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Il Progetto Cybersyn: l'approccio cibernetico al socialismo cileno

Thesis · August 2021

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Niccolò Bianchi
University of Milan
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Corso di Laurea Triennale
in Scienze internazionali e istituzioni europee

IL PROGETTO CYBERSYN:
L’APPROCCIO CIBERNETICO
AL SOCIALISMO CILENO

Relatrice:
Prof.ssa Marzia Anna Linda Maria Rosti

Elaborato finale di:


Niccolò Bianchi
Matricola n° 922487

ANNO ACCADEMICO 2020/2021


INDICE

Introduzione p. 2

I. La storia del Progetto Cybersyn p. 4


1. Salvador Allende e Stafford Beer: due visioni che si incontrano p. 4
2. Da semplice visione a “cervello elettronico” del paese p. 7
3. Il golpe di Pinochet e la fine di Cybersyn p. 11

II. La tecnologia del Progetto Cybersyn p. 14


1. Stafford Beer e il Viable System Model p. 14
2. Dentro la macchina: il funzionamento di Cybersyn p. 18
2.1 Cybernet e Cyberstride p. 18
2.2 Opsroom e CHECO p. 22
3. Marxismo cibernetico? p. 25

III. L’eredità del Progetto Cybersyn p. 29


1. Nuovi approcci cibernetici p. 29
2. Cibernetica e Smart Cities p. 32

IV. Intervista a Raul Espejo p. 37

Conclusione p. 43

Bibliografia e Sitografia p. 45

1
INTRODUZIONE

Questo elaborato nasce dalla volontà di raccontare quanto avvenuto in Cile tra il 1971 e il 1973,
nell’ambito di un progetto sviluppato dal neoeletto governo Allende e conosciuto ai più come
Progetto Cybersyn. Questo progetto, nell’intenzione dei suoi creatori, avrebbe dovuto facilitare
la comunicazione fra produttivi del paese in comunicazione e con il governo, permettendo così
di applicare su larga scala e in maniera altamente efficiente il programma di nazionalizzazioni
e pianificazione economica fortemente voluto dalla coalizione di Allende.

L’interesse per l’argomento nasce dalla natura fortemente avanguardistica dell’intero progetto,
che nonostante le limitazioni tecnologiche dell’epoca e il difficile contesto politico ed
economico in cui venne sviluppato, riuscì a conseguire risultati degni di nota e offrire idee e
spunti che ancora oggi possono dimostrarsi incredibilmente fruttuosi.

Il primo capitolo inizia descrivendo il contesto che ha permesso la nascita del progetto
Cybersyn, ovvero la salita al potere di Allende e la sua visione per il futuro del paese. Continua
poi illustrando l’incontro tra il presidente cileno e Stafford Beer, accademico britannico
specializzato nello studio della cibernetica e chiamato come consulente da un membro del
governo. Sarà proprio la vicinanza tra gli ideali politici del neoeletto presidente e le idee di
Beer sulla cibernetica a dar vita al progetto Cybersyn. Verranno infine descritte in maniera
sintetica le diverse fasi di sviluppo del progetto, fino al suo momento di massima operatività
nel 1972 e la sua prematura fine con il golpe di Pinochet nel 1973.

Il secondo capitolo si occupa invece di descrivere più nel dettaglio il funzionamento del
progetto, le sue diverse componenti e i differenti gradi di sviluppo raggiunti da queste ultime.
Dopo una sintetica narrazione della vita di Beer, vengono poi descritti i concetti fondamentali
alla base della sua concezione della cibernetica e il modello organizzativo da lui teorizzato. Si
vedrà poi in che modo questo modello teorico andrà a concretizzarsi in Cile, tra importanti
traguardi e limiti considerevoli. Si cercherà infine di comprendere quanto effettivamente le
visioni teoriche di Beer e Allende siano riuscite a coniugarsi nella pratica dello sviluppo di
Cybersyn.

Il terzo capitolo, per concludere, cercherà di analizzare il lascito del Progetto Cybersyn, sia dal
punto di vista degli spunti teorici che da quello delle applicazioni pratiche. Dopo aver trattato
l’influenza di Beer e del suo modello sugli sviluppi dell’organizzazione sistemica negli anni a

2
venire, verranno analizzati alcuni progetti che hanno tentato, con diversi gradi di successo, di
mettere in pratica questi nuovi approcci teorici. Il tutto si concluderà con un’analisi del
tentativo, sempre più comune, di utilizzare le più moderne tecnologie di comunicazione e di
analisi dei dati per dar vita a dei modelli di sviluppo urbano sempre più efficienti e
interconnessi. Si cercherà quindi di vedere in che modo la cibernetica e le idee di Stafford Beer
possano contribuire a questo sviluppo.

Ai tre capitoli fa infine seguito un’intervista al dottor Raul Espejo, una delle figure chiave
all’interno del team che realizzò il Progetto Cybersyn. Ciò permetterà di approfondire alcuni
nodi chiave della storia del progetto e del suo lascito, dal punto di vista unico di chi a quel
progetto ha potuto partecipare in prima persona.

3
I. LA STORIA DEL PROGETTO CYBERSYN

1. Salvador Allende e Stafford Beer: due visioni che si incontrano


Spiegai per la prima volta al presidente Allende il modello cibernetico di un qualunque
sistema vitale (cosa che non ho fatto oggi: lo feci su un pezzo di carta che stava tra noi sul
tavolo). […] Esso consiste in una gerarchia a cinque livelli di sistemi. Sviluppai il primo,
il secondo, il terzo e il quarto livello. Quando arrivai al quinto tirai un gran respiro, pronto
a dire: “E questo, compañero presidente, siete voi”. Egli mi prevenne: “Ah – disse con un
ampio sorriso, non appena io disegnai l’ultima casella – finalmente il popolo”.1

Il 4 settembre 1970 Salvador Guillermo Allende Gossens, alla guida della coalizione di sinistra
a trazione marxista Unidad Popular, vince le elezioni cilene con il 36,3% dei voti.
Approfittando della spaccatura tra i suoi avversari, Allende stacca di un punto percentuale il
candidato conservatore Jorge Alessandri e di quasi dieci il democristiano Radomiro Tomic2.

Esattamente due mesi dopo, grazie anche al sostegno congressuale del Partito Democratico
Cristiano, Salvador Allende diviene ufficialmente il primo presidente marxista
democraticamente eletto della storia3.

Con la salita al potere di Allende ha inizio la breve stagione di riforme che, nelle intenzioni del
neoeletto presidente, avrebbe dovuto condurre il paese sulla “via cilena al socialismo”.4 Al
centro di questo programma riformista vi era un’intensa opera di nazionalizzazione delle
imprese cilene, prime fra tutte quelle legate all’estrazione del rame5.

1
Stafford Beer, “Fanfara per una libertà efficace: la prassi cibernetica nell’esercizio di governo”, in Fiorella De
Cidio, Giorgio De Michelis (a cura di), Il progetto Cybersyn: cibernetica per la democrazia, CLUP, Milano, 1980,
p. 168.
2
Donald J. Mabry, “Chile: Allende's Rise and Fall”, in
<https://web.archive.org/web/20061030015859/http://www.historicaltextarchive.com/sections.php?op=viewarti
cle&artid=671#>, consultato il 31 gennaio 2021.
3
Loris Zanatta, Storia dell’America Latina contemporanea, Editori Laterza, Roma-Bari, edizione 6, 2020, pp.
164-165.
4
“La vía chilena al socialismo”, in <www.cancilleria.gob.ar/institucional/patrimonio/archivo-historico-de-
cancilleria/la-chilena-al-socialismo>, consultato il 18 febbraio 2021.
5
Si veda in questo senso l’approvazione della Legge Nº 17.450 del 15 luglio 1971, che modificava la Costituzione
cilena prevedendo che “cuando el interés de la comunidad nacional lo exija, la ley podrá nacionalizar o reservar
al Estado el dominio exclusivo de recursos naturales, bienes de producción u otros bienes que declare de
importancia preeminente para la vida económica, social o cultural del país”.
Il testo integrale della legge è reperibile in <http://www.memoriachilena.gob.cl/602/w3-article-
96318.html#:~:text=Ley%20N%C2%BA%2017.450%2C%20esta%20enmienda,que%20declare%20de%20imp
ortancia%20preeminente>, consultato il 1 febbraio 2021.

4
Il processo di nazionalizzazione si pose fin da subito come una sfida difficile per le capacità
gestionali del paese. Questo non fu solo per la grande mole di aziende coinvolte e per la velocità
con cui avvennero le nazionalizzazioni. A queste complicazioni si aggiunse infatti l’elevato
numero di nuovi impiegati statali da gestire6, unito alla scarsità di personale qualificato
reperibile per dirigere le nuove aziende di stato7.

All’interno del governo cileno vi era un ristretto gruppo di persone che riteneva che la risposta
a buona parte di questi problemi fosse ricercabile attraverso l’uso della tecnologia. Tra questi
spiccava il giovane Fernando Flores, membro del MAPU8 e direttore generale tecnico della
Corporación de Fomento de la Producción (CORFO), l’organo statale nato per incrementare lo
sviluppo economico del paese e ora incaricato di gestire il recente processo di
nazionalizzazione delle industrie.

Sarà proprio Fernando Flores, nel luglio del 1971, a decidere di contattare Stafford Beer,
informatico britannico da anni impegnato nel campo della cibernetica. Per capire i motivi dietro
la scelta di Flores è necessario aprire una breve parentesi sulla figura di Stafford Beer, ponendo
particolare enfasi sulla sua visione in merito alla natura della cibernetica e al suo utilizzo9.
Perché, quindi, un giovane ingegnere cileno e un affermato accademico inglese si ritrovano a
collaborare ad un progetto ritenuto così importante per il futuro del paese?

Un primo punto d’incontro tra le ambizioni del governo cileno e il lavoro di Stafford Beer
risiede nelle similitudini concettuali tra la visione del socialismo di Allende e quella della
cibernetica di Beer.

Allende e il suo governo, Flores incluso, volevano traghettare il Cile verso il socialismo
attraverso un processo inedito e originale, ben diverso dall’esperienze dell’Unione Sovietica o
della Cina, ma anche della più vicina Cuba. Questo processo avrebbe dovuto permettere al
paese di mettere in atto importanti cambiamenti politici, sociali ed economici mantenendo, o

6
Numero in costante crescita, a causa della politica di lotta alla disoccupazione messa in atto dal governo cileno
nel medesimo periodo.
7
Eden Medina, Cybernetic Revolutionaries - Technology and Politics in Allende's Chile, The MIT Press,
Cambridge (MA), 2014, p. 5.
8
Movimiento de Acción Popular Unitaria, partito politico cileno di sinistra nato nel 1969 da una scissione
all’interno del Partito Democratico Cristiano e successivamente membro della coalizione a sostegno di Allende.
9
Per il momento sarà sufficiente concentrarsi su questi aspetti. Si rimanda al capitolo II sez. 1 per una più
approfondita trattazione della vita di Stafford Beer, del suo lavoro e del suo ruolo di primo piano nella
realizzazione del progetto Cybersyn.

5
addirittura rafforzando, l’infrastruttura democratica e le libertà civili che avevano retto per
decenni la società cilena10.

Questa visione di pianificazione democratica ben si sposava con le idee di Stafford Beer. Egli
riteneva infatti che la scienza, e in particolare la cibernetica, fosse lo strumento migliore per
ottenere un governo stabile e realmente democratico11. Data la sua concezione di democrazia,
che si riferiva principalmente ad un sistema di governo che prevedesse consistenti input
provenienti dal basso (cioè dalla popolazione), non stupisce che Beer ritenesse la visione di
Allende ben più encomiabile che l’idea di una pianificazione burocratica imposta
tecnocraticamente dall’alto.

In secondo luogo, alla convergenza teorica di ideali si aggiungeva una medesima visione
pratica dell’importanza della tecnologia all’interno dei processi governativi. Da un lato
Stafford Beer aveva teorizzato per anni la necessità di applicare la cibernetica e la ricerca
operativa12 ai processi decisionali, sia che venissero adottati da un’azienda privata che da un
governo su scala nazionale13. Dall’altro lato il governo Allende, ben prima di iniziare a lavorare
al progetto Cybersyn, aveva già intuito l’importanza dello sviluppo tecnologico per favorire la
trasformazione economica e produttiva del paese14.

Infine, un altro fattore che portò Flores a richiedere la consulenza di Stafford Beer sta nella
familiarità che l’ingegnere cileno già aveva con il lavoro e le idee di Beer e viceversa. Beer
infatti, nel corso degli anni ’60, era entrato in contatto con le dinamiche politiche ed
economiche cilene grazie a delle consulenze svolte per conto di industrie dell’acciaio e dei
trasporti operanti nel paese. Allo stesso tempo, Flores aveva letto e studiato con attenzione i
lavori dell’accademico britannico, oltre ad aver collaborato alla gestione di alcuni progetti delle
medesime aziende15.

10
Loris Zanatta, op. cit., p. 164.
11
Stafford Beer, “Fanfara per una libertà efficace”, op. cit., p. 119.
12
La ricerca operativa, più nota nella sua forma in lingua inglese “operational research”, è una branca dell’analisi
matematica in cui le decisioni in merito a problemi complessi vengono prese, a partire dai dati in proprio possesso,
ricorrendo a modelli matematici e metodi quantitativi avanzati (ad esempio simulazioni).
13
Katharina Loeber, “Big Data, Algorithmic Regulation, and the History of the Cybersyn Project in Chile, 1971–
1973”, in Big Data and the Human and Social Sciences, 2018, p. 4.
Hermann Schwember, “Politica e realtà tecnologica nel Cile di Allende”, citato da Fiorella De Cidio, Giorgio
14

De Michelis (a cura di), op. cit., p. 60.


