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Nuovo Storia Dell'Arte 1
Nuovo Storia Dell'Arte 1
Il periodo tardo antico, III-IV sec. d.C., viene definito a livello morale, politico ed artistico di decadenza (con
la crisi della classicità con la rottura della forma organica, naturalistica e razionale dell’arte greca, una
tendenza antigreca definita provinciale e plebea). Solo all’inizio del ‘900, viene rivalutato con Riegl, afferma
con la sua ‘’volontà d’arte ’’ cioè che ogni fase storica esprime le idee attraverso il linguaggio artistico;
quindi ogni arte è degna di essere analizzata. La storia viene intesa come passaggio tra mondo antico e
medioevo.
- Esterno abbiamo continua lotte sui confini orientali e settentrionali dove nemmeno la vittoria di
Settimio Severo contro i Parti riuscì a placare così come le battaglie contro i barbari del Nord.
- Interno Roma perde il suo carattere di città centro del potere in quanto vediamo in questo periodo
imperatori non provenienti dalle grandi famiglie romane e estesa la cittadinanza romana a tutti
coloro che facevano parte del territorio romano.
L’elemento più significativo di questa fase storica è la religione. Si tende verso forme monoteistiche
come il pensiero neoplatonico di Plotino (240-270) che concepisce il mondo come emanazione
dell’UNO, cioè Dio, era trascendente, inconoscibile e irraggiungibile attraverso qualsiasi conoscenza
umana. Si sviluppano i culti di Mitra, del Sole, di Serapide. Nel 313 Costantino dichiara libero il
Cristianesimo che era già radicato nell’impero, prima tra le classi più povere e poi fino a quelle più
ricche. La ‘’Cronaca di Seert’’ del III sec., un testo persiano, parla dello Stato romano come di Stato
Cristiano. I sintomi di questa diffusione si vedono nei ritratti imperiali. Non importa rappresentare il
personaggio fedelmente dal punto di vista fisico e fisionomico, tipico della ritrattistica romana. Il
sovrano è emanazione del divino e viene rappresentato ultraterreno, quasi astratto: sguardo illuminato
con occhi grandi e tratti idealizzati.
Rappresentato il giovane imperatore Gordiano III salito al trono a 16 anni e ucciso tre anni dopo. Questo
presenta uno sguardo intenso sottolineato dalle sopracciglia, l’osservatore ne è subito catturato. I capelli e i
baffetti da adolescente sono resi con piccole incisioni. Colpisce lo sguardo di questo giovane già adulto,
precocemente maturo. Figura molto amata nella letteratura. Il volto pingue contrasta la serietà del volto
mentre gli occhi suggeriscono l’abitudine alla meditazione.
Il volto assume una forma plastica più semplice con i capelli, barba e sopracciglia resi tramite incisioni
curatissime quasi del tutto innaturale. Gli occhi sono grandi e sono coloro che catturano l’attenzione
dell’osservatore in quanto questi sembrano osservare la realtà circostante da una dimensione extraterrena.
Lo sguardo è lontano ed emana trascendenza e potere.
1- Pseudo-Seneca (ritratto di un uomo anziano molto fedele alla realtà, con rughe sul collo e
viso, la barba, le guance scavate, ritratto è reale. Conservato a Napoli. Il linguaggio è ANALITICO, descrive
dettagliatamente tutto, non sintetico (ovviamente ci sono anche i ritratti idealizzati, come quelli
dell’imperatore con i muscoli ben scolpiti, panneggio molto realistico, lorica riccamente dettagliata, molto
spesso si vedono anche le vene sulle braccia).
Testa di Valente o Valentiniano I – IV dC – Uffizi di Firenze Troviamo tratti fortemente idealizzati con occhi
grandi e fuori scala, pettinatura è curatissima con lo sguardo che appare lontano. La forte spiritualizzazione
rende difficile l’identificazione del personaggio.
Arco onorario a 3 fornici per il trionfo contro i Parti. I 4 pannelli, due per parte, narrano gli avvenimenti
più importanti: gli episodi si leggono dal basso verso l’alto. L’imperatore è più grande rispetto ai soldati
(gerarchia dell’arte plebea). Rappresentazione della presa della città di Ctesinofonte. Il maestro fa largo uso
del trapano dove vediamo alternanza di zone d’ombra e di luce donando un effetto coloristico che vediamo
in età antoniana. Abbiamo una meno resa plastica e Settimio Severo è rappresentato in mezzo ai suoi
generali in una posizione rialzata intento nell’adlocutio. Vediamo caratteri della tradizione romana che
affondano le radici sull’arte provinciale e plebea.
Roma inizia a riempirsi di monumenti costruiti per volontà dei Severi. Il cambiamento culturale si vede
anche dalla costruzione delle Mura Aureliane (271-275). Roma non è più città aperta, ma si adegua ai
tempi. Aureliano si vede costretto a cingere la città per il momento instabile che vive il suo regno. A nord i
confini del Danubio vengono oltrepassati e, per la prima volta, i barbari arrivano al Garda. A Oriente intanto
c’è la lotta contro Zenobia, regina di Palmira. Tipico dell’epoca è il riuso di parti di monumenti antichi, come
ci mostra l’Arco di Costantino (315), innalzato per il decennale dell’imperatore, usa dei rilievi che ritraevano
gli imperatori più amati: Traiano, Adriano e Marco Aurelio. Costantino vuole apparire loro discendente
diretto. Nel rilievo dell’adlocutio, compaiono gli elementi tipici dell’arte plebea. Marco Aurelio e Adriano
sono più grandi rispetto agli altri; una prospettiva ribaltata pone figure e monumenti su un’unica superficie.
L’esecuzione a trapano si allontana dalle ricerche naturalistiche dell’arte greca per cadere in una
rappresentazione meno colta, ma di immediata comprensione. Nel IV sec. nascono i primi edifici di culto.
Roma, da una parte perde la sua centralità, dall’altro si prepara ad essere la capitale del mondo cristiano.
LA PRIMA ARTE CRISTIANA
Prima dell’editto del 313, il Cristianesimo si diffonde clandestinamente prima tra le classi povere, poi tra gli
aristocratici e commercianti. I ricchi mettono a disposizione dei luoghi segreti per pregare, le domus
ecclesiae (casa dell’assemblea). Nel IV sec. si contano 25 tituli (tipo parrocchie), chiese domestiche di cui
rimangono poche tracce. La resurrezione fa che si passi dall’incinerazione all’inumazione. I luoghi di
sepoltura erano collocati lungo le vie d’accesso (autorappresentazione) o nelle catacombe (usate da metà II
sec. al V sec., presso le grotte: zona dell’Appia dove sorgerà la Basilica Apostulorum). Sono luoghi di
pellegrinaggio fino al IX sec, quando con gli spostamenti dei corpi dei martiri nelle basiliche, vengono
abbandonate per essere riscoperte nel XVII sec. L’uso non era esclusivamente cristiano, ci sono ipogei
giudaici e pagani come quello sulla Via Latina del IV sec.: un mix di cristiani e pagani, con rappresentazioni
bibliche e mitologiche. Nel III sec. la Chiesa ancora clandestina divide Roma in 7 regioni, ognuna assegnata
ad un diacono (servo del culto). Ognuna di queste regioni corrisponde ad una catacomba fuori le mura.
Possono prendere il nome del proprietario del terreno (Priscilla) o quello del martire che ospita. Gli
ambulacri (gallerie o criptae come le chiamavano i fossori). Ai lati delle gallerie possono esserci cubicoli
(camere) poligonali per i più abbienti. Gli arcosoli, urne chiuse sormontate da un arco decorato a fresco.
I sepolcri sovrapposti sono detti loculi o loci messi in pila (sezione verticale). Della produzione artistica
dell’epoca abbiamo poco. Tra gli oggetti legati al culto dei martiri, abbiamo vetri dorati (III-IV sec. grazie
all’osservazioni tecnico stilistiche e le acconciature e vesti dei personaggi. Sugli oggetti di uso comune
vediamo dipinte, incise immagini inerenti il Buon Pastore, virtù cristiane e la vita proba Giona), avorio,
gioielli, lucerne.
Con la concessione della cittadinanza, si intensificano i rapporti con le culture periferiche. L’arte si stacca
dall’impronta naturalistica dell’età classica, in favore di una lettura simbolica. La rima arte cristiana usa un
linguaggio figurato che s’ispira alla cultura pagana e a quella orientale giudaica. L’aniconismo, tipico prima
del giudaismo e poi del cristianesimo spinge ad usare figure simbolo. Dal IV sec. forma simbolica e forma
narrativa procedono insieme: agnello/Cristo; Buon Pastore – filosofo/ Cristo, scene del Vecchio
Testamento, parabole di salvezza. La figura di Cristo avendo due nature, una divina e l’altra umana, poteva
essere rappresentato. Con il sodalizio tra Chiesa e Stato compare, specialmente nelle absidi delle basiliche,
il Cristo con le insegne regali della traditio legis.
I primi documenti risalgono al III sec. La mancanza di materiale dei primi secoli è imputabile al divieto
giudaico di rappresentare le divinità. Abbiamo un’arte che oscilla tra il realismo romano e una
rappresentazione simbolica e, dal IV sec, un ritorno alla tradizione classica. Le prime testimonianze a fresco
sono nei luoghi di sepoltura. Ispirazione alla romanità la troviamo nella Catacomba dei santi Pietro e
Marcellino con il Banchetto eucaristico - pagano. Lo stile dei primi secoli è quasi impressionistico.
Nei sarcofagi di III e IV sec., dalla narrazione romana, si passa a condensare più scene in un unico spazio. Ne
sono un esempio il SARCOFAGO LATERANO e il SARCOFAGO di GIUNIO BASSO (359), anche se questo ha
uno schema più classico. Dal IV sec. si passa all’espressionismo, le figure sono più ieratiche, si allontanano
dal naturalismo. Basiliche fondate nel IV-V sec che nel tempo furono modificate (come il soffitto a
cassettoni), erano suddivise in 3 navate da grandi file di colonne architravate che sorreggono una parete
liscia con grandi finestre, poteva ospitare mosaici (dopo il 431) o pitture. Già nel V sec nei mosaici
presentano scene dell’antico e del nuovo testamento. Si va verso una semplificazione e sinterizzazione degli
elementi. Il contrasto tra colori scuri e chiari dava tridimensionalità, non ci sono colori graduali per creare le
sfumature. Rapporto irrazionale tra figure e le architetture sullo sfondo. Dietro le scene c’è di base un testo
letterario, si solito sono i vangeli apocrifi, le figure sono molto semplici così le persone appena sentivano le
parole delle scritture capivano l’immagine, anche per essere comprese dal basso. La madonna veniva
raffigurata come una matrona romana con le perle tra i capelli, circondata da una schiera di angeli, una
delle prime raffigurazioni della madonna la troviamo a Santa Maria Maggiore. La gestualità delle mani era
molto importante, infatti raffigurate molto grandi, perché si doveva vedere cosa stava succedendo anche
da lontano, ogni gesto aveva un significato specifico.
