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BIBLIO TECA

Pietro Gibellini (ed.)

La Bibbia
nella letteratura italiana
II
L’ETÀ CONTEMPORANEA
LA BIBBIA
NELLA LETTERATURA ITALIANA
Opera diretta da Pietro Gibellini

II
L’età contemporanea
a cura di Pietro Gibellini e Nicola Di Nino

MORCELLIANA
SOMMARIO

INTRODUZIONE DI PIETRO GIBELLINI E NICOLA DI NINO


Il Novecento e la Bibbia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5

RAFFAELLA BERTAZZOLI
Le citazioni bibliche nell’opera di D’Annunzio . . . . . . . . . . . . 17
1. L’esercizio della citazione, 17 - 2. L’uso della citazione, 21 - 3. La cita-
zione “sacra”, 23 - 4. Il rovesciamento etico del testo sacro, 30 - 5. La
metafora della “Passio Christi” nel «Rinato», 33 - 6. I testi apocrifi, 37

PIETRO SARZANA
Ada Negri: «i rapimenti primi della preghiera» . . . . . . . . . . . 43
1. Il ribellismo delle prime raccolte, 44 - 2. Verso una nuova attitudine
meditativa, 47 - 3. La religiosità compiuta, 49 - 4. Il misticismo dell’ulti-
ma Negri, 52

MATTEO VERCESI
L’umile per il sublime: il sacro nella poesia dialettale del Nove-
cento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 59
1. Dal paradiso domestico di Giotti al Cristo «in crose» di Noventa, 59 -
2. Dalla Natività ferina di Palmieri alla crocifissione di Pasolini, 68 - 3. Il
cristianesimo di Pierro e il paradiso di Zanzotto, 76 - 4. Da Pasolini a
Loi, 78 - 5. Ultimi dialettali: tra eresia e ricerca d’assoluto, 82

CLAUDIO COSTA
Spunti biblici e riflessioni religiose in Trilussa (con inediti) . . . 89
1. La questione romana e la satira antiecclesiastica, 89 - 2. Bibbia, reli-
gione, filosofia, esoterismo, 94 - 3. Satira religiosa: distruggere per rico-
580 Sommario
struire, 99 - 4. La Bibbia nella poesia di Trilussa, 107 - 5. Adamo e la
creazione, 108 - 6. Noè e il diluvio, 115 - 7. Gesù e il Natale, 117 - Il giu-
dizio finale, 120

ILARIA CROTTI
L’estasi dello sguardo: immagini del sacro in «Con gli occhi
chiusi» di Federigo Tozzi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 123
1. Il campo del sacro, 123 - 2. Il conflitto dell’anima e del corpo, 132 - 3.
L’estasi dello sguardo, 139

ALESSANDRO CINQUEGRANI
Il sacro profano di Umberto Saba . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 143
1. Religione e religiosità, 143 - 2. Ebraismo e antisemitismo, 144 - 3.
Essere Cristo?, 154 - 4. Il dio e la bestia, 160

MARCO TESTI
La voce di Rebora alle porte del silenzio . . . . . . . . . . . . . . 169
1. La stagione dei “Frammenti”, 169 - 2. Dopo la conversione, 175

MAGDA VIGILANTE
La poesia di Onofri come immagine del Verbo . . . . . . . . . . . 195
1. «Miracieli. Storia dell’uomo nuovo», 195 - 2. Caino e Abele: possesso
e gratuità, 198 - 3. La nuova concezione cosmica della poesia, 204 - 4. La
potenza creatrice della parola, 208

GIORGIO BARONI
La ricerca di Dio nella poesia di Ungaretti . . . . . . . . . . . . . . 213
1. Primi contatti con il sacro, 215 - 2. L’intensificarsi del dialogo, 218 -
3. Nostalgia della terra promessa, 226

DANIELA PICAMUS
Le domande di Lina Galli a Maria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 231
1. Trama e ordito, 231 - 2. Le «Domande a Maria», 241 - 3. Perché ci ami
o Maria?, 252

PAOLA BAIONI
Il sacro nelle poesie disperse di Quasimodo . . . . . . . . . . . . . . . 255
1. I testi, 255 - 2. Riferimenti al mito, 264 - 3. Conclusioni, 267
Sommario 581

LAURA OLIVA
La ricerca del sacro nei versi di Antonia Pozzi . . . . . . . . . . . . 269
1. L’ascesa a Dio, 273 - 2. L’incontro con la notte e il ritorno alla terra, 279

ALESSANDRA GIAPPI
Mario Luzi o la poesia come preghiera . . . . . . . . . . . . . . . 287
1. Mistero doloroso. Il male e la storia. Cristo, Giobbe, Abele, 288 - 2.
Mistero gaudioso. L’infinito nel finito: la grazia divina e la bellezza del
mondo, 295 - 3. Il silenzio di Maria, la profezia di Paolo, 302 - 4. Mistero
glorioso. La contemplazione della luce, 307

ALESSANDRO SCARSELLA
Il salmista e il traduttore: la poesia di Turoldo . . . . . . . . . . . . 317
1. Di Eva e di Adamo, da Eva e da Adamo, 319 - 2. Di Caino e del Figliol
prodigo, 322 - 3. Canto e Mito (tra Montale e Pessoa), 325 - 4. Poesia e
profezia (da Eliot a Isaia), 328 - 5. Del Salmista e del suo Traduttore, 331