15
Martin Collins, “Introductions”, in History and Technology, vol. 28 no. 4, 2013, p. 404.

6
Sarà principalmente per queste ragioni che, il 12 novembre del 1971, Stafford Beer sbarcherà
a Santiago de Chile. Da quel momento, e fino al golpe del 1973, lavorerà insieme a Flores ed
altri membri del governo cileno per dare vita al progetto che avrebbe dovuto congiungere la
sua visione della cibernetica con la visione di Salvador Allende per il futuro del paese.

2. Da semplice visione a “cervello elettronico” del paese

Trasformare la visione di Beer e Allende in realtà si rivelò da subito un compito a dir poco
arduo. Il paese, fin dall’insediamento del governo socialista, versava in condizioni difficili,
dove all’instabilità politica ed economica si sommavano le continue ingerenze statunitensi atte
a contrastare l’operato del governo e minarne la tenuta.16 In tutto ciò si inseriva la difficoltà
insita nel trasformare un’organizzazione (la CORFO) nata per sviluppare le forze produttive di
un’economia di mercato in una struttura di gestione e pianificazione centralizzata che avesse
come obiettivo primario il soddisfacimento dei bisogni delle masse17.

Una volta sviluppato un primo piano d’azione, Stafford Beer procedette alla creazione e
all’addestramento di due team specializzati, uno basato a Londra e uno a Santiago. 18 A questi
fu affiancato un gruppo seminariale composto non solo da tecnici e ingegneri (e da Beer stesso),
ma anche da biologi, psicologi, politologi ed esperti in comunicazione, evidenziando fin da
subito la natura intrinsecamente multidisciplinare del progetto19.

L’obiettivo principale, per quanto complesso da realizzare, era concettualmente semplicissimo,


e si basava su due domande chiave: cosa succede ogni giorno negli stabilimenti cileni? E in
quanto tempo è possibile conoscere tale informazione?

Per rispondere a questi due interrogativi fondamentali, venne realizzato un piano di lavoro
flessibile, privo di scadenze e linee guida troppo rigide, considerate in contrasto con la filosofia
del progetto stesso.

16
Appare premonitrice in questo senso una frase pronunciata poco prima delle elezioni cilene del 1970 dall’allora
consigliere per la sicurezza nazionale statunitense Henry Kissinger, dove asseriva che non vedeva “alcuna ragione
per cui ad un paese dovrebbe essere permesso di diventare marxista soltanto perché il suo popolo è irresponsabile”.
Citazione ripresa da Luciano Canfora, Esportare la libertà. Il mito che ha fallito, Arnoldo Mondadori Editore,
Milano, ed. II, 2008, p. 43.
17
Raul Espejo, “La prassi cibernetica nell’esercizio di governo: la gestione dell’industria in Cile”, in Fiorella De
Cidio, Giorgio De Michelis (a cura di), op. cit., p. 330.
18
Raul Espejo, “Cybernetics of Governance: The Cybersyn Project 1971–1973”, in Social System and Design,
2014, p. 80.
Hermann Schwember, “Il progetto Cybersyn: nuovi strumenti per la gestione dell’esperienza cilena”, in Fiorella
19

De Cidio, Giorgio De Michelis (a cura di), op. cit., p. 268.

7
L’orizzonte temporale sul lungo periodo venne comodamente fatto coincidere con i cinque
anni di mandato del presidente, all’epoca non rieleggibile. Nonostante la previsione fosse
pronta a rivelarsi tristemente ottimista, nel poco tempo in cui il progetto riuscì ad operare prima
del colpo di stato del 1973 esso non solo raggiunse, ma riuscì addirittura a superare gran parte
delle aspettative.20

Se l’obiettivo di partenza stava nel raccogliere informazioni aggiornate sulla produzione del
paese, il progetto non poté che partire dalla creazione di un’infrastruttura su scala nazionale
volta a mettere in comunicazione gli stabilimenti produttivi con una struttura centrale di
raccolta. Per realizzare questa infrastruttura, però, il Cile non poteva permettersi di acquistare
dall’estero la strumentazione necessaria, né tantomeno possedeva i mezzi per la realizzazione
in loco di nuove attrezzature.

Si decise per questo di ricorrere principalmente ai telex, un sistema telegrafico di


comunicazione a distanza operante tramite telescriventi e circuiti della rete telegrafica
pubblica21. Le telescriventi, infatti, erano già presenti nella maggior parte delle grandi aziende
cilene, mentre l’investimento per distribuirle anche a quelle più piccole era abbastanza
contenuto da essere alla portata della CORFO. Nel giro di quattro mesi, il sistema di “nervi per
attivare i tendini del governo”22 era stato creato, e prontamente denominato Cybernet. La quasi
totalità delle aziende cilene era ora in grado di trasmettere giornalmente le informazioni chiave
relative al suo stato di produzione al centro di commutazione di Santiago.

L’importanza rivoluzionaria di una rete di comunicazione così capillare ed efficiente non si


palesò subito, ma si mostrò in tutta la sua grandezza con lo sciopero dei camionisti dell’ottobre
del 1972. La sempre crescente instabilità economica, unita alle voci su una presunta volontà
della CORFO di nazionalizzare le industrie dei trasporti, portarono i sindacati dei camionisti
(riuniti nella Confederación Nacional del Transporte) a dichiarare uno sciopero nazionale il 9
ottobre 1972. Con l’appoggio economico e strategico della CIA e il sostegno della stampa

20
Hermann Schwember, “Il progetto Cybersyn”, op. cit., pp. 233-234.
21
Definizione ripresa da <https://www.treccani.it/vocabolario/telex/>, consultato il 3 marzo 2021.
22
Stafford Beer, “Cibernetica dello sviluppo nazionale sulla base dell’esperienza vissuta in Cile”, in Fiorella De
Cidio, Giorgio De Michelis (a cura di), op. cit., p. 197.

8
avversa al regime, lo sciopero riuscì in poco tempo a paralizzare il paese, esacerbando ancora
di più la grave crisi che il governo Allende stava ormai faticando a gestire.23

Con 40.000 trasportatori in sciopero, contro i soli 200 fedeli al governo, la situazione appariva
disperata. Fu a quel punto che intervenne il leader cileno del progetto Cybersyn, Fernando
Flores, che in poco tempo approntò un centro operativo emergenziale dove i vertici del governo
e di Cybersyn potevano riunirsi e monitorare le informazioni che ricevevano dai più di 2000
telex spediti ogni giorno da tutto il paese. Il flusso continuo di informazioni essenziali permise
al governo di coordinare velocemente le poche risorse disponibili ed impedire il collasso del
paese fino al cessare dello sciopero, avvenuto il 2 novembre 1972.24

Con la sconfitta dello sciopero di ottobre, la credibilità e il prestigio del progetto Cybersyn e
dei suoi creatori25 raggiunsero vette precedentemente inimmaginabili. Prima dello sciopero, gli
ingegneri del progetto potevano a malapena aspettarsi di essere ascoltati e compresi dalla
maggior parte dei politici. Ora invece, dopo che si furono palesate le sue potenzialità come
strumento di gestione, Cybersyn venne prontamente affidato ai manager più esperti del governo
e iniziò ad essere considerato come un vero e proprio strumento politico. Nacque così un nuovo
concetto di pianificazione all’interno del governo, dando inizio a quello che Beer stesso
denominò “il vero e proprio approccio cibernetico”26 cileno.

Parallelamente a tutto ciò, Stafford Beer e il suo team avevano ormai da mesi iniziato a lavorare
alla creazione della seconda componente del progetto Cybersyn: il programma Cyberstride. Lo
scopo principale del programma risiedeva nel filtrare l’elevato numero di informazioni ricevute
ogni giorno dai telex, isolarne le variabili più significative e avvisare chi di dovere (dagli
incaricati delle singole aziende fino alla CORFO stessa), nel caso in cui i valori riscontrati
fuoriuscissero dai limiti previsti.

La realizzazione di Cyberstride venne affidata a due gruppi di ingegneri in stretta


collaborazione tra loro: uno in Cile, guidato da Isaquino Benadof, e uno in Inghilterra, sotto il
controllo di Alan Dunsmuir. Mentre il team inglese si occupava della realizzazione e della

23
Susana Rojas, “Huelga de camioneros 1972 y 1973 - El paro que coronó el fin ó la rebelión de los patrones”, in
<http://web.archive.org/web/20160525152906/http://www.elperiodista.cl/newtenberg/1387/article-32642.html>,
consultato il 4 marzo 2021.
24
Eden Medina, “Designing Freedom, Regulating a Nation: Socialist Cybernetics in Allende’s Chile”, in Journal
of Latin American Studies, vol. 38, 2006, pp. 593-99.
25
In particolare, il suo ruolo di punta nella gestione della crisi permise a Fernando Flores di essere nominato da
Allende come nuovo ministro dell’economia.
26
Raul Espejo, “La prassi cibernetica”, op. cit., pp. 343-344.

9
codifica del programma, il team di Benadof si impegnò a prepararne la futura messa in pratica,
visitando gli impianti selezionati e individuando gli strumenti e le variabili da utilizzare.

Una versione provvisoria del programma venne consegnata al team cileno nel marzo del 1972
e il 21 dello stesso mese il programma generò il suo primo output. Il nuovo obiettivo divenne
collegare il neonato Cyberstride ad almeno 30 imprese del paese entro agosto, ma i lavori
procedettero fin da subito ad un ritmo ben superiore alle aspettative. Nel maggio del 1973 la
rete di Cyberstride arrivò ad includere il 26,7% delle industrie nazionalizzate, corrispondenti a
più di 100 industrie e a più del 50% delle rendite complessive delle aziende sotto il controllo
della CORFO.27 Nonostante la sua breve vita, operando per circa un anno e mezzo, Cyberstride
riuscì a mostrarsi fin da subito come un potentissimo strumento di pianificazione e gestione
dei problemi del governo, che consentiva di svolgere in maniera ottimale i compiti di
stanziamento e distribuzione delle risorse e permetteva una gestione agile ed efficace di crisi
ed emergenze.28

Parallelamente allo sviluppo di Cyberstride, si iniziò a lavorare alla realizzazione delle ultime
due componenti che andranno a formare la totalità del progetto Cybersyn, come immaginato
da Stafford Beer: il simulatore CHECO e la Stanza delle Operazioni29.

CHECO, acronimo di CHilean ECOnomy, nacque come un ambizioso progetto di simulazione


economica, in grado consentire al governo cileno di prevedere l’andamento dell’economia del
paese (sia in generale che a livello di singole industrie), permettendogli di gestire la
pianificazione in maniera ottimale e di prevenire le eventuali crisi prima che si verificassero.
Per la sua realizzazione, un ingegnere cileno si recò in Inghilterra per alcune settimane per
studiare l’utilizzo del compilatore DYNAMO30, e una volta tornato usò la sua esperienza per
addestrare un piccolo team locale.

27
Eden Medina, “Designing Freedom”, op. cit., p. 589.
28
Stafford Beer, “Cibernetica dello sviluppo nazionale”, op. cit., p. 203.
29
Lo scopo principale di questo capitolo è fornire una visione complessiva della parabola storica riguardante la
realizzazione e l’implementazione del progetto Cybersyn, con particolare riguardo al suo legame con l’evoluzione
del governo di Allende. Si rimanda al capitolo II, in particolare alla sez. 2, per una trattazione più tecnica e
dettagliata del progetto e delle sue quattro componenti principali: Cybernet, Cyberstride, CHECO e Opsroom.
Accanto a queste quattro componenti, inoltre, vennero teorizzati e in parte sviluppati una serie di progetti paralleli,
tra cui una stanza delle operazioni specifica per l’industria alimentare e un tentativo di integrare il simulatore
CHECO all’interno delle rappresentazioni di Opsroom. Gli scarsi risultati ottenuti da questi lavori, quasi tutti
interrotti in fase embrionale dal golpe del 1973, rendono la loro trattazione superflua in questa sede. Per
approfondire i progetti menzionati si rimanda al già citato saggio di Hermann Schwember.
30
Un compilatore è un programma eseguibile da un calcolatore che traduce una serie di istruzioni in un linguaggio
comprensibile dal calcolatore stesso. Nello specifico, il programma DYNAMO venne creato dall’ingegnere del

10
A metà del 1972 il team era pronto per iniziare i lavori, ma i primi risultati, ottenuti sfruttando
le statistiche nazionali disponibili, si rivelarono inaccurati, probabilmente a causa della natura
poco aggiornata dei dati utilizzati.31 Una volta constatato il fallimento, il team continuò a
lavorare per migliorare il modello, arrivando a un buon livello di sviluppo nel marzo del 1973.
Nonostante questi soddisfacenti risultati in fase di progettazione, lo scarso numero di
applicazioni, la loro poca continuità e la loro breve durata resero impossibile trarre delle
conclusioni definitive sull’effettivo contributo che riuscì a dare il simulatore CHECO al
progetto di Beer e Allende32.

