e Savart
13.3 per il campo di induzione generato da un filo rettilineo percorso da corrente.

14.2 Definizione di Ampere


Nel S.I. l’ampere (simbolo A) è l’unità di misura dell’intensità di corrente elettrica i ed
è una delle sette grandezze fondamentali. In particolare è la grandezza fondamentale
per quanto riguarda l’elettromagnetismo. Il motivo di tale scelta risiede nella semplice
definizione operativa di tale unità di misura. La misura che porta a definire l’ampere
Elettromagn.

è infatti facilmente riproducibile con errori molto piccoli.


La definizione dell’ampere si basa sull’interazione tra fili percorsi da corrente elet-
trica continua introdotta nella sezione precedente.

Si definisce ampere l’intensità di corrente elettrica continua i che scorrendo in due fili
conduttori rettilinei, paralleli, di lunghezza idealmente infinita posti nel vuoto a distanza
reciproca di 1 m produce tra di essi una forza di modulo pari a 2π10−7 N per ogni metro
di lunghezza.

La definizione si ottiene sostituendo i valori indicati nella 14.1.

14.3 Induzione elettromagnetica


Nel capitolo precedente dedicato al magnetismo si è di-
scusso di come le correnti elettriche generino campi di in-
duzione magnetica. Questo aspetto è già rilevante ai fini
di una teoria unificata tra elettricità e magnetismo. La
parte complementare è rappresentata dalla generazione di
campi elettrici da parte di campi magnetici, fenomeno che
è noto come induzione elettromagnetica. Figura 14.2: Un alternatore
produce tensione alternata
Ad ogni campo elettrico è sempre associata una d.d.p., ponendo una spira in rota-
detta anche tensione o f.e.m. nel caso in cui generi una zione all’interno di un campo
corrente. La legge dell’induzione elettromagnetica collega magnetico.
Fisica 733

il flusso del campo di induzione magnetica attraverso un circuito elettrico alla tensione
che si viene a creare ai capi di questo circuito. Si consideri un circuito chiuso, ad esempio
una spira circolare. La superficie delimitata dal circuito si può orientare scegliendo una
delle due facce come positiva introducendo il versore normale alla superficie, secondo
quanto indicato nella sezione 2.6.
Il flusso del campo di induzione magnetica B ~ concatenato alla superficie delimitata
dalla spira (cioè attraverso la superficie) è dato dalla formula 2.4, ovvero è pari al
prodotto del modulo di B ~ per l’area della superficie per il coseno dell’angolo compreso.
L’induzione elettromagnetica è governata dalla legge di Faraday-Neumann-Lenz:
~
−∆Φ(B)
(14.2) f.e.m. = .
∆t

La legge di Faraday-Neumann-Lenz afferma che la variazione del flusso di un campo


di induzione magnetica concantenato a un circuito elettrico produce ai suoi capi una
tensione. Questa f.e.m. induce nel circuito una corrente che a sua volta produce un
campo di induzione magnetica il cui flusso si oppone alla variazione occorsa al flusso
del campo esterno.

Il segno meno nella 14.2 è legato al terzo nome della legge, ovvero a Lenz. Il fatto che
la f.e.m. indotta tenda a compensare la variazione di flusso indica che questo fenomeno
è uno dei tanti aspetti di minimizzazione dell’energia.

Per ottenere una variazione di flusso di un campo B ~ ci sono tre alternative: o si varia

Fisica
l’intensità del campo B o si varia l’area della superficie S o si varia l’angolo tra i due, ad
esempio ponendo la superficie in rotazione. Quest’ultima soluzione è impiegata negli
alternatori per ricaricare le batterie dei veicoli a motore attraverso il movimento delle
ruote. Ponendo infatti un magnete, detto statore, ai capi di una spira detta rotore la
cui rotazione viene collegata a quella delle ruote, ogni volta che il veicolo si muove si
ha una variazione di flusso del campo magnetico che produce una f.e.m. grazie alla
quale si ricarica la batteria.

La legge di Faraday-Neumann-Lenz fa capire perché ad una bobina si associa una gran-


dezza detta induttanza: questa grandezza rappresenta il coefficiente di autoinduzione.
Se il solenoide è attraversato da una corrente elettrica variabile, ad esempio alternata,
la variazione del flusso del campo magnetico associato alla corrente attraverso di esso
induce nel solenoide stesso una f.e.m. che crea un campo di induzione magnetica con
il verso opposto. L’induttanza consente anche di esprimere l’energia U immagazzinata
nel solenoide: U = (1/2) · L · i2 .

14.4 Corrente alternata


Come già riportato nella sezione 12.2, la corrente alternata (A.C.) è analoga alla corren-
te continua, con l’unica differenza che il verso della corrente cambia in continuazione.
Trattandosi di un processo ciclico è più corretto affermare che il verso della corrente si
inverte ogni semiperiodo, compiendo un’oscillazione completa ogni periodo.
734 Elettromagnetismo

Uno dei modi più semplici di produrre corrente alternata è


proprio sfruttando la legge 14.2, cioè ricorrendo a una va-
riazione periodica del flusso di un campo magnetico, come
nel caso dell’alternatore discusso nella sezione preceden-
te. Quando nel tempo si ha una variazione dell’angolo α
tra il campo e la superficie del circuito e tale variazione è
dovuta a un moto circolare uniforme di velocità angolare
ω, le leggi del M.C.U. consentono di determinare istante Figura 14.3: Per ridurre le dis-
per istante l’angolo α(t): α(t) = ω · t. In tal caso in ogni sipazioni dovute all’effetto Jou-
~ le l’energia elettrica viene di-
istante il flusso del campo magnetico è Φ(B)(t) = B · S·
stribuita attraverso linee ad alta
cos(ωt) e quindi la sua variazione nel tempo (che è pari tensione.
alla derivata rispetto al tempo) è
(14.3) f.e.m.(t) = ω · B · S · sen(ωt) = f.e.m.max · sen(ωt) .
La tensione prodotta dall’alternatore ha un’andamento sinusoidale e quindi è una gran-
dezza ondulatoria. Ha un’ampiezza massima, ad ogni semiperiodo inverte il proprio
verso passando per il valore nullo e nel semiperiodo successivo assume un valore mini-
mo pari in modulo a quello massimo.√ Una grandezza√sinusoidale ha un valore efficace,
pari al suo valore massimo diviso 2: Vef f = Vmax / 2.

Il valore efficace è la radice quadrata della media del quadrato della funzione sinusoidale
(in inglese è infatti indicato con la sigla RMS, stante per root mean square). Il valore
efficace viene utilizzato ad esempio per confrontare gli effetti di una tensione alternata
Elettromagn.

con quelli di una tensione continua. Allo stesso modo il valore efficace di una corrente
alternata corrisponde al valore di continua che a parità di tempo dissipa la stessa
potenza per effetto Joule.

Il funzionamento degli elementi circuitali in A.C. e le ragioni connesse all’uso domestico


della tensione alternata prodotta nelle centrali elettriche sono stati discussi nel capitolo
sull’elettrodinamica 12.
Una macchina elettrica statica che consente di diminuire il valore della tensione,
ad esempio per adattarlo alle esigenze di un dispositivo di uso domestico, è il trasfor-
matore. Concettualmente è costituito da un anello di materiale ferromagnetico (ad
esempio ferro) che a due estremità opposte presenta due avvolgimenti di conduttore,
ovvero due solenoidi che si avvolgono sul nucleo. Il solenoide collegato alla tensione
iniziale è detto primario, quello opposto dal quale si preleva la tensione trasformata è
detto secondario.
Applicando sul primario una tensione sinusoidale, la variazione di flusso del campo
di induzione magnetica crea per la legge di Faraday-Neumann-Lenz una f.e.m. sinusoi-
dale sul secondario. Si definisce rapporto di trasformazione del trasformatore il coeffi-
ciente adimensionale k pari al rapporto tra le tensioni al primario e al secondario, che
a sua volta è pari al rapporto tra i rispettivi numeri di spire. Per avere una tensione
più bassa al secondario, quindi, basta che questo abbia un numero di spire inferiore di
quello del primario.
Vp Np Ns
(14.4) k= = =⇒ Vs = Vp .
Vs Ns Np
Fisica 735

A causa dell’induzione elettromagnetica nel trasformatore, ma in generale in qualunque


conduttore soggetto a un flusso variabile di un campo magnetico, si hanno correnti
parassite. Queste correnti, chiamate anche correnti di Foucault o correnti di vortice
(in inglese eddy currents), essendo dovute alla forza di Lorentz applicata agli elettroni
nel conduttore consistono nel moto elicoidale degli elettroni, da cui il nome correnti
di vortice. A causa di queste correnti indesiderate si ha un contributo alla perdita di
energia per l’effetto Joule, consistente nella dissipazione energetica sotto forma di calore
come discusso nella sezione 12.3. Le correnti parassite sono anche la causa principale
dell’effetto pelle citato nella stessa sezione.

Per ridurre le perdite nei trasformatori dovute alle correnti parassite i nuclei ferromagnetici
vengono sostituiti con nuclei di materiali con una minore conducibilità oppure si ricorre al pro-
cesso della laminazione. Il nucleo viene suddiviso in numerosi strati sottili isolati elettricamente
che quindi non possono venire attraversati dagli elettroni.

Ulteriore sorgente di perdite per un trasformatore reale è il traferro, ovvero un piccolo


spazio che interrompe il circuito magnetico (di solito dovuto al processo di produ-
zione dell’anello magnetico) pur essendo attraversato dalle linee di flusso del campo
magnetico.

Il traferro è anche lo spazio tra i poli di una calamita a ferro di cavallo. Un dispositivo già citato
nella sezione 13.3 a proposito degli usi della magnetizzazione residua, per il cui funzionamento
è essenziale proprio il traferro è l’hard disk di un computer.

Fisica
14.5 Spettro del campo elettromagnetico

Figura 14.4: Le interazioni del campo elettroma- Figura 14.5: Oltre alla parte visibile dello spet-
gnetico sono alla base di quasi ogni evento che si tro EM utilizzata dai nostri occhi, l’uomo ha svi-
verifica sulla Terra, dalle trasformazioni chimiche luppato numerose applicazioni che fanno uso di
degli elementi alle sfumature di colore del sole al radiazioni EM appartenenti a ogni banda dello
tramonto. spettro.

Il campo elettrico e il campo magnetico sono in realtà due aspetti complementari


della stessa entità fisica: il campo elettromagnetico.

Il campo elettromagnetico spiega quindi sia perché una corrente elettrica genera un
campo magnetico, come sperimentato da Oersted, sia perché un campo magnetico
variabile genera un campo elettrico, come sperimentato da Faraday.
Il campo elettromagnetico è una regione dello spazio caratterizzata da proprietà
derivanti da una carica elettrica sorgente. Le perturbazioni del campo elettromagnetico
736 Elettromagnetismo

si propagano nello spazio come onde elettromagnetiche. La velocità di propagazione di



un’onda elettromagnetica in un mezzo è v = 1/ ε · µ e coincide con la velocità della
luce nel mezzo.

Non deve stupire che la velocità di qualsiasi onda elettromagnetica sia uguale a quella del-
la luce. Il campo elettromagnetico, infatti, può essere quantizzato. I pacchetti di energia
elettromagnetica che si propaga, cioè i quanti del campo, sono proprio i fotoni.

In generale il campo elettromagnetico può essere scomposto in una sovrapposizione


di onde con frequenze diverse. La frequenza f di un’onda è legata alla sua energia E
secondo la relazione E = h·f con h costante di Planck, quindi onde a frequenza diversa
hanno energie diverse. A sua volta la frequenza f è legata alla lunghezza d’onda λ dalla
relazione v = λ · f . Per ulteriori specificazioni sulle grandezze ondulatorie si rimanda
al capitolo 15.
A seconda della frequenza, quindi, le componenti del campo elettromagnetico hanno
energia diversa e lunghezza d’onda diversa. L’insieme di tutte le frequenze possibili
per le radiazioni elettromagnetiche è chiamato spettro del campo elettromagnetico.
Lo spettro è diviso in diverse bande, ognuna corrispondente a un certo intervallo di
frequenze (o di lunghezze d’onda). Ordinandole in base all’energia crescente lo spettro
ha le seguenti bande:

Onde radio Hanno una frequenza inferiore a 109 Hz, quindi una lunghezza d’on-
da maggiore di 10−1 m. Sono le onde con minore energia e maggiore lunghezza
Elettromagn.

d’onda. Comprendono le onde radio corte e lunghe e le onde usate per la trasmis-
sione televisiva e hanno λ anche dell’ordine dei kilometri. Permeano l’atmosfera
terrestre a causa delle numerose emittenti di origine umana (per esempio radio
e TV commerciali) e sono riflesse dalla ionosfera, il che consente la trasmissione
anche tra stazioni trasmittente e ricevente tra cui si frappongono ostacoli solidi
rilevanti.

Microonde Hanno una frequenza compresa tra 109 Hz e 1012 Hz, quindi hanno
una lunghezza d’onda compresa tra 10−1 m e 10−3 m. Parte della loro banda si
sovrappone a quella delle onde radio corte. Hanno molteplici impieghi, soprattut-
to per frequenze inferiori ai 40 GHz: si utilizzano nella telefonia cellulare e nelle
comunicazioni via satellite perché attraversano l’atmosfera senza subire interfe-
renze, nei ponti radio, nei radar, nelle connessioni bluetooth e nelle reti wireless
domestiche (WLAN), nei forni a microonde.

Infrarosso Hanno una frequenza compresa tra 1012 Hz e 1014 Hz, quindi hanno
una lunghezza d’onda compresa tra 10−3 m e 0,7 × 10−6 m. Al crescere dell’ener-
gia si distinguono in lontano, medio e vicino infrarosso. Hanno un’energia minore
di quella trasportata dalla luce visibile e come utilizzi principali si ha la ter-
mografia (ad esempio la visione notturna con visori IR) e la trasmissione dati
tra dispositivi per evitare interferenze radio: i telecomandi dei TV utilizzano il
protocollo IrDA per trasmettere dati attraverso LED infrarossi.

Visibile Hanno una frequenza compresa tra 4,3 × 1014 Hz e 7,5 × 1014 Hz, quindi
hanno una lunghezza d’onda compresa tra 0,7 × 10−6 m e 0,4 × 10−6 m. In ordine
Fisica 737

di energia crescente la banda si scompone nei colori rosso, arancione, giallo, verde,
ciano, blu, violetto. È la parte dello spettro EM cui sono sensibili gli occhi umani,
mentre altri animali reagiscono a parti diverse dello spettro EM. Il colore delle
stelle è legato alla loro temperatura (relazione estensibile a qualsiasi corpo nero),
ad esempio stelle rosse hanno temperature inferiori a stelle di colore bianco-
azzurro. Il Sole, di colore giallo, ha una temperatura superficiale di circa 5000◦ C
rilevabile attraverso la spettroscopia.

Ultravioletto Hanno una frequenza compresa tra 7,5 × 1014 Hz e 3 × 1017 Hz,
quindi hanno una lunghezza d’onda compresa tra 0,4 × 10−6 m e 10−8 m. Hanno
energia maggiore della luce visibile e possono già provocare danni agli organi-
smi viventi. La banda è suddivisa in ordine crescente di energia in UV-A, UV-B
e UV-C. L’atmosfera grazie all’ozono scherma completamente gli UV-C e quasi
completamente gli UV-B, lasciando passare solo i meno dannosi UV-A. Ven-
gono utilizzati nelle lampade fluorescenti, nella sterilizzazione o come coloranti
(marker).

Raggi X Hanno una frequenza compresa tra 3 × 1017 Hz e 3 × 1020 Hz, quindi
hanno una lunghezza d’onda compresa tra 10−8 m e 10−12 m. Hanno energie che
provocano seri danni agli organismi viventi con la possibilità di causare tumori.
Vengono utilizzati soprattutto nella diagnostica medica attraverso le radiografie
(questi raggi vengono schermati dalle ossa ma attraversano i tessuti molli) e nella
cristallografia a raggi X.

Fisica
Particolarmente rilevante è il loro impiego nella spettroscopia a raggi X in astro-
nomia: i telescopi sensibili ai raggi X consentono di studiare numerosi fenomeni
celesti troppo lontani per essere rilevati nel visibile. Alcuni dei più spettacolari
processi astronomici hanno forti emissione nella banda X, quali le pulsar (stelle
di neutroni rotanti che vengono rilevate come radiofari nella banda X), i dischi
di accrescimento dei buchi neri e le supernovae.

Raggi gamma Hanno una frequenza maggiore di 3 × 1020 Hz, quindi hanno
una lunghezza d’onda minore di 10−12 m. Sono la parte dello spettro EM ad
energia maggiore, ma l’atmosfera è un efficace schermo contro i raggi cosmici
in questa parte dello spettro. Sebbene i raggi X più energetici (raggi X duri) si
sovrappongano in parte ai raggi γ, queste bande hanno origini differenti: i primi
derivano da transizioni tra diversi livelli energetici degli elettroni, mentre i secondi
da processi nucleari o subnucleari. Vengono utilizzati per la sterilizzazione o per
la diagnostica medica attraverso la PET (tomografia ad emissione di positroni).

In astronomia i raggi γ destano molto interesse: le sorgenti γ sono gli oggetti più
energetici del cosmo, ad esempio le ipernove, i quasar o i buchi neri supermassivi
al centro delle galassie. Si osservano inoltre continuamente nel cielo dei lampi
γ (gamma ray burst) ultra energetici, vere e proprie esplosioni di proporzioni
gigantesche la cui origine è tuttora poco chiara.
738 Elettromagnetismo

14.6 Quesiti
1) Qual è l’interazione di natura mi- A una tensione a gradino
croscopica responsabile dell’interazione
B una tensione a dente di sega
macroscopica tra due fili percorsi da
corrente? C una tensione triangolare
A la forza di Coulomb tra gli elettroni dei D una tensione sinusoidale
due fili
E una tensione di ampiezza costante
B la forza di Lorentz tra gli elettroni e il
campo di induzione magnetica 5) Se un alternatore produce una tensio-
ne alternata di ampiezza massima pari
C la forza di Coriolis degli elettroni in
a 14 V, il valore efficace della tensione è
moto nei fili
circa:
D la forza di attrito degli elettroni nei
conduttori filiformi A 14 V
E la forza centrifuga degli elettroni attor- B 10 V
no ai nuclei
C 1,4 V
2) Se due fili rettilinei sono percorsi da
D 7V
correnti elettriche della stessa intensità
e stesso verso, posti alla distanza di un E 28 V
metro all’interno di un mezzo di per-
meabilità magnetica relativa µr = 1.01, 6) Quale relazione lega la velocità della
l’intensità della forza che si instaura tra luce, la permeabilità magnetica e la
di essi rispetto alla stessa configurazio- costante dielettrica nel vuoto?
ne con i fili però immersi nel vuoto √
è: A c = 1/ ε0 · µ0

B c = ε0 · µ0
A maggiore
Elettromagn.


C c2 = 1/ ε0 · µ0
B minore

C uguale D c2 = ε 0 · µ 0

D dipende se il mezzo è paramagnetico o E c = 1/ ε0 /µ0
diamagnetico
7) Quale delle seguenti leggi non fa parte
E la domanda è priva di senso perché per delle equazioni di Maxwell?
tali valori di µr non può instaurarsi una
forza tra i due fili A la legge di Ampere

3) Il segno meno nella legge di Faraday- B il teorema di Gauss


Neumann-Lenz indica che il sistema C il teorema di Gauss per il campo
tenta di: magnetico
A aumentare al massimo la variazione di D la legge di Faraday-Neumann-Lenz
flusso magnetico
E la legge di Ohm
B compensare la variazione occorsa di
flusso magnetico 8) La direzione di propagazione di un’onda
C minimizzare al massimo la corrente elettromagnetica nel vuoto:
prodotta A è parallela al campo elettrico
D minimizzare al massimo la tensione
prodotta B è parallela al campo magnetico

E minimizzare al massimo la resistenza C è data dalla somma vettoriale del campo


elettrico e di quello magnetico
4) Se per generare una tensione alternata
D è data dalla differenza vettoriale tra il
si usa un circuito che ruota con velocità
campo elettrico e il campo magnetico
angolare costante all’interno di un cam-
po magnetico di intensità costante nel E è perpendicolare sia al campo elettrico
tempo, il segnale generato sarà: che al campo magnetico
Fisica 739

9) L’elettromagnetismo è naturalmente 10) Quali delle seguenti bande dello spettro


invariante rispetto: elettromagnetico ha maggiore energia?

A a rotazioni del sistema di riferimento A visibile


B a traslazioni del sistema di riferimento B infrarosso
C a trasformazioni galileiane
C ultravioletto
D a trasformazioni di Lorentz
D microonde
E a rototraslazioni del sistema di riferi-
mento E raggi gamma

14.7 Risposte commentate ai quesiti


1) La A va esclusa perché solitamente i conduttori filiformi sono ricoperti da uno
strato isolante e inoltre la distanza tra i fili è comunque troppo elevata per consentire
agli elettroni di un filo di sentire le forze di Coulomb dovute agli elettroni dell’altro
filo. La C va esclusa perché non si ha rotazione. La D è legata all’effetto Joule, non
alle interazioni tra fili e va quindi esclusa. La E va esclusa sia perché gli elettroni in
realtà si trovano su orbitali e non su orbite, sia perché al più il momento magnetico
degli elettroni riguarda il momento di dipolo di un materiale. La risposta corretta
è la B .
2) La forza che si instaura tra due fili percorsi da corrente è direttamente proporzio-
nale al valore della permeabilità magnetica µ del mezzo in cui sono immersi. La
permeabilità magnetica relativa µr è definita dalla relazione µ = µ0 · µr , quindi
per il vuoto µr = 1. Se ne ricava che per valori di µr maggiori dell’unità la forza
che si instaura è maggiore rispetto alla stessa configurazione con i fili nel vuoto. La

Fisica
risposta corretta è la A .
3) Il segno meno nella legge di Faraday-Neumann-Lenz 14.2 indica che il sistema cerca
di essere il più stabile possibile, condizione ottenibile con la configurazione con
minore energia. Questo porta il sistema a compensare la variazione di flusso: la
risposta corretta è la B .
4) La risposta corretta è la D : al moto circolare uniforme del rotore, infatti, si associa
una legge sinusoidale della tensione a causa del coseno presente nella definizione di
flusso di campo magnetico concatenato al circuito.
5) Per grandezze sinusoidale si definisce valore efficace il rapporto tra il valore massimo
e la radice di 2, per poter
√ confrontare gli effetti di tali grandezze con quelle in
corrente continua. Poiché 2 ≈ 1, 4 si ha che la risposta corretta è la B .
6) Uno dei pregi della sintesi delle equazione di Maxwell è proprio che alcune grandezze
relative a elettricità e magnetismo vengono legate da relazioni naturali, tra cui quella
in oggetto. Dall’analisi dimensionale si può dedurre che la risposta corretta è la A .
7) La risposta corretta è la E : la legge di Ohm riguarda soltanto circuiti elettrici e
non contempla minimamente accoppiamenti con campi magnetici.
8) La risposta corretta è la E , infatti la direzione dell’onda EM è quella del vettore
di Poynting e quest’ultimo è definito come E € ∧ B,
€ quindi è ortogonale ai due campi
per le proprietà del prodotto vettoriale.
740 Elettromagnetismo

9) Le trasformazioni galileiane includono le traslazioni e le rototraslazioni includono


sia le rotazioni che le traslazioni. Il fatto che la velocità del sistema di riferimento
discrimini tra campo elettrico e magnetico porta a concludere che la A , la B , la C
e la E sono da escludere. La risposta corretta è infatti la D .

10) L’energia di un’onda EM è legata alla sua frequenza attraverso il prodotto di questa
per la costante di Planck. Le bande riportate, in ordine di frequenza crescente, sono
microonde, infrarosso, visibile, ultravioletto e raggi gamma. La risposta corretta è
quindi la E .
Elettromagn.
Cenni di meccanica
ondulatoria 15
Introduzione
Nello studio del moto armonico, della forza elastica e del campo elettromagnetico abbia-
mo più volte citato grandezze tipiche dei fenomeni ondulatori. In questo capitolo ana-
lizzeremo carattistiche e proprietà generali della meccanica ondulatoria e dei fenomeni
peculiari connessi alle onde e alla loro propagazione. Nella seconda parte discuteremo
i principali tipi di onde e alcuni aspetti specifici della descrizione ondulatoria.

15.1 Definizione di onda


Nello studio della meccanica, della fluidodinamica e della
termodinamica sono stati analizzati proprietà e moti di
particelle, sia singole che facenti parte di sistemi, o di corpi
rigidi. Già con l’elettromagnetismo è divenuto palese che
la descrizione particellare non può adattarsi a spiegare
ogni fenomeno osservato. Il concetto di campo, infatti,
tiene conto di diverse proprietà altrimenti inspiegabili con
l’uso delle sole proprietà delle particelle.
Trattando il campo elettromagnetico si è anche affer- Figura 15.1: I fenomeni ondula-
mato che le equazioni di Maxwell che ne descrivono la tori sono diffusi ovunque in natu-
propagazione nel vuoto hanno come soluzioni delle fun- ra a tutte le scale di grandezza,
zioni d’onda, chiamate in fisica onde elettromagnetiche, da quella macroscopica a quella
subatomica.
cui abbiamo associato un’energia trasportata attraverso il
vettore di Poynting. È quindi opportuno dare una defini-
zione di onda e approfondire alcuni aspetti della meccanica ondulatoria. La definizione
stessa di onda in fisica presenta alcune ambiguità.

Si definisce onda una perturbazione che si propaga nello spazio. Generalmente per
onda si intende una fluttuazione di un campo, connessa al trasporto di energia e di
quantità di moto ma non di materia, sebbene si può avere un’onda anche senza avere
trasporto di energia (nel caso di onde stazionarie). Ogni punto dell’onda è soggetto a
una vibrazione intorno alla sua posizione di equilibrio.

Una perturbazione localizzata nello spazio e di breve durata si chiama onda impulsiva.
Se l’impulso emissivo dura alcuni periodi si parla di treno d’onda (o pacchetto d’onda),
ovvero di una sovrapposizione di onde. I fenomeni ondulatori sono generalmente perio-
dici. Un fenomeno periodico assume uno stesso insieme di valori per un determinato set
di grandezze ogni volta che trascorre uno stesso intervallo di tempo, chiamato periodo
T . Per le onde periodiche si utilizzano di solito il valore dell’ampiezza A dell’onda e
742 Cenni di meccanica ondulatoria

l’andamento dell’onda (chiamato fase e discusso nella sezione 15.4). I punti dello spazio
che vengono raggiunti da un’onda nello stesso istante di tempo sono chiamati fronti
d’onda. A seconda della forma di queste superfici si hanno onde piane (hanno come
fronte d’onda una retta), onde circolari (hanno come fronte d’onda una circonferenza),
onde sferiche (hanno come fronte d’onda una sfera), etc.
La forma dell’oscillazione, ovvero il profilo dell’onda, si riflette nei diversi nomi: si
hanno onde sinusoidali, onde quadre (utilizzate nei segnali digitali), onde triangolari,
etc.

15.2 Classificazione delle onde


Un’onda è una soluzione di una certa equazione mate-
matica, detta appunto equazione d’onda; questa descri-
zione quindi si adatta a una molteplicità di fenomeni fi-
sici di origine diversa. Conviene allora procedere a una
classificazione delle onde, che può essere effettuata sia in
base ai modi di vibrazione sia all’origine dell’onda. Le
due classificazioni possono anche sovrapporsi in quanto
indipendenti. Figura 15.2: Le onde che si
propagano sulla superficie di
un liquido hanno fronti d’onda
15.2.1 Modi di vibrazione delle onde circolari e sono onde trasversali.
onde trasversali La vibrazione dei punti dell’onda si svolge in direzione per-
pendicolare a quella di propagazione dell’onda. Ne sono un esempio le onde elet-
tromagnetiche e le onde che attraversano una corda vincolata per gli estremi e
posta in oscillazione.
Onde

onde longitudinali La vibrazione dei punti dell’onda si svolge lungo la direzione


di propagazione dell’onda stessa. Ne sono un esempio le onde elastiche e il suono.

15.2.2 Origini delle onde


onde meccaniche Un’onda meccanica ha bisogno di un mezzo per propagarsi e
si origina da una perturbazione di un punto del mezzo. Durante la propagazione
nel mezzo ogni onda reale subisce il fenomeno dell’attenuazione, ovvero la sua
ampiezza si riduce man mano a causa delle dispersioni di energia connesse con la
propagazione nel mezzo. Un esempio di onde meccaniche è costituito dal suono.

onde elettromagnetiche Un’onda elettromagnetica si propaga anche nel vuo-


to, non ha bisogno di un mezzo. È infatti una fluttuazione del campo elettroma-
gnetico che si propaga. Un esempio di onda elettromagnetica è costituito dalla
luce.

15.3 Grandezze caratteristiche di un’onda


Tra le onde periodiche quelle la cui sorgente si muove di moto armonico e che si pro-
pagano in un mezzo elastico sono dette armoniche e sono descritte da una funzione
goniometrica seno o coseno, infatti il loro grafico è una sinusoide. Per analizzare le
onde armoniche occorre definire le seguenti grandezze:
Fisica 743

Ampiezza L’ampiezza A nel S.I. si misura in m e rappresenta lo spostamento


massimo dei punti dell’onda dalla posizione di equilibrio. L’ampiezza dipende dal
mezzo in cui l’onda si propaga e con il passare del tempo subisce il fenomeno del-
l’attenuazione, ovvero diminuisce a causa delle dissipazioni dovute alla presenza
del mezzo stesso. I punti in cui l’onda ha ampiezza massima si chiamano creste
d’onda, quelli in cui ha ampiezza minima si chiamano ventri.

Lunghezza d’onda La lunghezza d’onda λ è la distanza tra due punti dell’onda


che hanno le stesse caratteristiche, ovvero stessa ampiezza e stesso andamento.
Nel S.I. si misura in m. Tipicamente la lunghezza d’onda si misura tra due creste
o due ventri; questa grandezza inoltre è influenzata dal mezzo in cui l’onda si
propaga. La lunghezza d’onda può anche essere visualizzata come la distanza
percorsa dal fronte d’onda in un periodo.

Frequenza La frequenza f nel S.I. si misura in Hz e rappresenta il numero di


oscillazioni complete in un secondo. È una grandezza caratteristica della sorgente
dell’onda.

Periodo Il periodo T nel S.I. si misura in s e rappresenta il tempo impiegato per


compiere un’oscillazione completa, cioè affinché un punto di un’onda periodica
torni ad avere le stesse caratteristiche (ampiezza e andamento) di un tempo pre-
cedente. Il periodo e la frequenza sono una la grandezza inversa dell’altra, quindi
anche il periodo è una grandezza caratteristica della sorgente dell’onda.

Velocità Per un’onda esistono due differenti velocità: la velocità di fase vf e la


velocità di gruppo vg . La prima rappresenta la velocità con cui si propagano i

Fisica
fronti d’onda, mentre la seconda è la velocità con cui si propagano le variazioni
nella forma dell’onda. Soltanto la seconda trasporta energia o informazioni ed è
quindi soggetta ai limiti della relatività ristretta: non può essere superiore alla
velocità della luce. La velocità di fase, invece, può avere anche carattere superlu-
minale senza violare alcun principio fisico. Entrambe dipendono anche dal mezzo
di propagazione.

Vettore d’onda Il vettore d’onda ~k è un vettore che la direzione di propagazione


dell’onda e modulo k = 2π/λ. Il modulo k del vettore d’onda è chiamato numero
d’onda.

Intensità dell’onda L’energia trasportata nell’unità di tempo attraverso l’unità


di superficie perpendicolarmente alla direzione di propagazione dell’onda è chia-
mata intensità I. L’intensità è proporzionale sia al quadrato della frequenza che
al quadrato dell’ampiezza e nel S.I. si misura in W/m2 .

Le grandezze riportate sono legate da alcune relazioni matematiche, ricavabili anche


grazie all’analisi dimensionale:

1 2π
(15.1) f= , vf = λ · f, λ = vf · T, ω= = 2π · f .
T T
744 Cenni di meccanica ondulatoria

La grandezza ω, chiamata pulsazione, è legata al


numero d’onda, ovvero onde di lunghezza d’onda
diversa hanno frequenza diversa. La funzione ω(k)
è chiamata relazione di dispersione. Poiché la
velocità di fase è definita come rapporto tra la pul-
sazione e il numero d’onda vf = ω/k, si ha che onde
di frequenza diversa hanno velocità di fase diversa,
quindi un’onda che attraversa un mezzo subisce il
fenomeno della dispersione: le sue diverse compo-
nenti in frequenza viaggiano nel mezzo a velocità
diversa e si separano. Figura 15.3: Onda periodica sinusoidale
La velocità di gruppo vg è invece definita co- espressa in funzione del tempo e dello
spazio.
me la derivata della pulsazione rispetto al numero
d’onda.

15.4 Funzione d’onda


Si è detto che matematicamente le onde sono soluzioni dell’equazione delle onde. Si
indichi con y l’ampiezza variabile della vibrazione dal punto di equilibrio, con x la
posizione spaziale, con t il tempo e con v la velocità di propagazione dell’onda (si tratta
di vf ). La peculiarità di tali soluzioni è che si tratta di funzioni in cui la dipendenza
spazio-temporale deve essere del tipo y(x, t) = y(x − v · t).
Limitando la trattazione alle onde armoniche che si propagano in una dimensione,
la funzione d’onda ha la seguente forma:

(15.2) y (t) = A sen(k · x ∓ ω t + ϕ) ,


Onde

in cui ϕ è chiamata fase iniziale dell’onda, mentre con il termine fase si intende l’intero
argomento della funzione goniometrica. Scegliendo una fase iniziale con uno sfasamento
di π/2 per le proprietà delle funzioni goniometriche si ottiene la stessa espressione ma
con la funzione coseno in luogo del seno. ϕ in genere tiene conto delle condizioni iniziali.
L’onda armonica è periodica sia nello spazio, avendo λ come periodo spaziale, sia
nel tempo, avendo T come periodo temporale. Scegliendo il segno meno nella 15.2
si hanno onde che si propagano nel verso positivo delle x, dette onde progressive;
scegliendo il segno più si hanno onde che si propagano nel verso negativo delle x, dette
onde regressive.

Si dice che due onde sono in fase quando hanno la stessa fase ovvero quando la
differenza tra le loro fasi, detta sfasamento, è un multiplo intero di 2π. Due onde sono
dette in opposizione di fase quando il loro sfasamento è un multiplo dispari di π.

Il teorema di Fourier assicura che una funzione periodica può essere scomposta come
una serie infinita di onde armoniche: un’armonica fondamentale che dà il contributo
principale all’onda risultante e armoniche secondarie che contribuiscono sempre meno
al segnale.
Un’onda i cui fronti d’onda sono piani paralleli, che quindi si propaga senza alcuna
condizione al contorno, senza ostacoli, è chiamata onda piana. Pur non avendo senso
Fisica 745

fisico, quando la sorgente è a grande distanza si può sviluppare un’onda come una serie
di onde piane.

Oltre a descrivere fenomeni ondulatori della fisica classica, la funzione d’onda è un oggetto
matematico basilare della fisica quantistica. Grazie all’ipotesi di de Broglie, infatti, le particelle
materiali durante la loro propagazione possono essere descritte come onde di materia, quindi
sono rappresentate da funzioni d’onda. In tal caso la funzione d’onda rappresenta la densità
di probabilità di trovare la particella in una certa posizione ad un certo istante.

15.5 Principio di sovrapposizione


Quando nella stessa regione di spazio si propagano più onde si può applicare il principio
di sovrapposizione, grazie al quale si ricavano anche proprietà peculiari dei fenomeni
ondulatori.

Il principio di sovrapposizione afferma che in presenza contemporanea di più onde ogni


punto dello spazio subisce uno spostamento dalla propria posizione di equilibrio pari
alla somma vettoriale degli spostamenti connessi alle singole onde, come se ognuna di
esse agisse separatamente.

Importanti teoremi matematici connessi all’equazione delle onde e alle sue soluzioni
garantiscono che combinazioni lineari di onde sono ancora onde, quindi somme alge-
briche di onde sono ancora onde. Come conseguenza del principio di sovrapposizione si
hanno fenomeni tipicamente ondulatori quali l’interferenza e la diffrazione.
Quando più onde si sovrappongono la forma dell’onda risultante dipende dagli sfa-

Fisica
samenti delle onde e di solito non è semplice da determinare. Se si sovrappongono onde
della stessa forma allora anche la risultante mantiene quella forma.

15.6 Tipi di interferenza

Figura 15.5: Se due onde di uguale lunghezza Figura 15.6: Se due onde di uguale lunghezza
d’onda e ampiezza interferiscono la risultante ha d’onda e ampiezza interferiscono la risultante ha
stessa lunghezza d’onda e ampiezza doppia: si ha stessa lunghezza d’onda e ampiezza nulla: si ha
intereferenza costruttiva. interferenza distruttiva.
Quando si sovrappongono onde armoniche di uguale frequenza e possibilmente di uguale
ampiezza si parla di interferenza. A seconda delle caratteristiche della sovrapposizione
746 Cenni di meccanica ondulatoria

si possono avere due tipi principali di interferenza. Per semplicità si limiti la discussione
all’interferenza di onde armoniche. Se queste differiscono solo per uno sfasamento co-
stante l’onda risultante è ancora un’onda armonica avente le stesse caratteristiche delle
due onde che si sovrappongono ma la cui ampiezza dipende proprio dallo sfasamento.
Interferenza costruttiva L’ampiezza A dell’onda risultante è data dalla somma
delle ampiezze delle onde che si sovrappongono. Si ha quando le onde sono in fase.
Nel caso di onde con la stessa ampiezza, l’ampiezza risultante è il doppio di quella
delle onde interferenti.
Interferenza distruttiva L’ampiezza A dell’onda risultante è data dalla diffe-
renza delle ampiezze delle onde che si sovrappongono. Si ha quando le onde sono
in opposizione di fase. Nel caso in cui le onde hanno la stessa ampiezza, quando si
ha interferenza distruttiva l’ampiezza risultante è nulla. Questo fenomeno viene
usato per isolare acusticamente un segnale, producendone uno con stessa forma,
frequenza e lunghezza d’onda ma in opposizione di fase.

La sovrapposizione di onde sonore può produrre il fenomeno dei battimenti. Un battimen-


to si realizza quando si sovrappongono due onde sonore con frequenza vicina. In tal caso
si percepisce un unico suono variabile periodicamente in ampiezza, piuttosto che due suoni
distinti. Lo sfasamento infatti varia nel tempo e si ha un susseguirsi di rinforzamenti (in-
terferenze costruttive) e indebolimenti (interferenze distruttive) dei suoni, chiamato appunto
battimento.

15.7 Onde stazionarie


Onde

Un caso particolare di interferenza genera le onde stazionarie.

Un’onda è detta stazionaria quando è generata dall’interferenza di due onde di pari


forma, ampiezza e frequenza che si propagano in verso opposto. Si ha un’onda sta-
zionaria anche nel caso in cui una singola onda si propaghi in una regione di spazio
la cui dimensione sia un multiplo semiintero della lunghezza d’onda e le cui estremità
riflettano l’onda. In un’onda stazionaria non si ha trasporto di energia.

I punti in cui l’ampiezza è nulla sono fissi e sono chiamati nodi. Nello sviluppo di
un’onda in armoniche (detto sviluppo in modi), queste sono caratterizzate dal numero
di nodi: l’armonica primaria ha nodi coincidenti con le estremità della regione inte-
ressata dalla propagazione, l’armonica secondaria ha un ulteriore nodo a metà della
distanza tra gli estremi della regione, la terza armonica oltre agli estremi ha due nodi
in corrispondenza a un terzo e a due terzi della distanza tra gli estremi e cosı̀ via.
All’aumentare dei nodi aumenta la frequenza della data armonica.

Si hanno onde stazionarie nello studio analitico degli orbitali elettronici. In tal caso i nodi
delle onde elettroniche corrispondono a punti in cui si ha la certezza di non poter trovare
l’elettrone.
Fisica 747

15.8 Leggi della riflessione


Quando un’onda incide su una superficie di separa-
zione tra due mezzi diversi parte di essa attraversa
la superficie ed è chiamata onda trasmessa, parte
subisce riflessione cambiando la propria direzione
di propagazione ed è chiamata onda riflessa. Se la
superficie è costituita da materiale riflettente non
si ha alcuna componente trasmessa: l’onda viene
interamente riflessa, come nel caso degli specchi.
In particolare se l’onda è un’onda luminosa la
componente trasmessa subisce il fenomeno della ri- Figura 15.5: Un’onda incidente su una
superficie di separazione tra due mez-
frazione, caso in cui i due mezzi di propagazione zi trasparenti viene in parte riflessa e in
sono detti mezzi trasparenti. Se non si ha onda parte rifratta.
trasmessa, il secondo viene detto mezzo opaco.

Nel caso di onde elettromagnetiche, oltre alla riflessione e alla trasmissione si ha anche
l’assorbimento: parte dell’energia dell’onda viene assorbita dal materiale attraverso
l’interazione tra i fotoni (i quanti di luce) e le particelle del materiale (solitamente
elettroni). Per la conservazione dell’energia la somma delle energie assorbita, riflessa
e trasmessa deve essere pari all’energia dell’onda incidente.

Il fenomeno della riflessione per qualunque tipo di onda è soggetto alle seguenti leggi:

La direzione di propagazione dell’onda incidente e quella dell’onda riflessa sono


complanari con la normale alla superficie di separazione dei due mezzi passante

Fisica
per il punto di incidenza. Nell’approssimazione di ottica geometrica si è soliti dire
che il raggio incidente, la normale e il raggio riflesso sono complanari.

L’angolo formato dal vettore d’onda dell’onda incidente con la normale alla super-
ficie di separazione dei due mezzi, detto angolo di incidenza, è congruente all’an-
golo formato dal vettore d’onda dell’onda riflessa con la normale alla superficie
di separazione, detto angolo di riflessione.

15.9 Leggi della rifrazione


Quando un’onda incide su una superficie di separazione tra due mezzi trasparenti di-
versi, la componente dell’onda che attraversa la superficie (onda trasmessa) subisce il
fenomeno della rifrazione e la sua velocità di fase cambia. Tutte le onde subiscono que-
sto fenomeno, sebbene il caso più noto sia rappresentato dalle onde elettromagnetiche
e in particolare dalla luce visibile.
Per descrivere questo fenomeno occorre introdurre una grandezza scalare chiamata
indice di rifrazione assoluto n, data dal rapporto tra la velocità della luce nel vuoto
e quella nel mezzo: n = c/v. Poiché dalla relatività ristretta si ha che la velocità
della luce nel vuoto c è la massima raggiungibile √ localmente in natura, n è sempre
maggiore dell’unità. Si può dimostrare che n = 1 + χ, dove χ è la grandezza scalare
adimensionale χ = εr − 1 detta suscettività elettrica e misura la polarizzazione del

dielettrico, introdotta nella 11.5. Si può anche dimostrare che n = εr · µr , cioè che
748 Cenni di meccanica ondulatoria

l’indice di rifrazione assoluto di un mezzo dipende dal prodotto della sua costante
dielettrica relativa per la sua permeabilità magnetica relativa.
Poiché n dipende dalla frequenza di un’onda, onde a frequenza diversa durante
la rifrazione subiscono il fenomeno della dispersione, descritto nella sezione 15.14.

Il rapporto tra gli indici di rifrazione assoluti di due mezzi viene detto indice di rifrazione
relativo del secondo mezzo rispetto al primo: n1,2 = n2 /n1 e dalla definizione di indice
di rifrazione assoluto si ha che n1,2 = v1 /v2 : l’indice di rifrazione di un mezzo rispetto
a un altro è pari al rapporto tra le velocità della luce nei due mezzi.

Il fenomeno della rifrazione è soggetto alle seguenti leggi:


La direzione di propagazione dell’onda incidente e quella dell’onda rifratta sono
complanari con la normale alla superficie di separazione dei due mezzi passante
per il punto di incidenza. Nell’approssimazione di ottica geometrica si è soliti dire
che il raggio incidente, la normale e il raggio rifratto sono complanari.
Legge di Snell Il rapporto tra il seno dell’angolo di incidenza i e il seno dell’an-
golo di rifrazione r è pari al rapporto tra l’indice di rifrazione del secondo mezzo
n2 e quello del primo n1 , ovvero è pari all’indice di rifrazione relativo del secondo
mezzo rispetto al primo n1,2 :
seni n2
(15.3) = = n1,2 .
senr n1
Onde

Dalla legge di Snell si ha che passando da un mezzo meno denso a uno più denso, ad
esempio da aria ad acqua, il raggio rifratto si avvicina alla normale alla superficie di
separazione, quindi l’angolo rifratto è minore di quello incidente e viceversa. Per tale
motivo un oggetto appare distorto, come piegato, quando lo si immerge parzialmente in
acqua.

15.10 Diffrazione
Quando un’onda qualsiasi nella sua propagazione
incontra un ostacolo le cui dimensioni sono com-
parabili con la lunghezza d’onda si ha il fenome-
no della diffrazione. Tipicamente si verifica quan-
do un’onda passa attraverso una fenditura con le
caratteristiche citate.
La diffrazione è spiegata dal principio di Huy-
gens: i bordi della fenditura diventano sorgenti
di onde sferiche. Ne deriva che nella regione di Figura 15.6: Se un’onda che si propaga
propagazione che segue la fenditura si ha sovrap- incontra un ostacolo di dimensioni con-
frontabili con la sua lunghezza d’onda
posizione di numerose onde originatesi dal bor- i punti dell’ostacolo diventano sorgen-
do della fenditura con il conseguente fenomeno ti di onde sferiche che danno luogo a
dell’interferenza. diffrazione.
Fisica 749

Se si rileva l’intensità dell’onda dopo il passaggio nella fenditura, si ha che questa dà
vita a una figura di diffrazione: una zona centrale corrispondente a un picco di intensità
seguita da massimi secondari intervallati da minimi.
A seconda della posizione della sorgente dell’onda rispetto alla fenditura si hanno
vari tipi di diffrazione. In generale il fenomeno si osserva in numerosi casi quotidiani,
ad esempio la varietà di colori che si osservano negli ologrammi delle carte di credito o
nel retro dei CD sono dovuti alla diffrazione. Spesso la diffrazione è una caratteristica
negativa dei sistemi ottici, ad esempio nei telescopi, dove si cerca di eliminarla al
massimo tramite particolari accorgimenti costruttivi.

Il fenomeno della diffrazione è stato osservato anche in esperimenti riguardanti fasci di parti-
celle, come elettroni, che attraversano fenditure, il che ha confermato la descrizione quantistica
dei fenomeni su scala microscopica tipica delle particelle e la dualità onda-particella.

15.11 Effetto Doppler


Tutte le onde sono soggette all’effetto Doppler, che si ha in presenza di velocità
relativa tra sorgente del segnale ondulatorio e osservatore, cioè rilevatore del
segnale.

L’effetto Doppler consiste in una riduzione della frequenza percepita quando la sorgen-
te dell’onda e l’osservatore si allontanano reciprocamente rispetto alla frequenza che
avrebbe la stessa onda se non avesse velocità relativa. Allo stesso modo se osservatore
e sorgente si avvicinano la frequenza percepita è maggiore.

Fisica
L’effetto Doppler viene sperimentato ad esempio al passaggio di un’ambulanza: il suono
della sirena sembra divenire sempre più acuto man mano che si avvicina per poi tornare
sempre più grave.

L’effetto Doppler ha notevoli applicazioni in astronomia, dove grazie allo spostamento in


lunghezza d’onda delle righe spettrali rilevate da alcune sorgenti si riesce a determinarne la
velocità se si conosce la lunghezza d’onda emessa dallo stesso fenomeno in quiete relativa.
Si parla infatti di redshift, cioè spostamento verso il rosso, per quei corpi che si allontana-
no dalla Terra, spostamento verso il rosso che è tanto maggiore quanto lo è la velocità di
allontanamento. Alcuni corpi che emettono nel visibile, infatti, se si allontanano a velocità
elevate spariscono dalla vista perché le loro emissioni passano alla banda infrarossa. Il redshift
delle galassie fu l’elemento grazie al quale si passò da una visione di universo statico a una di
universo in espansione.

15.12 Onde sonore

Si definiscono onde sonore le onde meccaniche longitudinali che si propagano in mezzi


elastici e producono variazioni locali di pressione e di densità del mezzo.
750 Cenni di meccanica ondulatoria

Le particelle del mezzo interessate dalla propagazione di


un’onda sonora oscillano avanti e indietro rispetto alla loro
posizione di equilibrio: il fronte d’onda che avanza crea
nel mezzo zone di compressione e zone di rarefazione. Le
onde sonore costituiscono il fenomeno fisico indicato con
il termine suono. La banda delle onde sonore viene divisa
per semplicità in tre zone: le onde con frequenza inferiore
a 20 Hz sono chiamate infrasuoni, le onde con frequenza Figura 15.7: Le onde che si pro-
superiore a 2 × 104 Hz sono chiamate ultrasuoni, quelle pagano lungo le corde di una
con frequenza compresa tra questi due estremi sono i suoni chitarra sono onde trasversali.
Le onde sonore prodotte sono
rilevabili dall’uomo. longitudinali.
La velocità delle onde sonore in un mezzo dipende dal
mezzo stesso, infatti aumenta passando da aeriformi a li-
quidi a solidi metallici. La velocità del suono in aria in condizioni standard (STP), cioè
a 20◦ C, è di 343 m/s, mentre alla stessa temperatura in acqua è di quasi 1500 m/s e
nei metalli è di circa 5 × 103 m/s. La velocità in un gas, inoltre, aumenta con la radice
quadrata della temperatura ed è inversamente proporzionale alla radice quadrata della
densità del gas: più un gas è rarefatto e più velocemente si propaga il suono in esso.
Il suono viene caratterizzato attraverso le seguenti grandezze:
Intensità Indica l’energia dell’onda per unità di superficie e unità di tempo
ed è determinata dall’ampiezza delle vibrazioni. Si misura in decibel (dB), una
grandezza adimensionale che esprime in generale il decuplo del logaritmo in base
dieci del rapporto di due grandezze omogenee. In acustica il decibel esprime il
decuplo del logaritmo in base dieci del rapporto tra il flusso di energia I tra-
sportata dall’onda sonora e la minima intensità percepibile dall’uomo I0 , detta
Onde

soglia dell’udibile e pari a 10−12 W/m2 . Si ha quindi che 0 dB corrispondono a


10−12 W/m2 .
Si tratta di una scala logaritmica, infatti la massima intensità sopportabile dal-
l’uomo, detta soglia di dolore, si ha a 1 W/m2 e corrisponde a 120 dB. Ogni
volta che l’intensità viene decuplicata la misura in dB aumenta di dieci unità ma
aumenta solo di 20 dB se viene centuplicata.
Altezza Con altezza di un suono si intende la sua frequenza. Suoni di alta
frequenza vengono detti acuti, suoni di bassa frequenza vengono detti gravi.
Timbro Il timbro di un suono indica la forma dell’onda sonora. Suoni con pari
intensità e altezza ma con timbro diverso sono percepiti in modo diverso, come
nel caso degli strumenti musicali.

15.13 Onde elettromagnetiche


Le onde elettromagnetiche sono fluttuazioni del campo elettromagnetico che si propa-
gano anche in assenza di un mezzo. Il loro spettro è stato già discusso nella sezione 14.5.
Un’onda elettromagnetica è un’onda trasversale, in particolare sia il campo elettrico
che il campo magnetico oscillano in direzioni perpendicolari tra di loro e alla direzione
di propagazione dell’onda, data dal vettore di Poynting.
La direzione lungo cui oscilla il campo elettrico rappresenta la polarizzazione dell’on-
da. Vi sono onde polarizzate linearmente, circolarmente, ellitticamente, etc. Un’onda
Fisica 751

polarizzata quando interagisce con un mezzo e con la materia ha comportamenti pe-


culiari che non si manifestano in assenza di polarizzazione. Ad esempio se il campo
magnetico è perpendicolare al piano di incidenza l’onda viene detta TM (polarizzazio-
ne magnetica trasversa) e in tal caso se incide su una superficie di separazione tra due
mezzi con un angolo particolare, chiamato angolo di Brewster, si ha rifrazione totale,
cioè nessuna parte dell’onda viene riflessa.

15.14 Dispersione luminosa


Poiché l’indice di rifrazione di un’onda elettromagnetica
dipende dalla frequenza, quando un’onda composta da più
gruppi di frequenze attraversa un mezzo si ha il fenomeno
della dispersione.
Quello più noto si ha per la dispersione luminosa, che
si realizza quando un raggio di luce bianca attraversa un
mezzo trasparente.
Figura 15.8: Se un’onda at-
Le componenti dell’onda alle varie frequenze, cioè i vari
traversa un mezzo trasparente,
colori della luce, hanno nel mezzo un indice di rifrazione poiché l’indice di rifrazione di-
leggermente diverso e quindi velocità e angoli di rifrazione pende dalla frequenza le varie
diversi. Un fascio di luce bianca attraversando un mezzo componenti vengono deviate se-
condo angoli diversi e si ha la
trasparente dà luogo all’arcobaleno, come accade con un dispersione.
prisma di vetro o quando la luce attraversa le goccioline
d’acqua in sospensione creando l’arcobaleno nel cielo.

15.15 Quesiti

Fisica
1) Che cos’è un fronte d’onda? D riduzione dell’ampiezza di un’onda
meccanica che si propaga in un mezzo
A la regione antistante l’onda che si
E riduzione della frequenza di un’onda
propaga
longitudinale stazionaria
B la direzione su cui giace il vettore di
propagazione dell’onda 3) Il periodo di un’onda nel sistema c.g.s.
si misura in:
C l’insieme dei punti dello spazio raggiunti
dall’onda nello stesso istante A Hz
D un piano con cui può essere approssima- B m/s
ta un’onda sferica quando si propaga su
C s
regioni di grandi dimensioni
E la regione di spazio in cui si propaga D ms
un’onda che non può essere soggetta a E MHz
sovrapposizione
4) Il modulo del vettore d’onda di un’onda
2) Il fenomeno dell’attenuazione consiste elettromagnetica:
nella:
A è sempre nullo
A riduzione dell’ampiezza di un’onda B ha sempre direzione coincidente con
elettromagnetica che si propaga nel quella di propagazione dell’onda
vuoto
C è pari al rapporto tra un angolo gi-
B riduzione della velocità di un’onda ro espresso in radianti e la lunghezza
elastica che si propaga in un solido d’onda
C riduzione della frequenza di un’onda di D ha sempre direzione perpendicolare a
pressione che si propaga in un liquido quelle di propagazione dell’onda
752 Cenni di meccanica ondulatoria

E non ha senso fisico 8) Quale dei seguenti fenomeni non è con-


seguenza del principio di sovrapposizio-
5) L’intensità di un’onda è proporzionale: ne:
A alla frequenza e al quadrato dell’am-
A la diffrazione
piezza
B al quadrato delle frequenza e all’ampiez- B l’interferenza costruttiva
za
C l’interferenza distruttiva
C al quadrato della frequenza e al
quadrato dell’ampiezza D l’effetto Doppler
D al quadrato della somma di ampiezza e E tutti i fenomeni indicati sono conse-
frequenza guenza del principio di sovrapposizione
E alla somma dei quadrati di ampiezza e
frequenza 9) Che cosa si intende in meccanica
ondulatoria con il termine nodo?
6) Quale delle seguenti relazioni tra
grandezze ondulatorie è corretta? A un punto in cui un’onda stazionaria ha
sempre ampiezza massima
A la frequenza e il periodo sono diretta-
mente proporzionali B un punto in cui un’onda stazionaria ha
sempre ampiezza nulla
B la frequenza e la lunghezza d’onda sono
inversamente proporzionali C un punto in cui un’onda stazionaria ha
sempre ampiezza minima
C la pulsazione e il periodo sono diretta-
mente proporzionali D un punto in cui due o più onde si
D la lunghezza d’onda e il periodo sono sovrappongono
inversamente proporzionali E un punto in cui si sovrappongono on-
E nessuna delle precedenti relazioni è de con frequenza e ampiezza uguali ma
corretta verso di propagazione opposto

7) La funzione d’onda per onde di materia 10) L’indice di rifrazione relativo di un


Onde

rappresenta: mezzo rispetto a un altro indica:


A la probabilità di trovare la particella in A il rapporto tra la velocità del suono nei
un certo posto due mezzi
B la probabilità di trovare la particella in
B il rapporto tra la velocità della luce nei
un certo posto in un certo istante
due mezzi
C la densità di probabilità di trovare la
particella in un certo posto C il rapporto degli angoli di riflessione dei
due mezzi
D la densità di probabilità di trovare la
particella in un certo posto in un certo D il rapporto degli angoli di rifrazione dei
istante due mezzi
E nessuna delle precedenti affermazioni è E il rapporto tra i seni degli angoli di
corretta rifrazione dei due mezzi

15.16 Risposte commentate ai quesiti


1) Sebbene sia sempre possibile approssimare localmente un’onda sferica con un’onda
piana, la D va esclusa. La risposta corretta in base alla definizione stessa di fronte
d’onda è la C .

2) Con attenuazione si intende la riduzione dell’ampiezza di un’onda meccanica a


causa della dissipazione di energia connessa con la propagazione nel mezzo. La A
va quindi esclusa perché le onde elettromagnetiche si propagano anche in assenza
di mezzo. La risposta corretta è la D .
Fisica 753

3) Il periodo di un’onda indica il tempo necessario a compiere un’oscillazione completa.


Misurando un’intervallo temporale la grandezza va espressa in secondi, sia nel S.I.
che nel c.g.s. La risposta corretta è la C .
4) La B e la D vanno escluse a priori perché un modulo non ha direzione al contrario
di un vettore. Il modulo k del vettore d’onda è inversamente proporzionale alla
lunghezza d’onda e poiché questa grandezza ha senso fisico lo ha anche k. La risposta
corretta è la C .

5) La D e la E vanno escluse a priori grazie all’analisi dimensionale: ampiezza e fre-


quenza non sono grandezze omologhe. Tra le alternative restanti la risposta corretta
è la C .
6) La A va esclusa perché periodo e frequenza sono una la grandezza inversa dell’altra.
La C va esclusa perché le due grandezze sono inversamente proporzionali. Dalle
relazioni espresse nella 15.1 si può ricavare che la risposta corretta è la B .
7) L’ipotesi di de Broglie ha consentito di associare una funzione d’onda anche alle
particelle di materia. Questa funzione d’onda è l’oggetto matematico alla base della
meccanica quantistica e rappresenta la densità di probabilità della particella in
funzione dello spazio e del tempo: la risposta corretta è la D .

8) La A , la B e la C rappresentano tre diversi casi in cui si ha interferenza tra onde


e l’interferenza è legata al principio di sovrapposizione, quindi vanno escluse. La
risposta corretta è la D , che invece riguarda solo il moto relativo tra sorgente e
osservatore.
9) La risposta corretta è la B : le onde stazionarie non trasportano energia e nei

Fisica
nodi l’ampiezza è sempre nulla, ovvero quei punti non oscillano intorno alle proprie
posizioni di equilibrio.

10) La C , la D e la E vanno escluse a priori perché se si hanno due mezzi soltanto in


uno di essi si avrà riflessione o rifrazione, l’altro è il mezzo in cui si propaga l’onda
incidente. In assenza di un’ulteriore frase (del tipo: a parità di angoli incidenti)
queste alternative vanno scartate. La risposta corretta è la B .
Cenni di ottica
16
Introduzione
In questo capitolo si parlerà dell’approssimazione dell’ottica geometrica, ponendo l’en-
fasi sulla costruzione delle immagini nei diottri, negli specchi e nelle lenti sottili.

16.1 Ottica geometrica


Nel capitolo precedente si è affermato che la luce è un’onda
elettromagnetica, distinta dalle altre onde elettromagnetiche
quali onde radio o microonde soltanto per l’intervallo delle
frequenze che la caratterizzano, grazie al quale viene perce- Figura 16.1: Nell’approssi-
pita dagli occhi umani nella forma dei diversi colori. Si è mazione di ottica geometri-
ca i raggi luminosi si pro-
anche visto che in quanto onda la luce è soggetta ai feno- pagano in linea retta, com-
meni di riflessione e rifrazione, oltre che di diffrazione e di portamento che dà conto dei
interferenza. Questi ultimi due sono tipici dei fenomeni on- bordi netti delle ombre.
dulatori. In questo capitolo si tratterà la propagazione della
luce nell’approssimazione dell’ottica geometrica.

Per definizione si parla di approssimazione di ottica geometrica quando la luce viene


considerata come un raggio luminoso che si propaga in linea retta piuttosto che un’onda.
Questa approssimazione mantiene la sua validità finché la luce interagisce con oggetti o
ostacoli di dimensioni molto maggiori rispetto alla lunghezza d’onda della luce stessa.
Per garantire la validità dell’approssimazione bisogna considerare soltanto mezzi di
propagazione omogenei e isotropi, ovvero di densità costante e caratterizzati dalle
stesse proprietà in tutte le direzioni.

Nell’ottica geometrica non si hanno più i fenomeni di diffrazione e di interferenza:


oltre la propagazione in linea retta dei raggi luminosi si considerano soltanto
la riflessione e la rifrazione, governate dalle leggi discusse nelle sezioni 15.8 e 15.9
identificando il raggio con la direzione di propagazione dell’onda luminosa.
Le leggi dell’ottica geometrica consentono di determinare con buona approssima-
zione il funzionamento di strumenti ottici anche complessi quali telescopi e microscopi.

16.2 Sistemi ottici

Si definisce sistema ottico una successione di superfici riflettenti o rifrangenti, cioè


superfici di separazione tra due diversi mezzi omogenei e isotropi, di forma qualsiasi.
Se il sistema è caratterizzato dalla sola rifrazione viene detto diottrico, se invece è
caratterizzato dalla sola riflessione viene detto catottrico.
Fisica 755

Una superficie di separazione tra due mezzi trasparenti


è detta diottro. Se la superficie è piana si ha un diottro
piano, se è caratterizzata da un certo raggio di curvatura
R si ha un diottro sferico. I diottri danno luogo solo a
rifrazione e non a riflessione.
Si definisce spazio degli oggetti il mezzo omogeneo e isotro-
po posto da un lato della superficie del sistema, in genere
a sinistra; lo spazio delle immagini è il mezzo omogeneo Figura 16.2: Uno specchio pia-
e isotropo che si trova dal lato opposto rispetto alla su- no è una superficie piana ri-
perficie del sistema, in genere a destra. Per il principio di flettente che fornisce un’imma-
gine capovolta, virtuale e con
reversibilità dei raggi luminosi in ogni istante si possono ingrandimento unitario.
invertire i due spazi senza che venga inficiata la procedura.
Il punto di intersezione tra l’asse ottico e la superficie di
separazione tra i due mezzi è detto centro ottico del sistema. Tale punto funge da
origine per due sistemi di coordinate cartesiane bidimensionali giacenti sull’asse ottico
e nella direzione ad esso perpendicolare e aventi versi opposti: la semiretta orientata
giacente sull’asse ottico nello spazio degli oggetti viene caratterizzata dalla coordinata
p che aumenta allontanandosi dal centro ottico, mentre la coordinata y indica la di-
stanza dall’asse ottico nello spazio degli oggetti; la semiretta orientata giacente sull’asse
ottico nello spazio delle immagini viene caratterizzata dalla coordinata q che aumenta
allontanandosi dal centro ottico ma in verso opposto rispetto a p, mentre la coordinata
y 0 indica la distanza dall’asse ottico nello spazio delle immagini e nel verso opposto
rispetto a y.

Si chiama ingrandimento lineare I il rapporto tra la distanza di due punti immagine e la

Fisica
corrispondente distanza dei due punti oggetto coniugati. Tale rapporto di similitudine
è costante per ogni coppia di punti si scelga nel piano dello spazio degli oggetti. Se
questo numero è maggiore dell’unità l’immagine ha un’estensione maggiore dell’ogget-
to, se è minore l’immagine è più piccola dell’oggetto; se è negativo valgono le stesse
considerazioni con l’aggiunta che l’immagine è capovolta rispetto all’oggetto, ovvero
si trova nel semipiano opposto a quello dell’oggetto rispetto all’asse ottico.

y0 Q1 Q2
(16.1) I= = , ∀ P1 , P2 ∈ π, ∀ Q1 , Q2 ∈ π 0 .
y P1 P2
Per determinare la costruzione dell’immagine basta determinare l’intersezione di
due raggi originatisi da P . Per semplicità uno dei due viene scelto passante per il
centro del sistema, poiché ogni raggio che passa per il centro del sistema non
varia la sua direzione. Per scegliere il secondo raggio conviene utilizzare particolari
proprietà o simmetrie del sistema.
La considerazione fatta per P vale anche per Q: se in Q convergono raggi fisici, ovve-
ro energia luminosa, si ha un’immagine reale; se in Q convergono solo i prolungamenti
dei raggi luminosi allora si ha un’immagine virtuale.
Sebbene l’occhio umano percepisca sia un’immagine virtuale che un’immagine reale,
soltanto la seconda può essere rilevata da uno strumento di misurazione in quanto solo
nel secondo caso si ha concentrazione di energia luminosa.
756 Cenni di ottica

Figura 16.3: In un diottro sfe-


rico se la sorgente è a distanza
maggiore della distanza focale
l’immagine è reale e capovolta.

Figura 16.4: In un diottro sfe-


rico se la sorgente è a distan-
za minore della distanza focale
l’immagine è virtuale e diritta.

Piuttosto che usare la legge di Snell su raggi con angolo di incidenza qualsiasi, per
determinare la costruzione delle immagini conviene sempre usare un raggio passante
per il vertice, che non subisce deviazione, e un raggio parallelo all’asse che deve
quindi passare per il secondo fuoco; in alternativa si può usare la proprietà che un
raggio che viene rifratto parallelamente all’asse ottico passa per il primo fuoco.
Ottica

Figura 16.5: In uno specchio sferico concavo se Figura 16.6: In un diottro sferico concavo se la
la sorgente è a distanza minore della distanza sorgente è a distanza maggiore della distanza
focale l’immagine è virtuale e diritta. focale l’immagine è reale e capovolta.

16.3 Lenti sottili

Un pezzo omogeneo di vetro delimitato da due calotte sferiche che separano il vetro
dall’aria circostante è detto lente. Questo sistema ottico ha quindi due superfici rifran-
genti interposte tra due mezzi uguali, in genere l’aria; in tal caso le due distanze focali
coincidono f = f  . Quando lo spessore della lente è trascurabile si parla di lente sottile.
Fisica 757

Figura 16.7: Il primo fuoco è Figura 16.8: Il secondo fuo- Figura 16.9: In una lente diver-
quel punto dell’asse ottico per co è quel punto dell’asse otti- gente nel fuoco si incontrano i
cui passano raggi che si propaga- co in cui convergono raggi che prolungamenti dei raggi.
no paralleli all’infinito dopo aver provengono paralleli dall’infinito.
interagito con il sistema ottico.

Per la lente, data la coincidenza delle due distanze focali, valgono le equazioni

1 1 1 q
(16.2) + = , I= .
p q f p

L’inverso della distanza focale di una lente 1/f si chiama convergenza della lente o
potere diottrico P e nel S.I. si misura in diottrie. Per esempio una lente con f = 2 m
ha 0,5 diottrie. Una lente divergente ha P negativo.

Fisica
Per costruire una lente sottile con le caratteristiche volute si può usare l’equazione dei
costruttori di lenti
 
1 1 1 q
(16.3) P = = (n − 1) · − , I= ,
f R1 R2 p

dove R1 e R2 sono i raggi di curvatura delle due calotte sferiche che delimitano la lente
e n è l’indice di rifrazione del tipo di vetro relativo all’aria.

Una lente è detta convergente se un fascio di raggi luminosi paralleli all’asse ottico
che la attraversa converge in un punto, detto fuoco, che in questo caso è reale. Se il
fascio di raggi paralleli diverge la lente è detta divergente; in tal caso i prolungamenti
dei raggi convergono in un punto che è sempre il fuoco ma è virtuale.

A seconda della curvatura delle due calotte sferiche le lenti sottili vengono chiamate
biconvesse (sono convergenti), piano-convesse, piano-concave, biconcave (sono diver-
genti), menisco (i fuochi delle due calotte sono nella stessa direzione).
Si può dimostrare che a parità di materiale impiegato per la costruzione e di mezzo
in cui è immersa, maggiore è la curvatura di una lente convergente biconvessa e minore
è la sua distanza focale.
758 Cenni di ottica

16.4 Costruzione delle immagini


Nell’approssimazione di Gauss per determinare la costruzione delle immagini basta
considerare l’intersezione di due soli raggi luminosi emessi dallo stesso punto. Ciò an-
drebbe fatto per ogni punto dell’oggetto, ma per simmetria si può limitare la procedura
ai soli estremi. Nel caso di oggetti estesi solo in lunghezza basta posizionare un estremo
sull’asse ottico e usare la procedura per il solo estremo opposto.

Dalla legge di Snell si ricava che quando un raggio si propaga da un mezzo più denso a
uno meno denso può essere soggetto al fenomeno della riflessione totale. Ciò si verifica
quando il raggio incide sulla superficie rifrangente con un angolo superiore a un valore
chiamato angolo critico o angolo limite ϑc = arcsen (n2 /n1 ).

Per la costruzione basta ricordare i seguenti comportamenti dei raggi luminosi:


Un raggio passante per il centro del sistema ottico non viene deviato.
Un raggio che incide la superficie di separazione tra i due mezzi parallelamente
all’asse ottico deve passare per il secondo fuoco.
Un raggio che dopo aver attraversato la superficie di separazione tra i due mezzi
si propaga parallelamente all’asse ottico deve passare per il primo fuoco.
Un raggio che passa per il centro di curvatura di un diottro incide normalmente
la superficie rifrangente e quindi non viene deviato.
Ogni volta che un mezzo cambia indice di rifrazione, ad esempio per variazioni di
Ottica

densità o di temperatura, il raggio subisce rifrazione e quindi deviazione: è come


se vi fosse una superficie rifrangente all’interfaccia tra le due regioni con indice
di rifrazione diverso.
Di seguito sono riportati alcuni esempi di costruzione delle immagini. Ovviamente se
una sorgente è a distanza infinita dal sistema l’immagine è puntiforme e reale e si trova
nel secondo fuoco; viceversa se la sorgente si trova a una distanza pari a f dal sistema
l’immagine si forma all’infinito.

In una regione estremamente calda come il deserto può aver luogo il fenomeno ottico
del miraggio. Questo è regolato dalle leggi della rifrazione. Nel deserto, infatti, il calore
emesso dalla sabbia rovente si propaga verso l’alto e stratifica l’aria in regioni con tem-
peratura e densità decrescenti all’aumentare dell’altezza dal terreno. Un raggio luminoso
proveniente da un oggetto, ad esempio un albero, si propaga con un certo angolo ver-
so l’alto, ma ogni volta che passa in uno strato con indice di rifrazione minore subisce
una deviazione che fa aumentare il suo angolo rispetto alla normale tra due strati. Il
fenomeno si ripete finché il raggio giunge ad incidere uno strato con un angolo superiore
all’angolo limite e quindi viene totalmente riflesso. Comincia quindi a propagarsi verso
il basso variando nuovamente angolo ad ogni interfaccia tra strati diversi fino ad essere
recepito da occhi umani. L’occhio che rileva il raggio interpreta l’informazione come se
la sorgente si trovasse in linea retta rispetto all’angolo sotto il quale è stato rilevato il
raggio e questa interpretazione dà vita al miraggio: un oggetto lontano viene recepito
come vicino a causa delle numerose rifrazioni e della riflessione totale subite a causa dei
diversi indici di rifrazione degli strati d’aria a densità diversa.
Fisica 759

Figura 16.10: In una lente convergente con p > Figura 16.11: In una lente convergente con p =
2f l’immagine è reale, capovolta, rimpicciolita e 2f l’immagine è reale, capovolta, |I| = 1 e q =
f < q < 2f . 2f .

Figura 16.12: In una lente convergente con f <


Figura 16.13: In una lente convergente con p < f
p < 2f l’immagine è reale, capovolta, ingrandita
l’immagine è virtuale, diritta e ingrandita.
e q > 2f .

Quando un sistema non è ortoscopico o acromatico o in generale quando non è sod-


disfatta una delle richieste dell’approssimazione di Gauss le immagini che si formano
presentano alcune aberrazioni. Ad esempio una sorgente lontana dall’asse a seconda
della sua estensione può produrre astigmatismo, caso in cui l’immagine di una sorgente
puntiforme non è puntiforme, o un’aberrazione chiamata coma, perché la forma ricorda

Fisica
quella della coda di una cometa.

L’occhio umano è un sistema ottico in cui le immagini si formano sulla retina dopo che i raggi
luminosi attraversano la pupilla e vengono rifratti dal cristallino. Nell’occhio miope la distanza
focale tra retina e cristallino è maggiore di quella opportuna, mentre nell’occhio ipermetrope è
minore. Una lente divergente corregge il primo difetto, mentre una lente convergente corregge
il secondo.

16.5 Quesiti
1) Un sistema ottico è: E un oggetto che può essere rappresenta-
to da una successione di diottri piani o
A una successione di mezzi con indici di
sferici
rifrazione diversi tra di loro
B una successione di superfici riflettenti 2) Se uno specchio piano ha un ingrandi-
o rifrangenti che separano mezzi con mento lineare pari a I = 5, l’immagine
diversi indici di rifrazione di una figura lunga 5 cm è lunga:
C una successione di superfici riflettenti o
rifrangenti che separano mezzi con lo A 5 cm
stesso indice di rifrazione B 25 cm
D una coppia di mezzi con indici di rifra-
C 1 cm
zione diversi separati da una superficie
riflettente o rifrangente D 10 cm
760 Cenni di ottica

E la domanda è priva di significato A m

3) Nel diottro piano l’immagine è sempre: B cm


C m−1
A dritta
B dritta e virtuale D cm−1

C con ingrandimento unitario E diottrie

D virtuale e con ingrandimento unitario 8) In una lente sottile divergente:


E dritta, virtuale e con ingrandimento A raggi luminosi provenienti dall’infinito
unitario convergono nel fuoco
4) Immergendo un’asta parzialmente in B raggi luminosi provenienti parallela-
acqua l’oggetto appare spezzato in cor- mente all’asse ottico convergono nel
rispondenza dell’interfaccia tra i due fuoco
mezzi. Ciò si spiega ricorrendo al C raggi luminosi provenienti dall’infinito
modello di: divergono
A diottro sferico convesso D raggi luminosi provenienti parallela-
mente all’asse ottico divergono ma i loro
B diottro sferico concavo
prolungamenti convergono nel fuoco
C diottro piano E non è possibile prevedere la propagazio-
D specchio piano ne dei raggi luminosi

E specchio parabolico 9) Per correggere la vista di un occhio


ipermetrope occorre usare:
5) In uno specchio parabolico convesso
l’immagine è sempre: A una lente convergente
A virtuale, diritta e ingrandita B una lente divergente
B reale, diritta e rimpicciolita C due lenti convergenti
Ottica

C virtuale, diritta e rimpicciolita D due lenti divergenti


D reale, capovolta e rimpicciolita E una lente convergente e una lente
E reale, capovolta e ingrandita divergente

6) In una lente immersa in aria coincidono: 10) Il fenomeno del miraggio:

A i due raggi di curvatura A è determinato dal fenomeno della


rifrazione totale
B le posizioni dei due vertici
B consiste nel credere di vedere oggetti che
C le posizioni dei due fuochi non esistono
D le due distanze docali C è determinato dalle leggi della rifrazione
E non vi sono grandezze coincidenti D avviene quando un raggio incide con
l’angolo di Brewster
7) La convergenza di una lente nel S.I. si
misura in: E non rientra nel campo della fisica

16.6 Risposte commentate ai quesiti


1) La E va esclusa perché considera solo rifrazione e non anche riflessione. La A va
esclusa perché considera solo i mezzi e non le superfici di separazione. La D va
esclusa perché un sistema può essere formato da varie superfici e non solo da una
coppia. La C va esclusa perché i mezzi devono avere a due a due indice di rifrazione
diverso. La risposta corretta è la B .
Fisica 761

2) L’ingrandimento è il rapporto tra le dimensioni dell’immagine e quelle dell’oggetto.


Uno specchio piano, però, ha sempre ingrandimento unitario, quindi la domanda è
priva di senso: la risposta corretta è la E .
3) Come si può ricavare attraverso la costruzione delle immagini la risposta corretta
è la E .

4) Poiché si osserva anche la porzione di oggetto immersa in acqua non si può parlare
di riflessione, quindi la D e la E vanno escluse a priori. Poiché la superficie di
separazione tra aria e acqua è piana si ha che la risposta corretta è la C .
5) Gli specchi parabolici convessi sono quelli usati in corrispondenza di immissioni
stradali con scarsa visibilità. Da tale informazione si può escludere immediatamente
la D e la E e dedurre che la risposta corretta è invece la C .

6) La A va esclusa perché generalmente una lente non ha due raggi di curvatura


uguali. La B va esclusa perché non è stato specificato se si parla o meno di lente
sottile. La C va esclusa perché i due fuochi si trovano da parti opposte della lente,
quindi non possono coincidere. Poiché i due mezzi trasparenti posti ai due lati della
lente coincidono quando questa è immersa in aria si ha che le due distanze focali
coincidono: la risposta corretta è la D .

7) La convergenza di una lente coincide con il suo potere diottrico P ed è l’inverso


della lunghezza focale. Ne consegue che grazie all’analisi dimensionale la A e la B
vanno escluse a priori. Tra le alternative rimaste la risposta corretta è la E .

8) La A e la B vanno escluse a priori perché equivalenti: raggi provenienti da distanza


infinita si propagano parallelamente all’asse ottico. In base alla costruzione delle

Fisica
immagini e alla definizione di fuoco si ricava che la risposta corretta è la D .
9) L’occhio ipermetrope ha una distanza focale maggiore di quella di un occhio sano,
quindi per correggere la vista bisogna usare una lente convergente che convogli i
raggi luminosi sulla retina: la risposta corretta è la A .

10) Nonostante nel linguaggio parlato spesso con miraggio si intende una visione di
qualcosa che non è reale, che non esiste, in ottica con tale termine si intende la
visione di un oggetto in una posizione diversa dalla sua reale collocazione. Tale
fenomeno è governato dalle leggi della rifrazione: la risposta corretta è la C .
Chimica
Prefazione

La parte di chimica è strutturata in undici capitoli e copre tutti i principali argomenti


di chimica generale presenti nei programmi di studio delle scuole superiori. I punti
chiave sono stati evidenziati ed analizzati da più prospettive in modo da consentire
allo studente di interiorizzarli e farli propri.
Il testo presenta alcuni approfondimenti di carattere storico che vanno al di là delle
conoscenze di base necessarie al superamento dei quiz per l’ingresso nei corsi universitari
a numero chiuso. Tuttavia si è ritenuto opportuno inserirli nel testo al fine di stimolare
la lettura e favorire la memorizzazione delle informazioni. Benché i capitoli seguano un
ordine piuttosto comune nella trattazione dei principi chimici, si è cercato di rendere
ciascun capitolo il più indipendente possibile in modo da permettere allo studente di
leggerli ed affrontarli in modo indipendente.
Il capitolo 1 si focalizza sullo studio degli stati di aggregazione della materia e sui
principali metodi di separazione dei componenti delle miscele. In questo capitolo sono
state introdotte anche le principali leggi che sono alla base della chimica moderna e
della stechiometria.
Nel capitolo 2 vengono approfonditi i concetti di numero atomico, numero di massa
ed isotopo. In questo ambito una breve dissertazione è stata dedicata alla chimica nu-
cleare. La parte saliente del capitolo è riservata alla descrizione della struttura elettro-
nica dell’atomo, ovvero sono stati approfonditi i concetti di: orbitale atomico, funzione
d’onda, numeri quantici e le principali regole per il riempimento degli orbitali atomici.
Il capitolo 3 descrive la Tavola periodica degli elementi di Mendeleev. Particolare
attenzione è stata data alla descrizione delle proprietà periodiche e al razionale che sta
alla base della suddivisione della tavola in gruppi e periodi. Viene in fine fornita una
prima classificazione delle proprietà degli elementi in base ai loro gruppi di apparte-
nenza. Una trattazione più approfondita sulle proprietà degli elementi e dei composti
è presente nel capitolo 5.
Il capitolo 4 descrive in dettaglio i vari tipi di legami chimici e come questi in-
fluenzino le proprietà chimiche e fisiche dei composti. La formazione dei legami chimici
nelle molecole viene discussa a partire dalla distribuzione degli elettroni negli atomi che
partecipano al legame. Una parte significativa del capitolo è dedicata allo studio dell’
ibridazione degli orbitali e a tutti i fattori che influenzano la geometria delle molecole.
Al termine del capitolo vengono introdotti i principali tipi di interazioni intermolecolari.
Il capitolo 5 è stato suddiviso in due parti: la prima parte è interamente dedicata
alle regole per l’attribuzione della nomenclatura in chimica. Al riguardo si è ritenuto
opportuno approfondire sia la nomenclatura IUPAC che la nomenclatura tradizionale
ancora in uso. La seconda parte del capitolo è dedicata ad un’analisi delle proprietà
degli elementi e dei composti più conosciuti.
764

Il testo procede con la trattazione dei principali tipi di reazioni chimiche. Il capitolo 6
descrive alcuni principi di reattività chimica ed introduce i metodi matematici impiegati
dai chimici per la trattazione quantitativa delle reazioni. Il capitolo riporta una serie
di esempi su come approcciare questo tipo di esercizi e fornisce suggerimenti per la
risoluzione dei problemi di stechiometria.
Nel capitolo 7 vengono descritti i fattori responsabili del successo di una reazione
chimica. Vengono inizialmente introdotti i concetti di: entalpia, entropia, energia libera
di Gibbs ed equilibrio chimico. Si identificano quindi i fattori alla base della spontaneità
delle reazioni chimiche. La parte finale del capitolo si focalizza invece sugli aspetti
cinetici delle reazioni chimiche.
Il capitolo 8 è interamente dedicato alle soluzioni ed è suddiviso in tre parti. La
parte iniziale descrive i vari modi in cui è possibile esprimere le concentrazioni delle
soluzioni. Si procede quindi con l’analisi dei vari aspetti che sono alla base dei fenome-
ni di dissoluzione. Infine vengono analizzate in dettaglio le proprietà colligative delle
soluzioni.
Il capitolo 9 è stato interamente dedicato all’elettrochimica e alle reazioni redox. Il
capitolo inizia con una descrizione delle pile chimiche e della Pila di Daniell. Si procede
quindi con un approfondimento dei concetti di ossidante e riducente. Il capitolo termina
con una descrizione del fenomeno dell’elettrolisi e delle leggi di Faraday.
Il capitolo 10 è stato interamente dedicato alle reazioni che avvengono tra acidi e
basi. Il capitolo descrive le varie teorie che si sono via via susseguite per descrivere il
comportamento acido o basico delle sostanze. Vengono quindi approfonditi i metodi
matematici impiegati per il calcolo del pH delle soluzioni acquose. Una serie di esempi
delucidano le procedure da adottare per risolvere gli esercizi correlati. La parte finale
del capitolo è dedicata ai principi che regolano la solubilità dei sali in acqua.
La chimica organica è una branca della chimica talmente ampia che per essere
affrontata in modo completo richiede una trattazione specifica in un testo a parte.
Tuttavia nel capitolo 11 abbiamo voluto introdurre le principali classi di composti
organici e le loro proprietà chimiche e fisiche. Il testo affronta anche le problematiche
relative all’ isomeria strutturale ed ottica di questi composti.
Ciascun capitolo è corredato da una serie di dieci quesiti, con le rispettive soluzioni
commentate, che hanno lo scopo di verificare la comprensione dei punti salienti esposti
Chimica

nel testo. Il testo si conclude con un glossario di chimica.


La costituzione
della materia 1
“Si ritiene che esistano solo il dolce e l’amaro, il caldo, il freddo e l’ordine. In verità
esistono solo gli atomi ed il vuoto” (Democrito, 460-360 a.C.)

1.1 Introduzione
In questo capitolo ci focalizzeremo sullo studio della composizione della materia, ovvero
scopriremo le varie forme in cui questa è presente in Natura. Approfondiremo le tecniche
utilizzate per la separazione di miscele sfruttando le loro proprietà chimico-fisiche.
Scopriremo infine i postulati che sono alla base della teoria atomica di Dalton e di
buona parte della chimica moderna.

1.2 Elementi, composti e miscele

Si definisce materia tutto ciò che ha una massa ed occupa uno spazio.

Da tale definizione scopriamo che la materia è il costituente fisico dell’universo ed è


caratterizzata dall’occupare uno spazio e dal possedere una massa. I costituenti fon-
damentali della materia sono gli atomi. Il termine atomo, coniato per la prima volta
dal filosofo greco Democrito (460-370 a.c.), significa letteralmente “non divisibile” ed
indica una serie di particelle fondamentali che mantengono la loro identità durante le
reazioni chimiche. Il concetto di atomo sviluppato inizialmente da Democrito non è poi
cosı̀ lontano dalla realtà che oggi conosciamo.
Oggi sappiamo che gli atomi possono legarsi tra loro in una serie innumerevole
di combinazioni creando cosı̀ ciò che in chimica definiamo sostanze pure (o indivi-
dui chimici) o più semplicemente sostanze. Le sostanze pure sono dotate di pro-
prietà chimico-fisiche proprie che non possono essere modificate mediante sistemi di
separazione fisica.
La particella minima che conserva tutte le caratteristiche chimiche e fisiche di una
certa sostanza è detta molecola.
Le sostanze pure (o individui chimici) possono essere a loro volta suddivise in:
elementi e composti.
766 La costituzione della materia

Si definisce elemento o sostanza allo stato elementare una specie chimica pura
costituita da atomi dello stesso tipo che si combinano tra loro secondo rapporti numerici
ben precisi (H2 , S8 , He, Al, ecc.).

Da questa definizione è facile dedurre che, essendo gli elementi costituiti da atomi dello
stesso tipo, essi non possono essere scomposti in sostanze più semplici. Attualmente si
conoscono più di 110 elementi diversi, di cui solo 90 sono presenti in Natura. I rimanenti
sono stati ottenuti artificialmente in laboratorio. Gli elementi sono stati classificati nella
tavola periodica secondo precisi criteri che analizzeremo nei prossimi capitoli.

Si definisce composto una sostanza pura che è costituita da atomi appartenenti a due
o più elementi diversi presenti in rapporti ponderali definiti e costanti e uniti tra loro
mediante legami chimici (H2 O, HCl, NaOH, C6 H12 O6, ecc).

Essendo costituiti da più atomi appartenenti a elementi diversi, i composti presentano


caratteristiche chimico-fisiche diverse da quelle dei loro costituenti di partenza. La loro
natura, inoltre, suggerisce che è possibile, mediante metodi chimici, scindere i legami
che tengono uniti i vari atomi del composto per ottenere gli elementi costituenti da cui
derivano.
2H2 O(l) (composto) −→ 2H2(g) + O2(g) (elementi).
Quando una porzione di materia è costituita da una sola sostanza, questa è necessaria-
mente pura e la materia viene definita omogenea. Diversamente, quando la materia è
costituita da più sostanze (elementi o composti) unite tra loro in proporzioni variabili
siamo in presenza di una miscela. Le varie sostanze di una miscela possono essere se-
parate e isolate mediante metodi fisici, senza alterare le proprietà dei singoli costituenti
di partenza.
A seconda della possibilità di distinguere o meno i vari componenti delle miscele,
queste possono essere classificate come miscele omogenee o miscele eterogenee.

Si definisce miscela omogenea una miscela di composizione uniforme in ogni punto


La materia

del campione ed i cui componenti non sono macroscopicamente distinguibili tra loro
(acqua di mare con i suoi sali disciolti, bevande come il thè o il vino, l’aria).

Le miscele omogenee sono costituite da un’unica fase, ovvero si presentano fisicamente


identiche in ogni punto del campione. L’aria, ad esempio, è una miscela gassosa omo-
genea costituita da: 78% di N2 , 21% di O2 e 1% di altri gas. Definiamo questa miscela
come omogenea in quanto: 1) i vari gas che la costituiscono non sono macroscopica-
mente distinguibili tra loro, 2) la composizione dell’aria è la stessa in ogni punto del
campione.

Le miscele possono essere costituite da: gas (aria), liquidi (vino), solidi disciolti in
liquidi (acqua di mare o zucchero disciolto in acqua) o solidi (lega metallica). Le
miscele omogenee costituite da liquidi (miscela di acqua in alcool) o da solidi disciolti
in liquidi (acqua di mare, acqua e zucchero) prendono il nome di soluzioni.
Chimica 767

Si definisce miscela eterogenea una miscela di composizione non uniforme i cui


componenti sono macroscopicamente distinguibili tra loro e possono facilmente essere
separati mediante metodi fisici.

Le miscele eterogenee sono quindi costituite da due o più fasi, ovvero da porzioni di
materia che differiscono tra loro e sono delimitate da superfici di separazione fisica-
mente definite. Le fasi solitamente possono essere distinte ad occhio nudo, pensiamo ad
esempio alla miscela eterogenea tra olio e acqua (l’olio galleggia sull’acqua formando
due fasi distinte) o tra solidi diversi (la sabbia di mare è costituita da granelli solidi
chimicamente e fisicamente diversi per forma e costituzione). In altri casi le fasi sono
difficilmente distinguibili ad occhio nudo ma ad un’attenta analisi, supportata even-
tualmente dall’impiego di un microscopio, è possibile verificare che ogni componente
della miscela eterogenea esiste come sostanza individuale. È il caso ad esempio del lat-
te (miscela eterogenea di grassi, proteine e acqua) o del sangue caratterizzato da una
parte corpuscolare dispersa in una miscela di sostanze allo stato liquido.
Le miscele eterogenee in cui un solido è disperso in un liquido, conosciute
con il nome di dispersioni, possono essere a loro volta classificate in due categorie in
base alle dimensioni particellari del solido:
1. prendono il nome di sospensioni se il solido è formato da particelle con diametro
superiore ad 1 µm (1 µm = 10−6 m);
2. prendono il nome di dispersioni colloidali se le particelle hanno un diametro
compreso tra 1 e 1000 nm (1 nm = 10−9 m).
Le dispersioni colloidali sono caratterizzate dal cosiddetto effetto Tyndall, ovvero da
quel fenomeno per cui un raggio luminoso che attraversa una dispersione colloidale ge-
nera un’opalescenza luminosa dovuta alla diffusione della luce da parte delle particelle
disperse. Le particelle che costituiscono la dispersione colloidale esibiscono il caratte-
ristico moto Browniano, cioè se osservate all’ultramicroscopio appaiono animate da
un movimento rapido e continuo.
Le miscele eterogenee costituite da due liquidi immiscibili, ad esempio
olio e acqua, prendono il nome di emulsioni. Nelle emulsioni si possono indivi-

Chimica
duare due o più fasi: quella presente in concentrazione maggiore prende il nome di
fase disperdente, la fase presente in concentrazione minore prende il nome di fase
dispersa.

I gas costituiscono un caso a sé. Essi sono idealmente miscibili tra loro in qualsiasi pro-
porzione ed è solitamente difficile distinguere le varie fasi della miscela. Di conseguenza
le miscele gassose sono sempre considerate omogenee

1.3 Stati di aggregazione della materia


In Natura la materia è presente in vari stati fisici (o stati di aggregazione). La scienza
ne identifica quattro: stato solido, stato liquido, stato aeriforme e stato di
plasma. Lo stato di plasma è costituito da una sorta di gas formato da particelle cariche
ed è presente solo in condizioni di temperatura e pressione critiche, al di fuori delle
normali condizioni di laboratorio. Lo studio dello stato di plasma è prevalentemente
768 La costituzione della materia

Figura 1.1: La composizione della materia.

di interesse fisico piuttosto che chimico; per un approfondimento si rimanda a testi


specifici.
Per quanto riguarda gli stati: solido, liquido e aeriforme, sappiamo che le sostan-
ze possono essere presenti in questi tre stati a seconda delle condizioni di pressione e
temperatura alla quale si trovano. Il caso più noto è quello dell’acqua: essa è presente
allo stato solido (ghiaccio) a temperature inferiori a 0 ◦ C, allo stato liquido a tempe-
rature comprese tra 0 ◦ C e 100 ◦ C e allo stato aeriforme sopra i 100 ◦ C (alla pressione
di 1 Atmosfera). Anche altre sostanze, che siamo soliti considerare solide (Ferro, Oro,
Titanio) o gassose (CO2, H2 , He) possono cambiare stato di aggregazione al variare
di pressione e temperatura. Il ferro, ad esempio, diventa liquido a 1538 ◦ C, mentre la
CO2 solidifica a −80 ◦ C prendendo il nome di “ghiaccio secco”.
Lo stato fisico in cui si presenta la materia dipende dal tipo, dal numero e dalla forza
delle interazioni fra le particelle da cui è costituita. Queste interazioni spiegano quindi
La materia

perché il Ferro, l’acqua e la CO2 sono, rispettivamente, un solido, un liquido ed un


aeriforme a temperatura ambiente e presentano temperature di fusione, solidificazione
ed evaporazione estremamente diverse.
I vari stati fisici sono stati classificati empiricamente in base a caratteristiche ma-
croscopicamente evidenti.
I solidi hanno forma e volume propri e definiti. Se poniamo un solido in un con-
tenitore, non osserviamo né una variazione del volume né un cambiamento della sua
forma. Basti pensare a delle rocce raccolte da terra e messe in un contenitore: una
volta nel contenitore esse mantengono sia il proprio volume sia la propria forma. Le
particelle che costituiscono i solidi sono strettamente legate tra loro ed occupano po-
sizioni fisse ovvero non possono mettersi in movimento. L’unico movimento consentito
alle particelle che costituiscono i solidi è quello di tipo vibrazionale.
I liquidi hanno un volume proprio e definito ma una forma NON definita in quanto
tendono ad assumere la forma del recipiente che li contiene. Se versiamo un liquido da
un contenitore ad un altro, esso manterrà sempre lo stesso volume ma la sua forma
cambierà adattandosi a quella del recipiente. Le particelle che costituiscono i liquidi si
Chimica 769

muovono di continuo ma le forze di interazione che le tengono aggregate sono tali da


permettere al liquido di occupare un volume definito.

Figura 1.2: I liquidi mantengono il loro volume ma assumono la forma del recipiente che li contiene.

Aeriformi (gas e vapori) NON hanno una forma né un volume definiti ma si adattano
al recipiente che li contiene occupandone interamente il volume. Le particelle in questo
caso sono perfettamente mobili ed indipendenti tra loro, questo consente agli aeriformi
di occupare tutto lo spazio a loro disposizione.

Figura 1.3: Stato solido, liquido ed aeriforme.


Tale classificazione, basata su osservazioni empiriche, può talvolta risultare ambigua.
Pensiamo al caso del vetro: nel passare dallo stato liquido allo stato solido il vetro
aumenta gradualmente la sua viscosità diventando via via meno fluido ed iniziando
ad acquisire un’aggregazione tipica dei solidi. Tuttavia non è possibile definire con
precisione il momento esatto in cui esso passi dallo stato liquido a quello solido. In
questo caso siamo in presenza di un intervallo di temperature entro il quale avviene il
processo di solidificazione. I solidi di questo tipo sono classificati come solidi amorfi.

Chimica
Definiamo solido amorfo qualsiasi solido che presenta una struttura disordinata nelle
posizioni degli atomi o delle molecole che lo costituiscono. Poiché i vetri sono la classe
più nota di questi solidi, questo stato della materia viene chiamato stato vetroso.

I liquidi e gli aeriformi sono definiti nel loro complesso fluidi in quanto non sono dotati di una
forma propria ma si adattano a quella del recipiente che li contiene. Tutti i fluidi presentano
particelle dotate di energia vibrazionale, rotazionale e traslazionale. Gli aeriformi possono
essere a loro volta classificati come: gas se si trovano al di sopra della loro temperatura critica
Tc ; vapori se si trovano al di sotto della loro temperatura critica Tc . Il passaggio delle molecole
dallo stato liquido a quello aeriforme viene detto vaporizzazione.

Si definisce temperatura critica (Tc ) la temperatura oltre la quale una sostanza non
può più essere liquefatta per semplice variazione di pressione.
770 La costituzione della materia

Fornendo o sottraendo energia termica (calore) al sistema è possibile variare lo sta-


to di aggregazione della materia. Questo fenomeno è conosciuto come passaggio di
stato. Abbiamo anche compreso che lo stato di aggregazione è funzione delle forze di
interazione tra le particelle ed è determinato, tra le altre cose, dalla loro mobilità.
Dalla fisica sappiamo che la temperatura è una misura dell’energia cinetica media
delle molecole, di conseguenza maggiore è la temperatura, maggiore è l’energia cinetica
delle molecole e quindi la loro mobilità. Possiamo quindi concludere che a temperature
elevate, corrispondenti ad un’energia cinetica media delle molecole elevata, le inte-
razioni tra le particelle vengono ridotte, ovvero avviene la rottura di legami chimici
intermolecolari (tra molecole). La conseguenza di questo fenomeno è il passaggio della
sostanza dallo stato solido a quello liquido e successivamente a quello aeriforme. Un
aumento di pressione normalmente agisce in senso opposto favorendo la vicinanza e
l’aggregazione tra particelle aumentando le interazioni intermolecolari e riducendone
la mobilità. Un aumento di pressione fa generalmente passare le sostanze dallo stato
gassoso a quello liquido.
Di seguito vengono descritti tutti i possibili passaggi di stato.

Figura 1.4: Passaggi di stato.

Nelle trasformazioni in cui è necessario aumentare la mobilità delle molecole, ovvero nei
passaggi di stato solido −→ liquido e liquido −→ aeriforme, è necessario fornire calore
al sistema. Nelle trasformazioni in cui è necessario ridurre la mobilità tra le molecole,
ovvero nel senso opposto al precedente, è necessario sottrarre calore al sistema.
I passaggi di stato NON variano la natura della sostanza da un punto di vista
chimico ma ne modificano esclusivamente le sue proprietà fisiche; questi fenomeni so-
La materia

no dunque classificati come trasformazioni fisiche. Durante il passaggio di stato il


calore fornito al sistema è impiegato interamente nella rottura dei legami chimici
intermolecolari (tra molecole). Non si osserva quindi variazione di temperatura, basti
pensare a dell’acqua in ebollizione che mantiene i 100 ◦ C finché non è completamente
evaporata.

La quantità di calore necessaria a provocare il cambiamento di stato di una determinata


quantità di sostanza è definita calore latente. Esso può essere espresso in cal/g,
joule/g o alternativamente in cal/mol o joule/mol. Lo scambio di calore latente
ha luogo in condizioni isotermiche, ovvero non è associato ad alcuna variazione di
temperatura.

Diversamente dal calore latente, il calore sensibile è definito come la quantità di calore
necessaria per provocare una variazione di temperatura di 1 ◦ C per grammo (o per mole)
di sostanza considerata. Il calore sensibile NON induce alcun passaggio di stato ma provoca
esclusivamente un aumento di temperatura.
Chimica 771

1.3.1 Passaggio di stato solido-liquido (Fusione)


Fornendo calore ad un solido si osserva inizialmente un aumento di temperatura finché
il solido non raggiunge il punto di fusione, ovvero la temperatura alla quale si verifica
il passaggio di stato, in questo caso la fusione del solido. Da questo momento in poi il
calore fornito al sistema (calore latente di fusione) è interamente impiegato nella
rottura dei legami intermolecolari e la temperatura del sistema rimane costante finché
non avviene la completa fusione del solido.

Il punto di fusione delle sostanze cristalline pure ha un valore preciso ed è impiegato in chimica
analitica per l’identificazione di sostanze incognite. La presenza di impurezze nel campione,
o il cambiamento del suo stato cristallino, induce una variazione del punto di fusione. Tale
variazione è causata dalla distribuzione disordinata e non omogenea del campione ed induce
una variazione nella quantità di energia necessaria per rompere i legami. Si parla in questo
caso di intervallo di fusione che è caratteristico dei solidi amorfi (ovvero non cristallini).

1.3.2 Passaggio di stato liquido-aeriforme (Vaporizzazione o Evaporazione)


Come nel caso precedente, il calore necessario per indurre il passaggio di stato da liquido
a vapore è definito calore latente di evaporazione. Durante il passaggio di stato non
si osserva variazione di temperatura ma l’energia fornita viene interamente impiegata
nella rottura dei legami tra le molecole del liquido. I liquidi puri sono caratterizzati
da una temperatura di ebollizione precisa detta punto di ebollizione, che può essere
impiegata a scopo analitico per comprendere la natura di una sostanza incognita.
L’utilizzo del punto di ebollizione a scopo analitico richiede molta cautela. Questo
parametro, infatti, risente in modo significativo delle condizioni di pressione in cui si
trova il sistema. Un aumento di pressione induce un aumento del punto di ebollizione
del liquido (si pensi alla pentola a pressione dove l’acqua, prima di passare allo stato
aeriforme, raggiunge temperature superiori ai 100 ◦ C); al contrario una riduzione della
pressione induce una diminuzione del punto di ebollizione (l’acqua ad alte quote bolle
a temperature più basse). Questo fenomeno è sfruttato per ridurre le temperature di
processo nelle distillazioni sottovuoto.
Se il fenomeno di vaporizzazione riguarda solo la superficie del liquido si parla di
evaporazione, se riguarda l’intera massa liquida prende il nome di ebollizione.

1.3.3 Passaggio di stato aeriforme-liquido (Condensazione) Chimica


Quando una massa aeriforme cede calore all’ambiente trasformandosi in un liquido
si verifica il fenomeno della condensazione. Parte dell’energia delle particelle in fase
vapore viene ceduta all’ambiente inducendo una diminuzione della loro energia cinetica
il che favorisce le interazioni tra molecole. Il vapore diventa quindi un liquido, mentre
l’ambiente assorbe calore. Il fenomeno è evidente quando, ad esempio, il vapore di una
pentola d’acqua in ebollizione incontra le pareti più fredde della cucina e si formano
sulle piastrelle delle goccioline d’acqua condensata.

1.3.4 Passaggio di stato liquido-solido (Solidificazione)


Quando si sottrae calore ad una massa liquida, questa tende a solidificare. Anche in
questo caso, come in tutti i precedenti, la temperatura del liquido rimane costante
finché il passaggio di stato non è completo. Analogamente al fenomeno della condensa-
zione, le particelle ad energia maggiore (liquide) cedono calore all’ambiente riducendo
772 La costituzione della materia

la loro energia cinetica, il che provoca un aumento delle interazioni intermolecolari e


di conseguenza la solidificazione del liquido.

1.3.5 Passaggio di stato solido-aeriforme (Sublimazione)


Alcune sostanze hanno la capacità di passare direttamente dallo stato solido a quello
aeriforme senza subire alcun processo di fusione; il fenomeno prende il nome di subli-
mazione. È il caso della naftalina che dallo stato solido sprigiona dei vapori utilizzati
per prevenire l’attacco delle tarme. Analogamente il ghiaccio secco (CO2 allo stato so-
lido) tende a formare vapori di CO2 senza subire fusione. Il fenomeno di sublimazione
che riguarda l’acqua, ovvero il passaggio diretto da ghiaccio a vapore in condizioni di
pressione ridotta, prende il nome di liofilizzazione ed è impiegato nella conservazione
dei cibi.

1.3.6 Passaggio di stato aeriforme-solido (Brinamento)


È il passaggio inverso rispetto alla sublimazione, ovvero la sostanza cede calore all’am-
biente e passa direttamente dallo stato aeriforme a quello solido, senza liquefarsi. Il fe-
nomeno è facilmente visibile nella solidificazione della nebbia sui vetri delle automobili
in opportune condizioni climatiche.

Nei passaggi di stato la temperatura di ebollizione coincide con quella di condensazione


e la temperatura di solidificazione coincide con quella di fusione.

Ritornando all’esempio dell’acqua, per sciogliere un campione di ghiaccio è necessario


fornire calore al sistema fino a quando la temperatura dell’acqua raggiunge 0 ◦ C ed
inizia il processo di fusione. Specularmente, in presenza di acqua liquida riducendo la
temperatura a 0 ◦ C si induce il processo di solidificazione.

1.4 Metodi di separazione


La materia

Per ottenere le sostanze pure che costituiscono una miscela, sia questa omogenea o
eterogenea, è necessario separarle sfruttando dei metodi fisici che preservino l’integrità
delle sostanze da un punto di vista chimico. Gli scienziati hanno sviluppato un’ampia
gamma di metodi fisici per la separazione dei componenti di una miscela. Per ogni spe-
cifico caso è necessario valutare la tecnica di separazione più appropriata che dipenderà
dallo stato fisico del sistema e dalle caratteristiche chimico-fisiche dei suoi componenti.

Come regola generale le miscele eterogenee possono essere facilmente separate nei
loro costituenti mediante l’uso di mezzi meccanici (filtrazione e centrifugazione). Nelle
soluzioni (che sono miscele omogenee), invece, i componenti del sistema possono
essere separati mediante passaggi di stato (distillazione ed evaporazione) o attraverso
l’impiego di tecniche cromatografiche.

Sono di seguito riportati i metodi di separazione più frequentemente impiegati in chi-


mica.
Chimica 773

1.4.1 Filtrazione
È impiegata nella separazione di miscele ete-
rogenee solido-liquido. La filtrazione (Figura
1.5) permette la separazione delle particelle
solide dal liquido nel quale sono disperse. La
tecnica sfrutta la differenza nelle dimensioni
tra le particelle di solido e quelle di liquido.
Il mezzo filtrante impiegato in laboratorio è
la cosiddetta “carta da filtro”, costituita da
carta a vario grado di porosità che può esse-
Figura 1.5: Sistema di filtrazione.
re attraversata dal liquido ma non dal solido,
che viene trattenuto.
La carta da filtro non è in grado di separare i soluti disciolti in un liquido dal liquido
stesso. Le particelle di soluto infatti sono estremamente piccole e non vengono tratte-
nute dal filtro. La filtrazione è un metodo di separazione meccanico e NON permette
di separare i vari componenti di una soluzione.
È possibile, ad esempio, mediante filtrazione separare il thè dalle sue foglie, ma non è
possibile separare i vari componenti del thè dall’acqua. Allo stesso modo filtrando uno
sciroppo non è possibile separare lo zucchero disciolto dall’acqua.

1.4.2 Evaporazione
È impiegata per separare il solvente dai soluti disciolti, ovvero è in grado di separare i
componenti di una soluzione. Il solvente liquido è indotto a cambiare stato di aggrega-
zione e diventare aeriforme mentre il soluto solidifica sul fondo. Un chiaro esempio nel
mondo naturale sono le saline, dove l’acqua del mare è fatta evaporare e il sale viene
recuperato come solido.

1.4.3 Distillazione
Metodo impiegato per separare i componen-
ti di una miscela di sostanze allo stato li-

Chimica
quido (Figura 1.6). La tecnica sfrutta le dif-
ferenze tra le temperature di ebollizione dei
componenti della miscela. Si scalda la mi-
scela, eventualmente a bassa pressione, fino
all’evaporazione di uno dei suoi componenti
(quello più bassobollente) che viene succes-
sivamente recuperato mediante condensazio-
ne, e viene riportato allo stato liquido. La
distillazione è quindi in grado di separare i
componenti di una miscela omogenea.
La distillazione frazionata del petrolio
nelle colonne di “topping” ne è un esempio.
Il petrolio è costituito da una miscela di idro-
carburi (GPL, Benzina, Gasolio, Bitumi) che
presentano temperature di ebollizione molto
diverse tra loro. Queste differenze nei punti Figura 1.6: Apparato di distillazione semplice.
774 La costituzione della materia

di ebollizione sono sfruttate per separare il petrolio nei suoi componenti. La tecnica
prende il nome di distillazione frazionata perché riguarda la separazione di più li-
quidi. Si definisce distillazione semplice quella tecnica in cui il distillato è ottenuto
con una singola sequenza di vaporizzazione-condensazione.

1.4.4 Estrazione
L’estrazione è impiegata per separa-
re il solvente dai soluti in esso disciol-
ti o per separare miscele di soluti. La
tecnica sfrutta la diversa solubilità dei
soluti in solventi diversi e tra loro im-
miscibili. Si impiega dunque un sol-
vente di estrazione immiscibile con
quello di partenza ma per il quale il
soluto da estrarre presenta un’elevata
affinità. In questo modo il soluto tende
a migrare spontaneamente dal solven-
te di partenza a quello di estrazione. Il
solvente di estrazione viene quindi re-
Figura 1.7: Separazione di una miscela di soluti A e B
cuperato assieme al soluto di interesse mediante estrazione con imbuto separatore.
(Figura 1.7).
L’estrazione non è una vera e propria separazione in quanto, una volta ottenuto
l’estratto, sarà necessario un ulteriore processo di separazione (solitamente un’evapo-
razione) al fine di separare il solvente di estrazione dal soluto di interesse.

1.4.5 Centrifugazione
Questa tecnica è impiegata per separare i componenti di una miscela caratterizzati
da diverse densità. È il caso di due liquidi tra loro immiscibili, o alternativamente di
un particolato solido sospeso in un liquido. Il metodo sfrutta la forza centrifuga per
ottenere la stratificazione dei liquidi (o del particolato solido) e permettere, quindi, la
La materia

separazione mediante imbuto separatore o filtrazione.

1.4.6 Cromatografia
La tecnica è impiegata per separare i componenti di una soluzione sfruttando la loro
diversa affinità rispetto ad una fase di supporto (denominata fase fissa o stazionaria)
ed una fase in movimento denominata fase mobile. La fase fissa è solitamente costi-
tuita da matrici polimeriche, silice o carta, mentre la fase mobile, che è normalmente
un solvente (etanolo, acqua), viene fatta scorrere attraverso la fase fissa: tale processo
prende il nome di eluizione. La separazione dei composti di una miscela è possibile
in quanto, a seconda delle loro proprietà chimico-fisiche, essi tendono ad adsorbirsi
sulla fase fissa e restare fermi, o a migrare nella fase mobile e scorrere con il solvente
di eluizione. È cosı̀ possibile separare i diversi componenti della miscela di partenza
sfruttando le diverse velocità con cui questi attraversano la fase fissa.
Man mano che la fase mobile viene adsorbita e sale lungo la fase fissa, la miscela si
separa a seconda dell’affinità dei suoi componenti per la fase fissa e per la fase mobile
(Figura 1.8). I componenti più affini alla fase mobile si muoveranno più rapidamente
Chimica 775

Figura 1.8: Sistema di cromatografia su strato sottile TLC.

e si troveranno più in alto, mentre i componenti più affini alla fase fissa saranno più
lenti e rimarranno vicini al punto di semina della miscela.

1.5 Trasformazioni chimiche e natura atomica della materia


La chimica è la scienza che permette di trasformare la materia attraverso la rottura e la
formazione di legami chimici. I processi che permettono tale trasformazione prendono
il nome di reazioni chimiche.
Per trasformazione fisica si intende un qualsiasi processo in cui la composizione
chimica di una sostanza NON varia ma variano esclusivamente le sue proprietà fisiche
(Densità, Temperatura).
Per trasformazione chimica (o reazione chimica) si intende un qualsiasi processo in
cui una sostanza cambia la sua natura chimica attraverso la rottura e la formazione di
nuovi legami tra gli atomi che la costituiscono.

Le reazioni chimiche sono descritte mediante equazioni chimiche nelle quali si indi-
cano a sinistra le sostanze di partenza, denominate reagenti, e a destra le sostanze
che si ottengono al termine della reazione, conosciute con il nome di prodotti. Nella

Chimica
generica equazione chimica A+B → C+D, A e B sono i reagenti, C e D sono i prodotti.
Ma cosa succede durante queste trasformazioni? Andiamo ad analizzare i tre principi
alla base di questi studi.

1.5.1 Legge di conservazione della massa (o Legge di Lavoisier, 1789)

“Durante una reazione chimica la somma delle masse dei reagenti è equivalente alla
somma delle masse dei prodotti di reazione”.

Ciò significa che durante una reazione chimica la materia non viene né creata né
distrutta ma si trasforma e di conseguenza la massa totale si conserva.
776 La costituzione della materia

1.5.2 Legge delle proporzioni definite e costanti (o Legge di Proust, 1799)

“Qualunque sia l’origine o il metodo di preparazione di un composto puro, esso contiene


sempre quantità definite e costanti degli elementi proporzionali alla loro massa”.

Ciò significa che il rapporto in peso tra gli elementi che costituiscono una sostanza
pura è specifico per quella sostanza ed è costante. Quindi, se 2 grammi di sostanza A si
combinano con 3 grammi di sostanza B per generare una sostanza C, il rapporto in peso
tra A e B sarà sempre 2 : 3. In questo modo per generare C, A e B si combineranno in
modo che il rapporto tra le loro masse sia sempre lo stesso, ovvero 2 grammi di A con
3 grammi di B, o 4 grammi di A con 6 grammi di B, o 6 grammi di A con 9 grammi
di B, e cosı̀ via.
Tali leggi hanno consentito lo sviluppo della Teoria Atomica di Dalton. Essa si
basa sui seguenti postulati:

a. Tutta la materia è costituita da atomi indivisibili ed inalterabili. Gli atomi di uno


stesso elemento sono uguali tra loro e presentano le stesse caratteristiche chimiche;
gli atomi di elementi diversi sono diversi tra loro e presentano caratteristiche
chimiche diverse.

b. Un atomo mantiene sempre la sua identità durante una trasformazione chimica.


Le reazioni chimiche NON sono in grado di mutare la natura degli atomi e quindi
NON permettono di trasformare un elemento in un altro (fanno eccezione le
reazioni nucleari). Questo postulato è in accordo con la Legge di conservazione
della massa ed ha messo la pietra tombale alla più famosa delle teorie alchimiste
secondo cui è possibile trasformare il ferro in oro.
La materia

c. Quando due o più elementi si uniscono tra loro mediante legami chimici si ot-
tengono i composti. Per ogni composto il tipo di atomi e il loro rapporto
sono fissi. Questo postulato è in accordo con la Legge delle Proporzioni definite
e costanti.

Da questi postulati Dalton sviluppò la Legge delle Proporzioni Multiple.

1.5.3 Legge delle proporzioni multiple (o Legge di Dalton, 1808)

“Quando due elementi si combinano tra loro per formare più composti diversi, il rap-
porto tra le masse di un elemento che si combina con una quantità fissa dell’altro
elemento è esprimibile mediante numeri interi e piccoli”.
Chimica 777

Consideriamo, per esempio, il monossido di azoto (NO) e il biossido di azoto (NO2 ):


entrambi sono costituiti da azoto ed ossigeno. Il rapporto tra le masse dell’ossigeno
nei due composti è un numero intero piccolo.

N(14g) + O(16g) = NO(30g)


N(14g) + O(16g) + O(16g) = NO2 (46g)

Massa di O in NO2 32
= = 2.
massa di O in NO 16

Tale teoria, pur non essendo in grado di spiegare i comportamenti delle reazioni nucleari
nelle quali si verificano variazioni della natura degli atomi, trova ampia applicazione
nella chimica di laboratorio dove non si effettuano reazioni che coinvolgono i nuclei.

1.6 Quesiti
1) Individuare l’affermazione corretta: E un sistema omogeneo costituito da una
miscela di due gas
A le soluzioni possono essere solide,
liquide o gassose 4) Una miscela di acqua e alcol etilico:

B le soluzioni possono essere solo liquide A è un sistema omogeneo costituito da una


sola fase e due componenti
C le soluzioni possono essere solo solide B e un sistema eterogeneo costituito da
D le soluzioni possono essere liquide o una sola fase e due componenti
gassose C è un sistema omogeneo costituito da due
fasi e due componenti
E le soluzioni possono essere solo gassose
D è un sistema eterogeneo costituito da
2) L’effetto Tyndall: due fasi e due componenti
E è un sistema omogeneo costituito da una
A è una caratteristica delle soluzioni sola fase ed un componente
B è una caratteristica di tutte le sospen- 5) Il moto Browniano:
sioni

Chimica
A è proprio di un soluto in un solvente
C è caratterizzato da un movimento rapi-
do e continuo di particelle disperse in B è una caratteristica delle particelle
una soluzione colloidali disperse in un liquido
C è una caratteristica di tutti i liquidi
D è una caratteristica delle dispersioni
colloidali D è proprio di qualsiasi sale in soluzione
E si osserva nelle miscele di gas E è una caratteristica di tutti i solidi in
sospensione
3) Una sospensione è: 6) La nebbia può essere considerata come:
A un sistema eterogeneo costituito da due A una soluzione gassosa
liquidi non miscibili tra loro B una soluzione liquida
B un sistema omogeneo costituito da un C un sistema eterogeneo costituito da un
soluto sciolto in un solvente solido in un gas
C un sistema eterogeneo costituito da un D un sistema eterogeneo costituito da due
solido in un liquido liquidi non miscibili
D un sistema eterogeneo costituito da un E un sistema eterogeneo costituito da un
liquido in un gas liquido in un gas
778 La costituzione della materia

7) Il passaggio di stato da vapore d’acqua B in ogni sistema omogeneo è presente


ad acqua liquida è definito: solo un individuo chimico

A sublimazione C in ogni sistema omogeneo è presente


solo un composto
B brinamento
D in ogni sistema omogeneo è presente più
C fusione di un composto
D solidificazione
E in ogni sistema omogeneo è presente
E condensazione solo una fase

8) La formula chimica C6 H12 O6 rappresen- 10) Si può affermare che:


ta:

A un elemento A tutte le miscele possono essere separate


mediante mezzi meccanici
B un composto
B le miscele eterogenee possono essere
C un miscuglio di carbonio, idrogeno e separate solo per centrifugazione
ossigeno
C le miscele omogenee possono essere
D una soluzione di carbonio e ossigeno in
separate solo per centrifugazione
idrogeno
E un sistema eterogeneo D le miscele omogenee possono essere se-
parate mediante passaggi di stato o
9) Si può affermare che: tecniche cromatografiche

A in ogni sistema omogeneo è presente E le miscele eterogenee possono essere


solo una sostanza pura separate solo per filtrazione

1.7 Soluzioni commentate ai quesiti


1) A . Le soluzioni sono per definizione omogenee e possono presentarsi come sistemi
gassosi, liquidi o solidi. Un esempio di soluzioni solide sono le leghe di oro e rame
(nell’oro dei gioielli) e la ghisa (soluzione solida di ferro e carbonio).
2) D . L’effetto Tyndall è una delle caratteristiche (insieme al moto Browniano) delle
dispersioni colloidali. Quando tale sistema è attraversato da un fascio di luce, questo
La materia

viene diffuso causando la formazione di un’opalescenza luminosa.


3) C . In una sospensione un solido è disperso in una fase liquida. Un caso particolare
di sospensione è la dispersione colloidale, nella quale il solido disperso ha dimensioni
comprese tra 1 e 1000 nm, il che conferisce al sistema caratteristiche particolari.
4) A . Si ha un sistema costituito da due componenti (acqua e alcol etilico). I due
liquidi sono miscibili tra loro, pertanto se mescolati costituiscono un’unica fase,
quindi un sistema omogeneo.
5) B . Le particelle solide di dimensioni colloidali immerse nei liquidi esibiscono il carat-
teristico moto Browniano, cioè se osservate all’ultramicroscopio appaiono animate
da un movimento rapido e continuo.
6) E . La nebbia è un esempio di sistema eterogeneo: si hanno due fasi diverse, cioè
goccioline di liquido sospese in un gas.
7) E . Il passaggio da vapore d’acqua ad acqua liquida avviene per condensazione.
Chimica 779

8) B . C6 H12 O6 corrisponde alla formula bruta di un composto. Ogni composto, cosı̀


come ogni elemento, costituisce un individuo chimico, cioè una sostanza pura.

9) E . Un sistema omogeneo può (non deve necessariamente) contenere solo una so-
stanza pura (anche detta individuo chimico), cioè un elemento o un composto, o
anche un insieme di essi. Ad esempio un sistema in cui è presente solo un gas nobile
è costituito da un solo elemento; un sistema in cui è presente solamente acqua distil-
lata è costituito da un solo composto; un sistema costituito da una miscela di gas è
costituito da più composti. Tali sistemi sono tutti omogenei. Bisogna però ricordare
che mentre è vero che tutti i sistemi costituiti da un unico individuo chimico sono
omogenei, non è vero che tutte le miscele sono omogenee. Si può invece affermare
che in tutti i sistemi omogenei sia presente un’unica fase.

10) D . Le miscele eterogenee (non le omogenee) possono facilmente essere separate nei
loro componenti mediante l’uso di mezzi meccanici, quali ad esempio filtrazione e
centrifugazione. Nelle soluzioni invece (che sono miscele omogenee) i componenti del
sistema possono essere separati mediante passaggi di stato o metodi cromatografici.

Chimica
La struttura
dell’atomo 2
“Se si decide di conoscere l’energia di un elettrone in un atomo con una piccola in-
certezza, allora si deve accettare una incertezza molto elevata nella sua posizione nello
spazio attorno al nucleo” (Max Born, 1882-1970).

2.1 Introduzione
In questo capitolo ci focalizzeremo sullo studio della struttura atomica. Considereremo
in particolare le particelle che costituiscono l’atomo, le loro proprietà elettriche e come
queste influenzano le proprietà dei vari elementi. Introdurremo i concetti di numero
atomico, numero di massa ed isotopi che sono alla base degli aspetti quantitativi della
chimica. Analizzeremo quindi le reazioni che avvengono a livello del nucleo atomico.
Scopriremo infine i vari modelli atomici, sviluppati dagli scienziati nel corso degli anni,
che consentono di comprendere il comportamento della materia in modo sempre più
accurato.

2.2 Particelle elementari, numero atomico e numero di massa


Diversamente da quanto si pensava fino a poco più di cento anni fa, l’atomo non
è una particella indivisibile e compatta, bensı̀ è costituito da tre tipi di particelle
subatomiche dotate di massa e denominate: protoni, elettroni e neutroni. L’atomo cosı̀
strutturato diventa atomo nucleare, costituito cioè da un nucleo centrale formato
da nucleoni estremamente pesanti e da una nube di particelle molto più leggere che
si muovono attorno al nucleo, conosciute come elettroni. I nucleoni sono di due tipi: i
protoni, carichi positivamente, ed i neutroni che sono elettricamente neutri. I protoni
e i neutroni, nel loro insieme, costituiscono sostanzialmente la totalità della massa
atomica. Gli elettroni invece sono carichi negativamente, si muovono attorno al nucleo
e la loro massa è 1837 volte inferiore a quella dei nucleoni.
Gli atomi, nel loro complesso, sono Particella Massa Carica
elettricamente neutri e ciò è dovuto al Protone (p+ ) 1,66·10−27 Kg +1,6 · 10−19 C
fatto che, all’interno di un atomo, il Elettrone (e− ) 9,11 · 10−31 Kg −1,6 · 10−19 C
numero di elettroni è uguale al numero Neutrone (n) 1,66 · 10−27 Kg Nulla
di protoni. Gli atomi di ogni elemento
sono costituiti da un preciso numero Tabella 2.1: Massa e carica delle particelle subatomiche.
di protoni, e quindi da un egual numero di elettroni, che ne determina le caratteristi-
che chimiche. Ad esempio tutti gli atomi di idrogeno hanno un protone, quelli di azoto
ne hanno sette, gli atomi di ossigeno otto.

Il numero di protoni presenti in un atomo (che coincide con il numero di elettroni) è


detto numero atomico (Z).
Chimica 781

Siccome le proprietà chimiche dipendono dal numero di protoni ed elettroni, tutti


gli atomi con lo stesso numero atomico sono classificati come atomi dello stesso
elemento chimico e presentano quindi le stesse proprietà chimiche. Le reazioni chimiche
coinvolgono esclusivamente gli elettroni, mentre protoni e neutroni partecipano solo
nelle reazioni nucleari.
La massa di un atomo, tuttavia, dipende sia dal numero di protoni che da quello di
neutroni (gli elettroni possono essere sostanzialmente trascurati in quanto, come già
accennato, la loro massa è 1837 volte più piccola di quella dei nucleoni), di conseguenza
è necessario introdurre il concetto di numero di massa (A).

Il numero di massa (A) è dato dalla somma algebrica del numero di protoni (Z) e
del numero di neutroni (N ) presenti nel nucleo di un atomo di un elemento.

A = N + Z.

È tuttavia possibile che due atomi presentino lo stesso numero di protoni (e quindi di
elettroni) ma un numero diverso di neutroni: in questo caso si parla di isotopi, ovvero
di atomi che presentano lo stesso numero atomico (Z) ma un diverso numero di massa
(A). Essendo costituiti dallo stesso numero di protoni, gli isotopi sono classificati come
atomi di uno stesso elemento. Ogni elemento è indicato con la dicitura A Z E, dove
A corrisponde al numero di massa e Z corrisponde al numero atomico.
Tutti gli isotopi di uno stesso elemento hanno lo stesso nome, la stessa posizione
nella tavola periodica e le stesse caratteristiche chimiche ma presentano masse diverse.
La maggior parte degli elementi che si trovano in Natura sono presenti in miscela
isotopica, ovvero hanno due o più isotopi che possono essere stabili o instabili. Gli
isotopi instabili tendono ad emettere radioattività per stabilizzarsi. Le masse degli
elementi riportate sulla tavola periodica (vedi Capitolo 3) sono calcolate a partire dalla
media delle masse atomiche delle miscele isotopiche alle percentuali presenti in Natura.

Alcuni esempi di isotopi sono:


isotopi dell’idrogeno: 11 H (idrogeno o prozio), 21 H (idrogeno pesante o deuterio; è

Chimica
un isotopo stabile dell’idrogeno), 31 H (idrogeno radioattivo o trizio; è un isotopo
instabile dell’idrogeno;
isotopi del carbonio: 126 C (carbonio-12), 136 C (carbonio-13), 14
6C (carbonio-14,
viene impiegato nella chimica forense per le datazioni);
16 18
isotopi dell’ossigeno: 8O (ossigeno-16), 8O (ossigeno-18).

2.2.1 Cenni di chimica nucleare


La chimica nucleare riguarda le reazioni che avvengono a livello del nucleo atomico.
Nelle reazioni chimiche sono coinvolti solamente gli elettroni degli stati di valenza e
NON i nuclei degli atomi, perciò, al termine di una reazione chimica, reagenti e prodotti
contengono gli stessi elementi combinati tra loro in modi diversi. Diversamente, nelle
reazioni nucleari i prodotti sono costituiti da elementi diversi rispetto a quelli dei
reagenti di partenza. Ciò che varia in una reazione nucleare è la massa degli atomi che
partecipano alla reazione.
782 La struttura dell’atomo

Durante una reazione di decadimento radioattivo il nucleo di un isotopo instabile si


trasforma spontaneamente in un nucleo stabile emettendo delle particelle α, β o radia-
zioni γ. Le particelle α sono costituite da nuclei di elio carichi positivamente (42 He2+ ), le
particelle β sono costituite da elettroni (e− ), i raggi γ sono radiazioni elettromagnetiche
ad energia maggiore rispetto ai raggi X (vedi Tabella 2.2).
Nome Simbolo Carica Massa (g/particella)
α 4
2 He
2+ 4
, 2α +2 6,65 · 10−24
β −1
0
e, 0
−1 β −1 9,11 · 10−28
0
γ 0γ 0 0
Tabella 2.2: Caratteristiche delle emissioni α, β e γ.

Una reazione nucleare comporta quindi una variazione del numero atomico (Z) e spesso
anche del numero di massa (A).

226
88 Ra −→42 He +222
86 Rn.

In questa reazione, ad esempio, il Radio-226, emettendo un nucleo di elio (particella α),


si trasforma in Radon-222. Pertanto, ciò che osserviamo è che il numero di massa (A) del
nucleo di partenza 22688 Ra è uguale alla somma dei numeri di massa (A) dei nuclei prodotti.
Inoltre, al fine di garantire il bilancio delle cariche elettriche, anche la somma dei numeri
atomici (Z) dei prodotti 42 He e 222 86 Rn deve essere uguale alla somma dei numeri atomici
(Z) dei reagenti.
226
Reazione 88 Ra −→42 He +222
86 Rn
Numero di massa (A)
(protoni + neutroni) 226 4 222
Numero atomico (Z)
(protoni) 88 2 86
Tabella 2.3: Decadimento del Radio-226 a Radon-222 con emissione di una particella α.

Il decadimento di tipo α fa sı̀ che venga liberata una particella α da parte del nucleo.
L’atomo

Il numero atomico diminuisce di due unità, mentre il numero di massa diminuisce di


quattro unità.
234 4 230
92 U −→2 He + 90 Th.

234
Reazione 92 U −→42 He +230
90 Th
Numero di massa (A)
(protoni + neutroni) 234 4 230
Numero atomico (Z)
(protoni) 92 2 90
Tabella 2.4: Decadimento dell’Uranio-234 a Torio-230 con emissione di una particella α.

Il decadimento di tipo β fa sı̀ che venga liberata una particella β. Le particelle β si


generano per decadimento (trasmutazione) di un neutrone in un elettrone (particella
β) e un protone (p). L’emissione di una particella β induce la formazione di un nuovo
Chimica 783

elemento caratterizzato da un numero atomico maggiore di quello del nucleo che decade.
1
0n −→−10 β +11 p
235
92 U −→−10 β +235
93 Np.

235
Reazione 92 U −→−10 β +235
93 Np
Numero di massa (A)
(protoni + neutroni) 235 0 235
Numero atomico (Z)
(protoni) 92 −1 93
Tabella 2.5: Decadimento dell’Uranio-235 a Nettunio-235 con emissione di una particella β.

Nelle reazioni nucleari NON viene rispettato il principio di conservazione della massa
degli elementi (Legge di Lavoisier), ma viene mantenuto costante il numero totale
delle particelle nucleari (nucleoni).

2.3 Peso atomico e peso molecolare


Quando protoni e neutroni si uniscono per formare il nucleo di un atomo si ha un’e-
missione di energia e di conseguenza parte della sua massa viene annichilita causando
il difetto di massa. Tale fenomeno fa sı̀ che la massa di un atomo sia sempre di poco
inferiore rispetto alla somma delle masse delle particelle che lo costituiscono.
Il peso atomico di un elemento è, per convenzione, dato dal rapporto tra la massa
assoluta dell’atomo considerato e una massa di riferimento, ed è conosciuto anche come
peso atomico relativo (PA). La massa di riferimento, per convezione, è l’unità di
massa atomica (u.m.a.) che corrisponde alla dodicesima parte della massa dell’isotopo
carbonio 12 (12 C) purissimo a cui è stata attribuita una massa pari a 12 u.m.a.

1 u.m.a. = 1,67 · 10−27 Kg.

Per ogni elemento presente nella tavola periodica è associato un peso atomico relativo
dato dal rapporto tra la massa assoluta dell’atomo in considerazione e l’u.m.a. Il 12 C
ha cosı̀ una massa di 12 u.m.a, l’idrogeno 1 H ha una massa di 1 u.m.a, l’ossigeno 16 O Chimica
ha una massa di 16 u.m.a e cosı̀ via.
In realtà la massa riportata sulla tavola periodica è espressa da numeri non interi
con quattro o cinque cifre significative in quanto tiene conto, per ogni elemento, dell’ab-
bondanza isotopica presente in Natura. A titolo esemplificativo il Carbonio presenta
due isotopi stabili: 12 C (98,89% del totale, PA 12 u.m.a.), 13 C (1,11% del totale, PA 13
u.m.a.); il 14 C è presente in tracce e non è stabile. Il peso atomico riportato in tavola
periodica per il carbonio è ottenuto dalla media ponderata delle masse dei suoi isotopi
sulla base dell’abbondanza percentuale con cui è presente in natura ed è pari a 12,011
u.m.a. Il peso di una molecola è dato dalla somma dei pesi atomici degli atomi che la
costituiscono ed è definito peso molecolare (PM) o massa molecolare. Nel caso
di composti che non sono costituiti da singole molecole ma sono presenti in un reticolo,
come ad esempio i composti ionici, non si parla di peso molecolare ma di peso formula
(PF) o massa formula, ovvero il peso di queste sostanze è quello riferito alla loro
formula minima.
784 La struttura dell’atomo

Per formula minima si intende la formula che rappresenta in quale rapporto sono
presenti gli elementi in una sostanza. Tale rapporto è dato dal numero intero più
piccolo. La formula minima è solitamente impiegata per indicare quelle sostanze che
sono formate da una combinazione di atomi che si ripetono “infinite” volte nello spazio,
come ad esempio i reticoli cristallini (NaCl, KBr, MgCl2 ).

Per le sostanze costituite da molecole si parla invece di formula molecolare, che è


ottenuta indicando, per ciascun elemento, il numero di atomi effettivamente presenti
in una molecola (H2 O, H2 SO4 , CH3 OH).

2.4 La mole ed il numero di Avogadro


La mole è un’unità di misura riconosciuta dal Sistema Internazionale (SI) ed è impie-
gata per indicare la quantità di materia che contiene un numero di entità elementari
pari al Numero di Avogadro (NA ). Nel linguaggio comune il termine “paia” indica
la presenza di due entità elementari (ad esempio due scarpe), con il termine “dozzi-
na” indichiamo la presenza di dodici entità elementari (dodici uova); con una mole
indichiamo la presenza di 6,022 · 1023 unità elementari. Possiamo dire che la mole è
la “dozzina” del chimico ovvero è semplicemente un’unità di conteggio. Il valore indi-
cato, conosciuto come Numero di Avogadro NA (6,022 · 1023 ), non è casuale ed è
una delle costanti fondamentali della chimica e fu determinato dallo scienziato italiano
Amedeo Avogadro da cui prende il nome.

Lorenzo Romano Amedeo Carlo Avogadro (1776-1856), pur avendo studiato e lavorato come
avvocato si dedicò alla scienza ed in particolare allo studio dei gas. Fu sua l’intuizione, poi
divenuta legge, per la quale: “Volumi uguali di gas diversi nelle stesse condizioni di pressio-
ne e temperatura presentano lo stesso numero di particelle”. Egli teorizzò anche il concetto
L’atomo

di mole ma sfortunatamente morı̀ incompreso. Pochi anni dopo la sua morte, grazie agli
esperimenti condotti dal chimico italiano Stanislao Cannizzaro (1826-1910) l’idea di mole fu
definitivamente accettata dalla comunità scientifica.

Il Numero di Avogadro, determinato sperimentalmente, indica il numero di atomi


di isotopo carbonio-12 (12 C) presenti in 12,000 g esatti di isotopo 12 C purissimo e
corrisponde a 6,022·1023 atomi di isotopo carbonio-12.

Definiamo mole (mol) la quantità di sostanza che contiene un numero di entità pari
al Numero di Avogadro NA ovvero pari al numero di atomi di 12 C presenti in 12,000 g
esatti di isotopo 12 C purissimo. Una mole corrisponde quindi ad un Numero di Avogadro
di unità elementari (atomi, molecole, scarpe, uova, biglie o quello che preferiamo).
Chimica 785

Pesando 12,000 g esatti di carbonio-12 purissimo, corrispondenti per definizione a


12,000 u.m.a, si ha la certezza di avere 6,022·1023 atomi di carbonio-12, ovvero di
essere in presenza di una mole di atomi di carbonio-12. Poiché i pesi atomici sono
tutti espressi come rapporto tra la massa dell’elemento in considerazione e l’u.m.a.,
ovvero sono pesi relativi, è possibile affermare che per una qualsiasi sostanza la
mole è data dal peso espresso in grammi che coincide numericamente con il
suo peso atomico o molecolare.

Una mole di acqua (H2 O, PM = 18) pesa 18 g e contiene 6,022 · 1023 molecole d’acqua.

Una mole di monossido di carbonio (CO, PM = 28) pesa 28 g e contiene 6,022 · 1023
molecole di CO.
Allo stesso modo posso affermare che: se 18 g di acqua contengono 6,022 · 1023 molecole
d’acqua, allora 36 g di acqua ne contengono il doppio, ovvero 2 · 6,022 · 1023 . È possibile
inoltre affermare che 9 g di acqua contengono la metà delle molecole presenti in 18 g ed
un quarto di quelle contenute in 36 g. In 9 g d’acqua sono quindi presenti (6,022 · 1023 )/2
molecole d’acqua.

Queste considerazioni permettono di determinare il numero di moli presenti in una


certa massa di sostanza (espressa in grammi) semplicemente dividendo tale massa per
il Peso Molare (espresso in g/mol e coincidente numericamente con il peso molecolare).
Ottenute le moli presenti nel campione è possibile determinare il numero esatto di
molecole in esso contenute moltiplicando le moli per il NA .

massa (g)
n. moli (mol) =  g 
Peso molare
mol

Chimica
n. molecole = n. moli (mol) × NA .

Allo stesso modo per calcolare la massa (in grammi) necessaria ad avere un certo
numero di moli di una qualsiasi sostanza è sufficiente moltiplicare il numero di moli
desiderato per il PM.
 g 
massa (g) = n. moli (mol) × Peso molare .
mol

Per conoscere la quantità d’acqua necessaria per avere 3 moli d’acqua, è sufficiente
moltiplicare il numero di moli desiderate per il peso molecolare dell’acqua
g
massa H2 O(g) = 3 mol × 18 = 54 g
mol
il valore ottenuto, 54 g, è la quantità d’acqua che contiene esattamente 3 moli d’acqua,
ovvero 3 · NA molecole d’acqua.
786 La struttura dell’atomo

2.5 Struttura elettronica dell’atomo


Il primo scienziato a proporre un sistema descrittivo dell’atomo fu il fisico inglese Jose-
ph J. Thomson (1856-1940, Premio Nobel per la fisica 1906) durante la seconda metà
dell’Ottocento. Dopo aver scoperto l’esistenza dell’elettrone egli propose un modello co-
nosciuto come modello atomico a cariche diffuse (o modello a panettone “plum
pudding model”). Egli riteneva che l’atomo, elettricamente neutro, fosse costituito da
una sfera carica positivamente all’interno della quale si trovavano gli elettroni, disposti
come i canditi di un panettone, che si muovevano con un certo grado di libertà non
ben definito (Figura 2.1). Pochi anni dopo, nella prima metà del Novecento, Ernest
Rutherford (1871-1937, Premio Nobel per la chimica 1908) scoprı̀ l’esistenza del nucleo
atomico, anche grazie agli studi sulla radioattività effettuati pochi anni prima da Pierre
Curie. Rutherford propose cosı̀ un nuovo modello conosciuto come modello atomico
planetario. Secondo tale modello l’atomo era costituito da un nucleo centrale, con-
tenente i protoni e dotato di carica positiva, e da un numero equivalente di elettroni,
carichi negativamente, che si muovevano attorno al nucleo seguendo orbite circolari.
Il sistema ricorda quello planetario, ovvero il moto dei pianeti attorno al Sole, da cui
prende il nome (Figura 2.1).
Il modello di Rutherford tuttavia non venne inizial-
mente accettato dalla comunità scientifica in quanto non
era in accordo con le leggi della fisica classica note al-
l’epoca. Gli elettroni carichi negativamente infatti sareb-
bero dovuti precipitare sul nucleo carico positivamente
emettendo energia sotto forma di radiazioni elettroma-
gnetiche man mano che la loro orbita si riduceva. Ta- Figura 2.1: Modello atomico di
le fenomeno però non avviene altrimenti non esistereb- Thomson e modello atomico di
Rutherford.
be la materia e di conseguenza non esisterebbe l’intero
Universo.
Il dilemma fu superato quando nel 1913 Niels Bohr
(1885-1962, Premio Nobel per la fisica 1922) propose
un nuovo modello conosciuto come modello atomico
quantistico o modello atomico di Bohr (Figura 2.2).
L’atomo

Egli, utilizzando le ricerche sulla fisica quantistica di Max


Planck (1858-1947, Premio Nobel per la fisica 1918) all’e-
poca non ancora completamente accettate, gli esperimen-
ti sull’effetto fotoelettrico di Albert Einstein (1879-1955,
per il quale lo scienziato riceverà il Nobel per la fisica nel
1921) e gli spettri di emissione per l’atomo di idrogeno ot- Figura 2.2: Modello atomico di
Bohr.
tenuti da Johannes Rydberg (1854-1919) propose due po-
stulati:

a. Condizione dello stato stazionario: gli elettroni che si trovano attorno ad un


atomo possono avere solo valori specifici di energia definiti livelli energetici o
orbite. Finché l’elettrone rimane all’interno di queste orbite esso può continuare
a ruotare attorno al nucleo senza emettere energia elettromagnetica.

b. Condizione di frequenza: l’elettrone può passare da un livello energetico ad


un altro solamente emettendo o assorbendo una quantità definita di energia, pari
Chimica 787

alla differenza energetica tra le orbite coinvolte nel trasferimento. Lo scambio di


energia avviene attraverso l’assorbimento o l’emissione di fotoni.

Bohr ipotizzò che se un elettrone possiede un valore di momento angolare (mvr) cor-
rispondente ad un multiplo intero positivo (n) di h/2π (con h = costante di Planck),
allora l’elettrone appartiene ad un orbita stazionaria ovvero non cede energia durante
il suo moto di rotazione attorno al nucleo.
h
mvr = n .

Il numero intero positivo (n) è chiamato numero quantico principale ed è diret-
tamente proporzionale all’energia dell’elettrone. Maggiore è n, maggiore è il valore del
suo momento angolare (mvr), ovvero maggiore è l’energia dell’elettrone. Gli elettroni a
maggior energia sono quelli con n maggiore e sono quindi quelli più lontani dal nucleo
(l’orbita che descrivono è più grande).

2.6 Principio di indeterminazione di Heisenberg e definizione del


concetto di orbitale
Il modello atomico di Bohr, pur essendo in pieno accordo con gli esperimenti con-
dotti da Rydberg, risulta verificato solo per l’atomo di idrogeno e non è applica-
bile ad atomi poli-elettronici. Studi successivi a quelli condotti da Bohr rivelarono
che gli atomi non si muovono su orbite fisse come egli invece ipotizzò. Furono le ri-
cerche di Werner Heisenberg (1901-1976, Premio Nobel per la fisica 1932) e Erwin
Schrödinger (1887-1961, Premio Nobel per la fisica 1933) a sviluppare il nuovo mo-
dello atomico oggi comunemente accettato e conosciuto come modello atomico di
Schrödinger.
Attraverso il famoso Principio di indeterminazione Werner Heisenberg enun-
ciò che: “è impossibile conoscere contemporaneamente sia la posizione che la velocità
(ovvero la quantità di moto) degli elettroni in un atomo, ed è quindi impossibile de-
scrivere delle orbite precise lungo le quali l’elettrone può muoversi”. Ciò significa che
l’unica cosa possibile è calcolare la probabilità di trovare un elettrone in una certa

Chimica
regione di spazio. Fatta propria l’osservazione di Heisenberg, e considerati gli studi di
De Broglie (1892-1987) sul dualismo onda-corpuscolo, Erwin Schrödinger formulò un
nuovo modello atomico basato sugli orbitali atomici abbandonando definitivamente
il modello ad orbite stazionarie di Bohr (per uno studio approfondito si rimanda ad un
testo specifico).

L’orbitale atomico è definito tramite la funzione d’onda (indicata con la lettera greca
“psi”, ψ) che descrive il comportamento di un elettrone in un atomo ed è qualita-
tivamente descritto dalla regione di spazio dove la probabilità di trovare l’elettrone è
superiore al 90% (la densità di probabilità di trovare l’elettrone è definita dal quadrato
della funzione “psi”, ψ 2 ).

La definizione di orbitale suggerisce immediatamente che non siamo in presenza di


orbite stazionarie ma di regioni di spazio nelle quali sussiste una certa probabilità
di trovare l’elettrone. Tutto ciò viene graficamente rappresentato da delle superfici che
788 La struttura dell’atomo

delimitano una regione di spazio all’interno della quale è massima la probabilità di


trovare l’elettrone. Nessuno tuttavia può essere assolutamente certo che l’elettrone si
trovi effettivamente all’interno di questo spazio.
Cosı̀ Max Born (1882-1970, Premio Nobel per la fisica 1954), ispirandosi all’idea
di Heisenberg, descrisse il modo con cui dobbiamo approcciarci alla meccanica quanti-
stica: “Se si decide di conoscere l’energia di un elettrone in un atomo con una piccola
incertezza, allora si deve accettare una incertezza molto elevata nella sua posizione
nello spazio attorno al nucleo”. Le funzioni d’onda ψ, che descrivono il com-
portamento di un elettrone, possono essere interpretate solo in termini di
probabilità.

2.7 La funzione d’onda ψ “psi” ed i numeri quantici


Ad ogni funzione d’onda ψ, ovvero ad ogni orbitale atomico, sono associati tre numeri
quantici che ne determinano le caratteristiche.
Il numero quantico principale (n) identifica il livello energetico dell’orbitale e
ne descrive l’“ampiezza”. Esso può assumere esclusivamente valori interi positivi (1,
2, 3, ecc.). Al crescere di “n” cresce l’energia associata all’orbitale descritto e la sua
ampiezza. Maggiore è l’estensione dell’orbitale rispetto al nucleo, maggiore è l’energia in
gioco, ovvero gli elettroni che presentano “n” elevato sono dotati di energia più elevata
che li rende particolarmente reattivi ed hanno una maggiore probabilità di trovarsi più
lontani dal nucleo.
I livelli energetici descritti da “n” comprendono più sottolivelli, ciascuno dei quali
può comprendere più orbitali. I sottolivelli sono anche chiamati sotto-
strati.
Il numero quantico secondario (o azimutale o del momento angolare) (l)
definisce la forma dell’orbitale ed identifica il sottolivello. All’interno di uno stesso livello
(identificato da “n”) avremo quindi più sottolivelli descritti da “l” e caratterizzati a
loro volta da forma ed energia proprie.
“l” può assumere valori compresi tra 0 e n − 1, estremi inclusi, ovvero per ogni
livello “n” avremo un numero di sottolivelli (cioè di “tipi di orbitali”) pari ad “n”. Ad
esempio, quando n = 1 allora l = 0, il che significa che per il primo livello energetico
L’atomo

è associato un solo sottolivello (l = 0). Nel secondo livello energetico (n = 2) avremo


due sottolivelli energetici (l = 0 e l = 1), nel terzo livello energetico (n = 3) avremo
tre sottolivelli (l = 0, l = 1 ed l = 2) e cosı̀ via.
Ad ogni valore di “l” corrisponde quindi un sottolivello, ovvero un orbitale che presenta
una forma caratteristica e viene per consuetudine indicato con una lettera (Figura 2.3):
l = 0 corrisponde al sottolivello “s” (sharp);
l = 1 corrisponde al sottolivello “p” (principal );
l = 2 corrisponde al sottolivello “d” (diffuse);
l = 3 corrisponde al sottolivello “f ” (fundamental ).
Gli orbitali di un certo sottolivello (es. px , py e pz ) differiscono tra loro soltanto per
l’orientazione spaziale e non per la forma né per l’energia.
Per una corretta descrizione dell’orbitale è necessario includere un numero quantico
che specifichi in quale orbitale, nell’ambito del sottolivello, ha sede l’elettrone. Per
Chimica 789

Figura 2.3: Orbitali atomici s, p e d. Chimica

questo motivo è stato introdotto il numero quantico magnetico (o terziario) (m


o ml ) che indica l’orientazione degli orbitali degeneri nello spazio. “ml ” suggerisce
quanti orbitali con la stessa energia e con la stessa forma (stessa “n” e stessa “l”), ma
con orientazione spaziale diversa, sono presenti in un certo sottolivello.
“m” può assumere solo valori interi compresi tra +l e −l, incluso lo zero. Ad esempio
se l = 1 (sottolivello p), “m” potrà assumere i valori −1, 0, +1, a cui corrispondono tre
orbitali degeneri con tre orientazioni spaziali: px , py e pz . Quando l = 2 (sottolivello
d), m potrà assumere i valori −2, −1, 0, +1, +2, a cui corrispondono cinque orbitali
degeneri con cinque orientazioni spaziali: dxy , dxz , dyz , d2x2 −y2 e dz2 , e cosı̀ via.
Da queste osservazioni possiamo affermare che, essendo il sottolivello “s” (l = 0)
descritto da un solo orbitale di forma sferica, è possibile una sola orientazione spa-
ziale e di conseguenza esiste un solo valore accettabile di numero quantico magne-
790 La struttura dell’atomo

tico (“m” = 0). Diversamente, al sottolivello “p” (l = 1) corrispondono 3 possibili


“m” (−1, 0, +1), ovvero 3 possibili orientazioni dell’orbitale nello spazio. Al sottolivello
“d” (l = 2) corrispondono 5 possibili “m” (−2, −1, 0, 1, 2), ovvero 5 possibili orienta-
zioni spaziali dell’orbitale. Al sottolivello “f ” (l = 3) corrispondono 7 possibili “m”
(−3, −2, −1, 0, 1, 2, 3), ovvero 7 possibili orientazioni spaziali consentite.

Siccome l’orientazione spaziale dell’orbitale non influisce sulla sua energia, si può affer-
mare che orbitali con stesso “l” ed “n” ma con “m” diverso sono degeneri, presentano
cioè la stessa energia.

Il numero quantico di spin (o numero quantico ma-


gnetico di spin elettronico) (ms ) è associato al movi-
mento rotazionale (spin) che un elettrone assume all’interno
di un orbitale. Se consideriamo l’elettrone come una sfera
carica rotante attorno al proprio asse, allora è necessario de-
finire il senso di rotazione che esso può assumere, occorre
cioè specificare se la rotazione dell’elettrone avviene in senso
“orario” o “antiorario”. Il numero quantico di spin “ms ” può Figura 2.4: Numero quanti-
quindi assumere solo due valori, per convenzione indicati con co di spin elettronico ms .
+1/2 e −1/2 (Figura 2.4).

Fenomeni quali il paramagnetismo ed il ferromagnetismo, ovvero la caratteristica di


alcuni metalli di essere attratti da campi magnetici, derivano dalle proprietà di spin degli
elettroni. Un materiale si dice ferromagnetico quando gli spin dei suoi elettroni, che si trovano
in orbitali semipieni, si allineano nella medesima direzione. La maggior parte delle sostanze
tuttavia non presenta elettroni in orbitali semipieni e dunque viene detta diamagnetica,
ovvero non risente in modo significativo del campo magnetico esterno.

Riassumendo:
L’atomo

a. Minore è il valore di “n”, minore è l’energia dell’elettrone. L’elettrone avrà mag-


giore probabilità di trovarsi vicino al nucleo e sarà più stabile. Maggiore è il valore
di “n”, maggiore è l’energia dell’elettrone. L’elettrone avrà maggiore probabilità
di trovarsi lontano dal nucleo e sarà più reattivo.

b. Per ogni livello (strato) “n” esistono “n” tipi di sottolivelli (sottostrati), ovvero
di orbitali con diversa forma.

c. Per ogni sottostrato “l” esistono 2l + 1 orbitali totali (cioè uno s, tre p, cinque d,
sette f ).

d. Il numero totale di orbitali per un livello “n” è dato da n2 . Posto che un elettrone
in ogni orbitale può assumere solo due valori di “ms ”, il numero massimo di
elettroni che ogni livello può ospitare è dato da 2n2 .
Chimica 791

Livello energetico (n) Sottolivelli possibili (l) Tipi di sottolivelli


1 l=0 1s
2 l = 0, 1 2s, 2p
3 l = 0, 1, 2 3s, 3p, 3d
4 l = 0, 1, 2, 3 4s, 4p, 4d, 4f
Tabella 2.6: Numero e tipi di sottolivelli possibili per ogni livello energetico.
Sottolivello Lettera Orientazioni spaziali Numero di orbitali
(l) corrispondente consentite (ml ) degeneri (2l + 1)
0 s “sharp” ml = 0 1 orbitale s
1 p “principal” ml = −1, 0, +1 3 orbitali p
2 d “diffuse” ml = −2, −1, 0, +1, +2 5 orbitali d
3 f “fundamental” ml = −3, −2, −1, 0, +1, +2, +3 7 orbitali f
Tabella 2.7: Numero di orbitali degeneri disponibili e la loro orientazione spaziale per ogni sottolivello l.

2.8 Configurazioni elettroniche e regole di riempimento degli orbitali


atomici
Per descrivere la distribuzione degli elettroni fra i vari sottostrati, ovvero fra i vari
tipi di orbitali, si utilizza una notazione internazionale denominata configurazione
elettronica. Essa è indicata dalla successione del numero quantico principale (n), dal
numero quantico secondario (l) espresso dalla lettera corrispondente (s, p, d, f ), e dal
numero di elettroni presenti nell’orbitale indicati come esponente. Per convenzione il
numero quantico magnetico (ml ) non viene indicato.
Ad esempio l’azoto (Z = 7) ha configurazione elettronica 1s2 2s2 2p3 . Dei 7 elettroni
dell’azoto quindi, 2 si trovano nel livello energetico 1, sottostrato s; 2 si trovano nel
livello energetico 2, sottostrato s; 3 si trovano nel livello energetico 2, sottostrato p.
Per determinare l’ordine di riempimento degli orbitali atomici è fondamentale con-
siderare i seguenti principi:

a. Principio di Aufbau (di minima energia): ogni elettrone occupa preferen-


zialmente l’orbitale disponibile a più bassa energia, ovvero quello con numero
quantico n più basso. Nel caso di orbitali con lo stesso valore di n, si riempie
preferenzialmente l’orbitale con l più basso.

b. Principio di Hund (o della massima molteplicità di spin): in presenza di Chimica


orbitali degeneri, ovvero di orbitali con lo stesso valore di energia, gli elettroni si
distribuiscono sul maggior numero di orbitali possibile e presentano spin paralleli.

c. Principio di esclusione di Pauli: in ogni orbitale possono trovarsi al massimo


due elettroni che presentano spin antiparallelo (+1/2 e −1/2). Ciò significa che:
“in un atomo non esistono due elettroni descritti dalla stessa sequenza dei quattro
numeri quantici (n, l, ml , ms )”. Ogni singolo elettrone in un atomo può essere
quindi descritto in modo univoco dalla quaterna di numeri quantici.

Gli orbitali atomici vengono rappresentati da dei quadrati all’interno dei quali si pon-
gono gli elettroni rappresentati da delle frecce, la cui orientazione indica lo stato di
spin dell’elettrone (+ 1/2 o − 1/2). Ogni orbitale atomico può ospitare al massimo
due elettroni con spin opposto.
Con qualche esempio la comprensione risulterà più semplice.
792 La struttura dell’atomo

Azoto (Z = 7) configurazione 1s2 2s2 2p3

L’azoto presenta 7 protoni e di conseguenza è dotato di 7 elettroni, i quali si dispongono


negli orbitali atomici secondo i principi sopra menzionati. Si riempie per primo l’orbitale
1s che presenta il numero quantico principale (n) più basso (n = 1). Tra gli orbitali del
livello 2, si riempie per primo l’orbitale 2s che presenta il numero quantico secondario (l)
più basso (l = 0). Si riempiono infine gli orbitali 2p (n = 2, l = 1) in modo da rispettare
il principio di Hund, ovvero gli elettroni si dispongono nel maggior numero di orbitali
degeneri p con spin paralleli.

Sodio (Z = 11) configurazione 1s2 2s2 2p6 3s1

Il sodio presenta 11 protoni e di conseguenza è dotato di 11 elettroni. Gli elettroni si


dispongono negli orbitali atomici secondo i principi sopra menzionati. Si riempie per
primo l’orbitale 1s che presenta il numero quantico principale (n) più basso (n = 1). Tra
gli orbitali del livello 2, si riempie per primo l’orbitale 2s che presenta il numero quantico
secondario (l) più basso (l = 0). Di seguito si riempiono completamente i tre orbitali 2p
(n = 2, l = 1). L’ultimo elettrone si dispone nell’orbitale 3s.

Carbonio (Z = 6) configurazione 1s2 , 2s2 , 2p2

Il carbonio presenta 6 protoni e di conseguenza è dotato di 6 elettroni. Si riempie per


primo l’orbitale 1s che presenta il numero quantico principale (n) più basso (n = 1). Tra
gli orbitali del livello 2, si riempie per primo l’orbitale 2s che presenta il numero quantico
secondario (l) più basso (l = 0). I due rimanenti elettroni si dispongono su due orbitali
2p degeneri (2px , 2py ) con spin parallelo. Rimane vuoto l’orbitale 2pz .

La configurazione elettronica ottenuta se-


guendo questi principi corrisponde allo sta-
L’atomo

to elettronico a più bassa energia noto co-


me stato fondamentale. Fornendo energia
al sistema (riscaldando o irradiando il cam-
pione) la distribuzione elettronica cambia in
quanto gli elettroni eccitati tendono ad occu-
pare orbitali ad energia più alta; l’atomo si
trova quindi in uno stato eccitato e diventa
meno stabile ovvero più reattivo.
Siccome la sequenza dei livelli energetici
non dipende solo da n ma anche da l, è fon-
damentale ricordare che orbitali dello stesso
strato (stesso “n”) ma con forma diversa (“l” Figura 2.5: Diagramma di riempimento degli
diverso) presentano energie diverse, ovvero orbitali secondo il livello energetico crescente
NON sono degeneri. Per identificare la con- (1s2s2p3s3p4s3d4p5s...).
figurazione elettronica dello stato fondamentale è necessario quindi considerare anche
il numero quantico “l”.
Chimica 793

Le energie degli orbitali crescono al crescere della somma n + l; nel caso in cui ci siano
orbitali con uguale valore di n + l si riempie prima quello con n minore.
L’ordine di riempimento degli orbitali è quindi il seguente (Figura 2.5):

1s2s2p3s3p4s3d4p5s4d. . .

L’orbitale 4s ha energia inferiore rispetto all’orbitale 3d poiché per il 4s si ha che


n + l = 4 (n = 4, l = 0) mentre per il 3d abbiamo n + l = 5 (n = 3, l = 2). L’orbitale
4s viene quindi riempito prima del 3d e la stessa cosa accade per l’orbitale 5s rispetto
al 4d e cosı̀ via.

Per alcuni elementi della tavola periodica la distribuzione elettronica NON segue le regole
sopra elencate: si parla in questo caso di anomalie Aufbau. Ne fanno parte, tra gli altri,
il rame (Cu), il cromo (Cr), l’oro (Au), l’argento (Ag), il palladio (Pd) ed il platino (Pt).
Questi elementi preferiscono generalmente avere sottolivelli pieni o pieni a metà a discapito
dell’energia dell’orbitale.

Come esempio consideriamo il rame Cu (Z = 29) che, secondo le regole sopracitate,


avrebbe configurazione: 1s2 2s2 2p6 3s2 3p6 4s2 3d9 . Questo elemento tuttavia presenta una
anomalia Aufbau e di conseguenza predilige riempire completamente l’orbitale 3d a disca-
pito dell’orbitale 4s. La sua configurazione, allo stato fondamentale, è quindi la seguente:
1s2 2s2 2p6 3s2 3p6 3d10 4s1 .
Cu (Z = 29) configurazione secondo Aufbau 1s2 2s2 2p6 3s2 3p6 4s2 3d9 .

Cu (Z = 29) configurazione reale (anomalia Aufbau) 1s2 2s2 2p6 3s2 3p6 3d10 4s1 .

2.8.1 Regole di riempimento per gli ioni

Chimica
Quando un atomo acquista (o cede) elettroni esso assume una carica negativa (o posi-
tiva) e viene chiamato ione. In particolare gli ioni positivi, formati da quegli atomi che
hanno ceduto i loro elettroni, sono chiamati cationi; gli ioni di carica negativa, formati
da atomi a seguito della cattura di uno o più elettroni, vengono denominati anioni.
Per scrivere la configurazione elettronica di uno ione è necessario fare le seguenti
considerazioni:
a. Gli elettroni che vengono rimossi da un atomo per formare un catione, sono
rimossi sempre dagli orbitali con il numero quantico n più alto.
b. Se ci sono più sottolivelli occupati a parità di n, gli elettroni vengono rimossi
dall’orbitale con l maggiore.
c. Quando un atomo acquista degli elettroni per formare un anione, questi vengono
aggiunti ad un orbitale vuoto o semipieno con il più alto valore di n e il più basso
valore di l.
794 La struttura dell’atomo

Configurazione elemento Configurazione ione


Li (1s2 2s1 ) Li+ (1s2 ) + e− Si rimuove l’elettrone 2s
dall’orbitale con n più alto
Fe (1s2 2s2 2p6 3s2 3p6 4s2 3d6 ) Fe2+ (1s2 2s2 2p6 3s2 3p6 3d6 ) + 2e− Si rimuovono 2 elettroni 4s
dall’orbitale con n più alto
Fe (1s2 2s2 2p6 3s2 3p6 4s2 3d6 ) Fe3+ (1s2 2s2 2p6 3s2 3p6 3d5 ) + 3e− Si rimuovono 2 elettroni 4s
e 1 elettrone 3d
Ti ([Ar] 3d1 4s2 ) Ti2+ ([Ar] 3d1 ) + 2e− Si rimuovono 2 elettroni 4s
F (1s2 2s2 2p5 ) + e− F− (1s2 2s2 2p6 ) L’elettrone si aggiunge al-
l’orbitale libero con il più
alto valore di n e con il più
basso valore di l
O (1s2 2s2 2p4 ) + 2e− O2− (1s2 2s2 2p6 ) L’elettrone si aggiunge al-
l’orbitale libero con il più
alto valore di n e con il più
basso valore di l
Tabella 2.8: Configurazione elettronica degli ioni.

In chimica, data la configurazione elettronica di un elemento, è possibile distinguere gli


elettroni in due gruppi: quelli distribuiti nei livelli interni (elettroni del core) e quelli
presenti nel livello energetico più alto, ovvero presenti nello strato più esterno, detti
elettroni di valenza. Solo gli elettroni di valenza contribuiscono alle proprietà
chimiche dell’elemento, poiché essi presentano energia più elevata e sono quindi i
più reattivi.

La configurazione elettronica può essere indicata in forma contratta mettendo tra


parentesi quadra il gas nobile che precede l’elemento nella tavola periodica ed indicando
quindi solo gli elettroni di valenza mancanti.

Ad esempio la configurazione elettronica del fluoro F può essere scritta 1s2 2s2 2p5 o
alternativamente [He] 2s2 2p5 . La configurazione elettronica del ferro Fe può essere
scritta 1s2 2s2 2p6 3s2 3p6 4s2 3d6 o alternativamente [Ar] 4s2 3d6 .
L’atomo

2.9 Quesiti
1) Il principale difetto del modello atomi- A 16 O2−
8
co di Rutherford, che fu poi superato 34 Ar
B 18
da Bohr, consisteva nell’incapacità di
C 18 S
spiegare perché: 16
D 32 S2−
A gli elettroni non cadessero sul nucleo 16
E 32 Ar−
B i neutroni non cadessero sul nucleo 18
C i protoni non cadessero sul nucleo 3) Un atomo con 18 elettroni ha come
D i protoni fossero aggregati nel nucleo configurazione elettronica:
E i protoni e gli elettroni costituissero un A 1s2 2s2 2p10 3s2 3p5
aggregato
B 1s3 2s3 2p5 3s3 3p4
2) La formula per l’atomo o ione che
C 1s3 2s2 2p6 3s3 3p4
contiene 16 neutroni e 18 protoni
corrisponde a: D 1s2 2s2 2p5 3s2 3p5 4s2
Chimica 795

E 1s2 2s2 2p6 3s2 3p6 B 2 elettroni

4) Gli orbitali detti “degeneri” hanno: C 6 elettroni


D 10 elettroni
A la stessa energia
E 14 elettroni
B lo stesso orientamento nello spazio
8) 78 Se e 78 Kr:
C una geometria del tutto particolare 34 36

D un contenuto energetico superiore al A hanno lo stesso numero atomico


normale
B hanno lo stesso numero di neutroni
E un contenuto energetico inferiore al
normale C sono lo stesso nuclide

5) Il contenuto energetico di un orbitale è D hanno lo stesso numero di massa


definito da: E sono isotopi dello stesso elemento
A il numero quantico principale 9) Non è vero che il numero quantico ter-
B tutti e quattro i numeri quantici ziario:

C dai primi tre numeri quantici A è detto magnetico


D dal numero quantico principale e da B indica l’orientazione dell’orbitale in un
quello azimutale campo magnetico
E dal numero quantico principale e da C è uguale a 0 se n = 1
quello magnetico
D può essere uguale a -1, 0, +1 se l = 1
6) Due isotopi di uno stesso elemento E contribuisce a definire l’energia di un
differiscono tra loro: orbitale
A per il numero di protoni
10) Delle seguenti serie di numeri quanti-
B per il numero di elettroni ci riferiti ad un orbitale, quale risulta
essere l’unica possibile?
C per il numero di neutroni
D per il numero di protoni e di neutroni A n = 0; l = 0; mL = 1

E per il numero di protoni e elettroni B n = 3; l = 2; mL = 4


C n = 1; l = 1; mL = −1
7) Un sottolivello f può contenere al
massimo: D n = 4; l = 0; mL = 0
E n = 2; l = 2; mL = −2

Chimica
A 1 elettrone

2.10 Soluzioni commentate ai quesiti


1) A . Il modello di atomo proposto da Rutherford risultava instabile. Secondo questo
modello infatti l’elettrone nel suo moto intorno al nucleo è sottoposto ad un’acce-
lerazione e di conseguenza irraggia energia elettromagnetica della stessa frequenza
del suo moto di rivoluzione. Come conseguenza dell’irradiazione l’elettrone dovrebbe
cadere sul nucleo con un moto a spirale.
2) B . Ogni elemento viene indicato con la dicitura A Z E dove A corrisponde al numero
di massa (dato dalla somma di protoni e neutroni) mentre Z corrisponde al numero
atomico (numero di protoni). Si noti che in questo caso la presenza delle cariche
negative è irrilevante ai fini della risoluzione dell’esercizio.
3) E . Per scrivere la configurazione elettronica degli atomi bisogna ricordare alcune
regole fondamentali: ogni orbitale atomico contiene al massimo 2 elettroni; il sotto-
796 La struttura dell’atomo

livello s è costituito da 1 solo orbitale sferico, quello p da 3 orbitali degeneri (cioè di


pari energia tra loro), d da 5 e f da 7. I livelli e sottolivelli si riempiono secondo la
seguente successione: 1s2s2p3s3p4s3d4p5s4d5p6s4f 5d6p7s5f 6d. . . Nello scrivere la
configurazione elettronica, gli elettroni si indicano come esponenti dopo la lettera
che indica il sottolivello, e si distribuiscono in successione partendo dall’orbitale 1s.
In s possono trovarsi al massimo 2 elettroni, in p al massimo 6 (2 per ognuno dei 3
orbitali p), in d al massimo 10 ed in f al massimo 14.

4) A . Gli orbitali degeneri sono orbitali che tra loro hanno pari energia: sono un
esempio i tre orbitali p di uno stesso livello n, che pur avendo diversa direzione
nello spazio (ml diverso) hanno un contenuto energetico equivalente tra loro. Si
ricordi che il sottolivello d consta di 5 orbitali degeneri, mentre f di 7.
5) D . L’energia di un orbitale è definita dai primi due numeri quantici (principale n e
secondario o azimutale l). Il numero quantico terziario (ml ) definisce l’orientazione
nello spazio di orbitali degeneri, mentre il quarto numero quantico (ms ) è detto di
spin ed identifica l’elettrone.
6) C . Si definiscono isotopi due atomi che presentano lo stesso numero atomico (stesso
numero di protoni) ma un diverso numero di massa (numero di protoni + nume-
ro di neutroni). Due isotopi differiscono tra loro solo per il numero di neutroni.
Poiché possiedono lo stesso numero di protoni, e quindi di elettroni, due isotopi
appartengono allo stesso elemento chimico.
7) E . Ogni orbitale atomico contiene al massimo 2 elettroni; il sottolivello s è costituito
da 1 solo orbitale sferico, quello p da 3 orbitali degeneri (cioè di pari energia tra
loro), d da 5 e f da 7. Nel sottolivello s possono trovarsi al massimo 2 elettroni,
in p al massimo 6 (2 per ognuno dei 3 orbitali p), in d al massimo 10 ed in f al
massimo 14.
8) D . 78 78
34 Se e 36 Kr hanno in comune lo stesso numero di massa 78, che corrisponde
alla somma dei protoni e dei neutroni. Si tratta di elementi diversi poiché hanno
un diverso numero di protoni (diverso numero atomico).
L’atomo

9) E . Il numero quantico terziario ml , detto anche magnetico, stabilisce l’orientazione


dell’orbitale nello spazio, ma non ne determina l’energia (i numeri quantici primario
soprattutto e secondario in minor misura definiscono l’energia dell’orbitale). I valori
che può assumere ml sono tutti i numeri interi compresi tra −l e +l. Quindi, sapendo
che l può assumere come valori tutti i numeri interi compresi tra 0 e n − 1, si deduce
che se n = 1, l = 0 e ml = 0.
10) D .La risposta D prevede l’unica combinazione possibile tra quelle proposte.La A
infatti indica il numero quantico principale n = 0, ed è impossibile poiché non esiste
il livello 0. La B indica il numero quantico magnetico ml = 4, ed è impossibile
poiché questo può assumere solo i valori interi compresi tra −l e +l, ed in questa
combinazione il numero quantico secondario l è 2. La C prevede che il numero
quantico secondario sia uguale al primario, cosa impossibile dal momento che l può
assumere solo valori interi compresi tra 0 e n − 1. La E è impossibile per lo stesso
motivo.
Il sistema periodico
degli elementi
3
“Le proprietà degli elementi si ripresentano secondo una cadenza periodica al crescere
del peso atomico” (Dimitrij I. Mendeleev, 1834-1907).

3.1 Introduzione
In questo capitolo analizzeremo il modo in cui la struttura atomica influenza le proprietà
chimiche dei vari elementi. Scopriremo che gli scienziati hanno classificato gli elementi
in base alle loro proprietà e che vi è una certa periodicità con cui queste proprietà si
ripresentano. Impareremo infine ad interpretare la tavola periodica in modo da poterla
sfruttare al meglio.

3.2 La tavola periodica


Nel 1869, all’età di soli 35 anni, il chimico russo Dimitrij I. Mendeleev (1834-1907)
pubblicò per la prima volta la Tavola periodica degli elementi. Egli fu il primo scien-
ziato a classificare gli elementi chimici ad uno ad uno in funzione delle loro carat-
teristiche note all’epoca (ovvero massa atomica, densità, punto di fusione, ordine di
valenza). Per questo motivo egli può essere considerato uno dei padri della chimica mo-
derna.
Mendeleev ordinò gli elementi secondo il peso atomico crescente, raggruppando
uno sotto l’altro tutti gli elementi che presentavano caratteristiche chimiche simili.
Notando che tra gli elementi vi era una periodicità costante, Mendeleev enunciò il
principio secondo il quale: “le proprietà degli elementi si ripresentano secondo una
cadenza periodica al crescere del peso atomico”. Non potendo conoscere la struttura
dell’atomo oggi a noi nota, né l’esistenza di alcuni elementi chimici che non erano stati
ancora scoperti, Mendeleev creò volontariamente una tavola in cui vi erano dei posti
vuoti, ipotizzando che gli elementi “mancanti” sarebbero prima o poi stati scoperti. La
sua intuizione fu confermata dai suoi successori che completarono la tavola periodica
con gli elementi mancanti. La tavola periodica moderna presenta più di 110 elementi
diversi, di cui circa 90 sono presenti in Natura, i rimanenti sono stati ottenuti in labora-
torio.
La tavola periodica ordina gli elementi secondo il numero atomico crescente e secon-
do la loro configurazione elettronica, ed è suddivisa in righe orizzontali note con il nome
di periodi, e righe verticali dette gruppi. I periodi vanno da 1 a 7, i gruppi invece sono
contrassegnati da un numero che va da 1 a 8 seguito dalla lettera A (elementi dei gruppi
cosı̀ detti principali) o dalla lettera B (elementi di transizione). Secondo la più
recente nomenclatura IUPAC i gruppi sono numerati in modo sequenziale
da 1 a 18.
798 Il sistema periodico degli elementi
Gli elementi

Figura 3.1: Tavola periodica.


Chimica 799

Tutti gli elementi di un gruppo presentano la stessa configurazione elettronica degli


elettroni di valenza. Essendo gli elettroni di valenza a determinare le proprietà chi-
miche degli elementi, si può facilmente dedurre che elementi dello stesso gruppo
presentano proprietà chimiche simili. Il numero di ogni periodo invece ci suggerisce
a quale livello energetico (n) appartengono gli elettroni di valenza.

Il numero del gruppo corrisponde al numero massimo di elettroni presenti nel guscio
di valenza.

A titolo esemplificativo, tutti gli elementi dei gruppi IA e IIA presentano rispettiva-
mente uno e due elettroni nell’orbitale più esterno, che in questo caso è sempre un
orbitale s. Per questo motivo gli elementi appartenenti ai gruppi IA e IIA sono anche
conosciuti come elementi del blocco s.
Gli elementi che vanno dal gruppo IIIA al gruppo VIIIA presentano gli elettroni di
valenza a più alta energia in orbitali di tipo p. Sono quindi conosciuti come elementi
del blocco p.
Gli elementi dei gruppi B, conosciuti come elementi di transizione, presentano
l’ultimo elettrone in orbitali di tipo d, fanno quindi parte del blocco d . È interessante
notare che lungo il sesto e settimo periodo sono inserite due serie di elementi, conosciuti
come elementi di transizione interna e caratterizzati dal riempimento degli orbitali
di tipo f (blocco f ), denominati lantanidi (o terre rare) e attinidi.

Figura 3.2: Blocchi della tavola periodica. Chimica

3.3 Proprietà periodiche


Per conoscere le proprietà chimiche dei vari elementi è fondamentale conoscere ed
analizzare la configurazione elettronica degli elettroni di valenza.

3.3.1 Raggio atomico


Come abbiamo visto nel capitolo 2, il modello atomico di Schrödinger non permette di
conoscere con certezza la posizione degli elettroni in movimento attorno al nucleo ed è
quindi difficile ottenere una stima delle “dimensioni” di un atomo. Per questo motivo
viene adottato per convenzione il raggio atomico, che corrisponde alla metà della
distanza tra i nuclei di due atomi legati tra loro. La dimensione di tale raggio è quindi
funzione del tipo di legame, del numero di legami e del tipo di elementi coinvolti.
800 Il sistema periodico degli elementi

Per questo motivo esistono più definizioni di raggio atomico:


a. Raggio covalente: corrisponde alla metà della distanza tra i nuclei di due ato-
mi di uno stesso elemento legati covalentemente mediante un legame singolo
(definizione più comune).
b. Raggio ionico: corrisponde alla metà della distanza tra i nuclei di due atomi
diversi che sono legati tra loro attraverso un legame ionico.
c. Reggio di Van der Waals: è un raggio di non legame determinato dalla distanza
tra due molecole che interagiscono attraverso forze di Van der Waals (vedi capitolo
4).
Ad eccezione delle serie di transizione, che seguono una logica a sé stante, si può
affermare che i raggi atomici diminuiscono da sinistra a destra lungo un
periodo e aumentano scendendo lungo un gruppo. Questa tendenza è in parte
giustificata dal fatto che all’aumentare della carica nucleare (da sinistra a destra) gli
elettroni risentono maggiormente dell’attrazione da parte del nucleo e ne sono attratti,
il raggio atomico quindi diminuisce. Scendendo lungo un gruppo invece si osserva un
aumento del raggio atomico dovuto:
1) all’aumentare del numero quantico principale n;
2) all’effetto schermo degli elettroni degli strati più interni.
Scendendo lungo un gruppo aumenta il numero di elettroni degli strati più interni.
Questi elettroni contribuiscono a ridurre (schermare) l’effetto attrattivo del nucleo sugli
elettroni del livello più esterno: come conseguenza si osserva un aumento del raggio
atomico.

Il raggio atomico di un anione è sempre maggiore rispetto a quello dell’atomo neutro


da cui proviene, ciò è dovuto all’aumento delle repulsioni tra gli elettroni. Il raggio
atomico di un catione è sempre minore rispetto a quello dell’atomo neutro da cui
proviene, in quanto diminuiscono le repulsioni tra gli elettroni.
Gli elementi

3.3.2 Potenziale di ionizzazione

Si definisce Energia (o potenziale) di ionizzazione (EI) l’energia minima che è neces-


sario fornire ad un atomo, che si trovi allo stato gassoso con configurazione elettronica
allo stato fondamentale, per strappargli un elettrone di valenza ed ottenere quindi un
catione. Si misura in elettronvolt (eV).

In base al numero di elettroni di valenza che vengono strappati si parla di prima ioniz-
zazione, seconda ionizzazione, terza ionizzazione e cosı̀ via. Il potenziale di ioniz-
zazione cresce al crescere del numero di elettroni sottratti all’atomo. L’energia aumenta
in modo considerevole se si vuole allontanare un elettrone del
core.
A causa delle forze attrattive sarà più semplice strappare un elettrone ad un atomo
neutro che strapparlo ad un atomo carico positivamente. Maggiore è la carica del
catione, più difficile risulta strappare i suoi elettroni.
Chimica 801

L’Energia di ionizzazione (EI) aumenta lungo il periodo all’aumentare del


numero atomico Z. Come nel caso del raggio atomico, procedendo lungo un periodo
aumenta l’effetto attrattivo del nucleo sugli elettroni ed è quindi necessaria una quantità
di energia maggiore per poterli strappare. L’EI diminuisce scendendo lungo un
gruppo. Al crescere del numero quantico principale, infatti, aumenta la distanza degli
elettroni dal nucleo e l’effetto attrattivo del nucleo sugli elettroni più esterni diminuisce.
Gli elettroni che possiedono un’energia elevata (ovvero con n elevato) sono più instabili
e quindi facilmente rimuovibili.

Per determinare il valore dell’EI, oltre all’effetto del nucleo, è necessario considerare
anche la stabilità della configurazione elettronica. Dagli esperimenti effettuati sulle
energie di ionizzazione, lo scienziato Gilbert Newton Lewis (1875-1946) enunciò un
principio conosciuto come regola dell’ottetto: gli atomi raggiungono il massimo stato
di stabilità quando presentano 8 elettroni nel livello energetico più esterno, ovvero
quando sono completi i sottostrati s e p di quel livello. Ciò significa che quando
l’orbitale s e i tre orbitali p sono interamente occupati da elettroni la configurazione
risulta estremamente stabile.
Gli elementi del gruppo VIIIA, conosciuti come gas nobili, presentano esattamente 8
elettroni nei sottostrati s e p e di conseguenza li riempiono interamente. Questa parti-
colare configurazione (ottetto) rende questi gas particolarmente stabili e chimicamente
inerti, per questa ragione sono noti anche con il nome di gas inerti o gas rari. Fa
eccezione l’elio, He, che presenta solo 2 elettroni nell’unico orbitale 1s a sua disposi-
zione.

3.3.3 Affinità elettronica

Si definisce affinità elettronica (AE) l’energia che viene sviluppata quando un atomo,
in fase gassosa e nel suo stato fondamentale, acquista un elettrone trasformandosi in
un anione. A volte viene definita anche come il potenziale di ionizzazione dell’anione.

L’affinità elettronica ha un andamento discontinuo ma generalmente au-

Chimica
menta lungo un periodo e diminuisce scendendo lungo un gruppo.

3.3.4 Elettronegatività

Si definisce elettronegatività la tendenza di un atomo ad attrarre su di sé gli elettroni


di legame. Essa viene espressa con un valore numerico calcolato su base teorica. L’e-
lettronegatività può essere espressa secondo la Scala di Mulliken o la più nota Scala
di Pauling.

Linus Pauling (1901-1994), ingegnere chimico figlio di un farmacista dell’Oregon, fu il primo


uomo a ricevere contemporaneamente due premi Nobel senza condividerli con nessun altro.
Premio Nobel per la chimica 1954 per gli studi sull’elettronegatività e Premio Nobel per la
pace 1963 per il suo impegno sul disarmo nucleare che portò alla stesura del trattato sulla
limitazione degli esperimenti nucleari a scopi bellici.
802 Il sistema periodico degli elementi

Nella tavola periodica l’elettronegatività aumenta da sinistra a destra lungo un periodo


e diminuisce scendendo lungo il gruppo. L’elemento meno elettronegativo è il cesio Cs,
quello più elettronegativo è il fluoro F. Per quanto riguarda i gas nobili, poiché questi
elementi non sono in grado di formare composti, non è possibile calcolare i loro valori
di elettronegatività che di conseguenza sono considerati nulli.

3.4 Classificazione degli elementi


Gli elementi che cedono facilmente gli elettroni, ovvero presentano una bassa energia
di ionizzazione, sono chiamati metalli; gli elementi che tendono ad acquisire gli elet-
troni, ovvero presentano elevati valori di energia di ionizzazione, affinità elettronica ed
elettronegatività, sono detti non metalli; gli elementi che presentano comportamenti
intermedi tra queste due classi sono detti metalloidi o semimetalli.
A sinistra della linea che va dal boro (B) all’astato (At) si trovano i metalli, alla
destra di tale linea si trovano i non metalli. La linea di demarcazione è costituita dai
semimetalli (B, Si, Ge, As, Sb, Te).
I metalli sono caratterizzati da elevata conducibilità termica ed elettrica; sono tutti
solidi a temperatura ambiente ad eccezione del mercurio (Hg); sono lucenti, duttili
(possono essere trafilati in fili) e malleabili (possono essere ridotti in lamine); possono
formare leghe (soluzioni di uno o più metalli in un altro metallo) e presentano elevati
punti di fusione ed alta densità. Tali caratteristiche li rendono materiali particolarmente
adatti alla produzione di utensili.
I non metalli hanno una grande varietà di proprietà. Alcuni sono solidi (iodio), altri
liquidi (bromo) altri ancora gassosi (cloro, ossigeno, azoto). Non conducono elettricità,
ad eccezione del carbonio (grafite), e sono pessimi conduttori termici.
Alcuni gruppi della tavola periodica sono conosciuti con dei nomi tradizionali tut-
tora in uso. Questi nomi sono collegati ad alcune proprietà chimiche osservate nei secoli
da scienziati ed alchimisti, ed è dunque opportuno ricordarli.

3.4.1 IA: I metalli alcalini


Presentano tutti configurazione elettronica ns1 , ovvero hanno un elettrone in più ri-
Gli elementi

spetto al gas nobile che li precede nella tavola periodica. Presentano bassi valori di
elettronegatività ed energia di ionizzazione e formano facilmente cationi monovalenti
(Na+ , K+ , Li+ ). Sono estremamente reattivi e reagiscono violentemente con l’acqua
formando idrogeno (esplodono), i loro ossidi sono generatori di alcali (formano soluzioni
basiche) e hanno punti di fusione piuttosto bassi.