DOMENICO RIZZOLI
Icone mariane nell’opera di Turoldo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 337
1. La madre, la madonna: vita, parola, profezia, 337 - 2. La sposa del
Cantico, 341 - 3. Un Dio che ama con cuore di madre, 345 - 4. Per
Mariam: fra tenerezza e forza, 353

ANDREA RONDINI
Primo Levi e il libro della «Genesi» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 363
1. Gli affioramenti nell’opera, 363 - 2. Un nuovo inizio, 369

FRANCESCA STRAZZI
Il Vangelo secondo Santucci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 379
1. Il tema del Natale e la maternità di Maria, 379 - 2. La dialettica amore-
morte nella riscrittura del sacro, 386 - 3. La parola e il convito in Santucci,
D’Annunzio e Bacchelli, 389 - 4. La ricerca del sacro nella cultura del
Novecento, 394

RICCIARDA RICORDA
Pier Paolo Pasolini: epifanie del sacro . . . . . . . . . . . . . . . . . 397
1. «La mia visione del mondo è sempre nel suo fondo di tipo epico-reli-
gioso», 397 - 2. Motivi evangelici nella prima stagione poetica, 400 - 3.
Il Vangelo di Matteo, «una carica di vitalità», 404 - 4. Epifanie del sacro,
408 - 5. Il duplice volto di Paolo, santo e prete, 410
582 Sommario

MARIALUIGIA SIPIONE
Per una lettura religiosa dell’opera di Fenoglio . . . . . . . . . . . 419
1. In origine era il Verbo: Fenoglio e la Bibbia, 419 - 2. La cacciata
dall’Eden: Agostino, il maledetto, 423 - 3. Nell’«arcangelico regno dei
partigiani»: Sceriffo, Johnny e Milton, 425

NICOLA DI NINO
«Le temps revient», risvolti scritturali di una raccolta mancata
di Cristina Campo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 433
1. Le lettere, le amicizie e il passo d’addio, 434 - 2. «Le temps revient», 439

SILVIA ASSENZA
Alda Merini. E la carne si fece canto . . . . . . . . . . . . . . . . . . 453
1. Il «Magnificat» di Maria, 459 - 2. Il Messia e il suo “predecessore”:
Gesù, 461 - 3. La «maternità della croce», 463 - 4. E la carne si fece
canto, 466

ANNA BELLIO
«Il grembo innamorato»: la poesia mariana di Marco Beck . . . 471
1. Sia fatta la tua volontà, 475 - 2. Una scrittura evangelica, 480

CRISTINA TAGLIAFERRI
Giuda nella narrativa e nel teatro del Novecento . . . . . . . . . . 485
1. Il mistero di Giuda nella «Storia di Cristo» (1921) di Giovanni Papini,
486 - 2. La “riabilitazione” del traditore fra testi teatrali e Vite di Gesù,
491 - 3. Il «Giuda» (1938) moderno di Giuseppe Lanza del Vasto, 495 -
4. Il Giuda complice di Giuseppe Berto, 499

FRANCA GRISONI
Variazioni sulla Maddalena . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 503
1. La tradizione, 503 - 2. Arte e teologia, 507 - 3. Poesia civile e poesia
religiosa, 508 - 4. La mirrofora, 511 - 5. La peccatrice pentita, 513 - 6.
“Noli me tangere”, 518 - 7. Amore umano e amore divino, 525

CLAUDIO TOSCANI
La Madonna nella poesia del Novecento . . . . . . . . . . . . . . . . 533
1. Un secolo di contrastanti atteggiamenti, 533 - 2. Mentre si prepara il
Sommario 583
tempo nuovo, 535 - 3. Tra attestazioni e riserve, 545 - 4. Sorella e madre
ma anche donna, 554

Indice dei nomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 559

Indice dei passi biblici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 575


La ricerca del sacro nei versi di Antonia Pozzi 269

LAURA OLIVA

LA RICERCA DEL SACRO NEI VERSI DI ANTONIA POZZI

E a chi tocchi di camminare a lungo da solo


per una strada così bella, capita magari di tro-
varsi ad un tratto disteso per terra tutto in un
pianto, perché ci sono soavità così perfette che
fanno orribilmente soffrire e gridare il nome di
tutte le cose e le persone perdute. [Portofino,
aprile 1938]1

Una strada inondata di pianto è quella che percorre Antonia Pozzi


nella sua breve parabola poetica2; un sentiero solitario fatto di canti
rassegnati, in bilico tra la compiaciuta appartenenza alla terra e l’irre-
frenabile desiderio di altezza. A colpire è la totale mancanza di statici-
tà; tutta la poesia della Pozzi è attraversata da un’ansia di infinito che
fa di ogni esperienza un viaggio alla ricerca di un approdo; che parte
proprio dall’amara consapevolezza del limite per permettersi di sfidar-
lo fino alla fine, allo stremo delle forze. Un cammino di solitudine che
soffre l’assenza, che resta al di qua della luce per scorgere i bagliori
dell’esistenza dalla penombra; un’inabilità alla vita che si scontra con
l’ardente richiesta di vita:

1 Didascalia tratta da una foto donata all’amico Dino Formaggio. Cfr. A. Pozzi, Nelle imma-
gini l’anima. Antologia fotografica, a cura di L. Pellegatta e O. Dino, Milano, Àncora, 2007, p. 36.
2 Negli ultimi anni gli studi su Antonia Pozzi hanno registrato un fortunato riscontro. Se negli
anni Ottanta si sono susseguite le edizioni delle poesie (La vita sognata e altre poesie inedite, a
cura di A. Cenni e O. Dino, Milano, Scheiwiller, 1986; Parole, a cura di A. Cenni e O. Dino,
Milano, Garzanti, 1989), dei diari (Diari, a cura di A. Cenni e O. Dino, Milano, Scheiwiller,
1988) e delle lettere (L’età delle parole è finita. Lettere (1925-1938), a cura di A. Cenni e O.
Dino, Milano, Archinto, 1989; Pozzi e Sereni. La giovinezza che non trova scampo, a cura di A.
Cenni, Milano, Scheiwiller, 1995; Mentre tu dormi le stagioni passano, a cura di A. Cenni e O.
Dino, Milano, Viennepierre, 1998), anche in virtù della prestigiosa attenzione riservata alla poe-
tessa da Eugenio Montale e Vittorio Sereni, suo amico fraterno, nel 1998 esce per Garzanti l’e-
dizione accresciuta di Parole (negli Elefanti nel 2001) a cura di A. Cenni e O. Dino, nel 2002 la
biografia di A. Cenni In riva alla vita (Milano, Rizzoli), nel 2004 le ultime poesie inedite a cura
di O. Dino Poesia mi confesso a te (Milano, Viennepierre) e l’altra biografia Per troppa vita che
ho nel sangue di G. Bernabò (Milano, Viennepierre), nel 2007 la suggestiva antologia fotografi-
ca Nelle immagini l’anima a cura di L. Pellegatta e O. Dino (Milano, Àncora).
270 Laura Oliva
Forse la vita è davvero
quale la scopri nei giorni giovani:
un soffio eterno che cerca
di cielo in cielo
chissà che altezza3.

È in questa direzione che i suoi versi si relazionano profondamen-


te alla realtà del quotidiano; Antonia Pozzi sconta il suo legame con la
terra ogni volta che vagheggia di avvicinarsi al cielo; guarda in basso
e ascolta il «singhiozzo rattenuto, incessante della terra»4 anche quan-
do raggiunge la vetta.
Il suo amore per la montagna e l’alpinismo non sono solo un dato
biografico: le scalate con l’amico Emilio Comici, i soggiorni nei rifu-
gi raccontati nelle lettere e i suggestivi reportage fotografici sono i
testimoni di una più intima e ossessionante smania di assoluto. Una
vita di ricognizione la sua, tesa al consolidarsi di una speranza appena
tratteggiata e ripetutamente delusa. Nella crescente «volontà d’asce-
sa»5 il paesaggio naturale svela il pallore della propria anima mentre la
fragilità di chi sale si scontra con l’ebbrezza di guadagnare la cima, in
un atto supremo di ricongiungimento con il Creatore («se non mente
chi dice che qui Dio non è lontano»)6. È la montagna il primo appro-
do, la prima mèta faticosamente raggiunta, il primo contatto con la
divinità. La scalata si veste di connotati simbolici che traghettano la
vita umana in una dimensione sovrannaturale, in cui le cose del mondo
non hanno valore di per sé, ma vivono di luce, protendono bisognose
verso lo splendore vivificante della luce che rende possibile la comu-
nione del tempo con l’eterno. Il vagare per «le vecchie strade in cui la
sera affonda» come una «cosa di nessuno» è il mezzo per perdersi
«ombra nell’ombra– / gli occhi / due coppe alzate / verso l’ultima
luce»7; è il tentativo fiducioso di abbandonare la terra in favore di una
condizione non spazialmente rinvenibile che assicuri riparo e durevo-
lezza. Sulla sommità della montagna avviene, panicamente come in

3 Prati, in A. Pozzi, Parole, cura di A. Cenni e O. Dino, Milano, Garzanti, 2004, p. 68. D’ora
in avanti tutte le poesie citate da questa edizione saranno indicate col solo titolo e la pagina.
4 Dolomiti, p. 22.
5 Ibidem.
6 Alpe, p. 26. Cfr. anche Salmi 67,17: «Perché invidiate, o monti dalle alte cime, il monte che
Dio ha scelto a sua dimora? Il Signore lo abiterà per sempre» e 23,3: «Signore chi abiterà nella
tua tenda? Chi dimorerà sul tuo santo monte?».
7 Largo, p. 34.
La ricerca del sacro nei versi di Antonia Pozzi 271

una sorta di rito pagano, l’unione della natura con il suo artefice, la sin-
tesi di un amore atemporale tra la montagna e il sole, il mondo e Dio:
Anima, sii come la montagna:
che quando tutta la valle
è un grande lago di viola
e i tocchi delle campane vi affiorano
come bianche ninfee di suono,
lei sola, in alto, si tende
ad un muto colloquio col sole.
La fascia l’ombra
sempre più da presso
e pare, intorno alla nivea fronte,
una capigliatura greve
che la rovesci,
che la trattenga
dal balzare aerea verso il suo amore.
Ma l’amore del sole
appassionatamente la cinge
d’uno splendore supremo,
appassionatamente bacia
con i suoi raggi le nubi
che salgono da lei.
Salgono libere, lente
svincolate dall’ombra,
sovrane
al di là d’ogni tenebra,
come pensieri dell’anima eterna
verso l’eterna luce8.