A coronare il disegno visionario di Stafford Beer troviamo infine l’ideazione del centro
gestionale dell’intero progetto: la Sala delle Operazioni della CORFO, anche detta “Opsroom”.
La Sala era costituita da un’ampia stanza esagonale, dove ad ogni parete corrispondeva un
complesso di schermi, proiettori e altri strumenti atti a rappresentare i dati raccolti da Cybersyn,
la loro elaborazione (con grafici, previsioni e simulazioni) ed altre eventuali informazioni
ritenute rilevanti. Al centro della sala erano disposte sette sedie girevoli, ognuna dotata di una
tastiera di comandi per controllare le proiezioni alle pareti, oltre che di un portabicchieri per i
cocktail e di un posacenere per i sigari (questi ultimi due su esplicita richiesta di Beer).33

Un primo prototipo della stanza venne realizzato a Santiago a partire dal novembre 1972, per
diventare operativa nell’aprile dell’anno successivo, dimostrando subito il suo grande
potenziale come centro di gestione decisionale. Allende, sempre più entusiasta del progetto,
diede ordine, l’8 settembre del 1973, di spostare la sala direttamente all’interno del palazzo
presidenziale de La Moneda.34

Sfortunatamente ciò non poté avvenire, poiché il declino politico, sociale ed economico del
paese, ormai inarrestabile, sarebbe culminato, solo tre giorni dopo, con il colpo di stato guidato
dal generale Augusto Pinochet e sostenuto dai servizi segreti statunitensi. Venne così
forzatamente posta fine all’esperienza del governo marxista-democratico di Allende, alla vita
del presidente stesso e, poco dopo, anche a quella del progetto Cybersyn.

M.I.T. Jay Forrester, del cui lavoro Stafford Beer era da anni un estimatore. Questo programma venne scelto come
strumento per la realizzazione di CHECO per la sua flessibilità e la sua struttura semplice e ben collaudata.
31
Stafford Beer, Brain of the Firm, Wiley, Chichester, edizione 2, 1981, p. 267.
32
Hermann Schwember, “Il progetto Cybersyn”, op. cit., p. 301.
33
Felix Maschewski e Anna-Verena Nosthoff, “L’utopia del tecnostato”, in Internazionale, 13 luglio 2018
34
Eden Medina, “Designing Freedom”, op. cit., pp. 589-594.

11
3. Il golpe di Pinochet e la fine di Cybersyn
Quando cadde il governo di Allende, erano passati quasi due anni dall’arrivo in Cile di Stafford
Beer, Cybernet funzionava a pieno regime, e Cyberstride era ormai operativo (anche se ancora
in espansione) da quasi un anno e mezzo. Nonostante ciò, col progredire della crisi la vita del
progetto iniziò a diventare sempre più tormentata. Le nuove idee non riuscivano ad essere
implementate, e i vecchi strumenti già operativi iniziavano a non essere più in grado di gestire
una situazione sempre più caotica e imprevedibile.35 La produzione altalenante, l’inflazione
alle stelle, la crescita del mercato nero e le ingerenze statunitensi sono solo alcune delle
variabili che rendevano la creazione di modelli economici affidabili impossibile, anche per un
sistema visionario come Cybersyn.

Nonostante la tragicità della situazione, quando nel luglio 1973 la Confederación Nacional del
Transporte annunciò un nuovo sciopero nazionale il team di Cybersyn non era ancora
completamente disilluso. Numerosi ingegneri e politici erano convinti di poter vincere anche
questa battaglia.36 Quando però le forze golpiste del generale Pinochet, partite da Valparaíso
la mattina dell’11 settembre, giunsero in poco tempo nella capitale e assediarono il palazzo
presidenziale, si spense anche l’ultimo lume di speranza nei cuori del governo e, di
conseguenza, anche in quelli del team di Cybersyn.

Una volta preso il potere e ritrovatisi tra le mani i resti del progetto Cybersyn, Pinochet e i suoi
militari tentarono a più riprese di capirne i concetti teorici e le applicazioni pratiche. Il
fallimento di questi tentativi, unito alla poca utilità di un programma di pianificazione
economica nell’ottica del neoliberismo figlio della Scuola di Chicago che avrebbe presto
adottato il nuovo governo, portarono in poco tempo alla decisione di smantellare l’intero
progetto.37

La maggior parte di chi prese parte alla creazione di Cybersyn riuscì fortunatamente a
sopravvivere, in un modo o nell’altro, al colpo di stato. Fernando Flores, dopo tre anni di
prigionia, venne costretto all’esilio e si trasferì con la sua famiglia in California, per poi
ritornare alla vita politica in Cile negli anni 2000. Stafford Beer, che al momento del golpe si

35
Raul Espejo, “Cybernetics of Governance”, op. cit., p. 85.
36
Raul Espejo, “La prassi cibernetica”, op. cit., p. 345.
37
Eden Medina, “Designing Freedom”, op. cit., p. 606.

12
trovava a Londra, si prodigò per aiutare quanti più possibile dei suoi ex collaboratori a fuggire
dalla repressione del nuovo governo. Una volta fatto ciò, rinunciò a buona parte dei suoi averi
e si ritirò in un piccolo cottage a Lampeter, nel centro del Galles. Passerà il resto della sua vita
diviso tra il Galles e Toronto, dove viveva la compagna e collaboratrice Allenna Leonard.38
Morirà nell’agosto del 2002, a 75 anni.39

In generale, quasi tutti i partecipanti al progetto hanno affermato che quanto vissuto in quegli
anni ha profondamente cambiato la loro vita, e molti di loro hanno continuato a lavorare come
ingegneri, ricercatori universitari e consulenti per grandi aziende e governi, portando con loro
l’esperienza fatta durante la breve parentesi del socialismo cibernetico cileno. 40

38
Magnus Ramage, Karen Shipp, System Thinkers, Springer-Verlag London, Londra, 2009, p. 192.
39
"Obituaries: Stafford Beer", in <www.telegraph.co.uk/news/obituaries/1405557/Stafford-Beer.html>,
consultato il 5 marzo 2021.
40
Eden Medina, “Designing Freedom”, op. cit., p. 606.

13
II. LA TECNOLOGIA DEL PROGETTO CYBERSYN

1. Stafford Beer e il Viable System Model

Nato a Londra nel 1926, fin dall’adolescenza Stafford Beer mise in mostra il suo lato
anticonvenzionale e poco propenso a seguire modelli sovraimposti. Dopo essersi fatto espellere
dalle scuole superiori a 17 anni, poco stimolato dagli insegnamenti impartitivi, decise di
studiare filosofia e psicologia presso lo University College di Londra. Dopo appena un anno,
raggiunta la maggiore età, abbandonò l’università per arruolarsi nell’esercito nel pieno del
secondo conflitto mondiale.41

Nonostante queste iniziali carenze nella sua carriera accademica, nel corso della sua vita Beer
riuscì a guadagnarsi, oltre ad un dottorato presso l’Università di Sunderland, diversi titoli
accademici onorari e il ruolo di visiting professor alla Manchester Business School, che
avrebbe ricoperto per ben 24 anni.42

Lasciato l’esercito nel 1949, Beer iniziò a lavorare presso la United Steel di Samuel Fox,
all’epoca la più grande compagnia nel campo dell’acciaio di tutto il Regno Unito. Lì vi creò e
guidò il Gruppo di Ricerca Operativa e, una volta divenuto Capo della Ricerca Operativa e
Cibernetica presso l’azienda madre, diresse l’installazione del primo computer della storia
adibito unicamente al management cibernetico. Venne successivamente assunto dalla Metra
International, per conto della quale diede vita a SIGMA, la prima agenzia di consulenza
cibernetica del Regno Unito. 43

Sarà proprio tramite SIGMA che Stafford Beer entrerà in contatto per la prima volta con
l’ambiente produttivo cileno, lavorando dal 1962 come consulente per alcuni imprenditori
nell’industria dell’acciaio.44 A partire dal 1970 iniziò la sua carriera come consulente

41
"Obituaries: Stafford Beer", in <www.telegraph.co.uk/news/obituaries/1405557/Stafford-Beer.html>,
consultato il 5 marzo 2021.
42
Magnus Ramage, Karen Shipp, op. cit., p. 189.
43
“Curriculum Vitae di Stafford Beer”, in <http://www.oocities.org/gicabezas/Beer.html>, consultato il 5 marzo
2021
44
Eden Medina, “Designing Freedom”, op. cit., p. 577.

14
indipendente, lavorando con organizzazioni come le Nazioni Unite e l’UNESCO e con diversi
paesi dell’America Latina, tra cui il Messico, l’Uruguay, il Venezuela e, ovviamente, il Cile.45

L’interesse di Beer per la cibernetica nacque però più di 20 anni prima del progetto Cybersyn.
Già nel 1950, infatti, egli rimase rapito dalla lettura di Cybernetics, lavoro visionario del
matematico britannico Norbert Wiener, con cui si mise presto in contatto. Egli fu subito
stregato dalle idee e dalla brillantezza di Beer, e lo invitò a visitarlo all’M.I.T. Lì Beer divenne
studente del biologo Warren McCulloch e strinse una duratura amicizia personale con lo stesso
Wiener.

A partire da questo periodo, e per tutti gli anni successivi, Beer iniziò a lavorare alle proprie
teorie originali sulla cibernetica e sul suo utilizzo come strumento per il cambiamento sociale.46
Tra queste troviamo anche la teorizzazione del Viable System Model, che diverrà una delle
basi concettuali principali di Cybersyn e verrà inizialmente descritto da Beer in Brain of the
Firm, opera scritta proprio durante il suo impiego presso il governo cileno.47

Il VSM consiste in un modello organizzativo per sistemi complessi. Un sistema a cui possa
essere applicato tale modello (definibile quindi un sistema vitale) possiede due caratteristiche
fondamentali: la vitalità e la ricorsione. La prima di queste, la vitalità, esprime la capacità di
un sistema di sopravvivere all’interno di un ambiente mutevole. Ciò implica che un sistema
vitale sia necessariamente dotato di controllo omeostatico,48 cioè la capacità di mantenere le
proprie variabili critiche essenziali entro dei valori limite a prescindere dalle variazioni
dell’ambiente, imparando o autoadattandosi.

La seconda caratteristica fondamentale dei sistemi vitali nel modello di Beer, la ricorsione,
corrisponde all’idea che tutti i sistemi vitali contengano a loro volta sistemi vitali e siano essi
stessi contenuti in sistemi vitali. Da qualsiasi livello di ricorsione lo si guardi, quindi, l’intero
modello è riscritto in ogni elemento del modello stesso, e così all’infinito.49

45
Magnus Ramage, Karen Shipp, op. cit., p. 189.
46
Eden Medina, “Designing Freedom”, op. cit., p. 577.
47
Raul Espejo, “Cybernetics of Governance”, in op. cit., p. 80.
48
I concetti di vitalità e omeostasi, come presentati da Stafford Beer, ricordano per alcuni tratti il concetto di
autopoiesi teorizzato dai biologi cileni Humberto Maturana and Francisco Varela. Nel loro libro del 1972, De
maquinas y seres vivos (Sulle macchine e gli esseri viventi), i due biologi fanno numerosi riferimenti alla presenza
costante delle idee cibernetiche nei loro studi biologici, e definiscono l’autopoiesi come la capacità di un
organismo di ridefinire e riprodurre sé stesso per mantenersi in vita. Maturana e Varela collaboreranno con Beer
durante la realizzazione di Cybersyn, tenendo delle conferenze davanti ai membri del team di sviluppo.
49
Stafford Beer, “Fanfara per una libertà efficace”, op. cit., pp. 122-125.

15
Il concetto di ricorsione così esposto ci permette di capire gli sforzi fatti dal team di Cybersyn
per superare la dicotomia tra centralizzazione e autonomia nella gestione dell’industria cilena.
All’interno del sistema produttivo cileno vennero individuati 12 livelli (o niveau) ricorsivi, dal
singolo lavoratore fino alla nazione centrale, passando per le singole aziende, la CORFO e il
governo centrale (fig. 1). Ognuno di questi livelli era dotato di una certa dose di indipendenza
(varietà orizzontale), contrastata dalla sua dipendenza dal livello superiore. L’obiettivo di
Cybersyn fu quello di regolare l’intero sistema sottraendo ogni volta solo quella dose di varietà
orizzontale necessaria a mantenere coeso il sistema, lasciando quindi sempre prevalere
l’autonomia sul controllo.50

Figura 1 – I 12 livelli di ricorsione teorizzati per Cybersyn, ognuno corrispondente a un sistema vitale. 51

Seguendo il principio ricorsivo, poi, le componenti orizzontali di un livello diverranno la


componente verticale del livello successivo, e così via fino all’ultimo niveu. Ad esempio, i
diversi dipartimenti di un’azienda rappresentano la componente orizzontale del livello 4 e
rispondono verticalmente all’azienda nel complesso, posta a livello 5. Diventano però la forza
di controllo verticale quando si va a vedere il livello 3, dove l’autonomia orizzontale è quella
dei singoli reparti all’interno di un dipartimento scelto.

50
Stafford Beer, “Cibernetica dello sviluppo nazionale”, op. cit., p. 194.
51
Hermann Schwember, “Il progetto Cybersyn”, op. cit., p. 245.

16
Come abbiamo già visto, ognuno di questo livelli è di per sé un sistema vitale. Analizzeremo
ora nel dettaglio uno di questi livello, ovvero il livello 9, corrispondente alla CORFO. Tra i
primi atti di Beer in Cile vi fu infatti la ristrutturazione dell’intera CORFO, per adeguarla il più
possibile ai principi dell’organizzazione cibernetica e farle adottare una vera e propria struttura
vitale.52 Analizzare la nuova struttura della CORFO ci permetterà quindi di vedere quali sono,
secondo Beer, i cinque sotto-sistemi che compongono qualsiasi sistema vitale e quale sia il loro
compito.