3.4.2 IIA: I metalli alcalino terrosi


Presentano tutti configurazione elettronica ns2 , ovvero hanno due elettroni in più ri-
spetto al gas nobile che li precede nella tavola periodica. Sono caratterizzati da una
bassa energia di ionizzazione e formano esclusivamente cationi bivalenti (Be2+ , Mg2+ ,
Ca2+ ). In acqua sono poco solubili ma tendono comunque a formare basi, sono cioè
generatori di alcali. Sono detti “terrosi” perché gli alchimisti del periodo medioevale
osservarono che tali elementi erano inerti al fuoco. Nell’alchimia si definiscono “terre”
quei materiali che non subiscono trasformazioni. I metalli del gruppo IIA sono quindi
caratterizzati da punti di fusione più elevati rispetto a quelli dei metalli alcalini.
Chimica 803

3.4.3 Gruppo B: I metalli di transizione


I metalli di transizione appartengono al blocco d, sono tutti solidi a temperatura am-
biente (ad eccezione del mercurio), presentano alti punti di fusione e un’ottima condu-
cibilità termica ed elettrica. Alcuni, come il Ferro, sono molto abbondanti in natura e
sono impiegati in siderurgia mentre altri, come l’argento, l’oro ed il platino, sono molto
rari e particolarmente pregiati grazie alla loro bellezza e durata (sono poco reattivi).

3.4.4 VIA: I calcogeni


Presentano tutti una configurazione elettronica ns2 np4 , ovvero presentano 2 elettroni
in meno rispetto al gas nobile che segue. Sono piuttosto elettronegativi e tendono perciò
ad acquisire 2 elettroni e formare anioni del tipo S2− .

Il termine calcogeni deriva alla parola greca khalkos che anticamente significava rame, questi
elementi infatti sono particolarmente abbondanti nei minerali di rame. Altre teorie sostengono
che il nome derivi dalle parole greche khalkos, tradotto talvolta con il termine “minerale” e
-gen “formazione”; la traduzione più appropriata sarebbe quindi: “generatore di minerali”.

I calcogeni sono presenti in molti minerali come la pirite (FeS2 ), la galena (PbS) e il
cinabro (HgS). L’ultimo elemento di questo gruppo, il polonio, prende il nome dal paese
natale dei suoi scopritori, i coniugi Marie Curie (1867-1934, Premio Nobel per la fisica
1903 e Premio Nobel per la chimica 1911) e Pierre Curie (1859-1906, Premio Nobel per
la fisica 1903 assieme alla moglie). Disse Albert Einstein a proposito di Marie Curie:
“È fra tutte le persone celebri, la sola che la gloria non abbia corrotto”.

3.4.5 VIIA: Gli alogeni


Presentano tutti una configurazione elettronica ns2 np5 , ovvero presentano un elettrone
in meno rispetto al gas nobile che li segue. Essendo non metalli sono dotati di un’elevata
elettronegatività e formano facilmente anioni monovalenti (F− , Cl− , Br− ). Il termine
“alogeni” deriva dalle due parole greche hals, che significa sale, e genes, che significa
generare. Questi elementi infatti reagiscono violentemente con i metalli alcalini per
formare sali (NaCl, KCl, KBr, MgBr2 , ecc.).

Chimica
3.4.6 VIIIA: I gas nobili (o gas rari o gas inerti)
Possiedono una configurazione elettronica del tipo ns2 np6 (ad eccezione dell’He che
presenta configurazione 1s2 ). I loro elettroni occupano interamente gli orbitali dello
strato più esterno il che conferisce loro una straordinaria stabilità chimica (ottetto
completo). Sono tutti gas piuttosto rari e considerati inerti. In realtà ricerche più
recenti (1962) hanno portato alla scoperta di alcuni composti dello xeno (XeF4 ) che si
riteneva, fino ad allora, completamente inerte.

Gli elementi dei gruppi principali tendono ad assumere la configurazione elettronica


del gas nobile più vicino in modo da raggiungere l’ottetto completo.
804 Il sistema periodico degli elementi

3.5 Quesiti
1) Non è corretto dire che la tavola C l’azoto (N)
periodica:
D il fluoro (F)
A è organizzata in gruppi e periodi E il ferro (Fe)
B è detta tavola di Mendeleev dal nome 6) L’energia di prima ionizzazione di un
del chimico russo che l’ha ideata atomo corrisponde all’energia necessa-
C dispone gli elementi in 7 colonne e 18 ria:
righe A perché l’atomo acquisti un elettrone e
D organizza gli elementi e rende evidente diventi uno ione negativo
che le loro proprietà variano periodica- B affinché un atomo ceda un protone e
mente diventi uno ione negativo
E dispone gli elementi a seconda del loro C affinché un atomo perda un elettrone e
numero atomico diventi uno ione positivo
D per ionizzare un elemento affinché
2) I gruppi della tavola periodica: diventi uno ione positivo o negativo
A sono le righe orizzontali E per acquistare o perdere un elettrone nel
processo di ionizzazione
B sono le colonne verticali
7) Fattori che influenzano il raggio atomico
C raggruppano elementi con diverse con- sono:
figurazioni elettroniche nello strato più
esterno A il numero quantico secondario l del livel-
lo più esterno e gli elettroni interni che
D raggruppano elementi con gli stessi nu-
schermano la carica positiva del nucleo
meri quantici principali
B il numero quantico principale n del livel-
E sono 8 lo più esterno e gli elettroni interni che
schermano la carica positiva del nucleo
3) Il primo gruppo della tavola periodica
comprende: C il numero quantico principale n del livel-
lo più esterno e gli elettroni esterni che
A gli alogeni schermano la carica positiva del nucleo
D il numero quantico secondario l del livel-
B i metalli alcalino-terrosi
lo più esterno e gli elettroni esterni che
C elementi molto elettronegativi schermano la carica positiva del nucleo
D il calcio E solo il numero quantico principale n del
Gli elementi

livello più esterno


E il sodio
8) Se il Fluoro (F) acquista un elettrone:
4) Gli alogeni non:
A diventa un catione
A sono il settimo gruppo della tavola B diventa molto stabile perché raggiunge
periodica la configurazione elettronica dell’atomo
B tendono a formare ioni con una carica precedente nella tavola periodica
negativa C diventa molto stabile perché raggiunge
la configurazione elettronica dell’atomo
C comprendono il fosforo
successivo nella tavola periodica
D comprendono il cloro D acquista energia
E hanno configurazione elettronica ester- E acquista o cede energia a seconda dei
na identica tra loro casi

5) Tra i seguenti elementi ha la più forte 9) Considerando l’elemento A con confi-


elettronegatività: gurazione 1s2 2s1 e l’elemento B con
configurazione 1s2 2s2 2p6 3s1 non è vero
A il calcio (Ca) che:
B il potassio (K) A A e B appartengono allo stesso gruppo
Chimica 805

B B ha raggio atomico superiore di A A segue la progressione Li > Be > B >


C B ha elettronegatività inferiore di A C>N

D A e B hanno la stessa configurazione B segue la progressione Li < Be < B <


elettronica esterna C<N
E hanno entrambi affinità elettronica
elevata C è lo stesso per tutti gli elementi poiché
appartengono allo stesso periodo
10) Sapendo che gli elementi litio, berillio,
boro, carbonio e azoto si trovano tut- D varia tra tutti gli elementi ma non segue
ti nel secondo periodo e sono elencati un andamento preciso
con numero atomico crescente, si può
affermare che il raggio atomico: E è maggiore per l’atomo di boro

3.6 Soluzioni commentate ai quesiti


1) C . La tavola periodica è costituita da 7 periodi (righe orizzontali) e 18 gruppi
(colonne verticali).

2) B . I gruppi della tavola periodica corrispondono alle sue colonne verticali e han-
no la caratteristica di raggruppare elementi con la stessa identica configurazione
elettronica nello strato più esterno, il che conferisce a tutti gli elementi all’interno
del gruppo delle caratteristiche di reattività simili. Ogni periodo invece comprende
elementi che hanno lo stesso numero quantico principale n.

3) E . Il primo gruppo della tavola periodica è detto dei metalli alcalini. Tra gli elementi
in esso contenuti c’è il sodio. La caratteristica di questo gruppo è di raggruppare
elementi scarsamente elettronegativi e che tendono a formare ioni con una carica
positiva (come Na+ ).

4) C . Il fosforo (P) non è un elemento compreso nel gruppo degli alogeni (VIIA).
Esso infatti appartiene al quinto gruppo (VA) degli elementi rappresentativi (se si
considera invece la più recente nomenclatura IUPAC che nomina i gruppi da 1 a 18
il suo è il gruppo 15).

5) D . Il fluoro è l’elemento più elettronegativo della tavola periodica. In ogni caso biso-

Chimica
gna ricordare che tendenzialmente gli alogeni sono gli elementi più elettronegativi,
mentre i metalli alcalini i meno elettronegativi.

6) C . L’energia di prima ionizzazione si riferisce a l’energia necessaria per strappare


un elettrone all’atomo neutro. È possibile sapere anche il valore che corrisponde
all’energia necessaria a strappare un ulteriore elettrone all’anione generato dalla
prima ionizzazione (in questo caso si parla di energia di seconda ionizzazione).

7) B . Al crescere del numero quantico n del livello più esterno, aumentano i livelli
elettronici occupati, quindi aumenta il periodo ed anche il raggio atomico. Anche
l’effetto di parziale schermatura da parte degli elettroni interni influenza il rag-
gio atomico aumentandone il valore: lungo un gruppo dall’alto verso il basso, pur
aumentando i protoni nel nucleo, la carica positiva nucleare viene parzialmente
schermata dagli elettroni degli strati più interni, pertanto gli elettroni del livello
più esterno risentono meno dell’attrazione nucleare ed il raggio atomico tende ad
aumentare.
806 Il sistema periodico degli elementi

8) C . Il fluoro è un alogeno, cioè appartiene al gruppo appena precedente il gruppo


dei gas nobili. Questo elemento ha un’altissima affinità elettronica, cioè cede molta
energia acquistando un elettrone per trasformarsi in un anione. Ciò è dovuto al
fatto che con un elettrone in più ottiene grande stabilità perché raggiunge la stessa
configurazione elettronica del gas nobile che lo segue nella tavola periodica (il neon
Ne).
9) E . Date le loro configurazioni elettroniche, A e B appartengono entrambi al grup-
po dei metalli alcalini. Questi elementi sono caratterizzati dall’avere un’affinità
elettronica bassissima.
10) A . Nell’ambito di uno stesso periodo spostandoci da sinistra verso destra (quindi
aumentando il numero atomico) si ha l’aumento della carica positiva del nucleo,
pertanto gli elettroni risultano sempre più attratti dalle cariche positive nucleari.
Come conseguenza si osserva una riduzione del raggio atomico.
Gli elementi
Il legame chimico
4
“Ci sono legami che sono semplicemente destinati ad esistere”.

4.1 Introduzione
In questo capitolo analizzeremo come gli atomi dei vari elementi si uniscono tra lo-
ro attraverso i legami chimici per formare i composti. Lo studio del legame chimico
consentirà, quindi, di comprendere la struttura e le proprietà dei composti.
Gli atomi, per loro natura, hanno una forte tendenza ad unirsi tra loro attraverso
la formazione di legami chimici. Con l’eccezione dei gas nobili, che esistono esclusiva-
mente in forma monoatomica, gli altri elementi tendono ad unirsi creando composti
di vario tipo. Singoli atomi di uno stesso elemento possono reagire tra loro formando
una sostanza elementare oppure unirsi ad atomi di altri elementi per formare com-
posti.
Quando atomi di elementi diversi si uniscono possono creare due tipi di composti: i
composti molecolari e i composti ionici. I primi sono formati da molecole distin-
te, mentre i secondi costituiscono grossi aggregati disposti secondo reticoli cristallini
tridimensionali.
Il fatto che si formino composti ionici o molecolari dipende dal tipo di legame che gli
atomi instaurano tra loro. Esistono quattro tipi principali di legame: legame ionico,
legame covalente, legame dativo e legame metallico.

I legami chimici possono avvenire sia tra atomi (legami intramolecolari) che tra
molecole (legami intermolecolari). Nel primo caso sono gli atomi di uno stesso ele-
mento, o di elementi diversi, a legarsi tra loro per formare composti molecolari o ionici;
nel secondo caso sono le molecole stesse ad interagire tra loro definendo lo stato di
aggregazione della materia (solido, liquido o aeriforme).

4.2 Il legame ionico

Si definisce legame ionico un legame che intercorre tra due atomi che presentano
un’elevata differenza di elettronegatività, per convenzione superiore a 1,9.

Il legame ha origine dalle forze di attrazione elettrostatiche che avvengono tra cariche
di segno opposto (attrazione coulombiana). Comunemente si realizza in presenza
di atomi con forte tendenza a cedere elettroni (bassa energia di ionizzazione) ed atomi
con forte tendenza ad acquisire elettroni (alta affinità elettronica) (Figura 4.1). Per questi
808 Il legame chimico

motivi il legame ionico si instaura solitamen-


te tra un metallo (che cede gli elettroni di va-
lenza) e un non metallo (che li acquista per
raggiungere l’ottetto). Il sale che viene a for- Figura 4.1: Formazione del legame ionico tra il
sodio (Na) ed il cloro (Cl). Il sodio cede il suo
marsi deve essere elettricamente neutro, ov- elettrone di valenza al cloro e si forma il legame
vero il numero di cariche positive e negative ionico NaCl. Il sodio raggiunge la configurazione
deve bilanciarsi (Na+ Cl− , Ca2+ SO2− 4 ). elettronica del neon, il cloro quella dell’argon.

La formula ionica NaCl rappresenta un rapporto tra gli anioni (Cl− ) e i cationi
(Na+ ), che si trovano organizzati in una struttura cristallina in cui tutti gli ioni
Na+ interagiscono contemporaneamente con tutti gli ioni Cl− . La formula quindi NON
indica la presenza di una molecola o di una coppia ionica singola ma l’esistenza di un
aggregato di ioni Na+ e ioni Cl− che si ripetono “all’infinito” nello spazio.

Per visualizzare questo tipo di strutture è sufficiente pensare ad un cristallo di sale da


cucina costituito da milioni e milioni di ioni Na+ e ioni Cl− legati tra loro (Figura 4.2).
I solidi ionici possono raggiungere anche dimensioni considerevoli.
Il solido cristallino viene a formarsi
quando le forze attrattive tra ioni di
carica opposta hanno valore massimo
e le forze repulsive tra gli ioni di carica
uguale hanno valore minimo; l’energia
che stabilizza queste strutture prende
il nome di energia reticolare. Tale
energia aumenta all’aumentare della
carica espressa dagli ioni e diminuisce
all’aumentare del raggio ionico. È in-
fatti facilmente intuibile che una cari-
ca 2+ interagisce con una carica 2− in
modo più forte rispetto all’interazione Figura 4.2: Struttura cristallina del cloruro di sodio
che si instaura tra una carica 1+ e una NaCl.
carica 1−. Parallelamente, maggiore è
I legami

il raggio ionico degli atomi coinvolti, maggiore è la distanza tra i loro nuclei e come
conseguenza le interazioni elettrostatiche diminuiscono.
I composti ionici conducono corrente allo stato fuso ed in soluzione e sono general-
mente: solidi, cristallini, caratterizzati da alti punti di fusione (tanto maggiori
quanto maggiore è l’energia reticolare), e poco resilienti (fragili se sottoposti ad urti).

4.3 Il legame covalente

Si definisce legame covalente il legame che si instaura tra due atomi che mettono
in compartecipazione una coppia di elettroni al fine di ottenere l’ottetto elettronico
completo.

In questo caso le forze attrattive che inducono la formazione del legame tra gli atomi
sono generate dalla condivisione degli elettroni di valenza fra due o più atomi apparte-
Chimica 809

nenti allo stesso elemento o a elementi diversi. Se il legame si forma tra atomi con una
differenza di elettronegatività compresa tra 0,4 e 1,9, si parla di legame covalente
polare, se invece si forma tra atomi con una differenza di elettronegatività inferiore a
0,4 si parla di legame covalente apolare.

Il legame covalente può anche essere classificato come omopolare (o puro) se si forma
tra atomi appartenenti allo stesso elemento (H2 ) o eteropolare se si forma tra atomi
appartenenti ad elementi diversi (HCl).

Vari modelli si sono susseguiti negli anni per descrivere in modo sempre più accurato
il legame covalente. Nonostante i modelli descrittivi più recenti (teoria dell’orbi-
tale molecolare) presentino un’accuratezza di gran lunga superiore rispetto al mo-
dello tradizionale (teoria di Lewis o teoria del legame di valenza), quest’ulti-
mo viene comunque impiegato nella chimica di tutti i giorni per la sua semplicità ed
immediatezza.

4.4 Le strutture di Lewis e la teoria del legame di valenza (VB)


La prima interpretazione del legame covalente fu suggerita da Gilbert Newton Lewis
nel 1916. Il suo modello è tutt’oggi quello più impiegato dai chimici nella risoluzione dei
problemi di tutti i giorni. Egli intuı̀ che quando due atomi mettono in compartecipazione
una coppia di elettroni di valenza al fine di ottenere l’ottetto completo, tra di essi si
forma un legame chimico. La coppia di elettroni condivisa prende il nome di doppietto
elettronico di legame.

La regola dell’ottetto è rigorosamente rispettata solo dagli atomi dei gruppi principali.
Oltre il terzo periodo infatti, grazie alla presenza di orbitali “d” vuoti o semipieni, gli
atomi possono presentare nel loro guscio di valenza un numero di elettroni che può
arrivare fino a 12 (ottetto espanso).

Il completamento dell’ottetto degli elettroni di valenza conferisce alle molecole

Chimica
un’elevata stabilità e consente a queste ultime di raggiungere uno stato a minima
energia. In accordo con il principio fisico di minima energia, secondo il quale ogni
cosa nell’Universo tende al minimo di energia potenziale, la formazione di legami di
questo tipo è favorita ed è accompagnata da una liberazione di energia nell’ambiente,
solitamente sotto forma di calore. L’energia liberata nella formazione del legame prende
il nome di energia di legame (D) ed è pari alla differenza tra l’energia degli atomi
allo stato iniziale (ovvero prima di formare il legame), e quella degli atomi nello stato
finale, ovvero dopo la formazione del legame.

Si definisce energia di legame (D) la quantità di energia necessaria per rompere i


legami chimici presenti in una mole di sostanza allo stato gassoso. Essa è pari all’energia
liberata durante la formazione del legame.

La stabilità di un legame, ovvero la sua forza, è direttamente proporzionale all’energia


di legame.
810 Il legame chimico

Il processo di rottura dei legami chimici in una molecola richiede energia ed è pertanto
un processo endotermico (assorbe calore). Parallelamente, la formazione di un legame
chimico emette energia ed è sempre un processo esotermico (emette calore).
Secondo l’approccio di Lewis, quando due atomi presentano un numero di elettroni di
valenza inferiore ad 8 (ciò accade per tutti gli elementi ad eccezione dei gas nobili)
essi tendono ad unirsi in modo da completare l’ottetto. Il fenomeno è rappresentato
attraverso le strutture di Lewis. Ad ogni atomo coinvolto nel legame si assegnano
tutti gli elettroni di valenza a sua disposizione, indicandoli con una serie di puntini
attorno al simbolo dell’elemento; si uniscono quindi gli atomi in modo da completare
l’ottetto per tutti gli atomi a disposizione (Tabella 4.1).
Gli elettroni coinvolti direttamente nel legame costituiscono una coppia di le-
game (o doppietto di legame o doppietto condiviso), gli elettroni NON coin-
volti direttamente nel legame prendono il nome di coppia solitaria (o doppietto
solitario).
Configurazione Simbolo di Lewis Valenza
elettronica

C [He]2s2 2p2 4 elettroni di valenza: 4 legami

N [He]2s2 2p3 5 elettroni di valenza: 3 legami e 1 coppia


solitaria

O [He]2s2 2p4 6 elettroni di valenza: 2 legami e 2 coppie


solitarie

F [He]2s2 2p5 7 elettroni di valenza: 1 legame e 3 coppie


solitarie

Ne [He]2s2 2p6 8 elettroni di valenza, ottetto completo: 4


coppie solitarie
I legami

Tabella 4.1: Configurazione elettronica, simbolo di Lewis e valenza corrispondente per gli atomi di C, N,
O, F e Ne.

Al fine di giungere al completamento dell’ot-


tetto elettronico, gli atomi possono mettere
in compartecipazione più coppie di elettroni,
per ogni coppia impiegata si creerà un lega-
me (Figura 4.3). I legami covalenti possono
quindi essere:
semplici quando è messa in com-
partecipazione una sola coppia di
elettroni;
doppi quando sono messe in compar-
tecipazione 2 coppie di elettroni; Figura 4.3: Rappresentazione della formazione
di legami secondo la notazione di Lewis.
tripli quando sono messe in compartecipazione 3 coppie di elettroni.
Chimica 811

Maggiore è il numero di coppie di legame condivise, ovvero di doppietti di legame


condivisi, maggiore è la forza che tiene uniti gli atomi coinvolti: un legame triplo
richiede molta più energia per essere rotto rispetto ad un legame doppio o singolo.

Figura 4.4: Rappresentazione delle unità di legame di Lewis per i più comuni elementi. Le linee (−)
rappresentano gli elettroni di legame, i puntini rappresentano gli elettroni solitari.

4.4.1 Costruzione delle formule di Lewis


Il metodo più semplice ed immediato per determinare la struttura approssimativa di
una molecola, consiste nella determinazione della formula di Lewis e la successiva valu-
tazione della disposizione degli orbitali atomici, tenendo in considerazione la presenza
di eventuali coppie di elettroni di non legame (modello VSEPR “Valence Shell Electron
Pair Repulsion”).
Per costruire la formula di Lewis di una molecola è necessario per prima cosa de-
terminare il numero totale degli elettroni di valenza disponibili sommando il numero
di elettroni di ogni singolo atomo che la costituisce. Si pone quindi l’atomo meno
elettronegativo al centro e lo si connette, mediante legami semplici, agli altri atomi
periferici.

Chimica
Esistono alcuni casi in cui l’atomo centrale non è quello meno elettronegativo.

Le coppie elettroniche rimanenti sono attribuite ai vari atomi terminali in modo da


rispettare la regola dell’ottetto. Se, una volta terminata tale assegnazione, sono ancora
presenti atomi che non hanno l’ottetto completo, si impiegano le coppie solitarie di non
legame per formare legami doppi o tripli in modo da far rispettare la regola dell’ottetto
a tutti gli atomi della molecola.

Costruire la formula di Lewis per l’aldeide formica CH2 O.


Si calcola inizialmente il numero totale di elettroni di valenza disponibili:

ne− = 4 + 1 × 2 + 6 = 12

Nella formaldeide, CH2 O, sono disponibili 12 elettroni totali, ovvero 6 coppie di elettroni
(coppie di legame + coppie solitarie).
812 Il legame chimico

a. Si determina la posizione spaziale degli atomi ponendo al centro l’atomo meno


elettronegativo, nel nostro caso il C (Figura 4.5a). Si connette l’atomo centrale
agli atomi periferici (O ed H) mediante legami singoli. Ogni legame richiede
la compartecipazione di 2 elettroni, ovvero richiede l’impiego di una coppia di
legame. Vengono globalmente utilizzate tre coppie elettroniche di legame.
b. Si posizionano le altre coppie elettroniche sugli atomi terminali in modo che tutti
gli atomi rispettino la regola dell’ottetto (Figura 4.5b). Nel nostro caso tutte e
tre le coppie solitarie rimanenti vengono attribuite all’ossigeno.
c. Se qualche atomo presenta l’ottetto incompleto si spostano le coppie elettroniche
solitarie in modo da formare legami doppi o tripli tali da garantire che anche
gli altri atomi rispettino la regola dell’ottetto. Nel nostro caso (Figura 4.5c) una
coppia elettronica solitaria dell’ossigeno viene impiegata per formare un doppio
legame con il carbonio.

Figura 4.5: Costruzione della formula di Lewis per l’aldeide formica.

d. Si verifica che tutti gli atomi presenti rispettino la regola dell’ottetto.

Se stiamo valutando la struttura di uno ione è fondamentale tenere in considerazione


anche la carica globale della molecola. Ciò significa che: in presenza di un anione, nel
calcolo del numero totale di elettroni disponibili è necessario sommare anche la carica
dello ione stesso, mentre in presenza di un catione è necessario sottrarla.

4.4.2 Teoria del legame di valenza (VB)


La teoria del legame di valenza (Valence Bond, VB) è sostanzialmente un’esten-
sione della teoria di Lewis. Essa, infatti, spiega esattamente lo stesso fenomeno ma lo
descrive utilizzando la teoria degli orbitali che Lewis non poteva conoscere.
I legami

Affinché un legame si formi è necessario che gli atomi coinvolti si avvicinino in modo
da sovrapporre i propri orbitali semipieni cosı̀ da riempirli. La forza del legame che si
crea è tanto maggiore quanto maggiore è la sovrapposizione degli orbitali, ovvero è
proporzionale a quanto gli atomi coinvolti nel legame sono “disposti a condividere gli
elettroni”. Allo stesso tempo, se due atomi si avvicinano troppo iniziano a svilupparsi
delle forze repulsive tra i loro nuclei carichi positivamente e tra le nuvole elettroniche
cariche negativamente.

Due atomi raggiungono il massimo di stabilità, ovvero il minimo di energia potenziale,


quando la distanza che li separa è tale da massimizzare la sovrapposizione tra gli
orbitali elettronici e minimizzare le forze repulsive tra i due nuclei e tra gli elettroni
(Figura 4.6). Questa distanza corrisponde alla lunghezza del legame. La lunghezza
di legame è quindi direttamente proporzionale al raggio degli atomi che partecipano
alla formazione del legame e inversamente proporzionale alla forza del legame che si
instaura.
Chimica 813

Figura 4.6: Andamento dell’energia potenziale in funzione della distanza tra i nuclei di due atomi. L’at-
trazione è massima in condizioni di minima energia, ovvero quando si massimizza la sovrapposizione degli
orbitali minimizzando allo stesso tempo la repulsione tra i nuclei.

Alcuni esempi chiariranno il meccanismo.


Prendiamo il caso del fluoro (F2 ). Entrambi gli atomi coinvolti nel legame presentano
configurazione 1s2 2s2 2p5 . Il livello contenente gli elettroni di valenza (2s2 2p5 ) presenta
7 elettroni e non rispetta quindi la regola dell’ottetto. I due atomi, di conseguenza, al
fine di raggiungere l’ottetto elettronico tendono ad avvicinarsi mettendo a disposizione
un orbitale atomico 2p semipieno (ovvero contenente un solo elettrone) a testa. La so-
vrapposizione degli orbitali avviene nello spazio tra i due nuclei e coincide con la zona
dove è massima la probabilità di trovare il doppietto elettronico condiviso. Il legame, di
tipo covalente semplice omopolare, è quindi formato.
Prendiamo il caso dell’ossigeno (O2 ). In questo caso la configurazione elettronica dei due
atomi è 1s2 2s2 2p4 . Il livello più esterno (2s2 2p4 ) presenta solamente 6 elettroni e per
rispettare la regola dell’ottetto è necessario che gli atomi di ossigeno mettano in condivi-
sione due coppie di elettroni. La formazione del legame covalente, in questo caso doppio,
avviene con la sovrapposizione di 4 orbitali 2p semipieni, 2 per ciascun atomo di ossigeno.
Il legame covalente può formarsi anche tra orbitali di tipo diverso, ad esempio tra l’orbi-
tale s di un atomo e l’orbitale p di un altro atomo: è questo il caso dell’acido cloridrico
(HCl). L’idrogeno (H) presenta configurazione elettronica 1s1 , mentre il cloro (Cl) pre-

Chimica
senta configurazione 1s2 2s2 2p6 3s2 3p5 . Ricordiamo che l’idrogeno raggiunge la massima
stabilità con due soli elettroni nel guscio più esterno, essendo H dotato di un solo orbi-
tale di tipo s. Il cloro, invece, presenta nel livello più esterno (3s2 3p5 ) 7 elettroni. Nella
formazione del legame tra H e Cl i due atomi mettono in condivisione un elettrone prove-
niente dall’orbitale 1s (H) e un elettrone proveniente dall’orbitale semipieno 3p (Cl). La
sovrapposizione tra l’orbitale 1s dell’idrogeno e l’orbitale 3p del cloro forma un legame
covalente eteropolare semplice.

Nella teoria del legame di valenza, si considera che solamente gli elettroni di legame
partecipino alla formazione dello stesso, mentre le coppie elettroniche di non legame
vengono interamente attribuite ai rispettivi atomi. Questa convenzione è un’approssi-
mazione in quanto, durante la formazione del legame, anche gli elettroni di non legame
risentono della nuova condizione elettronica. A seguito della formazione del legame si
osserva una distorsione della distribuzione di tutti gli orbitali presenti nella molecola.
814 Il legame chimico

Se la sovrapposizione degli orbitali (Figura 4.7) avviene lungo l’asse di legame si par-
la di legame covalente σ, dotato di simmetria cilindrica lungo l’asse internucleare
(ovvero l’asse congiungente i due nuclei). Se la sovrapposizione degli orbitali avviene
lateralmente si realizza invece un legame covalente π. Il primo legame che si for-
ma tra due atomi è di tipo σ. Nel caso in cui siano presenti legami doppi o tripli,
il secondo ed il terzo legame che si formano sono di tipo π. La sovrapposizione de-
gli orbitali è massima nei legami σ ed è leggermente inferiore nei legami π, il che
suggerisce che l’energia di un legame σ è sempre maggiore rispetto a quella di un
legame π.

Figura 4.7: Sovrapposizione di orbitali “s” e “p” per la formazione di legami sigma (σ) e di legami (π).

Per lo stesso motivo l’energia dei legami doppi e tripli non è esattamente il doppio ed
il triplo rispetto a quella di un legame singolo ma è leggermente inferiore.
I legami

4.5 Il legame dativo o di coordinazione


Si tratta di un tipo particolare di legame covalente in cui gli elettroni che partecipano
al legame provengono entrambi dallo stesso atomo anziché provenire uno per ogni
atomo coinvolto nel legame. Il legame di questo tipo è possibile solo se si verifica la
contemporanea presenza di un atomo donatore, ovvero un atomo dotato di almeno
un doppietto elettronico non condiviso, e di un atomo accettore che presenta almeno
un orbitale vuoto. L’atomo donatore mette in compartecipazione (dona) entrambi gli
elettroni necessari alla formazione del legame. Il legame dativo viene indicato con una
freccia singola diretta dall’atomo donatore verso l’atomo accettore (Figura 4.8).
L’uso del termine “legame dativo” è sempre meno in voga in quanto ritenuto un
caso particolare di legame covalente. È bene chiarire che da un punto di vista struttu-
rale NON è possibile distinguere un legame dativo da un legame covalente. Entrambi
presentano la stessa energia, la stessa lunghezza e gli stessi angoli di legame.
Chimica 815

Figura 4.8: Formazione di un legame dativo tra ammoniaca NH3 e uno ione H+ per formare lo ione
ammonio NH+ 4 . L’ammoniaca dona entrambi gli elettroni necessari a formare il legame.

4.6 Ibridazione degli orbitali


Gli atomi di alcuni elementi sono in grado di formare un numero di legami superiore
rispetto al numero di elettroni di valenza non condivisi che possiedono. Fu per primo
il fisico Linus Pauling a proporre un modello per spiegare tale comportamento. Egli
ipotizzò che, quando due o più orbitali atomici si combinano per formare un legame,
essi generano come prodotto un egual numero di orbitali ibridi.

Definiamo orbitali ibridi gli orbitali degeneri (ovvero con lo stesso valore di energia)
che si formano per combinazione di due o più orbitali atomici a diversa energia.

Il numero di orbitali ibridi che si ottengono a seguito dell’ibridazione è pari al numero


di orbitali atomici che partecipano all’ibridazione stessa. Gli orbitali ibridi hanno un
carattere direzionale, ovvero sono orientati dall’atomo centrale verso gli atomi peri-
ferici e presentano un’estensione maggiore nella zona internucleare. I legami formati
dal processo di ibridazione sono più stabili rispetto ai legami formati tra orbitali non
ibridati.

L’esempio più classico è quello del carbonio. La sua configurazione elettronica nel-
lo stato fondamentale (1s2 2s2 2p2 ) contiene solamente due elettroni spaiati in due or-
bitali p: ci si aspetterebbe dunque che il carbonio sia in grado di generare al mas-
simo due legami covalenti (mediante gli orbitali px e py semipieni) ed eventual-

Chimica
mente un legame dativo (orbitale pz vuoto). Sappiamo invece che questo elemen-
to forma 4 legami covalenti che si dispongono secondo un tetraedro con angoli tut-
ti uguali di 109,5◦ . Il fenomeno è spiegabile solo se si accetta l’esistenza di orbitali
ibridi.
La formazione di 4 legami è garantita dalla promozione di un elettrone che passa dal-
l’orbitale 2s all’orbitale 2pz vuoto. A seguito della promozione non ci troviamo più nello
stato fondamentale a minima energia (1s2 2s2 2p2 ) ma in uno stato eccitato (1s2 2s1 2p3 ).
Tuttavia l’energia richiesta per effettuare la promozione dell’elettrone viene ampiamente
ricompensata dalla formazione di 4 legami chimici (si ricordi che la formazione di un
legame chimico procede attraverso liberazione di energia sotto forma di calore).
Carbonio (Z = 6)
Configurazione dello stato fondamentale (1s2 2s2 2p2 )
816 Il legame chimico

La promozione di un elettrone 2s nell’orbitale vuoto 3pz permette di giungere allo stato


eccitato con configurazione (1s2 2s1 2p3 ):

La configurazione eccitata (1s2 2s1 2p3 ) suggerisce il motivo per cui è possibile forma-
re quattro legami: la configurazione eccitata presenta infatti quattro orbitali semipieni,
l’orbitale 2s e i tre orbitali 2p (px , py , pz ), che possono combinarsi con orbitali semipie-
ni di altri atomi, ad esempio H, per formare quattro legami (metano CH4 ). Non siamo
però ancora in grado di spiegare perché la geometria di queste molecole è tetraedrica. La
sovrapposizione degli orbitali 1s dell’H con i 3 orbitali 2p del carbonio (disposti ortogo-
nalmente tra loro) formerebbe tre legami σ disposti con angoli di 90◦ . Un ulteriore legame
σ si genererebbe dalla sovrapposizione dell’orbitale 1s dell’H con l’orbitale 2s del carbo-
nio e si disporrebbe con una orientazione spaziale qualsiasi (ricordiamo che l’orbitale s è
sferico).
La teoria di ibridazione degli orbitali fornisce una spiegazione al quesito. Quando nel
carbonio l’orbitale 2s si combina con i tre orbitali 2p, si formano 4 orbitali ibridi sp3
semipieni. In base al principio di minima energia, gli orbitali ibridi si orientano in modo
da ottimizzare la disposizione spaziale delle cariche, ovvero di minimizzare le repulsioni
tra gli elettroni. Posto al centro l’atomo di carbonio, la configurazione geometrica di
minima energia corrisponde ad un tetraedro regolare con angoli di 109,5◦ (Figura 4.9).
I legami

Figura 4.9: Ibridazione sp3 a partire da 1 orbitale s e 3 orbitali p. Gli orbitali ibridi assumono una
conformazione spaziale tetraedrica in modo da minimizzare le repulsioni tra gli elettroni.
Chimica 817

La sovrapposizione dei quattro orbitali ibridi sp3 con gli orbitali 1s di quattro ato-
mi di idrogeno porta alla formazione di una molecola di metano (CH4 ) con struttura
tetraedrica.

Figura 4.10: Rappresentazione della configurazione elettronica del carbonio nello stato fonda-
mentale, nello stato eccitato e nello stato ibridato sp3 . Si noti che i 4 orbitali ibridi sp3 sono
degeneri, ovvero hanno lo stesso valore di energia.

Nel caso degli orbitali ibridi l’esponente (sp3 , sp2 ) NON indica il numero di elettroni
presenti nell’orbitale ma indica il numero di orbitali dello stesso tipo che partecipano
all’ibridazione.
Lo stesso tipo di ibridazione, denominata sp 3 , riguarda anche molti altri elementi tra
cui l’azoto e l’ossigeno. In questo caso però, non essendoci orbitali vuoti disponibili,
l’ibridazione degli orbitali non richiede la promozione di un elettrone in un orbitale ad
energia maggiore, come invece accade nel carbonio. Ciò che si osserva invece è, nel caso
dell’azoto, l’ibridazione di un orbitale 2s pieno con i 3 orbitali 2p semipieni per dar
luogo a 4 orbitali sp3 . I quattro orbitali sp3 cosı̀ formati possono generare fino ad un
massimo di 3 legami in quanto un orbitale sp3 è già impegnato ad ospitare una coppia
elettronica solitaria.

Azoto (Z = 7)

Configurazione dello stato fondamentale (1s2 2s2 2p3 ):

Configurazione ibridizzata sp3 :

Nel caso dell’ossigeno si osserva nuovamente l’ibridazione di un orbitale 2s pieno con i


3 orbitali 2p, di cui uno pieno e due semipieni. Da questa ibridazione si genereranno 4

Chimica
orbitali ibridi sp3 che possono formare fino ad un massimo di 2 legami. Due dei quattro
orbitali sp3 , infatti, sono già impegnati ad ospitare due coppie elettroniche solitarie.
Ossigeno (Z = 8)

Configurazione dello stato fondamentale (1s2 2s2 2p4 ):

Configurazione ibridizzata sp3 :

La presenza di coppie solitarie influisce sulla geometria della molecola: la geometria


degli orbitali sp3 è sempre tetraedrica ma, al crescere del numero di coppie elettroniche
solitarie, diminuiscono gli angoli di legame in modo da minimizzare le forze repulsive
tra gli elettroni. Di conseguenza nel caso del metano (CH4 ) gli angoli di legame sono
di 109,5◦ , nel caso dell’ammoniaca (NH3 ) gli angoli sono di circa 108◦ , mentre per
l’acqua (H2 O) sono di 104,5◦ .
818 Il legame chimico

È possibile che l’orbitale s si combini solamente con 1 o 2 orbitali di tipo p: si parla in


questi casi di ibridazione sp e sp 2 . L’ibridazione sp presenta una geometria lineare
con i due orbitali degeneri orientati a 180◦ ; l’ibridazione sp2 presenta una geometria
triangolare planare con angoli di 120◦ . A partire dalla configurazione elettronica degli
atomi che costituiscono una molecola è quindi possibile determinare la sua forma.

L’ibridazione sp è presente, ad esempio, nella molecola BeF2 , dove i due legami sono
generati dalla sovrapposizione di due orbitali sp del berillio con gli orbitali 2p del fluoro.
Si formano quindi due legami di tipo σ con geometria cilindrica attorno all’asse internu-
cleare. Berillio (Z = 4)
Configurazione dello stato fondamentale (1s2 2s2 ):

Ibridazione sp
I legami

Figura 4.11: Ibridazione sp a partire da 1 orbitale s e 1 orbitale p. Gli orbitali ibridi assumono una
conformazione spaziale lineare con angolo di 180◦ .
Chimica 819

Figura 4.12: Ibridazione sp2 a partire da 1 orbitale s e 2 orbitali p. Gli orbitali ibridi assumono una
conformazione spaziale triangolare con angoli di 120◦ .

L’ibridazione sp2 è presente, ad esempio, nella molecola BF3 , dove il boro genera tre
orbitali sp2 attraverso la promozione di un suo elettrone che passa dall’orbitale 2s ad

Chimica
un orbitale 2p. Nel passaggio dallo stato fondamentale (1s2 2s2 2p1 ) allo stato eccitato
(1s2 2s1 2p2 ), e successiva ibridazione, il boro rende disponibili tre orbitali semipieni sp2
che possono sovrapporsi ad altrettanti orbitali 2p semipieni di tre atomi di fluoro per
formare la molecola BF3 . La struttura del composto sarà di tipo triangolare planare,
con angoli di legame di 120◦ . Rimane nel boro un orbitale 2p vuoto che può fungere da
accettore di coppie elettroniche.
Boro (Z = 5)
Configurazione dello stato fondamentale (1s2 2s2 2p1 ):

Configurazione dello stato eccitato (1s2 2s1 2p2 ) :

Ibridazione sp2 :
820 Il legame chimico

Il boro è un elemento che non rispetta la regola dell’ottetto ed è stabile con sei elettroni
di valenza.

Esistono anche ibridazioni che avvengono tra orbitali s, p e d. In particolare l’ibridazione


sp3 d genera una geometria bipiramidale triangolare (es. PF5 ), l’ibridazione sp3 d2 genera una
geometria ottaedrica (bipiramidale quadrata) (es. SF6 ).

4.6.1 Carica Formale

Si definisce carica formale la carica che un atomo avrebbe se in una molecola tutti i
suoi legami fossero considerati completamente covalenti puri.

La carica formale di un atomo in una molecola si calcola sottraendo al numero degli


elettroni di valenza disponibili (ovvero al numero del gruppo a cui l’atomo appartiene)
il numero di legami che esso forma ed il numero di elettroni solitari ad esso attribuiti
mediante la costruzione della struttura di Lewis.

Carica Formale = e− valenza (n. gruppo) − n. legami − n. e− solitari.

Determinare la carica formale degli atomi presenti nell’acido


cianidrico HCN.
Si determina inizialmente la struttura di Lewis (Figura 4.13). Figura 4.13: Strut-
Si procede quindi con la valutazione della carica formale per tura di Lewis per
ciascun atomo della molecola sottraendo al numero degli elettroni l’acido cianidrico.
di valenza il numero di legami ed il numero di elettroni solitari ad
esso attribuiti (Tabella 4.2).

Elemento H C N
e− valenza 1 4 5
I legami

Numero legami 1 4 3
Numero di e− solitari 0 0 2
Carica Formale 0 0 0

Tabella 4.2: Determinazione della carica formale dei vari elementi nell’acido cianidrico.

Verificare che la somma totale delle cariche formali sia pari alla carica globale della
molecola o dello ione, nel nostro caso zero.

È fondamentale comprendere che la carica formale NON è la carica effettiva che


l’atomo presenta in una molecola. Tuttavia questo parametro permette di ottenere
un’indicazione approssimativa sulla distribuzione della carica elettrica all’interno della
molecola, ovvero fornisce un’informazione sulla sua polarità. La somma delle cariche
formali deve essere equivalente alla carica presente sulla molecola (o sullo ione).
Chimica 821

Spesso è possibile costruire più formule di Lewis per


la stessa molecola ed è quindi necessario identificare
la formula più plausibile. Si segue quindi una serie
di convenzioni secondo le quali la struttura di Lewis Figura 4.14: Possibili strutture di Lewis
più probabile è quella che: per l’acido cianidrico HCN.

a. Presenta le cariche formali più basse.


b. Attribuisce la carica formale negativa all’atomo più elettronegativo.
c. Evita la presenza di cariche formali di segno opposto su atomi adiacenti.
Nel caso dell’acido cianidrico HCN è possibile scrivere due formule di Lewis (Figura
4.14).

Caso a Caso b
Elemento H C N H C N
e− valenza (n. gruppo) 1 4 5 1 4 5
Numero legami 1 4 3 1 3 4
Numero di e− solitari 0 0 2 0 2 0
Carica formale 0 0 0 0 -1 +1
Tabella 4.3: Determinazione della carica formale di due strutture di Lewis per l’acido cianidrico HCN.
La struttura “a” è più plausibile (o più probabile) della struttura “b” in quanto (Tabella
4.3):
1) Presenta le cariche formali più basse (nulle).
2) Evita di attribuire una carica di segno positivo all’atomo più elettronegativo (N).
3) Evita la contemporanea presenza di cariche formali di segno opposto su atomi
adiacenti.
La reale struttura della molecola è fornita dall’insieme delle strutture di Lewis che pos-
sono essere scritte. La formula più plausibile, ovvero quella che rispetta le indicazioni
appena enunciate, indica semplicemente la struttura più significativa ma non l’unica
possibile.

Chimica
4.6.2 Teoria della risonanza
La teoria di Lewis prevede che le coppie elettroniche di non legame siano attribuite
interamente ad un atomo. Questo postulato ha un valore arbitrario in quanto gli elet-
troni hanno una loro mobilità all’interno della molecola. Può accadere quindi che la
formula di Lewis non riesca a rappresentare la reale situazione della molecola ma sia
necessario adottare più formule di Lewis che si trovano in risonanza tra loro.

Si ha risonanza (o mesomeria) quando più formule chimiche, dette formule limite di


risonanza, concorrono a definire la vera struttura di una molecola.

Le singole formule di risonanza che possono essere scritte per una molecola, conosciute
come strutture limite di risonanza, NON rappresentano la reale situazione della
molecola che in realtà è caratterizzata da una struttura intermedia tra le sue strutture
limite.
822 Il legame chimico

Il fenomeno di risonanza è possibile in quanto gli elettroni π, che formano i doppi


legami, non hanno una posizione definita ma sono delocalizzati su tutta la molecola.
Le molecole che vengono descritte tramite strutture limite di risonanza prendono il
nome di ibridi di risonanza. Sperimentalmente questa teoria è supportata dal fatto
che le distanze di legame negli ibridi di risonanza hanno un valore intermedio tra quello
di un legame singolo e quello di un legame doppio. Sostanzialmente il legame presente
realmente nella molecola non è né singolo né doppio ma è un ibrido tra i due e la carica
elettrica è egualmente distribuita tra gli atomi che la portano.

Vediamo i casi dell’anione nitrato NO− −


3 (a) e dell’anione formiato HCO2 (b):

Figura 4.15: Strutture limite di risonanza dello ione nitrato (a) e dello ione formiato (b).

Le strutture limite di risonanza vengono rappresentate all’interno di parentesi quadre e


sono poste in relazione tra loro tramite frecce a doppia punta ←→. Nel caso dello ione
nitrato (a) tutti e tre i legami N–O hanno la stessa lunghezza e ogni ossigeno reca su di
sé un terzo della carica globale della molecola (−1). Anche per lo ione formiato (b) la
lunghezza dei due legami C–O è equivalente e la carica negativa è equidistribuita sui due
atomi di ossigeno che recano ognuno metà della carica globale della molecola (−1).
I legami

Strutture di questo tipo delocalizzano la carica elettronica su più atomi e sono quindi
molto più stabili rispetto alle analoghe strutture in cui i legami sono localizzati. La
differenza tra l’energia dell’ibrido di risonanza (ovvero l’energia associata alla reale
struttura della molecola) e l’energia della struttura limite più stabile è definita energia
di risonanza.
4.6.3 Eccezioni alla regola dell’ottetto ed ottetto espanso
Esistono molecole in cui il numero totale di elettroni è dispari: in questo caso ci troviamo
in presenza di elettroni spaiati che vanno a costituire orbitali semipieni. Questi composti
prendono il nome di radicali. I radicali tendono molto facilmente a reagire tra loro o
a strappare elettroni ad altre molecole al fine di riempire l’orbitale semipieno.

I radicali sono specie chimiche molto reattive e spesso presentano uno spiccato carattere
cancerogeno. Esse trovano comunque impiego industriale nella sintesi di materie plastiche in
processi conosciuti come polimerizzazioni radicaliche.
Chimica 823

Esistono elementi che sono stabili anche se non presentano l’ottetto completo: è il
caso del boro che normalmente impiega i suoi tre elettroni di valenza per formare
tre legami semplici mantenendo un orbitale p vuoto. Grazie alla presenza dell’orbitale
vuoto, il boro può quindi comportarsi come accettore di doppietti elettronici in legami
covalenti dativi (per questo motivo è definito anche come acido di Lewis, si rimanda al
capitolo 10).
Esistono infine atomi che possono accettare più di otto elettroni di valenza: si parla
in questo caso di ottetto espanso. Questa proprietà è caratteristica di elementi ap-
partenenti al terzo periodo e successivi ed è permessa dalla presenza di orbitali d vuoti
che possono ospitare coppie di elettroni.

Costruire la formula di Lewis per l’anione solfato SO2− 4 .


Si calcola inizialmente il numero totale di elettroni di valenza disponibili ricordandosi di
considerare anche la carica dello ione:

ne− = 6 + 6 × 4 + 2 = 32.

Nello ione solfato sono disponibili 32 elettroni totali ovvero, 16 coppie di elettroni (di
legame + non legame).
a. Si pone al centro l’atomo meno elettronegativo (S) e lo si connette agli ato-
mi periferici (O) mediante legami singoli (Figura 4.16a). Ogni legame richiede
la compartecipazione di 2 elettroni, ovvero richiede l’impiego di una coppia di
legame. Vengono globalmente utilizzate quattro coppie elettroniche.
b. Si posizionano le altre coppie elettroniche sugli atomi di ossigeno (Figura 4.16b).
c. Due coppie solitarie di due ossigeni vengono impiegate per formare due doppi
legami con lo zolfo (Figura 4.16c).
d. Lo zolfo presenta l’ottetto espanso.

Chimica
Figura 4.16: Costruzione della formula di Lewis per lo ione solfato.

La struttura c è considerata più plausibile della struttura b perché evita la presenza di


cariche di segno opposto su atomi adiacenti.
4.6.4 Modello VSEPR (Valence Shell Electron Pair Repulsion)
Il modello permette di ottenere una stima sulla geometria delle molecole una volta
determinata la loro struttura di Lewis. Il modello si basa sull’assunto che: “in un atomo
le coppie elettroniche di valenza si dispongono in modo da minimizzare le repulsioni
tra gli elettroni cosı̀ da trovarsi in uno stato di minima energia”.
Per convenzione si indica con A l’atomo centrale, con X gli atomi terminali e con E
i doppietti elettronici solitari. Le molecole vengono quindi rappresentate dalla generica
formula AXn Em . Dalla somma del numero di tutte le coppie elettroniche (di legame
e solitarie, n+m) e considerando il numero di atomi legati all’atomo centrale si può
determinare la geometria molecolare (Tabella 4.4 e Figura 4.17).
824 Il legame chimico

N◦ coppie elettroniche totali Geometria


(di legame e solitarie n + m)
2 Lineare
3 Trigonale planare
4 Tetraedrica
5 Trigonale bipiramidale
6 Ottaedrica o bipiramidale quadrata
Tabella 4.4: Relazione tra il numero di coppie elettroniche totali e la geometria della molecola.

Figura 4.17: Geometria delle molecole secondo il modello VSEPR.

Quando l’atomo centrale presenta esclusivamente coppie elettroniche di legame, la


sua struttura è del tipo AXn , ed è possibile identificare le seguenti geometrie molecolari:
I legami

Figura 4.18: Geometria delle molecole secondo il modello VSEPR.

Quando l’atomo centrale presenta sia coppie elettroniche di legame (n) che coppie
solitarie (m) la struttura della molecola è del tipo AXn Em . Per determinare la struttura
Chimica 825

di queste molecole è necessario considerare l’effetto repulsivo delle coppie elettroniche


solitarie (E) sulle coppie elettroniche di legame (X). In senso stretto la geometria
osservata dipende esclusivamente dalle coppie di legame, tuttavia le coppie elettroniche
solitarie inducono una variazione negli angoli di legame in modo da minimizzare gli
effetti repulsivi tra elettroni.
Prendiamo in considerazione il caso della geometria tetraedrica (4 coppie elettro-
niche totali n + m). Il metano (CH4 ), l’ammoniaca (NH3 ) e l’acqua (H2 O) presenta-
no quattro coppie elettroniche totali: la geometria delle coppie elettroniche è quindi
tetraedrica. Tuttavia nel metano non sono presenti coppie elettroniche solitarie: la
geometria è di tipo AX4 ; nell’ammoniaca è presente una coppia solitaria e la geo-
metria è di tipo AX3 E; l’acqua invece presenta ben due coppie elettroniche solita-
rie: AX2 E2 .

Molecola Coppie Coppie Struttura Geometria


di legame (n) solitarie (m) AXn Em
CH4 4 0 AX4 Tetraedrica
NH3 3 1 AX3 E Trigonale piramidale
H2 O 2 2 AX2 E2 Piegata
Tabella 4.5: Predizione della geometria di metano (CH4 ), ammoniaca (NH3 ) e acqua (H2 O).

L’effetto delle forze repulsive che si instaurano tra le coppie elettroniche solitarie
induce una diminuzione degli angoli di legame passando dalla molecola tetraedri-
ca di CH4 (109,5◦ ) a quella piramidale di NH3 (107,5◦ ) a quella piegata dell’acqua
H2 O (104,5◦ ).

Chimica

Figura 4.19: Effetto delle coppie elettroniche solitarie sugli angoli di legame.

Quando sono presenti cinque coppie elettroniche totali (struttura trigonale bipiramida-
le) o sei coppie elettroniche totali (struttura ottaedrica o bipiramidale quadrata) sono
possibili le strutture geometriche di Figura 4.20.

Nel modello VSEPR tutti i legami multipli vengono considerati come se fossero coppie
di legame singole.
826 Il legame chimico

Esempio Coppie Coppie Struttura Geometria


di legame (n) solitarie (m) AXn Em
Cinque coppie elettroniche totali (n + m)
PF5 5 0 AX 5 Trigonale bipiramidale
SF4 4 1 AX4 E Altalena
ClF3 3 2 AX 3 E2 AT
XeF2 2 3 AX 2 E3 Lineare
Sei coppie elettroniche totali (n + m)
SF6 6 0 AX 6 Ottaedrica
BrF5 5 1 AX 5 E Piramidale quadrata
XeF4 4 2 AX 4 E2 Quadrato planare
Tabella 4.6: Geometrie permesse in presenza di 5 o 6 coppie elettroniche.
I legami

Figura 4.20: Struttura delle molecole che presentano 5 e 6 coppie elettroniche.

4.7 Momento dipolare e geometria molecolare


In presenza di atomi con differente elettronegatività gli elettroni tendono a concen-
trarsi maggiormente sugli atomi più elettronegativi, ovvero la probabilità di trovare gli
elettroni è maggiore in prossimità di questi atomi. Si generano cosı̀, all’interno della
molecola, delle asimmetrie nella distribuzione della carica elettrica che creano zone a
prevalente carica negativa e zone a prevalente carica positiva. Molecole di questo tipo
sono dotate di momento di dipolo elettrico (µ) e sono classificate come molecole polari.

Definiamo momento di dipolo elettrico (µ) il prodotto delle cariche parziali (δ + e δ − )


per la distanza d che le separa. Esso è una grandezza vettoriale misurata comunemente
in Debye (1 D = 3,34 · 10−30 C · m).
Chimica 827

Figura 4.21: Momento di dipolo elettrico per sodio idruro (NaH), idrogeno (H2 ) e acido fluoridrico (HF).
La molecola di idrogeno H2 non presenta momento di dipolo.

Una molecola che presenta cariche parziali (δ + e δ − ) poste ad una distanza d è dotata
di momento di dipolo elettrico.

Definiamo carica parziale la carica che un atomo avrebbe in una molecola calcolata
assumendo la distribuzione degli elettroni di legame proporzionale all’elettronegatività
dell’atomo.

Rispetto alla carica formale la carica parziale fornisce una stima più precisa della
distribuzione di carica elettrica all’interno di una molecola.
In quanto grandezza vettoriale, il momento di dipolo elettrico di una molecola vie-
ne calcolato mediante la somma vettoriale di tutti i momenti di dipolo presenti al suo
interno. Il momento di dipolo è dunque funzione della geometria della molecola. Cono-
scendo la geometria di una molecola è quindi possibile determinare se la stessa presenta
un carattere polare o meno.

Una molecola che presenta legami polari (ovvero che si instaurano tra atomi con
differente elettronegatività) può essere nel suo complesso apolare in quanto la somma
vettoriale dei singoli momenti dipolari può essere nulla (CO2 , BF3 , CCl4 ).

Chimica

Figura 4.22: Dipendenza del momento di dipolo dalla geometria molecolare.

4.8 Il legame metallico


Abbiamo visto che i metalli tendono a cedere facilmente elettroni di valenza (sono dotati
di bassa energia di ionizzazione). Accade cosı̀ che, quando questi atomi si trovano uniti
828 Il legame chimico

tra loro, si crea un reticolo cristallino ordinato in cui gli elettroni sono liberi di muoversi
tra un atomo e l’altro e sono quindi delocalizzati lungo tutto il reticolo. Questo
tipo di legame non rientra nelle categorie precedenti ed è definito legame metal-
lico.
Il metallo è sostanzialmente costituito da un reticolo cristallino di cationi immer-
so in una nube elettronica, ed è il motivo per cui tutti i metalli conducono cor-
rente elettrica e sono solidi a temperatura ambiente (ad eccezione del mercurio che
come si è detto è liquido). Le cariche positive dei cationi bilanciano numericamen-
te le cariche negative degli elettroni ed il metallo è nel suo complesso elettricamente
neutro.

I metalli sono ottimi conduttori di corrente elettrica proprio perché presentano una nube elet-
tronica che, se sottoposta ad una differenza di potenziale elettrico, può muoversi liberamente
conducendo corrente. Il motivo per cui ad alte temperature i metalli riducono la loro capacità
di condurre corrente elettrica risiede nel fatto che all’aumentare della temperatura aumenta
l’energia cinetica media degli elettroni con il conseguente instaurarsi di moti casuali ed in-
controllati all’interno del reticolo cristallino del metallo. L’efficienza nella conduzione elettrica
viene quindi ridotta. Per questo motivo i superconduttori, impiegati nella strumentazione di
laboratorio, devono essere conservati in azoto o elio liquido a temperature estremamente basse.

4.9 Cenni sulla teoria dell’orbitale molecolare (MO)


A differenza della teoria del legame di valenza, il modello dell’orbitale molecola-
re considera gli elettroni di legame come delocalizzati attorno ai nuclei dell’intera
molecola: si parla quindi di legame delocalizzato.
Come gli orbitali atomici, anche gli orbitali molecolari sono descritti da una funzione
d’onda che delimita lo spazio dove è massima la probabilità di trovare gli elettroni.
Questo tipo di funzioni è di difficile risoluzione per cui si ricorre solitamente a metodi di
calcolo approssimati la cui trattazione, tuttavia, è al di fuori dello scopo di questo testo.
La teoria dell’orbitale molecolare è stata sviluppata per spiegare fenomeni non spiegabili
tramite le strutture di Lewis, come ad esempio il paramagnetismo dell’ossigeno O2 .
I legami

4.10 Interazioni tra molecole (Legami o interazioni intermolecolari)


Anche le molecole, e non solo gli atomi, possono interagire tra loro attraverso forze di
natura elettrostatica. Tuttavia, rispetto ai legami tra atomi, le interazioni tra molecole
sono molto più deboli (spesso di due-tre ordini di grandezza inferiori), motivo per cui
sono conosciute anche come interazioni deboli. Questo tipo di interazioni hanno
un ruolo fondamentale nel determinare i parametri fisici di molte sostanze. Oltre allo
stato di aggregazione della materia, i punti di fusione, di ebollizione ecc, questo tipo di
interazioni fornisce informazioni su proprietà quali: la solubilità, la viscosità, la densità
e molti altri parametri fisici.
Le interazioni tra molecole possono essere di vario tipo a seconda della loro polarità.
In molecole polari, che possiedono quindi un momento di dipolo elettrico µ perma-
nente, si distinguono tre classi di interazioni:

a. Interazione ione – dipolo.


Chimica 829

b. Interazione dipolo – dipolo (o Forze di Keesom).


c. Legame ad idrogeno.
In molecole apolari si distinguono due tipi di interazioni:
a. Interazione dipolo – dipolo indotto (o Forze di Debye).
b. Interazione dipolo istantaneo – dipolo istantaneo indotto (o Forze di
dispersione di London).
Le interazioni dipolo-dipolo (Forze di Keesom) e le interazioni che si instaurano tra
molecole neutre in presenza di dipoli (Forze di Debye) o di dipoli istantanei (Forze di
dispersione di London) sono conosciute come Forze di van der Waals, in onore del
loro scopritore, il fisico olandese Diderik van der Waals (1837-1923, Premio Nobel per
la Fisica 1910). Le Forze di van der Waals sono considerate interazioni deboli.

4.10.1 Interazioni ione – dipolo


Questo tipo di interazioni si instaura tra uno ione ed
una molecola dotata di dipolo (Figura 4.23). Sono le in-
terazioni intermolecolari più forti e sono funzione di tre
parametri:
a. la distanza tra lo ione ed il dipolo. Figura 4.23: Interazione Ione-
dipolo.
b. la carica dello ione.
c. il valore del dipolo elettrico µ.
La forza di interazione aumenta all’aumentare della carica dello ione e del momento di
dipolo elettrico e diminuisce secondo il quadrato della distanza.

4.10.2 Interazioni dipolo – dipolo


Questo tipo di interazioni si in-
staura tra molecole dotate di un

Chimica
momento dipolare permanente. So-
no conosciute anche con il nome di
Forze di orientamento in quan-
to tendono ad orientare le molecole
in modo che i poli positivi di ogni
molecola interagiscano con i po-
li negativi delle molecole adiacen-
ti. Come conseguenza le molecole
si orienteranno secondo una dispo-
sizione testa-coda (Figura 4.24).
Questo tipo di interazioni determi-
na caratteristiche come il punto di
ebollizione di un liquido: quando Figura 4.24: Interazione Dipolo-Dipolo.
l’energia termica fornita ad un li-
quido è superiore all’energia che si instaura tra i dipoli, le molecole si separano ed
inizia il fenomeno di evaporazione.
830 Il legame chimico

Le interazioni ione – dipolo e dipolo – dipolo sono alla base del fenomeno di solvata-
zione.
Una molecola o uno ione si definiscono solvatati quando interagiscono con le molecole
di solvente secondo interazioni di tipo ione – dipolo o dipolo – dipolo. Se il solvente
impiegato è l’acqua, il fenomeno prende il nome di idratazione.

4.10.3 Legame ad idrogeno


È un’interazione di tipo dipolo – dipolo che si instau-
ra tra molecole che presentano atomi di idrogeno le-
gati ad atomi particolarmente elettronegativi (N, O,
F). La differenza di elettronegatività fa sı̀ che l’atomo
di idrogeno presenti una carica parziale positiva (δ + )
mentre l’atomo più elettronegativo presenta una carica
parziale negativa (δ − ). Si instaura cosı̀ un’interazione
molto forte tra le varie molecole che va ad influenzare
notevolmente parametri fisici come il punto di ebolli-
zione. A parità di massa molecolare le molecole dotate
di legami a idrogeno hanno temperature di ebollizione Figura 4.25: Legame ad idrogeno
molto più alte. tra molecole d’acqua e tra molecole
di acido acetico.

Il legame ad idrogeno (Figura 4.25) può formarsi sia tra molecole diverse (intermole-
colare) che all’interno di una stessa molecola (intramolecolare). I legami ad idrogeno
intramolecolari hanno un effetto stabilizzante molto forte in quanto diminuiscono l’e-
nergia potenziale delle molecole ed influenzano di conseguenza i parametri strutturali
e le loro proprietà fisiche.
Da un punto di vista spaziale è come se l’idrogeno H costituisse un ponte fra i due
atomi più elettronegativi, per questo motivo il legame ad idrogeno è conosciuto anche
come ponte ad idrogeno.
I legami

I legami a idrogeno sono alla base di molte proprietà dell’acqua che hanno consentito lo
sviluppo della vita sulla Terra. A titolo esemplificativo, l’acqua a temperatura ambiente è
un liquido mentre l’acido solfidrico (H2 S), che ha una struttura simile ed un peso molecolare
superiore, è un gas. Il legame a idrogeno è alla base del fenomeno della capillarità che permette
alle piante di assumere acqua dal terreno e farla salire “spontaneamente” fino alle foglie. Il
legame a idrogeno spiega inoltre perché l’acqua sia una delle pochissime sostanze che nella
forma solida occupa un volume maggiore rispetto alla forma liquida (si ricordi il fenomeno
per il quale riempiendo interamente una bottiglia di vetro con acqua e sigillandola, se questa
viene posta in un freezer l’acqua solidifica ed aumentando di volume rompe la bottiglia).
Chimica 831

4.10.4 Interazioni dipolo – dipolo indotto

Quando una molecola dotata di dipolo per-


manente (molecola polare) si trova in pros-
simità di una molecola apolare, la prima in-
durrà una distorsione temporanea della nu-
be elettronica della seconda che verrà a sua
volta polarizzata (Figura 4.26). Per questo
motivo tali interazioni sono conosciute anche
con il nome di Forze di induzione.
Figura 4.26: Interazione Dipolo-Dipolo indotto.

Il grado con cui la nuvola elettronica di una molecola (o di un atomo) può essere distorta è
definito polarizzabilità. La polarizzabilità è tanto maggiore quanto maggiore è la dispersione
della nuvola elettronica, ovvero aumenta all’aumentare della distanza degli elettroni dal nucleo.
Essa quindi cresce al crescere del numero di elettroni presenti nella molecola e all’aumentare
della massa molecolare.

4.10.5 Interazioni dipolo istantaneo – dipolo istantaneo indotto

Le molecole apolari, per definizione, NON so-


no dotate di un momento di dipolo elettrico
permanente. Tuttavia, se consideriamo che
gli elettroni all’interno delle molecole posso-
no muoversi con un certo grado di libertà, è
facile intuire che, quando due molecole apo-
lari si avvicinano, iniziano ad instaurarsi del-
le interazioni tra i loro nuclei e i loro elettro-
ni con la seguente distorsione degli orbitali.
Si crea cosı̀ un dipolo istantaneo, ovvero
una asimmetria temporanea della distribu-
zione di carica elettrica all’interno della mo-

Chimica
lecola che influenzerà le molecole vicine in-
ducendo un momento di dipolo temporaneo
(Figura 4.27). Questo è il motivo per cui tali Figura 4.27: Interazione Dipolo istantaneo-
forze sono conosciute come interazioni dipo- Dipolo istantaneo indotto.
lo istantaneo – dipolo istantaneo indotto (o
Forze di dispersione di London). Il continuo crearsi e spegnersi di momenti di dipo-
lo istantaneo dà luogo ad interazioni continue, benché molto deboli, che sono alla base,
ad esempio, del fenomeno di sublimazione dello iodio I2 (lo iodio è l’unico elemento del
gruppo degli alogeni ad essere un solido volatile a temperatura e pressione ambiente;
Cl2 e F2 sono gas, mentre Br2 è liquido).
832 Il legame chimico

4.11 Quesiti
1) Nella molecola di acqua H2 O sono C interazioni deboli
presenti legami:
D legami dativi
A a idrogeno E legami a idrogeno
B covalenti puri
7) L’orbitale π:
C covalenti dativi
A deriva dall’ibridizzazione di due orbitali
D covalenti polari
p con un orbitale s
E ionici B deriva dall’ibridizzazione di un orbitale
2) Tra le molecole di acqua H2 O si p con un orbitale s
formano legami: C deriva dall’ibridizzazione di tre orbitali
p con un orbitale s
A a idrogeno
D deriva dalla sovrapposizione laterale di
B covalenti polari due orbitali di tipo p
C covalenti puri E è un orbitale molecolare relativo ad un
legame singolo
D covalenti dativi
E ionici 8) Un orbitale atomico ibrido si ha
quando:
3) Un legame covalente puro si può avere
tra: A un orbitale contiene un solo elettrone

A CeH B un orbitale deriva dalla combinazione di


orbitali atomici propri dell’atomo nello
B Br e Cl stato fondamentale
C He e H C un orbitale è privo di elettroni
D Na e Cl D un orbitale contiene tre elettroni
E CeC E un orbitale contiene più di un elettrone

4) La polarità di una molecola dipende: 9) “L’energia di legame del


numero di legami tra due atomi”. Per
A dalla polarità dei legami che sono completare la frase bisogna aggiungere:
presenti in essa
B dalla geometria della molecola A diminuisce al crescere
B cresce al diminuire
I legami

C dalla polarità dei legami che sono pre-


senti in essa e dalla geometria della C cresce al crescere
molecola
D resta costante al crescere
D dal solvente
E varia in modo non prevedibile al
E dal tipo di atomi che la compongono
crescere
5) Il legame dipolo-dipolo si ha tra:
10) Nella molecola H − C ≡ N i tre dop-
A molecole polari pietti elettronici condivisi dal carbonio
e dall’azoto sono in orbitali molecolari
B molecole apolari di tipo:
C molecole di piccole dimensioni
A tutti e tre in orbitali sp2
D atomi di un metallo
B tutti e tre in orbitali sp3
E ioni che formano composti ionici
C tutti e tre in orbitali sp
6) Le forze di van der Waals sono:
D il primo doppietto in un orbitale σ e il
A legami forti secondo e il terzo in due orbitali π

B legami covalenti E tutti e tre orbitali di tipo π


Chimica 833

4.12 Soluzioni commentate ai quesiti


1) D . Nella molecola di acqua si ha un atomo di ossigeno che lega due atomi d’idrogeno.
Poiché ossigeno e idrogeno sono specie atomiche diverse, hanno una diversa capacità
di attrarre gli elettroni di legame (cioè una diversa elettronegatività), per cui il
legame che si stabilisce è covalente polare, in cui l’ossigeno più elettronegativo tende
a trattenere maggiormente gli elettroni di legame su di sé, assumendo una parziale
carica negativa, mentre gli idrogeni presentano una parziale carica positiva.

2) A . Nel quesito è richiesto di specificare quali sono i legami tra le molecole di acqua
(intermolecolari). Una delle caratteristiche principali dell’acqua è la capacità di
formare legami a idrogeno.

3) E . Un legame può essere classificato come omopolare se si forma tra atomi dello
stesso elemento.
4) C . La polarità di una molecola dipende sia dal tipo di legami presenti, sia dalla
geometria della molecola. La presenza di legami polari all’interno della molecola è
condizione necessaria ma non sufficiente affinché la molecola sia nel suo complesso
polare. Infatti è necessario considerare anche la disposizione degli atomi e delle
coppie elettroniche nello spazio per comprendere se nel complesso la molecola ha
carattere polare.

5) A . Il legame dipolo-dipolo è un’interazione debole che avviene tra molecole polari,


quindi è una forza intermolecolare (tra le molecole, non all’interno della molecola).
6) C . Le forze di Van der Waals sono interazioni deboli tra molecole.
7) D . Il legame covalente π si ottiene per sovrapposizione laterale di due orbitali di
tipo p.
8) B . Gli orbitali ibridi rappresentano la combinazione di orbitali atomici diversi per
formare orbitali ibridi: un orbitale s combinandosi con un orbitale p forma due
orbitali di tipo sp; un orbitale s combinandosi con 2 orbitali p forma tre orbitali di
tipo sp2 ; un orbitale s combinandosi con 3 orbitali p forma 4 orbitali sp3 .
9) C . L’energia di legame cresce al crescere del numero di coppie elettroniche condivise Chimica
tra due atomi. Parallelamente diminuisce la distanza che separa i due nuclei.

10) D . Gli orbitali molecolari possono essere di tipo σ oppure π. Il primo legame che si
forma tra due atomi è di tipo σ in quanto costituito da orbitali molecolari di tipo
σ. Nel caso in cui sono presenti legami doppi o tripli, il secondo e terzo legame che
si formano sono di tipo π in quanto sono costituiti da orbitali molecolari di tipo π.
La sovrapposizione degli orbitali è massima nei legami σ ed è leggermente inferiore
nei legami π, il che ci suggerisce che l’energia di un legame σ è sempre maggiore
rispetto a quella di un legame π.
Fondamenti di
chimica inorganica
5
“La verità si ritrova sempre nella semplicità, mai nella confusione” (Isaac Newton,
1642-1727).

5.1 Introduzione
In questo capitolo scopriremo come assegnare i nomi ai vari composti chimici impie-
gando la nomenclatura IUPAC e la nomenclatura tradizionale. Analizzeremo quindi le
proprietà delle principali classi di composti inorganici.

5.2 Regole per la determinazione del numero di ossidazione (n.o.)

Si definisce numero di ossidazione (n.o.) la carica ipotetica (o apparente) che un


atomo presenta in una molecola se gli elettroni di legame vengono attribuiti all’atomo
più elettronegativo. In caso di uguale elettronegatività gli elettroni di legame vengono
ripartiti su entrambi gli atomi che partecipano al legame. Il numero di ossidazione può
assumere valori positivi, negativi, nulli o frazionari.

Di seguito sono riportate le regole per la determinazione del n.o. dei vari atomi presenti
in un composto:

a. Ogni atomo in un elemento puro ha n.o. nullo (Cu, I2 , S8 , H2 , He, hanno sempre
n.o. 0).

b. Nel caso di anioni o cationi costituiti da un solo atomo, il n.o. corrisponde alla
loro carica (Al3+ ha n.o. +3).

c. In uno ione poliatomico la somma dei n.o. degli atomi che lo costituiscono deve
coincidere con la carica dello ione stesso.

d. Nel caso di molecole neutre la somma dei n.o. deve essere zero.

e. L’idrogeno ha sempre n.o. +1 (ad eccezione dei composti binari con metalli,
denominati idruri metallici, in cui presenta n.o. −1).

f. L’ossigeno ha sempre n.o. −2, ad eccezione dei perossidi (es. H2 O2 , Na2 O2 , n.o.
−1) e dei superossidi (n.o. −0,5).

g. Il fluoro, essendo l’elemento più elettronegativo della tavola periodica, ha sempre


n.o. −1 (tranne quando è presente come specie elementare).

h. Il cloro presenta sempre n.o. −1 (ad eccezione di quando forma legami con F e
O dove presenta n.o. positivi).
Chimica 835

i. I metalli hanno sempre n.o. positivi (i metalli alcalini hanno tutti n.o. +1, i
metalli alcalino terrosi hanno n.o. +2).
j. I legami tra atomi dello stesso elemento non vengono considerati al fine della
determinazione del n.o.

Figura 5.1: Determinazione dei numeri di ossidazione dei vari atomi in alcuni composti.

a. Per tutti gli elementi, il numero di ossidazione positivo più alto corrisponde al numero
del gruppo cui l’elemento appartiene (es. B e Al, gruppo III, n.o. massimo +3; C e Si,
gruppo IV, n.o. massimo +4; N e P, gruppo V, n.o. massimo +5; O e S, gruppo VI, n.o.
massimo +6; F e Cl, gruppo VII, n.o. massimo +7).
b. Per gli elementi collocati in fondo ad un gruppo, il n.o. più stabile corrisponde general-
mente al numero di ossidazione massimo diminuito di due unità (es. Pb n.o. massimo
+4, n.o. più stabile +2; Tl n.o. massimo +3, n.o. più stabile +1) .
c. I lantanidi in genere hanno numero di ossidazione +3.

5.3 Nomenclatura sistematica IUPAC


L’International Union for Pure and Applied Chemistry (IUPAC) è un ente interna-

Chimica
zionale che si occupa, tra le altre cose, di fornire gli standard da utilizzare per la
nomenclatura dei composti chimici. Nell’arco del tempo gli scienziati hanno scoperto
innumerevoli sostanze a cui sono stati attribuiti dei nomi di fantasia che non hanno
alcuna attinenza con la loro struttura chimica. Al fine di assegnare ai composti chimici
un nome attinente alla loro struttura chimica, la IUPAC ha introdotto una serie di
regole che consentono di razionalizzare il linguaggio impiegato in chimica e renderlo
univoco. Per questo motivo la nomenclatura IUPAC è nota anche come nomenclatura
razionale.
Andremo ora ad analizzare le principali classi di composti inorganici.

5.3.1 Ossidi

Sono definiti ossidi tutti quei composti binari nei quali uno dei due elementi è l’ossigeno.
836 Fondamenti di chimica inorganica

Si definisce binario un qualsiasi composto costituito da 2 elementi diversi. Si definisce


ternario un qualsiasi composto costituito da 3 elementi diversi.

La formula molecolare si ottiene scrivendo prima il metallo (o il non metallo) e poi


l’ossigeno. Si assegnano successivamente a ciascuno dei due elementi, come “pedice”, il
numero di ossidazione dell’altro elemento. I pedici sono poi divisi per il massimo comun
divisore.
I nomi di questi composti si ottengono impiegando la dicitura “ossido di..” ed
indicando il numero degli atomi dei due elementi presenti nella formula utilizzando
i prefissi di origine greca: mono-, di-, tri-, tetra- ecc. Spesso il prefisso mono- viene
sottointeso.

Ossidi Metallici Ossidi non metallici


Na2 O Monossido di disodio Cl2 O Monossido di dicloro
MgO Monossido di magnesio Cl2 O5 Pentossido di dicloro
Fe2 O3 Triossido di diferro CO Monossido di carbonio
Li2 O Monossido di dilitio CO2 Diossido di carbonio
SnO2 Diossido di stagno SO3 Triossido di zolfo
Tabella 5.1: Ossidi metallici e ossidi non metallici.

5.3.2 Ossiacidi (o acidi ossigenati)

Definiamo ossiacidi tutti quei composti ottenuti dalla reazione tra gli ossidi dei non
metalli e l’acqua.

Sono composti ternari costituiti da un non


metallo, ossigeno ed idrogeno. Hanno un ca- Ossiacidi
rattere spiccatamente acido da cui prendo- H3 BO3 Acido triossoborico (III)
no il nome. Nella formula si scrivono, nel-
H2 CO3 Acido triossocarbonico (IV)
l’ordine, idrogeno, non metallo ed infine os-
Inorganica

HNO2 Acido diossonitrico (III)


sigeno. Il nome si ottiene anteponendo la di-
HNO3 Acido triossonitrico (V)
citura “acido. . . ” al nome del non metallo
che termina con il suffisso “-ico”. Si indica, H2 SO3 Acido triossosolforico (IV)
quindi, tra parentesi il numero di valenza del H2 SO4 Acido tetraossosolforico (VI)
non metallo in caratteri romani secondo la HClO2 Acido diossoclorico (III)
notazione di Stock. Nel caso siano presenti HClO3 Acido triossoclorico (V)
più atomi di ossigeno si antepone il prefis- HClO4 Acido tetraossoclorico (VII)
so di origine greca corrispondente al numero
di ossigeni a cui segue il suffisso “-osso” ad Tabella 5.2: Ossiacidi.
indicare l’ossigeno.

Nel 1940 la IUPAC ha approvato la cosiddetta notazione di Stock, che prevede di sostituire
i suffissi impiegati nella nomenclatura tradizionale per indicare lo stato di valenza con i nu-
meri romani posti tra parentesi al termine del nome. Questo tipo di notazione è ampiamente
utilizzato.
Chimica 837

5.3.3 Idrossidi

Definiamo idrossidi tutti quei composti prodotti dalla reazione tra gli ossidi dei metalli
e l’acqua.

Sono composti ternari costituiti da un me- Idrossidi


tallo a cui sono legati un numero di grup- KOH Monoidrossido di potassio
pi ossidrilici (OH) corrispondenti alla valen-
Mg(OH)2 Diidrossido di magnesio
za del metallo. Hanno un carattere spicca-
Ca(OH)2 Diidrossido di calcio
tamente basico. Nella formula si scrive per
Al(OH)3 Triidrossido di alluminio
primo il metallo e di seguito il numero di
gruppi ossidrilici (OH) corrispondenti alla Fe(OH)2 Diidrossido di ferro
valenza del metallo. Come per gli ossiacidi, i Fe(OH)3 Triidrossido di ferro
nomi degli idrossidi si ottengono indicando,
Tabella 5.3: Idrossidi.
mediante il prefisso di origine greca, mono-,
di-, tri- tetra- ecc, il numero di gruppi ossidrilici presenti nella formula, utilizzando la
dizione “idrossido di. . . ” a cui segue il nome del metallo.

5.3.4 Idracidi

Definiamo idracidi quei composti binari formati da un non metallo e idrogeno.

Idracidi
Per la costruzione del nome è sufficiente aggiungere
il suffisso –uro al nome del non metallo, seguito dal- HF Fluoruro di idrogeno
la dicitura “di idrogeno”. Per gli idracidi che pre- HCl Cloruro di idrogeno
sentano più atomi di idrogeno si antepone il prefisso HBr Bromuro di idrogeno
greco corrispondente. Alcuni composti ternari so- HI Ioduro di idrogeno

Chimica
no comunque definiti idracidi (cianuro di idrogeno, H2 S Solfuro di diidrogeno
HCN). HCN Cianuro di idrogeno

5.3.5 Idruri Tabella 5.4: Idracidi.

Definiamo idruri tutti i composti binari contenenti idrogeno, a eccezione dei composti
tra idrogeno ed elementi del VI o del VII gruppo (idracidi).

Negli idruri il n.o. dell’idrogeno è −1 se l’elemento legato all’idrogeno è meno


elettronegativo, oppure +1 se l’elemento legato all’idrogeno è più elettronegativo.
838 Fondamenti di chimica inorganica
Idruri
Considerando la formula generale XHn , il no- AlH3 Triidruro di alluminio
me dell’idruro si ottiene anteponendo la dicitura FeH3 Triidruro di ferro
“idruro di...” seguita dal nome dell’altro elemento FeH2 Diidruro di ferro
(X), utilizzando eventualmente il prefisso greco.
LiH Idruro di litio
NaH Idruro di sodio
CaH2 Diidruro di calcio
NH3 Triidruro di azoto
AsH3 Triidruro di arsenico
5.3.6 I sali
Tabella 5.5: Idruri.

Definiamo sali quei composti ionici ottenuti formalmente dalla reazione tra un idrossido
e un acido. Sono costituiti da una parte metallica e da una non metallica.

I sali si distinguono in tre categorie principali:


sali neutri: se provengono da acidi in cui tutti gli atomi di idrogeno sono stati
sostituiti da atomi metallici;
sali acidi: se nel sale sono presenti ancora uno o più atomi di idrogeno che
possono dissociare;
sali basici: se nel sale sono presenti uno o più gruppi ossidrilici.
I sali possono essere ottenuti in vari modi:
a. Acido + Base −→ Sale + Acqua (HCl + NaOH −→ NaCl + H2 O);
b. Acido + Metallo −→ Sale + Idrogeno (H2 SO4 + Fe −→ FeSO4 + H2 );
c. Ossido non metallico (Anidride) + Ossido metallico −→ Sale (CO2 + MgO −→
MgCO3 );
d. Ossido non metallico (Anidride) + Idrossido −→ Sale + Acqua (CO2 + 2 KOH
−→ K2 CO3 + H2 O);
Inorganica

e. Acido + Ossido −→ Sale + Acqua (2 HBr + K2 O −→ 2 KBr + H2 O).


Il nome è ottenuto indicando Sali
per prima l’anione e di seguito CaCO3 Triossocarbonato (IV) di calcio
il catione, in modo esattamente
FeCO3 Triossocarbonato (IV) di ferro (II)
opposto a come vengono scritti
Fe2 (CO3 )3 Triossocarbonato (IV) di diferro (III)
nella formula. Si impiega il pre-
NaClO Ossoclorato (I) di sodio
fisso di origine greca per indi-
care sia il numero di anioni che KClO 2 Diossoclorato (III) di potassio
quello di cationi. L’anione ter- KClO 3 Triossoclorato (V) di potassio
mina con la desinenza –ato a Sn(BrO) 2 Ossobromato (I) di stagno (II)
cui segue la dicitura “. . . di. . . ” Sn(BrO4 )4 Tetraossobromato (VII) di stagno (IV)
con il nome del catione corri- Na2 SO3 Triossosolfato (IV) di disodio
spondente (Na2 CO3 : carbona- AlPO4 Tetraossofosfato (V) di alluminio
to di disodio). Si indica tra pa-
rentesi, in caratteri romani, il Tabella 5.6: Sali.
numero di ossidazione del metallo e del non metallo secondo la notazione di Stock.
Chimica 839

Il nome del catione può essere indicato anche dalla sola desinenza –ico omettendo “. . . .
di. . . ” (Na2 CO3 : carbonato sodico).
A volte si indica anche il numero di atomi di ossigeno che costituiscono l’anione im-
piegando il prefisso greco seguito dalla dicitura “-osso-“ (CaCO3 = triossocarbonato
di calcio).
Se il sale è costituito da ossianioni contenenti idrogeno, il nome dello ione, e di
conseguenza del sale corrispondente, si ottiene anteponendo al nome del non metallo
il prefisso idrogeno-, eventualmente anticipato dal prefisso greco che indica il numero
di atomi di idrogeno presente. (H2 PO− 4 : anione “diidrogenofosfato”).

5.3.7 Cianuri, solfocianuri e tiocomposti


Per sali provenienti da:

a. Acido cianidrico (HCN): il nome del sale è dato dalla dicitura “cianuro di...”
seguito dal nome del catione.

b. Acido solfocianidrico (o tiocianato, HSCN): il nome del sale è dato dalla dicitura
“solfocianuro di..” seguito dal nome del catione.

c. Acido cianico (HCNO): il nome del sale è dato dalla dicitura “cianato di...”
seguito dal nome del catione.

A seguito del nome del catione vie- Cianuri, solfocianuri e tiocomposti


ne indicato lo stato di ossidazione del- Hg(CN)2 Cianuro di mercurio (II)
lo stesso impiegando la notazione di
Fe(CN)3 Cianuro di ferro (III)
Stock.
KCNO Cianato di potassio
I composti in cui uno o più atomi
Ca(SCN)2 Solfocianuro di calcio
di ossigeno sono sostituiti dallo zolfo
(S) si ottengono utilizzando il prefis- Na2 S2 O3 Tiosolfato di sodio
so tio- preceduto dal prefisso greco K3 AsS4 Tetratioortoarseniato di potassio
che indica il numero di atomi di zolfo Tabella 5.7: Cianuri, solfocianuri e tiocomposti.
presenti.

5.3.8 Perossocomposti Chimica


Molecole contenenti il gruppo chimico Perossidi
(–O–O–), dove l’ossigeno presenta n.o. H2 O2 Perossido di idrogeno
−1, prendono il nome di perossidi. Il
Na2 O2 Perossido di sodio
nome di tali composti si ottiene utiliz-
K2 S2 O8 Perossoditiosolfato di potassio
zando la dicitura “perossido di. . . ”
seguito dal nome del metallo. Tabella 5.8: Perossidi.

5.4 Nomenclatura tradizionale


Sebbene la nomenclatura IUPAC sia stata introdotta da alcuni anni, l’impiego dei
nomi tradizionali in chimica è ancora molto diffuso e vale la pena di essere ricordato.
È fondamentale comprendere che la nomenclatura tradizionale tende spesso ad essere
ambigua e perciò è necessaria la massima attenzione.
840 Fondamenti di chimica inorganica

Quando il metallo può assumere più di uno stato di ossidazione, ovvero può formare
con l’ossigeno composti diversi, si utilizza la desinenza –oso quando il n.o. del metallo
è il più basso e la desinenza –ico quando il n.o. del metallo è il più alto.
La nomenclatura tradi-
zionale distingue gli ossi-
di in base al tipo di ele-
menti che li costituiscono
e alle loro proprietà chi-
miche. Esistono gli ossi-
di propriamente det-
ti, costituiti da un me-
tallo ed ossigeno e noti
anche con il nome di os-
sidi basici, in quanto la
loro reazione con acqua
porta alla formazione di
basi (idrossidi). Gli ossi-
di formati con non me-
talli sono invece definiti Figura 5.2: Classificazione dei composti inorganici.
tradizionalmente anidridi o ossidi acidi, perché per reazione con acqua formano acidi
(o acidi ossigenati). Gli ossidi formati con semimetalli hanno comportamento anfotero:
reagendo con acqua possono formare sia acidi che basi.

5.4.1 Ossidi (ossidi basici)


Il nome dei composti binari tra metallo e ossigeno (ossidi basici) si ottiene anteponendo
la dicitura “ossido di...” al nome del metallo. Quando il metallo presenta più stati di
ossidazione si aggiunge il suffisso –oso quando il n.o. è il più basso o il suffisso –ico
quando il n.o. è il più elevato.

Ossidi Metallici
Formula Nomenclatura IUPAC Nomenclatura tradizionale
Inorganica

Na2 O Monossido di disodio Ossido di sodio


MgO Monossido di magnesio Ossido di magnesio
Fe2 O3 Triossido di diferro Ossido ferrico
FeO Monossido di ferro Ossido ferroso
CrO Monossido di cromo Ossido cromoso
Cr2 O3 Triossido di dicromo Ossido cromico
Cu2 O Monossido di dirame Ossido rameoso
CuO Monossido di rame Ossido rameico
Tabella 5.9: Ossidi metallici.

5.4.2 Anidridi (ossidi acidi)


Tutti i composti binari formati da un non metallo ed ossigeno prendono tradizional-
mente il nome di anidridi.
Il nome si ottiene anteponendo la dicitura “anidride” al nome del non metallo.
Quando il non metallo presenta due valenze, si aggiunge al nome del non metallo il
Chimica 841

suffisso –oso quando il suo n.o. è il più basso ed il suffisso –ico quando il suo n.o. è il
più elevato.
Alcuni non metalli, tuttavia, presentano più di due n.o.; in questo caso è necessario
distinguere i vari composti che si possono formare impiegando la seguente dicitura al
crescere del numero di ossidazione:

con il n.o. più basso si impiega il prefisso ipo- seguito dal nome del non metallo
e dal suffisso –osa;

con i due n.o. successivi si impiega il nome del non metallo recante i suffissi –osa
e –ica;

con il n.o. massimo si impiega il prefisso per- seguito dal nome del non metallo
e dal suffisso -ica.

Anidridi
Formula Nomenclatura IUPAC Nomenclatura tradizionale
CO Monossido di carbonio Anidride carboniosa
CO2 Diossido di carbonio Anidride carbonica
SO2 Diossido di zolfo Anidride solforosa
SO3 Triossido di zolfo Anidride solforica
Cl2 O Monossido di dicloro Anidride ipoclorosa
Cl2 O3 Triossido di dicloro Anidride clorosa
Cl2 O5 Pentossido di dicloro Anidride clorica
Cl2 O7 Eptossido di dicloro Anidride perclorica
Tabella 5.10: Anidridi.

5.4.3 Acidi ossigenati


Si ottengono per reazione tra anidridi (ossidi acidi) ed acqua. Il nome si ottiene antepo-
nendo la dicitura “acido” al nome del non metallo. Come nel caso precedente, quando

Chimica
il non metallo presenta più stati di ossidazione, si aggiunge al nome del non metallo i
suffissi –oso ed –ico ed i prefissi ipo- e per-.

Acidi ossigenati
Formula Nomenclatura IUPAC Nomenclatura tradizionale
H2 CO3 Acido triossocarbonico (IV) Acido carbonico
HNO2 Acido diossonitrico (III) Acido nitroso
HNO3 Acido triossonitrico (V) Acido nitrico
H2 SO3 Acido triossosolforico (IV) Acido solforoso
H2 SO4 Acido tetraossosolforico (VI) Acido solforico
HClO Acido ossoclorico (I) Acido ipocloroso
HClO2 Acido diossoclorico (III) Acido cloroso
HClO3 Acido triossoclorico (V) Acido clorico
HClO4 Acido tetraossoclorico (VII) Acido perclorico
Tabella 5.11: Acidi ossigenati.
842 Fondamenti di chimica inorganica

Alcuni non metalli dei gruppi IV A e V A (P, As, Sb, B, Si) possono formare acidi
mediante addizione di un numero variabile di molecole d’acqua, fino ad un massimo di
tre. È quindi fondamentale distinguere che grado di idratazione presenta il composto
in questione. Si impiegano quindi tre differenti prefissi: meta-, piro- e orto- quando
si addizionano rispettivamente una, due o tre molecole d’acqua.

Acidi ossigenati
Composto Formula Nomenclatura Nomenclatura
di partenza IUPAC tradizionale
P2 O 3 + H 2 O H2 P2 O4 = HPO2 Acido diossofosforico (III) Acido metafosforoso
P2 O3 + 2H2 O H4 P2 O5 Acido pentaossofosforico (III) Acido pirofosforoso
P2 O3 + 3H2 O H6 P2 O6 = H3 PO3 Acido triossofosforico (III) Acido ortofosforoso
P2 O 5 + H 2 O H2 P2 O6 = HPO3 Acido triossofosforico (V) Acido metafosforico
P2 O5 + 2H2 O H4 P2 O7 Acido eptaossofosforico (V) Acido pirofosforico
P2 O5 + 3H2 O H6 P2 O8 = H3 PO4 Acido tetraossofosforico (V) Acido ortofosforico

Tabella 5.12: Acidi ossigenati che possono formarsi per addizione di un numero variabile di molecole
d’acqua.

L’acido ortofosforico è comunemente indicato con il nome abbreviato di acido fosforico.

5.4.4 Idrossidi
Si ottengono per reazione tra gli ossidi propriamente detti (ossidi basici) e l’acqua. Il
nome si ottiene anteponendo la dicitura “idrossido di..” al nome del metallo. Come
nel caso precedente, quando il metallo presenta più di una valenza si aggiunge al nome
del metallo il suffisso –oso quando il n.o. è il più basso ed il suffisso –ico quando il
n.o. è il più elevato.

Idrossidi
Inorganica

Formula Nomenclatura IUPAC Nomenclatura tradizionale


Mg(OH)2 Diidrossido di magnesio Idrossido di magnesio
Ca(OH)2 Diidrossido di calcio Idrossido di calcio
Al(OH)3 Tridrossido di alluminio Idrossido di alluminio
Fe(OH)2 Diidrossido di ferro Idrossido ferroso
Fe(OH)3 Triidrossido di ferro Idrossido ferrico
Tabella 5.13: Idrossidi.

5.4.5 Idracidi
Per la costruzione del nome è sufficiente anteporre il suffisso acido al nome del non
metallo seguito dal suffisso –idrico.

5.4.6 Idruri
Il nome si ottiene come per gli ossidi, ovvero anteponendo la dicitura “idruro di”
al nome dell’elemento X associato all’idrogeno. Quando l’elemento X presenta più
Chimica 843

Idracidi
Formula Nomenclatura IUPAC Nomenclatura tradizionale
HF Fluoruro di idrogeno Acido fluoridrico
HCl Cloruro di idrogeno Acido cloridrico
HBr Bromuro di idrogeno Acido bromidrico
HI Ioduro di idrogeno Acido iodidrico
H2 S Solfuro di diidrogeno Acido solfidrico
HCN Cianuro di idrogeno Acido cianidrico
Tabella 5.14: Idracidi.

valenze è necessario impiegare i suffissi –oso ed –ico per distinguere i vari composti.
Alcuni idruri covalenti (quelli in cui l’elemento associato all’idrogeno non è un metallo),
hanno nomenclatura tradizionale caratteristica che si discosta dalle regole generali. Ad
esempio, il triidruro di azoto è noto con il nome di ammoniaca.
Idruri
Formula Nomenclatura IUPAC Nomenclatura tradizionale
AlH3 Triidruro di alluminio Idruro di alluminio
FeH3 Triidruro di ferro Idruro ferrico
FeH2 Diidruro di ferro Idruro ferroso
LiH Idruro di litio Idruro di litio
NaH Idruro di sodio Idruro di sodio
CaH2 Diidruro di calcio Idruro di calcio
NH3 Triidruro di azoto Ammoniaca
AsH3 Triidruro di arsenico Arsina
Tabella 5.15: Idruri.

5.4.7 Sali
Il nome è ottenuto indicando per prima l’anione e di seguito catione.

Per la nomenclatura dell’anione si segue la seguente convenzione: Chimica


Acido di partenza –oso −→ anione con suffisso –ito.
Acido di partenza –ico −→ anione con suffisso –ato.

Acido di partenza –idrico −→ anione con suffisso –uro.


Gli eventuali prefissi per- e ipo- sono conservati.

5.4.8 Alcuni nomi tradizionali di uso corrente


Alcuni composti presentano dei nomi tradizionali che non hanno alcuna attinenza con
la loro struttura chimica, tuttavia essendo ancora ampiamente impiegati vale la pena
memorizzarli:
844 Fondamenti di chimica inorganica
Sali
Formula Nomenclatura IUPAC Nomenclatura tradizionale
CaCO3 Triossocarbonato (IV) di calcio Carbonato di calcio
FeCO3 Triossocarbonato (IV) di ferro (II) Carbonato ferroso
Fe2 (CO3 )3 Triossocarbonato (IV) di diferro (III) Carbonato ferrico
NaClO Ossoclorato (I) di sodio Ipoclorito di sodio
KClO2 Diossoclorato (III) di potassio Clorito di potassio
KClO3 Triossoclorato (V) di potassio Clorato di potassio
KClO4 Tatraossoclorato (VII) di potassio Perclorato di potassio
Sn(BrO)2 Ossobromato (I) di stagno (II) Ipobromito stannoso
Sn(BrO4 )4 Tetraossobromato (VII) di stagno (IV) Perbromato stannico
Na2 SO3 Triossosolfato (IV) di disodio Solfito di sodio
AlPO4 Tetraossofosfato (V) di alluminio Fosfato di alluminio

Tabella 5.16: Sali.

Formula Nomenclatura tradizionale


H2 O2 Acqua ossigenata
NaClO Candeggina
NH3 Ammoniaca
N2 H4 Idrazina
PH3 Fosfina
SiH4 Silano
BH3 Borano
Tabella 5.17: Nomi tradizionali di uso corrente.

5.5 Proprietà degli elementi e dei composti dei gruppi principali


5.5.1 Idrogeno
È l’elemento più semplice e presenta configurazione 1s1 ; è il primo elemento per ab-
bondanza nell’universo e il nono sulla crosta terrestre, dove è presente principalmente
nell’acqua e nei combustibili fossili.
Inorganica

A temperatura ambiente l’idrogeno elementare (H2 ) è un gas esplosivo e reagisce


con i metalli per formare idruri metallici.
Si produce attraverso il processo di reforming catalitico a partire dagli idrocarburi
con l’impiego di vapore d’acqua secondo la seguente reazione:

CH4(g) + H2 O(g) −→ 3H2(g) + CO(g) .

In laboratorio può essere ottenuto attraverso le seguenti reazioni:

Metallo + Acido → Sale+H2(g) (Mg(s) +2HBr → MgBr2(aq) +H2(g) )


Metallo + Acqua → Idrossido+H2(g) (2Na(s) +2H2 O → 2NaOH(aq) +H2(g) )
Idruro metallico + Acqua → Idrossido+H2(g) (CaH2(s) +2H2 O → Ca(OH)2(s) +2H2(g) ).

L’idrogeno è impiegato industrialmente nella produzione di ammoniaca (Processo Ha-


Chimica 845

ber) e di metanolo e nelle reazioni di idrogenazione catalitica (vedi capitolo 11).

Sintesi ammoniaca: N2(g) + 3H2(g) −→ 2NH3(g)


Sintesi metanolo: 2H2(g) + CO(g) −→ CH3 OH(l) .

5.5.2 Sodio e Potassio


Tutti i metalli del gruppo 1A sono estremamente reattivi nei confronti di ossigeno,
acqua e agenti ossidanti. Gli elementi del gruppo 1A presentano n.o. +1 e sono carat-
terizzati da punti di fusione piuttosto bassi. I loro composti sono molto solubili in acqua.
Gli ossidi dei metalli alcalini (M2 O) reagiscono con acqua per formare i corrispondenti
idrossidi (MOH).
Il potassio è uno dei tre costituenti principali dei fertilizzanti (assieme ad azoto e
fosforo).
Il sodio e il potassio sono alla base di molte funzioni biologiche e sono pertanto
necessari nell’alimentazione umana. Essi vengono prodotti mediante l’elettrolisi dei
carbonati fusi (Na2 CO3 e K2 CO3 ).
L’elettrolisi del cloruro di sodio in soluzione acquosa è impiegata per la produzione
di cloro (Cl2 ) e idrossido di sodio (NaOH) secondo la seguente reazione:

2NaCl(aq) + 2H2 O(l) −→ 2NaOH(aq) + H2(g) + Cl2(g) .

Nella nomenclatura tradizionale si definisce soda il carbonato di sodio (Na2 CO3 ),


si definisce soda caustica l’idrossido di sodio (NaOH), si definisce bicarbonato
l’idrogenocarbonato di sodio (NaHCO3 ).

5.5.3 Calcio e Magnesio


I sali dei metalli del gruppo 2A presentano punti di fusione piuttosto elevati grazie alle
forze attrattive che si instaurano tra il catione metallico M2+ e gli anioni che costituisco-
no il sale. A differenza dei composti dei metalli alcalini, la maggioranza dei composti

Chimica
dei metalli alcalino terrosi è poco solubile in acqua. Ad eccezione del berillio tutti i
metalli alcalino terrosi reagiscono con l’acqua per formare i corrispondenti idrossidi
metallici M(OH)2 . Con gli acidi reagiscono generando idrogeno ed il sale metallico.
Sono i costituenti di molti minerali tra i quali ricordiamo:

la calcite (CaCO3 );

il gesso (CaSO4 · 2H2 O);

il talco (3MgO · 4SiO2 · H2 O);

l’amianto (3MgO · 4SiO2 · 2H2 O).

Si noti l’apparente somiglianza tra il talco e l’amianto. Pur avendo formule brute simili,
il loro comportamento è drasticamente diverso a causa della differente struttura dei loro
cristalli.
846 Fondamenti di chimica inorganica

Il processo di decomposizione termica di CaCO3 ad ossido di calcio (CaO) prende il nome di


calcinazione. L’ossido di calcio (o più semplicemente calce) è stato a lungo impiegato come
malta in edilizia. La calce viene oggi impiegata nei processi di produzione degli acciai; la calce,
detta anche calce viva, reagisce con l’acqua per produrre il corrispondente idrossido di calcio
(Ca(OH)2 ), denominato calce spenta.

La durezza dell’acqua è un parametro che indica la concentrazione degli ioni (soli-


tamente Ca2+ e Mg2+ ) presenti in acqua.

5.5.4 Alluminio
L’alluminio è il terzo elemento più abbondante nella crosta terrestre. È un elemento che
tende ad ossidarsi facilmente ed è poco resistente. Ciò che viene comunemente definito
“alluminio” è in realtà una lega di alluminio con altri metalli che lo irrobustiscono e
ne migliorano le proprietà.
L’alluminio si ottiene mediante l’elettrolisi della bauxite, un ossido di alluminio
idrato (Al2 O3 · nH2 O).
I sali di alluminio solitamente si sciolgono in acqua, l’alluminio metallico, invece, si
scioglie facilmente in HCl.

5.5.5 Silicio
È il secondo elemento più abbondante della crosta terrestre ed è il costituente principale
di: vetro, porcellane, chip per computer e celle solari.
Il diossido di silicio (SiO2 ), o più semplicemente silice, è un solido cristallino ad alto
punto di fusione. La silice è resistente all’attacco degli acidi con l’eccezione di HF.
Il silicio è presente in molti minerali ed è il costituente principale delle argille; esso
può formare polimeri detti siliconi che trovano applicazione come agenti antiaderenti e
lubrificanti.
Inorganica

5.5.6 Azoto e Fosforo


L’azoto è il componente principale dell’atmosfera di cui costituisce circa il 78%. Esso
è presente in tutti gli stati di ossidazione compresi tra −5 e +3. Il fosforo elementare
è invece un solido che può esistere in varie forme allotropiche.

Definiamo allotropi forme differenti dello stesso elemento che esistono nello stesso
stato fisico alle stesse condizioni di pressione e temperatura.

Il fosforo (P) è presente nei fosfolipidi, l’azoto (N) è presente nelle proteine ed entrambi
costituiscono gli acidi nucleici (DNA e RNA).
L’impiego principale di azoto e fosforo si ha nei fertilizzanti. Questi elementi sono
alla base di un gran numero di composti di interesse industriale quali: acido fosforico,
ammoniaca, acido nitrico e nitrati di sodio e potassio.
Chimica 847

L’acido nitrico (HNO3 ) è un potente agente ossidante ed è in grado di attaccare quasi tutti
i metalli. Esistono però almeno 4 metalli che non vengono attaccati dall’acido nitrico: oro,
platino, rodio e iridio (Au, Pt, Rh, Ir). Questi metalli sono conosciuti con il nome di metalli
nobili. Essi possono essere aggrediti dalla miscela di HCl : HNO3 (3 : 1) conosciuta col nome
di acqua regia (o acido nitroclorico o acido nitromuriatico). La miscela HCl : HNO3
(3:1) ha la caratteristica di essere ossidante e complessante allo stesso tempo ed è quindi in
grado di ossidare e portare in soluzione anche i metalli nobili.

5.5.7 Ossigeno e Zolfo


L’ossigeno è l’elemento più abbondante della crosta terrestre. Esso è presente nell’at-
mosfera (21%), nell’acqua ed in molti minerali.
Lo zolfo invece è molto meno abbondante e si trova prevalentemente nel gas naturale,
nel petrolio ed in molti minerali tra cui vale la pena ricordare:

cinabro (HgS);

galena (PbS);

pirite (FeS2 ).

L’ossigeno si ottiene mediante distillazione frazionata dell’aria o alternativamente me-


diante elettrolisi dell’acqua. L’ossigeno molecolare esiste in due forme allotropiche: O2
ed O3 (ozono).
Lo zolfo è l’elemento che presenta più forme allotropiche in assoluto, anche se la
forma più stabile è S8 .

5.5.8 Cloro
È l’elemento più diffuso del gruppo degli alogeni, ha proprietà sbiancanti e disinfettanti.
Il cloro si produce mediante l’elettrolisi della salamoia (soluzione satura di NaCl) ed
è impiegato nella produzione di molti composti organici tra i quali: farmaci, plastiche

Chimica
(PVC, polivinil cloruro) e pesticidi.
Tra i suoi composti più importanti ricordiamo:

acido cloridrico HCl;

ipoclorito di sodio NaClO.

Il cloro in acqua va incontro ad una reazione di dismutazione (o disproporziona-


mento, vedi capitolo 6). Sciogliendo il cloro in acqua esso in parte si riduce a ione
cloruro ed in parte si ossida ad ipoclorito secondo la seguente reazione:

Cl2(g) + 2H2 O(l)  H3 O+
(l) + HClO(aq) + Cl(aq) .
848 Fondamenti di chimica inorganica

5.6 Principali proprietà degli elementi di transizione


Gli elementi di transizione sono anche conosciuti con il nome di elementi del blocco
d , in quanto la loro comparsa nella tavola periodica coincide con il riempimento degli
orbitali d.
Essendo metalli sono: duttili, malleabili, lucenti e caratterizzati da buona conduci-
bilità termica ed elettrica. Sono tutti solidi a temperatura ambiente ad eccezione del
mercurio (Hg) che è un liquido. I metalli con i punti di fusione più alti si trovano nella
parte centrale di ciascuna serie.
Gli elementi del blocco d comprendono metalli impiegati nelle costruzioni (Ferro),
metalli preziosi (Oro, Argento, Platino), metalli impiegati nella produzione di monete
(Nichel), metalli impiegati nei materiali innovativi (Titanio). Tra gli elementi del blocco
d è presente l’elemento più denso in natura (Osmio, ρ = 22,6 g/cm3 ) e quello con più
alto punto di fusione (Tungsteno p.f. 3410 ◦ C).
Gli elementi di transizione possono assumere diversi n.o. anche se i più frequenti
sono +2 e +3. Tendono facilmente ad ossidarsi perdendo gli elettroni dell’orbitale s più
esterno e generano di conseguenza cationi.
I composti dei metalli di transizione spesso hanno elettroni non accoppiati e sono quindi
caratterizzati da un comportamento paramagnetico (sono attratti da magneti). I me-
talli Ferro, Cobalto e Nichel sono ferromagnetici in quanto, una volta magnetizzati,
mantengono la magnetizzazione nel tempo.
Molti composti dei metalli di transizione sono colorati e sono quindi impiegati nella
produzione di vernici.

5.7 Quesiti

1) L’idrogeno ha come possibili numeri di D 0


ossidazione:
E +2
A solo +1
4) La reazione delle anidridi con l’acqua
B 0 e +1 genera:
C 0, +1 e −1
A gli idrossidi
Inorganica

D solo −1
B gli ossiacidi
E +1 e −1
C gli ossidi
2) Sono sali binari: D gli idracidi
A NaCl, HCl, K2 S E gli idruri
B CaBr2 , LiBr, CaF2
5) Nella nomenclatura tradizionale, i pre-
C CaSO4 , NaCl, K2 S fissi meta-, piro- e orto- presenti nel
nome di alcuni acidi, indicano:
D LiBr, CaF2 , NaNO3
E H2 O, KCl, LiBr A il diverso numero di ossidazione del non
metallo presente in combinazione con
3) Nella molecola H2 O2 , l’ossigeno ha l’ossigeno
numero di ossidazione: B il diverso numero di ossidazione del
A −2 metallo presente in combinazione con
l’ossigeno
B −1
C il diverso numero di idrogeni acidi
C +1 presenti
Chimica 849

D il diverso numero di molecole d’ac- A ossido ipomanganoso


qua che, combinandosi con una stessa
anidride, forma diversi acidi B anidride permanganica
E il diverso numero di molecole di una C ossido di manganese
stessa anidride che, combinandosi con
una molecola d’acqua, forma diversi D eptossido di dimanganese
acidi
E ossido manganoso
6) Secondo la nomenclatura di Stock, CO2
si chiama:
9) Nel composto OF2 l’ossigeno ha numero
A ossido di carbonio di ossidazione:
B anidride carbonica
A −2
C diossido di carbonio
D ossido di carbonio (IV) B +2

E anidride carboniosa C +1
7) Sapendo che il rame può formare i D 0
due ossidi CuO e Cu2 O, questi possono
essere chiamati rispettivamente: E −1
A ossido rameoso e ossido rameico
10) In quale serie di composti l’idrogeno ha
B ossido rameico e ossido rameoso numero di ossidazione crescente?
C anidride rameica e anidride rameosa
D anidride rameosa e anidride rameica A H2 , HBr, H2 O

E ossido di rame (I) e ossido di rame (II) B HBr, LiH, H2 O


8) Sapendo che il manganese forma 4 ti- C KH, HCl, H2
pi di ossidi in cui ha stato di ossidazio-
ne +2, +4, +6 e +7, il composto Mn2 O7 D CaH2 , H2 , H2 O
secondo la nomenclatura tradizionale si
chiama: E HI, HCl, LiH

5.8 Soluzioni commentate ai quesiti


1) C . L’idrogeno, quando è in forma di molecola biatomica H2 , ha numero di ossida-
zione uguale a 0 (non c’è differenza di elettronegatività tra i due atomi), nelle altre

Chimica
molecole ha numero di ossidazione pari a +1 quando è legato ad un non metallo, e
−1 quando è legato ad un metallo.

2) B . I sali sono composti formati da un anione (ione negativo) e da un catione (ione


positivo). Sono detti binari i sali costituiti da soli due tipi di elementi, quindi si ha
un catione metallico ed un anione costituito da un non metallo.

3) B . Nei perossidi l’ossigeno si trova legato ad un atomo di idrogeno ed uno di


ossigeno. Ad esempio H2 O2 ha struttura H–O–O–H, e corrisponde al perossido
d’idrogeno detto anche acqua ossigenata. Na2 O2 invece corrisponde al perossido di
sodio. In tali composti l’ossigeno ha numero di ossidazione −1.

4) B . Le anidridi sono composti formati da non metalli ed ossigeno. Tali composti,


reagendo con l’acqua, formano gli acidi ossigenati (o ossiacidi).

5) D . Gli acidi ossigenati (o ossiacidi) derivano dall’idratazione di un’anidride. Al-


cune anidridi però possono idratarsi con un numero variabile di molecole d’acqua
850 Fondamenti di chimica inorganica

e quindi possono generare diversi acidi a seconda del numero di molecole d’acqua
incorporate. Per distinguere questi composti nella nomenclatura tradizionale si uti-
lizzano i prefissi meta-, piro- e orto- che indicano rispettivamente la combinazione
tra una molecola di anidride e 1, 2 o 3 molecole di acqua. Questo comportamento
è tipico delle anidridi di fosforo, arsenico, antimonio, silicio e boro.

6) D . CO2 corrisponde alla molecola che nella nomenclatura tradizionale è chiamata


anidride carbonica, e secondo la IUPAC è il diossido di carbonio. La nomenclatura
di Stock invece prevede per questa molecola il nome ossido di carbonio (IV), in cui
il numero romano tra parentesi indica lo stato di ossidazione del carbonio.

7) B . I composti presentati nel quesito (CuO e Cu2 O) sono innanzitutto degli ossi-
di basici (non ossidi acidi, cioè anidridi). Secondo la nomenclatura tradizionale il
primo corrisponde all’ossido rameico, poiché il rame ha numero di ossidazione +2,
mentre il secondo all’ossido rameoso, in cui il rame è nello stato di ossidazione +1.
Infatti, quando esistono due possibili stati di ossidazione, si usa il suffisso –ico per
il maggiore e –oso per il minore. Se invece si volesse utilizzare la notazione di Stock,
si dovrebbero chiamare ossido di rame (II) e ossido di rame (I), indicando cioè tra
parentesi in numeri romani lo stato di ossidazione del rame nel composto.

8) B . Nel composto Mn2 O7 il manganese ha stato di ossidazione +7, cioè il maggiore


dei possibili numeri di ossidazione. In tali casi la nomenclatura tradizionale prevede
l’uso del prefisso per- e del suffisso –ica. Attenzione: pur essendo il manganese un
metallo, quando presenta uno stato di ossidazione alto forma degli ossidi a carattere
acido anziché basico.
9) B . Il fluoro è l’elemento più elettronegativo della tavola periodica, per cui legato
all’ossigeno ha numero di ossidazione −1, cioè gli elettroni di legame vengono for-
malmente attribuiti al fluoro. Come conseguenza l’ossigeno nel composto ha numero
di ossidazione +2.

10) D . Quando l’idrogeno si trova combinato ad un metallo ha numero di ossidazione


−1; legato con un altro atomo di idrogeno ha stato di ossidazione 0; in tutti i casi
Inorganica

in cui si trova legato ad un non metallo presenta numero di ossidazione +1.


Le reazioni chimiche
6
“L’incontro di due personalità è come il contatto di due sostanze chimiche: si produce
una reazione cosı̀ che entrambe ne saranno trasformate”(Karl Gustav Jung, 1875-1961)

6.1 Introduzione
La chimica è la scienza che studia le proprietà della materia e le sue trasformazioni.
In questo capitolo ci concentreremo sui principali tipi di reazioni chimiche ovvero su
quei processi che permettono di trasformare un composto di partenza (reagente) in
un composto diverso (prodotto). Comprenderemo a grandi linee come avviene una
reazione chimica e in che proporzioni dosare i vari reagenti al fine di ottenere una
quantità desiderata di prodotti.

6.2 Bilanciamento di reazioni chimiche e coefficienti stechiometrici

Per trasformazione chimica (o reazione chimica) si intende un qualsiasi processo


in cui una sostanza cambia la sua natura chimica attraverso la rottura e la formazione
di nuovi legami tra gli atomi che la costituiscono. I composti di partenza sono definiti
reagenti, i composti ottenuti al termine della reazione sono definiti prodotti.

Le reazioni in cui i reagenti si trovano in un’unica fase (ad esempio due liquidi miscibili)
sono dette omogenee, quelle in cui si trovano in più fasi (ad esempio un solido ed un
liquido) sono dette eterogenee.
Le reazioni chimiche sono rappresentate da equazioni chimiche che hanno lo
scopo di indicare: la natura dei reagenti coinvolti e dei prodotti ottenuti ed il rapporto
atomico di combinazione.
A + B −→ C + D

L’equazione chimica NON fornisce alcuna informazione sulla velocità o spontaneità di


una reazione né sul meccanismo attraverso il quale questa avviene.
Richiamiamo la Legge di conservazione della massa (o Legge di Lavoisier),
ovvero il principio per cui “durante una reazione chimica la somma delle masse dei
reagenti è equivalente alla somma delle masse dei prodotti di reazione’ ’, ovvero durante
una reazione chimica la materia non viene né creata né distrutta ma può solo subire
trasformazioni (vedi capitolo 1).

Ciò che si conserva NON è il numero totale di moli, bensı̀ la massa totale di ogni
elemento che partecipa alla reazione.
852 Le reazioni chimiche

Questo principio è fondamentale per effettuare il bilancio di massa, ovvero consente,


in prima approssimazione, di valutare quali sono le quantità dei reagenti da impiegare
per ottenere una certa quantità di prodotto.

È fondamentale determinare se la reazione in considerazione va a completezza o se è una


reazione di equilibrio. Le reazioni che vanno a completezza procedono fino all’esaurimento
completo dei reagenti (o del reagente presente in quantità minore, reagente limitante).
Diversamente, nel caso di reazioni che sottostanno ad un equilibrio, i reagenti NON si
convertono interamente nei prodotti ma una volta raggiunta una determinata concentrazione
di prodotti si instaura una reazione inversa che ostacola il procedere della reazione diretta. Nel
momento in cui la velocità della reazione inversa (Prodotti −→ Reagenti) eguaglia la velocità
della reazione diretta (Reagenti −→ Prodotti) si raggiunge la condizione di equilibrio. Per un
approfondimento si rimanda al capitolo 7.

In condizioni di equilibrio le reazioni continuano ad avvenire ma senza che si verifichi


una variazione delle concentrazioni dei reagenti e dei prodotti. Le reazioni che vanno
a completezza possono essere considerate come reazioni di equilibrio nelle quali, al
termine della reazione, la concentrazione dei prodotti è di molti ordini di grandezza
superiore a quella dei reagenti. In prima approssimazione è possibile affermare che i
reagenti di una reazione che va a completezza vengono consumati completamente.

6.2.1 Regole per il bilanciamento delle reazioni chimiche


a. Nell’equazione chimica solitamente si indicano solo i reagenti che partecipano alla
reazione trasformandosi in prodotti. I composti che rimangono inalterati e non
subiscono trasformazione chimica non vengono indicati.

b. È bene indicare lo stato di aggregazione in cui si trovano reagenti e prodotti


scrivendo come pedice tra parentesi: la lettera s se solido, l se liquido, g se gassoso,
aq se acquato (ovvero se il reagente o il prodotto è presente in soluzione acquosa
in forma idratata).

c. Legge di conservazione della carica: se tra i reagenti o i prodotti ci sono


Le reazioni

molecole cariche elettricamente, è necessario che la somma algebrica delle cariche


dei reagenti sia equivalente alla somma algebrica delle cariche dei prodotti.

d. Legge di conservazione della massa: la somma delle masse dei reagenti de-
ve necessariamente essere equivalente alla somma delle masse dei prodotti di
reazione.

e. Per soddisfare le leggi di conservazione di massa e carica, ovvero per avere lo


stesso numero di atomi di un dato elemento sia nei reagenti che nei prodotti, e la
stessa carica “globale” tra reagenti e prodotti, si impiegano i cosiddetti coeffi-
cienti stechiometrici. Essi stabiliscono i rapporti con i quali reagenti e prodotti
scompaiono e si formano.

f. Tutti i coefficienti devono essere scritti utilizzando il coefficiente intero più basso,
per convenzione il coefficiente 1 non viene indicato. Da un punto di vista concet-
tuale i coefficienti frazionari andrebbero evitati (ad esempio 1/2), in quanto, nella
realtà, non esistono frazioni di molecole ma solo molecole intere (non posso avere
Chimica 853

mezza molecola d’acqua). Tuttavia alcuni testi considerano i coefficienti stechio-


metrici come rapporti tra moli e quindi li esprimono anche con valore frazionario.
Mezza mole equivale ad un numero di molecole pari alla metà del numero di
Avogadro ed è quindi una condizione fisicamente possibile.

Esempi di bilanciamento

1) N2 O5(g) + H2 O(l) −→ HNO3(l)

La reazione non presenta molecole cariche: la legge di conservazione della carica è rispet-
tata.
Osserviamo che per ogni molecola di N2 O5 sono presenti 2 atomi di N pertanto, al fine di
rispettare la legge di conservazione della massa, dovremo avere lo stesso numero di atomi
di azoto anche nei prodotti: metteremo il coefficiente stechiometrico 2 davanti ad HNO3 .

N2 O5(g) + H2 O(l) −→ 2HNO3(l)

Verifichiamo il rispetto della legge di conservazione della massa per gli altri elementi. Ci
sono 6 atomi di ossigeno sia tra i reagenti che tra i prodotti, ci sono due atomi di idrogeno
sia tra i reagenti che tra i prodotti.
La reazione è bilanciata.
2) Fe(s) + O2(g) −→ Fe2 O3(s)

La reazione non presenta molecole cariche: la legge di conservazione della carica è rispet-
tata.
Per il bilancio di massa osserviamo che ogni due atomi di O se ne formano tre. Aggiun-
giamo i coefficienti stechiometrici in modo da avere lo stesso minimo comune multiplo
riferito all’ossigeno, ovvero aggiungiamo il coefficiente 3 davanti ad O2 ed il coefficiente
2 davanti a Fe2 O3 .
Fe(s) + 3O2(g) −→ 2Fe2 O3(s)
Verifichiamo il bilancio di massa per il ferro: osserviamo che tra i prodotti si formano
quattro atomi di Fe mentre tra i reagenti ne è presente uno solo. Per rispettare il bilancio
di massa aggiungeremo tra i reagenti il coefficiente stechiometrico 4 davanti al Fe.
4Fe(s) + 3O2(g) −→ 2Fe2 O3(s) Chimica
La reazione è bilanciata.
3) Pb(NO3 )2(aq) + K2 CrO4(aq) −→ PbCrO4(s) + KNO3(aq)

La reazione non presenta molecole cariche: la legge di conservazione della carica è


rispettata.
Osserviamo che il Pb e il Cr presentano lo stesso numero di atomi tra i reagenti ed i
prodotti. Osserviamo invece che tra i reagenti sono presenti 2 atomi di K mentre tra
i prodotti è presente solo un atomo di K. Aggiungiamo il coefficiente stechiometrico 2
davanti a KNO3

Pb(NO3 )2(aq) + K2 CrO4(aq) −→ PbCrO4(s) + 2KNO3(aq)

Verifichiamo il bilancio di massa per l’ossigeno (10 atomi tra i reagenti e 10 atomi tra i
prodotti): la reazione è bilanciata.
854 Le reazioni chimiche

4) Cu(s) + Ag+ 2+
(aq) −→ Cu(aq) + Ag(s)

Dall’equazione chimica osserviamo che la carica NON è bilanciata, tra i reagenti infatti è
presente una sola carica positiva (Ag+ ) mentre tra i prodotti ne abbiamo due (Cu2+ ). Per
rispettare la legge di conservazione della carica, aggiungiamo il coefficiente stechiometrico
2 davanti ad Ag+ .
Cu(s) + 2Ag+ 2+
(aq) −→ Cu(aq) + Ag(s)

Verifichiamo quindi il bilancio di massa per l’argento. Osserviamo che per ogni due atomi
di argento Ag+ se ne forma uno solo. Aggiungiamo quindi il coefficiente stechiometrico
2 davanti all’Ag presente nei prodotti.

Cu(s) + 2Ag+ 2+
(aq) −→ Cu(aq) + 2Ag(s)

Una volta verificato che la reazione rispetta la legge di conservazione della massa anche
per gli altri elementi, possiamo affermare che la reazione è bilanciata. Questa reazione
è formalmente una redox, si consiglia come regola generale di utilizzare il metodo di
bilanciamento specifico per le reazioni redox che vedremo in seguito.

5) C3 H8(g) + O2(g) −→ CO2(g) + H2 O

La reazione non presenta molecole cariche: la legge di conservazione della carica è rispet-
tata.
Bilanciamo innanzitutto gli atomi di carbonio aggiungendo il coefficiente stechiometrico
3 davanti a CO2 .
C3 H8(g) + O2(g) −→ 3CO2(g) + H2 O
Bilanciamo gli atomi di idrogeno impiegando il coefficiente stechiometrico 4 davanti ad
H2 O
C3 H8(g) + O2(g) −→ 3CO2(g) + 4H2 O
Bilanciamo infine l’ossigeno impiegando il coefficiente 5 davanti ad O2 .

C3 H8(g) + 5O2(g) −→ 3CO2(g) + 4H2 O

Verifichiamo il rispetto della legge di conservazione della massa per tutti gli elementi.
Le reazioni

L’equazione mostra sia tra i reagenti che tra i prodotti 3 atomi di C, 10 atomi di O e 8
atomi di H: la reazione è bilanciata.

Ricordando che il peso molecolare coincide con il peso in grammi di una mole di so-
stanza, i coefficienti stechiometrici consentono di determinare le quantità in grammi
dei reagenti (che si combinano tra loro) e dei prodotti (che si generano) durante una
reazione chimica.
Per effettuare un qualsiasi tipo di valutazione quantitativa è quindi fon-
damentale essere in presenza di un’equazione chimica bilanciata mediante
i coefficienti stechiometrici. Un’equazione chimica non bilanciata non rispetta i
principi di conservazione ed è pertanto formalmente scorretta: sarebbe come scrivere
un’uguaglianza matematica del tipo 2 = 5.

La reazione chimica bilanciata, oltre a rappresentare il rapporto tra moli, unità elementari o
masse, può essere letta anche come rapporto tra volumi di gas.
Chimica 855

6.3 Principali tipi di reazioni chimiche


Esistono innumerevoli tipi di reazioni chimiche tuttavia, in base ad alcuni aspetti
caratteristici, esse possono essere suddivise nei seguenti gruppi principali.
6.3.1 Reazioni di scambio
È un gruppo di reazioni caratterizzate dallo scambio di elementi tra due composti.
Sono generalmente definite di scambio semplice (o sostituzione) quando gli atomi
di un solo elemento sostituiscono gli atomi di un altro elemento in un composto. Sono
definite reazioni di doppio scambio quando riguardano lo scambio di più elementi tra
due composti.
Reazione di scambio semplice: A + B + C − −→ A+ C − + B
Fe + 2HBr −→ FeBr2 + H2

Reazione di doppio scambio: A+ B − + C + D− −→ A+ D− + C + B −

KBr(aq) + AgNO3(aq) −→ KNO3(aq) + AgBr(s)


Na2 CO3(aq) + Mn(NO3 )2(aq) −→ 2NaNO3(aq) + MnCO3(s)

6.3.2 Reazioni acido-base (o di neutralizzazione)


Appartengono a questa classe tutte le trasformazioni chimiche in cui si ha la reazione
tra un acido forte e una base forte per ottenere come prodotti sale ed acqua.
HBr(aq) + KOH(aq) −→ KBr(aq) + H2 O(l)
H2 SO4(aq) + Mg(OH)2(aq) −→ MgSO4(aq) + 2H2 O(l)
2HCl(aq) + Ca(OH)2(aq) −→ CaCl2(aq) + 2H2 O(l)

Questo tipo di reazioni sono formalmente reazioni di doppio scambio.

6.3.3 Reazioni di decomposizione


Tutte le reazioni che provocano una scissione di un unico reagente in due o più composti. Chimica
CaCO3(s) −→ CaO(s) + CO2(g)
BaCO3(s) −→ BaO(s) + CO2(g)

6.3.4 Reazioni di dissociazione


Tutte le reazioni in cui un composto ionico di dissocia sviluppando ioni.
CaBr2 −→ Ca2+ + 2Br−

6.3.5 Reazioni di ionizzazione


Reazioni in cui un composto molecolare si dissocia in acqua formando ioni.
HBr(aq) + H2 O(l) −→ Br− +
(aq) + H3 O(aq)

H3 PO4(aq) + 2H2 O(l) −→ HPO2− +


4(aq) + 2H3 O(aq)
856 Le reazioni chimiche

6.3.6 Reazioni di ossidoriduzione (o redox)


Tutte le reazioni che coinvolgono un trasferimento di elettroni tra atomi. Gli elettroni
passano da una sostanza definita riducente ad una definita ossidante. Il riducente si
ossida, l’ossidante si riduce.

H2(g) + CuO(s) −→ Cu(s) + H2 O(l)


2K(s) + 2H2 O(l) −→ 2KOH(aq) + H2(g)

6.3.7 Reazioni di combustione


Fanno parte di questa categoria tutte le reazioni in cui un combustibile viene ossidato
da un comburente con sviluppo di calore. Si tratta sostanzialmente di reazioni redox
in cui l’ossigeno è l’ossidante. Per definizione tutte le reazioni di combustione sono
esotermiche (sviluppano calore).

C3 H8(g) + 5O2(g) −→ 3CO2(g) + 4H2 O(l)


C6 H12 O6(s) + 6O2(g) −→ 6CO2(g) + 6H2 O(l)

6.3.8 Reazioni di precipitazione


Fanno parte di questo gruppo tutte le reazioni che formano un prodotto insolubile in
acqua definito precipitato. Queste reazioni sono solitamente di doppio scambio.

Pb(NO3 )2(aq) + 2KI(aq) −→ PbI2(s) + 2KNO3(aq)


CdCl2(aq) + 2NaOH(aq) −→ Cd(OH)2(s) + 2NaCl(aq)

6.3.9 Reazioni con formazione di gas


Fanno parte di questo gruppo tutte le reazioni che sviluppano gas.

NiCO3(s) + H2 SO4(aq) −→ NiSO4(aq) + CO2(g) + H2 O(l)


Le reazioni

La reazione tra carbonati metallici e acidi porta sempre alla formazione di un sale
ed acido carbonico. L’acido carbonico in soluzione acquosa sviluppa spontaneamente
CO2(g).
MgCO3(s) + 2HBr(aq) −→ MgBr2(aq) + H2 CO3(aq)
H2 CO3(aq) −→ CO2(g) + H2 O

Molte reazioni chimiche possono appartenere a più gruppi (sia le reazioni acido-base
che quelle di precipitazione sono anche reazioni di doppio scambio; le reazioni di
combustione sono anche reazioni redox), si sceglie quindi la classificazione in base
all’aspetto della reazione che si vuole evidenziare.

6.4 Regole per il bilanciamento di reazioni redox


Nelle reazioni di ossidoriduzione (redox), oltre a garantire contemporaneamente il
bilancio di massa e quello di carica, è fondamentale considerare il principio di elettro-
Chimica 857

neutralità, ovvero il principio secondo il quale il numero di elettroni ceduti dal ridu-
cente è equivalente al numero di elettroni acquisiti dall’ossidante. In una reazione redox
non vi può essere creazione o distruzione di elettroni ma è consentito esclusivamente il
trasferimento di elettroni tra molecole.
Le reazioni redox possono essere viste come l’insieme di due semireazioni che av-
vengono contemporaneamente. Nella semireazione di ossidazione la specie chimica
riducente cede i suoi elettroni aumentando il proprio numero di ossidazione. Contem-
poraneamente nella semireazione di riduzione la specie chimica ossidante acquisisce
gli elettroni rilasciati dal riducente diminuendo il proprio numero di ossidazione.

Semireazione di ossidazione: A −→ An+ + ne− (A si ossida cedendo


uno o più elettroni)
Semireazione di riduzione: B + ne− −→ B n− (B si riduce acquisendo
uno o più elettroni)

La specie che si ossida (A) è detta agente riducente, in quanto induce la riduzione
dell’altra specie presente nel sistema. La specie che si riduce (B) è detta agente ossi-
dante, in quanto induce l’ossidazione dell’altra specie presente nel sistema. È chiaro
che qualsiasi reazione di ossidoriduzione avviene esclusivamente in presenza
di una coppia ossidante-riducente.

NON esistono redox in cui ci sia solo la reazione di ossidazione o solo la reazione di
riduzione: le due reazioni sono sempre accoppiate. Esistono tuttavia reazioni redox in
cui lo stesso elemento in parte si ossida ed in parte si riduce. Questo caso particolare di
ossidoriduzione prende il nome di reazione di dismutazione o disproporzionamento.

Cl2(g) + 2H2 O(l)  H3 O+
(l) + HClO(aq) + Cl(aq)

Ossidazione: Cl2 −→ 2HClO + 2e− (il n.o. del Cl passa da zero a +1)
− −
Riduzione: Cl2 + 2e −→ 2Cl (il n.o. del Cl passa da zero a −1)

6.4.1 Procedura di bilanciamento di reazioni redox con il metodo delle semireazioni Chimica
a. Si assegnano i n.o. di tutti gli atomi presenti tra i reagenti ed i prodotti.

b. Si individuano le coppie redox, ovvero si identifica l’agente ossidante (che riduce


il proprio n.o.) e l’agente riducente (che aumenta il proprio n.o.).

c. Si scrivono separatamente le due semireazioni di ossidazione e riduzione.

d. Le due semireazioni vengono bilanciate separatamente come se fossero reazioni di-


stinte in cui si considerano gli elettroni come reagenti (nella riduzione) o prodotti
(nell’ossidazione).

e. Si moltiplicano le due semireazioni per un coefficiente stechiometrico calcolato in


modo che il numero di elettroni ceduti nell’ossidazione sia equivalente al numero
di elettroni acquisiti nella riduzione (principio di elettroneutralità).
858 Le reazioni chimiche

f. Si sommano le due semireazioni, ponendo attenzione al fatto che il numero di


elettroni tra i reagenti ed i prodotti sia lo stesso in modo da poterli elidere.
g. Si verifica il bilancio di massa e di carica.
h. Quando le reazioni redox sono effettuate in ambiente acido o basico, per ottenere
il bilancio di massa e di carica è necessario utilizzare specie chimiche quali H+ ,
OH− e H2 O.

1) Cu2+ + Fe −→ Fe3+ + Cu

Si assegnano tutti i numeri di ossidazione (n.o.): Cu2+ (n.o. + 2) + Fe (n.o. 0) −→


Fe3+ (n.o. + 3) + Cu (n.o. 0).
Si identifica la specie chimica che si ossida aumentando il proprio n.o.: Fe (n.o. 0) −→
Fe3+ (n.o. + 3) e la specie chimica che si riduce diminuendo il proprio n.o.: Cu2+ (n.o. +
2) −→ Cu (n.o. 0).
Si scrivono separatamente le reazioni di ossidazione e di riduzione:

semireazione di ossidazione: Fe (n.o. 0) −→ Fe3+ (n.o. + 3) + 3e−


(Fe si ossida a Fe3+ cedendo tre elettroni)
semireazione di riduzione: Cu2+ (n.o. + 2) + 2e− −→ Cu (n.o. 0)
(Cu2+ si riduce a Cu acquisendo due elettroni)

Per rispettare il principio di elettroneutralità, in entrambe le semireazioni devono essere


presenti lo stesso numero di elettroni e− . Moltiplichiamo le due semireazioni in modo
che il numero di elettroni ceduti nell’ossidazione sia equivalente al numero di elettroni
acquisiti nella riduzione:

semireazione di ossidazione: Fe (n.o. 0) −→ Fe3+ (n.o. + 3) + 3e− (x2)

semireazione di riduzione: Cu2+ (n.o. + 2) + 2e− −→ Cu (n.o. 0) (x3)

Si sommano le due semireazioni dopo aver moltiplicato per il fattore di conversione


Le reazioni

opportuno:

semireazione di ossidazione: 2Fe −→ 2Fe3+ + 6e−

semireazione di riduzione: 3Cu2+ + 6e− −→ 3Cu

Reazione globale: 3Cu2+ + 6e− + 2Fe −→ 3Cu + 2Fe3+ + 6e−

Si elidono gli elettroni:

3Cu2+ + 6e− + 2Fe −→ 3Cu + 2Fe3+ + 6e−

Si verifica il rispetto della legge di conservazione di carica e di massa.

3Cu2+ + 2Fe −→ 3Cu + 2Fe3+

L’equazione mostra la stessa carica globale (6+) e la presenza di 3 atomi di Cu e 2 atomi


di Fe sia tra i reagenti che tra i prodotti: la reazione è bilanciata.
Chimica 859

2) H2 + CuO −→ Cu + H2 O

Si assegnano tutti i numeri di ossidazione (n.o.):

H2 (n.o. 0) + CuO (Cu n.o. + 2, O n.o. − 2)

−→ Cu (n.o. 0) + H2 O (H n.o. + 1(x2), O n.o. − 2)

Si identifica la specie chimica che si ossida aumentando il proprio n.o.: H2 (n.o. 0) −→


H2 O (H n.o. + 2) e la specie chimica che si riduce diminuendo il proprio n.o.: CuO
(Cu n.o. + 2) −→ Cu (n.o. 0).
Si scrivono separatamente le reazioni di ossidazione e di riduzione:

semireazione di ossidazione: H2 (n.o. 0) −→ H2 O (H n.o. + 2) + 2e−


(H2 si ossida ad H2 O cedendo due elettroni)

semireazione di riduzione: CuO (n.o. + 2) + 2e− −→ Cu (n.o. 0)


(Cu2+ si riduce a Cu acquisendo due elettroni)

Entrambe le semireazioni presentano lo stesso numero di elettroni: il principio di


elettroneutralità è rispettato.
Si sommano le due semireazioni:

semireazione di ossidazione: H2 (n.o. 0) −→ H2 O (H n.o. + 2) + 2e−


(H2 si ossida ad H2 O cedendo due elettroni)

semireazione di riduzione: CuO (n.o. + 2) + 2e− −→ Cu (n.o. 0)


(Cu2+ si riduce a Cu acquisendo due elettroni)
Reazione globale: H2 + CuO + 2e− −→ H2 O + Cu + 2e−

Si elidono gli elettroni:

H2 + CuO + 2e− −→ H2 O + Cu+ 2e−

Si verifica infine il rispetto della legge di conservazione di carica e di massa. Chimica

H2 + CuO −→ H2 O + Cu

L’equazione mostra sia tra i reagenti che tra i prodotti la stessa carica globale (0) e la
presenza di 1 atomo di Cu, 1 atomo di O e 2 atomi di H: la reazione è bilanciata.

3) Fe2+ + MnO−
4 −→ Fe
3+
+ Mn2+

Si assegnano tutti i numeri di ossidazione (n.o.): Fe2+ (n.o. + 2) + MnO−


4 (Mn n.o. +
7, O n.o. − 2) −→ Fe3+ (n.o. + 3) + Mn2+ (n.o. + 2).
860 Le reazioni chimiche

Si identifica la specie chimica che si ossida aumentando il proprio n.o.: Fe2+ (n.o. +
2) −→ Fe3+ (n.o. + 3) e la specie chimica che si riduce diminuendo il proprio n.o.:
MnO− 4 (Mn n.o. + 7) −→ Mn
2+
(n.o. + 2).
Si scrivono separatamente le reazioni di ossidazione e di riduzione:

semireazione di ossidazione: Fe2+ (n.o. + 2) −→ Fe3+ (n.o. + 3) + e−


(Fe2+ si ossida a Fe3+ cedendo un elettrone)

semireazione di riduzione: MnO− −


4 (Mn n.o. + 7)+5e −→ Mn
2+
(n.o. + 2)
(MnO−
4 si riduce a Mn
2+
acquisendo cinque
elettroni)

Per rispettare il principio di elettroneutralità, in entrambe le semireazioni devono essere


presenti lo stesso numero di elettroni e− . Moltiplichiamo le due semireazioni in modo
che il numero di elettroni ceduti nell’ossidazione sia equivalente al numero di elettroni
acquisiti nella riduzione:

semireazione di ossidazione: Fe2+ (n.o. + 2) −→ Fe3+ (n.o. + 3) + e− (x5)


semireazione di riduzione: MnO− − 2+
4 (Mn n.o.+7) + 5e −→ Mn (n.o.+2) (x1)

Si sommano le due semireazioni dopo aver moltiplicato per il fattore di conversione


opportuno:

semireazione di ossidazione: 5Fe2+ −→ 5Fe3+ + 5e−


semireazione di riduzione: MnO− −
4 +5e −→ Mn
2+

Reazione globale: 5Fe2+ + MnO− −


4 + 5e −→ 5Fe
3+
+ 5e− + Mn2+

Si elidono gli elettroni:

5Fe2+ + MnO− −
4 + 5e −→ 5Fe
3+
+ 5e− + Mn2+

Si verifica il rispetto della legge di conservazione di carica e di massa.


Le reazioni

5Fe2+ + MnO−
4 −→ 5Fe
3+
+ Mn2+

L’equazione NON è bilanciata né in massa né in carica. La reazione è effettuata in


ambiente acido e al fine di bilanciare la carica aggiungiamo 8 ioni H+ tra i reagenti:

5Fe2+ + MnO− +
4 + 8H −→ 5Fe
3+
+ Mn2+

È ora necessario bilanciare la massa dell’ossigeno e dell’idrogeno aggiungendo 4 molecole


d’acqua come prodotto di reazione:

5Fe2+ + MnO− +
4 + 8H −→ 5Fe
3+
+ Mn2+ + 4H2 O

La reazione è bilanciata sia in carica (+17) che in massa: 5 atomi di Fe, 1 atomo di Mn,
4 atomi di O e 8 atomi di H.

Il metodo delle semireazioni non è sempre applicabile alle reazioni di dismutazione (o


disproporzionamento).
Chimica 861

6.5 La stechiometria
Nei paragrafi precedenti abbiamo compreso come bilanciare le reazioni chimiche impie-
gando i coefficienti stechiometrici. Ma una volta bilanciata una reazione, come possiamo
calcolare le quantità di reagenti necessarie per produrre una determinata quantità di
prodotti? La branca della chimica che risponde a questo quesito prende il nome di ste-
chiometria (dal greco stoicheion “elemento” e metria “misura”, da cui stechiometria:
“misura degli elementi”).
Per affrontare questo argomento si consiglia di rivedere il concetto di mole e di
Numero di Avogadro approfonditi nel capitolo 2.
L’equazione chimica bilanciata fornisce, tramite i coefficienti stechiometrici, infor-
mazioni su quante molecole (o quante moli) di ogni reagente sono necessarie per pro-
durre una determinata quantità di prodotto. Dato che una mole di qualsiasi sostanza
contiene sempre un numero di Avogadro di molecole, noto il peso molecolare dei rea-
genti e dei prodotti è possibile determinare la quantità di reagenti (espressa in moli, in
numero di molecole o in grammi) necessaria per produrre una determinata quantità di
prodotti (espressa in moli, in numero di molecole o in grammi).

6.5.1 Suggerimenti per la risoluzione dei problemi stechiometrici


Per risolvere gli esercizi di stechiometria può essere conveniente seguire la seguente
procedura:
a. Scrivere l’equazione chimica bilanciata. Qualsiasi sia il tipo di quesito, bi-
lanciare la reazione chimica è sempre la prima cosa da fare.
b. Calcolare il numero di moli a partire dalle masse. È sufficiente dividere la
massa del composto (espressa in grammi) per il suo peso molare (g/mol).
c. Impiego del fattore stechiometrico. È necessario mettere in relazione il
numero di moli disponibili dei vari reagenti. Il fattore stechiometrico, che si
ottiene direttamente dai coefficienti dell’equazione bilanciata, suggerisce qua-
le sia il rapporto che lega le moli richieste di un reagente e le moli disponibili
dell’altro.

Chimica
d. Calcolo della massa dal numero di moli. Dal numero di moli necessa-
rio alla reazione, calcolato impiegando il fattore stechiometrico, si ottiene la
massa (espressa in grammi) di reagente necessaria alla reazione semplicemente
moltiplicando le moli di ogni reagente per il proprio peso molare (g/mol).
Schematicamente si può seguire la seguente procedura:
sia A un reagente che produce un prodotto B secondo l’equazione chimica bilan-
ciata xA −→ yB.
Data la quantità in grammi di A si procede come segue:
Grammi reagente A
a. moli di A disponibili = ;
Peso molare A
y
b. moli di B prodotte = moli di A disponibili × fattore stechiometrico ;
x
c. Grammi di prodotto B = moli di B prodotte × Peso molare B.
862 Le reazioni chimiche

Nota la quantità in moli di un reagente (o di un prodotto) è possibile, attraverso i


rapporti tra i coefficienti stechiometrici della reazione bilanciata, determinare le moli
di tutti gli altri reagenti e prodotti.

1) 30,0 g di Br2 vengono fatti reagire con H2 per ottenere HBr secondo la seguente
reazione non bilanciata: Br2 + H2 −→ HBr. Si determini la quantità in grammi
di H2 necessaria per consumare tutto il Br2 e la quantità di HBr prodotta al
termine della reazione.
Si bilancia la reazione ponendo il coefficiente stechiometrico 2 davanti ad HBr:

H2 + Br2 −→ 2HBr

a. Si determina il numero di moli di Br2 a disposizione dividendo la massa di Br2


espressa in grammi (30,0 g) per il proprio peso molare (159,8 g/mol), per cui n
(numero di moli) = 0,188 mol.

Grammi di reagente Br2 30,0 g


n. moli Br2 = = g = 0,188 mol
Peso molare Br2 159,8
mol
b. Dall’equazione bilanciata ricaviamo che il numero di moli di H2 necessario per
consumare completamente Br2 è pari al numero di moli di Br2 a disposizione,
ovvero 0,188 mol.
c. Il numero di moli di prodotto (HBr) ottenibili si ricava moltiplicando le moli
disponibili per il fattore stechiometrico (2/1). Da ciò si ottiene:
y
n. moli HBr = moli Br2 × fattore stechiometrico = 0,188 mol × 2 = 0,376 mol
x
La massa di H2 necessaria alla reazione si ottiene moltiplicando il numero di moli di
H2 necessarie alla reazione (0,188 mol) per il peso molare di H2 (2 g/mol): massa di
H2 = 0,376 g.

Massa di H2 richiesta = moli di H2 × Peso molare H2


Le reazioni

g
= 0,188 mol×2 = 0,376 g
mol
La massa di HBr ottenuta al termine della reazione si calcola moltiplicando il numero di
moli di HBr (0,376 mol) per il peso molare di HBr (80,9 g/mol): massa di HBr = 30,4 g

Grammi di prodotto HBr = moli di HBr × Peso molare HBr


g
= 0,367 mol × 80,9 = 30,4 g.
mol
2) Calcolare quanti grammi di FeSO4 sono necessari per la riduzione di una quantità
di KMnO4 tale da contenere 0,25 g di Mn data la reazione NON bilanciata:
Fe2+ + MnO− +
4 + H −→ Fe
3+
+ Mn2+ + H2 O.
Chimica 863

Trattandosi di una reazione redox, per il bilanciamento si impiega il metodo delle


semireazioni.

Semireazione di ossidazione: Fe2+ (n.o. + 2) −→ Fe3+ (n.o. + 3) + e−


(Fe2+ si ossida a Fe3+ cedendo un e− )

Semireazione di riduzione: MnO− −


4 (Mn n.o. + 7) + 5e −→ Mn
2+
(n.o. + 2)
(MnO−
4 si riduce a Mn
2+
acquisendo cinque e− )

Si sommano le due semireazioni dopo aver moltiplicato per il fattore di conversione


opportuno:

Semireazione di ossidazione: 5Fe2+ −→ 5Fe3+ + 5e−


Semireazione di riduzione: MnO− −
4 + 5e −→ Mn
2+

Reazione globale: 5Fe2+ + MnO− −


4 + 5e −→ 5Fe
3+
+ 5e− + Mn2+

Si effettua il bilancio di carica e di massa impiegando i coefficienti stechiometrici


opportuni su H+ e H2 O.

5Fe2+ + MnO− +
4 + 8H −→ 5Fe
3+
+ Mn2+ + 4H2 O

Gli ioni K+ ed SO2−


4 che non prendono parte alla reazione, e quindi non vengono scritti
nell’equazione chimica, prendono il nome di ioni spettatori.

a. Si determina il numero di moli di Mn a disposizione dividendo la massa di Mn


espressa in grammi (0,25 g) per il suo peso molare (55 g/mol). Numero di moli
di Mn a disposizione = 0,00455 mol.
b. Il numero di moli di Mn a disposizione corrisponde al numero di moli di KMnO4
(0,00455 mol).
c. Dall’equazione stechiometrica osserviamo che sono necessarie 5 moli di Fe per ogni
mole di KMnO4 da ridurre, ovvero sono necessarie globalmente 5 · 0,00455 mol =

Chimica
0,02275 mol di ferro.
d. La quantità in grammi di FeSO4 necessaria alla riduzione di 0,00455 mol
di KMnO4 è pari a 0,02275 mol moltiplicate per il peso molare di FeSO4
(151,91 g/mol) = 3, 45g.

6.5.2 Reazioni con reagente limitante


In Natura, ma anche nei laboratori chimici, non è sempre possibile garantire che le
quantità dei vari reagenti siano presenti esattamente in rapporto stechiometrico.
Quando uno dei reagenti è presente in quantità inferiore rispetto alla quantità ne-
cessaria determinata dal rapporto stechiometrico siamo in presenza di un reagente
limitante. Il motivo di tale definizione risiede nel fatto che qualsiasi reazione chimica
procede fino a quando il reagente presente in quantità inferiore (reagente limitante) non
viene completamente consumato. A questo punto il reagente limitante non è più dispo-
nibile per formare ulteriore prodotto e la reazione si ferma. La quantità massima
864 Le reazioni chimiche

di prodotto ottenibile dipende quindi dalla quantità di reagente limitante a


disposizione.
Data la reazione bilanciata 3Cu + 8HNO3 −→ 3Cu(NO3 )2 + 2NO + 4H2 O, determinare le
quantità di prodotti che si ottengono facendo reagire 40,0 g di Cu con 1,5 moli di HNO3 .
a. Si identifica il numero di moli di Cu a disposizione, dividendo la massa espressa
in grammi (40,0 g) per il peso molare di Cu (63,5 g/mol): moli Cu = 0,63 mol.
massa Cu (40,0 g)
n. moli Cu =  g  = 0,63 mol
Massa molare Cu 63,5
mol
b. Si identifica l’eventuale reagente limitante considerando i fattori stechiometrici.
Per far reagire completamente 0,63 moli di Cu sono necessarie 8/3 moli di HNO3 ,
ovvero 1,68 mol.
8
n. moli HNO3 necessarie = moli Cu× Fattore stechiometrico = 1,68 mol
3
L’acido nitrico disponibile (1,5 moli) è in difetto rispetto alla quantità neces-
saria per consumare completamente il rame: l’acido nitrico è quindi il reagente
limitante.
c. Tutti i calcoli stechiometrici vanno effettuati a partire dalla quantità di
reagente limitante disponibile, nel nostro caso 1,5 mol. Il numero di moli di
Cu(NO3 )2 ottenibili è pari a 3/8 delle moli di HNO3 disponibili, ovvero 0,56 moli.
Il numero di moli di NO ottenibili è pari a 2/8 delle moli di HNO3 disponibili,
ovvero 0,37 moli. La quantità massima di Cu che può reagire è pari a 3/8 delle
moli di HNO3 a disposizione, ovvero 0,56 moli.
d. Essendo HNO3 in difetto rispetto al Cu disponibile, al termine della reazione
avremo ancora una certa quantità di Cu che non ha reagito. Tale quantità è data
dalla differenza tra le moli di Cu disponibili e le moli effettivamente consumate,
ovvero 0,63 moli (moli di Cu disponibili) meno 0,56 moli (moli effettivamente
consumate considerando il reagente limitante). Al termine della reazione avremo
ancora 0,07 moli di Cu non reagite.
e. Per ottenere le quantità di prodotti espresse in grammi è sufficiente moltiplicare
le moli ottenute per i rispettivi pesi molari.
Le reazioni

È fondamentale identificare l’eventuale presenza del reagente limitante in quanto tutte


le altre specie presenti nella reazione (reagenti o prodotti) vanno necessariamente
ricavate facendo riferimento alla quantità di reagente limitante.

Quando si vuole trasformare un prodotto in un altro attraverso una reazione che sottostà
ad un equilibrio, spesso i chimici utilizzano forti eccessi del reagente più economico al fine
di consentire la conversione completa dell’altro reagente (più costoso) nel prodotto finale
desiderato. Vedi Principio di Le Châtelier capitolo 7.

6.5.3 Resa effettiva, teorica e percentuale

Si definisce resa teorica la quantità massima di sostanza che può essere prodotta
durante una reazione chimica.
Chimica 865

Si definisce resa effettiva la quantità di sostanza effettivamente prodotta in laboratorio


a seguito di tutti i processi di sintesi, separazione e purificazione.
Si definisce resa percentuale il rapporto tra la quantità di sostanza realmente prodotta
(resa effettiva) e la quantità prevista teoricamente (resa teorica), il tutto moltiplicato
per 100.
Resa effettiva
Resa percentuale (%) = × 100
Resa teorica

La resa percentuale fornisce un’idea sull’efficienza di un processo sintetico: maggiore


è la resa percentuale, maggiore è la resa effettiva ovvero la quantità di materia ef-
fettivamente prodotta impiegando un determinato processo sintetico. Essendo la resa
teorica sempre maggiore o uguale alla resa effettiva, la resa percentuale NON potrà
mai assumere valori superiori al 100%.

Per definizione NON esistono rese percentuali superiori al 100%. Per il principio di
conservazione della massa, infatti, non possiamo ottenere più materia di quanta ne
abbiamo impiegato in partenza. Di conseguenza, se il valore di resa percentuale ot-
tenuto è superiore al 100%, siamo certi di aver commesso un errore. L’errore può
risiedere: 1) nel calcolo della quantità prevista teoricamente (errore nel bilanciamento
della reazione) o 2) nella determinazione della quantità di prodotto ottenuta a seguito
dei processi di sintesi, separazione e purificazione (errore di pesata in eccesso dovuto,
ad esempio, alla presenza di impurezze).

Si pongono a reagire 20,0 g di CO(g) con un eccesso di H2(g) per ottenere metanolo
CH3 OH secondo la reazione bilanciata: CO(g) + 2H2(g) −→ CH3 OH(l) . Il monossido di
carbonio rappresenta il reagente in difetto. Se alla fine della reazione si ottengono 15,5 g
di CH3 OH (resa effettiva), qual è la resa percentuale di reazione?
a. Si calcola innanzitutto il numero di moli del reagente in difetto CO a disposizione.
È sufficiente dividere la massa di CO a disposizione espressa in grammi (20,0 g)
per il peso molare di CO (28 g/mol):

n. moli CO =
massa CO (20,0 g)
 g  = 0,71 mol
Chimica
peso molare CO 28
mol
b. Considerando i coefficienti stechiometrici si calcolano le moli teoriche di metanolo
che possono essere ottenute facendo reagire tutto il CO a disposizione. Moli di
CH3 OH ottenibili = moli CO disponibili = 0,71 mol.
c. La quantità massima di metanolo sintetizzabile è data dal prodotto tra il numero
di moli di CH3 OH ottenibili (0,71 mol) ed il peso molare di CH3 OH (32 g/mol):

Quantità max di metanolo sintetizzabile


 g 
= moli metanolo (0,71 mol) × P M 32 = 22,7 g
mol
d. Poiché la quantità di metanolo effettivamente prodotta è di 15,5 g, si può calcolare
la resa percentuale di reazione dal rapporto tra la quantità effettivamente prodot-
866 Le reazioni chimiche

ta (15,5 g, resa effettiva) e la quantità massima prevista teoricamente (22,7 g,


resa teorica), il tutto moltiplicato per 100:

Resta effettiva (15,5 g)


Resa percenturale = × 100 = 68%
Resta teorica (22,7 g)

6.6 Quesiti
1) Sapendo che l’atomo di ferro ha una D 6
massa atomica corrispondente a circa
E 12
55,8, se si pesano 11,16 g di ferro si ha
a che fare con: 5) In una reazione il reagente limitante:
A 0,2 mol di ferro A è quello che non si esaurisce completa-
B 5 mol di ferro mente al termine della reazione

C un numero di Avogadro di atomi di ferro B è quello che limita la velocità della


reazione
D 2 mol di ferro
C è quello che si esaurisce completamente
E 5 volte il numero di Avogadro di atomi al termine della reazione
di ferro D è quello che influenza la spontaneità
della reazione
2) Per avere 3 moli di carbonato di calcio
(il cui peso formula corrisponde a circa E è quello che influenza la endotermicità
100,1) è necessario pesare: della reazione

A 3 g di sale 6) Si fanno reagire 4 moli di Na con 4 mo-


li di Cl2 nella reazione 2Na + Cl2 −→
B 33,4 g di sale 2NaCl. Quante moli di NaCl vengono
C 100,1 g di sale prodotte dalla reazione?

D 0,03 g di sale A 4
E 300,3 g di sale B 3
Le reazioni

3) CaCO3 −→ CaO + CO2 è una reazione C 1


di: D 2
A sintesi E 0
B decomposizione 7) La reazione di fotosintesi che avvie-
C idratazione ne nella piante è 6CO2 + 6H2 O −→
C6 H12 O6 +6O2 . In base ad essa si calco-
D neutralizzazione lino i grammi di ossigeno prodotti a par-
tire da 11 g di anidride carbonica (peso
E doppio scambio
molare CO2 = 44 g/mol; peso molare
4) Considerando la formula chimica del O2 = 32 g/mol).
composto H3 PO4 , quante moli di os-
A 8
sigeno sono contenute in 0,6 moli di
acido? B 5

A 2,4 C 32

B 24 D 1,4

C 0,6 E 14
Chimica 867

8) In un laboratorio chimico con la reazio- C I2 + 4Cl2 + 6H2 O −→ 2IO− −


3 + 8Cl +
ne 3H2 CO3 +2Fe(OH)3 −→ Fe2 (CO3 )3 + 12H+
6H2 O si ottengono a partire da 30 mo-
li del primo reagente e 20 moli del se- D I2 + 5Cl2 + 4H2 O −→ 2IO− −
3 + 10Cl +
condo, una quantità pari a 9 moli di 8H+
Fe2 (CO3 )3 . Quindi la resa percentuale
E 3I2 + 5Cl2 + 2H2 O −→ 6IO− −
3 + 10Cl +
del prodotto è:
4H+
A 90%
B 10% 10) Il corretto bilanciamento della reazione
HClO3 + Ca(OH)2 → Ca(ClO3 )2 + H2 O
C 80% prevede un rapporto molare tra i due
D 50% reagenti:
E 75%
A 2:1
9) Indicare quale tra le seguenti è l’equa-
zione correttamente bilanciata: B 1:1

A I2 + 5Cl2 + 6H2 O −→ 2IO− − C 2:2


3 + 10Cl +
12H+ D 2:3
B 2I2 + 5Cl2 + 6H2 O −→ 4IO− −
3 + 10Cl +
12H+ E 1:2

6.7 Soluzioni commentate ai quesiti


1) A . Pesando una quantità di una sostanza pari al suo peso atomico, si ottiene una
mole di tale sostanza, infatti la massa molare ha lo stesso valore del peso atomico
o del peso molecolare o del peso formula (a seconda che la sostanza in questione
sia un elemento, una molecola o un sale) della sostanza. Sapendo quindi che 1 mole
di ferro pesa 55,8 g, è possibile fare una semplice proporzione per stabilire 11,16 g
a quante moli corrispondono: 1 mol: 55,8 g = x: 11,6 g da cui si può ricavare che
x = 1 mol·11,16
55,8 g
g
= 0,2 mol. È bene ricordare che la massa molare o molecolare deve
essere sempre espressa come g/mol (o g · mol−1 ), quindi semplicemente dividendo il
valore in grammi della massa di una sostanza per la sua massa molare o molecolare
si ottiene il numero di moli contenute in tale massa.

Chimica
2) E . Per i sali, non essendo composti molecolari, non si parla di peso molecolare
ma di peso formula. Il peso formula è riferito alla formula minima che rappresenta
il sale, e si calcola esattamente come il peso molecolare. Sapendo che la massa
espressa in grammi di una mole di una molecola o di un sale ha lo stesso valore
numerico del suo peso molecolare o peso formula (quindi nel nostro caso 1 mol pesa
100,1 g), si può ricavare quanto pesano 3 mol di CaCO3 impostando la proporzione:
1 mol: 100,1 g = 3 mol: x da cui si ricava che x = 100,11 mol
g·3 mol
= 300,3 g.

3) B . Nella reazione si ha un unico reagente che si scompone in due prodotti, questo


tipo di reazione è detta di decomposizione.

4) A . La formula dell’acido H3 PO4 indica che in ogni molecola di acido sono presenti
4 atomi di ossigeno, per cui in ogni mole di acido sono presenti 4 moli dell’elemento
ossigeno. Poiché nel quesito si considerano 0,6 mol di acido, il numero di moli di
ossigeno si può ricavare dalla proporzione 1 molH3 PO4 : 4 molO = 0,6 molH3 PO4 : x,
4 molO ·0,6 molH3 PO4
da cui si ottiene che x = 1 molH PO = 2,4 molO .
3 4
868 Le reazioni chimiche

5) C . Il reagente limitante è quel reagente che limita la formazione del prodotto in


quanto è presente in difetto rispetto alla quantità necessaria. Di conseguenza, pur
essendo ancora presenti quantità di un altro reagente (in questo caso definito in
eccesso), la reazione si ferma.

6) A . Nella reazione 2Na + Cl2 −→ 2NaCl, il sodio e il cloro sono in rapporto ste-
chiometrico di 2 : 1. Ciò comporta che facendo reagire lo stesso numero di moli
di entrambi (4 moli di uno e 4 moli dell’altro), la quantità di sodio risulta insuffi-
ciente per far reagire tutto il cloro presente, quindi il sodio rappresenta il reagente
limitante nella reazione. Quando infatti le 4 moli di sodio hanno reagito con 2 moli
di cloro, la reazione si ferma perché il sodio finisce. Osservando la stechiometria si
vede che il cloruro di sodio e il sodio hanno lo stesso coefficiente stechiometrico,
quindi se la reazione ha consumato 4 moli di sodio, ha prodotto 4 moli di cloruro
di sodio.

7) A . Per prima cosa si calcola a quante moli corrispondono 11 g di anidride carbo-


nica, dividendo la massa a disposizione per il peso molare dell’ anidride carbonica:
11 g
g
44 mol = 0,25 mol. Poiché i due composti anidride carbonica e ossigeno moleco-
lare sono in rapporto stechiometrico di 1 : 1, a 0,25 mol del primo devono cor-
rispondere 0,25 mol del secondo. Per sapere a quanti grammi corrispondono 0,25
mol di ossigeno, si moltiplica il numero di moli per il peso molare dell’ossigeno:
g
0,25 mol · 32 mol = 8 g.

8) A . La resa percentuale equivale al rapporto tra la quantità di prodotto che ef-


fettivamente si forma nella reazione e la quantità teorica che dovrebbe formar-
si secondo la stechiometria della reazione. Nella reazione 3H2 CO3 + 2F(OH)3 →
Fe2 (CO3 )3 + 6H2 O la stechiometria indica che 3 moli di acido reagiscono con 2
moli di idrossido per formare 1 mole di sale e 6 moli di acqua. Quindi se si parte
rispettivamente da 30 e 20 moli dei due reagenti, si dovrebbero formare 10 moli di
9 mol
sale. Poiché se ne formano solo 9, la resa percentuale è 10 mol · 100 = 90%.

9) A . È l’unico caso in cui viene rispettata la legge di conservazione della carica e


la legge di conservazione della massa. Quando si bilancia una reazione non si deve
Le reazioni

mai modificare la formula delle specie chimiche presenti nella reazione, ma solo i
coefficienti stechiometrici.
10) A . La reazione correttamente bilanciata è 2HClO3 + Ca(OH)2 −→ Ca(ClO3 )2 +
2H2 O, per cui i due reagenti sono in rapporto molare di 2 : 1, cioè ogni mole del
secondo reagente reagisce con due moli del primo.
Cenni di
termochimica,
cinetica ed equilibri 7
“È l’energia libera, e non quella totale, a determinare il senso di una reazione chimica”
(Josiah Willard Gibbs, 1839-1903).

7.1 Introduzione
In questo capitolo ci focalizzeremo sullo studio delle variazioni di energia che sono
associate alle reazioni chimiche. Impareremo a valutare se una reazione avviene in
modo spontaneo e a che velocità. Individueremo infine quali sono i principi alla base
degli equilibri chimici e come questi possono rivelarsi utili nel comprendere la direzione
in cui avviene una reazione chimica.

7.2 Entalpia e calore di reazione


La termodinamica è quella branca della scienza che studia le interconversioni tra
le varie forme di energia (chimica, meccanica, nucleare, cinetica, elettrica, magnetica,
ecc.) coinvolte in un processo chimico o fisico. La termochimica è quella branca della
termodinamica che si occupa dei bilanci energetici relativi alle trasformazioni chimiche.
Qualsiasi trasformazione chimica è associata ad uno scambio di energia con l’am-
biente. L’energia è definita dai fisici come la capacità di un sistema di eseguire spon-
taneamente lavoro o fornire calore. Essa può essere misurata in Joule (J) o in calorie
(cal) (1 cal = 4,184 J).

Definiamo caloria (cal) la quantità di calore necessaria per aumentare di 1 ◦ C, da


14,5 ◦ C a 15,5 ◦ C, la temperatura di 1 g di acqua pura. Essa corrisponde a 4,184 J.

Il bilancio energetico di una reazione chimica è uno dei parametri che ne determina
la sua spontaneità.

Si definisce spontanea una reazione che, una volta iniziata, procede dando luogo ai
prodotti senza alcun intervento esterno.

Il bilancio energetico suggerisce, quindi, se la reazione chimica è in grado di fornire


calore all’ambiente o se è necessario fornirle calore dall’esterno per farla avvenire. Per
descrivere queste variazioni termiche i chimici introducono una funzione di stato chia-
mata entalpia (H), che corrisponde al calore assorbito o rilasciato dal sistema durante
una reazione chimica che avviene a pressione costante.

∆Hsistema = Hprodotti − Hreagenti = Qp

dove Qp corrisponde al calore scambiato tra il sistema chimico e l’ambiente in condizioni


di pressione costante.
870 Cenni di termochimica, cinetica ed equilibri

Possiamo quindi distinguere due tipi di reazioni chimiche: reazioni esotermiche e


reazioni endotermiche (Figura 7.1).

Si definisce esotermica una qualsiasi reazione chimica accompagnata dallo sviluppo di


calore, ovvero da una diminuzione dell’entalpia del sistema (∆Hsistema < 0).
Si definisce endotermica una qualsiasi reazione chimica accompagnata da un assor-
bimento di calore, ovvero da un aumento dell’entalpia del sistema (∆Hsistema > 0).
Termodinamica

Figura 7.1: Variazioni di Entalpia (H) associate a reazioni esotermiche ed endotermiche.

La spontaneità di una reazione NON dipende esclusivamente dalla variazione di ental-


pia associata. Sebbene le reazioni con ∆Hsistema < 0 siano generalmente spontanee,
questo non è sempre verificato. Analizzeremo più in dettaglio questo fenomeno nei
prossimi paragrafi.
La variazione di entalpia che accompagna una specifica reazione chimica è denominata
entalpia di reazione (o calore di reazione a pressione costante) (∆Hrxn ).

Le reazioni di combustione sono sempre esotermiche (producono calore), in altre pa-


role la variazione di entalpia associata a queste reazioni (entalpia di combustione)
(∆Hrxn ) è sempre negativa. Le reazioni che richiedono la rottura di un legame chi-
mico invece necessitano di energia e pertanto sono endotermiche. La variazione di
entalpia associata a queste reazioni (entalpia di dissociazione di legame) (∆Hrxn ) è
sempre positiva.
Chimica 871

Il ∆H di una qualsiasi reazione ha lo stesso valore del ∆H della reazione


inversa ma presenta segno opposto. Ciò significa che se una reazione è esotermica
(emette calore) allora la reazione inversa è endotermica (assorbe calore). Per lo stesso
motivo, essendo le entalpie di dissociazione di legame sempre positive (serve energia
per rompere il legame), allora le entalpie di formazione di legame sono sempre negative
e sono accompagnate da liberazione di calore.
Inoltre, essendo l’entalpia una funzione di stato, essa gode della proprietà additiva. In
base alla legge di Hess possiamo affermare che: “l’entalpia di una reazione chimica
complessa (ovvero costituita da più reazioni semplici) è data dalla somma algebrica
delle entalpie delle singole reazioni che la costituiscono”.
Data la generica reazione A −→ E suddivisibile nelle seguenti reazioni: A −→
B −→ C −→ D −→ E, possiamo affermare che la variazione di entalpia della reazione
A −→ E (∆ HAE ) può essere ottenuta dalla somma algebrica delle singole reazioni che
la costituiscono:
∆HAE = ∆HAB + ∆HBC + ∆HCD + ∆HDE

Siccome le reazioni endotermiche richiedono calore mentre quelle esotermiche produ-


cono calore, è possibile scrivere l’equazione chimica includendo il valore di entalpia
(∆H) come se fosse un reagente o un prodotto di reazione. L’equazione chimica che
include i valori di entalpia prende il nome di equazione termochimica.

7.3 Energia libera di Gibbs e spontaneità di una reazione chimica


Oltre alla variazione di entalpia (∆H) esistono altri due fattori che contribuiscono
a determinare la spontaneità di una reazione: la temperatura (T ) e la variazione di
entropia del sistema (∆S).

Definiamo entropia (S) la funzione di stato che descrive il grado di disordine di un


sistema.
∆Ssistema = Sfinale − Siniziale

Chimica
Il secondo principio della termodinamica (vedi Fisica § 10.16) stabilisce che per
ogni trasformazione fisica o chimica, sarà favorita quella che porta ad un maggior
“disordine” del sistema rispetto allo stato iniziale. Sono cioè favorite quelle reazioni
accompagnate da un aumento di entropia.

∆S > 0: lo stato di disordine finale è maggiore rispetto allo stato di disordine


iniziale; si verifica un aumento di entropia.

∆S < 0: lo stato di disordine finale è minore rispetto allo stato di disordine


iniziale; si verifica una diminuzione di entropia.

Per avere un’idea di cosa significhi “stato di disordine del sistema” pensiamo a due
stanze, separate da una porta chiusa, una piena di gas e l’altra senza gas. Finché la
porta resta chiusa, il gas rimane isolato in una delle due stanze. Nel momento in cui
la porta si apre il gas si sposta da una stanza all’altra finché entrambi i locali non
sono pieni di gas. Questo fenomeno avviene spontaneamente e non è accompagnato da
sviluppo o sottrazione di calore (ovvero non è accompagnato da variazioni di entalpia
872 Cenni di termochimica, cinetica ed equilibri

∆H). Il fenomeno opposto, invece, ossia il ritorno del gas dalle due stanze ad una sola
di esse, NON è spontaneo e NON avviene a meno che non si intervenga dall’esterno
forzando il gas a rientrare nella stanza da cui proviene. Possiamo quindi concludere che
il fenomeno di diffusione del gas è spontaneo in quanto è accompagnato da un aumento
del “disordine” del sistema, ovvero da un aumento di entropia (∆S > 0). Diversamente
il fenomeno inverso NON è spontaneo in quanto diminuisce lo stato di disordine del
sistema inducendo una diminuzione di entropia (∆S < 0).
Per lo stesso motivo, se colpiamo un gruppo di fogli disposti in modo ordinato su
un tavolo, essi si spargeranno spontaneamente lungo tutto il tavolo in modo casuale. Il
fenomeno è accompagnato da un aumento del “disordine” del sistema (∆S > 0). NON
è invece spontaneo il fenomeno opposto, ovvero il fenomeno per cui, colpendo i fogli
sparsi casualmente su un tavolo essi si ritrovano spontaneamente nell’ordine di par-
tenza. Quest’ultimo fenomeno, infatti, sarebbe accompagnato da una diminuzione del
disordine (un aumento dell’ordine) del sistema ovvero da una diminuzione di entropia
(∆S < 0) e pertanto non può avvenire spontaneamente. Per una trattazione specifica
sull’argomento si rimanda ad un testo di chimica-fisica.
Come facciamo quindi a capire se una reazione chimica può avvenire spontanea-
mente?
Il professore americano J. Willard Gibbs (1839-1903) creò una funzione termodina-
mica che lega le variazioni di entalpia ed entropia di un sistema e permette quindi di
determinare la spontaneità di una reazione chimica in condizioni di pressione costante.
Questa funzione è nota come energia libera di Gibbs:

∆G = ∆H − T ∆S

dove T è la temperatura assoluta alla quale avviene la reazione chimica.

Una reazione si dice spontanea se è accompagnata da una diminuzione dell’energia


libera di Gibbs, ∆G < 0.
Termodinamica

Una reazione si dice NON spontanea se è accompagnata da un aumento dell’energia


libera di Gibbs, ∆G > 0.
Una reazione si dice all’equilibrio se NON si osserva variazione dell’energia libera di
Gibbs, ∆G = 0.

Tenendo presente l’equazione ∆G = ∆H − T ∆S esistono quattro casi possibili:

Tipo di reazione ∆H ∆S ∆G Condizione di spontaneità


Esotermiche disordinanti − + − Sempre spontanee (a qualsiasi T )
Endotermiche disordinanti + + +/− Spontanee solo ad alte T (T > ∆H/∆S)
Esotermiche ordinanti − − +/− Spontanee solo a basse T (T < ∆H/∆S)
Endotermiche ordinanti + − + Non spontanee (a qualsiasi T )

Tabella 7.1: Variazioni di entalpia, entropia ed energia libera di Gibbs e condizioni di spontaneità.
Chimica 873

L’equazione ∆G = ∆H − T ∆S vale solo in condizioni di temperatura e pressione


costante. La temperatura T va necessariamente espressa in Kelvin in modo da garantire
che il suo valore sia sempre maggiore di zero.

Nel caso in cui la pressione non è costante ma è costante il volume di reazione, si impiega
l’energia libera di Helmholtz, che fa riferimento all’energia interna del sistema anziché
all’entalpia (∆A = ∆U − T ∆S). Una reazione (a temperatura e volume costante) è spontanea
quando è accompagnata da una diminuzione dell’energia libera di Helmholtz ∆ A < 0. Questa
equazione è meno utilizzata della precedente in quanto la maggioranza delle reazioni chimiche
viene condotta a pressione costante e non a volume costante.

Gli studi sulla spontaneità di una reazione, ovvero sulla sua termodinamica,
NON forniscono alcuna informazione sulla velocità con cui la reazione avviene,
ovvero sulla sua cinetica.

Nelle condizioni di pressione e temperatura ambiente, i diamanti tendono spontaneamente


a trasformarsi in grafite, questo processo infatti è accompagnato da una diminuzione del-
l’energia libera di Gibbs. Tuttavia il fenomeno sembra non accadere (altrimenti nessuno
comprerebbe i diamanti per ritrovarsi in mano delle matite di grafite): perché? Il motivo
risiede nel fatto che la reazione (diamante −→ grafite) è estremamente lenta (richiede
miliardi di anni) e di conseguenza non è evidente da un punto di vista macroscopico.
Un altro esempio riguarda l’ossidazione del glucosio. Questo processo è termodinamica-
mente favorito (∆Grxn = −2870 kJ/mol), tuttavia la sua lentezza è tale da far si che ciò
non accada: il glucosio è cineticamente stabile all’ossidazione.

Le sostanze che dovrebbero spontaneamente subire un cambiamento chimico che di


fatto non si osserva a causa della lentezza della reazione sono dette cineticamente
stabili o metastabili.

7.4 Cinetica chimica

Chimica
La termodinamica studia le condizioni di pressione e temperatura che permettono
ad una reazione di avvenire spontaneamente. La cinetica studia invece la velocità di
reazione, ovvero i fattori che influiscono sul tempo necessario affinché una reazione
avvenga e si raggiunga l’equilibrio chimico.
La velocità di reazione è data dal rapporto tra la variazione della concentrazione
di una sostanza e l’unità di tempo. Man mano che la reazione chimica procede, la
concentrazione dei reagenti diminuisce mentre quella dei prodotti aumenta.

Si definisce velocità di reazione il rapporto tra la diminuzione della concentrazione di


un reagente (o l’aumento della concentrazione di un prodotto) rispetto al tempo.

Per la generica reazione A + B −→ C + D la velocità sarà descritta dalla seguente


equazione:
∆[A] ∆[B] ∆[C] ∆[D]
v=− =− =+ =+
∆t ∆t ∆t ∆t
874 Cenni di termochimica, cinetica ed equilibri

Al procedere della reazione la concentrazione dei reagenti (A e B) diminuisce mentre


aumenta quella dei prodotti (C e D). Se A e B si convertono completamente nei pro-
dotti C e D allora la reazione è andata a completezza. Se A e B si convertono solo
parzialmente nei prodotti C e D allora siamo in presenza di un equilibrio chimico
(Figura 7.2).

Figura 7.2: Variazione della concentrazione di prodotti e reagenti al procedere di una generica reazione
chimica A + B −→ C + D. Nella reazione che va a completezza i reagenti A e B vengono consumati
completamente, nella reazione di equilibrio i reagenti A e B si consumano solo parzialmente.

7.5 Teoria cinetica delle reazioni chimiche (o teoria degli urti)


Affinché avvenga una reazione chimica le particelle che costituiscono i reagenti devono
venire a contatto tra loro ed urtarsi. L’energia dell’urto deve essere tale da rompere i
legami chimici preesistenti nei reagenti e permettere la formazione dei nuovi legami dei
prodotti. L’energia dell’urto deve quindi essere superiore all’energia dei legami chimici
in gioco.
A + B −→ C
Termodinamica

Un urto tra due particelle di reagente (A e B) per formare il prodotto (C) è efficace se:

a. L’energia cinetica delle particelle è sufficientemente alta.

b. L’orientazione delle particelle durante l’urto è corretta.

7.5.1 Energia cinetica dell’urto ed effetto della temperatura


L’energia dell’urto dipende dalla velocità delle particelle o meglio dalla loro energia
cinetica, che sappiamo essere, in ultima analisi, una misura della temperatura in cui
queste si trovano Ec = 32 kT (vedi Fisica § 10.7).

La temperatura, infatti, non è altro che la misura dell’energia cinetica media delle parti-
celle.
r
1 2 3 3kT
Ec = mhv i = kT hvi =
2 2 m
Chimica 875

Dove hv 2 i è la velocità quadratica media, T è la temperatura assoluta espressa in Kelvin, m è la


massa delle particelle, k è la costante di Boltzmann. È fondamentale comprendere che ad una
determinata temperatura le particelle non si trovano tutte alla stessa velocità, bensı̀ vi è una
distribuzione di velocità di cui la temperatura non è altro che una “misura del valor medio”.
La distribuzione dell’energia cinetica delle particelle in funzione della temperatura è espressa
dall’equazione di Maxwell Boltzmann. Per una trattazione più specifica si rimanda ad
un testo di chimica-fisica, a noi basta ricordare che: “all’aumentare della temperatura
aumenta proporzionalmente il numero di particelle ad energia elevata”.

Per ogni reazione chimica, in base al tipo di legami in gioco esiste una barriera di
energia che deve essere superata affinché le molecole reagiscano. L’energia minima
che le particelle di reagenti devono avere per superare questa barriera è denominata
energia di attivazione Ea .

Definiamo energia di attivazione Ea l’energia cinetica minima che due molecole


devono possedere al momento della collisione affinché possano reagire. Essa è specifica
per ogni reazione e NON varia al variare della temperatura.

Per reazioni simili, che avvengono alla stessa temperatura, vale la regola generale che:
maggiore è Ea , ovvero più alta è la barriera di attivazione, più lenta è la reazione.
La teoria cinetica suppone che, al momento dell’urto, si formi un aggregato instabile
tra le molecole che vi partecipano, chiamato complesso attivato, che si scinde imme-
diatamente dopo la sua formazione. Se l’urto è stato efficace (ovvero è stata superata
la soglia dell’energia di attivazione e l’orientazione dell’urto è opportuna), il complesso
attivato scindendosi darà luogo ai prodotti; in caso contrario, scindendosi, riformerà i
reagenti iniziali (Figura 7.3).
Il complesso attivato che si crea durante un ur-
to perdura per un istante di tempo infinitesi-
male e pertanto NON è isolabile come tale e
può solamente essere predetto da un punto di
vista teorico. La conformazione che le moleco-
le assumono durante la formazione del com-

Chimica
plesso attivato è chiamata stato di transi-
zione. Ad una prima analisi possiamo affermare
che l’aumento della velocità di una reazione può
essere ottenuto attraverso un aumento di tempe-
ratura che garantisce ad un numero consistente
di particelle di superare l’energia di attivazione. Figura 7.3: Andamento dell’energia poten-
Un’energia di attivazione elevata viene associa- ziale per la generica reazione endotermica
ta ad una reazione lenta proprio perché ci sono 2DA −→ A2 + D2 .
pochissime particelle in grado di avere un’energia cinetica tale da superare la barriera
Ea e creare i prodotti.

L’aumento di temperatura, ovvero l’aumento dell’energia cinetica media delle


particelle, porta senza eccezioni ad un aumento della velocità di reazione.
876 Cenni di termochimica, cinetica ed equilibri

A questo punto dovremmo chiederci perché una reazione che porta alla formazio-
ne di prodotti con energia minore dei reagenti non avvenga velocemente appena i
reagenti si trovano in contatto tra loro. Questo non accade perché i reagenti devo-
no obbligatoriamente passare attraverso lo stato di transizione e formare il comples-
so attivato. Se lo stato di transizione ha energia molto elevata, allora la reazione è
estremamente lenta e macroscopicamente non avviene: i reagenti sono cineticamente
stabili.
Ad esempio, mescolando ossigeno ed idrogeno in un recipiente non si osserva alcu-
na reazione, tuttavia è sufficiente una scintilla affinché si verifichi una reazione quasi
istantanea e si crei una forte esplosione. L’energia del prodotto di reazione (H2 O) è di
gran lunga inferiore a quella dei reagenti (O2 ed H2 ), tuttavia è necessaria una scintilla
affinché le molecole di reagente superino la barriera di attivazione Ea e la reazione
possa avvenire.
La reazione, una volta innescata dalla scintilla, procede spontaneamente e qua-
si istantaneamente. Il procedere della reazione è garantito dal fatto che i prodotti,
trovandosi ad energia minore rispetto ai reagenti, emettono calore (reazione esoter-
mica). Il calore sviluppato permette alle molecole vicine di superare a loro volta la
barriera energetica e di reagire creando una reazione a catena.
Diversamente, nel caso in cui l’energia dei prodotti è superiore all’energia dei rea-
genti, la reazione può avvenire solo con un apporto continuo di energia dall’esterno
(reazione endotermica).

Il fatto che la reazione sia esotermica o endotermica, ovvero che i prodotti si trovino rispet-
tivamente in uno stato ad energia minore o maggiore rispetto ai reagenti, fornisce alcune
informazioni sullo stato di transizione (ricordiamo che le molecole nello stato di transizione
non possono essere isolate, la struttura del complesso attivato può essere predetta solo teo-
ricamente). Al riguardo il postulato di Hammond afferma che: “la struttura dello stato
di transizione per uno stadio esotermico è più simile a quella dei reagenti di quello stadio.
Al contrario, la struttura dello stato di transizione per uno stadio endotermico è più simile a
quella dei prodotti di quello stadio”.
Termodinamica

7.5.2 Urti con orientazione appropriata


Il fatto che le particelle possiedano un’energia elevata è una condizione necessaria, ma
non sufficiente, affinché la reazione possa aver luogo. È fondamentale, infatti, che le
molecole durante la collisione presentino anche un’orientazione opportuna.
Questo fattore sterico dipende dalla struttura delle molecole in considerazione. È
evidente che maggiore è la complessità delle molecole in considerazione, minore è la
probabilità che esse presentino il corretto allineamento durante la collisione. Dover
rispettare una determinata geometria durante una collisione, significa che solo una
frazione delle molecole con energia sufficiente a superare l’energia di attivazione sarà
in grado di generare i prodotti, questo spiega perché alcune reazioni avvengono molto
lentamente.

La velocità di reazione è, in ultima analisi, determinata dal numero di urti


efficaci, dipende cioè dagli urti con un orientamento opportuno e dotati di un’energia
superiore all’energia di attivazione Ea della reazione.
Chimica 877

Fu per primo il chimico svedese Svante Arrhenius (1859-1927, lo stesso a cui si deve la classi-
ficazione degli acidi e basi) a trovare una correlazione tra la velocità di reazione e parametri
quali: temperatura, orientamento delle molecole, energia delle collisioni. Egli raccolse un ele-
vato numero di dati sperimentali sulle cinetiche di reazione e ne derivò un’equazione nota
come equazione di Arrhenius
−Ea
k = Ae RT
dove k è la costante di velocità, A prende il nome di fattore di frequenza e rappresenta il
numero di collisioni che avvengono con l’orientamento appropriato ed è quindi proprio di ogni
reazione, Ea è l’energia di attivazione, R è la costante universale dei gas, T è la temperatura
assoluta.
La velocità di reazione (k) aumenta quindi all’aumentare di T e all’aumentare di A, mentre
diminuisce all’aumentare di Ea .