5Il Missorio era un piatto d’argento che veniva donato come regalo decorato con
rilievi. Uno di questi raffigura Teodosio con i figli, i soldati, il committente, e la personificazione della terra
che sta sotto i piedi del trono di Teodosio (la terra feconda sottomessa dal potere di Teodosio), datato 388
d.C. Dettaglio dei capelli come calotta, aureola circonda il suo capo, architettura sottile sullo sfondo
(frontone del tempio, solo colonne che lo sostengono). Questa scena verrà presa come riferimento per
l’arte cristiana nella raffigurazione della madonna.
1. COSTANTINOPOLI La nuova Roma doveva essere totalmente diversa dalla prima. Costantino l’8
novembre del 324 consacra la nuova capitale sul Bosforo. Bisanzio sorge su un promontorio, la
piccola città greca viene ampliata da Settimio Severo nel 196.
Costantino, dà il nome a questa nuova sede e ne quadruplica l’estensione severiana, fornendola di
un: Nuovo porto; Un ippodromo; Amplia le mura; Costruisce acquedotti; Palazzi; Strade. L’unico
edificio che conserva ancora alcune parti è l’IPPODROMO e a partire dall’istituzione della Tetrarchia
è luogo di epifania imperiale, ed elemento essenziale di ogni residenza imperiale. Su un’altura
sorgeva il Foro, circolare e con al centro, una colonna sulla cui sommità c’era una statua di
Costantino -Helios.
La CHIESA DEI SANTI APOSTOLI, concepita come un mausoleo e futuro luogo di pellegrinaggio, era
costruita nel punto più alto della città. Era una costruzione a croce greca con all’interno la tomba
dell’imperatore, dove Costantino aveva disposto che ogni giorno si celebrasse il sacrificio
eucaristico. Alla morte di Costantino (337) i lavori non erano ancora finiti. La chiesa, che assunse la
funzione di cattedrale fu Santa Sofia fondata da Costantino e interamente ricostruita da
Giustiniano, nel XV e XVIII sec. La città divenne espressione della natura divina dell’imperatore.
Nonostante ciò non arrivava minimamente a rivaleggiare con Roma o con altre città antiche come
Antiochia o Alessandria. Per primeggiare deve aspettare il sacco di Roma da parte dei Goti del 410 e
dei Vandali nel 455 e la conquista persiana di Antiochia nel 540. Raggiunge il suo apice con
Giustiniano (528-565). Successivamente con Teodosio I e successori Costantinopoli è soggetta a
trasformazioni che la rendono un grande centro grazie anche alla decadenza degli altri centri.
Importanti sono le mura di Teodosio II, che sostituiscono quelle di Costantino in quanto ciò porta
alla creazione di nuovi cantieri con nuove maestranze. Costantinopoli diviene centro artistico in cui
giungono diversi artisti da ogni regione e nascono nuove scuole. Tra il IV V VI secolo avorio e
oreficerie sono sensibili agli effetti della renovatio con una consapevole ripresa dei 8 modelli
classici.
Il significato della renovatio lo cogliamo nelle opere di carattere profano, dai mosaici pavimentali
con scene bucoliche, cacce, ecc. SANTA SOFIA
– MILANO
Al centro della Pianura Padana, sorta in posizione strategica. Forse fondata dai Galli, ma l’aspetto
urbano più conosciuto è romano: schema a scacchiera poi coperto dallo schema a ragnatela.
Durante la Tetrarchia diventa capitale imperiale e viene ampliata con Massimiano (286-305). Sotto
Piazza Duomo ci sono i resti della Basilica a cinque navate del Salvatore, poi consacrata a SANTA
TECLA. Ricostruita sulla forma antica è la basilica di SAN LORENZO, pianta quadrata con angoli
rinforzati da torri. I toponimi delle vie limitrofe la associano al palazzo imperiale, quindi possiamo
datarla al IV o V sec. Il vescovo Ambrogio poi circonda Milano di chiese, come una cinta spirituale,
che modificano profondamente l’aspetto della città: BASILICA MARTYRIUM (dove ora sorge la
chiesa di S. Ambrogio) del 386 a 3 navate. Ospitava i martiri Gervasio e Protasio e poi lo stesso
Ambrogio. BASILICA APOSTOLORUM (San Nazaro) del 386 con pianta a croce. La curiosa planimetria
si ricollega alla chiesa degli Apostoli di Costantinopoli. BASILICA VIRGINUM (San Simpliciano) con
pianta a croce. SAN DIONIGI dedicata all’omonimo vescovo, se ne conosce solo la collocazione.
RAVENNA
Alla morte di Teodosio (395) l’impero viene diviso in due parti: l’Oriente con capitale Costantinopoli,
governato da Arcadio e l’Occidente con Onorio. La capitale viene spostata da Milano a Ravenna perché
circondata da paludi, quindi difficilmente raggiungibile dai Visigoti di Alarico. Con il legame stretto tra
Cristianesimo e Impero, si cerca di rendere Ravenna ‘’esteticamente’’ cristiana. La cattedra vescovile viene
trasferita nel IV sec. da Classe a Ravenna. Il vescovo Urso dota la città di edifici: La CATTEDRALE URSIANA:
deduciamo una pianta a 5 navate e priva di transetto;
Il BATTISTERO NEONIANO: ottagonale in laterizio. Il soffitto viene mosaicato dal Vescovo Neone nel V sec e
possiamo notare una rappresentazione plastica di derivazione romana. Nella fascia esterna del mosaico c’è
l’etimasia (trono vuoto con libro della vita) riferimento apocalittico alla fine del mondo). Il vero splendore
arriva sotto la reggenza di Galla Placidia, sovrana di Occidente in vece del figlio Valentiniano II. Si ipotizza la
presenza del Palazzo imperiale (a cui urbanisticamente sono legate le chiese), nella Regio Caesaris. Lì vicino
Galla Placidia fa costruire la CHIESA DI SAN GIOVANNI EVANGELISTA (426): 3 navate; rimaneggiata
pesantemente nei secoli, mosaici con membri della famiglia imperiale teodosiana perduti; presenza di due
pastofori (casa del sacerdote ambienti rettangolari) che chiudono le navate ai lati dell’abside. Questi
ambienti gemelli sono presenti in chiese paleocristiane e altomedievali. MAUSOLEO DI GALLA PLACIDIA,
era collegato a Santa Croce (oggi scomparsa) e doveva far parte di un edificio maggiore.
Tra i monumenti più antichi di Ravenna troviamo
9 il Mausoleo di Galla Placidia
(figure bidimensionali, pieghe delle vesti rese con strisce nette di colore,
no profondità, volontà di ricreare una sorta di paradiso) e sante martiri a sinistra
(fondo oro, tengono in mano la corona del martirio, sono identificate non
per cosa tengono ma per il nome sopra le loro teste, figure piatte, no chiaroscuro, capi colorati in contrasto
con i colori del resto, tutto si sviluppa sul primo piano, non ci sono ombre, le figure non sono investite dalla
luce, procedono tutte verso una direzione ma nonostante ciò sono figure frontali, irrazionalità nella
rappresentazione dello spazio perché non importante al loro scopo), sopra di essi grandi finestroni per
illuminare, vi si alternano ad esse quadri con la vita di Cristo, nell’ultimo pannello vi sono alcune scene
- Pesca miracolosa sul lago di Tiberiade, Gesù raffigurato più grande rispetto
alle altre figure (non per tridimensionalità ma per esaltare la sua importanza) ha l’aureola e porta una
croce, non ha la barba, sono presenti nella scena anche i due pescatori mentre tirano su la rete piena di
pesci.
- Ultima cena, gli apostoli descrivono un arco con i loro corpi mentre
sono sdraiati sul triclinium, al centro un tavolo alla romana con un grande piatto di pesce, tutti i volti sono
presentati frontalmente tranne Giuda che è di profilo.
Nel 476 Odoacre, re degli Etoli, depone Romolo Augustolo. Noi usiamo questa data come cesura tra mondo
antico e medioevo. Teodorico, re dei Goti ed alleato di Bisanzio, viene mandata da Zenone a liberare il
suolo italico dagli invasori. Teodorico diventa Patrizio d’Oriente, e adottato da Zenone, bonifica l’area
intorno a Ravenna. Il nuovo re è ariano e, circondato da uomini di cultura, cerca di far convivere
pacificamente Latini e Goti. Per quest’ultimi costruisce un quartiere apposito nella Regio Caesaris.
ORIGINE DEL MOSAICO L’uso della tecnica risale alla tradizione greco-romana. L’esempio della fase più
antica è nel mosaico di Pella del IV sec. a.C. Nel corso del tempo si passa dai ciottoli alle tessere che
possono variare dimensione ed essere di smalto, pasta vitrea, terracotta o madreperla. L’oro e l’argento
vengono stesi su una lastra di vetro trasparente. Le dimensioni e forme variano: quelle usate per volti e
mani sono molto piccole mentre quelle per le superfici più ampie sono più grandi. Il muro viene preparato
con: Arriccio – preparazione del muro con calce, sabbia e acqua. Vari strati di polvere di marmo, calce
spenta e pozzolana. Il lavoro viene svolto in gruppo, dove troviamo: Pictor Imaginarius: traccia su cartone il
soggetto da rappresentare e i colori da utilizzare Pictor Parietarius: trasferisce il disegno dal cartone sulla
superficie Musivarius: dispone le tessere colorate sulla superficie. Fino al I sec. il mosaico veniva impiegato
nelle dimore patrizie; dal I sec. d.C. viene impiegato anche nelle abitazioni comuni; gli Antonini nel II sec.
d.C. li usano su edifici pubblici. Nelle prime basiliche si preferisce la decorazione a mosaico dell’abside a
quella pavimentale, che viene lasciata ai marmi. L’effetto che ne deriva, tra il colore delle tessere e la luce
che queste riflettono, è di immergere il fedele in un ambiente spirituale e contemplativo. Il mosaico è più
duraturo e quindi preferito. Roma- Ravenna e Milano testimoniano l’evoluzione del mosaico.
La morte di Teodorico nel 526 lascia il regno travagliato da lotte interne, specialmente per l’intolleranza
degli imperatori verso gli ariani. Con Giustiniano scoppia la guerra gotobizantina (535-553) che vede la
vittoria di Giustiniano e una breve unificazione degli Imperi. Nel 554 con la Prammatica Sanzione,
Giustiniano istituisce la Prefettura d’Italia, con capitale Ravenna. Il vescovo Agnello (557-570) si adopera
per cancellare tutti i segni ariani dalla città: sostituisce i personaggi del Palazzo di Teodorico con una sfilata
di Martiri e Vergini. Siamo in un periodo, seconda metà del IV sec., in cui c’è più aderenza all’arte bizantina,
con figure ieratiche e ultraterrene e il tipico fondo dorato.