Sottosistema 1: sono i centri di comando delle “unità attive”, cioè di quelle unità che si
occupano di eseguire le attività necessarie alla sopravvivenza del sistema. Facendo un paragone
biologico53, in un corpo umano le unità attive sono ad esempio le gambe (per muoversi) o il
cuore (per far circolare il sangue). Il sistema 1 trasmette gli ordini a queste unità e ne riporta le
reazioni. Nel corpo umano corrisponde quindi a quell’insieme di nervi, sinapsi e recettori che
collegano il sistema nervoso centrale alle diverse unità attive.54 Nella CORFO ristrutturata il
sistema 1 era invece rappresentato dai manager di coordinamento delle sette linee in cui erano
state raggruppate le aziende (le unità attive).

Sottosistema 2: si occupa di elaborare e controllare tutte le informazioni che il sistema 1 riceve


dalle unità attive e che non siano state inoltrate direttamente al sistema 3. Oltre a fare questo
lavoro, il sistema 2 si occupa anche di tradurre e dettagliare le istruzioni provenienti dal sistema
3 per renderle utilizzabili dal sistema 1. Questo importante ruolo di raccordo viene svolto nel
corpo umano dal midollo spinale, mentre nella CORFO dal neonato ufficio di coordinamento.55

Sottosistema 3: è il centro di programmazione delle attività di routine dell’intero sistema. Si


occupa di ricevere le informazioni più importanti (quelle che possono compromettere
facilmente l’equilibrio) e di dare ordini per le varie attività, che verranno poi specificate e
dettagliate ai sistemi inferiori. Essendo completamente separato dall’ambiente in mutamento,
il sistema 3 ha la tendenza ad essere restio al cambiamento. Nell’organismo umano un ruolo
simile a quello del sistema 3 è svolto in concomitanza da mesencefalo, medulla, cervelletto e

52
Hermann Schwember, “Il progetto Cybersyn”, op. cit., pp. 250-258.
53
Come abbiamo già visto accennando al lavoro di Maturana e Varela, non sono rari i punti di contatto tra la
biologia e la cibernetica. Lo stesso Beer si ispirò al funzionamento del sistema neurobiologico umano per
teorizzare il suo VSM, come riportato in Eden Medina, “Designing Freedom”, op. cit., p. 583.
54
Stafford Beer, Brain of the Firm, op. cit., pp. 100-102.
55
Eden Medina, Cybernetic Revolutionaries, op. cit., p. 37.

17
ponte di Varolio.56 Nella CORFO venne invece stata creata un’apposita struttura di General
Management.

Sottosistema 4: si occupa della fondamentale funzione di esplorazione dell’ambiente esterno e


del futuro. Nel corpo umano ciò avviene tramite i sensi, le cui percezioni sono inviate alla parte
interna del cervello (diencefalo, gangli basali e terzo ventricolo).57 Per la CORFO vennero
create apposite unità per la pianificazione complessiva, il controllo degli investimenti e il team
centrale di Cybersyn.

Sottosistema 5: è il sistema di direzione superiore. Si occupa di prendere le decisioni in grande


scala, come decidere se investire sul presente o sul futuro o se prendere o meno una decisione
altamente rischiosa. Si occupa di conciliare le spinte conservatrici del livello 3 con la tensione
verso il futuro del livello 4. Nel corpo umano corrisponde alla corteccia cerebrale, mentre nella
CORFO alla figura del vicepresidente esecutivo e al suo staff ristretto.

Una volta vista la teoria alla base del Viable System Model e una parte della sua applicazione
al progetto Cybersyn, possiamo ora passare ad analizzare più nel dettaglio il progetto stesso e
le sue componenti, vedendo in che misura vi si possano ritrovare i concetti appena esposti.

2. Dentro la macchina: il funzionamento di Cybersyn


Come già visto nel capitolo I sez. 2, all’interno del progetto Cybersyn nel suo complesso
arrivarono a svilupparsi quattro componenti principali, ognuna profondamente legata alle altre,
così come tutte risultavano profondamente legate alle idee e alle teorie di Beer appena viste.

Nello specifico, guardando al VSM e alla ristrutturazione della CORFO, i programmi Cybernet
e Cyberstride risultavano indispensabili per la raccolta e la trasmissione di informazioni
effettuate dal Sottosistema 2, mentre il simulatore CHECO e la Stanza delle Operazioni
figuravano tra gli strumenti ideali per le attività di coordinamento e pianificazione futura svolte
dal Sottosistema 4.58

56
Stafford Beer, Brain of the Firm, op. cit., p. 99.
57
Eden Medina, Cybernetic Revolutionaries, op. cit., p. 37.
58
Eden Medina, “Designing Freedom”, op. cit., p. 591.

18
2.1 Cybernet e Cyberstride

Seguendo l’ordine cronologico, la prima componente di Cybersyn ad essere realizzata fu la


rete Cybernet, che vide la luce già nel marzo del 1972. Come abbiamo già visto, lo scopo
principale di Cybernet era la raccolta e la trasmissione, tramite telex, dei dati relativi alla
produzione nelle varie aziende nazionalizzate. Una volta collegate le aziende dell’intero paese
alla rete Cybernet, la CORFO fu quindi in grado di raccogliere un quantitativo immenso di
informazioni trasmesse giornalmente.

La strumentazione limitata di cui disponeva il team di Cybersyn non era certamente in grado
di analizzare un tale quantitativo di informazioni nella sua totalità. Inoltre, i dati ricevuti
facevano riferimento alle informazioni più disparate: tonnellate di materiale prodotto,
escudos59 di profitti, decine di lavoratori impiegati.

Per ovviare al problema vennero innanzitutto inviati dei team di ricerca operativa nei vari
stabilimenti per individuare di volta in volta una serie di variabili critiche da tenere sotto
osservazione. Per fare ciò si decise di fare ampio uso di un tipo di modello facilmente
visualizzabile denominato flowchart quantificato. Brevemente, un flowchart quantificato è una
mappa dei flussi di produzione dove vengono tracciate delle linee di flusso proporzionate alla
effettiva quantità di flusso che rappresentano e dove le operazioni chiave sono poste nei punti
di convergenza tra linee, sotto forma di rettangoli di dimensioni proporzionali alla loro capacità
produttiva.

Il pregio principale dei flowchart quantificati, e il motivo per cui vennero scelti dal team di
Cybersyn, risiede nella loro capacità di ridurre drasticamente la varietà di un sistema,
eliminando così il problema del sovraccarico di informazioni.60 Come avviene questa riduzione
della varietà? Innanzitutto, grazie alla possibilità di selezionare il grado di risoluzione
desiderato. Per fare un esempio molto semplice, si può rappresentare nel disegno un singolo
blocco che indichi la produzione agricola nel complesso, oppure tre blocchi più piccoli per tre
diversi tipi di produzione (frutta, verdura e cereali). In secondo luogo, un flowchart permette
di rappresentare in maniera chiara e facilmente visualizzabile i flussi di produzione,

59
Dal 1960 al 1975 la valuta cilena è stata l’escudo, che andava a sostituire il peso cileno, in vigore dal 1817. A
partire dal 1975 il peso cileno è ritornato ad essere la moneta ufficiale del paese, con un tasso di conversione di 1
peso ogni 1000 escudos.
60
Stafford Beer, “Fanfara per una libertà efficace”, op. cit., p. 141.

19
individuando facilmente le variabili più significative e i cosiddetti colli di bottiglia, cioè i punti
in cui il flusso diminuisce a causa di un singolo componente del sistema.61

Figura 2 - Flowchart quantitativo della linea di produzione di un'azienda di frutta in scatola.62

Una volta identificate le variabili più significative,63 rimaneva però il problema della grande
varietà di dati misurati in maniera differente, difficili da gestire per la strumentazione di cui il
team era in possesso. Per questo motivo si procedette a ridurre ogni dato ricevuto in tre indici
che potessero assumere un valore compreso tra 0 e 1. Ad ogni variabile critica individuata
vennero innanzitutto associati due valori. Il primo di questi, la capacità, indicava il valore che
avrebbe assunto la variabile nel caso in cui l’intero sistema così com’era avesse funzionato
perfettamente. A questa si aggiungeva la potenzialità, cioè il valore che avrebbe potuto
assumere la variabile se il sistema fosse stato migliorato (ad esempio eliminando i colli di
bottiglia). Va da sé che la potenzialità è sempre superiore alla capacità, dato che non esistono
sistemi non migliorabili. Infine, ogni giorno Cybernet raccoglieva un terzo dato indicizzato,
quello relativo al valore effettivamente assunto dalla variabile, ovvero la realtà.

È a questo punto entra in gioco il programma Cyberstride. I valori di ogni variabile significativa
vengono raccolti ogni giorno da Cybernet vengono ora confrontati con la capacità e la

61
Immaginiamo ad esempio un’azienda che produca cibo in scatola. Se le macchine che si occupano di raccogliere
e inscatolare il cibo operassero in maniera altamente efficiente, ma la macchina che si occupa di applicare le
etichette sulle scatole fosse eccessivamente lenta, si incorrerebbe in un rallentamento forzato della produzione.
Avremmo quindi un collo di bottiglia a livello dell’etichettatura, risolvibile migliorando l’efficienza della
macchina o affiancandogliene altre.
62
Hermann Schwember, “Il progetto Cybersyn”, op. cit., p. 286.
63
È il caso di evidenziare che, nell’ottica di favorire un maggiore coinvolgimento dei lavoratori nel progetto, la
possibilità di segnalare una variabile significativa non fu data solo ai team di esperti inviati a visitare gli
stabilimenti, ma anche a delle apposite commissioni di lavoratori istituite negli stabilimenti stessi.

20
potenzialità della variabile, estratte dalla memoria di Cyberstride. Il rapporto tra questi valori
indicizzati è un dato che viene raccolto giornalmente per ogni variabile significativa, con
risultati che tendono a variare di giorno in giorno. Diviene ora di fondamentale importanza
capire se queste variazioni siano una semplice variazione fortuita o abbiano un significato più
importante. Questo era il punto centrale del programma Cyberstride.64

A questo scopo venne impiegata la teoria bayesiana della probabilità per determinare se un
nuovo valore calcolato corrispondesse a: una variazione casuale, un fenomeno transitorio, un
cambiamento di pendenza o un cambiamento prodotto da una funzione a gradino (figura 3).
Gli ultimi due casi sono gli unici degni di nota, che fanno sì che l’azienda venga
immediatamente informata.

Figura 3 – Probabilità future possibili calcolabili da Cyberstride65

Come abbiamo già visto, tra gli obiettivi principali del sistema ideato da Beer vi era la massima
tutela possibile della libertà e dell’autonomia delle singole unità, pur tenendo in conto un
minimo livello di dipendenza che garantisse la stabilità del sistema. Con questa idea alla base,

64
Stafford Beer, “Cibernetica dello sviluppo nazionale”, op. cit., p. 194.
65
Stafford Beer, “Fanfara per una libertà efficace”, op. cit., p. 154.

21
venne previsto un meccanismo che calcolasse ogni volta un tempo di risposta appropriato entro
cui i manager dell’azienda avrebbero dovuto prendere provvedimenti una volta avvisati di un
problema riscontrato da Cyberstride.66

Superato questo tempo senza che il programma individuasse dei miglioramenti, esso avrebbe
provveduto ad avvertire il livello di ricorsione di volta in volta superiore. Questi segnali, inviati
da Cyberstride a partire dal livello di ricorsione più vicino al problema individuato, prendevano
il nome di segnali algedonici.67

2.2 Opsroom e CHECO

Una volta implementati Cybernet e Cyberstride, si era finalmente in grado di disporre


quotidianamente di informazioni utili, dettagliate e appropriatamente filtrate sull’intero
apparato produttivo cileno. Come si poteva però rendere queste informazioni computerizzate
facilmente accessibili per degli esseri umani? E in particolare, come le si poteva rendere
comprensibili a chi di esperienza con cibernetica e computazione ne aveva ben poca? Parliamo
in questo caso dei manager e dei politici, fondamentali per la programmazione a lungo termine,
ma anche dei lavoratori, considerati un elemento da coinvolgere quanto più possibile nei
processi decisionali.

La risposta a queste necessità venne dalla componente più fisica e tangibile, ma allo stesso
tempo forse più visionaria, dell’intero progetto. Descritta come un incrocio tra una vecchia sala
da guerra68 e una stanza futuristica uscita direttamente da una pellicola di Kubrik69, la Stanza
delle Operazioni altro non era che una stanza esagonale con al centro sette poltrone girevoli e
con alle pareti una moltitudini di schermi e proiettori. Questi strumenti avevano lo scopo di
rappresentare nel modo più chiaro possibile le informazioni ricevute e processate ogni giorno
e le proiezioni future fatte a partire da esse. Possiamo ora procedere ad analizzare quali erano
nel dettaglio gli strumenti alle pareti di Opsroom (figura 4).

66
Stafford Beer, “Fanfara per una libertà efficace”, op. cit., p. 157.
67
L’uso del termine è legato agli studi di Beer nel campo della neurocibernetica, dove per segnali algedonici si
intendono i segnali nervosi inviati dal corpo relativi al piacere o al dolore e che stimolano una reazione utile per
la sopravvivenza dell’organismo. Un esempio di segnale algedonico è la sensazione di dolore provata da una
mano a contatto con una superficie rovente, che spinge il corpo a spostarla velocemente.
68
Stafford Beer, “Fanfara per una libertà efficace”, op. cit., p. 168.
69
Felix Maschewski e Anna-Verena Nosthoff, “L’utopia del tecnostato”, art. cit.