7.6 Condizioni di reazione e velocità


Abbiamo visto che la velocità di una reazione cresce al crescere della temperatura. La
temperatura però non è l’unico fattore a determinare la velocità di una reazione. Essa
dipende anche dalla probabilità che due molecole di reagente si incontrino ed è quindi
direttamente proporzionale alla concentrazione dei reagenti in gioco.
In soluzioni molto diluite le molecole sono molto lontane tra loro e la probabilità che
si incontrino e si urtino è molto limitata. Al contrario, in soluzioni molto concentrate
la probabilità che due molecole di reagente si incontrino è elevata.

Possiamo quindi affermare che la velocità di reazione, a temperatura costante, è


proporzionale alla concentrazione dei reagenti.
A temperatura costante la velocità di rea-
zione è espressa da un’equazione cinetica
che indica la dipendenza della velocità dalla
concentrazione. Esistono tre principali tipi di
equazioni cinetiche (Figura 7.4):

Chimica
a. Reazioni di primo ordine: la
velocità di reazione è direttamente
proporzionale alla concentrazione del
reagente
v = k[A]
Figura 7.4: Andamento delle velocità di reazione
in funzione della concentrazione di [A] per rea-
b. Reazioni di secondo ordine: la zioni di primo ordine, secondo ordine ed ordine
velocità di reazione è proporzionale zero.
al quadrato della concentrazione del
reagente
2
v = k[A]

c. Reazioni di ordine zero: la velocità di reazione è indipendente dalla concen-


trazione del reagente (v = k)
v=k
878 Cenni di termochimica, cinetica ed equilibri

Le reazioni di ordine zero sono tipiche della decomposizione dei solidi che avvengono
con la stessa velocità indipendentemente dalla concentrazione del solido stesso.
L’ordine di reazione viene determinato sperimentalmente. Il valore di k è proprio
di ogni singola reazione.

La probabilità che durante una reazione due particelle si incontrino dipende, tra le altre
cose, anche dalla superficie di contatto disponibile.

Questo fattore è cruciale nelle reazioni che impiegano reagenti solidi. Pensiamo ad
esempio alla reazione tra un gas e un solido (combustione del legno). Più finemente è
suddiviso il reagente solido (legno) tanto maggiore è la superficie di contatto disponi-
bile al gas (ossigeno) per reagire e quindi tanto maggiore sarà la velocità di reazione.
Ad esempio lo sdrucciolato si infiamma molto più velocemente di un tronco di legno.
Possiamo quindi affermare che un reagente a grana fine (polvere) reagisce molto più
velocemente di un reagente a grana grossa in quanto il primo rende disponibile agli
altri reagenti una superficie di contatto più ampia.

Le reazioni in fase gassosa generalmente avvengono più velocemente di quelle in fase


liquida perché le particelle hanno piena libertà di movimento. Le reazioni in fase liquida
risentono, invece, del tipo di solvente impiegato. In base al grado di solvatazione delle
molecole di reagente, queste possono trovarsi più o meno “ingabbiate” dal solvente che
può quindi favorire o limitare la loro mobilità e di conseguenza aumentare o diminuire
la velocità di reazione.

La velocità di una reazione che avviene in più stadi è sempre determinata dallo stadio
più lento, ovvero i prodotti non possono essere generati ad una velocità superiore a
quella dello stadio più lento. Pertanto si dice che lo stadio più lento è lo stadio
determinante la velocità.
Termodinamica

7.7 Catalizzatori
Esistono sostanze che, pur essendo presenti nel processo di reazione, NON subiscono
modificazioni ma contribuiscono ad aumentare la velocità della reazione stessa e sono
conosciute con il nome di catalizzatori.

Definiamo catalizzatore una qualsiasi sostanza che porta all’aumento della velocità di
reazione senza consumarsi.

I catalizzatori esplicano la loro attività modificando il meccanismo di reazione attra-


verso il quale la reazione si svolge, ovvero favoriscono la formazione del complesso
attivato riducendo l’energia di attivazione Ea (l’energia di attivazione di una reazione
viene modificata perché di fatto il catalizzatore modifica il meccanismo della reazione
stessa). Nonostante ciò lo stato iniziale e quello finale della reazione restano immutati
ovvero, siccome i reagenti ed i prodotti che si ottengono sono gli stessi, le loro energie,
che dipendono da fattori puramente termodinamici, sono le stesse sia che si impieghi
il catalizzatore sia che non lo si utilizzi. Ciò che varia è esclusivamente la velocità di
reazione.
Chimica 879

Il catalizzatore NON varia la posizione all’equilibrio di una reazione, NON varia le sue
proprietà termodinamiche (ovvero NON varia né il ∆H né il ∆S), NON può trasfor-
mare una reazione non spontanea in una spontanea (non varia il ∆G di reazione).
Il catalizzatore agisce esclusivamente sulla velocità di reazione modificando il
meccanismo attraverso il quale questa avviene. Si dice pertanto che il catalizzatore
esercita un controllo cinetico (ovvero della velocità di reazione) sulla potenzialità
termodinamica (la reazione deve essere già spontanea di per sé).
I catalizzatori sono:

a. selettivi, ovvero catalizzano solo specifiche reazioni chimiche;

b. non compaiono nelle equazioni chimiche;

c. catalizzano sia la reazione diretta che la reazione inversa, quindi NON


modificano la posizione all’equilibrio ma aumentano solamente la velocità con la
quale l’equilibrio viene raggiunto;

d. sono presenti in quantità minime (< 1% p/p);

e. Possono trovarsi nello stesso stato fisico dei reagenti (catalisi omogenea) o in
stati fisici diversi (catalisi eterogenea);

f. Se sono proteine prendono il nome di enzimi. Gli enzimi catalizzano la quasi


totalità delle reazioni che avvengono negli organismi viventi.

Negli organismi viventi è stato scoperto che non solo le proteine possono fungere da cata-
lizzatori (enzimi), ma anche alcuni acidi ribonucleici possiedono attività enzimatica (RNA
catalitici).

Nella catalisi eterogenea, dove il catalizzatore è solitamente allo stato solido mentre
i reagenti si trovano allo stato liquido o aeriforme, la superficie di contatto disponi-
bile influenza in modo significativo l’efficienza della catalisi. Maggiore è la superficie

Chimica
disponibile (più è polverizzato il catalizzatore) maggiore sarà la sua efficienza.
Un esempio di catalisi eterogenea è dato dalla marmitta catalitica delle automobili in
cui i gas di scarico particolarmente inquinanti (COx , NOx ed idrocarburi) vengono
convertiti mediante un catalizzatore solido (solitamente formato da platino e nichel)
in composti meno nocivi: acqua, anidride carbonica e azoto. La presenza del platino
come catalizzatore giustifica l’elevato costo delle marmitte catalitiche.

7.8 L’equilibrio chimico


Abbiamo visto che una generica reazione A + B −→ C + D può comportarsi in due
modi:

a. se i reagenti A e B vengono consumanti completamente per generare C e D si


parla di reazioni che vanno a completezza. Questo tipo di reazioni sono
considerate irreversibili.
A + B −→ C + D
880 Cenni di termochimica, cinetica ed equilibri

b. se i reagenti A e B vengono consumati parzialmente per formare C e D si parla


di reazioni reversibili. In questo caso i reagenti C e D, una volta generati,
iniziano a reagire tra loro per riformare i reagenti di partenza A e B, ovvero C e
D innescano la reazione inversa.

A+BC+D

In una reazione reversibile la velocità di reazione diretta supera, nei primi stadi,
la velocità della reazione inversa. Abbiamo visto che le velocità di reazione dipendono
dalla concentrazione dei reagenti e siccome nello stato iniziale sono presenti più reagenti
(A e B) che prodotti (C e D), prevale inizialmente la reazione diretta. Tuttavia, man
mano che la reazione procede la concentrazione dei prodotti (C e D) aumenta mentre
quella dei reagenti (A e B) diminuisce e di conseguenza aumenta proporzionalmente
anche la velocità della reazione inversa. Quando la velocità della reazione inversa
uguaglia la velocità della reazione diretta si è giunti allo stato di equilibrio.

All’equilibrio le reazioni continuano ad avvenire ma la velocità con cui C e D si generano


(reazione diretta) è la stessa velocità con cui questi vengono consumati per riformare A
e B (reazione inversa). Da un punto di vista macroscopico non si osserva più variazione
della concentrazione dei reagenti e quindi la velocità di reazione è nulla, ovvero si è
giunti alla condizione di equilibrio. Si ricorda che, escludendo situazioni previste solo
teoricamente in cui la temperatura assume il valore dello zero assoluto 0 K, NON
esistono in chimica situazioni in cui il sistema è completamente fermo, per questo
motivo gli equilibri chimici sono definiti anche equilibri dinamici.

Come abbiamo visto la velocità di reazione non dipende solo dalla concentrazione dei
reagenti ma anche da molti altri fattori. Per questo motivo la posizione all’equilibrio
NON si raggiunge semplicemente quando la concentrazione dei reagenti e quella dei
prodotti è la stessa, ma si raggiunge quando le velocità della reazione diretta e quella
della reazione inversa sono uguali.
Termodinamica

7.8.1 La costante di equilibrio Keq


Furono per primi i chimici Cato Guldberg (1836-1902) e Peter Waage (1833-1900) ad
enunciare la legge di azione di massa (1864).
Legge di azione di massa (o legge di Guldberg e Waage): il rapporto tra il
prodotto delle concentrazioni all’equilibrio dei prodotti di reazione, elevati ai rispettivi
coefficienti stechiometrici, e il prodotto delle concentrazioni all’equilibrio dei reagenti,
elevati ai rispettivi coefficienti stechiometrici, è costante a temperatura costante.

aA + bB  cC + dD
c d
[C] [D]
Keq = a b
[A] [B]
In altre parole, in una reazione che avviene in soluzione possiamo affermare di tro-
varci all’equilibrio quando il prodotto delle concentrazioni molari dei prodotti e quel-
lo delle concentrazioni molari dei reagenti, elevati ognuno al corrispettivo coefficiente
stechiometrico, è costante.
Chimica 881

La costante che determina l’equilibrio è chiamata costante di equilibrio termo-


dinamico Keq . Essa è specifica per ogni reazione chimica ed è funzione della tem-
peratura. Maggiore è il valore della costante, maggiore è la tendenza della reazione a
procedere verso i prodotti; minore è il suo valore, maggiore è la tendenza della reazione
a spostarsi verso i reagenti.
La costante di equilibrio quantifica la tendenza di una reazione a procedere verso i
prodotti.
Keq  1: la reazione è a favore dei prodotti (all’equilibrio la concentrazione
dei prodotti C e D è maggiore di quella dei reagenti A e B).
Keq  1: la reazione è a favore dei reagenti (all’equilibrio la concentrazione
dei prodotti C e D è minore di quella dei reagenti A e B).
Trattandosi di un rapporto tra concentrazioni, Keq NON può assumere valori negativi.
Le concentrazioni che compaiono nell’equazione della Keq sono quelle di reagenti e
prodotti che si trovano all’equilibrio (e NON quelle iniziali). Per una data reazione l’e-
quilibrio viene raggiunto a partire da qualsiasi composizione iniziale. Le concentrazioni
di prodotti e reagenti all’equilibrio possono cambiare ma il rapporto tra i loro prodotti
rimane sempre costante a temperatura costante. Tutte le costanti di equilibrio variano
con la temperatura.

7.8.2 L’espressione della costante di equilibrio


La costante di equilibrio può essere espressa in vari modi:
a. Kc è la costante di equilibrio espressa in termini di concentrazioni molari M.
b. Kp è la costante di equilibrio espressa in termini di pressioni parziali ed è
impiegata per i gas.
c. Kx è la costante di equilibrio espressa in termini di frazioni molari (è adimensio-
nale).
Le varie costanti sono convertibili l’una nell’altra attraverso semplici equazioni
aA + bB  cC + dD

Kp = Kc (RT )(c+d)−(a+b) Chimica


Kp = Kx (Ptot )(c+d)−(a+b)
dove a, b, c, d sono i coefficienti stechiometrici dell’equazione chimica, Ptot è la pressione
totale del sistema, R è la costante universale dei gas e T è la temperatura assoluta.

La costante di equilibrio termodinamica espressa in termini di attività è sempre


adimensionale. Per una trattazione specifica si rimanda ad un testo di chimica fisica.

7.9 Principio di Le Châtelier o dell’equilibrio mobile


Fu per primo il chimico francese Henri-Louis Le Châtelier (1850-1936) all’età di tren-
t’anni ad enunciare il principio dell’equilibrio mobile che afferma che: “un sistema
chimico all’equilibrio, se soggetto a variazioni dall’esterno, tende a reagire spostando
l’equilibrio in modo da opporsi alla variazione esterna”.
882 Cenni di termochimica, cinetica ed equilibri

In altri termini, inducendo una perturbazione ad un sistema che si trova all’equilibrio es-
so indurrà una trasformazione tale da ridurre o contrastare l’effetto della perturbazione
apportata.

Le Châtelier, oltre ad occuparsi di chimica e di fisica, fu uno dei pionieri nell’applicazione


della termodinamica alla chimica, si interessò anche alla metallurgia, alla termometria e alla
composizione del cemento. Il suo principio non fu inizialmente accettato dagli studiosi del
tempo e, nonostante si tratti di un’approssimazione, è ancora ampiamente utilizzato ai giorni
nostri per stimare il comportamento delle reazioni chimiche.

7.9.1 Risposta dell’equilibrio alla variazione delle concentrazioni


a. Aggiunta di reagenti: al fine di ristabilire l’equilibrio, ovvero il valore di Keq , il
sistema tende a consumare parte dei reagenti aggiunti per produrre più prodotti.
L’equilibrio si sposta a destra.

b. Aggiunta di prodotti: al fine di ristabilire l’equilibrio il sistema tende a consu-


mare parte dei prodotti aggiunti per produrre più reagenti. L’equilibrio si sposta
a sinistra.

c. Rimozione di prodotti: al fine di ristabilire l’equilibrio il sistema tende a consu-


mare parte dei reagenti per convertirli nei prodotti rimossi. L’equilibrio si sposta
a destra. La rimozione di uno o più prodotti è il metodo più utilizzato per spin-
gere le reazioni chimiche verso i prodotti desiderati e consumare completamente
i reagenti.

d. Rimozione di reagenti: al fine di ristabilire l’equilibrio il sistema tende a consu-


mare parte dei prodotti per convertirli nei reagenti rimossi. L’equilibrio si sposta
a sinistra.
Termodinamica

Il sistema si oppone alla variazione indotta dall’esterno consumando il reagente


aggiunto o riformando il reagente rimosso.

7.9.2 Effetto della temperatura sulla costante di equilibrio


Come accennato la variazione della temperatura induce una variazione del valore delle
costanti di equilibrio Keq .

a. Se la reazione è esotermica (∆H < 0, produce calore), essa è favorita


da una diminuzione della temperatura. Se si considera il calore come un pro-
dotto della reazione, sottraendolo si spinge la reazione verso destra. Aumentando
la temperatura diminuisce il valore della Keq .

b. Se la reazione è endotermica (∆H > 0, assorbe calore), essa è favorita


dall’aumento di temperatura. Il calore è in questo caso un reagente: fornendo
il reagente si sposta la reazione verso i prodotti. Aumentando la temperatura
aumenta il valore della Keq .
Chimica 883

7.9.3 Effetto della pressione e del volume sulla costante di equilibrio


La posizione all’equilibrio varia al variare della pressione se e solo se:

a. tutti i componenti sono aeriformi;

b. la reazione comporta una variazione del numero di moli complessive passando dai
reagenti ai prodotti.

Si indica con ∆n la variazione del numero totale di moli che si verifica durante una
generica reazione chimica. ∆n è dato dalla differenza tra la somma dei coefficienti
stechiometrici dei prodotti (c+d) e la somma dei coefficienti stechiometrici dei reagenti
(a + b):

aA + bB  cC + dD
∆n = (c + d) − (a + b)

Si verificano quindi tre possibili condizioni:

a. ∆n > 0. Il numero totale di moli dei prodotti è maggiore del numero totale di
moli dei reagenti. La reazione è favorita da una diminuzione di pressione (o un
aumento di volume).

b. ∆n < 0. Il numero totale di moli dei prodotti è minore del numero totale di moli
dei reagenti. La reazione è favorita da un aumento di pressione (o una diminuzione
di volume).

c. ∆n = 0. L’equilibrio NON risente né di variazioni di pressione né di variazioni


di volume.

7.10 Il processo Haber per la sintesi dell’ammoniaca


Alla fine dell’Ottocento l’incremento demografico mondiale, e il conseguente aumento
della domanda di alimenti, richiese l’utilizzo massiccio di fertilizzanti agricoli. L’im-

Chimica
possibilità di produrre industrialmente fertilizzanti iniziò seriamente a minacciare la
sopravvivenza della popolazione mondiale. È merito principalmente del chimico Fritz
Haber (1868-1934) se ciò non è accaduto. Premio Nobel per la chimica 1918, egli riu-
scı̀ ad escogitare un metodo estremamente efficiente, impiegato tutt’oggi con qualche
variante, per la sintesi industriale dell’ammoniaca.
Il processo di sintesi dell’ammoniaca a partire da H2 ed N2 ideato da Fritz Haber
aiuta a comprendere meglio la differenza tra gli aspetti cinetici e quelli termodinamici
delle reazioni chimiche.
La sintesi dell’ammoniaca a partire da azoto ed idrogeno è una reazione fortemente
esotermica ∆H = −92,2 kJ, favorita quindi da un punto di vista termodinamico.
Tuttavia la cinetica di questa reazione è estremamente lenta il che rende impossibile
una produzione industriale in tempi ragionevoli.
Si potrebbe pensare di aumentare la temperatura di reazione, considerando che
un aumento di temperatura induce senza eccezioni un incremento della velocità di
reazione. Tuttavia, secondo il principio di Le Châtelier, un aumento di temperatura
nelle reazioni esotermiche induce una diminuzione del valore di Keq con la conseguente
884 Cenni di termochimica, cinetica ed equilibri

riduzione della resa sintetica. La situazione sembra quindi essere senza via di uscita,
infatti se conduciamo la reazione a basse temperature, per garantire una buona resa,
essa richiederà tempi lunghissimi; se la conduciamo ad alte temperature lo faremo a
discapito della resa e quindi otterremo pochissimo prodotto.
L’impiego di un catalizzatore opportuno sembra essere l’unica soluzione. Come sap-
piamo, infatti, i catalizzatori accelerano le velocità di reazione senza variare la posizione
di equilibrio. Inoltre, in base al principio di Le Châtelier, essendo la sintesi dell’am-
moniaca un processo in cui ∆n < 0 è possibile, aumentando la pressione, favorire la
formazione di prodotti senza alterare il valore della Keq .
Grazie a queste osservazioni Fritz Haber propose un impianto di sintesi dell’ammoniaca
in cui azoto ed idrogeno vengono trattati sotto pressione ed in presenza di catalizzatori
eterogenei a base di Fe3 O4 e Al2 O3 . Il suo processo industriale ha consentito la sintesi
di ammoniaca su larga scala ed è stato alla base del forte aumento della produzione
mondiale di prodotti agricoli. La produzione di ammoniaca, mediante il processo Haber,
supera nei soli Stati Uniti i 20 miliardi di kg annui.

La massima resa possibile per una reazione chimica è rappresentata dalla con-
centrazione dei prodotti all’equilibrio. Per aumentare la resa NON è possibile
impiegare un catalizzatore ma è necessario spostare l’equilibrio variando la
temperatura.

7.11 Quesiti
1) Una reazione è endotermica se ha: B S

A ∆G = 0 C G

B ∆G > 0 D W
C ∆H = 0 E U
Termodinamica

D ∆S < 0 4) Una reazione con ∆S < 0:


E ∆H > 0
A è spontanea
2) L’entalpia: B non è spontanea
A esprime il contenuto di energia totale di C è endotermica
un sistema
D è esotermica
B esprime la forza guida che regola la
spontaneità di una reazione E può essere spontanea o non spontanea
C esprime l’energia che viene ceduta 5) Quando una reazione ha un ∆G
durante una reazione negativo:
D corrisponde al calore ceduto o assorbi-
to da un sistema durante una reazione A avviene molto velocemente
chimica B avviene lentamente
E esprime la tendenza di un sistema a
C è esotermica
mantenersi ordinato
D è spontanea
3) Il simbolo dell’entropia è:
E è endotermica
A H
Chimica 885

6) Una reazione esotermica disordinante: C sottraendo B

A ha ∆H > 0 D aggiungendo A

B non è mai spontanea E abbassando la temperatura


C è spontanea a tutte le temperature 9) Una reazione con ∆H = −90 kJ/mol,
D è sempre endotermica ∆S = −200 J/(mol · K), ad una tempe-
ratura di 400 K:
E è accompagnata da una diminuzione di
entropia A non è spontanea

7) Quando il ∆S = 0: B ha un ∆G = 0

A non c’è variazione di energia libera C è spontanea

B non c’è aumento né diminuzione dello D è spontanea solo se presente un cataliz-
stato di disordine del sistema zatore
C la reazione è esoergonica E avviene a velocità molto bassa

D la reazione esotermica 10) Non è un fattore che può influenzare la


E si ha il massimo grado di ordine del velocità di reazione:
sistema
A la temperatura
8) Se si ha una reazione endotermica del B la superficie di contatto
tipo A + B  C + D si può pensare di
aumentare la produzione di C: C la presenza di catalizzatori

A aggiungendo D D la ∆G di reazione

B sottraendo A E la concentrazione dei reagenti

7.12 Soluzioni commentate ai quesiti


1) E . Il ∆H > 0 indica che la reazione è endotermica cioè è accompagnata da un
assorbimento di calore.
2) D . L’entalpia è una misura dell’energia termica scambiata durante una reazione
chimica a pressione costante.
3) B . Il simbolo dell’entropia è S. G si riferisce all’energia libera di Gibbs, H all’en-

Chimica
talpia, W al lavoro e U all’energia interna.
4) E . La variazione di entropia partecipa alla definizione della spontaneità di una
reazione, ma non è l’unico fattore da considerare. Perciò una reazione con variazione
di entropia positiva può essere spontanea o meno, a seconda della temperatura di
reazione e della variazione di entalpia associata. Tutti questi fattori concorrono alla
definizione della variazione dell’energia libera di Gibbs, il cui valore determina la
spontaneità di una reazione.
5) D . Una variazione negativa dell’energia libera di Gibbs indica che la reazione è
spontanea. La spontaneità di una reazione chimica è un parametro termodinamico
che non ci fornisce alcuna informazione sulla sua cinetica.
6) C . Una reazione esotermica disordinante è spontanea a tutte le temperature in
quanto: accompagnata da un aumento di entropia (S) e una diminuzione di ental-
pia (H), ovvero presenta una diminuzione dell’energia libera di Gibbs a qualsiasi
temperatura.
886 Cenni di termochimica, cinetica ed equilibri

7) B . Il ∆S indica la variazione di entropia, quindi non è un valore assoluto, ma solo


la differenza tra lo stato finale e lo stato iniziale. Quando il valore è uguale a zero,
non c’è alcuna variazione nell’entropia.

8) D . Una reazione è all’equilibrio se la velocità con cui i reagenti formano i prodotti


(reazione diretta) equivale a quella con cui i prodotti riformano i reagenti (reazione
inversa). In base al principio di Le Châtelier è possibile modificare la posizione
all’equilibrio. In generale aumentando la temperatura, l’equilibrio si sposta verso
destra se una reazione è endotermica, verso sinistra se la reazione è esotermica.
L’aumento di concentrazione dei reagenti sposta sempre l’equilibrio verso i prodotti,
mentre aumentando i prodotti si sposta l’equilibrio verso i reagenti. Una variazione
di pressione ha effetto sull’equilibrio solo se si tratta di una reazione che porta ad un
aumento o ad una riduzione del numero di molecole allo stato gassoso. In particolare
se la reazione porta ad un aumento del numero di molecole gassose, l’aumento della
pressione (o la diminuzione di volume) sposta l’equilibrio verso sinistra, mentre
una riduzione della pressione (o un aumento di volume) sposta l’equilibrio verso la
formazione dei prodotti, cioè verso destra.

9) C . Una reazione con i valori riportati nel quesito ha un


 
J J J
∆G = −90000 − −400 K · 200 = −10000
mol K · mol mol

Tale valore negativo indica che la reazione è spontanea. L’energia di attivazione non
incide sulla spontaneità, ma sulla velocità della reazione, i catalizzatori influenzano
la velocità di reazione ma NON possono trasformare una reazione non spontanea
in una spontanea. Attenzione in fine alle unità di misura, l’entalpia è solitamente
misurata in kJ, mentre l’entropia è misurata in J.

10) D . La variazione di energia libera di Gibbs ∆G è un parametro termodinamico e


non cinetico, ovvero ci fornisce informazioni sulla spontaneità di una reazione ma
non sulla sua velocità.
Termodinamica
Le soluzioni
8
“Similia similibus solvuntur” (lat. Il simile scioglie il simile).
8.1 Introduzione
In questo capitolo ci focalizzeremo sullo studio delle soluzioni e sulle loro proprietà.
Impareremo ad esprimere la concentrazione nel modo più opportuno. Scopriremo infine
i fattori che regolano i processi di solubilità e la relazione tra la concentrazione dei soluti
e le proprietà delle soluzioni.

8.2 Soluzioni ed unità di concentrazione

Si definisce soluzione una dispersione macroscopicamente omogenea di due o più


componenti presenti in proporzioni variabili.

Quando ci si riferisce alle soluzioni in senso stretto solitamente si parla di miscele liquide
o di solidi disciolti in liquidi. Tuttavia la definizione più ampia sopra menzionata può
essere applicata anche a leghe metalliche (che sono solitamente definite come “soluzioni
solide”) ed a miscele di gas (soluzioni gassose).
Una soluzione deve, per definizione, essere una miscela omogenea, ovvero deve pre-
sentare la stessa composizione in ogni suo punto. Il componente presente in quantità
maggiore è definito solvente, il componente presente in quantità minore e disciolto nel
solvente prende il nome di soluto.
Lo stato fisico della soluzione dipende dallo stato fisico del componente presente in
quantità maggiore, ovvero dal solvente, e come conseguenza possiamo distinguere tre
tipi di soluzioni:

soluzioni gassose: costituite da due o più gas diversi tra loro (ad esempio l’aria);

soluzioni liquide: il solvente è liquido ed il soluto può essere solido, liquido


(acqua e alcol) o gassoso (acqua effervescente);

soluzioni solide: il solvente è un solido, il soluto può essere solido (lega), liquido
o gassoso.

La composizione delle soluzioni può essere espressa in vari modi:

percentuale in peso (% p/p): esprime il numero di grammi di soluto presenti


in 100 grammi di soluzione;

percentuale peso/volume (% p/V): esprime il numero di grammi di soluto


contenuti in 100 ml di soluzione;
888 Le soluzioni

percentuale in volume (% V/V): esprime il volume di un componente pre-


sente in 100 volumi di soluzione;
parti per milione (p.p.m.): esprime i mg di soluto per kg di soluzione;
frazione molare (χ): esprime il rapporto tra il numero di moli di un componente
di una soluzione ed il numero totale di moli presenti nella soluzione stessa. La
somma delle frazioni molari di tutti i componenti di una soluzione deve essere 1;
molarità (M): esprime il numero di moli di soluto presenti in 1 litro di soluzione;
molalità (m): esprime il numero di moli di soluto presenti in 1 kg di solvente;
normalità (N): esprime il numero di equivalenti di soluto presenti in un litro
di soluzione.

Nella molarità (M) si considera il numero di moli presenti in un litro di soluzione,


ovvero le moli presenti in un litro della soluzione ottenuta una volta miscelato il
solvente con i soluti. La molarità risente quindi della variazione di volume data
dall’aggiunta dei soluti nel solvente e NON consente di determinare con accuratezza
la quantità di solvente effettivamente presente. Diversamente, nella molalità (m) si
considera il numero di moli di soluto presenti in un kilogrammo di solvente, in questo
modo è possibile conoscere con esattezza sia la quantità di soluto che quella di solvente
presente nella soluzione.

Le misurazioni in volume sono intrinsecamente meno precise rispetto a quelle in massa in


quanto il volume di una qualsiasi sostanza varia al variare della temperatura. Esistono inoltre
numerosi casi in cui il volume ottenuto miscelando più liquidi NON coincide con la somma
dei singoli volumi impiegati ma può essere maggiore o minore. Questo fenomeno è dovuto al
variare del modo in cui le molecole si “impaccano” quando vengono in contatto con molecole
di tipo diverso.
Le soluzioni

8.2.1 La molarità (M)


È di certo il modo più utilizzato per indicare le concentrazioni. Esprime il numero di
moli contenute in un litro di soluzione.
n mol
M=
Vol (L)
La concentrazione molare è espressa convenzionalmente ponendo la sostanza in consi-
derazione tra parentesi quadre ([Br− ] = 0,1 M).
Data la molarità di una soluzione è possibile calcolare il numero di moli presenti per
unità di volume. La molarità è comunemente impiegata per il calcolo della diluizione
delle soluzioni. Essa permette, ad esempio, di calcolare quanto solvente aggiungere ad
una soluzione con una determinata molarità per ottenere una soluzione a molarità
diversa.
Per i processi di diluzione possiamo affermare che vale sempre la relazione:

Miniziale × Voliniziale = Mfinale × Volfinale


Chimica 889

1) Calcolare la molarità di una soluzione ottenuta sciogliendo 5,0 g di NaBr in acqua


fino ad ottenere 300 mL di soluzione.
a. Si calcola la quantità di moli di NaBr presenti dividendo la massa espressa in
grammi di NaBr (5,0 g) per il suo peso molare (103 g/mol).

Massa NaBr (5,0 g)


moli NaBr =  g  = 0,049 mol
Peso Molare NaBr 103
mol
b. Si calcola la molarità come rapporto tra le moli di NaBr e il volume della soluzione
espresso in litri.
moli NaBr (0,049 mol) mol
Molarità [NaBr] = = 0,16
Volume soluzione (0,300 L) L
2) Calcolare la massa in grammi di cloruro di magnesio MgCl2 che occorre pesare
per preparare 250 mL di una soluzione 0,2 M.
a. Conoscendo la concentrazione molare desiderata (0,2 M) ed il volume che si
vuole preparare (250 mL), si calcolano le moli di soluto che vanno disciolte per
preparare la soluzione desiderata.

 
mol
moli MgCl2 = Molarità soluzione 0,2 ×Vol soluzione (0,250 L) = 0,05 mol
L

b. Si calcola la massa di MgCl2 necessaria moltiplicando le moli ottenute per la


massa molare (95,3 g/mol).
 g 
massa MgCl2 = moli MgCl2 (0,2 mol) × Peso molare MgCl2 95,3
mol
= 4,77 g
3) Una soluzione di ioduro di sodio NaI ha una concentrazione di 0,200 M. Calco-
lare la concentrazione della soluzione espressa come percentuale in peso (% p/p)
sapendo che la densità della soluzione è ρ = 1,03 g/mL.
a. Calcolare la massa corrispondente a 100 mL di soluzione impiegando il valore
della densità.

Chimica
 g 
massa soluzione = densità ρ 1,03 × Volume soluzione (100 mL) = 103 g
mL

b. Il numero di moli di NaI contenute in 100 mL di soluzione è dato dal prodotto


tra la concentrazione della soluzione (0,200 M) ed il volume espresso in litri
(0,1 L) = 0,02 moli.
 
mol
moli NaI = Molarità soluzione 0,200 ×Volume soluzione (0,1 L) = 0,02 mol
L
c. Calcolare la massa, espressa in grammi, di NaI presente in 100 mL di soluzione
moltiplicando le moli 0,02 (mol) per il peso molare di NaI (150 g/mol).
 g 
massa NaI = moli NaI (0,02mol) × Peso molare 150 =3g
mol

d La concentrazione espressa come percentuale in peso (% p/p) corrisponde alla


massa di NaI (3 g) contenuta in 103 g di soluzione per 100.
890 Le soluzioni

massa NaI (3 g)
Concentrazione NaI = × 100 = 2,9%
massa soluzione (103 g)
4) Calcolare il volume di una soluzione di NaOH 0,15 M che deve essere prelevata e
diluita per aggiunta di acqua in modo da ottenere 250 mL di soluzione 0,020 M.
a. Calcolare il numero di moli di NaOH necessarie per formare la soluzione diluita:
 
mol
moli NaOH = molarità soluzione 0,02 ×Volume soluzione (0,250 L) = 0,005 mol.
L

b. Una volta calcolato il numero di moli necessarie si ricava il volume della soluzione
concentrata in cui queste sono contenute:

moli NaOH (0,005 mol)


Volume soluzione =   = 0,033 L
mol
molarità soluzione 0,15
L

c. Si può risolvere il quesito semplicemente applicando l’equazione:

Miniziale × Voliniziale = Mfinale × Volfinale .

In questo caso si ottiene:


Mfinale × Volfinale 0, 020 × 0, 250
Viniziale = = = 0, 033L
Miniziale 0, 15

8.2.2 La molalità (m)


La molalità (m) esprime il numero di moli di soluto presenti in un Kg di solvente.
Si noti che nella definizione di molalità (m) al denominatore compare la quantità di
solvente e NON di soluzione. Questo permette di determinare con accuratezza anche la
quantità di solvente impiegato per preparare la soluzione. Inoltre, essendo la molalità
espressa per Kg di solvente, ovvero in termini di massa e NON di volume, questa unità
di misura è indipendente dalle variazioni di temperatura ed è perciò intrinsecamente
più precisa rispetto alla Molarità (M).
Le soluzioni

1) Data una soluzione di HNO3 al 27% in peso con una densità di 1,16 g/mL,
calcolare molarità (M) e molalità (m) della soluzione.
a. Per determinare la molarità (M) si calcola il numero di moli di HNO3 pre-
senti in un litro di soluzione. Su 1000 g di soluzione, 270 g sono di acido
nitrico. Il numero di moli di HNO3 in 1 Kg di soluzione è dato da 270 g diviso il
suo peso molare (63 g/mol) = 4,29 mol. Dalla densità della soluzione ricaviamo
che 1 Kg di soluzione occupa 1/1,16 = 0,862 L. La molarità (M) della soluzione si
calcola dal rapporto tra il numero di moli di HNO3 presenti in 1 Kg di soluzione
(4,29 mol) ed il volume corrispondente ad 1 Kg di soluzione (0,862 L):

massa HNO3 (270 g)


moli HNO3 =  g  = 4,29 mol
Peso molare HNO3 63
mol
moli HNO3 (4,29 mol) mol
Molarità soluzione [HNO3 ] = = 4,97
Volume soluzione (0,862 L) L
Chimica 891

b. Per determinare la molalità (m) è necessario ricavare il numero di moli di


HNO3 presenti in 1 Kg di solvente. Dalla percentuale in peso deduciamo
che in 1 Kg di soluzione sono presenti 270 g di HNO3 . In mancanza di altri com-
ponenti la differenza (730 g) deve essere necessariamente il solvente. Sappiamo
che in 270 g di HNO3 sono presenti 4,29 mol di acido. È quindi possibile ricavare
la molalità (m) facendo il rapporto tra il numero di moli di HNO3 (4,29 mol) e
la quantità di solvente espressa in Kg (0,730 Kg):

moli HNO3 (4,29; mol) mol


molalità soluzione = = 5,87
massa solvente (0,730 Kg) Kg

8.2.3 La normalità (N) e gli equivalenti chimici


La normalità (N) esprime il numero di equivalenti (neq ) di soluto presenti in un
litro di soluzione.  eq 
neq
N= mol
Vol (L)
Mentre la mole indica un numero esatto di unità elementari pari al Numero di Avoga-
dro, l’equivalente NON assume un valore costante ma è funzione del tipo di reazione
che si sta considerando. Il concetto di equivalente è stato introdotto per semplificare i
calcoli stechiometrici in reazioni chimiche complesse. Esso, infatti, è calcolato in modo
che un equivalente di reagente reagisca sempre con un equivalente di un altro reagente
per generare un equivalente di prodotto.
Il numero di equivalenti (neq , espresso in eq/mol) si ottiene dal rapporto tra la massa
molare (o peso molare) della sostanza in questione (g/mol) ed il peso equivalente
(g/eq):
 g 
 eq  massa molare
neq = mol
 
mol g
Peso equivalente
eq

Chimica
Il peso equivalente, a sua volta, è dato dal peso molecolare diviso per un numero
intero positivo n che corrisponde al numero di unità scambiate durante una reazione
chimica. Nel caso di reazioni acido-base gli equivalenti corrispondono al numero di
H+ /OH− prodotti da una mole di sostanza, mentre in una reazione redox gli equivalenti
corrispondono al numero di elettroni generati (dal riducente) o acquisiti (dall’ossidante)
per mole di sostanza:
 g 

g
 Peso molare
Peso equivalente =  eq mol
eq neq
mol
Anche per la normalità vale la relazione:

Niniziale × Voliniziale = Nfinale × Volfinale


892 Le soluzioni

Essendo neq un numero intero positivo possiamo affermare che la normalità di una
soluzione (N) ha sempre un valore maggiore o uguale rispetto a quello della sua molarità
(M) ed è ottenibile dalla seguente equazione:
 
mol neq
N=M ×
L mol

1) Quanti equivalenti di idrossido di magnesio Mg(OH)2 sono contenuti in una mole


di questo composto?
L’idrossido di magnesio in acqua dissocia completamente formando uno ione Mg2+ e due
ioni OH− . Di conseguenza una mole di Mg(OH)2 contiene due moli di OH− . Dato che
un equivalente di base corrisponde alla frazione di mole che dissociandosi cede una mole
di ioni OH− , un equivalente di Mg(OH)2 corrisponde a 0,5 moli, ed una mole di questo
composto contiene 2 equivalenti.
2) Quanti equivalenti di H2 SO4 sono contenuti in una mole di questo composto?
L’acido solforico in acqua dissocia completamente formando uno ione SO2− 4 e due ioni
H+ . Di conseguenza una mole di H2 SO4 contiene due moli di H+ . Dato che un equivalente
di acido corrisponde alla frazione di mole che dissociandosi cede una mole di ioni H+ , un
equivalente di H2 SO4 corrisponde a 0,5 moli, ed una mole di questo composto contiene
2 equivalenti.
3) Qual è la normalità (N) delle seguenti soluzioni 1 M: KOH, Mg(OH)2 , Al(OH)3 ,
HCl e H2 SO4 ?
Ricordiamo innanzitutto che la normalità ha sempre un valore maggiore o uguale a quello
della corrispondente molarità. È necessario dapprima verificare il numero di equivalenti
liberati per mole di composto. Nel caso di KOH ed HCl, per ogni mole di composto si
libera una mole di equivalente ( OH− e H+ rispettivamente), possiamo quindi affermare
che una soluzione 1 M di HCl o di KOH sarà pari ad una soluzione 1 N degli stessi sali.
Diversamente, per ogni mole di Mg(OH)2 e H2 SO4 si liberano due moli di equivalente
(due OH− e due H+ rispettivamente). Possiamo quindi affermare che una soluzione 1 M
Le soluzioni

di Mg(OH)2 (o di H2 SO4 ) è pari ad una soluzione 2 N degli stessi composti. Allo stesso
modo una mole di Al(OH)3 libera tre ioni OH− e quindi una soluzione 1 M di Al(OH)3
è pari ad una soluzione 3N di questo composto.
4) Qual è il peso equivalente di H2 SO4 nella reazione H2 SO4 + 2KOH −→ K2 SO4 +
2H2 O?
Per ogni mole di H2 SO4 si generano 2 moli di ioni H+ che vengono scambiati con 2
moli di KOH. Una mole di H2 SO4 corrisponde quindi a due equivalenti di H2 SO4 . Il peso
equivalente si ottiene dal rapporto tra la massa molare di H2 SO4 (98 g/mol) ed il numero
di equivalenti scambiati (2 eq/mol). Il peso equivalente dell’acido è 49 g/eq. Quando
l’acido solforico anziché scambiare due ioni H+ ne scambia uno solo (H2 SO4 + KOH −→
KHSO4 +H2 O), allora il numero di equivalenti scambiati per mole di composto è 1 eq/mol
e di conseguenza il peso equivalente corrisponde al suo peso molare cioè 98 g/eq.

Il peso equivalente dipende dal tipo di reazione in considerazione.


Chimica 893

8.3 Il fenomeno della dissoluzione


Affinché un solvente riesca a disciogliere un soluto, le forze attrattive tra le molecole di
solvente e quelle di soluto devono vincere le forze attrattive intermolecolari solvente-
solvente e soluto-soluto. Infatti, quando il soluto viene disciolto, le sue molecole vengono
separate e circondate da molecole di solvente (fenomeno di solvatazione). Se il solvente
è l’acqua il fenomeno prende il nome di idratazione.
La solubilità di un soluto in un determinato solvente è, in ultima analisi, funzione
delle interazioni che si possono instaurare tra le molecole di soluto e quelle di solvente. È
evidente che molecole polari come l’acqua interagiscono facilmente con sostanze polari
come, ad esempio, i composti ionici. Parallelamente molecole apolari come l’etere sono
in grado di disciogliere facilmente molecole apolari come l’olio. Questo fenomeno era già
noto agli antichi che lo enunciavano come segue: “Similia similibus solvuntur ” ovvero
“il simile scioglie il simile”.
La quantità di soluto che può essere sciolta in una determinata quantità di solvente
non è infinita. Oltre ad un certo valore soglia il soluto non è più solubile nel solvente: si è
raggiunto il cosiddetto limite di solubilità e la soluzione è detta satura. Se si continua
ad aggiungere soluto quest’ultimo si deposita su fondo del contenitore formando un
corpo di fondo e la soluzione viene definita sovrasatura.

Definiamo sovrasatura una soluzione che contiene una quantità di soluto maggiore a
quella che è possibile sciogliere in quelle condizioni di temperatura.

Come esempio analizziamo l’elevata solubilità del sale da cucina in acqua. Questa pro-
prietà del sale da cucina è dovuta ai legami ionici tra cationi Na+ e anioni Cl− che
lo formano. L’acqua, infatti, grazie al suo spiccato carattere polare riesce a frapporsi
facilmente tra gli ioni che formano il sale e a portarli in soluzione. Una volta in solu-
zione, gli ioni Na+ e Cl− si trovano circondati da molecole d’acqua (idratazione) che di
fatto impediscono il riformarsi del legame ionico NaCl. Rimuovendo l’acqua mediante
evaporazione, gli ioni Na+ e Cl− presenti in soluzione diventano liberi di interagire e
si riformano i cristalli di sale.
Al contrario il sale da cucina è pressoché insolubile in olio. Questo fenomeno è
dovuto al fatto che l’olio è fortemente apolare e pertanto non può frapporsi tra gli ioni
Chimica
Na+ e Cl− né tantomeno stabilizzarli mantenendo le due cariche separate. L’olio può
invece solubilizzare facilmente sostanze idrofobiche come la vitamina D.
La solubilità di una sostanza non è una sua proprietà intrinseca ma è
riferita alla coppia soluto-solvente ed è funzione della temperatura. Defi-
nire una sostanza come “molto” o “poco” solubile, senza specificare le condizioni di
solubilizzazione, è un’affermazione priva di significato scientifico.

8.3.1 Fattori che influenzano la solubilità


La solubilità di una sostanza non dipende esclusivamente dal tipo di solvente impiegato
ma è influenzata anche da altri parametri quali la temperatura e la pressione.

Definiamo solubilità di una sostanza la quantità massima di sostanza che si può


sciogliere in un determinato solvente ad una determinata temperatura.
894 Le soluzioni

Effetto della temperatura:


Il processo di solubilizzazione di un solido in acqua è generalmente endotermico ed è
quindi favorito da un aumento di temperatura.
Esistono però numerose eccezioni come ad esempio il sale da cucina (NaCl), la cui
solubilità non è influenzata dalla temperatura, o i carbonati, nei quali un aumento di
temperatura ne riduce la solubilità.

Il carbonato di calcio (CaCO3 ), comunemente noto come calcare, diminuisce la sua solubilità
in acqua all’aumentare della temperatura. Come conseguenza esso precipita e crea le famose
“incrostazioni” di calcare su lavatrici e ferri da stiro, compromettendone il funzionamento.

Diversamente dai solidi, la solubilità dei gas nei liquidi è sempre un processo esoter-
mico (emette calore) ed è quindi sfavorito da un aumento di temperatura.

Effetto della pressione:


La pressione non ha pressoché alcun effetto sulla solubilità dei solidi, tuttavia è un
fattore che influenza in modo significativo la solubilità dei gai nei liquidi. Secondo la
Legge di Henry (formulata da William Henry nel 1803), infatti, la solubilità di un
gas (Sg ) in un liquido è direttamente proporzionale alla pressione parziale del gas (Pg ).
In altre parole, un gas che esercita una pressione sulla superficie di un liquido vi entra
in soluzione finché avrà raggiunto in quel liquido la stessa pressione che esercita sopra
di esso.
Sg = kH Pg
La costante di proporzionalità kH è detta costante di Henry ed è caratteristica di
ogni singola coppia soluto-solvente.
Come esempio basti ricordare la solubilità dell’anidride carbonica nelle bevande
gassate. Essa è massima quando la bottiglia è chiusa e si trova sotto pressione, una
volta aperta la bottiglia però la pressione diminuisce bruscamente ed il gas si libera
nell’aria sotto forma di bollicine. Questo è anche il motivo per cui una bottiglia di
acqua minerale lasciata aperta per molti giorni riduce la concentrazione di CO2 , che si
Le soluzioni

libera nell’aria, e perde il caratteristico sapore “frizzante”.

Come precedentemente affermato, essendo la solubilità una proprietà che dipende


dall’interazione tra il soluto ed il solvente, la costante di Henry NON è riferita
esclusivamente al soluto ma dipende anche dal solvente impiegato.

I composti che in acqua si dissociano formando ioni sono chiamati elettroliti. Il nome
elettrolita deriva dal fatto che queste soluzioni, essendo costituite da ioni carichi, sono
in grado di condurre corrente elettrica. Sono detti elettroliti forti i composti che in
acqua si dissociano completamente (acidi forti, basi forti e sali solubili); sono detti
elettroliti deboli i composti che in acqua presentano una dissoluzione parziale (acidi
e basi deboli, sali poco solubili). Il grado di dissociazione α è dato dal rapporto tra il
numero di moli dissociate ed il numero di moli totali: pertanto quando la dissociazione
è completa α = 1, quando la dissociazione è parziale 0 < α < 1.
Chimica 895

8.4 Proprietà colligative delle soluzioni


In una soluzione la presenza del soluto altera il modo in cui le particelle di solvente
interagiscono tra loro. Come conseguenza il solvente subisce una variazione di alcune
proprietà, dette proprietà colligative, in modo direttamente proporzionale al numero
di particelle di soluto presenti in soluzione.

Si definiscono proprietà colligative tutte quelle proprietà delle soluzioni (variazione


del punto di congelamento, del punto di ebollizione, della tensione di vapore e della
pressione osmotica) che dipendono, almeno idealmente, solo dal numero di particelle
di soluto presenti in un solvente e non dalla loro natura.

8.4.1 Innalzamento ebullioscopico (o del punto di ebollizione) (∆Teb )


Corrisponde all’aumento del punto di ebollizione di una soluzione rispetto al solvente
puro ed è causato dalla presenza nella soluzione di un soluto non volatile.
Il fenomeno è dovuto ad alcune particelle di soluto che, disponendosi sulla superficie
della soluzione, ostacolano il passaggio del solvente dallo stato liquido a quello aerifor-
me. Come conseguenza la temperatura necessaria per l’ebollizione aumenta. Questo è
il motivo per cui, quando prepariamo un piatto di pasta, il sale da cucina andrebbe
aggiunto all’acqua una volta raggiunta l’ebollizione e non prima. In caso contrario sarà
necessario attendere più a lungo per portare l’acqua all’ebollizione.
L’innalzamento ebullioscopico è direttamente proporzionale alla molalità (m) della
soluzione e alla costante ebullioscopica Keb tipica del solvente.

∆Teb = Keb × m

Si considera la molalità (m) e NON la molarità (M) in quanto la prima è indipendente


dalle variazioni di temperatura.

Chimica
8.4.2 Abbassamento crioscopico (o del punto di congelamento) (∆Tcr )
Il fenomeno è analogo a quello precedente e corrisponde alla diminuzione del punto di
solidificazione di una soluzione rispetto al solvente puro ed è generato dalla presenza
nella soluzione di un soluto non volatile.
Anche in questo caso la presenza del soluto che si frappone alle molecole di solvente
impedisce a queste ultime di orientarsi secondo il proprio reticolo cristallino.
Spargere del sale da cucina sulle strade di montagna di fatto impedisce la formazione
di ghiaccio inducendo una diminuzione del punto di congelamento dell’acqua (abbassa-
mento crioscopico). In presenza di soluti saranno quindi necessarie temperature molto
inferiori allo zero per congelare l’acqua.
L’abbassamento crioscopico è anch’esso direttamente proporzionale alla molalità
(m) della soluzione e alla costante crioscopica Kcr tipica del solvente.

∆Tcr = Kcr × m
896 Le soluzioni

1) Calcolare l’aumento ebullioscopico e l’abbassamento crioscopico rispetto al


solvente puro di una soluzione acquosa al 15% p/p di glucosio (C6 H12 O6 ).
Keb (H2 O) = 0,512 ◦ C Kg/mol; Kcr (H2 O) = −1,86 ◦ C Kg/mol.
Si calcola innanzitutto la molalità (m) della soluzione:
In 100 g di soluzione sono contenuti 15 g di glucosio e, per differenza, 85 g di acqua. Le
moli di C6 H12 O6 in 15 g sono:

massa glucosio (15 g)


moli glucosio =  g  = 0, 083mol
Peso molare glucosio 180
mol
La molalità si calcola dal rapporto tra il numero di moli di soluto (0,083 mol) e la massa
espressa in Kg del solvente (0,085 Kg).

moli glucosio (0,083 mol) mol


molalità m = = 0,98
massa solvente (0,085 Kg) Kg

Le variazioni dei punti di ebollizione e di congelamento si calcolano applicando le


rispettive equazioni:

C · Kg mol
∆Teb = Keb × m = 0,512 × 0,98 = 0,50 ◦ C
mol Kg

C · Kg mol
∆Tcr = Kcr × m = −1,86 × 0,98 = −1,82 ◦ C
mol Kg

2) Calcolare l’aumento ebullioscopico e l’abbassamento crioscopico rispetto al


solvente puro di una soluzione acquosa al 10% p/p di NaCl.
Si calcola innanzitutto la molalità (m) delle soluzioni:
In 100 g di soluzione sono contenuti 10 g di NaCl e, per differenza, 90 g di acqua. Le moli
di NaCl in 10 g sono:

massa NaCl (10 g)


moli NaCl =  g  = 0,17 mol.
Le soluzioni

Peso molare NaCl 58,5


mol
La molalità si calcola dal rapporto tra il numero di moli di soluto (0,17 mol) e la massa
espressa in Kg del solvente (0,090 Kg).

moli NaCl (0,17 mol) mol


molalità (m) = = 1,89
massa solvente (0,090 Kg) Kg

Essendo NaCl un elettrolita forte, in soluzione acquosa sarà completamente dissociato in


cationi Na+ ed anioni Cl− . Ai fini del calcolo delle proprietà colligative ciò che
conta è il numero totale di particelle e non la loro natura. Di conseguenza la
quantità in moli di “particelle” presenti in soluzione sarà doppia rispetto al numero di
moli di NaCl disciolto (ntot = nNa + nCl ). La variazione del punto di ebollizione e del
punto di congelamento si calcola tenendo conto del numero di particelle totali presenti
nella soluzione.
Chimica 897

Per fare ciò si impiega il cosiddetto coefficiente di Van’t Hoff (i) che tiene conto del grado
di dissociazione del composto.

C · Kg mol
∆Teb = Keb × m × i = 0,512 × 1,99 × 2 = 2,04 ◦ C
mol Kg

C · Kg mol
∆Tcr = Kcr × m × i = −1,86 × 1,99 × 2 = −7,40 ◦ C
mol Kg

8.4.3 Pressione osmotica (Π)


Se impieghiamo una parete semipermeabile (ovvero permeabile solo al solvente e non
al soluto) per separare due soluzioni a diversa concentrazione, si genererà un fenomeno
conosciuto come osmosi.

Definiamo osmosi il movimento delle molecole di solvente attraverso una membrana


semipermeabile da una zona ipotonica (a minor concentrazione di soluto) ad una
ipertonica (a maggior concentrazione di soluto).

Tra queste due soluzioni si creerà una differenza di pressione, denominata pressione
osmotica (Π), dovuta alla migrazione spontanea del solvente attraverso la membra-
na dalla zona ipotonica (a minor concentrazione di soluto) verso quella ipertonica (a
maggior concentrazione di soluto). Al termine del processo diffusivo si è in presenza di
due soluzioni isotoniche alla stessa concentrazione e la pressione osmotica sarà nulla.

Definiamo pressione osmotica (Π) la pressione che deve essere esercitata da una
soluzione affinché sia in equilibrio con il solvente puro.

La pressione osmotica è una proprietà colligativa ed è proporzionale alla molarità (M)


del soluto. Essa inoltre è direttamente proporzionale alla temperatura (espressa in

Chimica
Kelvin).
Π=c×R×T
c è la concentrazione molare della soluzione, T è la temperatura espressa in Kelvin, R
è la costante universale dei gas.

Nel calcolo della pressione osmotica si impiega la molarità (M) e NON la molalità
(m). Attenzione al valore della costante dei gas R. Si utilizza solitamente il valore
R =0,0821 (L · Atm/K · mol) in quanto la pressione osmotica è comunemente espressa
in atmosfere. Tuttavia è possibile esprimere la pressione osmotica anche in altre unità di
misura (mmHg, Pa, Bar, Torr) ed è quindi necessario convertire queste unità di misura
in Atm o impiegare la costante R appropriata. La temperatura deve necessariamente
essere espressa in Kelvin.
898 Le soluzioni

Calcolare la pressione osmotica Π di una soluzione di acido ascorbico (PM = 176,0 g/mol)
5,0 g/L alla temperatura di 27 ◦ C.
Si procede calcolando la molarità della soluzione (M):
 g
massa Ac. ascorbico 5,0 mol
Molarità Ac. ascorbico =  L g  = 0,028
Peso molare Ac. Ascorbico 176,0 L
mol
Si applica quindi l’equazione:
mol L · Atm
Π = c × R × T = 0,028 × 0,0821 × 300,15 K = 0,69 Atm
L K · mol

Il fenomeno dell’osmosi ha una grande importanza nei sistemi biologici e di conseguenza in


medicina. Quando ad un paziente disidratato si somministra endovena la cosiddetta “soluzio-
ne salina”, siamo in realtà in presenza di una soluzione isotonica rispetto al sangue, il che
impedisce l’instaurarsi di una differenza di pressione tra le cellule del sangue e la soluzione
iniettata. Se venisse somministrata semplicemente dell’acqua pura, questa tenderebbe ad at-
traversare la membrana plasmatica dei globuli rossi per diluirne la soluzione citosolica presente
al loro interno: si creerebbe quindi un fenomeno di osmosi e come conseguenza i globuli rossi
tenderebbero a gonfiare fino ad esplodere.

8.4.4 Legge di Raoult (1886)

La tensione di vapore (o pressione del vapor saturo) è una misura della tendenza
di un liquido ad evaporare ed è definita come la pressione parziale esercitata dal vapore
che si trova in equilibrio con il suo liquido.

È sperimentalmente dimostrato che aggiungendo un soluto non volatile ad un solvente,


la soluzione che si ottiene presenta una tensione di vapore inferiore rispetto a quella
del solvente puro.
Questo fenomeno può essere spiegato in modo analogo al caso dell’innalzamento
Le soluzioni

ebullioscopico. La presenza di molecole di soluto nella soluzione diminuisce la super-


ficie utile per l’evaporazione del solvente di una percentuale pari alla frazione molare
del soluto. Come conseguenza si osserva una diminuzione della tensione di vapore del
solvente.
Raoult dimostrò che la tensione di vapore di una soluzione a temperatura co-
stante è data dalla somma delle tensioni di vapore di ogni suo componente allo stato
puro moltiplicato per la frazione molare del componente nella soluzione secondo la
seguente espressione:
0 0
Ptot = χsoluto Psoluto + χsolvente Psolvente

dove χ rappresenta le frazioni molari, mentre P 0 rappresenta le tensioni di vapore di


soluto e solvente allo stato puro. Posto che:

la frazione molare χ è per definizione un numero inferiore a 1;

la P 0 di un soluto non volatile è nulla,


Chimica 899

possiamo concludere che la pressione totale di una soluzione contenente un soluto NON
volatile sarà sempre inferiore alla P0 del solvente puro di una percentuale pari alla
frazione molare del soluto.

1) Una miscela liquida è costituita dal 20,0% p/p di n-esano C6 H14 (P M =


86,2 g/mol) e dal 80,0% p/p di n-ottano C8 H18 (P M = 114,2 g/mol). Cal-
colare la tensione di vapore esercitata dalla miscela a temperatura costante.
0 0
Pesano = 17,0 kPa, Pottano = 1,33 kPa
Si procede determinando le frazioni molari dei due componenti. Sappiamo che la miscela
contiene 20,0 g di n-esano ed 80,0 g di n-ottano.

massa esano (20,0 g)


moli esano =  g  = 0,23 mol
Peso molare esano 86,2
mol
massa ottano (80,0 g)
moli ottano =  g  = 0,70 mol
Peso molare ottano 114,2
mol
La frazione molare (χ) esprime il rapporto tra il numero di moli di un componente di
una soluzione ed il numero totale di moli presenti nella soluzione stessa:
nesano 0,23
χesano = = = 0,25
nesano + nottano 0,23 + 0,70
nottano 0,70
χottano = = = 0,75.
nsano + nottano 0,23 + 0,70
Si verifica che la somma algebrica delle frazioni molari che costituiscono la soluzione sia 1.
Si applica la legge di Raoult per ottenere le pressioni parziali dei due componenti:
0
Pesano = χesano Pesano = 0,25 × 17,0 kPa = 4,25 kPa
0
Pottano = χottano Pottano = 0,75 × 1,33 kPa = 1,00 kPa

Si calcola infine la pressione totale come somma delle pressioni parziali:

Chimica
Ptot = Pesano + Pottano = 4,25 kPa + 1,00 kPa = 5,25 kPa

2) Calcolare la variazione della tensione di vapore dell’acqua contenente 5,0% p/p


0
di glucosio (C6 H12 O6 ). Pacqua = 23,8 mmHg. Si consideri il glucosio come
componente non volatile.
Si procede determinando le frazioni molari dei due componenti. Sappiamo che la miscela
contiene 5,0 g di glucosio e 95,0 g di acqua.

massa glucosio (5,0 g)


moli glucosio =  g  = 0,028 mol
Peso molare glucosio 180,16
mol
massa acqua (95,0 g)
moli acqua =  g  = 5,28 mol
Peso molare acqua 18,0
mol
900 Le soluzioni

Si procede determinando le frazioni molari dei due componenti:


nglucosio 0,028
χglucosio = = = 0,005
nglucosio + nacqua 0,028 + 5,28
nacqua 5,28
χacqua = = = 0,995
nglucosio + nacqua 0,028 + 5,28
Si verifica che la somma algebrica delle frazioni molari che costituiscono la soluzione sia
1.
Si applica la legge di Raoult per ottenere le pressioni parziali dei due componenti; il
0
glucosio è considerato un componente non volatile per cui Pglucosio = 0.
0
Pglucosio = χglucosio Pglucosio = 0,005 × 0 mmHg = 0 mmHg
0
Pacqua = χacqua Pacqua = 0,995 × 23,8 mmHg = 23,68 mmHg

Si calcola infine la pressione totale come somma delle pressioni parziali:

Ptot = Pglucosio + Pacqua = 0 mmHg + 23,68 mmHg = 23,68 mmHg

La pressione totale di una soluzione contenente un soluto NON volatile (in questo caso
glucosio) è sempre inferiore alla P 0 del solvente puro (acqua) di una percentuale pari alla
frazione molare del soluto (0, 005).

La legge di Raoult è rigorosamente verificata solo nel caso di soluzioni ideali, ovvero se
non si considerano le interazioni tra le molecole di soluto e quelle di solvente. Nella realtà
esistono deviazioni dalla legge di Raoult che sono alla base dei cosiddetti azeotropi, ovvero
soluzioni che presentano temperature di ebollizione superiori od inferiori rispetto a quelle del
solvente puro. Nelle deviazioni positive dalla legge di Raoult le molecole di soluto e solvente
si respingono tra loro e la pressione osservata sperimentalmente è, di conseguenza, superiore
rispetto a quella prevista con il modello di Raoult. Nelle deviazioni negative le molecole di
soluto e solvente si attraggono e di conseguenza la pressione osservata sperimentalmente è
minore rispetto a quella prevista con il modello di Raoult.
Le soluzioni

8.4.5 Proprietà colligative e grado di dissociazione


Come si è detto, le proprietà colligative dipendono esclusivamente dal numero di par-
ticelle di soluto presenti in un solvente (concentrazione) e non dalla loro natura chi-
mica. Abbiamo anche visto che in soluzione acquosa alcuni composti (ad esempio gli
elettroliti) tendono a dissociarsi in ioni. Nella determinazione di tutte le proprietà col-
ligative è quindi opportuno considerare anche il grado di dissociazione dei composti in
considerazione.
Se sciogliamo, ad esempio, 1 mole di NaCl in 1 litro d’acqua, avremo una concen-
trazione di [NaCl] 1M. Essendo il sale da cucina un elettrolita forte esso si dissocerà
completamente nei suoi ioni costituenti: saremo quindi in presenza di 1 mole di Na+ ed 1
mole di Cl− . Per quanto riguarda le proprietà colligative ciò significa che introducendo
1 mole di sale abbiamo in realtà introdotto un totale di 2 moli di particelle.
Diversamente, se sciogliamo 1 mole di molecole di zucchero in 1 litro d’acqua avremo
sempre una concentrazione 1M di zucchero. Tuttavia, a differenza del sale, lo zucchero
non dissocia e quindi dal punto di vista delle proprietà colligative introducendo 1 mole
di zucchero avremo 1 mole di particelle.
Chimica 901

Il caso più complesso è dato dalla presenza di elettroliti deboli. Questi composti, infatti,
dissociano solo parzialmente in soluzione ed è quindi fondamentale, ai fini del calcolo
delle proprietà colligative, tener conto del loro grado di dissociazione. Prendiamo il caso
dell’acido acetico, CH3 COOH. In soluzione acquosa esso si troverà in parte dissociato
come H+ e CH3 COO− , ed in parte nella forma non dissociata CH3 COOH. Introducendo
1 mole di acido acetico in 1 litro d’acqua avremo in soluzione un numero di particelle
che dipende dal suo grado di dissociazione.
Il numero di particelle in cui un elettrolita si dissocia è determinato dal coefficiente
di van ’t Hoff (i).
i = 1 + α(υ − 1)
dove α è il grado di dissociazione e υ è il numero di ioni in cui il composto si dissocia.
A questo punto possiamo rivedere i tre casi sopra menzionati:

nel caso di NaCl la dissociazione è completa (α = 1) e si formano due ioni, quindi


υ = 2 e di conseguenza i = 2;

nel caso dello zucchero, esso non si dissocia (α = 0 e υ = 1) e di conseguenza


i = 1;

nel caso dell’acido acetico il grado di dissociazione varia in base alle condizio-
ni sperimentali; possiamo approssimarlo ad un valore di α = 0,1, υ = 2 e di
conseguenza i = 1,1.

Se siamo in presenza di un elettrolita, sia questo forte o debole, le formule impiegate


per determinare le proprietà colligative vanno moltiplicate per il coefficiente di Van’t
Hoff (i) e diventano rispettivamente:

Innalzamento ebullioscopico: ∆Teb = Keb × m × i;

Abbassamento crioscopico: ∆Tcr = Kcr × m × i;

Pressione osmotica: Π = c × R × T × i.

Chimica
Nella tensione di vapore si tiene conto del fattore di van ’t Hoff nel calcolo
delle frazioni molari.

Calcolare la pressione osmotica di una soluzione di acido iodico HIO3 0,10 M alla tempe-
ratura di 25 ◦ C sapendo che il grado di dissociazione dell’acido nella soluzione è α = 0,80.
Si determina il valore del coefficiente di Van’t Hoff: l’acido iodico in soluzione acquosa
dissocia in H+ e IO− 3 , da cui υ = 2.

i = 1 + α(υ − 1) = 1 + 0,80(2 − 1) = 1,8

Si applica quindi l’equazione della pressione osmotica:


mol L · Atm
Π = c × R × T × i = 0,10 × 0,0821 × 298,15 K × 1,8 = 4,41 Atm
L K · mol
902 Le soluzioni

8.5 Titolazioni

Il procedimento mediante il quale si può determinare la concentrazione di una soluzione


mediante aggiunta di una soluzione a concentrazione nota, è detto titolazione.

Una titolazione, quindi, consiste nella lenta aggiunta di volumi, accuratamente misu-
rati, di una soluzione a concentrazione nota a una seconda soluzione di concentrazio-
ne incognita, in condizioni tali per cui le sostanze disciolte reagiscano rapidamente,
quantitativamente a stechiometria nota e non diano luogo a reazioni collaterali.
La soluzione a concentrazione nota è detta titolante, la soluzione a concentrazione
incognita è detta titolando (o analita).
La titolazione è completata quando il soluto a concentrazione incognita è stato
interamente trasformato nei prodotti di reazione: si parla di punto di equivalenza o
di punto equivalente.
Il punto finale è il volume, determinato sperimentalmente, di titolante al quale si
arresta la titolazione.

Il punto di equivalenza è un punto teorico, mentre il punto finale è determinato


sperimentalmente.

Il completamento della titolazione è segnalato da una variazione apprezzabile di


qualche proprietà chimica o fisica, come la variazione di conducibilità elettrica della
soluzione, il colore della miscela che sta reagendo o il colore di una sostanza accessoria
(indicatore) che è stata aggiunta alla soluzione da titolare.
È possibile definire la seguente relazione:

CX · VX = CT · VT ,
Le soluzioni

dove CX è la concentrazione molare incognita del titolando, VX è il volume iniziale


del titolando, CT è la concentrazione molare del titolante, VT è il volume di titolante
aggiunto nel corso della titolazione. Al punto equivalente questo volume è detto volume
equivalente (VE ).
Le reazioni di titolazione più comuni sono:

titolazioni acido-base (vedi § 10.17);

titolazioni complessometriche: sono basate su reazioni di complessazione tra un


legante e uno ione metallico;

titolazioni di ossido-riduzione: sono basate su una reazione redox tra titolante ed


analita;

titolazioni di precipitazione: si basano su una reazione di formazione di un com-


posto insolubile che precipita.
Chimica 903

8.6 Quesiti
1) Composti polari come l’acido cloridrico 5) La concentrazione molale (m) di una
HCl, in acqua: soluzione acquosa al 9% in peso di
un composto avente massa molecolare
A non interagiscono col dipolo elettrico relativa uguale a 100 è:
presente nella molecola di acqua perché
presentano una diversa densità
A 9
B interagiscono col dipolo elettrico presen-
te nella molecola di acqua e danno luogo B 0,09
a ionizzazione
C interagiscono col dipolo elettrico presen- C 1
te nella molecola di acqua e rimangono
come tali D 0,01

D non interagiscono col dipolo elettrico E 0,1


presente nella molecola di acqua e ri-
mangono come tali, ma si distribuiscono
uniformemente formando una soluzione 6) 1 equivalente di un acido triprotico
E non interagiscono col dipolo elettrico (cioè in grado di cedere 3 ioni H+ )
presente nella molecola di acqua e si se- corrisponde a:
parano dall’acqua formando un sistema
eterogeneo A 1 mol di acido
2) Quanti grammi di zucchero è necessa- B 3 mol di acido
rio pesare per preparare 1,5 litri di una
soluzione al 20% m/V? C 9 mol di acido
A 30 D 0,01 mol di acido
B 150 1
E 3
mol di acido
C 300
D 1,5 7) Se 1 mL di soluzione 4 N viene diluito
con acqua fino a raggiungere un volu-
E 75
me di 2 L, la soluzione finale ha una
normalità pari a:
3) Qual è la molarità di 250 mL di una
soluzione acquosa contenente 585 mg di
sale NaCl (massa molare = 58,5 g/mol)? A 4N

Chimica
A 4M B 2N
B 40 M C 0,001 N
C 0,4 M
D 0,002 N
D 0,04 M
E 1N
E 400 M

4) La frazione molare XA di un composto 8) Dato un volume di 3 L di una solu-


A può avere valori: zione 2 M, quale concentrazione si ot-
terrà dopo l’aggiunta di 5 L di acqua
A XA > 0 alla soluzione?
B XA < 0
C 0 ≤ XA ≤ 1 A 6M

D 0 < XA < 2 B 1,2 M


E XA > 1 C 3,3 M
904 Le soluzioni

D 0,75 M 10) Non è vero che la pressione osmotica in


una soluzione contenente un sale:
E 2M
A dipende dal numero di ioni prodotti
9) Le proprietà colligative: dalla dissociazione del sale

A dipendono dalla quantità di solvente B determina se la soluzione è ipertoni-


ca rispetto ad un’altra con una certa
B dipendono dalla natura del soluto pressione osmotica
C dipendono dall’interazione tra soluto e C determina se la soluzione è ipotoni-
solvente ca rispetto ad un’altra con una certa
pressione osmotica
D dipendono dal numero di particelle di
soluto in soluzione D determina se la soluzione è isotoni-
ca rispetto ad un’altra con una certa
E dipendono dal numero di particelle pressione osmotica
di soluto in soluzione e dalle sue
caratteristiche E è indipendente dalla temperatura

8.7 Soluzioni commentate ai quesiti


1) B . L’acqua è un solvente polare, perciò tende a sciogliere con facilità composti
polari. Quando l’acido cloridrico, che è polare, entra in contatto col dipolo elettrico
presente nelle molecole di acqua, questa interazione fa sı̀ che si rompano i legami
covalenti esistenti tra cloro e idrogeno, dando luogo alla formazione di specie ioniche.
Questo processo è detto ionizzazione.

2) C . Per ottenere una soluzione al 20% m/V è necessario avere 20 g di soluto per ogni
100 mL di soluzione, quindi volendo preparare 1,5 L di soluzione (che corrispondono
a 1500 mL) si imposta la proporzione: 20 g soluto: 100 mL soluzione = x: 1500 mL,
da cui si ricava la quantità di soluto che è necessario pesare, cioè x = 20 g·1500
100 mL
mL
=
300 g.

3) D . La molarità corrisponde alla concentrazione espressa come numero di moli in


un litro di soluzione. Per prima cosa quindi è necessario calcolare il numero di moli
di sale contenute in 585 mg (che corrisponde a 0,585 g): sapendo che 1 mole ha una
Le soluzioni

massa di 58,5 g, si ricava che numero di moli = 0,585 g


58,5 g mol = 0,01 mol. Sapendo
che tale numero di moli è contenuto in 250 mL (cioè 0,25 L), si calcola la molarità:
0,01 mol
0,25 L = 0,04 M.

4) C . La frazione molare di un componente A di una soluzione si indica abitualmente


con XA e rappresenta il rapporto tra il numero di moli del componente ed il numero
totale di moli presenti nella soluzione, cioè la somma delle moli di tutti i componenti
(A compreso). È quindi un numero puro, privo di unità di misura e può assumere
valori compresi tra 0 e 1. In particolare ha un valore pari a 0 se il componente A
è totalmente assente dalla soluzione, è pari a 1 se A è l’unico componente presente
nel sistema.

5) C . Una soluzione al 9% in peso di un composto contiene 9 g in 100 g di soluzione.


Per calcolare la molalità (m) bisogna per prima cosa ricavare a quante moli corri-
9g
spondono 9 g di composto (che ha un peso molare di 100 g/mol): · mol = 0,09
100g
mol. La molalità si calcola come le moli di soluto su kg di solvente. Ora bisogna
Chimica 905

considerare che 100 g di soluzione comprendono i 9 grammi di soluto, ed i restanti


91 g di solvente (100 g − 9 g = 91 g), quindi per sapere a quanto corrisponde la
0,09mol
molalità si effettua il calcolo: = 0,989 m che può essere approssimato a
0,09kg
circa 1 m.
6) E . Nel caso dei composti acidi, un equivalente corrisponde al numero di moli di
acido capace di produrre 1 mol di H+ . Una mole di acido triprotico è capace di
cedere 3 moli di H+ , quindi 1 molacido : 3 molH+ = x : 1 molH+ , quindi la quantità
di acido necessaria per produrre una mole di H + corrisponde ad 13 di mole di acido
triprotico.

7) D . Quando si effettua una diluizione (cioè quando aggiungendo solvente alla soluzio-
ne, si passa da un volume iniziale con una certa concentrazione, ad un volume finale,
con una concentrazione inferiore) vale la formula Viniziale · Ciniziale = Vfinale · Cfinale .
Quindi, facendo attenzione ad avere le stesse unità di misura nei due membri, in
questo caso si può ricavare la normalità delle soluzione finale 0,001 L · 4 N = 2 L · x,
da cui x = 0,0012 L·4
L
N
= 0,002 N.

8) D . Aggiungendo 5 L al volume iniziale di 3 L, si ottiene un volume finale di


8 L. Quando si effettua una diluizione vale la formula Viniziale · Ciniziale = Vfinale ·
Cfinale quindi nel caso del quesito si ottiene 3 L · 2 M = 8 L·x, da cui si ricava che
la concentrazione finale corrisponde a x = 3 L·2
8L
M
= 0,75 M.

9) D . Sono dette proprietà colligative quelle proprietà che dipendono, almeno ideal-
mente, solo dal numero di particelle di soluto presenti in soluzione ma non dalla
loro natura.

10) E . La pressione osmotica viene calcolata dall’equazione Π = cRT i, risulta evidente


la sua dipendenza dalla temperatura assoluta.

Chimica
Elettrochimica
9
“Niente è troppo meraviglioso per essere vero” (Michael Faraday, 1791-1876).

9.1 Introduzione
In questo capitolo ci focalizzeremo sullo studio delle reazioni di ossidoriduzione e sul
loro impiego come fonte di energia elettrica. Studieremo i principali tipi di batterie
esistenti e i loro impieghi. Analizzeremo inoltre l’uso dell’elettricità in chimica nei suoi
aspetti qualitativi e quantitativi.

9.2 Pile chimiche


Nel capitolo 6 abbiamo compreso che tutte le reazioni che coinvolgono un trasferimento
di elettroni tra atomi sono chiamate reazioni di ossido-riduzione o più semplicemente
redox. Queste reazioni sono caratterizzate da uno scambio di elettroni tra una sostanza
che li cede, definita riducente, ad una che li acquista definita ossidante.
A seguito dello scambio di elettroni il riducente si ossida (aumenta il suo n.o.) e
l’ossidante si riduce (riduce il suo n.o.).

Le reazioni di ossido-riduzione possono avvenire:


a. mediante un contatto diretto tra ossidante e riducente: in questo caso lo
scambio di elettroni è caotico e si genera prevalentemente calore;
b. in due compartimenti fisicamente separati: in questo caso lo scambio di
elettroni è ordinato e si genera un flusso di corrente elettrica.
I dispositivi che permettono di convertire energia chimica, proveniente da reazioni
redox spontanee, in energia elettrica, ovvero in un flusso ordinato di elettroni, sono
detti pile (o celle elettrochimiche, Galvaniche o Voltaiche).

Il nome “cella Voltaica” deriva dal Conte Alessandro Volta (1745-1827) che condusse i pri-
mi studi sull’elettricità. In suo onore anche la misura della differenza di potenziale elettri-
co si esprime in Volt. Luigi Galvani (1737-1798) fu il primo a produrre corrente elettrica
chimicamente.

9.2.1 La Pila Daniell


Le pile chimiche sono generalmente costituite da due compartimenti fisicamente sepa-
rati chiamati semicelle (o semielementi). Tra le due semicelle è presente un ponte
salino (o in alternativa un setto poroso) che permette il contatto elettrico tra le due
Chimica 907

soluzioni senza che queste si mescolino direttamente ed un conduttore metallico che


permette lo scambio di elettroni.
Come accennato nel capitolo 6, NON esistono reazioni redox in cui si verifichi solo
la reazione di ossidazione o solo la reazione di riduzione in quanto le due reazioni
vanno sempre di pari passo. Ciò che accade in una pila è il verificarsi contemporaneo
di due reazioni nelle due semicelle. In una semicella (denominata anodo) avviene la
reazione di ossidazione, ovvero si generano elettroni a discapito dell’elemento che viene
ossidato a catione. Nella seconda semicella (denominata catodo) avviene la reazione
di riduzione, ovvero l’elemento si riduce acquisendo gli elettroni ceduti dall’anodo. Per
consentire il processo è necessario permettere il trasferimento di elettroni dall’anodo al
catodo mediante un conduttore.
Ciascuna delle due semicelle è costituita da una lamina metallica (che prende il
nome di elettrodo) immersa in una soluzione acquosa di un suo sale. All’interno della
semicella può avvenire la reazione di ossidazione o quella di riduzione.

Per definizione la reazione di ossidazione avviene sempre all’anodo, che è l’elettrodo


carico negativamente (−). La reazione di riduzione avviene sempre al catodo, che è
l’elettrodo carico positivamente (+).

La pila più comune è nota con il nome di Pila di Daniell (o pila rame-zinco, Figura
9.1) ed è costituita da due semicelle:
a. la prima semicella (anodo) è costituita da una lamina di zinco immersa in una
soluzione acquosa di ZnSO4 . In questa semicella, che costituisce il polo della pila
carico negativamente (−), avviene la reazione di ossidazione: Zn −→ Zn2+ + 2e− ;
b. la seconda semicella (catodo) è costituita da una lamina di rame immersa in una
soluzione acquosa di CuSO4 . In questa semicella, che costituisce il polo della pila
carico positivamente (+), avviene la reazione di riduzione: Cu2+ + 2e− −→ Cu.
All’anodo lo zinco della lamina va in soluzione come Zn2+ e libera due elettroni (e− )
che si trasferiscono al catodo attraverso il conduttore. Gli elettroni, una volta giunti al
catodo, vengono acquisiti dal Cu2+ presente in soluzione che si ridurrà a Cu metallico

Chimica
depositandosi sulla lamina di rame.
Affinché venga mantenuta l’elettroneutralità delle due soluzioni è necessario colle-
gare le due semicelle tramite un ponte salino (tubo a U) costituito da una soluzione di
Na2 SO4 . Il ponte salino permette la migrazione degli ioni SO2− 4 dal catodo verso l’ano-
do e degli ioni Na+ dall’anodo verso il catodo. Questi ioni vanno a controbilanciare gli
ioni Zn2+ generati e quelli Cu2+ consumati durante il processo. La presenza del ponte
salino è necessaria a chiudere il circuito e consentire la produzione di energia elettrica.

9.3 Potenziale di riduzione


Potremmo a questo punto chiederci perché nella cella Daniell è lo zinco ad ossidarsi
ed il rame a ridursi e non viceversa. Questo fenomeno è regolato dal potenziale di
riduzione (E).
Ogni specie chimica presenta una diversa tendenza ad acquistare elettroni e quindi
a ridursi. La tendenza di una specie chimica a ridursi, e quindi a comportarsi come
ossidante, è direttamente proporzionale al suo potenziale di riduzione (E).
908 Elettrochimica

Figura 9.1: Raffigurazione della Pila di Daniell. All’anodo avviene la reazione di ossidazione dello Zn che
va in soluzione come catione Zn2+ , al catodo avviene la riduzione del Cu2+ a rame metallico. Il flusso di
elettroni attraverso il filo metallico esterno va dall’elettrodo di Zn (anodo) all’elettrodo di Cu (catodo). Il
ponte salino permette la connessione tra le semicelle e garantisce l’elettroneutralità.

Possiamo quindi concludere che:


Elettrochimica

a. il catodo, ovvero il semielemento dove avviene la riduzione, è costituito dalla


semicella con il potenziale di riduzione maggiore;
b. l’anodo, ovvero il semielemento dove avviene l’ossidazione, è costituito dalla
semicella con potenziale di riduzione minore.
Il flusso di elettroni avviene sempre dalla semicella con potenziale di riduzione minore
(polo negativo) alla semicella con potenziale di riduzione maggiore (polo positivo).
La differenza di potenziale che si instaura tra le due semicelle dipende quindi dalla
natura dei suoi componenti ed è espressa in volt (V).

∆E = Ecatodo − Eanodo

La differenza di potenziale (o forza elettromotrice f.e.m.) di una cella è


sempre una quantità positiva data dalla differenza tra il potenziale catodico
ed il potenziale anodico. La f.e.m. è una misura della tendenza di una cella elettro-
chimica a procedere verso una condizione di equilibrio. Man mano che la reazione redox
Chimica 909

procede il potenziale decresce fino a raggiungere il valore di zero (processo di scarica


della pila). A potenziale zero le reazioni di ossidazione e quelle di riduzione continuano
ad avvenire, tuttavia la velocità con cui avviene la reazione diretta e quella con cui
avviene la reazione inversa è la stessa. Si instaura quindi una condizione di equilibrio
dove, non essendoci più un flusso netto di carica elettrica, la f.e.m. è nulla ed il processo
di scarica è completo.
Posto che, come abbiamo detto più volte, le reazioni di ossidazione e riduzione
esistono solamente se avvengono in coppia, NON è possibile misurare il potenziale
assoluto di una singola semicella. Per misurare il potenziale di riduzione di una semicella
è quindi necessario collegarla ad una semicella di riferimento (ad esempio l’elettrodo ad
idrogeno) a cui è stato attribuito arbitrariamente un potenziale di 0,000 V a tutte le
condizioni di temperatura. Il potenziale misurato è quindi un potenziale “relativo” che
dipende dalla capacità della semicella in considerazione di comportarsi come ossidante
o come riducente rispetto alla semicella standard. L’elettrodo ad idrogeno è costituito
da una soluzione 1 M di HCl, ovvero da ioni H+ in equilibrio con H2 gassoso (1 Atm).
La reazione di riduzione è quindi la seguente:
2H+ (aq) + 2e− −→ H2(g)

0
Definiamo potenziale di riduzione standard Ered (o più semplicemente E 0 ), la
tendenza di una specie chimica a ridursi e quindi ad acquisire elettroni, misurata rispetto
all’elettrodo di riferimento ad idrogeno a 25◦ C.

0
a. Potenziali Ered positivi indicano che la specie chimica si riduce a discapito
dell’idrogeno il quale tende ad ossidarsi e a cedere i suoi elettroni (H2(g) −→
2H+ −
(aq) + 2e ).
0
b. Potenziali Ered negativi indicano che la specie chimica si ossida cedendo gli
elettroni all’idrogeno il quale subisce la riduzione e si libera sotto forma di gas
(2H+ −
(aq) + 2e −→ H2(g) ).

Solo alcuni metalli si sciolgono negli acidi minerali come ad esempio HCl. La reazione può

Chimica
avvenire solo se la semireazione di ossidazione del metallo (M −→ Mn+ ) presenta un potenziale
di riduzione standard negativo e dunque il metallo si ossida andando in soluzione mentre H+
si riduce liberando idrogeno H2(g) .

0
Definiamo potenziale di ossidazione standard Eox , la tendenza di una specie chimica
ad ossidarsi e quindi a cedere elettroni, misurata rispetto all’elettrodo di riferimento ad
idrogeno a 25 ◦ C.
0
Ad esempio, se il potenziale di riduzione Ered della semicella è maggiore di zero, questo
significa che nella semicella avverrà la reazione di riduzione mentre nell’elettrodo di rife-
rimento avverrà l’ossidazione: la semicella costituirà il catodo, l’elettrodo di riferimento
sarà l’anodo.
0
Se il potenziale di riduzione Ered della semicella è minore di zero, questo significa
che nella semicella avverrà l’ossidazione mentre nell’elettrodo di riferimento avverrà la
riduzione: la semicella costituirà l’anodo, l’elettrodo di riferimento sarà il catodo.
910 Elettrochimica

Specie ossidata ←→ Specie ridotta E ◦ (V)


F2(g) + 2e− ←→ 2F−
(aq)
+2.87
S2 O2− (aq) + 2e− ←→ 2SO2−
4(aq)
+2.07
H2 O2(aq) + 2H+ (aq)
+ 2e− ←→ 2H2 O(l) +1.77
− +
MnO4(aq) + 4H(aq) + 3e− ←→ MnO2(s) + 2H2 O(l) +1.70
2HClO(aq) + 2H+ (aq)
+ 2e− ←→ Cl2(g) + 2H2 O(l) +1.63
4+ − 3+
Ce(aq) + e ←→ Ce(aq) +1.61
MnO− 4(aq)
+ 8H+ (aq)
+ 5e− ←→ Mn2+ (aq)
+ 4H2 O(l) +1.51
Cl2(g) + 2e− ←→ 2Cl− (aq)
+1.36
Cr2 O2− 7(aq)
+ 14H+ (aq)
+ 6e− ←→ 2Cr3+(aq)
+ 7H2 O(l) +1.33
O2(g) + 4H+ (aq)
+ 4e − ←→ 2H O
2 (l) +1.23
ClO− 4(aq)
+ 2H+ (aq)
+ 2e− ←→ ClO− 3(aq)
+ H2 O(l) +1.23
2+ −
Pt (aq) + 2e ←→ Pt(s) +1.20
Br2(g) + 2e− ←→ 2Br− (aq)
+1.09
ClO− (aq)
+ 2H2 O(l) + 2e− ←→ Cl− (aq) + 2OH− (aq)
+0.89
Fe3+ (aq) + e− ←→ Fe2+ (aq)
+0.77
I2(g) + 2e− ←→ 2I− (aq)
+0.54
Cu+ (aq)
+ e− ←→ Cu(s) +0.52
O2(g) + 2H2 O(l) + 4e− ←→ 4OH− (aq)
+0.40
ClO− 4(aq)
+ H2 O(l) + 2e− ←→ ClO− 3(aq)
+ 2OH−(aq)
+0.36
2+ −
Cu(aq) + 2e ←→ Cu(s) +0.34
Cu2+(aq)
+ e ←→ Cu+ (aq)
+0.15
+
2H(aq) + 2e− ←→ H2(g) +0.00
Fe3+
(aq)
+ 3e ←→ Fe(s) −0.04
Pb2+(aq)
+ 2e ←→ Pb(s) −0.13
Cr3+
(aq)
+ e− ←→ Cr2+ (aq)
−0.41
2+
Fe(aq) + 2e− ←→ Fe(s) −0.44
S + 2e− ←→ S2− (aq)
−0.48
Cr3+
(aq)
+ 3e− ←→ Cr(s) −0.74
Elettrochimica

Zn2+
(aq)
+ 2e− ←→ Zn(s) −0.76
2H2 O(l) + 2e− ←→ H2(g) + 2OH− (aq)
−0.83
Cr2+
(aq)
+ 2e− ←→ Cr(s) −0.91
Mn2+ (aq)
+ 2e− ←→ Mn(s) −1.18
Al3+
(aq)
+ 3e− ←→ Al(s) −1.66
2+
Be(aq) + 2e− ←→ Be(s) −1.85
Mg2+ (aq)
+ 2e− ←→ Mg(s) −2.36
3+
Ce(aq) + 3e− ←→ Ce(s) −2.48
Na+ (aq)
+ e− ←→ Na(s) −2.71
2+
Sr(aq) + 2e− ←→ Sr(s) −2.89
Ba2+(aq)
+ 2e− ←→ Ba(s) −2.91
+
Cs(aq) + e− ←→ Cs(s) −2.92
K+(aq)
+ e− ←→ K(s) −2.93
+
Li(aq) + e− ←→ Li(s) −3.05
Tabella 9.1: Potenziali standard di riduzione 0
Ered a 25 ◦ C.
Chimica 911

I potenziali di ossidazione e riduzione standard per una specie chimica assumono lo


stesso valore numerico ma hanno segno opposto. Maggiore è il potenziale standard di
riduzione, maggiore è il potere ossidante della specie chimica in considerazione.

Esiste una relazione tra il potenziale di riduzione standard E 0 e la variazione di energia


libera di Gibbs ∆G0 :
∆G0rxn = −nF E 0 ,
dove n è il numero di elettroni trasferiti tra gli agenti riducenti e quelli ossidanti nella
reazione di ossidoriduzione, mentre F è la costante di Faraday che corrisponde a F =
96 485 C/mol.
Affinché una reazione sia spontanea è necessario che ci sia una variazione negativa
dell’energia libera di Gibbs (∆G0 < 0), pertanto il potenziale di riduzione standard
E 0 deve presentare un valore positivo. Si può quindi concludere che tutte le reazioni a
favore dei prodotti devono avere necessariamente E 0 positivo. A titolo esemplificativo:

Zns + Cu2+ 2+
aq → Znaq + Cus E 0 = +1,10 V .

Poiché E 0 di questa reazione è positivo, ∆G0 sarà negativo, e di conseguenza la reazione


sarà spontanea (a favore dei prodotti). Se proviamo ad invertire la reazione, il segno di
E 0 e di ∆G0 varia, pertanto la reazione non sarà più spontanea.

Zn2+ 2+
aq + Cus → Zns + Cuaq E 0 = −1,10 V .

Reazioni in cui E 0 è negativo, e di conseguenza ∆G0 positivo, NON sono a favore dei
prodotti ma sono a favore dei reagenti, ovvero non è spontanea la reazione diretta ma
è spontanea la reazione inversa.

Le reazioni redox spontanee sono alla base dei fenomeni di corrosione. Quando due metalli
con diverso potenziale di riduzione (Ferro e Rame) si trovano a contatto tra loro in presenza
di acqua, si creano una serie di minuscole celle galvaniche cortocircuitate, dove l’elemento a
potenziale di riduzione minore (nel nostro caso il Ferro) viene ossidato e arrugginisce. Si parla
in questo caso di corrosione galvanica.

Chimica
9.4 Elettrolisi
È possibile forzare una reazione redox non spontanea ad avvenire fornendo al sistema
energia elettrica dall’esterno, ovvero applicando una differenza di potenziale. Questo
tipo di processo, noto come elettrolisi, ha lo scopo di trasformare l’energia elettrica
fornita da un generatore in energia chimica.
Una cella elettrolitica può essere costruita semplicemente immergendo due elettrodi
in una soluzione contenente ioni ed applicando dall’esterno una differenza di potenziale
mediante un generatore. Gli elettrodi sono costituiti da barrette inerti di grafite o
platino e servono a permettere il passaggio di corrente. Forzati dal campo elettrico
applicato, gli anioni migrano verso l’anodo e si ossidano cedendo elettroni, mentre i
cationi migrano verso il catodo e si riducono acquisendo gli elettroni.
912 Elettrochimica

In una cella elettrolitica si ha sempre ossidazione all’anodo e riduzione al ca-


todo. Tuttavia, al contrario della pila, l’anodo costituisce l’elettrodo positivo,
mentre il catodo costituisce l’elettrodo negativo. Nell’elettrolisi il catodo induce
la riduzione della specie con potenziale di riduzione minore, mentre l’anodo induce
l’ossidazione della specie con potenziale di riduzione maggiore. Il fenomeno, come si
è detto, non è spontaneo ma è realizzabile applicando una differenza di potenziale
mediante un generatore esterno, e quindi a spese di energia elettrica.
La differenza di potenziale che è necessario applicare per far avvenire il processo elet-
trolitico, ovvero forzare la reazione redox contro il suo potenziale, è pari al valore della
f.e.m. che avrebbe una pila che erogasse corrente grazie al processo inverso, ovvero a
quello spontaneo.

In realtà per far avvenire il processo elettrolitico è necessario applicare una sovratensione
ovvero una quantità di energia elettrica supplementare alla f.e.m. della pila, tale da compensare
alcuni fenomeni che si oppongono al processo elettrolitico, come ad esempio la sovratensione di
trasferimento di carica, la sovratensione ohmica e la sovratensione chimica. Per la trattazione
si rimanda ad un testo specifico.

Le pile reversibili (o ricaricabili) sono apparati che si comportano come celle galva-
niche se il potenziale applicato dall’esterno è inferiore alla loro f.e.m.; si comportano
invece come celle elettrolitiche se il potenziale applicato dall’esterno è superiore alla
loro f.e.m. Ciò significa che applicando una differenza di potenziale superiore alla loro
f.e.m. è possibile invertire la reazione redox. Nelle pile irreversibili, invece, applicando
una differenza di potenziale, ovvero invertendo il flusso di corrente, NON si ottiene la
reazione inversa bensı̀ si innescano una serie di differenti semireazioni.

9.5 Le leggi di Faraday (1833)


Le leggi di Faraday stabiliscono la relazione quantitativa che intercorre tra l’intensità
di corrente (i) che percorre la cella elettrolitica e la quantità di specie chimiche che
reagiscono agli elettrodi.
Elettrochimica

Prima legge di Faraday: la quantità di sostanza ossidata (o ridotta) all’elettrodo


mediante elettrolisi è direttamente proporzionale alla quantità di carica trasferita a
quell’elettrodo.
Seconda legge di Faraday: la medesima quantità di carica elettrica, fatta passare
attraverso più soluzioni di elettroliti diversi, produce o fa consumare un egual numero
di equivalenti chimici di questi elettroliti.
La quantità di carica elettrica di una mole di elettroni (ovvero di un Numero di
Avogadro di elettroni) è pari a 96500 Coulomb ed è conosciuta come costante di
Faraday (F = 96485 C/mol).
q (C)
moli di elettroni =  c 
F
mol
q (C) = i(Ampére) × t (s)
dove q è la quantità di carica elettrica espressa in Coulomb, F è la costante di Faraday,
i è l’intensità di corrente espressa in Ampére (1 A = 1 C/s), t è il tempo espresso in
secondi.
Chimica 913

Dalle leggi di Faraday otteniamo la seguente relazione:


M ×q
m=
Z ×F
dove:
m = massa depositata all’elettrodo espressa in grammi (g);
M = massa molare della sostanza (g/mol);
q = carica elettrica espressa in Coulomb (C);
Z = numero di valenza degli ioni, ovvero il numero di cariche trasferite per ione;
F = costante di Faraday.
L’equazione, estrapolata dalle leggi di Faraday, consente di determinare, tra le altre
cose, i seguenti parametri:
a. la massa di sostanza depositata ad un elettrodo nota la quantità di carica appli-
cata;
b. la quantità di carica necessaria alla produzione di una determinata quantità di
sostanza;
c. il voltaggio necessario per produrre una determinata quantità di sostanza.

Per rivestire una sfera metallica di 10,0 cm di raggio con uno strato di Ag di spessore
3 mm (PM Ag = 107,9 g/mol, ρAg = 10,5 g/cm3 ), si utilizza la sfera metallica come
catodo di una cella elettrolitica secondo la seguente reazione:

AgNO3(aq) + 2H2 O(l) −→ Ag(s) + NO− +


3(aq) + O2(g) + 4H(aq) .

Si applica quindi una corrente di 15 A. Calcolare il tempo necessario a rivestire la sfera.


Si calcola il numero di moli di Ag necessarie a rivestire la sfera usando la sua densità e

Chimica
la sua massa.
4 3 4 3
VAg = πresterno − πrinterno
3 3
4 4
VAg = π(10,3)esterno − π(10,0)3interno = 388,4 cm3
3
3 3
mAg g
ρAg = ⇒ mAg = ρAg × VolAg = 10,5 3 × 388,4 cm3 = 4078 g
VolAg cm
massa Ag (4078 g)
moli Ag =  g  = 37,79 mol
Peso mole Ag 107,9
mol
La semireazione di riduzione è: Ag+ (aq) + e− −→ Ag(s) .
Per ogni mole di Ag+ da ridurre ad Ag è necessaria una mole di elettroni. La quantità
di carica necessaria per ridurre tutte le moli di Ag+ è pari a:
914 Elettrochimica

 
C C
q (C) = F × moli Ag + (mol) = 96400 × 37,79 mol = 3,64 · 106 C
mol mol
Il tempo necessario per fornire questa quantità di carica con un’intensità di corrente pari
a 15 A è:
q (C) 3,64 · 106
q (C) = i(A) × t (s) ⇒ t (s) = = = 2,42 · 105 s = 67,5 h
i (A) 15

Michael Faraday (1791-1867) è stato uno dei più eminenti scienziati della storia. Oltre alle
due leggi sopra citate, tra le sue scoperte ricordiamo anche: l’induzione elettromagnetica,
l’effetto Faraday della luce polarizzata, l’elaborazione dei concetti di campo elettrico e campo
magnetico, la scoperta delle proprietà magnetiche della materia, la scoperta di molti composti
organici tra cui il benzene. A lui si devono anche i termini anione, catione, elettrodo ed
elettrolita.

I metodi elettrolitici sono ampiamente utilizzati nei seguenti processi industriali:

processi di raffinazione dei metalli (rame);


processo cloro-soda (produzione di soda caustica);
processi di rivestimento dei metalli (passivazione);
produzione di idrogeno H2 (elettrolisi dell’acqua).

A causa dell’elevato costo della corrente elettrica la ricerca si sta sforzando di trovare
metodi di produzione e raffinazione dei metalli alternativi a quelli elettrochimici.

9.6 Quesiti

1) Un ossidante è una sostanza contenen- E è un particolare tipo di ossidoriduzione


Elettrochimica

te almeno un atomo che in una data nella quale uno stesso elemento in parte
reazione: si ossida e in parte si riduce

A perde protoni 3) In una pila, la reazione di riduzione


avviene:
B acquista protoni
A sempre all’anodo
C perde elettroni
B sempre al catodo
D acquista elettroni
C lungo il conduttore metallico
E libera ossidrilioni (OH− ) D sia al catodo che all’anodo
2) La dismutazione: E nelle pile non avvengono reazioni di
riduzione ma solo quelle di ossidazione
A non è una vera e propria reazione di
ossidoriduzione 4) Indicare l’affermazione corretta. Nella
pila Daniell si verifica la seguente rea-
B è una reazione in cui un dato elemento
zione: Cu2+ (aq) + Zn(s) −→ Cu(s) +
si ossida e un altro si riduce
Zn2+ (aq) quindi:
C è una reazione tipica della sola chimica
A gli elettroni passano dal rame allo zinco
organica
B il rame ricevendo elettroni si ossida
D è una reazione in cui interviene l’enzima
mutasi C lo zinco perdendo elettroni si riduce
Chimica 915

D il rame si ossida e lo zinco si riduce A l’anodo costituisce l’elettrodo negativo


E lo zinco si ossida e il rame si riduce B l’ossidazione avviene sempre al catodo

5) Potenziali di riduzione E0 negativi C l’ossidazione avviene sempre all’anodo


indicano: D il catodo costituisce l’elettrodo positivo
A che l’idrogeno si ossida E il catodo induce l’ossidazione del-
B che la reazione non può avvenire la specie con potenziale di riduzione
maggiore
C che la specie chimica si ossida cedendo
elettroni all’idrogeno 9) La quantità di carica elettrica di una
mole di elettroni corrisponde circa a:
D che la reazione è a favore dei prodotti
A 96 500 C/s
E che la specie chimica si riduce a
discapito dell’idrogeno B 96 500 A
6) Le batterie secondarie sono: C 96 500 V
A batterie a secco D 1F
B pile Leclanché E 1M
C batterie a bassa efficienza energetica 10) L’equazione di Nernst permette di
determinare:
D batterie ricaricabili
A il potenziale di riduzione E in condizioni
E pile a combustibile
non standard
7) La reazione 2H2(g) + O2(g) → 2H2 Og è B il potenziale di riduzione E in condizioni
tipica di: standard
A pile Leclanché C il potenziale di riduzione E solo quando
le concentrazioni dei reagenti sono pari
B batterie al piombo-acido
a 0,1M
C batterie nichel-cadmio D il potenziale di riduzione E solo quando
D batterie ricaricabili la temperatura di reazione di 25 ◦C

E pile a combustibile E il potenziale di riduzione E solo quando


la reazione comporta il trasferimento di
8) In una cella elettrolitica: 1 solo elettrone

9.7 Soluzioni commentate ai quesiti

Chimica
1) D . In una reazione redox, la specie che cede elettroni (quindi si ossida) è la specie
riducente; la specie che riceve elettroni (quindi si riduce) è la specie ossidante.

2) E . La dismutazione o disproporzione è un particolare tipo di ossidoriduzione nella


quale un’unica sostanza in parte si ossida e in parte si riduce.

3) B . Le reazioni di ossidazione avvengono sempre all’anodo, mentre quelle di ridu-


zione avvengono sempre al catodo.

4) E . Nella pila di Daniell si assiste al trasferimento degli elettroni dallo zinco, che si
ossida passando in soluzione come Zn2+ , al rame presente in soluzione come Cu2+ ,
che si riduce passando allo stato elementare solido (Cu).

5) C . Potenziali di riduzione E 0 negativi indicano che la specie chimica si ossida


cedendo elettroni all’idrogeno il quale subisce riduzione e si libera sotto forma di
gas (2H+ −
(aq) + 2e → H2(g) ).
916 Elettrochimica

6) D . Le batterie secondarie sono conosciute anche con il nome di accumulatori o


batterie ricaricabili.

7) E . La reazione è tipica delle pile a combustibile o Fuel Cell. Le due semicelle della
pila a combustibile procedono secondo le seguenti semireazioni: ossidazione anodi-
ca 2H2(g) → 4H+ + 4e− ; riduzione catodica O2(g) + 4e− + 4H+ → 2H2 O. Quando il
circuito è chiuso e la pila a combustibile è in funzione, gli elettroni liberati dall’a-
nodo fluiscono attraverso il circuito producendo energia elettrica. Una volta giunti
al catodo, gli elettroni riducono l’ossigeno O2 il quale va a legarsi con gli ioni
H+ , generati all’anodo e migrati attraverso un elettrolita acido, con la conseguente
formazione di H2 O.
8) C . In una cella elettrolitica si ha sempre ossidazione all’anodo e riduzione al catodo.
Tuttavia, al contrario della pila, l’anodo costituisce l’elettrodo positivo, mentre il
catodo costituisce l’elettrodo negativo. Nell’elettrolisi il catodo induce la riduzione
della specie con potenziale di riduzione minore, mentre l’anodo induce l’ossidazione
della specie con potenziale di riduzione maggiore. Il fenomeno, come si è detto, non
è spontaneo, ma è possibile solo grazie alla differenza di potenziale applicata dal
generatore a spese di energia elettrica.
9) D . La quantità di carica elettrica di una mole di elettroni (ovvero di un Numero di
Avogadro di elettroni) è pari a 96 485 C ed è conosciuta come costante di Faraday
(F = 96 485 C/mol).

10) A . L’equazione di Nernst permette di determinare il potenziale di riduzione E


anche in condizioni non standard, ovvero in situazioni in cui la concentrazione dei
reagenti nelle celle elettrochimiche è diversa da 1,0M. In prima approssimazione
non vi è alcun limite su concentrazione dei reagenti, temperatura o numero di
elettroni trasferiti. In realtà l’equazione di Nernst è piuttosto accurata solamente
per soluzioni non troppo concentrate.
Elettrochimica
Acidi e basi
10
“Aceto su piaga viva, tali sono i canti per un cuore afflitto” (Salomone, 970-930 a.C.).

10.1 Introduzione
In questo capitolo focalizzeremo l’attenzione sullo studio delle reazioni tra acidi e basi
analizzandole sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo.

10.2 Teoria di Arrhenius (1884)


Già gli antichi distinguevano le sostanze tra “acidi”, dal latino acidus che significa
aspro ed “alcali”, parola araba utilizzata per indicare le ceneri di alcune piante che
generano potassa (K2 CO3 ), sostanza che conferisce un sapore amaro. Sembra che la
parola acidus fosse inizialmente utilizzata solo per indicare l’aceto mentre nel corso del
tempo acquisı̀ un significato più ampio andando ad indicare tutte quelle sostanze dal
sapore acido. La parola alcalina indicava invece tutte le sostanze dal sapore amaro.
Con la necessità di dare una definizione di acido e di base fondata su dati sperimen-
tali, tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento gli scienziati iniziarono a classificare
queste sostanze in base alla loro capacità di far variare il colore di alcuni indicatori di
origine naturale, come ad esempio il succo di cavolo rosso. In un modo analogo oggi
identifichiamo come acide le sostanze che fanno virare al rosso un indicatore chiamato
“cartina tornasole”. Identifichiamo come basi (o alcali) le sostanze che fanno virare al
blu la cartina tornasole.
La prima spiegazione razionale per interpretare la differenza tra acidi e basi è stata
fornita dal chimico svedese Svante Arrhenius (lo stesso che studiò l’effetto della tem-
peratura sulla velocità di reazione, capitolo 7) ed è tuttora in uso. Egli definı̀ acidi
quelle sostanze che, in soluzione acquosa, liberano ioni H+ , mentre definı̀ basi quelle
sostanze che, in soluzione acquosa, liberano ioni OH− .

Sono acidi di Arrhenius le sostanze elettrolitiche del tipo HX che in acqua dissociano
in ioni H+ e X− ; le soluzioni acquose di acido contengono un eccesso di ioni H+ . Sono
acidi secondo Arrhenius sostanze come HCl, HNO3 , H3 PO4 , H2 SO4 , CH3 COOH, ecc.
Sono basi di Arrheniuns le sostanze elettrolitiche del tipo MOH che in acqua disso-
ciano in ioni OH− ed M+ ; le soluzioni acquose di base contengono un eccesso di ioni
OH− . Sono basi secondo Arrhenius sostanze come NaOH, KOH, Al(OH)3 , ecc.
Arrhenius notò che la reazione tra un acido ed una base porta alla formazione di un
sale neutro e al rilascio di calore (sono reazioni esotermiche). Questo tipo di reazio-
ni, chiamate neutralizzazioni, sono dovute alla combinazione di ioni idrogeno (H+ )
provenienti dall’acido e ioni ossidrile (OH− ) provenienti dalla base per dare acqua e
sale.
918 Acidi e basi

10.2.1 Limiti alla teoria di Arrhenius


La definizione di Arrhenius presenta alcuni limiti:
a. lo ione H+ è un protone semplice e non può esistere come tale in acqua;
b. la teoria è limitata alle soluzioni acquose;
c. non riesce a spiegare il comportamento acido di sostanze come CO2 né quello
basico di sostanze come l’ammoniaca NH3 .

10.3 Teoria di Brønsted e Lowry (1923)


Furono il chimico danese Johannes Brønsted (1879-1947) ed il britannico Thomas Lo-
wry (1874-1936) a suggerire nel 1920 una nuova interpretazione del concetto di acido
e base. Secondo la loro teoria le reazioni acido-base devono essere considerate come
reazioni di trasferimento protonico tra l’acido (che dona i protoni) e la base (che
li accetta).

Sono acidi di Brønsted tutte le specie chimiche in grado di trasferire uno o più ioni
H+ ad una base.
Sono basi di Brønsted tutte le specie chimiche in grado di accettare uno o più ioni
H+ ceduti da un acido.
Attraverso questa nuova interpretazione è possibile spiegare il comportamento acido e
basico di sostanze che non sono acidi e basi di Arrhenius, come ad esempio l’ammoniaca.
L’ammoniaca (NH3 ) è una base di Brønsted e Lowry in quanto è in grado di accet-
tare un protone dall’acqua per formare lo ione ammonio (NH+ 4 ). Quest’ultimo può, a
sua volta, comportarsi da acido e donare un protone H+ .

Tutti gli acidi e basi di Arrhenius sono anche acidi e basi di Brønsted mentre non è
vero il contrario. Il modello di Brønsted e Lowry è quindi più esaustivo di quello di
Arrhenius.
Acidi e basi

L’intuizione di questi due scienziati introduce il concetto di coppia acido-base coniu-


gata. Secondo la loro teoria, infatti, dopo aver ceduto uno ione H+ gli acidi diventano
basi perché hanno la possibilità di riacquisire i protoni ceduti. Analogamente una base,
dopo aver acquisito uno ione H+ , diventa un acido perché ha la possibilità di ricedere
il protone H+ appena acquisito. Tale comportamento suggerisce che NON esi-
stono acidi e basi di per sé ma solo coppie acido-base. Ogni sostanza può
quindi comportarsi sia da acido che da base a seconda della forza acida o
basica della sostanza con cui si trova in soluzione.

È evidente l’analogia tra il concetto di coppia acido-base e quello di coppia redox.


Il principio infatti è lo stesso, non esiste una sostanza che sia di per sé acida come
non esiste sostanza che sia di per sé ossidante. Allo stesso modo non è possibile
determinare la “forza” acida assoluta di una sostanza ma è necessario determinare la
forza di un acido rispetto ad un’altra sostanza, cosı̀ come non è possibile determinare il
potenziale di riduzione assoluto di una sostanza ma è necessario utilizzare un elettrodo
di riferimento standard e determinare quindi un potenziale di riduzione relativo.
Chimica 919

Possiamo concludere che ogni sostanza può comportarsi sia come acido che come base
a seconda della forza acida delle sostanze con cui è messa a reagire. Per convenzione si
dice che una sostanza è un acido o una base a seconda del suo comportamento
rispetto all’acqua.

Definiamo coppia acido-base coniugata una coppia di specie chimiche che differiscono
tra loro solo per uno ione H+ (es. NH3 /NH+
4 ).

È possibile classificare le sostanze in base alla loro “forza” acida o basica rispetto
all’acqua. Per forza di un acido (o di una base) si intende l’attitudine di una
sostanza a cedere (o acquisire) un protone in ambiente acquoso ovvero è una funzione
del grado di dissociazione (α) della sostanza in soluzione.

Definiamo acido forte una sostanza che in acqua si dissocia completamente rilasciando
tutti gli H+ a disposizione. Un acido forte ha perciò scarsissima capacità di riacquisire
i protoni ceduti. Come conseguenza la base coniugata di un acido forte è una base
debole.

Definiamo base forte una sostanza che in acqua ha una forte capacità di strappare gli
ioni H+ all’acqua. Una base forte ha perciò scarsissima capacità di restituire i protoni
acquisiti. Come conseguenza l’acido coniugato di una base forte è un acido debole.

Definiamo sostanza anfotera (o anfiprotica) qualsiasi sostanza in grado sia di cedere


che di accettare protoni. La sostanza anfiprotica per eccellenza è l’acqua.

Chimica
10.4 L’acqua nelle reazioni acido-base
Allo stato puro l’acqua presenta comunque una debolissima capacità di condurre elet-
tricità. Ciò suggerisce che, anche se in minima parte, essa è presente in forma ionizzata.
In soluzione acquosa è presente una specie solvatata dello ione idrogeno (H+ ) che si
origina per formazione di un legame dativo tra il doppietto elettronico di una mole-
cola d’acqua e lo ione stesso. Sostanzialmente si verifica un trasferimento degli ioni
idrogeno da una molecola d’acqua ad un’altra: questo fenomeno prende il nome di
autoionizzazione (o autoprotolisi) dell’acqua.

In soluzione acquosa quindi NON esiste lo ione H+ isolato, ma esso è sempre presente
come complesso H3 O+ (ione idronio). Pertanto, da un punto di vista formale, la dici-
tura H+ non è corretta, tuttavia quest’ultima viene comunque ampiamente utilizzata
per semplicità.
920 Acidi e basi

Il fenomeno di autoionizzazione (o autoprotolisi) dell’acqua è regolato dalla co-


stante di dissociazione ionica dell’acqua (o prodotto ionico dell’acqua: K w ,
dove “w” sta per “water”).

H2 O + H2 O  H3 O + OH−
Kw = [H3 O+ ][OH− ] = 10−14 .

Il prodotto ionico dell’acqua (Kw ), come tutte le costanti di equilibrio, è costante a


temperatura costante ed assume il valore di 10−14 alla temperatura di 25 ◦ C. Questo
valore è estremamente importante perché permette di determinare la concentrazione
di ioni H+ , cioè [H+ ], e di ioni OH− , cioè [OH− ], presenti in acqua.
In base al rapporto tra [H+ ] e [OH− ] le soluzioni sono classificate in tre categorie:
[H+ ] > [OH− ] soluzione acida;
[H+ ] < [OH− ] soluzione basica;
[H+ ] = [OH− ] soluzione neutra.
Essendo la reazione di autoionizzazione dell’acqua un processo endotermico, il prodotto
ionico dell’acqua (Kw ) aumenta all’aumentare della temperatura.

10.5 Il pH e la misura dell’acidità di una soluzione acquosa


Abbiamo visto che la variazione di colore di un indicatore, come la cartina tornasole,
permette di determinare se una soluzione è acida (viraggio al rosso) o basica (virag-
gio al blu). Questa variazione di colore, tuttavia, fornisce una stima approssimativa e
soggettiva (in quanto dipende dall’osservatore) dell’acidità di una soluzione acquosa. È
fondamentale quindi trovare un metodo per quantificare in modo accurato ed univoco
l’acidità delle soluzioni.
Abbiamo visto che è la concentrazione degli ioni H+ rispetto agli ioni OH− a deter-
minare quanto una soluzione acquosa sia acida o basica. Si possono quindi introdurre
i concetti di pH e pOH.
Acidi e basi

Si definisce pH l’inverso del logaritmo decimale della concentrazione di ioni H+ :


pH = −log10 [H+ ].

Il pH è una misura di concentrazione tanto quanto [H+ ], tuttavia sfrutta un espediente


matematico per evitare di lavorare con numeri piccolissimi e potenze negative.
La concentrazione degli ioni H+ per l’acqua pura a 25 ◦ C si ricava dal prodotto
ionico dell’acqua:
Kw = [H+ ][OH− ] = 10−14 M
quando [H+ ] = [OH− ]

[H+ ] = [OH− ] = 10−14 = 10−7 M

Da ciò
pH = − log10 [10−7 ] = 7
Possiamo quindi affermare che il pH di una soluzione di acqua pura a 25 ◦ C è 7.
Chimica 921

Soluzioni con pH = 7 sono neutre e sono caratterizzate da [H+ ] = [OH− ] = 10−7


M.
Se nell’acqua pura viene introdotto un acido allora [H+ ] > [OH− ], (ovvero [H+ ] >
−7
10 M) e la soluzione diventa acida: il pH diminuisce per cui soluzioni con pH < 7
sono acide.
Se nell’acqua pura viene introdotta una base allora [H+ ] < [OH− ], (ovvero [H+ ] <
−7
10 M) e la soluzione diventa basica: il pH aumenta per cui soluzioni con pH > 7
sono basiche.

A temperature differenti da 25 ◦ C la costante di dissociazione ionica dell’acqua (Kw ) varia e


la neutralità non sarà più indicata dal pH = 7,00, ma assumerà valori diversi. Ad esempio a
37 ◦ C la neutralità si osserva a pH = 6,79.

Analogamente al pH, per determinare l’acidità o la basicità di una soluzione possiamo


valutare la concentrazione degli ioni OH− .

Definiamo pOH l’inverso del logaritmo decimale della concentrazione di ioni OH− :
pOH = − log10 [OH− ]

In questo caso la situazione è l’inverso della precedente ovvero:


soluzioni con pOH = 7 sono neutre: [H+ ] = [OH− ] = 10−7 M
soluzioni con pOH < 7 sono basiche: [OH− ] > 10−7 M
soluzioni con pOH > 7 sono acide: [OH− ] < 10−7 M

Da notare la relazione per cui pKw = pH + pOH = 14. Essa si ricava semplicemente
applicando l’inverso del logaritmo decimale all’equazione che descrive il prodotto ionico
dell’acqua (K w ).

Kw = [H+ ][OH− ] = 10−14

Chimica
applicando (− log10 ) otteniamo

− log10 Kw = (− log10 [H+ ])(− log10 [OH− ]) = − log10 [10−14 ]

Dalla sua risoluzione otteniamo

pK w = pH + pOH = 14

Grazie a questa relazione, dato il pOH di una soluzione è sempre possibile ricavarne il
pH e viceversa.

Date le concentrazioni di [H+ ] ed [OH− ], determinare i valori di pH e pOH delle seguenti


soluzioni acquose:
A. [H+ ] = 1,5 · 10−4 ;
B. [H+ ] = 2,6 · 10−9 ;
922 Acidi e basi

C. [OH− ] = 1,5 · 10−3 ;


D. [OH− ] = 2,6 · 10−7 .
Si procede calcolando il pH o il pOH utilizzando rispettivamente le concentrazioni di ioni
H+ e ioni OH− .
pH = − log10 [H+ ]
A. [H+ ] = 1,5 · 10−4 pH = − log10 [1,5 · 10−4 ] = 3,8 (la soluzione è acida)
B. [H+ ] = 2,6 · 10−9 pH = − log10 [2,6 · 10−9 ] = 8,6 (la soluzione è basica)
pOH = − log10 [OH− ]
− −3
C. [OH ] = 1,5 · 10 pOH = − log10 [1,5 · 10−2 ] = 2,8 (la soluzione è basica)
D. [OH− ] = 2,6 · 10−7 pOH = − log10 [2,6 · 10−7 ] = 6,6 (la soluzione è basica).
Data la relazione
pH + pOH = 14
otteniamo che:
A. pOH = 14 − pH = 14 − 3,8 = 10,2;
B. pOH = 14 − pH = 14 − 8,6 = 5,4;
C. pH = 14 − pOH = 14 − 2,8 = 11,2;
D. pH = 14 − pOH = 14 − 6,6 = 7,4.

10.6 Costanti di dissociazione acida e basica


La forza di un acido o di una base dipende dalla loro attitudine a cedere o accettare
ioni H+ e ioni OH− ed è quindi funzione del loro grado di dissociazione in acqua. Da un
punto di vista quantitativo è possibile determinare il grado di dissociazione di un acido
e di una base attraverso le costanti di dissociazione acida (K a ) e basica (K b ).
Tra le molecole in forma indissociata e gli ioni da queste generati si instaura un
equilibrio chimico regolato dalle costanti di dissociazione.
Per un generico acido HA in acqua si ha che:
Acidi e basi

HA(aq)  H+ (aq) + A−
(aq)

A questo equilibrio è associata una costante di dissociazione dell’acido (K a )


data da
[H+ ][A− ]
Ka =
[HA]
Ka è correlata al grado di dissociazione dell’acido in acqua e costituisce una misura
della forza dell’acido: maggiore è il valore di Ka , maggiore è la forza dell’acido (rispetto
alla base acqua).
Gli acidi forti (HCl, HBr, HI, H2 SO4 , HNO3 , HClO4 ) hanno un valore di Ka estre-
mamente elevato, ovvero in soluzione sono completamente dissociati. Gli acidi deboli
(ad esempio CH3 COOH) hanno valori di Ka inferiori e quindi in soluzione acquosa
sono solo parzialmente dissociati.
Un discorso analogo può essere fatto per determinare la costante di dissociazione
basica Kb . In questo caso faremo riferimento agli ioni OH− liberati dalla dissociazione
della base.
Chimica 923

Per una generica base BOH in acqua si ha che:



BOH(aq)  B+
(aq) + OH(aq)

A questo equilibrio è associata una costante di dissociazione della base (Kb )


data da
[B+ ][OH− ]
Kb =
[BOH]
Basi forti (KOH, NaOH, LiOH) hanno un valore di Kb elevato ed in soluzione acquosa
sono completamente dissociati. Basi deboli hanno valori di Kb inferiori ed in acqua
sono dissociati solo parzialmente.

Un acido, una volta ceduto il suo protone, si trasforma nella rispettiva base coniugata
e presenta una certa tendenza a riacquistare H+ . Una base, una volta strappato un
protone all’acqua per generare ioni OH− , si trasforma nell’acido coniugato e presenta
una certa tendenza a ridonare H+ . Per qualsiasi coppia coniugata acido-base vale
sempre la relazione Kw = Ka · Kb . Posto cioè che il prodotto di Ka e Kb è
costante a temperatura costante, maggiore è la Ka di un acido, minore sarà la Kb
della sua base coniugata; analogamente, maggiore è la Kb di una base, minore sarà la
Ka del suo acido coniugato. Ecco spiegato matematicamente il motivo per cui tanto
più forte è un acido (Ka elevata) tanto più debole è la sua base coniugata (Kb
piccola); tanto più forte è una base (Kb elevata) tanto più debole è l’acido ad
essa coniugato (Ka piccola).

Acido Formula Ka1 Ka2 Ka3


Acetico CH3 COOH 1.74 × 10−5
Ione Ammonio NH+ 4 5.70 × 10−10
Benzoico C6 H5 COOH 6.28 × 10−5
Borico H3 BO3 5.81 × 10−10
Carbonico H2 CO3 4.44 × 10−7 4.69 × 10−11
Cianidrico HCN 6.2 × 10−10
Cloridrico HCl Elevata

Chimica
Fosforico H3 PO4 7.11 × 10−3 6.32 × 10−8 4.5 × 10−13
Fosforoso H3 PO3 3 × 10−2 1.62 × 10−7
Formico HCOOH 1.80 × 10−4
Fluoridrico HF 6.7 × 10−4
Solfidrico H2 S 9.6 × 10−8 1.3 × 10−14
Ipocloroso HClO 3.0 × 10−8
Iodico HIO3 1.7 × 10−1
Nitrico HNO3 Elevata
Nitroso HNO2 7.1 × 10−4
Perclorico HClO4 Elevata
Periodico H5 IO6 2 × 10−2 5 × 10−9
Perossido di Idrogeno H2 O2 2.2 × 10−12
Solforico H2 SO4 Elevata 1.02 × 10−2
Solforoso H2 SO3 1.23 × 10−2 6.6 × 10−8
Tartarico HOOC(CHOH)2 COOH 9.20 × 10−4 4.31 × 10−5
Tabella 10.1: Costanti di dissociazione acida Ka .
924 Acidi e basi

Dalla precedente relazione possiamo anche dedurre che, noto il valore di Ka o di Kb


di una qualsiasi sostanza, è possibile determinare la costante della base o dell’acido
coniugati semplicemente dividendo Kw per la costante di dissociazione nota.

Ka , Kb e Kw , come tutte le costanti di equilibrio, variano al variare della temperatura.

10.7 Fattori strutturali alla base della forza di un acido


La tendenza di un acido a cedere i propri protoni H+ dipende da quanto “strettamente”
questi sono legati alla sostanza acida, ovvero dipende, in ultima analisi, dalla forza di
legame e dalla differenza di elettronegatività tra l’H e l’atomo a cui questo è legato.
Se consideriamo composti binari del tipo Hn X possiamo affermare che:
a. All’aumentare dell’elettronegatività di X la forza acida aumenta (HF >
H2 O > NH3 ). Questo fenomeno è dovuto principalmente all’aumentata stabilità
dell’anione (X− ) che si genera dalla dissociazione di HX. Infatti, essendo X−
dotato di elevata elettronegatività, esso tende a trattenere per se il doppietto
elettronico disponibile e quindi non riacquista gli ioni H+ ceduti. Gli acidi di
questo tipo sono completamente dissociati.
b. All’aumentare delle dimensioni di X il legame si indebolisce e la forza
acida aumenta (HI > HBr > HCl > HF). Le dimensioni di X aumentano
scendendo lungo un gruppo e di conseguenza la forza acida aumenta.
Se consideriamo ossiacidi del tipo Hn XOm possiamo affermare che:
a. A parità di formula di struttura la forza acida aumenta all’aumentare
dell’elettronegatività dell’elemento non metallico: HClO (acido ipocloro-
so) > HBrO (acido ipobromoso).
b. Per gli ossiacidi di uno stesso elemento la forza acida aumenta con il
numero di atomi di ossigeno legati ad X, ovvero aumenta all’aumentare
del numero di ossidazione di X. (HClO4 > HClO3 > HClO2 > HClO).
Acidi e basi

L’acido perclorico (HClO4 ) è un acido forte, l’acido ipocloroso (HClO) è un acido


debole. Lo stesso vale per HNO3 (acido nitrico) > HNO2 (acido nitroso).

Gli ossiacidi del cloro variano da HClO, in cui il cloro ha n.o. +1, a HClO4 in cui il cloro
ha n.o. massimo, cioè +7. Tutti questi composti sono fortemente ossidanti e presentano uno
spiccato potere sbiancante e disinfettante. L’ipoclorito di calcio (Ca(ClO)2 ) noto come “cloro
per piscine” è impiegato come disinfettante, mentre l’ipoclorito di sodio (NaClO) prende il
nome di “candeggina” ed è impiegato per disinfettare e sbiancare i tessuti. Il potere sbiancante
è dovuto alla capacità degli ioni ClO− di ossidare la maggior parte dei pigmenti impiegati in
tintoria.

10.8 Acidi poliprotici


Sono sostanze acide in grado di cedere più ioni H+ . Ad ogni dissociazione è associata
la relativa costante acida Ka il cui valore diminuisce al crescere del numero di protoni
ceduti.
Chimica 925

L’esempio più classico è quello dell’acido fosforico H3 PO4 . Questo acido presenta tre
equilibri di dissociazione a cui sono associate tre costanti di dissociazione acida Ka (o
tre costanti di dissociazione basica Kb riferite alle rispettive basi coniugate). Lo stesso
vale per l’acido carbonico H2 CO3 che presenta due equilibri di dissociazione a cui sono
associate le rispettive costanti Ka .
I sali mono- o diprotici di questi acidi (NaH2 PO4 , Na2 HPO4 , NaHCO3 ) hanno
carattere anfotero e sono pertanto in grado di donare o di accettare protoni a seconda
del pH a cui si trovano. Sono particolarmente importanti nei sistemi biologici in quanto
esercitano un controllo sulla stabilità del pH negli esseri viventi (sangue) e nell’ambiente
(mare).

10.9 Calcolo del pH di soluzioni acquose


Per misurare sperimentalmente il pH di una soluzione acquosa si utilizzano i piacca-
metri, ovvero strumenti particolarmente sensibili che misurano il potenziale elettrico
delle soluzioni e ne forniscono il pH con estrema accuratezza. Tutte le misurazioni del
pH devono essere effettuate a temperatura costante e richiedono una taratura dello
strumento con soluzioni standard a pH noto.

10.10 Acidi e basi forti


In questo caso la dissociazione dell’acido o della base in acqua è completa e di conse-
guenza la quasi totalità degli ioni (H+ o OH− ) presenti nella soluzione acquosa viene
generata dalla presenza dell’acido forte o della base forte. Il contributo di ioni H+ ed
OH− derivante dall’autoprotolisi dell’acqua è quindi trascurabile.
Essendo il contributo degli ioni H+ provenienti dall’autoprotolisi dell’acqua trascu-
rabile, possiamo in prima approssimazione affermare che [H+ ] = [HA] e di conseguenza:

pH = − log10 [HA].

Negli esercizi in cui vengono impiegati acidi forti (o basi forti), la costante di dissocia-
zione acida Ka non viene fornita in quanto la dissociazione dell’acido (o della base) è

Chimica
considerata completa.

In soluzioni estremamente diluite, [HA] < 10−6 M, il contributo dato dall’autoproto-


lisi dell’acqua non è più trascurabile e va tenuto in considerazione. Per determinare
il pH della soluzione è quindi necessario risolvere la seguente equazione di secondo
grado
[H3 O+ ]2 − [H3 O+ ]Ca − Kw = 0
dove Ca è la concentrazione di acido impiegata e Kw è la costante di autoprotolisi
dell’acqua.
Al termine della risoluzione dell’equazione di secondo grado va considerata esclu-
sivamente la soluzione con valore positivo. Il valore negativo va necessariamente
scartato perché non ha significato chimico (non possono esistere valori negativi di
concentrazione).
926 Acidi e basi

Calcolare il pH delle seguenti soluzioni acquose:


A. Acido cloridrico [HCl] = 1,5 · 10−4 M
B. Acido solforico [H2 SO4 ] = 1,6 · 10−3 M
C. Idrossido di calcio [Ca(OH)2 ] = 1,5 · 10−4 M
D. Idrossido di potassio [KOH] = 1,6 · 10−3 M
Trattandosi di acidi forti (A e B) e basi forti (C e D) possiamo affermare che [H+ ] = [HA]
e [OH− ] = [BOH], di conseguenza il pH si calcola semplicemente applicando le formule
pH = − log10 HA e pOH = − log10 OH− tenendo in considerazione il numero di moli di
H+ e OH− generati per ogni mole di acido o di base aggiunti.
A. [H+ ] = [HCl] = 1,5 · 10−4 pH = − log10 [1,5 · 10−4 ] = 3,8;
B. [H+ ] = 2 · [H2 SO4 ] = 2 · 1,6 · 10−3 pH = − log10 [2 · 1,6 · 10−3 ] = 2,5 (Da notare
che una mole di H2 SO4 genera 2 moli di H+ );
C. [OH− ] = 2 · [Ca(OH)2 ] = 2 · 1,5 · 10−4 pOH = − log10 [2 · 1,5 · 10−4 ] = 3,5 (Da
notare che una mole di Ca(OH)2 genera 2 moli di OH− )

pH = 14 − pOH = 14 − 3,5 = 10,5;

D. [OH− ] = [KOH] = 1,6 · 10−3 pOH = − log10 1,6 · 10−3 = 2,8

pH = 14 − pOH = 14 − 2,8 = 11,2.

10.11 Acidi e basi deboli


In questo caso la dissociazione dell’acido o della base è solo parziale e come conseguenza
si instaura un equilibrio tra la forma dissociata e quella indissociata dell’acido (o della
base). Come nel caso precedente il contributo derivante dall’autoprotolisi dell’acqua è
trascurabile se la concentrazione dell’acido è Ca > 10−6 M e contemporaneamente la
sua Ka (o Kb ) è < 10−4 .
Acidi e basi

In queste condizioni possiamo determinare le concentrazioni [H+ ] e [OH− ] sfruttan-


do la seguente equazione:
p
[H+ ] = Ka Ca

dove Ca è la concentrazione dell’acido e Ka la costante di dissociazione acida.


p
[OH− ] = Kb Cb

dove Cb è la concentrazione della base e Kb la costante di dissociazione basica.


Una volta determinate le concentrazioni di H+ e OH− è possibile ricavare il pH ed
il pOH della soluzione ricordando che:

pH + pOH = 14

ovvero
Ka Kb = 10−14 .
Chimica 927

1) Calcolare il pH di una soluzione acquosa di un generico acido HA con una


concentrazione Ca = 0,01 M e Ka = 3,5 · 10−6 .
Trattandosi di un acido debole, e quindi non completamente dissociato in ioni H+ e
A− , NON vale l’approssimazione [H+ ] = [HA]. È perciò necessario determinare la
concentrazione di [H+ ] tenendo√in considerazione la costante di dissociazione acida Ka e
applicando l’equazione [H+ ] = Ka Ca
√ p
[H+ ] = Ka Ca = 3,5 · 10−6 · 0,01 = 1,87 · 104
pH = − log10 [1,87 · 10−4 ] = 3,7

2) Una soluzione acquosa di un acido forte HA ha un pH di 4, 5: determinare la


concentrazione molare dell’acido Ca .
Trattandosi di un acido forte la costante di dissociazione acida Ka non viene fornita
nel quesito in quanto si considera l’acido completamente dissociato. Vale quindi la re-
lazione [H+ ] = [HA], di conseguenza dato il pH della soluzione è possibile ricavare la
concentrazione dell’acido

pH = − log10 [HA] ⇒ [HA] = 10−pH = 10−4,5 = 3,2 · 10−5 .

Nel caso in cui la soluzione dell’acido è estremamente diluita e la Ka è > 10−4 , per
ottenere un valore accurato della concentrazione protonica è necessario risolvere la
seguente equazione di terzo grado:
[H3 O+ ]3 − Ka [H3 O+ ]2 + (−Ka Ca − Kw )[H3 O+ ] − Ka Kw = 0.
È tuttavia possibile, nel caso in cui l’acido non sia troppo diluito, semplificare questo
polinomio nella seguente equazione di secondo grado:
[H3 O+ ]2 + [H3 O+ ]Ka − Ka Ca = 0.
Per la trattazione di questi casi si rimanda a testi specifici.

10.12 Miscele di acidi e basi

Chimica
Una miscela formata da più acidi può essere considerata come una soluzione costituita
da un solo acido poliprotico. In presenza di un acido forte (Ka1 ) ed un acido debole
(Ka2 ), tale che Ka1  Ka2 , al fine della determinazione del pH è sufficiente considerare
l’acido forte, che fornisce il contributo maggiore. L’acido debole fornisce un contributo
minimo ed è quindi trascurabile (non è però possibile trascurare l’effetto di diluizione
dovuto dall’aggiunta di acido debole).
In presenza di due acidi deboli non troppo diluiti (Ca > 10−2 M) è possibile calcolare
la concentrazione protonica mediante la seguente equazione:
p
[H+ ] = Ka1 Ca1 + Ka2 Ca2 .

Se applichiamo questa equazione ad una miscela acido forte – acido debole, vediamo
subito come, a valori di concentrazione simili, il contributo dell’acido debole è tanto
più trascurabile quanto maggiore è la differenza tra le due costanti Ka (Ca2 Ka2 
Ca1 Ka1 ).
928 Acidi e basi

Determinare il pH di una soluzione contenente HF 0,25 M e CH3 COOH 0,15 M sapendo


che Ka (HF) = 6,80 · 10−4 e Ka (CH3 COOH) = 1,75 · 10−5 .
Si tratta di una soluzione costituita da una miscela di due acidi deboli. È quindi possibile,
in prima approssimazione, calcolare la concentrazione protonica dall’equazione:

[H+ ] = Ka1 Ca1 + Ka2 Ca2 = 6,80 · 10−4 · 0,25 + 1,75 · 10−5 · 0,15 = 1,3 · 10−2
p

pH = − log10 [1,3 · 10−2 ] = 1,9

10.13 Ioni con carattere acido o basico


Il valore del pH di una soluzione acquosa può venir alterato dalla presenza di sali.
Gli ioni del sale, infatti, possono interagire con l’acqua per formare ioni H3 O+ o ioni
OH− . Questo fenomeno prende il nome di idrolisi salina e segue gli stessi meccanismi
descritti fino ad ora per gli acidi e le basi. Il fenomeno si spiega considerando che i
cationi e gli anioni costituenti il sale sono rispettivamente l’acido e la base coniugata
della base e dell’acido impiegati per formare il sale.
Tenendo presente il fenomeno già menzionato per cui “tanto più forte è un acido
(K a elevata) tanto più debole è la sua base coniugata (K b piccola); tanto
più forte è una base (K b elevata) tanto più debole è il suo acido coniugato
(K a piccola)”, possiamo affermare che:
a. i sali derivanti dalla reazione di un acido forte (HCl) con una base forte (NaOH),
producono rispettivamente la base coniugata debole Cl− e l’acido coniugato de-
bole Na+ . Essendo Cl− e Na+ entrambi deboli, l’aggiunta di NaCl all’acqua non
modifica il valore del pH della soluzione;
b. il sale proveniente da un acido debole (CH3 COOH) ed una base forte (NaOH)
è costituito dalla base coniugata di media forza CH3 COO− e dall’acido coniu-
gato debole Na+ . Essendo CH3 COO− una base di media forza, si può affermare
che l’aggiunta di CH3 COONa (acetato di sodio) all’acqua basifica la soluzione
Acidi e basi

aumentando il pH;
c. il sale proveniente da un acido forte (HCl) ed una base debole (NH3 ), è costituito
dalla base coniugata debole Cl− e dall’acido coniugato di media forza NH+ 4.
Essendo NH+ 4 un acido di media forza, si può affermare che l’aggiunta di NH4 Cl
(cloruro d’ammonio) all’acqua acidifica la soluzione diminuendo il pH;
d. nel caso di un sale proveniente dalla reazione tra un acido debole (CH3 COOH)
ed una base debole (NH3 ) è necessario verificare i valori di Ka e Kb della base
e dell’acido coniugati (CH3 COO− e NH+ 4 ). Mentre Ka > Kb allora la soluzione
contenente il sale è acida. Se Kb > Ka allora la soluzione è basica. Nel nostro caso
Ka (NH+ −
4 ) < Kb (CH3 COO ) e la soluzione è basica. Diversamente il sale NH4 F
disciolto in acqua darà una soluzione debolmente acida in quanto Ka (NH+ 4) >
Kb (F − ) (si ricorda che HF è un acido di media forza).
Chimica 929

10.14 Soluzioni tampone ed equazione di Handerson–Hasselbach


Definiamo soluzione tampone una soluzione in cui sono presenti un acido debole e
la sua base coniugata (oppure una base debole e il suo acido coniugato) in quantità
elevate (solitamente non inferiori a 0,05 M) e non molto diverse tra loro.
La caratteristica principale delle soluzioni tampone è di mantenere il pH costante anche
a seguito di diluizione o dell’aggiunta di acidi o basi forti.

Il numero di moli di acido forte (o di base forte) che devono essere aggiunti ad un litro
di soluzione tampone per far variare il pH di una unità (e quindi rompere il tampone)
è definito potere tamponante. Maggiore è il potere tamponante maggiore è la forza
con cui il tampone si oppone all’acido o alla base aggiunti.
La maggior parte dei sistemi biologici funziona attraverso sistemi tampone che
garantiscono il corretto funzionamento di cellule ed organi. Ad esempio, una variazione
del pH delle urine o del sangue è spesso indice di disfunzioni renali.
Il calcolo del pH di una soluzione tampone può essere ottenuto in prima approssi-
mazione mediante l’equazione di Handerson–Hasselbach:
nHA
[H3 O+ ] = Ka
nA−
da cui otteniamo
[HA]
pH = pKa − log10
[A− ]
Per comprendere il meccanismo con cui funziona un tampone è sufficiente vedere come
questo si comporta in presenza di acidi o basi forti. Se aggiungiamo un acido (H+ ) o
una base (OH− ) a una soluzione tampone, invece di variare la concentrazione di ioni
H+ e OH− della soluzione questi reagiscono rispettivamente con A− (per formare HA)
o con HA (per formare A− ) ed il pH della soluzione rimane pressoché invariato. È
quindi necessario che le concentrazioni di A− e HA siano tali da limitare l’effetto degli
acidi e delle basi aggiunti. Questo è il motivo per cui la concentrazione dell’acido e della
base coniugata che costituiscono il tampone deve essere piuttosto elevata (> 0,05 M).

Chimica
Dall’equazione intuiamo immediatamente che il potere tamponante è massimo quan-
do il valore di pH da tamponare è in prossimità del valore di pKa , quando cioè
[HA] = [A− ], e di conseguenza il logaritmo è nullo. In base al valore di pH che si
desidera tamponare si scelgono l’acido o la base appropriati valutando i loro pKa .
I tamponi resistono anche a diluizioni non eccessive. Tuttavia, se la diluzione è con-
siderevole, l’acido debole tende a dissociare sempre di più e di conseguenza il rapporto
[HA]/[A− ] tende a zero e l’effetto tamponante svanisce.

Calcolare il pH di una soluzione ottenuta mescolando 200 mL di acido acetico CH3 COOH
0,050 M e 230 mL di una soluzione di acetato di sodio CH3 COONa 0,060 M; Ka
(CH3 COOH) = 1,75 · 10−5 .
Siamo in presenza di un acido debole (CH3 COOH) e della sua base coniugata
(CH3 COO− ) in quantità elevate e non troppo diverse tra loro, possiamo quindi affermare
di trovarci in presenza di un tampone.
930 Acidi e basi

Il pH della soluzione di ottiene applicando l’equazione di Handerson–Hasselbach


nHA
[H3 O+ ] = Ka .
nA−

Calcoliamo per prima cosa il numero di moli di HA e A− disponibili:

nHA = MHA · VolHA = 0,050 (mol/L) · 0,200 (L) = 0,010 mol


nA = MA− · VolA− = 0,060 (mol/L) · 0,230 (L) = 0,014 mol

Otteniamo il valore di pH applicando l’equazione di Handerson–Hasselbach


nHA 0,010
[H3 O+ ] = Ka = 1,75 · 10−5 · = 1,25 · 10−5 mol/l
nA− 0,014
pH = − log10 [1,25 · 10−5 ] = 4,9.

Si può, alternativamente, applicare l’equazione di Handerson– Hasselbach direttamente


in forma logaritmica:
[HA] 0,010/0,430
pH = pKa − log10 = − log10 (1,75 · 10−5 ) − log10 = 4,9
[A− ] 0,014/0,430

Si noti come il valore di pH di una soluzione tampone è, in prima appros-


simazione, indipendente dalla diluzione.

10.15 Teoria di Lewis (1938)


La teoria proposta da Brønsted e Lowry si limita a descrivere il comportamento degli
acidi e delle basi nelle soluzioni acquose ma non fornisce indicazioni precise sul loro
comportamento in altri mezzi di reazione. Fu nuovamente lo scienziato americano Gil-
bert N. Lewis (1875-1946), già noto per gli studi sui legami chimici e sulle strutture delle
molecole, a proporre nel 1938 una nuova interpretazione del concetto di acido-base.
Si definisce acido di Lewis una qualsiasi sostanza in grado di accettare un doppietto
Acidi e basi

elettronico e formare un legame covalente coordinato (legame dativo).

Si definisce base di Lewis una qualsiasi sostanza in grado di donare un doppietto


elettronico e formare un legame covalente coordinato (legame dativo).

La definizione di acido e base proposta da Lewis è la più ampia e completa. Sono acidi
di Lewis tutti gli acidi di Brønsted e Lowry e di conseguenza anche tutti gli
acidi secondo Arrhenius.
Da tale definizione comprendiamo che la reazione acido-base secondo Lewis com-
porta la formazione di un legame dativo tra il donatore di elettroni (base, NH3 , Cl− ) e
l’accettore della coppia elettronica (acido, H+ , BF3 , CO2 ). La specie chimica prodotta
da questo tipo di reazioni è solitamente denominata addotto o complesso acido-
base. Non stupisce che Lewis, dopo aver approfondito gli studi sui legami chimici,
adottò lo stesso approccio nella definizione di acido e di base.
Sono acidi di Lewis tutte le molecole che presentano lacune elettroniche, ovvero
orbitali vuoti disponibili ad accettare coppie di elettroni. Ricordiamo, tra gli altri, i
Chimica 931

composti bel boro (BF3 ), quasi tutti i cationi metallici (Be2+ ), lo ione H+ (che non
presenta elettroni nel suo orbitale di valenza 1s), composti metallici (AlCl3 , FeCl3 )
ma anche alcuni idrossidi dei metalli di transizione. Questi ultimi, infatti, possiedono
orbitali d vuoti che possono fungere da accettori di coppie di elettroni:

Al(OH)3 + OH− (aq) −→ [Al(OH)4 ]− (aq)

La teoria di Lewis spiega anche l’acidità degli ossidi dei non metalli (anidridi), come ad esempio
la CO2 . Siccome l’ossigeno è più elettronegativo del carbonio, i due legami sono polarizzati
verso l’ossigeno (anche se, per questioni geometriche, la molecola di anidride carbonica è
globalmente apolare). Questa differenza di elettronegatività causa una lacuna di elettroni sul
carbonio che presenta cosı̀ una carica parziale positiva (δ + ). Le basi di Lewis possono quindi
attaccare il carbonio donandogli una coppia di elettroni per formare, ad esempio, lo ione
bicarbonato.

10.16 Solubilità e prodotto di solubilità


Tra i vari tipi di reazioni che abbiamo studiato nel capitolo 6 ci sono le reazioni di
precipitazione. Una reazione di precipitazione è una reazione di scambio in cui uno dei
prodotti è un composto insolubile.

MA(aq) + BX(aq)  MX(s) + BA(aq)

A seconda del loro grado di solubilità in acqua a 25 ◦ C i sali vengono classificati come
segue:

sali poco solubili (o insolubili): solubilità in acqua inferiore a 0,01 mol/L;

sali moderatamente solubili: solubilità in acqua compresa tra 0,01 mol/L e


0,10 mol/L;

sali solubili: solubilità in acqua superiore a 0,10 mol/L.

Chimica
Definiamo solubilità la massima quantità di sostanza che si scioglie in una data quantità
di solvente ad una determinata temperatura per formare una soluzione stabile.

In pratica la solubilità è una misura della quantità massima di una sostanza (espressa
in g/L, mg/L, moli/L, ecc.) che può stare in soluzione in presenza del corpo di fondo,
ovvero in presenza del suo solido non disciolto. In queste condizioni la soluzione si dice
satura (di quel determinato soluto) in quanto un’ulteriore aggiunta di soluto NON
cambia la concentrazione della soluzione; il sale eventualmente aggiunto diventa corpo
di fondo senza sciogliersi ulteriormente.
La quantità di un sale disciolto in acqua può essere espressa in termini di costante di
equilibrio nota con il nome di prodotto di solubilità (Kps ). Kps è data dal prodotto
delle concentrazioni dei componenti presenti in soluzione provenienti dall’elettrolita ed
è, come tutte le costanti di equilibrio, costante a temperatura costante.
932 Acidi e basi

Sali solubili Eccezioni


Sali di Na+ , K+ ed NH+ 4
Sali di NO− − −
3 , ClO3 , ClO4 , CH3 COO

Sali di Cl− , Br− , I− Alogenuri di: Ag+ , Hg2+2 , Pb


2+

Composti del Fluoro F− Fluoruri di: Mg , Ca , Sr , Pb2+


2+ 2+ 2+

Sali di SO2−
4 Solfati di: Sr2+ , Pb2+
Sali insolubili Eccezioni
Sali di CO2− 3− 2−
3 , PO4 , CrO4 , S
2−
Sali di NH+ +
4 , Na , K
+

+
Ossidi ed idrossidi metallici Sali di NH4 , Na , K+
+

Tabella 10.2: Solubilità dei sali in acqua.

Data la reazione di dissoluzione del solido ionico

Am Bn(s)  mAn+ m−
(aq) + nB(aq)

otteniamo il valore della costante di solubilità dal prodotto delle concentrazioni degli
ioni in soluzione elevati ai rispettivi coefficienti stechiometrici.

Kps = [An+ ]m [Bm− ]n

Essendo la costante di equilibrio espressa come prodotto delle concentrazio-


ni degli ioni in soluzione, i solidi NON compaiono mai nell’espressione della
costante di equilibrio (il loro valore è considerato sempre unitario).

In presenza di una soluzione acquosa satura di bromuro d’argento (AgBr) si instaura la


seguente reazione di equilibrio:

AgBr(s)  Ag+
(aq) + Br(aq) .
Acidi e basi

Per ogni mole di AgBr che si scioglie in acqua si forma una mole di Ag+ ed una
mole di Br− . I valori di concentrazione degli ioni Ag+ e Br− in soluzione, trovati
sperimentalmente a 25 ◦ C, corrispondono a 5,7 · 10−7 M. La quantità di sale disciolto
può quindi essere espressa dalla seguente costante di equilibrio:
− −7
Kps = [Ag+
(aq) ][Br(aq) ] = 5,7 · 10 · 5,7 · 10−7 = 3,2 · 10−13 .

Sebbene sia possibile ricavare la solubilità di un composto a partire dalla sua Kps , è
necessario ricordare che solubilità e prodotto di solubilità sono due concetti diversi.
La solubilità di un sale è la quantità di sale disciolto in una determinata quantità di
soluzione satura ed è espressa il moli/L, g/L, mg/L o g/100ml; il prodotto di solubilità
è una costante di equilibrio. In generale i valori di Kps di diversi equilibri di dissoluzione
NON sono confrontabili tra loro, in quanto esistono molti altri fattori che influenzano
la solubilità. Il Kps NON è propriamente una descrizione della solubilità ma è
una descrizione delle concentrazioni ioniche nella soluzione satura.
Chimica 933

Determinare la solubilità di BaSO4 in acqua sapendo che Kps (BaSO4 ) = 1,08 · 10−10 .
Il sale sottostà al seguente equilibrio di dissoluzione

BaSO4(s)  Ba2+ 2−
(aq) + SO4(aq)

a cui corrisponde il prodotto di solubilità


−10
Kps = [Ba2+ 2+
(aq) ][SO4(aq) ] = 1,08 · 10 .

Vista l’equazione chimica bilanciata, possiamo affermare che le concentrazioni dei due
ioni in soluzione sono le stesse poiché per ogni BaSO4 disciolto si forma uno ione Ba2+
e uno ione SO2− 4 . Indichiamo con Sn la quantità in moli di BaSO4 che si è sciolta in un
litro di soluzione.
Poiché Sn = [BaSO4 ] = [Ba2+ 2−
(aq) ] = [SO4(aq) ] allora possiamo affermare che

Kps = [Ba2+ 2− 2
(aq) ][SO4(aq) ] = Sn Sn = Sn

Sn = Kps = 1,08 · 10−10 = 1,04 · 10−5 M.


p p

Una volta ottenuto il valore di Sn ricaviamo la solubilità di BaSO4 , espressa in g/L,


semplicemente moltiplicando Sn per il peso molare di BaSO4 (233,4 g/mol).

mol g
Solubilità BaSO4 = Sn · peso molare BaSO4 = 1,04 · 10−5 · 233,4
L mol
g mg
= 2,43 · 10−3 = 2,43
L L

10.16.1 Parametri che influenzano la solubilità


1) L’espressione di Kps dipende dalla stechiometria con cui avviene la reazione di
dissoluzione. I valori di Kps per reazioni che presentano stechiometrie diverse
NON sono confrontabili tra loro, in quanto le concentrazioni impiegate nella
determinazione della costante di equilibrio sono elevate ai rispettivi coefficienti
stechiometrici.
2) Effetto dello ione comune: la solubilità di un composto ionico diminuisce se
Chimica
vengono aggiunti (o se sono già presenti in soluzione) uno o più ioni in cui il sale
si dissocia. Questo fenomeno è spiegato dal principio di Le Châtelier: l’aggiunta
alla soluzione di uno dei prodotti della reazione di dissoluzione (nel nostro caso
uno ione) sposta l’equilibrio verso i reagenti (il corpo di fondo).
3) Gli ioni che si generano dalla reazione di dissociazione sono spesso coinvolti in altri
equilibri e quindi si convertono parzialmente in altri prodotti. Secondo il principio
di Le Châtelier, se gli ioni in soluzione partecipano ad altri equilibri (ovvero i
prodotti della dissociazione ionica vengono rimossi), la solubilità aumenta (il sale
continua a dissociarsi).
4) I valori di Kps variano con la temperatura e la direzione del cambia-
mento dipende dall’entalpia di dissoluzione del solido. Se il processo di
dissoluzione è endotermico, il valore della costante di solubilità aumenta con la
temperatura; se il processo di dissoluzione è esotermico il valore della costante di
solubilità diminuisce con la temperatura. Sebbene nella maggior parte dei casi la
934 Acidi e basi

solubilità aumenti con la temperatura, ciò non è sempre verificato. La solubilità


del cloruro di sodio, ad esempio, NON è influenzata dalla temperatura; la cal-
cite, invece, che presenta un’entalpia di dissoluzione esotermica, a 2 ◦ C ha una
solubilità due volte maggiore che a 25 ◦ C.
5) Il pH di una soluzione può influenzare in modo significativo la solubilità di un
composto ionico. In generale, i composti ionici in cui l’anione è la base
coniugata di un acido debole (solfuri, carbonati, idrossidi, fosfati) si
sciolgono negli acidi. Contrariamente, la solubilità dei composti ionici in cui
l’anione è la base coniugata di un acido forte (cloruri, bromuri, nitrati e solfa-
ti) NON è influenzata dal pH. Questo fenomeno dipende dal fatto che gli acidi
deboli sottostanno ad un equilibrio (sono dissociati solo parzialmente) e quindi
l’aggiunta di un acido fa sı̀ che l’anione del sale formi un secondo equilibrio con
l’acido aggiunto. L’anione viene quindi sottratto ai prodotti e di conseguenza la
solubilità del sale aumenta. Diversamente, se l’anione proviene da un acido forte,
ovvero da un acido completamente dissociato, l’aggiunta di acido NON genera
altri equilibri e la solubilità del sale rimane invariata.

10.17 Titolazione acido-base


Si è visto in precedenza (§ 10.2) che il mescolamento, in certe condizioni, di soluzioni
acide e basiche porta all’annullamento delle proprietà acido-basiche di entrambe, con
formazione di un sale e acqua. Queste reazioni sono dette di neutralizzazione. Le
reazioni di neutralizzazione possono essere utilizzate per determinare la concentrazione
di acido o base presente all’interno di una soluzione. Il procedimento sperimentale si
chiama titolazione (vedi § 8.5), nel caso specifico si parla di titolazione acido-base.
In una titolazione acido-base, a una soluzione contenente un acido (o una base)
a concentrazione incognita ma di volume noto, si aggiungono piccole quantità di una
soluzione basica (o acida) a concentrazione nota, fino alla neutralizzazione della solu-
zione iniziale, che avviene quando il numero di equivalenti di acido è pari al numero di
equivalenti di base. Il raggiungimento del punto equivalente è, in genere, indicato dal
cambiamento di colore di un indicatore aggiunto alla soluzione di titolando.
Acidi e basi

Dal volume di titolante aggiunto si ricava la concentrazione incognita della soluzione


di partenza.
Indicando con: Cx la concentrazione incognita, CA la concentrazione della soluzione
titolante, VA il volume di titolante aggiunto e Vx il volume della soluzione in analisi,
si ha:
CA · VA
Cx = .
Vx

Al punto di equivalenza la soluzione in analisi ha pH = 7.

Un indicatore è un acido (o una base) debole, indicato con HIn , che presenta due
colori diversi a seconda che si trovi in forma indissociata o dissociata. L’indicatore deve
essere presente in concentrazioni molto basse, altrimenti interferirebbe con l’equilibrio
acido-base della titolazione.
Chimica 935

HIn (coloreA) + H2 O  H3 O+ + In− (coloreB)

Si può definire una costante di equilibrio KIn :

[H3 O+ ] · [In− ]
KIn = .
[HIn]

Da questa relazione si ottiene che pH = pKIn + Log([In− ]/[HIn]), dove


pKIn = −LogKIn .
Se il pH della soluzione da titolare è minore di pKIn , allora prevale la forma
indissociata dell’indicatore e la soluzione presenta il colore A; viceversa, se il
pH è maggiore di pKIn , prevale la forma dissociata dell’indicatore e, quindi,
il colore B.
Quando le due forme sono alla stessa concentrazione si ha il punto di
viraggio, cui corrisponde il cambio da un colore all’altro.

Figura 10.1:
Buretta

In realtà l’occhio umano non è in grado di discriminare esattamente il punto di


viraggio pertanto si parla di intervallo di viraggio, perché l’occhio umano si stima
possa commettere un errore, a livello di pH, di ±1:

pH = pKIn ± 1 .
Le titolazioni acido-base si realizzano mediante l’utilizzo di una buretta (Figura 10.1)
contenente il titolante, e di un becher contenente la soluzione da titolare. La buretta consente,
attraverso un rubinetto, di aggiungere piccole quantità della soluzione titolante, goccia a

Chimica
goccia, ed è costituita da un tubo graduato che consente di misurare con accuratezza il volume
aggiunto.

10.18 Quesiti
1) Da un punto di vista matematico, il pH: E è l’esponente a cui elevare 10 per
ottenere il numero di ioni ossonio
A è il logaritmo in base 10 della concen-
trazione di ioni H+ 2) Unendo una mole di acido solforico
B è l’esponente a cui elevare 10 per otte- (H2 SO4 ) con due moli di idrossido di
nere la concentrazione di idrogenioni sodio (NaOH) si ottiene:

C è il logaritmo in base 10 dell’inverso A una soluzione acida


della concentrazione di ioni OH−
B una soluzione basica
D è l’inverso del logaritmo in base 10 della
concentrazione di idrogenioni C una soluzione neutra
936 Acidi e basi

D il verificarsi di un ossidoriduzione B 10
E una soluzione dove la concentrazione di C 1
OH− supera quella di H+
D −5
3) Indicare l’affermazione corretta: E 1 · 10−5
A La forza di un acido aumenta con l’au- 7) Una soluzione con una concentrazione
mentare del numero di ossigeni nella di OH− uguale a 10−1 M:
molecola
B La forza di un acido diminuisce con l’au- A è acida
mentare del numero di ossigeni della B è basica
molecola
C è leggermente acida
C La forza di un acido aumenta con il
diminuire del numero di ossigeni della D è più acida rispetto ad una avente
molecola [OH− ] = 10−3 M
D L’acido fosforico (H3 PO4 ) è un acido E ha una concentrazione di OH− ugua-
più forte dell’acido perclorico (HClO4 ) le a quella derivante dalla normale
E La forza di un acido aumenta con dissociazione dell’acqua
l’aumentare del carattere metallico
dell’elemento 8) Il valore di pKw dell’acqua a 25 ◦ C:

4) Considerando una soluzione 0,1M di A è variabile a seconda delle specie


NaCl e 0,1M di NaNO3 si può affermare presenti in soluzione
che: B è uguale a 10−14
A il pH risulta acido a causa della presenza C è uguale a 7
di ioni cloruro e solfato
D è uguale alla somma di pH e pOH
B il pH risulta basico a causa della
presenza di ioni cloruro e solfato E è uguale al prodotto di pH e pOH
C gli ioni Na+ e Ba+ contribuiscono a 9) Chi definı̀ gli acidi come accettori di
basificare la soluzione una coppia di elettroni e le basi come
D il pH risulta neutro donatori di una coppia di elettroni?
E gli ioni NA+ e Ba2+ contribuiscono ad A J. N. Brønsted e T. M. Lowry
acidificare la soluzione
B G.N. Lewis
5) Se mescolo 20 moli di KOH con 15 moli
C S. Arrhenius
Acidi e basi

di H2 SO4 , il pH risultante è:


D L. Meyer
A acido
B basico E D. Mendeleev

C impossibile da calcolare non conoscendo 10) Per neutralizzare 100 mL di soluzione


la Ka dell’acido di KOH 0,5 M occorrono:
D neutro
A 50 mL di HCl 0,5 M
E impossibile da calcolare non conoscendo
B 50 mL di H2 SO4 0,5 M
la Kb della base
C 25 mL di H3 PO4 0,5 M
6) Qual è il pH di una soluzione 1 · 10−5 M
di un acido forte monoprotico? D 50 mL di HNO3 0,5 M

A 5 E 50 mL di HBr 0,5 M
Chimica 937

10.19 Soluzioni commentate ai quesiti


1) D . Il pH è una scala di misura dell’acidità o della basicità di una soluzione. L’o-
peratore matematico “p” indica due operazioni: (1) il logaritmo in base 10 della
concentrazione espressa in moli/litro (nel caso specifico la concentrazione di H+ );
(2) il cambio di segno del risultato (moltiplicazione per −1). Riassumendo, il pH è
definibile come l’inverso del logaritmo decimale della concentrazione idrogenionica.
Una soluzione si dice alcalina quando il pH è maggiore di 7, acida quando è minore
di 7 e neutra se è uguale a 7.

2) C . Si ottiene una soluzione neutra dato che da una mole di H2 SO4 (acido diprotico)
si liberano due moli di ioni H+ , neutralizzate dalle 2 moli di OH− liberate da
altrettante moli di NaOH (acido monobasico).

3) A . Considerando un particolare elemento non metallico, la forza del suo ossiacido


aumenta con l’aumentare del numero di ossigeni (ad esempio HClO è più debole
di HClO4 che risulta più ossigenato). In generale per gli acidi contenenti lo stesso
numero di ossigeni, la forza di ciascun acido dipende dall’elettronegatività del non
metallo a cui sono legati gli ossigeni.

4) D . La soluzione acquosa dei due sali è neutra in quanto i sali derivanti dalla
reazione di un acido forte (HCl o HNO3 ) con una base forte (NaOH), producono
rispettivamente la base coniugata debole (Cl− , NO− 3 ) e l’acido coniugato debole
(Na+ ). Essendo Cl− , NO− 3 e Na
+
particolarmente deboli, l’aggiunta di NaCl o
NaNO3 all’ acqua non modifica il valore del pH della soluzione.

5) A . Si ottiene una soluzione acida dato che 15 moli di H2 SO4 (acido diprotico)
liberano 30 moli di H+ di cui solo 20 sono neutralizzate da altrettante moli di ioni
OH− liberate dal KOH. Si tenga presente che sia l’acido che la base in questione
sono forti, quindi non danno luogo alla formazione di equilibri, ma in soluzione
acquosa si ionizzano completamente.

6) A . Per calcolare il pH di una soluzione in cui è presente una sostanza acida, bisogna
considerare per prima cosa se la specie in questione si ionizza completamente in

Chimica
acqua o se lo fa in modo parziale dando origine ad un equilibrio. Inoltre è necessario
sapere quanti protoni è in grado di cedere ogni molecola di acido. Nel caso presentato
nel quesito siamo in presenza di un acido forte monoprotico, quindi il numero di moli
di protoni che si formano dall’acido è equivalente al numero di moli di acido (ogni
mole di acido cede una mole di H+ ). Per ottenere il pH bisogna calcolare l’inverso del
logaritmo della concentrazione idrogenionica (H+ ) quindi, ad una concentrazione
1 · 10−5 M corrisponde un pH = 5.

7) B . Una concentrazione 1 · 10−1 M OH− di corrisponde ad un valore di pOH = 1,


quindi a pH = 13. Infatti, dall’espressione del prodotto ionico dell’acqua si ricava
che pH + pOH = 14.

8) D . La costante di dissociazione dell’acqua a 25 ◦ C, detta prodotto ionico dell’ac-


qua, è Kw = [H3 O+ ][OH− ] = 1 · 10−14 M. È possibile esprimere tale equazione
applicando l’operatore matematico “p” (che corrisponde al logaritmo negativo): si
ottiene pKw = pH + pOH = 14.
938 Acidi e basi

9) B . Lewis definı̀: (1) un acido come una specie ionica o molecolare in grado di ac-
cettare una coppia di elettroni formando un legame covalente coordinato (2) una
base come una specie ionica o molecolare in grado di donare una coppia di elet-
troni formando un legame covalente coordinato (3) la reazione di neutralizzazione
consiste nella formazione di un legame covalente coordinato fra il donatore (base)
e l’accettore (acido).
10) B . 100 mL di KOH 0,5 M contengono 0,05 mol di KOH, che liberano altrettante
moli di OH− . Per neutralizzare tale quantità di ioni OH− si possono utilizzare 50
mL di H2 SO4 0,5 M. Questa soluzione infatti contiene 0,025 mol di acido il quale,
essendo diprotico, libera una quantità di H+ pari al doppio delle proprie moli:
0,025 mol · 2 = 0,05 mol. Tale quantità risulta equivalente alle moli di OH− liberate
dall’idrossido di potassio.
Acidi e basi
Fondamenti di
chimica organica
11
“Bruciare petrolio è come bruciare rubli” (Dmitri Ivanovitch Mendeleev, 1834-1907).

11.1 Introduzione
In questo capitolo ci focalizzeremo sulle proprietà del carbonio e sugli innumerevoli
composti che questo elemento è in grado di formare. La chimica del carbonio prende il
nome di “chimica organica” in quanto è alla base dei processi metabolici degli organi-
smi viventi e quindi della vita stessa. Nel corso del XX secolo la chimica organica ha
ampliato notevolmente il suo campo d’azione grazie allo sfruttamento del petrolio e dei
suoi derivati. La chimica organica moderna è fondamentale nella produzione industriale
di materie plastiche, nel settore farmaceutico, cosmetico, alimentare, nello sviluppo e
nella produzione di nuovi materiali, nella chimica fine ed in molti altri campi.

11.2 L’atomo di carbonio

Si definisce chimica organica la chimica dei composti del carbonio.

Per definizione la totalità dei composti organici è costituita da carbonio. Le molecole


organiche possono tuttavia presentare anche altri elementi quali: idrogeno, ossigeno,
azoto, zolfo, fosforo ed alogeni, più raramente gli altri.
Il carbonio è considerato l’elemento più versatile della tavola periodica, esso infatti
permette di generare milioni di composti diversi tra loro, ognuno caratterizzato da
determinate proprietà chimico-fisiche.
Il carbonio presenta una serie di peculiarità che vale la pena ricordare:

a. il carbonio è pressoché l’unico elemento della tavola periodica che ha la capacità


di concatenarsi, ovvero di legarsi covalentemente a se stesso generando lunghe
catene di carbonio lineari, ramificate o cicliche.

b. Come abbiamo visto nel capitolo 4, la sua configurazione elettronica nel guscio di
valenza allo stato fondamentale è di tipo 2s2 2p2 e ciò permetterebbe, teoricamen-
te, la formazione di 2 soli legami covalenti ed eventualmente un legame covalente
dativo. Tuttavia questo elemento, nella sua configurazione ibridata, è in grado
di formare fino a 4 legami covalenti che si dispongono nello spazio secondo un
tetraedro regolare con angoli tutti uguali di 109,5◦ .

c. Gli orbitali del carbonio possono essere: ibridati sp3 e formare 4 legami singoli
secondo un tetraedro regolare; ibridati sp2 e formare 3 legami singoli σ ed un
940 Fondamenti di chimica organica

legame π, a conformazione triangolare planare con angoli di 120◦ ; ibridati sp e


formare 2 legami singoli σ e 2 legami π, a conformazione lineare con angolo a
180˚.

d. Il carbonio presenta un’elettronegatività intermedia rispetto a quella degli altri


elementi ed è quindi in grado di generare legami covalenti (più o meno polari) sia
con elementi più elettronegativi (O, S, alogeni) che con quelli meno elettronegativi
(idrogeno).

Gli atomi di carbonio formano sempre quattro legami covalenti che, a seconda
del tipo di ibridazione, sono esclusivamente di carattere σ o di carattere σ e π. Non
sono noti atomi di carbonio in grado di formare più di quattro legami.
Il carbonio può esistere in varie forme allotropiche tra le quali ricordiamo: la grafi-
te, il diamante, i fullereni (o buckyball) ed i nanotubi. Fullereni e nanotubi, scoperti
nell’ultimo decennio, sono alla base degli studi di frontiera sulle nanotecnologie e sono
promettenti veicoli per farmaci antitumorali.

Definiamo allotropi forme differenti dello stesso elemento che esistono nello stesso
stato fisico alle stesse condizioni di pressione e temperatura.

11.3 Rappresentazione dei composti organici


Le molecole organiche possono essere rappresentate attraverso tre diversi tipi di for-
mule:

a. formula bruta: descrive la


composizione quali-quantitativa
della molecola senza indicare
il modo in cui gli atomi sono
Organica

concatenati tra loro nello spazio;

b. formula di struttura: de- Figura 11.1: Rappresentazione di una formula bruta e


scrive la composizione quali- della corrispondente formula di struttura.
quantitativa della molecola indi-
cando anche la posizione che ogni singolo atomo occupa all’interno della molecola,
ovvero indica come gli atomi sono legati tra loro (Figura 11.1);

c. formula razionale: è costituita da un misto dei due tipi precedenti, ovvero


parte della molecola viene indicata secondo la formula bruta mentre le par-
ti caratteristiche più importanti vengono indicate con la formula di struttura.
È particolarmente utile nella chimica delle macromolecole (molecole organiche
costituite da diverse centinaia di atomi) dove è in genere superfluo conosce-
re la posizione esatta di ogni singolo atomo ma è necessario conoscere la di-
sposizione spaziale degli atomi che costituiscono la parte funzionale della mole-
cola.
Chimica 941

Gli atomi di carbonio presenti in una


molecola possono essere di quattro tipi
(Figura 11.2):

a. carbonio primario: quando è


legato ad un solo altro atomo di
carbonio;

b. carbonio secondario: quando


è legato ad altri due atomi di Figura 11.2: Classificazione degli atomi di carbonio in
carbonio; una molecola.

c. carbonio terziario: quando è legato ad altri tre atomi di carbonio;

d. carbonio quaternario: quando è legato ad altri quattro atomi di carbonio.

L’utilità della formula di struttura nella chimica organica è data dalla necessità di
riconoscere molecole diverse che però presentano la stessa formula bruta (Figura 11.3).

Definiamo isomeri strutturali due o più composti che presentano la stessa formula
bruta ma nei quali gli atomi sono legati tra loro diversamente.

Chimica

Figura 11.3: Alcuni possibili isomeri strutturali di C8 H18 .

Vista la grande varietà di molecole organiche è necessario classificarle in base alle


loro caratteristiche strutturali e chimiche. A questo scopo sono stati creati dei gruppi,
noti come serie omologhe, caratterizzati da un insieme di molecole con struttura e
proprietà simili che differiscono tra loro unicamente per il numero di atomi di carbonio
che contengono.
942 Fondamenti di chimica organica

È inoltre possibile classificare le molecole organiche in base alla presenza di alcuni grup-
pi chimici, detti gruppi funzionali, che conferiscono alle molecole che li possiedono
particolari proprietà chimiche.

Si dice gruppo funzionale un atomo o un gruppo di atomi che conferiscono


determinate proprietà chimico-fisiche alla catena carboniosa a cui sono legati.

Di seguito sono riportate le strutture ed i nomi dei principali gruppi funzionali e la


classe di cui sono caratteristici (Tabella 11.1 e Figura 11.4).

Struttura Gruppo Nome Gruppo Classe


Funzionale Funzionale

A Doppio legame Alcheni

B Triplo legame Alchini


C Gruppo ossidrilico Alcool
D Gruppo etere Eteri

E Gruppo aldeidico Aldeidi

F Gruppo chetonico Chetoni

G Gruppo amminico Ammine

H Gruppo carbossilico Acidi carbossilici

I Gruppo ammidico Ammidi


Organica

L Gruppo estereo Esteri

M Anidride Anidridi

N Alogenuro acilico Alogenuri acilici

O Gruppo ciano (nitrile) Nitrili


P Gruppo tiolico Tioli (Mercaptani)

Tabella 11.1: Descrizione dei gruppi funzionali e la corrispettiva classe di composti. Il gruppo R indica un
generico gruppo alchilico o arilico.
Chimica 943

Figura 11.4: Gruppi funzionali più comuni. Il gruppo R indica un generico gruppo alchilico o arilico.

11.4 Isomeria strutturale ed isomeria ottica


Come già affermato in precedenza, quando due o più composti presentano la stes-
sa formula bruta ma una diversa formula di struttura siamo in presenza di isomeri
strutturali.
Esistono diversi tipi di isomeria a seconda del modo in cui queste molecole con la
stessa formula bruta differiscono tra loro:

a. isomeri conformazionali: composti caratterizzati da un differente orientamen-


to spaziale relativo dei gruppi di atomi. Gli isomeri conformazionali possono inter-
convertirsi l’uno nell’altro per rotazione attorno ad un legame sempli-
ce C-C;

b. stereoisomeri: composti con la stessa formula strutturale e uguale connettività,


che si differenziano per una diversa orientazione dei loro atomi nello spazio. Gli

Chimica
stereoisomeri NON possono essere interconvertiti mediante rotazione attorno ad
un legame semplice;

c. enantiomeri: stereoisomeri otticamente attivi


che non sono sovrapponibili alla loro immagine
speculare.

I due composti indicati in figura 11.5 sono stereoisome- Figura 11.5: Enantiomeri dell’1-
ri in quanto: hanno la stessa formula di struttura e la fluoroetanolo.
stessa connettività tra gli atomi ma si differenziano per l’orientazione spaziale dei lo-
ro atomi. I due composti sono immagini speculari NON sovrapponibili e sono quindi
enantiomeri.

d. diastereoisomeri: stereoisomeri le cui molecole NON sono l’una l’immagine


speculare dell’altra.
944 Fondamenti di chimica organica

Figura 11.6: Due coppie di enantiomeri (A e B) e (C e D), tra loro diastereoisomeriche (A e C), (A e D),
(B e C), (B e D). Gli stereoisomeri A e B sono immagini speculari non sovrapponibili e pertanto sono una
coppia di enantiomeri. Lo stesso vale per gli stereoisomeri C e D. Queste coppie di enantiomeri sono tra loro
diastereoisomeriche, ovvero le coppie: A-C, A-D, B-C e B-D sono stereoisomeri che NON sono immagini
speculari, possono quindi essere classificati come diastereoisomeri.

e. isomeri geometrici o “cis-trans” (Figura 11.7): è un particolare tipo di dia-


stereoisomeria data da isomeri che hanno la stessa connettività degli atomi ma
una differente disposizione di questi nello spazio, dovuta alla presenza di un anel-
lo o di un doppio legame C-C (cis- significa “dallo stesso lato”, trans- significa
Organica

“da parti opposte”).

Figura 11.7: Esempi di isomeria cis-trans.


Chimica 945

f. isomeri di gruppo funzionale (Figura 11.8):


composti con la stessa formula bruta ma che
presentano diversi gruppi funzionali.
La figura 11.9 riassume quanto descritto a proposito
dell’isomeria.
Gli enantiomeri, grazie alla presenza di stereo-
centri (o centri stereogenici), sono molecole ot-
ticamente attive ovvero sono in grado di deviare Figura 11.8: Esempi di isomeria di
di un certo angolo il piano della luce polarizzata. gruppo funzionale.
L’ampiezza dell’angolo è definita potere ottico rotatorio ed è una proprietà caratte-
ristica della sostanza in questione. Il potere ottico rotatorio è un parametro impiegato
in chimica analitica per identificare sostanze incognite.

Figura 11.9: Relazioni tra gli isomeri.

Si definisce chirale (dal greco chir “mano”) un oggetto che non è sovrapponibile alla

Chimica
sua immagine speculare. Al contrario si dice achirale un oggetto che manca di chira-
lità.
Si dice stereocentro (o centro di asimmetria o centro stereogenico o, meno cor-
rettamente, centro chirale) un atomo che è legato a quattro atomi (o gruppi di atomi)
diversi tra loro.
Definiamo otticamente attivo un composto che è in grado di deviare il piano della
luce polarizzata.
Si definisce potere ottico rotatorio la rotazione del piano della luce polarizzata che
si osserva quando un campione, di quantità e concentrazione determinati, viene attra-
versato da un fascio di luce polarizzata. La luce può essere ruotata in senso orario,
allora il composto sarà definito destrogiro (dal latino dexter “destro”) e si indicherà
con il segno (+). Se la luce viene ruotata in senso antiorario il composto sarà definito
levogiro (dal latino laevus “sinistro”) e si indicherà con il segno −.
946 Fondamenti di chimica organica

Due molecole che sono tra loro enantiomeri presentano le stesse proprietà chimiche e
fisiche ad eccezione del potere ottico rotatorio che è di uguale ampiezza ma di segno
opposto. Avremo quindi che un enantiomero destrogiro sarà (+) mentre quello levogiro
sarà (−). Se i due enantiomeri sono presenti in una soluzione in quantità perfettamente
uguali (miscela racemica), la soluzione globalmente NON presenta attività ottica. I
due enantiomeri, infatti, ruotano il piano della luce polarizzata della stessa ampiezza
ma in direzioni opposte e l’effetto globale sarà nullo.
Definiamo miscela racemica una miscela di quantità uguali di due enantiomeri. Una
soluzione in miscela racemica NON è in grado di deviare il piano della luce polarizzata.

Essendo caratterizzati dalle stesse proprietà chimiche e fisiche gli enantiomeri sono molecole
particolarmente difficili da separare. Tuttavia, siccome a livello biologico l’effetto dei due enan-
tiomeri può essere drasticamente diverso, è consigliabile separare i componenti della miscela
racemica mediante metodologie particolari come ad esempio: cromatografia chirale, enantio-
risoluzione enzimatica e cristallizzazione mediante sali diastereoisomerici. Per una trattazione
più ampia si rimanda ad un testo specifico.

Si ricordi che in chimica è sempre presente una fortissima correlazione struttura-


attività, ovvero molecole con strutture chimiche simili presentano proprietà simili,
molecole con strutture chimiche diverse presentano proprietà diverse.
La comprensione della struttura di una molecola è fondamentale per comprenderne le
caratteristiche chimico-fisiche.
Esistono composti che presentano più centri di asimmetria e in questo caso il numero
massimo di stereoisomeri che si possono ottenere viene calcolato in base alla regola di
Van’t Hoff, ovvero:
n. max stereoisomeri = 2n
dove “n” è il numero di stereocentri presenti.

Esistono alcune molecole, come ad esempio l’acido tartarico, che pur essendo dotate
di due o più stereocentri sono globalmente achirali e prendono il nome di forme
Organica

meso. L’assenza di chiralità della molecola è dovuta alla presenza di un piano o di un


centro di simmetria.

Figura 11.10: A e B sono immagini speculari non sovrapponibili, sono quindi una coppia di enan-
tiomeri. Le formule C e D rappresentano un composto meso, ovvero un composto contenente più
centri di asimmetria ma globalmente achirale in quanto dotato di un piano di simmetria. Ruotan-
do il composto D di 180◦ esso si sovrappone perfettamente al composto C.
Chimica 947

11.5 Gli idrocarburi


Gli idrocarburi sono una serie molto vasta di molecole organiche che si sono formate
nel sottosuolo nell’arco di milioni di anni. Essi provengono dalla decomposizione, in
ambienti anaerobi ad alte pressioni e temperature, di organismi viventi quali plancton
e alghe. Sono per questo motivo conosciuti anche come combustibili fossili.
Gli idrocarburi sono costituiti da uno scheletro di atomi di carbonio legati assieme
in strutture lineari, ramificate o ad anelli mediante legami singoli, doppi o tripli.
L’idrocarburo più conosciuto è il petrolio che è formato da una miscela di idrocarburi
prevalentemente allo stato liquido (nafta, benzina, kerosene e gasolio). Dal petrolio
grezzo si possono estrarre anche gas (metano, etano, propano e butano) ed idrocarburi
solidi (bitumi, asfalti, coke, cere). I vari componenti del petrolio vengono separati nelle
colonne di topping mediante distillazione frazionata, che sfrutta le differenze nei punti
di ebollizione di questi composti.
I composti cosı̀ ottenuti possono essere ulteriormente lavorati mediante processi
chimici:

a. processo di cracking: conversione di frazioni petrolifere ad alto peso molecolare


in frazioni a peso molecolare minore. È impiegato per la sintesi di olefine e per
aumentare il numero di ottani della benzina;

b. processo di reforming: è impiegato nella sintesi di idrocarburi aromatici.

Il numero di ottani è una misura


del potere antidetonante delle ben-
zine ed è proporzionale alla quan-
tità di isoottano (e di altri idro-
carburi ramificati) presente nella
benzina.
Dai processi di lavorazione del pe-
trolio si ottengono i sette composti
organici di base: etilene, propilene,
buteni, benzene, toluene, xilene e

Chimica
metano.
Tutti gli idrocarburi sono
insolubili in acqua e sono in-
fiammabili e per questo motivo
sono impiegati come combustibi-
li nella produzione di energia elet-
trica (centrali a gas e petrolio,
Figura 11.11: Suddivisione degli idrocarburi.
generatori a kerosene) ed energia
meccanica (automobili).
Gli idrocarburi possono essere suddivisi in molte sottoclassi in base alle loro carat-
teristiche chimiche (Figura 11.11).
Nel primo livello di classificazione si distinguono gli idrocarburi alifatici da quelli
aromatici (o areni).
I composti aromatici prendono questo nome perché sono spesso caratterizzati da
aromi molto pronunciati e presentano caratteristiche simili a quelle del benzene. Possia-
mo affermare, come regola generale, che i composti aromatici sono caratterizzati
948 Fondamenti di chimica organica

dalla presenza di anelli planari riempiti da elettroni delocalizzati su tutto


l’anello.

In realtà per definire un composto come aromatico è necessario che questo rispetti il criterio
di aromaticità di Hückel, ovvero il composto deve essere:
a. ciclico;
b. possedere un orbitale p, pieno o vuoto, per ogni atomo dell’anello;
c. essere planare in modo da garantire la sovrapposizione degli orbitali p;
d. possedere una distribuzione di elettroni π pari a 4n + 2 elettroni estesa su tutto l’anello,
dove n è un numero intero positivo (1, 2, 3, 4. . .).

11.6 Idrocarburi alifatici


I composti alifatici (lineari o ciclici) possono essere a loro volta classificati come saturi
o insaturi (Figura 11.12).

Si dicono saturi quei composti organici contenenti solo legami semplici C–C (ibridazione
sp3 ) che vengono definiti alcani.
Si dicono insaturi quei composti organici contenenti uno o più legami multipli (doppi
o tripli) C–C: se presentano uno o più legami doppi (ibridazione sp2 ) vengono definiti
alcheni (o olefine), se presentano uno o più legami tripli (ibridazione sp) vengono
definiti alchini.
Organica

Figura 11.12: Esempi di idrocarburi saturi e idrocarburi insaturi.

Il termine “insaturo” si riferisce al fatto che il composto presenta atomi di carbonio


che possono venire ulteriormente saturati da atomi di idrogeno mediante, ad esempio,
reazioni di idrogenazione catalitica.
Secondo la nomenclatura ufficiale IUPAC il nome degli idrocarburi è dato da un
prefisso, che indica il numero di atomi di carbonio che costituiscono la molecola e da
una desinenza, che indica la classe alla quale appartiene. Le tre desinenze sono: –ano
per gli alcani, –ene per gli alcheni ed –ino per gli alchini. Si veda il paragrafo
11.9 per maggiori dettagli.

11.6.1 Alcani (o paraffine)


Gli alcani presentano le seguenti caratteristiche:
a. sono idrocarburi alifatici saturi e possono essere ciclici (cicloalcani) o a catena
(alcani);
Chimica 949

b. se la catena è lineare prendono il nome di n-alcani (o alcani normali, o alcani


lineari);
c. hanno formula generale Cn H2n+2 (i cicloalcani Cn H2n ), dove n è un numero intero
positivo (1, 2, 3, 4. . .);
d. sono privi di gruppi funzionali e contengono solo legami covalenti semplici (ovvero
presentano solo legami σ);
e. il nome finisce con la desinenza –ano.
Il nome si costruisce aggiungendo al prefisso che indica il numero di atomi di carbonio
la desinenza –ano; il primo della serie è il metano CH4 , gli alcani a 2, 3 e 4 atomi
di carbonio prendono rispettivamente il nome di etano, propano, butano e cosı̀
via (vedi § 11.9). Ogni termine della serie differisce da quello precedente e da quello
seguente per un gruppo -CH2 -, detto gruppo metilenico.
L’ibridazione del carbonio è sempre sp3 ed i 4 legami formati da ogni atomo di
carbonio presentano distribuzione spaziale tetraedrica.
Quando due atomi di carbonio si legano con un legame semplice (σ) ciò avviene
grazie alla sovrapposizione di due orbitali ibridi sp3 (uno per ogni atomo di carbonio).
Gli altri tre orbitali ibridi sp3 vengono “saturati” dall’idrogeno, ovvero si crea un legame
tra ognuno di questi orbitali e l’orbitale 1s dell’idrogeno.
Gli alcani possono presen-
tare tre tipi di isomeria: con-
formazionale, ottica e di
struttura.
Come accennato preceden-
temente, gli isomeri confor-
mazionali possono intercon-
vertirsi l’uno nell’altro per ro-
tazione attorno ad un legame Figura 11.13: Esempi di isomeria conformazionale. Questo tipo
semplice C–C (Figura 11.13). di rappresentazione è detto proiezione di Newman.
Gli isomeri conformazionali sono potenzialmente infiniti in quanto è pressoché infi-
nito il numero di valori che l’angolo θ (angolo diedro) può assumere, e quindi è

Chimica
praticamente infinito il numero di orientazioni spaziali consentite.