Il concetto di MEDIOEVO o ETA’ di MEZZO viene creato dagli Umanisti del XV sec. Si usa per definire quel
periodo che va dalla caduta dell’Impero romano d’Occidente fino al 1492. E’ il tempo delle cosiddette
‘’ivasioni barbariche’’. Le migrazioni e la presenza di stranieri nell’esercito, fa sì che i barbari si spingano sul
territorio romanizzato. Tra IV e V secolo si formano i regno romano – barbarici. Lo sconvolgimento culturale
che ne deriva fa declinare alcune tecniche artistiche, quali l’architettura, la scultura e la pittura a favore
delle tecniche già usate dalle popolazioni occupanti. Si sviluppa così la lavorazione del legno, del metallo,
della pelle e l’oreficeria. Si afferma uno stile detto ‘’policromo’’, tipico delle popolazioni germaniche; si
usano pietre come granati e almandini incastonate in oro. Un altro stile è quello ‘’animalistico’’ che si divide
in I e II: geometrizzante e schematizzazione delle forme.
3 Arco di Costantino.
L'arco di Costantino è il più grande arco trionfale. Situato a Roma, a breve distanza dal Colosseo, non venne
abbattuto soprattutto in quanto Costantino fu pubblicizzato come il primo impearatore favorevole alla
religione cristiana, il che corrisponde al vero, anche se non si convertì mai ed ebbe solo intenti di potere.
L'arco fu voluto dal senato che lo dedicò all'imperatore per onorare il "liberatore della città e portatore di
pace", in parte per ingraziarselo, come del resto facevano con ogni imperatore, in parte forse perchè fu
effettivamente un valente condottiero capace di difendere l'impero.
Il monumento venne sottoposto a restauri e a diversi studi fin dalla fine del Quattrocento e nel 1733 ha
ricevuto notevoli lavori di integrazione delle parti mancanti. Nel 1530 Lorenzino de' Medici venne cacciato
da Roma per aver tagliato per divertimento le teste sui rilievi dell'arco, che vennero in parte reintegrate nel
XVIII sec. Oltre alla notevole importanza storica l'Arco è un vero e proprio museo di scultura romana
ufficiale, straordinario per ricchezza e importanza.
LA STORIA
L'arco fu dedicato dal senato per commemorare la vittoria di Costantino I contro Massenzio nella battaglia
di Ponte Milvio (28 ottobre del 312) e inaugurato ufficialmente nel 315 nell'anniversario dei dieci anni di
potere dell'imperatore. La collocazione, tra il Palatino e il Celio, era sull'antico percorso dei trionfi.
La datazione dell'arco è fissata tra il 130 e il 138 d.c..
L'arco è uno dei tre archi trionfali sopravvissuti a Roma, gli altri due sono l'arco di Tito (81-90 circa) e l'arco
di Settimio Severo (202-203).
Le informazioni che si conoscono derivano in gran parte dalla lunga iscrizione di dedica, ripetuta su ciascuna
faccia principale dell'attico. Infatti l'imperatore, che aveva dato libertà di culto nell'Impero Romano nel 313,
partecipò solo nel 325 al concilio di Nicea, e soprattutto non si convertì mai, nemmeno in punto di morte,
visto che non lo riporta nemmeno una fonte, e un fatto del genere avrebbe fatto epoca.
Tra i rilievi dell'arco sono infatti presenti scene di sacrificio a divinità pagane e busti di divinità anche nei
passaggi laterali, e ancora divinità pagane sulle chiavi dell'arco.
Il monumento si suppone costruito all'epoca di Adriano e successivamente pesantemente rimaneggiato in
epoca costantiniana, con lo spostamento in fuori delle colonne, il rifacimento dell'intero attico,
l'inserimento del fregio traianeo sulle pareti interne del fornice centrale, e i rilievi e decorazioni di epoca
costantiniana, rilavorando dei blocchi già inseriti nella muratura, o inserendo nuovi elementi lavorati.
Sarebbero invece originali i Tondi adrianei.
Le sue sculture infatti per la maggior parte provenivano da monumenti di epoche precedenti (età di
Traiano, di Adriano e di Commodo) andati probabilmente distrutti per gli incendi del 283 e del 307 d.c.
BASSORILIEVO DELL'EPOCA DI MARCO
AURELIO
La sua struttura, inoltre, si compone essenzialmente di una parte derivata da un antico arco di trionfo
dedicato ad Adriano, la parte che arriva alla cornice, sopra i fornici, e le fondazioni incorporano strutture
murarie appartenenti, probabilmente, alla vicina Domus Aurea di Nerone.
Nel corso del Medio Evo l'arco, denominato di “arco de Trasi”, perchè collocato sulla strada che portava alla
chiesa intitolata a San Gregorio, fu modificato in torrione dalla famiglia dei Frangipane che la annesse alle
sue costruzioni fortificate tra il Palatino e il Colosseo. Nel corso del Settecento ebbe alcuni interventi di
risanamento ma venne liberata solo nel 1804.
La pulizia e l' isolamento dell’Arco di Costantino, come oggi lo vediamo in tutta la sua bellezza, furono
realizzate soltanto nel 1832, grazie alle opere di ingrandimento della Via di San Gregorio messe in atto dal
pontefice Gregorio XVI, e nel corso dell’anno successivo, durante il regime fascista, in occasione
dell’apertura al pubblico della strada rinominata Via dei Trionfi.
DESCRIZIONE
I fornici sono inquadrati sulle due facciate da quattro colonne corinzie su alti piloni e addossate alle pareti,
sormontate da una ricca trabeazione sormontata da un attico a una altezza di 25 m, e scandito in tre settori
da statue di prigionieri barbari.
L'arco è a tre fornici, e quello centrale, che è il più grande. La struttura architettonica riprende quella
dell'arco di Settimio Severo nel Foro Romano, con i tre fornici inquadrati da colonne sporgenti su alti plinti,
e pure alcuni temi decorativi, come le Vittorie dei pennacchi del fornice centrale. La cornice dell'ordine
principale è di reimpiego, di età antonina o severiana, integrata da copie ostantiniane per gli elementi
sporgenti sopra le colonne, più accurate sulla fronte che sui fianchi. Ancora di reimpiego sono i capitelli
corinzi, di epoca antonina, i fusti in marmo giallo antico e le basi delle colonne.
Capitelli e basi delle retrostanti lesene sono invece copie costantiniane, mentre i fusti delle lesene,
probabilmente di reimpiego, sono stati quasi tutti sostituiti nei restauri settecenteschi. Di epoca
domizianea, ma con rilavorazioni successive, è anche il coronamento del fornice centrale.
Di epoca costantiniana sono invece gli archivolti del fornice centrale, i coronamenti, zoccoli, fregio,
architrave e basi dell'ordine principale, archivolti e coronamenti di imposta dei fornici laterali, con
modanature semplificate e con andamento non allineato.
ASSORILIEVO
COSTANTINIANO
La mancata precisazione della divinità sembra voluta: l'imperatore in quest'epoca, pur benevolo nei
confronti della nuova religione, che con il suo monoteismo vede come base ideologica del potere imperiale,
era anche vicino al Sol Invictus, e la scelta fra le due religioni fu difficile, tanto che riunì i suoi consiglieri per
valutare quale delle due, che erano le più seguite all'epoca, fosse la più indicata per l'impero.
Altre iscrizioni sulle pareti interne del fornice centrale (LIBERATORI · VRBIS e FVNDATORI · QVIETIS) e al di
sopra dei fornici laterali (sulla facciata nord: VOTIS · X · VOTIS · XX e sulla facciata sud: SIC · X · SIC · XX):
queste ultime si riferiscono ai decennalia e ai vicennalia, ossia ai festeggiamenti per i dieci o venti anni di
regno.
Nell'attico, al centro compare un'ampia iscrizione, mentre ai lati minori e sopra ai fornici minori vi
sono collocati bassorilievi di epoca traianea e di Marco Aurelio; anche le sculture a tutto tondo (i
Prigionieri Daci) che sovrastano le colonne sono traianei.
Al livello inferiore, sopra i due fornici minori, sono collocati coppie di tondi risalenti all'epoca di
Adriano, un tempo incorniciati da lastre di porfido.
Allo stesso livello sui lati minori si trovano altri due tondi di epoca costantiniana.
Al di sotto dei tondi, quattro pannelli a bassorilievo in orizzontale formano una sorta di fregio, di
epoca costantiniana.
Altri bassorilievi si trovano al di sopra degli archi (Vittorie) e sui plinti delle colonne.
I rilievi riutilizzati richiamano le figure dei "buoni imperatori" del II secolo (Traiano, Adriano e Marco
Aurelio), a cui viene così assimilata la figura di Costantino a fini propagandistici, per stabilire la
legittimità della sua successione di fronte allo sconfitto Massenzio (tetrarca al pari di Costantino).
L'uso di materiale di recupero di monumenti antichi parte proprio da questi'epoca, così si presero
"citazioni" degli altri imperatori molto amati, le cui teste vennero rilavorate per dare loro le sembianze di
Costantino, che si proponeva quindi come loro erede.
Nello scolpire le nuove teste (oggi in gran parte frutto di restauri settecenteschi, con alcune lacune come
nei pannelli aureliani) alcune vennero dotate del nimbus, come mostrano alcune tracce, a simboleggiare la
maiestas imperiale. I rilievi sono posti simmetricamente sulle due facciate (nord e sud) e sui due lati corti
(est ed ovest) dell'arco. Come tipico negli archi romani a rilievi, sulla facciata esterna (a sud) prevalgono
scene di guerra, mentre sulla facciata interna (a nord), rivolta verso la città, scene di pace.
LE EPOCHE
le situate sui plinti delle colonne, scolpiti sui tre lati che ritraggono delle Vittorie;
quelle presenti sugli archivolti del fornice centrale, sempre ritraenti delle Vittorie;
quelle sugli archivolti dei fornici minori, che ritraggono divinità fluviali;
quelle sulle chiavi degli archi, con figure allegoriche;
quelle sulle pareti interne dei fornici minori, con 8 grossi busti di imperatori in rilievo;
quelle sopra gli stessi fornici minori sui due lati corti, con sei lunghi pannelli che illustrano la
campagna contro Massenzio.