22
Il primo di questi era costituito da una coppia di schermi algedonici affiancati. Sul primo di
questi schermi (a: Schermo d’eccezione) venivano mostrati i valori quotidiani degli indicatori
calcolati da Cyberstride per il livello di ricorsione scelto e gli eventuali segnali d’allarme
provenienti da quel livello.70 Sul secondo (b: Schermo algedonico vero e proprio) venivano
visualizzati con colori diversi i problemi individuati ai vari livelli di ricorsione: in verde quelli
risolvibili al proprio livello, in giallo quelli che erano stati inoltrati al livello immediatamente
superiore e in rosso quelli che richiedevano un intervento dai livelli superiori. Nonostante
l’idea originale fosse di creare un programma che attivasse in automatico gli schermi, a causa
delle restrizioni di tempo e budget chi era nella stanza era costretta ad attivarli ogni volta
manualmente.

Figura 4 - Le pareti di Opsroom corredate dalle rappresentazioni degli strumenti presenti.71

La totalità della parete successiva era invece dedicata all’imponente struttura di Datafeed (c.),
composta da tre schermi dati più piccoli sormontati da un imponente schermo indice. In totale,
gli schermi dati erano in grado di mostrare quasi 1200 diapositive diverse, selezionabili tramite

70
Stafford Beer, “Fanfara per una libertà efficace”, op. cit., p. 171.
71
“Opsroom/3D”, in <http://www.cybersyn.cl/ingles/cybersyn/ventanas/opsroom_3d.html>, consultato il 11
marzo 2021.

23
una pulsantiera posta sul bracciolo destro di ogni poltrona. In questo modo, quando gli input
in tempo reale (mostrati sugli schermi algedonici) rendevano necessarie delle informazioni di
supporto, i flowchart che contenevano queste informazioni potevano essere facilmente
richiamati tramite lo schermo indice e visualizzate sugli schermi dati di Datafeed. 72

Nelle due pareti a seguire, oltre alle porte che collegavano la stanza al resto dell’edificio, vi era
solo una semplice lavagna di sughero (d.) usata per attaccare note e scrivere dati e idee.

La parete seguente era invece dedicata interamente a una lavagna magnetica (e.) usata per
rappresentare le simulazioni ottenute dal programma CHECO utilizzando il compilatore
DYNAMO. L’utilizzo di una lavagna magnetica animata permise di risolvere facilmente la
grande contraddizione del rappresentare una simulazione dinamica con un’immagine statica. I
magneti flessibili usati, facilmente manipolabili dagli operatori, facevano infatti sì che l’intera
rappresentazione non fosse un semplice flowchart statico, bensì un’immagine dinamica
modificabile in tempo reale.73 Lo scopo iniziale era di usare questa lavagna sia come strumento
di supporto per il team a lavoro su CHECO che come strumento utile ai funzionari politici per
discutere le decisioni economiche da prendere e le loro conseguenze. Come abbiamo già visto,
benché la lavagna in sé funzionasse perfettamente, il programma CHECO non riuscì mai a
fornire delle simulazioni precise e affidabili nel corso della sua vita. Per questo motivo, l’uso
stesso della lavagna presente in Opsroom non raggiunge mai il suo pieno potenziale.74

Sull’ultima parete, oltre a due schermi di supporto (f.) usati per le comunicazioni e la
proiezione di testi e immagini, venne installato uno schermo illuminato e animato (g.)
rappresentante il modello neurocibernetico nel suo insieme. Su questo schermo venivano di
volta in volta rappresentati i sottosistemi vitali del livello selezionato, collegati tra loro da linee
illuminate a tre diverse velocità e affiancati da rappresentazioni grafiche dei tre indici calcolati
da Cyberstride per quel livello.75

Al centro della sala erano infine disposte, a formare un cerchio, le sette sedie girevoli adibite
al gruppo che di volta in volta avrebbe dovuto riunirsi nella Stanza delle Operazioni. Il numero
sette non era casuale. Secondo gli studi di Beer, un gruppo decisionale composto da massimo

72
Hermann Schwember, “Il progetto Cybersyn”, op. cit., pp. 306-307.
73
Stafford Beer, “Fanfara per una libertà efficace”, op. cit., p. 177.
74
Stafford Beer, “Cibernetica dello sviluppo nazionale”, op. cit., p. 212.
75
Hermann Schwember, “Il progetto Cybersyn”, op. cit., p. 305.

24
sette individui era in grado massimizzare lo scambio creativo di opinioni ed evitare al contempo
che le relazioni interpersonali si deteriorassero e si ricorresse a un comportamento formale.76

3. Marxismo cibernetico?

Abbiamo già approfondito, nel primo capitolo, come alla base dell’intero progetto vi fosse una
significativa comunanza di idee e intenti tra i suoi creatori. Partendo da questo concetto, dopo
quanto illustrato nelle pagine precedenti, è forse giunto il momento di chiedersi quanto, e in
che modo, la cibernetica di Beer e il socialismo cileno di Allende siano effettivamente riusciti
a congiungersi in maniera organica nel progetto.

Possiamo definire la filosofia di Cybersyn come la semplice somma delle idee dei suoi creatori?
O sarebbe più opportuno definirla un’idea nuova e originale, che prende spunto dalle basi
teoriche citate, ma si sviluppa autonomamente con una forma propria? Si può forse dire che
con Cybersyn il mondo si sia trovato per la prima volta di fronte all’idea di un “marxismo
cibernetico”? Per rispondere a queste domande è utile, come prima cosa, analizzare fino a che
punto arrivasse la vicinanza teorica tra Beer e il governo cileno.

Va innanzitutto specificato che Stafford Beer, per quanto più volte autodefinitosi un socialista,
non era un marxista e non mostrò mai alcun interesse per concetti marxisti come il conflitto di
classe o la trasformazione rivoluzionaria della società. Allo stesso modo, in nessuno dei suoi
lavori vi è menzione di un’influenza rilevate di qualsivoglia ideologia politica nella
realizzazione dei suoi modelli organizzativi.77 Per Beer la cibernetica, in quanto “scienza
dell’organizzazione efficace”,78 andava vista come uno strumento neutrale, privo di
un’ideologia propria, ma in grado di adattarsi a quella del suo contesto di applicazione.79

È evidente a questo punto come per la nascita di Cybersyn la vicinanza tra le idee dei suoi
ideatori fu certamente importante, ma fu altresì affiancata da una serie di circostanze
contestuali altrettanto fondamentali, tra cui le necessità organizzative del governo cileno e la
curiosità scientifica di Beer nel vedere applicate su larga scala le sue teorie cibernetiche. 80

76
Stafford Beer, “Cibernetica dello sviluppo nazionale”, op. cit., p. 211.
77
Eden Medina, Cybernetic Revolutionaries, op. cit., p. 41.
78
Definizione usata dallo stesso Stafford Beer in Platform for Change, Wiley, Chichester, 1995, p. 425.
79
Eden Medina, “Designing Freedom”, op. cit., p. 589.
80
Eden Medina, Cybernetic Revolutionaries, op. cit., p. 41.

25
Non mancarono inoltre momenti di scontro tra la componente organizzativa e cibernetica del
progetto e la sua parte più ideologica e politica. Alcuni membri del team di Cybersyn, in
contrasto con le posizioni anti-tecnocratiche di Beer, cercarono spesso di favorire le soluzioni
più tecniche ed efficienti ai problemi che si presentarono, relegandone in secondo piano
l’aspetto ideologico. Per di più, non era cosa rara che gli ingegneri legati al progetto, inviati
nelle fabbriche per collaborare coi lavoratori, finissero per trattare con accondiscendenza questi
ultimi, se non per ignorarli del tutto e interloquire solamente con i manager e i direttori degli
stabilimenti.81

Fermo restando quanto detto, non bisogna però incappare nell’errore opposto e sottovalutare
gli importanti punti di contatto tra l’anima cibernetica e quella politica del Progetto Cybersyn,
sia a livello teorico che di realizzazione pratica. Nato esplicitamente come strumento
applicativo per le politiche socialiste del governo Allende, Cybersyn ha necessariamente visto
la sua anima cibernetica, che abbiamo già osservato essere altamente adattiva, cambiare e
rimodellarsi per adattarsi all’ideologia che guidava il suo contesto di applicazione.82

Anche a prescindere da questo inevitabile adattamento ideologico del modello cibernetico al


marxismo cileno, rimangono evidenti degli ulteriori punti di contatto tra la teoria di Beer e
l’ideologia di Allende. Ne è probabilmente la massima espressione il parallelismo tra la
tensione tra autonomia e dipendenza all’interno del modello cibernetico e quella tra autorità e
libertà nell’ambizioso disegno del marxismo democratico cileno. In entrambi i casi, lo scopo
principale del modello è proprio il tentativo di tutelare il più possibile la libertà individuale,
sacrificandola solo quanto necessario per garantire il bene della collettività e la sopravvivenza
del sistema.83

Approfondito l’aspetto teorico, si può ora passare a vedere alcune delle manifestazioni più
concrete dell’avvicinamento tra l’organizzazione cibernetica e le idee socialiste. Sono
particolarmente significative in questo senso due iniziative, portate avanti parallelamente al

81
Eden Medina, “Designing Freedom”, op. cit., p. 602.
82
Un segno evidente di questo avvicinamento della cibernetica di Cybersyn ad alcuni concetti chiave del
socialismo cileno si può trovare nel cosiddetto “Manuale” del progetto. Questo breve opuscolo, ideato da Beer e
Flores, conteneva i cinque principi fondamentali che secondo gli autori avrebbero dovuto guidare i processi
governativi di natura cibernetica. Tra questi principi, il più esemplificativo è probabilmente il primo, che recita:
“Il sottosistema 5 di un governo popolare non può essere un’elité dominante: deve in qualche modo essere
l’incarnazione delle masse popolari stesse”.
È possibile trovare una dettagliata descrizione del Manuale e dei suoi principi in Stafford Beer, Brain of the Firm,
op. cit., pp. 288-306
83
Eden Medina, “Designing Freedom”, op. cit., p. 596.

26
Progetto Cybersyn nel suo insieme: i tentativi di coinvolgere i lavoratori e le masse popolari
nel processo e il cosiddetto Progetto Cyberfolk.

Il coinvolgimento dei lavoratori, non considerato nel modello originario, venne introdotto su
esplicita richiesta del presidente Allende, a cui il tema risultava particolarmente caro. Accolta
fin da subito con grande entusiasmo da parte di Beer, l’idea di stimolare la partecipazione dei
lavoratori ai processi decisionali iniziò in poco tempo a ritagliarsi un ruolo significativo
all’interno dell’intero progetto.

I primi esperimenti di coinvolgimento dei lavoratori iniziarono alla fine del 1972 e
consistettero nell’addestrare alcuni gruppi scelti di lavoratori all’uso degli strumenti
fondamentali del progetto. Nonostante una ricezione piuttosto fredda dell’idea da parte della
direzione delle fabbriche scelte, i lavoratori si mostrarono fin da subito estremamente coinvolti.
Impararono presto a realizzare dei flowchart e a discutere in maniera competente di
pianificazione e organizzazione. Venne addirittura organizzata una seduta di un gruppo di
lavoratori all’interno della quasi ultimata Stanza delle Operazioni, per valutarne
l’atteggiamento.

Nei mesi seguenti si proseguì con altre iniziative di addestramento, che quasi sempre
incontrarono una partecipazione entusiasta dei lavoratori coinvolti. Vennero inoltre ideati e
realizzati diversi materiali educativi (opuscoli, tabelloni, volantini…) da distribuire ai
lavoratori, e lo stesso Beer stava già progettando un ambizioso piano di educazione che
coinvolgesse non solo i lavoratori ma l’intera popolazione, attraverso l’uso dei mass media e
della musica folk.84

Purtroppo tutti questi progetti, insieme a un programma completo di partecipazione che stava
già venendo sviluppato dall’Ufficio della Pianificazione Nazionale, non riuscirono mai a
vedere pienamente la luce, interrotti sul nascere o poco dopo dai fatti del settembre 1973.

Altrettanto infruttuoso - ma forse ancora più ambizioso - fu il cosiddetto Progetto Cyberfolk.


Alla base del progetto vi era l’idea di sfruttare la cibernetica per permettere al governo di
adattarsi velocemente ai mutamenti nelle richieste della popolazione. Scopo principale del

84
Su richiesta di Beer e con il suo aiuto, il cantautore cileno Angel Parra realizzò una canzone intitolata “Litania
per un calcolatore e un bambino che nasce” (“Letanía para una computadora y para un niño que va a nacer”,
1972). Il bambino a cui fa riferimento il titolo indica la rinascita del popolo cileno, possibile grazie alla forza
trasformatrice della tecnologia.

27
progetto era l’installazione all’interno delle case cilene85 di appositi “metri algedonici”,
utilizzabili direttamente dai cittadini per mostrare il loro grado di soddisfazione o scontento nei
confronti delle azioni del governo.

Con l’utilizzo di un metro a scorrimento, al posto che di un questionario con domande fisse o
di una scala numerica, si voleva permettere ai cittadini di esprimersi nella maniera più libera
possibile, “usando il loro cervello come un computer”86 per definire il proprio algoritmo
personale e calcolare il loro grado di soddisfazione.

Il progetto aveva i suoi ovvi limiti, sia teorici (non avrebbe permesso di spiegare il motivo
dietro le opinioni rilevate) che pratici (i costi e i tempi di implementazione). Nonostante ciò,
l’idea riscosse un discreto successo all’interno del team di Cybersyn e vennero addirittura
realizzati alcuni prototipi di metro algedonico utilizzati con alcuni gruppi sperimentali.
Purtroppo, il Progetto Cyberfolk finì per rientrare tra gli innumerevoli progetti che, a causa
della prematura fine dell’esperimento socialista cileno, non riuscirono ad esprimere appieno il
loro potenziale.