Definiamo angolo diedro θ l’angolo generato da due piani che si intersecano.

Da un punto di vista energetico alcune orientazioni spaziali sono più favorite ri-
spetto ad altre, il che significa che alcune di queste conformazioni sono statisti-
camente più probabili. In assenza di gruppi chimici ingombranti l’interconversione tra
isomeri conformazionali è estremamente veloce (in quanto la rotazione attorno al le-
game singolo è libera) e di conseguenza la separazione dei vari isomeri conformazionali
è praticamente impossibile.

L’isomeria di struttura è definita dal modo in cui la catena carboniosa è costituita.


La catena idrocarburica infatti può essere lineare, ramificata o ciclica. Al crescere
della catena idrocarburica cresce esponenzialmente il numero di isomeri strutturali,
950 Fondamenti di chimica organica

Da un punto di vista energetico alcune orientazioni spaziali sono più favorite ri-
spetto ad altre, il che significa che alcune di queste conformazioni sono statisti-
camente più probabili. In assenza di gruppi chimici ingombranti l’interconversione tra
isomeri conformazionali è estremamente veloce (in quanto la rotazione attorno al le-
game singolo è libera) e di conseguenza la separazione dei vari isomeri conformazionali
è praticamente impossibile.

infatti, man mano che il numero di atomi di carbonio cresce, aumenta anche il modo
con cui questi possono legarsi tra loro per costruire una grande varietà di molecole
ramificate. Gli isomeri di struttura NON possono interconvertirsi tra loro e di conse-
guenza presentano proprietà chimiche e fisiche molto diverse. Per questo motivo gli
isomeri strutturali di una miscela sono facilmente separabili.
Metano, etano e propano non presentano isomeri strutturali; esistono invece 2 com-
posti con la formula C4 H10 , 3 con formula C5 H12 , 5 con formula C6 H14 e cosı̀ via.
Purtroppo non esiste una regola per la determinazione del numero esatto di isomeri
strutturali data una specifica formula bruta. Per conoscere il numero ed il tipo di iso-
meri strutturali è quindi necessario scrivere tutte le formule di struttura possibili per
ogni formula bruta (Figura 11.14).

Figura 11.14: A sinistra: metano, etano e propano che non presentano isometria strutturale. Al centro
isomeri strutturali di C4 H10 , a destra isomeri strutturali di C5 H12 .

I cicloalcani sono caratterizzati da un parti-


Organica

colare tipo di isomeria conformazionale.


Sebbene la struttura ciclica impedisca la ro-
tazione completa attorno ai legami sempli-
ci C-C, è comunque consentito un parziale
movimento dei legami C-C che fa assumere
al composto in considerazione conformazio-
ni diverse, conosciute con i nomi di: barca,
sedia e barca distorta (Figura 11.15).
I cicloalcani presentano anche un par-
ticolare tipo di isomeria geometrica
cis/trans che va a descrivere la posizione Figura 11.15: Isomeria conformazionale del
cicloesano.
in cui si trovano le catene di carbonio rispet-
to al piano disegnato dal ciclo. Si dice che
l’isomeria è cis se i gruppi si trovano sullo stesso lato del piano disegnato dal ciclo,
si dice che l’isomeria è trans se i gruppi si trovano su lati opposti rispetto al piano
disegnato dal ciclo.
Chimica 951

11.6.2 Alcheni (o olefine)


Presentano le seguenti caratteristiche:

a. sono idrocarburi alifatici insaturi e possono essere ciclici (cicloalcheni) o a catena


(alcheni);

b. se la catena è lineare prendono il nome di n-alcheni (o alcheni normali, o


alcheni lineari);

c. hanno formula generale Cn H2n (i cicloalcheni Cn H2n−2 ), dove n è un numero


intero positivo > 1 (2, 3, 4. . . );

d. contengono uno o più doppi legami (ovvero presentano almeno un legame π) che
sono considerati i loro gruppi funzionali;

e. il nome termina con la desinenza –ene.

Nei doppi legami C=C l’ibridazione del carbonio è di tipo sp2 . Ogni carbonio pre-
senta 3 orbitali ibridi degeneri che formano 3 legami σ disposti su un piano secondo
un triangolo equilatero con angoli di 120◦ . Il rimanente orbitale p, non ibridato, di-
sposto ortogonalmente al piano permette una sovrapposizione laterale che consente la
formazione del legame π.
Il doppio legame è quindi costituito da un legame σ, generato dalla sovrapposizione
di due orbitali ibridi sp2 di due atomi di carbonio adiacenti, e dal legame π generato
dalla sovrapposizione laterale dei rispettivi orbitali p non ibridati.
Siccome NON tutti gli orbitali disponibili dopo la formazione del legame C–C ven-
gono “saturati” dall’idrogeno (l’orbitale p semipieno viene impiegato per formare il
legame π), questi composti sono definiti insaturi.

La presenza del legame π, dato dalla sovrapposizione laterale degli orbitali p non ibrida-
ti, impedisce la rotazione dei gruppi attorno al doppio legame. Se i gruppi ruotassero,
infatti, i due orbitali p non sarebbero più sovrapposti ed il legame π si romperebbe.
Il nome IUPAC deriva semplicemente da quel-

Chimica
lo dell’alcano per sostituzione della desinenza –
ano con la desinenza –ene. Essendo il doppio le-
game il gruppo funzionale degli alcheni è neces-
sario indicare la posizione occupata dal doppio
legame. Per fare ciò si numera la catena idrocar-
Figura 11.16: Isomeria cis-trans degli alche-
burica a partire dall’estremità della catena più ni.
vicina al doppio legame.

Come i cicloalcani, anche gli alcheni presentano isomeria geometrica cis/trans a


seconda della posizione occupata dai sostituenti più ingombranti rispetto al doppio
legame. Sono cis gli alcheni in cui i gruppi più ingombranti si trovano dallo stesso lato
rispetto al doppio legame, sono trans gli alcheni i cui gruppi ingombranti si trovano
sui lati opposti rispetto al doppio legame (Figura 11.16).
952 Fondamenti di chimica organica

Quando una catena idrocarburica contiene più


legami doppi si parla di dieni (di- sta per
“due”, –eni è considerato il plurale di –ene,
ovvero significa “più doppi legami”). I dieni
possono a loro volta essere classificati in base
alla posizione che occupano i doppi legami:
dieni cumulati (o alleni), se i doppi
legami sono adiacenti;
dieni isolati, se i doppi legami sono
separati da due o più legami semplici;
dieni coniugati, se i doppi legami sono Figura 11.17: Esempio di dieni cumulati,
isolati e coniugati.
separati da un solo legame semplice.

I dieni coniugati presentano il fenomeno della risonanza: gli elettroni dei legami π si
trovano delocalizzati lungo tutta la molecola il che conferisce a questo tipo di dieni
una particolare stabilità. La reale struttura di un diene coniugato è data dall’insieme
di tutte le strutture limite di risonanza che possono essere scritte per quel diene.

11.6.3 Alchini
Presentano le seguenti caratteristiche:
a. sono idrocarburi alifatici insaturi;
b. hanno formula generale Cn H2n−2 dove n è un numero intero positivo > 1 (2, 3, 4. . .);
c. contengono uno o più tripli legami (costituiti da un legame σ e due legami π) che
sono considerati i loro gruppi funzionali;
d. il nome termina con la desinenza –ino.
Nei tripli legami C≡C l’ibridazione del carbonio è di tipo sp. Ogni atomo di carbonio
Organica

presenta due orbitali degeneri sp che formano 2 legami σ disposti linearmente con un
angolo di 180◦ . I due rimanenti orbitali p, non ibridati, si sovrappongono lateralmente
per formare due legami π.

La presenza di due legami π, generati dalla sovrapposizione laterale degli orbitali p


non ibridati, impedisce la rotazione attorno al triplo legame.
Il nome IUPAC deriva semplicemente da quello dell’alcano corrispondente per sosti-
tuzione della desinenza -ano con la desinenza -ino. Essendo il triplo legame il gruppo
funzionale degli alchini, la numerazione della catena idrocarburica inizia dall’estremità
più vicina al triplo legame.

Il triplo legame è sempre costituito da un legame σ e da due legami π.


Chimica 953

Ricordiamo che la forza di legame aumenta con il numero di legami (triplo >
doppio > singolo), mentre la lunghezza di legame diminuisce proporzionalmen-
te (triplo < doppio < singolo). Siccome i legami π derivano da una sovrapposizione
laterale degli orbitali p semipieni, questi legami sono più deboli rispetto ai legami σ
che derivano dalla sovrapposizione frontale di orbitali ibridi. Per questo motivo la forza
di un legame triplo o doppio NON è esattamente il triplo ed il doppio di quella di un
legame singolo ma è di poco inferiore.
11.6.4 Proprietà chimiche e fisiche degli idrocarburi alifatici
Gli idrocarburi presentano un carattere spiccatamente idrofobico a causa del legame
C–C che è un legame covalente puro NON polare. Questi composti sono quindi tutti
insolubili in solventi polari come l’acqua ma sono ben solubili in solventi apolari come
l’etere etilico, il benzene, l’esano ed i solventi clorurati.
I legami chimici degli idrocarburi NON sono soggetti ad interazioni di tipo dipolo-
dipolo né alla formazione di legami a idrogeno. Sono permesse esclusivamente interazio-
ni di tipo Van der Waals, ovvero interazioni dipolo istantaneo-dipolo istantaneo indotto
(Forze di dispersione di London). Queste proprietà fanno sı̀ che i punti di ebollizione
degli idrocarburi siano generalmente piuttosto bassi e comunque inferiori a molecole
idrofile dello stesso peso molecolare.

La temperatura di ebollizione aumenta all’aumentare della lunghezza della catena


(aumentano le interazioni di Van der Waals) e diminuisce con la sua ramificazione
(diminuisce la superficie disponibile per le interazioni di Van der Waals) perché la
catena assume una conformazione sferica

Gli .idrocarburi alifatici sono facilmente infiammabili e presentano una densità inferiore
ad 1, perciò galleggiano sull’acqua (basti pensare alle chiazze di petrolio rilasciate in
mare dalle petroliere). Fanno eccezione i solventi clorurati (cloroformio, diclorometano,
bromoformio, ecc) che presentano una densità maggiore di quella dell’acqua.
Gli alcani (o paraffine, dal latino parum affinis “poco reattivo”) sono sostanzial-
mente inerti grazie all’elevata stabilità dei legami C–C e C–H. Le reazioni che coin-
volgono gli alcani richiedono l’impiego di catalizzatori e temperature elevate. La loro
reazione chimica per eccellenza è la combustione, che corrisponde ad un’ossidazione

Chimica
dell’idrocarburo (combustibile) a spese dell’ossigeno (comburente) per generare anidri-
de carbonica, acqua e calore. La reazione, pur essendo fortemente esotermica (produce
calore: ∆H  0) è stabile cineticamente in quanto l’energia di attivazione è piuttosto
elevata. È necessario quindi innescare la reazione impiegando ad esempio una scintilla;
la reazione, una volta innescata, procede finché tutto il combustibile (o il comburente)
viene consumato.

Essendo la reazione di combustione una reazione di tipo redox, essa può avvenire se e
solo se sono presenti contemporaneamente l’agente riducente (combustibile) e l’agente
ossidante (ossigeno).

Questo è il motivo per cui sottraendo ossigeno al sistema è possibile spegnere un fuoco.
Basti pensare ad una candela che, una volta chiusa in un recipiente di vetro, dopo aver
consumato l’ossigeno a sua disposizione si spegne, oppure all’impiego di coperte igni-
fughe per spegnere piccoli focolai. Da ciò deriva l’espressione “soffocare un incendio”,
ovvero estinguerlo togliendogli l’ossigeno.
954 Fondamenti di chimica organica

Un altro tipo di reazione caratteristica degli alcani è l’alogenazione. Le reazioni


di alogenazione richiedono elevate temperature e il risultato è la sostituzione di uno
o più atomi di idrogeno con atomi di alogeno. Un esempio tipico è la clorurazione del
metano:
CH4 + Cl2 → CH3 Cl + HCl il composto CH3 Cl è il clorometano (o cloruro di
metile).
Se il cloro è presente in eccesso la reazione può proseguire fino alla sostituzione com-
pleta degli atomi di idrogeno del metano, ottenendo cosı̀ dal clorometano il CH2 Cl2
(diclorometano o cloruro di metilene), poi il CHCl3 (triclorometano o cloroformio) e
infine il CCl4 (tetraclorometano o tetracloruro di carbonio).

L’alogenazione segue un meccanismo di reazione a catena radicalica. Per maggiori


dettagli si rimanda ad un testo specifico.

Gli alcheni, grazie alla presenza del doppio legame, sono particolarmente reattivi. I
legami di tipo π, infatti, sono più deboli rispetto ai legami σ perché derivano da una
sovrapposizione laterale di orbitali p non ibridati. Questa caratteristica fa sı̀ che gli
alcheni subiscano facilmente addizione di gruppi chimici al doppio legame. Le reazioni
di questo tipo prendono il nome di addizioni elettrofile. A seconda del reagente
addizionato si suddividono in: idrogenazioni (H2 ), alogenazioni (X2 ), idratazioni
(H2 O) e addizione di acidi alogenidrici (HX) (Figura 11.18).
Organica

Figura 11.18: Reazioni fondamentali degli alcheni.


Chimica 955

Gli alcheni sono in grado di dare reazioni di ossidazione più facilmente rispetto agli alcani,
grazie alla presenza del legame π. Questa caratteristica è sfruttata nei saggi chimici per
la rivelazione dei doppi legami. Un alchene, infatti, reagendo con un ossidante come il per-
manganato di potassio dà origine a un glicole e a biossido di manganese. Facendo reagire
un idrocarburo di saturazione incognita con il permanganato di potassio (di colore violetto),
se si ottiene un precipitato marrone scuro si è formato il biossido di manganese, pertanto
l’idrocarburo incognito doveva contenere un legame doppio. Questo tipo di reazione, quindi,
consente di discriminare tra un alcano e un alchene.

Gli alchini, grazie alla presenza del triplo legame, danno sostanzialmente le stesse
reazioni di addizione elettrofila degli alcheni.

11.7 Cenni di chimica dei polimeri


Alcheni ed alchini trovano impiego nella sintesi di polimeri. I polimeri sono macromo-
lecole ad alto peso molecolare costituite dal ripetersi di unità fondamentali chiamate
monomeri.
I polimeri, a seconda della loro struttura, sono classificati come: lineari, ramificati,
a pettine, a scaletta, a stella o reticolati.
Esistono due principali tecniche di polimerizzazione:

a. polimerizzazione a stadi (o di condensazione): la polimerizzazione proce-


de mediante la reazione tra due gruppi funzionali diversi con il rilascio di una
molecola d’acqua;

b. polimerizzazione a catena (o di addizione): la polimerizzazione implica una


serie di reazioni successive tra particelle recanti gruppi reattivi come ad esempio
anioni, cationi o radicali.

Definiamo radicale una qualsiasi specie chimica che possiede uno o più elettroni spaiati
(non accoppiati).

Chimica
Le polimerizzazioni radicaliche, tipiche di alcheni e alchini, procedono in tre stadi:
iniziazione, propagazione e terminazione.
Il processo di polimerizzazione, e la successiva lavorazione, possono portare alla
formazione di:

a. polimeri termoplastici: polimeri che possono essere rifusi e rimodellati;

b. polimeri termoindurenti: polimeri che, una volta modellati e raffreddati, in-


duriscono in modo irreversibile e NON possono più essere rifusi.

A seconda del tipo di monomeri impiegati e del metodo di polimerizzazione utilizzato, i


polimeri acquisiscono proprietà diverse che li rendono adatti a vari tipi di applicazioni.

Definiamo polimerizzazioni viventi quelle polimerizzazioni in cui la catena continua a


crescere senza stadi di terminazione fino a quando tutto il monomero è stato consumato.
956 Fondamenti di chimica organica

11.8 Idrocarburi aromatici o areni


Appartengono a questa categoria tutti quei composti che rispettano il criterio di aro-
maticità di Hückel. Sono tutti composti insaturi caratterizzati da una particolare di-
stribuzione degli elettroni π. La loro struttura è alla base di molti composti con odore
gradevole, da ciò il nome “aromatici”.
Il composto principale di questa classe è il benzene, scoperto da Michael Faraday
nel 1825. La struttura di questa molecola fu un enigma per oltre quarant’anni. I chimici
del XIX secolo osservarono che il benzene si comportava per alcuni aspetti come gli
alcheni, per altri come gli alcani, per altri ancora in modo completamente autonomo.
L’enigma fu risolto nel 1865 dal chimico tedesco Friedrich August von Stradonitz Kekulé
(1829-1896), che riuscı̀ a proporre un modello compatibile con le proprietà del benzene.
Kekulé intuı̀ che il benzene è
dotato di una struttura plana-
re e simmetrica ad anello nel-
la quale tutti i legami C–C so-
no equivalenti. Fu lo stesso Ke-
kulé a suggerire, nel 1872, che la
molecola potesse essere rappre-
sentata da una combinazione di Figura 11.19: Risonanza del benzene.dafjak afjalk afldkjalk adf
due strutture che noi oggi chia-
miamo strutture limite di risonanza (Figura 11.19). I moderni metodi sperimentali
danno ragione a Kekulé: essi infatti rivelano che la struttura del benzene è ciclica e la
lunghezza dei suoi legami C–C (139 pm) è effettivamente un intermedio tra quella di
un legame singolo (154 pm) e quella di un legame doppio (134 pm).

Si narra che Kekulé sognò un serpente che si mordeva la coda e al suo risveglio intuı̀ che
l’unica struttura possibile per il benzene fosse ciclica. Altre leggende narrano che nel sogno
egli vide sei bambini muoversi in cerchio tenendosi per mano. La natura del sogno non cambia
la straordinaria intuizione di questo scienziato che, senza conoscere l’esistenza degli elettroni
(scoperta nel 1897 da Thomson) né tantomeno la loro implicazione nella formazione dei legami
(che richiese ulteriori 40 anni di ricerche), riuscı̀ a proporre a metà Ottocento un modello per la
Organica

descrizione del benzene tuttora in uso. Come per tutti i grandi rivoluzionari, il suo modello non
fu accettato dagli scienziati dell’epoca in quanto non spiegava alcuni comportamenti anomali
del benzene. Sono stati necessari ancora molti anni per giungere ad una spiegazione esaustiva
delle proprietà di questa molecola.

Il benzene è effettivamente un composto ciclico a sei atomi di carbonio ibridati sp2 .


Gli orbitali ibridi degeneri sono disposti sullo stesso piano a formare tre legami con
angoli di 120◦ . Due degli orbitali ibridi sono impiegati per generare i legami σ con
atomi di carbonio adiacenti, il terzo orbitale è impiegato per formare un legame σ
con l’idrogeno. Restano quindi disponibili ulteriori 6 orbitali p non ibridati, uno per
ogni atomo di carbonio. Questi orbitali p creano, attraverso la loro sovrapposizione
laterale, una serie di legami π e consentono la delocalizzazione degli elettroni su tutta
la molecola.
Il benzene è un ibrido di risonanza delle sue due strutture limite; questa caratte-
ristica gli conferisce un’elevata stabilità chimica. Come il benzene sono idrocarburi
aromatici tutti quei composti ciclici che presentano anelli benzenici o strut-
Chimica 957

ture chimiche in grado di delocalizzare gli elettroni rispettando i criteri di


aromaticità di Hückel.
Tra gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), conosciuti anche come idrocarburi
aromatici polinucleari (PAH), ricordiamo: il naftalene (conosciuto anche col nome
comune di “naftalina” ed impiegato come antitarme), l’antracene, il fenantrene ed
il benzopirene (Figura 11.20). Quest’ultimo è un composto altamente cancerogeno
(genera il cancro) e mutageno (induce mutazione del DNA) generato dai gas di scarico
delle automobili e dal fumo di sigaretta. Si stima che dalla combustione degli idrocarburi
fossili vengano rilasciate nell’aria circa 3000 tonnellate di benzopirene all’anno. È bene
ricordare che il benzene è classificato tra le cinque sostanze più cancerogene in assoluto.

Figura 11.20: Esempi di composti aromatici polinucleari (PAH).

11.8.1 Proprietà chimiche e fisiche degli idrocarburi aromatici


Anche gli idrocarburi aromatici, come quelli alifatici, sono molecole apolari, idrofobi-
che, infiammabili e solubili in solventi organici apolari (etere, toluene, esano, solventi
clorurati).
Presentano punti di ebollizione e fusione piuttosto bassi che aumentano all’aumen-
tare del peso molecolare, ovvero delle dimensioni del composto. Hanno densità inferiore
a quella dell’acqua e sono generalmente liquidi ad eccezione degli idrocarburi aromatici
polinucleari che sono solidi e con tendenza a sublimare (naftalina).
Gli areni sono ricchi di elettroni e particolarmente stabili. Contrariamente agli idro-
carburi alifatici insaturi (alcheni ed alchini), i composti aromatici NON danno
reazioni di addizione elettrofila bensı̀ reazioni di sostituzione elettrofila. Il

Chimica
motivo di questo comportamento “anomalo” è dovuto al fatto che la delocalizzazione
degli elettroni π stabilizza notevolmente la struttura aromatica e di conseguenza que-
sti composti fanno di tutto per non cedere elettroni π e mantenere quindi il sestetto
aromatico integro.
Esiste un numero molto elevato di reazioni di sostituzione elettrofila aromatica
che permettono la sintesi di innumerevoli composti chimici che trovano impiego nei
settori più svariati (farmaceutico, cosmetico, alimentare, materiali, ecc.).
Tra queste reazioni ricordiamo la nitrazione e l’acilazione di Friedel-Crafts (Figura
11.21).

La tendenza dei composti aromatici a preservare il sestetto aromatico integro è talmente alta
che per rompere gli anelli è necessario utilizzare condizioni di reazione particolarmente drasti-
che che richiedono l’impiego di catalizzatori come l’ossido di vanadio (V2 O5 ) e temperature
superiori ai 300◦ C.
958 Fondamenti di chimica organica

Figura 11.21: Esempi di reazioni di sostituzione elettrofila aromatica. In alto: nitrazione del benzene con
formazione di nitrobenzene; in basso: acilazione del benzene secondo Friedel-Crafts, con formazione di un
chetone aromatico.

11.9 Nomenclatura degli idrocarburi


Come per i composti inorganici anche per quelli organici esiste una nomenclatura tra-
dizionale, o ritenuta, e una nomenclatura sistematica, regolata dalla IUPAC, Interna-
tional Union of Pure and Applied Chemistry (§ 5.3).

11.9.1 Alcani
Gli alcani lineari prendono il nome dal numero di atomi di carbonio che contengono.
Tali nomi, per i primi 10 composti, sono riportati nella tabella 11.2. Per assegnare il
nome agli alcani ramificati occorre considerare la catena principale e i sostituenti, che
sono i gruppi legati alla catena principale. Quando i sostituenti sono costituiti solo da
carbonio e idrogeno sono detti gruppi alchilici, e il loro nome si ricava dall’alcano che
ha lo stesso numero di atomi di carbonio sostituendo la desinenza –ano con la desinenza
–ile. Questi gruppi sono anche detti radicali (vedi Tabella 11.2).

Numero di Nome Formula Nome del


atomi di C molecolare radicale
Organica

1 metano CH4 metile


2 etano C2 H6 etile
3 propano C3 H8 propile
4 butano C4 H10 butile
5 pentano C5 H12 pentile
6 esano C6 H14 esile
7 eptano C7 H16 eptile
8 ottano C8 H18 ottile
9 nonano C9 H20 nonile
10 decano C10 H22 decile

Tabella 11.2: Nomi e formule molecolari dei primi 10 alcani lineari. Sono indicati anche i nomi dei rispettivi
radicali. La formula molecolare di questi ultimi si ricava dall’alcano corrispondente sottraendo un atomo di
idrogeno, pertanto il metile avrà formula molecolare CH3 , l’etile C2 H5 e cosı̀ via. La formula R–H, con R
gruppo alchilico, rappresenta un generico alcano.
Chimica 959

Le regole IUPAC per assegnare il nome ad un alcano sono le seguenti:


1. Si sceglie la catena più lunga di atomi di carbonio e la si numera a parti-
re dall’estremità che consente di assegnare i numeri di posizione più piccoli ai
sostituenti.
2. I sostituenti sono elencati in ordine alfabetico e, se sono uguali, il nome è prece-
duto dal prefisso moltiplicativo (di-, tri-, tetra-, ecc.). Tale prefisso, ad eccezione
del caso di sostituenti complessi, non viene considerato per l’ordine alfabetico.
3. A parità di lunghezza di catena ha la priorità la catena più ramificata.
4. Se ci sono due ramificazioni alle quali assegnare lo stesso numero di posizione,
sia partendo da sinistra, sia partendo da destra, la numerazione della catena
principale comincia dall’estremità più vicina al sostituente che viene per primo in
ordine alfabetico; ad esempio 2-etil-4-metilpentano anziché 2-metil-4-etilpentano.

Nel primo esempio (Figura 11.22) la catena più lunga è a 5 atomi di carbonio: si tratta
dunque di un pentano. Il sostituente si trova a metà della catena, pertanto è indifferente
numerare la catena principale da destra o da sinistra. Il sostituente, -CH3 -, è un radicale
a un atomo di carbonio, ovvero è un metile e si trova in posizione 3. Il nome del primo
composto è, quindi, 3-metilpentano.

Chimica

Figura 11.22: Esempi di nomenclatura degli alcani.

Nel secondo caso la catena più lunga è a 4 atomi di carbonio, perciò si tratta di un
butano. I sostituenti sono due e sono entrambi dei metili, situati in posizione 2. Il nome
della molecola è 2,2-dimetilbutano.
Nell’ultimo esempio la catena più lunga è a 5 atomi di carbonio: si tratta ancora una volta
di un pentano. I sostituenti sono 4, pertanto la numerazione deve partire dall’estremità
che consente di assegnare loro i numeri più piccoli. Partendo da sinistra si ottiene che i
sostituenti si trovano in posizione 2 e 3; se partissimo da destra i sostituenti si troverebbero
in posizione 3 e 4 per cui la numerazione corretta è quella indicata in figura. In posizione
2 sono presenti due gruppi metile, in posizione 3 un gruppo metile e un gruppo etile
(il quale viene prima in ordine alfabetico rispetto al metile): il nome è 3-etil-2,2,3-
trimetilpentano.
960 Fondamenti di chimica organica

Figura 11.23: Nomenclatura dei radicali del propano e del butano.

Quando il numero di atomi di carbonio è maggiore di 2 non esiste un unico radicale per
lo specifico alcano. Come esempio consideriamo il propano. La sottrazione di idrogeno può
avvenire su un carbonio terminale o sul carbonio centrale (Figura 11.23). Nel primo caso si
ottiene un propile, nel secondo un isoproprile (o 1-metiletile). Nel caso del butano si ottengono
4 radicali: butile, sec-butile, isobutile e terz -butile.
Per i radicali con un numero maggiore di atomi di carbonio, in genere, non è richiesta la
conoscenza dei nomi dei radicali.

11.9.2 Cicloalcani
I nomi dei cicloalcani si ottengono scrivendo il prefisso
ciclo- davanti al nome dell’alcano avente lo stesso numero
di atomi di carbonio di quelli facenti parte del ciclo. Le
regole per la nomenclatura dei composti e dei radicali sono
analoghe a quelle viste per gli alcani.
Figura 11.24: Esempio di no-
menclatura di un cicloalcano.

Consideriamo l’esempio in figura 11.24.


Il poligono che rappresenta il cicloalcano ha 5 lati, pertanto si tratta di un ciclopentano. Il
sostituente è un radicale visto in precedenza (Figura 11.23), l’isobutile. Poiché è presente
un solo sostituente, non è necessario numerare gli atomi del ciclo, pertanto il composto
Organica

si chiama isobutilciclopentano.

11.9.3 Idrocarburi alifatici insaturi


Le regole IUPAC per la nomenclatura di alcheni e alchini sono simili a quelle viste
in precedenza per gli alcani, ma vanno aggiunte le regole per la nomenclatura delle
insaturazioni:

1. Si sceglie la più lunga catena di atomi di carbonio contenente l’insaturazione e si


numera dall’estremità che consente di assegnare il numero di posizione più basso
al legame multiplo. Se il legame multiplo è equidistante dalle due estremità della
catena, la numerazione deve iniziare dall’estremità più vicina al primo punto di
ramificazione.

2. L’insaturazione si indica con il numero di posizione dell’atomo di carbonio con il


numero minore tra i due legati dal legame multiplo.
Chimica 961

3. Se i legami multipli sono più di uno, la numerazione deve iniziare dall’estremità


più vicina al primo legame multiplo, in modo cioè da assegnare alle insaturazioni
i numeri più piccoli. Se un doppio legame e un triplo legame sono equidistanti
dalle estremità della catena, è il doppio legame quello che prende i numeri più
bassi.
4. A parità di numero di insaturazioni e di lunghezza di catena si sceglie la catena
che presenta il maggior numero di legami doppi.
5. La nomenclatura per le ramificazioni segue le regole usuali viste in precedenza
per gli alcani.
6. Gli idrocarburi che presentano sia doppi che tripli legami prendono la desinenza
-enino.
I nomi dei primi composti delle serie degli alcheni e degli alchini sono indicati nella
tabella seguente (Tabella 11.3).

Numero di Alchene Formula Alchino Formula


atomi di C molecolare molecolare
2 etene (o etile- C2 H4 etino (o acetilene) C2 H3
ne)
3 propene (o C3 H6 propino C3 H4
propilene)
4 but-1-ene C4 H8 but-1-ino C4 H6
4 but-2-ene C4 H8 but-2-ino C4 H6

Tabella 11.3: Nomi dei primi 4 alcheni e alchini lineari. Il nome tradizionale dell’etene è etilene, mentre
il nome tradizionale dell’etino è acetilene. Si osservi che esistono due alcheni e due alchini con 4 atomi
di carbonio (la situazione si complica al crescere del numero di atomi di carbonio). Il radicale dell’etene,
l’etenile, è noto anche con il nome comune di vinile.

Nel primo esempio di figura 11.25 la catena più lunga è a 6 atomi di carbonio e presenta

Chimica
un’insaturazione. Per assegnare il numero più basso all’insaturazione si parte a numerare
dall’estremità destra; la molecola è un es-2-ene. Il sostituente si trova in posizione 5 ed
è un metile, pertanto il nome del composto è 5-metil-es-2-ene.

Nel secondo caso la catena più lunga ha 5 atomi di carbonio, ma questa non comprende
i due atomi di carbonio dell’insaturazione, pertanto si considera la catena a 4 atomi di
C: è un but-1-ene. Il sostituente è l’etile in posizione 2: 2-etil-but-1-ene.

Nell’ultimo esempio la catena più lunga ha 8 atomi di carbonio e presenta un triplo legame
in posizione 4: si tratta di un ott-4-ino. I sostituenti sono tre metili, due in posizione 2 e
uno in posizione 6: il nome è 2,2,6-trimetil-ott-4-ino.

Per i cicloalcheni e i cicloalchini si utilizzano le nozioni viste per i cicloalcani e per gli
idrocarburi insaturi.
962 Fondamenti di chimica organica

Figura 11.25: Esempi di nomenclatura degli idrocarburi alifatici insaturi.

11.9.4 Idrocarburi aromatici


Tra gli idrocarburi aromatici sono largamente accettati i nomi comuni (vedi Figura
11.26).

Figura 11.26: Idrocarburi aromatici con nome tradizionale.


Quando è presente un sostituente, la nomenclatura prevede di utilizzare come nome
base il benzene e di considerare il nome del radicale per assegnare il nome definitivo
alla molecola, come indicato in figura 11.27.
Organica

Figura 11.27: Esempi di nomenclatura degli idrocarburi aromatici.


Il radicale del benzene è detto fenile e la sua formula è, come per tutti i radicali,
ottenuta per sottrazione di un atomo di idrogeno. Per il fenile la formula molecolare
è C6 H5 -. In figura 11.27 è presente la molecola 1,2-difenilbutano, che è un butano con
due fenili come sostituenti.

11.10 Gruppi funzionali nei composti del carbonio


11.10.1 Alogenuri R–X
Sono caratterizzati dalla presenza di uno o più atomi di alogeno (indicati genericamente
con la lettera X). Possono essere alogenuri alchilici o arilici.
Chimica 963

Gli alogenuri sono molto utilizzati nelle reazioni di sintesi e alcuni di essi sono
impiegati come insetticidi, solventi, pesticidi, ecc.
La reazione caratteristica degli alogenuri è la sostituzione nucleofila (Figura
11.28).

Figura 11.28: Un esempio di sostituzione nucleofila: formazione di etanolo a partire dal bromoetano.

11.10.2 Alcooli
Il gruppo chimico che caratterizza gli alcooli (o alcoli) è il gruppo ossidrilico (–OH).
Gli alcoli (R–OH) possono essere suddivisi in tre categorie (Figura 11.29):

a. alcoli primari: il gruppo ossidrilico (OH) è legato ad un carbonio primario;

b. alcoli secondari: il gruppo ossidrilico (OH) è legato ad un carbonio secondario;

c. alcoli terziari: il gruppo ossidrilico (OH) è legato ad un carbonio terziario.

Figura 11.29: Classificazione degli alcooli.

Gli alcoli più comuni sono: l’etanolo (o alcool etilico), presente nelle bevande alcoliche
e prodotto naturalmente per fermentazione a partire dagli zuccheri della frutta (uva,
mele), ed il metanolo, tossico per ingestione (produce seri danni alla retina e al sistema
nervoso e può portare a cecità anche in piccole dosi).
Gli alcoli sono ottimi solventi grazie alle loro proprietà anfipatiche, sono cioè
miscibili sia con molecole idrofobiche come i grassi (grazie alla presenza della catena

Chimica
alchilica) sia con molecole polari come l’acqua (grazie alla presenza del gruppo OH).
Questo è il motivo per cui l’alcool è efficacemente impiegato nella pulizia delle superfici
sporche di grasso.

Gli alcoli a catena più corta sono miscibili in acqua in tutte le proporzioni, sono soggetti
alla formazione di legami a idrogeno e presentano punti di ebollizione e fusione superiori
a quelli dei rispettivi idrocarburi alifatici con ugual numero di atomi di C. All’aumentare
della lunghezza della catena alifatica si riduce la loro solubilità in acqua ed aumenta
il punto di ebollizione (tant’è che l’etanolo è un liquido, mentre alcoli con 10 o più
atomi di C sono solidi a temperatura ambiente).

La reazione caratteristica degli alcoli è l’ossidazione ad aldeidi, chetoni o acidi car-


bossilici (Figura 11.30). Tra gli agenti ossidanti ricordiamo il permanganato di potassio
(KMnO4 ), il cromato di potassio (K2 CrO7 ) e la miscela cromica (acido cromico in acido
solforico, H2 CrO7 in H2 SO4 ).
964 Fondamenti di chimica organica

Figura 11.30: Reazioni di ossidazione di alcoli primari e secondari ai corrispettivi aldeidi, chetoni ed acidi
carbossilici.

I composti del cromo (VI) sono sostanze fortemente cancerogene. L’ossidazione degli alcoli
primari con questi composti porta alla formazione di acidi carbossilici e non è possibile fermarsi
allo stato di aldeide. Se si vuole ottenere un’aldeide è necessario impiegare ossidanti meno
drastici come il PCC (Piridinio clorocromato).

Gli alcoli possono dare origine ad alcheni mediante reazioni di eliminazione. In


presenza di un acido e a temperatura di 180 ◦C, per esempio, l’etanolo dà origine ad
etilene.
Mediante reazioni di sostituzione gli alcoli possono reagire con acidi alogenidrici
(HCl, HBr, HI) per dare origine ad alogenuri alchilici (cloruri, bromuri, ioduri).
Gli alcoli con due gruppi ossidrilici sono detti dioli, quelli con tre sono detti trioli.
Se un diolo presenta due gruppi ossidrilici vicini si parla di glicole. Alcuni esempi sono
rappresentati in figura 11.31.
Organica

Figura 11.31: Due dioli e il triolo più noto, il propantriolo o glicerolo.

11.10.3 Fenoli
Gli alcoli aromatici, ovvero quei composti formati da gruppi ossidrili-
ci (–OH) legati direttamente a residui arilici (aromatici), vengono indicati
con la formula generale Ar-OH.
Per alcuni composti è ancora in voga il nome tradizionale (Figura 11.32): fenolo,
cresolo, catecolo, naftolo.
I fenoli sono in grado di formare legami a idrogeno, sono piuttosto solubili in acqua e
sono generalmente solidi. Maggiore è il numero di funzioni ossidriliche presenti (-OH),
più alto sarà il punto di fusione del composto.

I fenoli sono facilmente ossidabili e per questo motivo possono essere utilizzati come antiossi-
danti. Un antiossidante fenolico naturale utilizzato dal corpo umano è la vitamina E.
Chimica 965

Figura 11.32: Esempi di fenoli e dei loro derivati. La lettera m posta davanti alle parole cresolo e catecolo
si legge “meta”.

11.10.4 Tioli o mercaptani


Sono tioli (o mercaptani) tutti quei composti che recano un gruppo solfidrilico (-SH).
Vista la loro analogia con gli alcoli (lo zolfo appartiene allo stesso gruppo chimico del-
l’ossigeno), se sono alifatici prendono il nome di tioalcooli (R-SH), se sono aromatici
prendono il nome di tiofenoli (Ar-SH).

I tioli sono caratterizzati da un odore intenso e spesso sgradevole. Basti pensare all’odore del
liquido emesso per difesa dalle puzzole, costituito da una miscela di tioli.

11.10.5 Eteri
Sottraendo acqua a due molecole di alcool si ottengono gli eteri, caratterizzati da un
atomo di ossigeno a ponte fra due gruppi alchilici o arilici. Gli eteri possono quindi
avere tre formule generali: R–O–R, R–O–Ar e Ar–O–Ar (Figura 11.33).

Figura 11.33: Esempi di eteri alifatici, misti e aromatici.

A seconda dei gruppi che costituiscono l’etere, si possono distinguere due classi (Figura Chimica
11.34):
a. eteri simmetrici, se i gruppi sostituenti sono uguali;
b. eteri asimmetrici (o misti), se i gruppi sostituenti sono diversi.

Figura 11.34: Esempi di eteri simmetrici e asimmetrici (misti).


L’angolo di legame R–O–R è di circa 120◦ a causa della presenza delle due coppie di
elettroni di non legame dell’ossigeno. Questo tipo di legame σ è molto forte e può essere
scisso solo in condizioni piuttosto drastiche (acido solforico a caldo).
966 Fondamenti di chimica organica

Gli eteri sono accettori ma NON donatori di legami a idrogeno e di conseguenza


presentano punti di ebollizione intermedi tra quelli degli idrocarburi e quelli degli alcoli
con lo stesso numero di atomi di carbonio. Inoltre, potendo accettare legami a idrogeno
dagli alcoli, gli eteri e gli alcoli sono reciprocamente solubili. Gli eteri sono sostanze
molto volatili, incolori, altamente infiammabili, spesso impiegate come solventi.
Possono essere prodotti mediante condensazione (disidratazione) di due alcoli in
presenza di un catalizzatore acido (solitamente acido solforico), rimuovendo l’acqua
che si genera dalla reazione (Figura 11.35).

Figura 11.35: Sintesi di un etere mediante condensazione acido catalizzata di alcoli.

Le idrolisi degli eteri sono reazioni di equilibrio: sia la reazione diretta (condensazione o
disidratazione) che la reazione inversa (idrolisi) sono catalizzate dalla presenza di acidi
come l’acido solforico (Figura 11.36). Tuttavia, grazie al principio di Le Châtelier,
rimuovendo l’acqua (uno dei prodotti della reazione di condensazione) è possibile
spingere la reazione verso la formazione di prodotti ed ottenere l’etere desiderato con
rese apprezzabili.

Figura 11.36: Idrolisi acido-catalizzata di un etere.

Il metodo più diffuso per la produzione di eteri asimmetrici è la sintesi di Williamson (Fi-
gura 11.37), che consiste nella reazione tra un alcossido metallico (che deriva da un alcol) e
un alogenuro alchilico. Si rimanda ad un testo specifico per una descrizione più dettagliata.

Figura 11.37: Sintesi di Williamson degli eteri.


Organica

Gli alcoli e gli eteri sono il classico esempio di isomeria di gruppo funzionale, sono
infatti possibili composti con la stessa formula bruta ma con diverso gruppo funzio-
nale. È evidente che questo tipo di isomeri, recando gruppi funzionali diversi, hanno
caratteristiche chimico-fisiche estremamente diverse e sono quindi facilmente separa-
bili. Alcool ed etere possono essere separati per semplice distillazione sfruttando le loro
differenze nei punti di ebollizione.

L’etere dietilico, ottimo solvente per le sostanze grasse, è stato in passato impiegato in chirurgia
come anestetico.
Chimica 967

Gli epossidi sono eteri ciclici (Figura 11.38) il


più importante dei quali è l’ossido di etilene o epos-
sietano, utilizzato come punto di partenza per la
sintesi di altri composti, ad esempio il glicole eti-
lenico. Gli epossidi, infatti, reagendo con acqua in Figura 11.38: Eteri ciclici.
ambiente acido possono dare origine a glicoli.
Esistono eteri ciclici con anelli più grandi di quelli degli epossidi. Un esempio è
rappresentato dal tetraidrofurano (THF).

11.10.6 Aldeidi e chetoni


La presenza del gruppo carbonilico (C=O) caratterizza
due diverse classi di composti: le aldeidi e i chetoni.
Se il gruppo è localizzato all’estremità di una catena car-
bonilica siamo in presenza di un’aldeide, se è localizzato nel
mezzo della catena siamo in presenza di un chetone.
Il gruppo carbonilico è costituito da un carbonio ibridato
sp2 , presenta quindi una geometria triangolare planare con
angoli di 120◦ . La forte differenza di elettronegatività tra il
carbonio e l’ossigeno rende il gruppo carbonilico fortemente
polarizzato e di conseguenza soggetto ad interazioni dipolo- Figura 11.39: Momento di
dipolo del carbonile.
dipolo (Figura 11.39).
Come gli eteri anche i carbonili sono accettori, ma NON donatori, di legami a idroge-
no; sono di conseguenza piuttosto solubili in acqua e presentano punti di ebollizione
intermedi tra quelli degli eteri e quelli degli alcoli con numero uguale di atomi di
carbonio.
La loro reazione tipica prende il nome di addizione nucleofila. Il carbonio car-
bonilico presenta una parziale carica positiva (δ + ) ed è quindi soggetto all’attacco
nucleofilo da parte delle basi di Lewis che sono dotate di doppietti elettronici li-
beri.
L’addizione di idrogeno ad aldeidi e chetoni (reazione di riduzione) porta alla forma-
zione dei rispettivi alcoli (Figura 11.40). Questa reazione viene condotta con idrogeno

Chimica
(H2 ) in presenza di un catalizzatore metallico depositato su carbonio (Pt, Pd o Ni su
C). Alternativamente può essere condotta attraverso l’impiego di agenti riducenti che
sono fonti di ioni idruro H− quali: sodio boroidruro (NaBH4 ) e litio alluminio idruro
(LiAlH4 ).
L’ossidazione delle aldeidi ad acidi carbossilici può essere condotta impiegando per-
manganato di potassio (KMnO4 ), cromato di potassio (K2 CrO7 ) o miscela cromica
(acido cromico in acido solforico, H2 CrO7 in H2 SO4 ).

L’ossidazione dei chetoni è una reazione estremamente difficile, viene effettuata impiegando
perossiacidi e porta alla formazione di esteri.

L’aldeide più nota è il metanale (conosciuta anche con il nome di aldeide formica o
formaldeide). Nonostante le sue caratteristiche tossiche e cancerogeniche è impiegata
come soluzione acquosa al 37% (formalina), per disinfettare, sterilizzare e conservare
968 Fondamenti di chimica organica

Figura 11.40: Reazioni di riduzione di aldeidi e chetoni ai corrispettivi alcoli.

campioni biologici. La formaldeide, a livello industriale, si prepara per ossidazione del


metanolo.
Il chetone più conosciuto è anche il più semplice ed è il propanone (o acetone):
volatile, infiammabile e dalle ottime proprietà solventi. Molte sostanze aromatiche e
moltissimi farmaci presentano funzioni aldeidiche o chetoniche.
Tra i chetoni più complessi troviamo i chinoni, dichetoni coniugati ciclici. Uno dei
chinoni più importanti dal punto di vista biologico è la vitamina K.

11.10.7 Acidi carbossilici

Il gruppo che caratterizza gli acidi carbossilici, il gruppo carbossilico


(-COOH), è costituito da un atomo di carbonio legato rispettivamente:
ad un atomo di ossigeno mediante un doppio legame e ad un gruppo
ossidrilico (-OH) mediante un legame singolo.
Il carbonio carbossilico è sempre ibridato sp2 come quello carbonilico, tuttavia la
presenza di due atomi di ossigeno tende a polarizzare ulteriormente il legame O–H del
gruppo ossidrilico. Questa condizione favorisce il rilascio dell’idrogeno come H+ e fa
sı̀ che questi composti presentino carattere acido. La carica negativa che rimane sullo
Organica

ione –COO− viene stabilizzata mediante la delocalizzazione su entrambi gli atomi di


ossigeno: si tratta di fatto di un ibrido di risonanza.
Quando è presente un solo gruppo carbossilico si parla di acidi monocarbossilici, se
sono presenti due o tre gruppi carbossilici si parla di acidi di- o tricarbossilici.
Il carbonio del gruppo carbossilico presenta un n.o. molto elevato (+3) ed è quindi lo
stato di massima ossidazione raggiungibile da questo elemento nelle molecole organiche
(ad eccezione della CO2 dove il n.o. è +4).
Gli acidi carbossilici sono molecole fortemente polari e possono formare legami a
idrogeno. Sono caratterizzati da punti di ebollizione e fusione piuttosto alti, superiori
a quelli degli alcoli corrispondenti. Gli acidi carbossilici a catena corta (fino a 4 atomi
di C) sono completamente solubili in acqua; all’aumentare della lunghezza della catena
la solubilità diminuisce.
In soluzione acquosa gli acidi carbossilici rilasciano ioni H+ creando un equilibrio
tra la forma dissociata dell’acido e quella indissociata. Sono quindi acidi deboli carat-
terizzati da un Ka di circa 10−4 -10−5 . La presenza nel composto di ulteriori gruppi
Chimica 969

elettron-attrattori, come ad esempio gli alogeni, contribuisce all’aumento della forza


acida degli acidi carbossilici.
Questi composti sono prodotti mediante l’ossidazione di alcoli o aldeidi; trattando
l’acido con forti agenti riducenti (LiAlH4 ) si ottiene invece l’alcool primario corrispon-
dente.

Tra gli acidi organici più noti ricordiamo:


l’acido formico (acido metanoico): è stato da prima identificato in alcune formi-
che e piante. Ha proprietà antisettiche ed è impiegato in tintoria nel fissaggio dei co-
lori;
l’acido acetico (acido etanoico): prodotto mediante la fermentazione dello zucchero
ad etanolo e successiva ossidazione ad acetaldeide e ad acido acetico. L’acido aceti-
co conferisce il sapore “acido” all’aceto da cucina e trova ampio impiego nelle sintesi
organiche industriali;
l’acido ascorbico (vitamina C): vitamina fondamentale per l’uomo, si trova in molti
agrumi. Il suo nome tradizionale deriva dalla capacità di prevenire lo scorbuto, malattia
che danneggia cartilagini e tessuti connettivi.
Gli acidi carbossilici a catena lunga prendono il nome di acidi grassi e sono i costituenti
fondamentali dei trigliceridi. Gli acidi grassi possono essere saturi o insaturi: quelli saturi
sono presenti principalmente in grassi di origine animale; quelli insaturi sono presenti pre-
valentemente nei grassi di origine vegetale (oli) e sono particolarmente salutari (aiutano a
prevenire l’aterosclerosi e rafforzano il sistema immunitario). La presenza di insaturazioni nel-
la catena carboniosa irrigidisce i trigliceridi rendendoli in grado di scorrere gli uni sugli altri,
di conseguenza sono liquidi a temperatura ambiente; ecco perché l’olio d’oliva (ricco in acidi
grassi insaturi) è liquido mentre il burro (ricco in acidi grassi saturi) è un solido. Siccome la
presenza di insaturazioni (doppi legami) favorisce i fenomeni di ossidazione (irrancidimento
degli oli) l’industria alimentare riduce questi doppi legami mediante l’impiego di idrogeno e
catalizzatori metallici, trasformando di fatto i grassi vegetali in grassi animali. Grassi di questo
tipo, conosciuti come grassi vegetali idrogenati, perdono gran parte delle proprietà tipiche
degli oli.

Gli acidi carbossilici, come gli acidi inorganici, reagendo con basi forti danno origine

Chimica
a sali. L’acido acetico, ad esempio, reagendo con idrossido di sodio dà origine ad acetato
di sodio (Figura 11.41). I sali di alcuni acidi carbossilici sono utilizzati come detersivi
e saponi.

Figura 11.41: Formazione di un sale a partire da un acido carbossilico e una base forte. In questo caso la
reazione è tra acido acetico e idrossido di sodio con formazione di acetato di sodio e acqua.

La condensazione tra due acidi carbossilici porta alla formazione di anidridi. La reazione è
reversibile: idrolizzando l’anidride si ottengono gli acidi carbossilici di partenza (Figura 11.42).
970 Fondamenti di chimica organica

Figura 11.42: Condensazione di acidi carbossilici ad anidridi.

Tra i derivati degli acidi carbossilici ricordiamo anche gli alogenuri


acilici, tra i quali i più utilizzati sono i cloruri acilici (Figura 11.43).
Figura 11.43:
Cloruri acilici.
11.10.8 Esteri

Sono composti derivati dalla reazione di condensazione tra un acido


carbossilico ed un alcool per liberazione di una molecola d’acqua. Il processo di sintesi
industriale prende il nome di esterificazione di Fischer ed è comunemente condotto
in presenza di un catalizzatore acido. In base al principio di Le Châtelier rimuovendo
l’acqua che si genera dalla condensazione (prodotto di reazione) la reazione si sposta
verso destra ed è quindi possibile ottenere esteri con una buona resa sintetica.

Figura 11.44: Sintesi dei trigliceridi mediante condensazione di glicerolo ed acidi grassi.

L’esterificazione tra il glicerolo e gli acidi grassi costituisce i triglice-


Organica

ridi (Figura 11.44). Il processo inverso, ovvero l’idrolisi di un triglice-


ride in presenza di soda caustica, prende il nome di saponificazione
(Figura 11.45) ed è alla base della produzione dei saponi.

Figura 11.45: Reazione di idrolisi basica di trigliceridi (saponificazione).


Chimica 971

Molti esteri sono responsabili dell’odore e del sapore di fiori e frutti, ad esempio l’acetato
di pentile è presente nelle banane. Gli esteri ciclici sono detti lattoni; tra questi ricordiamo
l’eritromicina, un antibiotico.

Gli esteri possono essere trasformati in ammidi (§ 11.10.10) mediante reazione con
l’ammoniaca: si forma un’ammide e un alcool e la reazione è detta ammonolisi.
La reazione tra polioli (molecole recanti due o più funzioni alcoliche) e acidi policar-
bossilici (composti recanti due o più funzioni carbossiliche) porta alla formazione di
poliesteri mediante polimerizzazione di condensazione.

11.10.9 Ammine

Le ammine sono caratterizzate dalla presenza del gruppo amminico


(-NH2 ). Sono considerate come derivate dall’ammoniaca (NH3 ) per
sostituzione di 1, 2 o 3 atomi di idrogeno con gruppi alifatici (-R) o
aromatici (-Ar).
Le ammine sono classificate in base al numero di gruppi alchilici o arilici presenti
(Figura 11.46):
a. ammine primarie (RNH2 ): presentano un solo gruppo alchilico;
b. ammine secondarie (R2 NH): presentano due gruppi alchilici;
c. ammine terziarie (R3 N): presentano tre gruppi alchilici.
Esistono poi i sali di ammonio quaternari (RN+ 4 ), impiegati come disinfettanti nei
collutori e nei prodotti per la pulizia della casa.
Le ammine aromatiche possono
dare origine, per reazione con
acidi, a sali di diazonio, com-
posti molto utili nella sintesi
di molte sostanze organiche. I
sali di diazonio hanno formula

Chimica
generale Ar-N+ −
2X .
Grazie alla presenza del
doppietto elettronico solitario
presente sull’azoto, le ammine
sono basi di Lewis.
Sono molecole polari in gra- Figura 11.46: Classificazione delle ammine.
do di formare legami a idrogeno (ad esclusione delle ammine terziarie) e sono quindi
generalmente ben solubili in acqua. Essendo l’azoto meno elettronegativo dell’ossigeno,
il legame N-H è meno polarizzato rispetto al legame O-H (degli alcoli) e le ammine
di conseguenza hanno punti di ebollizione più bassi rispetto agli alcoli di pari peso
molecolare, ma superiori a quelli degli eteri.
Le ammine presentano molteplici proprietà: sono alla base della sintesi di molti
farmaci, coloranti, smalti e vernici. Alcune ammine sono neurostimolanti, altre sono
tossiche, altre ancora sono cancerogene.
972 Fondamenti di chimica organica

Tra le ammine ricordiamo:


la coniina, sostanza tossica presente nella “cicuta” (impiegata da Socrate per suicidarsi):
provoca difficoltà respiratorie, paralisi ed infine la morte;
la cocaina, ottenuta dalle foglie della pianta di coca: ha forti effetti neurostimolanti e
provoca danni al sistema nervoso centrale;
la nicotina, presente nel tabacco: a basse dosi è neurostimolante ed in soluzioni acquose
è impiegata come pesticida.

11.10.10 Ammidi

Sono composti che derivano “formalmente” dalla reazione tra un acido


carbossilico (-COOH) e un’ammina (R-NH2 ).
Sono prodotte per condensazione tra un acido (o un suo derivato
come un estere, un’anidride o un alogenuro acilico) e un’ammina (pri-
maria o secondaria). La reazione è reversibile è l’ammide può quindi
subire idrolisi acida o basica e produrre i composti di partenza (Figura
11.47).

Figura 11.47: Sintesi di un’ammide alifatica ottenuta dalla reazione tra un’ammina primaria e un
alogenuro acilico.

Il legame ammidico è molto forte perché


presenta un parziale carattere di doppio
Organica

legame (Figura 11.48). Questo fenome-


no è dovuto alla capacità dell’azoto am-
midico di retrodonare il doppietto elet-
tronico al carbonio carbonilico e formare
un legame π. Questa proprietà rende le
ammidi molto più stabili degli esteri cor-
rispondenti. Per lo stesso motivo anche i
polimeri ottenuti dalle ammidi (poliam- Figura 11.48: Natura di doppio legame delle ammidi.
midi) sono più resistenti dei corrispettivi
poliesteri.

Le ammidi cicliche prendono il nome di lattami e sono alla base di tutte le penicilline; per
questo motivo le penicilline sono dette anche antibiotici β-lattamici. I legami ammidici presenti
nelle proteine prendono il nome di legami peptidici.
Chimica 973

11.11 Cenni di Nomenclatura per classi funzionali


La IUPAC ha dettato le regole per l’assegnazione dei nomi ai composti che fanno
parte di ciascuna classe funzionale. Ogni gruppo funzionale, a parte qualche eccezione
come gli alogenuri (che sono sempre dipendenti, mai prioritari), è caratterizzato da
un suffisso o desinenza, come già visto per gli idrocarburi (-ano per gli alcani, -ene
per gli alcheni, -ino per gli alchini). Tale suffisso è utilizzato quando la molecola è
costituita da un solo gruppo funzionale, come vedremo nel corso del paragrafo. Ciascun
gruppo funzionale, a parte qualche eccezione, è poi caratterizzato anche da un prefisso.
Quest’ultimo entra in gioco per quei composti costituiti da più gruppi funzionali e in
questi casi è importante determinare una priorità tra i gruppi funzionali: si utilizza il
suffisso per il gruppo priore, mentre per gli altri gruppi, che fungono da sostituenti, si
utilizza il prefisso. Questo concetto sarà illustrato al termine della sezione dedicata alla
nomenclatura.
Le regole di nomenclatura sistematica (IUPAC) sono indicate di seguito.

1. Si identifica il gruppo funzionale o i gruppi funzionali

2. Se sono presenti più gruppi funzionali diversi si deve identificare il gruppo priore

3. La catena è numerata assegnando al gruppo funzionale priore il numero più basso


possibile

4. Se sono presenti più gruppi funzionali diversi, il suffisso deve corrispondere alla
funzione priore. Gli altri gruppi funzionali devono essere considerati come sosti-
tuenti (utilizzando il prefisso caratteristico) e dovranno essere indicati con un
numero di posizione seguendo le regole viste in precedenza per gli idrocarburi (§
11.9)

5. Quando sono presenti più funzioni priori dello stesso tipo, si sceglie la catena
contenente il maggior numero di funzioni priori. La prima funzione priore deve
avere il numero più piccolo possibile e deve essere indicata la molteplicità delle

Chimica
funzioni con il prefisso numerico.

Accanto alla nomenclatura sistematica (IUPAC) è utilizzata a volte la nomenclatura radical-


funzione. Il nome del composto si ottiene dal nome della classe funzionale cui la funzione
priore appartiene, seguito o preceduto dal nome dei sostituenti presenti. Semplificando, si può
affermare che si considera radicale tutto ciò che è attaccato al gruppo funzionale priore.

11.11.1 Alogenuri
La nomenclatura IUPAC per gli alogenuri (Figura 11.49) prevede l’utilizzo del prefisso
alogeno- (ovvero cloro-, oppure bromo-, oppure fluoro-, oppure iodo-). Non è presente
suffisso poiché la funzione “alogeno” è considerata sempre dipendente.
Per la nomenclatura radical-funzione si parla di “alogenuri di alchile”, ad esempio:
cloruro di metile, fluoruro di sec-butile, bromuro di propile.
974 Fondamenti di chimica organica

Figura 11.49: Nomenclatura degli alogenuri. Tra parentesi la nomenclatura radical-funzione. Si osservi
che nel caso del bromuro, la numerazione per la nomenclatura radical-funzione parte dal carbonio legato
all’alogeno.

11.11.2 Alcoli, tioli e fenoli

La nomenclatura IUPAC degli alcoli si ottiene sostituendo la “o” finale dell’alcano


corrispondente con il suffisso -olo, indicando il numero del carbonio sul quale è presente
la funzione alcolica. La numerazione della catena idrocarburica è data in modo che la
funzione alcolica rechi il numero più basso possibile (Figura 11.50).
Quando la funzione alcolica è in presenza di gruppi a priorità maggiore, anziché il
suffisso olo si usa il prefisso idrossi-.
Nella nomenclatura radical-funzione si parla di “alcoli alchilici”, ad esempio: alcol
metilico, alcol etilico, alcol isopropilico.

Figura 11.50: Nomenclatura degli alcoli. Tra parentesi la nomenclatura radical-funzione. Attenzione:
alcuni testi potrebbero riportare alcuni nomi scritti in modo diverso per quanto riguarda la numerazione
della funzione alcolica, ovvero 1-propanolo anziché propan-1-olo e cosı̀ via.
Organica

I nomi dei fenoli in genere si fanno derivare da quello del fenolo, come ad esempio
il clorofenolo o il 2,4-dibromofenolo. Il prefisso dei fenoli, come per gli alcoli, è idrossi-.
Per la nomenclatura dei tioli valgono le regole viste per gli alcoli, con le seguenti dif-
ferenze: il suffisso è tiolo e il prefisso è mercapto-. Il tiolo più semplice è il metantiolo
(CH3 SH).

11.11.3 Eteri ed epossidi

Gli eteri hanno solo prefisso (alchilossi- o arilossi-) e non hanno suffisso perché non
sono mai priori.
Va sottolineato che per gli eteri è molto utilizzata la nomenclatura radical-funzione:
si assegnano dapprima i nomi ai due gruppi alchilici o arilici, che vanno messi in ordine
alfabetico, e a questi si fa seguire la parola etere.
Chimica 975

Assegniamo il nome al composto CH3 OCH2 CH3 . La catena base è quella con più atomi di
carbonio: a sinistra dell’ossigeno c’è un atomo di carbonio, a destra due, pertanto la catena
base è quella dell’etano. Dalla parte opposta si trova il sostituente, che ha il prefisso tipico
dell’etere. In questo caso il radicale è un metile, ma per i primi 4 radicali (metile, etile,
propile, butile) negli eteri si usano i seguenti termini: metossi, etossi, propossi e butossi,
anziché metilossi, etilossi, propilossi e butilossi. Si evince che il composto CH3 OCH2 CH3
si chiama metossietano.
Utilizzando la nomenclatura radical-funzione si elencano i due gruppi alchilici in ordine
alfabetico, perciò il nome del composto è etil metil etere.

Anche gli epossidi, essendo eteri ciclici, per la nomenclatura IUPAC possiedono solo
il prefisso, che è epossi-.

11.11.4 Aldeidi e chetoni


La nomenclatura IUPAC prevede la sostituzione della “o” terminale dell’alcano corri-
spondente con la desinenza ale per le aldeidi e one per i chetoni. Nel caso di aldeidi
sostituite, la numerazione della catena va fatta a partire dal carbonio aldeidico. Nel
caso dei chetoni è necessario specificare la posizione del gruppo carbonilico numerando
la catena idrocarburica in modo che il carbonio carbonilico presenti il numero più basso
possibile (Figura 11.51).

Chimica
Figura 11.51: Nomenclatura delle aldeidi e dei chetoni. Tra parentesi il nome tradizionale.
Il nome tradizionale delle aldeidi è usato molto frequentemente e fa riferimento al nome
dell’acido carbossilico corrispondente. Nella nomenclatura comune, ai chetoni si dà il
nome aggiungendo la parola chetone ai nomi dei gruppi legati al carbonio carbonilico.
Non esiste una nomenclatura radical-funzione per le aldeidi, mentre i chetoni, come gli
eteri, sono considerati degli alchilchetoni.
Nel caso in cui l’aldeide (o il chetone) non sia il gruppo funzionale a priorità
maggiore, si usa il prefisso formile-, per le aldeidi, e oxo- per i chetoni.

Figura 11.52: Esercizio di nomenclatura.


976 Fondamenti di chimica organica

Con le informazioni a disposizione fino a questo punto, sapendo che le aldeidi e i chetoni
sono prioritari rispetto ad alcoli, tioli, eteri e idrocarburi, si assegni il nome alle molecole
indicate in figura 11.52.
Iniziamo dalla molecola a). I gruppi funzionali presenti sono: OH, SH, il doppio legame
e il carbonile aldeidico. Quest’ultimo è priore pertanto la molecola è un’aldeide. Nume-
randola a partire dal carbonio aldeidico si osserva che sono presenti 5 atomi di carbonio,
con un doppio legame in posizione 2: si tratta di una 2-pentenale (o, meglio ancora,
pent-2-enale). I gruppi OH e SH fungono da sostituenti, si usa dunque il loro prefis-
so, rispettivamente idrossi e mercapto; il nome della molecola è 5-idrossi-4-mercapto
pent-2-enale (oppure 5-idrossi-4-mercapto-2-pentenale).

Figura 11.53: Esercizio di nomenclatura.

La molecola b) è un chetone, ma sono presenti tre gruppi chetonici, per cui si tratta di
un trione. Numerando la catena in modo da assegnare ai carbonili i numeri più bassi, si
ha un 2,3,6-trione; la catena ha 8 atomi di carbonio, come indicato in figura 11.53.
Il sostituente in posizione 1 è un etere, per cui la molecola ha nome: 1-metossi ottan-
2,3,6-trione.

11.11.5 Acidi carbossilici


Il nome IUPAC è assegnato anteponendo la dicitura “acido” al nome ottenuto dall’i-
drocarburo corrispondente per aggiunta del suffisso -ico. Nei casi in cui siano presenti
dei sostituenti, la nomenclatura IUPAC prevede di numerare la catena a partire dal
carbonio carbossilico. Quando il gruppo carbossilico è dipendente, ovvero in presenza
Organica

di un gruppo a priorità maggiore, prende il prefisso carbossi-. Per gli acidi non esiste
una nomenclatura radical-funzione ma è molto diffusa la nomenclatura tradizionale.

Se l’acido è dicarbossilico si usa il suffisso -dioico.

I nomi IUPAC e comuni dei primi componenti della serie degli acidi monocarbossilici
sono indicati in tabella 11.4. Altri esempi di nomenclatura di acidi monocarbossilici
sono rappresentati in figura 11.54.
Alcuni esempi di acidi bicarbossilici sono elencati in tabella 11.5.
Il nome dei sali deriva da quello dei corrispondenti acidi per sostituzione della
desinenza -ico con -ato, seguito dal nome del metallo e con l’eliminazione della parola
“acido”. I sali non sono mai dipendenti e non hanno prefisso.
Ad esempio, dall’acido propanoico (propionico) deriva il propanoato (propionato),
mentre i sali dall’acido etanoico (acetico) sono gli etanoati (acetati) e cosı̀ via.
Chimica 977

Numero di Formula Nome Nome


atomi di C IUPAC comune
1 HCOOH acido metanoico acido formico
2 CH3 COOH acido etanoico acido acetico
3 CH3 CH2 COOH acido propanoico acido propionico
4 CH3 (CH2 )2 COOH acido butanoico acido butirrico
5 CH3 (CH2 )3 COOH acido pentanoico acido valerico
6 CH3 (CH2 )4 COOH acido esanoico acido caproico
7 CH3 (CH2 )5 COOH acido eptanoico acido enantico
8 CH3 (CH2 )6 COOH acido ottanoico acido caprilico
9 CH3 (CH2 )7 COOH acido nonanoico acido pelargonico
10 CH3 (CH2 )8 COOH acido decanoico acido caprinico

Tabella 11.4: Nomi IUPAC e nomi comuni di alcuni acidi monocarbossilici saturi.

Figura 11.54: Nomenclatura di alcuni acidi monocarbossilici; tra parentesi la nomenclatura comune.

Formula Nome IUPAC Nome comune


HOOC COOH acido etandioico acido ossalico
HOOC CH2 COOH acido propandioico acido malonico
HOOC (CH2 )2 COOH acido butandioico acido succinico
HOOC (CH2 )3 COOH acido pentandioico acido glutarico

Chimica
HOOC (CH2 )4 COOH acido esandioico acido adipico
HOOC CH=CH COOH acido butendioico acido maleico
C6 H4 (COOH)2 acido acido ftalico
1,2-benzendicarbossilico

Tabella 11.5: Nomi IUPAC e nomi comuni di alcuni acidi bicarbossilici. L’acido ftalico presenta un anello
aromatico.

Figura 11.55: Esercizio di nomenclatura.


978 Fondamenti di chimica organica

Si assegni il nome alla seguente molecola organica: COOH-CH=CH-CH2 -CHOCH3 -CH2 -


COOH. La molecola è indicata in figura 11.55.
Si osserva che la molecola è un acido dicarbossilico con un doppio legame C=C e con
un etere come sostituente. La numerazione si effettua in modo da assegnare al doppio
legame il numero più basso. In questo modo il sostituente si trova in posizione 5 ed è un
5-metossi. La catena principale è a 7 atomi di carbonio ed è presente un’insaturazione:
possiamo allora concludere che la molecola è un acido 5-metossi ept-2-endioico.

11.11.6 Esteri
Il nome IUPAC si ricava sostituendo il suffisso -ico dell’acido con -ato, e ad esso si
fa seguire la dicitura “di. . . ” e il nome dell’alcool (ad esempio acetato di etile). Non
esiste una nomenclatura radical-funzione.

Se il gruppo funzionale è dipendente sono possibili due prefissi: acilossi- o alchilossicarbonil-


, a seconda del punto di attacco.

Ad esempio, l’estere ottenuto dall’acido benzoico e dall’alcol etilico si chiama ben-


zoato di etile, mentre quello ottenuto dall’acido butanoico e dall’alcol isopropilico si
chiama butirrato di isoproprile.
Alcuni esempi di esteri sono rappresentati in figura 11.56.

Figura 11.56: Esempi di esteri. Tra parentesi il nome tradizionale.

11.11.7 Ammine
La nomenclatura IUPAC delle ammine si ottiene sostituendo la “o” finale dell’alcano
Organica

corrispondente con il suffisso -ammina. La numerazione della catena idrocarburica è


data in modo che la funzione amminica rechi il numero più basso possibile (Figura
11.57).
Se sono presenti altri gruppi funzionali, il gruppo amminico è considerato un sosti-
tuente e si utilizza il prefisso ammino-, come nel caso dell’acido 2-amminobutirrico:
COOH-CHNH2 -CH2 CH3 .

11.11.8 Ammidi
La nomenclatura IUPAC si ottiene per sostituzione dell’ultima lettera corrispondente al
nome dell’idrocarburo con la dicitura -ammide. Alternativamente si ricava sostituendo
la desinenza -oico dell’acido con la desinenza -ammide. Ad esempio, l’ammide derivata
dall’acido acetico è l’acetammide (CH3 CONH2 ). Se la funzione è dipendente prende il
nome “amido”.
Chimica 979

Figura 11.57: Esempi di ammine. Nel caso di ammine secondarie e terziarie si indicano i sostituenti dopo
il prefisso N-.

Vediamo come esempio il caso seguente in cui il gruppo priore è l’acido carbossilico e
l’ammide funge da sostituente (Figura 11.58).
La catena principale ha 4 atomi di carbonio: si tratta di un acido butirrico. In posizione 2
è presente un’ammide a 2 atomi di carbonio, cioè derivata dall’acido acetico. La molecola
ha nome: acido 2-acetammido butirrico.

Figura 11.58: Nomenclatura del gruppo ammidico nel caso in cui non è gruppo funzionale prioritario.

Concludiamo la trattazione delle varie classi funzionali indicando l’ordine di priorità

Chimica
dei gruppi funzionali analizzati:

1. sali

2. acidi carbossilici

3. esteri e ammidi

4. aldeidi

5. chetoni

6. alcoli e tioli

7. ammine

8. eteri
980 Fondamenti di chimica organica

Figura 11.59: Esercizio di riepigolo.

Analizziamo un caso più complesso di nomenclatura (Figura 11.59 a).


I gruppi funzionali presenti sono: acido carbossilico, estere, aldeide e tiolo. Analizzando
i livelli di priorità possiamo concludere che la molecola è un acido e gli altri gruppi
funzionali sono considerati come sostituenti, si utilizzerà quindi il loro prefisso.
La catena più lunga contenente il gruppo carbossilico dell’acido, cui si attribuisce numero
1, ha 6 atomi di carbonio ed è presente un’insaturazione in posizione 2: è un acido
es-2-enoico (Figura 11.59 b).
Elenchiamo i sostituenti:
in posizione 3 un estere a due atomi di carbonio: acetossi-;
in posizione 5 un’aldeide a un atomo di carbonio: formil-;
in posizione 6 il gruppo solfidrilico: mercapto-.
Indicando i sostituenti in ordine alfabetico, la molecola ha nome: acido 3-acetossi-5-
formil-6-mercapto es-2-enoico.

11.12 Quesiti
Organica

1) Nel petrolio sono presenti soprattutto: D nel composto è presente un gruppo


ossidrilico
A idrocarburi paraffinici
E nel composto è presente un gruppo
B composti policiclici aldeidico
C composti aromatici 3) Una molecola è chirale se:
D alcoli A in essa sono presenti uno o più cen-
E alchini tri stereogenici e sono assenti piani di
simmetria
2) La desinenza –ene nella nomenclatura B in essa sono presenti piani di simmetria
dei composti organici indica che:
C in essa non sono presenti centri stereo-
A nel composto è presente un triplo genici
legame D per semplice rotazione attorno a dei le-
B nel composto è presente un doppio gami semplici si trasforma in un com-
legame posto che è la sua immagine speculare
C nel composto sono presenti solo legami E in essa sono presenti uno o più centri
semplici stereo genici
Chimica 981

4) Il cicloesano: D un’idratazione

A è una molecola planare E una disidratazione

B è una molecola non planare perché i 8) Qual è il nome IUPAC del


carboni sono ibridizzati sp2 composto organico con formula
C è una molecola non planare perché i CH2 BrCHClCH(OH)CH(OCH3 )(CH2 )2 CH3 ?
carboni sono ibridizzati sp3
A 1-bromo-2-cloro-3-idrossi-4-metossi-
D è un alchene ottano
E è un alchino B 7-bromo-6-cloro-4-metil-eptan-3-olo

5) Un alcol secondario: C 7-bromo-6-cloro-4-metossi-eptan-5-olo

A contiene un gruppo –OH legato al D 1-bromo-2-cloro-4-metossi-eptan-3-olo


carbonio in posizione 2 nella catena E 1-bromo-2-cloro-4-metil-ottan-3-olo
B contiene 2 gruppi –OH
9) L’ossidazione di un alcol primario può
C contiene un gruppo –OH legato ad un portare alla formazione:
carbonio secondario
D contiene 2 gruppi –OH legati allo stesso A solo di un chetone
carbonio
B solo di un alcano
E contiene 2 gruppi –OH legati a carboni
adiacenti C solo di un aldeide
D solo di un acido carbossilico
6) All’aumentare delle dimensioni moleco-
lari di un alcano, quindi all’aumentare E di un’aldeide e di un acido carbossilico
della massa, il punto di ebollizione:
10) Un isomero è detto trans quando:
A diminuisce perché le molecole interagi-
scono meno tra loro A due sostituenti, sui due carboni lega-
B diminuisce perché le molecole interagi- ti tra loro attraverso legame semplice,
scono maggiormente tra loro sono dallo stesso lato
C aumenta perché le molecole interagisco- B due sostituenti, sui due carboni legati
no maggiormente tra loro tra loro attraverso legame triplo, sono
dallo stesso lato
D aumenta perché le molecole interagisco-
no meno tra loro C due sostituenti, sui due carboni legati
tra loro attraverso legame doppio, sono
E non cambia
su lati opposti

Chimica
7) Facendo reagire un trigliceride in D due sostituenti, sui due carboni legati
NaOH, si ha: tra loro attraverso legame doppio, sono
dallo stesso lato
A una saponificazione
E due sostituenti, sui due carboni lega-
B un’esterificazione ti tra loro attraverso legame semplice,
C una neutralizzazione sono su lati opposti

11.13 Soluzioni commentate ai quesiti


1) A . Il petrolio grezzo contiene prevalentemente una miscela di idrocarburi saturi a
catena aperta (alcani, detti anche paraffine), a catena chiusa (cicloalcani o nafteni),
aromatici ed olefine (alcheni). La frazione più abbondante è rappresentata dalle
paraffine.

2) B . La desinenza -ene è tipica degli alcheni, quindi indica la presenza di un doppio


legame.
982 Fondamenti di chimica organica

3) A . Un atomo di carbonio che lega quattro sostituenti diversi è un carbonio asim-


metrico, cioè corrisponde ad un centro stereogenico (o centro di asimmetria o meno
correttamente centro chirale). Una molecola chirale può contenere uno o più centri
stereogenici, ma per essere definita chirale non deve contenere piani di simmetria.
Una molecola contenente centri stereogenici ma che presenta piani di simmetria è
globalmente achirale e prende il nome di forma meso.
4) C . Il cicloesano è un cicloalcano ed è una molecola non planare in quanto i carboni
(come avviene in tutti gli alcani) sono tutti ibridizzati sp3 .
5) C . L’alcol è definito primario, secondario o terziario, se il gruppo –OH è legato
rispettivamente ad un carbonio primario, secondario o terziario.
6) C . Gli alcani sono molecole apolari. Interagiscono tra di loro attraverso le forze
di dispersione di London che aumentano all’aumentare della dimensione della mo-
lecola. Le molecole con catena di carboni più lunga hanno maggiori possibilità di
interazione tra loro e di conseguenza hanno punti di ebollizione maggiori.

7) A . La saponificazione è l’idrolisi basica di un estere: si ha la rottura del legame


estereo e la formazione dell’alcol e del sale dell’acido carbossilico.
8) D . Scrivendo in modo esteso la molecola si osserva che è presente una catena
principale lunga 7 atomi di carbonio (il gruppo OCH3 indicato tra parentesi è legato
al gruppo CH ed è una ramificazione). I sostituenti sono un bromo, un cloro, un
ossidrile (funzione alcolica) e un etere (OCH3 ). In base alla scala di priorità il gruppo
priore è l’ossidrile, perciò il composto è un alcol a 7 atomi di carbonio, l’eptanolo.
Numerando la catena in modo da assegnare ai sostituenti i numeri più bassi si ha
che, partendo da sinistra, il gruppo OH è in posizione 3 e quindi la molecola è un
eptan-3-olo. A questo punto si tratta di elencare in ordine alfabetico i sostituenti: 1-
bromo-2-cloro-4-metossi-eptan-3-olo. Si ricorda che il sostituente etereo in posizione
4 si chiama metossi e non metilossi.

9) E . L’ossidazione di un alcol primario porta alla formazione dell’aldeide corrispon-


dente e successivamente dell’acido carbossilico. L’ossidazione di un alcol secondario
Organica

porta alla formazione di un chetone, e può procedere ulteriormente solo in presenza


di ossidanti molto forti. L’ossidazione di un alcol terziario non avviene.
10) C . Il doppio legame tra due carboni, caratteristico degli alcheni, impedisce la libera
rotazione degli atomi di carbonio. Come conseguenza i sostituenti legati ai carboni
possono trovarsi dallo stesso lato (quindi in cis) o su lati opposti (in trans) rispetto
alla catena idrocarburica.
Glossario
12
A Alcheni: classe di idrocarburi nei quali c’è
Abbassamento crioscopico: riduzione del- la presenza di almeno un doppio legame
la temperatura di congelamento di un liquido carbonio-carbonio.
causata dall’aggiunta di soluti non volatili. Alchini: classe di idrocarburi nei quali c’è la
Abbassamento della tensione di vapore: ri- presenza di almeno un triplo legame carbonio-
duzione della tensione di vapore di un liquido carbonio.
causata dall’aggiunta di soluti non volatili. Alcool: composto organico caratterizzato dalla
Acido: composto che si ionizza in acqua forman- presenza di un gruppo ossidrilico (-OH) legato ad
do un anione e uno ione idronio (H+ ). un atomo di carbonio saturo.

Acido carbossilico: composto organico caratte- Aldeide: composto organico caratterizzato dal-
rizzato dalla presenza di un gruppo carbossilico la presenza di un gruppo carbonilico (C=O) nel
(-COOH). quale l’atomo di carbonio è legato ad almeno un
atomo di idrogeno.
Acido debole: acido che in soluzione acquosa
ionizza in modo parziale. Allotropi: forme differenti dello stesso elemen-
to che nelle stesse condizioni di pressione e
Acido di Arrhenius: specie chimica che in temperatura esistono nello stesso stato fisico.
soluzione acquosa cede ioni idronio (H+ ).
Alogeno: elemento appartenente al gruppo VIIA
Acido di Brønsted: specie chimica in grado di della tavola periodica.
donare protoni.
Ammide: composto organico derivato formal-
Acido di Lewis: specie chimica in grado di mente dalla reazione tra un acido carbossilico (o
accettare un doppietto elettronico. da un suo derivato) ed un’ammina.
Acido forte: acido che in soluzione acquosa Ammina: composto organico derivato formal-
ionizza completamente. mente dall’ammoniaca in cui uno o più atomi di
idrogeno sono sostituiti da gruppi organici.
Acido grasso: acido carbossilico caratterizzato
dalla presenza di una catena idrocarburica non Anione: ione con carica elettrica negativa.
ramificata.
Anodo: elettrodo di una cella elettrochimica su
Acido monoprotico: acido di Brønsted in grado cui avviene l’ossidazione.
di donare un solo protone.
Atomo: la più piccola particella di un elemen-
Acido poliprotico: acido di Brønsted che può to che conserva le proprietà chimiche di quell’ele-
donare due o più protoni. mento e non può essere ulteriormente decomposta
per via chimica.
Affinità elettronica: energia che viene svilup-
pata quando un atomo, in fase gassosa e nel suo Autoionizzazione dell’acqua: trasferimento di
stato fondamentale, acquista un elettrone trasfor- un protone tra due molecole d’acqua che conduce
mandosi in un anione. Può essere definita anche alla formazione di uno ione idronio (H+ ) ed uno
come il potenziale di ionizzazione dell’anione. ione idrossido (OH− ).
Agente ossidante: specie chimica che, duran-
te una reazione redox, acquista elettroni e viene B
ridotta. Base: composto che disciolto in acqua forma uno
ione idrossido (OH− ) ed un catione.
Agente riducente: specie chimica che, duran-
te una reazione redox, cede elettroni e viene Base debole: base che in soluzione acquosa
ossidata. ionizza in modo parziale.
Alcani: classe di idrocarburi in cui ogni atomo di Base di Arrhenius: specie chimica che in
carbonio è legato ad altri quattro atomi. soluzione acquosa cede ioni idrossido (OH− ).
984 Glossario

Base di Brønsted: specie chimica in grado di Coefficienti stechiometrici: numeri interi po-
accettare protoni. sitivi assegnati alle specie chimiche in un’equazio-
ne chimica ed impiegati per bilanciare l’equazione
Base di Lewis: specie chimica in grado di donare
stessa.
un doppietto elettronico.
Complesso attivato: aggregato instabile che si
Base forte: base che in soluzione acquosa ionizza
crea tra le molecole che partecipano ad una rea-
completamente.
zione chimica. Si scinde immediatamente dopo la
sua formazione per dar luogo ai prodotti (se l’urto
C è efficace).
Calore: energia termica associata al movimento Composizione percentuale: percentuale in
di atomi o molecole. massa di ogni singolo elemento presente in un
Capacità termica molare: quantità di calore composto.
necessaria per aumentare la temperatura di una Composto: sostanza pura che è costituita da ato-
mole di sostanza di un kelvin. mi appartenenti a due o più elementi diversi pre-
Capacità termica specifica: quantità di calo- senti in rapporti ponderali definiti e costanti ed
re necessaria per aumentare la temperatura di un uniti tra loro mediante legami chimici.
grammo di sostanza di un kelvin. Composto aromatico: composto appartenente
Carica formale: carica che un atomo avrebbe se, ad una classe di idrocarburi caratterizzati dalla
in una molecola, tutti i suoi legami fossero con- presenza di anelli aromatici.
siderati completamente ionici, ovvero se gli elet- Composto chirale: composto contenente uno o
troni di non legame fossero attribuiti interamente più centri stereogenici che non presenta piani o
all’elemento più elettronegativo. centri di simmetria.
Carica parziale: carica che un atomo avrebbe Composto insaturo: idrocarburo contenente
in una molecola calcolata assumendo la distri- uno o più legami multipli (doppi o tripli).
buzione degli elettroni di legame proporzionale
all’elettronegatività dell’atomo. Composto saturo: idrocarburo contenente
soltanto legami singoli.
Catalizzatore: sostanza che, senza subire varia-
zione chimica, aumenta la velocità (diretta ed Concentrazione: quantità di soluto presente in
inversa) di una reazione chimica. una quantità unitaria di solvente.
Catalizzatore eterogeneo: catalizzatore pre- Configurazione elettronica: nomenclatura im-
sente in una fase diversa rispetto a quella dei piegata per descrivere la distribuzione degli
reagenti. elettroni nei vari sottolivelli energetici di un
atomo.
Catalizzatore omogeneo: catalizzatore presen-
te nella stessa fase dei reagenti. Coppia coniugata acido-base: coppia di com-
posti che differiscono per la presenza di uno ione
Catione: ione con carica elettrica positiva. idronio (H+ ).
Glossario

Catodo: elettrodo di una cella elettrochimica su


Corrosione: fenomeno di deterioramento dei
cui avviene la riduzione.
metalli causato dall’instaurarsi di reazioni redox.
Cella elettrochimica: dispositivo che, attraver-
Costante di dissociazione acida (K a ): co-
so una reazione redox, produce corrente elettrica
stante di equilibrio associata alla ionizzazione di
a voltaggio costante.
un acido in soluzione acquosa.
Cella elettrolitica: dispositivo che, impiegando
Costante di dissociazione basica (K b ): co-
un generatore elettrico, fa avvenire una reazione
stante di equilibrio associata alla ionizzazione di
redox non spontanea.
una base in soluzione acquosa.
Chetone: composto organico caratterizzato dal-
Costante di dissociazione dell’acqua (K w ):
la presenza di un gruppo carbonilico (C=O) nel
costante di equilibrio associata alla reazione di
quale l’atomo di carbonio è legato ad altri due
autoionizzazione dell’acqua.
atomi di carbonio.
Costante di equilibrio (K eq ): Rapporto tra
Cinetica chimica: studio della velocità delle
il prodotto delle concentrazioni all’equilibrio dei
reazioni chimiche e dei meccanismi di reazione.
prodotti di reazione, elevati ai rispettivi coeffi-
Coefficiente di van’t Hoff : Indica il numero cienti stechiometrici, e il prodotto delle concentra-
di particelle in cui un elettrolita si dissocia in zioni all’equilibrio dei reagenti, elevati ai rispettivi
soluzione. coefficienti stechiometrici.
Chimica 985

Costante di Faraday (F): quantità di cari- Elettrone di valenza: elettrone che, trovandosi
ca elettrica di una mole di elettroni (1 F = nel livello energetico più alto, è il più reattivo e
96400 C/mol). partecipa alle reazioni chimiche.
Elettronegatività (χ): misura della tendenza di
D un atomo di attrarre elettroni.
Densità: rapporto tra la massa di una sostanza Elettroni accoppiati: due elettroni che all’in-
ed il suo volume. terno di un atomo si trovano sullo stesso orbitale
è presentano spin opposto (+1/2 e −1/2).
Densità di probabilità: probabilità di trovare
l’elettrone in un certo volume di spazio. Enantiomeri: coppia di stereoisomeri speculari
e non sovrapponibili di un composto chirale.
Diagramma di fase: grafico che indica in quale
fase una sostanza pura può esistere al variare di Energia di attivazione (E a ): energia cineti-
pressione e temperatura. ca minima che due molecole devono possedere al
momento della collisione affinché possano reagire.
Diamagnetismo: proprietà fisica di un oggetto
di essere respinto da un campo magnetico. Energia di ionizzazione: energia minima che è
necessario fornire ad un atomo, che si trovi allo
Diffusione: mescolamento delle molecole di due o stato gassoso con configurazione elettronica allo
più sostanze generato dai movimenti casuali delle stato fondamentale, per strappare un elettrone di
molecole stesse. valenza e ottenere quindi un anione.
Dipolo elettrico (µ): grandezza vettoriale misu- Energia di legame: quantità di energia neces-
rata in Debye ottenuta dal prodotto delle cariche saria per rompere i legami chimici presenti in una
parziali (δ + , δ − ) per la distanza d che le separa. mole di sostanza allo stato gassoso. Essa è pa-
ri all’energia liberata durante la formazione del
Dipolo indotto: separazione di carica che si os-
legame.
serva in una molecola non polare generata dalla
presenza di una molecola polare. Energia libera di Gibbs: funzione di stato ter-
modinamica che mette in relazione entalpia, en-
Distribuzione di Maxwell-Boltzmann: di-
tropia e temperatura e corrisponde all’energia to-
stribuzione dell’energia cinetica delle particelle in
tale disponibile in un sistema chimico per creare
funzione della temperatura.
lavoro.
Entalpia (H): funzione di stato termodinamica
E che corrisponde al calore assorbito o rilasciato dal
Eccitazione: promozione di un elettrone presen- sistema durante una reazione chimica che avviene
te in un atomo o in una molecola ad un livello a pressione costante.
energetico superiore.
Entropia (S): misura del grado di disordine di
Effetto dello ione comune: limitazione della un sistema.
ionizzazione di un sale causata dall’aggiunta di Enzima: catalizzatore biologico di natura protei-
uno o più ioni che lo costituiscono. ca.

Chimica
Elemento: specie chimica pura costituita da ato- Equazione chimica: equazione riferita ad una
mi dello stesso tipo che si combinano tra loro reazione chimica che indica la natura dei reagen-
secondo rapporti numerici ben precisi. ti coinvolti e dei prodotti ottenuti ed il rapporto
Elettrodo: dispositivo che conduce elettroni al- atomico di combinazione.
l’interno e all’esterno di una soluzione e costi- Equazione di Arrhenius: equazione che mette
tuisce il polo di una cella elettrochimica. Sull’e- in correlazione la velocità di una reazione chimica
lettrodo avvengono le reazioni di ossidazione e con la temperatura, l’orientazione delle molecole
riduzione. e l’energia delle collisioni.
Elettrolisi: processo che impiega energia elet- Equazione di Schrödinger: equazione che de-
trica per far avvenire una reazione redox non scrive il comportamento di un elettrone in un
spontanea. atomo.
Elettrolita: sostanza che in soluzione acquosa Equilibrio: condizione in cui le velocità di reazio-
o allo stato fuso dissocia in ioni e permette la ne diretta ed inversa sono equivalenti ed il sistema
conduzione di corrente. non evolve ulteriormente.
Elettrone: particella subatomica carica nega- Equivalente: Nel caso di reazioni acido base gli
tivamente che occupa lo spazio attorno al equivalenti corrispondono al numero di H+ /OH−
nucleo. prodotti da una mole di sostanza, mentre in
986 Glossario

una reazione redox gli equivalenti corrispondo- Gas nobili: elementi appartenenti al gruppo VIII
no al numero di elettroni generati (dal riducen- A, conosciuti anche con il nome di gas rari o gas
te) o acquisiti (dall’ossidante) per una mole di inerti.
sostanza.
Geometria molecolare: disposizione degli elet-
Estere: composto organico derivato formalmen- troni di legame attorno ad un atomo centrale.
te dalla reazione tra un acido carbossilico ed un’ Gruppi: colonne verticali della tavola periodica,
alcool. raggruppano elementi caratterizzati da proprietà
chimico fisiche simili.
F
Gruppi funzionali: frammenti strutturali che
Fase: uno dei stati in cui la materia può esistere:
identificano una specifica classe di composti
solido, liquido, gassoso o plasma.
organici.
Ferromagnetismo: forma particolare di para- Gruppo carbonilico: gruppo funzionale costi-
magnetismo tipica di Ferro, Cobalto e Nichel. I tuito da un atomo di carbonio legato ad un ato-
materiali ferromagnetici, una volta magnetizzati, mo di ossigeno mediante un doppio legame. È
mantengono la magnetizzazione nel tempo. il gruppo funzionale caratteristico di aldeidi e
Formula bruta: formula chimica che descrive la chetoni.
composizione quali-quantitativa di una moleco- Gruppo carbossilico: gruppo funzionale costi-
la senza indicare il modo in cui gli atomi sono tuito da un atomo di carbonio legato ad un atomo
concatenati tra loro nello spazio. di ossigeno mediante un doppio legame e ad un
Formula di Lewis: metodo di rappresentazione altro atomo di ossigeno mediante legame singolo.
degli elettroni di legame e non legame presenti in È il gruppo funzionale che caratterizza gli acidi
una molecola o uno ione. organici.
Formula empirica: formula che mostra nel mo-
do più semplice possibile il rapporto tra gli atomi I
di ogni elemento presenti in un composto. Ibridazione degli orbitali: combinazione di più
orbitali atomici per formare un egual numero
Forze di Van der Waals: insieme di forze di orbitali ibridi degeneri che minimizzano le
attrattive intermolecolari. repulsioni tra le coppie di elettroni.
Forza elettromotrice: corrisponde alla diffe- Idratazione: legame tra uno ione o una molecola
renza di potenziale di una cella elettrochimica e una o più molecole d’acqua.
ottenuta data dalla differenza tra il potenziale
catodico ed il potenziale anodico. Indicatore: sostanza impiegata per identifica-
re il punto finale di una titolazione mediante il
Forze intermolecolari: forze attrattive o re- cambiamento di alcune proprietà fisiche.
pulsive tra molecole, tra ioni o tra ioni e
molecole. Indicatore acido-base: sostanza che cambia
colore in funzione del pH di una soluzione.
Forze intramolecolari: forze attrattive o re-
pulsive che si instaurano tra gli atomi di una Innalzamento ebullioscopico: Aumento della
Glossario

molecola. temperatura di ebollizione di un liquido causata


dall’aggiunta di soluti non volatili.
Frazione molare (χ): rapporto tra il numero di
moli di una sostanza ed il numero totale di moli Ione: atomi dotati di carica elettrica a seguito
presenti in una miscela di sostanze. della perdita o acquisto di elettroni.

Funzione di stato: grandezza il cui valore è de- Ione idronio: ione H3 O+ .


terminato solo dallo stato del sistema e non dal Ione idrossido: ione OH− .
meccanismo attraverso il quale si raggiunge quello
Isomeri: composti aventi la stessa formula mo-
stato.
lecolare ma diversa disposizione degli atomi nello
spazio.
G
Gas: fase della materia senza forma né volume Isomeri geometrici: isomeri nei quali la dispo-
definito. I gas si adattano al recipiente che li sizione degli atomi che li costituiscono presentano
contiene occupandone interamente il volume. relazioni geometriche differenti.
Isomeri ottici: isomeri che sono tra loro imma-
Gas ideale: gas ipotetico in cui le particelle che lo
gini speculari ma non sovrapponibili.
costituiscono vengono considerate perfettamente
sferiche e di volume nullo. Nei gas ideali gli urti Isomeri strutturali: due o più composti che
tra le molecole vengono considerati perfettamente presentano la stessa formula molecolare ma con
elastici. atomi legati tra loro diversamente.
Chimica 987

Isotopi: atomi con lo stesso numero atomico Z, concentrazioni all’equilibrio dei prodotti di rea-
ma diverso numero di massa A. zione, elevati ai rispettivi coefficienti stechiome-
trici, e il prodotto delle concentrazioni all’equili-
L brio dei reagenti, elevati ai rispettivi coefficienti
stechiometrici, è costante a temperatura costante.
Lantanidi: elementi di transizione interna che
si trovano nella tavola periodica compresi tra il Legge di Dalton (o delle proporzioni mul-
lantanio (La) e l’afnio (Hf). tiple): quando due elementi si combinano tra lo-
ro per formare più composti diversi, il rapporto
Lega: miscela intima di due o più elementi di cui tra le masse di un elemento che si combina con
almeno uno metallico. una quantità fissa dell’altro elemento è esprimibile
Legame: interazione tra due o più atomi che so- mediante numeri interi e piccoli.
no legati assieme grazie alla riduzione dell’energia
Legge di Lavoisier (o di conservazione della
potenziale degli elettroni.
massa): durante una reazione chimica la somma
Legame covalente: legame che si instaura tra delle masse dei reagenti è equivalente alla somma
due atomi che mettono in compartecipazione una delle masse dei prodotti di reazione.
coppia di elettroni al fine di ottenere l’ottetto
Legge di Proust (o delle proporzioni defi-
elettronico completo.
nite e costanti): qualunque sia l’origine o il me-
Legame covalente apolare: legame covalente todo di preparazione di un composto puro, esso
tra due atomi con elettronegatività simile. contiene sempre quantità definite e costanti degli
Legame covalente polare: legame covalente elementi proporzionali alla loro massa.
tra due atomi con diversa elettronegatività. In Legge di Hess: l’entalpia di una reazione chi-
questo tipo di legame si crea una distribuzione mica complessa (ovvero costituita da più reazio-
asimmetrica della distribuzione degli elettroni di ni semplici) è data dalla somma algebrica delle
legame. entalpie delle singole reazioni che la costituiscono.
Legame dativo: tipo di legame covalente in cui Legge di Raoult: la tensione di vapore di
gli elettroni che partecipano al legame provengono un componente in soluzione è proporzionale alla
entrambi dallo stesso atomo. frazione molare dello stesso.
Legame doppio: legame risultante dalla messa
Liquido: fase della materia senza forma defini-
in copartecipazione di due coppie di elettroni per
ta ma con volume definito. I liquidi assumono la
formare un legame σ ed un legame π.
forma del recipiente che li contiene.
Legame idrogeno: interazione elettrostatica
Lunghezza di legame: distanza tra i nuclei di
tra un atomo di idrogeno ed un atomo molto
due atomi legati.
elettronegativo.
Legame ionico: legame che intercorre tra due
atomi che presentano un’elevata differenza di M
elettronegatività, per convenzione superiore a 1,9. Massa: misura della quantità di materia.

Chimica
Legame metallico: tipo di legame chimico in cui Massa atomica: massa media di un atomo
in cui gli elettroni di valenza sono delocalizzati espressa in rapporto all’u.m.a.
lungo tutto il reticolo.
Massa molare: massa espressa in grammi di una
Legame pi greco (π): legame risultante dalla mole di unità fondamentali.
sovrapposizione laterale degli orbitali atomici p.
Costituisce il secondo e terzo legame nei legami Materia: tutto ciò che ha una massa ed occupa
multipli. uno spazio.

Legame sigma (σ): legame formato dalla so- Meccanismo di reazione: sequenza di eventi
vrapposizione testa-testa di due orbitali. In pre- che avvengono nel corso di una reazione chimica
senza di uno o più legami, il primo legame è e determinano la velocità e l’esito della reazione
sempre σ. stessa.

Legame singolo: legame risultante dalla condi- Membrana semipermeabile: membrana che
visione di una coppia di elettroni. permette il passaggio selettivo di alcune molecole
e non di altre.
Legame triplo: legame risultante dalla messa
in copartecipazione di tre coppie di elettroni per Metalli alcalini: elementi appartenenti al grup-
formare un legame σ e due legami π. po I A della tavola periodica.
Legge di azione di massa (o legge di Guld- Metalli alcalino-terrosi: elementi appartenenti
berg e Waage): Il rapporto tra il prodotto delle al gruppo II A della tavola periodica.
988 Glossario

Metalli di transizione: elementi appartenenti Normalità (N): esprime il numero di equivalenti


al gruppo B della tavola periodica. di soluto presenti in un litro di soluzione.
Metalloide: elemento con proprietà intermedie Nucleo: parte centrale di un atomo carica posi-
tra quelle dei metalli e quelle dei non metalli. tivamente costituita da protoni e neutroni.
Miscela: combinazione di più sostanze che Numeri quantici: serie di quattro numeri im-
conservano le loro proprietà individuali. piegati per descrivere le proprietà di un orbitale
atomico.
Miscela eterogenea: miscela di composizione
non uniforme i cui componenti sono macroscopi- Numero atomico (Z ): è l numero di protoni
camente distinguibili tra loro e possono facilmente presenti in un atomo.
essere separati mediante metodi fisici. Numero di Avogadro (N A ): è il numero
Miscela omogenea: una miscela di composi- di unità fondamentali presenti in una mole di
zione uniforme in ogni punto del campione ed sostanza (NA = 6,022 · 1023 ).
i cui componenti non sono macroscopicamente Numero di massa (A): è dato dalla somma al-
distinguibili tra loro. gebrica del numero di protoni (Z) e del numero
Miscela racemica: una miscela di quantità di neutroni (N ) presenti nel nucleo di un atomo
uguali di due enantiomeri. (A = Z + N ).

Molalità (m): numero di moli di soluto disciolte Numero di ossidazione (n.o.): la carica ipo-
in 1 kg di solvente. tetica (o apparente) che un atomo presenta in
una molecola quando tutti gli elettroni di legame
Molarità (M): numero di moli di soluto disciolte vengono attribuiti all’atomo più elettronegativo.
in 1 litro di soluzione.
Numero quantico di spin (m s ): numero as-
Mole: la quantità di sostanza che contiene un nu- sociato al movimento rotazionale (spin) che un
mero di entità pari al numero di atomi di 12 C elettrone assume all’interno di un orbitale.
presenti in 12,000 g esatti di isotopo 12 C purissi-
mo, ovvero contiene un numero di entità pari al Numero quantico magnetico (m l ): definisce,
Numero di Avogadro NA . nell’ambito del sottolivello, in quale orbitale si
trova l’elettrone.
Molecola: la più piccola unità di un composto
che ne conserva le proprietà chimiche. Numero quantico principale (n): identifi-
ca il livello energetico dell’orbitale e ne descrive
Molecola biatomica eteronucleare: molecola l’“ampiezza”.
composta da due atomi di elementi diversi.
Numero quantico secondario (o del mo-
Molecola biatomica omonulceare: molecola mento angolare) (l ): identifica il sottolivello
composta da due atomi appartenenti allo stesso energetico dell’orbitale e ne descrive la “forma”.
elemento.
Nuvola elettronica: regione di spazio attorno
Molecola apolare: molecola che presenta una al nucleo nella quale la probabilità di trovare
densità elettronica uniformemente distribuita ed l’elettrone è maggiore di zero.
Glossario

è quindi caratterizzata da un momento dipolare


netto nullo. O
Molecola polare: molecola che presenta una Orbitale: l’onda di un elettrone per uno specifico
densità elettronica non uniforme ed è quindi stato di energia permesso.
dotata di un momento di dipolo elettrico.
Orbitale atomico: regione di spazio dove la pro-
Momento dipolare (µ): grandezza vettoriale babilità di trovare l’elettrone è superiore al
misurata in Debye ottenuta dal prodotto delle ca- 90%.
riche parziali (δ + , δ − ) per la distanza d che le
Orbitale molecolare: orbitale ottenuto dalla
separa.
combinazione di più orbitali atomici e delocaliz-
Monomero: la più piccola unità di cui è zato lungo tutta la molecola.
costituito un polimero. Orbitali degeneri: orbitali con lo stesso valore
di energia.
N Orbitali ibridi: orbitali ottenuti dalla combina-
Neutralizzazione: reazione acido-base che pro- zione di più orbitali atomici.
duce una soluzione neutra.
Ordine di reazione: nell’equazione cinetica
Neutrone: particella subatomica elettricamente corrisponde all’esponente del termine di concen-
neutra appartenente al nucleo degli atomi. trazione.
Chimica 989

Osmosi: movimento del solvente attraverso una Principio di elettroneutralità: durante una
membrana semipermeabile da una zona ipotonica reazione redox il numero di elettroni ceduti dal
ad una zona ipertonica. riducente è equivalente al numero di elettroni
acquisiti dall’ossidante.
Ossidazione: perdita di elettroni da parte di
un atomo, molecola o ione che portano ad un Principio di esclusione di Pauli: in ogni orbi-
aumento del suo numero di ossidazione. tale possono trovarsi al massimo due elettroni che
Ottetto: configurazione elettronica particolar- presentano spin antiparallelo (+1/2 e −1/2). Ciò
mente stabile caratterizzata dalla presenza di otto significa che in un atomo non esistono due elet-
elettroni nel guscio di valenza (ns2 np6 ). troni descritti dalla stessa sequenza dei quattro
numeri quantici (n, l, ml , ms ). Ogni singolo elet-
trone in un atomo può essere quindi identificato
P in modo univoco.
Paramagnetismo: proprietà fisica di essere
attratto da un campo magnetico. Principio di Hund (o della massima molte-
plicità di spin): in presenza di orbitali degeneri,
Periodo: riga orizzontale della tavola periodica. ovvero di orbitali con lo stesso valore di energia,
Peso atomico: rapporto tra la massa assoluta gli elettroni si distribuiscono sul maggior numero
dell’atomo e la massa di riferimento (u.m.a.). di orbitali possibile e presentano spin paralleli.

Peso equivalente: peso espresso in grammi Principio di indeterminazione di Heisen-


corrispondente ad un equivalente di sostanza. berg: è impossibile conoscere contemporanea-
mente la posizione e la velocità (ovvero la
Peso molare: peso espresso in grammi di una quantità di moto) degli elettroni in un atomo.
mole di unità fondamentali.
Principio di Le Châtelier (o dell’equilibrio
pH: l’inverso del logaritmo decimale della con- mobile): un sistema chimico all’equilibrio, se sog-
centrazione di ioni H+ . Esprime l’acidità di una getto a variazioni dall’esterno, tende a reagire
soluzione acquosa. spostando l’equilibrio in modo da opporsi alla
Plasma: stato della materia costituito da parti- variazione esterna.
celle cariche con comportamento simile allo stato Processo endotermico: processo termodinami-
di gas. co in cui il sistema assorbe calore dall’ambiente.
pOH: l’inverso del logaritmo decimale della con-
Processo esotermico: processo termodinamico
centrazione di ioni OH− . Esprime la basicità di
in cui il sistema emette calore.
una soluzione acquosa.
Processo Haber: processo per la sintesi indu-
Polarizzabilità: grado di distorsione della nuvo-
striale di ammoniaca a partire da idrogeno H2 e
la elettronica di un atomo o di una molecola in
azoto N2 .
presenza di una carica elettrica esterna.
Poliestere: polimero ottenuto formalmente dalla Processo spontaneo: processo che si verifica
reazione tra polioli e acidi dicarbossilici mediante senza l’apporto di energia dall’esterno.
l’eliminazione di molecole d’acqua.

Chimica
Prodotto: sostanza formatasi a seguito di una
Polimero: macromolecola ad alto peso moleco- reazione chimica.
lare costituita dal ripetersi di unità fondamentali Prodotto di solubilità (K ps ): costante di equi-
chiamate monomeri. librio associata al prodotto delle concentrazio-
Pressione di vapore (o tensione di vapo- ni dei componenti presenti in una soluzione e
re): pressione parziale esercitata dal vapore che provenienti dalla dissociazione dell’elettrolita.
si trova in equilibrio con il suo liquido. Proprietà colligative: tutte quelle proprietà
Pressione osmotica (Π): pressione che deve es- delle soluzioni (punto di gelo, punto di ebollizio-
sere esercitata da una soluzione affinché sia in ne, tensione di vapore e pressione osmotica) che
equilibrio con il solvente puro. dipendono, almeno idealmente, solo dal numero
di particelle di soluto presenti in soluzione e non
Pressione parziale: pressione esercitata da un dalla loro natura.
gas in una miscela.
Protone: particella subatomica di carica positi-
Principio di Aufbau (o di minima energia):
va che, assieme ai neutroni, costituisce il nucleo
ogni elettrone occupa preferenzialmente l’orbitale
degli atomi.
disponibile a più bassa energia, ovvero quello con
numero quantico n più basso. Nel caso di stesso Punto di congelamento: a pressione costante
n, si riempie preferenzialmente l’orbitale con l più indica la temperatura alla quale la fase solida si
basso. trova in equilibrio con quella liquida.
990 Glossario

Punto di ebollizione: temperatura alla quale la da una diminuzione dell’entalpia del sistema
pressione di vapore di un liquido è equivalente a (∆Hsistema < 0).
quella esterna esercitata sul liquido.
Regola dell’ottetto: gli atomi raggiungono il
Punto di fusione: a pressione costante indica la massimo stato di stabilità quando presentano 8
temperatura alla quale la fase solida si trova in elettroni nel livello energetico più esterno, ovvero
equilibrio con quella liquida. quando sono completi i sottostrati s e p di quel
Punto triplo: condizione di pressione e tempe- livello.
ratura alla quale le fasi solida, liquida e aeriforme Regola di Hund: vedi Principio di Hund.
coesistono.
Resa effettiva: la quantità di sostanza effettiva-
mente prodotta in laboratorio a seguito di tutti i
R processi di sintesi, separazione e purificazione.
Radicale libero: atomo o molecola neutri con-
tenenti un elettrone spaiato. Resa percentuale: il rapporto tra la quantità
di sostanza realmente prodotta (resa effettiva) e
Raggio atomico: metà della distanza tra i nu- la quantità prevista teoricamente (resa teorica) il
clei di due atomi di uno stesso elemento legati tutto moltiplicato per 100.
covalentemente mediante un legame singolo.
Resa teorica: la quantità massima di sostan-
Reagente: in una reazione chimica rappresenta za che può essere prodotta durante una reazione
la sostanza di partenza. chimica.
Reagente limitante: in una reazione chimica è Reticolo cristallino: disposizione regolare di
il reagente presente in difetto. Il reagente limi- punti equivalenti nello spazio, descrivente la
tante determina la quantità massima di prodotto struttura di un solido metallico, molecolare o
ottenibile. ionico.
Reazione acido-base: reazione di scambio tra Riduzione: acquisto di elettroni da parte di
un acido e una base con produzione di sale ed un atomo, molecola o ione che portano ad una
acqua. diminuzione del proprio numero di ossidazione.
Reazione di combustione: reazione in cui un
combustibile viene ossidato da un comburente con
S
sviluppo di calore.
Sale: composto ionico il cui catione proviene da
Reazione di decomposizione: reazione in cui una base e il cui anione deriva da un acido.
si verifica una scissione di un composto in due o
più composti. Saponificazione: idrolisi di un trigliceride in
presenza di soda caustica.
Reazione di dissociazione: reazione in cui si
verifica la dissociazione di un composto ionico e Semi-reazioni: due equazioni chimiche in cui
la conseguente formazione di ioni. viene divisa una reazione redox. La prima equa-
zione rappresenta il processo di ossidazione, la
Reazione di ionizzazione: reazione in cui seconda quello di riduzione.
Glossario

un composto molecolare si dissocia in acqua


formando ioni. Solido: fase della materia con forma e volume
definiti.
Reazione di ossidoriduzione (redox): rea-
zione che coinvolge un trasferimento di elettroni Solubilità: la massima quantità di sostanza che
tra atomi. Gli elettroni passano da una sostan- di discioglie in una data quantità di solvente ad
za definita riducente ad una definita ossidante. Il una determinata temperatura per formare una
riducente si ossida, l’ossidante si riduce. soluzione stabile.
Reazione di precipitazione: reazione di scam- Soluto: in una soluzione rappresenta la sostanza
bio che produce un sale insolubile (precipitato). disciolta nel solvente.
Reazione di scambio: reazione chimica che pro- Soluzione: miscela omogenea di due o più so-
cede mediante lo scambio di cationi ed anioni tra stanze che si trovano in un’unica fase.
i reagenti. Soluzione acida: soluzione acquosa con pH < 7.
Reazione endotermica: reazione chimica ac-
Soluzione basica: soluzione acquosa con pH > 7.
compagnata da un assorbimento di calore, ov-
vero da un aumento dell’entalpia del sistema Soluzione neutra: soluzione acquosa con pH = 7.
(∆Hsistema > 0).
Soluzione insatura: soluzione in cui la con-
Reazione esotermica: reazione chimica ac- centrazione del soluto è minore del valore di
compagnata dallo sviluppo di calore, ovvero saturazione.
Chimica 991

Soluzione satura: soluzione in cui è stata sciolta Sublimazione: passaggio di stato diretto da un
la massima quantità di soluto possibile. solido ad un gas.
Soluzione sovrasatura: soluzione che contie-
ne una quantità di soluto maggiore rispetto a T
quella massima consentita in quelle condizioni di Temperatura: misura dell’energia cinetica me-
pressione e temperatura. dia delle particelle di un sistema.
Soluzione tampone: una soluzione in cui sono Termochimica: branca della termodinamica che
presenti un acido debole e la sua base coniugata si occupa dei bilanci energetici relativi alle
(oppure una base debole e il suo acido coniuga- trasformazioni chimiche.
to) in quantità elevate (solitamente non inferiori
a 0,05M) e non molto diverse tra loro. Termodinamica: è quella branca della scienza
che studia le interconversioni tra le varie forme
Solvatazione: legame che si instaura tra uno io- di energia (chimica, meccanica, nucleare, cinetica,
ne o una molecola e le molecole di solvente attra- elettrica, magnetica...) coinvolte in un processo
verso interazioni di tipo: ione – dipolo o dipolo – chimico o fisico.
dipolo.
Titolazione: metodo di analisi volumetrica
Solvente: sostanza in cui è disciolto il soluto per
quantitativa impiegato per la determinazione
formare una soluzione.
della concentrazione di una sostanza in soluzione.
Sostanza pura: campione di materia le cui
proprietà chimiche non posso essere modificate
U
separando i suoi componenti con metodi fisici.
Unità di massa atomica (u.m.a.): corrisponde
Sostanza anfiprotica: sostanza che può com- alla dodicesima parte della massa dell’isotopo car-
portarsi sia da acido che da base. bonio 12 (12 C) purissimo a cui è stata attribuita
Sottolivello: suddivisione dei livelli energeti- una massa pari a 12.
ci determinata dai valori del numero quantico Unità formula: la più piccola combinazione di
secondario (l). atomi data dal rapporto tra gli elementi presenti
Stadio determinante la velocità: in un mec- in un composto ionico.
canismo di reazione è lo stadio elementare più
lento. V
Stato eccitato: stato di un atomo in cui almeno Vaporizzazione: passaggio di stato delle mo-
un elettrone presenta energia superiore rispetto a lecole da una fase liquida ad una fase aeriforme.
quella dello stato fondamentale.
Velocità di reazione: il rapporto tra la diminu-
Stato fondamentale: lo stato di un atomo che zione della concentrazione di un reagente (o l’au-
presenta tutti i suoi elettroni nei livelli energetici mento della concentrazione di un prodotto) ed il
più bassi. tempo.
Stechiometria: studio delle relazioni quantitati-
ve tra i reagenti ed i prodotti di una reazione.

Chimica
Z
Stereoisomeri: composti con la stessa formula di Zero assoluto: condizione di temperatura previ-
struttura e la stessa connettività tra gli atomi, ma sta teoricamente che corrisponde a −273,15 ◦ C.
che si differenziano per una diversa orientazione In questa condizione tutte le sostanze non
dei loro atomi nello spazio. presentano energia termica.
Biologia
Prefazione

La Biologia è una materia assai vasta che studia tutto ciò che riguarda la “vita” e tratta,
quindi, argomenti tipicamente “biologici” come l’evoluzione e la selezione naturale ma
anche “medici” quali l’anatomia e la fisiologia e “chimici” quali la biochimica e la
bioenergetica. In questo testo la parte di Biologia è suddivisa in sei Capitoli.
Nel Capitolo 1 si richiamano alcuni concetti di chimica, la quale rappresenta una
base importante per la comprensione dei fenomeni biologici, e si descrivono le macro-
molecole biologiche ovvero le molecole fondamentali di tutti gli organismi viventi.
Il Capitolo 2 affronta lo studio dell’unità fondamentale degli organismi viventi, la
cellula. Saranno descritte le due tipologie di cellule viventi, procariotiche ed eucarioti-
che, da quali componenti sono costituite, come esse si dividono e come le cellule degli
organismi eucarioti si organizzino a formare aggregati di cellule: i tessuti.
Il Capitolo 3 tratta di bioenergetica e di argomenti di competenza della biochimica.
Verranno affrontati nel dettaglio gli aspetti energetici che caratterizzano gli organismi
viventi con particolare riferimento alla respirazione cellulare e alla fotosintesi.
L’ampio Capitolo 4 tratta di genetica e di biologia molecolare. Si tratta di concetti
molto importanti, a volte un po’ complicati ma trattati in modo semplificato tenendo
conto dello scopo del presente manuale. Si ricorda che la maggior parte dei quiz di
biologia presenti nei test di ammissione sono inerenti al capitolo 4 di questo manuale,
l’ultima parte del quale tratta di un aspetto in continua evoluzione ovvero la tecnolo-
gia del DNA ricombinante che ha importanti applicazioni in ambito biotecnologico e
medico.
Il Capitolo 5 tratta la selezione naturale e l’evoluzione delle specie, ovvero come
i cambiamenti casuali nel patrimonio genetico di un individuo (mutazioni) possano
portare alla formazione di nuove specie nel corso di milioni di anni di evoluzione.
Il Capitolo 6 tratta l’anatomia e la fisiologia degli animali e dell’uomo. Saranno
descritti i diversi apparati e le loro funzioni in modo conciso ma adeguato a quanto
necessario ai fini del superamento del test di ammissione.
La maggior parte dei contenuti del presente testo saranno ripresi in esami specifici
nei corsi di studi di Medicina, Odontoiatria, Veterinaria e Professioni Sanitarie, per
questo motivo tale manuale non rappresenta un semplice strumento da utilizzare per
la preparazione al test di ammissione ma vuole anche essere un valido supporto per
fornire le conoscenze di base per affrontare una carriera universitaria di tipo scientifico.
La chimica
dei viventi 1
1.1 I bioelementi
Gli esseri viventi sono costituiti per oltre il 96% da sei elementi: Carbonio, Idroge-
no, Ossigeno, Azoto, Fosforo e Zolfo (sigla CHONPS). Carbonio, idrogeno e ossigeno
entrano a far parte delle macromolecole biologiche (carboidrati, lipidi, proteine e aci-
di nucleici) (vedi § 1.4). L’ossigeno, inoltre, è fondamentale per il metabolismo degli
organismi aerobi.
L’azoto è un costituente di proteine e acidi nucleici, oltre a far parte di altre molecole
di notevole interesse biologico come, ad esempio, ormoni e neurotrasmettitori quali
adrenalina, noradrenalina, dopamina e serotonina.
Il fosforo è presente negli acidi nucleici e come gruppo fosfato entra a far parte
di composti inorganici quali l’idrossiapatite, componente fondamentale delle ossa. Il
fosforo, inoltre, è presente nei lipidi complessi quali i fosfolipidi e i fosfatidi.
Lo zolfo può essere presente nelle proteine in quanto è un componente degli ami-
noacidi metionina e cisteina e fa parte delle vitamine biotina e tiamina.
Altri elementi sono presenti in quantità molto basse ma svolgono ruoli molto im-
portanti:
Calcio: è fondamentale per la contrazione muscolare e per la conduzione dell’im-
pulso nervoso. Sotto forma di fosfato è un costituente del tessuto osseo.
Magnesio: è presente nel tessuto osseo sotto forma di fosfato, è cofattore di alcuni
enzimi ed è presente nella clorofilla.
Potassio e sodio: hanno un ruolo importante nella trasmissione dell’impulso ner-
voso, nel mantenimento dell’equilibrio acido-base e nel controllo della pressione
osmotica.
Ferro: è un costituente del gruppo eme presente nell’emoglobina. Una sua carenza,
nell’uomo, può portare ad anemia.
Fluoro: è presente nelle ossa e nei denti sotto forma di fluoroapatite.
Iodio: entra a far parte degli ormoni tiroidei.
Cobalto: è un costituente della vitamina B12.
Cloro: è il principale anione dei liquidi extracellulari ed è fondamentale per la
formazione di acido cloridrico nello stomaco.
Manganese, molibdeno, zinco e rame sono cofattori di alcuni enzimi.
Dal punto di vista molecolare, invece, le cellule sono composte per circa l’80% da acqua,
e per il restante 20% da proteine, acidi nucleici, zuccheri e lipidi.
996 La chimica dei viventi

1.2 L’importanza biologica delle interazioni deboli


Gli atomi interagiscono tra di loro, formando composti, attraverso la formazione di
legami chimici, quali il legame ionico e il legame covalente (legami forti, vedi Chimica
Capitolo 4). Oltre a questo tipo di interazioni esiste una classe molto importante di
legami, di natura elettrostatica, definiti interazioni deboli; tali forze sono fondamentali
per il corretto funzionamento delle molecole biologiche. La struttura tridimensionale
funzionale di una proteina, per esempio, si realizza grazie alla formazione di interazioni
sia covalenti sia non covalenti.

1.2.1 Il legame a idrogeno

Il legame a idrogeno è un’interazione di natura elettrostatica che si instaura tra un


atomo di idrogeno legato in modo covalente ad un elemento elettronegativo (azoto,
ossigeno o fluoro) ed un atomo anch’esso fortemente elettronegativo (azoto, ossigeno
o fluoro). Si veda il link http://www.youtube.com/watch?v=LGwyBeuVjhU

La forza di un legame a ponte di idrogeno è circa 1–10% rispetto a quella di un legame


covalente. Nonostante questa apparente debolezza, i legami a idrogeno svolgono un
ruolo fondamentale nella stabilizzazione delle molecole e nella determinazione della
loro struttura tridimensionale.

Un classico esempio è la formazione


della doppia elica del DNA, struttura
dovuta proprio a legami a idrogeno tra
le basi complementari.
Le proteine possono assumere
strutture tridimensionali anche molto
complesse grazie ad interazioni di va-
rio tipo che si instaurano tra gli ami-
noacidi di cui esse sono composte. Tali
interazioni comprendono, tra le altre,
i legami a idrogeno (Figura 1.1).
Un’altra molecola le cui proprietà
sono fortemente condizionate dalla
presenza dei legami a idrogeno è Figura 1.1: Legame a idrogeno: intermolecolare tra due
l’acqua. Tali caratteristiche saranno molecole di acqua (A) e intramolecolare all’interno di una
Biochimica

proteina (B).
argomento del paragrafo successivo.

1.3 Le proprietà dell’acqua


L’acqua è una molecola polare e ciò ne fa il principale solvente delle soluzioni presenti
negli organismi viventi. Essa costituisce, mediamente, circa l’80% della massa di una
cellula.
La presenza di due atomi di idrogeno legati ad un atomo di ossigeno (molto elet-
tronegativo) porta alla formazione di legami a idrogeno tra le molecole d’acqua.
Biologia 997

Grazie alla presenza dei legami a idrogeno l’acqua presenta un elevato punto di
ebollizione (100◦ C), molto più alto di un composto come l’H2 S in cui non si possono
formare legami a idrogeno (lo zolfo si trova nello stesso gruppo dell’ossigeno nella
tavola periodica ma la temperatura di ebollizione dell’acido solfidrico è –60◦ C).
Questa caratteristica risulta fondamentale per gli organismi viventi, poiché un punto
di ebollizione più basso porterebbe ad un’evaporazione della maggior parte dell’acqua
presente sul nostro pianeta, rendendo impossibile la vita cosı̀ come la conosciamo.

L’acqua è dotata di un elevato calore di evaporazione e ciò fa sı̀ che quando evapora, le
molecole che lasciano il liquido portino con loro un’elevata quantità di calore. Questo
aspetto è ben noto quando fa molto caldo e si suda: l’evaporazione del sudore (che è
una soluzione acquosa) abbassa la temperatura del corpo.
Un’altra caratteristica dell’acqua, direttamente correlata alla presenza dei legami a
idrogeno tra le molecole, è l’elevato calore specifico.

Il calore specifico è la quantità di calore necessaria per aumentare di 1◦ C la temperatura


di un grammo di sostanza.

Questo aspetto implica che, fornendo una certa quantità di energia termica, la tempe-
ratura dell’acqua aumenta più lentamente di quella di quasi ogni altra sostanza. Negli
organismi viventi tale comportamento si traduce in una maggiore tendenza a mantenere
una temperatura interna il più possibile costante.
Le molecole di acqua si attraggono tra loro, grazie alla presenza dei legami a idro-
geno, e questa forza di attrazione è detta coesione. Una conseguenza della coesione è
la tensione superficiale, che fa sı̀ che la superficie dell’acqua si presenti come una sorta
di pellicola sulla quale, ad esempio, possono camminare alcuni insetti.
Grazie alla sua natura polare l’acqua è in grado di attrarre molecole sia polari sia
cariche; questo tipo di attrazione è definita adesione.
La combinazione delle forze di adesione e di coesione è responsabile dei fenomeni
di capillarità. L’acqua, infatti, all’interno di tubi molto sottili è in grado di risalire,
contro la forza di gravità. Dal punto di vista degli organismi viventi questa capacità
è molto importante per i vegetali: attraverso i vasi molto sottili delle piante, infatti,
l’acqua è in grado di salire dal terreno fino alle foglie.
Infine, una caratteristica quasi unica dell’acqua è quella di aumentare il volume
occupato nel passaggio da liquido a solido, diminuendo cosı̀ la propria densità: in effetti
il ghiaccio galleggia sull’acqua. Questo è dovuto alla formazione, nel ghiaccio, di un
reticolo cristallino che porta le molecole d’acqua ad allontanarsi le une dalle altre,
occupando quindi un volume maggiore.
Si veda il link http://youtu.be/2GUt6QlNbWU per una panoramica sulle proprietà
Biologia

chimico-fisiche dell’acqua.

1.4 Le molecole organiche presenti negli organismi viventi e rispettive


funzioni
Le quattro principali classi di molecole organiche degli organismi viventi, definite ma-
cromolecole biologiche, sono i glicidi (o carboidrati o zuccheri), i lipidi, le proteine (o
protidi) e gli acidi nucleici.
998 La chimica dei viventi

1.4.1 Glicidi
I glicidi (o glucidi) sono costituiti da carbonio, idrogeno ed ossigeno con un rapporto tra
idrogeno ed ossigeno di 2:1, come nella molecola dell’acqua: questo è il motivo dell’altro
nome con cui si conoscono questi composti, ossia carboidrati (idrati di carbonio).
Una prima classificazione degli zuccheri è quella in:
monosaccaridi (o zuccheri semplici): costituiti da un’unica unità costitutiva;
disaccaridi: costituiti da due unità costitutive, ovvero due monosaccaridi;
oligosaccaridi: costituiti da tre a venti monosaccaridi;
polisaccaridi: costituiti da oltre venti monosaccaridi.
I monosaccaridi rappresentano delle unità monomeriche che si uniscono, mediante
reazioni di condensazione (Figura 1.2), a formare dei polimeri.

Una reazione è definita di condensazione quando due reagenti si uniscono mediante


eliminazione di una molecola a basso peso molecolare, tipicamente l’acqua.

Tutti i polimeri si ottengono mediante reazioni di condensazione. La formazione dei


monomeri a partire dal polimero, invece, è definita idrolisi e richiede la presenza di
una molecola d’acqua per ogni legame che deve essere spezzato.
Dal punto di vista chimico gli zuccheri contengono un carbonile, che può essere
di tipo aldeidico o chetonico (vedi Chimica § 11.9.5); questo consente di classificare
i glicidi in aldosi (con gruppo aldeidico) e chetosi (con gruppo chetonico). Oltre al
carbonile sono presenti gruppi ossidrilici, per cui i carboidrati sono classificabili come
poliidrossialdeidi o poliidrossichetoni.
I monosaccaridi sono classificabili in base al numero di atomi di carbonio da cui so-
no costituiti in triosi, tetrosi, pentosi, esosi, a seconda che contengano, rispettivamente,
tre, quattro, cinque o sei atomi di carbonio.
Unificando la classificazione per numero di atomi di carbonio ed il tipo di gruppo
carbonilico si possono ottenere, ad esempio, aldoesosi, chetopentosi, ecc. (Tabella 1.1).
Biochimica

Figura 1.2: Schema che rappresenta una generica reazione di condensazione tra monomeri (A) e una
generica reazione di idrolisi (B).
Biologia 999

Tra gli aldosi troviamo il ribosio e il desossiribosio, presenti negli acidi nucleici, e il glucosio,
la principale fonte energetica degli organismi viventi. Tra i chetosi troviamo il fruttosio e il
ribulosio, il cui derivato fosforilato entra in gioco nella fase di reazioni della fotosintesi nota
come ciclo di Calvin (§ 3.4.4).

I monosaccaridi tendono ad assumere


una struttura ciclica (Figura 1.3). Tra Nome Formula Classificazione
il gruppo carbonilico e un ossidrile del- bruta
la molecola, infatti, può avvenire una Ribulosio C5 H10 O5 Chetopentoso
reazione che porta alla formazione di Fruttosio C6 H12 O6 Chetoesoso
un semiacetale. Le forme cicliche pos- Ribosio C5 H10 O5 Aldopentoso
sono essere a cinque (furanosi ) o a sei Arabinosio C5 H10 O5 Aldopentoso
atomi di carbonio (piranosi ). Galattosio C6 H12 O6 Aldoesoso
Il fruttosio e il ribosio assumo- Glucosio C6 H12 O6 Aldoesoso
no una forma furanosica; il glucosio, Mannosio C6 H12 O6 Aldoesoso
invece, assume una forma piranosica. Tabella 1.1: I principali monosaccaridi.

Quando il glucosio si trova in forma ciclica, a seconda della posizione del gruppo OH in
posizione 1, che può essere sopra o sotto il piano della molecola, la struttura è chiama-
ta alfa o beta. La Figura 1.3 rappresenta le due forme di glucosio, il glucosio-α e il glu-
cosio-β.
Queste due strutture rappresentano due isomeri detti anomeri. Come vedremo più avanti,
questa diversa disposizione dell’ossidrile legato al carbonio 1 (carbonio anomerico) riveste una
notevole importanza nella funzione che svolgono i polisaccaridi ottenuti dal glucosio.

Figura 1.3: Formazione della struttura ciclica del glucosio. La reazione tra il gruppo aldeidico e l’ossidrile in
posizione 5 dà origine a una forma ad anello. A seconda dell’orientamento, nella forma ciclica, dell’ossidrile
in posizione 1, si possono ottenere le forme α o β.
Biologia

Quando il carbonio anomerico di un monosaccaride reagisce con un ossidrile presente


in un’altra molecola di monosaccaride, si ha la formazione di un legame detto legame
glicosidico.

La reazione tra due monosaccaridi dà origine ad un disaccaride. I disaccaridi più noti
sono il saccarosio (ottenuto per reazione tra α-glucosio e β-fruttosio) con formula bruta
C12 H22 O11 , il maltosio (ottenuto da due molecole di glucosio) e il lattosio (galattosio
+ glucosio) (Figura 1.4).
1000 La chimica dei viventi

Figura 1.4: Sintesi del lattosio mediante formazione del legame glucosidico tra una molecola di galattosio
e una di glucosio.

I polisaccaridi sono generalmente suddivisi in omopolisaccaridi (costituiti da mono-


saccaridi uguali) ed eteropolisaccaridi (costituiti da monosaccaridi diversi).
I polisaccaridi più noti sono omopolisaccaridi ottenuti per polimerizzazione del glu-
cosio. Tali composti sono il glicogeno (presente negli animali e nei funghi), l’amido
e la cellulosa (presenti entrambi solo nei vegetali). Il numero di molecole di glucosio
che costituiscono questi composti varia da qualche centinaio a qualche migliaio.
Il diverso ruolo svolto dai polisaccaridi dipende dal tipo di legame glucosidico che
tiene insieme le molecole di glucosio. I legami di tipo α(1→4) glicosidico (si legge
alfa uno quattro glicosidico) sono facilmente idrolizzabili perché la maggior parte degli
organismi possiede gli strumenti (gli enzimi) per potere operare questa reazione. Per
questa ragione l’amido e il glicogeno fungono da “magazzino” per lo stoccaggio del
glucosio. Quando un organismo necessita di questo monosaccaride, può attingere da
queste riserve, spezzando il polisaccaride nei monosaccaridi costituenti.
Il legame di tipo β(1→4) glicosidico, invece, è presente nei polisaccaridi con funzio-
ne strutturale, come la cellulosa. Questo polisaccaride è un costituente della parete
cellulare degli organismi vegetali. Pochi organismi possiedono il corredo enzimatico
necessario per effettuare l’idrolisi di questo legame. Gli esseri umani (e gli altri ani-
mali non erbivori), ad esempio, non sono in grado di digerire la cellulosa per cui essa
viene considerata, dal punto di vista nutrizionale, con il generico termine di “fibra
alimentare”.

Gli animali erbivori possono cibarsi di piante perché ospitano nel proprio apparato digerente
dei microrganismi in grado di digerire la cellulosa, liberando il glucosio, che viene poi assorbito
ed utilizzato per il metabolismo cellulare.

Un altro polisaccaride in cui è presente il legame di tipo β(1→4) glicosidico è la chitina.


Essa è presente nell’esoscheletro degli insetti e dei crostacei, ed è un costituente della
parete cellulare dei funghi e di molte alghe. Analogamente alla cellulosa, il legame
di tipo β(1→4) glicosidico è il motivo per cui tale sostanza ha una funzione di tipo
Biochimica

strutturale.
L’amido e il glicogeno, che presentano il legame α-glicosidico, sono polisaccaridi con
funzione di riserva di glucosio. La cellulosa e la chitina, in cui è presente il legame
β(1→4) glicosidico, hanno funzione strutturale.
Possiamo cosı̀ riassumere le funzioni dei glicidi negli organismi viventi:
funzione di riserva energetica (glucosio);
funzione strutturale e di sostegno (cellulosa, chitina);
Biologia 1001

associati alle proteine danno origine a complessi macromolecolari definiti glico-


proteine.

1.4.2 Lipidi

Dal punto di vista chimico i lipidi sono esteri di alcoli (di diversa natura) con acidi
grassi (acidi carbossilici a lunga catena).

I lipidi semplici sono costituiti da


carbonio, idrogeno e ossigeno, mentre Numero Numero Nome comune
i lipidi complessi possono contenere di atomi di doppi
anche fosforo e azoto. Sono insolubili di C legami
in acqua e solubili in solventi apolari, 4 0 Acido butirrico
anche se alcuni lipidi complessi pre- 12 0 Acido laurico
sentano un carattere anfipatico, pre- 14 0 Acido miristico
sentano cioè una certa solubilità sia 16 0 Acido palmitico
in solventi polari sia in solventi non 18 0 Acido stearico
polari. 20 0 Acido arachico
22 0 Acido behenico
L’alcol presente varia a seconda del
24 0 Acido lignocerico
tipo di lipide: nei gliceridi è il glicero-
16 1 Acido palmitoleico
lo, nei ceridi è un alcol a lunga catena,
18 1 Acido oleico
negli steridi è lo sterolo. La compo-
18 2 Acido linoleico
nente acida può essere satura (priva di 18 3 Acido linolenico
legami doppi) o insatura. I più comu- 20 4 Acido arachidonico
ni acidi grassi presenti nei lipidi sono 24 1 Acido nervonico
elencati in Tabella 1.2.
Gli acidi grassi sono combustibi- Tabella 1.2: I principali acidi grassi, saturi e insaturi.
li metabolici molto importanti soprat-
tutto per gli animali. Essi contengono atomi di carbonio in forma più ridotta rispetto
a quanto non lo siano nei carboidrati o nelle proteine; per questo motivo l’ossidazio-
ne dei grassi fornisce più energia di quella fornita dall’ossidazione di pari quantità di
carboidrati e proteine.

Considerando l’ossidazione di un grammo di sostanza, i glicidi e le proteine forniscono 4,1


kcal, un grasso fornisce 9,3 kcal, più del doppio.

I lipidi semplici sono i gliceridi (tra cui ricordiamo i trigliceridi), i ceridi (cere) e gli
Biologia

steridi.

I trigliceridi sono esteri in cui l’alcol, il glicerolo, è esterificato con tre molecole di
acido grasso (Figura 1.5).
La reazione inversa, ovvero l’idrolisi, può dare prodotti diversi a seconda che si operi
in ambiente basico o in ambiente acido.
1002 La chimica dei viventi

L’idrolisi acida dei trigliceridi porta alla formazione dei costituenti del lipide, ovvero
glicerolo e tre molecole di acido grasso. La reazione in ambiente basico, invece, definita
saponificazione, porta alla formazione di glicerolo e tre molecole di sale dell’acido
grasso. Questo sale è definito sapone.

A seconda del loro sta-


to di aggregazione i tri-
gliceridi possono essere
distinti in oli (liquidi a
temperatura ambiente) e
grassi (solidi a tempe- Figura 1.5: Reazione di esterificazione tra tre molecole di acido grasso e
una di glicerolo con formazione di un triacilglicerolo (trigliceride).
ratura ambiente), la cui
differenza dipende dalla
presenza delle insaturazioni. Gli oli, infatti, sono costituiti principalmente da acidi
grassi insaturi, mentre i grassi sono prevalentemente costituiti da acidi grassi saturi.
Le cere sono esteri di alcoli a lunga catena con acidi grassi a lunga catena.
La cera d’api è costituita principalmente da palmitato di miricile. Le cere sono
distribuite in modo esteso in natura ed hanno principalmente funzione protettiva: si
trovano infatti sulla superficie di foglie, frutti, piume e negli esoscheletri.
Negli steridi l’alcol caratteristico è lo sterolo.
Il più abbondante sterolo delle cellule ani-
mali è il colesterolo. Esiste sia libero sia
in forma di steride, esterificato con un acido
grasso. Il colesterolo ha una struttura costi-
tuita da quattro anelli e una coda alifatica ed
è un componente fondamentale delle mem-
brane cellulari animali ed è invece assente
nei vegetali. Oltre a questo ruolo struttura-
le, il colesterolo ha una funzione metabolica
importante come precursore di ormoni: te-
stosterone, estrogeni, progesterone, cortisolo,
tanto per citarne alcuni. Figura 1.6: Rappresentazione schematica di un
I lipidi complessi si dividono in due gran- fosfolipide. È evidenziata la doppia natura della
di categorie: i glicolipidi (tra i quali ri- molecola, con una testa polare idrofila e una coda
apolare idrofobica.
cordiamo i cerebrosidi e i gangliosidi) e i
fosfolipidi.
Nei glicolipidi uno zucchero è legato in
modo covalente ad un lipide.
I fosfolipidi sono i costituenti principa-
Biochimica

li delle membrane biologiche. Sono simili ai


trigliceridi, con la differenza che uno dei tre Figura 1.7: Doppio strato lipidico. Le code idro-
ossidrili del glicerolo è esterificato con acido fobiche si affrontano mentre le teste polari sono
fosforico che, a sua volta, è legato ad una mo- rivolte verso il mezzo esterno acquoso.
lecola polare. È proprio la presenza di questa
parte polare che rende i fosfolipidi cosı̀ importanti. Essi presentano, infatti, una par-
te polare, quindi idrofila, ed una parte apolare costituita dalle catene di acidi grassi.
Schematicamente è possibile rappresentare un fosfolipide mediante una testa, polare, e
due code apolari (Figura 1.6).
Biologia 1003

Grazie a questa conformazione, in un mezzo acquoso i fosfolipidi si dispongono sponta-


neamente in modo da rivolgere la testa polare verso l’acqua, con le code apolari rivolte
le une verso le altre in modo da evitare il più possibile il contatto col mezzo acquoso.
Si vengono cosı̀ a formare delle strutture micellari di forma sferica e dei doppi strati
lipidici (Figura 1.7).

Le membrane biologiche sono costituite da doppi strati lipidici costituiti principalmente


da fosfolipidi, i quali ne formano la struttura di base. A questa struttura si associano
anche proteine in modo da formare una membrana dotata di permeabilità selettiva.

Negli organismi viventi i lipidi hanno le seguenti funzioni:

riserva energetica;

funzione strutturale (membrane biologiche);

regolazione, attraverso ormoni lipidici e vitamine liposolubili;

isolamento elettrico (guaina mielinica delle cellule nervose);

isolamento termico negli animali;

impermeabilità (epidermide, piume).

1.4.3 Proteine

Le proteine (o peptidi) sono polimeri i cui monomeri sono rappresentati


dagli aminoacidi. Gli aminoacidi sono cosı̀
chiamati a causa della presenza, nella loro
molecola, di un gruppo acido (carbossilico)
e un gruppo amminico. L’atomo di carbo-
nio a cui sono legati questi due gruppi è
detto carbonio alfa (Cα). Tale atomo di
carbonio presenta anche un legame con un
atomo di idrogeno e poi un gruppo latera- Figura 1.8: Struttura di un generico aminoacido.
Per convenzione, gli L-aminoacidi sono disegnati
le, genericamente detto R, caratteristico di con il gruppo amminico a sinistra, mentre i D-
ogni aminoacido (Figura 1.8). aminoacidi con amminogruppo a destra.
Biologia

A parte la glicina, in cui R è un atomo di idrogeno, tutti gli aminoacidi presentano isomeria
ottica, in quanto il carbonio alfa è un centro stereogenico. Ciò fa sı̀ che esistano due enantiomeri
per ciascun aminoacido, definiti L o D. Negli organismi viventi, a parte rare eccezioni, esistono
prevalentemente L-aminoacidi.

Nella maggior parte delle proteine sono presenti 20 aminoacidi. Essi presentano diverse
caratteristiche a seconda del gruppo R, per cui è possibile effettuare una classificazione
in base a tale gruppo:
1004 La chimica dei viventi

1. Non polari (gruppo R alifatico): glicina, alanina, valina, leucina, isoleucina, me-
tionina, prolina.
2. Aromatici: fenilalanina, tirosina, triptofano.
3. Polari: serina, treonina, cisteina, asparagina, glutammina.
4. Polari e carichi: istidina, acido aspartico, acido glutammico, arginina, lisina.
Si possono distinguere gli aminoacidi in essenziali e non essenziali per un organismo.
Un aminoacido essenziale non può essere sintetizzato da quel determinato organismo,
per cui deve essere introdotto dall’esterno.
Per l’uomo gli aminoacidi essenziali sono 8: fenilalanina, isoleucina, leucina, lisina,
metionina, treonina, triptofano, valina. A questi si aggiungono, nei bambini, arginina
e istidina.
Quando due aminoacidi si legano per formare un peptide, la reazione avviene tra il
carbossile del primo aminoacido e l’amminogruppo del secondo. Il particolare legame
ammidico che si viene a formare è definito legame peptidico (Figura 1.9).

I composti formati da un numero di


aminoacidi compreso tra 2 e 20 so-
no definiti oligopeptidi. Si definisco-
no peptidi le molecole costituite da
un numero di aminoacidi compreso tra
20 e 100, mentre consideriamo poli-
peptidi o proteine le molecole costi-
tuite da un numero maggiore di 100
aminoacidi.
Le proteine possono essere de-
scritte da un massimo di quattro li- Figura 1.9: Legame peptidico tra due aminoacidi. Per
velli strutturali: struttura primaria, convenzione la sequenza peptidica inizia dall’estre-
secondaria, terziaria e quaternaria. mo ammino-terminale (o N-terminale) e termina con
l’estremo carbossi-terminale (o C-terminale).
La struttura primaria di una proteina è costituita dalla sequenza di aminoacidi che la
compongono.

Ad esempio, un peptide costituito da sette aminoacidi potrebbe avere la seguente


struttura primaria: –Ala–Glu–Val–Thr–Asp–Pro–Gly–.
Biochimica

La struttura secondaria consiste in una regolare ripetizione di conformazioni dello


scheletro polipeptidico. Essa dipende dai legami a idrogeno che si vengono a formare tra
i legami peptidici presenti nella proteina, determinando un ripiegamento della struttura
e portando alla realizzazione di due tipiche conformazioni (Figura 1.10):
alfa-elica (α-elica)
foglietto beta (β sheet)
Biologia 1005

Le strutture ad α-elica
sono costituite da un fi-
lamento dato dalla suc-
cessione di legami pepti-
dici e atomi di carbonio
α che si dispone secondo
una spirale che si avvol-
ge in modo destrorso. Il
numero di ponti idroge-
no che si forma è eleva-
tissimo e quindi l’α-elica
risulta stabilizzata.
Le strutture a fogliet-
to β si sviluppano quan-
do fasci di catene all’in-
circa lineari si dispongo- Figura 1.10: Strutture secondarie delle proteine. A sinistra una struttura
di tipo α elica; a destra, in alto un foglietto β parallelo, in basso una
no in modo da appaiarsi. struttura a foglietto β antiparallelo.
Qui scatta la possibilità
di avere dei legami a idrogeno tra strutture peptidiche che si affacciano tra loro. L’al-
lineamento può essere parallelo o antiparallelo. Nell’organizzazione parallela le cate-
ne molecolari sono orientate in modo da avere tutte dalla stessa parte l’N-terminale.
In questo caso è presente una sensibile distorsione a livello dei legami a idrogeno e
di conseguenza la struttura sarà meno stabile rispetto alla struttura ad andamento
antiparallelo, nella quale i legami peptidici si affrontano senza distorsione.
La struttura terziaria deriva dalla combinazione delle strutture secondarie e consi-
ste nella conformazione tridimensionale biologicamente attiva, o nativa, della proteina
stessa.
Un’importante caratteristica della struttura terziaria è il ripiegamento a distanza, in
conseguenza del quale aminoacidi assai distanziati nella struttura primaria vengono a
trovarsi vicini. La struttura terziaria delle proteine consiste spesso di diversi domini,
unità compatte, collegati da segmenti polipeptidici (Figura 1.11).

La struttura terziaria delle proteine è ottenuta mediante un processo definito folding. In que-
sto meccanismo intervengono delle proteine, tra cui le chaperonine, che “aiutano” le proteine
nel raggiungere la loro forma tridimensionale corretta.

La struttura quaternaria di una proteina indica il modo attraverso il quale due o più
catene polipeptidiche si associano tramite interazioni non covalenti o legami trasversali
Biologia

covalenti.
La struttura che ne risulta è detta oligomero e le catene peptidiche costituenti sono
dette monomeri o subunità. Non tutte le proteine presentano struttura quaternaria.

Un esempio di proteina con struttura quaternaria è l’emoglobina, costituita da quattro catene


uguali due a due.

Le proteine possono andare incontro ad un processo opposto al folding, perdendo cioè


la loro struttura nativa. Questo fenomeno è definito denaturazione e può avvenire a
1006 La chimica dei viventi

Figura 1.11: Livelli di organizzazione delle proteine. Si veda anche il link http://youtu.be/lijQ3a8yUYQ
causa di diversi fattori, tra cui l’elevata temperatura, le variazioni di pH e la presenza
di reagenti chimici. In alcuni casi la denaturazione può essere reversibile e la proteina
recupera la propria struttura: tale meccanismo è definito rinaturazione.
Negli organismi viventi le proteine assolvono diverse funzioni:
trasporto: ad esempio l’emoglobina presente nei globuli rossi del sangue trasporta
l’ossigeno dai polmoni al resto del corpo; le proteine di trasporto della membrana
plasmatica permettono l’ingresso di specifiche molecole all’interno delle cellule;
Biochimica

catalizzatori biologici: molte proteine hanno attività catalitica, si comportano


cioè da enzimi;
molecole di deposito: la ferritina funge da riserva di ferro mentre l’ovalbumina è
fonte di aminoacidi per l’embrione;
motilità: ad esempio actina e miosina, coinvolte nella contrazione muscolare;
strutturale e supporto meccanico: ad esempio collagene, elastina, cheratina, pro-
teine del citoscheletro;
Biologia 1007

recettori: catturano i segnali che giungono alle cellule, come i recettori di mem-
brana per i neurotrasmettitori o i recettori ormonali;
risposta immunitaria: gli anticorpi;
segnalazione (ormoni): gli ormoni sono coinvolti in molti aspetti del metabolismo
e della crescita cellulare;
regolazione dell’espressione genica.

1.4.4 Acidi nucleici

Gli acidi nucleici sono macromolecole ad elevato peso molecolare e sono suddivise in
due tipologie: gli acidi desossiribonucleici (DNA) e gli acidi ribonucleici (RNA). I due
tipi di acidi nucleici hanno funzioni diverse e presentano alcune sostanziali differenze
che vedremo in seguito.

Gli acidi nucleici sono strutture polimeri-


che in cui l’unità di base è rappresentata
dal nucleotide. Ogni nucleotide è costitui-
to da tre elementi: una base azotata, un
monosaccaride e un gruppo fosfato.
Le basi azotate appartengono a due fami-
glie di composti eterociclici, le pirimidine e
le purine. Sono basi pirimidiniche la cito-
sina, la timina e l’uracile, mentre sono ba-
si puriniche l’adenina e la guanina (Figura
1.12).
Ogni acido nucleico contiene quat-
tro tipi di basi azotate; il DNA
contiene adenina, citosina, gua-
nina e timina, mentre nell’RNA la Figura 1.12: Le basi azotate presenti negli acidi
timina è sostituita dall’uracile. nucleici.

Il monosaccaride presente negli acidi desossiribonucleici è il desossiribosio, mentre negli


acidi ribonucleici è il ribosio. I due zuccheri si differenziano unicamente per l’assenza,
nel desossiribosio, di un ossidrile in posizione 2’. Tale differenza ha notevoli implicazioni
sulla reattività differenziale delle due molecole.
La molecola costituita dalla base azotata e dallo zucchero è definita nucleoside.
Biologia

Questo reagisce con una molecola di acido fosforico (gruppo fosfato) dando origine al
nucleotide (Figura 1.13 e Tabella 1.3).

I nucleotidi formano gli acidi nucleici mediante reazioni di condensazione che avvengono
tra la posizione 3’ (contenente il gruppo ossidrile) di un nucleotide e la posizione 5’ (con-
tenente il gruppo fosfato) del secondo nucleotide. Tale reazione porta alla formazione
di un legame detto fosfodiestereo.
1008 La chimica dei viventi

Figura 1.13: Formazione del nucleoside (costituito da una base e uno zucchero) e del nucleotide (in cui il
nucleoside si unisce a uno, due o tre gruppi fosforici).

Base Nucleoside Nucleotide Acido Nucleico


Adenosina Adenosina –fosfato RNA
Adenina
Deossiadenosina Deossiadenosina –fosfato DNA
Guanosina Guanosina –fosfato RNA
Guanina
Deossiguanosina Deossiguanosina –fosfato DNA
Citidina Citidina –fosfato RNA
Citosina
Deossicitidina Deossicitidina –fosfato DNA
Timidina o Timidina –fosfato o
Timina DNA
deossitimidina deossitimidina –fosfato
Uracile Uridina Uridina –fosfato RNA

Tabella 1.3: Nomenclatura delle basi e dei rispettivi nucleosidi e nucleotidi. Il nome del nucleotide può
essere monofosfato, difosfato o trifosfato a seconda del numero di gruppi fosfato presenti.

Il primo nucleotide della sequenza avrà la posizione 5’ non impegnata in alcun legame
(cioè libera): si dice che questo rappresenta l’estremità 5’ del filamento di acido nucleico.
L’ultimo nucleotide, invece, avrà la posizione 3’ libera, non coinvolta in alcun legame.
Il filamento di acido nucleico, quindi, ha una direzionalità 5’-3’.
Il DNA assume una tipica struttura a doppio filamento, o doppia elica. I due fi-
lamenti decorrono con polarità opposta (sono antiparalleli), uno in direzione 5’-3’ e
l’altro in direzione 3’-5’. Le basi azotate dei due filamenti si affrontano in modo com-
plementare mediante formazione di legami a idrogeno. L’appaiamento è sempre tra una
adenina (A) e una timina (T), mediante due legami a idrogeno, e tra una citosina (C)
e una guanina (G), mediante tre legami a idrogeno (Figura 1.14).

Se, ad esempio, un filamento presenta la sequenza di basi: 5’ – C A T G C G T T A A


T G – 3’, il filamento complementare sarà il seguente: 3’ – G T A C G C A A T T A C
– 5’.
Biochimica

La struttura a doppia elica del DNA è stata determinata nel 1953 da James Watson
e Francis Crick. Essi ricevettero per tale scoperta il premio Nobel per la medicina nel
1962, insieme a Maurice Wilkins.
La doppia elica presenta due strutture, i solchi. Questi solchi possono avere diversa
ampiezza e si distinguono in un solco maggiore e un solco minore (Figura 1.15).
Per una panoramica sulla struttura del DNA si consiglia la visione del video presente
al link http://youtu.be/ZGHkHMoyC5I.
Biologia 1009

Figura 1.14: Appaiamento delle basi complementari in un doppio filamento di DNA. È evidenziata la
formazione di due legami a idrogeno tra le basi adenina e timina e di tre legami a idrogeno tra citosina e
guanina.

Il DNA, nella struttura determinata da Watson e Crick, è definito come forma B. Una forma
alternativa si può ottenere in condizioni di disidratazione: si tratta della forma A. Esiste poi
una forma in cui la molecola risulta stirata ed è la forma Z, in cui è presente un solo solco. Le
forme A e B sono destrorse mentre la forma Z è sinistrorsa (Figura 1.16).

Biologia

Figura 1.15: Struttura a doppio filamento del Figura 1.16: Le diverse forme del DNA. La forma
DNA. Sono evidenziati il solco maggiore e il solco naturale e fisiologica è la forma B.
minore.
1010 La chimica dei viventi

In un DNA la quantità di adenina è sempre uguale a quella di timina (%A = %T),


mentre quella di citosina è sempre uguale a quella di guanina (%C = %G). Questa
evidenza va sotto il nome di regola di Chargaff (dal nome del biochimico Erwin
Chargaff che studiò la composizione in basi del DNA).
Esiste un’altra regola di Chargaff, conseguenza della precedente, che afferma che la
quantità di basi puriniche (A+G) è uguale alla quantità di basi pirimidiniche (T+C).
Tale rapporto è costante in tutte le specie, ma le percentuali delle diverse basi variano
da specie a specie.

Se viene fornita la quantità percentuale di una base in un DNA è possibile, utilizzando


le regole di Chargaff, determinare la quantità delle altre tre basi. Ad esempio, se la
percentuale di citosina è il 15%, dal momento che %C = %G, ottengo la percentuale di
guanina, che sarà il 15%. La somma delle due basi è 30%, ciò significa che la somma
delle due basi rimanenti deve dare 70% (100-30). Visto che le due basi A e T devono
essere presenti in quantità uguali, basterà dividere per 2 il 70%, ottenendo cosı̀ 35% per
la adenina e 35% per la timina.

La doppia elica del DNA può andare incontro, come avviene nelle proteine, a denatu-
razione. L’aumento di temperatura, per esempio, può portare alla rottura dei legami
a idrogeno che tengono insieme i due filamenti, portando allo “srotolamento” della
struttura tridimensionale dell’acido nucleico. Questo fenomeno, reversibile, è alla base
di tecniche di biologia molecolare come la PCR (vedi § 4.9.3).
Gli acidi ribonucleici sono di tre tipi: rRNA (RNA ribosomale), tRNA (RNA
transfer o RNA di trasporto) e mRNA (RNA messaggero). Ciascuno di questi RNA
ha un ruolo specifico nelle cellule, come vedremo in un capitolo successivo (vedi § 4.6.6).
Tutti gli RNA hanno la caratteristica di non associarsi a formare doppi filamenti ma
di rimanere a singolo filamento, anche se alcuni presentano strutture complesse come i
tRNA.
Gli acidi nucleici hanno funzioni molto importanti nelle cellule. La Tabella 1.4
mostra le differenze tra DNA e RNA e i loro ruoli negli organismi viventi.

Acido Zucchero Basi presenti Struttura Funzione


Nucleico
DNA Desossiribosio Adenina, citosina, gua- Doppio fi- Depositario dell’infor-
nina, timina lamento mazione genetica
mRNA Ribosio Adenina, citosina, gua- Singolo fi- Trasferimento dell’in-
nina, uracile lamento formazione genetica
dal DNA al luogo
Biochimica

di sintesi proteica
(ribosomi)
rRNA Ribosio Adenina, citosina, gua- Singolo fi- Ruolo strutturale nella
nina, uracile lamento costituzione dei riboso-
mi
tRNA Ribosio Adenina, citosina, gua- Singolo fi- Trasporto specifico di
nina, uracile lamento aminoacidi nel corso
della sintesi proteica

Tabella 1.4: Caratteristiche distintive e funzioni degli acidi nucleici .


Biologia 1011

1.5 Il ruolo degli enzimi


Le reazioni chimiche che avvengono nelle cellule non procederebbero a velocità sufficien-
te, in condizioni fisiologiche, se non fossero presenti dei catalizzatori. Tali catalizzatori
biologici sono gli enzimi.

Un catalizzatore è una sostanza in grado di aumentare la velocità di una reazione


chimica diminuendo l’energia di attivazione necessaria allo svolgimento della reazione
stessa. Nella reazione a cui prende parte, il catalizzatore non si consuma (Figura 1.17).

Figura 1.17: La presenza del catalizzatore ab- Figura 1.18: Il sito attivo di un enzima è una
bassa il livello energetico al quale si forma lo sta- parte della proteina in grado di ospitare il sub-
to di transizione, aumentando la velocità della strato. Nell’esempio, l’enzima esochinasi agisce
reazione. trasformando il glucosio in glucosio-6-fosfato.

Dal punto di vista chimico gli enzimi sono, per la quasi totalità, proteine. Esiste una
categoria di enzimi di natura non proteica, costituiti da acidi ribonucleici; si tratta di
RNA catalitici ai quali è stato dato il generico nome di ribozimi.
Gli enzimi sono dotati di elevata specificità per i substrati (reagenti) su cui agi-
scono. Si veda il link http://youtu.be/E- r3omrnxw.
La reazione avviene in una zona specifica dell’enzima definita sito attivo o sito
catalitico (Figura 1.18)
Dal punto di vista della nomenclatura, gli enzimi hanno in genere un nome che
ricorda la reazione che catalizzano e terminano con un suffisso in –asi (ad esempio la
DNA ligasi è un enzima che unisce frammenti di DNA).
È possibile effettuare una classificazione degli enzimi in base alla tipologia di rea-
zione che catalizzano (vedi Tabella 1.5).

Numero Nome della Tipo di reazione Schema di reazione


della classe
Biologia

classe
1 Ossidoreduttasi Reazioni di ossido-riduzione AH2 + B
A+BH2
2 Transferasi Trasferimento di strutture AB + C
A + BC
3 Idrolasi Scissione idrolitica AB + H2 O
A + B
4 Liasi Formazione o scissione di un AB
A + B
composto in modo reversibile
5 Isomerasi Spostamento di gruppi chimici A
B
all’interno di una molecola
6 Ligasi Unione di due molecole A + B + C → AB + X + Y
Tabella 1.5: Suddivisione in classi degli enzimi.
1012 La chimica dei viventi

Le ossidoreduttasi catalizzano reversibilmente il trasferimento di unità riducenti da


un donatore ad un accettore. Sono enzimi sempre associati ad un cofattore o ad un
coenzima (vedi § 1.5.1). Alcune vitamine sono precursori dei coenzimi delle ossido-
riduzioni, ad esempio la riboflavina (vitamina B2 ) da cui si forma il FAD e la niacina
(vitamina B3 ) da cui origina il NAD+ .
Le transferasi catalizzano reazioni in cui una struttura viene trasferita da un
componente ad un altro. Ad esempio le transaminasi trasferiscono un gruppo amminico
da un aminoacido ad un’altra molecola.
Le idrolasi promuovono la scissione o la formazione di un composto con la par-
tecipazione di acqua come cosubstrato. Tra questi enzimi ricordiamo le glicosidasi, le
proteasi e le nucleasi.
Le liasi promuovono la formazione o la scissione di un composto. Tra queste ricor-
diamo le decarbossilasi.
Le isomerasi trasformano un isomero in un altro. Tra queste troviamo la fosfoglu-
cosio isomerasi, che entra in gioco nella glicolisi.
Le ligasi, infine, catalizzano l’unione, o ligazione, di due molecole; tra queste
troviamo la piruvato carbossilasi.
Alcuni enzimi presentano un sito allosterico. In questa posizione si va a legare
una piccola molecola detta effettore. Tale effettore può avere attività di stimolazione
o inibizione dell’attività enzimatica; questi regolatori, quindi, a seconda del loro ruolo
vengono chiamati attivatori allosterici o inibitori allosterici.

1.5.1 Coenzimi e cofattori


Molti enzimi richiedono delle sostanze accessorie affinchè possano funzionare: tali so-
stanze sono definite cofattori (generalmente sono ioni metallici, ad esempio ferro,
rame, manganese) o coenzimi (molecole più complesse come i derivati vitaminici o le
vitamine stesse).
Una famiglia molto importante di coenzimi è rappresentata dai coenzimi delle
ossido-riduzioni NAD+ , NADP+ e FAD, di cui si parlerà in un capitolo successivo
(§ 3.2).
Alcuni coenzimi sono definiti gruppi prostetici e tra questi troviamo il gruppo eme,
costituente dei citocromi oltreché dell’emoglobina.

Il gruppo prostetico è la parte della molecola di una proteina coniugata non derivata
da amminoacidi, cioè la parte non proteica della molecola.

1.5.2 Vitamine
Molti organismi non sono in grado di sintetizzare alcune molecole essenziali per il
Biochimica

proprio metabolismo e il funzionamento di molti enzimi. Si tratta delle vitamine.


Queste sostanze, in genere, opportunamente modificate danno origine a coenzimi.
Una prima grande suddivisione delle vitamine è tra idrosolubili e liposolubili.
Le vitamine idrosolubili non vengono immagazzinate nel nostro organismo per cui è
necessario introdurle quotidianamente con la dieta. Il sovradosaggio non ha, in genere,
effetti nocivi. Le vitamine liposolubili, invece, dal momento che possono immagazzi-
narsi nel nostro organismo e non sono facilmente eliminabili, possono dare luogo a
fenomeni tossici da ipervitaminosi.
Biologia 1013

Vitamine liposolubili
La vitamina A, o retinolo, è una molecola lipidica ottenuta dal β-carotene. Essa può
esistere in tre forme: il retinolo, il retinale e l’acido retinoico. Il retinale funge da gruppo
prostetico per la rodopsina, una proteina presente nei fotorecettori della retina. Quando
la luce colpisce il retinale, il risultato finale è la generazione di un impulso nervoso che
viaggia attraverso il nervo ottico fino al cervello. La vitamina A è necessaria per lo
sviluppo embrionale, la crescita ossea e per la funzione testicolare e ovarica.
Con il nome di vitamina D si intende un gruppo di molecole lipidiche. A seguito
di esposizione della pelle alla luce solare, il precursore 7-deidrocolesterolo viene trasfor-
mato in colecalciferolo (vitamina D3 ). La forma attiva della vitamina D3 è denominata
1,25-diidrossicolecalciferolo. La vitamina D regola l’assorbimento intestinale di calcio e
la mineralizzazione delle ossa. La carenza di vitamina D porta al rachitismo nei bambini
e a osteomalacia negli adulti.
La vitamina E, o tocoferolo, ha principalmente attività antiossidante. Una carenza
è rara ma quando è presente può portare a danni neuronali.
La vitamina K è un gruppo di composti di cui il più presente nella dieta umana
è il fillochinone, o vitamina K1 . La vitamina K2 è sintetizzata da batteri simbionti
presenti nell’intestino umano. La vitamina K favorisce la coagulazione del sangue in
quanto promuove la sintesi della forma attiva della protrombina e di altri fattori di
coagulazione.
Vitamine idrosolubili
La niacina, o vitamina B3 , è il precursore dei coenzimi NAD+ e NADP+ , coinvolti
nelle reazioni di ossido-riduzione. È anche definita vitamina PP (pellagra preventing)
e fu scoperta durante gli studi sulla patologia definita pellagra. Con il termine niacina
si intende l’acido nicotinico e il suo derivato la nicotinammide.
La riboflavina, o vitamina B2 , è il precursore dei coenzimi FMN e FAD, uti-
lizzati in molte reazioni di ossido-riduzione. Essa ha anche un ruolo importante nella
conversione della vitamina B6 nelle sue forme coenzimatiche attive.
L’acido pantotenico, o vitamina B5 , è il precursore del coenzima A, molecola
molto importante dal punto di vista metabolico.
La tiamina, o vitamina B1 , è il precursore del coenzima tiamina pirofosfato
(TPP), che fa da gruppo prostetico per alcuni enzimi molto importanti, come ad
esempio la α-chetoglutarato deidrogenasi del ciclo di Krebs.
La vitamina B6 si presenta nelle forme piridossina, piridossale e piridossalfosfato.
Quest’ultimo è la forma attiva ed è coenzima di transferasi come le transaminasi.
La biotina (nota un tempo come vitamina H) svolge il ruolo di coenzima nelle
reazioni di carbossilazione ATP-dipendenti. Essa è presente in enzimi quali la piruvato
carbossilasi e la acetil CoA carbossilasi (implicata nella sintesi degli acidi grassi).
Biologia

L’acido folico, o vitamina B9 , è importante per la formazione dei globuli rossi. È


consigliato l’aumento di assunzione prima e durante la gravidanza (almeno per il primo
trimestre) per il ruolo della vitamina nel prevenire malformazioni fetali. La forma attiva
è il tetraidrofolato, coinvolto nelle reazioni di trasferimento di unità monocarboniose,
nella sintesi delle basi azotate puriniche e nella sintesi della timina.
La vitamina B12 , o cobalamina, è una molecola contenente cobalto. Le forme attive
sono la adenosilcobalamina e la metilcobalamina. È fondamentale per la sintesi dei
nucleotidi del DNA (deossinucleotidi).
1014 La chimica dei viventi

L’assunzione della vitamina B12 è dipendente dalla produzione, da parte dello sto-
maco, di una proteina definita fattore intrinseco. Il complesso formato dalla vitamina
con il fattore intrinseco viene riconosciuto e assorbito dalle cellule dell’intestino te-
nue. Gli individui vegetariani estremi (vegani) devono spesso utilizzare integratori di
vitamina B12 .
La vitamina C, o acido L-ascorbico, è fondamentale per la formazione del
collagene e per l’assorbimento del ferro.

1.6 Quesiti

1) Rivestono maggiore importanza biologi- E è dovuto all’interazione dell’ossigeno


ca in quanto costituiscono circa il 96% dotato di parziale carica positiva di
della materia vivente gli elementi: una molecola con l’idrogeno dotato
di parziale carica negativa di un’altra
A Carbonio (C), azoto (N), ferro (Fe)
molecola o della stessa molecola
B Idrogeno (H), ossigeno (O)
4) Possono partecipare alla formazione di
C Carbonio (C), idrogeno (H), ossigeno
legami a idrogeno:
(O), azoto (N)
D Fosforo (P), zolfo (S), carbonio (C) A solo atomi di ossigeno e idrogeno
E Carbonio (C), idrogeno (H), iodio (I),
B solo atomi di idrogeno
ferro (Fe)
2) L’azoto (N) si trova in molte molecole C solo atomi di ossigeno
d’importanza biologia tra cui:
D ossigeno, azoto e fluoro
A i fosfolipidi
E ossigeno, carbonio e azoto
B i carboidrati
C i monosaccaridi 5) In quale struttura non è presente il
monomero di glucosio:
D le proteine e gli acidi nucleici
E i monosaccaridi e i polisaccaridi A saccarosio
3) Si può affermare che il legame a B glicogeno
idrogeno nell’acqua:
A è dovuto all’interazione dell’ossigeno C amido
dotato di parziale carica negativa di
D cellulosa
una molecola con l’idrogeno dotato
di parziale carica positiva di un’altra E fruttosio
molecola
B è dovuto all’interazione dell’ossigeno 6) La sequenza degli amminoacidi:
dotato di parziale carica negativa di
una molecola con l’idrogeno dotato A rappresenta la struttura primaria delle
di parziale carica positiva della stessa proteine
molecola
Quesiti

B rappresenta la struttura secondaria


C è dovuto all’interazione dell’ossigeno
delle proteine
dotato di parziale carica positiva di
una molecola con l’idrogeno dotato C rappresenta la struttura terziaria delle
di parziale carica negativa di un’altra proteine
molecola
D è dovuto all’interazione dell’ossigeno D rappresenta la struttura quaternaria
dotato di parziale carica positiva di delle proteine
una molecola con l’idrogeno dotato di E non influisce sulla struttura delle protei-
parziale carica negativa della stessa ne
molecola
Biologia 1015

7) Denaturare una proteina significa: 9) Un enzima interagisce con il substrato:


A far sı̀ che si perda il folding proteico A a livello del sito allosterico
B rompere i legami covalenti tra gli B a livello del sito attivo
amminoacidi
C sia a livello del sito allosterico che al
C distruggere la struttura primaria della livello del sito attivo
proteina
D e rende la reazione spontanea
D sostituire alcuni amminoacidi della
sequenza con altri di altra natura E e rende possibili reazioni che non
avverrebbero mai
E aggiungere amminoacidi alla catena
peptidica 10) Non è vero che il colesterolo:
8) La denaturazione di una molecola di A è un lipide
DNA:
B ha una struttura base costituita da
A è impossibile quattro anelli condensati
B consiste nella rottura dei legami glico- C è un costituente delle membrane cellu-
disici delle catene polinucleotidiche lari animali
C consiste nella separazione dei due D è costituito da molti atomi di carbo-
filamenti complementari nio legati tra loro a formare una catena
D consiste nella sostituzione di alcuni lineare
nucleotidi con altri di diversa natura E è la sostanza di partenza per la sintesi
E nella sua conversione in RNA degli ormoni steroidei

1.7 Soluzioni commentate ai quesiti


1) C . Molteplici elementi sono considerati essenziali per la vita, ma tra essi il carbonio
(C), l’idrogeno (H), l’ossigeno (O) e l’azoto (N) costituiscono circa il 96% della ma-
teria vivente. Altri elementi chimici come fosforo (P), zolfo (S), calcio (Ca), potassio
(K), sodio (Na), ferro (Fe), cloro (Cl) e magnesio (Mg) rappresentano circa il 4%
della materia vivente. Esistono inoltre gli oligoelementi o microelementi, che costi-
tuiscono meno dello 0,01% della materia vivente, ma sono comunque essenziali per
molti organismi: iodio (I), zinco (Zn), boro (B), cromo (Cr), rame (Cu), manganese
(Mn), fluoro (F), selenio (Se), silicio (Si), stagno (Sn), vanadio (V).

2) D . L’azoto è un elemento presente nella struttura sia degli amminoacidi (che costi-
tuiscono le proteine), sia delle basi azotate (che sono parte dei nucleotidi, monomeri
alla base della struttura degli acidi nucleici).

3) A . Il legame a idrogeno è possibile grazie alla presenza di idrogeno legato ad un ato-


mo fortemente elettronegativo (che quindi rende l’idrogeno parzialmente positivo) e
un altro atomo (non necessariamente l’ossigeno) con una parziale carica negativa. In
generale tale interazione può avvenire tra atomi di molecole diverse (intermolecola-
Biologia

re) ma anche tra atomi della stessa molecola (intramolecolare). Nel caso del legame
a idrogeno tra le molecole d’acqua, l’ossigeno che lega covalentemente i due idro-
geni, essendo il più elettronegativo, trattiene maggiormente gli elettroni di legame,
quindi ha una parziale carica negativa, mentre gli idrogeni risultano parzialmen-
te positivi. Le interazioni deboli che si formano tra ossigeno e idrogeno in questo
caso sono possibili solo tra molecole diverse, non all’interno della stessa molecola
come avviene in altri casi (ad esempio nella molecola di una proteina si formano
numerosissimi legami idrogeno intramolecolari).
1016 La chimica dei viventi

4) D . Il legame a idrogeno avviene sempre tra idrogeno e un altro atomo forte-


mente elettronegativo e con doppietti elettronici disponibili, come possono essere
l’ossigeno, l’azoto e il fluoro.

5) E . Glicogeno, amido e cellulosa sono tutti polisaccaridi ed in particolare polimeri


del glucosio. Il saccarosio è un dimero di glucosio e fruttosio, che sono entrambi
monosaccaridi. Il fruttosio è un monosaccaride, quindi non costituito da monomeri
di glucosio.

6) A . Le proteine sono caratterizzate da una struttura primaria (che coincide con


la sequenza di amminoacidi che costituisce la catena polipeptidica), una struttura
secondaria, una struttura terziaria ed eventualmente una quaternaria. La struttura
secondaria dipende dal fatto che gli amminoacidi della catena interagiscono tra loro
(interazioni deboli intermolecolari) attraverso le loro catene laterali e si organizza-
no nello spazio formando dei motivi strutturali (l’α-elica ed il β-foglietto), quindi
una prima organizzazione tridimensionale. Questi motivi strutturali, a loro volta,
interagiscono tra loro dando luogo alla formazione di un’organizzazione spaziale più
complessa e che determina la struttura tridimensionale finale della proteina. Alcune
proteine, inoltre, sono costituite da più di una singola catena polipeptidica, sono
cioè formate da più subunità. Tali subunità a loro volta saranno tenute insieme da
interazioni deboli e in alcuni casi anche legami covalenti che si formano tra le catene
laterali dei residui amminoacidici (in particolare i ponti disolfuro). Per queste pro-
teine costituite da più di una catena polipeptidica si parla di struttura quaternaria
indicando l’organizzazione spaziale delle subunità tra di loro.

7) A . La denaturazione della proteina equivale alla perdita del suo folding, cioè della
sua struttura tridimensionale. Perché la proteina si denaturi devono rompersi le
interazioni deboli che determinano il ripiegamento della catena.

8) C . Una molecola di DNA viene denaturata quando si rompono i legami deboli


(legami a idrogeno) che tengono insieme i due filamenti complementari nella doppia
elica. Questo processo si può ottenere ad esempio aumentando la temperatura,
quindi fornendo l’energia necessaria alla rottura di queste interazioni.
9) B . Un enzima non influenza mai la spontaneità di una reazione ma la velocizza
abbassandone l’energia di attivazione. Il sito d’interazione col substrato è detto
sito attivo, mentre il sito allosterico è presente solo in alcuni enzimi (detti perciò
allosterici) e corrisponde ad un’altra zona con cui l’enzima interagisce con molecole
che possono potenziarne o inibirne l’attività. Corrisponde quindi ad un sito diverso
rispetto a quello a livello del quale avviene l’interazione tra enzima e substrato.
Quesiti

10) D . Il colesterolo appartiene alla categoria dei lipidi, una classe di molecole estrema-
mente eterogenea, che comprende molecole che hanno in comune la scarsa affinità
per l’acqua. La struttura alla base di questa molecola lipidica è steroidea, carat-
terizzata dalla presenza di quattro anelli di atomi di carbonio condensati (quindi
non è formato da una catena lineare di carboni). Il colesterolo è un componente
essenziale per la struttura delle membrane animali ed è alla base della sintesi degli
ormoni steroidei.
La cellula come base
della vita 2
2.1 La teoria cellulare

La citologia è la branca della biologia che studia la cellula dal punto di vista mor-
fologico (studio strutturale) e funzionale (studio dei processi fondamentali come la
riproduzione).

Lo studio delle cellule è stato reso possibile dall’invenzione del microscopio. Il primo fu
inventato da Galileo Galilei nel 1610. In seguito Robert Hooke lo perfezionò e fu lui, nel
1665, ad introdurre per primo il termine cellula, per descrivere gli spazi che osservava
in sezioni sottili di sughero.
Successivamente, un numero sempre crescente di ricercatori, tra cui ricordiamo An-
toni van Leeuwenhoek, Nehemiah Grew, Marcello Malpighi, Caspar Friedrich Wolff (il
padre della embriologia, la scienza che studia i fenomeni dello sviluppo di un essere
vivente), ha dato un contributo fondamentale allo sviluppo della biologia cellulare.
Nel diciannovesimo secolo poi, le ricerche di Schleiden e Schwann portarono alla prima
formulazione della teoria cellulare.
La teoria cellulare è uno dei principi di base della biologia. La formulazione di
tale teoria si deve a tre scienziati tedeschi, Schleiden, Schwann e Virchow, tra il 1838
e il 1855, i quali giunsero alle seguenti conclusioni:

tutti gli organismi viventi sono costituiti da cellule;

la cellula è l’unità fondamentale della materia vivente;

le cellule derivano esclusivamente dalla divisione di altre cellule.

In seguito tale teoria è stata aggiornata e la versione moderna della teoria cellulare
afferma che:

1. tutti gli organismi viventi sono costituiti da cellule;

2. la cellula è l’unità funzionale e strutturale di tutti gli organismi viventi;

3. tutte le cellule derivano dalla divisione di cellule pre-esistenti;

4. le cellule contengono informazioni ereditarie che vengono passate da una cellula


madre ad una cellula figlia durante la divisione cellulare;

5. tutte le cellule presentano la stessa composizione chimica;

6. tutte le reazioni chimiche di un organismo vivente avvengono all’interno delle


cellule;
1018 La cellula come base della vita

7. gli organismi viventi sono costituiti da una cellula (organismi unicellulari) o da


più cellule (organismi pluricellulari);

8. l’attività di un organismo dipende dalla somma delle attività svolte da cellule


indipendenti.

Tra gli organismi viventi vengono individuati dei livelli di organizzazione a com-
plessità crescente (in cui ogni livello è costituito da un certo numero di unità inferiori):

Livello subatomico: particelle che costituiscono gli atomi, ovvero protoni, neutroni
ed elettroni.

Atomo: unità fondamentale della materia.

Molecola: la più piccola porzione di un composto che ne conserva le caratteristiche


chimiche e fisiche e che è capace di esistenza indipendente.

Macromolecola: molecola di grandi dimensioni, in genere di natura polimerica.

Organulo: struttura presente in una cellula, generalmente delimitato da una mem-


brana biologica, costituito dall’associazione di diverse categorie di biomolecole.

Cellula: unità strutturale e funzionale degli organismi viventi.

Tessuto: aggregato di cellule (e di sostanze da esse prodotte) che hanno forma,


struttura e funzioni simili.

Organo: unità anatomica, fisiologica e funzionale costituita da diversi tipi di


tessuti associati per svolgere specifiche funzioni.

Apparato: insieme di organi destinati a compiere una determinata funzione.

Organismo: ogni essere vivente costituito da un insieme di organi interdipendenti,


con una propria forma e una struttura cellulare.

Specie: insieme di organismi che hanno caratteri comuni e i cui individui, incro-
ciandosi, generano una discendenza feconda.

Popolazione: gruppo di individui appartenenti alla stessa specie presenti in una


determinata area geografica.

Comunità: insieme di tutte le popolazioni insediate in una determinata area


geografica.
Le cellule

Ecosistema: insieme delle comunità e delle sostanze non viventi con le quali i
primi stabiliscono uno scambio di materiali e di energia, in un’area delimitata.

Bioma: insieme di ecosistemi le cui comunità animali e vegetali hanno raggiun-


to, in una determinata area della superficie terrestre, una relativa stabilità in
relazione alle condizioni ambientali.

Biosfera: insieme delle zone della Terra in cui sussistono le condizioni ambientali
che rendono possibile la vita; essa comprende tutti i biomi della Terra.
Biologia 1019

La cellula è l’unità morfologica e fisiologica fondamentale degli organismi viventi. Essa


è capace di esistenza autonoma e possiede tutte le proprietà vitali: accrescimento,
riproduzione, assimilazione, respirazione, capacità di sintesi, movimento, reattività agli
stimoli, immagazzinamento dell’energia.

Le cellule vengono classificate in base a criteri morfologici o funzionali.


In base ai criteri morfologici distinguiamo le cellule in procariotiche (o procariote)
ed eucariotiche (o eucariote).
In base ai criteri funzionali classifichiamo le cellule in:
autotrofe o eterotrofe a seconda della fonte di carbonio utilizzata;
fototrofe o chemiotrofe a seconda della fonte di energia.
Gli organismi eterotrofi dipendono da quelli autotrofi e possono demolire le molecole
organiche attraverso delle reazioni di assimilazione. Nel capitolo relativo alla Bioener-
getica (Capitolo 3) affronteremo nel dettaglio i meccanismi metabolici che riguardano
gli organismi autotrofi ed eterotrofi.

2.1.1 Le dimensioni cellulari


Le cellule, a parte alcune eccezioni, non sono visibili ad occhio nudo ed è perciò ne-
cessario utilizzare degli strumenti per poterle osservare. Tali strumenti, i microscopi,
saranno descritti nel paragrafo 2.1.2.
A causa delle piccole dimensioni, le unità di misura delle lunghezze usate in biologia
sono i micrometri (1 µm = 10−6 m) e i nanometri (1 nm = 10−9 m). In alcuni casi
si utilizza ancora l’Angstrom (Å): 1 Å = 10−10 m (0,1 nm).
Le cellule hanno dimensioni variabili da frazioni di micrometri nel caso di alcuni
piccoli batteri a centinaia di micrometri (Figura 2.1).

Biologia

Figura 2.1: Dimensioni degli organismi viventi e di alcuni loro costituenti.

2.1.2 I microscopi
Senza l’aiuto di uno strumento ottico, l’occhio umano è in grado di distinguere oggetti
che distino tra loro non meno di un decimo di millimetro (100 micrometri). Questa
caratteristica è detta potere di risoluzione.
1020 La cellula come base della vita

Il potere di risoluzione rappresenta la minima distanza tra due oggetti affinché questi
possano essere percepiti come separati.

Il microscopio ottico può raggiungere il potere di risoluzione di 0,2 micrometri. Tale


strumento consente di osservare tutte le cellule, ad eccezione di alcuni piccoli batteri.
È possibile osservare anche alcuni organelli cellulari, come il nucleo e i mitocondri, ma
non è possibile osservare i ribosomi e i virus.
Per arrivare ad ingrandimenti superiori è necessario l’utilizzo di strumenti più com-
plessi, i microscopi elettronici, dei quali esistono due tipologie principali: il micro-
scopio elettronico a trasmissione (TEM) e il microscopio elettronico a scansione (SEM).
I microscopi a trasmissione (TEM) raggiungono un potere di risoluzione di circa 0,2
nanometri (circa 500000 volte superiore a quello dell’occhio umano). I microscopi elet-
tronici a scansione (SEM) hanno potere di risoluzione più basso, tra 1 e 10 nanometri,
ma forniscono rappresentazioni tridimensionali molto dettagliate di cellule e strutture
cellulari.

Utilizzando il microscopio elettronico è impossibile osservare materia vivente, in quanto il


materiale da analizzare deve essere sottoposto a trattamenti (fissazione, disidratazione) in-
compatibili con la vita.

2.2 La cellula procariote e la cellula eucariote


Gli organismi possono essere distinti, in base al tipo di cellule di cui sono costituiti, in
due categorie: organismi procarioti ed organismi eucarioti. I primi sono esseri viventi
unicellulari costituiti da un’unica cellula procariote: a questa categoria appartengono
i batteri e gli archeobatteri (Archaea). I secondi possono invece essere organismi unicel-
lulari o pluricellulari composti da cellule eucariotiche: a questa categoria appartengono
i protisti, le piante, i funghi e gli animali.
La cellula procariote e la cellula eucariote devono il proprio nome ad una caratte-
ristica distintiva, la presenza o meno di un nucleo che contiene il materiale genetico
(DNA). Procariote significa, infatti, “prima del nucleo”, mentre eucariote indica “vero
nucleo”.

2.2.1 La cellula procariote


La cellula procariote, che costituisce in toto gli organismi procarioti (o monere), ha
dimensioni comprese tra qualche centinaio di nanometri (dimensioni tipiche dei mico-
plasmi ) e qualche micrometro. Il patrimonio genetico è costituito da un’unica molecola
Le cellule

circolare di DNA a doppio filamento non racchiusa all’interno di una struttura delimi-
tata da membrana (come avviene invece negli eucarioti) ma libera nel citoplasma, in
una zona definita nucleoide. A questa categoria abbiamo già detto che appartengono i
batteri e gli archeobatteri. Essi si riproducono per scissione binaria: da una singo-
la cellula si ottengono due cellule figlie geneticamente uguali tra loro e identiche alla
cellula di partenza (sono cioè dei cloni): la riproduzione è, quindi, asessuata.

Mediamente i batteri si dividono ogni 20 minuti circa.


Biologia 1021

In alcuni casi i procarioti danno origine a fenomeni di coniugazione, attraverso i


quali avviene il passaggio di materiale genetico da una cellula ad un’altra. Il passaggio
avviene attraverso una struttura definita pilo di coniugazione. Il materiale che passa da
una cellula all’altra è costituito da piccole molecole di DNA circolare extracromosomico
definite plasmidi. Si tratta di strutture contenenti pochi geni, in genere sequenze che
codificano per fattori di resistenza (ad esempio resistenza ad un antibiotico). I plasmidi
sono molto sfruttati in biologia molecolare perché facilmente utilizzabili come vettori
(vedi § 4.9.1).
Esistono batteri autotrofi (fototrofi e chemioautotrofi) o eterotrofi ed il loro meta-
bolismo può essere aerobio o anaerobio.
Gli Archaea sono organismi procarioti adattati a vivere in diversi ambienti, anche
quelli apparentemente più inospitali come le saline (in cui vivono gli alofili ), le sorgenti
termali (in cui sono presenti i termofili ) o le paludi. Globalmente questi organismi che
vivono in ambienti cosı̀ estremi sono detti estremofili.
In base alla morfologia i batteri vengono suddivisi in:

bacilli, con forma allungata;

cocchi, di forma sferica;

spirilli o vibrioni, con forma a spirale.