Il carattere sacro della montagna9 è elemento comune alla tradizio-


ne religiosa, dal mondo antico che ne faceva la dimora delle divinità,
fino al cristianesimo che ne ha fatto luogo privilegiato per le epifanie
della divinità: da Abramo a Gesù che sceglie tre apostoli da portare con
sé come testimoni e custodi della propria trasfigurazione o proclama
dal monte le beatitudini, in modo che assumano, nell’ambito di un
immaginario parallelismo, il valore di attualizzazione dei comanda-
menti dettati a Mosè.
8 Esempi, pp. 56-57.
9 Sul tema della montagna si faccia riferimento pure all’ampia e dettagliata trattazione negli
Atti del Convegno Ascensioni umane. La montagna nella cultura occidentale, a cura di G. Lan-
gella, Brescia, Grafo, 2002.
272 Laura Oliva

La montagna sacra di Antonia Pozzi è il rifugio dalle contrarietà


dell’esistenza; è la supplica di un afflitto, la speranza di una via di
fuga, la certezza di allentare le angustie e la malinconia, trovando
ristoro dal turbamento in una fusione esemplare della poesia dei salmi
con la propria:

Questa è la prova
che voi mi benedite-
montagne-
se nell’ora del distacco
la vostra chiesa m’accoglie
con la sua bianchezza di sole
e abbraccia forte la mia
malinconia
col canto
delle campane di mezzogiorno-10

In te mi rifugio, o Signore [...] nel dolore si spegne l’anima mia, / e i miei anni
nel pianto; il mio vigore si affievolisce per le angosce, / le mie ossa si consu-
mano [...]. Ma io, Signore, in te m’affido (Salmi 30,2 e 11-15).

Le montagne diventano madri dal «brullo ventre»11 che lascia fio-


rire rosai e ancora angeli con «il viso nascosto in preghiera»12, «ange-
li tristi»13 che assistono mestamente al requiem degli astri. All’interno
della montagna nasce la vita e allo stesso tempo si rifugia la morte; da
grembi a sepolcri le montagne attraversano l’esistenza delle cose ter-
rene, gli scenari notturni e i primi bagliori dell’alba14. La salita coinci-
de, dunque, con l’espiazione della colpa, con la vista della luce, con la
certezza della solitudine che porta ad aprirsi a Dio nel desiderio vano
di poter essere accolta.

10 Distacco dalle montagne, p. 128.


11 Le montagne, p. 298.
12 La grangia, p. 136.
13 Morte delle stelle, p. 137.
14 «Ascesa lenta / nel chiarore lunare, / mentre il sonno degli uomini ed i lumi / delle strade
deserte / stagnano nelle valli- [...] attonito ruscello, il sentiero / per trecce di ghiaia conduce / alla
sua fonte / sul volto della montagna dormente [...]. Ora guance di lontani monti / fra le nebbie si
volgono / nel risveglio, al primo / rossore- / Già escono dai campanili le voci / delle nuove cam-
pane: / a groppa a groppa, / urtandosi, salgono- / gregge in cerca del sole-», Notte e alba sulla
montagna, p. 150.
La ricerca del sacro nei versi di Antonia Pozzi 273
Ma noi siamo come l’erba dei prati
che sente sopra sé passare il vento
e tutta canta nel vento
e sempre vive nel vento,
eppure non sa così crescere
da fermare quel volo supremo
né balzare su dalla terra
per annegarsi in lui15.

Erano come l’erba dei campi, come tenera verzura, come l’erba dei tetti, bru-
ciata dal vento d’oriente (Isaia 37,27 e 2Re 19,26).

L’uomo è simile a un soffio di vento


i suoi giorni sono come ombra che passa (Salmi 143,4).

Il vento, strumento della potenza divina, può infondere la vita, casti-


gare, ammaestrare, farsi, come gli angeli, portatore di messaggi di sal-
vezza, manifestazione della volontà di Dio. Nel richiamo poetico il
vento coincide con Dio, con la sua immanenza nel Creato; attraverso il
vento a Dio giungono le lodi degli uomini, si fortifica il vincolo spiri-
tuale tra la terra e il cielo. Ma alla forza del vento si oppone la debo-
lezza dell’erba, sottomessa alle proprie inibizioni, vinta dalla propria
incredulità e incapace di percepire il soffio vitale e lasciarsi trasportare.

1. L’ascesa a Dio

La ricerca di Dio è un punto focale della poesia della Pozzi e non si


esaurisce solamente nell’anelito verso il Creatore. Nel tentativo este-
nuante di contatto con la divinità, la parola poetica slitta nella preghie-
ra; reminiscenze bibliche si fondono con un grido disperato di aiuto,
con la paura crescente di essere senza Dio, di non avere «nulla di fermo
/ ma solo cose vive che sfuggono- / essere senza ieri / essere senza
domani / ed acciecarsi del nulla»16. È soprattutto il legame con Antonio
Maria Cervi ad accentuare nella giovane un senso religioso di purezza,
innescando un meccanismo tale da farle percepire l’assenza di una con-
solidata tradizione religiosa all’interno della famiglia come una man-

15 Prati, cit.
16 Grido, p. 69.
274 Laura Oliva

canza a cui porre rimedio. La sua parabola cristiana parte dalla presen-
za divina per poi negarla; cerca Dio, ma ne sconta il rifiuto; si avvicina
ai salmi per poi sfociare nella più disperata ed esigente lamentazione.
L’impossibilità di vivere Dio è tutta in quel sentirsi inadeguati alla vita;
la distanza da Dio è resa incolmabile dalla certezza della morte. È per
questo che si è posto l’accento sulla vocazione vittimistica della Pozzi17
e sulla sua idea, tutta novecentesca, di una realtà bidimensionale, che
vive di contrasti. Il Dio della Pozzi sembra appartenere ai morti più che
ai vivi «Perché dai morti veniamo, / perché ai morti torniamo / e i morti
sono in Te / di là dal grande velo del cielo»18; la comunione con Dio
non è ammessa se non nella morte, senza che, però, si accolga alcuna
speranza di riscatto nella resurrezione:

E la voce dei morti


è la tua voce
bronzea
che travolge l’anima19.