Sui due lati corti i due tondi con la rappresentazione della Luna, nel lato ovest, e del Sole, nel lato
est.
le otto statue di Daci prigionieri (con le teste rifatte nel Settecento) nell'attico sui plinti sopra le
colonne,
i due pannelli sui lati minori dell'attico con scene di battaglia e gli altri due all'interno del fornice
centrale, appartenenti a un unico grande fregio (alto circa 3 metri e in origine lungo oltre 35 che
forse decorava l'attico della Basilica Ulpia.
gli otto pannelli dell'attico ai lati dell'iscrizione con episodi relativi all'impero di Marco Aurelio (con
le teste dell’imperatore rilavorate nel Settecento): nella facciata meridionale,
presentazione di un capo barbaro all’imperatore,
prigionieri condotti davanti all’imperatore,
discorso dell’imperatore ai soldati,
sacrificio nell’accampamento;
nella facciata settentrionale, arrivo a Roma dell’imperatore,
partenza da Roma dell'imperatore,
distribuzione di denaro al popolo,
resi di un capo barbaro.
Il fregio doveva essere completato da altre lastre in parte perdute di cui si serbano frammenti al Louvre,
all'Antiquarium del Foro Romano e al Museo Borghese. Le teste dell'imperatore nelle lastre reimpiegate
sono state rilavorate come ritratti di Costantino. Calchi delle lastre sono ricomposti nella loro originaria
unità nel Museo della Civiltà Romana a Roma.
la conquista di un villaggio dacico da parte della cavalleria e della fanteria romana che spingono i
prigionieri;
in secondo piano i soldati, sullo sfondo delle capanne del villaggio, mostrano le teste mozzate dei
barbari;
i prigionieri sono incalzati dall'altro lato da una carica della cavalleria guidata dall'imperatore
seguito da signiferi e cornicini;
Traiano entra a Roma, incoronato da una Vittoria e guidato dalla Dea Virtus in abito amazzonico.
Il fregio dei Daci, confrontato coi rilievi della Colonna Traiana, fa sospettare siano opera dello stesso
maestro, anche per alcune scene simili, come Traiano che riceve le teste di due capi daci e le scene di
cavalleria alla carica.
Sempre dal Foro di Traiano provengono le otto statue di prigionieri Daci in marmo pavonazzetto su
basamenti in marmo cipollino che sovrastavano l'attico (testa e mani delle sculture e una delle figure per
intero, in marmo bianco, sono dovute al restauro del XVIII secolo).
TONDI ADRIANEI
Otto rilievi tondi dell'epoca di Adriano di oltre 2 m di altezza stanno al di sopra dei fornici laterali, sulle due
facciate, inseriti a coppia in un campo rettangolare che in origine era ricoperto da lastre di porfido.
L'attribuzione adrianea deriva da fattori stilistici e soprattutto per la presenza della figura di Antinoo,
l'amante di Adriano.
Vi sono raffigurate scene di caccia e scene di sacrificio a divinità pagane, e anche in questi tondi le teste
dell'imperatore sono state rilavorate come ritratti di Costantino, nelle scene di sacrificio, e di Licinio o di
Costanzo Cloro nelle scene di caccia; viceversa per i tondi collocati sulla facciata nord.
Alle effigi di Costantino venne aggiunto il nimbus (aureola), spettante alla maiestas imperiale, che poi dal
cattolicesimo passerà ai santi. Si pensa che i tondi si trovassero originariamente proprio su questo arco,
forse adrianeo nella sua prima edificazione, adattato e ridecorato all'epoca di Costantino.
Affiancano l'imperatore nelle scene due o tre personaggi, a cavallo in due dei rilievi di caccia, e a piedi negli
altri. Le composizioni sono attentamente studiate attorno alla figura imperiale e gli sfondi sono essenziali,
secondo le convenzioni dell'arte ellenistica.
Il tema della caccia, che proprio Adriano riportò in auge, è connesso all'esaltazione eroica del sovrano
risalente a Alessandro Magno e alle antiche civiltà orientali.
Le teste dell'imperatore sono state rilavorate anche qui, come ritratti di Costantino e Licinio. Oggi le teste
sono quelle del restauro del XVIII sec. e raffigurano Traiano, in quanto all'epoca i rilievi erano stati attribuiti
all'epoca di questo imperatore, esposti a palazzo dei Conservatori.
C'è la presenza fissa, alle spalle dell'imperatore, di un personaggio indicato come il genero e successore
possibile di Marco Aurelio, Tiberio Claudio Pompeiano, che fa pensare a un'origine comune dei rilievi.
Adventus (arrivo dell'imperatore a Roma): Marco Aurelio, sulla cui testa vola una Vittoria con un
serto, affiancato da Marte e Virtus, che lo invitano nella Porta Triumphalis; in secondo piano le
divinità dei templi presso la porta (oggi area sacra di Sant'Omobono): la Mater Matuta e la Fortuna
Redux, mentre il tempio sullo sfondo è quello di Fortuna, a sinistra.
PANNELLO MARCO AURELIO
- CLEMENTIA -
L'ordine dei pannelli nel monumento originario era diverso da quello odierno sull'arco, dove i rilievi non
seguivano un ordine narrativo, ma le tematiche di guerra (a sud) e di pace (a nord), o ad effetto, come
l'accostamento della partenza (Profectio) e dell'arrivo (Adventus).
I pannelli, attribuiti al cosiddetto Maestro delle Imprese di Marco Aurelio, sono significativi della svolta
nell'arte all'epoca di Commodo: in cui lo spazio è visto dall'osservatore ed è evidenziata come non era nel
mondo greco, ma lo era già a Roma nei rilievi dell'Arco di Tito.
Nei rilievi è presente anche la pietà e il coinvolgimento per la condizione dei vinti (come nella Colonna
Traiana).
Il racconto, che riguarda gli episodi della guerra contro Massenzio e la celebrazione della vittoria di
Costantino a Roma, inizia sul lato corto occidentale e prosegue girando intorno all'arco in senso antiorario
per terminare all'angolo nordoccidentale con:
Partenza da Milano ("Profectio"), sul lato occidentale, al di sotto del tondo con Luna-Diana:
Costantino è seduto su un carro con cathedra ed è preceduto dalle truppe a piedi e a cavallo,
legionari regolari e ausiliares, con l'elmo cornuto e i dromedarii; alcuni soldati recano statuette di
Sol Invictus e di Victoria.
Assedio di Verona ("Obsidio"), sul lato meridionale: Costantino si vede sulla sinistra tra due
protectores divini lateris, mentre una Vittoria in volo lo incorona; al centro il gruppo dei soldati
assedianti; a sinistra le mura della città oltre le quali sporgono gli assediati, composti da truppe
pretoriane, pronte a lanciare pietre contro gli assalitori.
Battaglia di Ponte Milvio ("Proelium"), sul lato meridionale: a sinistra il ponte Milvio con una
personificazione del Tevere che si affaccia mentre passa Costantino tra la Virtus e la Vittoria; segue
il massacro e annegamento dei cataphractrarii di Massenzio da parte della cavalleria costantiniana;
all'estrema destra i trombettieri dell'esercito vincitore richiamano le truppe.
Arrivo a Roma ("Ingressus"), sul lato orientale, mentre sul lato opposto c'è il rientro dell'imperatore
nell'Urbe del 29 ottobre 312; l'imperatore sul carro incede veso la porta della città preceduto dai
cavalieri con berretto pannonico, fanti con armi e insegne, e cornicines, cioè le truppe palatine,
legionarie, cornuti e Mauri.
Ci sono cinque moduli di proporzione gerarchica; l'imperatore è seduto al centro sul trono, in posizione
frontale, e sovrasta i personaggi del seguito sulla stessa loggia, a loro volta più grandi dei funzionari nella
loggia, che sono supplici o che prendono un donativo dalle mani dell'imperatore, la massa anonima dei
beneficianti si trova nella fascia inferiore, con la mano alzata per ricevere e rappresentati e quasi di spalle.
Nelle logge sopraelevate, la porticus Minucia o il Foro di Cesare, si vedono i funzionari che registrano le
elargizioni prendendo il denaro dai forzieri. Il fregio costantiniano, in narrazione continua di episodi,
prosegue la tradizione romana del rilievo storico, ma non nello stile, non più naturalistico ellenistico ma con
maggiore carattere simbolico.
Privilegiando la linea di contorno rispetto ad una reale consistenza volumetrica, e i volti con gli occhi grandi
e sbarrati sono segnati da un marcato espressionismo.
Nella scena dell'Oratio l'imperatore, in posizione rialzata sulla tribuna, è l'unico in posizione frontale e
anche di dimensioni maggiorate, come una divinità che si mostri ai fedeli. Si tratta infatti di uno dei primi
casi a Roma di proporzioni tra le figure organizzate secondo gerarchia, caratteristica tipica della successiva
arte paleocristiana e medievale.
Lo sfondo del rilievo Liberalitatis mostra i monumenti del foro romano visibili all'epoca, ma la loro
collocazione non è realistica, bensì allineati e paralleli alla superficie del rilievo. Anche i due gruppi laterali
di popolani, che dovrebbero stare davanti alla tribuna, sono ruotati e schiacciati ai due lati.
L'allontanamento dalle ricerche naturalistiche dell'arte greca portava a una più facile interpretazione delle
immagini. Per alcuni segno di decadenza, per altri un'interpretazione artistica delle province romanizzate e
una maggiore naturalezza.
Sul fronte Vittorie che scrivono su scudi o reggono rami di palma e trofei con barbari prigionieri;
Sui lati dei fornici laterali Prigionieri da soli o con soldati romani
Sui lati del fornice centrale Soldati coi "signa" o Sol Invictus e Victoria;
Gli otto busti su lastre inseriti nella muratura dei passaggi laterali con ritratti imperiali e figure di
divinità;
Le Vittorie alate con trofei e i Geni delle Stagioni nei pennacchi del fornice centrale;
Le personificazioni di fiumi nei pennacchi dei fornici laterali;
Le sculture delle chiavi d'arco con raffigurazioni di divinità: sui fornici laterali Marte, Mercurio,
Genius populi Romani; sul fornice centrale Roma e Quies Rei Publicae.
PANNELLO MARCO AURELIO
- ADVENTURES -
Le figure allegoriche costantiniane si rifanno alla tradizione figurativa, ma privo di emozioni, il volume è
appiattivo degradando nel disegnativo e calligrafico.
I LONGOBARDI IN ITALIA
Con re Alboino entrano in Italia dal Fruili nel 568. Conquistano rapidamente la penisola tranne Ravenna,
l’Esrcato, Napoli, Amalfi e l’estremo sud. Il regno è denominato Longobarda Maior, al nord, più compatto, e
Longobarda Minor, al sud, con ducati più autonomi. I longobardi sono una popolazione nomade attestata
alle foci dell’Elba con il nome di Wannili. La loro produzione artistica, come per tutti i nomadi, è basata
sull’oreficeria.