Dal punto di vista della struttura, la cellula procariote è delimitata da una membrana
cellulare o membrana plasmatica, costituita da un doppio strato lipidico, come negli
eucarioti. In questi ultimi però è presente il colesterolo, assente nei batteri.

In realtà esistono dei batteri, i micoplasmi, nei quali la membrana cellulare presenta degli
steroli. Essi sono però privi della parete cellulare presente in tutti gli altri procarioti.

All’esterno della membrana plasmatica è ge-


neralmente presente una parete cellulare,
costituita da peptidoglicani.
In base a come i batteri si colorano con
la colorazione di Gram (una tecnica che colo-
ra alcuni componenti della parete), si posso-
no distinguere i batteri in Gram+ (Gram-
positivi) e Gram– (Gram-negativi). La dif-
ferenza nella colorazione è dovuta al fatto che
i batteri Gram+ hanno una parete più spes-
sa rispetto ai batteri Gram–. Questi ultimi
Biologia

hanno una parete più sottile in cui è presente Figura 2.2: Struttura di una cellula procariote.
la cosiddetta membrana esterna, un doppio
strato fosfolipidico sulla cui superficie ester-
na è presente un componente definito lipopolisaccaride (LPS); esso agisce come tossina
ed è in grado di attivare il sistema immunitario. La membrana esterna è anche in grado
di impedire l’ingresso di alcuni antibiotici all’interno della cellula.
All’esterno della parete è spesso presente una capsula, costituita da polisaccaridi e
proteine con funzione protettiva. Molti batteri patogeni sono dotati di capsula (Figura
2.2).
1022 La cellula come base della vita

Da sottolineare il fatto che gli archeobatteri sono dotati di una parete priva di peptidoglicano
e che la membrana cellulare ha una composizione lipidica ben diversa da quella dei batteri e
degli eucarioti.

Sulla superficie esterna i batteri presentano altre strutture, come pili e fimbrie, ne-
cessarie per l’adesione alle cellule dell’organismo ospite.
Alcuni batteri sono dotati di uno o più flagelli, grazie ai quali possono muoversi
rapidamente. I flagelli batterici si distinguono da quelli eucarioti perché i primi sono
costituiti da flagellina e quelli eucarioti da tubulina.
All’interno del citoplasma sono presenti i ribosomi, particelle costituite da rRNA
(§ 1.4.4) e proteine, che hanno il compito di sintetizzare le proteine (§ 2.4.3). Si trat-
ta di particelle presenti in tutte le cellule, sia eucariote che procariote. Le differenze
riguardano le dimensioni, in quanto nei procarioti i ribosomi sono più piccoli.
Le differenze tra ribosomi eucarioti e procarioti sono alla base dell’azione di alcuni
antibiotici, che agiscono solo sui batteri. Una caratteristica importante degli antibiotici
è che essi sono inefficaci contro i virus i quali, non possedendo un’organizzazione
cellulare, non ne subiscono gli effetti.

Gli antibiotici sono molecole naturali o di sintesi che hanno lo scopo di uccidere i
batteri o di impedirne la duplicazione. Tra gli antibiotici più noti vi è la penicillina,
sintetizzata da una muffa del genere Penicillum. Altri antibiotici di uso comune sono
i sulfamidici (di tipo sintetico), le cefalosporine, la tetraciclina, il cloramfenicolo, la
streptomicina, l’ampicillina, l’amoxicillina.
Non tutti i batteri sono dannosi, anzi, una grande varietà è molto importante per
gli animali e i vegetali.
Fra i batteri utili all’uomo il più studiato è Escherichia coli, un componente della
flora batterica intestinale che produce vitamina K2 nell’intestino umano.
Alcuni batteri, come ad esempio Bacillus anthracis e Clostridium botulinum, in con-
dizioni ambientali sfavorevoli sono in grado di produrre spore. Sono forme quiescenti
estremamente resistenti, che possono tornare in forma vegetativa (attiva) anche dopo
centinaia di anni. Le spore resistono alle alte temperature, a condizioni estreme di pH,
ai raggi ultravioletti e ai disinfettanti. Questa caratteristica fa dei batteri patogeni
sporigeni degli organismi molto pericolosi, in quanto è necessario adottare delle misure
specifiche per distruggere anche le spore.
La Tabella 2.1 mostra alcuni batteri patogeni per l’uomo.

2.2.2 La cellula eucariote


La cellula eucariote, come detto in precedenza, è dotata di un nucleo all’interno del
Le cellule

quale è presente il materiale genetico. Il DNA si trova organizzato insieme a proteine


basiche (istoni) e acide in strutture che nel complesso costituiscono la cromatina.
Tra la membrana plasmatica e il nucleo si trova il citoplasma, all’interno del quale
sono presenti degli organuli (o organelli) delimitati da membrana (fenomeno della
compartimentazione). Si veda il link: http://youtu.be/OLl74grFLRA.
La Tabella 2.2 elenca le differenze principali esistenti tra le cellule eucariotiche e
quelle batteriche.
Esistono alcune differenze tra le cellule eucariotiche di tipo animale, vegetale e dei fun-
ghi (Figura 2.3). Le cellule di questi ultimi presentano una parete cellulare costituita
Biologia 1023

Nome Colorazione Morfologia Patologie associate


di Gram
Staphylococcus aureus Gram+ Cocco Infezioni acute varie
Streptococchi beta-emolitici di Gram+ Cocco Tonsilliti, scarlattina, settice-
gruppo A mia, malattie cutanee
Pneumococco (Streptococcus Gram+ Cocco Polmonite, meningite, endo-
pneumoniae) cardite
Meningococco (Neisseria me- Gram– Cocco Meningite
ningitidis)
Gonococco (Neisseria gonor- Gram– Cocco Gonorrea
rhoeae)
Haemophilus influenzae Gram– Bacillo Meningite
Escherichia coli Gram– Bacillo Diarrea, cistite, meningite
Vibrio cholerae Gram– Vibrione Colera
Salmonella Gram– Bacillo Tifo, setticemia, gastroenterite
Bordetella pertussis Gram– Bacillo Pertosse
Helicobacter pylori Gram– Bacillo Ulcera gastrica
Mycobacterium tubercolosis Non colorabile Bacillo Tubercolosi
Clostridium botulinum Gram+ Bacillo Botulismo
Clostridium tetani Gram+ Bacillo Tetano
Tabella 2.1: Caratteristiche di alcuni batteri patogeni per l’uomo.

Caratteristica Cellula batterica Cellula eucariote


Dimensioni 0,2 µm – 10 µm 2 µm – 200 µm
Cromosomi uno, circolare più di uno
Nucleo assente presente
Membrana cellulare presente presente
Organuli delimitati da mem- assenti presenti
brana
Parete cellulare presente presente solo nei funghi e nelle piante
Ribosomi 70S 80S; nei mitocondri e nei cloroplasti: 70S
Citoscheletro assente presente
Divisione cellulare scissione binaria mitosi o meiosi
Metabolismo aerobio o anaerobio aerobio
Tabella 2.2: Principali differenze tra cellule procariotiche e cellule eucariotiche.

principalmente da chitina. Le cellule vegetali sono dotate, invece, di una parete cel-
lulare la cui componente fondamentale è la cellulosa, mentre le cellule animali sono
prive di parete cellulare.
Le cellule vegetali, a differenza di quelle animali presentano, inoltre, le seguenti
caratteristiche:

assenza di flagelli, centrioli e lisosomi;

presenza del vacuolo: si tratta di una grossa vescicola circondata da una membra-
Biologia

na detta tonoplasto. I vacuoli possono fungere da deposito di sostanze nutritive,


da organuli digestivi e possono controllare il turgore cellulare mediante fenomeni
osmotici;

presenza di plastidi, ovvero organuli con funzioni di riserva (leucoplasti), foto-


sintesi (cloroplasti), colorazione (cromoplasti);

presenza di plasmodesmi: canali che attraversano le pareti cellulari e mettono


in comunicazione cellule adiacenti.
1024 La cellula come base della vita

Figura 2.3: Struttura di una cellula animale (a) e una vegetale (b).

Un fenomeno interessante che riguarda la cellula vegetale è la plasmolisi. Si tratta di una


condizione irreversibile che può verificarsi quando la cellula si trova in una soluzione ipertonica
(più concentrata) rispetto al citoplasma: in questo caso l’acqua tende ad uscire dalla cellula
(fenomeno dell’osmosi, § 2.3.2) la quale si stacca dalla parete cellulare.

2.3 La membrana cellulare e le sue funzioni


Tutte le cellule sono circondate da una membrana cellulare o membrana plasmatica
(o plasmalemma), costituita da un doppio strato lipidico (Figura 1.7).
La membrana plasmatica svolge le seguenti funzioni:

protegge la cellula e il suo contenuto, fungendo da barriera;

regola lo scambio di sostanze tra esterno ed interno della cellula (permeabilità);


Le cellule

riceve segnali (ad esempio ormoni e neurotrasmettitori);

permette la comunicazione cellula–cellula tramite le giunzioni cellulari.

2.3.1 Struttura della membrana cellulare


La membrana cellulare, cosı̀ come le membrane che delimitano gli organuli cellulari,
è costituita da un doppio strato lipidico in cui è preponderante la porzione costituita
dai fosfolipidi. Sono poi presenti anche glicolipidi, colesterolo (nelle cellule animali) e
proteine. Lo spessore della membrana è compreso tra 7 e 10 nanometri.
Biologia 1025

I lipidi costituiscono una barriera impermeabile per le molecole polari e conferiscono


elevata resistenza elettrica per cui attraverso il doppio strato della membrana non
passano ioni.
Tali caratteristiche fanno sı̀ che esistano delle molecole deputate al trasferimento,
da e verso l’interno della cellula, di sostanze polari e di quelle cariche. Tali molecole di
trasporto sono le proteine, l’altra grande classe di molecole presente all’interno delle
membrane. Possiamo suddividere le proteine di membrana in due categorie:

1. intrinseche: presentano delle regioni apolari che risultano “affondate” nel doppio
strato lipidico e delle porzioni polari che sporgono su una faccia della membrana o
su entrambe. Queste porzioni sporgenti sono spesso legate a residui polisaccaridici
(si tratta di glicoproteine).

2. estrinseche: non si inseriscono all’interno della membrana ma si legano alle teste


dei fosfolipidi o alle porzioni idrofile delle proteine di membrana.

Questa struttura costituita dal doppio strato lipidico e dalle proteine è definita model-
lo a mosaico fluido (si veda il link http://youtu.be/Qqsf UJcfBc). Tale modello fu
proposto da Singer e Nicholson nel 1972. È definito fluido in quanto le molecole non
sono fisse all’interno della struttura ma possono muoversi, e mosaico per la presenza
delle tante proteine inserite all’interno della struttura lipidica (Figura 2.4).

Biologia

Figura 2.4: Rappresentazione della membrana plasmatica degli animali secondo il modello a mosaico
fluido.
1026 La cellula come base della vita

2.3.2 Meccanismi di trasporto


Il ruolo principale delle membrane cellulari è quello di regolare gli scambi tra la cellula
e l’ambiente esterno; tale proprietà è detta permeabilità selettiva: le membrane cellulari
sono, quindi, semipermeabili o selettivamente permeabili.
Il trasporto di sostanze attraverso la membrana può avvenire secondo due modalità
a seconda che si tratti di piccole molecole e ioni oppure di grandi molecole e particel-
le solide. Nel primo caso intervengono proteine di membrana, nel secondo caso sono
coinvolte zone estese della membrana plasmatica.
1. Trasporto di piccole sostanze e ioni

Il trasporto di piccole sostanze e ioni è realizzato secondo due tipi di trasporto:


trasporto passivo e trasporto attivo.

Trasporto passivo

Il trasporto passivo avviene senza dispendio di energia da parte della cellula e segue
le leggi della diffusione: una sostanza si sposta dalla regione in cui è maggiormente
concentrata verso la zona in cui è meno concentrata. In questo caso si dice che la
sostanza si muove secondo gradiente di concentrazione

Distinguiamo due modalità di


trasporto passivo, la diffusio-
ne semplice e la diffusione
facilitata.
1. La diffusione sempli-
ce è una modalità di
trasporto passivo in cui
non sono coinvolte protei-
ne di membrana e riguar-
da piccole molecole apo-
lari, liposolubili, quali, ad
esempio, O2 , CO2 , N2 , Figura 2.5: Diffusione facilitata mediante proteina canale. In
glicerolo. questo caso una sostanza polare presente in concentrazione mag-
giore all’esterno della cellula si lega ad una proteina canale, la
2. La diffusione facilitata quale possiede un poro costituito da aminoacidi polari entro il
quale la sostanza può fluire. Nell’esempio la proteina canale si
è resa possibile dalla pre-
apre in risposta ad uno stimolo mediato da una molecola che
senza di proteine che per- vi si lega. Esistono anche dei canali voltaggio-dipendenti che si
mettono il passaggio di aprono in risposta ad un potenziale elettrico.
molecole e ioni. Esistono
Le cellule

due tipi di proteine di trasporto: le proteine canale, che formano dei pori idrofili
attraverso cui passano le molecole e gli ioni (Figura 2.5); l’altro tipo di proteine,
più complesse, è rappresentato dalle cosiddette proteine trasportatrici o car-
riers (Figura 2.6). Queste molecole sono proteine intrinseche (transmembrana)
e legano la sostanza da trasportare in modo specifico, da un lato della mem-
brana e mediante un cambio di conformazione sono in grado di trasportare tale
molecola sul versante opposto della membrana. Un classico esempio di molecola
trasportata mediante proteina carrier è il glucosio.
Biologia 1027

Un caso interessante di diffusio-


ne facilitata è rappresentato dal-
l’acqua. Essa è una molecola po-
lare per cui diffonde con difficoltà
attraverso le membrane. Esisto-
no delle proteine, dette acquapori-
ne, che intervengono nel trasporto
di molecole d’acqua. La scoperta
di queste proteine è valsa a Pe-
ter Agre il premio Nobel per la
Chimica nel 2003. Figura 2.6: Diffusione facilitata mediante carrier. Nell’esempio
è riportato il meccanismo di trasporto del glucosio dall’esterno
della cellula, in cui è più concentrato, verso l’interno. Il processo
avviene grazie alla mediazione di una proteina di trasporto che,
una volta legato lo zucchero, cambia conformazione “aprendosi”
verso il citoplasma, dove il glucosio viene rilasciato.

La diffusione dell’acqua attraverso la membrana è alla base del fenomeno definito


osmosi (Figura 2.7)

L’osmosi è il movimento di acqua at-


traverso una membrana nella direzio-
ne che va dalla soluzione meno concen-
trata (quindi con maggiore quantità
di acqua), definita ipotonica, verso la
soluzione più concentrata (quindi me-
no ricca di acqua), definita ipertoni-
ca. Se due soluzioni sono alla stessa
concentrazione non si verifica il pro-
cesso osmotico e le due soluzioni si
dicono isotoniche. Figura 2.7: Pressione osmotica. Quando due soluzioni a
Un esempio interessante di come differente concentrazione sono divise da una membrana
semipermeabile, l’acqua tende a muoversi in direzione
agisca l’osmosi è mostrato in Figura
della soluzione più concentrata (nell’esempio da A verso
2.8. I globuli rossi (eritrociti), in una B). La pressione che occorre esercitare sulla soluzione
soluzione ipotonica rispetto al citopla- B per impedire questo movimento di acqua è definito
sma, si gonfiano per ingresso di acqua pressione osmotica.
fino a scoppiare. In soluzione iperto-
nica, invece, l’acqua tende a muover-
si verso la soluzione a concentrazione
maggiore, tende cioè ad uscire dall’eri-
trocita. Il risultato è che il globulo ros-
Biologia

so raggrinzisce per perdita di acqua.


In una soluzione isotonica col citopla-
sma si ha un flusso netto di acqua pari
a zero, per cui l’eritrocita non subisce
alcuna modifica. Figura 2.8: Effetto dell’osmosi sulla forma delle cellule.
Si veda il testo per la spiegazione.
Trasporto attivo
Le molecole di trasporto sono delle proteine definite pompe. La più nota è la pom-
pa sodio-potassio (o sodio-potassio ATPasi, Figura 2.9). Gli ioni sodio sono più
1028 La cellula come base della vita

concentrati nei liquidi extracellulari mentre gli ioni potassio sono più abbondanti nel
citoplasma. La pompa trasporta il sodio dall’interno all’esterno e il potassio dall’ester-
no verso l’interno. L’energia è fornita dall’idrolisi di ATP, che viene convertito in ADP
e fosfato inorganico (Pi ). L’azione delle pompe è fondamentale per mantenere costanti
le concentrazioni ioniche all’interno della cellula e nei liquidi extracellulari.

Il trasporto attivo è un meccanismo di spostamento di sostanze che avviene contro


il gradiente di concentrazione con dispendio di energia, in genere sotto forma di
consumo di molecole di ATP (Adenosina-trifosfato)

Oltre alla pompa sodio-potassio esistono altri sistemi di trasporto attivo, per esempio
quelli per il trasporto del Ca2+ e del Cl− .
Le differenze tra trasporto passivo e trasporto attivo sono riassunte nella Tabella 2.3.

Figura 2.9: La pompa sodio-potassio è un esempio di meccanismo di trasporto contro gradiente. Tre ioni
sodio (Na+ ) e una molecola di ATP si legano alla pompa. L’idrolisi di ATP con formazione di ADP e
fosfato (Pi ) porta alla liberazione di ADP e ad un cambio di conformazione della proteina che fa sı̀ che
gli ioni Na+ siano rilasciati all’esterno. A questo punto due ioni potassio (K+ ) si legano alla proteina sul
lato extracellulare; il rilascio di fosfato riporta la proteina alla sua forma originaria e ciò permette il rilascio
degli ioni K+ all’interno della cellula.

Meccanismo Energia Forza motrice Proteine di Specificità


Richiesta membrana
Diffusione semplice No Gradiente di concentrazione Non richieste No
Diffusione mediante No Gradiente di concentrazione Richieste Sı̀
Le cellule

proteine canale
Diffusione facilitata No Gradiente di concentrazione Richieste Sı̀
mediante carriers
Trasporto attivo Sı̀ Idrolisi di ATP (per muo- Richieste Sı̀
vere contro gradiente di
concentrazione)
Tabella 2.3: Schema riassuntivo relativo ai meccanismi di trasporto attraverso le membrane.

I sistemi di trasporto possono operare su una singola sostanza oppure su più sostanze
che possono essere trasportate nello stesso verso o in senso opposto. Tali modalità di
Biologia 1029

trasporto, mostrate in Figura 2.10, si definiscono uniporto, simporto e antiporto.


I processi di simporto e antiporto sono definiti col generico termine di cotrasporto.
2. Trasporto di grandi particelle

Il trasporto di grandi particelle avviene mediante strutture circondate da membrana


chiamate genericamente vescicole (Figura 2.11).

Si parla di esocitosi quando la sostanza è portata all’esterno della cellula. Si parla inve-
ce di endocitosi quando la sostanza è trasportata all’interno della cellula. Nell’ambito
dell’endocitosi si distinguono la fagocitosi (trasporto di particelle solide), la pinoci-
tosi (trasporto di materiale liquido) e un tipo di endocitosi molto specifica chiamata
endocitosi mediata da recettori

Figura 2.10: Il trasporto di una singola sostan- Figura 2.11: Nell’endocitosi (A) la sostanza da
za in una direzione si definisce uniporto. Quando internalizzare viene circondata da una invagina-
due sostanze sono trasportate nello stesso verso zione della membrana; una volta all’interno del
si parla di simporto. Al contrario, se due sostan- citoplasma la vescicola, generalmente, ha co-
ze sono trasportate in senso opposto si parla di me destinazione finale un lisosoma, all’interno
antiporto. del quale il materiale endocitato viene digerito.
Nell’esocitosi (B) le vescicole secretorie raggiun-
gono la membrana plasmatica fondendosi con
essa e rilasciando il materiale all’esterno.

I processi di endocitosi ed esocitosi richiedono sempre energia, proveniente dall’idrolisi


di molecole di ATP.
Biologia

Endocitosi
La pinocitosi è l’assunzione di liquidi dall’esterno della cellula. A livello della membra-
na si formano delle fossette che vanno incontro ad invaginazione, inglobando le gocce
di liquido.
Nella fagocitosi vengono inglobate sostanze solide, quali grosse molecole, fram-
menti cellulari e batteri (Figura 2.11 A). Il fenomeno è assai diffuso nei protozoi,
come l’ameba, per i quali la fagocitosi può avere funzione nutritiva. Nei mammiferi
solo i macrofagi e i granulociti, cellule deputate alla difesa dell’organismo, sono cellule
fagocitiche.
1030 La cellula come base della vita

In una prima fase la particella aderisce alla membrana plasmatica e si forma una inva-
ginazione (oppure, nel caso dei macrofagi, viene avvolta da estroflessioni della membra-
na). La vescicola cosı̀ formata, detta fagosoma, viene liberata nel citoplasma. Spesso il
contenuto della vescicola deve essere distrutto per cui il fagosoma si fonde con un liso-
soma (§ 2.4.6) formando un fagolisosoma. All’interno di questa struttura sono presenti
enzimi in grado di demolire le sostanze presenti al suo interno.

Un’altra forma di endocitosi è l’endocitosi mediata da recettori. In questo caso


la sostanza da introdurre nella cellula interagisce con recettori specifici presenti sulla
membrana

Il legame recettore-ligando fa sı̀ che si formi una fossetta rivestita da una proteina
detta clatrina. Queste fossette rivestite danno origine a vescicole che vengono cosı̀
portate all’interno della cellula (Figura 2.12). Una volta all’interno della cellula le
vescicole perdono il rivestimento di clatrina e rilasciano il proprio contenuto all’interno
di vescicole denominate endosomi. La destinazione finale è sempre un lisosoma, un
organulo contenente enzimi idrolitici.

Figura 2.12: Nell’endocitosi mediata da recettori le proteine con funzione di recettori si trovano in
fossette rivestite. Una volta legata la macromolecola, riconosciuta in modo specifico, si forma una
vescicola rivestita che viene portata nel citoplasma.

Esocitosi
Il processo di esocitosi è tipico delle cellule secretorie. Le vescicole contenenti le sostanze
da rilasciare si fondono con la membrana plasmatica e il contenuto viene riversato
all’esterno (Figura 2.11 B).
L’esocitosi può essere costitutiva (secrezione continua) oppure controllata da stimo-
li, nervosi o ormonali. In genere il processo dipende dall’aumento intracellulare di ioni
Ca2+ .
Le cellule

2.4 Le strutture cellulari e loro specifiche funzioni


Le cellule eucariotiche sono caratterizzate dalla presenza di numerose strutture deli-
mitate da membrana definite organuli o organelli. Alcune di queste strutture (la
membrana plasmatica, la membrana nucleare, il reticolo endoplasmatico, l’apparato di
Golgi, i lisosomi e i vacuoli) formano un sistema interconnesso definito sistema di
endomembrane. Secondo alcuni autori a questo elenco di organuli vanno aggiunti
anche i perossisomi.
Biologia 1031

Oltre agli organuli sono presenti altre strutture prive di membrana che per questo
motivo non si possono definire organelli ma che sono di fondamentale importanza per
la cellula: il citoscheletro, i ribosomi e la matrice extracellulare.

2.4.1 Il citoplasma
Il citoplasma è costituito da una parte fluida, il citosol, e da una parte corpuscolata
costituita da organuli, ribosomi e citoscheletro.
Il citosol è costituito principalmente da acqua in cui sono dispersi ioni, piccole
molecole e macromolecole, soprattutto di natura proteica. Il citoplasma è la sede di
molte reazioni, ad esempio la glicolisi, e funge da riserva di materiale di diversa natura
(ioni, macromolecole, ecc.).

2.4.2 Il nucleo

Il nucleo è un organulo voluminoso presente


solo negli eucarioti al cui interno è presente il
materiale genetico. Ha un diametro di circa
5 µm e per questo motivo è visibile al micro-
scopio ottico. Alcune cellule, durante il diffe-
renziamento, perdono il nucleo: un esempio è
rappresentato dagli eritrociti dei mammiferi.
Il nucleo è avvolto da un involucro nu-
cleare costituito da due membrane, ciascuna
costituita da un doppio strato lipidico, sepa-
rate da uno spazio denominato spazio peri-
nucleare. In alcuni punti le due membrane
sono fuse insieme a formare i pori nucleari,
i quali regolano il passaggio di sostanze tra Figura 2.13: Rappresentazione schematica del
nucleo e citoplasma. nucleo e delle strutture ad esso associate.
La membrana più interna presenta sulla
superficie rivolta verso l’interno del nucleo una fitta rete proteica detta lamina nuclea-
re, costituita da proteine denominate lamı̀ne, le quali svolgono un ruolo importante
nella dissociazione dell’involucro nucleare al momento della divisione cellulare.
Il nucleo svolge diverse funzioni:
contiene il DNA ed è la sede della sua replicazione;
è il sito di trascrizione del DNA in RNA;
al suo interno è presente il nucleolo che è la struttura in cui avviene un primo
assemblaggio dei ribosomi a partire da proteine e rRNA.
Biologia

Nel nucleo il DNA è combinato con proteine a formare una struttura complessa definita
cromatina, che può apparire in due forme: eterocromatina ed eucromatina. La prima è
una forma condensata mentre l’eucromatina si trova in forma dispersa con un aspetto
prevalentemente filamentoso.

Questo è l’aspetto tipico del nucleo interfasico, cioè non in divisione cellulare. Quando
la cellula deve andare incontro a divisione tutta la cromatina si condensa a formare
1032 La cellula come base della vita

strutture visibili al microscopio ottico chiamate cromosomi. La cromatina è immersa


in un fluido definito nucleoplasma.
La superficie rivolta verso il citoplasma della membrana nucleare esterna è spes-
so cosparsa di ribosomi e si continua in diversi punti con le membrane del reticolo
endoplasmatico.

2.4.3 Ribosomi

I ribosomi sono particelle del diametro approssimativo di 15-20 nm, costituite da pro-
teine e RNA ribosomali (rRNA). Possono essere liberi nel citoplasma o associati alle
membrane del reticolo endoplasmatico e sono la sede della sintesi proteica.

Quasi tutti gli rRNA necessari per l’assemblaggio dei ribosomi sono sintetizzati nel
nucleolo.
I ribosomi non sono visibili al microscopio ottico ma solo utilizzando il microscopio elettronico.

La polimerizzazione degli aminoacidi a formare le catene peptidiche avviene all’interno


del ribosoma (§ 4.6.10) ed è catalizzata da un ribozima, cioè una molecola enzimatica
ad RNA, detta peptidiltransferasi o amminoacil-tRNA-transferasi.
Si ritiene che i ribosomi liberi siano il sito di sintesi di proteine strutturali, enzi-
mi, proteine necessarie per la divisione cellulare, e che i ribosomi associati al reticolo
endoplasmatico siano la sede di sintesi delle proteine destinate alla secrezione. Tale
distinzione però non è sempre valida.
I ribosomi attivi, dal punto di vista funzionale, sono costituiti da due subunità, una
maggiore e una minore. Queste si associano solo quando inizia la sintesi proteica.
Le dimensioni dei ribosomi sono comunemente espresse per mezzo del coefficiente
di sedimentazione, rappresentato dall’unità Svedberg (unità S).

I ribosomi eucariotici hanno coefficiente 80S, mentre quelli batterici (e dei mitocondri
e cloroplasti) hanno coefficiente di sedimentazione pari a 70S. Nei procarioti le due
subunità hanno dimensioni 50S la più grande e 30S la più piccola. Negli eucarioti la
subunità maggiore è 60S e la minore è 40S.

I ribosomi sono stati messi in evidenza per la prima volta da George Palade nel 1953; per le
sue scoperte nel campo della microscopia elettronica ricevette il premio Nobel per la Medicina
nel 1974.
Le cellule

2.4.4 Reticolo endoplasmatico

Il reticolo endoplasmatico è un sistema complesso costituito da tubuli e cavità


(definite cisterne) delimitate da membrana.

L’interno delle cisterne del reticolo è definito lume. Le membrane del reticolo si conti-
nuano con la membrana nucleare esterna.
Biologia 1033

Dal punto di vista morfologico si distinguono due tipologie di reticolo endoplasmatico:


reticolo endoplasmatico rugoso o granulare (RER) e reticolo endoplasmatico
liscio (REL) che si differenziano per la presenza nel RER di ribosomi associati alle
membrane del reticolo.
Il reticolo rugoso è coinvolto
soprattutto nella sintesi di pro-
teine di secrezione e di proteine
destinate ai vari organuli e alla
membrana plasmatica. All’in-
terno del lume del RER le pro-
teine possono essere modificate
chimicamente, ad esempio me-
diante formazione di ponti di-
solfuro per assumere la corretta
struttura terziaria, oppure pos-
sono essere legate in modo co-
valente a carboidrati a formare
glicoproteine.
Il reticolo endoplasmatico
Figura 2.14: Il sistema di endomembrane. Le vescicole conte-
liscio appare come un sistema nenti proteine trasferiscono sostanze dal reticolo endoplasmatico
di tubuli e vescicole, privo di ri- alla regione cis del complesso di Golgi (1). L’apparato di Golgi
bosomi associati alle membra- modifica le proteine al proprio interno (2) e le “etichetta” per il
ne. Alcune proteine sintetizza- corretto indirizzamento (3).
te a livello del RER possono
venire modificate nel REL. Le funzioni del REL possono essere cosı̀ riassunte:
trasformazione di sostanze dannose (detossificazione), come l’etanolo e i farmaci;
sintesi e degradazione del glicogeno;
sede di sintesi di fosfolipidi e steroidi.
La distribuzione dei due tipi di reticolo è diversa da cellula a cellula. Le cellule epatiche,
per esempio, in cui avviene la detossificazione di sostanze nocive e il metabolismo del
glicogeno, sono ricche di reticolo endoplasmatico liscio.

2.4.5 Apparato di Golgi

L’apparato di Golgi, o complesso di Golgi, consiste in vescicole e in sacche appiattite


e incurvate (denominate cisterne), impilate le une sulle altre.
Biologia

Le cisterne presentano una caratteristica curvatura, con la faccia convessa orientata


verso il nucleo (faccia cis) e quella concava diretta verso la periferia (faccia trans).

Tale apparato deve il proprio nome a Camillo Golgi, che nel 1898 individuò una struttura
reticolare nelle cellule nervose che chiamò apparato reticolare interno. Egli vinse il premio
Nobel per la medicina nel 1906 per i suoi studi sulla struttura del sistema nervoso.
1034 La cellula come base della vita

L’apparato di Golgi costituisce un organulo per l’assemblaggio di vescicole e una stazio-


ne di transito per le molecole destinate ad uscire dalla cellula: le proteine di secrezione,
ad esempio, vengono sintetizzate a livello del RER e da qui passano al complesso di
Golgi, entro il quale possono subire delle ulteriori modifiche (tipicamente l’aggiunta di
residui saccaridici a formare glicoproteine). Dall’apparato di Golgi si staccano poi delle
vescicole contenenti le proteine destinate alla membrana plasmatica (Figura 2.14).
Un’altra funzione del complesso di Golgi è l’assemblaggio dei lisosomi e nelle cellule
vegetali è coinvolto nella sintesi di alcuni polisaccaridi della parete cellulare.
2.4.6 Lisosomi

I lisosomi sono organuli delimitati da membrana contenenti elevate concentrazio-


ni di enzimi litici coinvolti in vari processi digestivi della cellula. Essi sono prodotti
dall’apparato di Golgi.

I lisosomi intervengono nei processi di endocitosi: una vescicola di fagocitosi (fagosoma)


si fonde con i lisosomi, all’interno dei quali avviene la lisi e la digestione delle particelle
endocitate. Una caratteristica dei lisosomi è l’ambiente acido al loro interno; tali valori
di pH sono necessari affinché le idrolasi acide contenute nel lisosoma possano funzionare
correttamente. Questa caratteristica degli enzimi lisosomiali è importante perché in
caso di rottura di un lisosoma, gli enzimi litici che potrebbero distruggere la cellula
vengono inibiti dal pH neutro del citosol.
Altre funzioni dei lisosomi riguardano alcuni processi morfogenetici (come la regres-
sione della coda dei girini prima della trasformazione in animale adulto) e la digestione
di componenti cellulari invecchiate (autofagia o autodigestione).
2.4.7 Perossisomi e Gliossisomi
I perossisomi sono organuli presenti in quasi tutte le cellule eucariote. Il nome deri-
va dalla loro funzione di accumulo e demolizione di perossidi, sostanze tossiche per le
cellule. Un esempio è il perossido di idrogeno o acqua ossigenata (H2 O2 ). Essa può for-
marsi in seguito a reazioni di ossidazione che si realizzano nei perossisomi. Il perossido
ottenuto deve essere eliminato e viene trasformato in acqua e ossigeno grazie all’azione
dell’enzima catalasi. Questi organuli sono coinvolti nel metabolismo dei lipidi e nella
detossificazione degli alcoli.
I gliossisomi sono organelli presenti solo nelle piante, in particolare nei semi. Al
loro interno i lipidi vengono trasformati in carboidrati necessari per la crescita della
pianta.
2.4.8 Mitocondri e Cloroplasti
I processi metabolici cellulari richiedono energia. Essa viene trasformata da una forma
Le cellule

all’altra all’interno di speciali organuli delimitati da una doppia membrana, i mitocondri


e i cloroplasti.
I mitocondri sono presenti in tutti gli eucarioti mentre i cloroplasti si trovano
esclusivamente negli eucarioti fototrofi.

I mitocondri trasformano l’energia chimica proveniente dalla degradazione di molecole


nutritive (ad esempio il glucosio) in una forma prontamente accessibile alla cellula.
Biologia 1035

Tipicamente l’energia disponibile per i processi cellulari si trova immagazzinata in


molecole di ATP. Il ruolo dei mitocondri è, quindi, quello di sintetizzare grandi quantità
di ATP, utilizzando l’ossigeno per ossidare molecole di “combustibile”, come ad esempio
il glucosio: questo processo è noto con il nome di fosforilazione ossidativa e fa parte
della respirazione cellulare (§ 3.2.5).
La struttura è particolare: è presente una
membrana esterna ed una membrana inter-
na, separate da uno spazio intermembrana. La
membrana interna si ripiega più volte a forma-
re strutture dette creste e racchiude la matrice
mitocondriale (Figura 2.15). La membrana in-
terna è ricca in proteine, è priva di colesterolo,
è molto poco permeabile e contiene i complessi
proteici della catena di trasporto degli elettroni
e la ATP sintetasi (§ 3.2.5). All’interno della ma-
trice sono presenti tutti gli enzimi, a parte uno,
coinvolti nel ciclo di Krebs. Inoltre, nella matri-
ce si trova una molecola circolare di DNA e dei
piccoli ribosomi, 70S (simili a quelli batterici). Il
mitocondrio, quindi, è in grado di effettuare una
sintesi proteica di proteine codificate dal proprio
genoma.
Il DNA mitocondriale è ereditato per via
materna, in quanto i mitocondri dello sper- Figura 2.15: Il mitocondrio: rappresentazio-
matozoo non penetrano nell’ovocita e lo zigote ne schematica e microfotografia.
riceve esclusivamente i mitocondri materni.
I cloroplasti sono organuli presenti solo ne-
gli organismi eucarioti fotosintetici (piante e al-
ghe). Sono racchiusi da una doppia membrana e
hanno forma ellissoidale (Figura 2.16). La mem-
brana interna delimita un fluido definito stroma,
contenente il DNA circolare, i ribosomi 70S e un
sistema di membrane dette tilacoidi, sulle quali
avviene la prima fase della fotosintesi. I tilacoi-
di possono impilarsi a formare i grani (singolare
grana). Figura 2.16: Rappresentazione schematica
La composizione della membrana interna, la di un cloroplasto.
capacità di dividersi e la presenza di DNA e ri-
bosomi di tipo procariote ha suggerito l’ipotesi che i mitocondri siano stati origina-
Biologia

riamente dei procarioti inglobati ed entrati in simbiosi con una cellula più grande.
Un discorso analogo vale per i cloroplasti, i quali si ritiene che fossero dei batteri
fotosintetici inglobati da una cellula dal metabolismo eterotrofo.
Tale teoria è definita teoria endosimbiontica e fu proposta nel 1967 dalla biologa
statunitense Lynn Margulis.

I mitocondri e i cloroplasti hanno dimensioni paragonabili a quelle batteriche, con diametro


da 2 a 10 µm. Essi risultano perciò visibili con il microscopio ottico.
1036 La cellula come base della vita

2.4.9 Cromoplasti e leucoplasti


I cromoplasti e i leucoplasti, cosı̀ come i cloroplasti descritti nel paragrafo precedente,
appartengono alla categoria dei plastidi. Sono tutti organuli contenenti un proprio DNA
e sono presenti solo negli organismi vegetali.
I cromoplasti contengono pigmenti e sono i responsabili della colorazione di fiori
e frutti. I leucoplasti sono organelli deputati al deposito di materiale di riserva. Un
tipo di leucoplasto, in cui viene immagazzinato l’amido, è detto amiloplasto.

2.4.10 Il citoscheletro
Il citoscheletro è una rete di filamenti interconnessi presente all’interno delle cellule
eucariote. Il citoscheletro svolge numerose funzioni:
fornisce struttura e forma alla cellula;
mantiene gli organelli in posizione;
muove gli organuli all’interno della cellula;
è implicato nel movimento del citoplasma noto come corrente citoplasmatica;
è indispensabile per l’adesione tra cellule (giunzioni cellulari) e per le interazioni
tra cellula e matrice extracellulare;
fa parte di alcune strutture cellulari mobili (ciglia e flagelli) ed è coinvolto nel
movimento di alcune cellule (movimento ameboide).
Sono tre le componenti fondamentali del citoscheletro, che in ordine crescente di di-
mensioni sono: microfilamenti, filamenti intermedi e microtubuli.
I microfilamenti sono costituiti da actina. Hanno un ruolo importante nella di-
visione cellulare in quanto costituiscono un anello contrattile che fa sı̀ che le due cel-
lule figlie si separino. Essi intervengono anche nel movimento cellulare (movimento
ameboide) permettendo la formazione di pseudopodi, estroflessioni della membrana
plasmatica che permettono il movimento e i fenomeni di fagocitosi. L’attività dei mi-
crofilamenti è inibita dalla falloidina, un alcaloide prodotto dal fungo velenoso Amanita
phalloides.
I filamenti intermedi hanno diametro intermedio tra i microfilamenti e i microtu-
buli. Sono coinvolti nel mantenimento in posizione di nucleo e organuli all’interno della
cellula e sono in grado di resistere alla tensione. Le lamı̀ne che costituiscono la lamina
nucleare sono filamenti intermedi. Un’altra classe di filamenti intermedi è rappresentata
dai tonofilamenti, o filamenti di cheratina, presenti nei tessuti epiteliali.
I microtubuli sono strutture tubulari costituiti da molecole proteiche di tubulina.
Non sono strutture stabili e vanno incontro a polimerizzazione e depolimerizzazione.
Le cellule

Gli unici microtubuli stabili sono quelli che costituiscono i centrioli e l’assonema e i
corpi basali di ciglia e flagelli.
I microtubuli costituiscono uno scheletro rigido per molte cellule e fungono da binari
lungo i quali possono spostarsi delle molecole. Un esempio tipico di questa funzione è
il trasporto assonico. Nelle cellule nervose le vescicole contenenti il neurotrasmettitore
si dirigono dal corpo cellulare fino alla porzione terminale, e questo “viaggio” avviene
lungo i microtubuli grazie alla proteina chinesina (un motore proteico che si muove
idrolizzando ATP). Una funzione molto importante dei microtubuli è l’organizzazione
del fuso mitotico durante la divisione cellulare.
Biologia 1037

In molte cellule i microtubuli si organizzano a


partire da un centro organizzatore dei microtu-
buli, detto centrosoma, generalmente costituito
da due centrioli (Figura 2.17). I centrioli sono
dei cilindri le cui pareti sono costituite da no-
ve triplette di microtubuli e se ne trovano due
nelle cellule in interfase. Una struttura analoga
a quella dei centrioli è presente nel corpo basale
di ciglia e flagelli. Durante la divisione cellula-
re i due centrioli si duplicano, e ciascuna coppia
Figura 2.17: Centrosoma in cui sono eviden-
migra ad un polo della cellula costituendo due ti la coppia di centrioli (C e C’), orientati
centri di organizzazione dei microtubuli del fuso perpendicolarmente e dei microtubuli (MT).
mitotico.

Ciglia e flagelli
Sono appendici mobili costituite da microtubuli.
Le ciglia sono più brevi dei flagelli e sono nor-
malmente presenti in numero elevato. Le cellu-
le flagellate presentano uno o al massimo due
flagelli.
Entrambe queste strutture presentano uno
scheletro simile: sono costituite da una strut-
tura microtubulare di tipo 9+2 (i microtubuli
si dispongono in nove coppie periferiche e una
coppia centrale) che prende il nome di assone- Figura 2.18: Microfotografia di sezione tra-
ma (Figura 2.18). Quest’ultimo, alla base delle sversale di un ciglio nella quale è eviden-
ciglia e dei flagelli, si continua in un organello te la struttura con 9 coppie di microtubuli
periferiche e 1 coppia centrale.
detto corpo basale, la cui struttura è identica a
quella del centriolo.

2.4.11 Matrice extracellulare


Molte cellule animali sono in contatto con una matrice extracellulare (ECM: Extra-
Cellular Matrix ). Essa è tipicamente costituita da proteine fibrose, come il collagene,
proteoglicani e altre proteine. La matrice è in genere secreta da cellule presenti nelle
sue immediate vicinanze.
La matrice svolge diverse funzioni:

mantiene unite le cellule nei tessuti;


Biologia

contribuisce alle proprietà fisiche di alcuni tessuti come cartilagine e osso;

gioca un ruolo importante nella segnalazione cellula–cellula.

Un tipico esempio di matrice extracellulare è la membrana basale o lamina basale,


che si trova al di sotto delle cellule epiteliali.
Nella interazione tra cellule e matrice interviene una classe di proteine transmem-
brana dette integrine. Queste legano dal lato citoplasmatico i microfilamenti e sul
versante extracellulare dei componenti della ECM (ad esempio le fibronectine). Quando
1038 La cellula come base della vita

una cellula deve muoversi dalla propria posizione, come nel caso delle cellule embrio-
nali e delle cellule tumorali, il legame tra ECM e integrina si rompe, permettendo il
movimento della cellula.

2.4.12 Giunzioni cellulari

Le giunzioni cellulari sono regioni specializzate della membrana plasmatica coinvolte


nel contatto tra cellule adiacenti e tra cellule e matrice extracellulare.

Si distinguono tre tipi principali di giunzioni cellulari:


1. giunzioni occludenti, o tight junctions;
2. giunzioni ancoranti;
3. giunzioni comunicanti, o gap junctions.
Giunzioni occludenti
Queste giunzioni, dette anche giunzioni
strette (tight junctions), sono presenti tipi-
camente negli epiteli, tra le cellule endotelia-
li e tra le cellule cardiache (Figura 2.19). Le
funzioni principali sono:
limitazione della diffusione di protei-
ne di membrana e fosfolipidi da una
regione ad un’altra, contribuendo al
mantenimento della polarità funziona-
le della cellula (la membrana apicale di
una cellula epiteliale ha una struttura
diversa da quella baso-laterale);
occlusione degli spazi intercellulari.
Nell’epitelio intestinale è importante
che il materiale che percorre il lu- Figura 2.19: Rappresentazione schematica e mi-
crofotografie di alcuni tipi di giunzione: giun-
me intestinale non fluisca liberamente zione stretta (a), desmosoma (b), giunzione
attraverso due cellule adiacenti. comunicante (c).

Giunzioni comunicanti
Sono presenti tra le cellule cardiache, epiteliali, nervose e muscolari lisce. La funzione
è quella di mettere in comunicazione cellule adiacenti permettendo lo scambio di ioni,
Le cellule

acqua e altre piccole molecole.


Ogni giunzione è costituita da proteine dette connessine che formano un canale
(chiamato connessone) che attraversa le membrane delle due cellule adiacenti (Figura
2.19). Il canale non è sempre aperto ma è regolato dalla concentrazione di ioni Ca2+ .
Giunzioni ancoranti
Le giunzioni ancoranti connettono il citoscheletro di una cellula con un’altra cellula o
con la matrice extracellulare. Sono presenti tra le cellule epiteliali, cardiache e tra le
cellule gliali (nel sistema nervoso).
Biologia 1039

Esistono diversi tipi di giunzioni ancoranti a secon-


da del tipo di elementi del citoscheletro che inter-
vengono nel costituire la giunzione. Se nella zona
di giunzione convergono microfilamenti di actina si
parla di giunzioni aderenti. Se il contatto è fra
due cellule si parla di fasce di adesione, se è tra
cellula e matrice si parla di contatti focali.
Se la componente del citoscheletro implicata è
rappresentata dai filamenti intermedi si parla di
desmosomi, se il contatto è fra due cellule, o di
emidesmosomi se il contatto avviene tra cellula e
matrice.
I desmosomi (Figura 2.20) presentano una strut- Figura 2.20: Rappresentazione schema-
tica di un desmosoma.
tura detta placca costituita da proteine di attacco
per i filamenti intermedi (costituiti da cheratina nelle cellule epiteliali). La funzione è
tipicamente meccanica: forte adesione tra le cellule contigue.

2.5 Riproduzione cellulare


Negli organismi pluricellulari la riproduzione cellulare ha la funzione di aumentare il
numero di cellule e di sostituire le cellule vecchie o danneggiate.
La riproduzione delle cellule di un organismo eucariote può avvenire secondo due
modalità: la mitosi e la meiosi. La prima è caratteristica delle cellule somatiche
(letteralmente “cellule del corpo”), la seconda è tipica delle cellule riproduttive (o
gameti o cellule germinali). La mitosi produce cellule identiche a quella di partenza
(cloni) e mantiene inalterato il numero di cromosomi presenti. Nel corso della meiosi,
invece, il corredo cromosomico è dimezzato.
I procarioti, come visto in precedenza, si riproducono mediante scissione binaria (§
2.2.1).

2.5.1 Corredo cromosomico

Il corredo cromosomico è l’insieme dei cromosomi presenti in tutte le cellule di ogni


individuo.

Ogni organismo pluricellulare presenta lo stesso numero di cromosomi in tutte le cellule


somatiche, mentre le cellule germinali ne contengono la metà. Questo assetto cromoso-
mico è definito diploide (2n) nel caso delle cellule somatiche e aploide (n) nel caso
dei gameti. Nell’uomo sono presenti 46 cromosomi (23 coppie) per cui n = 23 e 2n =
Biologia

46. Di questi 46 cromosomi, 44 (22 + 22) sono definiti autosomi e 2 (1 + 1) sono i


cromosomi sessuali.
Le cellule diploidi possiedono due copie di ciascun cromosoma, uno ereditato dal padre
e uno dalla madre. La necessità di dimezzare il corredo cromosomico nelle cellule ripro-
duttive è dovuto al fatto che al momento della fecondazione il numero di cromosomi
dei due gameti si somma (n + n = 2n), producendo un nuovo individuo (zigote) con
un corredo cromosomico nuovamente diploide.
1040 La cellula come base della vita

2.5.2 Ciclo cellulare

Il periodo che intercorre tra due successive divisioni cellulari è definito ciclo cellulare.

Il ciclo cellulare può essere diviso in interfase e mitosi. L’interfase si divide in interfase
autosintetica (fase S) ed interfase eterosintetica, a seconda che l’attività cellulare sia
rivolta alla duplicazione del DNA o alla sintesi di altre molecole.

Durante l’interfase il nucleo è ben visibile al microscopio.

Possiamo distinguere nel corso dell’interfase tre sottofasi, denominate G1, S e G2


(Figura 2.21).
La fase G1 è quella in cui la cellula si accresce
e svolge le proprie specifiche attività e durante la
fase S avviene la duplicazione del DNA. Nella fase
G2 la cellula sintetizza tutto ciò che le serve per
effettuare la divisione cellulare: i cromosomi, che
sono stati duplicati nella fase precedente e che erano
in forma di cromatina, si condensano ed iniziano la
spiralizzazione. La fase G2 termina con l’inizio della
fase M (profase della divisione cellulare).
Alcune cellule perdono la capacità di dividersi
ed entrano in una fase G0, precedente alla S, che
può durare da pochi giorni a molti anni; in alcuni
casi l’ingresso in fase G0 è irreversibile e la cellula
non può più dividersi.
La durata del ciclo varia da cellula a cellula ma
in media è di 15-17 ore cosı̀ suddivise: Figura 2.21: Le fasi del ciclo cellulare di
una cellula eucariote. L’interfase rappre-
fase S: 10 – 12 ore; senta l’intervallo tra due successive fasi
M.
fase G2: 2 – 5 ore;

fase M: 1 – 2 ore;

fase G1: ha durata estremamente variabile a seconda del tipo cellulare, da poche
ore ad alcuni giorni.
Le cellule

In base alla capacità di dividersi è possibile suddividere le cellule in:

labili: elementi cellulari in attiva proliferazione che compiono il ciclo cellulare in


modo continuo;

stabili: sono cellule che non si dividono in condizioni normali ma che possono
rientrare in ciclo come gli epatociti (si trovano in fase G0);

perenni: sono elementi cellulari che entrano definitivamente in fase G0 e che quindi
non possono più dividersi. Un esempio è rappresentato dai neuroni.
Biologia 1041

Regolazione del ciclo cellulare


L’ingresso della cellula in una delle fasi del ciclo è strettamente controllata. Due pun-
ti chiave di controllo del ciclo sono rappresentati dalla transizione G1 – S e dalla
transizione G2 – M.
In questa regolazione intervengono delle proteine dette cicline e delle proteine ad
attività enzimatica appartenenti alla classe delle chinasi, note come chinasi ciclina-
dipendente (CdK). Questo tipo di enzimi catalizzano il trasferimento di un gruppo
fosfato dall’ATP ad un’altra molecola, tipicamente una proteina. Tale attività è detta
fosforilazione e causa l’attivazione o la inibizione della molecola ricevente il gruppo
fosfato. Sono i complessi ciclina-CdK che agiscono da controllori in diversi punti del
ciclo.
La scoperta dei complessi ciclina-CdK ha fruttato il premio Nobel per la medicina
del 2001 a Hartwell, Hunt e Nurse.

La transizione tra fase G1 e fase S è un punto di non ritorno per la cellula (detto punto di
restrizione): raggiunto tale punto la cellula è “obbligata” a duplicare il proprio DNA. In que-
sta transizione interviene il complesso ciclina E-CdK2, il quale agisce fosforilando la proteina
retinoblastoma (Rb), la quale blocca l’ingresso della cellula in fase S. L’azione della chinasi
ciclina-dipendente rimuove il blocco determinato dalla proteina Rb e permette il passaggio
della cellula alla fase S.
La Rb è una proteina codificata da un gene appartenente alla famiglia degli oncosop-
pressori. Tali proteine hanno un ruolo importante nel prevenire l’insorgenza di tumori sia
attraverso il controllo del ciclo cellulare sia mediante altre funzioni. Un altro importante
oncosoppressore è la proteina p53.

Esistono poi dei fattori di controllo esterni: alcuni ormoni, i fattori di crescita,
l’inibizione da contatto e la dipendenza dall’ancoraggio. L’inibizione da contatto è il
blocco della divisione cellulare in seguito al contatto tra le cellule (il ciclo entra in
fase G0). La dipendenza dall’ancoraggio, invece, riguarda la possibilità delle cellule
di dividersi solo se sono a contatto con una superficie solida. In questa regolazione
intervengono le proteine integrine.
Uno dei fattori determinanti nell’insorgenza del cancro è la perdita, da parte delle
cellule tumorali, dei sistemi di controllo del ciclo cellulare.

2.5.3 Mitosi
Le cellule somatiche proliferano mediante un processo di divisione nucleare detto mitosi.
Durante la mitosi i cromosomi, che sono stati duplicati durante l’interfase e sono ora
composti di due cromatidi fratelli, sono ugualmente suddivisi nelle due cellule figlie
(vedi i link: http://youtu.be/VlN7K1-9QB0 e http://youtu.be/cvlpmmvB m4).
Biologia

Partendo da un corredo cromosomico 2n si ottiene un corredo cromosomico 2n: si


parla di divisione equazionale.

Il corretto funzionamento della mitosi è garantito da un complesso costituito da micro-


tubuli denominato apparato mitotico: esso si forma nella prima fase della mitosi (e
della meiosi), denominata profase, ed è costituito dai centrioli, dall’aster (microtubuli
che si irradiano dal centrosoma) e dal fuso mitotico.
1042 La cellula come base della vita

È possibile suddividere l’intero processo di


mitosi in 4 fasi: profase, metafase, anafase,
telofase. Al termine della telofase avviene la
citodieresi, ovvero la divisione del citopla-
sma. Analizziamo uno per uno gli stadi della
mitosi.
Profase
Nel corso della profase compaiono i cromoso-
mi, sotto forma di cromatidi fratelli uniti a
livello di una zona detta centromero a livel-
lo del quale sono presenti strutture proteiche
dette cinetocori. L’involucro nucleare inizia Figura 2.22: Il ruolo dei microtubuli nella divi-
a disaggregarsi e ciascuna coppia di centrio- sione mitotica. I microtubuli del cinetocore, ag-
li si posiziona ai poli della cellula; dal cen- ganciando i cromosomi all’altezza del centro-
mero, sono i responsabili del loro spostamento
trosoma si formano l’aster e il fuso mitotico durante la divisione mitotica.
(Figura 2.22).
Dal momento che la profase è lo stadio
più lungo della divisione cellulare, spesso si
descrive una prometafase: l’involucro nu-
cleare e il nucleolo scompaiono e alcuni mi-
crotubuli del fuso prendono contatto con i ci-
netocori. Il fuso mitotico inizia a “spingere”
i cromosomi verso il centro della cellula.
Metafase
I cromosomi si dispongono sul piano equato-
riale della cellula a formare la piastra equato-
riale. Questa è la fase in cui i cromosomi sono
maggiormente visibili perché hanno raggiun- Figura 2.23: Cariotipo umano. Sono evidenti le
to il massimo grado di spiralizzazione. È in due copie del cromosoma X che indicano che
questa fase che viene bloccata la divisione l’individuo è di sesso femminile.
cellulare per effettuare il cariotipo (numero
e morfologia del corredo cromosomico di un individuo) (Figura 2.23).

La colchicina è una sostanza utilizzata per bloccare la divisione cellulare. La sua funzione si
esplica alterando il normale funzionamento del fuso mitotico.

Anafase
Le cellule

Il passaggio dalla metafase all’anafase è controllato da un complesso ciclina-CdK.

All’anafase i due cromatidi fratelli di ciascun cromosoma si separano a livello del cen-
tromero e vengono trascinati verso i poli dai microtubuli che si accorciano progressiva-
mente. Ogni cromatidio diventa un cromosoma a tutti gli effetti.
Telofase
I cromosomi iniziano a despiralizzarsi costituendo la cromatina e si costruiscono i due
nuclei figli: si forma l’involucro nucleare e ricompaiono i nucleoli. In contemporanea
Biologia 1043

inizia la citodieresi o citocinesi, che avviene in modo diverso nelle cellule vegetali e
in quelle animali. Nei vegetali la divisione inizia dalla parte più interna della cellula
dove si forma una struttura detta fragmoplasto, che si accresce per fusione di vescicole
provenienti dal complesso di Golgi fino alle zone periferiche.
Negli animali compare un sol-
co equatoriale che si restringe fino
a dividere la cellula in due cellule
figlie. Tale solco si forma per la pre-
senza di un anello contrattile costi-
tuito da filamenti di actina (Figura
2.24).
In alcune cellule la mitosi
può arrestarsi prima della telofa-
se per cui si accumulano all’inter-
no del nucleo più copie del cor-
redo cromosomico, determinando
una situazione nota come poliploi-
dia. Questa condizione è frequen- Figura 2.24: Rappresentazione schematica delle fasi della
mitosi.
te nei vegetali ma molto rara negli
animali.

Se a seguito di divisione nucleare non avviene divisione cellulare si può ottenere una cellula
definita plasmodio. Una situazione diversa si ha quando una cellula presenta più nuclei a
seguito di fusione di più cellule: in questo caso si parla di sincizio (un esempio è rappresentato
dalle fibrocellule muscolari striate).

2.5.4 Meiosi
Ogni cellula diploide contiene due copie di ogni cromosoma, definiti cromosomi omo-
loghi, uno di origine paterna e uno di origine materna. Al fine di preservare lo stato
di diploidia è necessario che le cellule riproduttive possiedano un corredo aploide.
Il significato funzionale della meiosi è proprio quello di ridurre della metà il corredo
cromosomico, producendo gameti aploidi.
La meiosi consta di due successive divisioni dette meiosi I e meiosi II: la prima è
definita riduzionale, in quanto dimezza la quantità di cromosomi, la seconda è detta
equazionale, perché mantiene inalterato il numero di cromosomi ottenuti dopo la prima
divisione. Entrambe le divisioni meiotiche presentano le quattro fasi descritte per la
mitosi: profase, metafase, anafase, telofase.
Biologia

Profase I
La cromatina inizia a condensare e a spiralizzarsi
e i cromosomi omologhi si appaiano in un processo
detto sinapsi (Figura 2.25). Dal momento che sono
coinvolti quattro cromatidi (due per ogni omologo)
le strutture risultanti da questo appaiamento sono Figura 2.25: Formazione della tetrade in
dette tetradi. I cromatidi di cromosomi omologhi profase I. Sono evidenziati i chiasmi.
vengono in contatto tra loro scambiandosi alcuni
tratti: questo fenomeno è definito crossing-over (o ricombinazione omologa) e genera
1044 La cellula come base della vita

variabilità genetica, perché gli assetti cromosomici risultano diversi da quelli di partenza
(Figura 2.26). I punti di contatto in cui avviene questo scambio di materiale genetico
sono detti chiasmi.
Gli altri eventi della profase I sono identici a quelli
visti per la mitosi: scomparsa dell’involucro nucleare e dei
nucleoli, spostamento dei centrioli e formazione del fuso.
A causa della complessità e della durata della profase
I, essa è stata suddivisa in diverse sottofasi:

1. leptotene: compaiono i cromosomi ma non sono


ancora visibili i due cromatidi;

2. zigotene: appaiamento longitudinale dei cromoso-


mi omologhi, che restano uniti grazie alla pre-
senza di un complesso proteico detto complesso
sinaptinemale, e formazione delle tetradi;
Figura 2.26: Durante la meio-
3. pachitene: i cromosomi continuano la spiralizzazione si, attraverso il crossing-over, si
e avviene il crossing-over ; possono formare dei cromatidi
ricombinanti.
4. diplotene: gli omologhi si allontanano leggermente
tra loro e restano uniti nei chiasmi. Nella femmina dei Mammiferi questa fase è
molto lunga in quanto gli ovociti, alla nascita, si bloccano nello stadio di diplotene;

5. diacinesi : i cromosomi continuano a condensarsi e


gli omologhi a separarsi tra loro

Nella prometafase I scompaiono il nucleolo e l’involucro nucleare.


Metafase I: i microtubuli del fuso agganciano i cinetocori e le coppie di omologhi si
allineano lungo il piano equatoriale.
Anafase I: i cromosomi omologhi si separano ma ognuno resta costituito da due cro-
matidi (a differenza di quanto avviene nella mitosi) e migrano verso i poli della cellula
(Figura 2.27).
Telofase I: è analoga alla telofase della mitosi, ma i due nuclei che si stanno riformando
contengono un contenuto dimezzato di cromosomi rispetto alla cellula di partenza e
questi cromosomi sono ancora presenti nella forma di due cromatidi fratelli. A questa
fase segue la citodieresi.
La meiosi II procede come una mitosi:
Le cellule

profase II: l’involucro nucleare scompare e si forma il fuso;

metafase II: i cromosomi si dispongono sul piano equatoriale;

anafase II: separazione dei due cromatidi e loro spostamento verso i poli della
cellula;

telofase II: despiralizzazione dei cromosomi e riformazione dell’involucro nuclea-


re. Segue poi la citodieresi.
Biologia 1045

Figura 2.27: Durante la meiosi I avviene il crossing-over e nell’anafase I si separano i cromosomi omologhi
e il numero di cromosomi viene dimezzato. Durante la meiosi II nell’anafase si separano i cromatidi fratelli.
Il numero di cromosomi, al termine delle due divisioni, è dimezzato (cellule aploidi, n).

Il risultato finale è la formazione di quattro cellule aploidi a partire da una cellula


diploide (Figura 2.28).
Le principali differenze tra mitosi e meiosi sono:

in meiosi si appaiano i cromosomi omologhi a formare delle strutture dette tetradi;

a livello delle tetradi, in meiosi, può avvenire il crossing-over, generando cosı̀ la


variabilità genetica;

all’anafase I non si separano i cromatidi ma si separano gli omologhi;

all’anafase II si separano i cromatidi.

Biologia

Figura 2.28: Riassunto delle varie fasi della meiosi.


1046 La cellula come base della vita

Nei Mammiferi la meiosi avviene con modalità diversa nel maschio e nella femmina (§
6.11.1 e § 6.11.2): nel maschio è continua per tutto il periodo della maturità sessuale,
nella femmina è solo embrionale o postnatale. Negli individui di sesso femminile avviene
un primo blocco in profase I, dopodiché la divisione riprende con la maturità sessuale
e si blocca in metafase II. La divisione completa avviene solo dopo la fecondazione.

Nel maschio la meiosi produce sempre quattro spermatozoi aploidi, mentre nella femmina si
ottengono una cellula uovo e tre globuli polari inutili ai fini della fecondazione.

2.5.5 Morte cellulare programmata o apoptosi


L’apoptosi è un processo di morte cellulare programmata (a volte detta suicidio cellu-
lare) che coinvolge una cascata di eventi in cui sono coinvolti enzimi detti caspasi, che
conducono alla morte della cellula.
In condizioni fisiologiche l’apoptosi ha diverse funzioni:
rimozione di cellule danneggiate (in seguito a mutazioni) o infettate da virus che
potrebbero andare incontro a divisione incontrollata e quindi a cancro;
controllo dell’omeostasi, in modo da mantenere il giusto equilibrio tra prolifera-
zione e morte cellulare;
durante lo sviluppo embrionale alcune cellule vanno incontro ad apoptosi, ad
esempio le dita di mani e piedi si formano per eliminazione delle cellule che
costituiscono le membrane interdigitali;
selezione delle cellule del sistema immunitario in modo da evitare che alcune di
esse siano rivolte contro l’organismo di cui fanno parte (self ).
La morte cellulare può avvenire mediante segnali provenienti dall’esterno della cellula
(via estrinseca) o dall’interno (via intrinseca o mitocondriale). La prima via passa
attraverso l’attivazione di specifici recettori (ad esempio Fas) in grado di reclutare
specifiche molecole a loro volta in grado di indurre una catena di attivazione delle
caspasi. La via intrinseca, invece, dipende dal bilancio tra l’attivazione di proteine
pro-apoptotiche (come Bad e Bax) e l’inattivazione di proteine anti-apoptotiche (come
Bcl-2). Quando nella cellula prevalgono le proteine pro-apoptotiche si ha il rilascio
da parte del mitocondrio del citocromo c, che porta all’attivazione della cascata delle
caspasi.
Le due vie apoptotiche sono comunque correlate e dipendenti l’una dall’altra, in
quanto la via estrinseca porta comunque ad un effetto sul mitocondrio di rilascio di
sostanze quali il citocromo c, la proteina SMAC/DIABLO, l’endonucleasi G e il fattore
Le cellule

AIF.

2.6 I tessuti animali

Un tessuto è un aggregato di cellule specializzate (e di sostanze da esse prodotte) che


possiedono forma, struttura, funzioni e origini embrionali simili. La scienza che studia
i tessuti è l’istologia.
Biologia 1047

Più tessuti possono associarsi per dare origine agli organi che, a loro volta, possono
formare gli apparati.

Negli animali esistono quattro tipi principali di tessuto: epiteliale, connettivo, muscolare
e nervoso.

2.6.1 Il tessuto epiteliale

Il tessuto epiteliale è costituito da cellule contigue tra le quali è scarsa la sostanza


intercellulare. Esso poggia su una membrana basale che lo separa dal tessuto connettivo
(§ 2.6.2) che è sempre presente in associazione all’epitelio.

La stretta vicinanza delle cellule tra loro è dovuta ai complessi di giunzione visti in
precedenza (§ 2.4.12). Gli epiteli non sono vascolarizzati per cui le sostanze nutritive e
l’ossigeno sono fornite dal tessuto connettivo associato all’epitelio.
L’epitelio, a seconda del tipo e della localizzazione, svolge le seguenti funzioni:

secrezione e assorbimento di sostanze;

protezione;

ricezione di stimoli;

trasporto di sostanze.

Dal punto di vista embrionale, gli epiteli derivano da endoderma, mesoderma ed ecto-
derma, che rappresentano i tre foglietti embrionali (vedi § 6.14.2).
È possibile classificare gli epiteli, dal punto di vista funzionale in:

epiteli di rivestimento: possono avere funzione di protezione e di assorbimento di


sostanze;

epiteli sensoriali: intervengono nella reazione agli stimoli;

epiteli particolarmente differenziati (smalto, unghie, peli, cristallino);

epiteli ghiandolari: specializzati nella funzione secernente.

Epiteli di rivestimento
Gli epiteli di rivestimento rappresentano lo strato più superficiale di membrane che
Biologia

rivestono la superficie dell’organismo o le cavità interne, ovvero:

cute: riveste la superficie esterna del corpo;

mucose: ricoprono le superfici delle cavità del corpo che comunicano con l’esterno
(tubo digerente, apparato respiratorio);

sierose: rivestono le cavità non comunicanti con l’esterno, ad esempio il peritoneo,


la pleura e il pericardio.
1048 La cellula come base della vita

Sono tutte strutture costituite da un tessuto epiteliale superficiale e da un tessuto


connettivo tra i quali si interpone la lamina basale o membrana basale. Nella cute
l’epitelio è detto epidermide, mentre il tessuto connettivo si chiama derma.
Gli epiteli di rivestimento possono essere classificati in base alla morfologia, consi-
derando:
1. la forma delle cellule epiteliali;
2. il numero di strati cellulari che li compongono.
Gli epiteli semplici (o monostratificati ) sono costituiti da un singolo strato di cellule,
quelli composti (o pluristratificati ) possiedono almeno due strati di cellule. Esistono
poi epiteli pseudo-stratificati, in cui in apparenza sono presenti più strati ma in
realtà tutte le cellule poggiano sulla membrana basale costituendo un unico strato.
Si parla, infine, di epitelio di transizione, che è una modifica dell’epitelio strati-
ficato, nel quale la forma delle cellule e il numero di strati varia a seconda dello stato
funzionale dell’organo di cui fanno parte. Un tipico esempio è rappresentato dall’epitelio
della vescica.
A seconda della forma delle cellule possiamo suddividere gli epiteli in:
epitelio pavimentoso (o squamoso): caratterizzato da cellule appiattite;
epitelio cubico: costituito da cellule di forma pressappoco cubica;
epitelio cilindrico (o colonnare): formato da cellule di forma cilindrica.
Utilizzando la combinazione dei due metodi di classificazione elencati, si ottengono i
seguenti tipi di epiteli (Figura 2.29):
epitelio pavimentoso semplice: è molto diffuso nell’organismo umano, ad esem-
pio negli alveoli polmonari, nella capsula di Bowman del rene e costituisce il
rivestimento interno dei vasi (endotelio);
epiteli o cubico semplice: lo si ritrova in molti dotti escretori ghiandolari, nella
tiroide e sulla superficie dell’ovaio;
epitelio cilindrico semplice: è presente soprattutto nell’apparato digerente e può
essere anche cigliato nel caso le cellule presentino delle ciglia sulla superficie
apicale. Un esempio di epitelio cigliato si ha nei bronchioli;
epitelio pavimentoso stratificato: può essere corneificato (cheratinizzato) o non
corneificato (non cheratinizzato). L’epidermide è il tipico esempio di epitelio cor-
neificato, mentre il secondo tipo si trova, ad esempio, nella mucosa di bocca,
Le cellule

esofago e vagina.
gli epiteli cubici e cilindrici pluristratificati sono poco diffusi.

L’epidermide è l’epitelio della cute (o pelle) ed è di tipo pavimentoso stratificato


corneificato, dove per strato corneo si intende lo strato più superficiale costituito da
cellule morte (cellule cornee). Lo strato basale è lo strato germinativo, costituito da
cellule in grado di proliferare.
Biologia 1049

Figura 2.29: Rappresentazione di alcuni epiteli: epitelio cilindrico semplice, con cellule cigliate (a),
epitelio pavimentoso semplice (b), epitelio di transizione (c) ed epitelio pavimentoso stratificato non
cheratinizzato (d).

Le cellule dell’epidermide sono i cheratinociti (le più abbondanti), i melanociti (che sin-
tetizzano melanina) e le cellule di Langerhans (cellule dendritiche), che hanno funzione
immunitaria riconoscendo gli antigeni e presentandoli ai linfociti.
Le cellule epiteliali sono dotate di polarità ovvero la superficie basale, quella rivolta
verso il tessuto connettivo, è diversa da quella apicale. Sulla superficie laterale sono
presenti le giunzioni cellulari viste in precedenza (2.4.12).
La superficie apicale (o libera) può presentare delle ciglia oppure degli orletti,
costituiti da un elevato numero di estroflessioni della membrana che prendono il nome
di microvilli. Il loro scopo è aumentare la superficie della membrana; per tale motivo
sono presenti in quegli epiteli deputati all’assorbimento, come nei tubuli renali (orletto
a spazzola) e nell’intestino (orletto striato, Figura 2.30). Un’altra specializzazione della
superficie libera è rappresentata dalle stereociglia: si tratta di microvilli lunghi e
sottili, non mobili.

Biologia

Figura 2.30: Rappresentazione schematica e microfotografia di cellula epiteliale di intestino. Sono eviden-
ziati i vari tipi di giunzione e i microvilli sulla superficie apicale della cellula, tipici delle cellule deputate
all’assorbimento di sostanze.
1050 La cellula come base della vita

Una caratteristica importante degli epiteli è la possibilità di rigenerazione fisiologica e


di proliferazione, ad esempio, a seguito di una ferita riparando la lesione.
Epiteli sensoriali
Sono costituiti da cellule specializzate nella ricezione di stimoli specifici e nella relativa
generazione e trasmissione di segnali al sistema nervoso centrale.
Epiteli particolarmente differenziati
Sono epiteli in cui si sono perse alcune caratteristiche tipiche dei tessuti epiteliali.
Le cellule vanno incontro ad un cambiamento e ad una specializzazione tali da non
potere essere più riconosciute come cellule epiteliali in quanto tali. Appartengono a
questa categoria le fibre del cristallino, gli ameloblasti (cellule che producono lo smalto
dentale), le unghie e i peli.
Epiteli ghiandolari
Le ghiandole sono organi costituiti
da una parte epiteliale, che ha fun-
zione secernente, e da una parte di
tessuto connettivo.

Sebbene le cellule dell’epitelio


ghiandolare siano dotate di una
funzione secernente, esse non sono
le sole ad essere in grado di produr-
re un secreto. Esistono cellule ner-
vose e connettivali, per esempio,
che producono ormoni.

È possibile classificare le ghiandole in


due categorie: Figura 2.31: Modalità di sviluppo delle ghiandole
esocrine ed endocrine.
ghiandole esocrine: riversano
il proprio secreto sulla superficie del corpo o in cavità che comunicano con l’e-
sterno. Esse utilizzano i dotti escretori per secernere il proprio prodotto e la loro
azione si esplica a breve distanza;

ghiandole endocrine: sono prive di dotti escretori e riversano il proprio secreto


direttamente nel circolo sanguigno; per questo motivo possono agire anche a
distanza.
Le cellule

Le ghiandole si formano a partire da un epitelio di rivestimento che invade il sottostante


tessuto connettivo (Figura 2.31).

Ghiandole esocrine
Le ghiandole esocrine possono essere unicellulari o pluricellulari. Nei Mammiferi esiste
un solo tipo di ghiandola unicellulare: la cellula caliciforme, che si trova tipicamente
all’interno di un epitelio di rivestimento di una mucosa. Le cellule caliciformi producono
muco.
Biologia 1051

Le ghiandole pluricellulari possono es-


sere semplici o composte, a secon-
da che il dotto escretore presenti o
meno delle ramificazioni. In ogni ca-
so il dotto termina sempre in un ade-
nomero, che è la porzione secernen-
te. Naturalmente la parte opposta del
dotto è quella che sfocia all’esterno
dell’epitelio, liberando il secreto.
In alcuni casi intorno agli adeno- Figura 2.32: Modalità di secrezione delle ghiandole
esocrine.
meri sono presenti delle cellule mioe-
piteliali che grazie alla loro funzione contrattile intervengono nella fuoriuscita del
secreto.
In base alla modalità di secrezione (Figura 2.32) è possibile classificare le ghiandole
in:

merocrine: il secreto è presente all’interno di vescicole e viene liberato mediante


esocitosi;

olocrine: l’intera cellula che ha prodotto il secreto degenera diventando essa stessa
parte del secreto, come nel caso delle ghiandole sebacee;

apocrine: la parte apicale del citoplasma si stacca dalla cellula e viene libera-
to insieme alle vescicole di secrezione che contiene (un esempio è la ghiandola
mammaria).

Ghiandole endocrine
Le ghiandole endocrine riversano il proprio secreto nel circolo sanguigno e possono cosı̀
agire a distanza. L’organo su cui agisce l’ormone è detto organo bersaglio e possiede
il recettore specifico per quell’ormone.
Dal punto di vista strutturale possiamo distinguere le ghiandole endocrine in uni-
cellulari e pluricellulari.
Le principali ghiandole endocrine e gli ormoni da esse prodotti sono trattati in un
capitolo dedicato (§ 6.12).

La parte della medicina che si occupa dello studio delle ghiandole endocrine si chiama
endocrinologia.
Biologia

2.6.2 I tessuti connettivi

Il tessuto connettivo è cosı̀ denominato perché ha la funzione principale di connettere


altri tessuti tra di loro all’interno dell’organismo. Altre funzioni sono quella trofica
(nutritizia) e quella meccanica (sostegno e protezione).

Esistono diversi tipi di tessuto connettivo ma tutti hanno in comune l’origine embrio-
nale (dal mesenchima, tessuto connettivo embrionale che si origina dal mesoderma)
e la presenza di cellule separate tra loro da abbondante sostanza intercellulare (o
1052 La cellula come base della vita

matrice). Questa è costituita da una parte amorfa e da una fibrillare. La sostanza fon-
damentale amorfa è una sostanza colloidale complessa che varia da tessuto a tessuto.
La parte fibrillare può essere di tre tipi:

1. fibre collagene: il collagene è la proteina più diffusa negli animali (è una glico-
proteina) e si organizza a formare delle fibre dotate di notevole resistenza alla tra-
zione, sono flessibili ma poco estensibili. Esistono diversi tipi di collagene, ma tutti
presentano elevate quantità di tre aminoacidi: glicina, prolina e idrossiprolina;

2. fibre reticolari: si trovano isolate o a formare piccoli fasci. Nell’adulto sono


rare e si concentrano in zone dando origine ad un tessuto connettivo reticolare
(esempi: lo stroma ghiandolare e degli organi linfoidi);

3. fibre elastiche: sono fibre estremamente deformabili costituite da elastina che


si concentrano nel tessuto elastico.

I tessuti connettivi possono essere classificati in:

tessuti connettivi propriamente detti, suddivisi a loro volta in:

– tessuto connettivo lasso: le fibre sono poco abbondanti e prevale la sostanza


amorfa;
– tessuto connettivo denso o compatto: è abbondante la componente fibrillare.
Un esempio è il tessuto elastico;

tessuti connettivi specializzati, tra cui ricordiamo il tessuto adiposo, la car-


tilagine, il tessuto osseo, il tessuto linfoide e il sangue.

Tessuto connettivo lasso


È il tipo di tessuto connettivo più diffuso. Entra a far parte della parete degli organi
cavi comunicanti con l’esterno e avvolge i muscoli, i nervi e i vasi.
Le funzioni di questo connettivo sono:

sostegno;

nutrizione;

scambio di gas tra le cellule e il sangue;

difesa contro microrganismi e sostanze estranee grazie ai macrofagi e alle plasma-


cellule.
Le cellule

Le tipiche cellule del tessuto connettivo sono i fibroblasti, che sono le responsabili
della sintesi della sostanza intercellulare. Quando queste cellule perdono la loro atti-
vità sintetica sono detti fibrociti. Oltre a questo tipo cellulare sono presenti macrofagi
(o istiociti ), mastociti e plasmacellule. I macrofagi sono cellule dotate di attività
fagocitica che intervengono nei processi di difesa; essi derivano dai monociti del sangue.
I mastociti sono cellule abbastanza grandi in cui sono presenti numerosi granuli con-
tenenti istamina e eparina. L’eparina è una sostanza ad azione anticoagulante mentre
l’istamina è un vasodilatatore. Nel corso di reazioni allergiche avviene la degranulazione
dei mastociti con liberazione di grandi quantità di istamina.
Biologia 1053

Gli antistaminici, utilizzati come farmaci antiallergici, legano i recettori dell’istamina bloccan-
done l’azione.

Le plasmacellule derivano dai linfociti B e fanno parte del sistema immunitario in


quanto sono deputate alla sintesi degli anticorpi.
Un tipo di tessuto connettivo lasso è il tessuto connettivo reticolare. In questo tessuto
la componente principale è rappresentata da fibre reticolari. Si trova nelle membrane
basali degli epiteli, negli organi emopoietici (midollo, fegato, milza, linfonodi) e nello
stroma delle ghiandole.
Tessuto connettivo denso o compatto
In questo tessuto connettivo la parte predominante è costituita dalle fibre collagene. Il
tessuto compatto si trova nel derma e, data la sua elevata resistenza alla trazione, nei
tendini e nei legamenti.
Tessuto connettivo elastico
È un tessuto connettivo compatto caratterizzato dalla presenza abbondante di fibre
elastiche. Si trova nella parete delle arterie e costituisce le corde vocali.
Tessuto adiposo
È un tessuto prevalentemente cellulare, con scarsa sostanza intercellulare. Ne esistono
di due tipi:
tessuto adiposo bianco (o uniloculare);
tessuto adiposo bruno (o multiloculare).
Essi differiscono per morfologia, funzione e per localizzazione: il tessuto adiposo bianco
costituisce la maggior parte del grasso corporeo, il grasso bruno è abbondante nelle
specie che vanno incontro a letargo ma è scarsamente presente nell’uomo, nel quale è
presente in fase fetale e neonatale.
Il tessuto adiposo bianco ha ruolo di isolamento termico, protezione meccanica e
sostegno. La funzione principale però è il metabolismo dei grassi: accumulo e idrolisi di
trigliceridi. Questi si trovano in grandi quantità all’interno del citoplasma delle cellule
adipose, dette adipociti. I trigliceridi derivano sia dal sangue sia dalla sintesi che
avviene nella cellula stessa.
I lipidi circolanti nel sangue possono essere di origine alimentare (chilomicroni )
oppure endogeni, sintetizzati dal fegato e trasportati da lipoproteine dette LDL. La
cellula adiposa, oltre ad assumere lipidi dal sangue, è capace di sintetizzarli a partire
dal glucosio. Il metabolismo degli adipociti è sotto il controllo ormonale (insulina,
glucagone, ACTH, TSH, epinefrina).
Biologia

Il tessuto adiposo bruno svolge un ruolo importante nella produzione di calore in


molti organismi, soprattutto nelle specie ibernanti. I mitocondri di queste cellule non
sintetizzano ATP sfruttando la catena respiratoria (fosforilazione ossidativa, § 3.2.5):
l’energia accumulata viene cosı̀ dispersa sotto forma di calore.
Tessuto cartilagineo
È un tessuto connettivo specializzato con funzione prevalentemente meccanica di soste-
gno, costituito da cellule dette condrociti e da un’abbondante sostanza intercellulare,
a sua volta composta da fibre collagene e sostanza amorfa.
1054 La cellula come base della vita

Per alcuni animali la cartilagine costituisce lo scheletro definitivo (pesci cartilaginei


come lo squalo), mentre per gli altri Vertebrati è uno scheletro embrionale, che in
seguito viene sostituito da tessuto osseo.

La cartilagine è un tessuto non vascolarizzato per cui la nutrizione è garantita da un


tessuto connettivo associato ad essa, detto pericondrio. Tale tessuto connettivo è
anche importante per una delle due modalità di accrescimento dell’osso, quella definita
accrescimento per apposizione, che verrà descritta in seguito.
In base al tipo di fibra presente nella matrice si distinguono tre tipi di cartilagine:

ialina: è il tipo di cartilagine più abbondante ed è ricca di sostanza amorfa.


Questa cartilagine costituisce lo scheletro dell’embrione e del feto e nell’adulto
è presente a livello delle coste, del naso, delle vie aeree superiori e costituisce le
cartilagini articolari;

elastica: come indica il nome è ricca di fibre elastiche, costituisce il padiglione


auricolare ed è presente nell’epiglottide e nella laringe;

fibrosa: è assai simile al tessuto connettivo denso ed è presente nei dischi in-
tervertebrali, nella sinfisi pubica, in alcuni menischi articolari e nella zona di
inserzione di alcuni tendini sull’osso.

Tessuto osseo

Il ruolo principale del tessuto osseo è di tipo meccanico in quanto costituisce un sostegno
per l’organismo e una protezione per alcuni organi interni. Oltre a questa ben nota
funzione, il tessuto osseo ha anche un importante ruolo di riserva di ioni calcio e
fosfato.

Si tratta di un tessuto costituito da cellule e da matrice intercellulare la quale ha una


componente inorganica, costituita principalmente da carbonato di calcio e fosfato di
calcio (sotto forma di idrossiapatite), e una organica suddivisa in matrice amorfa e fibre
collagene.
Le cellule del tessuto osseo appartengono a tre tipologie:

osteoblasti: sono responsabili della sintesi della matrice ossea, la quale si dispone
intorno alla cellula creando una zona che prende il nome di lacuna, che imprigiona
l’osteoblasto che diventa una cellula quiescente detta osteocita;

osteociti: rappresentano la forma quiescente degli osteoblasti e non possono più


Le cellule

dividersi;

osteoclasti: sono cellule polinucleate (sincizi che derivano dalla fusione di mo-
nociti ) che presentano microvilli sulla superficie. Il ruolo di queste cellule è quello
di erodere e assorbire la matrice ossea.

Gli osteoblasti e gli osteoclasti sono i protagonisti di un evento dinamico di deposizione


e riassorbimento dell’osso che influisce sul livello di calcio nel sangue (calcemia). Tale
processo è noto come rimodellamento dell’osso ed è regolato mediante ormoni quali
gli ormoni sessuali, l’ormone della crescita, gli ormoni tiroidei e la coppia antagonista
Biologia 1055

calcitonina–paratormone. In quest’ultimo caso la calcitonina, prodotta dalle cellule


parafollicolari della tiroide, inibisce l’attività degli osteoclasti per cui cessa il riassor-
bimento di osso (e quindi di calcio) e la calcemia diminuisce. Al contrario il parator-
mone, sintetizzato dalle paratiroidi, stimola l’azione degli osteoclasti determinando un
aumento della calcemia.

La condizione per cui si ha perdita di massa ossea e indebolimento dell’osso è noto come
osteoporosi. Essa colpisce maggiormente le donne in menopausa e gli individui in età senile
ed è principalmente dovuta ad un aumento del rapporto osteoclasti/osteoblasti.

Il tessuto osseo si forma per modifica di un tessuto connettivo preesistente. Si riconosco-


no due tipi di ossificazione, membranosa (o diretta) e cartilaginea (o condrale).
Nel primo tipo l’osso si forma direttamente a partire da un tessuto connettivo primitivo
(mesenchima) dal quale si differenziano gli osteoblasti. Nell’ossificazione condrale, la
più diffusa, il tessuto osseo sostituisce un modello cartilagineo.
– Struttura del tessuto osseo
Il tessuto osseo tipico dei Mammiferi è definito tessuto osseo lamellare che può
essere di due tipi diversi: osso spugnoso oppure osso compatto.
È definito osso lamellare in quanto
costituito da lamelle ossee (strati pa-
ralleli di cellule, matrice e fibre colla-
gene orientate nella stessa direzione).
Gli osteociti si trovano tra una lamel-
la e l’altra all’interno di lacune ossee
dalle quali partono dei canalicoli che si
connettono con i canali contenenti va-
si sanguigni e nervi, denominati canali
di Havers e canali di Volkmann.
A seconda di come sono disposte le
lamelle si parla di osso compatto e di
osso spugnoso.
L’osso compatto è presente nel
corpo (diafisi) delle ossa lunghe e sulla
superficie di ossa piatte (tavolati ester-
no e interno) e ossa corte ed è costitui-
to da lamelle disposte parallelamente a
formare strutture regolari. Le lamelle
si dispongono, per la maggior parte, in
modo concentrico intorno a un canale di
Biologia

Havers formando i cosiddetti sistemi


di Havers o osteoni, che possono esse- Figura 2.33: Rappresentazione della diafisi di un osso
re considerati come le unità strutturali lungo costituito da tessuto osseo compatto con una por-
zione di tessuto osseo spugnoso che delimita la cavità
e funzionali dell’osso compatto (Figura midollare.
2.33).
L’osso spugnoso è presente alle estremità (epifisi) delle ossa lunghe, nelle ossa
corte e nella porzione centrale delle ossa piatte. Esso è costituito da trabecole ossee
formate da lamelle che si intrecciano a formare una rete tridimensionale all’interno
1056 La cellula come base della vita

della quale sono presenti le cavità midollari che ospitano il midollo osseo. Quest’ultimo
è presente anche nella parte centrale delle ossa lunghe (detta cavità midollare della
diafisi). Nell’osso spugnoso mancano gli osteoni e tra le trabecole non sono presenti
vasi sanguigni.
Tutte le ossa sono ricoperte da un tessuto connettivo detto periostio, che è assente
sulle superfici articolari e nelle zone di inserzione dei tendini e dei legamenti. Le cavità
midollari dell’osso spugnoso e della diafisi sono invece ricoperte da uno strato di tessuto
connettivo denominato endostio. Questi due tipi di tessuto sono dotati di proprietà
osteogeniche, sono cioè in grado di produrre nuovo tessuto osseo.
Esistono due forme estremamente specializzate di tessuto osseo, localizzate a livello
dei denti (vedi § 6.9): la dentina (o avorio) e il cemento. La prima è un tessuto non
vascolarizzato prodotto dagli odontoblasti, che non rimangono intrappolati nella ma-
trice che producono e non divengono quiescenti. Anche il cemento non è vascolarizzato
ed è prodotto dai cementociti.
Nei denti si trova anche lo smalto, la sostanza più dura del corpo umano, che come
abbiamo visto non è formato da tessuto osseo ma da un epitelio modificato (§ 2.6.1).
Tessuto linfoide
Si tratta di un particolare tessuto connettivo in cui la componente cellulare è costituita
principalmente da linfociti. A differenza dei tessuti connettivi veri e propri, il tessuto
linfoide non ha funzione trofica (di nutrimento) ma difensiva. Esso è costituito da (vedi
§ 6.7.3):
organi linfoidi primari: timo e midollo osseo;
organi linfoidi secondari: linfonodi, milza, tessuto linfoide associato alle mucose
(MALT).
Il sangue
Il sangue è un tessuto connettivo fluido costituito da una parte corpuscolata (gli ele-
menti figurati: globuli rossi, globuli bianchi, piastrine) e da una parte liquida, il plasma,
che costituisce la sostanza intercellulare e che non è sintetizzata dalle cellule del san-
gue. La parte corpuscolata rappresenta circa il 45% del volume del sangue e il restante
55% è costituito dal plasma.

La percentuale della parte corpuscolata nel sangue è definita ematocrito.

Nell’uomo il sangue rappresenta circa l’8% del peso corporeo: in un individuo di 70 kg


è presente un volume di 5-6 litri di sangue.
Le cellule

Le funzioni del sangue sono molteplici:


trasporta i nutrienti alle varie parti dell’organismo;
trasporta i gas respiratori (O2 e CO2 );
trasporta i cataboliti e le sostanze da eliminare mediante escrezione;
connette organi lontani mediante il trasporto di molecole di segnalazione (ormo-
ni);
Biologia 1057

contribuisce alla termoregolazione;


contribuisce al mantenimento dell’equilibrio idrosalino e a mantenere costante il
pH;
ha funzione di difesa grazie ai globuli bianchi.
Il plasma
Il plasma, come detto, costituisce il 55% circa della massa sanguigna. Il principale com-
ponente del plasma è l’acqua che ne rappresenta circa il 90%, mentre la restante parte
è costituita da ioni inorganici (Na+ , K+ , Ca2+ , HCO− 3−
3 , PO4 ), proteine (albumina,
globuline, fibrinogeno), aminoacidi, urea, acidi grassi, fosfolipidi, glucosio, anticorpi,
ormoni ed enzimi.
Tra le proteine del plasma ha un ruolo molto importante il fibrinogeno: si tratta
di una proteina che può essere trasformata in fibrina, la quale assume un ruolo fon-
damentale nei processi di coagulazione del sangue e riparazione delle ferite. Il plasma
privato di fibrinogeno è detto siero.

L’eccessiva produzione di fibrina può portare ad una condizione patologica nota come trombosi.

Elementi figurati
Gli elementi figurati o elementi corpuscolati sono cellule (leucociti o globuli bianchi) o
particelle di derivazione cellulare (eritrociti o globuli rossi e piastrine).
I globuli bianchi o leucociti rappresentano un gruppo di cellule del sangue, di
diametro variabile tra 8 e 20 µm, presenti in numero compreso tra 4000 e 10000 per
millimetro cubo di sangue. Quando il loro numero è inferiore alla norma si parla di leu-
copenia, al contrario se il loro numero supera in modo significativo le quantità normali
si parla di leucocitosi.
Leucocita Quantità
I leucociti sono dotati di movimento ameboi- percentuale
de e possono attraversare i vasi passando attraver- Granulociti 50-65%
so le cellule endoteliali: tale caratteristica è detta neutrofili
diapedesi. Granulociti 1-4%
I leucociti appartengono a tre categorie: eosinofili
Granulociti < 1%
1. granulociti ; basofili
Monociti 2-8%
2. monociti ;
Linfociti 20-35 %
3. linfociti. Tabella 2.4: La formula leucocitaria.

La quantità percentuale di tali elementi cellulari nel sangue è detta formula leucocitaria
Biologia

(vedi Tabella 2.4).


I granulociti possiedono numerosi granuli all’interno del citoplasma che si colorano
in modo diverso a seconda del tipo cellulare, portando alla distinzione in granulociti
neutrofili (i più abbondanti dell’organismo), eosinofili (o acidofili) e basofili.
I granulociti neutrofili sono cellule la cui funzione principale è la fagocitosi. Essi
vengono richiamati nel punto in cui si verifica un’infiammazione mediante chemiotassi :
si tratta di un fenomeno per cui le cellule sono richiamate verso una determinata
sede dalla presenza di sostanze chimiche. I batteri, ad esempio, rilasciano sostanze
chemioattrattive per i neutrofili. Nella sede di infiammazione è possibile la formazione
1058 La cellula come base della vita

del pus, una sostanza costituita da granulociti morti, microrganismi e macromolecole


(DNA e lipidi).
I granulociti eosinofili intervengono nella difesa da infezioni parassitarie (non batteri-
che). Sulla loro membrana possiedono un recettore in grado di riconoscere gli anticorpi
del tipo IgE, tipici delle reazioni allergiche, e possono rilasciare istaminasi, un enzima
che degrada l’istamina: per questo motivo possiedono attività antiinfiammatoria.
I granulociti basofili sono scarsamente rappresentati nel sangue (rappresentano in
media meno dell’1%). Non hanno attività fagocitaria ma mediante esocitosi liberano il
contenuto dei granuli, costituito principalmente da eparina ed istamina. Dal momento
che l’esocitosi può avvenire dopo il riconoscimento degli anticorpi del tipo IgE e IgG, i
basofili sono cellule che intervengono in reazioni di ipersensibilità, che possono portare
allo shock anafilattico.
I monociti sono i leucociti di maggiori dimensioni; sono dotati di movimento
ameboide e sono in grado di fagocitare. Una caratteristica importante è la loro ca-
pacità di lasciare il sangue per raggiungere il tessuto connettivo, dove si trasformano
in macrofagi.
I linfociti sono cellule abbastanza piccole in grado di lasciare il circolo sangui-
gno e di rientrarvi. Sono cellule coinvolte nella risposta immunitaria e si dividono
principalmente in due tipi:
linfociti T : maturano all’interno di un organo situato nel collo detto timo;
linfociti B : maturano nel midollo osseo e possono, in seguito ad opportuni stimoli,
trasformarsi in plasmacellule secernendo anticorpi.
I globuli rossi, o eritrociti, o emazie, nei Mammiferi hanno forma discoidale bi-
concava e sono privi di nucleo. Possiedono un diametro di 6-8 µm e sono presenti in
numero variabile da 4 a 6 milioni per mm3 (1 mm3 = microlitro) di sangue umano (i
valori dell’adulto variano tra maschi e femmine: nell’uomo tra 4,7 e 6,1, nella donna
tra 4,2 e 5,4 milioni). Essi contengono una proteina contenente ferro, l’emoglobina,
responsabile della colorazione rossa del sangue.
L’emoglobina (indicata spesso con Hb) è una proteina tetramerica costituita da
una parte proteica (globina) e da un gruppo prostetico, l’eme. Quest’ultimo contiene
uno ione Fe2+ responsabile del legame con l’ossigeno. Se il ferro viene ossidato a Fe3+
esso perde la capacità di legare l’ossigeno e si ha la metaemoglobina. Il legame del
ferro (sia in forma ossidata sia in forma ridotta) con l’ossigeno è reversibile e questo è
fondamentale per la funzione respiratoria. A livello dei polmoni, dove la concentrazione
di O2 è elevata, questo gas entra all’interno dell’eritrocita per diffusione semplice e si
lega all’emoglobina. Nei tessuti, in cui la concentrazione di ossigeno è bassa e quella
della CO2 è elevata, quest’ultima penetra nel globulo rosso e l’ossigeno ne fuoriesce.
Le cellule

Il monossido di carbonio (CO) è una sostanza tossica e potenzialmente mortale in


quanto lega l’emoglobina in modo stabile formando carbossi-emoglobina, impedendo
cosı̀ il legame e il trasporto dell’ossigeno.
Le situazioni che portano alla formazione di emoglobine anormali possono essere
classificate in due gruppi principali:
1. emoglobinopatie, caratterizzate da variazioni strutturali delle catene globini-
che;
2. talassemie, contraddistinte da difetti di sintesi di una o più catene globiniche.
Biologia 1059

Le emoglobinopatie sono disordini genetici tra i quali ricordiamo la anemia falciforme o


drepanocitica. In questa patologia l’emoglobina è mutata e dà origine all’emoglobina S
(HbS) nella quale una catena peptidica presenta la sostituzione dell’acido glutammico
con la valina. L’HbS ha una ridotta attività funzionale e gli eritrociti assumono una
caratteristica forma a falce.
Nelle talassemie si ha una riduzione della sintesi di emoglobina e tale alterazione
può avvenire nelle catene α o β dell’emoglobina (si parla di talassemie α o talassemie β).

Nei casi in cui si ha una ridotta quantità di emoglobina si parla di anemia.

Sulla membrana degli eritrociti sono presenti


particolari polisaccaridi che costituiscono gli
antigeni dei gruppi sanguigni, come il ben
noto sistema AB0.
Gli eritrociti rimangono in circolo per
circa 100-120 giorni, dopodiché vengono di-
strutti dagli organi emocateretici, il fegato e
la milza.
Le piastrine sono dei corpuscoli privi di
nucleo derivati dalla frammentazione di una
grossa cellula del midollo osseo detta mega- Figura 2.34: Immagine al microscopio elettro-
nico a scansione (SEM) di un eritrocita, una
cariocita. Le piastrine sono coinvolte nel fe- piastrina e un leucocita.
nomeno di coagulazione del sangue insieme
ai fattori della coagulazione. Il loro numero in circolo varia tra i 200000 e i 400000 per
millimetro cubico di sangue (Figura 2.34).

Emopoiesi o ematopoiesi

L’emopoiesi è la formazione degli elementi del sangue e nell’uomo adulto avviene nel
midollo osseo.

Durante la vita embrionale l’ematopoiesi inizia intorno alla seconda settimana di ge-
stazione nel sacco vitellino dopodiché, intorno al secondo mese di sviluppo inizia l’e-
mopoiesi epatica. Dal quinto-sesto mese entra in gioco il midollo osseo, che sarà la sede
definitiva di emopoiesi.
Durante lo sviluppo intrauterino gli elementi del sangue derivano da una cellula
staminale totipotente, in grado cioè di dare origine a qualsiasi cellula dei tessuti con-
Biologia

nettivi, la quale dà origine ad una cellula staminale emopoietica pluripotente, da cui
poi si differenziano i diversi elementi corpuscolati del sangue.
Gli eritrociti e i leucociti, ad eccezione dei linfociti, appartengono alla linea mieloide
mentre i linfociti alla linea linfoide. Nel primo caso esiste un precursore mieloide da
cui derivano i megacarioblasti (che daranno origine alle piastrine), gli eritroblasti (che
danno origine ai reticolociti da cui si formano gli eritrociti) e mieloblasti (precursori
dei granulociti e dei monociti). Nel secondo caso il linfoblasto darà origine ai linfociti
T, ai linfociti B e alle cellule natural killer (§ 6.15.1 e § 6.15.2).
1060 La cellula come base della vita

L’emopoiesi è un processo finemente regolato da diversi fattori, ad esempio citochine,


interleuchine e ormoni. Una sostanza importante per la formazione degli eritrociti è
l’eritropoietina (EPO), un ormone prodotto dal rene.
Una condizione patologica di proliferazione incontrollata di una cellula staminale emo-
poietica va sotto il nome generico di leucemia. Esistono leucemie mieloidi o linfoidi,
acute o croniche.

2.6.3 Il tessuto nervoso


Si tratta di un tessuto costituito da cellu-
le nervose, i neuroni, e cellule accessorie
con funzioni di sostegno denominate cellule
gliali o cellule della glia. Dal punto di vi-
sta embrionale il tessuto nervoso deriva dal-
l’ectoderma, precisamente dal tubo neurale e
dalla cresta neurale. La sua funzione fonda-
mentale è di ricevere, elaborare e trasmettere
stimoli, sia interni che esterni al corpo.
I neuroni (Figura 2.35) sono costituiti da
un corpo cellulare (o soma o pirenoforo)
e da prolungamenti che appartengono a due
categorie:
dendriti: prolungamenti che si di-
partono dal soma e che raccolgono
gli stimoli che provengono dall’ester- Figura 2.35: Rappresentazione schematica di un
no trasmettendoli al corpo cellulare neurone in cui è evidente il corpo cellulare, i den-
(conduzione centripeta); driti e l’assone avvolto nella guaina mielinica.
Sono presenti anche alcune sinapsi.
assoni: è presente generalmente un as-
sone per ogni neurone e ha il compito di trasmettere l’impulso nervoso generato
nella cellula nervosa (conduzione centrifuga).

L’assone può essere avvolto da un rivestimento detto guaina mielinica (Figura 2.35).
Si tratta di cellule gliali che si avvolgono intorno all’assone: nel sistema nervoso centrale
sono gli oligodendrociti, nel sistema nervoso periferico sono le cellule di Schwann.
Alcuni punti dell’assone rimangono scoperti e sono detti nodi di Ranvier.
Le cellule

L’insieme costituito da assone e guaina di rivestimento è detto fibra nervosa. A seconda


della presenza o meno della guaina di rivestimento si distinguono fibre mieliniche e fibre
amieliniche.

Il potenziale d’azione
I neuroni, come le cellule muscolari e alcune cellule degli epiteli sensoriali, sono cellule
eccitabili, in grado cioè di modificare drasticamente le proprietà elettriche della propria
membrana plasmatica.
Biologia 1061

Tutte le cellule possiedono una mem-


brana plasmatica polarizzata, che
presenta cioè una differenza di po-
tenziale tra esterno ed interno di cir-
ca -70 millivolt: questo valore è de-
finito potenziale di riposo. Tale po-
tenziale (con una prevalenza di cari-
che negative verso l’interno della cel-
lula) è mantenuto grazie all’interven-
to di canali ionici e pompe. La pom-
pa Na+ /K+ , ad esempio, mantiene la
Figura 2.36: Rappresentazione schematica del potenziale
concentrazione di ioni sodio più ele- d’azione. Per la spiegazione si legga il testo.
vata nel mezzo extracellulare, mentre
gli ioni potassio risultano più abbon-
danti all’interno della cellula. Accan-
to a questo meccanismo di trasporto
attivo sono presenti fenomeni di dif-
fusione facilitata, secondo gradiente,
per cui gli ioni potassio entrati pos-
sono fluire all’esterno attraverso dei
canali ionici per il potassio. Il risul-
tato è l’accumulo di cariche positive
all’esterno della cellula. Si viene cosı̀
a generare una differenza di poten-
ziale con cariche negative verso l’in-
terno della cellula e cariche positive
all’esterno di circa -70 mV (Figura
2.36).
La cellula può andare incontro
a variazioni del potenziale di riposo
che non producono effetti significa-
tivi. L’evento drammatico si verifica
quando viene raggiunto il cosiddet-
to valore soglia; a questo punto en- Figura 2.37: Propagazione del potenziale d’azione. L’in-
gresso di ioni sodio in seguito al raggiungimento del valore
trano in gioco dei canali voltaggio- soglia induce la depolarizzazione della membrana. Le cari-
dipendenti, regolati cioè dal valore di che positive penetrate all’interno della cellula si diffondono
potenziale. Si tratta di canali per il verso una regione vicina che presenta un valore di poten-
ziale di membrana negativo. La diffusione può avvenire in
sodio che, raggiunto il valore soglia un senso perché la regione precedentemente interessata
(di circa -55mV), si aprono lasciando al fenomeno si trova nella fase refrattaria. Il passaggio di
Biologia

entrare ioni sodio (secondo gradien- cariche positive nella zona adiacente a quella di ingresso
te). Il potenziale di membrana, grazie degli ioni sodio porta ad un aumento del potenziale di
membrana fino al raggiungimento del valore soglia, che
al massiccio ingresso di cariche posi- causa l’apertura di un altro canale voltaggio-dipendente.
tive, raggiunge rapidamente (in circa
1 millisecondo) valori positivi, intorno ai +35 mV, scatenando il cosiddetto potenziale
d’azione, si ha cioè una depolarizzazione. I canali voltaggio-dipendenti ora si chiudo-
no, la pompa sodio-potassio ricomincia il proprio lavoro e la differenza di potenziale
ritorna a valori negativi e, anzi, per un tempo di 1-2 ms raggiunge un valore ancora più
negativo del valore di riposo (iperpolarizzazione): si parla di periodo di refrattarietà,
1062 La cellula come base della vita

che impedisce l’immediato instaurarsi di un nuovo potenziale d’azione. Ciò fa sı̀ che
il potenziale d’azione si propaghi verso regioni della membrana che non sono ancora
state interessate dal fenomeno e che presentano ancora un lato interno della membrana
negativo, in grado quindi di attirare le cariche positive penetrate nelle regioni in cui si
è scatenato il potenziale d’azione (Figura 2.37).
La causa scatenante il potenziale d’azione è il raggiungimento del valore soglia, al
di sotto del quale non si verifica nulla di quanto abbiamo descritto: si parla di risposta
tutto o nulla, o si instaura il potenziale d’azione o non succede nulla.
Il tipo di conduzione descritta è di tipo continuo, ma quando si giunge a livello
dell’assone mielinizzato la conduzione passa da continua a saltatoria: la guaina mielinica
è un isolante per cui i canali voltaggio-dipendenti possono aprirsi solo in corrispondenza
dei nodi di Ranvier (l’impulso “salta” da un nodo all’altro). Questo tipo di conduzione
è più rapida di quella continua (si stima sia circa 50 volte più veloce raggiungendo
velocità di 100 m/s contro 0,5-2 m/s delle fibre amieliniche).
Le sinapsi

La sinapsi è la zona di contatto funzionale per la trasmissione dell’impulso da un neurone


(elemento pre-sinaptico) ad un altro neurone o altra cellula (elemento post-sinaptico).

Esistono due tipi di sinapsi, elettriche e chimiche. Nelle prime l’impulso viene tra-
smesso alla cellula post-sinaptica mediante passaggio diretto di ioni tramite giunzioni
comunicanti. Sono più rapide delle sinapsi chimiche, in cui la trasmissione dell’impulso
è mediato da un segnale chimico, perché la trasmissione dell’impulso avviene in modo
diretto. Nelle sinapsi chimiche, più frequenti di quelle elettriche, le due cellule coinvolte
non sono in contatto diretto ma esiste uno spazio tra le due membrane, lo spazio sinap-
tico o fessura sinaptica, all’interno del quale viene rilasciato dal neurone pre-sinaptico
un mediatore chimico (un neurotrasmettitore). Sulla membrana dell’elemento post-
sinaptico sono presenti recettori specifici per quel neurotrasmettitore che, una volta
legato al proprio recettore, induce una risposta cellulare (Figura 2.38).
Le cellule

Figura 2.38: Rappresentazione schematica di una sinapsi.

L’elemento pre-sinaptico è tipicamente la porzione terminale dell’assone. Essa perde la


guaina mielinica e si espande formando il bottone terminale o bottone sinaptico. Al suo
Biologia 1063

interno sono presenti vescicole contenenti il neurotrasmettitore (vescicole sinaptiche)


e quando il potenziale d’azione giunge al bottone sinaptico si ha l’apertura dei canali
voltaggio-dipendenti per il calcio: l’ingresso di Ca2+ all’interno del bottone terminale
provoca la fusione delle vescicole con la membrana plasmatica e il neurotrasmettitore è
rilasciato nella fessura sinaptica. L’effetto dell’impulso sulla cellula post-sinaptica può
essere di tipo eccitatorio o inibitorio.
I più comuni neurotrasmettitori sono: acetilcolina, catecolamine (adrenalina, no-
radrenalina, dopamina), acido glutammico, GABA (acido gamma-amminobutirrico),
glicina, serotonina, ossido di azoto.
Il neurotrasmettitore che rimane nella fessura sinaptica va incontro a diversi destini:

degradazione da parte di enzimi specifici (è il caso dell’acetilcolina che viene


eliminata dalla acetilcolinesterasi);

ricattura (reuptake) da parte del neurone pre-sinaptico;

cattura da parte delle cellule della glia.

Cellule gliali
La glia (o neuroglia) è costituita da cellule non eccitabili che rappresentano un
sostegno per le cellule nervose. Esistono diversi tipi di cellule gliali:

cellule ependimali : costituiscono l’ependima che è il tessuto epiteliale che riveste


le cavità del cervello e del midollo spinale;

astrociti : sono coinvolti nel riciclo dei neurotrasmettitori rilasciati nello spazio
sinaptico e contribuiscono alla formazione della barriera emato-encefalica;

oligodendrociti : costituiscono la guaina mielinica del sistema nervoso centrale;

cellule di Schwann: costituiscono la guaina mielinica del sistema nervoso perife-


rico;

microglia: cellule che derivano dal mesoderma capaci di fagocitosi.

Gli astrociti sono cellule che possono andare più frequentemente incontro a trasforma-
zione neoplastica: il glioblastoma e l’astrocitoma, infatti, sono tra i più frequenti tumori
cerebrali.

2.6.4 Il tessuto muscolare

Il tessuto muscolare è il responsabile del movimento degli organismi pluricellulari ed è


Biologia

specializzato nella contrattilità.

Nei Vertebrati sono presenti tre tipi di muscolo:

striato scheletrico;

striato cardiaco;

liscio.
1064 La cellula come base della vita

Gli elementi contrattili sono denominati miofibrille, contenenti dei miofilamenti re-
sponsabili della contrazione muscolare. La denominazione “striato” o “liscio” dipen-
de dall’aspetto al microscopio: nel muscolo striato appare una bandeggiatura delle
miofibrille che è assente nel muscolo liscio.
Dal punto di vista funzionale possiamo classificare i muscoli in:

muscoli volontari: sono innervati dal sistema nervoso centrale e si contraggono in


seguito a stimoli volontari;

muscoli involontari: sono innervati dal sistema nervoso autonomo e si contraggono


in modo indipendente dalla volontà.

Tessuto muscolare striato scheletrico


Le unità istologiche che costituiscono il tessuto muscolare scheletrico sono dette fi-
bre muscolari o fibrocellule muscolari. Esse derivano dalla fusione di cellule dette
mioblasti perciò si tratta di sincizi e non di cellule.
Ogni fibra muscolare è circondata da uno strato di tessuto connettivo reticolare
chiamato endomisio. Più fibre costituiscono dei fasci di fibre muscolari delimitati da
un connettivo che prende il nome di perimisio. Infine il connettivo che avvolge il muscolo
intero è detto epimisio.
Le fibrocellule striate sono
delimitate da una membrana
plasmatica che viene detta sar-
colemma. Il prefisso sarco- è
usato per indicare molti com-
ponenti delle cellule muscolari,
cosı̀ il citoplasma è detto sar-
coplasma e il reticolo endopla-
smatico è indicato come retico-
lo sarcoplasmatico. Il sarcolem-
ma forma delle invaginazioni al-
l’interno del sarcoplasma note Figura 2.39: Miofilamenti: filamenti sottili (in alto) e filamenti
come tubuli T. Il reticolo sar- spessi di miosina (in basso).
coplasmatico è una struttura di
accumulo di ioni Ca2+ grazie alla presenza di una pompa (ATPasi calcio-dipendente)
che fa entrare lo ione nel reticolo contro gradiente.
All’interno del sarcoplasma è presente il glicogeno, che funge da riserva di glucosio
e la mioglobina, una proteina che funge da riserva di ossigeno.
All’interno delle fibre muscolari sono presenti le miofibrille, caratterizzate da una
Le cellule

tipica striatura trasversale. Ogni miofibrilla è costituita da miofilamenti (Figura 2.39)


che appartengono a due categorie:

filamenti sottili : costituiti da actina, tropomiosina e troponina;

filamenti spessi : costituiti da miosina.

Le miofibrille presentano un’alternanza di bande chiare e scure chiamate, rispettiva-


mente, bande I e bande A. Le prime sono divise a metà da una linea Z, mentre le
bande A presentano una zona centrale detta banda H, attraversata da una linea M.
Biologia 1065

La bandeggiatura dipende dal tipo di filamento presente in una determinata sezione


trasversale della miofibrilla.
La parte di miofibrilla che va da una linea Z ad una successiva è detta sarcomero.
Esso rappresenta l’unità strutturale e funzionale della miofibrilla.

La Figura 2.40 rap-


presenta l’organiz-
zazione del mu-
scolo scheletrico a
vari livelli, da quel-
lo macroscopico a
quello molecolare.
Meccanismo del-
la contrazione
La molecola di mio-
sina, presente nei
filamenti spessi, è
una proteina do-
tata di una por-
zione allungata det-
ta coda e di due
zone più globula-
ri dette teste. È
in grado di lega-
re l’actina e ha
attività ATPasica
(è in grado cioè
di idrolizzare ATP
con formazione di
ADP e fosfato).
L’actina è pre-
sente nei filamen-
ti sottili e possie-
de dei siti di lega- Figura 2.40: Tessuto muscolare striato scheletrico.
me per la miosina
che, in condizioni di riposo, sono mascherati dalla tropomiosina, la quale è mantenuta
in posizione dalla troponina.
Biologia

La contrazione avviene per scivolamento dei filamenti sottili su quelli spessi verso
il centro del sarcomero e il movimento avviene in direzione opposta nei due “mezzi”
sarcomeri.
È possibile schematizzare il meccanismo di contrazione mediante una serie di eventi
che si ripetono ciclicamente. Entrano in gioco gli ioni Ca2+ che fuoriescono dal reticolo
sarcoplasmatico in seguito ad un impulso nervoso e che possono legare la troponina.
Tale legame fa avvenire un cambio di conformazione della proteina la quale non è più
in grado di tenere la tropomiosina posizionata sui siti di legame dell’actina verso la
miosina, i quali risultano cosı̀ accessibili alle teste di miosina. Contemporaneamente la
1066 La cellula come base della vita

miosina lega una molecola di ATP (si energizza) e grazie all’azione ATPasica produce
ADP e fosfato e la testa può cosı̀ legare l’actina sul filamento sottile. Il fosfato e
l’ADP vengono rilasciati e la testa della miosina si flette trascinando il filamento sottile
verso il centro del sarcomero. Una nuova molecola di ATP interagisce con la miosina
provocandone il distacco dall’actina e il ciclo può riprendere.

Risulta evidente che in assenza di ATP la miosina non può staccarsi dall’actina e ciò è quanto
si verifica alla morte dell’individuo: la produzione di ATP cessa e i muscoli restano in una
condizione di contrazione nota come rigor mortis.

Ricapitolando, affinché il meccanismo possa avere luogo è necessaria la presenza di


ATP e Ca2+ .

Giunzione neuromuscolare
La giunzione neuromuscola-
re (o placca motrice) è un
tipo di sinapsi tra un assone
di un motoneurone e una fi-
bra muscolare. L’impulso ner-
voso che giunge al bottone si-
naptico del neurone provoca la
liberazione dell’acetilcolina nel-
la fessura sinaptica. Sul sarco-
lemma sono presenti recettori
per l’acetilcolina che a seguito
del legame con il neurotrasmet-
titore causano la depolarizza-
zione della membrana e, come
conseguenza di ciò, la liberazio-
ne di Ca2+ dal reticolo sarco-
plasmatico. Questo evento pro-
voca la contrazione muscolare
secondo il meccanismo visto in
precedenza. L’acetilcolina viene
poi rapidamente rimossa dal-
lo spazio sinaptico grazie all’a-
zione dell’acetilcolinesterasi e la
Le cellule

contrazione si arresta.
Esistono sostanze, veleni e
tossine, che interferiscono con
questo meccanismo. Due tipici
esempi sono la tossina botuli-
nica e il curaro. La prima im-
pedisce il rilascio del neurotra-
smettitore, il secondo lega i re- Figura 2.41: I tre tipi di tessuto muscolare: scheletrico (A),
cettori per l’acetilcolina senza cardiaco (B), liscio (C).
Biologia 1067

provocare la cascata di eventi


successiva. In entrambi i casi il risultato è una paralisi.
Tessuto muscolare striato cardiaco
Il tessuto muscolare cardiaco (Figura 2.41 B) costituisce il miocardio; esso è presente
nelle pareti cardiache e nel primo tratto dei grandi vasi. Si tratta di un tessuto striato
in cui gli elementi costitutivi non sono sincizi ma singole cellule mononucleate. Tra le
cellule però sono presenti giunzioni comunicanti che fanno sı̀ che le fibrocellule cardiache
siano funzionalmente collegate le une alle altre.
Le zone di contatto tra due fibrocellule contigue sono dette dischi intercalari,
lungo i quali sono presenti le giunzioni comunicanti.

Il tessuto cardiaco è innervato dal sistema nervoso autonomo, ma l’innervazione non ha


il compito di stimolare la contrazione bensı̀ di regolare il ritmo cardiaco: la contrattilità
del cuore è continua e autonoma, nel senso che la contrazione è generata al proprio
interno (a livello del nodo seno-atriale § 6.6.1).
Tessuto muscolare liscio
Il tessuto muscolare liscio (Figura 2.41 C) forma la tonaca muscolare della parete degli
organi cavi degli apparati digerente, respiratorio e urogenitale. Inoltre si trova nella
parete delle arterie e nei dotti escretori delle ghiandole.
Le cellule di questo tessuto sono le fibrocellule muscolari lisce, che non presentano
striatura e sono innervate dal sistema nervoso autonomo. Un aspetto interessante è che
la contrazione non dipende solo dal sistema nervoso ma può avvenire anche in seguito
a stimolazione ormonale: l’ossitocina, ad esempio, è un ormone in grado di provocare la
contrazione della muscolatura uterina al momento del travaglio e del parto (§ 6.14.3).

2.7 Quesiti
1) I batteri si moltiplicano per: A Batteriofagi

A gemmazione B Virus
C Le cellule animali
B mitosi
D Le alghe
C scissione binaria
E Monere
D meiosi
4) Oltre ai fosfolipidi, cosa compone la
E partenogenesi
membrana plasmatica?
2) I microscopi ottici ingrandiscono l’im- A Trigliceridi liberi
magine fino a 1000 volte. Alla mas-
sima risoluzione (0,2 µm) è possibile B Molecole di colesterolo
osservare: C Basi azotate
Biologia

A batteri D Ribosomi

B virus E L’acido N-acetil-muramico

C frammenti nucleotidici 5) I batteri sono in grado di rimescolare


i loro caratteri attuando forme di ri-
D anticorpi combinazione che, seppur differenti da
E macromolecole proteiche quelle seguite dagli eucarioti, realizza-
no lo stesso obiettivo: lo scambio di geni
3) Quali cellule possiedono DNA circola- e la formazione di nuovi genotipi. Tale
re? processo si chiama:
1068 La cellula come base della vita

A trascrizione A Neurone
B restrizione B Cellule staminale
C coniugazione C Le cellule degli epiteli di rivestimento
D crossing-over
D Epatocita
E duplicazione
E Cardiomiocita
6) In quali delle seguenti strutture delle
cellule eucariotiche animali è presente 9) Si ritiene che alcuni organelli cellula-
il DNA? ri abbiano un’origine endosimbiontica.
Tali organelli sono:
A Nucleo e citoplasma
B Citoplasma e mitocondri A i perossisomi
C Nucleo e mitocondri B i cloroplasti
D Reticolo endoplasmatico e nucleo C i mitocondri ed i cloroplasti
E Nucleo, citoplasma e mitocondri D i lisosomi
7) Quale compito svolge l’apparato del E i lisosomi ed i perossisomi
Golgi?

A La sintesi delle proteine destinate 10) È vero che i mitocondri:


all’esterno della cellula
A sono deputati all’eliminazione delle
B Metabolismo energetico
specie radicaliche pericolose per la
C Maturazione di proteine destinate alla cellula
membrana plasmatica
B sono contenuti in tutte le cellule viventi
D Produzione di enzimi idrolitici
C contengono DNA tipicamente eucarioti-
E Sintesi dei lipidi destinati all’esterno co
della cellula
D possono essere coinvolti nella morte
8) Parlando di ciclo cellulare quale, tra cellulare per apoptosi
le seguenti cellule eucariotiche, può
definirsi “stabile”? E sono sede della fotosintesi

2.8 Soluzioni commentate ai quesiti


1) C . Nei batteri la divisione cellulare avviene con un meccanismo di scissione binaria
che coincide con la riproduzione. Quest’ultima è pertanto asessuata (non prevede
la formazione di gameti) e garantisce alle cellule figlie la trasmissione del corredo
cromosomico della cellula madre. La scissione binaria avviene essenzialmente in 2
fasi: nella prima la cellula aumenta di dimensioni attraverso un’intensa attività di
sintesi durante la quale viene duplicato il materiale genetico. Nella seconda rag-
giunge le dimensioni critiche per poi dividersi in due cellule figlie del tutto simili
alla cellula madre.
Le cellule

2) A . Al microscopio ottico è possibile osservare i batteri che hanno dimensioni nel-


l’ordine di pochi µm. E’ quindi impossibile vedere i virus (osservabili al microscopio
elettronico) e le ancor più piccole macromolecole proteiche (compresi gli anticorpi)
ed i frammenti nucleotidici.

3) E . I procarioti (o monere) contengono una sola molecola di DNA che costituisce


un unico cromosoma circolare. Tale molecola a doppia elica, lunga circa 1 mm, è
notevolmente ripiegata o spiralizzata in varie anse in modo da poter essere conte-
Biologia 1069

nuta in pochissimo spazio. È presente in un’unica copia (aploide) e contiene l’in-


formazione per circa 3000 proteine. Una piccola percentuale di geni (circa 1-3%) è
extracromosomica e costituisce delle particolari strutture chiamate “plasmidi”.
4) B . Il modello a mosaico-fluido della membrana cellulare descrive un doppio strato
fosfolipidico in cui sono immerse alcune proteine. Insieme con i fosfolipidi si trovano
le molecole di colesterolo allo scopo di moderare stabilità e fluidità della membrana
alle varie temperature.
5) C . La ricombinazione nei procarioti avviene secondo 3 modalità diverse che pre-
sentano caratteristiche comuni e sono indicate come (1) trasformazione, (2) coniu-
gazione, e (3) trasduzione. Di norma il materiale genetico trasferito è limitato alla
sequenza di pochi geni. A caratterizzare ciascuno dei tre meccanismi è sostanzial-
mente la modalità con cui avviene il trasferimento. Nella trasformazione le cellule
riceventi incorporano il DNA presente nell’ambiente circostante o nel mezzo di col-
tura. Nella coniugazione il trasferimento del DNA avviene per contatto diretto delle
due cellule, cioè tramite una specie di accoppiamento vero e proprio. Ciò che per-
mette il passaggio del materiale genetico tra i due batteri è una struttura chiamata
pilo che funge da ponte di congiunzione. Data la fragilità di tale struttura di nor-
ma vengono trasferiti pochi geni, come per esempio quelli per la resistenza agli
antibiotici. La trasduzione è il trasferimento del materiale genetico tra due cellule
batteriche a opera dei virus.
6) C . Nelle cellule eucariotiche animali il DNA si trova sempre racchiuso nel nucleo.
Esiste, però, un altro tipo di DNA contenuto nei mitocondri di tali cellule (DNA
mitocondriale o mtDNA) avente le caratteristiche di un DNA procariotico.
7) C . L’apparato del Golgi è una struttura cellulare orientata da un lato verso il
reticolo endoplasmatico, da cui riceve i materiali sintetizzati, e dall’altro verso la
membrana plasmatica o verso la membrana di altri organuli, verso i quali secerne i
materiali ricevuti e modificati al proprio interno. Per esempio, proteine sintetizzate
nel reticolo endoplasmatico ruvido, nell’apparato del Golgi vengono coniugate con
molecole di carboidrati (glicosilazione). Le glicoproteine cosı̀ ottenute possono essere
incorporate in vescicole che si staccano dall’apparato del Golgi per integrarsi nella
membrana plasmatica, oppure per essere smistate all’esterno della cellula.
8) D . Le cellule eucariotiche possono essere raggruppate in 3 categorie in base alla
loro capacità di dividersi: (1) cellule “perenni” che, dopo essersi differenziate, non
possono più compiere il ciclo (es. neuroni, cellule della muscolatura scheletrica e
cardiaca); (2) cellule “stabili” che non compiono il ciclo ma hanno la capacità
di riprenderlo (es. cellule parenchimali, fibroblasti, cellule endoteliali dei vasi, e
Biologia

dei tessuti ghiandolari come gli epatociti); (3) cellule “labili” che continuamente
compiono il ciclo, come le cellule staminali (presenti ad esempio nel midollo osseo)
e degli epiteli di rivestimento.
9) C . Secondo gli studiosi i mitocondri e i cloroplasti deriverebbero da antichi pro-
carioti che si sono introdotti in cellule più grandi. Qui i procarioti avrebbero dato
origine a un rapporto di simbiosi: la cellula più grande avrebbe fornito biomole-
cole e sali minerali, mentre i procarioti avrebbero fornito energia. Questa teoria
è detta endosimbiontica appunto perché prevede una simbiosi, ossia un rapporto
1070 La cellula come base della vita

vantaggioso, tra due organismi che vivono l’uno all’interno dell’altro. Tra le svaria-
te osservazioni che hanno suggerito questa teoria ci sono: (1) la presenza di DNA
circolare (simile al DNA batterico) negli organelli, (2) la capacità degli organelli di
replicarsi indipendentemente dalla replicazione della cellula, (3) la presenza negli
organelli di ribosomi tipici della cellula batterica, (4) le dimensioni dei mitocondri
compatibili con le dimensioni di un batterio.
10) D . I mitocondri possono essere coinvolti nella morte cellulare programmata: l’apop-
tosi può infatti avvenire in seguito all’attivazione di diverse vie, tra cui le principali
sono: (1) la via recettoriale, che prevede l’attivazione di specifici recettori sulla
superficie della cellula; (2) la via mitocondriale, in cui i mitocondri, a seguito di
alcuni stimoli, rilasciano il citocromo c nel citoplasma. Entrambe le vie convergono
nell’attivazione di eventi che portano all’esecuzione di un programma di suicidio
cellulare.
Le cellule
Bioenergetica
3
La bioenergetica studia le attività biochimiche che la cellula utilizza nei normali pro-
cessi fisiologici e che implicano un utilizzo, uno scambio o un immagazzinamento di
energia. Le cellule, quindi, trasformano l’energia per sviluppare lavoro utile al proprio
mantenimento: questo mantenimento, unito alle entrate ed alle uscite (in termini ener-
getici), fa permanere le cellule in uno stato stazionario. Quando la cellula smette di
trasformare l’energia in lavoro sopraggiunge la morte fisiologica (stato di equilibrio).
Le reazioni alla ba-
se di questi processi sono
classificate con il nome di
metabolismo, che com-
prende le reazioni coin-
volte sia nella sintesi
(anabolismo) che nel-
la distruzione di biomo-
lecole (catabolismo) e
che, in ultima analisi,
consentono la sopravvi-
venza cellulare (Figura Figura 3.1: Reazioni cataboliche ed anaboliche: il ruolo dell’ATP e dei
3.1). Queste trasforma- coenzimi NAD+ /NADH, FAD/FADH2 , NADP+ /NADPH.
zioni chimiche sono asso-
ciate a reazioni di ossido-riduzione (redox) e vengono accompagnate dall’utilizzo o
dall’immagazzinamento di energia chimica: nelle cellule la principale “moneta di
scambio energetico” è l’ATP (adenosin trifosfato), mentre un ruolo importante per i
processi ossido-reduttivi è svolto dai coenzimi NADP+ (per la fotosintesi) e NAD+
e FAD (per la respirazione). Questi coenzimi lavorano insieme ad enzimi chiamati
deidrogenasi, fondamentali nel metabolismo energetico.

Le reazioni cataboliche implicano una produzione di energia sotto forma di equivalenti ridu-
centi che possono essere successivamente trasformati in ATP, mentre le reazioni anaboliche
utilizzano gli equivalenti riducenti riportandoli al loro stato ossidato.

3.1 La termodinamica biologica


La bioenergetica è intimamente connessa al concetto di termodinamica, poiché le rea-
zioni biochimiche coinvolte nelle reazioni redox, nella glicolisi, nella respirazione, nella
fotosintesi, nelle fermentazioni ed in generale in tutti i processi metabolici che con-
sentono la sopravvivenza della cellula, rispondono alle relazioni quantitative studiate
appunto dalla termodinamica. Per una trattazione completa dell’argomento si veda la
parte di Fisica (Capitoli 9 e 10) e la parte di Chimica (Capitolo 7).
1072 Bioenergetica

L’energia è definita come la capacità di compiere lavoro. In biologia il lavoro


(W) viene inteso come l’energia che un organismo, o una cellula, deve spendere per
contrastare le forze che tendono a destabilizzare lo stato stazionario in cui si trovano:
queste forze possono essere di natura meccanica, elettrica, osmotica, termica, ecc.
Il primo principio della termodinamica afferma che se un particolare sistema non
scambia energia con l’ambiente circostante, il suo contenuto energetico rimane costante;
se, invece, scambia energia con l’ambiente, allora il cambiamento dell’energia interna
del sistema sarà dato dalla differenza fra l’energia acquisita e quella persa nell’ambiente
durante il processo di trasformazione. Gli esseri viventi, quindi, cosı̀ come le singole
cellule, non possono compiere lavoro senza una fonte esterna di energia.

3.2 La valuta energetica delle cellule (ATP) e i coenzimi delle ossido-


riduzioni
L’adenosina trifosfato (ATP) è il comune intermedio del metabolismo cellulare
poiché esso può donare il suo gruppo fosfato ad alta energia a varie molecole ac-
cettrici (zuccheri, amminoacidi, nucleotidi). L’ATP si forma grazie ad una reazione
di condensazione tra l’ADP ed un fosfato inorganico (Pi ). La reazione risulta essere
endoergonica:
ADP + Pi + 30,5 kJ/mol → ATP
Questa energia viene immagazzinata in un legame fosfodiesterico, anche denominato
legame ad alta energia, posto tra il secondo gruppo fosfato (fosfato β) ed il terzo (fosfato
γ), posti in posizione distale rispetto all’adenina (Figura 3.2).
L’ATP è dunque un nucleotide (§ 1.4.4),
formato da una base azotata, uno zucchero
(il ribosio) e dai gruppi fosfato. È proprio
la repulsione elettrostatica esistente tra i tre
gruppi fosfato carichi negativamente che ge-
nera la maggior parte dell’energia libera con-
tenuta nella molecola, ed è per questo che il
legame tra i fosfati β e γ risulta essere ad
alta energia. Per la sua formazione è dunque Figura 3.2: Struttura dell’ATP. Il legame fosfo-
necessario un processo che renda esoergonica diesterico ad alta energia è situato tra i fosfati β
e γ.
una reazione che sarebbe endoergonica (cioè
l’unione di ADP con Pi , +30,5 kJ/mol): que-
sto processo è la catena di trasporto degli elettroni (§ 3.3.3) che avviene nella
membrana interna del mitocondrio o nella membrana tilacoidale del cloroplasto, la
quale genera un gradiente protonico utilizzato poi dalla ATP sintasi per catalizzare la
Energetica

reazione:
ADP + Pi → ATP.
Il nicotinammide adenin dinucleotide (NAD+ /NADH) è un coenzima associato
a numerosi enzimi in grado di catalizzare reazioni redox (Figura 3.3). Il NAD+ è la
forma ossidata del coenzima e va incontro ad una reazione reversibile per formare il
NADH, che rappresenta la forma ridotta:
NAD+ + 2e− + H+ → NADH
Biologia 1073

Figura 3.3: Struttura del NAD(P)+ (a sinistra) e del NAD(P)H (a destra).

Il NADH è un forte riducente (cioè do-


natore di elettroni) e per questo moti-
vo è il composto migliore nel quale ac-
cumulare energia libera rilasciata du-
rante i passaggi ossidativi della glicoli-
si e del ciclo di Krebs. Come vedremo,
l’ossidazione del NADH tramite l’os-
sigeno molecolare, attraverso la cate-
na di trasporto degli elettroni, rilascia
una quantità di energia libera pari a
−220 kJ/mol ogni due elettroni: que-
sta quantità è tale da permettere la
sintesi di ATP.
Un composto simile al NAD+ ,
il NADP (nicotinammide ade-
nin dinucleotide fosfato), compie la
funzione redox nella fase oscura della
fotosintesi (§ 3.4), che avviene nello Figura 3.4: Struttura del FAD. Tra parentesi sono ripor-
tati i due atomi di idrogeno relativi alla forma ridotta
stroma del cloroplasto, e nella via dei (FADH2 ).
pentosi fosfati (una via parallela alla
glicolisi per l’ossidazione del glucosio).
Il flavin adenin dinucleotide (FAD/FADH2 ) è legato covalentemente al sito
attivo dell’enzima succinato deidrogenasi, coinvolto nel ciclo di Krebs (§ 3.3.2), e va
incontro ad una riduzione reversibile ad opera di due elettroni per produrre FADH2
(Figura 3.4):
FAD + 2e− + 2H+ → FADH2
Biologia

Il FADH2 è circa 7 volte meno riducente del NADH.

3.3 Glicolisi e respirazione cellulare


La glicolisi e la respirazione sono dei processi attraverso i quali l’energia accumulata
nei carboidrati viene rilasciata in maniera controllata.
1074 Bioenergetica

La respirazione aerobica è quel processo biologico attraverso il quale i composti


organici ridotti vengono ossidati. Durante la respirazione l’energia libera viene incorpo-
rata nell’adenosintrifosfato (ATP), che può essere prontamente utilizzata per il mante-
nimento e lo sviluppo dell’organismo. La reazione redox che interviene nell’ossidazione
del glucosio e nella parallela riduzione dell’ossigeno è:

C6 H12 O6 + 6O2 → 6CO2 + 6H2 O + energia (686 kcal/mol, ovvero 2870 kj/mol)

Questa equazione è l’opposta di quella che descrive il processo fotosintetico (§ 3.4).


La variazione di energia libera standard della precedente reazione è pari a circa
– 2870 kJ/mol, quindi 180 grammi di glucosio (una mole) completamente ossidato
liberano circa 686 kcal: il rilascio controllato di questa energia libera, accoppiata con
la sintesi di ATP, riveste un ruolo fondamentale nel processo della respirazione. La
liberazione di questa grande quantità di energia in maniera non controllata, oltre a
non far ricavare nulla alla cellula in termini energetici dal processo, porterebbe al
danneggiamento delle strutture cellulari: ecco perché la cellula libera questa grande
energia in un processo a più tappe, nelle quali il glucosio viene ossidato attraverso una
serie di reazioni. Le tre tappe che portano all’ossidazione del glucosio sono: 1) glicolisi,
2) ciclo degli acidi tricarbossilici (ciclo di Krebs), 3) catena di trasporto degli elettroni
(e fosforilazione ossidativa).
La glicolisi è caratterizzata da una serie di reazioni che vengono portate a termine
da un gruppo di enzimi solubili situati nel citoplasma di tutte le cellule, dai batteri alle
cellule degli animali. Una molecola di glucosio (a sei atomi di C) va incontro ad una
limitata quantità di reazioni di ossidazione per produrre due molecole di acido piruvico
(un composto a tre atomi di C), due molecole di ATP e potere riducente sotto forma
di due molecole di NADH.

In biochimica, molto spesso, gli acidi vengono indicati nella loro forma dissociata, ecco perché
quando si parla di acido piruvico si può utilizzare il termine piruvato. Analogamente l’acido
succinico viene indicato come succinato, l’acido ossalacetico come ossalacetato, ecc. Questo a
volte può generare confusione per cui è bene tenere presente tale terminologia.

Il ciclo degli acidi tricarbossilici (TCA), o ciclo di Krebs, che negli eucarioti
avviene nei mitocondri e nei procarioti nel citoplasma, porta a termine l’ossidazione
completa dell’acido piruvico per formare CO2 (6 molecole per ogni molecola di glucosio)
e cosı̀ facendo genera potere riducente sotto forma di NADH (8 molecole) e FADH2
(2 molecole), oltre a due molecole di GTP che verrà poi convertito in ATP. Tutte le
reazioni del ciclo di Krebs coinvolgono una serie di enzimi solubili situati nella matrice
del mitocondrio, tranne la reazione catalizzata dalla succinato deidrogenasi: questo
Energetica

enzima si trova nella membrana mitocondriale interna.


La catena di trasporto degli elettroni, anch’essa situata all’interno del mito-
condrio, consiste in un insieme di proteine trasportatrici di elettroni che trasferisce
questi ultimi dal NADH o dal FADH2 (prodotti durante la glicolisi ed il ciclo di Krebs)
all’accettore finale che è l’ossigeno (O2 ). Il trasferimento di elettroni libera una grande
quantità di energia libera, la maggior parte della quale viene conservata attraverso la
conversione di ADP e fosfato inorganico (Pi ) in ATP.
Alla luce di quanto detto la respirazione può essere descritta più compiutamente in
termini di metabolismo energetico cellulare attraverso la seguente equazione:
Biologia 1075

C6 H12 O6 + 6O2 + 6H2 O + 32ADP + 32Pi → 6CO2 + 12H2 O + 32ATP

Risulta evidente che non tutto il carbonio che entra nella via respiratoria ne esce
sotto forma di CO2 . Gli intermedi metabolici presenti sia nella glicolisi che nel ciclo
TCA costituiscono un punto di partenza per altre vie metaboliche cellulari (sintesi
di alcuni amminoacidi, sintesi dei fosfolipidi), oltre a giocare un ruolo importante nel
metabolismo energetico cellulare.

3.3.1 Glicolisi
Nella glicolisi, letteralmente “scissione dello zucchero”, il glucosio viene scisso in due
zuccheri a tre atomi di carbonio, i quali vengono poi ossidati e trasformati in due
molecole di piruvato. Il processo biochimico della glicolisi, con le sue 10 tappe, è
stato studiato negli anni ’30 del secolo scorso dai biochimici Gustav Embden, Otto
Meyerhof e Jakub Parnas. Per un video di approfondimento si veda il seguente link
http://youtu.be/P8dJy0RGnMU.
La glicolisi, oltre a preparare il substrato per l’ossidazione nel ciclo TCA, forma
una piccola quantità di energia chimica sotto forma di ATP (2 molecole) e NADH (2
molecole). Prima dell’evoluzione della fotosintesi e della comparsa dell’ossigeno nel-
l’atmosfera primordiale della Terra, la glicolisi costituiva molto probabilmente la fonte
principale di energia per le prime forme di vita cellulare. L’origine ancestrale di questa
via è testimoniata dalla sua localizzazione nel citosol.
Le reazioni principali della glicolisi sono illustrate nella Figura 3.5.
Nella serie iniziale delle reazioni della glicolisi il glucosio viene fosforilato due volte e
poi spezzato in due, producendo due molecole dello zucchero a tre atomi di carbonio
chiamato gliceraldeide-3-fosfato. Questo passaggio richiede l’utilizzo di due molecole
di ATP per ogni molecola di glucosio e coinvolge due delle tre reazioni essenzialmente
irreversibili che si trovano nella via glicolitica, catalizzate la prima dalla esochinasi e la
seconda dalla fosfofruttochinasi (Figura 3.5). La reazione della fosfofruttochinasi serve
da punto di controllo (checkpoint) della glicolisi sia negli animali che nei vegetali.
Appena compare la gliceraldeide-3-fosfato la via glicolitica può iniziare ad estrarre
energia utilizzabile. L’enzima gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi catalizza l’ossidazione
dell’aldeide in acido, liberando energia sufficiente per permettere la contemporanea ri-
duzione del NAD+ a NADH, e la fosforilazione della gliceraldeide-3-fosfato per produrre
acido 1,3-difosfoglicerico. Quest’ultimo è un forte donatore di gruppi fosforici.
Nel passaggio seguente della glicolisi, catalizzato dalla fosfoglicerato chinasi, il fo-
sfato del carbonio in posizione 1 dell’ acido 1,3-difosfoglicerico viene trasferito ad una
Biologia

molecola di ADP per formare ATP ed acido 3-fosfoglicerico. Per ogni molecola di
glucosio che entra nella via glicolitica vengono generate tramite questa reazione due mo-
lecole di ATP, una per ciascuna delle due molecole di acido 1,3-difosfoglicerico. Questo
tipo di sintesi viene chiamato fosforilazione a livello di substrato, poiché coinvolge
un trasferimento diretto di un gruppo fosfato da una molecola di substrato all’ATP, e
fu studiata da Otto Warburg alla fine degli anni ’30 del secolo scorso. La fosforilazione a
livello di substrato è diversa dal meccanismo di sintesi di ATP che si verifica durante la
fosforilazione ossidativa, come anche dalla fotofosforilazione utilizzata per sintetizzare
ATP durante il trasferimento elettronico della fotosintesi (come vedremo in seguito).
1076 Bioenergetica

Figura 3.5: Schema delle reazioni della via glicolitica.

Negli ultimi passaggi delle reazioni della glicolisi il fosfato dell’acido 3-fosfoglicerico
viene trasferito dalla posizione 3 alla posizione 2 e viene eliminata una molecola d’ac-
qua per formare il composto fosfoenolpiruvato (PEP). Il gruppo fosfato del PEP è
anch’esso un ottimo donatore di gruppi fosforici.
Nell’ultima parte della glicolisi, l’enzima piruvato chinasi catalizza una seconda
fosforilazione a livello substrato per produrre ATP e piruvato. Quest’ultimo passaggio,
che costituisce il terzo passaggio irreversibile della glicolisi, porta alla formazione di
Energetica

altre due molecole di ATP per ogni molecola di glucosio che entra nella via.
Dal punto di vista del bilancio energetico, quindi, si ha una produzione netta di 2
molecole di ATP per molecola di glucosio. Infatti, due molecole di ATP sono utilizzate
per trasformare il glucosio in fruttosio-1,6-bisfosfato, mentre due molecole di ATP sono
formate a partire dalle reazioni che coinvolgono ciascuna molecole di gliceraldeide-
3-fosfato. Dal momento che da una molecola di glucosio si formano due molecole
di gliceraldeide-3-fosfato, il guadagno netto in termini di molecole di ATP è pari a
4 − 2 = 2.
Biologia 1077

La via di Entner-Doudoroff, descritta nel 1952, è una via alternativa alla glicolisi che è
presente esclusivamente in alcune specie di procarioti. Analogamente alla glicolisi questa via
porta all’ossidazione di una molecola di glucosio fino a formare due molecole di acido piruvico,
coinvolgendo però l’azione di due particolari enzimi non presenti nella via glicolitica. Rispetto
alla glicolisi la via alternativa di Entner-Doudoroff produce 1 sola molecola dei composti ATP,
NADH e NADPH, e risulta quindi essere meno efficiente.
La via dei pentoso fosfati è anch’essa una via alternativa alla glicolisi per l’ossidazione
parziale del glucosio. Essa si svolge nel citoplasma e porta alla produzione di fruttosio 6-fosfato
e gliceraldeide-3-fosfato che proseguono poi nella normale via glicolitica. Rispetto alla glicolisi
la via dei pentoso fosfati produce 2 molecole di NADPH e una di CO2 .

3.3.2 Il ciclo degli acidi tricarbossilici (TCA) o ciclo di Krebs


Nel 1937 il tedesco Hans Krebs identificò il ciclo dell’acido tricarbossilico (TCA),
chiamato anche ciclo dell’acido citrico o ciclo di Krebs. Questa scoperta rivelò non
solo come il piruvato fosse degradato ad anidride carbonica ed acqua, ma introdusse
anche il concetto chiave di ciclo nelle vie metaboliche. Hans Krebs ricevette il premio
Nobel per la Medicina e la Fisiologia nel 1953. Tutti gli enzimi del ciclo TCA si trovano
nella matrice mitocondriale tranne la succinato deidrogenasi, che si trova invece nella
membrana mitocondriale interna.

I mitocondri hanno un loro DNA, chiamato mtDNA, ma gli mRNA degli enzimi del
ciclo TCA sono codificati dal DNA nucleare e non da quello mitocondriale. Gli mRNA
vengono tradotti nel citosol e gli enzimi neo-formati sono poi importati nel mitocondrio
per il loro utilizzo nel ciclo di Krebs.

Il ciclo TCA viene anche detto ciclo dell’acido citrico poiché l’acido citrico è uno
dei primi intermedi (Figura 3.6).
Il ciclo di Krebs rappresenta la seconda fase della respirazione aerobica e, negli euca-
rioti, avviene nella matrice mitocondriale. Per essere operativo richiede che il piruvato,
generato nel citosol durante la glicolisi, venga trasportato all’interno del mitocondrio
passando attraverso la membrana mitocondriale interna. Una volta arrivato all’interno
del mitocondrio il piruvato viene decarbossilato ossidativamente dall’enzima piruva-
to deidrogenasi per produrre NADH (a partire dal NAD+ ), CO2 ed acido acetico
(CH3 COOH); quest’ultimo viene poi legato attraverso un legame tioestere ad un
cofattore contenente zolfo, il coenzima A (CoA) per formare l’acetil CoA (acetil-
coenzima A). A questo punto l’enzima citrato sintasi lega l’acetil CoA ad un acido
dicarbossilico a quattro atomi di carbonio, l’acido ossalacetico (OAA), per formare
un acido tricarbossilico a sei atomi di carbonio, l’acido citrico. Dopo l’isomerizzazione
Biologia

dell’acido citrico ad acido isocitrico, tramite l’enzima aconitasi, le due reazioni seguenti
implicano successive decarbossilazioni ossidative, ognuna delle quali produce un NADH
e libera una molecola di CO2 , producendo alla fine una molecola a quattro atomi di
carbonio, il succinil CoA (Figura 3.6).

A questo punto del ciclo di Krebs sono state prodotte tre molecole di CO2 per ogni
molecola di piruvato introdotta nel mitocondrio, portando cosı̀ a termine l’ossidazione
completa del glucosio di partenza (della glicolisi).
1078 Bioenergetica

Figura 3.6: Schema del ciclo di Krebs negli animali.

Le restanti tappe del ciclo TCA riguardano la conversione del succinil CoA in acido
ossalacetico (OAA) per permettere al ciclo di riprendere dall’inizio. La grande quantità
Energetica

di energia libera disponibile nel legame tioestere del succinil CoA viene utilizzata
per sintetizzare GTP a partire da GDP e fosfato inorganico (Pi ), attraverso una fosfo-
rilazione a livello di substrato. L’acido succinico che ne risulta viene ossidato ad
acido fumarico attraverso l’enzima succinato deidrogenasi che è l’unico enzima, co-
me detto precedentemente, associato alla membrana mitocondriale interna e non libero
nella matrice mitocondriale. Gli elettroni rimossi dall’acido succinico vengono veicolati
sul cofattore FAD. Nelle due reazioni finali del ciclo TCA l’acido fumarico acquista
una molecola di acqua per produrre acido malico, il quale viene poi ossidato per mez-
zo dell’enzima malato deidrogenasi per rigenerare l’acido ossalacetico e produrre
Biologia 1079

una molecola di NADH. A questo punto l’OAA può reagire nuovamente con un’altra
molecola di acetil CoA e ricominciare il ciclo.
L’ossidazione del piruvato nel mitocondrio porta alla formazione di tre molecole di
CO2 e la maggior parte dell’energia libera che proviene da queste ossidazioni viene
accumulata sotto forma di 4 molecole di NADH ed una di FADH2 . La molecola di
GTP prodotta viene poi convertita ad ATP.

Il ciclo TCA nelle piante


Nelle piante il ciclo di Krebs presenta alcune differenze rispetto agli animali:
la reazione catalizzata dalla succinil-CoA sintetasi non produce GTP ma direttamente
ATP;
l’acido malico può essere sintetizzato a partire dal PEP nel citosol attraverso gli enzimi
PEP carbossilasi e malato deidrogenasi. L’acido malico viene poi rapidamente
trasportato all’interno del mitocondrio (nella matrice);
esiste un enzima malico NAD+ -dipendente che catalizza la reazione di decarbos-
silazione ossidativa dell’acido malico: acido malico + NAD+ → piruvato + CO2 +
NADH. La presenza di questo enzima in tutti i mitocondri vegetali li rende capaci di
operare una via alternativa per il metabolismo del fosfoenolpiruvato (PEP) proveniente
dalla glicolisi. Nella matrice l’enzima malico NAD+ -dipendente ossida l’acido malico ad
acido piruvico, che viene poi ossidato dal ciclo di Krebs; l’acido malico può anche essere
convertito ad acido ossalacetico (OAA) da una malato deidrogenasi contenuta nel-
la matrice mitocondriale (lo stesso enzima è presente anche nel citosol, come abbiamo
appena visto).

3.3.3 La catena di trasporto degli elettroni

Gli elettroni ad alta energia che sono stati catturati dai cofattori NADH e FADH2
durante il ciclo di Krebs, devono essere convertiti in ATP per poter essere utilizzati nelle
reazioni biochimiche cellulari. Il processo di rilascio controllato di questi elettroni, che
avviene nella catena di trasporto degli elettroni situata nella membrana interna del
mitocondrio (negli eucarioti), dipende dall’ossigeno molecolare, il quale funziona come
accettore finale. Lo scopo della catena di trasporto degli elettroni è la generazione di
un gradiente protonico attraverso la membrana mitocondriale interna, grazie al quale
la F0 F1 -ATP sintasi è in grado di catalizzare la sintesi di ATP. Si veda il filmato per
un approfondimento: http://youtu.be/ajZajFrCjtA.
Ogni molecola di glucosio che viene ossidata per mezzo della glicolisi e del ciclo di
Biologia

Krebs genera due molecole di NADH nel citosol e otto molecole di NADH e due di
FADH2 nella matrice mitocondriale. Questi composti ad alto potere riducente devono
essere riossidati affinché l’intero processo della respirazione aerobica non venga bloc-
cato. La catena di trasporto degli elettroni catalizza un flusso ordinato e controllato
di elettroni dai composti riducenti (NADH e FADH2 ) verso l’ossigeno, che costituisce
l’accettore finale degli elettroni.
Le proteine deputate al trasporto controllato degli elettroni lungo la catena sono
organizzate in quattro grandi complessi multiproteici (dall’I al IV) disposti in serie
nella membrana mitocondriale interna (Figura 3.7).
1080 Bioenergetica

Figura 3.7: La catena di trasporto mitocondriale degli elettroni.

Lo scopo principale della catena di trasporto degli elettroni è quello di ossidare sia il NADH
che il FADH2 , ma di farlo secondo un processo controllato che utilizzi l’energia libera delle
due ossidazioni per generare un gradiente protonico attraverso la membrana mitocondriale
interna.

Gli elettroni che arrivano dal NADH, generati nella matrice del mitocondrio o pro-
venienti dal citosol (dalla glicolisi), vengono ossidati dal complesso I, che consiste
fondamentalmente in una NADH deidrogenasi. A sua volta il complesso I trasferisce
questi elettroni sull’ubichinone (o coenzima Q o pool dell’ubichinone). L’ubichi-
none, per struttura e funzione, è simile al plastochinone, la molecola che svolge la stessa
funzione nella catena di trasporto degli elettroni nel cloroplasto durante la fase lumino-
sa della fotosintesi (§ 3.4). I trasportatori di elettroni del complesso I comprendono un
flavin mononucleotide (FMN), simile per struttura al FAD, che è legato strettamente
a tre/quattro proteine ferro-zolfo (Fe-S).
L’enzima succinato deidrogenasi (§ 3.3.2) è parte integrante del complesso II,
in modo tale che gli elettroni che derivano dall’ossidazione dell’acido succinico vengano
Energetica

trasferiti al coenzima Q attraverso il FADH2 e ad un gruppo di tre proteine Fe-S.

Nonostante la numerazione progressiva, il complesso I non cede elettroni direttamente


al complesso II, ma entrambi i primi due complessi cedono elettroni all’ubichinone.

Il complesso III (citocromo c reduttasi) è in grado di ossidare l’ubichinone ridotto e di


trasferire i suoi elettroni per mezzo di un centro Fe-S al citocromo c. Il citocromo c è
l’unica proteina della catena di trasporto che non è una proteina integrale di membrana,
Biologia 1081

funzionando come un trasportatore mobile in grado di trasferire gli elettroni tra il


complesso III ed il complesso IV.
Il complesso IV (citocromo ossidasi) contiene due centri rame (CuA e CuB ) e
due citocromi (a ed a3 ) che permettono la riduzione di quattro elettroni dell’ossigeno
molecolare (O2 ) per formare due molecole di H2 O.

Questi quattro complessi multiproteici sono organizzati sulla membrana interna


mitocondriale in maniera abbastanza specifica ed ordinata, in modo da ottimizzare il
trasporto senza sprechi, ottimizzando la generazione del gradiente protonico attraverso
la membrana mitocondriale interna.

Trasportatori di elettroni delle cellule vegetali


I mitocondri delle cellule vegetali possiedono delle peculiarità che li distinguono da quelli
animali:
esiste una NAD(P)H deidrogenasi esterna, cosı̀ chiamata perché si affaccia sul-
lo spazio intermembrana, che può ossidare il NADH che proviene dal citosol oppure
il NADPH prodotto dal processo fotosintetico. Gli elettroni che derivano da questa
NAD(P)H deidrogenasi esterna confluiscono poi nel pool dell’ubichinone;
esiste una via alternativa per la riduzione dell’ossigeno molecolare (normalmente
operata dal complesso IV). I mitocondri vegetali possiedono infatti una particolare os-
sidasi alternativa cianuro-resistente che è resistente ai normali veleni che bloccano
l’attività della citocromo ossidasi, quali cianuro, azide e monossido di carbonio. L’ag-
giunta di cianuro 1 mM a tessuti animali inibisce il complesso IV (citocromo ossidasi),
portando la respirazione all’1% del valore normale. Grazie alla ossidasi transmembrana
i vegetali possono invece sostenere anche una respirazione del 10%-25%;
esiste una via alternativa per l’ossidazione del NADH (normalmente operata dal
complesso I). I mitocondri vegetali resistono infatti ai veleni che bloccano l’attività del
complesso I, come il rotenone e la piericidina, grazie ad una NA(P)DH deidrogenasi che
bypassa il complesso I rendendo le piante rotenone-resistenti.

3.3.4 La fosforilazione ossidativa: la sintesi di ATP


Il trasferimento degli elettroni sull’ossigeno molecolare attraverso la catena di trasporto
è accoppiato alla sintesi di ATP, processo noto come fosforilazione ossidativa: la
quantità di ATP che viene prodotta dipende dal tipo di molecola donatrice (NADH
o FADH2 e in aggiunta, per i vegetali, NADPH), poiché ogni molecola con potere
riducente, una volta ossidata, sposta verso lo spazio intermembrana un numero diverso
Biologia

di protoni.
Il meccanismo generale per la conservazione dell’energia attraverso una membrana
biologica, che oggi viene riconosciuto da tutti i ricercatori come il responsabile della
sintesi di ATP, si basa sulla teoria chemiosmotica di Peter Mitchell, formulata nel
1961, per la quale ha successivamente ricevuto il premio Nobel. La teoria chemio-
smotica afferma che l’orientamento asimmetrico dei trasportatori di elettroni nella
membrana interna del mitocondrio permette il trasferimento di protoni (ioni H+ ) dalla
matrice allo spazio intermembrana.
1082 Bioenergetica

Poiché la membrana mitocondriale interna risul-


ta essere impermeabile ai protoni, si può instaura-
re un gradiente elettrochimico di ioni H+ , chiama-
to gradiente elettrochimico di protoni o for-
za motrice protonica. Una volta che il gradiente
protonico è stato generato, esso viene mantenuto
dalla bassa permeabilità ai protoni che possiede la
membrana interna mitocondriale e l’energia libera
accumulata nel gradiente protonico può essere uti-
lizzata per un lavoro di tipo chimico, come la sinte-
si di ATP. Il gradiente elettrochimico è accoppiato
alla generazione di ATP grazie ad un ulteriore com-
plesso multiproteico inserito nella membrana inter-
na, il complesso V o F0 F1 -ATP sintasi. Il com-
plesso V è formato da due componenti principali:
Figura 3.8: Struttura della F0 F1 -ATP
la componente F0 e la componente F1 . sintasi.
La componente F0 consiste in un grande complesso proteico di membrana inte-
grale composto da tre polipeptidi diversi che formano il canale attraverso cui i protoni
H+ possono attraversare la membrana mitocondriale interna. La componente F1 con-
siste in un grande complesso proteico di membrana periferico composto da cinque tipi
di subunità (α, β, γ, δ, ε, con formula α3 β3 γδε) e contenente il sito catalitico in cui
avviene la formazione di ATP a partire da ADP e Pi . La componente F1 è collegata
alla membrana mitocondriale interna ed è rivolta verso la matrice come una sorta di
testa rotante (Figura 3.8).

Il passaggio dei protoni attraverso il canale costituito dalla componente F0 è accoppiato


al ciclo di catalisi effettuato dalla componente F1 della ATP sintasi, permettendo
cosı̀ la sintesi di ATP e la contemporanea dissipazione del gradiente protonico. La
risoluzione ai raggi X del complesso F1 della ATP sintasi ha permesso di ipotizzare un
modello rotatorio per il meccanismo di catalisi della sintesi di ATP. Tale meccanismo
fu proposto da Paul Boyer e John Walker negli anni ’90 del secolo scorso, per il
quale essi vinsero il premio Nobel per la Chimica nel 1997. Esso è valido per tutte le
F0 F1 -ATP sintasi conosciute.
Il flusso di protoni secondo il loro gradiente (dallo spazio intermembrana alla matrice)
attraverso il complesso F0 causa la rotazione della subunità γ della componente F1 .
Questo evento provoca i cambiamenti conformazionali nel complesso catalitico che
portano al rilascio dell’ATP dall’enzima portando avanti la reazione.
Energetica

È importante notare che se da un lato i mitocondri effettuano la sintesi di ATP, che verrà
poi utilizzato da tutta la cellula, dall’altro essi necessitano continuamente dei componenti
di partenza, quali ADP e Pi ; esiste quindi un trasportatore ADP/ATP che fa uscire
l’ATP prodotto e fa entrare l’ADP. L’ingresso del fosfato inorganico (Pi ) avviene grazie ad un
trasportatore di fosfato, situato nella membrana mitocondriale interna.

Il sito di formazione dell’ATP è la F0 F1 -ATP sintasi, mentre i complessi I, III e IV


sono siti di conservazione dell’energia: è stato infatti dimostrato che questi tre punti
definiscono il rapporto ADP:O, cioè il numero di ATP generati ogni due elettroni
Biologia 1083

trasferiti all’ossigeno. È quindi vero che il trasporto di elettroni è accoppiato alla sin-
tesi di ATP, ma quest’ultima può avvenire indipendentemente dal primo, basta che sia
presente un gradiente protonico ai due lati della membrana interna (che può essere crea-
to anche artificialmente). Esistono infatti dei composti chiamati disaccoppianti (ad
esempio il dinitrofenolo), che possono inibire la sintesi mitocondriale di ATP dissipando
il gradiente protonico generato dai complessi I, III e IV sotto forma di calore.

3.3.5 Efficienza energetica globale della respirazione


La completa ossidazione del glucosio, e quindi l’intero processo della respirazione ae-
robica, porta alla formazione netta di:
4 molecole di ATP attraverso la fosforilazione a livello di substrato (due dalla
glicolisi e due dal ciclo di Krebs);
2 molecole di NADH dalla glicolisi;
8 molecole di NADH e 2 molecole di FADH2 dal ciclo di Krebs.
L’equazione finale della respirazione è infatti:
C6 H12 O6 + 6O2 + 32ADP + 32Pi → 6CO2 + 6H2 O + 32ATP.
Poiché da ogni NADH si ottengono 2,5 molecole di ATP e da ogni FADH2 si ottengono
1,5 molecole di ATP (calcoli effettuati in base al rapporto ADP:O misurato sperimen-
talmente), da ogni molecola di glucosio ossidata si otterranno alla fine 32 molecole
di ATP. Calcolando che il ∆G◦0 per l’ossidazione del glucosio è pari a –2880 kJ/mol,
mentre il ∆G◦0 richiesto per la sintesi di ATP è di 50,2 kJ/mol (nelle condizioni biochi-
miche interne alle cellule), abbiamo un risultato di circa 1606 kJ/mol di energia libera
(50,2 · 32 = 1606,4) conservata sotto forma di ATP. L’efficienza globale di estrazione di
energia libera dalla completa ossidazione di una mole di glucosio, operata dalla respira-
zione aerobica, è dunque del 55,8% (1606,4 / 2880): questo valore risulta essere molto
maggiore dell’efficienza ottenuta con la fermentazione, che è pari al 3,5% (§ 3.3.6).
È anche vero che questa aumentata efficienza di estrazione di energia libera e suo
immagazzinamento nell’ATP si accompagna, nella respirazione aerobica, ad alcuni ri-
schi che sono invece assenti nella glicolisi. Il maggior rischio è infatti costituito dalla
produzione di specie reattive dell’ossigeno, generate in larga misura da singoli elet-
troni che possono sfuggire alla catena di trasporto nella membrana interna, ma anche
a livello del ciclo TCA, i quali reagendo con l’ossigeno producono radicali ossidrilici. Le
cellule hanno però dei sistemi di difesa che tendono a contrastare l’azione dei radicali
ossidrilici (noti come radicali liberi) i quali, se lasciati indisturbati, possono provocare
danni al DNA e alle membrane. Questi sistemi di difesa sono costituiti da vari enzimi,
quali: manganese superossido dismutasi, catalasi, e glutatione perossidasi. È interes-
Biologia

sante notare come i vegetali, possedendo una ossidasi alternativa cianuro-resistente che
anche in condizioni normali sottrae elettroni alla normale catena di trasporto, riescono
in questo modo a mitigare la produzione di radicali ossidrilici, diminuendo lo stress
ossidativo ma non diminuendo l’efficienza globale della respirazione.

3.3.6 Fermentazioni
In assenza di ossigeno il ciclo TCA e la catena di trasporto degli elettroni non possono
funzionare in maniera adeguata. Ciò crea dei problemi per la continuità operativa della
1084 Bioenergetica

Figura 3.9: Fermentazione lattica e fermentazione alcolica.

glicolisi poiché la disponibilità cellulare di NAD+ è limitata e una volta che questo viene
trasformato nella sua forma ridotta, NADH, la glicolisi non può più procedere. Alcuni
organismi, come le piante, i batteri ed i lieviti, possono metabolizzare l’acido piruvico
effettuando un metabolismo fermentativo, che è diverso a seconda dei prodotti
ottenuti. I metabolismi più noti sono la fermentazione lattica e la fermentazione alcolica
(Figura 3.9).
Nella fermentazione lattica (muscoli dei mammiferi, piante, lattobacilli) l’enzima
lattato deidrogenasi utilizza il NADH per ridurre l’acido piruvico in acido lattico rige-
nerando in tal modo il NAD+ . Nella fermentazione alcoolica (lieviti) i due enzimi
piruvato decarbossilasi ed alcool deidrogenasi portano alla riduzione dell’acido piruvi-
co e alla formazione di etanolo ed anidride carbonica (CO2 ) ossidando al contempo il
NADH a NAD+ .
L’efficienza energetica del processo di fermentazione, sia lattica che alcoolica, è di circa
il 3,5%. Poiché il ∆G◦0 per l’ossidazione del glucosio è pari a –2880 kJ/mol, mentre
il ∆G◦0 richiesto per la sintesi di ATP è di 50,2 kJ/mol (nelle condizioni biochimiche
interne alle cellule) e dal momento che si formano 2 molecole nette di ATP per ogni
molecola di glucosio che viene convertita ad acido lattico o ad etanolo, avremo che
l’efficienza sarà 50,2 · 2/2880 = 3,5%. Nella fermentazione, quindi, la maggior parte
dell’energia libera disponibile nel glucosio rimane “bloccata” nell’acido lattico (o nel-
l’etanolo). Durante la respirazione aerobica, invece, il piruvato viene trasportato nel
mitocondrio dove viene ulteriormente ossidato con un ricavo di energia e di efficienza
molto maggiore rispetto alla fermentazione (§ 3.3.5).
Energetica

Debito di ossigeno Quando un tessuto animale, come il muscolo striato in esercizio,


riceve meno ossigeno di quello richiesto per una corretta produzione di ATP attraverso la
fosforilazione ossidativa, una parte dell’acido piruvico prodotto dalla glicolisi viene ridotto ad
acido lattico. La concentrazione di acido lattico cresce con il debito di ossigeno e una par-
te può passare nello spazio extracellulare e poi nel sistema circolatorio. Quando il muscolo
termina la sua intensa attività e l’ossigeno ridiventa disponibile, lo stesso enzima lattato dei-
drogenasi riossida l’acido lattico ad acido piruvico riducendo al contempo il NAD+ a NADH,
ripristinando quindi la maggior parte del potere riducente che era stato “bloccato” nell’acido
lattico.
Biologia 1085

Il NADH verrà poi utilizzato nella catena respiratoria, recuperando parte dell’ATP che era
stato perso durante la formazione anaerobia dell’acido lattico. Anche il neo-formato acido
piruvico verrà utilizzato nel ciclo di Krebs per il recupero dell’ATP, oltre che essere utilizzato
per la sintesi dell’amminoacido alanina.

3.4 La fotosintesi
La fotosintesi è l’unico processo biologico che riesce a raccogliere l’energia proveniente
dal Sole, incanalando la luce e utilizzando tale energia per organicare (ridurre) l’ani-
dride carbonica (CO2 ), costruendo cosı̀ composti organici complessi (quali il glucosio,
C6 H12 O6 ). Gli organismi in grado di effettuare la fotosintesi sono detti organismi fo-
toautotrofi (o semplicemente fototrofi). Per un approfondimento si veda il filmato
al seguente link http://youtu.be/2xNwZCk2CHY.
Il processo fotosintetico, che negli eucarioti avviene nel cloroplasto, è essenzialmente
l’opposto di quello della respirazione aerobica:

6CO2 + 6H2 O + luce → C6 H12 O6 + 6O2

Le foglie sono il tessuto fotosintetico preponderante per la produzione di ossigeno mo-


lecolare tra le piante superiori. Di tutto l’ossigeno presente nell’atmosfera terrestre il
40% circa proviene dal fitoplancton degli oceani, mentre il rimanente 60% proviene
dalle piante terrestri.

Le piante e il fitoplancton sono alla base delle catene alimentari, ma se anche dovessero scom-
parire o rallentare la loro attività esistono degli ecosistemi che vivono indipendentemente
dalla luce solare: un esempio sono le comunità delle solfatare vulcaniche sottomarine, che
comprendono vermi giganti, mitili, granchi, gamberi, tutti sostenuti dai produttori primari
che, in questo ambiente ricco di zolfo, sono costituiti da batteri termofili.

Nella fotosintesi l’energia solare viene usata per ossidare l’acqua ad ossigeno e allo stesso
tempo per ridurre l’anidride carbonica in composti organici. La fotosintesi consiste
essenzialmente di due fasi ben distinte: la fase luminosa (o fase luce-dipendente) e
la fase oscura o (fase luce-indipendente o ciclo di Calvin-Benson): quest’ultima
fase viene tradizionalmente denominata “al buio” ma l’appellativo è improprio, poiché
le sue reazioni biochimiche necessitano di composti ottenuti nella fase luminosa.

Le reazioni della fase luce-dipendente della fotosintesi avvengono nelle mem-


brane interne del cloroplasto, dette tilacoidi. La serie di reazioni utilizza come
Biologia

materiale di ingresso la luce solare, H2 O, NADP+ , ADP e Pi e produce O2 e i


composti ad alta energia ATP e NADPH, che vengono poi utilizzati per la sintesi
degli zuccheri.

Le reazioni della fase luce-indipendente avvengono nello stroma del cloropla-


sto, che è la porzione acquosa che circonda i tilacoidi. In questa fase ATP, NADPH
e CO2 vengono utilizzati per ottenere carboidrati e per rigenerare il NADP+ .
1086 Bioenergetica

Nel cloroplasto l’energia luminosa viene raccolta dai fotosistemi I e II, che conten-
gono i pigmenti fotosintetici (le clorofille) e specifiche unità proteiche, tutti inseriti
nella membrana tilacoidale, la cui unica funzione è quella di assorbire e canalizzare la
luce solare. L’energia luminosa è utilizzata per attivare un trasferimento di elettroni da
una serie di composti donatori ad altri composti accettori: l’accettore finale di questi
elettroni sarà il NADP+ , che viene quindi ridotto a NADPH, mentre il donatore iniziale
di elettroni è l’H2 O. L’energia luminosa viene anche utilizzata per generare una forza
motrice protonica (in modo analogo a quanto visto per la catena di trasporti degli
elettroni) attraverso la membrana tilacoidale, ed il relativo gradiente protonico viene
impiegato per sintetizzare ATP da una ATP sintasi inserita nella membrana tilacoida-
le. Il NADPH e l’ATP cosı̀ prodotti verranno poi utilizzati nel ciclo di Calvin-Benson,
che avviene nello stroma del cloroplasto, in cui la CO2 e l’acqua sono unite ad un com-
posto a 5 atomi di carbonio per formare un composto intermedio che verrà ridotto
proprio utilizzando NADPH e ATP, riducendo cosı̀ l’anidride carbonica a composti
come saccarosio ed amido.

3.4.1 Le reazioni alla luce: i pigmenti fotosintetici


L’energia della luce solare viene assorbita principalmente dai pigmenti fotosintetici
contenuti nel cloroplasto. Gli organismi fotosintetici eucariotici (come piante, alghe,
muschi e felci) possiedono diversi tipi di pigmenti: clorofille (di tipo a, b, c e d) e caro-
tenoidi. Gli organismi fotosintetici procariotici (come cianobatteri e batteri purpurei)
possiedono invece un’altra classe di pigmenti, le batterioclorofille. Sia le clorofille che
le batterioclorofille sono normalmente presenti come una miscela costituita da più di un
tipo ed ognuno compie una funzione specifica. Tutte le clorofille hanno una struttura
ad anello (Figura 3.10) che è chimicamente simile al gruppo porfirinico che si trova
nell’emoglobina (gruppo eme) e nei citocromi. Attaccata alla struttura ad anello è pre-
sente una lunga catena idrofobica, che àncora la clorofilla alla membrana tilacoidale (o
alla membrana batterica). È importante notare che è la struttura ad anello porfirinico
ad avere degli elettroni legati debolmente i quali, una volta eccitati, possono subire una
transizione elettronica coinvolta poi nelle reazioni redox successive.

Il gruppo eme ed i citocromi hanno al centro dell’anello porfirinico un atomo di ferro,


mentre le clorofille e le batterioclorofille contengono un atomo di magnesio (Figura
3.10).
Energetica

Le clorofille assorbono la luce nello spettro del visibile, principalmente blu e rosso e per questo
motivo risultano colorate di verde.

Ogni pigmento ha un diverso spettro di assorbimento e possiede un massimo di as-


sorbimento (λmax ) a determinate lunghezze d’onda (ad esempio, la clorofilla a ha una
λmax = 680 nm). Una parte dell’energia luminosa assorbita dalle clorofille e da altri
pigmenti viene alla fine convertita in energia chimica per mezzo della formazione di
legami chimici. Questa conversione dell’energia luminosa è un processo molto comples-
so che deriva dalla coordinazione integrata di numerose molecole (pigmenti e proteine)
deputate al trasferimento degli elettroni dell’anello porfirinico eccitati dalla luce.
Biologia 1087

Figura 3.10: Struttura di alcuni pigmenti fotosintetici.

La maggior parte dei pigmenti si trova localizzata in un complesso antenna, che


capta la luce e trasferisce l’energia dei fotoni al centro di reazione, dove hanno luogo
le reazioni chimiche che portano all’accumulo dell’energia: questo è il concetto base
di trasferimento dell’energia durante la fotosintesi. Questo trasferimento energetico
prende il nome di trasferimento Förster e comporta un trasferimento per risonanza
dell’energia di eccitazione tra gli elettroni dell’anello porfirinico di un pigmento e gli
elettroni dell’anello porfirinico di un secondo pigmento.

Una molecola di clorofilla assorbe solo pochi fotoni al secondo, quindi il fatto che esista un
complesso antenna costituito da circa 2500 pigmenti ottimizza l’attivazione del centro di rea-
zione con un adeguato numero di elettroni che arrivano in un certo lasso di tempo: infatti un
centro di reazione deve funzionare per quattro volte (ricevere quattro elettroni) per produrre
una molecola di ossigeno molecolare (O2 ). Sia i complessi antenna che il centro di reazione
si trovano inseriti nella membrana fotosintetica: negli eucarioti è la membrana tilacoidale,
mentre nei procarioti è la membrana plasmatica
Biologia

3.4.2 Le reazioni alla luce: i fotosistemi


Le clorofille ed i pigmenti accessori che raccolgono la luce nella membrana tilacoida-
le sono associati in maniera non covalente, ma altamente specifica, alle proteine che
costituiscono le proteine della clorofilla. I centri di reazione (complesso P700 e
complesso P680) ed i complessi antenna (chiamati anche complessi per la cattura
della luce, o LHC, che sono poi le proteine della clorofilla) sono tutti proteine inte-
grali di membrana inserite nel doppio strato della membrana tilacoidale, organizzate
1088 Bioenergetica

in due grandi complessi chiamati fotosistema I (o brevemente P700) e fotosistema


II (o brevemente P680). I complessi per la cattura della luce, che contengono clorofille
a, clorofille b e carotenoidi (negli organismi fotosintetici eucariotici), sono disposti a
decine intorno al complesso del centro di reazione, per convogliare al meglio l’energia
di risonanza alla coppia speciale di clorofille a poste al centro del complesso pro-
teico chiamato centro di reazione (Figura 3.11). Un altro complesso proteico integrale
di membrana è il citocromo b6 − f , che è responsabile del trasporto di elettroni dal
fotosistema II al fotosistema I.

Figura 3.11: Trasporto degli elettroni ed organizzazione dei complessi proteici fotosintetici. La stechiome-
tria della reazione è indicata per 4 fotoni (indicati con un lampo) assorbiti dal PSII e 4 fotoni assorbiti dal
PSI. Il sistema NDH-PTOX ha una tripla funzione: accetta equivalenti riducenti (NADH) dal mitocondrio
(mit.) o dalla glicolisi donando elettroni al pool del plastochinone; agisce come una valvola di sicurezza
limitando la sovra-riduzione della catena di trasporto elettronica che può avvenire in presenza di forte luce o
flusso ciclico di elettroni tra il PSI e il complesso del citocromo b6 − f (produzione di radicali superossido);
abbassa la concentrazione dei protoni nello stroma. La coppia speciale di clorofille in ciascun fotosistema
è riportata come due rombi addossati l’uno sull’altro. PQ, plastochinone; cyt b6 f , citocromo b6 − f ; Q,
chinoni del plastochinone; QI e QO , ciclo Q del citocromo b6 − f ; Fd, ferredossina solubile; FNR, flavo-
proteina ferredossina-NADP reduttasi; FA , FB , FX , ferro-zolfo proteine; NdH, NADH deidrogenasi; Ptox,
ossidasi terminale del plastochinone.

Il centro di reazione del fotosistema II, insieme alle clorofille antenna ed alle proteine di tra-
sporto elettronico associate, è situato prevalentemente nelle zone interne dei grana tilacoidali,
mentre il centro di reazione del fotosistema I (con le sue clorofille e proteine associate) e
l’ATP sintasi sono situati esclusivamente nelle lamelle stromatiche (stroma lamellae) e sui
bordi dei grana tilacoidali (Figura 3.11). Il complesso proteico del citocromo b6 − f è invece
distribuito in maniera eguale tra i grana e le lamelle stromatiche. I due fotosistemi, quindi,
sono separati spazialmente da parecchie decine di nanometri e sono presenti solitamente anche
in un rapporto PSII/PSI di 1,5:1.
Energetica

I centri di reazione del fotosistema II forniscono elettroni ad un pool intermedio di tra-


sportatori di elettroni, i plastochinoni (PQ), mentre il fotosistema I accetta gli elettroni da
un altro trasportatore (stavolta proteico) di elettroni, la plastocianina (PC). Plastochinone e
plastocianina collegano quindi, attraverso il citocromo b6 − f , i due fotosistemi.

Sia le clorofille antenna che quelle dei centri di reazione sono associate alle proteine
della clorofilla, che sono inserite nella membrana dei tilacoidi: è molto importante ricor-
dare che l’orientamento relativo dei pigmenti all’interno delle proteine risulta essere
fissato evolutivamente ed è molto stabile, poiché la precisa geometria delle disposizio-
ni relative dei pigmenti ottimizza il trasferimento elettronico da pigmento a pigmento
Biologia 1089

(all’interno del complesso antenna) e poi al centro di reazione, nonché all’interno del
centro di reazione stesso, fino al pool del plastochinone.

3.4.3 Le reazioni alla luce: il trasporto degli elettroni


Il trasporto degli elettroni lungo la catena costituita dai fotosistemi I e II, dal cito-
cromo b6 − f , e dai vari trasportatori (plastochinone, plastocianina), nonché dalle due
ferredossine che riducono il NADP+ , può essere schematizzato in uno schema a Z
(Figura 3.12).

Figura 3.12: Schema a Z della fotosintesi. Il complesso per lo sviluppo dell’ossigeno è formato da: un
residuo di tirosina (YZ ) della proteina D1 del PSII, tre proteine periferiche di membrana associate al PSII,
ioni Ca2+ e Cl− , e soprattutto quattro ioni manganese che oscillano tra stati diversi di ossidazione.

Lo schema a Z vale per gli organismi fotosintetici che sviluppano ossigeno, in cui i due foto-
sistemi possiedono ognuno i propri complessi antenna e centro di reazione, sono fisicamente e
chimicamente distinti, ma vengono messi in comunicazione elettronica attraverso una catena
di trasporto. Negli organismi che non sviluppano ossigeno esiste un solo fotosistema e per loro
non si può descrivere uno schema a Z.

Lo schema a Z riporta tutti i trasportatori di elettroni che prendono parte al flusso


Biologia

elettronico, dall’H2 O al NADP+ , sistemati verticalmente in funzione dei loro potenziali


redox standard. I componenti che reagiscono gli uni con gli altri sono collegati da frecce,
ed in questo modo lo schema a Z è una rappresentazione reale del processo fotosintetico
che fornisce informazioni di tipo termodinamico.
Come abbiamo visto, i quattro complessi proteici che operano nella fotosintesi sono:
il fotosistema II;
il complesso del citocromo b6 − f ;
1090 Bioenergetica

il fotosistema I;

l’ATP sintasi.

Questi complessi integrali di membrana sono orientati vettorialmente nella mem-


brana tilacoidale in modo tale che l’acqua venga ossidata ad ossigeno nel lume del
tilacoide, il NADP+ venga ridotto a NADPH nella parte stromatica della membrana,
e l’ATP venga prodotto e rilasciato nello stroma attraverso il passaggio degli ioni H+
dal lume del tilacoide allo stroma del cloroplasto (Figura 3.11).
Quando la luce colpisce il centro di reazione del fotosistema II (P680), la clorofilla
passa in uno stato eccitato (P680*) e due elettroni vengono ceduti ad un accettore pri-
mario di elettroni. La clorofilla, perdendo due elettroni, si ossida e l’accettore primario
cede gli elettroni ad una serie di trasportatori tra i quali ricordiamo il plastochinone,
il citocromo b 6 -f , una proteina ferro-zolfo (proteina di Rieske, FeSR ) e la plasto-
cianina (PC). Contemporaneamente vengono pompati protoni nel lume del tilacoide:
si genera un potenziale elettrochimico attraverso la membrana tilacoidale, con il lume
a maggiore concentrazione di ioni H+ rispetto allo stroma.
Anche il PSI viene eccitato dalla luce e gli elettroni vengono trasferiti ad una serie di
accettori che terminano con la ferredossina solubile (Fd o FD, Figure 3.11 e 3.12),
la quale li passa poi ad una ferredossina-NADP-reduttasi: quest’ultima utilizza
poi i due elettroni per ridurre il NADP+ a NADPH, sottraendo un protone allo stro-
ma e completando la catena di trasporto degli elettroni cominciata con l’ossidazione
dell’acqua.
I due elettroni che il PSI perde vengono ripristinati grazie alla plastocianina. Essa
è una piccola proteina solubile contenente rame, presente nel lume tilacoidale, in grado
di trasferire elettroni dalla catena di trasporto del PSII al PSI.
Gli elettroni persi dal PSII vengono invece recuperati mediante ossidazione dell’ac-
qua ad ossigeno: due molecole d’acqua cedono quattro elettroni e si forma una molecola
di ossigeno.

La sintesi di ATP nel cloroplasto si realizza in un grande complesso multiproteico chia-


mato ATP sintasi (o fattore accoppiante, o CF0 -CF1 ). La porzione idrofobica legata
alla membrana tilacoidale (CF0 ) ha la funzione di canale transmembrana attraverso
cui passano i protoni, mentre la porzione che si sporge verso lo stroma (CF1 ) ha la
funzione di catalizzare la sintesi dell’ATP. Il meccanismo suggerito per la generazione
dell’ATP da parte di questa ATP sintasi cloroplastica è simile a quello visto per la ATP
sintasi mitocondriale, proposto da Paul Boyer (Figura 3.8) e prevede la rotazione del
complesso catalitico CF1 guidata dalla dissipazione del gradiente protonico generato in
precedenza (teoria chemiosmotica). Calcoli stechiometrici hanno indicato che sono
Energetica

necessari 4 protoni per generare una molecola di ATP.

3.4.4 Il ciclo di Calvin-Benson


Abbiamo appena visto che l’ossidazione fotochimica dell’acqua ad ossigeno è accop-
piata con la generazione di ATP e NADPH da parte di reazioni che avvengono nella
membrana tilacoidale del cloroplasto. Le successive reazioni che catalizzano la riduzione
della CO2 a carboidrati sono accoppiate al consumo di NADPH e ATP da parte di en-
zimi localizzati nello stroma del cloroplasto. Anche se tradizionalmente queste reazioni
Biologia 1091

biochimiche vengono definite “al buio”, è più appropriato definirle come “reazioni del
carbonio”, poiché esse necessitano comunque di luce per potersi attuare.
Tutti gli eucarioti fotosintetici riducono l’anidride carbonica in carboidrati per mez-
zo del ciclo di Calvin-Benson, anche detto ciclo riduttivo dei pentosi fosfati
(RPP). Nel ciclo di Calvin l’anidride carbonica e l’acqua vengono unite ad un ac-
cettore a 5 atomi di carbonio (il ribulosio 1,5-difosfato o ribulosio 1,5-bisfosfato) per
formare due molecole di un intermedio a 3 atomi di carbonio (il 3-fosfoglicerato). Il
3-fosfoglicerato viene poi ridotto, grazie al NADPH e all’ATP prodotti durante le rea-
zioni della fase luce-dipendente, ed il ciclo di Calvin si chiude con la rigenerazione
dell’accettore iniziale a 5 atomi di carbonio (Figura 3.13).
Il ciclo di Calvin consiste essenzialmente di tre fasi:

carbossilazione: l’accettore della CO2 , il ribulosio 1,5-difosfato, accetta l’anidri-


de carbonica e l’acqua per formare due molecole di 3-fosfoglicerato in una reazio-
ne catalizzata dall’enzima rubisco (ribulosio difosfato carbossilasi/ossigenasi).
La rubisco possiede anche un’attività ossigenasica, perché l’ossigeno molecolare
compete con l’anidride carbonica per il ribulosio 1,5-difosfato nello stesso sito
attivo;

riduzione: il 3-fosfoglicerato viene ridotto a gliceraldeide 3-fosfato attraverso l’u-


so di NADPH ed ATP. Questa reazione viene catalizzata dall’enzima NADP:gli-
ceraldeide-3-fosfato deidrogenasi;

rigenerazione: il ribulosio 1,5-difosfato viene rigenerato a partire dalla gliceral-


deide 3-fosfato. Per evitare che manchino gli intermedi del ciclo, in questa fase
vengono riformate tre molecole di ribulosio 1,5-difosfato recuperando gli atomi di
carbonio dalle 5 molecole di trioso fosfati prodotte (cioè diidrossiacetone 3-fosfato
e gliceraldeide 3-fosfato). Questo accorgimento sopperisce al continuo ingresso di
anidride carbonica nel ciclo, ottimizzandone la velocità.

È possibile seguire la variazione del numero di ossidazione (n.o.) dell’atomo di carbonio


fissato lungo il ciclo di Calvin. Nell’anidride carbonica il C ha un n.o. uguale a +4,
nel 3-fosfoglicerato n.o. vale +3 e nella gliceraldeide 3-fosfato vale +1. Questa veloce
riduzione, che avviene nelle prime reazioni biochimiche del ciclo, facilita l’organicazione
dell’anidride carbonica anche attraverso la generazione di intermedi come il fruttosio
1,6-difosfato ed il fruttosio 6-fosfato.
Biologia

3.4.5 La fotorespirazione
L’enzima rubisco catalizza non solo la carbossilazione del ribulosio 1,5-difosfato, ma
anche la sua ossigenazione. L’ossigenazione è il primo passaggio del processo di fotore-
spirazione. La fotorespirazione e la fotosintesi funzionano in direzioni completamente
opposte, poiché tramite la fotorespirazione viene persa l’anidride carbonica dalle stesse
cellule che nello stesso momento la stanno fissando per mezzo del ciclo di Calvin.
1092 Bioenergetica

Figura 3.13: Il ciclo di Calvin-Benson.