Vorrei
dinnanzi alla mia cella
avere
quattro metri di terra
ed ogni sera
al lume delle prime stelle
scavarmi
lentamente una fossa
pensando al tramonto dolcissimo
in cui verranno
salmodiando
i fratelli
e in mezzo ai cespi delle lavande
mi coricheranno
ponendomi sul cuore

17 Cfr. L. Orsenigo, La poesia religiosa di Antonia Pozzi, in Studi e fonti di vita lombarda,
in «Quaderni milanesi», II, N.S., 25-26, Milano, 1991. Ci si sofferma, in particolare sull’analisi
delle poesie Sogno sul colle, Sogno nel bosco e Sonno, volendo sottolineare il rifiuto della realtà
storica da parte della Pozzi che sposta nella dimensione onirica il proprio impeto vocazionale,
assottigliando sempre più il confine amletico tra il sonno, il sogno e la morte.
18 Giorno dei morti, p. 77.
19 Ibidem.
La ricerca del sacro nei versi di Antonia Pozzi 275
come fiori
morti
queste mie stanche mani
chiuse in croce20.

La preghiera assetata della Pozzi procede alla ricerca dell’acqua


vivificante, riscoprendone il valore simbolico, facendone sorgente di
vita e centro di rigenerazione:

Perché tu sai, Signore,


che in un tempo lontano
anch’io tenni nel cuore
tutto un lago, un gran lago,
specchio di Te.
Ma tutta l’acqua mi fu bevuta,
o Dio,
ed ora dentro il cuore
ho una caverna vuota,
cieca di Te.
Signore, per tutto il mio pianto,
ridammi una stilla di Te,
ch’io riviva21.

Vorrei essere un frate silenzioso


che va coi suoi sandali di corda
sotto gli archi di un chiostro
e attinge acqua all’antica
vera del pozzo
e disseta
le lavande e le rose22.

Tutto l’Antico Testamento celebra l’acqua e ne fa fonte di vita,


segno della benedizione divina. Anche se non è possibile accertare una
lettura diretta dei testi sacri da parte della giovane, certo non è da
escludere il fatto che echi e motivi facciano parte di un bagaglio di let-
ture e siano il patrimonio di risulta di una frequentazione precedente.
I versi di Preghiera riecheggiano quelli dei salmi:

20 Sogno sul colle, p. 85.


21 Preghiera, p. 76.
22 Sogno sul colle, p. 84.
276 Laura Oliva

Come anela la cerva ai corsi d’acqua, così l’anima mia anela a te, o Dio mio.
L’anima mia ha sete di Dio (Salmi 42,2-3).

O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora ti cerco, di te ha sete l`anima mia, a te


anela la mia carne, come terra deserta, arida, senz`acqua (Salmi 62,2).

ma ritroviamo la sovrapposizione Dio-acqua anche nell’episodio della


Samaritana nel Vangelo di Giovanni:

Gesù le rispose: “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice:
«Dammi da bere!», tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato
acqua viva” [...]. Ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete,
anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla
per la vita eterna” (Giovanni 4,10-14).

e nell’esplicita dichiarazione d’intenti riportata nell’Apocalisse:

Ecco sono compiute! Io sono l’Alfa e l’Omega, il Principio e la Fine. A colui


che ha sete darò gratuitamente acqua della fonte della vita (Apocalisse 21,6).

Lo Spirito e la sposa dicono: “Vieni!”. E chi ascolta ripeta: “Vieni!”. Chi ha


sete venga; chi vuole attinga gratuitamente l’acqua della vita (Apocalisse
22,17).

L’avvicinamento a Dio segue un percorso che ha in sé citazioni let-


terarie, attraversamenti delle Sacre Scritture, ma lo schema non è quel-
lo tipico: il cammino della Pozzi si ferma lontano dalla conversione,
non riesce a guadagnare la fiducia nella divinità, non arriva al Dio
misericordioso del Vangelo, ma si ferma a quello vendicativo
dell’Antico Testamento. L’ammissione dei propri errori, delle proprie
defezioni non si completa nel perdono, ma si risolve nel castigo: l’u-
nico reale desiderio non è avere in dono comprensione, ma la capacità
di saper accettare il volere supremo. La versione in poesia dell’episo-
dio citato nel libro dei Re ne è chiaro esempio:

Poi che anch’io sono caduta


Signore
dinnanzi a una soglia-
La ricerca del sacro nei versi di Antonia Pozzi 277
come il pellegrino
che ha finito il suo pane, la sua acqua, i suoi
sandali
e gli occhi gli si oscurano
e il respiro gli strugge
l’estrema vita
e la strada lo vuole
lì disteso
lì morto
prima che abbia toccato
la pietra del Sepolcro-
poi che anch’io sono caduta
Signore
e sto qui infitta
sulla mia strada
come sulla croce
oh, concedimi Tu
questa sera
dal fondo della Tua
immensità notturna-
come al cadavere del pellegrino
la pietà
delle stelle23.