Capitale diventa Pavia e il dominio longobardo viene sancito dall’Editto di Rotari (643), e la legge
longobarda si sostituisce al diritto romano. Gli invasori, con a capo Agilulfo (sovrano nel 592) e Teodolinda,
non riescono ad integrarsi con il popolo assoggettato e si riuniscono in clan familiari (farae – da qui i paese
che iniziano con Fara).
Queste popolazioni erano specializzate nella lavorare dei metalli, nelle oreficerie più che nella pittura o
20 L’altare del Duca Ratchis riprende il tema cristiano della Visitazione , reso
con una bidimensionalità e con il conseguente disfarsi delle forme: le figure di Maria e della cugina
Elisabetta sono rappresentate con dei vestiti con striature insolite dando un’idea innaturale, sembrano
matasse di lana unite per comporre il corpo, i Longobardi riprendono l’usanza di incorniciare le figure in
degli archi poggianti su colonnine tortili (la Madonna sta sotto un arco più grande rispetto a quello della
cugina), tutt’intorno corrono motivi decorativi simili a nastri intrecciati. Sempre nell’altare del duca Ratchis
c’è la raffigurazione frontale del Cristo portato in gloria , raffigurato con l’aureola
dietro una croce e delle stelline (è la Dextra Patris, la mano di Dio), è inserito in una mandorla posta al
centro del pannello sostenuta da 4 angeli sproporzionati aventi teste piccolissime, le figure sembrano
ci sono delle colonne classiche di reimpiego, ci sono anche i simboli degli evangelisti
come il bue alato le cui zampe reggono una sorta di lapide e il piumaggio dato con questi motivi astratti
incorniciato in una sorta di cerchio decorato con una treccia stilizzata, la testa di un leone che dovrebbe
simboleggiare l’evangelista Marco.
Le popolazioni germaniche, come quelle anglosassoni, hanno delle tradizioni artistiche molto diverse da
quelle dell’arte classica: si basavano molto sulla bidimensionali delle forme, figure stilizzate e motivi
particolari e ricorrenti. Le fibule sono dei fermagli-spille, che consentivano di fissare un mantello sulla
spalla: presentano dei castoni, ovvero delle pietre lavorate e incastonate in medaglioni in oro riccamente
decorati da dettagli in filigrana, oppure mostravano ad esempio dei cavalieri rappresentati in un anello
sempre decorato da una treccia.
è il 24Tempietto di Civitale nel Friuli, dove al suo interno sono presenti delle
decorazioni in stucco (elemento molto usato perché economico: una volta bagnato era molto più semplice
lavorare rispetto alla pietra), particolare è la decorazione dell’arco sopra la porta centrale e della parte al
suo interno, sei sante in gesso-stucco sono poste al di sopra e rappresentate frontalmente, portano in
mano la corona del martirio, hanno alle loro spalle l’aureola, per abbigliamento somigliano alle imperatrici
romane (come Teodora, come le figure importanti), grandi occhi, panneggio sempre molto schematico ma
c’è comunque il rimando all’arte classica, è maggiore il senso del chiaroscuro.
PRODUZIONE ARTISTICA DEGLI ANGLOSASSONI (VIII secolo) che si stabiliranno in Inghilterra. Caratteristici i
codici miniati, gli evangeliari-codici di carattere religioso. Introducono un altro linguaggio figurativo che,
unito alla tradizione classica degli ex-stati dell’impero romano, formerà il cosi detto stile romanico. L’arte di
queste popolazioni è aniconica = senza immagini, è tutta realizzata con motivi astratti e nastri che si
intrecciano, al massimo troviamo delle figure zoomorfe ma tutto molto ridotto a elementi decorativi molto
colorati le cui linee si vanno a perdere nei vari intrecci. Esempio una pagina
Rinascenza Carolingia. I Longobardi, in Italia come in altre parti d’Europa, vennero sconfitti e respinti dai
Franchi che occuparono territori che corrispondo alle attuali Francia, Nord Italia e Germania. Carlo Magno
nel 774 pone fino al dominio longobardo sull’Italia del nord, sconfiggendo re Desiderio. Spoleto e
Benevento cadono invece nell’IX sec. con l’invasione normanna.Da qui abbiamo la costituzione del Sacro
Romano Impero da parte di Carlo Magno, il quale si fece incoronare imperatore a San Pietro a Roma la
notte di Natale dell’800. Nelle commissioni artistiche si rifà alla tradizione classica, tanto che nelle monete
verrà ritratto di profilo e con la corona d’alloro, l’unico elemento che ci permette di capire che è lui sono i
suoi iconici baffi, è vestito come vuole la tradizione con delle spille che tengono il mantello alle sue spalle.
Lo stile barbarico introduce uno stile nuovo. Tra le testimonianze: anelli-sigillo, lamine d’oro, le croci
gemmate (CROCE DI ADALOAIDO-COPERTURA DI EVANGELARIO, dono di Gregorio Mahno a Teodolinda),
numerose armi (presenti nei corredi funebri maschili; le impugnature delle spade presentano decorazione
ageminata), gli scudi da parata e gli elmi. Il vasellame ceramico, con forme rozze e modeste, ha decorazioni
graffite geometrizzanti. Di maggiore impegno sono invece le croci gemmate che riprendono il motivo del
crocefisso con l’aggiunta dell’immago Christi (un piccolo busto clipeo al centro della croce). Le tecniche
compositive per la realizzazione sono:
- Cloisonne: tecnica che prevede la decorazioni di metallo inserendo a freddo,in trafori preparati,le
pietre colorate;
- Chempleveu: tecnica che prevede una fitta rete di alveoli in cui le pietre,gli smalti e paste vitree
fuse sono inserite a caldo.
- Ageminatura: tecnica che prevede l’inserimento di sottili strisce d’argento in solchi ricavati nel
ferro con effetti di linearismo bicromo e astratto Damaschinatura: tecnica che serve a dare
flessibilità e resistenza alla torsione delle spade. PAVIA- Capitale dal 625 al 774. Gli edifici
dell’epoca sono scomparsi o pesantemente rimaneggiati, ma dai pochi resti che abbiamo, notiamo
una forte spinta anticlassica: CRIPTA DI SANT’EUSEBIO -frutto delle conversioni longobarde al
Cristianesimo. Abbiamo alcuni capitelli di tipologia nuova, che ricorda le ‘’fibule ad alveolo’’ e le
‘’fibule a cicala’’, tipiche dell’oreficeria. Un’apertura all’arte classica è invece nei plutei
dell’ORATORIO DI SAN MICHELE, ricchi di immagini simbolo. Nel passaggio di potere tra Longobardi
(che non si sono mai ambientati) e Carlo Magno nelle terre del Nord, non c’è un taglio netto, ma un
senso di continuità che possiamo trovare nella CHIESA DEL MONASTERO DI SAN SALVATORE A
BRESCIA fondato da Desiderio ma poi rinnovato nel IX sec.
SITUAZIONE AL SUD ITALIA- qui i Normanni cacciano i Longobardi nell’XIsec. La storia della Longobardia
Minor si intreccia con i poteri monastici: MONTE SANT’ANGELO SUL GARGANO- principale luogo di
devozione al sud fondato nel VI sec. e dedicato all’Arcangelo Michele, venerato dai Longobardi; ABBAZIA DI
MONTE CASSINO- benedettina e fondata nel 529; SAN VINCENZO AL VOLTURNO – della fine del VII sec, Qui
troviamo un esempio della ‘’SCUOLA DI BENEVENTO’’: ricorre a schemi compositivi orientali, aggiunge
colori luminosi e vibranti. Altri esempi di questa pittura sono a SAN BIAGIO a Castellamare di Stabia; SAN
RUFO E CARPONIO a Capua; GROTTA DI SAN MICHELE a Olevano sul Tusciano.
Il più importante ciclo di affreschi si trova nella CHIESA DI SANTA SOFIA a Benevento -
fondata da Arechi II (760), è a pianta centrale con struttura stellare, con qualche riferimento bizantino per
l’articolazione dei volumi. Il modello su cui si basa è la Chiesa di SANTA MARIA IN PERTICA a Pavia (677) a
pianta ottagonale con uno slanciato corpo centrale. PERTINENZA DEI MODELLI CLASSICI NELL’ARTE
ROMANA (VI – IX SEC.) La decadenza di Roma fa nascere il suo mito. Sotto il regno Goto (493-526) e sotto la
spinta di re Teodorico, si cerca di far tornare la città al vecchio splendore. Sotto la guida di Papa Felice IV
(526-530) si comincia a cristianizzare la parte del Foro. Fino a quel momento le Basiliche paleocristiane
erano poste fuori le mura. Utilizzando parti di edifici preesistenti come la Biblioteca del Foro della Pace e il
Vestibolo di Massenzio, viene fondata la CHIESA DEI SANTI COSMA E DAMIANO – la scena dell’abside
rappresenta Cristo tra i due Santi con sfondo apocalittico di nuvole rosse, e pome i personaggi, che hanno
una propria ombra, in un rigido schema a triangolo. E’ lo stesso schema iconografico del mosaico absidale
della CHIESA DI SANTA PUDENZIANA di IV/V sec, Con la conquista di Giustiniano del 522 ad opera dello
stratega Narsete, i Bizantini si occupano subito del restauro dei ponti, acquedotti e strade. Vengono
ridedicati luoghi di culto pagani: il Pantheon, consacrato alla Madonna nel 609, e il Tempio della Fortuna
Virile, che nl 872/882 diventa la Chiesa di Santa Maria in Gradellis. Da un’aula del Palazzo imperiale viene
ricavata SANTA MARIA ANTIQUA che viene interrata da una frana nell’847 e riscoperta nel nostro secolo. La
sua importanza sta nell’abside, una parete palinsesto dove si possono distinguere 4 interventi di
decorazione:
† Madonna con Bambino tra due angeli: fase più antica, dopo la conquista bizantina; frontalità iconica
imperiale. quando diventa chiesa palatina
† 705-707 : immagine di San Gregorio Nazianzeno 16 Il panorama artistico del VII e VIII sec. ha delle
caratteristiche non omogenee, quasi contradditorie. Si formano circoli di artisti greci e orientali a Roma che
fondono motivi dell’arte classica con modelli iconografici palestinesi. La bizantina immobilità simbolica delle
figure si può riscontrare nel mosaico dell’abside della CHIESA DI SANT’AGNESE FUORI LE MURA. Il ciclo di
affreschi di San Giovanni Crisogono o di San Lorenzo fuori le mura è invece tipicamente romano.