L’ossigenazione del ribulosio 1,5-difosfato porta alla formazione di acido 2-


fosfoglicolico. La capacità di catalizzare l’ossigenazione del ribulosio 1,5-difosfato
è una proprietà comune a tutte le rubisco, indipendentemente dall’origine tassono-
mica. L’anidride carbonica e l’ossigeno, in quanto substrati alternativi della rubisco,
competono nella reazione con il ribulosio 1,5-difosfato, poiché la carbossilazione e
l’ossigenazione avvengono all’interno dello stesso sito attivo.

Esiste un ciclo, chiamato ciclo per l’ossidazione fotorespiratoria del carbonio


(ciclo PCO), che riesce a recuperare circa il 75% del carbonio perso originariamen-
te dal ciclo di Calvin sotto forma di acido 2-fosfoglicolico (Figura 3.14). L’acido 2-
fosfoglicolico, formato a seguito dell’ossigenazione del ribulosio 1,5-difosfato, viene ra-
pidamente trasformato in acido glicolico attraverso l’azione di una fosfatasi specifi-
Energetica

ca (glicolato fosfatasi). L’acido glicolico viene ulteriormente metabolizzato dall’azione


combinata dei perossisomi e dei mitocondri. Al termine, due molecole di acido fosfoglico-
lico (4 atomi di carbonio che vengono persi dal ciclo di Calvin a causa dell’ossigenazione
del ribulosio 1,5-difosfato) vengono convertite in una molecola di acido 3-fosfoglicerico
(3 atomi di carbonio) ed una molecola di anidride carbonica. Il 75% del carbonio perso
all’origine viene cosı̀ recuperato dal ciclo PCO e restituito al ciclo di Calvin.
Il ciclo di Calvin che abbiamo appena descritto è tipico delle piante cosiddette
C3 , in quanto l’anidride carbonica atmosferica viene organicata in un composto a tre
atomi di carbonio, l’acido fosfoglicerico. In questo tipo di piante abbiamo descritto
Biologia 1093

Figura 3.14: Fotorespirazione e ciclo PCO.

il fenomeno della fotorespirazione, in cui la rubisco funziona in modalità ossigenasica


anziché carbossilasica.
In alcune specie di piante esistono vie alternative per la fissazione del carbonio, che
si sono evolute in modo tale da minimizzare la fotorespirazione ed ottimizzare il ciclo
di Calvin: la via del C4 e il metabolismo CAM.
Nelle piante C4 l’anidride carbonica è legata al fosfoenolpiruvato con formazione
di una molecola a quattro atomi di carbonio, l’acido ossalacetico. L’enzima coinvolto
è la fosfoenolpiruvato carbossilasi, che ha la caratteristica di non avere affinità per
l’ossigeno, a differenza della rubisco. Tra le piante C4 ricordiamo il mais e la canna da
zucchero.
Le piante come ananas e cactus, che vivono in ambienti aridi, hanno invece evoluto
un metabolismo detto metabolismo acido delle crassulacee (CAM). Queste piante
assorbono la CO2 di notte fissandola in acidi a quattro atomi di carbonio; di giorno poi,
l’anidride carbonica viene staccata dagli acidi organici e viene utilizzata per eseguire
la fotosintesi.

3.5 Quesiti
Biologia

1) Le cellule catturano, conservano e tra- E basi azotate


sportano l’energia libera sotto forma
di: 2) Il processo che permette il massi-
mo utilizzo dell’energia immagazzina-
ta nei monosaccaridi convertendola in
A energia termica
molecole di ATP è:
B trigliceridi
A la respirazione
C energia chimica B la fermentazione
D zuccheri semplici C la fotosintesi
1094 Bioenergetica

D la sintesi lipidica A nel citoplasma


E il ciclo di Calvin-Benson B nel mitocondrio

3) I carotenoidi sono: C nel reticolo endoplasmatico liscio

A piante con metabolismo CAM D nell’apparato di Golgi

B piante con metabolismo C3 E nel cloroplasto


C piante con metabolismo C4 8) Cosa accade quando una molecola di
D un tipo particolare di clorofille clorofilla è colpita da energia luminosa?

E pigmenti presenti negli organismi foto- A sono assorbite tutte le lunghezze d’onda
sintetici
B sono riflesse tutte le lunghezze d’onda
4) Quale di queste sostanze rappresenta il
punto di partenza del ciclo di Krebs? C la più assorbita è la luce verde
D è riflessa la luce rossa
A acido piruvico
B acetil-coenzima A E non è assorbita la luce verde

C acido ossalico 9) La è lo studio quantitativo delle


trasduzioni energetiche che avvengono
D glucosio
nelle cellule viventi e della natura e del-
E ossigeno le funzioni dei processi chimici alla base
di queste conversioni di energia. Quale
5) In quale processo sono coinvolti i parola completa la frase?
citocromi?
A biochimica
A ciclo di Krebs
B bioenergetica
B trasporto di elettroni
C glicolisi C biogenetica

D lipolisi D biologia

E sintesi di proteine E scienza della nutrizione

6) Quando respirano le piante? 10) I fotosistemi assorbono:

A di notte A nello spettro dell’infrarosso


B di giorno B negli spettri del visibile e dell’ultravio-
C solo in presenza di CO2 letto

D di giorno e di notte C nello spettro del visibile

E solo quando la pianta non fa fotosintesi D nello spettro dell’ultravioletto

7) Dove avviene, di norma, la glicolisi? E i raggi X


Energetica

3.6 Soluzioni commentate ai quesiti


1) C . Le cellule catturano, conservano e trasportano l’energia libera in forma chimica:
l’adenosina trifosfato (ATP), che dona parte della sua energia libera ai proces-
si endoergonici, al trasporto di sostanze attraverso la membrana e al movimento
meccanico.

2) A . Una molecola di glucosio è inizialmente catabolizzata nella glicolisi, con produ-


zione di piruvato, una molecola ancora ricca di energia. Tale energia residua tuttavia
non viene sfruttata completamente se non in presenza di ossigeno, che consente al
Biologia 1095

processo catabolico di proseguire nella respirazione cellulare. In assenza di ossigeno,


invece, il processo continua con la fermentazione.

3) E . I carotenoidi sono dei pigmenti presenti negli organismi fotosintetici che hanno il
compito di coadiuvare il processo fotosintetico assorbendo luce a lunghezza d’onda
diversa dalla clorofilla e proteggendo quest’ultima da fenomeni ossidativi.

4) B . Le vie cataboliche dei diversi nutrienti convergono tutte nella produzione di


acetil-CoA, che entra nel ciclo di Krebs. Tale processo avviene a livello mitocon-
driale.

5) B . Nella fosforilazione ossidativa gli elettroni passano dal NADH, dal succinato, o
da qualche altro donatore di elettroni attraverso flavoproteine, ubichinone, proteine
ferro-zolfo e citocromi per arrivare fino all’ossigeno.

6) D . La pianta respira sia di giorno che di notte: preleva ossigeno atmosferico ed emet-
te anidride carbonica. La fotosintesi, invece, avviene solo nelle ore di luce ma l’ossi-
geno prodotto è in quantità molto superiore a quella consumata dalla respirazione
di giorno.

7) A . La glicolisi è una via metabolica che avviene nel citoplasma. Alcune eccezioni
sono rappresentate dai protozoi, come i tripanosomi, in cui la glicolisi avviene in un
organulo apposito detto glicosoma.

8) E . Le piante appaiono verdi poiché le lunghezze d’onda del verde sono le meno
assorbite dalla clorofilla.
9) B . La frase si riferisce alla bioenergetica.

10) C . I fotosistemi assorbono nello spettro del visibile. Infatti il fotone, per essere
assorbito dai fotosistemi, deve possedere una quota di energia (quanto) esattamente
uguale a quella necessaria per indurre una transizione elettronica ad un più alto
livello energetico. La luce UV o i raggi X possiedono invece troppa energia e possono
danneggiare le proteine e gli acidi nucleici, inducendo mutazioni spesso letali.

Biologia
Riproduzione
ed ereditarietà 4
4.1 Cicli vitali

Un ciclo vitale costituisce la successione delle fasi (o generazioni) dello sviluppo di un


dato organismo che comincia con lo zigote e termina con la produzione dei gameti. La
riproduzione, cioè quel processo che porta alla produzione dei gameti che per singamia
daranno vita allo zigote, può essere sia asessuata che sessuata.

Gli organismi che si riproducono per via


asessuata lo fanno attraverso la mitosi,
mantenendo sempre lo stesso numero di cro-
mosomi, quindi il ciclo vitale presenta una
sola fase. Gli organismi che si riproducono
per via sessuata presentano invece una al-
ternanza di generazioni: una aploide (n), che
consta nei gameti formati per meiosi, ed una
diploide (2n), che consta nello zigote derivan-
te dall’unione dei gameti. In base al preva-
lere di una generazione sull’altra è possibile
distinguere tre tipi di ciclo vitale negli or-
ganismi che si riproducono per via sessuata
(Figura 4.1):
ciclo aplonte (protisti, alghe, funghi);
ciclo diplonte (animali);
ciclo aplodiplonte (piante, alcuni inver-
tebrati, alcune alghe).
Nel ciclo vitale aplonte (Figura 4.1, A) la
fase (o generazione) aploide prevale su quel-
la diploide. Il ciclo comincia con lo zigote
(2n) che dividendosi per meiosi genera cellu-
le aploidi (chiamate anche meiospore) (n),
che possono rimanere in stato di quiescenza. Figura 4.1: Cicli vitali.
Quando le condizioni ambientali esterne lo consentono le cellule aploidi generano per
mitosi degli individui aploidi (N). Gli individui aploidi (N) generano dei gameti (n)
al momento della riproduzione i quali, per singamia, porteranno alla formazione dello
zigote (2n).
Nel ciclo vitale diplonte (Figura 4.1, B) la fase diploide prevale su quella aploide.
Il ciclo comincia con lo zigote (2n) che dividendosi per mitosi genera un individuo
Biologia 1097

diploide (2N). L’individuo diploide 2N (maschio) al momento della maturità sessuale


produce per meiosi (gametogenesi) cellule aploidi (i gameti n, +), mentre un altro
individuo 2N (femmina) produrrà altre cellule aploidi (i gameti n,–). Al momento della
riproduzione sessuale i gameti + e –, per singamia, porteranno alla formazione dello
zigote (2n) il quale, per successive divisioni mitotiche, originerà un nuovo individuo
diploide (2N).
Nel ciclo vitale aplodiplonte (Figura 4.1, C) le due fasi aploide e diploide sono
in equilibrio. Essendo un ciclo presente prevalentemente nelle piante, i nomi delle due
generazioni individuali (cioè gli individui generati per mitosi multiple) sono gametofito
per la generazione aploide e sporofito per la generazione diploide. Il ciclo comincia
con lo zigote (2n) il quale, per divisioni mitotiche genera un individuo diploide (2N),
lo sporofito il quale, una volta maturo, genera per meiosi delle cellule aploidi (n)
chiamate spore (o anche meiospore, + e –). Quando le condizioni ambientali esterne
lo consentono le cellule aploidi generano per mitosi degli individui aploidi (N) di sesso
differente (+ e –), i gametofiti. Questi individui N, al momento della riproduzione,
producono per mitosi i gameti aploidi (n) in strutture specializzate chiamate gametangi.
Sempre durante la riproduzione la singamia dei gameti + e – porterà alla formazione
di uno zigote (2n), avente caratteristiche di entrambi i genitori.

4.2 Riproduzione

La riproduzione è un processo insito nel ciclo vitale di un organismo, poiché consente


la continuità della specie.

Gli organismi unicellulari (procarioti o eucarioti) si riproducono per scissione bi-


naria (procarioti) o per mitosi (eucarioti), poiché da una sola cellula si originano due
cellule figlie identiche e in questo modo aumentano il numero di individui di una popo-
lazione. Negli organismi unicellulari la sessualità serve a generare variabilità genetica
ma allo stesso tempo diminuisce il numero di individui nella popolazione, poiché da
due individui si genera un solo individuo. Questo può non valere per i batteri, dove
l’unico caso di scambio genetico diretto all’interno di una popolazione, la coniugazione,
porta a variabilità genetica lasciando inalterato il numero di individui: in questo caso
non si può parlare di sessualità vera e propria, poiché i batteri coniuganti conservano
comunque un contenuto aploide (non formano uno zigote).
Gli organismi pluricellulari (eucarioti) si riproducono per alternanza di meiosi (§
2.5.4) e cariogamia, dove per meiosi si intende il processo di formazione dei gameti e per
cariogamia la formazione dello zigote. Dopo la meiosi può verificarsi la formazione di
una meiospora che dà origine ad un individuo aploide per mezzo di divisioni mitotiche.
Biologia

Il vantaggio della sessualità per gli organismi pluricellulari risiede proprio nella
alternanza tra meiosi e cariogamia, poiché essa aumenta la variabilità genetica grazie
alla doppia azione delle mutazioni spontanee (nei gameti o nelle meiospore) e della
ricombinazione genetica (nello zigote).
I procarioti, avendo un contenuto aploide, presentano esclusivamente la scissione
binaria (paragonabile per funzione alla mitosi eucariotica) come mezzo di riproduzione,
riuscendo a mantenere invariata l’informazione contenuta nel DNA di generazione in
generazione. In pratica non accade cosı̀ perché il tasso di mutazione puntiforme spon-
tanea per i batteri è di 10−5 -10−7 per gene per generazione cellulare: ciò vuol dire che,
1098 Riproduzione ed ereditarietà

in media, un batterio su un milione di cloni avrà una base del DNA mutata oppure
che, dopo un ciclo di replicazione, un batterio avrà una base mutata su un milione.
Gli eucarioti, aven-
do un contenuto diploi-
de, possono presentare
due processi diversi: la
mitosi come mezzo di
moltiplicazione cellulare,
sia per generare indivi-
dui multicellulari o per
moltiplicare clonalmente
una cellula già aploide, e Figura 4.2: Riproduzione asessuata e sessuata.
la meiosi, utilizzata per generare quattro cellule aploidi a partire da una cellula di-
ploide. Le cellule aploidi cosı̀ formate possono essere o gameti, che unendosi tra sessi
diversi per singamia (con conseguente cariogamia) genereranno uno zigote, oppure
meiospore, che dividendosi per mitosi genereranno un individuo aploide multicellu-
lare. Da quanto detto è possibile riconoscere due diversi tipi di riproduzione: la prima
implementa il processo mitotico e prende il nome di riproduzione asessuata, la secon-
da implementa l’alternanza tra meiosi e cariogamia e prende il nome di riproduzione
sessuata (Figura 4.2).

4.2.1 Riproduzione asessuata


La riproduzione asessuata è il processo per generare nuovi individui attuato da tutti
i procarioti, da alcune piante, da molti invertebrati e dalla maggior parte degli euca-
rioti unicellulari. Nella riproduzione asessuata il contenuto di DNA dei nuovi individui
è identico a quello dei genitori (si tratta di cloni). Possono però avvenire eventi di
mutazione spontanea (casuali) nel DNA che comportano una certa variabilità genetica.
Esistono diversi tipi di riproduzione asessuata tra i quali ricordiamo:
scissione: un solo individuo genera individui identici a sé dividendo il proprio
corpo. Si parla di scissione binaria quando si generano due individui (batteri,
planarie, alcuni protisti), mentre si parla di scissione multipla quando si generano
individui multipli (anellidi, cnidari);
gemmazione: si formano alcune gemme laterali dalla cellula, le quali posso-
no separarsi generando nuovi individui o rimanere fissate alla cellula genitrice
formando colonie (come nei coralli);
sporulazione: in condizioni ambientali sfavorevoli si possono formare delle cellu-
le particolari, chiamate mitospore, le quali hanno una spessa parete e un ridotto
Genetica

contenuto d’acqua che le protegge dagli agenti esterni. In condizioni ambientali


ottimali le mitospore germinano generando un nuovo individuo. Sono presenti in
alcuni batteri e nei funghi;
poliembrionia: si ha quando lo zigote (2n) o l’embrione si dividono in più parti.
È grazie alla poliembrionia che si generano i gemelli monozigoti;
frammentazione: avviene quando una parte di un individuo si stacca riuscendo
poi a rigenerare un nuovo individuo. È presente in alcune piante, nelle attinie e
nelle stelle marine.
Biologia 1099

4.2.2 Riproduzione sessuata


La riproduzione sessuata è il processo per generare nuovi individui attuato da tutti
gli eucarioti. Essa presenta un evento di singamia, cioè di unione dei due gameti
aploidi (n) maschile e femminile (fecondazione) a formare uno zigote diploide (2n).
Lo zigote rimarrà unicellulare nel caso di specie unicellulari, mentre andrà incontro
a divisioni mitotiche per generare un individuo pluricellulare in altre specie. Nella
maggior parte dei casi lo zigote avrà un DNA che sarà diverso da quello dei genitori,
perciò la riproduzione sessuata produce variabilità genetica; questo può non avvenire in
alcune piante, dove la presenza dei due organi sessuali sulla stessa pianta può portare
all’autofecondazione (autogamia) generando uno zigote uguale alla pianta madre.
Possiamo distinguere sei fasi nella riproduzione sessuata:

meiosi: una cellula diploide si divide in quattro cellule aploidi, chiamate meio-
spore oppure gameti;

aplofase: in questa fase le meiospore danno vita per mitosi ad un individuo plu-
ricellulare aploide, il quale potrà produrre dei gameti che poi si uniranno tra
sessi diversi (maschio e femmina). L’individuo pluricellulare aploide può ripro-
dursi asessualmente. Nell’Uomo l’aplofase è rappresentata dagli spermatozoi e
dagli ovuli;

plasmogamia: i citoplasmi dei due gameti maschio e femmina si fondono, for-


mando un’unica cellula con due pronuclei chiamata zigote. La plasmogamia è il
primo passo della fecondazione;

dicariofase: è la fase di transito tra la plasmogamia (fusione dei due citopla-


smi) e la cariogamia (fusione dei due nuclei). In questa fase possono avvenire
divisioni mitotiche, generando individui con cellule binucleate (come nei funghi
basidiomiceti e ascomiceti), i quali risultano avere due distinti nuclei (aploidi)
con contenuto cellulare virtualmente diploide. Nell’Uomo la dicariofase è molto
breve, poiché i due pronuclei maschile e femminile passano subito alla cariogamia;

cariogamia: i pronuclei aploidi dei due gameti, ormai nello stesso citoplasma
derivato dalla fase di plasmogamia, si fondono a formare un unico nucleo diploide
e la cellula prende il nome di zeugide. La cariogamia è il secondo passo della
fecondazione;

diplofase: comincia con la cariogamia e può portare, per divisioni mitotiche,


ad un individuo pluricellulare diploide. L’individuo pluricellulare diploide potrà
riprodursi asessualmente o, nella maggior parte dei casi, produrrà per meiosi
Biologia

delle meiospore (o dei gameti). Nell’Uomo la diplofase è rappresentata già dallo


zeugide, fino ad arrivare all’età adulta.

Nella riproduzione sessuata i gameti maschile e femminile di una specie possono essere
morfologicamente distinti fra di loro: in questo caso ci possono essere individui erma-
froditi, che possono generare gameti maschio e femmina allo stesso tempo, oppure
individui dioici, che possono generare o gameti maschio o gameti femmina.
1100 Riproduzione ed ereditarietà

Un particolare tipo di riproduzione sessuata in cui non si verifica fecondazione è la parte-


nogenesi. A volte viene definita riproduzione sessuata asessuata proprio perché un individuo
si sviluppa a partire da un gamete (uovo) non fecondato. Questa modalità di riproduzione è
presente in alcuni invertebrati ma anche in animali quali gli squali, i rettili e gli anfibi.

4.3 Genetica mendeliana


4.3.1 Genotipo e fenotipo
Il materiale ereditario trasmissibile da una generazione ad una successiva è il DNA e
le caratteristiche di un individuo che vengono trasmesse di generazione in generazio-
ne si chiamano caratteristiche ereditarie. Queste caratteristiche ricadono sotto il
controllo di alcune entità definite geni, cioè tratti di DNA che risiedono nei cromosomi.

Da queste informazioni si può dedurre che l’insieme dei geni di un individuo, chiama-
to genotipo, potrà realizzarsi e manifestarsi in un insieme di caratteristiche visibili,
chiamato fenotipo.

Il primo studioso che cercò di analizzare come i geni venissero trasmessi di generazione
in generazione fu Gregor Johann Mendel il quale, studiando una pianta chiamata Pisum
sativum, cioè una pianta di pisello da orto, fondò le basi per i futuri studi di genetica.
È importante notare che a partire da un determinato genotipo si possono avere
diverse manifestazioni fenotipiche, poiché il modo in cui la potenzialità di espressione
genica si attua dipende dalle interazioni esistenti tra i diversi geni, tra i geni e i loro
prodotti, e tra i geni e l’ambiente esterno, che può influenzare notevolmente il fenotipo
finale. È interessante il caso di coppie di gemelli monozigoti, i quali hanno lo stesso
genotipo ma possono presentare caratteristiche visibili differenti quando i due individui
crescono in regioni geografiche diverse.

4.3.2 Gli esperimenti di Mendel e la prima legge di Mendel


Mendel voleva comprendere come il fenotipo di un individuo potesse passare di ge-
nerazione in generazione, voleva cioè comprendere il principio dell’ereditarietà dei
caratteri visibili. Mendel, nel 1854, cominciò i suoi esperimenti sul Pisum sativum in-
crociando piante che erano differenti per sette caratteristiche visibili: colore del fiore,
colore del seme, colore del baccello, forma del seme, forma del baccello, lunghezza dello
stelo, posizione dei fiori. Queste caratteristiche visibili venivano trasmesse indipenden-
temente l’una dall’altra e potevano avere solo due diverse varianti fenotipiche (vedi
Tabella 4.1).
Caratteristica visibile Variante (fenotipo) 1 Variante (fenotipo) 2
Genetica

Forma del seme Liscio Rugoso


Colore del fiore Porpora Bianco
Colore del seme Giallo Verde
Colore del baccello Verde Giallo
Forma del baccello Pieno Irregolare
Lunghezza dello stelo Lungo Corto
Posizione dei fiori Assiale Terminale

Tabella 4.1: I sette caratteri visibili del Pisum sativum studiati da Mendel.
Biologia 1101

Il Pisum sativum presenta gli stami (organi riproduttivi maschili) e i pistilli (organi
riproduttivi femminili) sullo stesso fiore e per questo il pisello da orto si riproduce
normalmente per autofecondazione. Per evitare che avvenga l’autofecondazione è
sufficiente rimuovere gli stami prima che essi comincino a produrre il polline, poi si
prende il polline di un altro fiore e lo si sparge sul pistillo del fiore appena tagliato:
in questo modo si attua la fecondazione incrociata. Il risultato della fecondazione
incrociata è il seme, che per il Pisum sativum è il pisello, il quale viene poi piantato
per analizzarne il fenotipo.

Nella sua prima fase sperimentale Mendel, attraverso l’autofecondazione, selezionò delle
linee pure che presentavano un carattere visibile per molte generazioni. Nella seconda
fase sperimentale egli selezionò sette caratteri visibili che presentavano solo due varianti
alternative facilmente osservabili e distinguibili. Nella terza fase sperimentale Mendel
effettuò degli incroci di monoibridi tra linee pure di pisello che differivano per un solo
carattere (generazione parentale, o P). Ad esempio, egli eseguı̀ incroci reciproci
tra maschio e femmina per il carattere liscio/rugoso del seme nella seguente maniera:
– femmina ( ) a semi lisci × maschio ( ) a semi rugosi;
– femmina ( ) a semi rugosi × maschio ( ) a semi lisci.
Egli ottenne sempre, alla prima generazione filiale (o F1 ), una progenie con semi
lisci: da questo dato egli derivò che il carattere visibile liscio/rugoso non dipendeva dal
sesso della pianta parentale e che gli individui F1 somigliavano esattamente ad uno solo
dei due genitori.

Da questa osservazione Mendel derivò la sua prima legge (o principio dell’uniformità


della F1 ): nell’incrocio di due linee pure (individui omozigoti) che differiscono per due
varianti di un carattere visibile, alla generazione F1 si manifesta solo una variante
fenotipica del carattere (dominante), mentre l’altra rimane latente (recessiva).

Nella quarta fase sperimentale Mendel piantò i semi derivati dalla F1 e lasciò che le
piante si autofecondassero, in modo da generare i semi della seconda generazione
filiale (o F2 ). Egli ottenne piante con semi lisci e con semi rugosi in un rapporto
numerico di 3 a 1: il 75% delle piante presentava il fenotipo dominante, il 25% mostrava
il fenotipo recessivo.
In seguito Mendel effettuò gli incroci reciproci tra linee pure P e successivamente
l’autofecondazione della prima generazione F1 per i restanti sei caratteri visibili (Tabel-
la 4.1), ottenendo sempre un rapporto di 3:1 per il numero di individui della variante
1 sul numero di individui della variante 2.
Biologia

Da queste prime quattro fasi sperimentali, ripetute per tutti e sette i caratteri
visibili selezionati per il Pisum sativum, Mendel concluse che:

1. gli incroci reciproci davano sempre gli stessi risultati nella F1 ;

2. la progenie F1 era simile ad uno solo dei due genitori parentali P;

3. la generazione filiale F2 presentava di nuovo la variante scomparsa nella F1 di


uno dei due genitori;
1102 Riproduzione ed ereditarietà

4. la variante del carattere in esame mostrata alla F1 compariva alla F2 in un


rapporto di 3:1 rispetto all’altra variante.

Mendel pensò che le due varianti alternative


di ciascuno dei caratteri visibili fossero de-
terminate da fattori particellari trasmessi
dai genitori alla generazione filiale per mez-
zo dei gameti: questi fattori particellari dove-
vano dunque portare l’informazione eredita-
ria che avrebbe poi determinato il fenotipo.
Oggi sappiamo che i fattori mendeliani altro
non sono che i geni, i quali presentano diver-
se forme alleliche che Mendel chiamò for-
me alternative. Ragionevolmente, poiché
solo una delle forme alternative era visibi-
le nella F1 , la manifestazione dell’altra for- Figura 4.3: Alleli dominanti e recessivi per il
ma non espressa veniva mascherata, secondo gene che caratterizza la forma dei piselli.
una condizione chiamata dominanza. Quin-
di, nell’esempio del carattere visibile liscio/rugoso l’allele che determina la forma liscia
del seme è dominante sull’allele che determina la forma rugosa, il quale è a sua volta
recessivo (Figura 4.3).

Un individuo che presenta due copie dello stesso allele di un gene si dice omozigote
per quel dato gene e i genotipi vengono indicati con la doppia lettera (ad esempio SS
l’omozigote dominante e ss l’omozigote recessivo).
Un individuo con due alleli diversi per uno stesso gene si dice eterozigote (il cui
genotipo è indicato, ad esempio, con Ss) per quel dato gene. Se un allele è dominante
sull’altro gli eterozigoti avranno un fenotipo determinato dall’allele dominante.
Genetica

Figura 4.4: Il quadrato di Punnett.


Biologia 1103

Il quadrato di Punnett È possibile rappresentare gli incroci che avvengono nella genera-
zione parentale P, o nella generazione filiale F1 , attraverso una matrice chiamata quadrato
di Punnett (Figura 4.4). Il quadrato di Punnett rappresenta il genotipo dei genitori e i loro
gameti e rappresenta anche il genotipo/fenotipo della generazione filiale, il tutto in una vi-
sione d’insieme che aiuta a comprendere i rapporti numerici del fenotipo che si osserva nella
generazione filiale. È importante notare che nella generazione parentale P, poiché il Pisum
sativum è diploide, le linee pure contengono due copie dello stesso allele del gene per la forma
del seme, o dominante o recessivo, quindi gli individui della linea parentale P si chiamano
omozigoti per quel dato gene e vengono indicati con la doppia lettera SS (omozigote do-
minante) o ss (omozigote recessivo). Alla meiosi gli individui SS della generazione parentale
P producono gameti S, mentre gli individui ss producono gameti s e il loro incrocio produce
una generazione filiale F1 che risulta essere eterozigote (Ss) per quel dato gene. Dato che
l’allele S è dominante sull’s, gli eterozigoti avranno un fenotipo a semi lisci. Lo stesso tipo
di ragionamento può essere fatto prendendo in considerazione come genitori gli individui F1
appena generati i quali, autofecondandosi, produrranno una generazione filiale F2 che avrà
per tre quarti un fenotipo a semi lisci e per un quarto un fenotipo a semi rugosi.

4.3.3 La seconda legge di Mendel

Dopo aver raccolto tutti i dati sperimentali Mendel enunciò la sua seconda legge,
chiamata anche principio della segregazione: i due membri di una coppia genica,
cioè gli alleli, si separano l’uno dall’altro (segregano) durante la formazione dei gameti.

Oggi sappiamo che i geni sono posizionati sui cromosomi e che la precisa localizzazione
di un gene sul cromosoma si chiama locus genico. Sappiamo anche che un solo gene può
avere versioni differenti, chiamate varianti o alleli. In un organismo diploide, come il
Pisum sativum, che presenta una coppia di alleli localizzata su due cromosomi omologhi,
possiamo dire che la segregazione dei due alleli per formare i gameti avviene durante
la separazione dei due cromosomi omologhi all’anafase I della meiosi (§ 4.3).
Proseguendo nel suo piano sperimentale Mendel voleva confermare il suo principio
della segregazione attraverso una serie di esperimenti di verifica. Mendel fece autofe-
condare le piante della generazione filiale F2 (Figura 4.4) ed osservò i risultati. Piantò
i vari semi ottenuti in F2 ed effettuò l’autofecondazione all’interno dei genotipi SS, Ss,
ed ss. L’autofecondazione delle piante derivate dai semi rugosi (omozigoti recessivi ss in
F2 ) generò semi che erano sempre rugosi, confermando il fatto che quelle piante fossero
linee pure. L’autofecondazione delle piante derivate dai semi lisci della F2 generò semi
di due tipi diversi: un terzo dei semi che erano lisci nella F2 , con l’autofecondazione,
produsse tutti semi lisci, mentre due terzi dei semi che erano lisci nella F2 , con l’au-
tofecondazione, produssero semi lisci e rugosi in un rapporto di 3:1. Questo risultato
Biologia

forniva una prova di validità della prima legge di Mendel, poiché egli propose che ogni
pianta contiene due fattori, mentre ogni gamete uno solo. La combinazione casuale dei
gameti genera una progenie nelle proporzioni che si possono osservare.

L’autofecondazione della F2 consentı̀ quindi a Mendel di confermare il genotipo di una


pianta che mostrava un certo fenotipo. Mendel ottenne infatti gli stessi risultati per
tutti e sette i caratteri visibili che lui aveva considerato.
1104 Riproduzione ed ereditarietà

Figura 4.5: Test del reincrocio (o testcross).

Mendel effettuò delle autofecondazioni della progenie F2 per poter dedurre il genotipo di una
pianta a fenotipo noto (problema che aveva incontrato nel caso dei semi a fenotipo liscio, il
quale veniva mostrato sia dagli omozigoti SS che dagli eterozigoti Ss). Un metodo per poter
determinare il genotipo sconosciuto di un individuo che manifesta il fenotipo dominante è il
cosiddetto test del reincrocio (o testcross), cioè un incrocio tra un individuo a genoti-
po ignoto (individuo A, fenotipicamente dominante) ed un individuo omozigote recessivo
(individuo B, una linea pura per l’allele recessivo) (Figura 4.5). Con questa tecnica si può
rivelare, attraverso l’esame e la conta dei fenotipi della progenie, il genotipo sconosciuto del-
l’individuo A. Infatti, se tutta la progenie F1 mostra un fenotipo dominante, allora il genotipo
dell’individuo A è omozigote dominante (SS), mentre se la progenie F1 mostra un fenotipo
50% dominante e 50% recessivo, allora il genotipo dell’individuo A è eterozigote (Ss).

4.3.4 La terza legge di Mendel


Mendel si propose di studiare come due differenti caratteristiche visibili, ciascuna con
due varianti, potessero manifestarsi nella generazione filiale. Incrociando reciprocamen-
te, uno contro uno, tutti e sette i caratteri da lui selezionati del Pisum sativum (Tabella
4.1), egli ottenne sempre risultati equivalenti.

Da questi esperimenti Mendel ricavò la sua terza legge, chiamata anche principio
dell’assortimento indipendente: i fattori (cioè i geni) che controllano caratteri diversi
Genetica

si distribuiscono in modo indipendente gli uni dagli altri.

Oggi sappiamo che i geni posti su cromosomi diversi assortiscono in maniera indipen-
dente durante la produzione dei gameti e questo era valido per Mendel, poiché i sette
caratteri visibili da lui scelti erano determinati da geni posizionati su sette cromoso-
mi diversi. Se almeno due caratteri fossero stati concatenati, cioè presenti sullo stesso
cromosoma, allora Mendel avrebbe osservato dei risultati non equivalenti nelle varie
progenie.
Biologia 1105

Facciamo un esempio di un incrocio che Mendel ef-


fettuò. Considerando il carattere visibile della for-
ma del seme, con le varianti liscio (S) e rugoso
(s), ed il carattere visibile del colore del seme, con
le varianti giallo (Y) e verde (y), Mendel incrociò
piante aventi genotipo SSYY, che producevano ga-
meti SY, con piante aventi genotipo ssyy, che pro-
ducevano gameti sy (Figura 4.6). Quindi, entram-
be le piante della generazione parentale P erano
linee pure doppie, chiamate doppi omozigoti do-
minanti. Da questo incrocio Mendel ottenne una Figura 4.6: Incrocio delle linee pure
progenie F1 che presentava semi lisci e gialli: questa SSYY e ssyy : generazione dei diibridi
generazione F1 , eterozigote per due paia di alleli in SsYy.
due locus genici diversi, è costituita da individui chiamati diibridi.
Mendel lasciò poi autofecondare i diibridi della generazione F1 , effettuando quindi
un incrocio di diibridi, e ottenne quattro diversi fenotipi dei semi nella generazione
F2 : 9 lisci-gialli, 3 lisci-verdi, 3 rugosi-gialli, 1 rugosi-verdi (Figura 4.7). Questo risultato
contrastava con l’ipotesi che i geni che controllavano i due caratteri visibili forma e
colore del seme venissero trasmessi insieme, poiché in tal caso Mendel avrebbe osservato
solo due fenotipi, secondo un rapporto liscio-giallo:rugoso-verde pari a 3:1.
Questo risultato indicava, quindi, che i fattori (cioè i geni) che determinavano le spe-
cifiche varianti fenotipiche dei due caratteri visibili (forma e colore del seme) venivano
trasmessi in maniera indipendente. Infatti la generazione F1 diibrida produceva quattro
tipi di gameti (SY, Sy, sY, e sy ) nello stesso rapporto numerico (poiché derivante da
un processo di meiosi). Nell’incrocio di diibridi i quattro gameti si abbinavano secondo
tutte le possibili combinazioni, originando prima gli zigoti e poi i semi F2 osservabili
sperimentalmente in seno alla stessa pianta F1 .

Biologia

Figura 4.7: Incrocio dei diibridi.


1106 Riproduzione ed ereditarietà

4.3.5 Alleli multipli: il gruppo sanguigno AB0


In una popolazione l’allele che risulta essere più frequente è l’allele wild-type mentre
gli altri alleli, se esistenti, vengono considerati mutanti: quindi quanto più è grande una
popolazione, tanto più alto sarà il numero degli alleli disponibili, poiché le opportunità
di mutazione aumentano con la dimensione della popolazione vitale (come vedremo nel
Capitolo 5).

È importante ricordare che anche se un singolo individuo (se diploide) può possedere
solo due alleli, in una popolazione possono esistere alleli multipli (più di due) di uno
stesso gene.

Un buon esempio di alleli multipli è il sistema sanguigno AB0 nell’Uomo. Nel sistema
AB0 esistono quattro diversi gruppi sanguigni: 0, A, B, ed AB. Questi quattro fenotipi
derivano da sei diversi genotipi, che rappresentano le diverse combinazioni di tre possi-
bili alleli (I A , I B , i) (Tabella 4.2). Da notare che I A e I B sono dominanti su i, mentre
I A e I B mostrano codominanza, cioè si manifestano entrambi.

La scoperta dei gruppi sanguigni del sistema AB0 avvenuta nel 1901 è valsa al suo scopritore,
Karl Landsteiner, il premio Nobel per la medicina nel 1930.

La genetica del sistema AB0 segue le leg-


gi di Mendel ed ognuno dei due alleli I A Fenotipo Genotipo
e I B codifica per uno specifico enzima gli- (gruppo
cosiltransferasico (enzimi che aggiungono un sanguigno)
residuo glicidico a glicolipidi della membra- A I A /I A oppure I A /i
A
na plasmatica): I codifica per una N-acetil- B I B /I B oppure I B /i
B
galattosammina transferasi, I per una ga- AB I A /I B
lattosil transferasi. L’allele i non codifica per 0 i/i
nessun enzima. L’azione di questi due en-
Tabella 4.2: Il sistema AB0.
zimi modifica le proprietà dei glicolipidi di
membrana degli eritrociti, conferendo loro particolari proprietà antigeniche (antige-
ne A, antigene B), le quali definiscono il gruppo sanguigno. È importante notare che
un individuo produce spontaneamente anticorpi diretti contro l’antigene opposto: se
è presente l’antigene A, il siero avrà anticorpi diretti contro B; se invece è presen-
te l’antigene B, il siero conterrà anticorpi diretti contro A. Questo concetto è molto
importante per definire dei criteri di trasfusione, si veda il filmato al seguente link
http://youtu.be/6nubWBnIvNk.

Parlando di gruppi sanguigni è bene ricordare l’esistenza del sistema Rh. Il sistema Rh fa
Genetica

riferimento ad una proteina presente (o meno) sulla membrana dei globuli rossi che si trasmette
secondo una modalità di tipo autosomico dominante (§ 4.8.2). Nel sistema Rh sono possibili
due casi: Rh+ (Rh positivo) e Rh- (Rh negativo). Tale sistema si associa a quello AB0: ciascun
gruppo del sistema AB0 può quindi essere di tipo Rh positivo o Rh negativo.

4.3.6 Relazioni di dominanza modificate


Come abbiamo visto negli esempi precedenti, normalmente un allele è dominante sul-
l’altro per cui il fenotipo dell’omozigote dominante e dell’eterozigote sono pressoché
Biologia 1107

indistinguibili l’uno dall’altro: in questo caso si parla di dominanza completa. Al-


l’opposto, nella recessività completa l’allele recessivo viene espresso solo nello sta-
to omozigote. Esistono però delle condizioni intermedie di dominanza: la dominanza
incompleta e la codominanza.
Nella dominanza incompleta un allele non domina completamente su di un altro,
e quindi il fenotipo di un individuo eterozigote risulta essere intermedio tra i fenotipi
dei due omozigoti, dominante e recessivo. Un esempio di dominanza incompleta esiste
per il colore del fiore della bocca di leone, che dipende dai due diversi alleli CR e
CW . Se si incrocia un individuo a fiori rossi (CR CR ) con un individuo a fiori bianchi
(CW CW ), la generazione F1 sarà costituita da individui di colore rosa (eterozigoti
CR CW ): incrociando tra loro gli individui F1 , alla generazione F2 si avranno i fenotipi
rosso:rosa:bianco nei rapporti 1:2:1, dimostrando che le piante con fiori rosa non sono
linee pure.
La codominanza consiste in una modificazione delle relazioni di dominanza in cui
l’eterozigote manifesta entrambi i fenotipi dei due omozigoti. Un esempio fra tutti è
proprio il sistema AB0 (§ 4.3.5): in un individuo con gruppo sanguigno AB i due alleli I A
e I B vengono espressi alla stessa maniera, generando contemporaneamente gli antigeni
A e B. Un altro esempio di codominanza è il sistema del gruppo sanguigno umano MN,
in cui esistono tre fenotipi (M, N, ed MN) determinati rispettivamente da tre genotipi
(LM /LM , LN /LN , LM /LN ). Questo sistema non è cosı̀ importante come l’AB0 in
termini trasfusionali ma, come l’AB0, gli alleli M ed N codificano per particolari enzimi
responsabili della formazione di antigeni sulla superficie degli eritrociti.
L’epistasi si verifica quando l’espressione di un gene interferisce con l’espressione
di un altro gene non allelico, in modo che il fenotipo viene determinato dal primo gene
e non dal secondo: in pratica il primo gene (epistatico) maschera l’espressione del
secondo gene (ipostatico). L’epistasi può derivare da una omozigosi recessiva per una
coppia allelica oppure dalla presenza di un allele dominante quando si considera una
coppia allelica.

4.4 Teoria cromosomica dell’ereditarietà


I risultati degli esperimenti di Mendel vennero pubblicati nel 1866 suscitando scarsa
attenzione negli altri scienziati, ma nel XX secolo (nel 1902) Walter Sutton e Theo-
dor Boveri scoprirono che la trasmissione dei cromosomi da una generazione all’altra
andava di pari passo con la trasmissione dei geni. Essi infatti proposero una teoria
cromosomica dell’ereditarietà, in cui si affermava che i cromosomi trasportavano i
geni responsabili dei vari fenotipi osservabili in una specie.

4.4.1 Cromosomi sessuali ed ereditarietà legata al sesso: gli esperimenti di Morgan


Biologia

Una dimostrazione della teoria cromosomica dell’ereditarietà giunse da alcuni espe-


rimenti in cui si voleva mettere in relazione la trasmissione ereditaria di alcuni geni
con la trasmissione dei cromosomi sessuali. In molti organismi eucariotici, come ad
esempio l’Uomo e il moscerino della frutta (Drosophila melanogaster ), il sesso viene
determinato dalla presenza o meno di due cromosomi sessuali: il cromosoma X ed il
cromosoma Y. Il sesso maschile viene definito dalla presenza di un cromosoma X ed
un cromosoma Y (quindi il maschio è XY), mentre il sesso femminile viene definito
dalla presenza di due cromosomi X (quindi la femmina è XX): questa distinzione è
1108 Riproduzione ed ereditarietà

Figura 4.8: Ereditarietà legata al sesso: gli esperimenti di Morgan.

presente in ogni cellula somatica, il maschio quindi (sesso eterogametico) produrrà


gameti X ed Y, mentre la femmina (sesso omogametico) produrrà solo gameti X. La
trasmissione dei cromosomi sessuali a partire da un genitore parentale maschio ed un
genitore parentale femmina, produrrà alla F1 sempre un 50% di progenie maschio ed
un 50% di progenie femmina, mantenendo (in assenza di eventi esterni) un equilibrio
fra i due sessi nella popolazione di quella specie.
Per dimostrare la teoria cromosomica dell’ereditarietà, cioè che i cromosomi por-
tavano i geni responsabili della espressione dei vari fenotipi presenti in una specie, si
scelse un organismo che assicurava una progenie numerosa e un rapido tempo di svi-
luppo: il moscerino della frutta. Nel 1910 Thomas Hunt Morgan effettuò una serie di
esperimenti con questo organismo che dimostrarono la fondatezza della teoria cromoso-
mica dell’ereditarietà (per una disamina degli esperimenti e della sua biografia si veda
il filmato http://youtu.be/2abm s-yefs).
Morgan incrociò una femmina linea-pura (genitore A) di Drosophila che aveva gli
occhi rossi (fenotipo wild-type, cioè selvatico) con un maschio linea-pura (genitore B)
che aveva gli occhi bianchi (fenotipo mutato). Morgan osservò alla F1 una progenie
tutta con occhi rossi e concluse che il fenotipo occhi rossi fosse dominante sul fenotipo
occhi bianchi, che era invece recessivo. Lasciò poi incrociare tra di loro gli individui
della F1 , aspettandosi alla F2 un rapporto di 3:1 secondo quanto affermavano le leggi di
Mendel, ma osservò invece un numero troppo basso di individui con fenotipo recessivo,
che per di più erano tutti maschi (Figura 4.8). Fu proprio quest’ultima osservazione che
indusse Morgan a pensare che il gene che determina il colore degli occhi in Drosophila
fosse localizzato sul cromosoma X. In questo modo la femmina linea pura ad occhi
Genetica

rossi doveva essere necessariamente omozigote dominante (w+ /w+ ), mentre il maschio
linea pura ad occhi bianchi doveva avere un allele recessivo sul cromosoma X posseduto
(w/Y).

Nella simbologia di Morgan, usata ancora oggi dai genetisti, un allele wild-type viene indicato con la
lettera che definisce un carattere recessivo (qui w sta per white) accompagnato da un segno + posto
in apice per designare un allele selvatico. Per contro, la sola lettera w indica un allele mutato.

Morgan ripeté il suo esperimento e osservò anche che i maschi F2 con occhi bianchi
(emizigoti recessivi, w/Y) riproponevano il carattere fenotipico del genitore parentale
Biologia 1109

P maschio con occhi bianchi (w/Y): la trasmissione dell’allele recessivo presente sul
cromosoma X era passato quindi attraverso una femmina ad occhi rossi che era evi-
dentemente eterozigote per quel carattere (w+ /w). Questo tipo di ereditarietà viene
chiamato ereditarietà crisscross.

Un gene presente sul cromosoma X nei maschi (XY) definisce una condizione emizi-
gote, poiché il gene stesso è presente in singola copia e non ha un corrispettivo nel
cromosoma Y. Nelle femmine (XX), invece, esso è presente in doppia copia: nei Mam-
miferi, come vedremo, solo un allele viene espresso poiché uno dei due cromosomi X
viene inattivato.

Morgan effettuò anche degli incroci reciproci, incrociando un maschio linea-pura di


Drosophila che aveva gli occhi rossi (fenotipo wild-type, emizigote w+ /Y) con una
femmina linea-pura che aveva gli occhi bianchi (fenotipo mutato, omozigote w/w).
Alla generazione F1 osservò che tutte le femmine avevano gli occhi rossi mentre tutti i
maschi avevano gli occhi bianchi: questo risultato era diverso dal precedente incrocio,
facendo propendere verso il cromosoma X la modalità di trasmissione del colore degli
occhi. L’incrocio di maschi e femmine appena ottenuti nella F1 portò nella F2 ad una
progenie in cui le femmine erano per metà con occhi rossi e per metà con occhi bianchi,
cosı̀ come i maschi: di nuovo, questo risultato era in disaccordo con quanto osservato
nel primo incrocio. Quindi Morgan dedusse che:

1. il gene per il carattere “colore degli occhi” era presente sul cromosoma X;

2. i geni erano localizzati sui cromosomi.

Morgan era riuscito a collegare un carattere visibile della Drosophila (colore degli occhi)
con un locus genico presente sul cromosoma X, e quindi era riuscito a dimostrare
inequivocabilmente che i locus genici erano localizzati sui cromosomi. Parallelamente,
attraverso gli incroci reciproci, era riuscito a trovare un modo per valutare se un
determinato carattere fosse o no legato al sesso: se i risultati degli incroci reciproci
erano uguali allora il carattere era legato (concatenato, associato) al sesso, o meglio
al cromosoma X.

4.4.2 Non disgiunzione dei cromosomi X: gli esperimenti di Bridges


Morgan aveva dimostrato che in Drosophila,
da un incrocio tra una femmina con occhi
bianchi (w/w) e un maschio con occhi rossi
(w+ /Y), tutti i figli maschi possedevano oc-
Biologia

chi bianchi e tutte le figlie femmine possede-


vano occhi rossi. Un allievo di Morgan, Cal-
vin Bridges, osservando attentamente i feno-
tipi dei moscerini, scoprı̀ che alla F1 circa
1/2000 degli individui avevano un fenotipo
opposto, cioè erano femmine con occhi bian- Figura 4.9: Non disgiunzione durante la meiosi
I (A) e durante la meiosi II (B).
chi e maschi con occhi rossi. Bridges ipotizzò
quindi che fosse avvenuto un evento di non-disgiunzione dei cromosomi X durante
1110 Riproduzione ed ereditarietà

l’anafase I della meiosi, quando si separano i cromosomi omologhi (Figura 4.9, pannello
A). Una non-disgiunzione può interessare sia i cromosomi sessuali che gli autosomi (si
veda il filmato al seguente link http://youtu.be/cR3khqNXJT8).
Bridges ipotizzò che l’evento di non-disgiunzione fosse avvenuto nella femmina
la quale aveva prodotto, a bassa frequenza, altri due tipi particolari di cellule uovo:
uno con due cromosomi X e un altro senza cromosomi X (Figura 4.10, individuo A).
L’incrocio successivo di questa femmina ad occhi bianchi con un maschio wild-type
ad occhi rossi (w+ /Y) generò quindi quattro tipi di zigoti: YO (non sopravvissuto),
XXX (con genotipo w+ /w/w, non sopravvissuto), XO (maschio ad occhi rossi, genotipo
w+ /O), e XXY (femmina ad occhi bianchi, genotipo w/w/Y).
Gli zigoti sopravvissuti mostravano un fenotipo inconsueto, poiché il maschio aveva
ereditato l’unico cromosoma X dal genitore maschio, mentre la femmina aveva eredi-
tato i due cromosomi X dal genitore femmina: solitamente avviene invece il contrario:
il maschio eredita il cromosoma X dalla madre e la femmina eredita un cromosoma
X da ciascun genitore. Da notare come lo zigote XXX non sia sopravvissuto poiché
Drosophila non ha un meccanismo di inattivazione del cromosoma X, posseduto inve-
ce dai Mammiferi, mentre l’emizigote YO non è sopravvissuto perché il cromosoma X
possiede geni che codificano prodotti vitali per la fisiologia cellulare.

Bridges accompagnò l’osservazione dei fe-


notipi per il colore degli occhi, unita-
mente al conteggio degli individui, con
l’osservazione al microscopio dei cromo-
somi dei moscerini che alla F1 erano risultati
anomali, cioè i maschi con occhi rossi e le
femmine con occhi bianchi. Bridges verificò
che i maschi con occhi rossi erano XO, men-
tre le femmine con occhi bianchi erano XXY:
Bridges osservò quindi uno dei primi casi di
aneuploidia (§ 4.7.3), cioè una condizione
in cui uno o più cromosomi mancano o so-
no in soprannumero rispetto all’assetto cro- Figura 4.10: La non disgiunzione del cromosoma
mosomico normale (euploidia). Attraverso i X: gli esperimenti di Bridges. Gli zigoti non vitali
suoi esperimenti di osservazione fenotipica e (w+ /w/w, e YO) sono contrassegnati con una
microscopica, Bridges dimostrò quindi come X.
uno specifico fenotipo fosse associato ad uno specifico assetto cromosomico, il quale
si associava ad uno specifico assetto genetico. Egli dimostrò quindi che la modalità di
segregazione dei geni viaggia in parallelo con la ripartizione dei cromosomi durante la
Genetica

meiosi.

4.4.3 La determinazione del sesso


Nei Mammiferi il sesso viene determinato da uno specifico assetto cromosomico dato
dai cromosomi sessuali X ed Y: si parla quindi di una determinazione genotipica
del sesso. I cromosomi sessuali portano geni che codificano per prodotti importanti
per lo sviluppo sessuale dell’individuo: le femmine normali hanno in ogni loro cellula
due cromosomi X (genotipo XX), mentre i maschi hanno un cromosoma X ed uno Y
(genotipo XY).
Biologia 1111

Nell’Uomo quindi, e nei Mammiferi in generale, è il cromosoma Y a determinare il


sesso in senso maschile, laddove in sua assenza il sesso sarebbe femminile: si parla
quindi di un meccanismo di determinazione del sesso dovuto al cromosoma Y.

Le prime evidenze scientifiche che portarono alla dimostrazione del meccanismo della
determinazione del sesso nell’Uomo derivarono dall’osservazione di casi particolari in
cui un evento di non-disgiunzione meiotica (Figura 4.9) portava alla formazione di
un assetto cromosomico sessuale anomalo.
Un esempio è rappresentato dalla sindrome di Turner, in cui gli individui hanno
un solo cromosoma X (sono infatti X0), ed il fenotipo è una femmina sterile aneu-
ploide, con 45 cromosomi. L’incidenza degli individui affetti dalla sindrome di Turner
nell’Uomo è di 1 su 10 000 femmine e viene stimato che circa il 99% degli embrioni che
presentano un cariotipo 45,X muoiano allo stato fetale. Gli individui affetti mostrano
una statura inferiore alla media, mammelle poco sviluppate e sterilità. Queste evidenze
indicano che, per un corretto sviluppo dei caratteri sessuali primari e secondari delle
femmine, sono necessari entrambi i cromosomi X.
Un altro esempio è la sindrome di Klinefelter, in cui gli individui hanno due
cromosomi X ed un cromosoma Y (sono infatti XXY) ed il fenotipo è un maschio
aneuploide con 47 cromosomi. L’incidenza degli individui affetti dalla sindrome di Kli-
nefelter nell’Uomo è di 1 su 1000 maschi. Gli individui con questa sindrome possono
presentare cariotipi diversi da 47,XXY: 48, XXXY; 48, XXYY. Gli individui con sin-
drome di Klinefeter presentano testicoli sottosviluppati, tendono ad essere più alti della
media, con un certo grado di ritardo mentale, e nel 50% dei casi si osserva un parziale
sviluppo delle mammelle. Queste evidenze indicano che, per un corretto sviluppo dei
caratteri sessuali primari e secondari maschili, sono necessari un solo cromosoma X ed
un solo cromosoma Y.

Poiché nei Mammiferi si parla di una determinazione del sesso dovuta al cromosoma Y, è
stato scoperto che quest’ultimo possiede uno specifico gene chiamato SRY (sex-determining
region, nell’Uomo), posizionato all’estremità del braccio corto, che corrisponde all’ipotetico
locus genico TDF (testis-determining factor gene) precedentemente proposto. La proteina
prodotta da SRY è un fattore di trascrizione che viene prodotto nei genitali indifferenziati
embrionali proprio prima della formazione dei testicoli e che si lega a specifiche sequenze di
DNA (promotori) di geni coinvolti nello sviluppo sessuale primario.

Inattivazione del cromosoma X


Al contrario di quanto avviene in Drosophila, i
Mammiferi riescono a tollerare la presenza di cro-
mosomi X soprannumerari, mentre tollerano po-
Biologia

chissime variazioni nel numero degli autosomi. I


Mammiferi devono perciò avere un meccanismo di
compensazione di dose che riesce ad inattiva-
re i cromosomi X superflui, permettendo la vita-
lità dell’embrione. All’osservazione microscopica, in
tutte le cellule delle femmine di Mammifero esiste
una massa cromatinica molto condensata chiamata
corpo di Barr (dal nome dello scopritore, Murray Figura 4.11: Il corpo di Barr nel nucleo
Barr ), assente nei maschi XY (Figura 4.11). delle cellule XX.
1112 Riproduzione ed ereditarietà

Successivamente Mary Lyon e Lillian Russel, nel 1961, proposero un’ipotesi, chiamata
ora ipotesi di Lyon, la quale asseriva che:

il corpo di Barr fosse un cromosoma X molto condensato e per lo più trascrizio-


nalmente inattivo secondo un processo chiamato lyonizzazione;

l’inattivazione del cromosoma X si verifica circa al sedicesimo giorno dopo la


fecondazione;

il cromosoma X che verrà inattivato viene scelto casualmente tra i due cromosomi
X presenti al momento, secondo un processo indipendente che varia da cellula a
cellula;

una volta inattivato un dato cromosoma X tra i due disponibili, tutte le cellu-
le che deriveranno per mitosi da quella originale erediteranno lo stesso tipo di
inattivazione.

Da queste osservazioni deriva il fatto che le femmine di Mammifero eterozigoti per


quei caratteri che sono legati al cromosoma X possono essere considerate dei mosaici
genetici, poiché alcune cellule avranno un fenotipo dato dal cromosoma X paterno,
mentre altre avranno il fenotipo dato dal cromosoma X materno.

È importante notare che la lyonizzazione avviene non solo nelle cellule XX ma anche
nelle cellule con cromosomi X soprannumerari (per esempio nella sindrome di Klinefel-
ter), in cui un solo cromosoma X rimane attivo, mentre tutti gli altri vengono inattivati:
è questa compensazione di dose che riesce a minimizzare i potenziali effetti dannosi
dovuti a copie multiple dei geni associati all’X.

Il centro di inattivazione è la regione XIC nell’Uomo ed è dove inizia il processo di lyo-


nizzazione. Questa regione contiene il locus XIST (X inactive specific transcripts) che co-
difica un particolare RNA di 15 000 basi, trascritto solo dall’X che dovrà essere inattivato,
il quale avvolgerà lo stesso cromosoma che lo ha prodotto fino a compattarlo totalmente,
eterocromatinizzandolo. Si veda il filmato al seguente link http://youtu.be/Vfk45 VH-HY.

4.5 Mappe cromosomiche


Come evidenziato dagli esperimenti di Mendel, sappiamo che i sette caratteri fenotipici
Genetica

(e quindi i geni) del Pisum sativum da lui selezionati segregano in maniera indipendente
poiché sono posti su cromosomi differenti. I geni però possono essere posti sullo stesso
cromosoma, quindi possono essere concatenati o associati. Nella genetica classica l’i-
dentificazione dei geni concatenati avviene facendo incrociare individui che differiscono
per almeno due caratteri genetici. Analizzando la progenie che deriva dall’incrocio, si
determina la frequenza con la quale appaiono nuove combinazioni dei due caratteri,
generate da un processo noto come ricombinazione genetica: gli individui che pre-
sentano un fenotipo ricombinato vengono detti ricombinanti, mentre gli individui che
presentano le stesse combinazioni dei genitori si chiamano parentali.
Biologia 1113

Attraverso il reincrocio (o testcross) (Figura 4.5) è possibile identificare la presenza


di concatenazione tra due geni: se infatti la frequenza di ricombinazione tra i due
geni in questione risulta essere inferiore al 50% (cioè, meno del 50% della progenie
è ricombinante), allora i due geni vengono considerati concatenati, quindi posti sullo
stesso cromosoma. Utilizzando il testcross è possibile quindi stabilire quali geni sono
concatenati e costruire una mappa genetica per ogni cromosoma.

4.5.1 La concatenazione genica: gli esperimenti di Morgan sulla Drosophila


Gli esperimenti che dimostra-
rono la concatenazione genica
vennero eseguiti nel 1911 da
Morgan, lo stesso che verificò
l’ereditarietà legata al sesso (§
4.4.1). Dopo aver isolato mol-
ti mutanti spontanei di Droso-
phila legati al sesso, come i mo-
scerini w (occhio bianco) ed i
moscerini m (ali ridotte), Mor-
gan sapeva che questi due ge-
ni dovevano essere concatenati
perché risiedevano entrambi sul
cromosoma X. Per dimostrar-
lo Morgan incrociò una femmi-
na con occhi bianchi e ali ri-
dotte (omozigote recessiva per Figura 4.12: Dimostrazione della concatenazione sul cromoso-
w ed m, quindi wm/ wm) con ma X tra i geni w ed m di Drosophila. In F2 , i due individui a
sinistra rappresentano i fenotipi parentali, i due individui a destra
un maschio wild-type (emizigo- i fenotipi ricombinanti. G, genotipo; F, fenotipo, WT, wild-type
+ + + +
te per w ed m , quindi w m (selvatico).
/ Y): questa era la generazione P (Figura 4.12).

Notazione genetica. Nella femmina, per indicare due geni associati al sesso posti sullo
stesso cromosoma X, come ad esempio w ed m in Drosophila, si usa la notazione che abbiamo
appena visto, cioè wm,e si aggiunge una barra obliqua ( / ) ad indicare che i due cromosomi
sono omologhi, ottenendo wm/ wm.
Nel maschio la notazione è la stessa, ma si deve ricordare che è presente un solo cromosoma
X, quindi avremo wm / Y. In questi due esempi appena proposti sia la femmina che il maschio
sono mutanti, cioè avranno gli occhi bianchi e le ali ridotte, ma possiamo avere anche un
fenotipo wild-type; per la femmina: doppio omozigote dominante per w+ ed m+ (quindi,
w+ m+ / w+ m+ ), oppure doppio eterozigote per w ed m (quindi, w+ m+ / wm); per il maschio,
Biologia

emizigote per w+ ed m+ (quindi, w+ m+ / Y). È anche possibile che la femmina sia allo stesso
tempo eterozigote per w ed omozigote (recessiva o dominante) per m, cosı̀ come il maschio
può essere contemporaneamente emizigote dominante e recessivo: questo perché i geni w ed
m sul cromosoma X possono ricombinarsi, come sappiamo oggi, grazie al crossing-over che
avviene nella profase I della meiosi (§ 2.5.4).

Alla generazione F1 Morgan osservò che tutti i maschi avevano occhi bianchi e ali
ridotte (genotipo wm / Y), mentre tutte le femmine avevano un fenotipo selvatico
(genotipo w+ m+ / wm), confermando ulteriormente che sia w che m erano geni legati
1114 Riproduzione ed ereditarietà

al cromosoma X. Facendo incrociare tra di loro gli individui della F1 Morgan ottenne
alla generazione filiale F2 2441 moscerini, di cui 1541 avevano un fenotipo parentale,
sia maschi che femmine, mentre 900 avevano un fenotipo ricombinante, quindi circa il
37% (Figura 4.12).
Poiché la frequenza attesa di ricombinazione tra due geni associati (concatenati) sullo
stesso cromosoma è del 50%, questa percentuale indicava che sicuramente i due geni
erano concatenati: Morgan propose che durante la meiosi avvenisse uno scambio tra i
due cromosomi X omologhi che consentisse la ricombinazione di w ed m.

Morgan effettuò molti altri incroci con diversi caratteri legati all’X è trovò sempre che:
i fenotipi ricombinanti erano meno frequenti rispetto ai fenotipi parentali, in una
percentuale che dipendeva dal grado di concatenazione sullo stesso cromosoma;
entrambe le classi parentali comparivano in egual numero, cosı̀ come le varie classi
ricombinanti.
Da queste evidenze Morgan concluse che quanto più due geni sono vicini sul cromosoma,
tanto più essi tendono a rimanere insieme durante la meiosi e subiranno quindi meno
eventi di ricombinazione. Questo avviene perché i ricombinanti vengono prodotti per
scambio tra i cromosomi omologhi durante la meiosi, quindi la maggiore vicinanza di
due geni sul cromosoma rende l’evento di crossing-over meno frequente: questo, in
definitiva, si riflette sulla percentuale di ricombinanti che si avranno nella generazione
F2 (Figura 4.12).

Morgan correlò la formazione dei fenotipi parentali e dei fenotipi ricombinanti che si osser-
vavano nella F2 con la formazione di chiasmi tra i cromatidi non fratelli di due cromosomi
omologhi. Il chiasma era stato identificato nel 1909 da Frans Janssens, che lo aveva descrit-
to come una sovrapposizione tra due cromosomi omologhi (materno e paterno) con scambio
reciproco di parti, osservabile durante la profase I della meiosi (più precisamente durante la
sottofase di pachitene). Fu nel 1912 che Morgan ed Eleth Cattell introdussero il termine di
crossing-over per definire questo processo di scambio reciproco che avveniva in concomitan-
za del chiasma, grazie al quale potevano formarsi nuove combinazioni (ricombinanti) dei geni
concatenati. La dimostrazione che la ricombinazione genetica era il risultato di uno scambio
fisico tra i cromosomi venne da Curt Stern, che nel 1931 effettuò incroci tra moscerini di
Drosophila che differivano per marcatori genetici (geni car e B posti sul cromosoma X) e
marcatori citologici (un cromosoma X più corto ed un altro X con attaccato un pezzo del cro-
mosoma Y, quindi più lungo). I risultati degli esperimenti di Stern dimostrarono che quando
si producono fenotipi ricombinanti anche i marcatori citologici risultano essere ricombinati,
indicando chiaramente che un evento di crossing-over è avvenuto.
Genetica

4.5.2 Il concetto di mappa genetica


Morgan, attraverso le sue osservazioni, giunse alle seguenti conclusioni:
i ricombinanti genetici sono il risultato di un evento di crossing-over tra i cromo-
somi omologhi;
la frequenza di crossing-over (e quindi dei ricombinanti) per due geni concatenati
è caratteristica per la coppia di geni coinvolti;
Biologia 1115

la frequenza dei ricombinanti per due geni concatenati è costante sia che essi
siano in cis (disposizione in accoppiamento, quando cioè due alleli dominanti
di entrambi i geni si trovano su un cromosoma e i due alleli recessivi sull’altro) o
che siano in trans (disposizione in repulsione, quando un cromosoma porta un
allele dominante del primo gene e l’allele recessivo dell’altro, mentre il cromosoma
omologo presenta la situazione inversa).

Date queste tre evidenze, Morgan pensò che le frequenze di crossing-over che erano ca-
ratteristiche per ogni coppia genica concatenata fossero correlate alla distanza fisica che
separava i due geni sul cromosoma stesso. Insieme ad un suo allievo, Alfred Sturtevant,
Morgan utilizzò la tecnica del reincrocio per analizzare il rapporto di concatenazione
tra i geni. Fu però Sturtevant a suggerire che la percentuale dei ricombinanti ottenu-
ti dal reincrocio potesse essere usata come una misura quantitativa della distanza di
un gene con un altro che fosse sullo stesso cromosoma. Più precisamente Sturtevant
suggerı̀ di chiamare questa distanza unità di mappa (um).

Una frequenza di ricombinazione tra due geni concatenati che sia pari all’1% definisce
una unità di mappa, anche chiamata centi-Morgan (cm): un’unità di mappa, quindi,
corrisponde alla distanza tra due geni concatenati che permette il verificarsi di almeno
un evento di crossing-over, che genera un fenotipo ricombinante ogni 100 individui
esaminati.

Sturtevant scoprı̀ anche che le distanze gene-


tiche di più coppie geniche poste sullo stesso
cromosoma risultano godere della proprietà
additiva, quindi attraverso la quantificazio-
ne delle diverse unità di mappa delle diverse Figura 4.13: Costruzione di una mappa geneti-
ca: gli esperimenti di Sturtevant e Morgan.
coppie geniche era possibile costruire una ve-
ra e propria mappa genetica unidimensionale di quel dato cromosoma. Sturtevant
e Morgan costruirono la prima mappa genetica della storia determinando la posizione
relativa di tre geni sul cromosoma X di Drosophila: w (occhi bianchi), m (ali ridot-
te), ed y (corpo giallo). Attraverso degli incroci come quello proposto in Figura 4.12,
essi ricavarono le frequenze di ricombinazione per gli incroci w x m, w x y, e m x y,
ricavando i seguenti valori: 32.6%, 1.3%, e 33.9%. Poiché la distanza genetica w − m
risultava essere inferiore a quella y −m, l’ordine dei geni sul cromosoma X doveva essere
necessariamente y − w − m (Figura 4.13).

4.5.3 Ricombinazione mitotica


Biologia

Morgan e Cattell coniarono il termine di crossing-over facendo riferimento ad un evento


che avveniva durante la meiosi I. Il crossing-over però può avvenire anche durante la
mitosi, come osservato da Stern nel 1936 tramite esperimenti condotti su mutanti di
Drosophila in geni legati al cromosoma X: si parla quindi di crossing-over mitotico.
Stern incrociò femmine che erano sia omozigoti wild-type per il colore del corpo (y + /
y + ) che omozigoti recessive per la forma delle setole del corpo (corte e arricciate, sn /
sn), quindi con genotipo y + sn / y + sn, con maschi che avevano corpo giallo e setole
normali (y sn + / Y). Alla generazione F1 le femmine apparivano per lo più con feno-
tipo wild-type per entrambi i geni, ma una piccola proporzione di femmine presentava
1116 Riproduzione ed ereditarietà

Figura 4.14: Ricombinazione mitotica: gli esperimenti di Curt Stern.

porzioni superficiali del corpo con setole gialle e/o arricciate (macchia singola, o single-
spot), oppure altre avevano macchie gemelle (o twin-spots, cioè un settore con setole
gialle ed un altro settore adiacente con setole arricciate) come se fossero un fenotipo a
mosaico (Figura 4.14). Queste evidenze non potevano essere spiegate con la normale
segregazione genica, quindi Stern ipotizzò un evento di crossing-over mitotico, il quale
è stato osservato in vari organismi ma avviene raramente (meno dell’1% delle mitosi).

Il crossing-over mitotico (o ricombinazione mitotica) è un processo che con la mitosi


dà origine a cellule figlie con una combinazione di geni diversa dalla cellula diploide
parentale (in aperto contrasto con quanto dovrebbe fare la mitosi). L’evento di crossing-
over avviene ad uno stadio simile a quello di quattro cromatidi che normalmente si
osserva nella meiosi, sulla piastra metafasica, in cui i due cromosomi omologhi (paterno
e materno) possono venire a contatto e formare quindi una tetrade, con rari eventi di
crossing-over mitotico (meno di un evento ogni 100 mitosi).

4.5.4 Mappare il genoma umano


Una delle più grandi sfide scientifiche degli ultimi anni è stata quella della mappatura
dell’intero genoma umano, sequenziandolo base per base. Prima dell’avvento dello Hu-
man Genome Project (HGP, vedere il seguente link:
http://www.ornl.gov/sci/techresources/Human Genome/home.shtml), avviato nel 1990
dal National Institute of Health statunitense e terminato il 22 giugno del 2000 (almeno
nella sua prima bozza) dal Genome Bioinformatics Group e dalla Celera Genomics, i
lavori preliminari consistevano nella creazione di mappe genetiche di concatenazione e
di mappe fisiche.
Genetica

Una mappa di concatenazione mostra le posizioni relative di alcuni marcato-


ri genetici derivanti dall’analisi fenotipica dei ricombinanti, ottenuti incrociando op-
portunamente individui parentali. Un marcatore genetico è un qualsiasi carattere
ereditabile le cui varianti possano essere visibili o rilevabili in qualche forma. Alcuni
esempi di marcatori genetici sono i singoli geni, come abbiamo visto finora, oppure i
marcatori molecolari, cioè regioni di DNA che differiscono significativamente da indivi-
duo ad individuo e che consentono di distinguere i singoli componenti di una famiglia.
I marcatori molecolari più utilizzati per sondare alcune regioni del genoma umano so-
no i polimorfismi nei singoli nucleotidi (single-nucleotide polimorphisms, SNPs)
Biologia 1117

e le ripetizioni tandem a numero variabile (variable number tandem repeats,


VNTR): questi marcatori vengono molto utilizzati nelle analisi forensi.
Una mappa fisica è costituita da marcatori fisicamente identificabili costruita senza
l’aiuto dei fenotipi ricombinanti. I ricercatori devono quindi localizzare il marcatore
attraverso varie tecniche. Se si conosce la sequenza di DNA di un marcatore genetico o
molecolare, è possibile tracciare la sua presenza su di un cromosoma umano attraverso
la tecnica di ibridazione fluorescente in situ (fluorescence in-situ hybridization,
FISH): specifici tratti cromosomici vengono clonati, marcati in fluorescenza (con un
cromoforo), e posti a contatto con i cromosomi, dove si legheranno per complemen-
tarietà. Usando diversi cromofori, con diversi colori, è possibile evidenziare numerosi
geni o tratti di cromosoma allo stesso tempo. Un’altra tecnica che consente di mappare
fisicamente tratti del genoma umano è la PCR (§ 4.9.3), che permette di evidenziare
specifici siti individuati per sequenza (sequence-tagged sites, STS). Gli STS sono
corti segmenti di DNA, da 60 a 1 000 bp, che identificano posizioni uniche nel geno-
ma umano. L’amplificazione per PCR di questi STS consente di verificarne o meno la
presenza da individuo ad individuo. L’importanza degli STS è fondamentale (anche
oggi che conosciamo l’intero genoma umano), poiché essi costituiscono dei punti di
riferimento da cui muoversi su di un cromosoma.

Il completamento del Progetto Genoma Umano, avvenuta nel 2003, ha portato a risultati
sorprendenti: infatti si è visto che il nostro genoma ha circa 24 000 geni (contro i 100 000
previsti), che ogni essere umano differisce da un altro per una sola base ogni 1 300-1 400 (i
cosiddetti SNPs) e che è il maschio della specie umana ad avere il maggior numero di mutazioni
puntiformi. È notizia recente che un ricercatore della Stanford University, Stephen Quake, sia
riuscito a sequenziare il proprio genoma in una settimana con una spesa di circa 40 000 dollari:
all’orizzonte si profila quindi un sequenziamento totale ed individuale del genoma in tempi
molto brevi e con costi alla portata di tutti. Questo comporterà naturalmente anche problemi
di natura etica.

4.6 Genetica Molecolare


4.6.1 DNA e geni
Il lavoro di Gregor Mendel e la teoria cromosomica dell’ereditarietà, come visto in
precedenza, hanno dimostrato che i caratteri ereditari sono presenti nei cromosomi e
che questi si trovano in doppia copia negli organismi diploidi. All’inizio del ventesimo
secolo gli scienziati spostarono la loro attenzione sul definire quale fosse la natura
chimica dei geni.
Biologia

Un importante esperimento volto a scoprire la natura chimica del materiale ere-


ditario fu condotto nel 1928 da Frederick Griffith. Egli lavorava su un batterio, lo
Streptococcus pneumoniae o pneumococco, che era in grado di crescere formando due
tipi di colonie: un tipo liscio (S) estremamente virulento in grado di uccidere i topi
nei quali veniva inoculato e un tipo rugoso (R), non virulento, che lasciava vivi i topi
(Figura 4.15). Griffith inoculò con dei batteri di tipo S uccisi al calore alcuni topi ed
essi sopravvissero. Sorprendentemente, inoculando i topi con una miscela di batteri R
(non patogeni) vivi e di batteri S uccisi gli animali morivano. Griffith scoprı̀ che molti
batteri estratti dagli animali morti erano di tipo S. La conclusione fu che in presenza
1118 Riproduzione ed ereditarietà

Figura 4.15: L’esperimento di Griffith. Per la spiegazione si veda il testo.


di batteri uccisi di tipo S alcuni batteri R erano stati trasformati nel ceppo virulento
e tale trasformazione era stabile ed ereditabile.
I biochimici continuarono a pensare che i geni fossero costituiti da proteine ma nel 1944
Oswald Avery, Colin MacLeod e Maclyn McCarthy furono in grado di stabilire che il
materiale genetico era costituito da DNA. Partendo dagli esperimenti di Griffith, Avery
e i suoi collaboratori cercarono di identificare quale fosse il “principio trasformante”
che mutava la natura da non patogena a virulenta dei batteri. Gli estratti contenenti il
fattore trasformante furono trattati separatamente con enzimi in grado di distruggere
la frazione proteica (proteasi) o gli acidi nucleici (DNasi che distrugge il DNA oppure
RNasi che distrugge l’RNA). Il risultato fu che il principio trasformante era costituito
da DNA.
La pubblicazione di Avery non ebbe molto successo, soprattutto perché il DNA era
considerato una molecola semplice a differenza delle molto più complesse proteine, cosı̀
ci vollero ancora altri anni prima di ottenere ulteriori “prove” a favore del DNA. Nel
1952 Alfred Hershey e Martha Chase condussero una serie di esperimenti sull’infezio-
ne delle cellule batteriche da parte di virus batterici (detti batteriofagi). Utilizzarono
un virus in quanto si tratta di un elemento semplice, formato da un DNA inserito
all’interno di una capsula proteica, costituito cioè dai due grandi pretendenti al ruo-
lo principale di depositario dell’informazione genetica. Il batteriofago utilizzato è in
grado, in pochi minuti, di infettare un batterio e di trasformarlo in una fabbrica pro-
duttrice di nuovi virus; si trattava di identificare se il virus iniettasse DNA o proteine
all’interno del batterio per trasformarlo. Sfruttando gli isotopi radioattivi 32 P e 35 S che
entrano a far parte, rispettivamente, di DNA e proteine, i due scienziati prepararono
due gruppi di virus, uno con DNA marcato l’altro con proteine marcate: avevano cosı̀
la possibilità di identificare con sicurezza che cosa fosse entrato all’interno del batterio.
Senza spingerci oltre nella trattazione il risultato fu che all’interno del batterio era
penetrato DNA virale, e che quindi il DNA era il materiale genetico. Si veda il link
http://youtu.be/3QJ4CjFsflA.
Gli esperimenti di Hershey e Chase hanno influenzato il lavoro di Watson e Crick,
di cui abbiamo già discusso nel capitolo 1 (§ 1.4.4).
Genetica

Abbiamo descritto alcuni esperimenti eseguiti su virus e procarioti ma si è dimostra-


to che è possibile eseguire trasformazioni anche di cellule eucariote: in tal caso però si
parla di trasfezione, mentre il termine trasformazione si usa nel caso di inserimento
di DNA estraneo all’interno di un batterio.
Possiamo ora definire il gene come una sequenza di nucleotidi presenti all’interno del
DNA di una cellula che agisce come unità funzionale per la formazione di un prodotto,
che può essere una proteina, un RNA strutturale o un RNA catalitico.
Biologia 1119

Il legame tra geni e proteine fu suggerita per primo da Archibald Garrod nel 1908,
mentre studiava una patologia nota come alcaptonuria. Egli scoprı̀ la relazione tra un
difetto genetico, un enzima specifico e una determinata condizione metabolica. Queste
scoperte furono a lungo ignorate finché, negli anni ‘40 del ventesimo secolo, l’idea di
associare un gene ad un enzima fu riportata in auge da George Beadle e Edward Tatum.
I due scienziati lavoravano su una muffa del pane, un fungo denominato Neurospora
e giunsero alla formulazione della ipotesi “un gene – un enzima”, ad indicare che
un determinato gene è in grado di codificare per uno specifico enzima. In seguito tale
ipotesi è stata modificata in “un gene – una catena polipeptidica”. Oggi sappiamo che
tale correlazione non è più cosı̀ corretta perché un gene, ad esempio, può codificare
semplicemente per un RNA che non darà luogo a nessuna catena polipeptidica.

Per le loro scoperte Beadle e Tatum furono insigniti del premio Nobel per la medicina nel
1958.

Il DNA
Il DNA fu isolato per la prima volta da Friedrich Miescher nel 1869, tre anni dopo la
pubblicazione dei risultati di Mendel (il cui lavoro era comunque ai più sconosciuto).
Il nome “acido nucleico” fu assegnato a tale composto da uno studente di Miescher,
Richard Altmann nel 1889.
Le proprietà chimiche e la struttura del DNA sono state descritte nel Capitolo 1 (§
1.4.4). Ricordiamo quali sono le caratteristiche principali del DNA:

è un polimero di nucleotidi legati tra loro mediante legame fosfodiestereo tra la


posizione 3’ di un nucleotide e la posizione 5’ del nucleotide successivo;

i nucleotidi presenti nel DNA sono in realtà dei desossinucleotidi in quanto lo


zucchero presente è il desossiribosio;

le 4 basi del DNA sono adenina (A), timina (T), citosina (C) e guanina (G);

la struttura tridimensionale è una doppia elica costituita da due filamenti com-


plementari tra i quali si instaurano dei legami a idrogeno che legano due basi
affacciate: A con T mediante due legami a idrogeno e C con G mediante tre
legami a idrogeno;

il DNA può andare incontro a denaturazione reversibile, ad esempio innalzando la


temperatura: i legami a idrogeno si spezzano aprendo la doppia elica; abbassando
poi la temperatura si riformano i legami a idrogeno e la struttura si riassembla.
Biologia

4.6.2 Il DNA dei procarioti


I procarioti contengono un’unica molecola di DNA (cromosoma batterico) di forma
circolare, presente in una regione del citoplasma detta nucleoide. Le dimensioni dei
genomi batterici sono comprese tra 1 e 6 milioni di basi (megabasi) all’incirca, con un
numero di geni pari a qualche migliaio.
Oltre al cromosoma possono essere presenti ulteriori molecole di DNA chiamate
plasmidi: si tratta sempre di molecole circolari in grado di replicarsi, contenenti pochi
geni, in grado di essere trasferite da un batterio ad un altro (§ 2.2.1).
1120 Riproduzione ed ereditarietà

4.6.3 La duplicazione del DNA

Una volta definita la sua struttura è sta-


to possibile studiare il modo con il qua-
le il DNA è in grado di replicarsi. Wa-
tson e Crick ipotizzarono che la moleco-
la fosse in grado di autoreplicarsi apren-
dosi mediante rottura dei legami a idro-
geno e che i due filamenti fossero in gra-
do, ciascuno, di fungere da stampo per la
sintesi del proprio filamento complementare
(replicazione semiconservativa).
Da un punto di vista teorico però, sono
possibili tre modalità di duplicazione (o re-
plicazione) del DNA: oltre alla già citata re-
plicazione semiconservativa sono possibili le
modalità conservativa e dispersiva. Nella pri-
ma i due filamenti neosintetizzati si uniscono
cosı̀ come i due filamenti originali che torna-
no ad appaiarsi dopo aver agito da stampo.
Nella replicazione dispersiva i filamenti non Figura 4.16: L’esperimento di Meselson e Sta-
si conservano e la doppia elica risultante con- hl. I batteri cresciuti in azoto pesante hanno
tiene frammenti di DNA neosintetizzato e di un DNA che incorpora l’azoto-15 e che produ-
ce, dopo centrifugazione, una banda che si po-
DNA parentale in combinazione casuale.
siziona sul fondo della provetta. La prima gene-
La conferma della modalità di replica- razione di batteri cresciuta in 14 N presenta un
zione semiconservativa giunse dagli esperi- DNA che produce una banda che si posiziona in
menti di Matthew Meselson e Franklin Sta- posizione intermedia tra la banda del DNA pe-
sante e la banda del DNA leggero. Il DNA ot-
hl del 1958. I due scienziati utilizzarono un tenuto dalla seconda generazione presenta due
isotopo pesante (ma non radioattivo) dell’a- bande, una relativa al DNA leggero e una relati-
zoto (15 N) che fecero incorporare a dei bat- va al DNA ibrido. Questo perché ogni filamento
teri (Escherichia coli ) facendoli crescere per di partenza dà origine a un filamento di nuova
sintesi a conferma dell’ipotesi semiconservativa.
molte generazioni. In seguito i batteri furono Per un filmato esplicativo si veda il filmato al link
messi in presenza dell’isotopo normale (14 N) http://youtu.be/ZTMyNmZrcwA.
e furono prelevati dei campioni al momento
del trasferimento nel terreno con isotopo “leggero”, poi dopo una e dopo due genera-
zioni. Mediante centrifugazione in cloruro di cesio, il DNA estratto dai batteri formava
delle bande ad altezza variabile a seconda che il DNA avesse incorporato l’uno o l’altro
isotopo dell’azoto. Il risultato finale fu che le bande ottenute dimostravano con certezza
che la duplicazione era avvenuta in modo semiconservativo (Figura 4.16).
Genetica

La replicazione del DNA richiede un discreto numero di proteine ed enzimi e si


svolge mediante due processi chiave:

lo svolgimento della doppia elica in modo da rendere accessibili i due filamenti;

la formazione di legami covalenti tra i nucleotidi che si appaiano al filamento


stampo.

La replicazione ha inizio in corrispondenza dell’origine di replicazione su cui si lega


un complesso proteico detto complesso di replicazione che contiene l’enzima in grado di
Biologia 1121

legare i nucleotidi tra loro. Tale enzima, dal momento che esegue una polimerizzazione
del DNA è detta DNA polimerasi.

Nei procarioti è presente un’unica origine di replicazione, negli eucarioti sono molte.

L’enzima non è in grado di eseguire la sintesi ex novo ma necessita di un nucleotide con


una posizione 3’ libera e tale nucleotide fa parte di un corto frammento (nella maggior
parte degli organismi è costituito da RNA) che funge da innesco (primer ): tale sequenza
è sintetizzata dall’enzima primasi e il primer alla fine verrà rimosso. Esistono molti
tipi di DNA polimerasi nelle cellule, alcuni dei quali sono coinvolti direttamente nella
replicazione mentre altri hanno funzioni diverse.
Sono molte le proteine accessorie che intervengono nel processo di replicazione
(Figura 4.17):

topoisomerasi: sono proteine che rilassano il DNA rimuovendo i superavvolgi-


menti (un enzima batterico di questa categoria è detta DNA girasi );

DNA elicasi: intervengono nella separazione dei due filamenti di DNA;

proteine SSB (single strand binding proteins): legano i singoli filamenti di


DNA impedendo loro di riappaiarsi.

Figura 4.17: Proteine coinvolte nella replicazione del DNA. Si veda il filmato al link
http://youtu.be/teV62zrm2P0.

Il punto in cui il DNA viene aperto per consentire l’azione della DNA polimerasi è
Biologia

detto forca (o forcella) di replicazione (Figura 4.18).


A causa della direzionalità di copia da parte della polimerasi, che sintetizza il nuo-
vo filamento solo in direzione 5’-3’, i due filamenti di partenza (parentali) non possono
essere copiati alla stessa velocità, perché sono antiparalleli. Il filamento che va da 3’ a
5’ viene letto in modo continuo dalla polimerasi ed è perciò detto filamento guida
(leading strand ); l’altro filamento decorre in direzione opposta, da 5’ a 3’, ed è copiato
in modo discontinuo (cioè a frammenti), in direzione opposta rispetto al verso di avan-
zamento della forca replicativa ed è detto filamento in ritardo o lagging strand. I
frammenti, sintetizzati sempre in direzione 5’-3’, sono detti frammenti di Okazaki ed
1122 Riproduzione ed ereditarietà

ognuno di essi inizia con un primer inserito dalla primasi. Al termine della replicazione
i primers vengono rimossi e gli spazi tra i frammenti di Okazaki vengono riempiti dalla
DNA ligasi, formando cosı̀ il filamento continuo.
Il meccanismo di replicazio-
ne è estremamente accurato ma
può capitare che vengano in-
seriti dei nucleotidi errati. La
DNA polimerasi può riconosce-
re quando ciò si verifica ed è
in grado di fermarsi, sostitui-
re il nucleotide errato e ripar-
tire. Questa attività esonuclea-
sica (rimozione enzimatica di
nucleotidi) è detta correzione
delle bozze (o proofreading).
Il processo di duplicazione
descritto è valido sia nei proca- Figura 4.18: Forcella di replicazione. Il filamento in ritardo viene
rioti che negli eucarioti (anche sintetizzato in modo discontinuo con formazione dei frammenti
di Okazaki, che vengono poi uniti tra loro dalla DNA ligasi.
se negli eucarioti alcuni enzimi
assumono nomi diversi). Nei procarioti però la replicazione parte da un’unica origine
di replicazione ed è bidirezionale (a partire dall’origine procede in entrambe le direzio-
ni). Le DNA polimerasi batteriche sono molto veloci, possono raggiungere velocità di
sintesi di 1000 nucleotidi al secondo.
Gli eucarioti sono più complessi ed avendo molti cromosomi è necessario che si
formino più origini di replicazione, dando origine a delle piccole unità di replicazione
dette repliconi. A differenza di quelle batteriche, le DNA polimerasi eucariotiche sono
molto più lente (si stima che le polimerasi umane abbiano una velocità di circa 50
nucleotidi al secondo).
Negli eucarioti le estremità dei cromosomi (dette telomeri) neosintetizzati si accor-
ciano ad ogni divisione perché quando nel frammento di Okazaki viene rimosso l’ultimo
primer la polimerasi non è in grado di sintetizzare DNA per rimpiazzarlo.
Negli esseri umani la sequenza telomerica è TTAGGG ed è ripetuta circa 2500
volte. Ad ogni divisione cellulare si perdono circa 50-200 basi di DNA telomerico per
cui dopo 20-30 divisioni i cromosomi non sono più in grado di replicarsi e la cellula
muore. Negli elementi cellulari in grado di dividersi in modo continuo è presente un
enzima, chiamato telomerasi, in grado di conservare il DNA telomerico. L’aspetto
negativo è che la maggior parte delle cellule tumorali esprime la telomerasi e questo
consente alle cellule cancerose di continuare a proliferare. Alcuni farmaci antitumorali
agiscono proprio in modo da contrastare l’azione della telomerasi.
Genetica

4.6.4 Il cromosoma degli eucarioti


Il DNA di una cellula umana, se venisse totalmente “srotolato”, avrebbe una lunghezza
di circa 2 metri. Per fare sı̀ che esso possa essere contenuto nel nucleo di una cellula (che
ha un diametro approssimativamente di 5-10 µm) è necessario che avvenga una forte
compattazione del DNA. Come abbiamo visto nel Capitolo 2 (§ 2.4.2) il DNA eucario-
tico è associato a proteine a costituire la cromatina ed il compattamento dei cromosomi
dipende da proteine chiamate istoni. Fu Roger Kornberg, nel 1974, a proporre l’idea
Biologia 1123

Figura 4.19: Livelli di organizzazione della cromatina.

che il DNA e gli istoni si associassero in strutture definite nucleosomi, in cui il DNA
si avvolge attorno ad un complesso costituito da quattro istoni, detti H2A, H2B, H3 e
H4, ciascuno presente con due molecole (è un ottametro di diametro approssimativo di
10 nm). Esternamente a questo nucleo centrale si dispone un altro istone, chiamato H1.
Questo è il primo livello di organizzazione della cromatina, definita “a collana
di perle”. Il livello successivo di organizzazione prevede che gli istoni di nucleosomi
contigui interagiscano tra loro costituendo una fibra di 30 nm di spessore. Le fibre si
organizzano poi in anse superavvolte (o dominii) che sono stabilizzate da una impal-
catura (scaffold ) di proteine non-istoniche ed infine, al momento della mitosi, si forma
il cromosoma, in cui il compattamento della cromatina è massimo (Figura 4.19). Per
avere un’idea del grado di compattamento si consideri che un micrometro di cromoso-
ma mitotico contiene all’incirca un centimetro di DNA, con un grado di impaccamento
di 10000:1. Al termine della mitosi la maggior parte della cromatina ritorna ad essere
dispersa nel nucleo interfasico (l’eucromatina ha una struttura rappresentata da una
fibra di 30 nm) ma una parte resta condensata a costituire l’eterocromatina (§ 2.4.2).
Quest’ultima si divide in eterocromatina costitutiva, che rimane sempre condensata e
si trova, ad esempio, nella regione del centromero e dei telomeri e viene raramente
trascritta in RNA, ed in eterocromatina facoltativa che rappresenta cromatina che è
stata inattivata in un determinato momento della vita dell’organismo o in alcuni tipi
cellulari.
Un esempio di eterocromatina facoltativa è rappresentato dall’inattivazione di uno
dei due cromosomi X nelle cellule delle femmine di Mammifero; in questo modo sia
maschi che femmine contengono lo stesso numero di cromosomi X attivi. Il cromosoma
X inattivo viene riattivato (si tratta quindi di eterocromatina facoltativa) al momento
Biologia

della gametogenesi femminile, in modo tale che i cromosomi omologhi possano appaiarsi
in meiosi.
Il cromosoma inattivato si presenta sotto forma di ammasso di cromatina noto come
corpo di Barr (§ 4.4.3).

4.6.5 Gli elementi trasponibili


Gli elementi mobili di DNA (o elementi trasponibili o trasposoni) sono frammenti di
DNA, presenti sia nei procarioti sia negli eucarioti, capaci di spostarsi da una parte ad
1124 Riproduzione ed ereditarietà

un’altra del genoma. Il primo esempio di elemento trasponibile fu identificato da Bar-


bara McClintock negli anni ’40 del ventesimo secolo studiando il mais. La McClintock
identificò delle entità genetiche in grado di entrare e di uscire da un gene cambiando
il fenotipo dei semi del mais. Il suo lavoro fu snobbato dalla comunità scientifica in
quanto i geni erano considerati elementi stabili all’interno del cromosoma. Dopo una
ventina di anni furono identificati degli elementi mobili nei batteri, definiti trasposo-
ni, capaci di muoversi da un punto ad un altro del genoma. Essi codificavano per un
enzima, chiamato trasposasi, in grado di inserire l’elemento in un punto qualsiasi del
genoma. Nel punto in cui il trasposone si inserisce avviene una piccola duplicazione del-
la sequenza bersaglio la quale serve come segnale per identificare i siti in cui è avvenuta
la trasposizione.
Esistono due categorie di elementi trasponibili negli eucarioti:

1. trasposoni;

2. retrotrasposoni.

Sorprendentemente il genoma umano è ricco di elementi trasponibili: circa il 3% del


genoma è rappresentato da trasposoni e ben il 40% circa è rappresentato da retrotra-
sposoni. Occorre precisare che la maggior parte di tali elementi ha perso la capacità
di muoversi da un sito ad un altro.

La maggior parte dei trasposoni sono ele-


menti che vengono estratti da un sito donato-
re e inseriti in un sito accettore: l’elemento si
sposta da una parte ad un’altra del genoma.
Nei retrotrasposoni, invece, si ha un feno-
meno di “copia e incolla”: il trasposone viene
trascritto in RNA, il quale viene convertito
in un filamento di cDNA (DNA complemen-
tare) che viene poi trasformato in un fram-
mento di DNA a doppio filamento. Questo
è in grado di inserirsi all’interno di un sito
accettore creando una copia del trasposone
(Figura 4.20).
I retrotrasposoni si dividono in:

retrotrasposoni LTR: presentano al-


le estremità delle lunghe sequenze
Genetica

ripetute (LTR: Long Terminal Repeat); Figura 4.20: Schema esemplificativo del fun-
zionamento di un trasposone (a) e di un re-
trotrasposone (b). Si legga il testo per la
retrotrasposoni non-LTR: non presen-
spiegazione.
tano le LTR.

A loro volta i retrotrasposoni non-LTR si dividono in:

elementi LINE (long interspersed elements);

elementi SINE (short interspersed elements).


Biologia 1125

Si suppone che l’evento di trasposizione avvenga in modo casuale, per cui un elemento
potrebbe inserirsi all’interno di un gene che codifica per una proteina, con grave com-
promissione della funzione di quest’ultima. Ad esempio, l’inserimento di un elemento
mobile all’interno di un gene che codifica per un oncosoppressore potrebbe portare
all’insorgenza di un tumore.
È noto un tipo di emofilia causato dall’inserimento di un certo numero di elementi
LINE all’interno di un gene che codifica per un fattore coinvolto nella coagulazione del
sangue, con relativo blocco della funzione di tale fattore.

4.6.6 RNA
L’RNA è un acido nucleico che differisce dal DNA per le seguenti caratteristiche:

esiste in forma di singolo filamento (il DNA invece ha una struttura a doppia
elica);

i nucleotidi di cui è composto sono costituiti da ribosio anziché desossiribosio;

una delle basi presenti nel DNA, la timina, è sostituita nell’RNA dall’uracile, che
è una base in grado di formare legami a idrogeno con l’adenina.

Come già anticipato nel Capitolo 1 (§1.4.4) esistono tre tipi fondamentali di RNA:

rRNA (RNA ribosomale): ha ruolo strutturale in quanto contribuisce alla forma-


zione dei ribosomi (§ 2.4.3);

tRNA (RNA di trasferimento): è fondamentale per la sintesi proteica in quanto


ogni tRNA lega un amminoacido specifico (§ 4.6.9);

mRNA (RNA messaggero): è il responsabile del trasferimento dell’informazione


contenuta nel DNA (nel nucleo) ai ribosomi (nel citoplasma o sulle membra-
ne del reticolo endoplasmatico), per l’assemblaggio del prodotto codificato dalla
sequenza di DNA (§ 4.6.7).

Oltre ai citati RNA ne esistono altri elencati in Tabella 4.3.

Tipo di RNA Nome Funzione


mRNA RNA messaggero Contiene le informazioni necessarie per la
codifica delle proteine
rRNA RNA ribosomale Costituisce la struttura del ribosoma e
catalizza la sintesi proteica
tRNA RNA di trasferimento Trasporta gli aminoacidi nei ribosomi per la
Biologia

sintesi proteica
snRNA Piccoli RNA nucleari Entrano in gioco in vari processi tra cui lo
splicing
miRNA Micro RNA Regolano l’espressione genica silenziando gli
mRNA
siRNA Piccoli RNA interferenti Inibiscono l’espressione genica degradando gli
mRNA

Tabella 4.3: I principali tipi di RNA presenti nelle cellule eucariote.


1126 Riproduzione ed ereditarietà

Esiste un flusso di informazioni che parte dal DNA e giunge alle proteine (che rap-
presentano il risultato finale dell’espressione genica) attraverso un intermediario, che è
rappresentato dall’mRNA.
Questo flusso di informazioni è noto come dogma centrale della biologia ed afferma
che:

1. il DNA è il depositario dell’informazione genetica ed è in grado di replicarsi;


2. attraverso un processo noto come trascrizione l’informazione presente in
un segmento di DNA (un gene) viene trasferita ad una molecola di RNA
messaggero;
3. il messaggio codificato nell’mRNA, cioè in un linguaggio a 4 lettere (le 4
basi) degli acidi nucleici, viene infine tradotto nel linguaggio a 20 lettere del-
le proteine: tale processo è noto come traduzione e porta alla sintesi della
proteina.

Inizialmente la direzionalità era univoca ma in


seguito alla scoperta dei retrovirus (virus nei
quali il patrimonio genetico è costituito da una
molecola di RNA) e di un loro enzima, la tra-
scrittasi inversa, questo flusso è stato parzial-
mente rivisto (Figura 4.21). La trascrittasi in-
versa è una DNA polimerasi-RNA dipendente,
opera cioè la sintesi di DNA a partire da RNA.
Ecco che allora il flusso di informazione da DNA
a RNA può essere invertito.

4.6.7 Trascrizione
Figura 4.21: Dogma centrale della biologia.
L’informazione passa dal DNA alle proteine
Il processo di trascrizione è la sintesi di un attraverso un intermedio ad RNA. Il flus-
RNA a partire da uno stampo costituito da so è parzialmente invertibile in quanto l’R-
un filamento di DNA. NA può dare origine a DNA attraverso la
trascrizione inversa. L’intero processo dalla
duplicazione del DNA alla sintesi proteica
è rappresentato nel filmato presente al link
Oltre alla RNA polimerasi (che è una RNA http://youtu.be/yqESR7E4b 8.
polimerasi-DNA dipendente) agiscono altre
proteine genericamente note, negli eucarioti, con il nome di fattori di trascrizione.
L’utilizzo dell’RNA messaggero come copia dell’informazione presente in un gene,
Genetica

che è contenuto in una grande molecola di DNA, permette il trasferimento dell’informa-


zione stessa dal nucleo alla sede del suo utilizzo, ovvero il citoplasma, dove il messaggio
verrà tradotto, come vedremo in seguito (§ 4.6.10 ).
Il ruolo principale in questo processo è svolto dall’enzima RNA polimerasi, che è
in grado di utilizzare un filamento di DNA come stampo sul quale sintetizzare una
molecola di RNA che risulta complementare (secondo la regola di appaiamento delle
basi) al filamento stampo.
Biologia 1127

Affinché la trascrizione possa avvenire sono necessari i seguenti componenti:

un filamento di DNA che funge da stampo;

i quattro nucleotidi ATP, CTP, GTP e UTP;

la RNA polimerasi.

Ricordiamo che la trascrizione produce un RNA, perciò tale processo è il responsabile


della sintesi degli rRNA, dei tRNA, degli mRNA, degli snRNA (piccoli RNA nucleari,
§ 4.6.8), dei microRNA (miRNA) (§ 4.6.12) e dei siRNA (small interfering RNA).

Nei procarioti esiste una sola RNA polimerasi mentre negli eucarioti ve ne sono di
diversi tipi. Le caratteristiche generali sono che l’enzima polimerizza in direzione 5’-3’,
non richiede un primer per iniziare la sintesi (a differenza della DNA polimerasi) e non
possiede attività di correzione delle bozze (proofreading).
Possiamo suddividere l’intero processo di trascrizione in tre parti: inizio, allunga-
mento, terminazione.
Nella fase di inizio l’RNA polimerasi deve essere posizionata nel punto del gene da
cui deve fare partire la sintesi. Sia nei procarioti che negli eucarioti queste sequenze
segnale sul DNA sono chiamate promotori. Come detto in precedenza la RNA po-
limerasi non agisce da sola ma fa parte del cosiddetto complesso di inizio della
trascrizione che contiene la polimerasi e altre proteine. Il promotore segnala l’inizio
del gene e quale dei due filamenti di DNA deve essere trascritto.
Nella maggior parte dei promotori eucarioti esiste una sequenza a monte del punto di
inizio della trascrizione che serve come sito di riconoscimento per il complesso di inizio.
Tale sequenza contiene un certo numero di T e di A ed è perciò definita TATA box
e si trova all’incirca 20-30 basi a monte del sito di inizio di trascrizione. La proteina
che lega questa regione si chiama TATA-binding protein (TBP) ed è essenziale per
l’assemblaggio del complesso di inizio della trascrizione.
Nei procarioti le due sequenze fondamentali per il riconoscimento del gene si trovano
in posizione –35 (sequenza –35, dove tale numero indica la distanza dal punto in cui
inizia la trascrizione: il segno meno indica che la sequenza si trova a monte del sito di
inizio) e in posizione –10 (Pribnow box ).
Una volta correttamente posizionata, la RNA polimerasi inizia la fase di allunga-
mento (Figura 4.22), svolgendo il DNA davanti a sé e sintetizzando un filamento di
RNA in direzione 5’-3’. L’enzima commette molti più errori rispetto alla DNA polime-
rasi (1 su 104 contro 1 su 107 ) ma ogni gene può essere trascritto molte volte perciò
questo maggior tasso di errore non risulta determinante.
Biologia

Figura 4.22: Una volta assemblato il complesso di inizio la RNA polimerasi inizia a trascrivere il filamento
stampo, per cui la sequenza dell’RNA trascritto sarà uguale a quella del filamento codificante (ovviamente,
essendo un RNA presenterà la base U al posto della T).
1128 Riproduzione ed ereditarietà

Ogni gene è dotato di una sequenza di terminazione che fa sı̀ che la RNA polimerasi si
allontani dal DNA e rilasci il trascritto appena formato, che nei procarioti è pronto per
essere utilizzato mentre negli eucarioti si trova sotto forma di trascritto primario, o
RNA nucleare eterogeneo (hnRNA): un RNA immaturo che dovrà subire delle modifiche
affinché possa svolgere le proprie funzioni (sia che si tratti di mRNA sia che si tratti
di uno degli altri tipi di RNA).

Si è scoperto che l’informazione contenuta in un gene eucariotico non è totalmente


codificante, ovvero alcune sequenze presenti sul DNA non si ritrovano nell’mRNA ma-
turo, quello che dovrà essere tradotto in proteina. Questo ha portato alla scoperta che
i geni degli eucarioti sono costituti da sequenze codificanti amminoacidi, dette esoni,
e da sequenze non codificanti definite introni. I geni dei procarioti non possiedono
introni.

4.6.8 La maturazione dell’RNA messaggero


Negli eucarioti l’RNA messaggero, sotto forma di pre-mRNA, va incontro a tre princi-
pali eventi di maturazione (Figura 4.23):
1. aggiunta di un cappuccio (capping) al terminale 5’;
2. aggiunta di una coda di poli(A) all’estremità 3’;
3. rimozione degli introni e saldatura degli esoni tra loro (splicing).
Capping
Durante la sintesi del pre-mRNA, la sua estremità 5’ viene modificata mediante ag-
giunta di un cappuccio di metilguanosina. Questa modifica avrebbe lo scopo di:
proteggere l’RNA dalla digestione da parte delle esonucleasi;
facilitare il trasporto dell’RNA attraverso i pori nucleari;
svolgere un ruolo importante nell’inizio della traduzione dell’RNA messaggero.
Genetica

Figura 4.23: Maturazione dell’mRNA: la trascrizione produce una copia del gene, introni compresi. Appena
trascritto viene aggiunto il cappuccio di metilguanosina, dopodiché avviene la poliadenilazione e lo splicing.
Biologia 1129

Poliadenilazione
All’estremità 3’ del pre-mRNA viene aggiunta una coda di residui di adenosina, chia-
mata coda di poli(A), ottenuta grazie all’enzima poli(A) polimerasi. Il ruolo principale,
forse unico, di questa coda è quello di proteggere il DNA dalla degradazione da parte
di esonucleasi citoplasmatiche.
Splicing
La rimozione degli introni e la legatura tra loro degli esoni è definita splicing. Tale
processo deve avvenire in modo assolutamente accurato affinché l’informazione presente
nell’mRNA non venga totalmente alterata.
Durante la sintesi del trascritto primario ad ogni introne si associa un comples-
so denominato spliceosoma. Esso contiene delle strutture ribonucleoproteiche defi-
nite snRNPs (si pronuncia “snurps”) composte da proteine e da snRNA. Un filmato
esplicativo sullo splicing è presente al seguente link: http://youtu.be/aVgwr0QpYNE.
L’RNA messaggero maturo conserva alcune regioni non codificanti alle estremità,
denominate regioni non tradotte: 5’ UTR (regione 5’ non tradotta) e 3’ UTR
(regione 3’ non tradotta).

4.6.9 tRNA
Analizzando i singoli aspetti del dogma cen-
trale della biologia abbiamo descritto la du-
plicazione del DNA e la trascrizione. Il pas-
saggio conclusivo è la traduzione. La trascri-
zione vede entrare in gioco l’mRNA mentre
per la traduzione è necessario un altro tipo di
RNA che funga da interprete molecolare, in
grado di trasformare un linguaggio a 4 lette-
re (quello degli acidi nucleici) in un linguag-
gio a 20 lettere (quello delle proteine). Tale
interprete è il tRNA, che riconoscendo una
sequenza di tre lettere o tripletta sull’mR-
NA (codone) attraverso il proprio antico-
done, associa a tale codone uno specifico
aminoacido (Figura 4.24).
I tRNA sono molecole lunghe tra 70 e
90 nucleotidi e assumono una configurazio-
ne tridimensionale definita “a trifoglio”, in Figura 4.24: Struttura di un tRNA.
cui si verificano appaiamenti intramolecolari tra basi complementari (non è un doppio
filamento come il DNA).
Biologia

Le parti più importanti della molecola sono:

l’anticodone: una sequenza di 3 basi che riconosce in modo complementare il


codone dell’RNA messaggero;

l’estremità 3’ a cui si lega in modo covalente un aminoacido specifico per il codone


riconosciuto.

L’aminoacido viene legato al tRNA da un enzima detto aminoacil-tRNA sintetasi


di cui ne esistono 20 tipi, uno per ciascuno dei 20 aminoacidi.
1130 Riproduzione ed ereditarietà

4.6.10 Sintesi proteica

La sintesi proteica o traduzione è il processo mediante il quale l’informazione scritta


nel linguaggio degli acidi nucleici viene tradotta in quello delle proteine: in pratica
l’mRNA viene letto e interpretato e come risultato finale si ha la sintesi di una catena
polipeptidica.

Nel processo di sintesi proteica intervengono:

l’RNA messaggero;

i ribosomi;

gli RNA di trasferimento.

I ribosomi sono particelle di cui abbiamo par-


lato nel Capitolo 2 (§ 2.4.3). Le due subunità
si assemblano nel momento in cui deve ini-
ziare la sintesi proteica e il ribosoma risulta
costituito da alcuni siti importanti:

il sito A (sito dell’amminoacido): è


la zona del ribosoma dove l’antico-
done del tRNA riconosce il codone
dell’mRNA;

il sito P (sito del peptide): in que-


sto sito il tRNA “dona” il pro-
prio aminoacido alla catena peptidica
nascente;

il sito E (sito di uscita): è la zona in cui


il tRNA ormai scarico attende di essere
liberato dal ribosoma.

Possiamo schematizzare il processo di sintesi


proteica secondo tre fasi: inizio, allungamen- Figura 4.25: Le tre fasi della traduzione.
to, terminazione (Figura 4.25).
Fase di inizio
La sintesi inizia mediante formazione di un complesso di inizio costituito da un mRNA
legato alla subunità minore di un ribosoma. Il codone di inizio è sempre rappresentato
Genetica

dalla sequenza AUG. Nei procarioti il codone di inizio è preceduto (5-10 nucleotidi a
monte) da una sequenza detta sequenza di Shine-Dalgarno. Negli eucarioti la subunità
ribosomale minore riconosce il cappuccio dell’mRNA. Alla sequenza AUG corrisponde
un anticodone UAC presente in un tRNA di inizio che porta sempre l’aminoacido
metionina.

Tutte le sequenze peptidiche, negli eucarioti e nei procarioti, iniziano con l’aminoacido
metionina (nei procarioti è la formil-metionina), il quale può essere in seguito rimosso.
Biologia 1131

A questo punto, grazie anche all’azione di proteine dette fattori di inizio, la subunità
maggiore del ribosoma si associa al complesso di inizio e il tRNA legato alla metionina
si trova nel sito P del ribosoma, mentre il sito A si allinea con il secondo codone, pronto
per accogliere il secondo tRNA.
Allungamento
Il nuovo aminoacil-tRNA (associato ad un fattore di allungamento) entra nel sito A
e si lega al secondo codone dell’mRNA. A questo punto può avvenire la formazione
del legame peptidico tra l’ultimo aminoacido della catena peptidica legata al tRNA
presente nel sito P (all’inizio si tratta del solo aminoacido metionina) con l’aminoacido
portato dal tRNA nel sito A. La formazione del legame peptidico è catalizzata da un
ribozima (peptidiltransferasi) e la catena nascente si trasferisce sul tRNA del sito
A: il tRNA presente nel sito P ora è libero (Figura 4.26).

Figura 4.26: Rappresentazione schematica della fase di allungamento della sintesi proteica. Dopo l’ingresso
Biologia

del secondo tRNA avviene la formazione del legame peptidico, il tRNA che era legato alla metionina ora è
libero, la catena peptidica in formazione passa sul secondo tRNA il quale trasloca nel sito P. Il sito A ora
vuoto viene occupato dal terzo tRNA e il tRNA iniziale si trova ora nel sito E e viene rilasciato. Si veda
anche il link http://youtu.be/s6l3PUFmgxs.

Avviene ora la traslocazione: il ribosoma si sposta di un codone in direzione 5’-3’


sull’mRNA, il tRNA legato alla catena peptidica si sposta dal sito A al sito P e il
tRNA scarico passa nel sito E e viene rilasciato. Il sito A è nuovamente libero e può
accogliere il successivo aminoacil-tRNA e il processo si ripete.
1132 Riproduzione ed ereditarietà

La catena polipeptidica si allunga dall’estremo N-terminale all’estremo C-terminale.

Terminazione
Quando il ribosoma raggiunge
un particolare codone, noto co-
me codone di stop, nessun
tRNA è in grado di entrare nel
ribosoma per cui la traduzio-
ne termina. Grazie all’azione di
un fattore di rilascio la catena
peptidica viene rilasciata e il ri- Figura 4.27: Rappresentazione schematica di un polisoma.
bosoma si separa nelle sue due
subunità.
Un mRNA è associato contemporaneamente a più ribosomi formando un complesso
noto come polisoma o poliribosoma (Figura 4.27). In questo modo la velocità di
sintesi proteica aumenta notevolmente.
Modifiche post-traduzionali delle proteine
Non appena il polipeptide emerge dal ribosoma esso si organizza in una struttura tridi-
mensionale (folding ) dettata dal tipo di aminoacidi che ne costituiscono la sequenza (§
1.4.3). Al peptide può essere inoltre associata una sequenza segnale che indirizza la pro-
teina verso un compartimento cellulare, il reticolo endoplasmatico o un altro organulo.
Le proteine destinate alla secrezione, per esempio, sono generalmente sintetizzate da
ribosomi presenti sulle membrane del reticolo endoplasmatico, ma la loro sintesi inizia
su ribosomi liberi. Il peptide in formazione presenta una sequenza di riconoscimento
per un complesso ribonucleoproteico (proteina + RNA), detto SRP, che riconosce il
peptide nascente e dirige il ribosoma verso la membrana del reticolo endoplasmatico,
dove la proteina prosegue la propria sintesi all’interno del lume del reticolo.
Le modifiche appena viste sono di tipo cotraduzionale, avvengono cioè durante
la sintesi della proteina stessa.
Esistono poi delle modifiche post-traduzionali, che avvengono quando il peptide
è stato rilasciato dal ribosoma.
Le principali modifiche sono:
proteolisi : alcuni segmenti peptidici vengono rimossi, ad esempio la sequenza
segnale vista in precedenza per localizzare il peptide sul reticolo endoplasmatico;
glicosilazione: è l’aggiunta di residui glicidici alla proteina ed avviene tipicamente
nel lume del reticolo endoplasmatico e nell’apparato di Golgi;
fosforilazione: è l’aggiunta di gruppi fosfato ed è catalizzata da proteine dette
Genetica

chinasi (o kinasi).

4.6.11 Il codice genetico

Il codice genetico mette in relazione la sequenza di nucleotidi del DNA con la sequenza
di aminoacidi delle proteine
Biologia 1133

Tra i primi a presentare un modello di codice fu George Gamow, il quale suggerı̀ che
ogni amminoacido fosse codificato da una sequenza di tre nucleotidi. L’idea che sta alla
base della scelta del numero tre è molto semplice. L’alfabeto del DNA è a 4 lettere (le
4 basi), per cui con una lettera si possono scrivere 4 parole (41 ), con due lettere 16
parole (42 ) e con tre lettere 64 parole (43 ). Dal momento che gli aminoacidi sono 20
non bastano due lettere perciò i codoni devono essere costituiti da almeno tre lettere.
Utilizzando un codice a tri-
plette si possono specificare 64
aminoacidi ma in realtà quelli
utilizzati per la sintesi protei-
ca sono solo 20. In effetti 3 co-
doni non codificano per alcun
amminoacido e sono detti co-
doni di stop, gli altri 61 in-
vece codificano per un aminoa-
cido con la caratteristica che
alcuni aminoacidi sono codifi-
cati da più triplette. Questa
condizione di ridondanza è no-
ta come degenerazione del
codice genetico.
La prima decodifica del co-
dice avvenne ad opera di Mar-
shall Nirenberg e Heinrich Mat-
thaei, i quali sintetizzarono de-
gli mRNA artificiali. Il primo
ad essere utilizzato fu un mes- Figura 4.28: Il codice genetico. Il codone AUG codifica per l’a-
saggero costituito solo da uri- minoacido metionina ed è il codone di inizio della sintesi protei-
ca. Tre sono i codoni che non codificano un aminoacido e che
dina e fu chiamato poli(U). rappresentano dei codoni di stop: UAA, UAG, UGA.
Quando il poli(U) fu inserito al-
l’interno di una provetta contenente un estratto batterico, il risultato fu la produzione
di un polipeptide contenente un unico aminoacido, la fenilalanina. Questo permise di
associare alla tripletta UUU l’aminoacido corrispondente, fenilalanina. Analogamente
si procedette con altri messaggeri artificiali fino ad ottenere il codice genetico completo,
mostrato in Figura 4.28.
Oggi sappiamo che, a parte qualche eccezione, il codice genetico è universale,
praticamente identico in tutti gli organismi.
Biologia

Dal codice genetico risulta evidente che un cambiamento a livello della terza base del
codone spesso non comporta una variazione dell’aminoacido codificato. Ad esempio,
scambiando in terza posizione U con C o A con G, si ottiene sempre lo stesso aminoaci-
do. Questo aspetto ha portato all’ipotesi che uno stesso tRNA potesse essere in grado
di riconoscere più di un codone: questa è definita “ipotesi del vacillamento” o wobble.
Tale ipotesi, poi confermata, fu avanzata da Francis Crick.
Ad esempio, i codoni 5’-UUU-3’ e 5’-UUC-3’, che codificano entrambi per la fe-
nilalanina, sono entrambi riconosciuti da un tRNA che possiede come anticodone la
sequenza 5’-GAA-3’.
1134 Riproduzione ed ereditarietà

Inoltre alcuni tRNA possiedono nell’anticodone una base diversa dalle solite 4, si tratta
dell’inosina (I): essa può interagire con U, C e A.
Ricapitolando, possiamo elencare le caratteristiche del codice genetico:
ad ogni codone codificante (ad eccezione dei codoni di stop) corrisponde un solo
aminoacido;
il codice è degenerato o ridondante;
il codice è pressoché universale;
è costituito da codoni a triplette.

4.6.12 Regolazione dell’espressione genica

Con il termine espressione genica si intende il processo attraverso cui un’informazione


contenuta in un gene porta alla sintesi di una proteina o di un RNA.

Nei procarioti la regolazione ha soprattutto la funzione di risparmio energetico, mentre


negli eucarioti pluricellulari serve per differenziare le funzioni dei diversi tipi cellulari.
Regolazione nei procarioti
I procarioti possono regolare la trascrizione rapidamente in risposta a cambiamenti
ambientali. Un tipico esempio di regolazione a livello trascrizionale è rappresentato
dagli operoni, che sono unità trascrizionali contenenti un certo numero di geni che
vengono trascritti (e tradotti) in sequenza. Ogni operone contiene un singolo promotore
che regola la trascrizione dell’intera batteria di geni.

Ricordiamo che nei procarioti la trascrizione e la traduzione avvengono quasi simultaneamente,


in quanto avvengono entrambe nel citoplasma.

Un operone è, in generale, costituito da un promotore, un’altra sequenza di regola-


zione detta operatore e da 2 o pochi di più geni.
I tipi di operone sono:
operoni inducibili, come l’operone lattosio (operone lac), regolati da una proteina
repressore;
operoni reprimibili, come l’operone triptofano (operone trp) regolati da una pro-
teina repressore;
operoni regolati da una proteina attivatore.
Genetica

L’operone lattosio (o operone lac) di E.coli è un operatore inducibile, normal-


mente inattivo (spento). Esso contiene i geni per la sintesi di tre enzimi necessari per
metabolizzare il disaccaride lattosio (Figura 4.29). Questi enzimi sono:
una permeasi, codificata dal gene lacY,
una β-galattosidasi, codificata dal gene lacZ,
una transacetilasi, codificata dal gene lacA.
Biologia 1135

In condizioni normali i batteri


ricavano energia dal metaboli-
smo del glucosio per cui sareb-
be un inutile spreco di risorse ed
energia sintetizzare gli enzimi
necessari a metabolizzare una
molecola non presente. L’ope-
ratore dell’operone si trova le-
gato ad una proteina represso-
re che impedisce alla RNA po-
limerasi di effettuare la trascri-
zione. Quando il lattosio diven-
ta disponibile una parte di es-
so viene trasformata in allolat-
tosio che è in grado di lega-
re il repressore lac il quale si
stacca dall’operatore e la RNA
polimerasi inizia a trascrivere
i tre geni strutturali dell’ope-
rone. I tre enzimi entrano cosı̀
in gioco e il lattosio può essere
metabolizzato. È presente an-
che un’altra regolazione: se il Figura 4.29: L’operone lac. In assenza di lattosio (a) non si ha
trascrizione dell’operone (il repressore è legato sul sito operatore).
glucosio è presente contempo- In presenza di lattosio ma con buoni livelli di glucosio si stacca il
raneamente al lattosio, la cel- repressore ma l’AMP ciclico è a bassi livelli per cui la trascrizione
lula continuerà a metabolizzare procede lentamente (b). In assenza di glucosio i livelli di AMP
ciclico sono alti (c) e la proteina CAP induce un aumento della
il glucosio e l’operone lac verrà trascrizione.
trascritto ma a bassa efficienza.
Questo perché la presenza di glucosio è direttamente correlata alla presenza di una
molecola di segnalazione intracellulare, l’AMP ciclico (o cAMP). Quando il glucosio è
carente vi sono alti livelli di cAMP il quale fa sı̀ che la proteina CAP si leghi all’ope-
rone in una regione vicina al promotore aumentando l’efficienza di trascrizione (Figura
4.29). Si veda il link http://youtu.be/T9Wszg7FhxE.

Per i loro studi sull’operone lattosio Jacques Monod e François Jacob ricevettero il premio
Nobel per la medicina nel 1965.

L’operone triptofano (o operone trp) di E.coli è normalmente attivo (acceso) e


il batterio sintetizza l’aminoacido. Quando il triptofano è presente in elevata quantità
Biologia

non è più necessario sintetizzarlo perciò l’operone viene spento. Il repressore trp nor-
malmente non è in grado di legare la sequenza operatore, ma quando interagisce con
il triptofano, che funge da co-repressore, allora il complesso repressore-triptofano può
posizionarsi sull’operatore impedendo la sintesi da parte della RNA polimerasi.
Regolazione negli eucarioti
Negli eucarioti la regolazione della trascrizione è molto più complessa. Tutte le cellule
di un organismo possiedono lo stesso patrimonio genetico ma è evidente che una cellula
nervosa e un linfocita esprimano proteine diverse. Questa diversa espressione dipende
1136 Riproduzione ed ereditarietà

da una serie di meccanismi regolativi che intervengono non solo in modo diverso in
cellule diverse, ma anche in momenti diversi della vita di una stessa cellula.
La regolazione può avvenire a diversi livelli: prima della trascrizione, a livello di
trascrizione, dopo la trascrizione (controllo della maturazione dell’mRNA, del suo
trasporto e della sua degradazione), a livello di traduzione o dopo la traduzione.
Analizziamo ora alcuni esempi di meccanismi di regolazione genica.
Amplificazione selettiva del DNA
Alcune regioni del DNA possono essere duplicate più volte, amplificando cosı̀ se-
lettivamente alcuni gruppi di geni. Questo meccanismo si è osservato nel corso dello
sviluppo di alcuni anfibi ed insetti. Tipici esempi riguardano l’amplificazione del gene
che codifica per l’RNA ribosomale nell’anfibio Xenopus laevis durante lo sviluppo del-
l’uovo e l’amplificazione dei geni che codificano per le proteine del guscio dell’uovo di
Drosophila melanogaster.
Riarrangiamento di sequenze di DNA
Il riarrangiamento è un meccanismo ben conosciuto per quanto riguarda la formazione
dei geni per gli anticorpi. Non entriamo nel dettaglio di tale argomento in quanto molto
vasto e non richiesto per la preparazione al test di ammissione.
Modifiche della cromatina
Uno dei meccanismi di regolazione dell’espressione genica coinvolge la struttura della
cromatina. Abbiamo già visto che essa può essere distinta in eterocromatina (una
forma condensata) ed eucromatina (una forma più dispersa) (§ 2.4.2). Un modo per
reprimere l’espressione di un gene o un gruppo di geni è quello di trasformare l’eu-
cromatina in eterocromatina: in questo modo la regione del DNA interessata a questa
modifica non potrà essere trascritta. Eseguendo l’operazione opposta si può invece in-
durre l’attivazione di una porzione di DNA. Abbiamo già visto come nelle femmine
dei Mammiferi uno dei due cromosomi X venga inattivato condensandolo in forma di
eterocromatina (§ 4.6.4). Un modo per regolare il rimodellamento della cromatina è
la acetilazione e la deacetilazione degli istoni. L’acetilazione riduce l’interazione tra
istoni e DNA favorendo la liberazione del DNA dal nucleosoma, facilitando quindi la
sua trascrizione (si veda il filmato al link http://youtu.be/eYrQ0EhVCYA).
Un altro modo per reprimere l’espressione genica è la metilazione del DNA. In
alcuni tipi di cancro la demetilazione del promotore di un oncogene (un gene che fa-
vorisce la trasformazione in cellula tumorale) ne provoca l’attivazione con conseguente
cascata di eventi che porta alla formazione del tumore. Il cromosoma X inattivato di
cui abbiamo parlato in precedenza presenta una forte metilazione a livello del DNA.
Controllo a livello trascrizionale
Abbiamo già parlato in precedenza del ruolo del promotore e della sequenza TATA
Genetica

box nella trascrizione (§ 4.6.7). Esistono altre sequenze, a livello del promotore, che
sono importanti per il riconoscimento del complesso trascrizionale: la CAAT box
e la GC box. Queste sequenze, legando specifici fattori di trascrizione, regolano la
frequenza con cui un gene deve essere trascritto. Possiamo quindi affermare che i fattori
di trascrizione associati alle RNA polimerasi sono a tutti gli effetti dei regolatori della
trascrizione, e quindi dell’espressione genica.
Oltre a questi elementi di DNA posizionati in modo relativamente vicino al punto
di inizio della trascrizione, possono essere presenti sequenze, distanti anche migliaia di
basi dal punto di inizio, che possono legare proteine di regolazione. Tali sequenze sono
Biologia 1137

dette enhancer o silencer, a seconda della loro attività di amplificazione (nel primo
caso) o di inibizione (nel secondo caso) della trascrizione.
I fattori che regolano la trascrizione presentano dei tipici domini strutturali (strut-
tura supersecondaria della proteina) che permettono loro di interagire con il DNA.
Questi motivi strutturali appartengono a quattro categorie:
helix-turn-helix (elica-giro-elica);
leucine zipper (cerniere di leucine);
zinc finger (dita di zinco);
helix-loop-helix (elica-ansa-elica).
Alcuni geni sono controllati mediante pausa della trascrizione: la RNA polimerasi ini-
zia a trascrivere ma si blocca dopo un certo numero di nucleotidi. Solo in presenza
di determinate condizioni, e quindi di determinati fattori di attivazione, la trascrizione
prosegue. Questo meccanismo è utile per quei geni di cui è necessario eseguire la trascri-
zione e la traduzione in tempi molto rapidi, come i geni di risposta allo stress. In questo
caso, avere un RNA messaggero già parzialmente trascritto velocizza l’ottenimento della
proteina necessaria.
Controllo della maturazione dell’RNA
Un singolo gene può codificare per più proteine e questo evento di regolazione di espres-
sione genica è noto con il nome di splicing alternativo. Abbiamo già discusso dello
splicing nel paragrafo relativo alla maturazione dell’RNA messaggero (§ 4.6.8) e ab-
biamo descritto il fenomeno come la rimozione delle sequenze non codificanti (introni)
da un mRNA. In alcuni casi è possibile che una sequenza intronica possa, in una fase
diversa dello sviluppo o in un tipo cellulare diverso, essere considerata come un eso-
ne e viceversa (Figura 4.30). Un esempio è rappresentato dalla fibronectina, che può
trovarsi in due forme, una nel plasma e una nella matrice extracellulare. Due porzioni
del trascritto primario vengono rimosse nelle cellule del fegato (che producono la pro-
teina plasmatica) e vengono mantenute nei fibroblasti (che producono la proteina di
matrice), dando cosı̀ origine a due proteine leggermente diverse.
Un altro meccanismo di controllo post-trascrizionale è noto come editing dell’RNA,
il quale comporta la conversione di un nucleotide in un altro oppure la delezione o
l’inserzione di basi. Un esempio di proteina prodotta per editing dell’RNA è il recettore
del glutammato presente nel sistema nervoso.
Controllo della localizzazione dell’RNA messaggero
La localizzazione degli mRNA all’interno della cellula è un fenomeno molto importante
nella regolazione dello sviluppo dell’embrione. Gli esperimenti condotti sul moscerino
Biologia

Drosophila hanno dimostrato come alcuni mRNA trascritti durante l’ovogenesi da geni
diversi si localizzano in zone diverse della cellula. L’informazione necessaria per dirigere
questa localizzazione si trova nella regione 3’ UTR dell’mRNA.
Regolazione dell’espressione genica durante lo sviluppo embrionale
La regolazione genica che porta uno zigote a diventare un organismo pluricellulare è
molto complessa. Geni diversi sono espressi in momenti diversi del ciclo vitale dell’or-
ganismo. Un modello molto utilizzato per gli studi sullo sviluppo embrionale è rappre-
sentato dal moscerino della frutta Drosophila, a cui abbiamo già accennato. In questo
1138 Riproduzione ed ereditarietà

Figura 4.30: Splicing alternativo del gene della calcitonina di ratto. Nel cervello l’esone 4 viene eliminato
mentre è presente l’esone 6; nella tiroide l’esone 4 viene mantenuto e ciò che sta a valle è invece eliminato.
Lo splicing alternativo produce due diverse proteine, la calcitonina nella tiroide e il CGRP nel cervello.

animale è stato individuato uno schema di espressione genica che porta, in poche ore
dopo la fecondazione, alla determinazione di ogni segmento di cui è composta la larva
di questo insetto. Diversi geni sono coinvolti in questo processo:
geni materni : sono geni trascritti nell’ovario che passano nell’uovo dove vengono
tradotti. Ad esempio i geni bicoid e nanos servono per determinare l’asse antero-
posteriore dell’embrione agendo come attivatori o inibitori della trascrizione di
altri geni;
geni di segmentazione: sono geni coinvolti nell’organizzazione dell’embrione in
segmenti;
geni omeotici (geni Hox ): determinano il destino delle cellule di ogni segmento,
definendo quali organi si svilupperanno in una definita parte del corpo. Questi
geni presentano tutti una regione del DNA chiamata omeobox, che codifica per
una sequenza peptidica nota come omeodominio in grado di riconoscere la regione
promotore di un gene. I geni Hox codificano per dei fattori di trascrizione e sono
presenti in tutti gli animali.
Controllo della stabilità dell’RNA messaggero
Un mRNA, una volta trascritto, può essere tradotto una volta ed essere rapidamente
Genetica

degradato (RNA a vita breve) oppure essere tradotto più volte (RNA a vita lunga).
Regolando la velocità di degradazione di un mRNA è possibile regolare l’espressione
genica. Un esempio è rappresentato dai geni che codificano per gli istoni. Durante la
duplicazione del DNA la sintesi di istoni deve aumentare notevolmente e ciò è garantito
dall’aumento della vita media degli mRNA codificanti per queste proteine.
Controllo a livello della traduzione
Tale controllo si esplica, ad esempio, mediante modifica dei fattori di inizio della
traduzione, che portano al blocco della sintesi proteica.
Biologia 1139

Un altro esempio è rappresentato dalla inibizione della traduzione degli mRNA che
codificano per la ferritina, una proteina che è in grado di sequestrare il ferro. In assenza
di ferro un repressore si lega alla regione 5’ UTR dell’mRNA per la ferritina inibendone
la traduzione. In presenza di ferro questo si lega al repressore e l’mRNA può cosı̀ essere
tradotto.
Esiste una classe di RNA non codificanti che sono in grado di regolare l’espressione
genica. Tali piccoli RNA sono definiti microRNA o miRNA e sono in grado di
riconoscere un mRNA e, legandosi ad esso, impedirne la traduzione.
Controllo post-traduzionale
Le cellule sono in grado di regolare la durata della vita di una proteina. Le proteine
vengono degradate da un complesso multiproteico di forma cilindrica detto proteaso-
ma. Le proteine destinate alla degradazione vengono marcate con una piccola proteina
chiamata ubiquitina la quale funge da segnalazione per il proteasoma.
Un riassunto sulla regolazione dell’espressione genica negli eucarioti è visibile al link
http://youtu.be/jrKZCh6BXIQ.

4.7 Mutazioni

Si definisce mutazione genetica una modifica casuale, stabile ed ereditabile del


materiale genetico.

Possiamo distinguere tre tipologie di mutazioni:


mutazioni geniche;
mutazioni cromosomiche o aberrazioni cromosomiche;
mutazioni genomiche o anomalie genomiche.
Le mutazioni, negli organismi pluricellulari, possono essere di due tipi:
mutazioni somatiche: avvengono nelle cellule somatiche e non vengono tra-
smesse alla progenie ottenuta mediante riproduzione sessuale;
mutazioni germinali: avvengono nelle cellule che daranno origine ai gameti per
cui saranno trasmesse alla prole.
Le mutazioni possono avvenire spontaneamente (mutazioni spontanee), ad esempio
in seguito ad un errore durante la duplicazione del DNA, o essere indotte da sostanze
mutagene (mutazioni indotte).
Biologia

Gli agenti che possono produrre mutazioni possono essere classificati come:
fattori esogeni (cioè composti che agiscono dall’esterno dell’organismo);
fattori endogeni (cioè composti che agiscono dall’interno dell’organismo).

Tra i fattori esogeni possiamo ricordare gli agenti mutageni fisici quali le radiazioni ionizzanti
e ultraviolette. Questi agenti fisici portano alla degradazione del DNA attraverso la rottura
dei legami chimici tra le basi o anche la rottura dei cromosomi.
1140 Riproduzione ed ereditarietà

Tra i fattori esogeni ricordiamo anche alcuni agenti chimici, come gli analoghi delle basi, i
modificatori di basi e gli agenti intercalanti. Questi agenti si sostituiscono, modificano o si
intercalano tra i nucleotidi portando a vari tipi di mutazioni nel DNA.
Tra i fattori endogeni possiamo ricordare: le specie reattive dell’ossigeno e dell’azoto ed
errori nel processo di replicazione del DNA. Le specie reattive di ossigeno ed azoto sono compo-
sti chimici radicalici, molto reattivi, che vengono generati dai normali processi metabolici delle
cellule. Questi radicali intervengono soprattutto in caso di infezioni, come ad esempio nelle
mucose intestinali e polmonari, dove vengono prodotti dai granulociti neutrofili per coadiuvare
l’eliminazione degli agenti patogeni e delle cellule infettate.

4.7.1 Mutazioni geniche

Le mutazioni geniche consistono in una sostituzione, delezione o inserzione di basi in


una sequenza genica

Nel caso di sostituzione di una base con un’altra ricordiamo i seguenti casi (Figura
4.31):
mutazioni silenti o sinonime: la sostituzione trasforma un codone in un altro
che però codifica per lo stesso aminoacido (il codice genetico è degenerato e ciò
fa sı̀ che il risultato della mutazione sia fenotipicamente nullo);
mutazioni missense o a senso errato: il codone viene sostituito da un altro
che codifica per un aminoacido diverso. Un esempio è rappresentato dall’anemia
falciforme, in cui il codone GAG viene trasformato in GUG con sostituzione
conseguente dell’aminoacido acido glutammico con la valina;
mutazioni non senso: la sostituzione trasforma un codone codificante un ami-
noacido in un codone di stop con formazione di un prodotto troncato.

Se una purina viene sostituita con un’altra purina si parla di mutazione per transizione; se,
invece, una purina viene sostituita con una pirimidina, o viceversa, si parla di mutazioni per
transversione.
Se la mutazione porta alla sostituzione di un aminoacido con un altro dalle proprietà
chimiche simili (ad esempio la sostituzione di una lisina con un’arginina, entrambi aminoacidi
basici) si parla di mutazione neutra.

Nel caso in cui si verifichi l’inserimento o la delezione di una base, la cornice di lettura
delle triplette dell’mRNA cambia (mutazione frameshift) a partire dal punto in cui
si verifica la mutazione e il risultato è un prodotto che è totalmente diverso da quello
originale (Figura 4.31).
Genetica

Il tasso di mutazione è il numero di mutazioni che avvengono in un dato tempo (di


solito una generazione cellulare), oppure il numero di mutazioni per gene per genera-
zione cellulare. La frequenza di mutazione è il numero di eventi di una particolare
mutazione su un dato numero di cellule o individui. Tutte le mutazioni puntiformi av-
vengono spontaneamente con un tasso ed una frequenza che variano a seconda della
specie considerata: nell’uomo è di circa 10−4 -10−6 per gene per generazione, mentre
per i batteri è 10−5 -10−7 per gene per generazione. I tassi di mutazione di alcuni geni
particolari aumentano sensibilmente in risposta a stimoli ambientali.
Biologia 1141

Figura 4.31: Mutazioni geniche. Per la spiegazione si veda il testo.

Nel 1991 fu evidenziato un tipo di mutazione (una mutazione dinamica) in cui la


sequenza di alcuni geni cambiava notevolmente da una generazione alla successiva.
Queste mutazioni erano a carico di geni che contenevano sequenze di tre nucleotidi
ripetute (CCG o CAG). Gli alleli contenenti questa espansione di triplette risultano
instabili e quando il numero di ripetizioni supera un certo valore l’individuo sviluppa
una patologia.
Attualmente sono note più di una decina di malattie correlate alla espansione di
triplette, tra le quali ricordiamo la corea di Huntington, la sindrome dell’X fragile, la
distrofia miotonica e la atassia spinocerebellare.
La corea di Huntington (o HD, da Huntington disease) è dovuta all’espansione della
tripletta CAG. La copia normale del gene contiene da 6 a 35 ripetizioni della sequenza
CAG; quanto il numero di ripetizioni supera 35, la proteina codificata va incontro a
modifiche che provocano la malattia.
Nella sindrome dell’X fragile l’espansione riguarda una tripletta, CGG, presente nel
promotore del gene FMR1. Il gene normale ha un numero di ripetizioni compreso tra
6 e 54, mentre la condizione patologica prevede un numero di triplette tra 200 e 2000.

4.7.2 Mutazioni cromosomiche


Biologia

Le mutazioni cromosomiche (Figura 4.32) sono anomalie di struttura dei cromoso-


mi che possono riguardare un solo cromosoma (riarrangiamento intracromosomico)
oppure cromosomi diversi (riarrangiamento intercromosomico). Tra le prime vi so-
no le delezioni, le duplicazioni e le inversioni; tra i riarrangiamenti intercromosomici
ricordiamo le traslocazioni
1142 Riproduzione ed ereditarietà

Queste mutazioni possono essere rilevate attraverso un esame genetico, che mette in luce
l’ordine relativo dei locus genici sul cromosoma, oppure attraverso un esame al microscopio
ottico del cromosoma stesso per verificarne le corrette morfologia e dimensioni. È da ricordare
che, nella specie umana, questo tipo di mutazioni porta ad un aborto ogni sette fecondazioni.

Le delezioni consistono nella perdita di un


tratto di cromosoma. Alcune sindromi do-
vute a delezioni sono la sindrome di Wolf-
Hirschhorn o delezione 4p, che consiste in
una delezione nel braccio corto del cromoso-
ma 4, e la sindrome del cri-du-chat, causata
da una delezione del cromosoma 5. Quest’ul-
tima è identificabile per il pianto del neonato
simile al lamento di un gatto.
Una duplicazione si verifica quando una
parte di un cromosoma viene replicata.
Nelle inversioni avviene una doppia rot-
tura sul cromosoma, rotazione di 180˚ del
segmento presente tra le rotture e suo rein-
serimento nel cromosoma. Se l’inversione ri-
guarda la regione del centromero si par-
la di inversioni pericentriche, altrimenti di
inversioni paracentriche.
Le traslocazioni sono scambi di fram-
menti tra due cromosomi e comprendono le
traslocazioni reciproche, le traslocazioni non Figura 4.32: Rappresentazione delle principali
reciproche (o inserzioni) e le traslocazioni aberrazioni cromosomiche.
robertsoniane.
Le traslocazioni reciproche consistono nello scambio di frammenti di cromosoma
tra diversi cromosomi. Una ben nota traslocazione reciproca è quella tra i cromosomi
9 e 22. Tale traslocazione genera un cromosoma 22 più corto, definito “cromosoma
Philadelphia”. Il gene bcr del cromosoma 22 viene a fondersi con il gene abl del cro-
mosoma 9: la proteina di fusione risultante è in grado di stimolare in modo anomalo la
proliferazione di cellule staminali mieloidi. Il risultato è l’insorgenza di una patologia
oncologica, la leucemia mieloide cronica (CML o LMC). Il cromosoma Philadelphia
viene osservato nel 90% dei pazienti affetti da CML.
Nelle traslocazioni non reciproche un frammento di cromosoma viene deleto da un
cromosoma e inserito in un altro cromosoma.
Le traslocazioni robertsoniane riguardano i cromosomi acrocentrici: un braccio lungo
Genetica

di un cromosoma si fonde col braccio lungo di un altro per cui si forma un grande
cromosoma metacentrico ed un frammento che viene perso.

Gli studi effettuati sui cromosomi politenici del moscerino della frutta, Drosophila mela-
nogaster, hanno contribuito alla ricerca su questo tipo di mutazioni cromosomiche. Questi
cromosomi enormi, contenuti nelle ghiandole salivari del moscerino, derivano da migliaia di
cicli di replicazione senza che la cellula si divida, quindi è facile osservare al microscopio ottico,
dopo opportuna colorazione, gli eventuali riarrangiamenti cromosomici intercorsi.
Biologia 1143

Effetto di posizione. Nel caso delle inversioni o delle traslocazioni, quando un tratto
di cromosoma viene a trovarsi in una posizione diversa del genoma può avvenire che
l’espressione di uno o più geni non interessati dalla rottura ma compresi nel tratto stesso
venga alterata. Questo effetto di posizione dipende dal fatto che un gene posizionato
nell’eucromatina possa venire a trovarsi nell’eterocromatina o vicino ad essa, risultando
cosı̀ inattivato (cioè non trascrivibile). Naturalmente può anche avvenire il contrario.

4.7.3 Mutazioni genomiche


Le mutazioni genomiche sono anomalie del numero di cromosomi di un genoma. Si
possono distinguere due tipi di anomalie genomiche: l’euploidia e l’aneuploidia.

Nell’aneuploidia uno o più cromosomi sono presenti in difetto o in eccesso.

Una delle cause di aneuploidia è la non disgiunzione dei cromosomi omologhi in meiosi
I o dei cromatidi in meiosi II.
La perdita di un cromosoma porta ad una monosomia per quel cromosoma mentre
la presenza di un cromosoma soprannumerario determina la trisomia per quel cromo-
soma. Nell’uomo l’aneuploidia determina anomalie dello sviluppo e in casi più gravi può
portare ad aborto spontaneo nelle prime settimane di gestazione. Le trisomie autoso-
miche compatibili con la nascita sono le trisomie dei cromosomi 13, 18, 21 chiamate,
rispettivamente, sindrome di Patau, sindrome di Edwards e sindrome di Down.
La sindrome di Patau può derivare da una non disgiunzione o da una traslocazione
robertsoniana. Gli individui affetti in genere muoiono entro il terzo mese di vita.
La sindrome di Edwards è solitamente dovuta a non disgiunzione meiotica materna
e la quasi totalità dei bambini nati con questa trisomia non sopravvive oltre il sesto
mese dalla nascita.
La sindrome di Down è la più nota trisomia anche perché è l’unica trisomia autoso-
mica che, seppure causando danni importanti agli individui affetti, è compatibile con
la sopravvivenza. Le persone affette da trisomia 21 sono colpite da ritardo mentale e
possono poi presentare diversi sintomi che variano da caso a caso.
L’età della madre è un importante fattore di rischio nell’insorgenza delle aneuploi-
die in quanto una gravidanza in età avanzata, generalmente oltre i 35 anni, aumenta
notevolmente il rischio di generare un embrione con anomalia genomica.
La disomia uniparentale si verifica quando entrambi i cromosomi di una coppia sono
ereditati da un solo genitore. Questo è un evento molto raro e si pensa che rappresenti
il salvataggio dalla trisomia: lo zigote parte con una trisomia ma uno dei tre cromosomi
Biologia

viene perduto portando alla disomia uniparentale.


Le aneuploidie che riguardano i cromosomi sessuali sono in genere meno gravi. Tra
queste ricordiamo: la sindrome di Turner (X0), la sindrome di Klinefelter (XXY) e la
sindrome del triplo X (XXX) (§ 4.4.3).

L’euploidia è un’anomalia numerica di tutto il corredo cromosomico.


1144 Riproduzione ed ereditarietà

Si distinguono la monoploidia e le poliploidie. La monoploidia è caratterizzata dalla


presenza di un solo cromosoma per tipo: si tratta di un’anomalia se avviene in una
cellula che dovrebbe essere diploide, mentre nelle cellule che normalmente presentano
una sola copia di ciascun cromosoma (ad esempio i gameti) si parla di aploidia e non
è un’anomalia.
Le poliploidie consistono nella moltiplicazione dell’intero genoma: per esempio un
corredo triploide è 3n, uno tetraploide è 4n. Le poliploidie sono abbastanza comuni nelle
piante mentre negli animali sono rare, anche se per alcuni tipi cellulari (per esempio i
megacariociti) la condizione poliploide è fisiologica.
Sia la monoploidia che la poliploidia possono derivare da eventi multipli di non-
disgiunzione durante la meiosi I, la meiosi II, o la mitosi.

4.7.4 Meccanismi di riparo del DNA


Il DNA è una molecola molto sensibile ai danni ambientali: sostanze chimiche e radia-
zioni ionizzanti possono causare mutazioni con conseguenze molto gravi. Una lesione
frequente causata dalle radiazioni ultraviolette è la formazione di dimeri di pirimidina
(soprattutto timina): due basi adiacenti reagiscono in modo covalente formando un
dimero.
Le cellule hanno sviluppato dei meccanismi di riparazione del danno che sono
specifici per il tipo di problema incontrato.
I principali meccanismi di riparazione sono: correzione delle bozze (o proofreading),
riparazione per escissione di nucleotide, riparazione per escissione di base e correzione
degli appaiamenti scorretti (mismatch repair ).
La correzione di bozze avviene durante la duplicazione del DNA, come già visto in
precedenza (§ 4.6.3). È la DNA polimerasi stessa che, nel caso aggiunga un nucleotide
sbagliato, è in grado di riparare l’errore utilizzando la propria attività nucleasica e
rimuovendo il nucleotide errato.
La riparazione per escissione nucleotidica (NER, nucleotide excision repair )
prevede la rimozione di un piccolo segmento di DNA contenente una lesione, come un
dimero di pirimidina o nucleotidi modificati in modo covalente. La riparazione inizia
con l’azione di una nucleasi e una elicasi che svolgono la doppia elica e allontanano il
frammento danneggiato, dopodiché la DNA polimerasi sintetizza il filamento corretto;
infine la ligasi unisce il filamento neosintetizzato al resto del DNA. Un’alterazione a
carico di uno dei geni del sistema NER può portare alla malattia genetica nota come
Xeroderma pigmentoso: una patologia ereditaria autosomica recessiva che può portare
a tumori della pelle per eccessiva sensibilità alla luce solare.
Nella riparazione per escissione di base (BER, base excision repair ) viene
rimossa una singola base. In questo caso entra in gioco un enzima che riconosce la
Genetica

base errata e rompe il legame glucosidico che la tiene unita allo zucchero. La molecola
restante (zucchero + fosfato) viene rimossa da una nucleasi dopodiché una polimerasi
riempie lo spazio e la ligasi ricuce i filamenti tra loro.
Il meccanismo di correzione degli appaiamenti scorretti (MMR, mismatch
repair ) entra in gioco alla fine della duplicazione del DNA ed esegue una scansione alla
ricerca di basi appaiate in modo scorretto. Il processo di riparazione è simile a quello
visto per il meccanismo NER, anche se gli enzimi coinvolti sono diversi. Una mutazione
che colpisca uno dei geni coinvolti in questo sistema di riparo può portare all’insorgenza
di una forma di tumore del colon-retto.
Biologia 1145

4.8 Genetica umana


La genetica umana studia la trasmissione dei caratteri ereditari nell’uomo. Lo studio
risulta più difficile rispetto alla classica genetica mendeliana in quanto nella specie
umana non è possibile effettuare incroci controllati, inoltre il tempo intercorrente tra
una generazione e una successiva è di decenni e la prole, in genere, è costituita da
un numero limitato di figli. Un approccio largamente utilizzato per lo studio della
ereditarietà nell’uomo è l’analisi degli alberi genealogici o pedigree mediante le leggi di
Mendel e la teoria cromosomica dell’ereditarietà.

4.8.1 Trasmissione dei caratteri monofattoriali

Si definisce carattere una caratteristica di un organismo che possa essere rilevata con
un qualunque mezzo di indagine. I caratteri monofattoriali o mendeliani sono quelli
determinati dall’azione di un singolo gene.

I geni che determinano questi caratteri possono trovarsi sui cromosomi sessuali o sugli
autosomi: la trasmissione di tali caratteri segue le leggi di Mendel (§ 4.3) ed il carattere
di interesse può essere dominante o recessivo.

4.8.2 Alberi genealogici


Per studiare la trasmissione
dei caratteri si utilizza uno
strumento grafico definito
albero genealogico o pe-
digree. Si utilizza una con-
venzione simbolica indicata
nella Figura 4.33.

Caratteri autosomici do-


minanti
Una trasmissione di tipo
autosomico dominante ha
le seguenti caratteristiche
Figura 4.33: Simboli utilizzati negli alberi genealogici.
(vedi anche Figura 4.34):

il carattere si presenta in tutte le generazioni;

un individuo affetto ha solitamente un genitore affetto;


Biologia

un genitore affetto, che per caratteri rari o relativamente rari solitamente è


eterozigote, trasmette il carattere al 50% dei figli;

sono colpiti entrambi i sessi;

gli individui non affetti non trasmettono il carattere.


1146 Riproduzione ed ereditarietà

Esempi di caratteri autosomici dominanti nel-


l’uomo sono i capelli ricci, il nanismo acon-
droplasico, la brachidattilia, la polidattilia, la
malattia di Huntington, l’osteogenesi imperfetta,
l’ipercolesterolemia familiare.
Figura 4.34: Pedigree di un carattere
Caratteri autosomici recessivi autosomico dominante. Il carattere è pre-
Una trasmissione di tipo autosomico recessivo sente in tutte le generazioni e ogni in-
ha le seguenti caratteristiche (Figura 4.35): dividuo affetto ha un genitore affetto.
Entrambi i sessi sono colpiti.
generalmente il carattere non si manifesta in
tutte le generazioni;
un individuo affetto ha solitamente genitori
sani ed è omozigote;
i genitori degli individui affetti sono eterozigo-
ti e possono trasmettere il carattere alterato
con una probabilità del 25%; Figura 4.35: Pedigree di un caratte-
re autosomico recessivo. Ogni individuo
possono essere colpiti entrambi i sessi. affetto ha genitori sani.
Esempi di caratteri autosomici recessivi nell’uomo sono l’albinismo, l’anemia falciforme,
la talassemia, la fibrosi cistica, la fenilchetonuria.
Eredità dominante legata al cromosoma X
La trasmissione X-linked dominante ha le
seguenti caratteristiche (Figura 4.36):
maschi e femmine sono affetti con uguale
frequenza;
il carattere non viene trasmesso da un padre
affetto ad un figlio;
Figura 4.36: Pedigree di un carattere
i maschi affetti trasmettono la malattia a dominante legato al cromosoma X. Si
tutte le figlie; nota come i maschi affetti trasmettano
la malattia a tutte le figlie.
i figli di una donna affetta hanno il 50%
di probabilità di essere affetti, indipendente-
mente dal sesso.
Eredità recessiva legata al cromosoma X
La trasmissione X-linked recessiva ha le seguenti
caratteristiche (Figura 4.37):
Genetica

sono affetti soprattutto i maschi;


i genitori sono solitamente sani e le femmine
eterozigoti sono portatrici;
Figura 4.37: Pedigree di un carattere
il carattere non viene trasmesso da un pa- recessivo legato al cromosoma X. So-
no presenti due individui affetti, entram-
dre affetto ad un figlio ma da un maschio bi maschi, le femmine sono portatrici
ai suoi nipoti maschi attraverso una figlia (eterozigoti): i maschi affetti ricevono
(trasmissione diaginica); il cromosoma X difettoso dalla madre
portatrice.
Biologia 1147

i figli maschi di una madre affetta manifestano il carattere;

una madre portatrice ha il 50% di probabilità di trasmettere il carattere ai figli


maschi.

Esempi di caratteri recessivi legati all’X nell’uomo sono il daltonismo, l’emofilia, la


distrofia di Duchenne. La Tabella 4.4 elenca alcune malattie ereditarie.
Eredità legata al cromosoma Y
I caratteri presenti sul cromosoma Y possono essere trasmessi esclusivamente dai padri
ai figli (trasmissione oloandrica). Non si conoscono casi di malattie legate al cromoso-
ma Y.

4.8.3 Irregolarità nella trasmissione dei caratteri mendeliani


I caratteri mendeliani presentano, a volte, una trasmissione che discosta dalle leggi
teoriche dell’ereditarietà.
Può capitare che uno stesso genotipo dia origine a fenotipi diversi, caso che si osser-
va più frequentemente negli individui eterozigoti. Questo tipo di fenomeno è definito
espressività variabile. L’espressività indica il grado di espressione del gene e dipende
da diversi fattori, sia ambientali sia genetici (come l’età e il sesso). Un tipico esempio è
il diminuire dell’età di insorgenza di una malattia da una generazione all’altra: si parla
di “anticipazione”. Un esempio è la corea di Huntington in cui l’aumento del numero
di ripetizioni della tripletta (§ 4.7.1) porta all’insorgenza più precoce della malattia.
Un caso limite di espressività variabile è rappresentato dalla penetranza incompleta.

Si definisce penetranza la capacità di un certo genotipo di esprimere il fenotipo


caratteristico.

La penetranza è completa se il fenotipo viene sempre espresso, mentre è incompleta se


una percentuale di individui non presenta il fenotipo caratteristico per quel genotipo.
La percentuale di penetranza indica in quanti individui portatori del gene si esprime il
fenotipo.
Si definisce imprinting l’espressione differenziale di materiale genetico a seconda
che esso sia di origine materna o paterna. L’imprinting si può osservare bene nei casi di
disomia uniparentale perché le informazioni genetiche dell’altro genitore sono assenti.
Due tipici casi di mutazioni che hanno effetti diversi dovuti all’imprinting e portano
a due sindromi sono la sindrome di Prader-Willi (PWS ) e la sindrome di Angelman
(AS ). In entrambi i casi la mutazione riguarda la delezione di parte del cromosoma 15,
ma nella PWS il cromosoma deleto è di origine paterna, nella AS la delezione riguarda
Biologia

il cromosoma di origine materna. In caso di disomia uniparentale in cui entrambi i


cromosomi 15 sono di origine materna, si manifesta la PWS anche senza delezione del
cromosoma 15, e ciò perché l’assenza di geni paterni rappresenta la condizione che
conduce alla malattia.
Quando un singolo gene è responsabile di molteplici effetti diversi si parla di pleio-
tropia. Un tipico esempio di effetto pleiotropico si ha nell’anemia falciforme (§ 4.7.1 e
§ 4.8.5) in cui l’effetto primario è la mutazione a carico dell’emoglobina e ciò comporta
tutta una serie di effetti secondari.
1148 Riproduzione ed ereditarietà

Si parla, infine, di eterogeneità genetica quando diversi geni sono responsabili dello
stesso fenotipo.
Eredità mitocondriale
Il genoma mitocondriale è piccolo (circa 16,5 kilobasi) e contiene pochi geni (37) privi
di introni. Possono verificarsi mutazioni a carico del DNA mitocondriale che possono
portare a patologie neuromuscolari. Le mutazioni mitocondriali sono sempre ereditate
per via materna perciò una donna affetta avrà tutta la progenie affetta, mentre un
maschio affetto non produrrà prole malata.

4.8.4 Trasmissione dei caratteri multifattoriali


I caratteri multifattoriali sono caratteri ereditari la cui espressione dipende dall’a-
zione combinata di più geni (caratteri poligenici) e di fattori ambientali. Ogni gene
coinvolto ha scarsa penetranza ed espressività variabile. Diversi caratteri di interesse
in genetica umana sono di tipo multifattoriale: l’altezza, il peso, il colore della pelle, il
diabete, l’ipertensione, la palatoschisi (labbro leporino).
I caratteri multifattoriali possono essere distinti in continui (o quantitativi) e in
discontinui. I primi possono presentare una variazione continua nell’intensità della
loro manifestazione con tutta una serie di gradazioni. Ad esempio l’altezza, nell’uomo,
è un carattere continuo in quanto può assumere una serie di valori compresi tra due
estremi. Anche il peso appartiene a questa categoria. Non è infatti possibile assegnare
alla popolazione dei valori fissi di peso, ovvero non si può dire che gli uomini pesino
tutti 80 kg o 90 kg. I caratteri discontinui, invece, presentano classi fenotipiche ben
distinte e non sovrapponibili. Un esempio è il labbro leporino. Un soggetto o ha il
labbro leporino o non ne è affetto: è un carattere che non si presenta con un intervallo
continuo di valori.
Le proprietà dei caratteri multifattoriali sono:
si tratta di caratteri poligenici;
i geni agiscono in modo additivo e ciascuno contribuisce in parte alla espressione
fenotipica;
il fenotipo è determinato dall’interazione tra genotipo e ambiente.
Utilizzando modelli e analisi statistiche è possibile definire il contributo del genotipo
al fenotipo. Si parla di ereditabilità.

L’ereditabilità definisce il contributo genetico, in termini statistici, all’espressione di


un carattere in una popolazione.
Genetica

4.8.5 Malattie ereditarie


Occorre innanzitutto precisare la differenza esistente, in ambito medico, tra genetico
ed ereditario.
Si definisce genetico un carattere riconducibile a modificazioni del patrimonio genetico.
Definiamo ereditario un carattere trasmesso di generazione in generazione secondo le
leggi dell’ereditarietà.
Biologia 1149

In base a tali definizioni possiamo distinguere le malattie genetiche da quelle ereditarie:

le malattie genetiche sono tutte quelle causate da una o più anomalie del
genotipo e sono di solito classificate in tre categorie principali: cromosomiche,
monofattoriali e multifattoriali. Le malattie cromosomiche sono quelle dovute
ad anomalie cromosomiche sia di numero che di struttura (§ 4.7.2 e § 4.7.3).
Le malattie monofattoriali o monogeniche sono quelle dovute a mutazioni in un
singolo gene mentre quelle multifattoriali derivano dall’interazione di più fattori
(genetici e ambientali);

le malattie ereditarie sono dovute ad anomalie del patrimonio genetico trasmis-


sibili, ad esempio una mutazione che colpisce i gameti dei genitori dell’individuo
affetto.

Una volta fatta questa distinzione risulta evidente come una malattia come la sindrome
di Down possa essere definita “genetica” e non “ereditaria” (in quanto gli individui
colpiti sono normalmente sterili e non possono dare origine ad un individuo affetto).
Oltre a queste due tipologie conviene specificare anche che cosa si intende per
malattia congenita: si tratta di un carattere che si manifesta alla nascita ma che non
è stato ereditato, dovuto ad esempio ad infezioni o altri traumi sopraggiunti durante
la gestazione.
La Tabella 4.4 elenca alcune malattie ereditarie.

Prevenzione e diagnosi della malattie ereditarie


In casi di storia familiare di anomalie cromosomiche o patologie multifattoriali è
bene richiedere una consulenza genetica.

La consulenza genetica è il processo attraverso il quale i soggetti a rischio per una


malattia ereditaria vengono informati delle conseguenze di tale malattia, dei modi con
i quali essa può essere prevenuta o curata, del rischio della sua comparsa e della
probabilità di trasmetterla.

È possibile eseguire dei test genetici al fine di identificare eventuali patologie geneti-
che. Per test genetico si intende infatti l’analisi di acidi nucleici o proteine allo scopo
di identificare mutazioni o alterazioni a livello di fenotipo o genotipo. Tra i vari tipi di
test ricordiamo quelli:

diagnostici: permettono di effettuare una diagnosi clinica;


Biologia

preclinici o presintomatici: eseguiti su pazienti che non presentano malattia ma


che la svilupperanno (es. Corea di Huntington). In questa categoria ricadono
anche i test prenatali (amniocentesi e prelievo di villi coriali);

predittivi: consentono di individuare genotipi che, in seguito all’interazione con


determinati fattori ambientali, comportano un aumento del rischio di sviluppare
una determinata patologia.
1150 Riproduzione ed ereditarietà

Malattia Tipo di ere- Gene colpito Danno metabolico Conseguenze


ditarietà
Fenilchetonuria Autosomica Fenilalanina Trasformazione della fe- Ritardo menta-
recessiva idrossilasi nilalanina in fenilpiruva- le e nell’accre-
to anziché in tirosina scimento
Fibrosi cistica Autosomica CFTR (canale Anomalia nel traspor- Ritardo nella
recessiva del cloro) to del cloro nella mem- crescita, accu-
brana delle cellule del- mulo di muco
le ghiandole esocrine con denso, infezio-
secrezioni dense e visco- ni polmonari
se frequenti e tosse
Anemia Autosomica β globina Ridotta o assente pro- Grave anemia
mediterranea recessiva duzione di emoglobina
funzionale
Anemia falcifor- Autosomica β globina Alterazione dell’emoglo- Alterazione
me recessiva bina morfologica
degli eritrociti
Morbo di Tay- Autosomica Esosaminidasi A Accumulo di un lipide Disturbi a cari-
Sachs recessiva nel cervello co del sistema
nervoso
Distrofia mioto- Autosomica DMPK (espan- Alterazione della fun- Miotonia, per-
nica di tipo 1 dominante sione di triplet- zione di una proteina dita di massa
te) chinasi muscolare, di-
fetti cardiaci ed
endocrini
Corea di Hun- Autosomica Huntingtina Distruzione dei nuclei Disturbi del mo-
tington dominante (espansione di della base vimento, cogni-
triplette) tivi e comporta-
mentali
Acondroplasia Autosomica FGFR3 Alterazione nella cresci- Bassa statura,
dominante ta ossea fronte spor-
gente, arti
corti
Emofilia A X-linked Fattore VIII Difetto nella coagulazio- Tendenza ad
recessiva ne del sangue emorragie
Daltonismo X-linked Geni diversi per Danno ai fotorecettori Incapacità di di-
recessiva forme diverse di della retina stinguere alcuni
daltonismo colori
Distrofia musco- X-linked Distrofina Assenza della distrofina, Perdita di fibre
lare di Duchen- recessiva che interagisce con il ci- muscolari e
ne toscheletro a stabilizzare compromissione
le fibre muscolari dei muscoli
Sindrome dell’X X-linked FMR1 (espan- Mancata sintesi del- Ritardo mentale
fragile (o di dominante sione di la proteina FMRP
Martin-Bell) triplette) (proteina coinvolta
nel metabolismo degli
mRNA)

Tabella 4.4: Caratteristiche di alcune malattie ereditarie. Una banca dati sulle malattie genetiche umane
consultabile al sito http://www.ncbi.nlm.nih.gov/omim.

4.9 Le nuove frontiere della genetica: la tecnologia del DNA


ricombinante
Genetica

La tecnologia del DNA ricombinante, o ingegneria genetica, consente di inserire


sequenze di DNA in molecole dette vettori realizzando molecole di DNA provenienti
da almeno due organismi diversi.

4.9.1 Clonaggio
Il DNA ricombinante si ottiene per introduzione di un frammento di DNA di interesse
all’interno di una molecola genericamente indicata come vettore. Tale vettore viene poi
amplificato, in vitro o in vivo: questa serie di operazioni è detta clonaggio.
Biologia 1151

Per clonaggio si intende la formazione di un elevato numero di copie di un frammento


di DNA.

I passi da seguire per effettuare un clonaggio sono rappresentati in Figura 4.38 e


prevedono:
isolamento della sequenza di DNA di interesse;
inserimento del DNA in un vettore di clonaggio;
trasferimento del vettore in una cellula ospite;
crescita per divisioni successive della cellula ospite;
selezione delle cellule ospiti che hanno incorporato il DNA ricombinante.
Per effettuare un clonaggio bisogna
estrarre un frammento di DNA del
genoma e inserirlo all’interno di un
vettore. Per fare ciò sono necessa-
rie due tipologie di enzimi: enzimi di
restrizione e DNA ligasi.
Gli enzimi di restrizione sono
delle endonucleasi, enzimi cioè in gra-
do di tagliare segmenti di DNA. Que-
sti enzimi si trovano normalmente nei
batteri dove svolgono un’attività di-
fensiva tagliando il DNA estraneo (vi-
rale) per fronteggiare le infezioni da
parte dei batteriofagi. Il batterio, per
evitare che tali enzimi distruggano
anche il proprio cromosoma, proteg-
ge il proprio DNA introducendo del-
le metilazioni a carico di alcune basi
azotate.
La particolarità di questi enzimi è
che essi riconoscono sequenze nucleo-
tidiche specifiche (siti di restrizione).
I siti di restrizione sono palindromi,
ovvero la sequenza è la stessa se let-
Biologia

ta da sinistra a destra su un filamen-


to e da destra a sinistra sul filamento
complementare.
Alcuni enzimi di restrizione (i più Figura 4.38: Il frammento di DNA da clonare è in-
utili ai fini del clonaggio) lasciano del- serito in un vettore contenente un gene per la resi-
le estremità 3’ e 5’ a filamento singolo, stenza ad un antibiotico (ampicillina). Solo le cellu-
le trasformate sopravvivono in presenza di ampicilli-
dette estremità adesive o sticky ends na e possono replicarsi formando una colonia di cel-
(Figura 4.39). Queste possono appa- lule contenenti il DNA ricombinante. Si veda il link
iarsi con le estremità complementari http://youtu.be/yta5KC18WkU.
1152 Riproduzione ed ereditarietà

del DNA del vettore (anch’esso opportunamente trattato con enzimi di restrizione) e
la DNA ligasi esegue la saldatura: il DNA di interesse è stato cosı̀ inserito all’interno
del vettore ottenendo una molecola di DNA ricombinante.
Le strutture maggiormente utiliz-
zate come vettori sono:

plasmidi: molecole di DNA cir-


colare presenti nei batteri (§
2.2.1) capaci di autoreplicazio-
ne;

batteriofagi: virus procariotici;

cosmidi e BAC: plasmidi oppor-


tunamente modificati in grado
di contenere quantità di DNA
Figura 4.39: Un enzima di restrizione come EcoRI (pro-
estraneo superiori rispetto ai veniente da Escherichia coli) riconosce un sito palindro-
normali plasmidi; mico di 6 paia di basi, esegue il taglio e può lasciare dei
frammenti a singolo filamento (sticky ends).
YAC (cromosomi artificiali di
lievito).

I vettori (Figura 4.40) sono caratterizzati dalla presenza di:

un’origine di replicazione;

siti di restrizione per diversi enzimi;

un gene marcatore (spesso si tratta di un gene che codifica per la resistenza a un


antibiotico).

Una volta ottenuto il DNA ricombinante esso


deve essere introdotto all’interno di un ospi-
te. La procedura che consente l’inserimen-
to di un vettore di clonaggio in un batterio
è definita trasformazione (nel caso l’ospi-
te sia una cellula eucariotica, tipicamente di
Mammifero, si parla di trasfezione).
I casi più noti riguardano l’inserimento
di plasmidi all’interno di batteri. Una vol-
ta eseguita la procedura di trasformazione,
Genetica

non tutti i batteri avranno acquisito il DNA


esogeno. La coltura batterica viene fatta cre-
scere dopodiché è necessario eseguire la se-
lezione del clone di interesse. A tale scopo si
sfrutta il gene marcatore presente nel vetto- Figura 4.40: Un esempio di vettore utilizzato per
re. Se, ad esempio, il plasmide utilizzato per il clonaggio. Si tratta di un plasmide di E. coli
il clonaggio contiene il gene per la resistenza modificato, contenente due geni di resistenza agli
antibiotici, un origine di replicazione e alcuni siti
all’ampicillina (un antibiotico), è sufficiente di restrizione.
fare crescere i batteri in presenza di questo
Biologia 1153

antibiotico: solo le cellule che hanno acquisi-


to il DNA ricombinante potranno esprimere
la proteina che rende i batteri insensibili all’antibiotico per cui saranno i soli a potere
crescere in un terreno di coltura contenente ampicillina. In questo modo si selezionano
i batteri trasformati.

4.9.2 Genoteche
Mediante le tecniche di clonaggio è possibile creare delle DNA libraries, ovvero delle
banche di DNA (o genoteche). Spesso il termine inglese DNA library viene tradotto
in modo improprio con libreria di DNA.
Per ottenere una library si sottopone il DNA, ad esempio quello umano, all’azione
di enzimi di restrizione e i frammenti ottenuti vengono inseriti in vettori di clonaggio,
ciascuno dei quali viene inserito in un ospite.
Le librerie possono essere genomiche o di cDNA. Nel primo caso si ottengono dei
frammenti che rappresentano il genoma, contenenti quindi esoni ed introni. Nel secondo
caso si ottiene una libreria di cDNA (banca di cDNA), ottenuto per retrotrascrizione a
partire dagli mRNA, quindi privo di introni. Le banche di cDNA rappresentano i geni
che vengono espressi in un determinato tipo cellulare e saranno diverse a seconda che
la cellula da cui si è estratto il materiale genetico sia un tipo cellulare o un altro. Sono
molto utili per studiare l’espressione genica differenziale in tessuti diversi.
Una volta ottenuta la library è necessario potere eseguire uno screening della
genoteca alla ricerca della sequenza di interesse.
Le tecniche maggiormente utilizzate per eseguire lo screening sono:

PCR (Polymerase Chain Reaction);

ibridazione con sonde (oligonucleotidi) specifiche, fluorescenti o radioattive.

4.9.3 PCR
Un modo più rapido rispetto al clonaggio per ottenere l’amplificazione di un segmento
di DNA è l’utilizzo della reazione a catena della polimerasi (Polymerase Chain
Reaction, PCR). Si tratta di una tecnica in cui due oligonucleotidi che fungono da inne-
sco (primer ), le cui sequenze fiancheggiano quella del segmento di DNA da amplificare,
guidano una DNA polimerasi nella sintesi della sequenza di interesse. La particolarità
di questa tecnica è l’utilizzo di DNA polimerasi termostabili, in grado di funzionare a
temperature che si aggirano intorno ai 70˚C e di rimanere stabili anche a temperature
vicine ai 100˚C. La DNA polimerasi termostabile proviene da batteri termofili: le più
note provengono dal batterio Thermus aquaticus (Taq polimerasi) e dall’archeobatterio
Biologia

Pyrococcus furiosus (Pfu polimerasi).


La reazione è detta “a catena” perché avviene in modo ciclico (Figura 4.41). Ogni
ciclo si compone di tre fasi:

1. denaturazione: la porzione di interesse del DNA viene denaturato, tipicamente


intorno ai 95◦ C, con produzione di due catene di DNA a singolo filamento;

2. appaiamento dei primers: abbassando la temperatura gli inneschi si appaiano ai


singoli filamenti di DNA in modo complementare;
1154 Riproduzione ed ereditarietà

3. estensione del primer da parte della polimerasi: si fa agire la DNA polimerasi


termostabile portando la temperatura intorno a 72◦ C.
Partendo da una molecola di
DNA, dopo n cicli si ottengo-
no 2n molecole, ad esempio par-
tendo da una molecola dopo
20 cicli (per una durata tota-
le di circa un’ora) si ottengo-
no in teoria 220 molecole (cir-
ca un milione)! Questo meto-
do consente di avere, quindi, in
tempi stimabili in ore quello che
dalle tecniche di clonaggio vi-
ste in precedenza richiederebbe
giorni.
Kary Mullis sviluppò que-
sta tecnica nel 1983, grazie alla
quale ottenne il premio Nobel
per la Chimica nel 1993.
È possibile analizzare l’es-
pressione genica utilizzando co-
me materiale di partenza l’R-
NA messaggero. L’mRNA vie-
ne trasformato utilizzando la
trascrizione inversa in cDNA,
il quale può essere amplificato
mediante PCR: questa tecnica
è detta RT-PCR.
Principali utilizzi della PCR
Esistono diverse applicazioni
della PCR:
screening di genoteche;
diagnostica molecolare;
medicina legale e applica-
zioni forensi;
Genetica

studio dell’evoluzione de-


gli organismi sulla base
delle similitudini genomi-
che;

analisi di espressione ge-


nica.
Figura 4.41: Reazione a catena della polimerasi (PCR). Si veda il
testo per la spiegazione e il link http://youtu.be/2KoLnIwoZKU.
Biologia 1155

4.9.4 Applicazioni della tecnologia del DNA ricombinante


Una delle applicazioni principali dell’ingegneria genetica è sicuramente la ricerca di
base. La possibilità di selezionare ed esprimere selettivamente geni specifici ha consen-
tito e consente tuttora di indagare le funzioni dei geni e delle proteine da essi codificate.
In questo ambito si collocano la genomica e la proteomica, rispettivamente lo studio
del genoma di un organismo e lo studio delle proteine sintetizzate in una cellula.
Quando si inserisce un gene estraneo all’interno di un organismo si ottiene un or-
ganismo geneticamente modificato (OGM). Grazie alla selezione di geni adatti e
al loro trasferimento in organismi procariotici è possibile “ingegnerizzare” dei batteri
allo scopo di degradare sostanze tossiche.
Alcuni geni batterici possono essere inseriti all’interno di piante al fine di ottenere
delle nuove caratteristiche. Ad esempio si possono ottenere delle piante di importanza
alimentare con un contenuto proteico più alto, oppure delle piante che possono resistere
agli erbicidi.
Un’importante applicazione della tecnologia del DNA ricombinante è la produzio-
ne di farmaci: l’insulina, ad esempio, può essere sintetizzata in batteri inserendo in
essi il gene che la codifica.
In medicina la terapia genica può essere utilizzata per sostituire dei geni difettosi
di un individuo con geni sani.
Il DNA ricombinante ha permesso inoltre lo sviluppo di vaccini. Il vaccino antiepa-
tite B, per esempio, è prodotto inserendo un plasmide contenente il gene dell’antigene
di superficie del virus dell’epatite B all’interno delle cellule di lievito (Saccharomyces
cerevisiae).

4.10 Quesiti
1) L’uomo è un organismo: C spiega il fenomeno della dominanza
incompleta
A aplonte
D spiega il fenomeno della codominanza
B diplonte
E individua nel DNA la molecola respon-
C aplodiplonte sabile della trasmissione dei caratteri
D aploide ereditari

E diploide 4) In una condizione di eterozigosi un


individuo:
2) La riproduzione agamica non:

A comporta la fusione dei due gameti A trasmette solo il carattere dominante


alla prole
B può avvenire negli organismi unicellula-
ri B trasmette solo il carattere recessivo alla
prole
Biologia

C può avvenire negli organismi pluricellu-


lari C ha le stesse possibilità di trasmettere
il carattere dominante ed il carattere
D è un meccanismo riproduttivo asessuale
recessivo alla prole
E è detta schizogonia nei procarioti
D manifesta solo il carattere recessivo
3) La genetica mendeliana: E manifesta sia il carattere recessivo che il
dominante
A non parla esplicitamente di geni
B spiega i meccanismi di ereditarietà di 5) Non è in accordo con le leggi di Mendel
tutti i caratteri il fatto che:
1156 Riproduzione ed ereditarietà

A un allele dominante “A” risulti sem- E 0


pre espresso nel fenotipo, sia in indivi-
dui con genotipo “AA” sia in indvidui 8) Nel 1965 gli scienziati F. Jacob e J. Mo-
eterozigoti “Aa” nod ricevettero i premio Nobel per la
medicina grazie ai loro studi sull’ope-
B incrociando due individui eterozigoti
rone lac. Secondo tali studi, alla pre-
per un carattere possa essere generato
senza di lattosio nel mezzo di coltura,
un individuo omozigote recessivo
l’operone lac di Escherichia coli è:
C geni relativi a caratteri diversi possano
essere trasmessi in modo indipendente A costitutivo
l’uno dall’altro
B inducibile a controllo negativo
D due alleli diversi relativi allo stesso gene
possano esprimersi entrambi C reprimibile a controllo negativo

E un omozigote recessivo esprima nel D reprimibile a controllo positivo


fenotipo solo il carattere recessivo E inducibile a controllo positivo
6) Non è vero che il corpo di Barr: 9) Un caso di pleiotropia si ha quando:
A è costituito da un cromosoma X A un unico gene ha effetti fenotipici
inattivato permanentemente multipli
B è costituito da sequenze di DNA che non B diversi geni partecipano nella determi-
vengono trascritte nazione del fenotipo
C si forma in maniera casuale a partire da C due alleli diversi di uno stesso gene pos-
uno o dall’altro cromosoma sessuale X sono esprimersi contemporaneamente
o Y presente in una cellula
D un gene determina l’espressione di un
D si forma in seguito al processo di Lyo- altro gene
nizzazione dal nome di Mary Lyon che
ne fu la scopritrice E due geni interagiscono tra loro
E si trova solo nelle cellule somatiche di 10) Un OGM è:
individui di sesso femminile
A una molecola di DNA ricombinante
7) Un individuo con gruppo sanguigno AB
ed uno con gruppo 0 insieme possono B una proteina estranea all’organismo
generare figli: C un organismo il cui genoma è stato mo-
dificato tramite tecniche di ingegneria
A AB e 0
genetica
B A, B, AB e 0 D un organismo che ha subito una
C AeB mutazione

D AB E un ibrido

4.11 Soluzioni commentate ai quesiti


1) B . I termini aploide e diploide si riferiscono all’assetto cromosomico delle cellule,
mentre aplonte, diplonte e apodiplonte si riferiscono alla prevalenza della genera-
Genetica

zione aploide o diploide nel ciclo vitale degli organismi a riproduzione sessuata.
L’uomo, come tutti gli animali, è un organismo diplonte, in cui cioè si ha una
prevalenza della generazione diploide sulla aploide.

2) A . La riproduzione agamica non coinvolge la produzione di gameti, quindi neanche


la loro fusione nella fecondazione. È un meccanismo di riproduzione che esiste sia
negli organismi unicellulari (come i protozoi) che pluricellulari (come le piante, in
cui prende il nome di moltiplicazione vegetativa).
Biologia 1157

3) A . Mendel si limitò allo studio dell’ereditarietà di sette caratteri presenti nelle


varietà di pianta di pisello, da cui elaborò le sue leggi. Queste leggi, pur essendo di
estrema importanza, non sono applicabili a molti caratteri in cui ad esempio non
c’è un rapporto semplice di dominanza e recessività (come nel caso della dominanza
incompleta e della codominanza). Mendel non parlò mai di geni o di DNA, ma solo
di “fattori” in grado di determinare i caratteri. Oggi sappiamo che questi fattori
sono gli alleli, cioè le varianti di un gene.

4) C . Un individuo eterozigote ha due alleli diversi per lo stesso gene. Di conseguenza


produrrà gameti di due tipi rispetto a questa caratteristica, ciascuno con il 50% di
possibilità di essere ereditato. Si noti che anche se il carattere recessivo ha le stesse
possibilità di essere ereditato di quello dominante, ma non ha le stesse possibilità di
manifestarsi: si manifesterà solo se presente in doppia copia (cioè solo in condizioni
di omozigosi nella prole).

5) D . Due alleli diversi dello stesso gene che si esprimono entrambi contemporanea-
mente rappresentano un caso di codominanza. Mendel non aveva contemplato que-
sto ed altri casi particolari che non rientrano nelle leggi da lui espresse. Un esempio
di codominanza è rappresentato dagli alleli che regolano l’espressione dei gruppi
sanguigni A, B e 0.

6) C . Durante lo sviluppo dell’embrione femmina, uno dei due cromosomi X viene


inattivato permanentemente in maniera del tutto casuale in tutte le cellule somati-
che (non quelle germinali). Il corpo di Barr che deriva da questo processo è quindi
costituito da un cromosoma X ed è presente solo nelle femmine.

7) C . Gli alleli e , relativi agli antigeni A e B sono codominanti, quindi se presenti si


esprimono sempre (fenotipo AB); l’allele non codifica né per l’antigene A né per il B
ed è recessivo. Esso dà origine al fenotipo 0 (che corrisponde all’assenza di antigeni
A e B) solo se è in omozigosi. Poiché un figlio riceve un allele dalla madre ed uno
dal padre, sono possibili i genotipi e , che corrispondono a fenotipi di tipo A e B.

8) B . L’operone lattosio è un esempio di sistema di espressione inducibile (perché


viene indotta la trascrizione solo in presenza di lattosio) e a controllo negativo (in
quanto normalmente la sua trascrizione è inibita dal legame con un repressore).

9) A . Si dice che un gene ha effetti pleiotropici quando determina effetti fenotipi-


ci multipli: un esempio è costituito dal gene che determina il colore del mantello
dei gatti. Questo gene infatti ha effetto anche su occhi e orecchie, in particolare i
gatti con mantello bianco e occhi blu sono sordi. Un altro esempio di pleiotropia
è rappresentato dai numerosi effetti sull’organismo (anemia, mancanza di un suffi-
Biologia

ciente apporto di sangue agli organi, scarso sviluppo fisico, insufficienza cardiaca..)
dell’allele recessivo mutato che provoca l’anemia falciforme.

10) C . La sigla OGM sta per organismo geneticamente modificato e indica qualunque
organismo in cui sono stati inseriti o tolti dei geni tramite l’utilizzo di tecniche di
ingegneria genetica. Gli OGM comprendono infatti sia gli organismi transgenici, in
cui sono stati inseriti geni di altre specie, sia organismi in cui sono stati tolti del geni,
sia organismi che hanno ricevuto geni da altri della stessa specie. Non comprendono
invece gli organismi che hanno subito modifiche al genoma non apportate tramite
1158 Riproduzione ed ereditarietà

tecniche di ingegneria genetica, ma tramite processi di mutazione spontanei o indotti


dall’uomo in altro modo.
Genetica
Ereditarietà
e ambiente 5
5.1 Le teorie evolutive
Si definisce evoluzione un cambiamento progressivo, all’interno di una popolazio-
ne, nella frequenza di alcune caratteristiche (strutturali e funzionali) determinate
geneticamente.

5.1.1 La teoria dell’uniformismo e il principio dell’attualismo


Nel 1785 il geologo James Hutton propose la teoria dell’uniformismo: i fenomeni
geologici si ripetono in maniera ciclica ed uniforme durante tutto il corso della storia
in ogni parte della Terra, non lasciando spazio ad eventi di natura catastrofica..
Nel 1830 il geologo Charles Lyell propose il principio dell’attualismo: le leggi
sottostanti gli eventi geologici operavano in passato come operano ora. Hutton e Lyell
sostenevano che i processi geologici procedevano secondo ritmi lenti e graduali (teoria
del gradualismo) e che gli effetti che producevano erano tanto più forti ed evidenti
quanto più tempo era passato per il loro accumularsi.
La teoria gradualista si contrapponeva cosı̀ alla teoria catastrofista, che era stata
proposta nel 1815 dal francese George Cuvier il quale, basandosi sull’esame scientifico
dei fossili, affermava che i fossili di specie ormai estinte erano la prova che in passato
erano avvenuti eventi catastrofici che avevano portato all’estinzione di talune specie di
vertebrati.

5.1.2 L’evoluzionismo biologico


Gli studiosi del XVIII secolo erano convinti che l’evoluzione della vita sulla Terra si
fosse svolta in tempi molto lunghi e che i fossili di specie che non erano sopravvissute
costituivano delle specie estinte. Fu cosı̀ che nel corso della prima metà del XIX secolo
emersero le due teorie, il lamarckismo ed il darwinismo, che costituirono le basi per
una spiegazione dell’evoluzionismo biologico. Fino alla prima metà del XIX secolo era
infatti prevalsa l’idea fissista e creazionista, secondo cui le specie viventi erano create
solo per intervento divino e rimanevano immutabili nel corso del tempo. Questa idea
era stata poi codificata dallo svedese Carlo Linneo il quale avvalorava l’ipotesi che le
specie fossero state appunto create per intervento divino e potessero essere classificate
in maniera specifica e gerarchica (classificazione binomia). Era quindi diffusa l’idea che
l’intervento divino avesse creato le specie secondo una concezione finalistica, poiché esse
possedevano delle strutture anatomiche utili a determinati e specifici scopi: gli uccelli,
ad esempio, volano grazie alle ali e le ali servono esclusivamente per volare. Tutti
gli esseri viventi erano stati creati in maniera perfetta, senza possibilità di ulteriori
modificazioni. Asserire il contrario voleva dire mettersi contro la concezione religiosa
della supremazia divina.
I primi a cercare di confutare, seppur con un certo riserbo, la concezione finalistica
della natura furono de Maupertuis e Diderot, nella seconda metà del XVIII secolo.
1160 Ereditarietà e ambiente

Essi ritenevano che le varie specie presenti sulla Terra avessero delle strutture perfette,
finalizzate ad uno scopo, solamente perché le varianti di quelle stesse specie che erano
risultate imperfette, e che venivano create continuamente, non erano state in grado di
sopravvivere né di riprodursi. In questo modo de Maupertuis e Diderot anticiparono di
quasi cento anni il concetto di Darwin di selezione naturale.