«Poiché ti sei ribellato all’ordine del Signore, non hai ascoltato il comando
che ti ha dato il Signore tuo Dio, sei tornato indietro, hai mangiato e bevuto
in questo luogo, sebbene ti fosse stato prescritto di non mangiarvi o bervi
nulla, il tuo cadavere non entrerà nel sepolcro dei tuoi padri». Dopo che ebbe-
ro mangiato e bevuto, l’altro sellò l’asino per il profeta che aveva fatto ritor-
nare e quegli partì. Un leone lo trovò per strada e l’uccise; il suo cadavere
rimase steso sulla strada, mentre l’asino se ne stava là vicino e anche il leone
stava vicino al cadavere. Ora alcuni passanti videro il cadavere steso sulla
strada e il leone che se ne stava vicino al cadavere. Essi andarono e divulga-
rono il fatto nella città ove dimorava il vecchio profeta. Avendolo saputo, il
profeta che l’aveva fatto ritornare dalla strada disse: «Quello è un uomo di
Dio, che si è ribellato all’ordine del Signore; per questo il Signore l’ha con-
segnato al leone, che l’ha abbattuto e ucciso secondo la parola comunicatagli
dal Signore» (1Re 13-21,26).

23 Cosi sia, p. 102.


278 Laura Oliva

Nel libro sacro gli avvenimenti si sviluppano secondo le leggi della


causalità: al torto nei confronti di Dio segue la giusta pena; la ribellio-
ne all’ordine è punita con una morte che non può godere della sepoltu-
ra ufficiale. Se in un primo tempo anche la caduta spirituale confessata
dalla Pozzi ha come pena l’allontanamento dal Sepolcro, l’attenzione si
sposta sulla comunione con la natura che fa da tramite tra l’uomo e Dio
e abbrevia distanze millenarie. La preghiera è verso “l’immensità not-
turna” che sta dietro a Dio; ci si rivolge al Creatore attraverso il Creato
quasi come tentativo di arginare l’ostacolo, di ottenere la grazia del-
l’indulgenza perché facenti parte del tutto. La “pietà delle stelle” è
un’assoluzione, la possibilità estrema di remissione dalla colpa.
Ancora la consonanza con la parola dei salmi può lasciare intende-
re che la Pozzi desideri di credere nella salvezza ristoratrice di Dio:

Io sono una nave sferzata


dai flutti
dai venti-
macerata
dagli uragani-
io vengo da mari lontani
e carica d’innumeri cose
disfatte
di frutti strani
corrotti
di sete vermiglie
spaccate-
stremate
le braccia lucenti dei mozzi
e sradicate le antenne
spente le vele
ammollite le corde
fracidi
gli assi dei ponti-
io sono una nave
una nave che porta
in sé l’orma di tutti i tramonti
solcati sofferti-
io sono una nave che cerca
per tutte le rive
un approdo
[...]
La ricerca del sacro nei versi di Antonia Pozzi 279
O tu, lido eterno-
tu, nido
ultimo della mia anima migrante
[...]
oh, accoglimi tu
fra i tuoi moli-
tu, porto24-

Si scatenò a un suo cenno il vento,


e la procella ne sollevò i flutti:
salivano al cielo, scendevano negli abissi,
l’anima loro si struggeva d’affanno;
barcollando ondeggiavano come ebbri,
ogni loro perizia era vana:
tra le angustie gridarono al Signore
ed egli li trasse dalle loro ambasce.
Egli cambiò la burrasca in lieve aura,
e si chetarono i flutti del mare.
Essi furono lieti di vedere la bonaccia,
ed egli li condusse al porto bramato (Salmi 107,25-30).

2. L’incontro con la notte e il ritorno alla terra

Si assiste al completo scolorarsi della speranza dalla vita alla morte,


la luce è sempre più quella del crepuscolo25, del tramonto; non è più il
tempo della rinascita, «scende la notte- / nessun fiore è nato- / è inver-
no -anima- / è inverno»26. Il passaggio dai salmi alle lamentazioni è san-
cito: alla distruzione di Gerusalemme e del sogno di un popolo si acco-
sta l’affanno amaro di una vita disillusa; alla lode si sostituisce la recri-
minazione tra le righe di un ultimo, flebile grido disperato:

Che cosa mi hai dato


Signore
in cambio di quel che ti ho offerto? del cuore aperto
come un frutto- vuotato
del suo seme più puro-

24 Il porto, pp. 98-99.


25 Crepuscolo, p. 80.
26 Tramonto, p. 78.
280 Laura Oliva
gettato
sugli scogli
come una conchiglia inutile
poi che la perla è stata
rubata-
che cosa mi hai dato
in cambio
della mia perla perfetta
diletta?
quella che scelsi
dal monile più splendente
come sceglievano i pastori
antichi
nel gregge folto
l’agnello più lanoso più robusto più bianco
e l’immolavano
sopra il duro altare?
Che cosa hai fatto tu
se non legarmi
a questo altare
come ad una eterna
tortura?-
[...]
O non ci sono più nembi
nel tuo cielo
Signore
perché si lavi
in uno scroscio
tutta questa
miseria?27

L’incontro con la morte è addolcito dalla sovrapposizione della


notte. L’immagine evangelica delle vergini che aspettano lo sposo invi-
ta ad una veglia serena, che abbandona i toni lugubri e minacciosi del
monito «vegliate, dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora»
(Matteo 25,13) in favore di una serena arrendevolezza:

incontro alla notte si va


con un proprio lume alto acceso

27 Lamentazione, pp. 109-110.


La ricerca del sacro nei versi di Antonia Pozzi 281
e l’anima che arde non soffre
il disfacimento dell’ombra28.