Tutte queste iniziative non fanno che rafforzare l’idea che alla base del Progetto Cybersyn vi
fosse una reale ed effettiva volontà di coinvolgere la popolazione e i lavoratori nel processo
organizzativo. Ciò rientra nella più ampia concezione di Cybersyn come di un progetto che,
pur sviluppandosi in una sua maniera originale e autonoma, ha effettivamente fatto suoi diversi
dei concetti basilari sia della cibernetica che del socialismo cileno, evidenziando i punti di
contatto tra queste due visioni dell’organizzazione sociale e dell’attività di governo.

85
Nello specifico, si puntava ad installare questi strumenti sui televisori dei cittadini. Ciò avrebbe permesso di
rendere più agevole l’utilizzo del metro in momenti come la visione dei telegiornali o la trasmissione di discorsi
politici. Si sarebbe inoltre ben coniugato con gli obiettivi economici del governo, che aveva tra i suoi punti cardine
proprio lo stimolo dei consumi interni e dell’acquisto (e quindi della produzione) di beni di consumo, tra cui gli
stessi televisori.
86
Eden Medina, Cybernetic Revolutionaries, op. cit., p. 89.

28
III. L’EREDITÀ DEL PROGETTO CYBERSYN

1. Nuovi approcci cibernetici

Nel precedente capitolo sono stati analizzati nel dettaglio non solo il funzionamento e le
meccaniche delle varie componenti di Cybersyn, ma anche le idee e la filosofia che fungevano
da basi per il progetto nel suo insieme. Rimane ora da vedere in che misura quelle idee e quei
concetti siano riusciti a sopravvivere alla prematura fine dell’esperimento cibernetico cileno.

È innanzitutto fondamentale evidenziare la grande influenza avuta dal lavoro di Beer e colleghi
all’interno del mondo del management e della gestione organizzativa. Nei decenni che hanno
seguito la fine del progetto Cybersyn, si è sviluppata in questi settori una vera e propria corrente
di visioni e teorie più o meno ispirate in maniera diretta da quanto avvenuto in Cile tra il 1971
e il 1973. Alla base di questi recenti approcci alla cibernetica vi è la volontà di ripensare in
maniera nuova ai concetti stessi di management e organizzazione, in modo da riuscire ad
affrontare con maggiore successo le sfide lanciate dalla sempre crescente complessità del
mondo contemporaneo. In questo senso, il Viable System Model offre un’infinità di soluzioni
originali e promettenti, essendo un modello nato proprio allo scopo di garantire la
sopravvivenza e la stabilità di un sistema a prescindere dalla variabilità a cui sia soggetto
l’ambiente circostante.87

A partire da questi nuovi approcci cibernetici sono stati sviluppati, nel corso degli anni,
numerosi progetti che hanno raccolto e ampliato l’eredità di Cybersyn. Essi hanno dimostrato
concretamente quanto la visione alla base del progetto di Beer possa essere ancora oggi
estremamente rilevante.

I primi esempi di tentativi governativi di raccogliere l’eredità di Cybersyn hanno ancora come
protagonisti Stafford Beer e lo scenario latinoamericano. Dopo la brusca fine dell’esperienza
cilena, egli venne infatti assunto come consulente dai governi del Messico, dell’Uruguay e del
Venezuela. In tutti e tre i casi, ciò che venne chiesto al matematico britannico fu di creare una
rete di comunicazione e un sistema di filtrazione e analisi dei dati che aiutassero il governo a
gestire e pianificare l’economia del paese.

87
Sergio Barile et al., “People, technology, and governance for sustainability: the contribution of systems and
cyber-systemic thinking”, in Sustainability Science, 2018, p. 1200.

29
Tra questi potenziali eredi di Cybersyn, l’unico ad arrivare ad un livello di sviluppo degno di
nota, ma non paragonabile a quanto raggiunto in Cile, fu il cosiddetto Proyecto Urucib
(acronimo di “Uruguay-Cibernética”), realizzato sotto la direzione del presidente Julio María
Sanguinetti. Il lavoro di Beer presso il governo messicano venne invece ostacolato in poco
tempo dai pochi fondi stanziati e dalla resistenza opposta dall’elefantiaco apparato burocratico,
mentre l’instabilità politica venezuelana rese la permanenza di Beer nel paese breve e
infruttuosa.88

Nel corso degli anni però, di pari passo con lo sviluppo teorico di approcci cibernetici legati
alle idee di Cybersyn, hanno iniziato a svilupparsi altri progetti che hanno tentato di mettere in
pratica parte della filosofia e delle idee del programma cileno e applicarle alle sfide della
modernità, ponendosi però degli obiettivi meno ambiziosi e lavorando su una scala più ridotta.

Un esempio rilevante in questo senso è l’evoluzione di un esperimento di bilancio partecipativo


sviluppato dalla cittadina brasiliana di Porto Alegre a partire dal 1989. Fortemente voluto dal
neoeletto sindaco del Partido dei Lavoratori, l’intero progetto nasceva dalla volontà di
coinvolgere direttamente i cittadini nelle scelte del governo cittadino. Il progetto
originariamente prevedeva la semplice convocazione di una serie di riunioni distrettuali che
permettessero prima al governo di informare i cittadini in merito alle disponibilità del budget
cittadino e, successivamente, consentissero ai cittadini di esprimere le loro preferenze
sull’utilizzo di quelle risorse.

A partire dagli anni 2000, Porto Alegre decise di sfruttare le sempre maggiori possibilità offerte
dalla tecnologia per implementare in maniera più estesa ed efficace queste idee di
partecipazione popolare al bilancio cittadino. Sfruttando le nuove tecnologie dell'informazione
e della comunicazione (TIC), nacque così uno dei primi esempi di bilancio partecipativo
digitale (BPD), che permetteva ai cittadini di informarsi e esprimersi in merito alle scelte
strategiche comunali tramite videoconferenze e apposite piattaforme online. Nel 2014, 13 anni
dopo il primo di questi esperimenti, erano già stati sviluppati, nel solo Brasile, quasi 40 progetti
di BPD.89

L’esperimento brasiliano appena visto approfondisce l’aspetto della relazione tra tecnologia e
partecipazione cittadina, tra i cardini principali del Progetto Cybersyn. Volendo invece vedere
un’applicazione moderna dei principi chiave del VSM per la gestione della complessità, risulta

88
Eden Medina, Cybernetic Revolutionaries, op. cit., pp. 225-226.
89
Katharina Loeber, op. cit., pp. 10-11.

30
di particolare interesse il progetto di ricerca sull’auto-organizzazione dell’ecovillaggio
irlandese di Cloughjordan, portato avanti a partire dal 2007.

Il progetto per l’ecovillaggio di Cloughjordan nasce nel 1999, con lo scopo di dar vita ad una
comunità collaborativa e democratica in grado di auto-organizzarsi e sopravvivere in maniera
autonoma ed eco-sostenibile. Dopo anni di ricerca e pianificazione, nell’estate del 2007 l’intero
progetto rischiò di concludersi prima ancora di poter vedere concretamente la luce, a causa
delle sempre crescenti difficoltà economiche e organizzative a cui andava incontro la sua
progettazione. Per destreggiarsi tra queste difficolta e trovare una strada che permettesse al
progetto di sopravvivere e concretizzarsi, si decise di ricorrere al Viable System Model. A
questo scopo venne richiesta la collaborazione di un team di ricerca, guidato dalla dottoressa
Angela Espinosa, che già possedeva una notevole esperienza pregressa nell’utilizzo di tale
modello organizzativo.90

Tramite una serie di lezioni, conferenze e workshop, i partecipanti al progetto poterono


apprendere non solo i concetti teorici fondamentali dietro al VSM, ma anche e soprattutto come
applicare tali concetti per identificare e risolvere le problematiche che minavano la vitalità del
progetto stesso. Dopo un’iniziale fase di assestamento, in cui non mancarono le difficoltà sia
sul piano teorico che su quello applicativo, col tempo questo nuovo approccio permise di
ripensare l’intera struttura organizzativa del progetto e trasformarla in un sistema vitale.91

Grazie a questa nuova struttura e ai nuovi strumenti organizzativi acquisiti, il team di


progettazione originario riuscì non solo a portare a compimento la pianificazione del progetto,
ma anche a metterlo in pratica ottenendo risultati sorprendenti. Vennero innanzitutto risolti i
problemi di connessione e comunicazione alla base di buon parte degli ostacoli incontrati in
precedenza. Si poté quindi procedere alla pianificazione del villaggio, alla sua costruzione e
alla vendita delle abitazioni che ne facevano parte ai futuri inquilini. Venne inoltre realizzato
un progetto per l’espansione del villaggio e la costruzione di nuove aree verdi.92

Nel 2010, a 3 anni dall’inizio dell’implementazione di questo nuovo approccio organizzativo,


la comunità di Cloughjordan ha raggiunto una migliore stabilità finanziaria, è arrivata a

90
Angela Espinosa, J. Walker, “Complexity management in practice: A Viable System Model intervention in an
Irish eco-community”, in European Journal of Operational Research, febbraio 2013, p. 118.
91
Angela Espinosa, Terry B. Porter, “Sustainability, complexity and learning: insights from complex systems
approaches”, in The Learning Organization, vol. 18 no. 1, 2011, p. 64.
92
“Impact case study - Managing complexity in practice: A viable system model (VSM) intervention in an Irish
eco-community”, Università di Hull, 2014, p. 1.

31
comprendere più di trenta abitazioni e più di settanta residenti e vede svilupparsi un numero
sempre crescente di attività economiche e sociali.93 Questi importanti risultati raggiunti
dimostrano ancora una volta la validità del VSM per la gestione di organizzazioni complesse
e la sua attualità come strumento gestionale all’interno di una realtà sempre più dominata dalla
complessità e dall’imprevedibilità.

2. Cibernetica e Smart Cities

L’esperienza dell’ecovillaggio di Cloughjordan è la perfetta dimostrazione dell’attualità che


ancora ricoprono il VSM e la teoria alla base di Cybersyn nel campo della pianificazione su
larga scala. Volendo ampliare il discorso, si può ora procedere ad analizzare i possibili
vantaggi, e le eventuali criticità, dell’implementazione dei precetti della cibernetica nel campo
della pianificazione urbana, soprattutto in merito ad un suo ambito oggi sempre più rilevante,
le cosiddette Smart Cities.

Nel 2018, il 55% della popolazione mondiale risiedeva in un agglomerato urbano. Le stime
delle Nazioni Unite prevedono che questa percentuale possa raggiungere il 60% entro il 2030,
fino ad arrivare al 68% nel 2050.94 La costante e apparentemente inarrestabile crescita degli
spazi urbani porta però con sé una serie di problematiche non di poco conto. Prima fra tutte, il
fatto stesso che a una crescita delle città in termini di dimensioni e numero di abitanti raramente
si accompagni un maggiore sviluppo delle infrastrutture, degli spazi verdi e in generale di
quelle componenti dell’ambiente urbano strettamente legate all’aumento della qualità della vita
dei cittadini.95

L’origine di questa crescita rapida e disorganizzata (anche detta urban sprawl, traducibile come
dispersione urbana) è da ricercare nella natura stessa delle città. Una città è inevitabilmente
un ambiente dall’elevata complessità, dove per complessità si intende l’alto grado di
interdipendenza tra le sue diverse componenti. Questa interdipendenza fa sì che il futuro
dell’ambiente nel suo insieme non dipenda unicamente dallo sviluppo delle sue componenti,

93
Angela Espinosa, J. Walker, “Complexity management in practice: A Viable System Model intervention in an
Irish eco-community”, in European Journal of Operational Research, febbraio 2013, p. 125.
94
Organizzazione delle Nazioni Unite, Dipartimento per gli affari economici e sociali, World Urbanization
Prospects: The 2018 Revision, 2018.
95
Garnett Philip, “Growing Smart Cities in Emergence, Complexity and Computation” in Andrew Adamatzky,
Vivien Kendon, From Astrophysics to Unconventional Computation. Emergence, Complexity and Computation,
vol. 35, Springer, Cham, 2019, p. 300.

32
ma anche dalle interazioni tra esse.96 La complessità dei sistemi urbani è ciò che li rende
ambienti in costante cambiamento, così come rende in costante cambiamento anche i problemi
che li affliggono.97

La natura sempre più complessa e mutevole delle città e delle loro problematiche è il motivo
principale per cui la soluzione di tali problematiche appare sempre più ardua. Se le soluzioni
variano al variare dei problemi, l’unico modo per trovare soluzioni sempre efficienti è avere
una struttura organizzativa che sia in grado di adattarsi ai cambiamenti dell’ambiente. Appare
quindi evidente come la cibernetica, che fa dell’adattabilità uno dei suoi punti cardine, possa
fornire importanti spunti di riflessione su come poter costruire degli ambienti urbani adattabili
e vitali, che siano in grado di auto-organizzarsi in maniera efficiente a prescindere dalla
complessità e dall’incertezza che li minacciano98.