5.1.3 La teoria di Lamarck


Jean-Baptiste Lamarck propose, nel 1809, che gli organismi fossero il risultato di mo-
difiche dovute a condizioni ambientali. Egli propose che tali cambiamenti fossero da
imputare ad alcuni fattori:

principio dell’uso e del non uso: un animale sviluppa nuove funzioni o ap-
parati che gli consentono di soddisfare i propri bisogni; questi nuovi caratteri
possono svilupparsi se risultano essere utili allo scopo, altrimenti vengono perdu-
ti. Lamarck non applicò questo principio al mondo vegetale poiché a quel tempo
era opinione comune che le piante non avessero specifici bisogni o esigenze per
sopravvivere;

principio dell’ereditarietà dei caratteri acquisiti: i nuovi caratteri funzio-


nali o anatomici acquisiti da una specie in risposta a specifici stimoli ambientali
perdureranno nelle successive generazioni.

Lamarck addusse un esempio molto chiaro per esemplificare la propria teoria dell’e-
voluzione: la giraffa ha sviluppato la lunghezza del proprio collo nel corso delle varie
generazioni che si sforzavano di volta in volta a mangiare le foglie poste su rami sempre
più alti. È ora chiaro che i caratteri che venivano acquisiti secondo la concezione la-
marckiana erano modificazioni fenotipiche e non genotipiche, poiché non ci può essere
trasmissione ereditaria dei suddetti caratteri senza modificazioni genetiche o cromo-
somiche: l’allungamento del collo, quindi, non poteva essere ereditato dalla progenie
ma doveva in qualche modo essere assimilato a livello genetico prima di poter essere
trasmesso ereditariamente.
Secondo Lamarck il concetto di derivazione biologica, che procedeva da forme
organiche semplici a forme via via più complesse, doveva culminare nella generazione
necessaria e finalizzata dell’Uomo sulla Terra, secondo un principio antropocentrico. In
questa visione rientrava la convinzione di Lamarck che gli organismi più semplici, posti
all’inizio della scala evolutiva, fossero stati generati per generazione spontanea a
partire da materiale organico non strutturato (inanimato).
La teoria lamarckiana sopravvisse per circa un ventennio, fino alla morte del suo
fondatore, Lamarck nel 1829, e del suo detrattore, Cuvier nel 1832.
Evoluzione

5.1.4 La teoria di Darwin


La teoria di Lamarck ebbe il merito di introdurre il concetto di evoluzione biologica e,
anche se confutata al tempo in cui fu proposta, permise a Charles Darwin di elaborare
la propria teoria sull’evoluzione delle specie viventi nel libro L’origine delle specie,
del 1859.
Nel 1831 Darwin si imbarcò sul brigantino inglese chiamato Beagle, con il quale
effettuò un viaggio che durò fino al 1836. Fu proprio grazie alle osservazioni che fece
durante il suo viaggio su piante, fiori, formazioni geologiche ed animali che Darwin poté
Biologia 1161

in seguito arrivare alle proprie conclusioni sull’evoluzione biologica. Oltre alle osserva-
zioni dirette, Darwin prese spunto dal lavoro di Thomas Malthus, il quale asseriva che
la popolazione umana si espandeva e cresceva secondo una progressione esponenziale,
mentre le risorse ed i beni disponibili per sostenere tale crescita crescevano secondo una
progressione aritmetica: doveva dunque esserci un punto in cui le risorse non sarebbero
state più sufficienti a sostenere la crescita della popolazione umana. Darwin comprese
che il principio di risorse limitanti era valido non solo per l’uomo ma anche per tutte
le specie viventi. Darwin calcolò, per esempio, che una coppia di elefanti avrebbe dovu-
to generare quasi 19 milioni di individui in 750 anni, invece la popolazione degli elefanti
rimaneva costante nel tempo, quindi doveva esserci una sorta di scelta all’interno della
stessa popolazione che faceva sopravvivere solo alcuni elefanti: era nato il concetto di
selezione naturale. Darwin pubblicò le proprie osservazioni nel 1859, fondando la
propria teoria evoluzionistica su quattro punti specifici:
le specie animali tendono a generare una prole molto più numerosa rispetto alla
reale capacità di sostentamento che l’ambiente offre, ma solo alcuni individui
raggiungono la maturità riproduttiva;
in ogni generazione nascono individui che differiscono fenotipicamente gli uni dagli
altri, in maniera completamente casuale, portando ad una grande variabilità nei
caratteri fenotipici;
alcuni di questi caratteri fenotipici sono preferiti rispetto ad altri poiché forni-
scono un vantaggio in termini di sopravvivenza;
solo gli individui di una generazione che possiedono quei caratteri fenotipici che
consentono un maggior adattamento all’ambiente possono sopravvivere fino alla
maturità riproduttiva e quindi trasmettere i caratteri alla progenie.
Era quindi chiaro per Darwin che l’ambiente in cui un individuo si trova gioca un
ruolo fondamentale per la sua sopravvivenza selezionando quei caratteri, generatisi
casualmente all’interno di una popolazione, che meglio si adattano all’ambiente stesso.
Era fondamentale nel pensiero di Darwin che le risorse in un dato ambiente non sono
sufficienti a sostenere la sopravvivenza di tutta la popolazione di una specie: deve per
forza instaurarsi una competizione per tali risorse che garantiscono la sopravvivenza
del più adatto. La limitatezza delle risorse di cibo è quindi il filtro ambientale che
secondo Darwin guida la selezione naturale tra gli individui di una specie (in un
dato ambiente). In questo modo Darwin capovolse la teoria di Lamarck, il quale invece
sosteneva che era l’ambiente a generare le varianti fenotipiche e, di conseguenza, i
cambiamenti evolutivi.
Per Darwin l’ambiente era come un filtro che faceva passare solo i caratteri più adatti
Biologia

ad un certo habitat e gli individui che li portavano (ruolo passivo), mentre per Lamarck
l’ambiente era il motore primario che generava tali caratteri (ruolo attivo).

Era fondamentale nel pensiero di Darwin, secondo un principio malthusiano di fattore


limitante, che le risorse in un dato ambiente non fossero sufficienti a sostenere la soprav-
vivenza di tutta la popolazione di una specie: quindi doveva per forza di cose instaurarsi
una competizione per tali risorse, secondo il principio di lotta per la sopravvivenza,
che avrebbe garantito appunto la sopravvivenza del più adatto. La limitatezza delle
1162 Ereditarietà e ambiente

risorse di cibo era quindi il filtro ambientale primario che secondo Darwin guidava la
selezione naturale tra gli individui di una specie in un dato ambiente.
Come Lamarck prima di lui, anche Darwin negava l’ipotesi creazionista o interventi-
sta per la generazione delle specie ma, diversamente da Lamarck, Darwin sosteneva
l’assenza di un finalismo evolutivo che portasse alla generazione dell’Uomo come risul-
tato finale dell’evoluzione. Se per Lamarck il processo evolutivo non era casuale, ma
finalizzato a raggiungere la perfezione (cioè l’Uomo), per Darwin la selezione naturale
che sottendeva il processo evolutivo era completamente soggetta a casualità e non
direzionale.
La teoria evoluzionistica di Darwin portava con sé l’idea che l’Uomo non fosse il ri-
sultato di un progetto divino; la teoria evoluzionistica di Darwin poneva l’Uomo non
più al centro dell’Universo, in maniera molto simile a quanto aveva fatto Copernico nei
confronti della Terra con la sua rivoluzionaria teoria eliocentrica.

5.1.5 L’evoluzionismo post-darwiniano: biometristi e mendeliani


Gli studi genetici che cominciarono a prendere piede agli inizi del XX secolo, generarono
una sorta di contrasto tra la teoria darwiniana dell’evoluzione e la teoria mendeliana
dell’ereditarietà. Quest’ultima, infatti, sosteneva che i fattori (cioè i geni) dovessero
essere trasmessi in maniera inalterata alle generazioni successive, in modo da poter
quantificare le diverse varianti dei caratteri, mentre la teoria darwinista dichiarava che
le specie potevano accumulare leggere differenze in alcuni caratteri che nel corso del
tempo avrebbero potuto poi portare alla generazione di nuove specie.
Il contrasto divenne ancora più evidente con il nascere agli inizi del 1900 della bio-
metria, cioè la scienza che studia e misura le caratteristiche fisiche o comportamentali
di un organismo vivente. I biometristi sostenevano che la variabilità dei caratteri os-
servabili fosse di tipo continuo (e non discreto) in quasi tutte le specie, avallando il
concetto darwiniano di evoluzione come un processo gradualista, mentre i mendeliani
sostenevano che i caratteri quantitativi fossero dovuti a piccole variazioni fenotipiche
individuali, non ereditabili in senso mendeliano (cioè i fattori non venivano modificati o
mutati), e perciò non inquadrabili nella teoria darwinista. I mendeliani infatti sostene-
vano che l’evoluzione procedesse per salti e non gradualmente (come invece sostenevano
i darwinisti), poiché le eventuali mutazioni dovevano essere di una magnitudine tale da
essere molto vistose nel fenotipo, in modo da essere sottoposte a selezione naturale.
Il divario tra biometristi e mendeliani trovò un compromesso efficace con il nascere
delle prime osservazioni sulla genetica di popolazione ad opera di Godfrey Harold
Hardy e Wilhelm Weinberg, i quali dimostrarono nel 1908 che la riproduzione sessuale
non riesce a modificare la frequenza allelica all’interno di una popolazione, quindi la
Evoluzione

variabilità generata dalle eventuali mutazioni veniva conservata attraverso l’eredità


mendeliana.

5.1.6 La teoria sintetica dell’evoluzione o neo-darwinismo


I punti deboli della teoria di Darwin erano i seguenti:
non spiegava l’origine della variabilità dei caratteri;
non spiegava la trasmissione dei caratteri (Darwin non conosceva il lavoro di
Mendel).
Biologia 1163

Lo sviluppo della genetica ha permesso di superare queste lacune. La sintesi tra la teoria
darwiniana e gli studi di Mendel portarono alla formulazione della teoria sintetica
dell’evoluzione, anche conosciuta come neo-darwinismo. Le popolazioni naturali
possiedono una intrinseca variabilità genetica dettata dalle leggi mendeliane e questa
variabilità viene poi sottoposta a selezione naturale: in questi termini (ma già a partire
dai lavori di Hardy e Weinberg) nasce la genetica di popolazione.
5.1.7 Genetica di popolazione
Date queste premesse era quindi chiaro che lo studio della variabilità genetica e del-
le modalità di trasmissione all’interno di una popolazione, alla base del neodarwi-
nismo, esigevano modelli matematici e statistici molto robusti che convalidassero le
osservazioni fenomenologiche naturali e sperimentali.
La genetica di popolazione studia la struttura genetica (pool genico) di una po-
polazione in termini di variabilità genetica e distribuzione delle varianti fenotipiche e
genotipiche dei caratteri e studia anche i processi evolutivi che regolano la popolazione
stessa in termini di variazioni temporali e spaziali nella frequenza dei caratteri suddet-
ti (variazioni del pool genico), nonché le cause eziologiche di tali variazioni (fattori
evolutivi).

Questo approccio serve a comprendere i cambiamenti graduali a cui sottostanno le


frequenze alleliche in una popolazione, cambiamenti che possono poi portare alla ge-
nerazione di una nuova specie (speciazione) se le pressioni ambientali risultano es-
sere costanti. In questi termini è la popolazione che costituisce l’unità di base del
cambiamento evolutivo e non il singolo individuo: ciò è valido per tutti gli organismi.
Con specie si intende l’unità tassonomica al livello più basso (secondo il sistema bi-
nomio linneano ancora oggi valido) costituita da individui morfologicamente simili che,
raggiunta la maturità sessuale, risultino essere interfecondi ed in grado di generare una
prole a sua volta feconda. Questa definizione è valida solamente per gli organismi a
riproduzione sessuata, mentre per gli organismi a riproduzione asessuata valgono altri
criteri (per lo più a livello biochimico e molecolare).
Una specie può essere costituita da una o più popolazioni, e la popolazione viene
definita come un gruppo di individui che:
appartengono alla stessa specie;
vivono nella stessa area geografica;
presentano una struttura genetica diversa (con gradi differenti) da quella di
un’altra popolazione;
Biologia

si incrociano preferenzialmente tra loro stessi (incrocio reciproco);


mantengono nel tempo le differenze nella struttura genetica nei confronti delle
altre popolazioni. È chiaro che membri di una popolazione possono comun-
que incrociarsi con membri di un’altra popolazione, poiché appartengono alla
stessa specie.
1164 Ereditarietà e ambiente

Una popolazione possiede quindi un peculiare insieme di geni, chiamato pool genico.

Si definisce pool genico l’insieme di tutti gli alleli presenti in una data popolazione
(in termini di tipo e frequenza), per ogni dato gene. La struttura genetica di una
popolazione viene quindi descritta secondo le frequenze alleliche e genotipiche presenti
nel pool genico.

In questa ottica il pool si riferisce all’intera popolazione, mentre il singolo individuo


contiene di volta in volta solo una parte del pool genico. È chiaro che se un individuo
possiede il giusto set di varianti alleliche per quel dato numero di geni (il quale dipen-
de dalla specie considerata), allora gli stessi alleli, che garantiscono la sopravvivenza
dell’individuo, garantiranno anche la loro stessa sopravvivenza e diffusione all’interno
della popolazione e quindi aumenteranno di frequenza.
L’evoluzione altro non è che l’esito dei cambiamenti differenziali del pool genico
che vengono accumulati nel corso del tempo all’interno di una popolazione e che,
se protratti nel tempo dietro una spinta ambientale costante, possono portare alla
generazione di una nuova specie.

5.1.8 La legge di Hardy-Weinberg


La legge di Hardy-Weinberg (o legge H-W) viene utilizzata nella genetica di popo-
lazione per descrivere adeguatamente, in termini matematici e statistici, il pool genico
di una popolazione. Essa mette in correlazione le frequenze genotipiche di un carattere
con le frequenze alleliche del carattere stesso. Si veda il video di approfondimento al
link http://youtu.be/xPkOAnK20kw.

La legge H-W può essere applicata solamente se la popolazione è in condizione di


equilibrio genetico, anche conosciuto come equilibrio di Hardy-Weinberg, il quale
asserisce che una popolazione è in equilibrio genetico quando le varie frequenze alleliche
presenti nel pool genico rimangono costanti nel tempo: in pratica quando non sono in
essere processi evolutivi di alcun tipo (altrimenti le frequenze alleliche cambierebbero).

Le condizioni che devono sussistere in una popolazione affinché la legge H-W sia valida
sono le seguenti:
la popolazione deve avere un numero di individui sufficiente, infinitamente grande
sarebbe preferibile, di modo che possano essere applicate le leggi della probabilità,
poiché è necessario che le frequenze osservate e misurate siano ragionevolmente
Evoluzione

corrispondenti alle relative probabilità;


gli incroci tra i membri della popolazione devono essere casuali (si parla di
panmissia);
tutti i membri devono potersi accoppiare e riprodurre (quindi assenza di selezione
naturale);
non devono verificarsi eventi interni o esterni che portino a variazioni nelle fre-
quenze alleliche (come mutazioni, flusso genico, deriva genetica).
Biologia 1165

Se un carattere è presente in una popolazione con


due soli alleli (indicati con S e s), si indica con
p la frequenza dell’allele dominante (e quindi più
frequente) e con q quella dell’allele recessivo (me-
no frequente). Se gli incroci sono casuali è possibile
prevedere e calcolare le frequenze con cui compari-
ranno i tre genotipi nella popolazione per mezzo di
un quadrato di Punnett (Figura 5.1).
Le frequenze genotipiche vengono ottenute svi-
luppando il quadrato della somma delle frequenze
alleliche p e q, secondo la legge di Hardy-Weinberg:
Figura 5.1: Quadrato di Punnett per il
(p + q)2 = p2 + 2pq + q2 calcolo delle frequenze alleliche per la
legge di Hardy-Weinberg.
dove p è la frequenza dell’allele dominante (S) nel
pool genico, q è la frequenza dell’allele recessivo (s)
nel pool genico, p2 è la frequenza degli omozigoti dominanti (SS) nella popolazione,
2pq è la frequenza degli eterozigoti (Ss) nella popolazione, e q2 è la frequenza degli
omozigoti recessivi (ss) nella popolazione.
Chiaramente la somma delle frequenze alleliche (p + q) dovrà essere sempre uguale
ad uno.
Nelle popolazioni naturali è molto difficile riscontrare i requisiti per l’applicazione
della legge H-W, ma essa può dare uno strumento teorico per descrivere il loro pool
genico ideale ed effettuare quindi un confronto.

5.2 Le prove dell’evoluzione


Esistono molti elementi di conferma della validità della teoria evoluzionistica forniti da
diversi campi di studio:
paleontologia: il ritrovamento dei fossili, la loro datazione ed il loro studio com-
parato hanno dimostrato che non tutte le forme di vita presenti sulla Terra erano
presenti in passato;
biogeografia: la distribuzione degli organismi viventi nelle varie zone della Terra
fornisce prove evidenti a sostegno dell’evoluzione;
anatomia comparata: l’anatomia comparata riesce a portare prove evidenti del-
l’evoluzione biologica comparando le diverse strutture anatomiche presenti nelle
diverse specie;
embriologia comparata: l’esame degli embrioni di specie diverse di vertebrati
Biologia

ha consentito di osservare come tutti gli embrioni siano molto simili nei primi
stadi dello sviluppo (Figura 5.2), diversificandosi successivamente nel corso dello
stesso;
citologia: la cellula costituisce l’unità fondamentale della vita ed è quindi chiaro
che tutte le specie viventi si sono evolute da un progenitore comune;
biologia molecolare: la biologia molecolare, attraverso indagini di compara-
zione delle sequenze di DNA e di proteine simili presenti nelle diverse specie,
1166 Ereditarietà e ambiente

ha potuto fornire importanti indizi di una evoluzione molecolare che prelude al-
la evoluzione anatomica, poiché non possono esistere modificazioni anatomiche
senza modificazioni genetiche. Anche il fatto che il codice genetico si presenti a
triplette in tutti gli esseri viventi (piante, animali, virus, batteri), fa supporre che
la diversificazione delle varie specie sia partita da un progenitore comune.

Figura 5.2: Prove dell’evoluzione fornite dall’embriologia comparata. Disegno di Ernst Haeckel del 1874.

5.3 Le basi genetiche dell’evoluzione


Abbiamo già stabilito che le popolazioni, essendo l’unità di base del cambiamento
evolutivo, sono soggette a processi evolutivi che tendono a modificare il pool genico
nel corso del tempo. È opportuno ora approfondire le cause, cioè i fattori evolutivi,
che sono alla base di tali modificazioni. I fattori evolutivi sono sostanzialmente cinque:
Evoluzione

le mutazioni, il flusso genico, la deriva genetica, le modalità di incrocio e la selezione


naturale.

5.3.1 Mutazioni
Le mutazioni (§ 4.7) possono essere definite come cambiamenti casuali del corredo
cromosomico di una cellula (o di un individuo) che possono generare nuove varianti
alleliche in un gene o tratto di DNA: le mutazioni sono la fonte principale di variabilità
genetica. È stato calcolato che ogni nuovo individuo può essere in media portatore di
due nuove mutazioni che vanno ad accumularsi nel pool genico della popolazione. Quin-
Biologia 1167

di le mutazioni sono di fondamentale importanza per il processo di evoluzione, dato


che forniscono la variabilità genetica sulla quale agiscono gli altri processi evolutivi.
Le mutazioni possiedono il potenziale di influire sull’evoluzione facendo variare le fre-
quenze alleliche all’interno di una popolazione, poiché alcune di esse saranno dannose
ed eliminate dalla popolazione, mentre altre porteranno dei vantaggi agli individui che
le possiedono e si diffonderanno nella popolazione. Il fatto che una mutazione sia fa-
vorevole o dannosa dipende dall’ambiente specifico, e se l’ambiente cambia, mutazioni
sfavorevoli o neutrali possono diventare vantaggiose.

5.3.2 Flusso genico


Una delle assunzioni della legge di H-W è che la popolazione sia chiusa e non influen-
zata da processi evolutivi esterni. Molte popolazioni sono però in contatto l’una con
l’altra e questo porta ad eventi di migrazione che possono alterare l’equilibrio di
Hardy-Weinberg, influendo sull’evoluzione delle frequenze alleliche all’interno della po-
polazione. Il termine migrazione implica un movimento di individui, ma nella genetica
di popolazioni è più opportuno parlare di movimenti di geni, poiché gli individui pos-
sono essere visti come contenitori di geni. Il movimento dei geni ha luogo solo quando
gli organismi (o i gameti per alcune specie) migrano e contribuiscono con i loro geni al
pool genico della popolazione ricevente. Ci si riferisce a questo processo come flusso
genico. Il flusso genico ha due effetti principali:

introduce nuovi alleli nella popolazione: dato che la mutazione è un evento raro,
un allele mutato specifico può insorgere in una popolazione e non in un’altra,
quindi il flusso genico diffonde gli alleli unici ad altre popolazioni e costituisce
quindi una seconda fonte di variabilità genica per la popolazione;

cambia le frequenze alleliche all’interno della popolazione ricevente: se le frequen-


ze alleliche dei migranti e della popolazione ricevente sono diverse, allora il flusso
genico tenderà a rendere simili le due popolazioni, agendo come forza unificante.

5.3.3 Deriva genetica


La legge di H-W vorrebbe che la popolazione fosse infinitamente grande: le popolazioni
reali, pur avendo dimensioni finite, sono sufficientemente grandi affinché si riscontrino
le proporzioni attese delle frequenze alleliche. Tuttavia alcune popolazioni sono piccole
e in questi gruppi di individui i fattori casuali possono giocare un ruolo fondamentale
nel variare le frequenze alleliche.
La variazione delle frequenze alleliche dovuta al caso viene chiamata deriva ge-
netica o anche effetto Sewall Wright, dal nome del genetista di popolazioni che la
Biologia

definı̀ negli anni ’30 del XX secolo.


Esempi di deriva genetica:

in primo luogo, come già detto, si ha deriva genetica quando la dimensione


della popolazione rimane per molto tempo piccola, e questo può avvenire se la
popolazione occupa un habitat marginale, se la competizione per le risorse limita
la crescita della popolazione oppure se la popolazione viene frammentata in sub-
popolazioni molto piccole per cause naturali (areale troppo vasto) o artificiali
(deforestazione da parte dell’Uomo);
1168 Ereditarietà e ambiente

effetto del fondatore (o speciazione peripatrica): ha luogo quando una po-


polazione viene stabilita inizialmente a partire da un piccolo numero di individui
che si sono distaccati da una popolazione madre e che cominciano a riprodursi
tra di loro. Sebbene la popolazione possa in seguito crescere di dimensioni, il pool
genico della nuova popolazione deriverà sempre da quello degli individui fondato-
ri. Il caso può stabilire quali fossero i geni presenti tra i fondatori, e questo avrà
effetto sull’intero pool genico delle generazioni seguenti;

effetto collo di bottiglia: ha luogo quando una popolazione subisce una dra-
stica riduzione delle proprie dimensioni ad opera di eventi catastrofici (epidemie,
alluvioni, eruzioni vulcaniche, eccessiva predazione, ecc.), che modificano il pool
genico dei sopravvissuti selezionandone casualmente solo una piccola parte (e di-
minuendone quindi la variabilità). Un esempio di effetto collo di bottiglia è rap-
presentato dagli elefanti marini boreali: la causa è l’eccessiva predazione umana
avuta luogo nel XIX secolo, che ha ridotto a 20 individui totali l’intera specie.

5.3.4 Modalità di incrocio


La legge di H-W richiede che i membri della popolazione si incrocino in maniera casuale
(panmissia), cioè che non scelgano il proprio partner in base a caratteri ereditabili
visibili, come la statura, la robustezza fisica, ecc. Gli esseri umani effettuano continua-
mente incroci non casuali per caratteri fenotipici visibili (bellezza, colore dei capelli,
forma fisica, capacità di socializzazione, ecc.) ma non possono scegliere il partner per
il gruppo sanguigno, poiché esso costituisce un carattere non visibile. È però possibile
riscontrare all’interno di una specie l’esistenza di sottogruppi genetici (conosciuti come
etnie) in cui gli individui tendono ad incrociarsi fra loro (endogamia).
Tutte le modalità di incrocio che deviano da una scelta casuale del partner possono
condurre ad un’alterazione delle frequenze genotipiche all’interno della popolazione,
modificando l’assetto del pool genico.
Si possono riscontrare tre tipi di incrocio non casuale, che non portano ad altera-
zione delle frequenze alleliche in una popolazione ma solo a cambiamenti nelle frequenze
genotipiche:

incrocio assortativo (o per assortimento): si ha incrocio (o accoppiamento)


assortativo positivo quando c’è un accoppiamento preferenziale tra individui che
mostrano un fenotipo simile. L’incrocio per assortimento positivo è comune nelle
popolazioni naturali: per esempio, gli uomini si incrociano assortativamente per la
statura, cioè uomini alti tendono a sposare donne alte in una maniera che devia
dalla casualità. Si ha invece incrocio (o accoppiamento) assortativo negativo
quando individui dal fenotipo differente si accoppiano tra loro più spesso che non
Evoluzione

con individui presi a caso.

inincrocio (o inbreeding): consiste nell’incrocio preferenziale tra parenti stretti,


quindi potrebbe essere visto come un assortimento positivo per il grado di paren-
tela. Abbiamo inbreeding quando si verifica un accoppiamento tra consanguinei
in maniera più frequente rispetto a quella dettata dalla casualità: un esempio è
l’autofecondazione che può avvenire in alcune specie di piante (come ad esempio
il Pisum sativum). L’inbreeding porta ad una modificazione delle frequenze geno-
tipiche (non delle frequenze alleliche), conducendo ad un aumento dell’omozigosi
Biologia 1169

all’interno della popolazione, e venendo ridotta al contempo l’eterozigosi. Dato


che l’inincrocio porta ad un aumento dell’omozigosi (sia dominante che recessi-
va), esiste la possibilità che malattie genetiche o caratteri letali recessivi vengano
cosı̀ ad essere manifestati all’interno della popolazione, esponendoli alla selezione
naturale che tenderà ad eliminarli (proprio perché svantaggiosi).
eterosi (o outbreeding): consiste nell’incrocio preferenziale tra individui non
imparentati, quindi potrebbe essere considerato come una forma di incrocio per
assortimento negativo. L’eterosi è contrapposta all’inincrocio poiché l’accoppia-
mento preferenziale che avviene tra individui non imparentati produce un au-
mento dell’eterozigosi: è proprio la condizione eterozigote che, portando una
maggiore variabilità in termini di numero di alleli disponibili all’interno del sin-
golo individuo, induce una sorta di aumentata vigoria dello stesso individuo (ri-
scontrata naturalmente e selezionata dall’Uomo per esempio nel mais), chiamata
superiorità dell’eterozigote (o vantaggio dell’eterozigote), che viene favori-
ta dalla selezione naturale. Un caso di vantaggio dell’eterozigote è osservabile
nell’anemia falciforme: gli individui eterozigoti per la mutazione dell’emoglobina
che causa la malattia riescono a resistere meglio alla malaria rispetto ad individui
normali, e vengono quindi favoriti dalla selezione naturale.

Un chiaro esempio di incrocio assortativo è la selezione sessuale, cioè quella forma di selezio-
ne naturale che dipende dalla scelta non casuale del partner in base a specifiche caratteristiche
(anche indipendenti dalla possibilità di sopravvivenza dell’individuo) da parte di individui ap-
partenenti ad una data popolazione. Questo comportamento direzionale ha portato nel mondo
animale allo sviluppo di caratteri morfologici specifici (dimorfismo sessuale) che nulla han-
no a che fare con la sopravvivenza stretta dell’individuo, ma sono dei caratteri utili solamente
ai fini della selezione sessuale: ad esempio, se è la femmina a scegliere il partner, i maschi
saranno più colorati o avranno caratteri morfologici che possano attirare la femmina.

5.3.5 Selezione naturale


Come abbiamo appena visto le mutazioni, la deriva genetica ed il flusso genico alterano
l’assetto del pool genico di una certa popolazione ed influenzano l’evoluzione di una
specie. Ma nessuno di questi tre processi, i principali in grado di alterare le frequenze
alleliche, ha un significato prettamente adattativo. L’adattamento è quel processo
per cui i caratteri si evolvono per dare luogo ad organismi più adattati all’ambiente
immediatamente circostante: questi caratteri migliorano le probabilità di sopravvivere
e di riprodursi di un individuo. In questa ottica, l’adattamento è la diretta conseguenza
della selezione naturale. La selezione naturale è quindi la forza dominante dell’evo-
luzione di molti caratteri ed ha forgiato molta della variabilità fenotipica (numero di
Biologia

specie) che osserviamo in natura. Attraverso la selezione naturale i caratteri che con-
tribuiscono alla sopravvivenza ed alla riproduzione aumentano col tempo, ed è proprio
in questo modo che gli organismi si adattano all’ambiente circostante.
La selezione naturale può essere definita come la riproduzione differenziale dei ge-
notipi, ovvero gli individui che possiedono certi geni producono una progenie più nu-
merosa di altri e pertanto quei geni aumenteranno la loro frequenza nella generazione
successiva.
1170 Ereditarietà e ambiente

In questa ottica la selezione naturale non viene vista come una lotta per la soprav-
vivenza, ma come un differente successo riproduttivo degli organismi meglio adattati
all’ambiente immediatamente circostante.
La probabilità che un particolare genotipo sopravviva e si riproduca, in relazione ad
un dato ambiente circostante, viene chiamata fitness darwiniana (w) (Tabella 5.1).
Quindi la fitness viene considerata una misura del successo riproduttivo di un dato
genotipo, il quale potrà avere differenti valori di w al variare dell’ambiente. Il range di
valori che può assumere w va da 0 ad 1, dove con 1 si intende la maggior efficienza
riproduttiva possibile per un dato genotipo rispetto ad un altro genotipo, cioè quello
che produce il numero medio di progenie per adulto più alto. È chiaro che la fitness può
essere calcolata solo in base agli individui che possono riprodursi, infatti un individuo
sterile ha fitness darwiniana pari a zero. Una misura correlata alla fitness darwiniana
(w) è il coefficiente di selezione (S), che è una misura dell’intensità relativa di
selezione su un genotipo.
Genotipi SS Ss ss
Adulti in grado di riprodursi (generazione P) 50 40 30
Numero della progenie prodotta (generazione 90 80 30
F1)
Numero medio di progenie per adulto 90/50 = 1,8 80/40 = 2 30/30 = 1
Fitness (w, numero relativo di progenie 1.8/2 = 0,9 2/2 = 1 1/2 = 0,5
prodotta)
Coefficiente di selezione (S=1-w) 1 – 0,9 = 0,1 1 – 1 =0 1 – 0,5 = 0,5

Tabella 5.1: Calcolo della fitness darwiniana (w) e del coefficiente di selezione (S).

5.3.6 Selezione artificiale


Come è stato anticipato in precedenza, la selezione artificiale viene operata dall’Uo-
mo su alcuni caratteri di piante ed animali che gli consentano un ritorno in termini
economici o altro. Gli allevatori e gli agricoltori fanno uso degli stessi metodi di genetica
quantitativa usati dai genetisti delle popolazioni in modo da poter predire con ragio-
nevole accuratezza la velocità e la magnitudine della variazione genetica che stanno
cercando di guidare in un dato momento. Quindi nella selezione artificiale, diversamen-
te da quanto accade per la selezione naturale, sono gli uomini a selezionare gli individui
con un certo carattere (o più caratteri) che dovranno sopravvivere e riprodursi. Se i
caratteri selezionati hanno una base genetica, anch’essi varieranno e si evolveranno col
tempo, proprio come i caratteri nelle popolazioni naturali si evolvono come risultato
della selezione naturale. La selezione artificiale può rappresentare un potente mezzo
per indurre un rapido cambiamento evolutivo, come risulta evidente dalla grande varia-
bilità che si osserva tra le piante e gli animali domestici. Infatti tutte le razze di cane
Evoluzione

oggi esistenti sulla Terra sono derivate da un’unica specie che fu addomesticata circa
10000 anni fa e tutte le razze oggi presenti sono il risultato di una selezione artificiale
e selettiva operata dall’Uomo per colore del pelo, dimensioni, comportamento, ecc.

5.4 Speciazione
La speciazione consiste nella formazione di nuove specie viventi e può essere di due
tipi: filetica o divergente. Un video di approfondimento è visibile qui:
http://youtu.be/rlfNvoyijmo.
Biologia 1171

La speciazione filetica (anche chiamata anagenesi ) avviene attraverso una lenta


e graduale trasformazione di una specie in un’altra, che rimpiazza la prima. Secon-
do questo tipo di speciazione, la specie si deve adattare gradualmente all’ambiente
che è anch’esso in trasformazione continua e graduale.

La speciazione divergente consiste invece nella generazione di due (cladogenesi)


o più (radiazione adattativa) specie a partire da una sola. In questo caso sareb-
be più opportuno parlare di linee filetiche che emergono e si originano a partire
da una specie ancestrale, le quali poi evolvono in specie anch’esse (quando un set
specifico di geni viene fissato). La radiazione adattativa può in genere verificarsi
quando sono disponibili (o vengono rese disponibili) nuove nicchie ecologiche in
cui una singola specie può adattarsi e diversificarsi.
Il termine nicchia ecologica, formalizzato nel 1957 dall’ecologo inglese George Hut-
chinson, definisce uno spazio a n-dimensioni occupato da una popolazione e descritto
da tutte quelle variabili fisiche (ad esempio habitat) e biologiche (ad esempio interre-
lazioni con le altre specie) che concorrono a definire l’ambiente in cui una popolazione
si trova.

La speciazione divergente è molto ben documentata dai reperti fossili, dove essa si presenta
come una sorta di esplosione evolutiva, la quale implica il formarsi di numerose nuove
specie a partire da un progenitore comune. Un esempio di radiazione adattativa documentata
dai fossili si trova negli scisti di Burgess (o argilloscisti), un deposito di rocce di varia natura
(per lo più alluminosilicati di calcio) localizzato nella Columbia Britannica (Canada) e datato
circa 570-510 milioni di anni fa (periodo del Cambriano). Questo sito contiene numerose specie
fossili ormai estinte che si trovano solo in quel luogo, e che sono l’esempio per eccellenza di
quella grande radiazione adattativa che va sotto il nome di esplosione del Cambriano.

Affinché il processo di speciazione abbia luogo e si formino quindi nuove specie a partire
da una ancestrale, è necessario che tra due popolazioni all’interno della specie ancestrale
non vi sia più alcun tipo di flusso genico. È quindi necessario che vi sia un isolamento
riproduttivo che impedisca ai membri delle due popolazioni di scambiarsi i geni:
in questo modo i due pool genici relativi alle due popolazioni potranno cominciare
a divergere, approfondirsi e mantenersi fino a rendere impossibile la riproduzione tra
due membri casuali appartenenti ognuno ad una delle due popolazioni. A questo punto
quindi le due specie risultano essere diversificate e distinte. L’isolamento riproduttivo
viene quindi considerato il motore primario del processo di speciazione.
A seconda del tipo di isolamento riproduttivo possiamo avere due tipi di speciazione:

speciazione allopatrica, che avviene quando si ha isolamento riproduttivo


attraverso una separazione geografica di due popolazioni di una stessa specie;
Biologia

speciazione simpatrica, che avviene quando si ha isolamento riproduttivo do-


vuto ad altri meccanismi che non implicano una separazione geografica, quali il
comportamento o la fisiologia.

5.4.1 Speciazione allopatrica


La speciazione allopatrica si verifica quando avviene un isolamento geografico tra
due popolazioni di una stessa specie che provoca quindi un isolamento riproduttivo. In
1172 Ereditarietà e ambiente

questo caso la generazione di nuove specie dipenderà dalle condizioni ambientali in cui le
popolazioni si vengono a trovare, che potranno presentare un gradiente di temperatura,
umidità, altitudine o altro, e le nuove specie che si potranno formare mostreranno
una variazione graduale in uno o più caratteri: questa variazione graduale relativa ad
un carattere osservabile nelle specie viene chiamato cline, ed ogni popolazione che è
possibile distinguere all’interno di un cline viene detta ecotipo.
Le barriere geografiche responsabili della speciazione allopatrica sono per lo più
costituite dagli oceani. Infatti è sulle isole che si verificano più eventi di speciazione.

5.4.2 Speciazione simpatrica


La speciazione simpatrica si verifica quando avvengono meccanismi di isolamen-
to che sono diversi da un isolamento geografico. Per questo motivo la speciazione
simpatrica è meno probabile ed anche meno frequente.

Un esempio di speciazione simpatrica si ha nel caso dei pesci ciclidi del lago Vittoria in
Africa, in cui circa 500 specie diverse appartenenti alla famiglia Cichlidae coabitano nello
stesso ambiente. È stato scoperto da uno studio del 2005 che le femmine dei ciclidi hanno
una percezione preferenziale dei colori del maschio della stessa specie e non di un’altra:
la separazione tra le specie è quindi fondata per lo più sulle preferenze sessuali delle
femmine, che selezionano i maschi in base alla colorazione. Questo, oltre alla presenza di
una forte variabilità genotipica (non allelica) interna alle popolazioni di ciclidi, ha fatto
sı̀ che numerose specie distinte si sviluppassero in uno stesso ambiente senza il bisogno di
una separazione geografica tra le singole popolazioni. È interessante il fatto che gli ibridi
che nascono dall’accoppiamento di due specie di ciclidi del lago Vittoria risultano essere
vitali e non sterili, indicando che il processo di speciazione è ancora nelle sue fasi iniziali.

La speciazione simpatrica può anche avvenire per mezzo della poliploidia.

5.5 Coevoluzione, convergenza evolutiva e preadattamento


Si ha coevoluzione quando due o più specie interagiscono cosı̀ tanto l’una con l’altra da
essere un fattore di selezione l’una per l’altra, ed in questo modo le due specie si trovano
ad essere adattate in maniera reciproca. Ad esempio, se una preda cambia un proprio
carattere per tentare di sfuggire ad una specie predatrice, quest’ultima cambierà in
maniera proporzionale. La coevoluzione può sfociare in mutualismo (o anche in simbiosi
obbligata) se la sopravvivenza di una specie dipende esclusivamente dalla sopravvivenza
di un’altra specie, per cui vengono a costituirsi rapporti di interdipendenza assoluta,
come nel caso di alcuni fiori che possono essere impollinati solo da alcune specie di api,
le quali a loro volta possono nutrirsi solo di quel determinato fiore.
Evoluzione

Si ha convergenza evolutiva quando due specie diverse coabitano lo stesso am-


biente (oppure ambienti distanti geograficamente, ma simili per condizioni) e vengono
quindi sottoposte alle stesse pressioni selettive (stesse nicchie ecologiche), risultando in
una somiglianza strutturale o fisiologica senza essere derivate da una specie ancestrale
comune. In questo caso le strutture anatomiche o fisiologiche che risultano essere simili
per funzione, ma che non derivano da un antenato comune, mostrano un’analogia. Un
esempio di analogia si osserva nello sviluppo di strutture anatomiche analoghe adatte
per il nuoto in specie che sono diverse per origine filogenetica (pesci, foche, balene,
pinguini).
Biologia 1173

Si ha preadattamento quando una struttura anatomica o una funzione fisiologica,


che in precedenza veniva usata per una funzione, viene poi adoperata per svolgere una
funzione diversa dall’originale. Poiché le specie viventi si evolvono a partire da struttu-
re preesistenti, che possono poi assumere funzioni diverse da quelle per cui erano state
progettate, il preadattamento è uno dei più importanti meccanismi messi a disposizio-
ne della selezione naturale, che può cosı̀ operare in maniera discreta su parti diverse
del corpo di un animale. Ad esempio, gli ossicini dell’orecchio medio dei mammife-
ri (martello, incudine, staffa), che costituiscono le più piccole ossa presenti nel corpo
umano, derivano da strutture che i pesci primitivi (cartilaginei, non ossei) utilizzavano
per respirare: il martello e l’incudine derivano dalla cartilagine di Meckel, mentre la
staffa deriva dalla porzione dorsale dell’arco ioideo (secondo arco viscerale). I rettili
utilizzano queste stesse strutture primitive come supporto osseo per la masticazione.
In questo caso le strutture anatomiche o fisiologiche che risultano essere diverse per
funzione, ma che derivano da un antenato comune, mostrano una omologia.
Si definiscono analoghe le strutture anatomiche o fisiologiche che risultano essere simili
per funzione, ma che non derivano da un antenato comune.
Si definiscono omologhe le strutture anatomiche o fisiologiche che risultano essere
diverse per funzione, ma che derivano da un antenato comune.

Le strutture anatomiche o fisiologiche a volte possono non essere utilizzate dall’evoluzione e


rimangono quindi come caratteri vestigiali (o strutture vestigiali). Nell’Uomo, ad esem-
pio, è presente il coccige (una fusione delle ultime quattro vertebre), che testimonia come un
tempo i nostri antenati avessero una coda.

5.6 I modelli evolutivi: gradualismo filetico ed equilibri punteggiati


Una volta compresi i meccanismi con cui si genera la variabilità genetica all’interno
di una specie (o di una popolazione) su cui agisce la selezione naturale e le modalità
di speciazione, è opportuno considerare dei modelli sintetici dell’evoluzione che
tengano in considerazione come l’evoluzione operi su scale temporali di media e grande
magnitudine (scala geologica).
Il gradualismo filetico predomina all’interno della teoria sintetica neodarwinista
dell’evoluzione: lo stesso Darwin aveva proposto che i cambiamenti o trasformazioni
nelle strutture anatomiche o fisiologiche di un individuo si sviluppassero in maniera
lenta e graduale attraverso modificazioni progressive. Questo concetto porta con sé
l’esistenza di specie intermedie che mostrino caratteri di transizione da una struttura
ad un’altra.
Biologia

Nel 1972 venne proposto un nuovo modello dell’evoluzione: la teoria degli equi-
libri punteggiati. Questa teoria sostiene che le specie rimangano stabili da un punto
di vista delle strutture anatomiche o fisiologiche per lunghissimi periodi di tempo, ma
questa stabilità viene interrotta (punteggiata) da rapide trasformazioni che modificano
radicalmente la morfologia anatomica, portando alla generazione ed alla improvvisa
comparsa di una (o più) nuove specie, un po’ come nel caso dei terremoti, dove l’ener-
gia elastica dei movimenti tellurici viene immagazzinata impercettibilmente nella crosta
terrestre e poi viene improvvisamente liberata. I brevi periodi di modificazione corri-
spondono a decine di migliaia di anni, mentre i lunghi periodi di stasi corrispondono
1174 Ereditarietà e ambiente

a milioni di anni. Secondo la teoria degli equilibri punteggiati è sempre la popolazio-


ne l’unità fondamentale in cui si sviluppano queste radicali trasformazioni, poiché tali
cambiamenti avvengono in piccole popolazioni che le accumulano nel corso del primo
1% della durata di vita di una specie, come definito dalla speciazione allopatrica. Le due
specie possono coesistere in maniera indisturbata, finché sussistono entrambe le nicchie
ecologiche. In molti casi la nuova specie entra in competizione con la prima e la scalza
secondo una modalità di speciazione divergente (radiazione adattativa), decretandone
l’estinzione.
Il gradualismo filetico sostiene quindi che il processo di selezione avvenga a livello del
singolo individuo, mentre la teoria degli equilibri punteggiati sostiene che tale processo
avvenga a livello della popolazione (o dell’intera specie).

5.7 Quesiti

1) L’ereditarietà dei caratteri acquisiti è E il braccio di un uomo e l’ala di un insetto


uno dei principi della teoria di:
4) Le prove dell’evoluzione non sono
A Darwin fornite da:
B Lamarck A anatomia comparata
C Cuvier B embriologia comparata
D Hardy e Weinberg C la biologia molecolare
E Malthus D lo studio dei reperti fossili
E la fisiologia
2) Cosa hanno in comune le teorie
evolutive di Lamarck e di Darwin? 5) Il fenomeno del “collo di bottiglia”:
A Entrambe sostengono che le caratteri- A si riferisce ad un esempio di selezione
stiche acquisite possano essere trasmes- naturale
se alla prole B rappresenta un caso di deriva genetica
B Entrambe sostengono che l’uso ed il di- C mantiene l’equilibrio genetico di una
suso porti a sviluppare o a perdere al- popolazione
cune caratteristiche che in tal modo
possono o no essere ereditate D non varia le frequenze alleliche della
popolazione
C Entrambe sostengono che gli individui
tendono a produrre più figli di quanti E rientra nella legge di Hardy-Weinberg
ne possano sopravvivere 6) La speciazione allopatrica:
D Entrambe sostengono che l’evoluzione
A non avviene mai
sia un processo graduale
B si ha in seguito ad isolamento geografico
Evoluzione

E Entrambe sostengono che l’evoluzione


sia un processo rapido delle popolazioni
C si ha in seguito alla formazione di ibridi
3) Sono strutture omologhe:
D si ha in seguito all’effetto collo di
A l’ala di pipistrello e il braccio di un bottiglia
uomo E è detta speciazione per effetto del
B l’ala di pipistrello e le scaglie di un pesce fondatore

C l’ala di un uccello e quella di un insetto 7) È vero che l’effetto del fondatore:


D l’ala di un insetto e la pinna di una A non porta ad una variazione delle
balena frequenze alleliche della popolazione
Biologia 1175

B è dovuta alla selezione naturale A l’anemia falciforme predispone allo


C si ha quando pochi individui si staccano sviluppo della malaria
da una popolazione grande per fondarne B l’anemia falciforme rende gli individui
un’altra più sensibili al plasmodio della malaria
D mantiene l’equilibrio genetico della
C la malaria causa anemia falciforme
popolazione
E è un evento non casuale D l’anemia falciforme in eterozigosi costi-
tuisce un vantaggio per gli individui
8) Le teorie di Darwin furono influenzate
nelle zone di diffusione della malaria
da Malthus, il quale sosteneva:
E l’anemia falciforme in omozigosi costi-
A la teoria catastrofista
tuisce un vantaggio per gli individui
B l’esistenza di risorse limitate, quindi la nelle zone di diffusione della malaria
lotta per la sopravvivenza
C la genetica mendeliana 10) È vero che la selezione sessuale:
D l’ereditarietà dei caratteri acquisiti
A è una forma di selezione naturale
E che una popolazione cresce in maniera
illimitata B non influenza l’equilibrio genetico di
9) L’anemia falciforme è una malattia au- una popolazione
tosomica recessiva molto grave. È stato C esiste in una popolazione panmittica
osservato che un numero elevato di in-
dividui portatori di tale malattia risulta D rientra nella legge di Hardy-Weinberg
concentrato nelle aree di diffusione del-
la malaria. Questo fatto si può spiegare E non fa variare le frequenza allaleiche
sapendo che: della popolazione

5.8 Soluzioni commentate ai quesiti


1) B . Nella sua teoria evolutiva Lamarck propose due principi: il principio dell’uso e
del non uso e il principio dell’ereditarietà dei caratteri acquisiti.
2) D . Sia Lamarck (per primo) che Darwin sostennero che le specie potessero subire dei
cambiamenti gradatamente nel tempo. Tuttavia i meccanismi proposti per tentare
di spiegare questo processo sono molto diversi.
3) A . Sono dette omologhe le strutture dei vari organismi che hanno la medesima
derivazione embrionale, non necessariamente lo stesso uso.
4) E . Esistono diverse prove a favore della teoria evoluzionistica, tra cui (1) lo studio
dei fossili, che ha permesso di scoprire l’esistenza di specie antiche ormai estinte, (2)
l’anatomia e l’embriologia comparate, che hanno permesso di individuare omologie
nelle varie specie e di rapportate tali caratteristiche alla vicinanza evolutiva, (3)
la biogeografia che studia la distribuzione delle specie viventi nei territori, (4) la
biologia molecolare che ha individuato nell’universalità del codice genetico la prova
Biologia

che gli organismi possano provenire tutti da un antenato comune.


5) B . L’effetto collo di bottiglia è un fenomeno di deriva genetica, in cui una popola-
zione subisce una drastica riduzione nel numero di individui: gli individui rimanenti
(non in seguito ad un processo di selezione naturale, ma sopravvissuti per caso)
possono non essere rappresentativi delle frequenze alleliche dell’intera popolazione
originaria, per cui si ha una variazione delle frequenze alleliche della popolazione. I
fenomeni di deriva genetica rappresentano dei fattori che non rientrano nella legge
di Hardy-Weinberg, che si riferisce ad una popolazione all’equilibrio genetico.
1176 Ereditarietà e ambiente

6) B . I meccanismi principali di speciazione (di formazione di nuove specie viventi) so-


no quattro: speciazione simpatrica, allopatrica, parapatrica e peripatrica. La prima
consiste nella formazione di ibridi o in seguito a poliploidia ed è molto frequen-
te nelle piante. La speciazione allopatrica invece avviene in seguito all’isolamento
geografico: due popolazioni vengono separate e col tempo tendono a formare spe-
cie diverse che non possono più essere incrociate. Nella speciazione parapatrica la
divergenza avviene all’interno di popolazioni che non sono totalmente isolate geo-
graficamente ma possiedono una ristretta zona di contatto. Infine la speciazione
di tipo peripatrico è dovuta al cosiddetto “effetto fondatore”, che si ha quando
un piccolo numero di individui (non rappresentativi delle frequenze alleliche della
popolazione originaria) costituisce una nuova popolazione.

7) C . L’effetto del fondatore si ha quando, in seguito ad un prolungato periodo di


isolamento, si sviluppa una nuova popolazione a partire da un piccolo numero di
individui che non sono rappresentativi della variabilità genetica della popolazio-
ne originale. Determina quindi una variazione delle frequenze alleliche, quindi un
allontanamento dall’equilibrio genetico della popolazione.
8) B . La teoria di Malthus era indirizzata all’ambito economico e demografico ma
influenzò in modo decisivo il lavoro di Darwin. Egli intuı̀ che la popolazione uma-
na non cresce in modo illimitato perché le risorse limitate generano la lotta per
la sopravvivenza. Questo concetto fu utilizzato da Darwin per spiegare il motore
dell’evoluzione: la lotta per la sopravvivenza che genera una competizione tra gli
individui per potersi alimentare e riprodurre.

9) D . Lo studio delle diffusione dell’anemia falciforme costituisce un esempio del co-


siddetto “vantaggio dell’eterozigote”. Sebbene l’anemia falciforme (che si manifesta
pienamente quando l’individuo è omozigote recessivo) sia una malattia molto grave,
in eterozigosi l’individuo portatore di un allele per la malattia manifesta solo un
tratto falciforme (i globuli rossi risultano comunque anomali) che risulta vantaggio-
so negli ambienti in cui è diffusa la malaria poiché ostacola il compimento del ciclo
riproduttivo del plasmodio della malaria.
10) A . Perché l’equilibrio genetico della popolazione sia mantenuto (cioè perché non
ci sia variazione delle frequenze alleliche della popolazione, quindi sia rispettata la
legge di Hardy-Weinberg), la popolazione deve essere panmittica, cioè tutti gli indi-
vidui devono possedere le stesse possibilità di accoppiamento. La selezione sessuale
rende la popolazione non panmittica perché gli accoppiamenti non sono più casuali,
e rappresenta una forma di selezione naturale.
Evoluzione
Anatomia e fisiologia
dell’uomo 6
L’anatomia studia la forma e la struttura di un organismo, inteso come un insie-
me coordinato di vari organi e sistemi interconnessi: l’organismo che prenderemo in
considerazione è l’Uomo.
Possono esistere due diverse forme di anatomia: quella macroscopica, che studia i
vari organi e sistemi (anche chiamati apparati) senza l’ausilio del microscopio, e quella
microscopica, che studia la struttura dei tessuti costituenti i vari organi (istologia) e
delle cellule costituenti i tessuti (citologia) con l’ausilio del microscopio.
La fisiologia è la disciplina che studia il funzionamento degli organismi viventi.
Passeremo ora in rassegna gli apparati del corpo umano.

6.1 Apparato tegumentario


L’apparato tegumentario è composto da cute, strato sottocutaneo e annessi cu-
tanei (Figura 6.1).
Le sue funzioni sono: sensoriale, protezione, escrezione, assorbimento, regolazione
della temperatura corporea, formazione di vitamina D.
La cute ha una superficie di circa 1,5−2 m2 negli adulti e si compone di 2 strati
(Figura 6.2):

1. epidermide (il più superficiale): lamina di epitelio pavimentoso stratificato;

2. derma (il più profondo): strato di tessuto connettivo.

Figura 6.1: Le diverse parti dell’apparato tegumentario.


1178 Anatomia e fisiologia dell’uomo

Epidermide
L’epidermide è costituita da un epitelio pavimentoso stratificato cheratinizzato,
privo di vasi sanguigni e terminazioni nervose. I nutrienti e l’ossigeno provengono dal
derma.
Sono presenti diversi strati nell’epidermide (Figura 6.2 e §2.6.1 Figura 2.29) il più
profondo dei quali è lo strato germinativo (o strato basale), costituito da cellule in attiva
proliferazione. Salendo in superficie si incontrano lo strato spinoso, lo strato granuloso,
lo strato lucido ed infine lo strato corneo. Quest’ultimo presenta cellule morte nelle
quali il citoplasma è stato rimpiazzato dalla cheratina. Le cellule dello strato corneo
sono continuamente eliminate (processo di desquamazione) e rimpiazzate da cellule che
a mano a mano si spostano verso la superficie dagli strati sottostanti.
La cute si solleva in pieghe più o meno marcate. Sulle dita la cute forma delle
piccole pieghe, geneticamente diverse per ciascun individuo (dermatoglifi), che nel
loro insieme formano le impronte digitali.
Nel derma e nello strato basale dell’epidermide si trovano i melanociti: queste cel-
lule producono melanina e la accumulano nei melanosomi che a loro volta vengono
ceduti ai cheratinociti, determinando cosı̀ il colore della pelle. Il colore della cute
dipende anche dalla vascolarizzazione del derma, dalla presenza di pigmenti biliari
nel sangue e dai carotenoidi presenti nel grasso sottocutaneo. I cheratinociti sono le
cellule predominanti nell’epidermide ma sono presenti anche altri tipi cellulari: mela-
nociti, cellule di Langerhans e cellule di Merkel. Le cellule di Langerhans sono cellule
dendritiche che si originano nel midollo osseo e sono coinvolte nelle risposte immu-
nitarie. Le cellule di Merkel sono le meno numerose tra tutti i tipi cellulari presenti
nell’epidermide; si localizzano nello strato più profondo dell’epidermide, dove vengono
in contatto con il terminale di una cellula nervosa a formare la struttura denominata
disco di Merkel o recettore di Merkel. Queste strutture fungono da meccanorecettori
ed hanno una funzione di recettore sensoriale del tatto.
Derma La giunzione dermo-epidermica costituisce il limite tra epidermide e derma.
È irregolare per la presenza di creste epidermiche che affondano nel derma. Gli spazi
tra le creste si chiamano papille dermiche
(vedi link https://www.youtube.com/watch?v=SdQCGYZVFcQ).
Il derma è costituito da tessuto connettivo nella cui matrice sono presenti fibre
collagene e fibre elastiche. Le cellule presenti nel derma sono: fibroblasti, macrofagi e
mastociti. Nel derma sono poi presenti: vasi sanguigni, vasi linfatici, recettori sensoriali
e annessi cutanei.
Il sottocutaneo o ipoderma è costituito da: tessuto connettivo ricco di tessuto
adiposo, vasi e nervi. Il derma e l’ipoderma sono sede di numerosi recettori senso-
riali (Figura 6.3): corpuscolo del Pacini, recettore di Merkel, corpuscolo del
Anatomia

Meissner e nocicettori (o recettori del dolore).

6.1.1 Annessi cutanei


Nella cute sono presenti altre strutture che vengono chiamate annessi cutanei: peli,
ghiandole sebacee, ghiandole sudoripare, e unghie.
I peli (Figura 6.4 A) sono sottili filamenti cheratinizzati sporgenti dalla cute e sono
composti da:

fusto;
Biologia 1179

Figura 6.2: Strati della cute.

Figura 6.3: Recettori sensoriali presenti nell’ipoderma (o sottocutaneo).

radice con bulbo pilifero e papilla;


muscolo erettore del pelo (che si contrae in caso di freddo, dolore e paura),
costituito da cellule muscolari lisce;
Biologia

ghiandola sebacea.
Le ghiandole sebacee (Figura 6.4 B):
consistono di cellule epiteliali secernenti;
sono assenti sul palmo della mano e sulla pianta del piede;
producono sebo, una sostanza lipidica che viene secreta a livello del pelo e che
rende impermeabile la cute.
1180 Anatomia e fisiologia dell’uomo

Figura 6.4: Gli annessi cutanei: peli (Figure A e B), ghiandole sudoripare (Figura C), unghia (Figura D).

Le ghiandole sudoripare (Figura 6.4 C):


si trovano nel derma profondo e sono assenti sul letto ungueale e sui bordi delle
labbra;
sono costituite da cellule epiteliali e sono stimolate dal sistema nervoso simpatico
in risposta all’aumento della temperatura e alla paura;
possono essere eccrine (o merocrine) o apocrine; il dotto escretore sbocca sul-
la cute. In una ghiandola apocrina l’estremità della cellula secernente viene
Anatomia

espulsa insieme al secreto; una ghiandola merocrina rilascia solo il prodotto di


secrezione.
la funzione principale del sudore secreto dalle ghiandole sulla superficie della pelle
è la regolazione della temperatura corporea. L’evaporazione del sudore diminuisce
la temperatura della superficie corporea e la quantità di sudore prodotto è regola-
ta dal centro di regolazione della temperatura presente nell’ipotalamo. L’eccessiva
sudorazione può portare a disidratazione e a una severa perdita di sali.
Le unghie (Figura 6.4 D):
Biologia 1181

sono lamine cornee prodotte dall’epidermide sovrapposta alla faccia dorsale della
falange distale. La lamina è composta da scaglie cornee fittamente stipate (ex
cellule epiteliali corneificate e morte); poggia su una superficie cutanea detta
letto ungueale ed è circondata da una piega dell’epidermide detta vallo ungueale;

l’unghia è composta da: radice, corpo, parte libera.

6.1.2 Riparazione delle ferite


La riparazione delle ferite dipende da diversi fattori: generali (età del soggetto, stato
generale di salute, presenza di patologie sistemiche, ecc.) e locali (presenza di corpi
estranei, irrorazione sanguigna, presenza di infezioni, ecc.). Il processo di guarigione
consiste di diverse fasi:

fase infiammatoria: a seguito di un danno del tessuto intervengono le piastrine e


si forma un coagulo (§6.6.5). Nella zona del coagulo convergono cellule ad attività
fagocitica, i macrofagi e i granulociti neutrofili, che rimuovono detriti cellulari e
sostanze estranee;

fase proliferativa: i fibroblasti proliferano e producono fibre collagene; si ha pro-


liferazione anche di cellule epiteliali dello strato germinativo.

fase di maturazione: la ferita viene chiusa da una cicatrice.

6.1.3 Ustioni
Le lesioni da calore, freddo, corrente elettrica, radiazioni ionizzanti e sostanze chimiche
sono definite ustioni. In base alla loro profondità si distinguono:

ustioni di primo grado: è interessata solo l’epidermide e in genere guariscono


in pochi giorni. I sintomi sono: dolore, arrossamento e gonfiore. Le scottature da
luce solare sono, in genere, ustioni di primo grado;

ustioni di secondo grado: sono interessati sia l’epidermide sia lo strato su-
periore del derma. I sintomi sono simili a quelli delle ustioni di primo grado
ma compaiono anche delle bolle. Con opportune precauzioni volte a prevenire le
infezioni, queste ustioni si risolvono in poche settimane;

ustioni di terzo grado: sono ustioni profonde che danneggiano sia l’epidermi-
de sia il derma. Sono ustioni che richiedono l’intervento medico perché possono
facilmente andare incontro a infezioni.
Biologia

6.2 Apparato scheletrico


Lo scheletro umano viene suddiviso in due parti:

scheletro assile: è situato lungo l’asse centrale del corpo e comprende cranio,
colonna vertebrale, costole e sterno;

scheletro appendicolare: comprende le ossa degli arti (braccia e gambe) e le ossa


dei cinti (cinto scapolare e cinto pelvico), che connettono gli arti allo scheletro
assile.
1182 Anatomia e fisiologia dell’uomo

Le ossa dello scheletro umano sono circa 206 (Figura 6.5) e possono essere di varia forma
e volume. In base alla forma si possono distinguere: ossa brevi (ad esempio ossa del
carpo e falangi), ossa piatte (ad esempio ossa del cranio e scapola), ossa irregolari
(ad esempio le vertebre), ossa sesamoidi (ad esempio la rotula) e ossa lunghe (ad
esempio femore, omero, tibia, perone, radio, ulna).
Anatomia

Figura 6.5: Lo scheletro umano: sono elencate le principali ossa.

Le ossa brevi hanno lunghezza, larghezza e spessore comparabili. Sono costitui-


te da tessuto osseo spugnoso (contenente midollo osseo rosso) rivestito da osso
compatto. Le loro superfici articolari sono rivestite da cartilagine.
Biologia 1183

Nelle ossa piatte la lunghezza e la larghezza prevalgono sullo spessore. Sono for-
mate da due strati di osso compatto che racchiudono uno strato di osso spugnoso
(contenente midollo osseo rosso).
Le ossa irregolari hanno forma complessa.
Le ossa sesamoidi hanno forma pressappoco discoidale e sono situate nei tendini.
Nelle ossa lunghe (Figura 6.6) la lunghezza prevale sulla larghezza e lo spessore.
Sono formate da un corpo all’incirca cilindrico chia-
mato diafisi e da due estremità terminali più o me-
no ingrossate chiamate epifisi, dotate di superfici
articolari per connettersi con le ossa contigue. La
diafisi, costituita da tessuto osseo compatto, è sca-
vata per tutta la sua lunghezza da un canale centra-
le contenente midollo osseo giallo, che ha funzioni
di riserva. Le epifisi sono costituite da tessuto os-
seo spugnoso, rivestito di tessuto osseo compatto.
A livello delle epifisi delle ossa lunghe è contenuto
il midollo osseo rosso, presente anche nel tessuto
osseo spugnoso degli altri tipi di ossa.

Il midollo osseo è il principale organo emopoietico dopo


la nascita. Nel midollo osseo rosso vi sono cellule del
compartimento linfoide (che danno origine ai linfociti
B e T) e cellule del compartimento mieloide (da cui
originano gli altri elementi del sangue).

Tutte le ossa, eccetto che a livello delle super-


fici articolari, sono rivestite dal periostio, una
membrana connettivale ricca di osteoblasti, i quali
contribuiscono alla riparazione in caso di frattura
ed ai fenomeni di rimaneggiamento dell’osso, che
avvengono di continuo nel tessuto osseo. Figura 6.6: Esempio di osso lungo: il
femore.

6.2.1 Scheletro assile


Lo scheletro assile comprende cranio, colonna vertebrale, costole e sterno. Il cranio è
costituito da ossa piatte e ossa irregolari che garantiscono protezione all’encefalo. Le
ossa sono connesse da suture, articolazioni fibrose immobili (§6.3).
Le 8 ossa craniche (Figura 6.7) sono: osso frontale, osso occipitale, sfenoide, etmoide,
Biologia

due ossa parietale, due ossa temporali.


La porzione facciale del cranio (splancnocranio) è costituita da 14 ossa: due ma-
scellari, due palatine, due zigomatiche, due lacrimali, due nasali, due conche nasali
inferiori, il vomere e l’osso mandibolare.
Le tre coppie di ossicini dell’orecchio medio (martello, incudine e staffa) fanno parte
dello scheletro del cranio.
L’osso ioide si trova nel collo, alla radice della lingua. Non si articola con nessun
altro osso ma è mantenuto in posizione da muscoli e legamenti.
1184 Anatomia e fisiologia dell’uomo

La colonna vertebrale è costituita, nell’adul-


to, da 24 vertebre, dall’osso sacro, derivato dalla
fusione di 5 vertebre, e dal coccige, derivato dalla
fusione di 4 vertebre. Le 24 vertebre sono suddivi-
se, a seconda della regione in cui si trovano, in: 7
vertebre cervicali, 12 vertebre toraciche, 5 vertebre
lombari.
Per indicare una vertebra si utilizza una nomen-
clatura che prevede una lettera, che indica la re-
gione (C, T o D, L), e un numero progressivo; ad
esempio la vertebra L1 è la prima vertebra lombare. Figura 6.7: Le ossa craniche.

Le prime due vertebre cervicali, C1 e C2, possiedono anche un nome specifico: la prima
vertebra cervicale è definita atlante, la seconda epistrofeo.

Ciascuna vertebra presenta il foro vertebrale, attraversato dal midollo spinale.


Le vertebre adiacenti sono separate tra loro mediante dischi intervertebrali, co-
stituiti da tessuto connettivo. I dischi hanno la funzione di ammortizzare gli urti e
permettono il movimento tra le vertebre. Se il disco intervertebrale fuoriesce dalla sua
sede si ha la cosiddetta ernia del disco.
La gabbia toracica (o cassa toracica) è costituita dallo sterno (un osso piatto),
dalle 12 paia di coste e dalle 12 vertebre toraciche. Le prime dieci paia di coste sono
collegate allo sterno mentre le ultime due coppie non si articolano con esso e sono dette
coste fluttuanti. La gabbia toracica protegge alcuni organi interni (cuore e polmoni) e
partecipa ai movimenti respiratori.

6.2.2 Scheletro appendicolare


Esso comprende le ossa degli arti e quelle dei due cinti scapolari e dei due cinti pelvici.
Il cinto (o cingolo o cintura) scapolare (o cinto pettorale) è costituito dalla
clavicola e dalla scapola e connette gli arti superiori allo scheletro assile.
Le ossa di ciascun arto superiore sono: omero (nel braccio), radio e ulna (nel-
l’avambraccio), 8 ossa del carpo (polso), 5 ossa del metacarpo e 14 falangi (nella
mano).
Il cinto pelvico connette gli arti inferiori allo scheletro assile ed è costituito dalle
due ossa delle anche, che si articolano tra loro attraverso la sinfisi pubica. Ciascun
osso dell’anca deriva dalla fusione di tre ossa: ileo, ischio e pube. Le ossa delle anche,
l’osso sacro e il coccige costituiscono il bacino o pelvi.
Anatomia

Le ossa di ciascun arto inferiore sono: femore (nella coscia), tibia e perone o fibula
(nella gamba), rotula o patella, 7 ossa del tarso (caviglia), 5 ossa del metatarso e 14
falangi (nel piede).

6.2.3 Fratture
Con il termine di frattura si intende la rottura di un osso. A seguito di una frattura,
le estremità fratturate dell’osso vanno incontro a saldatura per deposizione di nuovo
tessuto osseo e ciò si verifica mediante una successione di eventi, suddivisi in quattro
fasi.
Biologia 1185

1. Formazione dell’ematoma: al momento della frattura si ha una notevole fuoriusci-


ta di sangue dai vasi sanguigni dell’osso e del periostio. Ciò provoca la formazione
di un ematoma e conseguente infiammazione.
2. Nel giro di pochi giorni, una serie di eventi porta alla formazione di un callo
fibrocartilagineo: nuovi capillari si formano a livello dell’ematoma, dove cellule
ad attività fagocitaria rimuovono il coagulo, frammenti ossei e cellule morte.
Fibroblasti e condroblasti migrano verso la zona di frattura; i primi sintetizzano
fibre collagene che connettono le estremità fratturate e i condroblasti producono
cartilagine che, in seguito, va incontro a calcificazione. Gli osteoblasti producono
nuovo tessuto osseo spugnoso (§2.6.2).
3. Formazione del callo osseo: all’interno del callo cartilagineo si formano nuove
trabecole ossee che gradualmente lo trasformano in un callo osseo, costituito da
tessuto osseo spugnoso, mediante un processo di ossificazione encondrale.
4. Rimodellamento: per alcuni mesi avviene un continuo processo di rimodellamento
del callo osseo, con rimozione del materiale in eccesso da parte degli osteoclasti. Al
termine di questi eventi l’osso assume un aspetto molto simile a quello originario.

6.3 Le articolazioni
Le articolazioni sono strutture che uniscono le ossa tra loro.
È possibile classificare le articolazioni su base sia strutturale sia funzionale.
Dal punto di vista strutturale le articolazioni si suddividono in:
articolazioni fibrose: le ossa sono unite da tessuto connettivo fibroso. Esistono
tre tipi di articolazioni fibrose: le suture tra le ossa del cranio, le gonfosi (l’arti-
colazione del dente sull’alveolo mediante legamento parodontale) e le sindesmosi
(ad esempio l’articolazione tra radio e ulna). Si tratta di articolazioni immobili o
semimobili;
articolazioni cartilaginee: le ossa sono connesse mediante tessuto cartilagineo.
Sono articolazioni immobili o semimobili e ne esistono di due tipi: sincondrosi
(ad esempio l’articolazione sterno–costale della prima costa e la zona di cartila-
gine ialina presente nelle epifisi delle ossa lunghe dei bambini) e le sinfisi, nelle
quali l’articolazione si realizza mediante tessuto fibrocartilagineo (ad esempio le
articolazioni tra i corpi vertebrali e la sinfisi pubica);
articolazioni sinoviali: sono articolazioni mobili circondate da una capsula ar-
ticolare. Le ossa sono rivestite da cartilagine articolare, sono separate tra loro
da una cavità contenente un fluido, il liquido sinoviale (Figura 6.8) e possono
Biologia

compiere movimenti reciproci più o meno ampi (ad esempio ginocchio e gomito).
La capsula articolare è un manicotto fibroso che avvolge i due capi articolari e si
inserisce dove termina il periostio. La capsula articolare è costituita da tessuto
connettivo denso; la sua superficie interna è rivestita dalla membrana sinoviale,
riccamente vascolarizzata e costituita da cellule che producono il liquido sinovia-
le. I legamenti articolari sono posti esternamente alla capsula e ne rinforzano
la sua azione. Il liquido sinoviale bagna tutte le superfici della cavità articolare e
ha funzioni nutritizie e lubrificanti.
1186 Anatomia e fisiologia dell’uomo

La classificazione funzionale è basata


sul tipo di movimento, in base al quale è
possibile classificare le articolazioni in:

sinartrosi: sono articolazioni non mo-


bili con spazio articolare assente e ca-
pi congiunti da tessuto connettivo (per
esempio le suture del cranio);

anfiartrosi: sono articolazioni parzial-


mente mobili, ad esempio le sinfisi.

diartrosi: sono articolazioni mobili e


di tipo sinoviale.
Figura 6.8: Un’articolazione sinoviale.

6.3.1 Tipi di movimento


Le articolazioni consentono una serie di movimenti, tra i quali ricordiamo:

flessione ed estensione: la flessione determina la riduzione di un angolo mentre


l’estensione provoca l’aumento di un angolo. Ad esempio la flessione causa un pie-
gamento del gomito o del ginocchio mentre l’estensione li riporta nella posizione
iniziale;

iperestensione: è l’estensione prolungata oltre la normale posizione anatomica;

abduzione e adduzione: l’abduzione è l’allontanamento di un arto dalla linea


mediana del corpo, mentre l’adduzione è l’avvicinamento verso la linea mediana
del corpo;

circonduzione: è una combinazione dei movimenti descritti in precedenza, ovvero


flessione, estensione, abduzione e adduzione. In questo tipo di movimento un
arto descrive un cono nello spazio. Ad esempio, a livello dell’articolazione della
spalla, il braccio si muove descrivendo un cono con il vertice in corrispondenza
dell’articolazione;

rotazione: movimento di una parte attorno al proprio asse maggiore;

supinazione e pronazione: sono termini riferiti al movimento del radio attorno


all’ulna, riguardano quindi l’avambraccio; in pratica la supinazione porta il palmo
delle mani verso l’alto e la pronazione verso il basso.
Anatomia

6.4 Apparato muscolare


I muscoli hanno un capo di origine meno mobile, più vicino alla linea mediana, e un
capo di inserzione più mobile. Quando un muscolo si contrae l’inserzione si muove
verso l’origine.
I muscoli sono costituiti da:

una parte rossa (ventre);


Biologia 1187

una parte bianca lucente composta dal tendine e dall’aponeurosi (membrana


fibrosa che avvolge il muscolo).

In base alla forma, possono essere lunghi, larghi, brevi e anulari.


Sulla base della loro funzione si dicono agonisti i muscoli che causano un mo-
vimento, antagonisti quelli che agiscono in opposizione al movimento generato dagli
agonisti. I muscoli sinergisti si contraggono contemporaneamente agli agonisti.
In base al movimento che compiono, i muscoli si distinguono in:

flessori ed estensori;

adduttori e abduttori;

pronatori e supinatori;

intrarotatori ed extrarotatori.

La Figura 6.9 mostra i principali muscoli del corpo.

Figura 6.9: I principali muscoli del corpo umano.

I principali muscoli del capo, della bocca e del collo sono: occipitofrontale (permet-
Biologia

te di aggrottare le sopracciglia), elevatore delle palpebre, orbicolare (chiude gli occhi),


buccinatore (permette la masticazione e l’atto di fischiare), massetere (chiude la man-
dibola e permette di digrignare i denti), temporale (chiude la bocca ed è coinvolto nella
masticazione), sternocleidomastoideo (coinvolto nel movimento della testa), trapezio
(permette alla scapola di muoversi).
Nel tronco sono presenti: il grande dorsale e il grande pettorale (intervengono nel mo-
vimento del braccio), deltoide (coinvolto nei movimenti della spalla). La cuffia dei rota-
tori è un complesso muscolo-tendineo della spalla con origine nella scapola e inserzione
sull’omero. La funzione è di rotazione e di adduzione e abduzione dell’omero.
1188 Anatomia e fisiologia dell’uomo

Nell’arto superiore si trovano: bicipite brachiale (flette l’avambraccio sul braccio


e quest’ultimo sulla spalla), brachioradiale (permette la flessione del braccio sull’a-
vambraccio), brachiale (è il flessore principale dell’articolazione del gomito), tricipite
(consente l’estensione dell’avambraccio e interviene nell’adduzione del braccio).
I muscoli dell’addome sono: il retto addominale, l’obliquo esterno, l’obliquo interno,
il trasverso. La loro funzione è di supporto e protezione di addome e pelvi e di flessione
della colonna vertebrale.
I muscoli dell’anca e degli arti inferiori sono: ileopsoas (funzione di flessione del-
l’anca), gluteo, costituito da grande, medio e piccolo gluteo (funzione di estensione,
abduzione e rotazione dell’articolazione dell’anca), quadricipite, costituito da retto fe-
morale, vasto mediale, vasto laterale e vasto intermedio (è un forte estensore dell’ar-
ticolazione del ginocchio), sartorio, il muscolo più lungo del corpo umano (consente
la flessione della gamba, a livello del ginocchio, e la flessione della coscia sul bacino a
livello dell’anca), muscoli ischiocrurali, che sono il bicipite femorale, il semitendinoso
e il semimembranoso (permettono la flessione del ginocchio), gastrocnemio o polpaccio
(partecipa alla flessione del piede), soleo (coinvolto nella flessione plantare), muscolo
tibiale anteriore (interviene nella flessione dorsale del piede).

6.4.1 Fonti energetiche del muscolo


Il meccanismo della contrazione muscolare è già stato descritto in precedenza (§2.6.4). I
muscoli a riposo ottengono la maggior parte dell’energia di cui necessitano dal metabo-
lismo aerobico degli acidi grassi. Durante l’esercizio fisico, sono inoltre utilizzati come
fonte di energia il glicogeno muscolare e il glucosio ematico. L’energia ottenuta dalla
respirazione cellulare è utilizzata per sintetizzare l’ATP necessario per il meccanismo
di contrazione muscolare.
I muscoli scheletrici utilizzano un metabolismo anaerobico per i primi 45-90 secondi
di attività fisica, perché il sistema cardiopolmonare richiede questo tempo per incremen-
tare la fornitura di ossigeno ai muscoli. Se l’esercizio fisico è moderato, la respirazione
aerobica contribuisce alla maggior parte della richiesta energica del muscolo.
Quando l’esercizio termina, il tasso di consumo di ossigeno non torna immediata-
mente al livello della condizione di riposo. Il soggetto continua a respirare velocemente
per ripagare il debito di ossigeno contratto durante l’esercizio. Il debito di ossige-
no comprende l’ossigeno prelevato dall’emoglobina del sangue e dalla mioglobina del
muscolo e quello necessario per il metabolismo dell’acido lattico prodotto in anaerobiosi.
Durante l’attività muscolare prolungata, l’ATP può essere utilizzato più velocemen-
te di quanto possa essere prodotto attraverso la respirazione cellulare. In questi casi
il rapido rinnovo di ATP è molto importante. Ciò si ottiene combinando l’ADP con
il fosfato ottenuto da un altro composto ad alta energia chiamato fosfocreatina, o
creatina fosfato.
Anatomia

All’interno delle cellule muscolari la concentrazione di fosfocreatina è più di tre volte


superiore rispetto alla concentrazione di ATP e rappresenta una riserva “pronta all’uso”
di gruppi fosfato ad alta energia che possono essere donati direttamente all’ADP. La
produzione di ATP da ADP e fosfocreatina è cosı̀ efficiente che, anche se il tasso di
metabolismo di ATP aumenta rapidamente, la concentrazione di ATP del muscolo
diminuisce solo leggermente. Nel muscolo a riposo le riserve di fosfocreatina possono
essere ripristinate mediante la reazione inversa, ossia la fosforilazione della creatina da
parte del fosfato derivato dall’ATP.
Biologia 1189

La creatina è prodotta da fegato e reni e introdotta in piccola quantità mangiando carne e


pesce. L’enzima che trasferisce gruppi fosfato tra l’ATP e la creatina si chiama creatina chinasi.
La concentrazione nel plasma della forma cardiaca di questo enzima può essere utilizzata per
diagnosticare un infarto del miocardio o una patologia ai danni del cuore.

6.4.2 Fibre rosse e fibre bianche


Le fibrocellule muscolari scheletriche possono essere suddivise, in base alla loro velocità
di contrazione, in fibre a contrazione lenta, o fibre rosse, e fibre a contrazione
veloce, o fibre bianche. I muscoli posturali, come il soleo, devono essere in grado di
sostenere una contrazione per un lungo periodo, pertanto sono costituiti in prevalenza
da fibre rosse.
Le fibre a contrazione lenta possiedono un’elevata concentrazione di mioglobina.
Questa proteina è simile all’emoglobina e costituisce un deposito di ossigeno per le fibre
a contrazione lenta che, proprio per l’elevata concentrazione di mioglobina sono dette
fibre rosse.
Le fibre a contrazione veloce sono povere di mioglobina e possiedono un metabolismo
principalmente anaerobico, sfruttando la grande disponibilità di glicogeno e l’elevata
concentrazione di enzimi glicolitici.

6.4.3 La fatica muscolare


La fatica muscolare è la diminuzione, reversibile, della capacità di produrre sforzo da
parte del muscolo. La fatica muscolare può essere dovuta a diverse cause. Recentemente
si è scoperto che una delle principali cause di fatica muscolare non è l’accumulo di
acido lattico, bensı̀ l’accumulo di elevate concentrazioni extracellulari di ioni potassio,
la riduzione delle riserve muscolari di glicogeno e la ridotta capacità di rilascio di ioni
di calcio da parte del reticolo sarcoplasmatico.
Altre situazioni che concorrono all’insorgenza della fatica muscolare sono: l’aumento
di ioni fosfato nel citoplasma; la diminuzione di ATP, l’aumento di ADP nel citoplasma.

L’insieme delle ossa (apparato scheletrico), dei muscoli (apparato muscolare) che su
di esse si inseriscono per mezzo di fasci connettivali chiamati tendini e le articolazioni
costituiscono l’apparato locomotore.
Le sue funzioni sono:
sostegno del corpo nei suoi vari atteggiamenti (postura);
Biologia

movimento;

protezione di alcuni organi e del sistema nervoso;


deposito e riserva di sali minerali (Ca2+ ) che vengono mobilizzati per le esigenze
fisiologiche dell’organismo.
1190 Anatomia e fisiologia dell’uomo

6.5 Sistema nervoso


Il sistema nervoso (Figura 6.10) è una
rete intricata e altamente organizzata di
miliardi di neuroni e di un numero an-
cora maggiore di cellule di neuroglia (§
2.6.3). Il cranio racchiude l’encefalo, dal-
la cui base emergono 12 coppie di ner-
vi cranici, fasci di assoni circondati da
tessuto connettivo e vasi sanguigni che
raggiungono diverse specifiche regioni del
corpo per innervarle. Il midollo spina-
le è connesso all’encefalo ed è contenuto
nel canale vertebrale: dal midollo spina-
le emergono 31 coppie di nervi spinali. I
gangli sono masse di tessuto nervoso po-
ste all’esterno dell’encefalo e del midollo
spinale.

Figura 6.10: Il sistema nervoso.


Il sistema nervoso svolge tre funzioni
fondamentali:
1. sensoriale: i recettori sensoriali rilevano gli stimoli all’interno e all’esterno del
corpo e li conducono al sistema nervoso centrale attraverso i neuroni sensoriali ;
2. di integrazione: il sistema nervoso elabora l’informazione sensoriale e predi-
spone a una risposta adeguata; alla funzione di integrazione partecipano gli
interneuroni ;
3. motoria: allo stimolo sensoriale può seguire una risposta motoria determina-
ta dai neuroni motori (motoneuroni ) o efferenti che trasportano l’informazione
dall’encefalo ai nervi cranici o dal midollo spinale ai nervi spinali.
Le suddivisioni primarie del sistema nervoso sono (Figura 6.11):
il sistema nervoso centrale (SNC), che comprende encefalo e midollo spinale;
il sistema nervoso periferico (SNP), che include tutto il rimanente tessuto ner-
voso. Le componenti del SNP sono tre: il sistema nervoso somatico (SNS), il
sistema nervoso autonomo (SNA) e il sistema nervoso enterico (SNE §6.9.1).

Il sistema nervoso centrale contiene i corpi cellulari della maggior parte dei neuroni,
Anatomia

inclusi i corpi cellulari di tutti gli interneuroni e della maggior parte dei neuroni che
innervano i muscoli (motoneuroni) e degli altri neuroni effettori. Il sistema nervoso
periferico è invece formato dai nervi (Figura 6.12), costituiti da fasci di assoni di
neuroni sensoriali e motori, dai gangli del SNA, che contengono i corpi cellulari di
alcuni neuroni del sistema nervoso autonomo, e dai gangli del SNS, che contengono i
corpi cellulari della maggior parte dei neuroni sensoriali.
I nervi afferenti conducono le informazioni verso l’encefalo mentre i nervi efferenti
conducono le informazioni dall’encefalo ai sistemi periferici. Molti dei nervi umani sono
Biologia 1191

Figura 6.11: Suddivisione del sistema nervoso in SNC e SNP.

nervi misti, costituiti cioè da assoni sia afferenti che efferenti. I neuroni efferenti
possono essere divisi in due sistemi distinti: il sistema somatico ed il sistema autonomo
(Figura 6.13).

Nervo Nome Tipo Origine Funzione


cranico
I olfattorio S telencefalo olfatto
II ottico S diencefalo vista
III oculomotore M mesencefalo movimenti degli occhi e contrazio-
ne/dilatazione pupilla
IV trocleare M mesencefalo rotazione dell’occhio verso il basso
e lateralmente
V trigemino S-M mielencefalo sensibilità testa, faccia, menin-
gi, denti e lingua; movimenti dei
muscoli masticatori
VI abducente M mielencefalo movimenti laterali degli occhi
VII faciale S-M mielencefalo sensibilità e contrazione della mu-
scolatura mimica facciale
VIII acustico S mielencefalo udito
IX glossofaringeo S-M mielencefalo gusto, movimenti di lingua e faringe
X vago S-M mielencefalo stimolare la produzione dei succhi
gastrici e regolare i movimenti com-
piuti dallo stomaco e dall’intestino
durante la fase della digestione
XI accessorio M mielencefalo controllo del muscolo trapezio e
dello sternocleidomastoideo
Biologia

XII ipoglosso M mielencefalo movimenti della lingua

Tabella 6.1: I nervi cranici. S, fibra sensitiva; M, fibra motoria.

Il sistema somatico (SNS) è chiamato anche sistema volontario, in quanto i


motoneuroni che gli appartengono controllano i muscoli scheletrici e producono i movi-
menti volontari. È costituito dai nervi cranici (12 paia) e dai nervi spinali (31 paia). I
nervi cranici contengono sia fibre volontarie che neurovegetative e sono rappresentati
in Tabella 6.1.
1192 Anatomia e fisiologia dell’uomo

I nervi spinali fuoriescono dal midol-


lo spinale in corrispondenza degli spazi tra
le vertebre. Tutti i nervi spinali hanno una
componente sensoriale (radice dorsale) e
una motoria (radice ventrale) e innervano
il tronco e gli arti.
Al sistema autonomo (SNA) invece, ap-
partengono i motoneuroni che controllano la
contrazione dei muscoli involontari ed anche
l’attività di secrezione ghiandolare. I neuro-
ni del sistema nervoso autonomo vengono di-
stinti in parasimpatici e simpatici (o or-
tosimpatici). I neuroni parasimpatici sono
coinvolti nello stato di rilassamento generale,
mentre i neuroni simpatici vengono attivati
in casi di emergenza o pericolo (Figura 6.13).
Si veda il paragrafo 6.5.2 per una spiegazione
più estesa del SNA.

6.5.1 Il sistema nervoso centrale


Figura 6.12: Struttura di un nervo.
Il sistema nervoso centrale (SNC) viene divi-
so in due parti ben distinte: midollo spinale
ed encefalo. L’Uomo ha un cervello relati-
vamente grande ed ha una struttura non segmentale, grazie al processo della cefalizza-
zione evolutiva che ha portato un vantaggio in termini di distribuzione delle funzioni
cognitive. Una struttura segmentale, che richiama quella degli invertebrati, è invece
presente nell’organizzazione dei nervi cranici (che collegano i diversi centri del cervello
alle altre strutture della testa e del corpo) e nell’organizzazione del midollo spinale
(Figura 6.14).
Il midollo spinale presenta un’evidente
organizzazione segmentale ed è la sede
delle connessioni riflesse: può operare in
maniera indipendente dall’encefalo ma può
anche ricevere da esso molti input di infor-
mazione. Il midollo spinale è contenuto nel-
la colonna vertebrale, che ne assicura anche
l’integrità strutturale. Grazie al processo di
cefalizzazione, il cervello ha acquisito via
Anatomia

via sempre più la funzione di controllo sul mi-


dollo spinale, ma l’organizzazione segmentale
di quest’ultimo è rimasta.
Il midollo spinale può essere suddiviso in
quattro regioni, in base ai nervi che origi-
nano da esso: cervicale, toracica, lombare e
sacrale/coccigea (Figura 6.14, pannello A). Figura 6.13: Regioni distinte del sistema nervo-
All’interno di ogni regione il midollo spinale so. Da notare i componenti delle vie afferenti
si divide in segmenti (Figura 6.14, pannello (verso il SNC) e i componenti delle vie efferenti
(dal SNC).
Biologia 1193

B), ognuno dei quali riceve informazioni dal sistema nervoso periferico attraverso le
radici dorsali dei nervi spinali ed invia quindi informazioni al SNP per mezzo delle
radici ventrali (Figura 6.14, pannello C). È quindi possibile parlare di arco riflesso
somatico, che può essere monosinaptico (quando è presente una sola sinapsi tra il
neurone sensoriale ed il motoneurone) oppure polisinaptico (quando è presente un al-
tro neurone detto interneurone). In quest’ultimo caso l’arco riflesso è costituito da tre
elementi: un recettore sensoriale (per esempio, un recettore cutaneo), un interneurone,
ed un motoneurone (se la funzione effettrice è quella muscolare).

Un esempio di arco riflesso monosinaptico è quello del riflesso patellare, mentre un esempio
di arco riflesso polisinaptico è quello che fa scostare la mano da una fiamma o da un chiodo
o un oggetto tagliente. È importante notare che l’arco riflesso somatico monosinaptico non
può essere modulato dall’attività del cervello, poiché è presente una sola sinapsi tra il neurone
sensoriale ed il motoneurone: infatti la risposta al riflesso patellare avviene comunque, anche
se ci si sforza di trattenere la gamba.
L’arco riflesso somatico polisinaptico può essere modulato, possiamo cioè decidere di farci
bruciare la mano o addirittura di esercitare una pressione maggiore su un chiodo.

Figura 6.14: Il midollo spinale. Nel pannello C è mostrato un arco riflesso monosinaptico.

Il midollo spinale ha una simmetria bilaterale che risulta visibile in sezione trasversa
Biologia

(Figura 6.14, pannello B). Gli assoni ascendenti (sensitivi) e quelli discendenti (moto-
ri) formano dei fasci ben definiti, situati nella parte periferica del midollo chiamata
sostanza bianca, a causa della mielina che riveste gli assoni. La sostanza grigia è
invece situata più centralmente nel midollo spinale, ed il suo nome deriva dal fatto che
essa contiene sia i corpi cellulari e i dendriti degli interneuroni e dei motoneuroni, sia
gli assoni e le terminazioni presinaptiche delle cellule nervose che prendono contatto
con questi neuroni. Quasi tutte le strutture contenute nella sostanza grigia non sono
rivestite da mielina, per cui questa parte centrale non presenta un colore bianco. Al
centro del midollo è presente il canale spinale (o canale midollare), che è in diretta
1194 Anatomia e fisiologia dell’uomo

continuità con le cavità del cervello chiamate ventricoli cerebrali. Sia il canale mi-
dollare sia i ventricoli cerebrali contengono il fluido cerebrospinale, o liquor, la cui
composizione risulta essere simile a quella del plasma sanguigno.
Le fibre nervose afferenti e quelle efferenti sono in genere anatomicamente separate
le une dalle altre, secondo la legge di Bell-Magendie: gli assoni afferenti (sensitivi)
entrano nel sistema nervoso centrale lungo le radici dorsali dei nervi spinali, mentre
gli assoni efferenti (motori) lasciano il sistema nervoso centrale attraverso le radici
ventrali (Figura 6.14, pannello C). In ciascuna metà del midollo spinale i corpi cellulari
dei motoneuroni sono situati nella porzione ventrale della sostanza grigia, che prende
il nome di corno ventrale (o anteriore), mentre i corpi cellulari degli interneuroni
sui quali entrano in contatto sinaptico le fibre sensitive sono localizzati nella porzione
dorsale della sostanza grigia, che prende il nome di corno dorsale (o posteriore). Gli
assoni afferenti che formano sinapsi con gli interneuroni sensoriali del midollo spinale
prendono origine dai neuroni sensoriali i cui corpi cellulari si trovano nei gangli delle
radici dorsali, che non sono comprese nel sistema nervoso centrale.

L’encefalo è costitui-
to da molte aree nervo-
se che svolgono funzioni
specializzate ed è depu-
tato al controllo del re-
sto del sistema nervoso.
Esso si sviluppa a par-
tire dal tubo neurale
(§6.14.2), che è il proge-
nitore dell’intero sistema
nervoso: il tubo neurale è
una struttura che deriva
da una parte della lami-
na più esterna dell’em-
brione allo stadio di ga-
strula. Durante la prima
fase dello sviluppo del-
l’encefalo, nella parte an- Figura 6.15: Sviluppo delle varie parti dell’encefalo.
teriore del tubo neurale cominciano a formarsi tre vescicole primarie, cioè il pro-
sencefalo, il mesencefalo, e il rombencefalo (Figura 6.15). Al centro del tubo neurale
è presente una cavità ripiena di liquido, che rappresenta il precursore dei ventricoli
cerebrali. Ognuna delle tre vescicole si accresce per divisioni cellulari mitotiche (so-
Anatomia

prattutto nella zona ventricolare, che è costituita dalle pareti della cavità piena di
liquido) e anche per migrazione di cellule che derivano dalla zona ventricolare stessa.
Durante le fasi successive dello sviluppo si formano le vescicole secondarie: il prosen-
cefalo si divide in telencefalo e diencefalo (che costituiscono il cervello), mentre dal
rombencefalo originano il metencefalo ed il mielencefalo. Le informazioni sensoriali
vengono inviate alle strutture che derivano dal mielencefalo e dal metencefalo, i quali
le trasmettono alle strutture che derivano dal mesencefalo e dal diencefalo: da queste
strutture le informazioni sensoriali vengono in seguito inviate alla corteccia cerebrale,
che si sviluppa a partire dal telencefalo (Figura 6.15).
Biologia 1195

Figura 6.16: Encefalo umano.

La connessione tra cervello e midollo spinale è costituita dal midollo allungato (Figu-
ra 6.16), un ingrossamento del midollo spinale stesso. Nel midollo allungato si trovano
sia i centri nervosi che controllano la respirazione, i riflessi cardiovascolari e la secre-
zione gastrica, sia i nuclei che ricevono le informazioni provenienti da alcuni recettori
sensoriali e che le smistano ad altre aree cerebrali sensoriali e motorie.
Poco più in alto rispetto al midollo allungato si trova il cervelletto. Esso è costitui-
to da due emisferi, le cui superfici presentano delle circonvoluzioni che ne aumentano la
superficie. Il cervelletto contribuisce a generare le risposte motorie ed integra gli input
sensoriali provenienti dai canali semicircolari dell’orecchio interno, da altri propriocet-
tori di equilibrio, dal sistema visivo e dal sistema uditivo. Nel cervelletto tutte queste
afferenze sensoriali sono integrate e confrontate tra di loro e il segnale di uscita che ne
deriva è responsabile del mantenimento della postura, dell’orientamento nello spazio
e dei movimenti di precisione degli arti. Il cervelletto è privo di connessioni dirette
con il midollo spinale e quindi non può controllare i movimenti direttamente, ma invia
dei segnali a quelle regioni cerebrali che possono esercitare direttamente tale tipo di
Biologia

controllo.
Il ponte, situato nel metencefalo, è formato da tratti di fibre nervose che intercon-
nettono molte regioni dell’encefalo, come quelle che collegano il cervelletto ed il midollo
allungato con i centri superiori. Il mesencefalo è deputato alla ricezione ed integra-
zione delle informazioni visive, tattili ed uditive, le quali vengono organizzate in una
mappa mentale che riproduce lo schema dell’ambiente esterno. Il midollo allungato, il
ponte e il mesencefalo costituiscono il tronco cerebrale.
Nel diencefalo sono presenti il talamo, che costituisce il principale centro di coor-
1196 Anatomia e fisiologia dell’uomo

dinazione dei segnali sensoriali e motori, e l’ipotalamo, che contiene numerosi centri
di smistamento delle informazioni sensoriali che provengono dai visceri e che non ri-
cadono sotto il controllo volontario, come la regolazione della sete, della fame e della
temperatura corporea. L’ipotalamo è anche deputato al controllo delle emozioni come
rabbia, eccitazione, piacere. Esso contiene delle cellule neuro-endocrine che controllano
l’equilibrio idrosalino e l’attività secretoria dell’ipofisi (§ 6.12.1).
Le informazioni olfattive sono trasmesse direttamente al telencefalo, poiché esse
sono le uniche informazioni che non vengono elaborate dal talamo e questo potrebbe
riflettere l’importanza che l’olfatto (cioè una capacità sensoriale di tipo chimico) doveva
rivestire durante le prime fasi dell’evoluzione.
Il telencefalo è la porzione più estesa dell’encefalo ed insieme al diencefalo costi-
tuisce il cervello. Il telencefalo è sede delle funzioni cerebrali che si sono evolute più
recentemente in termini filogenetici e che nell’uomo trovano una integrazione sensoriale
molto sviluppata.
Anatomia

Figura 6.17: Aree funzionali della corteccia cerebrale.


Biologia 1197

La corteccia cerebrale, cioè gli strati di cellule che coprono gli emisferi cerebrali
(sostanza grigia), è suddivisa in varie zone funzionali (o aree) che possono essere senso-
riali (ricevono, elaborano e trasmettono informazioni sensoriali), motorie, o non avere
una specifica funzione: queste ultime zone sono conosciute come corteccia associa-
tiva e sono responsabili di funzioni complesse come memoria, comunicazione verbale,
associazioni intersensoriali (Figura 6.17, pannello A).
Le aree della corteccia a funzione esclusivamente sensoriale sono quella uditiva primaria,
quella somatosensoriale e quella visiva. Le diverse parti della corteccia somatosenso-
riale ricevono stimoli da zone specifiche della superficie corporea: è importante notare
che metà della corteccia somatosensoriale riceve stimoli nervosi dal viso e dalle ma-
ni, mentre l’altra metà riceve segnali da tutto il resto del corpo. I dettagli di questa
mappa sensoriale hanno portato alla definizione di un homunculus sensoriale (Figura
6.17, pannello B), in cui le varie parti del corpo occupano diverse aree (con diversa
grandezza a seconda dell’importanza sensoriale) della corteccia somatosensoriale. La
corteccia motoria è adiacente alla corteccia somatosensoriale e viene rappresentata
attraverso un homunculus motorio (Figura 6.17, pannello B). Nella corteccia motoria
la distribuzione spaziale dei neuroni è quindi correlata alla posizione dei muscoli da essi
controllati e le aree con un numero maggiore di neuroni sono quelle che controllano le
mani ed il viso, esattamente come visto per la corteccia somatosensoriale (Figura 6.17,
pannello B).

Il SNC è rivestito da tre speciali membrane, chiamate meningi, che dall’esterno verso l’interno
sono:
dura madre: molto spessa e robusta, a diretto contatto con la scatola cranica o le
vertebre che contengono il midollo spinale;
aracnoide: più sottile, separata dalla membrana più interna da uno spazio ripieno di
liquido cefalo-rachidiano, che ha una composizione simile alla linfa e protegge l’encefalo
dagli urti e agevola lo scambio di sostanze con le cellule nervose (cessione di glucosio e
assorbimento degli scarti);
pia madre: è strettamente adesa ai componenti del SNC.

6.5.2 Il sistema nervoso autonomo


Il sistema nervoso autonomo (SNA) regola tutte le funzioni viscerali che risultano
essere prive di controllo volontario e può essere suddiviso in due specifiche sezioni (o
divisioni): il sistema simpatico (o ortosimpatico) ed il sistema parasimpatico (Figura
6.18). Le vie simpatiche e parasimpatiche, in genere, operano in contrapposizione ed
Biologia

il bilancio tra i due sistemi determina lo stato di attivazione di una specifica funzio-
ne effettrice. Le vie parasimpatiche definiscono uno stato di rilassamento generale,
mentre le vie simpatiche vengono attivate in casi di emergenza o pericolo.
Sia nel sistema simpatico che parasimpatico l’unità funzionale è rappresentata
dall’arco riflesso autonomo, che nella parte afferente è simile ad un arco riflesso
polisinaptico (somatico), mentre nella parte efferente è molto diverso. L’arco riflesso
autonomo consta di tre neuroni: il neurone sensoriale, il neurone pregangliare ed il
neurone postgangliare.
1198 Anatomia e fisiologia dell’uomo

Il neurone sensoriale risponde a stimoli quali la concentrazione di glucosio nel


sangue o la pressione dell’ossigeno nei tessuti: questi stimoli sono diversi rispetto a quelli
che eccitano i neuroni sensoriali del SNC. Il neurone sensoriale ha il corpo cellulare nel
ganglio della radice dorsale di un segmento del midollo spinale.
Il neurone pregangliare ha il corpo cellulare nel sistema nervoso centrale, esat-
tamente nella sostanza grigia della parte centrale del midollo spinale.
Il neurone postgangliare ha, invece, il proprio corpo cellulare nel ganglio della
catena simpatica (detto anche ganglio paravertebrale), quindi i neuroni postgangliari
sono posizionati fuori dal sistema nervoso centrale (Figura 6.18).
Anatomia

Figura 6.18: Il sistema nervoso autonomo: sistema simpatico (o ortosimpatico, a sinistra) e parasimpatico
(a destra). NA, noradrenalina. ACh, acetilcolina.
Nel sistema nervoso simpatico i neuroni pregangliari sono in contatto sinaptico
con i neuroni postgangliari situati nei gangli della catena simpatica; gli assoni dei
Biologia 1199

neuroni postgangliari innervano poi gli organi bersaglio, che solitamente sono molto
distanti dalla catena simpatica. I neuroni pregangliari del sistema simpatico si trovano
nelle regioni cervicale, toracica e lombare del midollo spinale.
I neuroni pregangliari del sistema nervoso parasimpatico sono in contatto si-
naptico con i neuroni postgangliari che sono molto vicini o addirittura all’interno degli
organi bersaglio, quindi gli assoni dei neuroni pregangliari possono essere molto lunghi,
ma gli assoni dei neuroni postgangliari sono generalmente corti. I corpi cellulari dei
neuroni pregangliari parasimpatici sono situati nella testa e nella regione sacrale del
midollo spinale.

Tutti i neuroni pregangliari sono colinergici, rilasciano cioè acetilcolina (ACh) (Figura 6.18).
Il neurotrasmettitore dei neuroni postgangliari parasimpatici è l’acetilcolina (ACh), mentre
quello rilasciato dai neuroni postgangliari simpatici è la noradrenalina.

6.5.3 I recettori sensoriali e gli organi di senso


Gli organi di senso consistono in varie strutture anatomiche preposte alla ricezione
degli stimoli esterni, quali luce, suono, calore, pressione e sostanze chimiche, ed alla
loro trasformazione in impulsi nervosi. Gli organi di senso rappresentano quindi le sole
vie di comunicazione tra il mondo esterno ed il sistema nervoso. La ricezione sensoriale
ha inizio negli organi di senso, ed in maniera più specifica in particolari cellule chiamate
recettori sensoriali, specializzate nel rispondere ad un particolare tipo di stimolo.
Gli organi di senso sono situati sia sulla superficie che all’interno del corpo e rappre-
sentano la prima tappa nella raccolta delle informazioni sensoriali. Gli impulsi nervosi
cosı̀ generati saranno poi veicolati al sistema nervoso centrale per la loro elaborazione
con conseguente risposta fisiologico-meccanica dell’intero organismo.
È possibile classificare i recettori sensoriali in base alla natura dello stimolo (Tabella
6.2).
Stimolo Recettore Organo di
I nocicettori sono recet- sensoriale senso
tori del dolore che rispondo- Pressione, toc- Meccanorecettori Pelle
no a stimoli che accompagna- co e dolore
Onde sonore Meccanorecettori Orecchio
no un danno tissutale; questi
Luce Fotorecettori Occhio
stimoli includono alta tempera- Chimico Chemorecettori Lingua
tura o pressione e una varietà (gusto)
Biologia

di sostanze chimiche, quali ade- Chimico Chemorecettori Naso


nosina, istamina, serotonina, (olfatto)
Temperatura Termorecettori Pelle
prostaglandina E2 e ATP.
Tabella 6.2: I recettori sensoriali.
Dal punto di vista strutturale si tratta di terminazioni nervose libere.
In alcuni casi il dolore originato in un organo interno è percepito come localizzato
a livello superficiale (cutaneo) o in un’altra zona dell’organismo; ad esempio, nel caso
di infarto del miocardio l’individuo percepisce dolore a livello del braccio e della spalla
sinistra. Questo fenomeno è detto dolore riferito.
1200 Anatomia e fisiologia dell’uomo

Nel caso di infarto del miocardio, il dolore riferito è in genere più comune negli uomini
che nelle donne e questo può portare ad un ritardo nella diagnosi di attacco cardiaco
negli individui di sesso femminile.

I tipi di informazioni sensoriali che possiamo percepire dall’esterno sono captati da estero-
cettori e sono comunemente suddivisi in: tatto, udito, vista, gusto, olfatto e termopercezione.
Esistono altri tipi di recettori sensoriali, interni, che forniscono altre informazioni di cui l’uo-
mo non è cosciente. Ad esempio gli enterocettori (o interocettori) rispondono a segnali
provenienti dall’interno del corpo e comunicano le informazioni raccolte al cervello, mentre i
propriocettori registrano la posizione relativa dei muscoli e delle articolazioni, contribuendo
all’orientamento spaziale dell’organismo. Tra i propriocettori ricordiamo i fusi neuromuscolari
e gli organi tendinei del Golgi.

Alcuni recettori rispondono ad uno stimolo in modo molto veloce dopodiché, se lo


stimolo resta costante, rapidamente diminuiscono la frequenza con cui trasmettono
l’informazione al sistema nervoso. I recettori che adottano tale meccanismo di rapido
adattamento sensoriale sono detti recettori fasici. Un esempio è rappresentato
dall’olfatto e dalla temperatura; quando si entra in una vasca di acqua calda, dopo una
prima sensazione di calore ci si adatta rapidamente alla temperatura. I recettori fasici
forniscono un’informazione relativa all’accensione (“on”) e allo spegnimento (“off ”) di
uno stimolo.
I recettori che mantengono costante il loro stato di segnalazione durante il periodo
di tempo in cui è applicato lo stimolo sono detti recettori tonici. Questi recettori
sono caratterizzati da un adattamento lento.

Il tatto
I meccanorecettori responsabili del senso del tatto sono posizionati nello strato basale
dell’epidermide, nel derma e nell’ipoderma. Essi sono descritti in Tabella 6.3.

Recettore Sensazione Localizzazione


Dischi di Merkel Tatto, pressione superficiale Strato basale dell’epidermide
Corpuscoli di Ruffini Tatto continuo e pressione Derma e ipoderma
Corpuscoli di Meissner Variazioni di pressione Strato basale dell’epidermide e
nel derma
Corpuscoli di Pacini Pressione cutanea profonda, vibra- Derma profondo
zioni veloci, propriocezione
Tabella 6.3: I recettori cutanei.

I termorecettori sono localizzati principalmente a livello della cute e sono termina-


Anatomia

zioni nervose libere. I recettori del freddo sono localizzati nella regione più superficiale
del derma. Sono recettori stimolati dal freddo e inibiti dal caldo. I recettori del caldo
sono situati nel derma e sono eccitati dal caldo e inibiti dal freddo. A temperature
di circa 43 ◦C, alla sensazione di caldo subentra quella dolorifica, per attivazione dei
neuroni nocicettori ; queste cellule sono dotate di una particolare proteina di membrana
localizzata a livello dei dendriti, chiamata recettore per la capsaicina. Questo recettore,
in risposta all’alta temperatura o alla capsaicina (molecola presente nel peperoncino),
trasmette un impulso al sistema nervoso centrale, il quale lo interpreta come sensazione
di calore e di dolore.
Biologia 1201

Una molecola in grado di produrre la sensazione di freddo è, invece, il mentolo,


il quale può agire su un tipo di recettore attivato sia da questa molecola sia dalla
temperatura (in un range compreso tra 8 ◦C e 28 ◦C).

L’udito
I meccanocettori responsabili del senso dell’udito sono posizionati nell’orecchio (Fi-
gura 6.19, pannello A), che costituisce l’apparato uditivo.
L’orecchio è formato da tre parti ben distinte: orecchio esterno (il padiglione au-
ricolare, il meato acustico e il timpano), orecchio medio (i tre ossicini staffa, incudi-
ne, martello e la finestra ovale), orecchio interno (la coclea o chiocciola, i tre canali
semicircolari, l’utricolo e il sacculo).
La tuba di Eustachio è un condotto che mette in comunicazione l’orecchio me-
dio con il rinofaringe e fa sı̀ che entrambe le facce della membrana timpanica siano
sottoposte alla stessa pressione.
La tuba è normalmente chiusa ma in presenza di una differenza di pressione attra-
verso la membrana timpanica (ad esempio ad alta quota), la tuba può essere aperta
sbadigliando o deglutendo, riequilibrando la pressione.
La coclea, presente nell’orecchio interno, è formata da tre canali:

canale (o scala) vestibolare: è collegato alla staffa per mezzo della finestra ovale;

canale medio: contiene l’endolinfa e l’organo del Corti (Figura 6.19, pannel-
lo B);

canale timpanico o scala timpanica: è collegato alla finestra rotonda.

Il canale vestibolare ed il canale timpanico sono collegati ed entrambi contengono la


perilinfa.
Le onde sonore si propagano (Figura 6.19) nel condotto uditivo esterno, arrivano
al timpano e, attraverso il martello, l’incudine e la staffa, sono trasmesse alla coclea per
mezzo della finestra ovale: le onde sonore, che consistono in onde di pressione, attraverso
la vibrazione della finestra ovale comprimono la perilinfa del canale vestibolare, poi la
perilinfa del canale timpanico ed infine arrivano all’endolinfa del canale medio. Il
movimento pressorio dell’endolinfa stimola la membrana tettoria dell’organo del Corti,
costituito dalle cellule acustiche, dalla membrana tettoria e dalla membrana basilare.
Le cellule acustiche sono dette cellule capellute, a causa della presenza di stereociglia
nella regione apicale della cellula. Le stereociglia sono immerse nell’endolinfa e sono
in contatto con la membrana tettoria. Le vibrazioni della membrana basilare fanno
Biologia

sı̀ che le stereociglia sfregando contro la membrana tettoria si pieghino. Questo causa
una rapida diffusione di ioni potassio all’interno delle cellula acustiche con conseguente
depolarizzazione e rilascio di glutammato, che agisce da neurotrasmettitore stimolando
le terminazioni nervose associate alle cellule capellute. Il risultato è la generazione di
un impulso nervoso che raggiunge il nervo acustico.
Gli esseri umani percepiscono le onde sonore di frequenza compresa tra 20 Hz e
20 000 Hz (cioè 20 kHz). Le onde di frequenza inferiore a 20 Hz sono dette infrasuoni,
mentre quelle di frequenza superiore a 20 kHz sono dette ultrasuoni.
1202 Anatomia e fisiologia dell’uomo
Anatomia

Figura 6.19: L’apparato uditivo. Da notare la propagazione delle onde sonore (frecce nere).
Biologia 1203

La gamma di frequenze udibili può variare secondo la specie. Esistono animali, come elefanti
e balene, in grado di udire infrasuoni e altri, come pipistrelli, roditori e cetacei, in grado di
percepire ultrasuoni.

L’apparato vestibolare (Figura 6.20) è co-


stituito da tre canali semicircolari, dispo-
sti secondo le tre direzioni spaziali, alla cui
estremità è presente un’ampolla in diretto
contatto con l’utricolo ed il sacculo: questi
ultimi sono delle cavità in cui sono contenute
particolari cellule sensoriali polarizzate, do-
tate di ciglia sulla estremità apicale, immerse
in una cupola gelatinosa insieme ad alcuni
otoliti (cristalli di carbonato di calcio). So-
no gli otoliti, la cui posizione relativa nello
spazio varia a seconda della posizione della
testa in un dato momento, che interagiscono
con le ciglia le quali, a loro volta, portano Figura 6.20: La coclea e l’apparato vestibolare
alla generazione di un impulso nervoso che dell’orecchio interno.
viaggia attraverso il nervo vestibolare fino al
sistema nervoso centrale. In questo modo l’apparato vestibolare regola la percezione
sensoriale-spaziale che porta al senso dell’equilibrio dell’intero corpo umano.

La vista
I fotorecettori responsabili del senso della vista sono localizzati nell’occhio, che costi-
tuisce l’organo di senso della vista.
L’occhio umano è molto simile ad una macchina fotografica (Figura 6.21). La luce
incidente viene messa a fuoco in due fasi: nella fase iniziale i raggi luminosi vengono
rifratti prima dalla cornea (superficie esterna dell’occhio) e poi dal cristallino (una
sorta di lente biconvessa rifrangente), formando alla fine una immagine capovolta sulla
superficie interna posteriore dell’occhio, chiamata retina, nella quale risiedono i re-
cettori sensoriali, cioè coni e bastoncelli. L’immagine è messa a fuoco variando la
curvatura e lo spessore del cristallino: in questo modo, infatti, cambia la distanza foca-
le della lente (il cristallino). La forma del cristallino è modificata grazie alle variazioni
di tensione esercitate dai muscoli cigliari: questo processo è chiamato accomodazio-
ne. L’occhio ha un diaframma simile a quello di una macchina fotografica, l’iride, che
regola l’intensità della luce che può entrare attraverso un’apertura regolabile, la pu-
Biologia

pilla. Quando le fibre muscolari lisce dell’iride si contraggono il diametro della pupilla
diminuisce: la variazione dell’apertura (riflesso pupillare) viene regolato dalla retina.
I fotorecettori sono cellule nervose stimolate dalle radiazioni elettromagnetiche: i
bastoncelli (per la visione in bianco e nero) e i coni (per la visione a colori). Le
membrane dei fotorecettori contengono le molecole di pigmento visivo, la rodopsina.
Per un approfondimento sulle vie nervose coinvolte nel meccanismo di visione si
veda il video al seguente link: https://www.youtube.com/watch?v=ETIp8kZPoBw
1204 Anatomia e fisiologia dell’uomo

Figura 6.21: Struttura dell’occhio. Da notare la fovea, cioè una zona della retina di 1 mm2 in cui sono
presenti solo coni, specializzata nella massima acuità visiva.

Solo la luce di lunghezza d’onda compresa tra 400 nm e 700 nm circa è percepibile
dall’occhio umano, e per tale motivo la radiazione elettromagnetica compresa in quel
Anatomia

range di lunghezze d’onda è definita luce visibile. Alcuni animali, ad esempio le api,
sono in grado di vedere luce con lunghezze d’onda fino a 300 nm (ultravioletto vicino).
Altri animali, come i pesci, sono in grado di vedere luce con lunghezza d’onda superiore
a 700 nm (infrarosso).

Alcuni animali, come i cani e i lupi, hanno occhi poveri di coni pertanto non sono in
grado di percepire i colori.
Biologia 1205

La retina e la fotochimica della visione La retina è costituita da cellule epiteliali,


fotorecettori e altri neuroni (Figura 6.22). La luce, prima di colpire i fotorecettori, passa
attraverso diversi strati di cellule nervose. I coni e i bastoncelli inviano impulsi alle cellule
bipolari, con le quali sono in contatto sinaptico; queste ultime trasmettono l’impulso alle cellule
gangliari, i cui prolungamenti costituiscono le fibre del nervo ottico. Inoltre i fotorecettori
sono in contatto con neuroni chiamati cellule orizzontali e altri chiamati cellule amacrine, che
interagiscono via sinapsi con diverse cellule gangliari.
Ogni fotorecettore è costituito da un segmento interno e uno esterno. Nel segmento esterno
la membrana plasmatica forma una serie di dischi impilati contenenti i pigmenti necessari per
la visione, principalmente la rodopsina.
La rodopsina, il pigmento visivo, è costituita da una proteina chiamata opsina legata
all’11-cis-retinale, un’aldeide della vitamina A. L’11-cis-retinale è il fotopigmento presente
nell’occhio umano, cioè la molecola organica in grado di assorbire i fotoni. Le molecole di
rodopsina esistono in due diverse configurazioni tridimensionali: in assenza di luce l’opsina
è legata all’11-cis-retinale ma quando arriva un fotone, il retinale diventa trans-retinale e
ciò provoca un cambiamento conformazionale dell’opsina che attiva una proteina chiamata
trasducina, la cui attivazione porta alla conversione del GMP ciclico (cGMP) in GMP.
La diminuzione di cGMP fa chiudere alcuni canali del Na+ e cosı̀ l’interno della membrana
fotorecettrice si iperpolarizza (diventa più negativa) per l’azione combinata dei canali del
potassio (sempre aperti) e della pompa Na+ /K+ .
Il meccanismo fotochimico della visione provoca una iperpolarizzazione della membra-
na fotorecettrice, contrariamente a quanto abbiamo visto in precedenza per l’instaurarsi del
potenziale d’azione (§2.6.3), dove la membrana si depolarizza (interno più positivo).
Per un approfondimento si veda il video al seguente link:
https://www.youtube.com/watch?v=Fm45A4yjmvo.

La capacità dell’occhio di vedere distintamente gli


oggetti è definita acuità visiva (o visus)
Quando un individuo non è in grado di mettere
a fuoco oggetti lontani si parla di miopia: in que-
sto caso l’oggetto è messo a fuoco davanti alla reti-
na. Generalmente ciò è dovuto ad un bulbo oculare
allungato. La miopia si può correggere utilizzando
occhiali con lenti concave.
Se il bulbo oculare è troppo corto, l’oggetto sa-
rebbe messo a fuoco dietro la retina e l’oggetto do-
vrà essere posto lontano dagli occhi per essere visto
chiaramente. Questa condizione è chiamata iper-
metropia. Una condizione simile è la presbiopia:
in questo caso la difficoltà di messa a fuoco è dovu-
Biologia

ta alla diminuzione del potere di accomodazione del


cristallino. Ciò avviene, mediamente, dai 45 anni di
età. L’ipermetropia e la presbiopia si correggono
utilizzando lenti convesse.
Figura 6.22: Gli strati della retina.
Nell’astigmatismo la curvatura della cornea o
del cristallino non è regolare, pertanto solo una parte dell’immagine è messa fuoco
correttamente. L’astigmatismo può essere associato a miopia, ipermetropia e presbiopia
e il difetto, in genere, può essere corretto utilizzando lenti cilindriche.
1206 Anatomia e fisiologia dell’uomo

Il gusto

I chemorecettori responsabili del senso del gusto sono posizionati nella lingua (Figura
6.23). La lingua è rivestita interamente da una tonaca mucosa che costituisce la prin-
cipale sede dell’organo del gusto, rappresentato dai calici gustativi, localizzati in più
punti dell’epitelio di rivestimento della lingua. L’epitelio linguale è di tipo pavimentoso
stratificato non corneificato. I calici gustativi (anche chiamati bottoni o gemme)
sono molto numerosi (7 000-10 000) entro tutto l’epitelio stratificato della lingua (in
corrispondenza di qualche centinaio di papille) ma anche, in misura minore, nel pala-
to. I calici gustativi hanno una vita media di circa 10 giorni e si riducono di numero
durante il corso degli anni.
Nei calici gustativi si distinguono tre tipi di cellule:

cellule gustative: sono fondamentalmente cellule epiteliali differenziate per la


ricezione di stimoli specifici e sono in diretto contatto con le fibre nervose. Pre-
sentano al polo apicale dei microvilli che funzionano come peli gustativi sporgenti
nel canale gustativo;

cellule di sostegno: possono essere di forma a pilastro oppure a bastoncello;

cellule basali: costituiscono cellule di rinnovo del calice, capaci di generare nuovi
neuroni sensoriali che vanno a sostituire quelli persi per desquamazione.

Gli stimoli chimici, cioè i gusti, che attivano i recettori gustativi possono essere
raggruppati in cinque tipi fondamentali: dolce, salato, aspro, amaro e umami. Queste
qualità fondamentali della sensibilità gustativa suggeriscono che la grande varietà di
sapori percepiti deriva da una combinazione e integrazione di questi cinque sapori
primari.

I recettori gustativi generano potenziali d’azione ma sono privi di assone, per cui non possono
condurre direttamente le informazioni al SNC. I neuroni sensoriali primari sono in rapporto
sinaptico con i neuroni i cui assoni decorrono nei nervi cranici facciale, glossofaringeo e vago
(VII, IX, X nervo cranico).
Le cinque modalità fondamentali della sensibilità gustativa hanno una specificità di mec-
Anatomia

canismi di attivazione dei recettori di membrana. Il salato è dovuto alla presenza nei cibi di
ioni sodio o altri cationi, che attivano cellule recettrici specifiche per il gusto salato. Il catione,
ad esempio Na+ , entra nella cellula mediante un canale presente nella porzione apicale della
cellula. L’ingresso dei cationi provoca la depolarizzazione delle cellule e questo causa il rila-
scio del loro neurotrasmettitore. Il meccanismo di percezione del gusto aspro è simile, poiché
dovuto all’ingresso di ioni, in questo caso di ioni idrogeno (H+ ).
Le restanti categorie di sapori, dolce, amaro e umami, implicano l’interazione della
molecola stimolatrice con recettori di membrana associati a proteine-G. La proteina-G coin-
volta è detta gustducina e la sua attivazione provoca, come risultato finale, il rilascio di
neurotrasmettitore a livello della sinapsi tra il neurone sensoriale primario e quello secondario.
Biologia 1207

Recenti studi hanno evidenziato che i chemorecettori gustativi sono in grado di saggiare tutte
e cinque le modalità gustative, ma tendono ad essere più sensibili ad una sola di esse, quindi la
suddivisione in zone della lingua, come riscontrata finora nei libri di testo, non trova riscontro
scientifico assoluto.
I recettori gustativi per l’umami, negli esseri umani, sono attivati solo dagli aminoacidi
glutammato e aspartato.

Figura 6.23: Calici (o bottoni) gustativi.

L’olfatto

I chemorecettori responsabili del senso dell’olfatto sono situati nel naso a livello dell’epi
telio olfattivo.

Il naso è formato da varie parti: una struttura di sostegno (di natura ossea e carti-
laginea), uno strato muscolare, un rivestimento esterno cutaneo e uno interno mucoso
(Figura 6.24).

Le cavità nasali, situate all’interno del naso, sono divise tra loro dalla presenza
del setto nasale (che raramente è rettilineo, mentre il più delle volte presenta una
deviazione). Le cavità nasali sono in diretta comunicazione con il rinofaringe per mezzo
delle coane. In ognuna delle cavità nasali si possono distinguere quattro pareti: una
mediale, una inferiore e due laterali. Ciascuna parete laterale presenta tre lamine ossee
Biologia

rivestite da mucosa: i turbinati (o conche, o cornetti): nasale superiore, medio e


inferiore. Le conche nasali delimitano tre compartimenti (i meati nasali ) che ricevono
lo sbocco delle cavità paranasali e del canale nasolacrimale. Le cavità paranasali (che
servono ad alleggerire il cranio e a dare fenomeni di risonanza della voce) sono il seno
frontale, il seno mascellare, ed il seno sfenoidale.

Nel meato nasale inferiore sbocca il canale nasolacrimale che fa passare il liquido
prodotto dalle ghiandole lacrimali nella cavità nasale e nella faringe dove sarà poi
deglutito insieme alla saliva. Un’apertura del meato nasale medio, molto estesa,
1208 Anatomia e fisiologia dell’uomo

Figura 6.24: Struttura del naso.

mette in collegamento la cavità nasale con la parte superiore del seno mascellare e
con il seno frontale, mentre il meato nasale superiore accoglie lo sbocco del seno
sfenoidale. Le cellule etmoidali sono in collegamento sia con il meato nasale medio che
con quello superiore e, di conseguenza, sono in comunicazione con l’ambiente esterno.
I seni paranasali, quindi, sono in comunicazione con l’esterno attraverso i condotti che
sfociano nei meati nasali e, grazie a questo, è mantenuta una compensazione della
pressione interna con quella esterna, oltre al fatto che le secrezioni mucose in eccesso
Anatomia

possono essere smaltite con più facilità.


La zona compresa tra la conca nasale superiore ed il meato nasale superiore ospita
la mucosa olfattiva (Figura 6.25, che ha uno spessore di circa 1 mm e che presenta un
epitelio in cui sono accolte cellule nervose sensoriali che reagiscono a particolari stimoli
chimici. Le cellule sensoriali olfattive (o cellule recettoriali olfattive) sono neuroni
bipolari dotate di ciglia olfattorie immerse nel muco che riveste la mucosa olfattiva.
Gli stimoli nervosi passano poi al bulbo olfattivo, posto immediatamente sopra la
lamina cribrosa dell’etmoide (Figura 6.25).
Le cellule recettoriali olfattive sono recettori associati a proteine-G; quando una mole-
Biologia 1209

Figura 6.25: Struttura dell’epitelio olfattivo.

cola odorosa lega il recettore la proteina-G si attiva e si ha la conversione di ATP in


AMP ciclico (cAMP). L’AMP ciclico provoca l’apertura di canali ionici che causano
la diffusione di ioni Na+ e Ca2+ e conseguente depolarizzazione. Una volta che si è
instaurato il potenziale d’azione esso è condotto tramite l’assone del neurone olfatti-
vo al terminale sinaptico, dove si trasmette ad un neurone olfattivo secondario posto
nel bulbo olfattivo della corteccia cerebrale. A differenza di altre modalità sensoriali
che giungono in prima battuta al talamo, il senso dell’olfatto prevede la trasmissione
diretta alla corteccia cerebrale.

Il trattamento delle informazioni olfattive inizia nel bulbo olfattivo, dove i neuroni di secondo
ordine proiettano i loro assoni nella corteccia prefrontale, dove si percepisce anche il senso
Biologia

del gusto. In effetti, i recettori olfattivi sono stimolati anche durante la masticazione del cibo,
attraverso la respirazione, ma l’individuo percepisce la sensazione come gusto piuttosto che
come odore.
Il bulbo olfattivo proietta anche alla corteccia olfattiva dei lobi temporali mediali, nonché
all’ippocampo e all’amigdala. Queste strutture fanno parte del sistema limbico, che ha un
ruolo importante per quanto riguarda la memoria e le emozioni. L’amigdala umana, in partico-
lare, è implicata nelle risposte emotive alla stimolazione olfattiva. Forse questo spiega perché
un odore particolare può evocare in modo cosı̀ forte ricordi carichi di emozioni.
1210 Anatomia e fisiologia dell’uomo

6.6 Apparato circolatorio


L’apparato circolatorio (o sistema circolatorio) è costituito dal cuore e dai vasi san-
guigni (arterie, vene e capillari), al cui interno circola il sangue che porta ossigeno e
nutrimento a tutto il corpo, ed elimina i prodotti di rifiuto. Il sangue però può anche
trasportare virus, batteri e tossine. Per difendersi da queste minacce, il sistema circo-
latorio possiede dei meccanismi protettivi, costituiti dai globuli bianchi (§2.6.2) e dal
sistema linfatico. Al fine di svolgere le varie funzioni, il sistema circolatorio coopera
con i sistemi respiratorio, urinario, digestivo, endocrino e tegumentario nel mantenere
l’omeostasi (cioè la capacità dell’organismo di mantenere un equilibrio interno anche
al variare delle condizioni esterne).
Il sistema circolatorio ha, quindi, le seguenti funzioni:

trasporto: l’apparato circolatorio provvede a trasportare ossigeno, diossido di


carbonio, sostanze nutritive e scarti metabolici (come l’urea);
regolazione: il sistema circolatorio è coinvolto nel controllo della temperatura e,
trasportando gli ormoni, in tutte i meccanismi di controllo mediato da ormoni;
protezione: i meccanismi di protezione si esplicano mediante il processo di coa-
gulazione e il sistema immunitario.

6.6.1 Il cuore
Il cuore è un organo cavo, dotato di un tipo di muscolatura particolare (tessuto mu-
scolare striato cardiaco involontario, §2.6.4), situato nel torace tra i due polmoni. È
l’organo principale dell’apparato cardiocircolatorio, nel quale svolge azione di pompa.
Al suo interno si distinguono quattro cavità (Figura 6.26):
due cavità superiori: l’atrio destro e l’atrio sinistro, separati dal setto intera-
triale;
due cavità inferiori: il ventricolo destro e il ventricolo sinistro, separati dal
setto interventricolare.
Gli atri e i ventricoli omolatera-
li comunicano attraverso un si-
stema di valvole che non per-
mette al sangue di tornare in-
dietro. Gli atri si dilatano man
mano che si riempiono di san-
gue, poi si contraggono simul-
Anatomia

taneamente spingendo il sangue


attraverso le valvole, tricuspi-
de a destra e mitrale a sini-
stra, che si aprono nei ventrico-
li. I ventricoli si contraggono e
le valvole tra gli atri e i ventri-
coli si chiudono per la pressio- Figura 6.26: La struttura del cuore e le due circolazioni:
ne del sangue nei ventricoli (Fi- polmonare (frecce blu) e sistemica (frecce rosse).
gura 6.26). A livello dell’origine
Biologia 1211

sia dell’arteria polmonare sia dell’aorta, sono presenti delle valvole semilunari che, du-
rante la contrazione dei ventricoli, sono aperte permettendo al sangue di fluire dal cuore
verso le due circolazioni (§2.6.3). Quando i ventricoli si rilassano le valvole semilunari
si chiudono, impedendo il ritorno del sangue verso il cuore.
Le pareti del cuore sono costituite da tessuto muscolare striato cardiaco involontario
detto miocardio e sono rivestite da due membrane epiteliali che hanno una funzio-
ne protettiva: l’endocardio (all’interno) e il pericardio (all’esterno). Gli atri hanno
pareti più sottili dei ventricoli.
Lo stimolo alla contrazione del muscolo cardiaco si origina al suo interno, in una
regione specializzata detta nodo senoatriale (SA), o pacemaker, che mantiene il
ritmo regolare, determinando la frequenza delle contrazioni indipendentemente dal si-
stema nervoso, il quale può intervenire solo sulla frequenza cardiaca, aumentandola o
rallentandola.
Il cuore è rifornito con sangue arterioso dalle arterie coronarie, destra e sinistra,
che originano dall’aorta immediatamente al di sopra della valvola aortica.

6.6.2 Vasi sanguigni


Nel nostro corpo esistono tre tipi di vasi sanguigni:

le arterie, che trasportano il sangue dal cuore verso la periferia;

le vene, che trasportano il sangue dalla periferia verso il cuore;

i capillari, che congiungono arterie e vene.

Non è corretto affermare che le arterie sono i vasi che portano sangue ossigenato poiché
le arterie polmonari trasportano sangue deossigenato verso i polmoni. Analogamente le
vene non sempre portano sangue privo di ossigeno: le vene polmonari, infatti, partono
dai polmoni e portano sangue ossigenato verso il cuore.

Sia le arterie che le vene possiedono uno strato di muscolatura liscia necessario alla loro
contrazione. Le arterie, dove è maggiore la pressione del sangue, hanno pareti più
spesse ed elastiche. Le arterie, diramandosi, danno origine a vasi di diametro inferiore
(20-30 micrometri) detti arteriole.
Le vene possiedono valvole unidirezionali per impedire il reflusso di sangue. Le
vene di diametro più piccolo, che si originano dai capillari, sono dette venule.
I capillari, dove avvengono gli scambi con i tessuti, possiedono pareti molto sottili
costituite da un solo strato di cellule (endotelio), che consente cosı̀ un facile scambio
Biologia

di sostanze tra i capillari e i tessuti circostanti.

6.6.3 Circolazione e pressione sanguigna


Nel sistema cardiovascolare il sangue segue una doppia circolazione (Figura 6.26):

circolazione polmonare o piccola circolazione, tra cuore e polmoni;

circolazione sistemica o grande circolazione, tra cuore e tutti gli altri organi.
1212 Anatomia e fisiologia dell’uomo

Circolazione polmonare

Il sangue deossigenato e ricco di diossido di carbonio, proveniente dai diversi tes-


suti, viaggia attraverso il sistema venoso e, attraverso le vene cave, raggiunge l’atrio
destro. Attraverso la valvola tricuspide il sangue entra nel ventricolo destro, dal quale
è pompato all’interno delle arterie polmonari. Esse trasportano il sangue ai polmoni,
dove avviene lo scambio gassoso tra i capillari e gli alveoli polmonari. L’ossigeno dif-
fonde dall’aria verso il sangue mentre il diossido di carbonio segue il percorso inverso.
Il sangue, cosı̀ arricchito di ossigeno, per mezzo delle vene polmonari ritorna al cuore
a livello dell’atrio sinistro, dove ha inizio la circolazione sistemica.

Circolazione sistemica

Il sangue ricco di ossigeno, presente nell’atrio sinistro, attraverso la valvola mitrale


entra nel ventricolo sinistro e da qui è pompato all’interno dell’aorta. Da questa arteria
partono poi delle ramificazioni che consentono il rifornimento di sangue ossigenato a
tutto l’organismo. Una volta che il sangue ha ceduto il proprio ossigeno e si è caricato
di diossido di carbonio, esso ritorna al cuore a livello dell’atrio destro, dove inizierà un
nuovo circolo polmonare.
La chiusura delle valvole mitrale, tricuspide e semilunari produce suoni che possono
essere auscultati attraverso uno stetoscopio o un fonendoscopio. Il primo suono (o
primo tono cardiaco), è prodotto dalla chiusura delle valvole atrioventricolari du-
rante la contrazione dei ventricoli. Il secondo suono (o secondo tono cardiaco),
è prodotto dalla chiusura delle valvole semilunari quando la pressione nei ventricoli
scende al di sotto della pressione nelle arterie. Il primo suono si può ascoltare, quindi,
quando i ventricoli si contraggono (sistole) mentre il secondo suono si sente quando i
ventricoli si rilassano all’inizio della diastole.
Il soffio cardiaco è un suono anomalo. Molti soffi sono causati da difetti nelle valvole
cardiache.

Nel feto è presente un’apertura nel setto interatriale chiamata forame ovale (o forame di
Botallo). Il sangue passa cosı̀ dall’atrio destro a quello sinistro. Questo foro, normalmente, si
chiude dopo la nascita; in caso contrario si può evidenziare un soffio cardiaco.

La contrazione cardiaca si compone di tre fasi (Figura 6.27):

1. diastole: il cuore è rilassato, il sangue fluisce all’interno delle sue quattro cavità
Anatomia

e le valvole semilunari sono chiuse;

2. sistole atriale: gli atri si contraggono, spingendo il sangue nei ventricoli, che
invece sono rilassati;

3. sistole ventricolare: gli atri si rilassano, i ventricoli si contraggono e spingono


il sangue nelle arterie, le valvole atrioventricolari si chiudono e quelle semilunari
si aprono.
Biologia 1213

Questo è il ciclo cardiaco (Figura


6.26, Figura 6.27). Dal ventricolo de-
stro, attraverso la valvola polmona-
re, il sangue deossigenato è spinto nel-
le arterie polmonari. Il ventricolo si-
nistro, invece, spinge il sangue ossi-
genato attraverso la valvola aortica
nell’aorta, che lo distribuisce al circolo
sistemico. Al termine della contrazio-
ne dei ventricoli, (sistole), il miocar-
dio si rilassa, le due cavità si disten-
dono (diastole) e cosı̀ possono nuova-
mente essere riempite di sangue. Si
veda un’animazione al seguente link:
http://youtu.be/LOgDSy0m-K8.
La pressione sanguigna corri-
sponde alla forza che il sangue eser- Figura 6.27: Ciclo cardiaco.
cita sulle pareti dei vasi. Essa dipende
in parte dalla gittata cardiaca e in
parte dalla resistenza al flusso sanguigno operata dallo stretto lume dei vasi più
piccoli. La gittata cardiaca è il volume di sangue pompato dai due ventricoli in un mi-
nuto (in un individuo adulto a riposo è di circa 5-5,5 litri al minuto). Essa è calcolabile
moltiplicando la gittata sistolica, cioè la quantità di sangue pompata dai due ventricoli
per ciascun battito (circa 70-80 ml) e la frequenza cardiaca, cioè il numero di battiti al
minuto.
Pressione e velocità del sangue sono maggiori nell’aorta e nelle arterie. Il valore
normale della pressione sanguigna di un adulto è 120/70 mmHg (120 su 70 millimetri
di mercurio), dove il valore massimo è la pressione sistolica e il valore minimo è la
pressione diastolica. Gli strumenti utilizzati per misurare la pressione sanguigna sono
detti sfigmomanometri.
I principali fattori che influenzano la pressione sanguigna sono, quindi:

la frequenza cardiaca;

la gittata sistolica o volume sistolico;

la resistenza vascolare.

La pressione sanguigna può essere regolata: dai reni, che controllano il volume del
sangue e, quindi, la gittata sistolica; dal sistema nervoso simpatico; dagli ormoni pro-
Biologia

dotti dalle ghiandole surrenali (§6.12.5). Questi ultimi possono aumentare la pressione
sanguigna stimolando vasocostrizione delle arteriole (aumentando cosı̀ la resistenza pe-
riferica totale) e aumentando la gittata cardiaca. Il sistema nervoso simpatico può in-
fluire sul volume del sangue indirettamente, stimolando la costrizione dei vasi sanguigni
renali e riducendo cosı̀ la produzione di urina.
Affinché la pressione sanguigna sia mantenuta entro i limiti, sono necessari recettori
specializzati detti barocettori. Si tratta di meccanorecettori situati nell’arco aortico
e nelle carotidi e in altre arterie del collo e del torace. L’impulso nervoso proveniente
dai barocettori, attraverso i nervi vago e glossofaringeo (§6.5), raggiunge il midollo
1214 Anatomia e fisiologia dell’uomo

allungato, dove il centro di controllo vasomotore determina il grado di vasocostrizio-


ne/vasodilatazione e aiuta, quindi, a regolare la resistenza vascolare, mentre il centro
di controllo cardiaco regola la frequenza cardiaca.

Una diminuzione della pressione arteriosa causa un aumento dell’attività del sistema
nervoso simpatico mentre l’attività del parasimpatico diminuisce. Come conseguenza
vi è un aumento della gittata cardiaca e della resistenza vascolare. Al contrario, un
aumento della pressione sanguigna produrrà un calo dell’attività del sistema nervoso
simpatico mentre l’attività del parasimpatico aumenta. Di conseguenza, un aumento
della pressione sanguigna causerà una riduzione della gittata cardiaca e della resistenza
vascolare.

Il controllo della pressione mediato da ormoni coinvolge principalmente reni e ghian-


dole surrenali. L’ormone antidiuretico (o ADH, §6.12.1), prodotto dall’ipotalamo, e
l’aldosterone, sintetizzato nel surrene (§6.12.5), aumentano la pressione sanguigna in-
crementando il volume di sangue circolante. L’angiotensina II, prodotta dai reni (§6.10),
causa vasocostrizione al fine di aumentare la pressione sanguigna. Sui reni, inoltre, agi-
sce il peptide natriuretico atriale (ANP), prodotto da cellule presenti nell’atrio destro
in risposta ad un aumento di volume di sangue, e quindi ad una condizione di ele-
vata pressione. L’ormone induce una riduzione del volume ematico con conseguente
diminuzione della pressione sanguigna.

6.6.4 Attività elettrica del cuore

Il nodo senoatriale (§6.6.1) è il responsabile della formazione degli impulsi elettrici


che determinano la contrazione del muscolo cardiaco; il nodo SA è situato nell’atrio
destro e funziona come pacemaker principale del cuore. Le cellule del nodo SA vanno
ripetutamente incontro a depolarizzazione. Questa depolarizzazione spontanea è detta
potenziale pacemaker. Quando questo potenziale raggiunge il valore soglia, si innesca
un potenziale d’azione, che si propaga in entrambi gli atri provocandone la contrazione
simultanea.

Il potenziale d’azione raggiunge poi il nodo atrioventricolare (nodo AV) e da


esso raggiunge il fascio di His e, infine, le fibre di Purkinje. Questo fa sı̀ che
entrambi i ventricoli si contraggano simultaneamente e immettano il sangue nei due
circoli, polmonare e sistemico.

Il nodo SA imposta il ritmo per la contrazione del cuore: è il pacemaker naturale. Gli
ormoni, come adrenalina e noradrenalina, e gli impulsi provenienti dal sistema nervoso
autonomo possono solo modificare la frequenza cardiaca.
Anatomia

Elettrocardiogramma

I potenziali elettrici generati dal cuore sono condotti alla superficie del corpo, dove
possono essere registrati da elettrodi posti sulla pelle. La registrazione cosı̀ ottenu-
ta è detta elettrocardiogramma (ECG); il dispositivo di registrazione è chiamato
elettrocardiografo.
Biologia 1215

Ogni ciclo cardiaco produce tre on-


de ECG distinte: onda P, com-
plesso QRS e onda T (Figura
6.28).
Il passaggio dell’onda di depo-
larizzazione dal nodo SA agli atri
provoca l’onda P; quando l’intera
massa degli atri è depolarizzata, il
tracciato torna sulla linea basale.
Il complesso QRS rappresenta
l’onda di depolarizzazione nei ven-
tricoli. Durante il segmento ST i
ventricoli sono interamente depola-
rizzati. La ripolarizzazione dei ven-
tricoli è rappresentata dall’onda
T, mentre quella degli atri avvie-
ne durante l’eccitazione dei ventri-
Figura 6.28: Elettrocardiogramma (ECG). L’inizio della
coli ed è mascherata dal complesso
sistole è rappresentato dal complesso QRS, al termine del
QRS. L’intervallo PR è il tempo
quale è prodotto il primo tono cardiaco. L’onda T
che intercorre tra l’inizio dell’ecci-
rappresenta la ripolarizzazione dei ventricoli e, quindi,
tazione atriale e l’inizio dell’ecci-
l’inizio della diastole. Il secondo tono cardiaco è prodotto
tazione ventricolare. L’intervallo
immediatamente dopo la comparsa dell’onda T.
QT rappresenta il periodo tra la
depolarizzazione e la ripolarizzazione del miocardio ventricolare.

6.6.5 Coagulazione del sangue


Quando un vaso sanguigno è danneggiato si attivano dei meccanismi fisiologici fina-
lizzati a promuovere l’emostasi, ossia l’arresto della fuoriuscita di sangue. La rottura
del rivestimento endoteliale di un vaso espone il collagene del tessuto connettivo su-
bendoteliale al sangue. Questo avvia tre meccanismi emostatici: 1) vasocostrizione, 2)
formazione di un tappo piastrinico, e 3) produzione di una rete di fibrina che penetra
e circonda il tappo piastrinico.
Un paio di animazioni sono visibili ai seguenti collegamenti: https://www.youtube.
com/watch?v=8YjmE5UMYvY e https://www.youtube.com/watch?v=cy3a_OOa2M.
In condizioni fisiologiche le cellule endoteliali secernono prostaciclina (un tipo di pro-
staglandina) e monossido di azoto (NO), che agiscono come vasodilatatori e inibiscono
l’aggregazione piastrinica. Quando un vaso sanguigno è danneggiato, le glicoproteine di
membrana delle piastrine sono in grado di legare le fibre collagene. Quando le piastrine
si attaccano al collagene, esse liberano il contenuto dei propri granuli rilasciando: ADP,
Biologia

serotonina e una prostaglandina chiamata trombossano A2 . L’ADP e il trombossano


A2 reclutano nuove piastrine nelle vicinanze rendendole “appiccicose”, in modo che
aderiscano a quelle legate al collagene. Il secondo strato di piastrine, a sua volta, va
incontro allo stesso destino e l’ADP e il trombossano A2 portano all’aggregazione di
altre piastrine. Questo produce un tappo piastrinico nel vaso danneggiato.
Le piastrine attivate intervengono anche nell’attivazione dei fattori di coagulazione;
questo porta alla conversione di una proteina plasmatica solubile, nota come fibrinoge-
no, in una proteina fibrosa insolubile, la fibrina. Nella fase di retrazione del coagulo, la
1216 Anatomia e fisiologia dell’uomo

contrazione della massa piastrinica forma un tappo più compatto ed efficace. Il fluido
che fuoriesce dal coagulo mentre è in corso la retrazione è chiamato siero, che è il
plasma privato del fibrinogeno.
La conversione del fibrinogeno in fibrina può essere determinata da due vie: la via
intrinseca (cosı̀ chiamata perché i fattori necessari per la coagulazione sono presenti
all’interno del sangue) e la via estrinseca.

La via intrinseca inizia quando il plasma è esposto a una superficie carica negativamente, come
il collagene o il vetro. Questo contatto attiva una proteina plasmatica ad attività proteasica
chiamata fattore XII. La forma attiva di questo enzima inizia un’attivazione a cascata di
diversi enzimi, nell’ordine: il fattore XI, il fattore IX e il fattore X. Da questo punto in avanti
le due vie convergono seguendo un percorso comune.
La via estrinseca è attivata dall’esposizione del sangue a un fattore che si trova nei tessuti
sottostanti l’endotelio danneggiato. Questo fattore è detto fattore tissutale (o fattore III), il
quale attiva il fattore VII che, a sua volta, attiva il fattore X. Le due vie, quindi, convergono
nell’attivare il fattore X il quale, una volta attivato, converte una proteina inattiva, la pro-
trombina, nella forma enzimatica attiva, la trombina. Quest’ultima converte il fibrinogeno in
fibrina. La via estrinseca porta alla formazione di fibrina più rapidamente di quanto faccia la
via intrinseca.

Una volta che il vaso sanguigno è stato riparato, l’enzima fattore XII attivato e il tPA
(attivatore tissutale del plasminogeno) promuovono la conversione del plasminogeno in
plasmina. Questa proteina è in grado di digerire la fibrina (fibrinolisi) portando alla
dissoluzione del coagulo.

6.6.6 Principali patologie dell’apparato circolatorio


Le placche ateromatose, o ateroma, sono le lesioni caratteristiche dell’aterosclerosi e
sono accumuli di proteine, colesterolo e altri composti lipidici, che si sviluppano nella
parete delle arterie. Mentre le placche crescono, si diffondono lungo la parete arteriosa
formando rigonfiamenti che sporgono nel lume. Alla fine l’intero spessore della parete
(e lunghi tratti del vaso) può essere colpito. Le placche possono rompersi e ciò può
causare trombosi e compromettere il flusso sanguigno. Le arterie più comunemente
coinvolte sono quelle di cuore, cervello, addome e pelvi. L’aterosclerosi delle arterie
coronarie può causare ischemia cardiaca.

Un trombo è un coagulo di sangue intravascolare responsabile di trombosi. A seconda


del vaso si parla di trombosi arteriosa o venosa.
Un tessuto è detto ischemico quando il suo apporto di ossigeno è insufficiente a causa
di un inadeguato flusso di sangue.
Anatomia

Quando un’arteria è completamente ostruita, i tessuti che essa rifornisce sono sottoposti
rapidamente a degenerazione e muoiono per ischemia, che porta a infarto. Quando una
coronaria è occlusa si verifica infarto del miocardio. L’occlusione delle arterie cerebrali
provoca ischemia cerebrale e questo porta a infarto cerebrale o ictus.
Quando la parete arteriosa è indebolita dalla diffusione della placca, può verificarsi
una progressiva dilatazione locale (aneurisma). Questo può portare a trombosi ed
embolie, oppure l’aneurisma può rompersi causando emorragia. Le sedi colpite più
comunemente sono l’aorta, l’arteria addominale e le arterie iliache.
Biologia 1217

I principali fattori di rischio per l’aterosclerosi sono: ereditarietà, età, ipertensione,


diabete mellito, fumo, stress, dieta poco sana, obesità, stile di vita sedentario, consumo
eccessivo di alcol.
La cardiopatia ischemica (o ischemia miocardica) è determinata principal-
mente dall’aterosclerosi, a causa di restringimento o occlusione di uno o più rami delle
arterie coronarie. Il restringimento di un’arteria causa angina pectoris, e l’occlusione
porta a infarto del miocardio.
Un’aritmia è qualunque alterazione del ritmo cardiaco. Il normale ciclo cardiaco
dà luogo al ritmo sinusale che varia tra 60 e 100 battiti al minuto. Quando il ritmo
sinusale è inferiore a 60 battiti al minuto si parla di bradicardia sinusale; quando il ritmo
sinusale è superiore a 100 battiti al minuto si parla di tachicardia sinusale. Entrambe
le aritmie possono essere fisiologiche o patologiche.
L’asistolia si verifica quando non vi è alcuna attività elettrica nei ventricoli e quindi
nessuna gittata cardiaca. L’ECG mostra una linea piatta. L’asistolia causa improvvisa
e completa perdita della gittata cardiaca, cioè l’arresto cardiaco e la morte.
La fibrillazione è la contrazione anomala delle fibre del muscolo cardiaco. Nel-
la fibrillazione atriale la contrazione degli atri è rapida e alterata e il pompaggio è
inefficace. La contrazione ventricolare diventa rapida e il ritmo è irregolare.
Nella fibrillazione ventricolare si ha contrazione caotica e molto rapida dei ventri-
coli. Il sangue non è pompato in nessuna delle due circolazioni. Il risultato è l’arresto
cardiaco. L’ECG mostra una traccia irregolare. Se l’azione del cuore non può essere
ripristinata in fretta, la morte giunge a causa di anossia cerebrale.
L’ipertensione è un termine usato per descrivere una condizione in cui la pressio-
ne sanguigna sistemica è elevata. L’ipertensione può essere primaria (o essenziale) o
secondaria (dovuta in genere a cause renali o ormonali). L’ipertensione può avere gravi
complicanze a carico di diversi organi.

6.7 Il sistema linfatico


Tutti i tessuti del corpo sono immersi nel liquido interstiziale, una soluzione acquosa
di composizione simile al plasma che circonda le cellule di un tessuto e che media gli
scambi tra il sangue e le cellule. La maggior parte del liquido interstiziale è riassorbita
a livello dell’estremità venosa dei capillari sanguigni, e il resto diffonde attraverso le
pareti dei capillari linfatici e diventa linfa. La linfa attraversa vasi linfatici di dimensioni
crescenti e un certo numero di linfonodi prima di tornare al circolo sanguigno.
Il sistema linfatico è costituito da:

linfa;
Biologia

vasi linfatici;

linfonodi;

organi linfoidi, per esempio milza e timo;

midollo osseo.

Le funzioni del sistema linfatico sono le seguenti:


1218 Anatomia e fisiologia dell’uomo

1. Drenaggio dei tessuti. Ogni giorno 21 litri circa di plasma diffondono dall’estre-
mità arteriosa dei capillari verso i tessuti. La maggior parte di questo fluido è
restituita direttamente al flusso sanguigno attraverso l’estremità venosa dei ca-
pillari ma 3-4 litri di liquido sono drenati dai vasi linfatici. Se ciò non avvenisse,
i tessuti diventeranno rapidamente saturi d’acqua e il sistema cardiovascolare
entrerebbe in crisi.

2. Assorbimento a livello dell’intestino tenue. Grassi e materiali liposolubili, ad


esempio le vitamine liposolubili, sono assorbiti dai vasi linfatici (vasi chiliferi)
dei villi (§ 6.9.3).

3. Immunità. Gli organi linfoidi sono coinvolti nella produzione e nella maturazione
dei linfociti, i quali sono i principali responsabili della risposta immunitaria. Il mi-
dollo osseo è, quindi, considerato un tessuto linfoide poiché in esso sono prodotti
i linfociti.

6.7.1 La linfa
La linfa è un fluido simile per composizione al plasma e identico al liquido interstiziale.
La linfa trasporta alcune proteine plasmatiche, extravasate dai capillari, e particelle
più grandi, per esempio batteri e detriti cellulari che possono poi essere distrutti nei
linfonodi. La linfa contiene linfociti, che circolando nel sistema linfatico “pattuglia-
no” le diverse regioni del corpo. Nei vasi chiliferi dell’intestino tenue i grassi assorbiti
forniscono alla linfa (che in questi vasi linfatici è detta chilo) un aspetto lattiginoso.

6.7.2 Vasi linfatici


I capillari linfatici nascono come vasi a fondo cieco negli spazi interstiziali (Figura
6.29). I capillari linfatici hanno la stessa struttura dei capillari sanguigni, cioè un singolo
strato di cellule endoteliali, ma le loro pareti sono più permeabili a tutti i costituenti
del liquido interstiziale, compresi proteine e detriti cellulari. Tutti i tessuti del corpo
hanno una rete di vasi linfatici, ad eccezione del sistema nervoso centrale, delle ossa e
degli strati più superficiali della pelle.
I vasi linfatici hanno numerose
valvole che assicurano che la linfa
scorra in un solo senso, cioè verso
il torace. Nel sistema linfatico non
esiste una “pompa”, come il cuo-
re, ma il tessuto muscolare presen-
te nelle pareti dei grandi vasi lin-
Anatomia

fatici ha una capacità intrinseca di


contrarsi ritmicamente.
I vasi linfatici confluiscono in Figura 6.29: Origine dei capillari linfatici.
vasi di dimensioni maggiori, for-
mando infine due grandi dotti, il dotto toracico e il dotto linfatico destro, che riversano
la linfa nelle vene succlavie. Il dotto toracico drena la linfa proveniente dalle regioni
inferiori del corpo, dal braccio sinistro e dalla metà sinistra di torace, testa e collo. Il
dotto linfatico destro drena la linfa proveniente dal braccio destro e dalla metà destra
di torace, testa e collo.
Biologia 1219

6.7.3 Organi linfoidi


I linfonodi sono organi linfoidi che si trovano lungo il decorso dei vasi linfatici. In un
linfonodo entrano da quattro a cinque vasi afferenti ed esce un solo vaso efferente.
I linfonodi hanno le seguenti funzioni:

filtraggio e fagocitosi : la linfa, che può contenere microrganismi, fagociti, cellule


tumorali, detriti cellulari e particelle inalate, viene filtrata dal tessuto linfoide
dei linfonodi. Il materiale organico è distrutto da macrofagi e anticorpi. Alcu-
ne particelle inorganiche inalate non possono essere distrutte per fagocitosi ma
rimangono all’interno dei macrofagi. Nei casi in cui la fagocitosi dei microrga-
nismi è incompleta, può verificarsi infiammazione e ingrossamento del linfonodo
(linfoadenopatia);

proliferazione dei linfociti : i linfociti T e B attivati proliferano nei linfonodi. Gli


anticorpi prodotti dai linfociti B (§6.15.3) sensibilizzati entrano nella linfa e nel
sangue.

La milza è formata da tessuto connettivo e tessuto linfoide ed è il più grande organo


linfoide. La milza si trova nella cavità addominale sinistra, tra il fondo dello stomaco e
il diaframma.
Le sue funzioni sono:

fagocitosi : gli eritrociti vecchi e anormali vengono distrutti (emocateresi) nella


milza e i prodotti di degradazione, bilirubina e ferro, passano al fegato attraverso
la vena porta e la vena splenica. Altro materiale cellulare, ad esempio leucociti,
piastrine e microbi, sono fagocitati nella milza. A differenza dei linfonodi, la milza
non ha vasi linfatici afferenti pertanto non è esposta a malattie diffuse dalla linfa;

riserva di sangue: la milza contiene fino a 350 ml di sangue, e in risposta alla


stimolazione simpatica può rapidamente restituire gran parte di questo volume
alla circolazione, ad esempio in caso di emorragia;

risposta immunitaria: la milza contiene linfociti T e linfociti B, che sono at-


tivati dalla presenza di antigeni, ad esempio in caso di infezioni. La prolifera-
zione dei linfociti durante un’infezione può causare ingrossamento della milza
(splenomegalia);

eritropoiesi: la milza e il fegato sono importanti siti di produzione delle cellule


del sangue durante la vita fetale e la milza può svolgere questa funzione anche
nell’adulto, in caso di necessità.
Biologia

Il timo si trova nella parte superiore del mediastino, dietro lo sterno e si estende
verso l’alto nel collo. Il timo cresce fino a quando l’individuo raggiunge la pubertà,
dopodiché comincia ad atrofizzarsi.
La funzione principale del timo è lo sviluppo e l’educazione timica dei linfociti T
(§6.15.4). Questi leucociti si sviluppano da cellule staminali pluripotenti presenti nel
midollo osseo rosso. I linfociti che entrano nel timo diventeranno linfociti T attivati.
L’educazione timica produce linfociti T maturi che possono distinguere gli antigeni
dell’organismo (self ) da antigeni estranei (non-self ), e fa sı̀ che ogni linfocita T sia in
1220 Anatomia e fisiologia dell’uomo

grado di reagire a un solo antigene specifico. I linfociti T lasciano poi il timo: alcuni
entrano nei tessuti linfoidi e altri circolano nel sangue.
Il tessuto linfoide associato alla mucosa (MALT) è un tessuto non organizza-
to a formare organi. Esso contiene linfociti B e T, che sono migrati dal midollo osseo e
dal timo, e sono importanti nell’assicurare una pronta risposta immunitaria. Il MALT
si trova in tutto il tratto gastrointestinale, nell’apparato respiratorio, nel tratto uro-
genitale e in tutti i distretti esposti all’ambiente esterno. Fanno parte del MALT le
tonsille e le placche di Peyer. Le tonsille si trovano nella bocca e nella gola (tonsille
palatine, tonsille linguali, tonsille tubariche, tonsille faringee o adenoidi) e il loro ruolo
è di proteggere l’apparato respiratorio dai microrganismi presenti nell’aria e nel cibo.
Le placche di Peyer sono aggregati di tessuto linfoide che si trovano nell’intestino
tenue, il cui scopo è quello di intercettare gli antigeni ingeriti.

6.8 Apparato respiratorio


L’apparato respiratorio ha la fondamentale funzione di assicurare l’apporto di ossigeno
all’organismo e l’eliminazione del diossido di carbonio.
La respirazione, avviene in tre passaggi:
1. la ventilazione polmonare, o respirazione generale: è il flusso d’aria dentro
e fuori dai polmoni;
2. la respirazione esterna: è lo scambio di gas che avviene tra gli alveoli polmonari
e il sangue;
3. la respirazione interna: è lo scambio di gas che si verifica fra il sangue nei
capillari e le cellule nei tessuti.
Strutturalmente l’apparato respiratorio consiste di due parti: la parte superiore, che
comprende il naso, la faringe e le strutture associate, e la parte inferiore, che consiste
di laringe, trachea, bronchi e polmoni (Figura 6.30). Le vie respiratorie sono rivestite
di muco con funzione protettiva.
I costituenti del sistema respiratorio sono:
naso;
faringe;
laringe;
trachea;
due bronchi;
Anatomia

bronchioli;
due polmoni con i loro rivestimenti (pleure);
muscoli respiratori (muscoli intercostali e diaframma).
L’aria entra attraverso le narici del naso, attraversa le cavità nasali e giunge alla
faringe. Da qui attraversa la laringe, che connette la faringe alla trachea. Dopo la
faringe e la laringe le vie respiratorie proseguono nella trachea e quindi nei bronchi
e nei bronchioli all’interno dei polmoni.
Biologia 1221

Il naso è stato descritto in un


paragrafo precedente (§ 6.3.3).
La faringe è una struttu-
ra comune all’apparato respi-
ratorio e al sistema digeren-
te. La parte superiore della fa-
ringe (nasofaringe o rinofarin-
ge) è collegata alle due coane
e comprende gli sbocchi delle
tube di Eustachio. Sulla pare-
te posteriore del rinofaringe so-
no presenti le tonsille faringee
(adenoidi), costituite da tessuto
linfoide (§6.7.3).
La porzione intermedia del-
la faringe è l’orofaringe, che
ospita le due tonsille palatine.
Durante la deglutizione la par-
te nasale e quella orale della fa-
ringe sono separate dal palato
molle e dall’ugola. La porzione Figura 6.30: Parte superiore ed inferiore dell’apparato respirato-
inferiore è la laringofaringe e si rio.
collega sia con l’esofago sia con
la laringe. La faringe, oltre a essere una via di transito per aria e cibo, costituisce una
camera di risonanza per i suoni emessi durante la fonazione.
La laringe, o scatola della voce (Figura 6.31), è un organo cavo a forma di piramide
triangolare, costituito di cartilagine e rivestito di mucosa che connette la faringe alla
trachea. Fino alla pubertà le dimensioni della laringe sono simili nei due sessi. In seguito
essa cresce maggiormente nel maschio, il che spiega la presenza del “pomo d’Adamo”
e la voce più profonda.
La laringe, o scatola della voce (Figura 6.31), è un organo cavo a forma di piramide
triangolare di cartilagine, rivestito di mucosa che connette la faringe alla trachea. Le

Biologia

Figura 6.31: La laringe vista frontalmente (A) e posteriormente (B). Si possono notare la ghiandola tiroidea
e le paratiroidi.
1222 Anatomia e fisiologia dell’uomo

membrane mucose della laringe formano due paia di pieghe:

un paio superiore, le corde vocali false: trattengono l’aria contro la pressione


nella cavità toracica;

un paio inferiore, le corde vocali vere: producono suoni mentre si parla e si


canta.

La laringe, oltre alla funzione di produrre suoni e voce, mediante la chiusura del-
l’epiglottide fa sı̀ che il cibo entri nell’esofago e non nella trachea, proteggendo cosı̀ il
sistema respiratorio inferiore.
La trachea è un condotto tubulare posto davanti all’esofago; la sua parete è costitui-
ta da anelli di cartilagine ed è ricoperta internamente da un epitelio ciliato contenente
cellule secernenti muco. Le ciglia si muovono in modo sincrono trascinando il muco e
le particelle a esso adese verso la laringe, dove può essere ingerito o espettorato.
Le terminazioni nervose di laringe, trachea e bronchi sono sensibili all’irritazione,
che genera impulsi nervosi che sono condotti dal nervo vago al centro respiratorio del
tronco cerebrale, nel midollo allungato e nel ponte. La risposta motoria determina
una profonda inspirazione seguita dalla chiusura della glottide. I muscoli addominali
e respiratori, quindi, si contraggono e l’aria è rapidamente rilasciata espellendo dalla
bocca muco e/o materiale estraneo: questo è il riflesso della tosse.
I due bronchi si formano dalla ramificazione della trachea. Il bronco destro è più
ampio e più corto del bronco sinistro e dopo l’ingresso nel polmone destro si divide in
tre rami, uno per ciascun lobo (§6.8.1). Il bronco sinistro, invece, dopo l’ingresso nel
polmone si divide in due rami, uno per ciascun lobo. Entrambi i bronchi si suddivi-
dono poi, progressivamente, in bronchioli, bronchioli terminali, bronchioli respiratori,
dotti alveolari e, infine, alveoli (§6.8.1). Dal punto di vista istologico i bronchi hanno
la stessa composizione della trachea: contengono un epitelio ciliato che si trasforma
gradualmente in epitelio non ciliato a livello dei bronchioli.

6.8.1 Polmoni
I polmoni sono due organi cavi spugnosi posti nella cavità toracica. La pleura è una
membrana sierosa a doppio strato che racchiude e protegge ciascun polmone. Ogni
polmone è diviso in lobi, a loro volta costituiti da segmenti, dove si ramificano i bron-
chi terziari, composti da piccoli compartimenti chiamati lobuli, a livello dei quali si
trovano i bronchioli terminali (Figura 6.32). Questi si suddividono in ramificazioni mi-
croscopiche, chiamate bronchioli respiratori, che a loro volta si suddividono in diversi
dotti alveolari. Due o più alveoli che condividono uno spazio comune prendono il nome
Anatomia

di sacco alveolare. Ogni alveolo polmonare è, quindi, una tasca a forma di coppa che
si trova in un sacco alveolare. Ogni alveolo è costituito da un sottile strato di cellule
epiteliali attraverso cui avvengono gli scambi gassosi.

Il polmone destro possiede tre lobi mentre il sinistro solo due.


Biologia 1223

Figura 6.32: Bronchioli terminali e alveoli.

Tra le cellule dei dotti alveolari e degli alveoli sono presenti cellule che secernono un ten-
sioattivo, il surfattante polmonare, un fluido fosfolipidico che impedisce agli alveoli di seccarsi.
Inoltre, il surfattante riduce la tensione superficiale e previene il collasso delle pareti alveolari
durante l’espirazione.

6.8.2 La respirazione polmonare


L’alternanza di inspirazione ed espirazione consente di ventilare i polmoni (Figura
6.33). Nei polmoni gli scambi gassosi tra aria e sangue avvengono attraverso la superficie
interna umida e vascolarizzata. La presenza nei polmoni delle numerosissime cavità
alveolari porta la superficie di scambio tra aria e sangue a circa 70 - 80m2 .
La respirazione esterna, detta scambio gassoso polmonare, comprende la dif-
fusione di O2 dall’aria presente negli alveoli polmonari al sangue circolante nei capillari
polmonari e la diffusione di CO2 nella direzione opposta (Figura 6.34).
L’aria è ricca di O2 e povera di CO2 mentre il sangue che arriva ai polmoni dai tessuti
è ricco di CO2 e povero di O2 : per diffusione semplice l’ossigeno passa dall’aria al
sangue, mentre la CO2 passa dal sangue all’aria.
Lo scambio di O2 e CO2 fra capillari sistemici e cellule dei tessuti è chiamato
respirazione interna o scambio gassoso sistemico.
Il sangue che arriva ai tessuti è ricco di O2 e povero di CO2 : per diffusione
semplice l’ossigeno passa dal sangue ai tessuti, mentre la CO2 passa dai tessuti al
Biologia

sangue.

La maggior parte dell’O2 è trasportato dall’emoglobina in forma di ossiemoglobina all’inter-


no dei globuli rossi; la maggior parte della CO2 è trasportata nel plasma sanguigno sotto forma
di ioni bicarbonato e negli eritrociti legata debolmente all’emoglobina (carbaminoemoglo-
bina).
L’ossigeno si lega all’emoglobina con una forza direttamente proporzionale alla concentra-
zione dell’ossigeno stesso.
1224 Anatomia e fisiologia dell’uomo

Figura 6.33: Respirazione esterna. Inspirazione: il diaframma si contrae e si abbassa, la cassa toracica si
espande, la pressione interna cala e l’aria è inspirata. Espirazione: il diaframma si rilassa, la cassa toracica
si contrae, la pressione interna aumenta e l’aria è espirata.

Figura 6.34: Respirazione esterna: scambio di gas tra l’aria alveolare e i capillari sanguigni.

Oltre alla pressione parziale dell’O2 i fattori che influiscono sulla quantità di O2 rilasciata
Anatomia

sono:
la presenza di diossido di carbonio;
l’acidità;
la temperatura.

I neuroni motori che stimolano i muscoli respiratori sono controllati da due principali
vie discendenti: una che controlla la respirazione volontaria e un’altra che controlla
la respirazione involontaria. Il ritmo respiratorio è generato da gruppi di neuroni del
Biologia 1225

midollo allungato. L’attività di questo centro midollare può essere influenzata da centri
presenti nel ponte: il centro apneustico e il centro pneumotassico.

La frequenza respiratoria è anche influenzata da impulsi provenienti da chemorecettori sensi-


bili alle variazioni di vari fattori (pressione di CO2 , pH, e pressione di O2 del sangue). Esistono
due gruppi di chemorecettori: i chemorecettori centrali del midollo allungato e i chemorecet-
tori periferici. Questi ultimi sono presenti nell’aorta e nelle arterie carotidi. I chemorecettori
periferici controllano la respirazione inviando le informazioni sensoriali al midollo allungato
attraverso i nervi vago e glossofaringeo. Nel caso aumenti la pressione di CO2 o diminuisca
quella di O2 o il pH, la frequenza respiratoria aumenta.

6.8.3 Principali patologie dell’apparato respiratorio


Le infiammazioni del sistema respiratorio superiore possono essere causate dall’inala-
zione di sostanze irritanti o più comunemente da infezioni. Tali infezioni sono di solito
provocate da virus o batteri.
Il comune raffreddore è causato, normalmente, dai rinovirus ed è molto infettivo.
L’influenza è causata da un gruppo diverso di virus e produce sintomi più gravi di un
raffreddore.
Virus e batteri sono comuni cause di infiammazione di tonsille (tonsillite), faringe
(faringite), laringe (laringite) e trachea (tracheite).
La bronchite acuta è un’infezione batterica dei bronchi. Di solito è preceduta da
un comune raffreddore o un’influenza. I virus indeboliscono i normali meccanismi di
difesa, permettendo a batteri già presenti nel tratto respiratorio, per esempio Strepto-
coccus pneumoniae, Haemophilus influenzae, Streptococcus pyogenes e Staphylococcus
aureus di moltiplicarsi.
La bronchite cronica è una malattia infiammatoria conseguente all’irritazione
prolungata dell’epitelio bronchiale. Si sviluppa principalmente negli uomini di mezza
età che sono forti fumatori. La conseguente ridotta attività ciliare dell’epitelio provoca
ristagno nei bronchi di una quantità eccessiva di muco che può parzialmente o comple-
tamente ostruire i bronchioli. La grave difficoltà nella respirazione (dispnea) provoca
un aumento della pressione dell’aria negli alveoli che può portare a rottura delle pa-
reti alveolari, causando enfisema. Condizioni di freddo umido tendono ad aggravare la
malattia e la diffusione di muco infetto agli alveoli può causare polmonite.
L’asma è una malattia infiammatoria caratterizzata da ostruzione delle vie aeree,
con riduzione del flusso d’aria nel tratto respiratorio inferiore. Durante un attacco
asmatico la contrazione del muscolo bronchiale (broncospasmo) e l’eccessiva secrezione
Biologia

di muco denso restringe le vie respiratorie. L’inspirazione è normale ma si ha solo una


parziale espirazione, con dispnea e respiro affannoso. In caso di attacchi acuti si può
avere grave compromissione respiratoria, ipossia e morte.
Nell’enfisema polmonare si ha una dilatazione irreversibile dei bronchioli respi-
ratori, dei dotti alveolari e degli alveoli con riduzione degli scambi gassosi.
La polmonite insorge quando i microrganismi patogeni, tra i quali Streptococcus
pneumoniae e Legionella pneumophila, colonizzano i polmoni. L’infezione causata da
batteri del genere Mycobacterium è definita tubercolosi.
1226 Anatomia e fisiologia dell’uomo

6.9 Apparato digerente


Il termine apparato digerente è utilizzato per descrivere il tubo digerente, alcuni organi
accessori e i processi digestivi che hanno luogo a diversi livelli del tubo digerente.
L’apparato digerente è costituito da due gruppi di organi:
organi del tratto gastrointestinale: bocca, faringe, esofago, stomaco, intestino
tenue e intestino crasso;
organi annessi: denti, lingua, ghiandole salivari, fegato, cistifellea e pancreas.
Nel tubo digerente avviene la digestione, che procede per azioni sia meccaniche sia
chimiche. Le fasi della digestione sono:
digestione orale: è dovuta alla masticazione, mediante la quale il cibo viene
impastato dalla lingua, triturato dai denti e mescolato dalla saliva;
digestione gastrica: è caratterizzata dalla produzione di succo gastrico conte-
nente pepsina, acido cloridrico (HCl) e muco. Il pepsinogeno è trasformato,
in presenza di HCl, in pepsina che attacca le proteine riducendole in frammen-
ti più piccoli. Lo stomaco accompagna queste reazioni chimiche con movimenti
“peristaltici” che rimescolano la massa alimentare fino a che questa giunge al
piloro;
digestione intestinale: avviene grazie all’azione della bile e del succo pancreatico
riversati nel duodeno. La bile emulsiona i grassi nel duodeno, mentre il succo pan-
creatico attacca i tre tipi di nutrienti grazie agli enzimi amilasi, lipasi e proteasi.
L’intestino tenue produce il succo enterico che contiene diversi enzimi necessari
alla digestione di carboidrati, lipidi e proteine: maltasi, saccarasi, lattasi, lipasi
intestinale, peptidasi.
La bocca è formata dalle labbra, dalle guance, dal palato duro, dal palato molle e
dalla lingua. La lingua è un organo accessorio composto da muscolatura scheletrica
e ricoperto di membrana mucosa sensoriale chemorecettrice (Figura 6.23). I muscoli
linguali manipolano il cibo per la masticazione, lo compattano e lo spingono sul retro
della bocca per la deglutizione. I denti (Figura 6.35) sono organi accessori collocati
in alveoli ossei, che sono cavità contenute nelle ossa mascellari. Sono costituiti da tre
regioni superficiali, corona, radice e colletto, composti principalmente da dentina, in
parte ricoperta dallo smalto. All’interno del dente la cavità pulpare è ripiena di polpa
innervata e irrorata da vasi sanguigni e linfatici.

All’età di circa 6 mesi emergono i primi denti temporanei (o decidui) che in totale sono 20. I
Anatomia

denti permanenti cominciano a sostituire i denti decidui intorno al sesto anno di età e questa
sostituzione porta al numero definitivo di 32 denti (8 incisivi, 4 canini, 8 premolari, 12 molari).

Le ghiandole salivari sono organi annessi che rilasciano le loro secrezioni nei dotti che
si aprono nella cavità orale. Sono ghiandole esocrine e le principali sono: le parotidi, le
sottomandibolari e le sottolinguali. La saliva è composta per il 99,5% di acqua e per
lo 0,5% di soluti tra cui enzimi (amilasi e lisozima) e muco. Uno di questi enzimi, la
ptialina o amilasi salivare, inizia la digestione degli amidi che vengono trasformati
in disaccaridi. Lasalivazione è controllata dal sistema nervoso autonomo. Il cibo
Biologia 1227

Figura 6.35: Struttura di un dente.

triturato dai denti ed impastato dalla saliva è detto bolo alimentare. Il bolo passa
poi attraverso la faringe e giunge all’esofago. Nell’esofago il bolo alimentare viene
spinto verso lo stomaco attraverso un meccanismo di contrazione chiamato peristalsi.
Lo sfintere esofageo inferiore regola il transito dall’esofago allo stomaco e impedisce
il reflusso di acido dallo stomaco verso l’esofago.

6.9.1 Struttura del tubo digerente


Dal punto di vista generale il lume del tubo digerente è rivestito da 4 strati di tessuto,
che a partire dal più interno sono: la mucosa, la sottomucosa, la tonaca muscolare
e la sierosa.
La mucosa, o tonaca mucosa, che riveste il lume del tratto gastrointestinale, è lo
strato con ruolo di assorbimento e di secrezione.
La sottomucosa è uno strato altamente vascolarizzato di tessuto connettivo. Le
molecole assorbite che passano attraverso le cellule epiteliali della mucosa entrano nei
vasi sanguigni e linfatici della sottomucosa. Oltre ai vasi sanguigni, la sottomucosa
contiene ghiandole e plessi nervosi. Il plesso sottomucoso (plesso di Meissner)
fornisce innervazione alla mucosa dell’intestino.
La tonaca muscolare è lo strato responsabile delle contrazioni e del movimento pe-
ristaltico. Il plesso mioenterico (plesso di Auerbach), che si trova nella tonaca
muscolare, fornisce la principale innervazione per l’intero tratto gastrointestinale. Es-
so comprende fibre e gangli di entrambe le divisioni del sistema nervoso autonomo,
simpatico e parasimpatico (§6.5.2).
La sierosa, o tonaca sierosa, è lo strato più esterno. Si tratta di uno strato protettivo
costituito da tessuto connettivo e uno strato di epitelio pavimentoso semplice.
Il peritoneo è la più grande membrana sierosa del corpo, contiene una piccola
Biologia

quantità di liquido sieroso e si trova nella cavità addominale. Esso è ricco di vasi
sanguigni e linfatici e contiene un numero considerevole di linfonodi.
Il peritoneo è costituito da due strati:

1. il peritoneo parietale, che riveste la cavità addominale;


2. il peritoneo viscerale, che ricopre i visceri contenuti all’interno delle cavità addo-
minale e pelvica.
1228 Anatomia e fisiologia dell’uomo

Dal punto di vista istologico la tonaca mucosa consiste di tre strati: un epitelio cilindrico
semplice (membrana mucosa), uno strato di tessuto connettivo lasso (lamina propria), un
sottile strato di tessuto muscolare liscio (muscularis mucosae).
Il plesso di Meissner della sottomucosa e il plesso di Auerbach della tonaca muscolare
costituiscono il sistema nervoso enterico (Figura 6.11).

6.9.2 Lo stomaco
Lo stomaco ha la funzione di camera di mescolamento e di magazzino di contenimento.
È costituito da quattro regioni principali: cardias, fondo, corpo e piloro (Figura 6.36).
Il cibo, completata la digestione gastrica, viene detto chimo. Quando lo stomaco è
vuoto la mucosa si solleva in larghe pieghe chiamate rughe. L’epitelio superficiale
si estende anche sotto la superficie formando colonne di cellule secretrici chiamate
ghiandole gastriche, che ricoprono stretti canali, le fossette gastriche. Le secrezioni
delle ghiandole gastriche (dette succhi gastrici) si riversano nel lume dello stomaco,
il quale è protetto da uno strato di muco poiché i succhi gastrici, essendo acidi,
potrebbero provocare danni alle pareti dello stomaco. Il chimo attraversa il piloro e
giunge nell’intestino tenue.

Figura 6.36: Struttura dello stomaco.

Le ghiandole gastriche sono esocrine e contengono tre tipi di cellule tra le quali
(Figura 6.37):
cellule mucose: secernono muco;
Anatomia

cellule parietali: producono acido cloridrico e il fattore intrinseco, necessario


per l’assorbimento della vitamina B12 da parte dell’intestino;
cellule principali: secernono pepsinogeno.
cellule G e cellule D: sono cellule che secernono, rispettivamente, gli ormoni
gastrina e somatostatina che sono immessi nel circolo sanguigno. Questi due tipi
cellulari rappresentano, quindi, la porzione endocrina delle ghiandole gastriche.
Biologia 1229

Figura 6.37: Tipi di cellule delle ghiandole esocrine dello stomaco. Sono presenti anche cellule D
(producono somatostatina) e cellule ECL (secernono istamina e serotonina).

Le ulcere peptiche sono erosioni della mucosa dello stomaco o del duodeno. Il Premio
Nobel 2005 per la Medicina è stato assegnato a due scienziati, Robin Warren e Barry
Marshall, che hanno dimostrato che un batterio, l’Helicobacter pylori, è la causa della
maggior parte dei casi di ulcera dello stomaco e del duodeno.

6.9.3 L’intestino tenue


L’intestino tenue, lungo all’incirca tre metri, è la porzione del sistema digerente com-
presa tra lo sfintere pilorico e la valvola ileocecale ed è distinto in tre porzioni:

il duodeno;

il digiuno;

l’ileo.

Nell’intestino tenue (Figura 6.38) avvengono i principali processi di digestione e


assorbimento.
Le cellule dell’intestino, gli enterociti, sono caratterizzate dalla presenza di microvilli
che assorbono i nutrienti presenti nel chimo. Nell’epitelio si trovano anche le cellule
Biologia

caliciformi mucipare, che secernono muco. La sottomucosa del duodeno contiene


le ghiandole duodenali, che secernono muco alcalino per neutralizzare l’acidità del
chimo. Le cellule del duodeno producono anche enterochinasi, un enzima in grado di
attivare tripsinogeno e chimotripsinogeno, presenti nel succo pancreatico, convertendoli
rispettivamente in tripsina e chimotripsina. Nel complesso le secrezioni prodotte dalle
cellule dell’intestino tenue prendono il nome di succo enterico.
Le caratteristiche strutturali dell’intestino tenue che aumentano la capacità di
assorbimento dei nutrienti e facilitano i processi digestivi sono:
1230 Anatomia e fisiologia dell’uomo

Figura 6.38: Intestino tenue. L’assorbimento di carboidrati, lipidi, aminoacidi, calcio e ferro avviene
principalmente nel duodeno e nel digiuno. Sali biliari, vitamina B12 , acqua ed elettroliti sono assorbiti
principalmente nell’ileo.

le pieghe circolari (o valvole di Kerkring), creste permanenti della mucosa e


della sottomucosa che rallentano il passaggio del cibo e permettono una maggiore
superficie di assorbimento;

i villi, proiezioni digitiformi della mucosa;

i microvilli, proiezioni della membrana plasmatica presenti sulla superficie degli


enterociti.

Alla base dei villi, nei solchi presenti tra un villo e un altro, si trovano delle strutture dette
ghiandole intestinali o cripte di Lieberkühn. Le cripte sono costituite da cellule di Pane-
th, che secernono molecole antibatteriche (lisozima e peptidi antimicrobici), cellule staminali,
che produrranno enterociti, e cellule mucipare.

Quando il chimo acido giunge nell’intestino tenue si mescola con il succo pancreatico,
la bile e il succo enterico, ed entra in contatto con gli enterociti dei villi intestinali.
Il succo pancreatico, trasportato dal dotto pancreatico, sbocca nel duodeno a livel-
lo dell’ampolla del Vater. In questa regione sbocca anche il dotto coledoco, che trasporta
sia la bile proveniente dal fegato sia quella immagazzinata nella cistifellea (Figura 6.41).
Il succo pancreatico contiene: acqua, sali, enzimi (amilasi, lipasi e nucleasi) e precursori
inattivi di enzimi (tripsinogeno, chimotripsinogeno, procarbossipeptidasi). Si tratta di
un fluido alcalino a causa della presenza di ioni bicarbonato e ciò è molto importante
Anatomia

perché il materiale proveniente dallo stomaco ha un pH molto basso (è acido), ma gli
enzimi che agiscono nel duodeno necessitano di un pH compreso tra 6 e 8.
La secrezione del succo pancreatico è stimolata da secretina e colecistochinina, or-
moni prodotti dalle cellule endocrine presenti nel duodeno. La presenza nel duodeno di
materiale acido proveniente dallo stomaco stimola la produzione di questi ormoni.
La bile, prodotta e secreta dal fegato (§ 6.9.5), è costituita da: acqua, sali biliari,
pigmenti biliari (principalmente bilirubina) e lipidi (colesterolo, acidi grassi e lecitina).
I sali biliari emulsionano i grassi, li trasformano cioè in minuscole goccioline in grado
di essere assorbite dalle cellule intestinali.
Biologia 1231

A seguito di un pasto si ha la secrezione di colecistochinina, la quale stimola la


contrazione della cistifellea e l’apertura dello sfintere (sfintere di Oddi ) che consente
alla bile e al succo pancreatico di entrare nel duodeno.

La bilirubina si forma a seguito del catabolismo dell’emoglobina presente negli eritrociti. La


bilirubina è metabolizzata da batteri presenti nell’intestino crasso: una parte, l’urobilinogeno,
è riassorbita e quindi escreta nelle urine, ma la maggior parte è convertita in stercobilina,
escreta con le feci.

L’assorbimento in-
testinale (Figura 6.39)
è il trasferimento di nu-
trienti dal lume intesti-
nale al sangue e ai vasi
linfatici attraverso gli en-
terociti. Al termine del-
la digestione, gli alimenti
sono cosı̀ scomposti:

1. i carboidrati sono
ridotti in molecole
di glucosio;

2. le proteine sono ri-


dotte in molecole
di amminoacidi ;

3. i lipidi sono ri-


dotti in molecole
Figura 6.39: Assorbimento dei nutrienti molecolari da parte dell’epitelio
di acidi grassi e intestinale.
glicerolo.

Queste molecole vengono assorbite e convogliate ai capillari intestinali, i quali conver-


gono verso la vena porta attraverso la quale giungono al fegato. In particolare i grassi
sono assorbiti dal vaso linfatico (vaso chilifero) che si trova all’interno del villo.
La tabella 6.4 mostra i principali enzimi coinvolti nella digestione.

6.9.4 L’intestino crasso


L’intestino crasso si estende dall’ileo all’ano ed è suddiviso in: cieco, colon ascendente,
colon trasverso, colon discendente, sigma o colon sigmoide, retto, canale anale (Figura
Biologia

6.40). Lo sfintere ileocecale (o valvola ileocecale) permette il passaggio regolato del


chimo dal tenue all’intestino crasso. Le funzioni dell’intestino crasso sono:

eliminare le sostanze che non possono essere digerite;

assorbire acqua e sali minerali;

assorbire vitamine del complesso B e vitamina K (§ 1.5.2).