L’incoronazione di Carlo Magno da parte di Papa Leone III il 25 dicembre dell’800, segna la fine simbolica
dell’influsso bizantino e un ritorno alla tradizione paleocristiana e tardo antica. Nell’VIII sec. si afferma il
Definita l’epoca dell’abbondanza e della gioia, la Renovatio carolingia deve il suo successo all’aver fuso
insieme le culture che fino a quel momento si erano alternate al potere o lo avevano influenzato (modelli
romani, anglosassoni, irlandesi, greco - ellenici, bizantini, longobardi). Tra VIII e IX sec. la dinastia cerca di
unificare tutto il mondo occidentale cristiano. Per aumentare la sua autorevolezza si aggancia all’ideale di
grandezza dell’Impero Romano, soprattutto quello del periodo costantiniano. Si allea con l’ordine
benedettino, favorendo le grandi abbazie e conia monete esteticamente simili a quelle tardo-antiche;
stabilisce la liturgia romana in sostituzione delle tradizioni locali. L’attività architettonica – in 46 anni di
regno vengono costruiti 75 palazzi, 7 cattedrali e 232 monasteri. Gli edifici presi a modello sono quelli della
Roma costantiniana, per render chiara la politica imperiale.
Il PALAZZO IMPERIALE DI ACQUISGRANA si rifà alla residenza papale presso San Giovanni. Ci rimane la
CAPPELLA PALATINA: a pianta centrale, poligonale e coperta da una cupola. L’ingresso è preceduto da un
quadriportico come per le basiliche costantiniane. La PORTA TRIONFALE DI LORSCH 760-790: è ricollegabile
all’Arco di Costantino. Nonostante le piccole dimensioni ha un carattere monumentale. Ha nella parte
inferiore una loggia a 3 fornici mentre in quella superiore c’è un’aula che serviva all’imperatore come sala
del trono e per le cerimonie della liturgia imperiale. Le due facciate sono decorate da semicolonne
accostate ai pilastri degli archi. Un paramento di pietre rosse e bianche compongono motivi geometrici che
coprono le murature. La sala interna è ugualmente affrescata con una decorazione che ricorda l’esterno
dell’edificio. Il WESTWERK è quella costruzione architettonica tipicamente medioevale e di epoca carolingia,
cioè un edificio a più piani aggiunto all’ingresso della chiesa. Si tratta di una costruzione riscontrabile
solamente al centro dell’impero, quasi del tutto estranea all’architettura italiana e presente soltanto in
poche chiese, una delle quali è a Roma, la chiesa dei Santi Quattro Coronati e un’altra è a Verona: la rettoria
di San Lorenzo Martire. L’Abbazia di Corvey ne ha un esempio integro. Poteva conservare anche le reliquie
dei santi e dei martiri.
PITTURA E MINIATURA-
La pittura legata alla committenza imperiale è andata quasi tutta perduta. Ne abbiamo un esempio nella
CRIPTA DI S. GERMAIN D’AUXERRE (841/857): lo spazio della cripta è esaltato da un’intelaiatura in finti
elementi architettonici, . L’attenzione del pittore si concentra sulla dinamica violenta della scena mirando
all’esatta definizione del movimento: lapidazione di Santo Stefano: lo sfondo è indeterminato. Città e
personaggi sono incongruenti per dimensioni. 18 La CHIESA DI SAN GIOVANNI A MUSTAIR (IX)
: decorata con una concordanza tra Antico e Nuovo Testamento. A
SCULTURA E ORIFICERIA
Venivano usati il bronzo, l’avorio e l’ora. Con le ricchezze accumulate, aumentano gli oggetti preziosi legati
Giovanni ), la cui morfologia richiama quella romana e quella classica: la figura siede
su un trono, sullo sfondo si apre un paesaggio quasi abbozzato con un cielo azzurro (fattezze naturalistiche),
il tutto sta dentro una cornice che da l’idea di essere aggettante grazie ad una zona di luce che rende la
cornice sporgente, quasi in rilievo, la figura non è piatta, ha un senso del volume grazie ad una luce
proveniente da sinistra, mentre la destra è abbastanza ombreggiata, si noti il particolare del poggia piedi in
basso le cui gambe laterali sporgono fuori dalla cornice mostrandosi in primo piano. È celebre anche
un’altra raffigurazione di un Evangelista Matteo (2) , molto diversa dalla prima, è mostrato
di profilo, non ha la barba, ha i capelli corti, ha una grandissima aureola, indossa una grande veste bianca
all’antica (richiamo alla vecchia gloria) in cui traspare un corpo sottostante, è seduto su un sedile di legno,
sta scrivendo un vangelo raffigurato parzialmente insieme al leggio su cui poggia entrambi raffigurati in
prospettiva, si noti l’influenza classica.
La grande estensione dell’impero e la convivenza di popoli con culture e tradizioni diverse, si riflette anche
nella creazione delle miniature. Altre miniature ben diverse rispetto a quelle che abbiamo visto in
precedenza, sono quelle che si trovano nei Vangeli di Ebbone: Evangelista Matteo il senso
della volumetria del corpo ben marcato, ma eccessiva abbondanza di panneggi, espressione caricaturale del
volto che guarda in alto, il leggio è in verticale infatti il libro sembra che stia per cadere. Altra miniatura
dello stesso Vangelo presenta l’Evangelista Marco con la stessa espressione
caricaturale mentre guarda in alto a destra il leone alato (il suo simbolo), intinge alla sua destra una piuma
all’interno del calamaio pronta a scrivere, il chiaroscuro è importante, i panneggi ancora una volta esagerati
vanno come a tagliare un corpo sottostante che però è presente e si vede, tutta la scena è caotica, anche
qui è presente una cornice ma è piatta perché non colpita dalla luce.
30Santa Maria Foris Portas è una chiesa a Castelserpio in Lombardia che conserva degli
affreschi della metà del IX secolo di un artista bizantino di Costantinopoli che probabilmente fuggì dalla città
per sfuggire alle lotte iconoclaste (non c’era più lavoro per i pittori perciò fuggivano). Le storie raffigurate
negli affreschi sono tratte dai Vangeli Apocrifi riguardanti la vita della Madonna e dell’infanzia di Cristo. Il
ciclo di affreschi fu scoperto casualmente per via dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale che
fecero crollare l’intonaco, infatti essi in precedenza furono scialbati (ovvero coperti con l’intonaco) ma
pervenuto a noi un po’ rovinato perché ai tempi, per far aderire bene
l’intonaco posto sopra, si picchiettò la superficie creando questi buchini su tutto l’affresco: la Madonna ha
appena partorito ed esausta si riposa su una specie di lettino molto morbido (si noti la riservatezza a lei
data e il meritato riposo, infatti nessuno interagisce con lei), ai suoi piedi delle ostriche lavano il bimbo e
San Giuseppe osserva la scena un po’ pensieroso (questa è una scena presente nei Vangeli Apocrifi); in alto
invece abbiamo l’annuncio ai pastori da parte di un angelo. Questa è una pittura che, con poche pennellate,
è riuscita a rendere la plasticità e la complessità dei volti. Particolare affresco è quello di Cristo
Nuovo testamento. La porta raffronta sui due battenti la storia della caduta a sinistra con
quella della salvazione a destra. Maestri diversi, guidati da un’unica mente, svolsero tale porta prendendo
schemi figurativi delle Bibbie carolingie di Tours e dal Salterio Utrecht ma trasformandoli radicalmente.
Sulla superficie della porta affiorano elementi architettonici e paesistici a bassissimo rilievo mentre le figure
al contrario sono ad alto rilievo ed emergono dal piano fino ad avere busto e testa a tutto tondo
proiettando anche ombre.
Cicli di affreschi e codici miniati
Gli affreschi del pittore Giovanni eseguiti per Ottone III della Cappella Palatina di Aquisgrana sono andati
perduti nell’800 ma ne rimangono copie in acquarello. Molto significativo è che il re chiamasse un artista
italiano a decorare la mitologia imperiale. Abbiamo un forte legame con l’arte longobarda. Nel X secolo si
pone il maggior momento di fioritura della scuola minatoria. Gli artisti di questo periodo, X e prima metà
dell’XI, sono chiamati a restaurare vecchi codici, a rinnovare le decorazioni o arricchirli. Proprio questo è
quello che richiede un dotto committente, ovvero l’arcivescovo di Treviri Egberto a un maestro italiano
commissionandogli due miniature a piena pagina per un codice contenente una raccolta di epistole di
Gregorio Magno: Registrum Gregorii 22 Registrum Gregorii: Imperatore Ottone II in trono – San Gregorio
ispirato dalla colomba – 983 Le due miniature raffigurano Ottone II in trono circondato dalle province
dell’impero e San Gregorio ispirato dalla colomba mentre detta allo scriba. Nella prima immagine troviamo
centrale l’imperatore e la sua centralità è quindi innalzata tramite forme geometriche fra cui prevale un
sistema di cerchi concentrici che regolano il disporsi degli oggetti intorno all’imperatore. Nella seconda
troviamo invece l’architettura che incornicia con assoluta naturalezza i personaggi. Lo scriba è
rappresentato diviso dal Santo ma partecipa all’episodio. In entrambe le scene la gamma cromatica è
studiatissima con lumeggiature che conferiscono un forte risalto plastico ai personaggi.
1 Le Province dell’Impero / 2 Ottone III circondato dai grandi dell’impero / 3 L’evangelista Luca / 4 Inizio del
Vangelo secondo Luca – fine X secolo 1.Le province incedono reverenti e la prima che rende omaggio ad
Ottone I, è Roma la quale reca in mano un drappo in segno di rispetto. Le mani sono rappresentate coperte
e reca nell’altra mano un bacile d’oro e di gemme.
2.La rappresentazione dell’imperatore deriva dal modello del Registrum Gregorii ma il linguaggio figurativo
è diverso. La scena si divide in due momenti narrativi da leggere in sequenza. L’architettura classica diviene
una tettoia sorretta da due sole colonne da cui spuntano capitelli corinzi e tra gli acanti si vedono teste
umane.
3.L’evangelista è rappresentato dentro una mandorla di luce con ai lati due cerbiatti simboli dei credenti
che si abbeverano al suo verbo mentre egli regge una rappresentazione dell’epifania divina dove all’interno
troviamo la figura di Dio nella gloria dei suoi angeli e profeti insieme all’immagine apocalittica del
tetramorfo. L’evangelista si staglia contro l’oro abbagliante del fondo. 4.L’iniziale,impaginata con classica
chiarezza, è invasa da un rigoglio ornamentale con elementi zoomorfi derivanti di stoffe orientali.