Alla visione di Dio si affianca la visione della morte di Dio come


in un emblematico componimento del 1933:

Davanti alla porta di bronzo


di contro all’ultimo sole
parlava al suo popolo
il capo.
E più erano i volti protesi
a lui nella piazza
che le spighe mature
nel suo campo paterno
E più sonava nel grido
scandito il suo nome
che sull’incudine avita
l’avito martello.
Davanti alla porta di bronzo
con l’ultima voce del capo
si spense l’estremo bagliore
del sole.
Di scatto fiorirono in cielo
di contro alla sera incombente
le fiamme di lampade nuove
e furono diafani i marmi
trinati del tempio,
chiare le guglie eccelse,
irradianti lume.
Giù nell’oscura onda umana
fu solo ciascuno dei cuori
con la segreta sua gioia
di non esser più solo,
d’esser favilla perduta
in un fuoco.
Giù nell’immensa onda umana
cercò ciascuno dei cuori
nei drappi del podio
impresse le mani,
nei bronzi del tempio

28 L’anticamera delle suore, p. 67.


282 Laura Oliva
scolpita la fronte
del capo29.

Echi dai Vangeli di Matteo (27,45-56), di Marco (15,33-41) e di


Luca (23,44-49) si trasformano poeticamente insieme a tutta la simbo-
logia della crocifissione (il martello, i drappi del mantello, il grido sof-
ferto del Cristo sulla croce) che acquista forza nel suo significato pro-
fondo: restituire agli uomini, attraverso il sacrificio della morte, una
nuova speranza di salvezza. Ricorrono elementi della tradizione cri-
stiana come le spighe di grano; l’interesse alla facciata del tempio
rimarca il momento finale del distacco («Ed ecco, il velo del Tempio
si squarciò in due parti», Matteo 27,51); l’ora della morte è segnata,
secondo quanto riportato dalle scritture, dall’oscurarsi del giorno
(«Dall’ora sesta fino all’ora nona si stesero le tenebre su tutta la terra»,
Matteo 27,45) e la terminologia è fedele al rito ecclesiastico e pone
l’accento sull’annebbiamento della ragione che ha confuso gli uomini
portandoli all’omicidio del figlio di Dio. Le tenebre, però sono abbat-
tute dalla gioia della luce, nel volto di Cristo è impressa la certezza di
una vita rigenerata dalla fede: la morte avviene per affermare la poten-
za della resurrezione attraverso la consapevolezza di far parte di un
unico fuoco.
Ma la poesia della Pozzi smarrisce, insieme alla fede anche la luce
e sostituisce ai paesaggi di vita inquietanti scenari di morte. Il canto
delle primavere è strozzato dalla fine degli inverni30 e la notte avanza
annientando colori e illusioni.
Allora muti- dal fondo
delle valli- crescon gli abeti,

29 Il capo, in Pozzi, Poesia, mi confesso a te, cit. Il componimento appartiene al gruppo di


inediti pubblicati nel 2004; viene riportata in calce una doppia data: Milano, ottobre 1932 e
Pasturo, 8 agosto 1933. Nonostante alcuni particolari (l’incudine, il martello) e il personaggio
principale e la folla radunata ad ascoltarlo possano permettere di leggere il testo anche in chiave
politica e gli anni siano quelli del fascismo, escluderei che la Pozzi volesse riferirsi a Mussolini
nell’identificare “il capo”. Non correrei il rischio di deformare con il senno di poi l’intento effet-
tivo della poetessa anche perché nessun dato biografico lascia pensare che la giovane si occu-
passe di questioni inerenti la politica. La poesia, in questo senso, resterebbe un unicum.
L’interpretazione cristiana mi pare, invece più credibile perché supportata da altri componimen-
ti di quegli anni che formano le tappe, come si è visto, di un cammino religioso già intrapreso e
che registra proprio nel 1933 una più intensa produzione. Non va comunque tralasciato il fatto
che il padre della Pozzi esercitasse la funzione di podestà a Pasturo. È quindi possibile che una
consonanza con l’attività paterna riecheggi volutamente in questi versi.
30 Sgelo, p. 243.
La ricerca del sacro nei versi di Antonia Pozzi 283
le gigantesche foreste nere
a sommergere il giorno:
laghi d’azzurro invadono la neve,
mentre la notte ingoia
laggiù –le strade
e lenta scende la terra
nel buio31.

Le notti evangeliche ospitano episodi di tradimenti (si pensi alla


consegna di Gesù nel Getsemani, Matteo 26,36-56 e alle negazioni di
Pietro, Matteo 26,69-75), di epifanie (l’apparizione dell’Angelo ai
pastori di Betleem, Luca 2,8-14) e di rivelazioni (il rito dell’Eucarestia
durante l’ultima cena, Matteo 26,26-29), ma senza che mai alle tene-
bre sia conferito il ruolo principale: tutto è illuminato dalla speranza,
tutto è luce come si ribadisce nell’Apocalisse e nelle lettere di Paolo:

Non vi sarà più notte e non avranno più bisogno di luce di lampada, né di luce
di sole, perché il Signore Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli
(Apocalisse 22,5).

Voi tutti infatti siete figli della luce e figli del giorno; noi non siamo della
notte, né delle tenebre (1Tessalonicesi 5,5).