1232 Anatomia e fisiologia dell’uomo

Enzima Origine Sito di Substrato Prodotto


azione
Amilasi salivare (o Ghiandole salivari Bocca Amido Maltosio
ptialina)
Pepsina Ghiandole Stomaco Proteine Polipeptidi di mino-
gastriche ri dimensioni
Amilasi pancreatica Succo pancreatico Duodeno Amido Maltosio e oligosac-
caridi
Tripsina, chimotrip- Succo pancreatico Duodeno Polipeptidi Aminoacidi, dipep-
sina e carbossipepti- tidi e tripeptidi
dasi
Lipasi pancreatica Succo pancreatico Intestino Trigliceridi Acidi grassi e mono-
tenue gliceridi
Maltasi Enterociti Intestino Maltosio Glucosio
tenue
Saccarasi Enterociti Intestino Saccarosio Glucosio + fruttosio
tenue
Lattasi Enterociti Intestino Lattosio Glucosio + galatto-
tenue sio
Aminopeptidasi Enterociti Intestino Polipeptidi Aminoacidi, dipep-
tenue tidi e tripeptidi
Tabella 6.4: Caratteristiche dei principali enzimi digestivi.

Il cieco ha un’estremità a fon-


do cieco e continua superior-
mente con il colon ascenden-
te. L’appendice è un prolun-
gamento del cieco; essa contiene
tessuto linfoide e in caso di sua
infiammazione si parla di ap-
pendicite, che in genere è cura-
ta mediante rimozione chirurgi-
ca dell’appendice. Il chimo, me-
diante movimenti peristaltici, è
spinto verso il colon ascen-
dente e prosegue nelle altre re-
gioni del colon: trasverso, di-
scendente e sigma. Quest’ul-
timo descrive una curva a forma
di S nella pelvi (Figura 6.40) e Figura 6.40: Intestino crasso.
continua poi verso il basso per diventare retto. Il retto, lungo circa 13 cm, è una
sezione leggermente dilatata del colon che termina nel canale anale, il quale è un
Anatomia

breve passaggio che conduce dal retto verso l’esterno. Due sfinteri controllano l’ano:
lo sfintere interno, costituito da fibre muscolari lisce, sotto il controllo del sistema
nervoso autonomo e lo sfintere esterno, formato da muscoli scheletrici, sotto controllo
volontario.
I movimenti peristaltici spingono il materiale fecale dal colon al retto le cui pa-
reti, distendendosi, stimolano i recettori dello stiramento che innescano il riflesso di
defecazione finalizzato allo svuotamento del retto.
Il chimo è completamente digerito per opera di batteri presenti nel lume del colon. I
batteri intestinali sono in grado di scindere le proteine in amminoacidi e di decomporre
Biologia 1233

la bilirubina in pigmenti più semplici. Per assorbimento dell’acqua il chimo acquisisce


una consistenza solida o semisolida e prende il nome di feci.

I batteri presenti nell’intestino prendono il nome generico di flora intestinale o, più


correttamente, microbiota. Si tratta di batteri anaerobi (§ 2.2.1) o anaerobi facoltativi
(ovvero possono adottare un metabolismo aerobio o anaerobio in base alla disponibilità
di ossigeno) in rapporto di mutualismo (§ 5.5) o commensalismo (relazione tra due
specie in cui una delle due trae vantaggio, sfruttando le risorse dell’altra senza che
quest’ultima ne riceva vantaggio o danno).

I batteri più comuni presenti nell’intestino crasso sono: bifidobatteri, clostridi, entero-
batteri, lattobacilli, streptococchi, Staphylococcus aureus, Escherichia coli. Questi mi-
crobi sono perlopiù commensali negli esseri umani. Essi possono diventare patogeni se
trasferiti in un’altra parte del corpo, ad esempio Escherichia coli può causare cistiti se
colonizza la vescica urinaria.

Il microbiota intestinale svolge una serie di funzioni fisiologicamente importanti, ad esempio


i batteri nel colon fermentano (attraverso il metabolismo anaerobico) alcune molecole non
digeribili. Essi producono acidi grassi a corta catena, che sono utilizzati dalle cellule epiteliali
del colon per produrre energia, e che facilitano l’assorbimento di sodio, bicarbonato, calcio,
magnesio e ferro.
Il giusto equilibrio tra le specie batteriche riduce la possibilità che ceppi patogeni possano
provocare danni e produrre disturbi come la diarrea.

6.9.5 Fegato
Il fegato è la ghiandola più grande del corpo umano; è situato sotto il diaframma (Figu-
ra 6.41), è ricoperto da tessuto connettivo, riceve sangue dalla vena porta e dall’arteria
epatica e da esso escono le vene epatiche.

Biologia

Figura 6.41: Fegato, cistifellea, e pancreas.


1234 Anatomia e fisiologia dell’uomo

Il fegato ha quattro lobi, costituiti da molte unità funzionali chiamate lobuli, composti
di cellule epiteliali specializzate chiamate epatociti, disposte attorno a una vena cen-
trale. Tra due coppie di colonne di cellule sono presenti sinusoidi (vasi sanguigni con
pareti incomplete) contenenti una miscela di sangue proveniente dai piccoli rami della
vena porta e dell’arteria epatica. Questa organizzazione permette al sangue arterioso e
venoso di miscelarsi ed entrare in contatto con le cellule del fegato.
Il sistema portale è il termine utilizzato per descrivere il seguente modello di
circolazione: capillari del sistema digerente → vena porta → capillari epatici → vena
epatica.

Figura 6.42: Il flusso di bile e sangue in un lobulo epatico. Il sangue scorre dalla periferia verso il centro
del lobulo, mentre la bile si muove dal centro verso la periferia del lobulo.
Tra le cellule che rivestono i sinusoidi sono presenti macrofagi epatici (cellule di
Kupffer), la cui funzione è di ingerire e distruggere le particelle estranee presenti nel
sangue che scorre attraverso il fegato. Il sangue drena dai sinusoidi nelle vene centrali
(o vene centrolobulari). Queste vene poi si uniscono con vene provenienti da altri lobuli,
formando vene di calibro maggiore finché, alla fine, diventano vene epatiche che lasciano
il fegato e confluiscono nella vena cava inferiore.
La bile è prodotta dagli epatociti e secreta in canali sottili chiamati canalicoli biliari
(Figura 6.42). Da questi la bile raggiunge i dotti biliari e poi i dotti epatici, che danno
origine al dotto epatico comune. Quest’ultimo si unisce al dotto cistico, che drena la
cistifellea, formando il coledoco o dotto biliare comune (Figura 6.41).
Attraverso il dotto cistico la bile può raggiungere la cistifellea (o colecisti), che
funge da centro di immagazzinamento della bile. La cistifellea è un piccolo sacco a
forma di pera che si trova al di sotto del lobo destro del fegato (Figura 6.41). Essa
Anatomia

ha la funzione di immagazzinare e concentrare la bile, e di rilasciarla al momento del


bisogno, riversandola nel duodeno. La contrazione dello strato muscolare della colecisti è
stimolata dalla colecistochinina e dalla presenza di chimo acido e di grassi nel duodeno.
Il fegato è un organo estremamente attivo. Le sue funzioni possono essere riassunte come
segue:
sintesi della bile;
metabolismo dei carboidrati: l’insulina induce la conversione del glucosio in gli-
cogeno (glicogenesi), mentre il passaggio inverso (glicogenolisi) è stimolato dal
Biologia 1235

glucagone (§ 6.9.6). Queste reazioni sono importanti nella regolazione della glice-
mia. Dopo un pasto, infatti, il sangue che circola nella vena porta ha un’elevata
concentrazione di glucosio e, grazie all’insulina, una parte è convertita in glicoge-
no, che è una forma di immagazzinamento del glucosio. Nel fegato può, inoltre,
avvenire la gluconeogenesi, il processo biochimico mediante il quale un composto
di natura non glucidica, ad esempio un aminoacido, è trasformato in glucosio;

metabolismo lipidico: gli acidi grassi possono essere convertiti in corpi chetonici
(chetogenesi), il più noto dei quali è l’acetone;

metabolismo degli aminoacidi: transaminazione e deaminazione degli aminoacidi,


con conseguente formazione di urea e acido urico che sono escreti con le urine.
Nel fegato si ha, inoltre, la sintesi di proteine plasmatiche e della maggior parte
dei fattori di coagulazione del sangue;

distruzione di eritrociti vecchi o danneggiati (emocateresi);

detossificazione del sangue da etanolo, sostante nocive e farmaci;

sintesi di vitamina A a partire da carotene.

6.9.6 Pancreas
Il pancreas è situato sotto lo stomaco (Figura 6.41) ed è in gran parte costituito
da piccoli raggruppamenti di cellule epiteliali ghiandolari, organizzate in gruppi dette
acini, che costituiscono la porzione esocrina dell’organo: le cellule secernono il succo
pancreatico (Tabella 6.4), il quale è immesso nel duodeno attraverso il dotto pancreatico
(§ 6.9.3).
La parte rimanente è organizzata in strutture dette isolotti del Langerhans, che
rappresentano la porzione endocrina deputata alla produzione di ormoni, tra i quali
il glucagone e l’insulina, coinvolti nella regolazione del livello di glucosio nel sangue
(glicemia). Sono stati identificati diversi tipi cellulari all’interno di ciascuna isola di
Langerhans:

le cellule α: secernono glucagone;

le cellule β: secernono insulina;

le cellule δ: secernono somatostatina;

le cellule F (o cellule PP): secernono il polipeptide pancreatico (PP);

le cellule ε: secernono grelina, ormone prodotto anche dallo stomaco con funzione
Biologia

di stimolazione dell’appetito.

6.10 Apparato uro-genitale


L’apparato urinario comprende:

due reni;

due ureteri;
1236 Anatomia e fisiologia dell’uomo

una vescica;

un’uretra.

Il sistema urinario svolge un ruolo fondamentale nel mantenimento dell’omeostasi


di acqua e di elettroliti nel corpo. I reni producono urina contenente prodotti di scarto
del metabolismo, tra i quali alcuni farmaci e i composti azotati urea e acido urico.
I reni sono una coppia di organi a forma di fagiolo (Figura 6.43), allineati lungo la
colonna vertebrale a livello intermedio fra le vertebre toraciche e lombari.
Ai seguenti link sono presenti video di approfondimento: http://youtu.be/rdNqW2-
L6 4 e http://youtu.be/Pe-lDL-R9nU.
Ogni rene è avvolto dal-
la capsula renale, un
tessuto connettivo che
fornisce contenimento e
protezione. Internamen-
te sono distinguibili:

la corteccia o zo-
na corticale, più
esterna;

la zona midollare,
più interna.

Al centro del margine


mediale, in una depres-
sione, è situato l’ilo re-
nale, attraverso cui pas-
sano l’uretere, l’arteria
renale, la vena renale, i
vasi linfatici e i nervi Figura 6.43: Struttura di un rene.
connessi con il rene. L’ilo immette in una cavità del rene, il seno renale.
La pelvi renale è la struttura a forma di imbuto che funge da contenitore per
l’urina in cui convergono un certo numero di rami distali chiamati calici, ognuno dei
quali circonda l’apice di una piramide renale. L’urina formata nel rene passa in un
calice minore attraverso una papilla renale posta al vertice di una piramide, e poi in
un calice maggiore, dopodiché attraverso la pelvi raggiunge l’uretere. Le pareti della
pelvi renale contengono muscolatura liscia e sono rivestiti da un epitelio di transizione
(§ 2.6.1). Dall’uretere l’urina raggiunge la vescica, un organo cavo di dimensione e
Anatomia

forma variabile in relazione alla quantità di liquido contenuto, con funzione di raccolta
dell’urina. La tonaca muscolare è costituita da tre strati di muscolatura liscia che
prendono il nome di muscolo detrusore. Dalla vescica l’urina fuoriesce all’esterno
attraverso l’uretra. Questo è un condotto che nelle femmine è lungo 4 cm mentre nei
maschi è di circa 18-20 cm. Nell’uretra maschile può transitare anche lo sperma.
Le funzioni dei reni sono:

regolazione dei livelli di ioni nel sangue, tra cui Ca2+ , Na+ , K+ , Cl− , HPO2−
4 ;

regolazione del volume e della pressione del sangue;


Biologia 1237

regolazione del pH sanguigno;

produzione di ormoni quali il calcitriolo e l’eritropoietina;

escrezione di rifiuti attraverso la produzione di urina.

Il nefrone è l’unità morfo-funzionale del rene (Figura 6.44) ed è formato da:

corpuscolo di Malpighi o corpuscolo renale: costituito da glomerulo e capsula di


Bowman;

tubulo renale: costituito da tubulo prossimale, ansa di Henle, tubulo distale.


Quest’ultimo sfocia in un dotto collettore; più collettori si uniscono formando
dotti più grandi che vuotano il loro contenuto nei calici minori.

Figura 6.44: Il nefrone.

Il sangue arterioso entra nel rene attraverso l’arteria renale, che si divide in arterie di
minori dimensioni e arteriole. Le arteriole afferenti forniscono sangue ai glomeruli,
reti capillari che producono un filtrato (principalmente plasma privato della maggior
parte delle proteine) che entra nei tubuli. Il sangue rimanente, non filtrato, esce attra-
verso un’arteriola efferente e raggiunge un’altra rete di vasi, i capillari peritubulari, che
forniscono ossigeno e nutrienti. Il sangue deossigenato alla fine lascia il rene attraverso
Biologia

la vena renale, che sfocia nella vena cava inferiore.


La capsula di Bowman circonda il glomerulo. La capsula e il glomerulo si trovano
nella corticale del rene e insieme costituiscono il corpuscolo renale (Figura 6.44).
Il sangue filtrato a livello del glomerulo è detto ultrafiltrato e dalla capsula di
Bowman passa nel lume del tubulo prossimale. La parete del tubulo convoluto pros-
simale è costituita da un singolo strato di cellule cubiche contenenti microvilli; questi
ultimi aumentano la superficie deputata al riassorbimento. Nel processo di riassorbi-
mento acqua, sali (bicarbonato, fosfati e solfati) e altre sostanze (glucosio, aminoacidi,
ioni sodio, cloro, calcio e magnesio) sono assorbiti dalle cellule. Il filtrato passa dal
1238 Anatomia e fisiologia dell’uomo

tubulo prossimale all’ansa di Henle. Questa struttura ha un ramo discendente che


penetra nella midollare del rene e un tratto ascendente che rientra nella corteccia. A
questo livello si trova il tubulo distale. Quest’ultimo termina in un dotto collettore.
Ricapitolando, i reni filtrano il sangue e restituiscono la maggior parte dell’acqua e
dei soluti al circolo sanguigno. L’acqua e i soluti residui costituiscono l’urina.
Per produrre l’urina, i nefroni e i dotti collettori svolgono tre processi di base (Figura
6.45):
la filtrazione glomerulare: la pressione sanguigna spinge l’acqua e la maggior
parte dei soluti attraverso la parete dei capillari glomerulari formando un filtrato
glomerulare;
il riassorbimento tubulare: avviene mentre il fluido filtrato scorre lungo il
tubulo renale e il dotto collettore;
la secrezione tubulare: ha luogo quando il fluido scorre lungo il tubulo e
attraverso il dotto collettore con la rimozione delle sostanze inutili e dannose.

Figura 6.45: Produzione dell’urina nel nefrone con un meccanismo di contro-corrente tra l’arteriola efferente
ed il tubulo renale.

Apparato iuxtaglomerulare
L’apparato iuxtaglomerulare è la regione del nefrone in cui l’arteriola afferente en-
tra in contatto con la parte ascendente dell’ansa di Henle. Le cellule iuxtaglomerulari
secernono l’enzima renina, il quale catalizza la conversione dell’angiotensinogeno in
angiotensina I (un ormone peptidico); l’enzima ACE (Angiotensin-converting enzy-
me), prodotto dai polmoni, converte l’angiotensina I in angiotensina II, che ha diversi
effetti tra i quali: vasocostrizione delle arteriole efferenti, rilascio di aldosterone, produ-
Anatomia

zione di adrenalina, incremento del riassorbimento di sodio, aumento della frequenza


cardiaca.

Nel caso di una diminuzione della pressione sanguigna, ad esempio, i barocettori renali
sono stimolati e le cellule iuxtaglomerulari producono renina, la quale porta alla produ-
zione di angiotensina II che causa vasocostrizione e rilascio di aldosterone. L’angiotensina
II e l’aldosterone agiscono sul tubulo renale promuovendo il riassorbimento di sodio e, di
conseguenza, di acqua: il risultato finale è l’aumento della pressione sanguigna.
Biologia 1239

6.11 Apparato genitale


La capacità di riprodursi è una delle proprietà che distingue la materia vivente da
quella non vivente. Negli esseri umani gli organi maschili e femminili differiscono sia
anatomicamente sia fisiologicamente. I maschi e le femmine producono entrambi cel-
lule germinali riproduttive specializzate, chiamate gameti. I gameti maschili sono gli
spermatozoi e quelli femminili sono gli ovuli. I gameti si formano per meiosi (§2.5.4).
In entrambi i sessi per la produzione dei gameti sono presenti un paio di gona-
di, ovaie nella femmina e testicoli nel maschio, e degli organi sessuali accessori che
comprendono (Tabella 6.5):

un sistema di dotti che ospitano e trasportano i gameti;

le strutture che favoriscono l’accoppiamento.

Apparato femminile Apparato maschile


ovaie testicoli
tube uterine sistema di dotti
utero ghiandole sessuali annesse
vagina strutture di supporto, tra cui lo scroto e il pene
genitali esterni (vulva)
ghiandole mammarie
Tabella 6.5: Costituenti dell’apparato riproduttivo femminile e maschile.

6.11.1 Apparato genitale femminile


Le dueovaie (Figura 6.46) producono gli ovociti e ormoni quali estrogeni e proge-
sterone. L’ultima parte della tuba di Falloppio (o tuba uterina), detta fimbria, copre
parzialmente l’ovaia. Gli ovociti, rilasciati dalle ovaie durante il processo di ovulazione,
sono normalmente immessi nella tuba uterina grazie all’azione dell’epitelio ciliato della
tuba. Il lume di ciascuna tuba è in continuità con l’utero, un organo muscolare a forma
di pera tenuto in posizione all’interno della cavità pelvica da legamenti.

Biologia

Figura 6.46: Apparato genitale femminile.

L’utero è costituito da tre strati. Lo strato esterno di tessuto connettivo è il perimetrio,


lo strato intermedio di muscolatura liscia è il miometrio, e lo strato epiteliale interno è
l’endometrio.
1240 Anatomia e fisiologia dell’uomo

L’utero è l’organo di impianto di un ovulo fecondato e l’endometrio è la fonte del


flusso mestruale che si verifica se non è avvenuta la fecondazione. L’utero è composto
da:

fondo: la porzione superiore a forma di cupola;

corpo: la porzione centrale;

cervice (o collo): la porzione terminale più ristretta che sbocca nella vagina.

L’unica barriera fisica tra la vagina e l’utero è un tappo di muco della cervice.
La vagina, l’utero e le tube di Falloppio costituiscono gli organi sessuali accessori
femminili.
L’apertura vaginale si trova in prossimità dello sbocco dell’uretra. Entrambe le
aperture sono ricoperte da pieghe longitudinali, le piccole labbra e le grandi labbra. Il
clitoride, una piccola struttura composta in gran parte di tessuto erettile, si trova al
margine anteriore delle piccole labbra. Col nome di vulva si indicano i genitali esterni
che comprendono: grandi labbra, piccole labbra, clitoride, orifizio vaginale, vestibolo
(solco presente tra le piccole labbra), imene e ghiandole vestibolari (o ghiandole di
Bartolini).
Le ovaie sono ricoperte dall’epitelio germinativo al di sotto del quale si trova la
corticale, una regione di tessuto connettivo denso (detto stroma) contenente i follicoli
ovarici, che circonda la midollare, la regione centrale dell’ovaio costituita da tessuto
connettivo, vasi sanguigni e nervi.
Anatomia

Figura 6.47: Struttura delle ovaie e ciclo ovarico.


La superficie delle ovaie (Figura 6.47) presenta numerosi rigonfiamenti, i follicoli,
ognuno costituito da una singola cellula uovo (ovocita) in fase di sviluppo, circondata
da uno o più strati di cellule che la nutrono e la proteggono. Il processo di accrescimento
del follicolo procede fino a che questo diventa un follicolo maturo (o follicolo di Graaf)
Biologia 1241

grande e pieno di liquido, che si romperà per espellere un ovocita secondario. Dopo
l’ovulazione il follicolo si trasforma nel corpo luteo, che inizia a secernere ormoni.
L’ovogenesi (Figura 6.48) è un processo che avviene nelle ovaie e che si ripete con
andamento ciclico (detto ciclo mestruale per tutta la durata della fase di fertilità della
femmina (fase che inizia alla pubertà con il menarca, ovvero con la prima mestruazione,
e termina con la menopausa). L’ovogenesi (Figura 6.48) consiste nella produzione delle
cellule specializzate, dette cellule uovo, contenenti un corredo cromosomico dimezzato
(23 cromosomi).

Figura 6.48: Oogenesi (o ovogenesi).

Esso prevede varie fasi:

una cellula, detta ovogonio, si divide per mitosi dando origine all’ovocita pri-
mario;

l’ovocita primario va poi incontro a meiosi I generando due cellule aploidi:


l’ovocita secondario e il globulo polare primario, il quale solitamente degenera;

attraverso la meiosi II l’ovocita secondario si divide in ovotidio e globulo polare


secondario;

l’ovotidio va in corso a maturazione, formando la cellula uovo.

Ciclo ovarico e Ciclo mestruale


Le cellule germinali che migrano nelle ovaie si moltiplicano durante le prime fasi dello
sviluppo embrionale, in modo che al quinto mese circa di gestazione (vita prenatale)
le ovaie contengono approssimativamente da 6 a 7 milioni di ovogoni. La maggior
parte di questi muore prima della nascita attraverso un processo di apoptosi (§2.5.5).
I restanti ovogoni iniziano la meiosi verso la fine della gestazione, momento in cui essi
sono chiamati ovociti primari. L’ovogenesi si arresta in profase I della prima divisione
meiotica. Gli ovociti primari sono quindi ancora diploidi.
Le ovaie di una neonata contengono circa 2 milioni di ovociti. Ciascuno è contenuto
in un follicolo ovarico (Figura 6.47). Al raggiungimento della pubertà il numero di ovo-
Biologia

citi è ridotto a circa 400.000. Solo 400 circa di questi ovociti andranno incontro a ovula-
zione durante gli anni fertili della donna, gli altri moriranno per apoptosi. L’ovogenesi
cessa interamente in menopausa (momento in cui terminano le mestruazioni).
Gli ovociti primari sono contenuti nei follicoli primari; in risposta alla stimolazio-
ne di FSH (§6.12.1) alcuni di questi follicoli diventano più grandi, e le cellule follicolari
si dividono per produrre numerosi strati di cellule della granulosa, che circondano l’ovo-
cita e riempiono il follicolo. Alcuni follicoli primari sono stimolati a crescere ancora di
più e diventano follicoli secondari. La crescita di questi follicoli porta alla formazione
di un follicolo maturo, detto anche follicolo di Graaf.
1242 Anatomia e fisiologia dell’uomo

Durante lo sviluppo del follicolo l’ovocita primario completa la prima divisione


meiotica. Non si formano due cellule complete, perché solo una, l’ovocita secondario,
riceve tutto il citoplasma. L’altra cellula diventa un piccolo globulo polare, che alla fine
si frammenta e scompare. L’ovocita secondario inizia poi la seconda divisione meiotica,
ma la meiosi si arresta in metafase II. La seconda divisione meiotica è completata solo
in caso di fecondazione dell’ovocita.
L’ovocita secondario, arrestato in metafase II, è contenuto in un follicolo di Graaf.
Le cellule della granulosa di questo follicolo formano un anello intorno all’ovocita e
formano il cumulo ooforo. L’anello di cellule della granulosa che circondano l’ovocita
è la corona radiale. Tra l’ovocita e la corona radiale è presente uno strato sottile di
proteine e polisaccaridi chiamato zona pellucida. Essa rappresenta un ostacolo alla
capacità di uno spermatozoo di fecondare l’ovocita.
Sotto lo stimolo dell’FSH, le cellule della granulosa secernono quantità crescenti di
estradiolo (un estrogeno).
In genere, dal decimo al quattordicesimo giorno dopo l’inizio delle mestruazioni un
solo follicolo ha continuato la sua crescita per diventare un follicolo di Graaf. Altri
follicoli secondari regrediscono e diventano atresici.
Il follicolo di Graaf, sotto stimolazione ormonale, si rompe ed espelle il suo ovo-
cita nella tuba uterina: tale processo è detto ovulazione. Ciò che viene rilasciato è
un ovocita secondario circondato dalla zona pellucida e dalla corona radiale. Se non
avviene la fecondazione l’ovocita degenera in un paio di giorni. Se uno spermatozoo
passa attraverso la corona radiale e la zona pellucida ed entra nel citoplasma del-
l’ovocita secondario, quest’ultimo completa la seconda divisione meiotica. In questo
processo il citoplasma non è diviso equamente: la maggior parte rimane nello zigote
(uovo fecondato), lasciando un altro corpo polare che, come il primo, degenera.
Il follicolo che ha espulso l’ovocita, sotto l’influenza dell’ormone LH si trasforma in
corpo luteo. A differenza dei follicoli ovarici che secernono solo estradiolo, il corpo
luteo secerne due ormoni steroidei: estradiolo e progesterone. Alla fine di un ciclo non
fertile, il corpo luteo degenera trasformandosi in corpus albicans (o corpo albicante). Il
ciclo ovarico è schematizzato in figura 6.47.
Le modifiche cicliche a carico di ovaio e utero definiscono il ciclo mestruale. Il
ciclo ovarico è accompagnato da cambiamenti ciclici nella secrezione di estradiolo e
progesterone, che causano variazioni nell’endometrio dell’utero (ciclo uterino).
Se interviene la fecondazione, la regolazione ormonale prepara il tessuto dell’en-
dometrio all’impianto della blastocisti consentendo lo sviluppo dell’embrione. Il ciclo
mestruale è regolato finemente da meccanismi di feedback che intercorrono fra diverse
strutture del corpo femminile, quali SNC, ipotalamo, ipofisi, ovaio. Il ciclo mestruale
ha lunghezza variabile da specie a specie e nella specie umana esso varia da donna a
Anatomia

donna, ma mediamente è di 28 giorni.


Il ciclo ovarico è composto di due fasi distinte (Figura 6.49): una fase follicolare,
che va dal primo giorno delle mestruazioni fino all’ovulazione, e una fase luteale (o
luteinica). Le variazioni cicliche della mucosa uterina sono chiamate: fase mestruale,
fase proliferativa, fase secretoria (Figura 6.50).
La mestruazione dura dal giorno 1 al giorno 4 o 5. Durante questo periodo le
secrezioni di ormoni steroidei ovarici sono al minimo e le ovaie contengono solo follicoli
primari. Durante la fase follicolare, che dura dal giorno 1 al giorno 13 circa del ciclo
(questa durata però è molto variabile), alcuni dei follicoli primari crescono e diventano
Biologia 1243

Figura 6.49: Variazione dei livelli ormonali e della temperatura basale durante il ciclo ovarico. Per la
descrizione si veda il testo.

follicoli secondari. Verso la fine della fase follicolare un follicolo matura in un follicolo
di Graaf. Le cellule della granulosa secernono una crescente quantità di estradiolo, che
raggiunge la sua massima concentrazione nel sangue due giorni prima dell’ovulazione,
intorno al giorno 12 del ciclo. La crescita dei follicoli e la secrezione di estradiolo sono
stimolati dall’FSH. Il rapido aumento della secrezione di estradiolo stimola l’aumento
di produzione di GnRH da parte dell’ipotalamo. L’estradiolo, inoltre, aumenta la sintesi
di LH da parte dell’ipofisi. Come risultato di questo feedback positivo vi è un aumento
della secrezione di LH nella fase follicolare tardiva che culmina in un picco di LH
(Figura 6.49, primo grafico e Figura 6.50). Il picco di LH inizia circa 24 ore prima
dell’ovulazione e raggiunge il suo apice circa 16 ore prima dell’ovulazione. è proprio
il picco di LH che induce l’ovulazione. Poiché il GnRH stimola l’ipofisi anteriore a
secernere sia FSH sia LH, vi è un simultaneo, anche se minore, picco nella secrezione
di FSH.
L’aumento di LH provoca la rottura della parete del follicolo di Graaf (al giorno 14
circa); l’ovocita secondario in esso contenuto, arrestato in metafase II della meiosi, è
rilasciato ed entra in una tuba uterina. L’ovocita, circondato da zona pellucida e corona
radiale, inizia il suo viaggio verso l’utero.

L’ovulazione avviene, quindi, a seguito degli effetti sequenziali di FSH e LH sui folli-
coli ovarici. Il follicolo in un certo senso, mediante il feedback positivo dell’estradiolo
sulla secrezione di LH, autoregola la propria ovulazione. Questo perché l’ovulazione è
innescata da un picco di LH, e quest’ultimo è innescato dall’aumentata secrezione di
Biologia

estradiolo che si verifica durante la crescita del follicolo. In questo modo il follicolo di
Graaf, finché non raggiunge la corretta dimensione e il giusto grado di maturazione,
non rilascia l’ovocita.

Dopo l’ovulazione, il follicolo vuoto è stimolato dall’LH a diventare una nuova struttura,
il corpo luteo (Figura 6.47). Questo cambiamento nella struttura è accompagnato da
un cambiamento nella funzione, poiché il corpo luteo secerne estradiolo e progesterone.
I livelli di progesterone nel sangue salgono rapidamente a un livello di picco durante
1244 Anatomia e fisiologia dell’uomo

la fase luteinica, approssimativamente circa una settimana dopo l’ovulazione (Figure


6.49 e 6.50). Gli alti livelli di progesterone, in combinazione con l’estradiolo, durante
la fase luteale esercitano un feedback negativo sulla secrezione di FSH e LH. Il corpo
luteo produce anche inibina, che aiuta a sopprimere la secrezione di FSH. Questo
serve a ritardare lo sviluppo di nuovi follicoli, in modo che la successiva ovulazione non
avvenga durante il ciclo corrente. In questo modo l’ovulazione multipla è impedita.
Nuovi follicoli, tuttavia, iniziano a svilupparsi verso la fine di un ciclo. I livelli di
estrogeni e progesterone decrescono durante la fase luteale tardiva (a partire all’incirca
dal ventiduesimo giorno) perché il corpo luteo regredisce e smette di funzionare. A
seguito di ciò, estradiolo e progesterone raggiungono livelli molto bassi al giorno 28 del
ciclo. L’assenza di steroidi ovarici provoca le mestruazioni e permette un nuovo ciclo
di sviluppo follicolare.
Anatomia

Figura 6.50: Ciclo mestruale. Le frecce indicano gli effetti degli ormoni.
Il ciclo uterino descrive le variazioni periodiche che avvengono nell’endometrio del-
l’utero. Questi cambiamenti accadono perché lo sviluppo dell’endometrio è sincroniz-
zato ai cambiamenti ciclici nella secrezione di estradiolo e progesterone da parte delle
ovaie. Si possono identificare tre fasi: la fase proliferativa; la fase secretoria; la fase
Biologia 1245

mestruale.
La fase proliferativa dell’endometrio corrisponde alla fase follicolare ovarica (Figura
6.50). Le quantità crescenti di estradiolo secreto dai follicoli in via di sviluppo stimolano
la proliferazione dell’endometrio.
La fase secretoria ha luogo quando l’ovaio è nella sua fase luteinica. In questa
fase, l’aumento della secrezione di progesterone da parte del corpo luteo stimola lo
sviluppo delle ghiandole uterine. Come risultato delle azioni combinate di estradiolo e
progesterone, l’endometrio diventa spesso, vascolarizzato, e di apparenza “spugnosa”.
L’endometrio è quindi pronto ad accettare un embrione.
La fase mestruale si verifica a causa della diminuzione della secrezione ormonale
ovarica durante la fase luteale tardiva. Questa situazione dà origine alla mestruazione,
ossia allo sfaldamento della mucosa uterina.

I cambiamenti ciclici nella produzione ormonale delle ovaie causano altri cambiamenti nel
tratto riproduttivo femminile. Alti livelli di secrezione di estradiolo, per esempio, causano
cheratinizzazione dell’epitelio vaginale. Alti livelli di estradiolo inducono anche la produzione
di un muco cervicale sottile, che può essere facilmente penetrato dagli spermatozoi. Durante
la fase luteale del ciclo, gli elevati livelli di progesterone provocano un addensamento del muco
cervicale, che diventa viscoso dopo il verificarsi dell’ovulazione.

6.11.2 Apparato genitale maschile


Le gonadi maschili, i testicoli , producono sia gli spermatozoi sia gli ormoni maschili
(androgeni ). Ogni giorno nei testicoli sono prodotti circa 300 milioni di spermatozoi,
i quali sono in grado di sopravvivere nel tratto riproduttivo femminile fino a circa 48
ore.
Lo scroto, o sacco scrotale (Figura 6.51), è un sacchetto che contiene e protegge
i testicoli, assicurando il mantenimento di una temperatura adeguata (2-3 ◦C inferiore
rispetto a quella corporea); è costituito da pelle lassa, da una guaina connettivale e da
muscolatura liscia. Lo scroto è diviso in due scomparti, ciascuno dei quali contiene un
testicolo, un epididimo e la parte testicolare di un funicolo spermatico.
I testicoli sono una coppia di ghiandole di forma ovoidale, ricoperti da una rigi-
da capsula fibrosa divisa in lobuli e in tubuli seminiferi, nei quali sono prodotti gli
spermatozoi (processo di spermatogenesi). Tra i tubuli seminiferi si trova il tessuto
interstiziale, un tessuto connettivo che contiene le cellule di Leydig, le quali secernono
il testosterone.
I recettori cellulari per l’ormone FSH si trovano esclusivamente nei tubuli seminiferi,
dove sono confinati alle cellule del Sertoli (cellule che nutrono e proteggono gli sperma-
tozoi). I recettori per l’ormone LH si trovano esclusivamente nelle cellule interstiziali
Biologia

di Leydig. La secrezione di testosterone da parte delle cellule di Leydig è stimolata


dall’LH ma non dall’FSH. La spermatogenesi nei tubuli è stimolata dall’FSH.
La spermatogenesi (Figura 6.52) avviene nelle gonadi maschili sotto lo stimolo
di particolari ghiandole endocrine e porta alla formazione di cellule altamente spe-
cializzate, gli spermatozoi, che presentano un corredo cromosomico dimezzato (23
cromosomi) rispetto alle cellule somatiche. I testicoli sono inizialmente colonizzati da
cellule germinali progenitrici dette spermatogoni. Da questi, attraverso il classico
processo di mitosi, si forma lo spermatocita che, attraverso processi di meiosi, produ-
ce gli spermatidi. Il 50% di questi avrà 22 cromosomi più il cromosoma sessuale X,
1246 Anatomia e fisiologia dell’uomo

Figura 6.51: Apparato genitale maschile.

Figura 6.52: Spermatogenesi.

l’altra metà avrà 22 cromosomi più il cromosoma sessuale Y. Contemporaneamente


gli spermatidi vanno incontro ad una serie di modificazioni fino a creare la struttura
definitiva dello spermatozoo.
Ogni cellula spermatica (spermatozoo) è costituita da:

una testa, contenente materiale nucleare;


un acrosoma, cioè una vescicola piena di enzimi che favoriscono la penetrazione
Anatomia

nell’ovulo;
una coda (o flagello), utilizzata per la locomozione.

L’epididimo è un organo a forma di virgola, posto lungo il bordo posteriore del


testicolo, dotato di un dotto strettamente attorcigliato in cui avviene la maturazione
degli spermatozoi, che qui acquisiscono motilità e capacità di fecondazione.
All’estremità terminale il dotto dell’epididimo diventa meno convoluto e aumenta di
diametro prendendo il nome di dotto deferente, che ha la funzione di immagazzinare
gli spermatozoi mantenendoli vitali per diversi mesi.
Biologia 1247

Le ghiandole sessuali annesse secernono la maggior parte della componente


liquida dello sperma. Esse sono:

le vescichette seminali ;

la prostata;

le ghiandole bulbo-uretrali (o ghiandole di Cowper ).

6.11.3 Patologie a carico del sistema riproduttore

Le infezioni del sistema riproduttivo possono essere classificate come:

non specifiche, di solito causate da una miscela di microbi, ad esempio stafilococ-


chi, streptococchi, batteri coliformi, Clostridium perfringens;

specifiche, causate da patogeni a trasmissione sessuale, i più comuni dei quali sono:
Neisseria gonorrhoeae (batterio che provoca la gonorrea), Trichomonas vaginalis
(protozoo che provoca vaginiti), Chlamidia trachomatis, Candida albicans (fungo
che provoca candidiasi) e herpes virus.

In generale, i microrganismi che causano malattie a trasmissione sessuale:

sono in grado di sopravvivere al di fuori del corpo per lunghi periodi;

non hanno alcun ospite intermedio;

producono lesioni nella zona genitale che liberano i microrganismi patogeni.

Oltre alle infezioni causate da microrganismi possono svilupparsi tumori; i più noti
sono: tumore del collo dell’utero, carcinoma endometriale, carcinoma ovarico, tumore
al testicolo e carcinoma prostatico.
Altre patologie che possono colpire l’apparato genitale sono:

endometriosi;

uretriti;

orchiti (infiammazioni dei testicoli): queste possono insorgere come complicanze


della parotite, una malattia causata da un virus a RNA generalmente conosciuta
col nome di orecchioni.
Biologia

6.12 Sistema endocrino


Il sistema endocrino è costituito da diverse ghiandole endocrine e da molte cellule secer-
nenti ormoni, localizzate in organi che hanno anche altre funzioni. Ai seguenti collega-
menti sono presenti dei filmati di approfondimento: http://youtu.be/MXiyXOJxxT8,
http://youtu.be/pByCVl2K1OY.
Le ghiandole si dividono in due categorie: ghiandole esocrine e ghiandole endocrine
(§2.6.1)
1248 Anatomia e fisiologia dell’uomo

Un ormone è una sostanza prodotta e secreta in piccola quantità da una ghiandola


endocrina. Esso influisce soltanto su cellule bersaglio dotate di recettori specifici per
quel determinato ormone.

Figura 6.53: Ormoni liposolubili (a sinistra) e ormoni idrosolubili (a destra).


Gli ormoni possono essere (Figura 6.53):
liposolubili : legano il proprio recettore all’interno delle cellule bersaglio (ad esem-
pio gli ormoni steroidei);
idrosolubili : si legano ai recettori presenti sulla membrana plasmatica delle cellule
bersaglio.
Gli ormoni sono classificati, in base alla struttura chimica, in tre gruppi:
ormoni peptidici;
ormoni steroidei;
ormoni derivati da acidi grassi.
Gli ormoni peptidici sono derivati di amminoacidi (ad esempio adrenalina e ormoni
tiroidei) oppure oligopeptidi e proteine (ad esempio paratormone e insulina). Data la
loro natura polare gli ormoni peptidici non possono attraversare la membrana plasmati-
Anatomia

ca ma si legano a specifici recettori di membrana. L’effetto di tale legame è l’attivazione


dell’enzima adenilato ciclasi, in grado di catalizzare la formazione di AMPc (AMP
ciclico) a partire da ATP. L’AMPc funziona poi come secondo messaggero, portan-
do all’attivazione di enzimi che sono i responsabili, in ultima analisi, della risposta
ormonale.
Gli ormoni steroidei sono di natura lipidica e derivano tutti dal colesterolo. Essi
comprendono:
glucocorticoidi: ad esempio cortisolo e cortisone;
Biologia 1249

mineralcorticoidi: ad esempio l’aldosterone;


androgeni: ad esempio il testosterone;
estrogeni e progestinici.
Data la loro natu-
ra lipidica gli or-
moni steroidei rie-
scono ad attraver-
sare sia la mem-
brana plasmatica
sia la membra-
na nucleare, riu-
scendo ad attivare
recettori, rispetti-
vamente, citopla-
smatici o nucleari.
L’azione di questi
recettori può at-
tivare poi diretta-
mente la trascri-
zione di geni ber-
saglio (se il recet-
tore è nucleare) o
farlo per via indi-
retta (se il recet-
tore è citoplasma-
tico). Può anche
capitare che il re-
cettore per un or-
mone steroideo sia
una glicoproteina
di membrana, la
quale, dopo il le-
game con l’ormo-
ne, attiva una pro-
teina G portan-
do all’attivazione
di enzimi bersa- Figura 6.54: Meccanismi di feedback nella regolazione ormonale.
Biologia

glio intracellulari.
Gli ormoni derivati da acidi grassi sono gli eicosanoidi, derivati dell’acido ara-
chidonico, tra cui si ricordano: prostaglandine, trombossani e leucotrieni. Sono consi-
derati ormoni locali a differenza degli altri ormoni che, una volta immessi nel circolo
sanguigno, possono raggiungere bersagli anche molto lontani dal sito di produzione.
Il sistema endocrino, insieme al sistema nervoso autonomo, è responsabile del man-
tenimento dell’omeostasi. Il sistema nervoso autonomo si occupa di rapidi cambiamenti,
mentre gli ormoni del sistema endocrino sono coinvolti principalmente in regolazioni
più lente.
1250 Anatomia e fisiologia dell’uomo

Il sistema endocrino consiste in un certo numero di ghiandole e alcuni tessuti in


altri organi. Sebbene l’ipotalamo sia classificato come parte del cervello e non come
una ghiandola endocrina, esso controlla l’ipofisi e ha un effetto indiretto su molte altre
ghiandole.
Le ghiandole endocrine sono: ipofisi, tiroide, 4 paratiroidi, 2 ghiandole surrena-
li, isole di Langerhans del pancreas, ghiandola pineale (o epifisi ), timo, ovaie (nella
femmina), testicoli (nel maschio).

È importante notare come le concentrazioni plasmatiche degli ormoni vengono regolate dal
SNC (sistema nervoso centrale): il SNC, infatti, riceve segnalazioni sia interne che esterne,
in seguito a specifiche situazioni fisiologiche o ambientali, e successivamente dirige la sintesi
coordinata degli ormoni necessari ad affrontare la situazione in oggetto. È l’ipotalamo, di
fatto, a regolare i livelli degli ormoni, integrando gli stimoli esterni ed interni e producendo
determinati fattori di rilascio (Figura 6.54).
Questi fattori di rilascio raggiungono poi l’ipofisi anteriore, la quale è stimolata a
produrre un’altra classe di ormoni, le tropine, le quali attiveranno le ghiandole endocrine,
stimolandole a produrre ormoni specifici e appropriati alla situazione.

La secrezione ormonale è regolata da segnali provenienti da:

sistema nervoso;

modificazioni chimiche del sangue;

altri ormoni.

La maggior parte dei sistemi che regolano la secrezione ormonale agisce per feedback
negativo (inibizione), ma alcuni possono operare secondo un meccanismo di feedback
positivo (stimolazione) (Figura 6.54).

6.12.1 Ipofisi
L’ipofisi, o ghiandola pituitaria si tro-
va nel cranio alla base del cervello ed è
divisa in due lobi (Figura 6.55). È con-
siderata la struttura endocrina prima-
ria perché secerne diversi ormoni che
controllano altre ghiandole endocri-
ne. Essa è controllata dall’ipotalamo,
Anatomia

che funge da collegamento tra siste-


ma endocrino e nervoso e che è po-
sto sopra l’ipofisi, al cui lobo poste-
riore è direttamente collegato da fibre
nervose. L’ipotalamo agisce sul lobo
anteriore dell’ipofisi attraverso ormoni Figura 6.55: Struttura dell’ipofisi. Il lobo anteriore è
detti fattori di rilascio, che arrivano costituito da tessuto ghiandolare, mentre il lobo
alle cellule bersaglio attraverso pochi posteriore è costituito in gran parte da neuroglia e fibre
millimetri di capillari, stimolandone o nervose.
inibendone le secrezioni ormonali (vedi Tabella 6.6).
Biologia 1251

Ormone ipotalamico Effetto sull’adenoipofisi


CRH: ormone di rilascio della Stimola la secrezione di ACTH
corticotropina
GnRH: ormone di rilascio Stimola la secrezione di FSH e LH
delle gonadotropine
Dopamina Inibisce il rilascio di prolattina
Somatostatina Inibisce il rilascio di GH
GHRH: ormone di rilascio Stimola la secrezione di GH
dell’ormone della crescita
TRH: ormone di rilascio della Stimola la secrezione di TSH
tireotropina
Tabella 6.6: Ormoni ipotalamici coinvolti nel controllo del lobo anteriore dell’ipofisi.

Il lobo anteriore (adenoipofisi), costituito da tessuto epiteliale, secerne numerosi


ormoni, tra cui:
1. prolattina, che stimola la secrezione del latte materno ed è controllata da un
meccanismo a feedback positivo attivato dalla suzione del capezzolo; svolge un
ruolo di supporto alle gonadotropine nella regolazione del sistema riproduttivo
maschile e agisce sui reni per aiutare a regolare l’equilibrio idrosalino;
2. somatotropina, (o ormone della crescita, GH), che regola l’accrescimento
corporeo. Una carenza di questo ormone blocca la crescita causando una forma
di nanismo, mentre una sua eccessiva produzione determina un accrescimento
smodato (gigantismo);
3. ormone tireotropo (TSH), che agisce sulla tiroide promuovendo la produzione
e la secrezione di T3 e T4 (§6.12.2);
4. ormone adrenocorticotropo (o corticotropina, ACTH), che agisce sulla
corticale delle ghiandole surrenali stimolando la produzione di mineralcorticoidi
(aldosterone) e di glicocorticoidi (come il cortisolo);
5. gonadotropine, che agiscono sulle gonadi sia maschili che femminili. Esse sono:
l’ormone follicolo-stimolante (FSH), che nelle femmine stimola la crescita
dei follicoli ovarici, la secrezione di estrogeni e l’ovulazione, mentre nei maschi
promuove la spermatogenesi; l’ormone luteinizzante (LH), che nelle femmine
stimola l’ovulazione e la formazione del corpo luteo, mentre nei maschi promuove
la secrezione di testosterone ed il rilascio degli spermatozoi.
Il lobo posteriore (neuroipofisi), formato da tessuto nervoso, accumula e libera due
Biologia

ormoni prodotti dall’ipotalamo:


1. ormone antidiuretico ADH (detto anche vasopressina), che interviene nel-
l’equilibrio idrico riducendo il volume dell’urina prodotta ed aumentandone la
concentrazione (da qui il nome “antidiuretico”);
2. l’ossitocina, che stimola le contrazioni dell’utero al momento del parto. . L’ossi-
tocina stimola anche le contrazioni dei dotti e degli alveoli della ghiandola mam-
maria. Negli uomini, è stato dimostrato un aumento della secrezione di ossitocina
1252 Anatomia e fisiologia dell’uomo

al momento dell’eiaculazione, ma il significato fisiologico di questo ormone nei


maschi non è ancora del tutto chiaro.

L’ossitocina può essere somministrata ad una donna incinta per indurre il travaglio in
caso di gravidanza prolungata o di altre situazioni potenzialmente pericolose, come la
preeclampsia, un disturbo della gravidanza caratterizzato da ipertensione e edema.

6.12.2 Tiroide
La tiroide è una ghiandola a forma di farfalla situata sotto la laringe. È composta da
sacchetti sferici detti follicoli tiroidei. Le cellule follicolari producono due ormoni: la
tetraiodotironina o tiroxina (T4) e la triiodotironina (T3). Questi ormoni sono
legati alla tireoglobulina; il TSH induce il distacco dei due ormoni dalla tireoglobulina
e il loro rilascio.
Gli ormoni tiroidei regolano:
l’aumento del consumo di ossigeno e il tasso metabolico basale;
il metabolismo cellulare;
la crescita e lo sviluppo.
Le cellule parafollicolari della tiroide producono l’ormone calcitonina, coinvolto insie-
me al paratormone (§6.12.3) nell’omeostasi del calcio (Figura 6.56).

6.12.3 Paratiroidi
Le ghiandole paratiroidi sono quattro masserelle tondeggianti di tessuto ghiandolare
parzialmente incastonate sulla superficie posteriore della tiroide. Secernono l’ormone
paratiroideo o paratormone (PHT), che aumenta la concentrazione ematica del
calcio favorendone il rilascio da parte delle ossa ed il riassorbimento da parte dei reni
(Figura 6.56). L’equilibrio fisiologico del Ca2+ è controllato dal paratormone e dalla
calcitonina, ormone antagonista prodotto dalla tiroide (§ 6.12.2) che può diminuire il
livello di calcio nel sangue (calcemia) inibendo l’azione degli osteoclasti (§ 2.6.2).

6.12.4 Pancreas
Il pancreas (§6.9.6) è un organo che svolge funzioni esocrine (utili al processo digestivo)
ed endocrine (azione ormonale).
La porzione endocrina è costituita da gruppi di cellule chiamate isolotti pancreatici
o isole di Langerhans, al cui interno sono presenti, tra le altre:
Anatomia

le cellule alfa, che secernono il glucagone;


le cellule beta, che producono l’insulina;
le cellule delta, che producono somatostatina.
Gli ormoni rilasciati dalle cellule alfa e beta regolano la glicemia, uno dei parametri
omeostatici fondamentali da cui dipendono gli scambi di glucosio e di liquidi tra sangue
e tessuti (Figura 6.57). L’insulina abbassa la glicemia, favorendo l’assorbimento del
Biologia 1253

Figura 6.56: Omeostasi del calcio.

glucosio nel tessuto adiposo (dove è convertito in grassi), nel fegato e nei muscoli
(dove è convertito in glicogeno). Il glucagone ha effetti opposti rispetto all’insulina: fa
aumentare la glicemia, favorendo la conversione del glicogeno e dei grassi in glucosio. La
somatostatina, prodotta anche dall’ipotalamo (vedi Tabella 6.6), inibisce la secrezione
sia di insulina sia di glucagone.
La glicemia deve essere mantenuta al livello omeostatico di circa 90 mg/dl. Bassi
livelli di glucosio nel sangue stimolano la secrezione di glucagone mentre alti livelli di
glucosio ematico stimolano la secrezione di insulina.

6.12.5 Ghiandole surrenali


Le ghiandole surrenali si trovano sul polo superiore di ciascun rene (Figura 6.58).
Ciascuna è composta di due parti funzionalmente differenti: la corticale, più esterna,
e la midollare, più interna.
Biologia

La midollare surrenale è costituita da cellule post-gangliari simpatiche modificate


(cellule cromaffini ) ed è attivata dal sistema nervoso simpatico. Produce adrenalina
e noradrenalina (catecolammine) che:

aumentano la pressione sanguigna, rafforzando le contrazioni cardiache e costrin-


gendo i capillari della pelle e degli organi interni;
aumentano la frequenza respiratoria e il metabolismo;
aumentano lo stato di allerta;
1254 Anatomia e fisiologia dell’uomo

aumentano la glicemia, favorendo la scissione del glicogeno nel fegato e nei muscoli
e dei grassi nel tessuto adiposo.

Figura 6.57: Omeostasi del glucosio.

La corticale non riceve innervazione e quindi de-


ve essere stimolata per via ormonale; a ciò provve-
de l’ACTH secreto dall’ipofisi. La corticale surrena-
le secerne ormoni steroidei chiamati corticosteroidi.
Ci sono tre categorie funzionali di corticosteroidi:
Anatomia

mineralcorticoidi, che regolano l’equilibrio


ionico di Na+ e K+ ;
glucocorticoidi, che regolano il metabolismo
del glucosio e altre molecole organiche;
ormoni steroidei sessuali, che sono deboli an-
drogeni (ad esempio il deidroepiandrosterone Figura 6.58: Ghiandole surrenali (visibi-
o DHEA), che supportano gli steroidi sessuali le solo una).
secreti dalle gonadi.
Biologia 1255

Queste tre categorie di ormoni sono derivati dallo stesso precursore, il colesterolo.

L’aldosterone è un mineralcorticoide che regola il riassorbimento renale degli ioni, in par-


ticolare stimola il riassorbimento di Na+ e acqua aumentando l’escrezione di K+ nelle urine.
Queste azioni contribuiscono ad aumentare il volume del sangue e la pressione, e a regolare
l’equilibrio elettrolitico del sangue.
Il cortisolo è un glucocorticoide la cui secrezione è stimolata dall’ACTH. I glucocorticoidi
stimolano la gluconeogenesi (produzione di glucosio da aminoacidi e acido lattico) e inibiscono
l’utilizzo del glucosio, favorendo l’aumento della glicemia; questi ormoni promuovono anche
la lipolisi (degradazioni dei grassi) e il conseguente rilascio di acidi grassi liberi nel sangue.
Il cortisolo è secreto durante i periodi di stress e collabora con adrenalina e sistema nervoso
simpatico nell’assistere l’organismo a superare queste fasi di difficoltà.

6.12.6 Epifisi
L’epifisi (o ghiandola pineale) è una piccola ghiandola situata nel diencefalo. La
funzione principale è la sintesi di melatonina, un ormone che regola il ciclo sonno-veglia.

Il nucleo soprachiasmatico (SCN) dell’ipotalamo regola la secrezione di melatonina attraverso


il controllo dei neuroni del sistema simpatico che innervano la ghiandola pineale. Tale nucleo
è anche il centro principale di regolazione dei ritmi circadiani del corpo: i ritmi di attività
fisiologica delle 24 ore. L’attività dell’SCN, e quindi la secrezione di melatonina, comincia ad
aumentare con l’oscurità e raggiunge un picco a metà della notte. Durante il giorno, stimoli
provenienti dalla retina all’ipotalamo agiscono per inibire l’attività dell’SCN, riducendo la
stimolazione simpatica dell’epifisi e diminuendo la secrezione di melatonina.

6.12.7 Gonadi
Le gonadi (§ 6.11) sono organi specializzati per la riproduzione (generano i gameti).
Secernono inoltre ormoni steroidei.

Le gonadi femminili, le ovaie (Figura 6.46, Figura 6.47), producono estrogeni e


progesterone, che regolano le fasi del ciclo mestruale, favoriscono i cambiamenti
del corpo associati alla gravidanza e controllano la maturazione sessuale nella
donna.

Le gonadi maschili, i testicoli (Figura 6.51), producono testosterone, un or-


mone attivo sia sulla spermatogenesi sia sullo sviluppo ed il mantenimento dei
caratteri sessuali secondari del maschio.
Biologia

Per un dettaglio sul ruolo delle gonadotropine sull’attività ciclica di ovaie e utero si
veda il paragrafo 6.11.1.

Estrogeni, testosterone e progesterone (ormoni steroidei) sono prodotti a partire dal coleste-
rolo nelle gonadi. Il colesterolo viene prima convertito in progesterone, che è poi trasformato
in androgeni (testosterone); quest’ultimo è poi convertito in estrogeni, di cui il 17-β-estradiolo
è la forma più attiva.
1256 Anatomia e fisiologia dell’uomo

Sia nel maschio sia nella femmina la produzione e la secrezione degli ormoni sessuali steroi-
dei viene promossa dall’ormone follicolo-stimolante (FSH) e dall’ormone luteinizzante
(LH), che sono sintetizzati nell’ipofisi anteriore. Questi ormoni tropici sono rilasciati dall’ipo-
fisi anteriore in seguito allo stimolo fornito dall’ormone di rilascio per le gonadotropine
(GnRH), prodotto dall’ipotalamo. Gli ormoni sessuali steroidei esercitano un feedback nega-
tivo sui neuroni ipotalamici che secernono GnRH e sulle cellule endocrine dell’ipofisi anteriore
che producono FSH ed LH (Figura 6.54).

La Tabella 6.7 riporta le principali ghiandole endocrine con gli ormoni da esse
prodotti e i loro effetti.

6.13 Omeostasi idro-salina


6.13.1 L’equilibrio dei fluidi corporei
I liquidi presenti nell’organismo sono raccolti in due distretti principali:
interno delle cellule (circa i 2/3): liquido intracellulare;
esterno delle cellule (circa 1/3): liquido extracellulare che comprende tutti i fluidi
corporei.
Il volume di liquidi in ciascun compartimento è mantenuto costante. Poiché il volume
d’acqua è determinato dagli elettroliti, anche questi devono essere in equilibrio. Si parla
di equilibrio dei fluidi quando nell’organismo sono presenti le quantità necessarie di
acqua e di soluti ed esse sono distribuite equamente nei vari compartimenti. I processi
di filtrazione, riassorbimento, diffusione e osmosi permettono lo scambio continuo di
acqua.
I principali ioni sono cosı̀ distribuiti nei distretti extra e intra-cellulari:
gli ioni sodio (Na+ ) sono i più abbondanti nel liquido extracellulare e inter-
vengono nell’equilibrio dei fluidi e degli elettroliti, oltre che nella generazione e
conduzione dei potenziali di azione nei neuroni e nelle fibre muscolari;
gli ioni cloro (Cl− ) sono gli anioni prevalenti nel liquido extracellulare;
gli ioni potassio (K+ ) sono i più abbondanti nel liquido intracellulare;
gli ioni calcio (Ca2+ ) sono concentrati principalmente nello scheletro e nei denti.
La quantità di cloruro di sodio (NaCl) eliminata con l’urina è il fattore principale che
determina il volume dei fluidi corporei.
La natriuresi è un’elevata perdita urinaria di Na+ e Cl− con conseguente diminu-
zione del volume del sangue.
Anatomia

Normalmente sia la perdita sia l’introduzione quotidiana di acqua ammontano a


circa 2,5 litri. Un’area dell’ipotalamo chiamata centro della sete regola l’impulso di
bere. Quando la perdita di acqua è maggiore dell’assunzione, si va incontro a disidra-
tazione con diminuzione del volume e aumento della pressione osmotica del sangue: si
ha cosı̀ lo stimolo della sete.
Gli ormoni che regolano il riassorbimento renale di Na+ e Cl− sono:
1. angiotensina II e aldosterone: essi influiscono sull’entità del riassorbimento
degli ioni Na+ e Cl− e dell’acqua, cosı̀ come sulla secrezione di K+ . Si veda il fil-
mato al seguente link per un approfondimento: http://youtu.be/jXR5fLw8WzU.
Biologia 1257

Ghiandola Ormoni prodotti Effetti


o sito di
sintesi
Vasopressina Stimola la vasocostrizione e il riassorbimento di ac-
Ipotalamo (ADH) qua nel rene con conseguente produzione di urina
concentrata
Ossitocina Stimola le contrazioni dell’utero al momento del parto e
la secrezione di latte da parte della ghiandola mammaria
Ormoni di rilascio e Regolano il rilascio degli ormoni prodotti dall’ipofisi
di inibizione
Prolattina Stimola la produzione e la secrezione del latte da parte
delle ghiandole mammarie
Somatotropina (o Regola l’accrescimento corporeo
Ipofisi ormone della cre-
scita, GH)
Ormone tireotropo Stimola il rilascio degli ormoni tiroidei
(TSH)
Ormone adrenocor- Agisce sulla corticale del surrene stimolando la sintesi
ticotropo (ACTH) di aldosterone e cortisolo
Ormone follicolo- Nelle femmine stimola la crescita dei follicoli ovarici, la
stimolante secrezione di estrogeni e l’ovulazione, mentre nei maschi
(FSH) promuove la spermatogenesi
Ormone lu- Nelle femmine stimola l’ovulazione, mentre nei maschi
teinizzante promuove la secrezione di testosterone e il rilascio degli
(LH) spermatozoi
T3 e T4 Regolano il metabolismo cellulare
Tiroide
Calcitonina Riduce la calcemia
Paratiroidi Paratormone Stimola il riassorbimento di calcio a livello intestina-
le e la liberazione di calcio dalle ossa, aumentando la
calcemia
Insulina Abbassa la glicemia favorendo l’assorbimento del
Pancreas
glucosio
Glucagone Innalza la glicemia favorendo la conversione del
glicogeno e dei grassi in glucosio
Aldosterone Aumenta il riassorbimento di acqua e sodio nel rene; è
Surrene sintetizzato in risposta ad un calo di pressione sanguigna
Cortisolo e cortiso- Regolano il metabolismo dei carboidrati (aumentano la
ne glicemia) e hanno attività antiinfiammatoria
Adrenalina e nora- Coinvolti nella risposta agli stress: aumentano la
drenalina frequenza cardiaca, la pressione sanguigna, la glicemia
Estrogeni Regolano il ciclo mestruale e la comparsa dei caratteri
Ovaie
sessuali
Progesterone Regola il ciclo mestruale
Testicoli Testosterone Stimola la spermatogenesi e la comparsa dei caratteri
sessuali secondari maschili
Cuore Peptide natriureti- Promuove l’escrezione di Na+ nelle urine
co atriale
Biologia

Reni Eritropoietina Stimola la produzione di eritrociti


Intestino Secretina e coleci- Inibiscono la motilità gastrica e stimolano la liberazione
tenue stochinina di succo pancreatico e bile
Stomaco Gastrina Stimola la secrezione acida gastrica
Epifisi Melatonina Regola il ciclo sonno-veglia
Tabella 6.7: Le principali ghiandole endocrine e gli ormoni prodotti.
1258 Anatomia e fisiologia dell’uomo

2. peptide natriuretico atriale: aumenta la velocità di filtrazione glomerulare e


promuove l’escrezione di sodio con le urine.

I reni rilevano una diminuzione del volume di sangue e, di conseguenza, rilasciano


renina che catalizza la conversione dell’angiotensinogeno (già presente nel sangue) in
angiotensina I (§ 6.10). L’angiotensina I è convertita in angiotensina II (la forma di
angiotensina con maggiore attività biologica) ed angiotensina III. L’angiotensina II
causa vasocostrizione al fine di aumentare la pressione sanguigna.

L’ansa di Henle è un moltiplicatore per controcorrente (Figure 6.44 e 6.45): la concen-


trazione dell’urina è regolata dall’ormone antidiuretico (ADH) che regola il riassorbimento di
acqua attraverso un meccanismo a feedback negativo. L’ADH è un ormone a struttura ciclica
composto da nove aminoacidi (nonapeptide) sintetizzato nei nuclei sopraottici (SON) e para-
venticolari (PVN) da cellule nervose specializzate che hanno il nucleo nell’ipotalamo e l’assone
che si estende sino a raggiungere la neuroipofisi.

6.13.2 L’equilibrio acido-base


Uno degli scopi fondamentali dell’omeostasi è mantenere il pH nei fluidi corporei fra
7,35 e 7,45.
I tamponi sono sostanze che agiscono in modo rapido per legare temporaneamente
gli ioni H+ rimuovendone l’eccesso da una soluzione corporea in modo da impedirne
una diminuzione del pH. Esistono tre sistemi tampone nell’organismo:

1. il sistema tampone proteico è costituito dall’intero complesso delle proteine


presenti nei fluidi corporei;

2. il sistema tampone acido carbonico-bicarbonato è basato sullo ione bicar-


bonato (HCO− 3 );

3. il sistema tampone fosfato presenta come componenti gli ioni diidrogeno


fosfato (H2 PO− 2−
4 ) e monoidrogenofosfato (HPO4 ).

6.14 Embriologia
6.14.1 Sviluppo embrionale
Lo sviluppo embrionale ha inizio con la fecondazione, cioè con l’unione tra uno sperma-
tozoo e un ovocita, che dà origine a una cellula diploide chiamata zigote. Un filmato
Anatomia

che illustra il processo dello sviluppo embrionale è visibile al link:


http://youtu.be/cDvY3VZIFng.
La fecondazione avviene nell’ovidotto. Durante la fecondazione l’acrosoma libera
enzimi litici che digeriscono lo strato gelatinoso che riveste l’ovocita. Quando lo sper-
matozoo raggiunge lo strato vitellino (lo strato intermedio che riveste l’ovocita) si
stabilisce un legame tra le proteine poste sulla superficie dello spermatozoo e i recettori
proteici. Dopo che lo spermatozoo ha attraversato lo strato vitellino, la sua membra-
na plasmatica si fonde con quella dell’ovocita e la fusione delle membrane consente
l’entrata del nucleo dello spermatozoo nella cellula uovo.
Biologia 1259

Una cellula uovo può essere fecondata da un solo spermatozoo.

Dopo 3 o 4 giorni dalla fecondazione l’embrione è giunto all’utero e si impianta nel-


l’endometrio (Figura 6.59). L’embrione, impiantato nell’utero, comincia a crescere. Si
forma un organo misto formato da cellule del feto e della mucosa uterina, la placenta,
attraverso la quale il feto riceverà ossigeno e nutrimento dal sangue materno.

Figura 6.59: Fecondazione e impianto dell’embrione nell’endometrio.

La segmentazione è una rapida successione di divisioni cellulari che dallo zigote por-
ta alla formazione di una massa sferica di cellule, cioè di un embrione pluricellulare
(morula) (Figura 6.60).
A circa 30 - 36 ore dalla feconda-
zione, lo zigote si divide per mitosi
in due cellule più piccole. Una secon-
da divisione, che avviene circa 40 ore
dopo la fecondazione, produce quat-
tro cellule. Una terza divisione produ-
ce una sfera di otto cellule chiamata
morula.
Biologia

La segmentazione produce una


morula composta da 32 - 64 cellu-
le entro il quarto giorno successivo
alla fecondazione. L’embrione rimane
distaccato dalla parete uterina per i
successivi due giorni, durante i qua-
li subisce cambiamenti che lo conver-
tono in una struttura cava chiamata Figura 6.60: Segmentazione.
blastocisti.
1260 Anatomia e fisiologia dell’uomo

La blastocisti è costituita da due parti: una massa cellulare interna, che diventerà
il feto, e un corion, che diventerà parte della placenta. Le cellule che formano il corion
sono chiamate cellule del trofoblasto. Al termine della segmentazione l’embrione è
cosı̀ formato da uno o più strati di cellule al cui interno si trova un’ampia cavità: questa
sferula cava prende il nome di blastula (Figura 6.60).
Il sesto giorno successivo alla fecondazione la blastocisti si attacca alla parete ute-
rina, con il lato che contiene la massa cellulare interna situata contro l’endometrio.
Le cellule del trofoblasto producono enzimi che permettono alla blastocisti di farsi
strada nell’endometrio: questo è il processo di annidamento.

La blastocisti previene la propria eliminazione secernendo un ormone che impedisce


indirettamente le mestruazioni. Quando avviene l’impianto nell’utero, le cellule del
trofoblasto secernono la gonadotropina corionica (o hCG). Questo ormone ha gli
stessi effetti dell’LH, e quindi è in grado di mantenere attivo il corpo luteo. La secre-
zione di estradiolo e progesterone è cosı̀ mantenuta e ciò impedisce l’insorgenza della
fase mestruale.

I test di gravidanza sono basati sulla rilevazione della gonadotropina corionica nelle urine della
madre. La ricerca di questo ormone può essere eseguita sia nelle urine sia nel sangue.

Quando la blastocisti è completamente annidata nell’endometrio, il corion diventa una


struttura che consiste di uno strato interno di cellule, il citotrofoblasto, e uno strato
esterno di cellule, il sinciziotrofoblasto. Nel frattempo, la massa cellulare interna svi-
luppa anch’essa due strati di cellule. Questi sono: l’ectoderma (che formerà il sistema
nervoso e la pelle) e l’endoderma (che formerà l’apparato digerente). Un terzo strato,
il mesoderma, non è ancora presente. L’embrione in questa fase è un disco separato
dal corion dalla cavità amniotica.
Il sinciziotrofoblasto secerne enzimi che creano numerose cavità nel tessuto materno.
Il citotrofoblasto forma, quindi, proiezioni o villi che crescono in queste cavità. Questo
avviene solo sul lato del corion che fronteggia la parete uterina.

Poiché la membrana corionica deriva dallo zigote, che eredita i geni paterni che producono
proteine estranee alla madre, gli scienziati si sono chiesti a lungo perch il sistema immu-
nitario materno non attacchi i tessuti embrionali. La placenta, a quanto pare, è un “sito
immunologicamente protetto”.

L’embrione formato dai tre tessuti (o


foglietti) embrionali (ectoderma, me-
soderma, endoderma) è detto gastrula e
Anatomia

il processo che porta alla sua formazione


è detto gastrulazione (Figura 6.61).
Durante la gastrulazione si sviluppano
quattro strutture con funzioni di suppor-
to, definite membrane extraembrio-
nali, alle quali è attaccato l’embrione
(Figura 6.62):
1. l’amnios;
Figura 6.61: Gastrulazione.
Biologia 1261

2. il sacco vitellino;
3. il corion;
4. l’allantoide (precursore del cordo-
ne ombelicale).
Circa un mese dopo il concepimen-
to, le membrane extraembrionali sono
completamente formate. Immediata-
mente sotto la membrana corionica è
presente l’amnios, che avvolge l’intero
embrione. L’embrione, insieme al suo
cordone ombelicale, si trova pertan-
to all’interno della cavità amniotica
(Figura 6.62).
Il corion, insieme a una porzio-
ne del mesoderma, costituisce il com- Figura 6.62: Annessi embrionali.
ponente embrionale della placenta.
L’allantoide forma parte del cordone ombelicale.
I villi coriali sono attraversati da vasi sanguigni embrionali che si sono formati
dal mesoderma. L’ossigeno e le sostanze nutritive passano dal circolo materno ai vasi
sanguigni fetali che attraversano i villi (Figura 6.63).

Figura 6.63: La placenta e il cordone ombelicale.

Amniocentesi e villocentesi
L’amniocentesi è il prelievo di liquido amniotico dalla cavità uterina. Molte anoma-
Biologia

lie genetiche possono essere individuate tramite aspirazione di questo fluido e l’esame
delle cellule cosı̀ ottenute. L’amniocentesi è di solito eseguita intorno alla quindicesima
- sedicesima settimana di gravidanza. Malattie genetiche come la sindrome di Down
possono cosı̀ essere individuate eseguendo un cariotipo. Il liquido amniotico aspirato
contiene cellule fetali ad una concentrazione troppo bassa per consentire la determina-
zione diretta di malattie genetiche o cromosomiche. Queste cellule devono quindi essere
coltivate in vitro da 10 a 14 giorni prima di eseguire i test di laboratorio richiesti.
Un metodo alternativo, la villocentesi, consente di individuare malattie genetiche
prima di quanto possa fare l’amniocentesi. Nella villocentesi si preleva un campione di
1262 Anatomia e fisiologia dell’uomo

trofoblasto. I test genetici possono essere eseguiti direttamente sul campione di villi
perch esso contiene molte più cellule fetali di quelle presenti in un campione di liquido
amniotico. La villocentesi è in grado di fornire informazioni genetiche alla dodicesima
settimana di gestazione. L’amniocentesi, invece, non può fornire tali informazioni prima
di circa 18 - 20 settimane.

6.14.2 Organogenesi
La gastrulazione (Figura 6.61), come visto in precedenza, determina la formazione dei
tre foglietti embrionali. Da ciascuno dei foglietti deriveranno i diversi tessuti, organi e
apparati:

dall’ectoderma derivano l’epidermide, il tessuto nervoso, gli organi sensoriali;

dal mesoderma derivano la muscolatura, lo scheletro interno, il sistema circola-


torio e il sangue, l’apparato respiratorio, le gonadi e l’apparato escretore;

dall’endoderma;

Non appena si forma il meso-


derma le sue cellule si aggregano,
formando un cordone di cellule me-
sodermiche chiamato notocorda,
che rappresenta il primo supporto
assiale dell’embrione. Le cellule che
rimangono sulla superficie dorsale
dell’embrione costituiscono l’ecto-
derma. Ectoderma ed endoderma
consistono principalmente di cellu-
le di tipo epiteliale. Il mesoderma,
invece, è un mesenchima, un tes-
suto embrionale con cellule libere
di migrare ampiamente all’interno
dell’embrione. Alla fine dell’ottava Figura 6.64: Formazione della piastra neurale dall’ectoder-
ma.
settimana, tutti gli apparati sono
riconoscibili.
L’endoderma costituisce l’intestino primitivo, che diventerà la mucosa del trat-
to gastrointestinale. Il rivestimento mucoso delle vie respiratorie e le ghiandole (ad
esempio timo, tiroide e paratiroidi) si formano come evaginazione di questo intestino
primordiale.
Anatomia

L’evento principale nell’organogenesi è senza dubbio la neurulazione, la diffe-


renziazione dell’ectoderma che porta alla formazione del sistema nervoso. L’ectoder-
ma sovrastante la notocorda si addensa, formando la piastra neurale (Figura 6.64).
L’ectoderma si invagina poi verso l’interno formando la doccia neurale e le pieghe
neurali. I margini superiori delle pieghe neurali si fondono, formando il tubo neu-
rale (Figura 6.65). L’estremità anteriore del tubo neurale formerà il cervello e il resto
diventerà midollo spinale.
Alla fine del primo mese di sviluppo sono evidenti le tre vescicole cerebrali primarie
(prosencefalo, mesencefalo e rombencefalo, § 6.5.1, Figura 6.15). Alla fine del secondo
Biologia 1263

mese gli emisferi cerebrali ricoprono la parte superiore del tronco cerebrale. La maggior
parte del restante ectoderma si differenzia in epidermide.

Un embrione umano di circa nove settimane prende il nome di feto.

La notocorda sarà sostituita dalla


colonna vertebrale, ma i suoi resti
persistono nel nucleo polposo dei
dischi intervertebrali. Su entrambi
i lati della notocorda appaiono tre
aggregati mesodermici, i più gran-
di dei quali sono detti somiti. Dai
somiti si formano le vertebre e le
costole, il derma e i muscoli sche-
letrici. Le cellule del restante me-
soderma formano le gonadi, i re-
ni, il cuore, i vasi sanguigni e la
maggior parte dei tessuti connetti-
vi del corpo, cosı̀ come quasi tutta
la parete degli organi degli appa-
rati digerente e respiratorio. Alla
fine del periodo embrionale le ossa
hanno iniziato il processo di ossifi- Figura 6.65: Formazione del tubo neurale, che si è staccato
cazione e i muscoli scheletrici sono dall’ectoderma superficiale e si trova tra quest’ultimo e la
ben formati e si contraggono spon- notocorda.
taneamente. Il flusso di sangue, da
e verso la placenta attraverso i vasi ombelicali, è costante ed efficiente. Tutto ciò alla
fine dell’ottava settimana, in un embrione lungo circa 2,5 cm.

Nella specie umana lo sviluppo dell’embrione dal concepimento alla nascita è suddiviso in tre
trimestri.
1. Durante il primo trimestre avvengono i cambiamenti più radicali.
2. I principali mutamenti che avvengono durante il secondo trimestre consistono in un
aumento delle dimensioni e in un perfezionamento generale dei tratti umani.
3. Il terzo trimestre (il periodo cha va dalla ventiquattresima settimana fino alla nascita)
Biologia

è contraddistinto da una rapida crescita.

6.14.3 Il parto
Per espellere il feto sono necessarie potenti contrazioni dell’utero, in una sequenza
di eventi chiamata travaglio. Queste contrazioni uterine sono stimolate da due fat-
tori: l’ossitocina (§6.12.1), sintetizzata nell’ipotalamo, e le prostaglandine, prodotte
nell’utero.
1264 Anatomia e fisiologia dell’uomo

Il travaglio può essere indotto artificialmente mediante iniezioni di ossitocina o


inserimento di prostaglandine nella vagina.

Si possono individuare tre fasi nel travaglio: fase dilatante, fase espulsiva, secondamen-
to.

La fase dilatante è il tempo tra l’esordio del travaglio fino a quando la cervice è completa-
mente dilatata dalla testa del bambino. All’inizio del travaglio cominciano deboli ma regolari
contrazioni nella parte superiore dell’utero che si spostano verso la vagina. Inizialmente le
contrazioni avvengono a intervalli di 15-30 minuti e durano per 10-30 secondi. Con il progre-
dire del travaglio le contrazioni diventano più vigorose e rapide, ed è coinvolta anche la parte
inferiore dell’utero. A ogni contrazione la testa del bambino è spinta contro la cervice, la quale
si dilata. Alla fine l’amnios si rompe, rilasciando il liquido amniotico, un evento comunemente
chiamato “rottura delle acque”. La fase dilatante ha una durata di 6-12 ore o più.
La fase espulsiva dura dalla piena dilatazione all’uscita del neonato (parto vero e pro-
prio). La cervice è completamente dilatata, forti contrazioni avvengono ogni 2-3 minuti e
durano circa 1 minuto. Anche se questa fase può durare un paio d’ore, in genere è di 50 minuti
in un primo parto e circa 20 minuti in nascite successive. Una volta che la testa del neonato
esce, il resto del corpo è espulso molto più facilmente. Dopo la nascita il cordone ombelicale
è tagliato. Quando si verificano situazioni anomale è necessario ricorrere ad un intervento
chirurgico, il taglio cesareo.
Il secondamento è completato, in genere, entro 30 minuti e consiste nell’espulsione della
placenta e degli annessi fetali. Le forti contrazioni uterine che continuano dopo la nascita com-
primono i vasi sanguigni, limitando il sanguinamento e consentendo il distacco della placenta
dalla parete uterina. è molto importante che tutti i frammenti placentari siano rimossi per
evitare un’emorragia uterina post-parto.

6.14.4 Lattazione
Ogni ghiandola mammaria è costituita da 15 a 20 lobi, separati da tessuto adiposo.
La quantità di tessuto adiposo determina la dimensione e la forma del seno, ma non
ha nulla a che fare con la capacità di una donna di allattare. Ogni lobo è suddiviso in
lobuli, che contengono gli alveoli ghiandolari che secernono il latte. Gli alveoli secernono
latte in una serie di tubuli, i quali convergono per formare una serie di condotti, che a
loro volta confluiscono in un dotto galattoforo, che drena sulla punta del capezzolo.
Il lume di ciascun dotto si espande appena sotto la superficie del capezzolo per formare
un’ampolla, in cui il latte si accumula durante l’allattamento.
La prolattina, dopo il parto, stimola le ghiandole mammarie a produrre le pro-
teine del latte, compresa la caseina e la lattoalbumina. La secrezione di prolattina è
Anatomia

controllata dall’ormone inibitore della prolattina (PIH ), che si è scoperto essere la do-
pamina. La secrezione di PIH è stimolata dagli estrogeni, e cosı̀ durante la gravidanza,
quando i livelli di estrogeni sono alti, la secrezione di prolattina è costantemente inibita.
Dopo il parto, quando la placenta viene espulsa, i livelli decrescenti di estrogeni sono
accompagnati da un aumento della secrezione di prolattina, con conseguente stimolo
alla produzione di latte.
L’allattamento aiuta a mantenere alti i livelli di secrezione di prolattina tramite
un riflesso neuroendocrino. Le terminazioni sensoriali nella mammella, attivati dallo
stimolo di suzione, mandano impulsi all’ipotalamo e inibiscono la secrezione di PIH.
Biologia 1265

Lo stimolo di suzione comporta anche la secrezione riflessa di ossitocina. Questo


ormone stimola la contrazione dei dotti galattofori e pertanto permette la fuoriuscita
del latte.
L’allattamento al seno completa la protezione immunitaria fornita dalla madre al
bambino. Mentre il feto è nell’utero, gli anticorpi IgG (§ 6.15.3) passano dalla madre
al feto attraverso la placenta. Questi anticorpi forniscono una protezione immunitaria
passiva (§ 6.15.6) al bambino per i primi 3-12 mesi dopo la nascita. I neonati allattati al
seno ricevono anche anticorpi IgA dal latte materno, che forniscono ulteriore protezione
immunitaria passiva all’interno dell’intestino del bambino. Inoltre, il latte materno
contiene citochine, linfociti e anticorpi che possono favorire lo sviluppo del sistema di
immunità attiva del bambino. La capacità del bambino di produrre propri anticorpi
non è ben sviluppata per diversi mesi dopo la nascita, pertanto l’immunità passiva
fornita dagli anticorpi presenti nel latte materno può essere importante nel proteggere
il bambino da diverse infezioni.

L’allattamento al seno, agendo come feedback negativo sulla secrezione di GnRH, può anche
inibire la secrezione delle gonadotropine e quindi inibire l’ovulazione. Questo meccanismo
sembra essere più efficace nelle donne con apporto calorico limitato e in quelle che allattano
a intervalli frequenti durante tutto il giorno e la notte.

6.15 Sistema immunitario


Il sistema immunitario ha lo scopo di individuare ed eliminare le sostanze estranee
e potenzialmente dannose con cui il nostro organismo viene a contatto, ad esempio
batteri, virus, protisti e funghi. L’immunità è lo stato di resistenza di un organismo
animale a un particolare agente patogeno. Si veda il link seguente per un video che
descrive i caratteri generali dell’immunità: http://youtu.be/nI bMBH0Gaw. Esistono
due tipi di risposte che collaborano in modo cooperativo all’eliminazione degli agenti
patogeni:
1. immunità innata;
2. immunità adattativa (o acquisita).

6.15.1 Immunità innata


È la prima risposta dell’organismo ed è chiamata anche immunità naturale (Figura
6.66). Consiste in meccanismi preesistenti all’infezione, capaci di reagire con rapidità
ma in maniera aspecifica e ripetitiva contro i patogeni.
I componenti principali dell’immunità innata sono:
Biologia

le barriere fisiche costituite dagli epiteli;


le barriere chimiche costituite da sostanze prodotte dall’organismo: lisozima,
acidità gastrica, muco, acido lattico vaginale;
le cellule a funzioni fagocitiche: neutrofili, monociti, macrofagi, istiociti, cellule
di Kupffer;
le cellule citotossiche: Natural Killer;
1266 Anatomia e fisiologia dell’uomo

proteine del sangue quali il sistema del complemento;

sostanze prodotte dalle cellule come le citochine e le interleuchine;

Figura 6.66: Collegamento tra immunità innata e immunità adattativa. PRR: pathogen recognition
receptor; TCR: T cell receptor; MHC: complesso maggiore di istocompatibilità; IL: interleuchina.

Le cellule dell’immunità innata sono:

macrofagi, responsabili della fagocitosi dei detriti e dei patogeni;

neutrofili;

eosinofili, che agiscono contro i parassiti;


Anatomia

basofili;

mastociti, che rilasciano citochine che promuovono l’immunità adattativa, ista-


mina e altri mediatori dell’infiammazione;

Natural Killer, che colpiscono le cellule infettate da virus.


Biologia 1267

Attivazione dell’immunità innata


Il sistema dell’immunità innata distingue tra le cellule dei tessuti del proprio corpo
(“self ”) e i patogeni riconoscendo molecole chiamate PAMP (pathogen-associated mo-
lecular patterns, o profili molecolari associati ai patogeni ). I più noti di questi PAMP
sono: i lipopolisaccaridi (LPS), che si trovano nella membrana dei batteri gram-negativi,
e il peptidoglicano delle pareti cellulari dei batteri gram-positivi.

Alcune cellule possiedono recettori per i PAMP, chiamati TLR o recettori di tipo toll (toll-
like receptors). Questi recettori consentono al sistema di immunità aspecifica di identificare
correttamente come estraneo qualsiasi potenziale agente patogeno. Ad esempio l’esposizione al
lipopolisaccaride stimola uno dei recettori toll-like su cellule dendritiche e macrofagi. Queste
cellule sono quindi stimolate a secernere citochine, che reclutano altre cellule del sistema
immunitario e promuovono diversi aspetti della risposta innata come la fagocitosi e la febbre.
Le citochine, inoltre, sono necessarie per attivare le cellule del sistema immunitario adattativo
(linfociti B e T).

Il sistema del complemento consente di integrare la risposta immunitaria innata


e quella adattativa. Il sistema del complemento è costituito da proteine presenti nel
plasma e in altri fluidi che si attivano quando gli anticorpi (costituenti del sistema
immunitario adattativo) legano i loro bersagli molecolari, chiamati antigeni. Quando
ciò accade, le proteine del complemento promuovono la fagocitosi, la lisi (distruzione)
delle cellule bersaglio e altri aspetti dell’infiammazione locale.
La febbre può essere una componente del sistema di difesa aspecifica. La tempe-
ratura corporea è regolata dall’ipotalamo, che contiene un centro di termoregolazione
che fa sı̀ che la temperatura corporea si mantenga a circa 37 ◦C. Come risposta ad
alcune infezioni il centro termoregolatore induce un aumento della temperatura. La
parete cellulare di batteri gram-negativi contiene un’endotossina, un lipopolisaccaride
che stimola monociti e macrofagi a rilasciare diverse citochine. Queste sostanze agiscono
causando febbre, aumento della sonnolenza e un calo della concentrazione plasmatica
di ferro (sideremia).

Anche se la febbre alta può essere pericolosa, una febbre moderata può essere una
risposta positiva che aiuta l’organismo a combattere le infezioni batteriche.

È stato dimostrato che cellule in coltura infettate da virus producono polipeptidi,


chiamati interferoni, che interferiscono con la possibilità che un altro ceppo di virus
possa infettare altre cellule nella stessa cultura.
Biologia

Esistono tre principali categorie di interferoni: alfa, beta e gamma.


Quasi tutte le cellule del corpo producono interferoni alfa e beta. Questi polipeptidi pro-
teggono dall’infezione virale le cellule vicine. I virus sono ancora in grado di penetrare le altre
cellule, ma la capacità replicativa del virus è inibita. L’interferone gamma è prodotto solo
da particolari linfociti e dalle cellule natural killer (cellule NK). La secrezione di interferone
gamma da parte di queste cellule è parte della difesa immunologica contro le infezioni e il
cancro.
1268 Anatomia e fisiologia dell’uomo

6.15.2 Immunità adattativa


L’immunità adattativa (o acquisita) è più tardiva ma altamente specifica, segue
quella innata e si acquisisce in seguito alla riesposizione a uno specifico antigene (Ag).
Le sostanze estranee che attivano la risposta specifica sono dette antigeni. Normalmente
gli antigeni sono sostanze ad alto peso molecolare quali proteine e lipopolisaccaridi.
L’immunità acquisita si basa sulla capacità del sistema immunitario di distinguere
le proprie molecole (“self ”) da quelle di qualsiasi altro organismo (“non self ”) e di
attivarsi solo contro gli antigeni non self.
L’immunità acquisita è responsabile, attraverso i tipi cellulari coinvolti, della pro-
duzione di anticorpi e citochine. Una caratteristica importante dell’immunità adat-
tativa è che la sua efficacia aumenta con la successiva esposizione all’antigene (effetto
memoria).
Le cellule coinvolte nell’immunità acquisita sono:

1. cellule presentanti l’antigene (APC);

2. linfociti B;

3. linfociti T;

4. plasmacellule.

La risposta specifica è avviata dal riconoscimento dell’antigene da parte di linfoci-


ti specifici, che rispondono proliferando e differenziandosi in cellule effettrici, la cui
funzione è quella di eliminare l’antigene.
Esistono due popolazioni di linfociti che danno origine a due tipi diversi di risposte
immunitarie (Figura 6.25):

linfociti B (immunità umorale): originano e maturano nel midollo osseo, en-


trano in circolo nel sangue e si localizzano principalmente nei linfonodi e negli
organi linfatici;

linfociti T (immunità cellulo-mediata): originano nel midollo osseo ma mi-


grano e maturano in un organo situato nel collo, il timo, dove acquisiscono la
capacità di riconoscere gli antigeni. Le popolazioni più importanti coinvolte nella
risposta immunitaria sono: T-Helper (CD4+ ) e T-Citotossici o T-killer (CD8+ ).

6.15.3 Immunità umorale


La risposta umorale è attivata dai linfociti B, che riconoscono l’antigene e si attivano,
andando incontro a numerose divisioni cellulari che producono cloni cellulari. Alcune
cellule di questa progenie divengono cellule memoria, altre si trasformano in cellule
Anatomia

effettrici, le plasmacellule, in grado di produrre anticorpi specifici (Figura 6.67).


Gli anticorpi prodotti da plasmacellule derivate da linfociti B esposti a un parti-
colare antigene, reagiscono specificamente con tale antigene. Il legame specifico degli
anticorpi agli antigeni serve per identificare il nemico e per attivare meccanismi di
difesa che portano alla distruzione dell’invasore.

Ogni antigene è riconosciuto da uno specifico anticorpo. Il nostro organismo è in grado


di produrre più di un milione di anticorpi diversi.
Biologia 1269

Figura 6.67: Schema di funzionamento dell’immunità umorale e dell’immunità cellulo-mediata.

I linfociti B possiedono sulla loro membrana un recettore che è del tutto simile ad
un anticorpo, in grado quindi di legare in modo specifico un antigene. Questo recettore
è detto “recettore delle cellule B” o BCR (B-Cell Receptor ).
Gli anticorpi, o immunoglobuline (Ig), sono proteine della classe delle gamma
globuline (Figura 6.68); ne esistono cinque sottoclassi: IgG, IgA, IgM, IgD e IgE. La
maggior parte degli anticorpi circolanti nel plasma appartiene alla sottoclasse IgG,
mentre le IgA sono le immunoglobuline più abbondanti nelle secrezioni. Gli anticorpi
IgA proteggono la mucosa dell’intestino e sono presenti anche nella saliva e nel latte
(Tabella 6.8). Gli anticorpi della sottoclasse IgE sono coinvolti in reazioni allergiche
(ipersensibilità immediata).

Immunoglobulina
Funzioni
IgG È il principale tipo di anticorpi in circolo: la produzione aumenta
dopo l’immunizzazione; la secrezione avviene durante la risposta
secondaria
IgA È il principale tipo di anticorpi presente nelle secrezioni esterne,
Biologia

come la saliva e il latte materno


IgE Sono responsabili dei sintomi allergici nelle reazioni di
ipersensibilità immediata
IgM Fungono da recettori per l’antigene sulla superficie dei linfoci-
ti prima dell’immunizzazione; sono secreti durante la risposta
primaria
IgD Fungono da recettori per l’antigene sulla superficie dei linfociti
prima dell’immunizzazione; le funzioni non sono ancora ben note
Tabella 6.8: Le immunoglobuline.
1270 Anatomia e fisiologia dell’uomo

Tutti gli anticorpi sono formati da quattro diverse catene polipeptiche (Figura 6.68): due
catene pesanti (catene H ) e due catene leggere (catene L). Le quattro catene formano due
siti di riconoscimento in grado di legare uno specifico antigene (porzione Fab). Ogni tipo di
anticorpo è in grado di riconoscere un solo antigene. La parte costante in diversi anticorpi
è la porzione Fc, la quale interagisce con i recettori FcR di macrofagi, eosinofili, basofili e
linfociti B. Quando anticorpi specifici hanno legato batteri o virus si parla di opsonizzazione,
fenomeno che, coadiuvato dal complemento, aumenta il riconoscimento della porzione Fc degli
anticorpi da parte di recettori superficiali dei macrofagi, stimolandone l’attività fagocitaria.

6.15.4 La risposta cellulo-mediata e le APC (Antigen Presenting Cells)


I linfociti T proliferano e maturano nel timo.
Esistono tre categorie principali di linfociti T:
linfociti T citotossici (o killer), linfociti T helper,
linfociti T regolatori (o soppressori).
I linfociti T citotossici sono identificabi-
li per la presenza di una molecola di superfi-
cie chiamata CD8; per questa ragione sono detti
anche linfociti CD8+ . La loro funzione è di di-
struggere le cellule che ospitano molecole estra-
nee. A differenza dei linfociti B, che uccidono
a distanza attraverso la secrezione di anticorpi,
i linfociti T killer uccidono le cellule median-
te risposta cellulo-mediata. Ciò significa che es-
si devono essere in contatto fisico con le cellu- Figura 6.68: Struttura di un anticorpo.
La porzione Fc è costituita dalle regioni
le bersaglio. Quando ciò accade, le cellule killer costanti.
secernono molecole chiamate perforine ed en-
zimi, che causano la lisi e la morte della cellula
bersaglio. I linfociti T citotossici agiscono contro le infezioni virali e fungine e sono an-
che responsabili delle reazioni di rigetto del trapianto. Sebbene la maggior parte delle
infezioni batteriche sia combattuta dai linfociti B, alcune sono obiettivo dell’immunità
cellulo-mediata.
I linfociti T helper sono identificabili per la presenza di una molecola di superficie
chiamata CD4; per questa ragione sono detti anche linfociti CD4+ . Come suggerisce
il nome, queste cellule potenziano la risposta immunitaria, migliorando la capacità dei
linfociti B di differenziarsi in plasmacellule e secernere anticorpi specifici e migliorando
la capacità dei linfociti T citotossici di instaurare una risposta immunitaria cellulo-
mediata. Il ruolo dei linfociti T è svolto attraverso la secrezione di regolatori chimici
Anatomia

chiamati linfochine, in particolare, i linfociti T helper secernono una linfochina chiamata


interleuchina-2, che supporta l’azione dei linfociti T citotossici.
I linfociti T regolatori (in precedenza chiamati soppressori ), o Treg , in un certo
senso spengono la risposta immunitaria specifica; essi inibiscono l’attività dei linfociti T
CD8+ e dei linfociti B. I linfociti T regolatori possono essere identificati in laboratorio
per la presenza contemporanea delle molecole di superficie CD25 e CD4. I meccanismi
attraverso i quali i linfociti T regolatori sopprimono la risposta immunitaria non sono
del tutto chiari.
Gli antigeni riconosciuti dai linfociti B possono essere sia proteine sia carboidrati,
Biologia 1271

mentre la maggior parte dei linfociti T riconosce solo antigeni proteici. A differenza
delle cellule B, i linfociti T non producono immunoglobuline pertanto non hanno an-
ticorpi sulle loro superfici che fungano da recettori. Per questo motivo i recettori delle
cellule T, o TCR (T-Cell Receptor ), non possono legarsi direttamente ad antigeni libe-
ri. Affinch i linfociti T possano rispondere agli antigeni estranei, questi ultimi devono
essere presentati ai linfociti T sulla membrana delle cellule presentanti l’antigene
(APC). Le principali APC sono i macrofagi e le cellule dendritiche.
Le cellule di Langerhans dell’epidermide, ad esempio, sono cellule dendritiche che
possono inglobare antigeni proteici, digerirli parzialmente e spostare i frammenti po-
lipeptidici risultanti sulla propria superficie cellulare, dove i peptidi estranei sono as-
sociati con molecole chiamate antigeni di istocompatibilità; questo permette alle
APC di attivare i linfociti T. Affinchè le cellule dendritiche interagiscano con i cor-
retti linfociti T (quelli cioè che hanno specificità per l’antigene presentato), le cellule
dendritiche devono migrare attraverso i vasi linfatici verso gli organi linfoidi secondari,
dove secernono chemochine per attrarre i linfociti T. Questa migrazione aumenta la
probabilità che le APC possano incontrare i linfociti T specifici. Un linfocita T che non
incontra il suo antigene non trascorre più di 24 ore in un linfonodo, ma questo tempo
aumenterà a 3 o 4 giorni se il linfocita è attivato dalle cellule dendritiche che portano il
suo antigene specifico. Le cellule T attivate si dividono per produrre dapprima linfociti
T effettori e poi linfociti T di memoria (Figura 6.69).

Figura 6.69: Attivazione del linfocita T da parte di una cellula presentante l’antigene.

Antigeni di istocompatibilità

Un tessuto trapiantato da una persona a un’altra contiene antigeni che sono estranei
per l’ospite. Questo perch tutte le cellule, ad eccezione dei globuli rossi maturi, sono
Biologia

geneticamente marcate sulla membrana plasmatica con una combinazione caratteristica


di antigeni di istocompatibilità. Prima del trapianto, pertanto, deve essere eseguita
una “tipizzazione tissutale” del destinatario e del donatore. Poich le cellule utilizzate
per questa tipizzazione sono i leucociti, gli antigeni di istocompatibilità negli esseri
umani sono chiamati antigeni umani leucocitari, meglio conosciuti con la sigla
HLA. Essi sono chiamati anche molecole MHC, dal nome dei geni che codificano per
queste proteine. Gli antigeni di istocompatibilità sono proteine codificate da un gruppo
di geni chiamato complesso maggiore di istocompatibilità (MHC), situato sul
cromosoma 6.
1272 Anatomia e fisiologia dell’uomo

Figura 6.70: Interazione tra molecole MHC e linfociti T-Helper e T-Citotossici.

Linfociti T e molecole MHC


Esistono due classi di molecole MHC presenti sulla superficie cellulare: MHC classe 1
(o MHC I) e MHC classe 2 (o MHC II). La molecole di classe 1 sono prodotte da tutte
le cellule del corpo tranne i globuli rossi. Le molecole di classe 2 sono prodotte solo da
APC, ovvero macrofagi, cellule dendritiche e linfociti B. Queste cellule presentano le
loro molecole MHC di classe-2 associate all’antigene ai linfociti T helper. Questo attiva
i linfociti T helper in modo che essi possano favorire la risposta immunitaria umorale.
I linfociti T helper possono essere attivati solo da antigeni presentati in associazio-
ne con molecole MHC II. I linfociti T citotossici, invece, possono essere attivati per
distruggere una cellula bersaglio solo se quest’ultima presenta antigeni associati con
molecole MHC I (Figura 6.70).

L’interazione con molecole MHC di classe 1 o 2 dipende dalla presenza di corecettori, che sono
proteine associate con i recettori delle cellule T. Il corecettore noto come CD8 è presente nei
linfociti T citotossici e interagisce solo con le molecole MHC di classe 1; il corecettore noto
come CD4 è presente nei linfociti T helper e interagisce solo con le molecole MHC di classe 2.

Quando una particella estranea come un virus infetta il corpo, i macrofagi (o le cel-
lule dendritiche) fagocitano e digeriscono parzialmente tale particella. All’interno dei
macrofagi, le particelle virali parzialmente digerite forniscono antigeni non-self che so-
no spostati sulla membrana plasmatica dove formano un complesso con le molecole
MHC II. I macrofagi possono cosı̀ presentare l’antigene estraneo alle cellule T helper e
attivarle (Figura 6.70).
L’interazione tra macrofago e linfocita T helper stimola la secrezione di interleuchina-
1 da parte del macrofago. Questa citochina induce la proliferazione dei linfociti T. A sua
volta il linfocita T helper produce sostanze che promuovono l’attività dei macrofagi. I
linfociti T citotossici sono in grado di distruggere le cellule infettate solo se queste cellu-
Anatomia

le presentano l’antigene associato a molecole MHC I. Questa interazione tra linfociti T


citotossici e complessi antigene-MHC I stimola la proliferazione di questi linfociti. Inol-
tre, la proliferazione dei linfociti T citotossici è stimolata dall’interleuchina-2 secreta
dai linfociti T helper che sono stati attivati da macrofagi, come descritto in precedenza
(Figura 6.71).
I linfociti T helper, attivati da un antigene da parte di una APC, possono promuo-
vere la risposta immunitaria umorale mediata dai linfociti B. Quando un antigene si
lega al recettore di un linfocita B, quest’ultimo presenta tale antigene, in associazione
a molecole di MHC di classe 2, ai linfociti Th. Questa interazione stimola la prolife-
Biologia 1273

razione dei linfociti B, la loro conversione in plasmacellule e la secrezione di anticorpi


diretti contro quegli antigeni che hanno attivato i T helper (Figura 6.72).

Figura 6.71: Interazioni tra macrofagi, linfociti T helper e linfociti T citotossici. 1) Una cellula
presentante l’antigene, in questo caso un macrofago, attiva un linfocita T helper presentando un antigene
virale associato a una molecola MHC II. 2) Il linfocita T helper libera interleuchina-2, che promuove la
proliferazione dei linfociti T citotossici attivati dalla presentazione dell’antigene virale associato a MHC I.
3) I linfociti T citotossici uccidono le cellule infettate da quel tipo di virus.

Biologia

Figura 6.72: Interazioni tra macrofagi, linfociti T helper e linfociti B. 1) Una cellula presentante
l’antigene, in questo caso un macrofago, attiva un linfocita T helper presentando un antigene estraneo
associato a una molecola MHC II. 2) Il linfocita T helper interagisce con un linfocita B specifico per
quell’antigene. 3) Il linfocita B prolifera formando dei cloni, alcuni dei quali costituiranno cellule di
memoria mentre altri si differenziano in plasmacellule che producono anticorpi specifici.
1274 Anatomia e fisiologia dell’uomo

È possibile ricapitolare come segue le caratteristiche fondamentali dei due tipi principali
di linfociti T.
I linfociti T helper :
riconoscono peptidi antigenici legati a proteine (MHC) espresse sulla
membrana di altre cellule;
quando legano tali antigeni si moltiplicano e liberano proteine dette citochine,
che aiutano i linfociti B e T ad attivarsi, richiamano i macrofagi e innescano il
processo infiammatorio;
intervengono sia nella risposta umorale che in quella cellulo-mediata.
I linfociti T citotossici:
riconoscono peptidi antigenici legati a proteine (MHC) espresse sulla
membrana di altre cellule;
se attivati si moltiplicano, attaccano e distruggono tali cellule;
agiscono eliminando le cellule infettate da virus o da parassiti endocellulari
oppure cellule tumorali che presentano proteine anomale.

6.15.5 Immunità attiva


Quando una persona è esposta per la prima
volta a un particolare agente patogeno, vi è
un periodo di latenza da 5 a 10 giorni pri-
ma che appaiano nel sangue quantità misu-
rabili di anticorpi specifici. Questa lenta ri-
sposta primaria può non essere sufficiente
per proteggere la persona contro la malattia
causata dal patogeno. La concentrazione di
anticorpi nel sangue durante questa risposta
primaria raggiunge un picco in pochi giorni
e diminuisce dopo poche settimane.
Una successiva esposizione allo stesso an-
tigene stimola una risposta secondaria
(Figura 6.73). Rispetto alla risposta prima-
Anatomia

ria, la produzione di anticorpi nella risposta Figura 6.73: Risposta primaria e risposta
secondaria è molto più rapida. La massima secondaria.
concentrazione di anticorpi nel sangue si rag-
giunge in meno di due ore e ed è mantenuta per un tempo più lungo rispetto alla risposta
primaria. Questo rapido aumento della produzione di anticorpi è, in genere, sufficiente
per impedire alla persona di sviluppare la malattia.
Lo sviluppo di una risposta secondaria fornisce immunità attiva contro i patogeni
specifici. Lo sviluppo di un’immunità attiva richiede una precedente esposizione agli
antigeni specifici, momento in cui la lentezza della risposta primaria può portare l’in-
Biologia 1275

dividuo a sviluppare la malattia. Ad esempio, i bambini che si ammalano di morbillo,


varicella o parotite, probabilmente da adulti saranno immuni a queste malattie.
L’immunizzazione indotta artificialmente è detta vaccinazione e prevede l’uso di
vaccini. Il vaccino è in grado di stimolare la risposta immunitaria, in modo da produr-
re nell’organismo vaccinato gli anticorpi necessari a contrastare mediante una rapida
risposta secondaria un’eventuale infezione; lo scopo è raggiunto perch il sistema immu-
nitario produce delle cellule di memoria, come descritto in precedenza. In alcuni casi
queste cellule devono essere prodotte nuovamente dopo un certo tempo ed è per questo
motivo che si effettuano i cosiddetti richiami.
In sintesi, ci sono tre modi con cui i vaccini sono attualmente prodotti:

1. vaccini attenuati: microrganismi attivi ma con virulenza attenuata, che non


causano la malattia ma provocano forti risposte immunitarie contro i virus pato-
geni. Gli esempi includono il vaccino antipolio di Sabin e le vaccinazioni contro
il morbillo e la parotite;

2. vaccini inattivati o uccisi: i patogeni sono inattivati mediante calore o sostanze


chimiche. In questo caso i microrganismi sono incapaci di replicarsi ma possono
indurre la risposta immunitaria. Gli esempi includono il vaccino antipolio di Salk
e i vaccini antinfluenzali. Questo tipo di vaccini, in genere, richiede di eseguire
richiami per mantenere lo stato di immunizzazione;

3. vaccini ricombinanti: sono realizzati mediante l’utilizzo della tecnologia del


DNA ricombinante (§ 4.10). Un esempio è rappresentato dal vaccino contro
l’epatite B.

6.15.6 Immunità passiva


Il termine immunità passiva si riferisce alla protezione immunitaria che può essere
realizzata mediante trasferimento di anticorpi da un donatore umano o animale ad un
ricevente. Il donatore è stato immunizzato attivamente, come spiegato in precedenza
(§ 6.15.5). La persona che riceve questi anticorpi “già pronti” è quindi passivamente
vaccinato contro gli stessi antigeni. L’immunizzazione passiva si verifica anche natural-
mente nel trasferimento di anticorpi dalla madre al feto durante la gravidanza e dalla
madre al bambino durante l’allattamento.

Le immunizzazioni passive sono utilizzate per proteggere le persone che sono state esposte a
infezioni o tossine estremamente virulente, come il tetano, l’epatite, la rabbia e il veleno di
serpente. In questi casi, all’individuo affetto è iniettato un antisiero, cioè un siero contenente
anticorpi, chiamato anche antitossina, proveniente da un animale che è stato precedentemente
Biologia

esposto al patogeno o alla sostanza tossica. L’animale sviluppa i cloni linfocitari e si immunizza
attivamente, pertanto presenta un’alta concentrazione di anticorpi nel suo sangue. Poiché la
persona cui è iniettato l’antisiero non sviluppa immunità attiva, questi dovrà essere trattato
nuovamente con antitossina in caso di esposizioni successive.

6.15.7 Cellule Natural Killer


Le cellule Natural Killer (o cellule NK), sono linfociti considerati parte del siste-
ma immunitario innato. A differenza dei linfociti B e T che fanno parte del sistema
1276 Anatomia e fisiologia dell’uomo

immunitario adattativo, le cellule NK non hanno recettori di superficie specifici per par-
ticolari antigeni, ma mostrano una serie di recettori che permettono loro di distinguere
le cellule normali da cellule tumorali e da cellule infettate con patogeni intracellulari,
come virus. Affinché le cellule NK siano pienamente efficaci, esse devono essere attivate
da interferone-α, interferone-β o altre citochine.
Le cellule NK attivate, a differenza dei linfociti T citotossici, distruggono le cellule
tumorali e le cellule infette in maniera aspecifica che non richiede una precedente espo-
sizione agli antigeni di queste cellule. Come risultato di ciò, le cellule NK costituiscono
una prima linea di difesa cellulo-mediata innata, che è in seguito sostenuta dalla rispo-
sta specifica adattativa dei linfociti T citotossici. Le citochine rilasciate dalle cellule
NK e dalle cellule del sistema immunitario adattativo attraggono anche neutrofili e
macrofagi verso il sito dell’infezione.

6.15.8 Malattie causate dal sistema immunitario


Le malattie autoimmuni sono quelle prodotte dall’incapacità del sistema immunita-
rio di riconoscere e tollerare antigeni self. Questa situazione anomala comporta l’atti-
vazione di linfociti T autoreattivi e la produzione di autoanticorpi da parte dei linfociti
B, causando infiammazione e danno d’organo. Esistono oltre 40 malattie autoimmuni
note o sospette. Le malattie autoimmuni più comuni sono: l’artrite reumatoide, il dia-
bete mellito tipo 1, la sclerosi multipla, la malattia di Basedow-Graves, glomerulonefriti,
tiroiditi, l’anemia perniciosa, la psoriasi, e il lupus eritematoso sistemico.
Il termine allergia si riferisce a particolari tipi di risposte immunitarie anomale agli
antigeni, chiamati in questi casi allergeni. Esistono due forme principali di allergia:

1. ipersensibilità immediata, che è dovuta a una risposta anomala dei linfociti


B ad un allergene e che produce sintomi in pochi secondi o minuti

2. ipersensibilità ritardata, che è una risposta anomala dei linfociti T e che


produce sintomi dalle 24 alle 72 ore dopo l’esposizione ad un allergene.

L’ipersensibilità immediata può produrre rinite allergica, congiuntivite, asma al-


lergico, dermatite atopica (o orticaria) e allergie alimentari. Nelle persone allergiche
sono prodotte interleuchine diverse dal solito, che inducono le plasmacellule a produrre
anticorpi IgE anzich IgG. A differenza degli anticorpi IgG che circolano nel sangue, gli
anticorpi IgE sono concentrati nelle membrane mucose, dove legano recettori presenti
Anatomia

sulla superficie dei mastociti e dei basofili. Quando una persona è nuovamente esposta
all’allergene, questo si lega alle IgE legate ai recettori su mastociti e basofili, e ciò
stimola le cellule a rilasciare istamina e altre citochine (tra cui prostaglandine e
leucotrieni) che producono le reazioni di ipersensibilità immediata.
Nell’ipersensibilità ritardata i sintomi richiedono più tempo per svilupparsi. Poich
i sintomi sono causati dalla secrezione di linfochine, piuttosto che dalla secrezione di
istamina, il trattamento con antistaminici offre scarsi benefici. Allo stato attuale, i
corticosteroidi sono gli unici farmaci che possono trattare efficacemente l’ipersensibilità
ritardata.
Biologia 1277

6.16 Quesiti
1) Dove originano i globuli rossi? 6) La risposta immunitaria specifica:

A nel rene A avviene solo in presenza di un virus


B nel midollo osseo B avviene solo presenza di batteri
C nel midollo spinale C può essere attuata dai macrofagi
D nei muscoli scheletrici D può essere attuata dai linfociti B
E nella cartilagine E può essere attuata dai granulociti
2) Nel seguente elenco, indicare un’im- 7) Dopo quanti giorni dall’inizio della
portante caratteristica della cellula mestruazione avviene l’ovulazione?
muscolare:
A 27
A la capacità di eccitarsi
B 21
B la capacità di assorbire specifici coloran-
ti C 14
C la capacità di eccitarsi sempre in modo D 9
spontaneo
E 7
D il non possedere riserve di glicogeno
8) Le contrazioni uterine sono stimolate
E la capacità di lavorare sempre e solo in
da:
assenza di ossigeno
A ossitocina
3) Tra le seguenti tipologie cellulari indi-
care quella che, nell’uomo, è dotata di B prostaglandine
flagello:
C prolattina
A cellule della glia
D la risposta A e la risposta B sono
B ovocita entrambe corrette
C epatocita E la risposta B e la risposta C sono
entrambe corrette
D spermatozoo
9) Quali ormoni controllano la funzione
E neurone
renale?
4) Dove si trovano i recettori della vista?
A ossitocina e cortisolo
A nel cristallino B aldosterone e TSH
B nella retina C glucagone e LH
C nella sclera
D TSH e LH
D nella porzione anteriore dell’occhio
E Aldosterone e ADH
E nella cornea
10) Quali ormoni, tra i seguenti, sono
5) Indicare l’ormone sessuale tipicamente secreti dall’adenoipofisi?
Biologia

maschile:
A prolattina, vasopressina e FSH
A testosterone
B ormone somatotropo, gonadotropine e
B estrogeni ormone tireotropo
C vasopressina C somatotropina e ossitocina
D ossitocina D ormone corticotropo e cortisolo
E glucagone E glucagone, insulina e melatonina
1278 Anatomia e fisiologia dell’uomo

6.17 Soluzioni commentate ai quesiti


1) B . I globuli rossi sono prodotti dal midollo osseo in seguito a una complessa cascata
di eventi, suddiviso in varie fasi, definita “eritropoiesi”. Lo sviluppo completo dei
globuli rossi passa attraverso un processo di trasformazione cellulare che richiede
un periodo che va dai 7 ai 10 giorni circa ed è controllata dalla quantità di ossigeno
che arriva ai tessuti attraverso il flusso ematico; la produzione dei globuli rossi da
parte del midollo osseo viene stimolata da un ormone, l’eritropoietina.

2) A . I muscoli sono in grado di eccitarsi in seguito ad eventi depolarizzanti. Le ca-


ratteristiche e le modalità di tale depolarizzazione dipendono dal tipo di tessuto
muscolare. Nel tessuto muscolare scheletrico la depolarizzazione si realizza median-
te liberazione di acetilcolina all’interno di particolari strutture di congiunzione con
il sistema nervoso: le giunzioni neuromuscolari. Qui l’acetilcolina si lega a specifici
recettori (nicotinici) presenti sul muscolo che si aprono permettendo l’ingresso di
sodio e causando una depolarizzazione che, raggiungendo il reticolo sarcoplasmati-
co, determina la liberazione di calcio a cui segue la contrazione. Nel muscolo liscio
la contrazione può essere generata autonomamente o da ormoni (ad esempio epi-
nefrina), oltre che da uno stimolo nervoso; inoltre, il calcio liberato nel citoplasma
proviene dall’ambiente extracellulare e non dal reticolo sarcoplasmatico. Il muscolo
liscio non è dotato di una struttura sarcomerica definita: i filamenti di actina so-
no ancorati alla membrana plasmatica, generando una contrazione non organizzata
delle cellule. Il potenziale d’azione cardiaco varia nella sua configurazione nelle di-
verse parti del cuore ma, in generale, mostra un plateau che dura diverse centinaia
di millisecondi e che è successivo alla fase di depolarizzazione rapida iniziale.

3) D . Lo spermatozoo è la cellula germinale maschile (o gamete). Ha lo scopo di


raggiungere il gamete femminile, la cellula uovo, e fecondarlo. Lo spermatozoo è
costituito dalla testa, dal colletto e dalla coda (o flagello). La coda dello spermatozoo
è formata da un flagello lungo circa di 50-60 µm.

4) B . La retina è la membrana più interna dell’occhio che possiede cellule sensibili alle
radiazioni luminose (fotorecettori) dai cui prolungamenti si origina il nervo ottico,
che invia al cervello le informazioni da interpretare. Tra le cellule che compongono
la retina ci sono i coni, responsabili della visione a colori ma sensibili solo a luci
piuttosto intense e i bastoncelli, sensibili alle radiazioni di bassa intensità, non
sensibili ai colori e implicati nella visione crepuscolare.

5) A . Il testosterone è un ormone steroideo del gruppo degli androgeni, sintetizzato


Anatomia

principalmente nei testicoli dalle cellule di Leydig e, in minima parte, anche dalla
corteccia surrenale. Nell’uomo è deputato allo sviluppo degli organi sessuali e dei
caratteri sessuali secondari: la barba, la distribuzione dei peli, il timbro della voce
e la muscolatura.

6) D . In seguito all’incontro con un antigene l’organismo risponde con meccanismi


di difesa aspecifici (più rapidi nell’azione) e specifici (rivolti in maniera specifica
all’antigene). Responsabili di questi ultimi sono i linfociti T citotossici, T helper e
B.
Biologia 1279

7) C . L’ovulazione generalmente si verifica attorno al quattordicesimo giorno del ci-


clo mestruale (cioè, mediamente, dai 12 ai 16 giorni prima dell’inizio del flusso
mestruale), in corrispondenza del picco di ormoni LH e estrogeni.

8) D . Affinché avvenga il parto e il bambino nasca, sono necessarie forti contra-


zioni dell’utero. Le contrazioni uterine sono stimolate da due fattori: l’ossitocina,
sintetizzata dall’ipotalamo, e le prostaglandine, prodotte nell’utero.

9) E . La vasopressina (o ADH) è un piccolo peptide di nove aminoacidi noto anche


come ormone antidiuretico secreto dalla parte posteriore dell’ipofisi (o neuroipofisi).
La sua secrezione può essere legata alla scarsa assunzione di liquidi in quanto deter-
mina il recupero di fluidi attraverso la formazione di urine concentrate. Determina
anche un aumento della pressione arteriosa dovuta alla sua attività vasocostrittrice.
L’aldosterone è un ormone prodotto dalla corticale del surrene che agisce a livello
del tubulo contorto distale e del dotto collettore determinando diminuzione di po-
tassio nel sangue e diminuzione di sodio nel sangue, con conseguente aumento del
volume plasmatico e della pressione arteriosa media.

10) B . L’adenoipofisi corrisponde alla porzione anteriore della ghiandola pituitaria


posta in una piccola cavità dell’osso sfenoide, la sella turcica. Questa ghiandola
produce svariati ormoni tra cui l’ormone somatotropo, che stimola il deposito di
calcio nelle ossa, la prolattina, responsabile della produzione del latte dopo il parto,
l’ormone corticotropo (ACTH), che stimola la secrezione degli ormoni della corteccia
surrenale, l’ormone tireotropo (o TSH), che induce la secrezione degli ormoni tiroidei
della tiroide e gli ormoni gonadotropi (FSH, LH).

Biologia
Glossario
7
A Alcalosi: eccessiva alcalinità di una parte del
Aberrazione cromosomica: vedi mutazione corpo o di alcuni sistemi (apparati).
cromosomica. Aldosterone: mineralcorticoide secreto dalla
Accoppiamento energetico: una reazione corticale surrenale. L’aldosterone è lo steroide
esoergonica accoppiata ad una endoergonica più importante nel controllo degli elettroliti ed
rende possibile il verificarsi di ques’ultima agisce a livello dei tubuli renali aumentando il
Acetilcolina (ACh): estere dell’acido acetico e riassorbimento del sodio.
della colina che ha la funzione di neurotrasmetti- Allele mutante (o mutato): qualsiasi variante
tore sinaptico in diversi tipi neuronali. dell’allele wild-type (selvatico) di un determinato
Acetilcolinesterasi: enzima localizzato sul- gene. Gli alleli mutanti possono essere dominanti
la superficie della membrana postsinaptica che o recessivi rispetto all’allele wild-type.
idrolizza l’acetilcolina. Allele wild-type (selvatico): allele di un gene
Acido gamma-amminobutirrico (GABA): posseduto dalla maggior parte degli individui al-
neurotrasmettitore inibitorio presente nel SNC. l’interno di una popolazione di una determinata
Acido nucleico: macromolecola organica poli- specie.
merica costituita da catene di nucleotidi legati tra Alleli: forme alternative di un gene.
loro mediante legame fosfodiestereo; può trattarsi
Allopoliploidia: poliploidia che coinvolge due o
di DNA, acido desossiribonucleico e RNA, acido
più assetti cromosomici geneticamente diversi.
ribonucleico.
Acidosi: eccessiva acidità in alcune parti del Alveoli: piccole cavità che costituiscono le unità
corpo o in alcuni sistemi (apparati). funzionali del polmone.
ACTH: ormone prodotto dalle cellule dell’ade- Amido: principale polisaccaride di riserva delle
noipofisi che agisce principalmente sulla corti- piante costituito da glucosio.
cale del surrene, stimolandone il trofismo e la Aminoacido: composto organico che presenta
biosintesi e secrezione dei corticosteroidi. un gruppo carbossilico e un gruppo amminico. Gli
Actina: proteina che costituisce i microfilamen- aminoacidi sono le unità monomeriche costitutive
ti delle cellule e i miofilamenti sottili delle cellu- delle proteine.
le muscolari; insieme alla miosina è responsabile Amniocentesi: prelievo di liquido amniotico per
della contrazione muscolare. ottenere informazioni genetiche sul feto.
Adenilato ciclasi: enzima di membrana in gra- AMP ciclico (cAMP): agisce come secondo
do di catalizzare la conversione dell’ATP in AMP messaggero e come molecola regolatrice.
ciclico, o cAMP. Anatomia: scienza che studia forma e strut-
Adenina: base purinica costituente dei nucleoti- tura di un organismo, inteso come un insieme
di. coordinato di vari organi e sistemi interconnessi.
Adenoipofisi (ipofisi anteriore): lobo anterio-
Androgeni: ormoni steroidei che hanno pro-
re ghiandolare dell’ipofisi.
prietà mascolinizzanti.
ADH: ormone prodotto nell’ipotalamo ed accu-
mulato e liberato dalla neuroipofisi. Agisce sul- Aneuploidia: condizione anomala in cui uno
l’epitelio dei dotti collettori renali stimolando il o più cromosomi interi di un assetto normale
riassorbimento osmotico dell’acqua, producendo mancano o sono presenti in un numero di copie
quindi urina più concentrata. Esercita anche una superiore a quello usuale.
funzione vasopressoria. Aneurisma: dilatazione localizzata della parete
Adrenalina (o epinefrina): catecolammina di un’arteria.
sintetizzata dalla parte midollare del surrene. Angiotensina: proteina plasmatica che si forma
Adrenergico: relativo a neuroni o sinapsi dall’angiotensinogeno per opera della renina. Ha
che rilasciano adrenalina, noradrenalina o altre un potere vasopressorio e stimola la secrezione di
catecolammine. aldosterone.
Agonista: sostanza che può interagire con mo- Ansa di Henle: parte del tubulo renale, ripie-
lecole recettoriali e imitare una molecola segnale gata ad U, che si trova nella zona midollare del
endogena. rene.
Biologia 1281

Anticodone: sequenza di 3 basi presente sul Autosoma: qualunque cromosoma che non sia
tRNA che riconosce in modo complementare il un cromosoma sessuale.
codone presente sull’RNA messaggero. Autototrofi: organismi in grado di sintetizzare
Anticorpo: è una immunoglobulina, cioè una molecole organiche complesse a partire da com-
molecola proteica formata da quattro catene posti inorganici semplici; ad esempio i fotoauto-
(due pesanti e due leggere). L’anticorpo reagi- trofi, come le piante, utilizzano la luce solare e il
sce solamente con l’antigene che ha stimolato la diossido di carbonio per sintetizzare zuccheri.
sua produzione, oppure con una molecola molto
simile.
B
Antigene: sostanza capace di provocare una ri-
sposta immunitaria con produzione di anticorpi, Barocettore: estremità nervosa sensoriale che è
con i quali poi reagisce in maniera specifica. stimolata dalle variazioni di pressione analoga a
Aorta: principale arteria che parte dal cuore e quelli presenti nelle pareti dei vasi sanguigni.
distribuisce il sangue al corpo. Bastoncelli: fotorecettori molto sensibili alla lu-
Aploide: cellula o organismo caratterizzato dalla ce, responsabili della visione in bianco e nero (e
presenza di una sola copia di ciascun cromosoma. relative gradazioni).
Apoptosi: processo che determina la morte Batteri: microrganismi unicellulari di tipo
programmata di una cellula. procariotico.
Apparato: insieme di organi che costituisce Bile: liquido alcalino viscoso, di colore giallo-
parte anatomica o funzionale di un organismo. verdastro, prodotto dal fegato ed immagazzinato
Arco riflesso: via nervosa che associa lo stimolo nella cistifellea (o colecisti), essenziale per la di-
sensoriale alla risposta motoria. Consiste di una gestione dei grassi . Contiene sali biliari, pigmenti
via afferente ad un centro nervoso, il quale attiva biliari e specifici lipidi.
delle fibre efferenti dirette ad un organo bersaglio. Biochimica: disciplina che studia le sostanze
Arteria: vaso sanguigno che trasporta il sangue che costituiscono la materia vivente e in partico-
dal cuore verso la periferia lar modo le trasformazioni cui la materia vivente
Arteriola: sottile ramificazione di una arteria, ed viene sottoposta.
è prossima al capillare. Bioenergetica: comprende lo studio delle atti-
Arteriosclerosi: alterazioni patologiche caratte- vit biochimiche che la cellula utilizza nei norma-
rizzate da aumento di spessore e ridotta elasticità li processi fisiologici che implicano una utilizza-
della parete delle arterie. zione, uno scambio, o un immagazzinamento di
Assone: lungo prolungamento cilindrico di una energi
cellula nervosa attraverso il quale si propagano i Bradichinina: ormone che si origina da un pre-
potenziali di azione. cursore che normalmente circola nel sangue: è un
Assonema: complesso dei microtubuli e delle vasodilatatore cutaneo molto potente.
strutture associate all’interno del flagello o del Bronchi: vie di conduzione dell’aria nel polmone;
ciglio. sono ramificazioni della trachea.
Assoplasma: citoplasma contenuto all’interno Bronchioli: piccole vie di conduzione dell’aria
dell’assone. nel polmone; sono ramificazioni dei bronchi.
Aterosclerosi: alterazioni patologiche caratte- Bulbo: regione nervosa a forma di cono
rizzate da deposito di lipidi nella parete delle interposta tra il ponte ed il midollo spinale.
arterie.
ATP (adenosina trifosfato): nucleotide conte-
nente tre gruppi fosfato, l’ultimo dei quali pos- C
siede un legane fosfodiesterico ad alta energia. Calcitonina: ormone di natura proteica secreto
L’idrolisi di questo legame libera 30,5 kJ/mol di dalle cellule parafollicolari della tiroide in risposta
energia. ad un aumento della concentrazione plasmatica di
ATP sintasi: complesso enzimatico capace di ca- calcio.
talizzare la formazione di ATP a partire da ADP Calcitriolo: composto di natura steroidea pro-
Biologia

e fosfato inorganico dotto a partire dalla vitamina D presente in alcuni


Atrio: camera che comunica con altre strutture alimenti e dalla vitamina D3 , oppure sintetizzato
od organi, solitamente viene riferito all’atrio del dalle cellule della pelle a partire dal colesterolo.
cuore. Le azioni fisiologiche del calcitriolo sono simili a
Autocrino: attività ormonale caratterizzata dal- quelle dell’ormone paratiroideo.
la produzione di una sostanza attiva biologica- Calmodulina: proteina regolatrice che le-
mente. La sostanza si lega quindi a recettori pre- ga il calcio, simile alla troponina, presente
senti sulla cellula stessa per innescare una risposta praticamente in tutti i tessuti.
cellulare. Calore specifico: rappresenta la quantità di ca-
Autopoliploidia: poliploidia che coinvolge più lore che fa aumentare di 1◦ C l’unità di massa di
di due assetti cromosomici della stessa specie. un corpo
1282 Glossario

Caloria: quantità di calore necessaria ad innal- DNA polimerasi RNA dipendente, la trascrittasi
zare la temperatura di un grammo ’acqua da 15C inversa.
a 16C Cefalizzazione: tendenza evolutiva dei neu-
Canale spinale: cavità ripiena di liquido che roni a concentrarsi in un cervello localizzato
decorre lungo il midollo spinale e confluisce nei all’estremità anteriore.
ventricoli cerebrali. Cellula di Schwann: cellula gliale che durante
Canali ionici voltaggio-dipendenti: protei- lo sviluppo avvolge ripetutamente la sua mem-
ne canale presenti sulla membrana plasmatica. brana plasmatica attorno ad un assone, forman-
Quando sono aperti consentono agli ioni di at- do una guaina isolante di mielina fra un nodo di
traversare la membrana e la loro apertura vie- Ranvier ed un altro.
ne regolata dalla differenza di potenziale elettrico Cellula eucariote: cellula in cui il materiale ge-
transmembrana. netico (DNA) è contenuto all’interno di un nucleo
Canali semicircolari: canali presenti nell’orec- ben distinto.
chio interno che percepiscono l’accelerazione del Cellula procariote: cellula il cui materiale
corpo rispetto al campo gravitazionale. genetico non è contenuto all’interno di un nucleo.
Capillari: la ramificazione ultima dei vasi san- Cellula recettoriale: cellula nervosa deputata
guigni; sono responsabili degli scambi di materiale a rispondere a stimoli sensoriali specifici.
tra sangue e tessuti. Cellula: unità strutturale e funzionale degli
Capsula di Bowman (capsula glomerulare): organismi viventi.
espansione globulare posta all’inizio del tubulo Cellule cigliate: cellule epiteliali meccano-
renale in corrispondenza del glomerulo. sensitive dotate di ciglia (stereociglia oppure
Carattere dominante: carattere che viene chinociglio).
espresso in un organismo anche quando è presente Cellule del Leydig (cellule interstiziali): cel-
il carattere recessivo, cioè negli eterozigoti. lule del testicolo che sono stimolate dall’LH a
secernere testosterone.
Carattere recessivo: carattere che non si ma-
Cellule gangliari (retiniche): neuroni afferenti
nifesta negli individui eterozigoti ma solo ne-
che trasportano le informazioni visive dalla retina
gli omozigoti che presentano due copie dell’allele
ai centri superiori del cervello.
recessivo.
Cellule gliali (neuroglia): cellule non eccita-
Carboidrati: vedi glicidi.
bili, di sostegno, associate ai neuroni nel sistema
Carbossiemoglobina: composto che si forma
nervoso.
dalla combinazione del monossido di carbonio con
Cellule juxtaglomerulari (o iuxtaglomeru-
l’emoglobina. Il CO compete con l’ossigeno nel le-
lari): cellule specializzate con funzione secre-
game con l’emoglobina, producendo anossia nei
toria localizzate nelle arteriole glomerulari affe-
tessuti.
renti. Fungono da recettori e rispondono all’ab-
Cariotipo: patrimonio cromosomico di un tipo bassamento della pressione sanguigna secernen-
cellulare o di un organismo. do renina, la quale converte poi l’angiotensino-
Cartilagine: tessuto di tipo connettivo che nel- geno in angiotensina, stimolando la secrezione di
l’uomo costituisce lo scheletro embrionale e che aldosterone.
viene poi sostituita da tessuto osseo e persiste in Cellule neurosecretorie: cellule nervose che
poche regioni nell’adulto. La cartilagine costitui- liberano ormoni.
sce lo scheletro definitivo dei condroitti o pesci Cellulosa: polisaccaride che costituisce il com-
cartilaginei (squalo, razza). ponente base della parete cellulare dei vegetali.
Catalizzatore: sostanza che modifica la velocità Centriolo: organello presente vicino al nucleo,
di una reazione chimica senza consumarsi durante costituito da microtubuli con struttura 9 x 3 (nove
la reazione. triplette).
Catecolammine: gruppo di sostanze correla- Centro di reazione: complesso multiproteico
te fra loro che esercitano una azione simpatico- che fa parte dei fotosistemi I e II, contenente una
mimetica sul sistema nervoso, ad esempio, coppia speciale di clorofille che accettano elettroni
Glossario

l’adrenalina, la noradrenalina, e la dopamina. dal complesso antenna circostante.


Catena di trasporto degli elettroni: insieme Centromero: regione del cromosoma cui si
di proteine trasportatrici di elettroni legate al- attaccano le fibre del fuso durante la mitosi.
la membrana mitocondriale interna. Questo siste- Cervelletto: struttura del sistema nervoso che è
ma trasferisce elettroni dal NADH o dal FADH2 , preposta al coordinamento dell’attività motoria.
prodotti durante la glicolisi ed il ciclo di Krebs, Cervello: centro nervoso principale dell’orga-
al’accettore finale che l’ossigeno (O2 ). nismo. È localizzato nella parte anteriore del
Cavità pleurica: cavità compresa tra i polmoni corpo.
e la parete del torace. Chemorecettore (o chemocettore): recetto-
cDNA:DNA complementare a un RNA (tipi- re sensoriale dotato di specifica sensibilità per
camente l’RNA messaggero) sintetizzato da una determinate molecole.
Biologia 1283

Chiasma ottico: rigonfiamento situato sotto Clone: cellule che derivano per mitosi da una
l’ipotalamo dove si incontrano i due nervi ottici. singola cellula oppure organismi derivati da un
Chilomicroni: minuscole goccioline di trigliceri- singolo individuo per riproduzione asessuale.
di, fosfolipidi e colesterolo rivestite di proteine, Cloroplasti: organuli contenenti clorofilla pre-
formate all’interno di vescicole delle cellule as- senti nelle cellule fotosintetiche degli organismi
sorbenti dai prodotti della digestione dei grassi, eucarioti fotoautotrofi.
monogliceridi, acidi grassi e glicerolo. Coclea: porzione dell’orecchio interno, a forma di
Chimo: miscuglio di cibo parzialmente digerito tubo assottigliato a spirale, contenente le cellule
e di succhi digestivi, che si trova nello stomaco e cigliate utili a percepire i suoni.
nell’intestino. Codice genetico: codice che mette in relazione
Chimotripsina: enzima proteolitico che attac- la sequenza di nucleotidi del DNA con la sequenza
ca specificamente i legami peptidici contenen- di aminoacidi delle proteine.
ti i gruppi carbossilici di tirosina, fenilalanina, Codone: sequenza di 3 nucleotidi (tripletta) pre-
triptofano, leucina e metionina. senti sull’mRNA che specifica un particolare am-
Chimotripsinogeno: precursore inattivo della minoacido, secondo la corrispondenza descritta
chimotripsina. dal codice genetico.
Ciclo cellulare: fasi in cui è suddivisa la vita di Coenzimi: molecole organiche come NAD+ ,
una cellula; comprende l’interfase e la divisione FAD e NADP+ che partecipano alle reazioni
cellulare. redox biologiche
Ciclo degli acidi tricarbossilici (o ciclo di Colchicina: agente che degrada i microtubuli in-
Krebs, o ciclo TCA): situato all’interno del terferendo con la polimerizzazione dei monomeri
mitocondrio, una serie ciclica di reazioni biochi- di tubulina.
miche che porta a termine l’ossidazione completa Colecistochinina: ormone liberato dalla mucosa
del’acido piruvico della porzione superiore dell’intestino, che induce
Ciclo di Calvin-Benson: ciclo enzimatico che la contrazione della cistifellea ed il rilascio degli
avviene nello stroma del cloroplasto, capace di ri- enzimi pancreatici.
durre l’anidride carbonica in carboidrati grazie al- Colesterolo: sterolo presente negli organismi eu-
l’azione del NADPH e del’ATP formati nelle rea- cariotici costituente della membrana plasmatica
zioni alla luce della fotosintesi. Costituisce la fase delle cellule animali e precursore degli ormoni
oscura della fotosintesi steroidei.
Cisterne terminali: parte del reticolo sarco- Colinergico: relativo all’acetilcolina o a sostanze
plasmatico ai due lati della linea Z, in stretto con attività colinergica.
contatto con i tubuli a T. Complesso antenna: complesso multiproteico
che fa parte dei fotosistemi I e II, contenente
Cistifellea: organo associato al fegato che con-
pigmenti fotosintetici (clorofille e carotenoidi) in
centra e accumula la bile che sarà riversata
grado di veicolare energia fotonica al centro di
nell’intestino.
reazione.
Citologia: disciplina che studia la struttura e le Coni: recettori visivi situati nella retina respon-
funzioni delle cellule animali e vegetali, la loro for- sabili della visione a colori.
mazione, il loro comportamento, nonché la natura
Cornea: superficie chiara dell’occhio attraversa-
e la funzione dei singoli costituenti cellulari.
ta dalla luce.
Citoplasma: parte della cellula delimitata dalla Corno dorsale: parte dorsale della sostanza gri-
membrana plasmatica. Negli eucarioti è la par- gia del midollo spinale contenente i corpi cellulari
te compresa tra la membrana plasmatica e la dei neuroni che ricevono, elaborano e trasmettono
membrana nucleare. le informazioni sensoriali.
Citoscheletro: rete di filamenti proteici presenti Corno ventrale: parte ventrale della sostan-
nel citoplasma responsabile del mantenimento di za grigia del midollo spinale contenente i corpi
struttura e forma delle cellule eucariotiche e del cellulari dei motoneuroni.
loro movimento.
Biologia

Corpo basale: struttura microtubulare da cui si


Citosina: base pirimidinica costituente dei diparte il ciglio o il flagello; ha struttura simile al
nucleotidi. centriolo.
Citosol: regione del citoplasma che non contiene Corpo luteo: struttura ghiandolare dell’ovaio
organelli. che si origina dal follicolo maturo dopo la fuoriu-
Clearance renale: volume di plasma, contenen- scita dell’uovo. Se l’uovo rilasciato viene fecon-
te la quantità di una sostanza liberamente filtra- dato allora il corpo luteo si accresce e continua a
ta, che compare nel filtrato glomerulare nell’u- secernere progesterone nel corso della gravidanza,
nità di tempo. La clearance renale totale rappre- altrimenti si atrofizza e scompare.
senta il volume di ultrafiltrato prodotto dal rene Corteccia associativa: area della corteccia ce-
nell’unità di tempo. rebrale che non elabora direttamente informazio-
1284 Glossario

ni sensoriali o motorie, ma integra molte modalità DNA: acido desossiribonucleico. È il depositario


sensoriali. È ampiamente connessa alle altre aree dei caratteri ereditari contenuti all’interno delle
della corteccia e ad altri centri nervosi. cellule.
Corteccia cerebrale: sottile strato di materia Dopamina: neurotrasmettitore.
grigia che copre il cervello.
Corteccia di proiezione primaria: regione
E
della corteccia cerebrale che riceve direttamente
segnali sensoriali dai centri inferiori. Effetto collo di bottiglia: forma di deriva ge-
Corteccia somatosensoriale: regione delle cor- netica che avviene quando una popolazione è dra-
teccia cerebrale che riceve segnali sensoriali dalla sticamente ridotta in dimensione. Nella riduzione
superficie corporea. qualche allele può venire perduto dal pool genico
Corteccia uditiva: regioni della corteccia per effetto del caso.
cerebrale associate con l’udito. Effetto del fondatore: fenomeno che avvie-
Corteccia visiva: sottile strato esterno di ne quando l’effetto dell’isolamento si manifesta
sostanza grigia situato nella regione occipita- in una piccola popolazione, formata dalla migra-
le del cervello, specializzato nell’elaborazione zione di un piccolo numero di individui di una
dell’informazione visiva. popolazione grande.
Corticotropina (ACTH): ormone rilasciato Elicasi: enzimi coinvolti nella replicazione del
dalle cellule dell’adenoipofisi che agisce sulla DNA responsabili dello srotolamento della doppia
corteccia surrenale, stimolando produzione di elica.
corticosteroidi e la loro secrezione. Emazie: vedi eritrocita.
Cortisolo: ormone steroideo (del tipo glucocor- Emoglobina: proteina contenente ferro presente
ticoide) secreto dalla corticale del surrene. all’interno degli eritrociti, in grado di combinarsi
Cromosomi: strutture visibili nel nucleo della reversibilmente con l’ossigeno molecolare.
cellula durante la divisione cellulare. Sono costi- Endoergonico: processo o reazione in cui il ∆G
tuiti da cromatina (DNA e proteine associate ad risulti positivo (richiede energia affinch avvenga)
esso). Endotermico: processo o reazione in cui il ∆H
Crossing-over: scambio di segmenti di DNA risulti positivo (reazione che assorbe calore)
tra cromatidi di cromosomi omologhi (paterni e Energia libera: energia che disponibile in con-
materni) durante l’appaiamento meiotico. dizioni isotermiche per compiere lavoro: essa viene
espressa dalla relazione∆G = ∆H – T∆S, detta
D anche equazione di Gibbs.
Energia: capacit di compiere lavoro da parte di
Dendriti: sottili prolungamenti del neurone che
un sistema.
spesso costituiscono la principale area ricettiva
della cellula per le connessioni sinaptiche. Entalpia: contenuto termico del sistema. Il ∆H
Depolarizzazione: riduzione o inversione della misura l’energia assorbita o ceduta sotto forma di
differenza di potenziale esistente tra i due lati di calore a pressione costante.
una membrana cellulare. Entropia: quantit di energia in un sistema che
Deriva genetica: variazione dovuta al caso della non disponibile per compiere lavoro: rappresenta
frequenza allelica in una popolazione. una misura del grado di disordine di quel sistema.
Derma: strato più interno della cute costituito Si indica con la lettera S ed i valori energetici ven-
da tessuto connettivo, contenente vasi sanguigni. gono riferiti a variazioni di entropia tra uno stato
Diaframma: muscolo a forma di cupola che se- iniziale ed uno finale (∆S).
para cavità toracica e addominale; costituisce il Enzima: molecola con funzione di catalizzatore
muscolo principale per la respirazione. biologico (vedi Catalizzatore).
Diastole: fase del ciclo cardiaco in cui il mio- Epatico: che riguarda il fegato.
cardio è rilasciato e le cavità sono piene di Epidermide: strato più superficiale della cute
sangue. costituito da epitelio pavimentoso composto.
Glossario

Diploide: cellula o individuo con doppia serie di Epinefrina: vedi adrenalina.


cromosomi (2n). È contrapposto ad aploide (con Eritrociti: elementi corpuscolati del sangue privi
una sola serie di cromosomi). di nucleo nei Mammiferi e deputati al trasporto
DNA ligasi: enzima coinvolto nella saldatura di dell’ossigeno grazie alla presenza al loro interno
due frammenti di DNA. della proteina emoglobina.
DNA polimerasi: enzima responsabile della Ermafrodita: individuo che contiene organi
sintesi di DNA partendo da uno stampo di DNA. sessuali sia maschili sia femminili.
DNA ricombinante: molecola di DNA che de- Esoergonico: processo o reazionein cui il ∆G
riva dall’inserimento di un frammento di DNA risulti negativo (libera energia per compiere
di una determinata specie all’interno del DNA di lavoro).
un’altra specie. Esone: regione codificante di un gene eucariotico.
Biologia 1285

Esotermico: processo o reazione in cui il ∆H Fisiologia: disciplina che studia le funzioni degli
risulti negativo (genera calore). organismi viventi.
Estensore: muscolo che estende un arto oppure Fitness darwiniana: capacità riproduttiva
un’altra estremità del corpo. relativa di un dato genotipo.
Esterocettori: organi di senso che rilevano gli Flessore: muscolo che piega un arto o un’altra
stimoli in arrivo dall’esterno sulla superficie del estremità del corpo.
corpo. Flusso genico: movimento di geni dovuto al-
Estrogeni: ormoni steroidei responsabili dei ca- la migrazione di una popolazione, che determina
ratteri sessuali secondari femminili. Provvedono l’introduzione di geni della prima nel pool genico
alla preparazione del sistema riproduttivo per della seconda.
la fecondazione e l’impianto dell’uovo. Vengono Follicolo di Graaf: follicolo ovarico maturo.
sintetizzati principalmente nell’ovaio. Fosfolipidi: composti costituiti da acidi grassi,
Eterosi (outbreeding): accoppiamento prefe- acido fosforico e glicerolo. Insieme ai glicolipi-
renziale tra individui non imparentati. di, al colesterolo e alle proteine sono costituenti
Eterotrofi: organismi che non possono produr- essenziali delle membrane biologiche.
re da sé composti organici complessi e devono Fosforilazione a livello di substrato: trasferi-
procurarseli da altri organismi; sono eterotrofi gli mento diretto di un gruppo fosfato da una mole-
animali, i funghi e la maggior parte dei batteri. cola di substrato all’ADP con formazione di una
Eterozigote: individuo che contiene due alleli molecola di ATP.
diversi per un determinato carattere. Fosforilazione ossidativa: sintesi di ATP ca-
talizzata dalla ATP sintasi (o sintetasi), la quale
F sfrutta un gradiente protonico generato a parti-
FAD (flavin adenin dinucleotide): cofatto- re dall’ossidazione dei composti ridotti NADH e
re legato covalentemente al sito attivo del’enzi- FADH2.
ma succinato deidrogenasi, coinvolto nel ciclo di Fotorecettore: cellula sensoriale specializzata
Kreb; va incontro ad una riduzione reversibile ad nel ricevere energia luminosa.
opera di due elettroni per produrre FADH2. Fotosintesi: processo biologico mediante il quale
Fagi o batteriofagi: virus che infettano cellule organismi fotoautotrofi riescono a raccogliere l’e-
batteriche. nergia proveniente dal Sole incanalando la luce e
Fascio piramidale: fascio di fibre nervose che utilizzando tale energia per organicare (ridurre)
si origina dalla corteccia motoria e discende, pas- l’anidride carbonica; essenzialmente ’opposto di
sando per il tronco cerebrale, fino al bulbo ed al quanto avviene nella respirazione aerobica: 6CO2
midollo spinale. È responsabile del controllo dei + 6H2O + luce → C6H12O6 + 6O2
movimenti dei muscoli volontari. Fotosistema: complesso multiproteico che com-
Fase follicolare: periodo del ciclo mestruale prende il complesso antenna ed il centro di
caratterizzato dalla maturazione dei follicoli di reazione
Graaf e della loro attività secretoria. Fovea: area della retina con il più alto potere ri-
Fecondazione: fusione di un gamete maschile e solutivo della visione, contenente coni fittamente
uno femminile (entrambi aploidi) con formazione disposti in circa 1 mm2 .
di uno zigote (diploide). Frequenza allelica (o frequenza genica): fre-
Feedback: ritorno del segnale in uscita all’en- quenza di un particolare tipo di allele sul totale
trata di un sistema. Nel feedback negativo il se- degli alleli di un dato locus in una popolazione
gnale in uscita viene invertito prima di ritornare mendeliana.
all’entrata del sistema, in modo da stabilizzare Frequenza di mutazione: numero di eventi mu-
il segnale in uscita. Nel feedback positivo, inve- tazionali di un certo tipo in una popolazione di
ce, il segnale in uscita è instabile perché ritor- cellule o di individui.
na all’entrata del sistema senza aver subito un’in- Frequenze genotipiche: frequenze o percentua-
versione del segno, e cosı̀ diventa autorinforzante li dei diversi genotipi in una popolazione.
Biologia

(rigenerativo). FSH: gonadotropina prodotta dall’ipofisi ante-


Fenotipo: insieme dei caratteri visibili di un riore che stimola lo sviluppo dei follicoli ovarici
organismo, ovvero l’espressione del genotipo. nella femmina e la spermatogenesi nel maschio.
Fermentazione: insieme di reazioni che tra-
sformano l’acido piruvico in acido lattico o al-
col etilico e diossido di carbonio in assenza di G
ossigeno. GABA: vedi acido gamma-amminobutirrico.
Fibra muscolare: fibrocellula di un muscolo Gameti: cellule riproduttive, o germinali, aploi-
scheletrico. di.
Fibra sensitiva: assone che trasporta informa- Ganglio cocleare: ganglio localizzato in prossi-
zioni sensitive al sistema nervoso centrale. mità della coclea che contiene il soma di neuroni
1286 Glossario

i cui assoni convogliano informazioni uditive dal- Giunzione neuromuscolare: sinapsi che con-
le cellule cigliate dell’organo del Corti ai centri nette un motoneurone con una fibra muscolare
uditivi del cervello. scheletrica.
Ganglio della radice dorsale: posto sulla su- Glicidi: composti organici costituiti da carbonio,
perficie della radice dorsale, è un aggregato di idrogeno e ossigeno. Sono detti anche zuccheri
neuroni sensitivi che inviano processi nella regio- o carboidrati e costituiscono la principale fonte
ne del corpo che è innervata da questo segmento energetica per le cellule.
spinale. Ogni segmento spinale contiene due di Glicogeno: polisaccaride di riserva degli organi-
questi gangli appaiati bilateralmente. smi animali costituito da numerose molecole di
Ganglio: massa di tessuto nervoso contenente glucosio legate tra loro mediante legame di tipo
numerosi corpi cellulari di neuroni. α-1,4-glicosidico.
Gastrico: riferito allo stomaco. Glicolisi: serie di reazioni che avvengono nel cito-
Gastrina: ormone proteico rilasciato dalle cellu- sol in cui una molecola di glucosio va incontro ad
le della porzione pilorica, induce la secrezione e la una limitata quantit di reazioni di ossidazione per
motilità dello stomaco. produrre acido piruvico, ATP e potere riducente
Gene: sequenza di nucleotidi del DNA che agi- (NADH).
sce come unità funzionale per la formazione di un Glicosuria: escrezione nelle urine di glucosio in
prodotto, che può essere una proteina, un RNA eccesso.
strutturale o un RNA catalitico. Globuli bianchi: vedi leucociti.
Genetica di popolazione: branca della geneti- Globuli rossi: vedi eritrociti.
ca che descrive in termini matematico-statistici le Glomerulo: massa di capillari raggomitolati.
conseguenze dell’ereditarietà mendeliana a livello Glucagone: ormone di natura proteica prodot-
di popolazione. to dalle cellule alfa delle isole pancreatiche. La
Genetica: disciplina che studia i fenomeni relati- sua secrezione è indotta da una bassa concentra-
vi alla discendenza e cerca di determinare le rego- zione plasmatica di glucosio o dall’ormone del-
le della trasmissione dei caratteri ereditari, della l’accrescimento. Stimola nel fegato la glicogenolisi
variabilità e dell’evoluzione degli esseri viventi. (scissione del glicogeno).
Genoma: materiale genetico di un organismo o Glucocorticoidi: steroidi sintetizzati nella cor-
di una cellula. ticale del surrene. Sono il cortisone, il cortisolo, il
Genotipo: costituzione genetica di un individuo. corticosterone, e l’11-deossicorticosterone.
GH: ormone di natura proteica secreto dall’ipo- Gluconeogenesi: sintesi di carboidrati a parti-
fisi anteriore che stimola l’accrescimento. re da materiale non glucidico come acidi grassi o
aminoacidi.
Ghiandola pituitaria: organo endocrino situato
alla base del cervello e connesso con un peduncolo Glutammato: aminoacido ma anche neurotra-
all’ipotalamo. Il lobo anteriore (adenoipofisi) deri- smettitore sinaptico presente nel sistema nervoso
va dall’epitelio boccale embrionale, mentre il lobo centrale.
posteriore (neuroipofisi) deriva dal diencefalo. Gozzo: anomalo ingrossamento della tiroide
dovuto, solitamente, ad una dieta carente di iodio.
Ghiandole di Brunner: ghiandole esocrine
localizzate nella mucosa intestinale duodenale Granulociti: leucociti che in base alla colora-
secernenti un fluido mucoso alcalino. zione dei granuli del citoplasma si dividono in
eosinofili, basofili e neutrofili.
Ghiandole endocrine: strutture prive di dotto
escretore che secernono un ormone direttamente Guaina mielinica: guaina formata da molti
nel circolo sanguigno. strati della membrana delle cellule di Schwann o
oligodendrociti, avvolti strettamente attorno ad
Ghiandole esocrine: strutture che riversano il
un tratto di assone. Funziona da isolante elettrico
proprio secreto sulla superficie del corpo o in ca-
nella conduzione saltatoria.
vità che comunicano con l’esterno. Esse utilizzano
i dotti escretori per secernere il proprio prodotto. Guanina: base purinica costituente dei nucleoti-
di.
Glossario

Ghiandole paratiroidi: piccole masse di tes-


suto addossate alla tiroide che secernono il
paratormone. I
Ghiandole salivari: ghiandole che secernono Impulso nervoso: vedi potenziale d’azione.
saliva nella cavità boccale. Ingegneria genetica: insieme delle tecni-
Gittata cardiaca: volume totale di sangue pom- che di manipolazione genetica che alterano la
pato dal cuore nell’unità di tempo. La gittata costituzione genetica di un organismo.
cardiaca equivale alla frequenza dei battiti per la Inibizione sinaptica: cambiamento in una cel-
gittata sistolica. lula postsinaptica che riduce la probabilità che in
Gittata sistolica: volume di sangue pompato da essa si generi un potenziale d’azione. È prodotta
un ventricolo in un singolo battito cardiaco. da un neurotrasmettitore che dà luogo ad una cor-
Biologia 1287

rente postsinaptica il cui potenziale d’inversione è mento fortemente elettronegativo ed un atomo


più negativo della soglia per il potenziale d’azione. fortemente elettronegativo (N, O, F).
Inincrocio (inbreeding): accoppiamento prefe- Legame chimico: forza attrattiva che si stabili-
renziale tra parenti stretti. sce tra due o più atomi e consente loro di unirsi
Insulina: ormone proteico prodotto dalle cellule in composti.
beta delle isole pancreatiche. Controlla l’assunzio- Legame peptidico: legame che si instaura tra
ne di carboidrati da parte delle cellule ed influisce due amminoacidi nella formazione di un peptide.
sul metabolismo dei lipidi e degli amminoacidi. Legge di Hardy-Weinberg (o legge H-W):
Interfase: periodo del ciclo cellulare che va dal- estensione delle leggi dell’ereditarietà di Men-
la fine di una divisione cellulare all’inizio della del che descrive le relazioni tra frequenze geni-
successiva. che in una popolazione naturale e le frequenze
Interneurone: cellula nervosa che connette due degli individui dei diversi genotipi nelle stesse
o più neuroni. popolazioni.
Intestino crasso: ultimo tratto dell’intestino, Leucociti: elementi cellulari del sangue. Si trat-
costituito da cieco, colon, retto e ano. ta di vere cellule, a differenza dei globuli rossi e
Intestino tenue: sito principale del canale ali- delle piastrine.
mentare per la digestione chimica di proteine, LH: gonadotropina secreta dall’adenoipofisi che
grassi e carboidrati. insieme all’ormone follicolo-stimolante induce l’o-
Introne: regione non codificante di un gene vulazione ed il rilascio di estrogeni dall’ovaio. In-
eucariotico. fluenza anche la formazione del corpo luteo e sti-
Inulina: polisaccaride non metabolizzabile di ori- mola nel maschio il trofismo e la secrezione delle
gine vegetale. Viene utilizzato nello studio del- cellule di Leydig del testicolo.
la funzione renale poiché esso viene liberamente Linea Z (o disco Z, o stria Z): zona ristretta
filtrato e non riassorbito a livello renale. situata all’estremità del sarcomero, corrisponden-
Iperglicemia: eccessiva concentrazione di gluco- te ad una trama reticolare a cui sono ancorati i
sio nel sangue. filamenti sottili di actina.
Iperpolarizzazione: aumento della differenza di Linfa: liquido simile al plasma, che deriva dal
potenziale tra i due lati di una membrana; rende liquido interstiziale e ritorna al sangue per mez-
l’interno della cellula più negativo rispetto alla zo del dotto toracico. Contiene leucociti ma non
condizione di riposo. eritrociti.
Ipofisi: vedi ghiandola pituitaria. Linfociti: leucociti prodotti nel midollo osseo che
Ipotalamo: regione del diencefalo che costituisce possono maturare nel timo (linfociti T) o nel mi-
il pavimento del ventricolo medio del cervello. dollo stesso (linfociti B). I linfociti T sono coin-
Iride: diaframma circolare pigmentato situato volti nella risposta immunitaria cellulo-mediata;
dietro la cornea. i linfociti B, una volta attivati, si trasformano
Ischemia: assenza di flusso sanguigno ad un in plasmacellule che secernono anticorpi (risposta
organo o ad un tessuto. immunitaria umorale).
Isole di Langerhans: strutture microscopiche Liquido biliare: liquido secreto dal fegato che
con funzione endocrina disperse nel tessuto ghian- emulsiona i grassi e neutralizza il contenuto acido
dolare esocrino pancreatico. Comprendono diver- intestinale.
si tipi di cellule tra cui le cellule alfa (secernono Liquido cerebrospinale: liquido limpido che
glucagone) e le cellule beta (secernono insulina. riempie i ventricoli cerebrali. È il prodotto di un
Istamina: molecola che si forma per decar- complesso processo di filtrazione del plasma san-
bossilazione dell’istidina. È responsabile della guigno e viene modificato per azione del tessuto
dilatazione dei vasi sanguigni. nervoso cerebrale, prima di ritornare al sistema
Istologia: disciplina che studia i tessuti animali venoso.
e vegetali. Lobo frontale: zona situata all’estremità
Istoni: proteine basiche nucleari che si legano al anteriore di ciascun emisfero.
Biologia

DNA formando strutture complesse, i nucleosomi. Lobo occipitale: zona situata all’estremità
posteriore dell’emisfero cerebrale.
Lobo parietale: zona dell’emisfero cerebrale che
L
occupa la parte mediana e superiore, compresa
Lavoro: energia che un organismo (o una cellula) fra il lobo frontale in avanti, occipitale indietro e
deve spendere per contrastare le forze che tendo- temporale in basso.
no a destabilizzare lo stato stazionario in cui si Lobo temporale: lobo dell’emisfero cerebra-
trovan; queste forze possono essere meccaniche, le situato nella zona laterale inferiore, in
elettriche, osmotiche, termiche, ecc. corrispondenza della tempia.
Legame a idrogeno: interazione elettrostati-
ca tra un atomo di idrogeno legato ad un ele-
1288 Glossario

M Mitocondri: organuli presenti in tutte le cellule


Mastoide: processo posteriore dell’osso tempo- eucariotiche con metabolismo aerobio. All’interno
rale, situato dietro l’orecchio e davanti all’osso dei mitocondri sono contenuti gli enzimi dei prin-
occipitale. cipali cicli metabolici deputati alla produzione di
Meccanorecettore: recettore sensoriale sensibi- energia, quali il ciclo di Krebs e la fosforilazione
le alla distorsione o alla pressione meccanica. ossidativa.
Meiosi: processo di divisione nucleare che porta Mitosi: processo di divisione nucleare tipico de-
alla separazione dei cromosomi omologhi di una gli organismi unicellulari e delle cellule somati-
cellula, dando origine a cellule figlie aploidi prov- che che porta alla formazione di due cellule fi-
viste di una copia di ciascun cromosoma omologo. glie geneticamente identiche (cloni) alla cellula di
La meiosi, attraverso due divisioni dette meiosi I partenza.
e meiosi II, dimezza il contenuto cromosomico: Molecola: la più piccola parte di una sostanza
partendo da una cellula diploide si ottengono 4 che ne conservi le proprietà chimico-fisiche.
cellule aploidi. Moltiplicatore controcorrente: coppia di tubi
Membrana plasmatica: rivestimento esterno di giustapposti contenenti fluidi che scorrono in di-
una cellula, semipermeabile, costituito da un dop- rezioni opposte e che hanno un gradiente energe-
pio strato fosfolipidico contenente anche molecole tico diretto trasversalmente da un tubo all’altro.
proteiche. Poiché lo scambio dovuto al gradiente aumenta
Membrana tettoria: sottile strato gelatinoso con la lunghezza, lo scambio per unità di lunghez-
distribuito sopra l’organo del Corti a contatto con za verrà ad essere moltiplicato in funzione della
le ciglia delle cellule cigliate cocleari. lunghezza totale su cui avviene lo scambio.
Meningi: membrane che proteggono l’encefalo e Monoploidia: variazione del numero cromoso-
il midollo spinale: dura madre, aracnoide e pia mico per cui un organismo possiede un solo as-
madre setto base di cromosomi. Equivale all’aploidia nei
Metabolismo: insieme dei processi anaboli- gameti.
ci (costruzione di biomolecole) e catabolici Motoneurone: cellula nervosa che innerva le
(distruzione di biomolecole) cellule muscolari.
Microvilli: proiezioni cilindriche della superficie mRNA: è l’RNA messaggero. È il tramite tra
cellulare che aumentano notevolmente l’area su- l’informazione contenuta in un gene e la proteina
perficiale. Si trovano negli epiteli di assorbimento da esso codificata. Viene sintetizzato da enzimi
e nei fotorecettori. detti RNA polimerasi.
Midollo allungato: massa di tessuto nervoso di Muscolo fasico (rapido): muscolo striato, di
forma conica che connette il ponte con il midollo colore pallido per lo scarso contenuto di mioglo-
spinale. bina e di mitocondri. Le fibrille traggono energia
Midollo spinale: regione del sistema nervoso dal metabolismo anaerobio.
centrale racchiuso nella colonna vertebrale. Con- Muscolo liscio circolare: strato interno di
siste di una parte centrale di sostanze grigia (cor- muscolo liscio che circonda l’intestino tenue.
pi cellulari) circondata da sostanza bianca (fibre Muscolo liscio longitudinale: strato ester-
nervose). no di muscolo liscio che decorre lungo l’asse
Migrazione: spostamento degli organismi da longitudinale dell’intestino tenue.
una località ad un’altra. Muscolo liscio: muscolo involontario privo di
Mineralcorticoidi: ormoni steroidei che sono striature. I miofilamenti sono distribuiti in ma-
sintetizzati e secreti dalla corticale del surrene e niera non uniforme all’interno delle piccole cellule
che agiscono in particolare sull’equilibrio elettro- fusiformi mononucleate.
litico, operando il riassorbimento del sodio e del Muscolo scheletrico: muscolo responsabile dei
cloro a livello dei tubuli renali. vari movimenti del corpo. La contrazione di questi
Mioblasti: precursori embrionali delle fibre muscoli dipende solo dai motoneuroni.
muscolari scheletriche. Muscolo striato: è caratterizzato da sarco-
Glossario

Miocardio: muscolo cardiaco. meri allineati in serie. Sono striati il muscolo


Miofibrilla: unità longitudinale della fibra mu- scheletrico ed il muscolo cardiaco.
scolare costituita di sarcomeri e circondata dal Mutageno: qualsiasi agente fisico o chimico
reticolo sarcoplasmatico. in grado di aumentare significativamente la fre-
Mioglobina: proteina muscolare legante ossige- quenza di eventi di mutazione oltre il tasso di
no simile all’emoglobina. mutazione spontanea.
Miosina: proteina enzimatica presente nelle cel- Mutazione cromosomica: cambiamento nel-
lule eucariotiche che, in associazione con l’actina, la struttura o nel numero dei cromosomi in un
è coinvolta in quasi tutti i fenomeni di contrat- corredo cromosomico.
tilità cellulare. È presente nei miofilamenti spessi Mutazione genica: cambiamento casuale ed
delle fibre muscolari. ereditabile del materiale genetico.
Biologia 1289

Mutazione genomica: mutazione caratteriz- ni neuroni del SNC e dalle cellule della midollare
zata da un cambiamento del numero dei del surrene.
cromosomi. Nucleo paraventricolare: gruppo di neuroni
Mutazione puntiforme: mutazione causata neurosecretori localizzati nella regione sopraotti-
dalla sostituzione di una coppia di basi con ca dell’ipotalamo che inviano i loro assoni alla
un’altra. neuroipofisi.
Nucleo sopraottico: gruppo di neuroni si-
tuati nell’ipotalamo, sopra il chiasma ottico.
N
Le terminazioni neurosecretrici si trovano nella
NAD+ (nicotinammide adenin dinucleoti- neuroipofisi.
de): cofattore organico associato a numerosi en- Nucleo: organulo presente solo nelle cellule
zimi in grado di catalizzare reazioni cellulari re- eucariotiche contenente l’informazione genetica
dox. Il NAD+ la forma ossidata del cofattore e va (DNA).
incontro ad una reazione reversibile di riduzione Nucleolo: struttura presente all’interno del nu-
per formare NADH cleo cellulare con funzione di sintesi degli RNA
Necrosi: morte cellulare incontrollata, a differen- ribosomiali.
za dell’apoptosi che è, invece, programmata. Nucleotide: monomero costitutivo degli aci-
Nefrone: unità morfologica e funzionale del rene. di nucleici costituito da uno zucchero (ribosio
Nervo: fascio di assoni avvolti da tessuto o deossiribosio), un gruppo fosfato e una base
connettivo. azotata.
Neuriti: processi cellulari che si estendono dal
soma dei neuroni. O
Neuroglia: tessuto ineccitabile con funzione di Oligodendrociti: classe di cellule gliali dotate
sostegno presente nel sistema nervoso. di pochi prolungamenti. Queste cellule avvolgono
Neuroipofisi: struttura di origine nervosa con gli assoni nel sistema nervoso centrale formando
funzione di accumulo per l’ADH (vasopressina) guaine mieliniche.
e l’ossitocina. Comprende il lobo nervoso che ne Omeostasi: attitudine dei viventi a mantenere
costituisce la massa principale ed il peduncolo in equilibrio il proprio stato interno.
nervoso che la connette all’ipotalamo ed attra- Omozigote: individuo che contiene nel suo geno-
verso il quale vengono trasportati i prodotti di tipo due alleli dello stesso tipo per un determinato
neurosecrezione dell’ipotalamo. carattere.
Neurone: cellula eccitabile che costituisce l’unità Operone: elemento genico tipico dei procarioti;
funzionale del sistema nervoso. si tratta di un gruppo di geni adiacenti regolati in
Neuropeptide Y: peptide composto da 36 am- modo coordinato da una proteina (che può fun-
minoacidi colocalizzato con la noradrenalina nei gere da repressore). È formato da un promotore,
gangli simpatici e nelle terminazioni adrenergiche un operatore e uno o più geni che codificano una
che facilita l’azione delle catecolammine sul cuore. proteina.
Neurotrasmettitore: molecola chimica che me- Opsina: parte proteica dei pigmenti visivi;
dia l’interazione tra due neuroni. Viene rilasciato si combina con l’11-cis-retinale a formare un
da una terminazione presinaptica nello spazio si- pigmento visivo.
naptico ed interagisce con specifici recettori posti Organo del Corti: zona della coclea contenente
sul neurone postsinaptico. le cellule cigliate responsabili del senso dell’udito.
Nodi di Ranvier: interruzioni della guaina mie- Organo: insieme di diversi tipi di tessuto
linica situate ad intervalli regolari (circa ogni associati per svolgere specifiche funzioni.
millimetro) lungo un assone. Ormone adrenocorticotropo (o corticotro-
Nodi linfatici: aggregazioni di tessuto linfoi- pina): vedi ACTH.
de nel sistema linfatico che producono linfociti e Ormone antidiuretico (o vasopressina): vedi
filtrano la linfa. ADH.
Biologia

Nodo atrioventricolare: tessuto cardiaco spe- Ormone della crescita (o somatotropina):


cializzato che, assieme alle fibre di Purkin- vedi GH.
je, forma un ponte per la conduzione elettrica Ormone follicolo stimolante: vedi FSH.
dell’impulso dagli atri ai ventricoli. Ormone luteinizzante: vedi LH.
Nodo senoatriale: massa di tessuto cardiaco Ormone paratiroideo (PTH): ormone poli-
specializzato disposto sul sito di connessione della peptidico secreto dalle ghiandole paratiroidi in
vena cava superiore con l’atrio destro; agisce co- risposta ad una diminuzione della concentrazio-
me pacemaker del cuore innescando la contrazione ne plasmatica di calcio. Stimola la liberazione di
cardiaca. calcio dall’osso ed il suo assorbimento da par-
Noradrenalina: molecola rilasciata dalle termi- te dell’intestino, mentre riduce la sua escrezione
nazioni delle fibre simpatiche periferiche, da alcu- renale.
1290 Glossario

Ormone tireostimolante: ormone prodotto fisiologici sono: aumento della produzione di uri-
dall’adenoipofisi che stimola l’attività secretoria na, aumento dell’escrezione di sodio ed un aumen-
della tiroide. to della vasodilatazione mediata da recettore. Il
Ormone: composto chimico sintetizzato e se- risultato finale dell’azione del PNA è la riduzione
creto nel sangue da un tessuto endocrino che della pressione sanguigna.
influenza l’attività di un tessuto bersaglio. Peristalsi: onda ritmica di contrazione e rilassa-
Ormoni gonadotropi (gonadotropine): or- mento di organi cavi prodotta dalla muscolatura
moni che regolano l’attività delle gonadi. liscia.
Ormoni steroidei: derivati di idrocarburi ciclici Peritoneo: membrana che tappezza le cavità
sintetizzati a partire dal colesterolo. pelvica ed addominale.
Osmolarità: pressione osmotica effettiva. Piastrine: elementi corpuscolati del sangue coin-
Osmoregolazione: mantenimento dell’osmola- volti nei processi di coagulazione. Originano da un
rità dei liquidi interni rispetto all’ambiente elemento detto megacariocita.
circostante. Pigmento fotosintetico: molecola organica in
Osmosi: diffusione dell’acqua attraverso una grado di assorbire fotoni e trasferire per risonanza
membrana semipermeabile in base al suo gradien- tale energia ad altre molecole
te di concentrazione. Piloro: porzione caudale dello stomaco dove que-
Ossicini dell’udito: piccole ossa dell’orecchio st’ultimo si unisce all’intestino tenue (porzione
medio (martello, incudine, staffa) che trasmetto- duodenale).
no le vibrazioni sonore dalla membrana timpanica Placca motrice: nome della giunzione neuromu-
alla finestra ovale. scolare dove l’assone motorio sviluppa sottili ra-
Ossidante: accettore di elettroni. mificazioni terminali a contatto con una struttu-
Ossidazione: una molecola A (riducente) vie- ra specializzata: un sistema di invaginazioni della
ne ossidata quando perde elettroni che vengono membrana postsinaptica della fibra muscolare.
trasferiti ad una molecola accettore B (ossidante) Plasma: parte liquida del sangue, composta prin-
Ossitocina: ormone secreto dalla neuroipofisi. cipalmente da acqua, in cui sono disciolte sostanze
Stimola le contrazioni dell’utero al momento del quali enzimi, ormoni, anticorpi, ioni, glucosio.
parto e la fuoriuscita del latte dalle ghiandole Plasmalemma: vedi membrana plasmatica.
mammarie. Plasmide: molecola di DNA circolare extra-
Osteone: unita morfologica e funzionale dell’osso cromosomica presente in genere nei batteri.
compatto. utilizzato come vettore nelle tecniche di clonaggio
Otolito: particella calcarea situata sulle cellule Plessi coroidei: protuberanze villose altamen-
cigliari negli organi dell’equilibrio. te vascolarizzate che sporgono nei ventricoli
Ovulazione: rilascio dell’uovo dal follicolo cerebrali e che secernono il liquido cerebrospinale.
ovarico. Plesso sottomucoso: plesso nervoso che ha la
funzione di stimolare la motilità intestinale e la
secrezione.
P Pleure: membrane che rivestono la cavità
Pancreas: organo che produce secrezioni esocri- pleurica.
ne come gli enzimi digestivi e secrezioni endocrine Pneumotorace: collasso del polmone dovuto
come gli ormoni insulina e glucagone. ad una perforazione della parete toracica che
Pancreozimina (pancreozima): vedi coleci- raggiunge la cavità pleurica o il polmone.
stochinina. Poliploidia: cellula o un organismo che possiede
Paracrina: via ormonale caratterizzata dalla più della normale serie di cromosomi.
produzione di una sostanza biologicamente attiva Polisaccaride: polimero formato dalla conden-
che passa per diffusione nello spazio extracellula- sazione di monosaccaridi uniti mediante legami
re in prossimità di una cellula, dove comincia una glicosidici.
risposta. Polso pressorio: differenza tra la pressione
Glossario

Paratormone: vedi ormone paratiroideo. sistolica e la pressione diastolica.


Parete cellulare: struttura di rivestimento Pompa sodio-potassio: proteina integrale di
esterna alla membrana plasmatica presente nelle membrana che estrude tre ioni sodio (Na+ ) al-
cellule dei vegetali, dei funghi e dei procarioti. l’esterno della cellula e fa entrare due ioni potas-
PCR: tecnica per amplificare un frammento di sio (K+ ) all’interno della cellula stessa: in questo
DNA. modo l’interno della cellula diviene più negativo
Pepsina: enzima proteolitico secreto dalle rispetto all’esterno.
ghiandole dello stomaco. Ponte: regione del cervello posta immediatamen-
Pepsinogeno: proenzima della pepsina. te sopra il bulbo.
Peptide natriuretico atriale (PNA): ormoni Pool genico (o insieme genico): insieme del-
peptidico prodotto dalle cellule atriali i cui effetti l’informazione genetica codificata da tutti i ge-
Biologia 1291

ni di una popolazione mendeliana in un dato Proteina: macromolecola costituita dalla poli-


momento. merizzazione di unità monomeriche, gli amminoa-
Popolazione: gruppo di individui che si in- cidi.
crociano tra loro e che condividono un pool
genico. R
Potenziale chimico: sinonimo di variazione di Radice dorsale: tronco nervoso che entra nel
energia libera quando essa viene riferita solamen- midollo spinale in corrispondenza della superficie
te a variazioni nella composizione della miscela di dorsale; contiene solo assoni sensitivi.
reazione tra stato iniziale e finale. Radice spinale: ampio fascio di assoni che en-
Potenziale d’azione: inversione del potenziale tra o lascia il midollo spinale a livello di ogni
di membrana prodotta da una corrente di cationi segmento spinale.
in entrata nelle membrane eccitabili. Segue una Radice ventrale: tronco nervoso che fuorie-
legge del tipo tutto-o-nulla. sce dalla superficie ventrale del midollo spinale;
Potenziale di membrana: differenza di poten- contiene solamente assoni motori.
ziale ai due lati di una membrana biologica. Reazioni redox: reazioni di ossido-riduzione im-
Potenziale di riduzione standard (E0 ): ten- portanti per la generazione di tutto il lavoro
denza di una sostanza a donare elettroni, espressa biochimico prodotto nella cellula.
in volt, in cui tutti i componenti sono presenti alla Renina: enzima proteolitico prodotto da cellu-
concentrazione di 1 M. le specializzate delle arteriole renali, che converte
Potenziale di riposo: valore di potenzia- l’angiotensinogeno in angiotensina.
le intracellulare di una cellula non stimolata: Replicazione del DNA: processo di duplicazio-
generalmente vale circa –70 mV. ne del DNA.
Potenziale elettrochimico: capacit di uno io- Respirazione aerobica: processo biologico at-
ne a scorrere attraverso una membrana biologica traverso il quale i composti organici ridotti ven-
sotto l’azione di un gradiente sia di concentrazio- gono mobilitati e quindi ossidati in maniera con-
ne che di potenziale elettrico. Il passaggio da una trollata, fino a produrre ATP: C6H1 2O6 + 6O2
zona con potenziale elettrochimico maggiore ad → 6CO2 + 6H2O.
u’altra zona con potenziale elettrochimico minore Reticolo sarcoplasmatico: reticolo endopla-
genera lavoro. smatico liscio delle cellule muscolari.
Processi collaterali: ramificazioni di un assone Retina: superficie interna fotosensibile dell’oc-
che terminano in un sito diverso dal sito bersaglio chio.
principale. Retinale: aldeide del retinolo, prodotta per scis-
Proenzima (zimogeno): forma inattiva di un sione ossidativa enzimatica del carotene. Nella sua
enzima; prima di essere attivato viene rimosso un forma 11-cis si unisce con le opsine della retina per
segmento peptidico da parte di una peptidasi. formare i pigmenti visivi (le rodopsine).
Progesterone: ormone secreto dal corpo luteo, Retinolo: vitamina A, un alcol con 20 atomi
dalla corticale del surrene e dalla placenta, che di carbonio convertito reversibilmente a retinale
promuove il trofismo della mucosa uterina renden- mediante deidrogenazione enzimatica.
dola adatta all’impianto ed allo sviluppo dell’uovo Ribosoma: particelle costituita da RNA riboso-
fecondato. miale (RNAr) e proteine. Rappresenta la sede in
Prolattina: ormone prodotto dalla adenoipofisi cui avviene la sintesi proteica.
che stimola la produzione del latte e la lattazione Ribozima: molecola di RNA con attività
dopo il parto. catalitica.
Promotore: sequenza regolativa posta sul DNA, Riducente: donatore di elettroni
cui si lega la RNA polimerasi per eseguire la Riduzione: una molecola B (ossidante) viene ri-
trascrizione. dotta quando acquista elettroni da una molecola
Propriocettori: recettori sensoriali localizzati donatrice A (riducente).
soprattutto nei muscoli e nei tendini che invia- Rigor mortis: rigidità che si sviluppa nei mu-
Biologia

no le informazioni relative alla posizione ed ai scoli con la morte quando viene a mancare
movimenti del corpo. l’ATP.
Prostaglandine: famiglia di acidi grassi naturali Riproduzione: processo attraverso il quale viene
prodotti da una serie di tessuti che sono capaci di assicurato il perpetuarsi della specie. Può essere
indurre la contrazione dell’utero e di altri muscoli asessuata, quando la discendenza origina per mi-
lisci (come nei capillari sanguigni), di abbassare tosi di un unico genitore, o sessuata, se si verifica
la pressione sanguigna e di modificare l’azione di la fusione di due gameti, ognuno proveniente da
alcuni ormoni. un genitore.
Prostata: ghiandola situata intorno al collo della RNA polimerasi: enzima coinvolto nella
vescica e dell’uretra dei maschi. Contribuisce alla trascrizione; è una RNA polimerasi DNA-
formazione del liquido seminale. dipendente.
1292 Glossario

RNA: acido ribonucleico costituito da nucleotidi secondo rumore cardiaco quando il sangue fluisce
in cui lo zucchero è rappresentato dal ribosio. Può attraverso l’aorta e l’arteria polmonare.
essere suddiviso in diverse categorie con funzioni Splicing: processo di rimozione degli introni dal
diverse: mRNA, rRNA, tRNA. trascritto primario (mRNA immaturo).
rRNA: RNA ribosomiale. Costituisce, insieme a
proteine, i ribosomi.
Rubisco: enzima contenuto nello stroma del clo- T
roplasto. Pu effettuare sia la carbossilazione che Talamo: uno dei principali centri del diencefalo
’ossigenazione del ribulosio 1,5-difosfato (nel rap- che riceve e trasmette sia informazioni sensitive
porto stimato di 3:1) e catalizza la prima tappa che motorie.
del ciclo di Calvin Tecnologia del DNA ricombinante: vedi
ingegneria genetica.
S Telencefalo: centro più grande dell’encefa-
Sacculo: parte dell’apparato vestibolare dell’o- lo, evolutosi dai centri olfattori degli antichi
recchio interno. vertebrati.
Sangue: tessuto connettivo fluido che trasporta Tendine: fascio di tessuto connettivo fibroso ri-
diverse sostanze. È formato da una parte liquida, gido che fissa un muscolo striato allo scheletro, in
il plasma e da elementi corpuscolati (eritrociti, modo che la contrazione del muscolo permetta al
leucociti e piastrine). corpo di muoversi.
Sarcomero: unità morfologica e funzionale del Tensione superficiale: capacità dell’acqua di
muscolo striato. Rappresenta l’unità contrattile formare in superficie una sorta di pellicola
presente in ciascuna miofibrilla. che permette, ad esempio, ad alcuni insetti di
Sarcoplasma: citoplasma di una cellula musco- “camminare sull’acqua”.
lare. Teoria chemiosmotica: formulata da Peter
Schema a Z: schema che riporta tutti i traspor- Mitchell nel 1961, essa descrive la generazione di
tatori di elettroni che prendono parte al flusso un gradiente protonico attraverso una membrana
elettronico, dall’H2 O al NADP+ , sistemati ver- biologica impermeabile agli ioni H+
ticalmente in funzione dei loro potenziali redox Teoria endosimbiontica: ipotesi che riguarda
standard. I componenti che reagiscono gli uni con l’origine dei mitocondri e dei cloroplasti come or-
gli altri sono collegati da frecce, ed in questo mo- ganelli, derivati rispettivamente dall’inglobazione
do lo schema a Z una rappresentazione reale del di una cellula procariote aerobica (precursore del
processo fotosintetico che fornisce informazioni di mitocondrio) e di una cellula procariote autotrofa
tipo termodinamico (precursore del cloroplasto).
Secondo messaggero: termine attribuito al
Termodinamica: insieme di leggi che fornisco-
cAMP, al cGMP, al calcio o ad atro agente re-
no un sistema integrato ed indispensabile per de-
golatore intracellulare che è a sua volta sotto il
scrivere adeguatamente ed in modo quantitativo i
controllo di un primo messaggero extracellulare,
processi biologici da un punto di vista energetico.
come ad esempio un ormone.
Selezione artificiale: manipolazione umana di Tessuti connettivi: gruppo di tessuti accomu-
incroci di piante o di animali che predetermina nati da una stessa derivazione embriologica e dalla
quali individui sopravvivranno e si riprodurranno. presenza di un’abbondante sostanza intercellulare
Selezione naturale: riproduzione differenziale contenente fibre di diversa natura. I tessuti con-
di genotipi. nettivi hanno funzione di riempimento, di soste-
gno, di protezione, ma intervengono anche negli
Sfintere: banda anulare costituita da fibre mu-
scambi nutritizi dei vari tessuti con cui sono a
scolari, capace di chiudere o restringere una
contatto.
apertura.
Siero: frazione del plasma privato del fibrinoge- Tessuto adiposo: varietà di tessuto connettivo
no. con funzioni essenzialmente trofiche e meccaniche.
Glossario

Sinapsi: giunzione tra un neurone (elemento pre- Tessuto epiteliale: riveste la superficie esterna
sinaptico) ed una cellula postsinaptica (cellula o le cavità interne del corpo degli organismi pluri-
nervosa o di altro tipo) per la trasmissione del- cellulari. È costituito da cellule addossate tra loro
l’impulso nervoso. Dalla terminazione presinapti- con scarsa sostanza intercellulare.
ca viene liberato un neurotrasmettitore che si lega Tessuto muscolare: tessuto deputato al movi-
a recettori posti sulla membrana postsinaptica. mento. Può essere di tre tipi: striato (scheletrico),
Sistema linfatico: sistema di vasi a fondo cieco cardiaco, liscio.
che drena il liquido extracellulare fuoriuscito dai Tessuto nervoso: tessuto costituito da cellule
tessuti e lo riporta nella circolazione sanguigna. nervose, i neuroni, e cellule accessorie con funzio-
Sistole: fase del ciclo cardiaco in cui il miocar- ni di sostegno denominate cellule gliali o cellule
dio è in contrazione; si verifica tra il primo ed il della glia.
Biologia 1293

Tessuto osseo: tipo di tessuto connettivo che Uretra: canale attraverso cui l’urina passa dalla
costituisce gli organi fondamentali di sostegno vescica all’esterno del corpo.
dell’organismo e gli organi passivi del movimento. Utricolo: insieme al sacculo rappresenta uno
Tessuto: aggregato di cellule con forma, degli organi dell’equilibrio.
struttura e funzioni simili.
Testosterone: androgeno steroide sintetizzato
V
nel maschio dalle cellule interstiziali del testicolo.
Timina: base pirimidinica costituente dei nucleo- Vantaggio dell’eterozigote (o sovradomi-
tidi. È presente solo nel DNA. nanza): condizione per la quale l’eterozigote ha
Traduzione: conversione della sequenza di nu- una fitness maggiore di entrambi gli omozigoti.
cleotidi presenti nell’RNA messaggero in una Vaso deferente: dotto testicolare che collega
sequenza di amminoacidi. il dotto escretore della vescicola seminale per
Trascrittasi inversa: DNA polimerasi RNA- formare il dotto eiaculatore.
dipendente tipica dei retrovirus. Vena: vaso sanguigno che trasporta il sangue dai
Trascrizione: sintesi di un mRNA a partire da tessuti verso il cuore.
uno stampo costituito da DNA. Ventricoli cerebrali: serie di cavità comuni-
Trasposoni: elementi mobili di DNA, presen- canti e riempite di fluido, all’interno del cer-
ti sia nei procarioti sia negli eucarioti, capaci di vello. Il fluido nei ventricoli si chiama fluido
spostarsi da una parte ad un’altra del genoma. cerebrospinale.
tRNA: RNA di trasferimento o transfer. Il tR- Vertebrati: animali dotati di una colonna
NA lega un aminoacido e lo trasporta al ribosoma vertebrale.
durante la sintesi proteica. Il legame è specifico ed Vettore: molecola di DNA in grado di auto re-
è dettato dall’anticodone presente sul tRNA. plicarsi utilizzata per inserire un DNA estraneo
TSH: vedi ormone tireostimolante. all’interno di una cellula ospite.
Tubuli trasversi (tubuli T): tubuli ramificati Virus: strutture costituite da un acido nucleico e
intercomunicanti delimitati da membrana che so- da proteine considerate al limite tra gli organismi
no in continuità con la superficie della membrana viventi e i non viventi. Sono parassiti endocellulari
e sono in stretto contatto con le cisterne terminali obbligati.
del reticolo sarcoplasmatico. Vitamine: composti organici che funzionano di-
Tubulo contorto distale: parte del tubulo re- rettamente, o opportunamente modificati, come
nale, situata nella zona corticale del rene, che si coenzimi. L’uomo non è in grado di sintetizzarle
origina dal ramo ascendente dell’ansa di Henle e e per questo motivo si dicono composti essenziali.
si continua col dotto collettore.
Tubulo contorto prossimale: parte circonvo-
W
luta del tubulo renale situata nella zona corticale
del rene, che ha origine nel glomerulo e si continua Wild-type: ceppo, organismo, o gene del ti-
con il ramo discendente dell’ansa di Henle. po designato come standard (selvatico), cioè più
comune all’interno di una popolazione.
U
Uracile: base pirimidinica costituente dei nucleo- Z
tidi. È presente solo nell’RNA. Zigote: stadio dell’uovo fecondato precedente
Uretere: canale muscolare che convoglia l’urina alla prima divisione.
dal rene alla vescica. Zuccheri: vedi glicidi.
Biologia

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