Come lo fu per il progetto Cybersyn, anche per l’applicazione della cibernetica alla
pianificazione urbana risulta centrale l’aspetto della raccolta e dell’elaborazione delle
informazioni. Il numero sempre maggiore di dispositivi connessi alla rete, il recente sviluppo
delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e la costante diminuzione del loro
costo sono tutti elementi che permettono oggi di raccogliere e gestire una mole immensa di
dati riguardanti i più disparati aspetti dell’ambiente urbano99. Tecnologie che all’epoca di
Cybersyn apparivano pura fantascienza, come i big data, il cloud computing e l’intelligenza
artificiale sono oggi una realtà concreta, e il coniugare il loro utilizzo ad un approccio
cibernetico alla pianificazione urbana potrebbe essere la chiave per costruire le Smart Cities
del futuro100.

Un caso emblematico di utilizzo delle nuove risorse tecnologiche nel campo della
pianificazione urbana, che permette di vedere non solo i pregi ma anche le criticità insite in
questo fenomeno, è il progetto City Brain, sviluppato della multinazionale cinese Alibaba.

96
Per fare un esempio concreto: allo scopo di migliorare la qualità della vita dei cittadini, si potrebbe trasformare
una parte della città in uno spazio verde e pedonale. Fare ciò potrebbe però costringere molti automobilisti a
cercare percorsi alternativi, causando un aumento del traffico e dell’inquinamento in altre aree della città. È
importante notare come i cittadini, sia dal punto di vista delle loro preferenze che da quello delle loro azioni, siano
una componente fondamentale del sistema urbano, interconnessa con tutte le altre.
97
Carlos Gershenson et al., “Adaptive Cities: A Cybernetic Perspective on Urban Systems”, 2016, p. 2.
98
Garnett Philip, op. cit., p. 303.
99
Carlos Gershenson et al., op. cit., pp. 3-4.
Chen Xu, “Smart Sensors, Cyborgs, and Cybernetics: A Critical Reading of Smart City Technologies”, in Shi-
100

Lung Shaw, Daniel Z. Sui, Human Dynamics Research in Smart and Connected Communities, Springer, New
York City, 2018, p. 122.

33
Realizzato dalla sussidiaria AliCloud, il progetto nasce nel 2016 ad Hangzhou, nella provincia
cinese dello Zhejiang, città in cui ha sede l’azienda. In pochi anni, il suo utilizzo è stato
implementato in numerose città cinesi, incluse Shanghai e Pechino, fino ad approdare
oltreconfine nel 2018, con lo sviluppo di “City Brain Malaysia” a Kuala Lumpur.101

City Brain nasce con l’ambizioso obiettivo di contribuire a risolvere svariati problemi nel
campo dei trasporti pubblici e privati, della sicurezza, dell’inquinamento e della pianificazione
urbana. Per fare ciò, sfrutta appieno le ingenti risorse tecnologiche del colosso cinese, ad
esempio utilizzando l’analisi dei big data per studiare i movimenti di veicoli e pedoni e per
sviluppare percorsi più efficienti per gestire il traffico urbano, oppure utilizzando l’intelligenza
artificiale per analizzare in tempo reale dati video raccolti dalle telecamere cittadine e poter
così localizzare in breve tempo fuggitivi o persone scomparse.102

I risultati ottenuti sono sorprendenti: dopo l’implementazione del progetto City Brain ad
Hangzhou, i veicoli di emergenza impiegano ora la metà del tempo per raggiungere le loro
destinazioni, le infrazioni stradali vengono riportate automaticamente con una precisione del
92% e il traffico cittadino ha aumentato complessivamente del 15% la sua velocità media.103
Nonostante le evidenti grandi potenzialità di un approccio di questo genere alla pianificazione
urbana presente e futura, è innegabile che progetti come City Brain, insieme a molti altri sulla
stessa linea, portino con sé anche una serie di criticità non di poco conto.

Il primo punto su cui interrogarsi, cosa che Stafford Beer fece già ai tempi di Cybersyn 104, è la
possibilità di lasciare una mole così vasta di dati e un ruolo così importante nel processo di
pianificazione in mano a delle aziende private. Oltre ad evidenti problemi in merito alla privacy
e al trattamento dei dati, questo solleva anche importanti perplessità sulle finalità a lungo
termine dell’intero processo105. Un ruolo preponderante delle aziende private, il cui obiettivo
primario è il profitto, in che modo è coniugabile con una visione della pianificazione urbana
che abbia come scopo il miglioramento della vita dei cittadini? Vi è il rischio concreto di
passare da una visione utopica delle Smart Cities come luoghi dove la tecnologia è al sevizio

101
Karen Hao, “Alibaba is reshaping city traffic with artificial intelligence”, in <https://qz.com/1191599/alibaba-
is-reshaping-city-traffic-with-artificial-intelligence>, consultato il 10 aprile 2021.
102
“City Brain Lab”, in <https://damo.alibaba.com/labs/city-brain>, consultato il 10 aprile 2021.
103
Liz Lee, “Alibaba to take on Kuala Lumpur's traffic in first foreign project”, in
<https://www.reuters.com/article/us-alibaba-malaysia-idUSKBN1FI0QV>, consultato il 10 aprile 2021.
104
Dietmar Koering, “What we should have learned from Cybersyn: An epistemological view on the socialist
approach of Cybersyn in respective of Industry 4.0.”, in Bistra Vassileva, Moti Zwilling, Responsible AI and
Ethical Issues for Businesses and Governments, IGI Global, Hershey, 2021, p. 75.
105
Carlos Gershenson et al., op. cit., p. 9.

34
del benessere collettivo ad una visione distopica in cui a godere dei benefici della tecnologia
sarà solo chi potrà permetterselo?

Ragionare nell’ottica della visione a lungo termine permette di evidenziare un’altra importante
problematica di cui è vittima la maggior parte dei progetti fino ad ora sviluppati nel campo
delle Smart Cities. Il focus principale di questi progetti, infatti, sembra essere sempre più volto
al mero aumento dell’efficienza della gestione cittadina, dove l’efficienza viene quasi sempre
vista in un’ottica quantitativa prima che qualitativa. La riduzione dell’inquinamento
atmosferico, l’aumento della velocità di scorrimento del traffico o la diminuzione delle
infrazioni stradali sono certamente obiettivi utili e ambiziosi, ma concentrandosi solo su questi
aspetti si rischia di trascurare irrimediabilmente tutte quelle dimensioni della qualità della vita
difficilmente quantificabili e misurabili direttamente.

Un approccio di questo tipo non solo finisce per ridurre i cittadini a delle semplici variabili,
privandoli della loro dimensione umana e sociale106, ma rischia anche di non essere in grado
di gestire appropriatamente la variabilità del sistema cittadino nel suo insieme e delle sue
interconnessioni. Concentrandosi unicamente sul miglioramento quantitativo dei parametri
numerici, si rischia di perdere di vista il quadro generale, finendo per non essere più in grado
di gestire l’elevata complessità dell’ambiente, prevedere in maniera puntale i problemi e
immaginare soluzioni adeguate.

Diventa a questo punto necessario interrogarsi su quali strade alternative si possano percorrere
se si vuole sfruttare appieno le possibilità offerte dalla tecnologia, per creare delle realtà urbane
davvero “smart” e attente ai bisogni dei cittadini. In questo senso, i concetti cibernetici e
l’esempio del Progetto Cybersyn possono fornire un importante modello per immaginare una
pianificazione più olistica, che non guardi solo a come migliorare le singole parti, ma si
concentri sulle loro interconnessioni e sul sistema nel suo insieme107. Solo così sarà possibile
pianificare delle città che siano in grado di adattarsi in maniera viva ai cambiamenti
dell’ambiente e ai bisogni dei suoi abitanti, curando allo stesso modo sia l’efficienza
quantitativa che la tutela degli aspetti più qualitativi della vita cittadina.

Accettando l’idea che non sia la tecnologia in sé a determinare i propri obiettivi e le proprie
finalità, ma che questi dipendano dall’uso che si decide di farne, si palesa allora la necessità di

106
Claude Rochet, Smart Cities: Reality or Fiction, Wiley-ISTE, Londra, 2018, pp. 8-9.
107
Allenna Leonard, "Stafford Beer and the legacy of Cybersyn: seeing around corners", in Kybernetes, vol. 44
ed. 6/7, 2015, p. 929.

35
una guida politica che direzioni il progresso tecnologico verso un futuro di benessere collettivo
e condiviso108. È a questo punto che l’eredità del Progetto Cybersyn mostra tutta la sua attualità,
non solo dal punto di vista tecnologico, ma soprattutto da quello politico e ideologico.

L’esperimento cibernetico cileno era riuscito, nonostante le limitazioni politiche e tecnologiche


dell’epoca, a coniugare la visione cibernetica futuristica di Stafford Beer all’attenzione di
Salvador Allende per il benessere della collettività, mettendo al centro di tutto il cittadino nella
sua dimensione umana e individuale.109 Ha così dato vita ad un modello di pianificazione
tecnologica che ancora oggi, a quasi cinquant’anni dalla sua prematura fine, è in grado di
fornire numerosi spunti e idee su come costruire le città, o addirittura le nazioni, del futuro.

108
Chen Xu, op. cit., pp. 124-126.
109
Sulla centralità dell’individuo all’interno del Progetto Cybersyn si sono espressi, tra gli altri, Eden Medina in
“Designing Freedom”, op. cit., pp. 597-598 e Dietmar Koering in “What we should have learned from Cybersyn”,
op. cit., p. 75.

36
IV. INTERVISTA A RAUL ESPEJO

Raul Espejo, laureatosi in ingegneria civile nel 1968 presso l’Università Cattolica del Cile,
entrò nella CORFO nel 1969, all’interno del Dipartimento di Studi Regionali. Dal 1971
divenne un membro chiave del team di Cybersyn, raggiungendo il ruolo di direttore generale
dell’intero progetto presso l’Ufficio di Gestione Tecnica Generale. Dal 1973 continua il suo
lavoro nel campo della cibernetica, collaborando con diverse università e pubblicando
numerosi lavori sul VSM e sui sistemi organizzativi. Ricopre tutt’oggi la carica di Direttore
Generale presso la World Organization of Systems and Cybernetics ed è Direttore del progetto
Syncho Research. Di seguito è riportata la trascrizione tradotta di un’intervista da lui
gentilmente concessami.

Partendo da una domanda abbastanza generale: quale fu il suo ruolo all’interno del
Progetto Cybersyn? E cosa ricorda di più della sua esperienza?
Ci sono sicuramente tante cose da ricordare, il progetto è durato a lungo, ci abbiamo lavorato
per due anni, dal 1971 al 1973. Probabilmente una delle cose che ricordo meglio è l’arrivo di
Stafford Beer e quanto ha influito su tutto quello che abbiamo fatto. In che modo ha influito?
Questo è un aspetto interessante: per quanto fossimo già in parte familiari con i concetti della
cibernetica in quel periodo, a livello gestionale seguivamo ancora un approccio liminale,
sistemico. L’arrivo di Stafford Beer in Cile implicò un sostanziale ripensamento di tutto ciò.
Lui era ben conscio di come il nostro approccio non fosse sufficiente a produrre i cambiamenti
significativi necessari, e per questo iniziò a illustrarci una serie di idee, che sarebbero poi state
la base del nostro lavoro.

E come vennero recepite queste idee da chi stava lavorando al Progetto?


Il progetto aveva le sue origini in un’organizzazione che era chiamata, anzi che è chiamata,
visto che fa ancora parte del governo cileno, CORFO (Corporación de Fomento de la
Producción). Era un’organizzazione nata negli anni ’30, in seguito alle politiche di Roosevelt
nate per porre rimedio alla crisi del mercato finanziario, con grandi progetti che richiedevano
ingenti risorse allocate dal governo. Quella era l’idea di sviluppo che si aveva in quegli anni.
[…] In quel periodo si stavano sviluppando anche nuove forme di governo, come l’idea di un
nuovo tipo di governo socialista. Quelle idee non erano molto diffuse e implicavano un alto

37
grado di innovazione. La gente in Cile era familiare al modello della rivoluzione cubana: il
ruolo centrale del governo, la nazionalizzazione delle imprese, l’economia pianificata… E un
sacco di idee di pianificazione si basavano sul modello sovietico, su quello che cercavano di
fare in URSS pianificando input e output, creando grandi matrici, tutti concetti
matematicamente molto sofisticati ma nella pratica molto inutili.
Quindi c’era tutto questo, e le idee che arrivarono con il Progetto Cybersyn erano idee nuove,
innovative. La maggior parte delle persone non capiva cosa significassero. Erano abbastanza
innovative da far sì che a poterci lavorare fosse un gruppo molto ristretto di persone. La
maggior parte delle persone, nella CORFO e in altri dipartimenti, erano molto più interessate
alle strategie di pianificazione e cose simili, piuttosto che alle idee di comunicazione e
organizzazione offerte dalla cibernetica. Era qualcosa di innovativo, qualcosa che la gente non
si aspettava e a cui non era abituata. Per questo non fu facile diffondere certe idee.

Quindi la maggior parte del lavoro, soprattutto quello teorico, venne realizzato da un
gruppo ristretto di persone guidate da Stafford Beer e pochi altri, inclusi Lei e Fernando
Flores? Mentre i politici e i membri non vennero coinvolti direttamente, almeno all’inizio,
è corretto?
Una cosa è sicuramente corretta: si trattava di un gruppo molto ristretto di persone. Quel gruppo
non veniva tutto dalla CORFO, ma anche da alcune sue sussidiarie, come la INTEC
(Corporación de Investigación Tecnológica). Parliamo di circa una dozzina di persone, quindi
un numero molto piccolo. E queste persone, noi, non avevamo idea di cosa stessimo facendo,
e ciò implicò un grande lavoro di studio e apprendimento.
E devo dire, quasi tutto l’input per quel lavoro venne da Stafford Beer. Tutti, credo, avevamo
letto alcuni dei suoi lavori, avevamo una conoscenza superficiale dell’argomento e delle idee
cibernetiche, ma non eravamo nella posizione di poter addestrare altre persone né di garantire
una leadership scientifica al progetto. Quello era il ruolo di Stafford Beer.