- Evolve l’agricoltura;
- Si sviluppano i centri urbani;
- Tecniche militari
All’inizio del secolo si nota il divario tra le regioni dell’Europa e l’Islam o tra i territori bizantini. Una presa di
coscienza collettiva e identità nazionale porta alla reconquista di parte della penisola iberica e all’inizio delle
crociate per la liberazione della Terra Santa. Con la crescita dell’agricoltura e l’incremento demografico
cambiano i rapporti tra campagna e centri urbani; soprattutto in zone più evolute come la pianura padana,
la Toscana e i Paesi borgo tra Bassi nasce la Borghesia l’aristocrazia/ecclesiastici e popolo. I mutamenti
economici riguardano tutte le classi sociali, ma che ne beneficia di più è la novità che riversa le sue risorse
nella costruzione di edifici non solo sacri. Evolvono le tecniche di costruzione. L’ideale monarchico delle
genti non corrisponde con la realtà. Il potere è frammentato. L’autorità imperiale è circoscritta alle terre
germaniche. I Normanni in Inghilterra ( dal 1066) consolidano la propria indipendenza come quelli della
Spagna settentrionale. Minano la monarchia anche lo sviluppo del feudalesimo e le autonomie cittadine
(Italia). I signori locali ormai passano il potere di padre in figlio e non rispondono più ad un potere centrale.
In Borgogna, Provenza ed Italia la figura imperiale è ormai solo nominale. Solo in Germania, con la dinastia
salica si può parlare di sovrani. Il concordato di Worms (1122) sancisce l’autonomia del papato dall’Impero.
L’Abbazia di CLUNY (910) e i monasteri ad essa collegati fungono da focolai pre - concordato: loro
rispondevano direttamente al Papa, non avevano nessun intermediario, né ecclesiastico né laico.
IL ROMANICO
Il rinnovamento delle forme artistiche di XI e XII sec. riguarda soprattutto l’architettura e la scultura
monumentale, legata all’architettura (capitelli e portali). Meno la pittura murale e l’oreficeria che erano già
fiorite nelle epoche precedenti. Il termine romanico viene usato nella prima metà dell’800 da archeologi
francesi, art roman, che evoca il contemporaneo sviluppo delle lingue romanze con radice il latino. La
caratteristica principale, con le dovute differenze da regione a regione, è la ripresa delle tecniche
costruttive romane e la rinascita della grande scultura. Come elementi:
† Utilizzo di elementi di sostegno nelle pareti dell’edificio che sono concepite a più strati: questa concezione
rimanda all’architettura tardo romana delle province.
† Sviluppo della zona presbiteriale per necessità liturgiche: con cupola con l’incrocio delle navate con il
transetto
† Imponenza monumentale
† All’esterno abbiamo un gioco di sequenze spaziali e di volumi, animate da elementi architettonici vari ma
anche da sculture, capitelli, mensole ecc. Volte a crociera è un tipo di copertura architettonica formata da
due volte a botte, che alleggerisce la parete e la slancia in altezza.
In Italia il monumento per eccellenza è la cattedrale; in Francia ( Aquitania e Borgogna) le grandi abbazie.
Germania e Paesi bassi – continuità e sviluppo si colgono bene nella Cattedrale di Spira: fondata
dall’imperatore Corrado II (1061). Ha dimensioni monumentali. Presenta una articolazione della zona
presbiteriale con la navata centrale scandita mediante semicolonne addossate ai pilastri. Nel 1080 la chiesa
viene ricostruita da parte di Enrico IV che ne conserva il motivo degli archi cechi che scandiscono le pareti
coprendo la navata centrale con volte a crociera. Abbiamo una perfetta fusione tra le parti più antiche e
quelle più recenti dell’edificio. Un altro esempio è la Chiesa di Santa Maria Laach del 1093.
La scultura monumentale e architettonica ha uno sviluppo limitato, mentre la lavorazione preziosa del
metallo è prospera in posti come la regione della Mosa, ad Aquisgrana, a Colonia. Vengono ripresi modelli
bizantini e ottoniani,
In Inghilterra, gli edifici romanici, vedono uno slancio verticale, articolazione della parete della navata con
una ricerca di effetti decorativi spettacolari nelle facciate. Borgogna si diffonde il modello cluniacense.
E’ modello per la basilica di Paray le Monial, che ne riprende la struttura della parete a 3 piani della navata
centrale e le coperture con volte a botte. Motivi più raffinati, ma sullo stesso stampo di Saint Lazare a Autun
e nella porta della città. Nei primi decenni del XIII sec. si sviluppa in Borgogna anche un altro tipo di
costruzione, con pareti della navata centrale scandite in due soli piani, archi a pieno centro e campate con
volte a crociera e divise da grandi archi traversi.
Riguardo la scultura monumentale troviamo un forte arcaismo nei capitelli di Saint Benigne a Digione e,
precedente più diretto della scultura borgogniana, i capitelli dell’abbazia benedettina di Saint Benoit sulla
Loira: scene floreali, apocalittiche e santi 1094. I capitelli di Cluny mostrano una profonda conoscenza dei
modelli antichi. Probabilmente i capitelli illustrano una epistola di San Pier Damiani
che elogia la vita dei monaci e, pure rientrando a pieno titolo nell’arte romanica, risentono (con le loro
figure isolate in una mandorla e con le pieghe appiattite e sovrapposte), dell’arte ottoniana di oreficeria e
avorio. Analoga tecnica di intaglio c’è nel timpano della chiesa di Charlieu con Cristo tra due angeli.
: Cristo tra gli Apostoli: l’immagine teofanica con linguaggio aulico del
timpano, riprende, trasfigurandoli, elementi ottoniani e bizantini, dando un maggior risalto plastico e un
tono narrativo più ricco nei capitelli delle navate e del nartece. Linguadoca e Dordogne – (regioni francesi)
A Tolosa viene ricostruita la chiesa di pellegrinaggio di Saint Sernin (1080-XIII sec.). L’importanza di Saint
Sernin sta nell’impianto planimetrico , tipico dei santuari sorti lungo il Cammino di
Santiago de Compostela, per l’imponenza della navata centrale e della zona presbiteriale, e soprattutto dai
suoi laboratori di scultura. I capitelli di Lazzaro ed Epulone del 1090 presentano derivazione da modelli
antichi e appartengono alla prima fase. Alla seconda fase appartiene la Tavola dell’altare: costruita in
marmo dei Pirenei, ha Cristo tra la Vergine e gli Apostoli, San Giovanni, uccelli e l’episodio leggendario
dell’ascensione di Alessandro Magno. Ispirato a precedenti usciti dalle officine di Narbonne del IX-XI sec.,
presenta forme più evolute e la più consapevole ripresa dei modelli antichi. La scritta in latino ci tramanda il
nome dell’autore: Bernardus Gelduinus. Dalla sua bottega escono anche 7 bassorilievi in marmo collocati
nel deambulatorio con il Cristo in Maestà: impianto totalmente romanico, con spunti dall’oreficeria
ottoniana. Sua anche la porta di Miegeville.
Ha molte affinità con il Santuario di Compostela. Un altro alternativamente singoli e gemini come le
colonne, sono tutti modellati con sculture che hanno poca profondità e 28 forme appiattite. Al XII sec.
appartengono invece i lavori per il portico della chiesa abbaziale: nella lunetta c’è la Visione apocalittica di
San Giovanni (Cristo in Maestà tra i simboli degli evangelisti); sugli stipiti San Pietro e Isaia e animali
mostruosi. Le pareti laterali hanno storie d’infanzia di Gesù, la Parabola del ricco Epulone e La punizione di
Avarizia e Lussuria. Alla rigida frontalità del Cristo si contrappone la violenta animazione delle figure vicine,
alla rigida simmetria dello schema, l’asimmetria dei singoli elementi. Nella regione della Dordogne abbiamo
la Cattedrale di Cahors, al cui portale dell’Ascensione lavorano gli scultori del cantiere di Moissac. L’influsso
di Moisacc si manifesta nel portale meridionale della Chiesa di Beaulieu con il Giudizio finale sul timpano e
in Saint Marie di Souillac. Abbazia cluniacense di Moissac 1110 Nel chiostro troviamo capitelli scolpiti con
figure di apostoli a grandezza naturale, le immagini sono rappresentate di profilo con grande interesse
naturalistico. Questi sono modellati come sculture e chiara è la distinzione fra fusto e il blocco di imposta
rettangolare. La superficie si appiattisce e si trasforma in una piramide tronca rovesciata. Abbiamo la
distinzione fra la superficie orizzontale inferiore che accoglie una decorazione più complessa. Le figure dei
capitelli sono incorniciate con la distinzione tra fondo e figura che si attenua per far prevalere la simmetria.
Il portico della chiesa abbaziale con raffigurata la Visione apocalittica di San Giovanni, - gli stipiti con le
figure di San Pietro e Isaia, - le storie delle pareti laterali sono fatti risalire al dodicesimo secolo.
Conques, Aquitania, l’Alvernia e Provenza – Sainte Foy a Conques, richiama numerosi pellegrini ed è
costruita nell’XI secolo con forte sviluppo della navata centrale con decorazione scultorea non ricca se non
nel timpano del portale con il giudizio finale. In Alvernia, lo sviluppo dell’arte romana è collegato con i
pellegrinaggi: abbiamo lo sviluppo della zona del transetto e delle absidi con capitelli figurati. In Provenza
abbiamo una particolare ricchezza di monumenti sempre collegati con il pellegrinaggio dove abbiamo
riprese dello schema degli archi trionfali con ricche decorazioni scultoree e le sculture inserite dietro il
colonnato. Spagna settentrionale - Il passaggio all’arte romanica, in un paese in stretto contatto con la
Francia e meta di pellegrinaggi per Santiago, si verifica nel cantiere di San Isidoro a Leon. Vicino c’è il
Pantheon del Ios Reyes fine XI sec., luogo di sepoltura reale con volta con Majestas Domini, motivi
apocalittici, scene dell’infanzia e della Passione di Gesù. L’edificio più importante è il santuario di Santiago
de Compostela ricostruito dal 1075 sullo schema tipico delle chiese di pellegrinaggio francese, con lunghe e
alte navate. La Porta degli Orafi conserva gran parte delle sculture originali. Allo stesso ambito culturale
appartengono le figure classicheggianti del portale della cattedrale di Jaca. Più complesso appare l’apparato
decorativo di Burgos, nel Monastero di Santo Domingo de Silos che, tra l’altro, fu uno dei principali centri di
diffusione della riforma cluniacense. Pantheon de los Reyes E’ un luogo di sepoltura con la volta decorata
dalla Maestas Domini – motivi apocalittici e scene dell’infanzia e passione di Cristo e simboli dei mesi
dentro ai medaglioni. Gli archi delle volte poggiano su dei capitelli e questi sono molto essenziali. La
datazione è controversa e la più convincente è quella che conduce indica come data l’XI secolo. Santiago di
CompostelaE’ ricostruita sullo schema delle grandi chiese di pellegrinaggio francesi e questa presenta
lunghe e alte navate, ampio transetto a tre navate. I capitelli del deambulatorio sono contrastanti con quelli
di Tolosa. CatalognaQui abbiamo edifici di ridotte dimensioni con scarsa articolazione spaziale, con chiese a
sala con copertura a botte e triplice absidi con le pareti esterne scandite da lesene e teorie di arcatelle
cieche. Per quanto riguarda la decorazione scultorea, questa non ha grande importanza in quanto la
pittorica diviene più di ampio rilievo e questa riprende i modelli bizantini che vengono interpretati con
grande essenzialità. Diffusa è la pittura su tavola.