La notte è avanzata, il giorno è vicino. Gettiamo via perciò le opere delle tene-
bre e indossiamo le armi della luce (Romani 13,12).

La notte della Pozzi sa di arresa, è “spento”32 il cuore che possiede,


ma il suo potere è quello di salvare da una vita di rinnovato sconforto.
Ogni forza vitale si svilisce nell’ardente richiesta di morte, in una resa
di solitudine e libertà ad un tempo, prendendo fedelmente alla lettera
l’invito del salmo:
Se dico: «Almeno l’oscurità mi copra e intorno a me sia la notte»
(Salmi 138,11).

andando così verso l’ombra


io libera
e sola per sempre33.

31 Annotta, p. 213.
32 Fuochi di S. Antonio, p. 216.
33 Incantesimi, p. 265.
284 Laura Oliva

Si accoglie della notte solo l’aspetto delle tenebre in cui fermenta


il sogno, l’indeterminato, l’inconscio a scapito dell’idea di vita che sta
dietro alla preparazione del giorno: la notte è la fine di tutto ed a que-
sta fine si lega la libertà dell’essere.
Vanno a comporre un trittico giocato sui temi della vita e della
morte le poesie scritte a Misurina nel gennaio del 1936. Nella notte, tra
pennellate di viola e labbra livide, si scolpiscono tragitti di morte,
accomunati da un unico veicolo, una slitta che rapisce e si allontana:

Non andiamo ai confini di una terra?


E quando in alte vesti
alle calde vetrate sosterò- (la slitta
m’avrà rapita
nel giro dei suoi campanelli,
avrò le spalle
lampade volti canti)-
la mia ombra
sarà sul lago,
pegno immoto di me
fuori- alla triste
favolosa sera34.

E già sui vetri illividisce e intesse


gelate fioriture l’alba:
segna
palpebre viola,
pallide labbra nella stanza spenta.
In alto
tu fra i mortali blocchi
erri solo:
scavano ferree le tue mani rosse.
Vuota sotto una croda
nella prima
aurora
la slitta attende
coi suoi rami verdi
in croce35.

34 Approdo, pp. 268-269.


35 Notte di festa, pp. 270-271.
La ricerca del sacro nei versi di Antonia Pozzi 285
Si levarono alate di tormenta
le crode
sul gran volo della slitta
[...]
A sera
l’ultima mano rosea-
una pietra-
alta accennava
salutando:
e pallida
nell’aria viola pregava le stelle.
Lentamente
i fiumi a notte
mi portavano via36.

L’incontro con la notte è un ritorno, una nuova identificazione, un


assimilare il corso della propria esistenza con l’inoltrarsi al di là delle
contingenze, fuori dai percorsi reali. Andare verso l’ombra è vagheg-
giare il traguardo, avvistare la fine e sapere di poterla raggiungere.
L’annullamento delle distanze si compie attraverso la discesa a valle.
Si lascia la cima dei monti per ridiscendere e avvicinarsi, si ritorna alla
terra per sentire la morte, si perde il divino per riappropriarsi del ter-
reno. La smania di identificarsi con la terra37 si fa tangibile mentre si
è perso il desiderio di «scattare fuori»38, di oltrepassare la riva e vive-
re. La Pozzi è ormai «una cosa della terra»39 bruciata dal gelo dell’in-
verno, che scende in profondità attraverso «lunghe scale»40:

Io sono il fiore
di chissà qual tronco sepolto
[...]
Io sono un fiore diaccio-
straniato
da ogni umana pietà o preghiera
[...]
O chi darà

36 Commiato, p. 272.
37 Meriggio, p. 35.
38 Sventatezza, p. 8.
39 Sogno nel bosco, p. 83.
40 La rampa, p. 246.
41 Disperazione, p. 86.
286 Laura Oliva
al fiore,
alla sua corolla dolente,
la forza estrema di interrarsi?41

Il testamento, scritto in preda ad un’ebbrezza lucida e triste che


doveva poter giustificare la decisione di togliersi la vita a soli ventisei
anni, è l’ultimo, ufficiale atto di morte, la testimonianza consapevole e
straziante della scelta definitiva, la sofferta condizione di chi non ha
più forza per lottare. Bruciate dal padre che le ha poi mestamente rico-
struite a memoria, quelle ultime decisive parole di morte e di abban-
dono tuonano prepotenti, si ergono a baluardi della debolezza di chi
non riesce a «vedere equilibrate le cose della vita» e sogna la pace
nascosta sotto i massi della Grigna, «fra cespi di rododendro»42.
Nel frammento che chiude Parole è condensato il senso di un cam-
mino, dal tentativo di ubriacarsi di sole all’avvilimento, alla capitola-
zione.

Abbandonati in braccio al buio


monti
m’insegnate l’attesa:
all’alba- chiese
diverranno i miei boschi-
arderò
-cero sui fiori d’autunno
tramortita nel sole.

Ancora la montagna a vegliare sul destino di una figlia che non ha


saputo sostenere la luce, che è stata sopraffatta dalla luce e si è rifu-
giata nell’ombra.

42 Il testamento originale, come si è detto, è stato incenerito. Il padre di Antonia ha poi ten-
tato una ricostruzione a memoria delle strazianti parole delle figlia ora riportate nell’edizione
delle lettere L’età delle parole è finita. Lettere 1923-1938, a cura di A. Cenni e O. Dino, Milano,
Archinto, 2002, pp. 271-272.

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