Quindi il ruolo principale di Beer fu coordinare il Progetto?


Penso che coordinare fosse più il mio ruolo. E ciò fu perché a volte, semplicemente, ci si trova
nel posto giusto al momento giusto. Sono cose che succedono, e io così mi ritrovai in una
posizione di leadership all’interno del Progetto. E cosa stava facendo quando Beer arrivò in
Cile? Lavoravo nello sviluppo regionale. Avevo appena finito l’università, e fu il mio
supervisore a mettermi in contatto con la CORFO. Mi disse: “C’è un nuovo dipartimento che
si occupa di sviluppo regionale, ti andrebbe di farne parte?”. Gli dissi di sì e iniziai a lavorare
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alla CORFO. Il dipartimento in cui lavoravo aveva una storia molto recente e, cosa abbastanza
divertente, il suo direttore aveva appena ottenuto una borsa di studio per un dottorato a Parigi.
Quindi arrivai in questo posto nuovo, con il mio futuro capo che in pochi giorni sarebbe sparito
per due o tre anni.
Dovevo fare qualcosa di nuovo e mai fatto prima, e lì inizia a lavorare con Fernando Flores.
Era un giovane professionista con grandi ambizioni politiche ed era appena stato nominato in
un ruolo chiave all’interno della CORFO. L’avevo già conosciuto in università, quindi fu
abbastanza facile per me parlarci e iniziare a lavorare su come procedere con le nuove industrie
nazionalizzate dal governo.

A parte il doversi approcciare a tutte queste nuove idee, quali furono le sfide principale
che vi si posero davanti?
Penso che con progetti di questo genere, tutto sia una sfida, non c’è niente di facile e diretto.
Innanzitutto dovemmo creare questo piccolo gruppo di lavoro, una dozzina di individui, e ciò
implicò rivolgersi a un sacco di persone diverse e cercare chi avesse inclinazioni e interessi
simili. Questa fu la prima sfida. Dopodiché l’obiettivo principale fu ottenere le risorse
tecnologiche e umane necessarie per realizzare qualcosa di così complesso come creare una
rete di comunicazioni per l’intero paese in soli 4 mesi, una sfida davvero ardua.
Non sapevamo da dove cominciare, ma per fortuna il Cile ha una lunga storia nello sviluppo
delle telecomunicazioni, quindi di per sé non era niente di nuovo. I primi sviluppi in questo
senso risalivano al diciannovesimo secolo, e anche prima della salita al potere di Allende negli
anni ’70 i governi democristiani avevano fatto discreti investimenti nelle telecomunicazioni.
Era per questo che erano stati acquistati 500 telex da installare nelle aziende del paese, anche
se in molti ancora non sapevano bene come funzionassero. Fu una grande fortuna avere a
disposizione questi telex, che ci permisero di costruire la nostra rete senza i costi e la burocrazia
che avrebbe comportato importare altre strumentazioni.

Con tutte queste sfide, alla fine siete rimasti soddisfatti da quanto ottenuto? Quale pensa
sia il risultato più importante raggiunto da Cybersyn?
Come si può immaginare, per un giovane ingegnere fu una sfida straordinaria. Era tutto nuovo,
e trovarsi in mezzo a quanto stava avvenendo fu incredibilmente interessante. Per la maggior
parte, nel gruppo iniziale, eravamo entusiasti di lavorare al progetto. Alla fine di tutto, dal mio
punto di vista la cosa più importante che riuscimmo a ottenere fu il cambiare la visione della
burocrazia nazionale, beh forse non proprio cambiarla, ma riuscimmo a dar vita a una nuova
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visione, all’idea che piuttosto che concentrarsi sull’informazione fosse indispensabile
concentrarsi sulla comunicazione.
[…] Quello che per noi fu subito chiaro fu che la sfida principale risiedeva nello sviluppare la
comunicazione ed evitare quell’approccio fatto di spedire memoranda e aspettare una risposta
in base alle informazioni disponibile, con questa attesa che magari andava avanti per settimane,
o per mesi.
Capimmo presto che le cose potevano andare molto più velocemente inviando un semplice
telex che dicesse: “È essenziale che riceviamo questa e questa informazione appena possibile”.
La cosa più importante è che stavamo applicando questo approccio all’intero sistema. Nei fatti,
quello che personalmente facevamo era abbastanza limitato, la cosa interessante era che le
persone responsabili delle aziende erano quelle che dovevano comunicare, e stavano
imparando a farlo non tramite memoranda burocratici ma tramite messaggi brevi e concisi.
Questo, per me, fu l’impatto più significativo del progetto: creare un nuovo modo di vedere la
comunicazione.

Ci sono invece degli aspetti di cui non siete rimasti soddisfatti? Pensa che ci sia qualcosa
che avreste potuto fare meglio, o quantomeno diversamente?
Chiaramente, un sacco di cose non riuscirono bene come credevamo. Per fare un esempio, uno
degli obiettivi principali del progetto era la gestione delle informazioni in tempo reale, mandare
e ricevere risposte in tempo reale. Chiaramente ciò non fu possibile: non si poteva sperare di
mandare un messaggio con il telex e ricevere immediatamente una risposta. Fu per questo che
iniziammo a parlare di “quasi tempo reale”. Il problema era che la tecnologia necessaria, che
andava ben oltre i telex, non era disponibile al tempo. Oggi possiamo immaginarci un sistema
di comunicazioni in tempo reale, ma all’epoca era fantascienza.

Era solo un problema tecnologico?


Quello era uno dei problemi, un altro problema era che non avevamo le persone necessarie per
lavorare nelle industrie. Dietro all’idea di comunicazione in tempo reale vi era l’idea di indici
di performance da generare a diversi livelli di ricorsione, in tutte le aziende. Questi indici
necessitavano una buona comprensione dei flussi di materiali e dei flussi di attività all’interno
delle organizzazioni. E questo era qualcosa che richiedeva ciò che noi chiamavamo “tecniche
di ricerca operativa”, e non c’erano abbastanza persone per farlo.

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Avevamo molti professionisti interessati, perché era una grande sfida a livello di ricerca, ma
per le persone all’interno delle fabbriche era un modo di pensare troppo lontano da quello a cui
erano abituate, per cui fu per loro abbastanza difficile.

Non siete riusciti a coinvolgere a sufficienza i lavoratori? Almeno, non quanto avreste
voluto?
Chiaramente non siamo riusciti a coinvolgerli quanto sarebbe stato necessario. Ci furono alcuni
piccoli esperimenti, soprattutto nell’industria tessile, dove i lavoratori parteciparono a dei
programmi di addestramento per imparare a realizzare quelli che chiamavamo flowchart
quantificati, che erano la base per gli indici di performance.
Abbiamo avuto questi programmi in alcune aziende, ma sono stati troppo pochi, ed espandere
il nostro lavoro all’esterno del nostro gruppo di lavoro non fu facile.
Non sto dicendo che col passare del tempo non ci siano state altre persone interessate al
progetto, probabilmente nel nostro momento di picco c’erano circa 80 ingegneri impegnati a
realizzare flowchart quantitativi e generare indici. Non fu mai abbastanza, data la grandezza
del Progetto, ma era sicuramente un inizio.

Immagino che un altro grande problema fu come tutto venne interrotto prima che potesse
svilupparsi appieno.
Questo è sicuro, il golpe fermò tutto. Era un progetto che si stava sviluppando e si supponeva
sarebbe andato avanti per anni, nonostante tutte le limitazioni di cui ho appena parlato.
Per questo, secondo me, una delle ragioni per cui questo progetto è ancora oggi così rilevante
è il fatto che le idee alla sua base vennero riprese in altri contesti solo molti anni dopo. L’idea
di gestione in tempo reale delle informazioni, di indici di performance, divennero tutte comuni
negli anni ’80, ma non lo erano per niente negli anni ’70. In questo senso, penso che il progetto
fosse incredibilmente all’avanguardia.
Un altro grande risultato del progetto fu il ruolo che ricoprì durante il primo sciopero degli
autotrasportatori. Il suo utilizzo mostrò le potenzialità dell’usare la comunicazione in (quasi)
tempo reale per gestire un problema di domanda, per sfamare le persone, per dargli quello di
cui avevano bisogno. Stiamo parlando dell’ottobre del 1972, e già lì Cybersyn si dimostrò uno
strumento dal grandissimo potenziale per la gestione delle emergenze.

Parlando degli aspetti più concettuali di Cybersyn, è corretto parlare di una certa affinità
tra la visione della cibernetica di Stafford Beer e la visione politica di Allende? In
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particolare, si può parlare di un parallelismo tra il bilanciamento controllo/autonomia
nel modello di Beer e il bilanciamento benessere collettivo/libertà individuale nella “via
cilena al socialismo”?
Penso sia un argomento molto rilevamento. Forse, oltre agli aspetti più tecnologici che ho già
menzionato, il contributo più significativo portato da Stafford Beer fu il suo Viable System
Model. Quel VSM era qualcosa che ci permise di capire meglio il bilanciamento tra orizzontale
e verticale. L’idea era proprio evitare le strutture gerarchiche verticali e supportare il più
possibile le relazioni eterarchiche sul piano orizzontale.
E quello, dal mio punto di vista, è il contributo più importante che Beer riuscì a darci. E ciò
ebbe un impatto significativo anche a lungo termine, perché (il VSM) è un modello ancora
vivo e in evoluzione, e penso sia qualcosa che può aiutare le società di oggi ad avere una
gestione più democratica.

Per chiudere provando a collegare il passato al presente, secondo Lei le idee dietro
Cybersyn sono ancora attuali? Si può immaginare un progetto simile a Cybersyn, ma
realizzato nella società odierna e con le tecnologie che abbiamo oggi a disposizione?
Penso proprio di sì, e anzi è quello che sta già accadendo. Credo che al momento ci sia un
discreto numero di persone che stanno applicando queste idee a nuovi metodi organizzativi,
per esempio nel campo delle Smart Cities e della pianificazione urbanistica, o che le stanno
usando per creare delle forme di organizzazione completamente nuove. Penso che sia un
processo che andrà avanti a lungo, e il cui impatto continuerà a crescere negli anni a venire,
perché queste idee sono in grado di offrire degli strumenti per gestire la complessità e la varietà
delle società moderne che i metodi organizzativi tradizionali non sono più in grado di fornire.

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CONCLUSIONE

Quanto visto nelle pagine precedenti altro non è se non un tentativo di fare luce su un progetto
che, a causa delle limitazioni imposte dal suo contesto e della sua prematura interruzione, non
è riuscito ad esprimere appieno le sue potenzialità e a guadagnarsi la fama che forse avrebbe
meritato.

Ciononostante, come si è visto, il Progetto Cybersyn non ha mancato di raggiungere importanti


traguardi, dimostrandosi uno strumento provvidenziale nella realizzazione dell’ambizioso
disegno politico di Allende e fornendo un aiuto irrinunciabile per gestire alcuni dei momenti
di massima crisi dell’esperienza socialista cilena.

Il merito maggiore di Cybersyn e dei suoi creatori, però, va forse ricercato nella sua stessa
realizzazione. Riuscire a imbastire un’infrastruttura come quella messa in piedi da Beer e dai
suoi collaboratori con le poche risorse umane e tecnologiche a disposizione è già di per sé un
risultato sorprendente. Ancora più sorprendente è però la natura stessa del progetto che è andato
a concretizzarsi. La fusione tra la cibernetica organizzativa di Beer e le idee socialiste di
Allende ha permesso la nascita di un modello completamente nuovo e avanguardistico di
pianificazione strategica e di uso della tecnologia per migliorare la società.

È proprio a partire da questo nuovo modello che si può tentare di trarre le conclusioni sulla
portata effettiva del Progetto Cybersyn. Pur non riuscendo a raggiungere appieno i propri
obiettivi, Beer e i suoi collaboratori hanno comunque fornito una sorprendente quantità di
spunti, sia teorici che pratici, poi raccolti dalle generazioni future. Questi spunti hanno dato
vita, da un lato, a nuovi progetti che riprendono, in parte o del tutto, alcune delle meccaniche
principali dell’esperimento cileno.

Dall’altro lato, il lascito di Cybersyn ha permesso di sviluppare nuovi approcci a problemi


contemporanei che i metodi organizzativi tradizionali non sembrano più in grado di gestire.
Una tecnologia a misura dell’individuo, una visione olistica della pianificazione e una capacità
innata di adattarsi ai cambiamenti dell’ambiente sono solo alcuni dei cardini del progetto di
Beer che potrebbero rivelarsi sempre più cruciali nell’organizzazione delle città e, in senso più
lato, della società nel suo insieme.

Solo il futuro potrà dirci veramente quanto il pensiero di Beer e l’eredità del suo progetto
saranno veramente in grado di influenzare lo sviluppo della società. Una cosa però è certa: il

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Progetto Cybersyn è stato, e rimane tutt’oggi, un tentativo senza eguali di immaginare un
modello di sviluppo diverso, basato sulla comunicazione, l’orizzontalità e la centralità
dell’individuo. Nonostante i suoi limiti e i suoi difetti, Cybersyn è stato un esperimento
fortemente rivoluzionario, e con lo sviluppo tecnologico a cui stiamo assistendo in tempi
recenti, la portata di questa rivoluzione ha tutte le carte in regola per aumentare
esponenzialmente.

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