La penisola italiana
L’Italia merita un discorso a parte. Non vede uno sviluppo omogeneo del romanico. Ci sono differenze da
regione a regione. Ciò può essere spiegato dalla differenza di situazioni politiche e dal fatto di essere divisa
da Occidente europeo e Mediterraneo. Tra le stratificazioni di motivi bizantini, islamici e occidentali e la
resistenza a favore di un’arte paleocristiana (Roma e Campania), i confini non sono sempre delineabili.
Quelle che presentano più punti di contatto con l’Europa sono Sant’Ambrogio a Milano e il Duomo di
Modena. Sant’Ambrogio è fondata tra IX e X sex. Il sistema con volte a crociera costolanate e
corrispondenti strutture portanti è uno dei più rigorosi del romanico europeo. La chiesa è illuminata dalle
finestre della facciata e dalle aperture del tiburio. Ciò crea un forte chiaroscuro che dà maestosità alla
chiesa e compensa il poco slancio verticale tipico della Normandia e della Borgogna.
La distruzione delle grandi chiese lombarde (Pavia, Novara, Vercelli) la fa apparire molto isolata. Nella
pianura padana abbiamo il Duomo di Modena.
IL romanico in Italia
Negli ultimi anni del XI e i primi del XII sec. in Italia abbiamo situazioni diverse per ogni regione.
Lombardia
La pianura padana è quella più direttamente collegata al romanico europeo. Nel XII sec. la basilica di
che riprende modelli nordeuropei sia nell’uso della pietra (nel milanese si usa il
laterizio) sia nell’uso delle torri gemelle, tipico della Germania ottoniana. Sant’Abbondio-secolo XI In questa
chiesa troviamo elementi tipici dell’architettura romanica lombarda. È a cinque navate con copertura a travi
lignee. L’edificio presenta due torri gemelle richiamando le soluzioni diffuse in Germania di ascendenza
ottoniana. A Como la scultura ha funzione strettamente decorativa e abbiamo un gusto prettamente
fantastico con particolare predilezione per il mostruoso ed il grottesco come vediamo nei capitelli di questa
chiesa. Sempre nel comasco troviamo due costruzioni particolari: San Fedele, con pianta tricora e San Maria
del Tiglio a Gravedona, con un campanile sulla facciata.. La pietra viene impiegata sia in edifici religiosi e
non.
Emilia
La scultura di Como, con la sua volumetria, introduce un nuovo capitolo fortemente segnato nel XII e inizi
XIII dall’attività di Wiligelmo, Niccolò e Benedetto Antelami.
Nelle miniature viene illustrata la vita di cantiere infatti qui compare il nome di Lanfranco, raffigurato più
grande rispetto agli altri lavoratori e ben vestito, tiene in mano una sorta di scettro del potere, per far
capire che era lui a dirige i lavori. È possibile cogliere la divisione dei lavori all’interno del cantiere: c’erano i
manovali (operarii) che dovevano scavare la terra e levarla, rappresentati trasandati con vesti corte perché
stavano svolgendo un lavoro manuale (a differenza di Lanfranco con una veste lunga) e altri invece vestiti in
modo migliore ma sempre con una veste corta sono i costruttori (artifices) che con dei picconi poggiano i
mattoni portati da altri. Oltre al nome di Lanfranco che progettò la struttura, compare anche il nome dello
scultore, Wiligelmo: questa fu una novità perché in passato gli architetti, dati i loro studi di aritmetica e
delle arti liberali, venivano considerati di livello maggiore rispetto agli artisti, ciò testimonia il
riconoscimento del loro valore (questo vale per gli scultori e non ancora per i pittori).
La facciata
L’apertura del rosone, le aperture laterali e l’innalzamento centrale sono di epoca gotica. La parte esterna
absidale è sempre la parte più bella. Quello del Duomo di Modena presenta grandi blocchi squadrati, tipico
dell’arte romanica (a differenza dell’arte pre-romanica ovvero quella prima dell’anno mille, in cui si usavano
pietre e piccoli blocchi trovati nelle zone limitrofe). Già dall’esterno si può notare che la navata centrale è
più rialzata rispetto alle navate laterali, il tutto è riccamente decorato da colonne e archetti pensili, una
galleria con un ripetersi ritmico di trifore racchiuse in degli archi sostenuti da delle colonne, ricorre per
Anselmo da Campione attivo intorno al 1165, questo si occupa del grande rosone in facciata che
alleggerisce la severità del prospetto.
Il duomo di Parma
34Duomo di Piacenza
donna seduta su uno sgabello lavora ad una scarpa, quella dei fornai
con delle donne che portano panetti di pasta per essere poggiati su una pala e infornati nei forni comuni,
quella dei venditori di stoffa
Lombardia
Niccolò fu anche attivo nella Sacra di San Michele in Piemonte, particolari i dettagli del basso rilievo dei
manici della Porta dello Zodiaco raffiguranti i segni zodiacali, esse hanno lo stesso valore della
raffigurazione dei mesi—> simboleggiano il tempo: dettaglio del Capricorno e del Sagittario (ci sono i nomi
scritti sopra), le figure sono racchiuse da girali vegetali che sembrano essere dei serpenti vivi, forse per via
delle perline che vi corrono tutt’intorno, nel dettaglio dello Scorpione si intravede anche la Bilancia, quindi
magari i due segni sono rappresentati insieme, a seguire c’è la Vergine con lunghi capelli, una veste
riccamente decorata e la palma del martirio (attributo iconografico usato per rappresentare le sante vergini
martiri).
A Venezia
possiamo vedere l’estrema varietà delle realizzazioni di epoca romanica, città sempre legata a Bisanzio e
alla sua arte, infatti 36la Basilica di San Marco ricorda in parte l’interno
di Santa Sofia. All’esterno possiamo notare un grande nartece e un portico, la struttura ha una pianta a
croce greca (navata centrale lunga quanto il transetto trasversale) e non longitudinale, sormontata da 5
grandi cupole orientaleggianti, all’interno le pareti sono tutte rivestite da mosaici con un pavimento
Non a caso la facciata della 37 Basilica di San Zeno ricorda molto il Duomo di
Modena, dove è possibile cogliere dall’esterno la suddivisione in tre navate (quella centrale più elevata
delle altre), il rosone è stato aggiunto in epoca più tarda, gli archetti pensili e le lesene alleggeriscono il
paramento murario, le bifore si aprono su tutta la lunghezza dell’edificio decorando riccamente la facciata,
essa è preceduta da un protiro sostenuto da delle colonne che si poggiano su leoni stilofori. Nella parte
bassa della facciata è decorata con rilievi raffiguranti eventi della Genesi e dei Vangeli (più piccoli di quelli di
Wiligelmo, molto più simili a quelli di Niccolò). Nella lunetta della facciata principale vi è il santo protettore
della città, sicuramente San Gimignano perché ha il pastorale (quindi un santo vescovo, come lui), con i
piedi calpesta il demonio (quindi praticava esorcismi, come lui); il tutto è sormontato da una serie di
archetti decorati con motivi floreali ed elementi zoomorfi. L’aspetto interessante è il pigmento rimasto, che
ci fa comprendere come le opere di epoca romanica fossero colorate e vivaci. Vi è anche una delle prime
raffigurazioni dello stendardo del comune.
Toscana
Conosciamo i nomi degli artefici con Buscheto e Rainaldo che si occuparono della fisionomia del duomo,
Diotisalvi si occupò del battistero iniziato nel 1153 mentre Bonanno della torre campanaria. Un’epigrafe
della facciata ci informa che il bottino ricavato da sei navi saracene nel porto di Palermo fu utilizzato poiché
la spedizione vide la vincita della flotta pisana. Un’altra funge da elogio funebre nei confronti di Buscheto.
In Toscana il romanico ha caratteristiche ancora più diverse. La caratteristica principale del Duomo di Pisa e
di Firenze è il bicolorismo con l’uso di marmi bianchi e verdastri, elemento che ritroveremo anche in
Sardegna, dato il collegamento tra la repubblica marinara di Pisa e l’isola. La zona absidale del 38Duomo di
Pisa, zona realizzata per prima dall’architetto Buscheto sepolto al suo interno, presenta una
serie di gallerie formate da colonnati sormontati da archi e da architravi nella zona più alta, la base è
abbellita da delle colonne a tutto tondo che sostengono degli archi al cui interno sono presenti delle
losanghe bicrome decorate . la sua struttura rivela una funzione di elementi classici paleocristiani, arabi e
romanici.
All’interno
Roma e Lazio
L’influsso lombardo investe il Lazio misurandosi però la sempre fortunata tradizione antica. L’influsso
romanico a Viterbo lo possiamo trovare nella rappresentazione della Madonna nel portale di Santa Maria
Maggiore a Tuscania: la Sedes Sapientiae (Madonna con in braccio il bambino con ai piedi due leoni) è
tipicamente romanica. Vediamo attribuiti a maestranze lombarde edifici della zona laziale. Il XII secolo a
Roma è caratterizzato da una grande fioritura economica grazie all’operato pontificio di Pasquale II, Onorio
II e Innocenzo II che decidono di rilanciare l’immagine della città. Grandi sono le basiliche di San Clemente e
Santa Maria in Trastevere che si caratterizzano per la loro ricchezza decorativa nei mosaici e nella pittura.
Campania –
Le tradizioni classica e paleocristiana in Campania sono molto presenti. L’abate Desiderio (1058-1087), si
rivolge a maestranze bizantine riguardando però la decorazione delle basiliche romane. L’architettura
campana accoglie motivi arabo siciliani e moreschi dove vediamo anche l’accostamento di schemi basilicali
classici con influssi arabo-siculi sono le finestre a ferro di cavallo nei transetti o negli archi intrecciati del
Duomo di Caserta Vecchia (XII sec.) o i motivi geometrici arabeggianti dell’ambrone del duomo di Ravello.
Abruzzo – Influssi antichi, arabi e bizantini: troviamo intrecci geometrici di gusto arabo con figure a tutto
tondo. Marmorari come il Maestro Nicodemo, autore dell’ambone di Santa Maria del Lago a Moscufo.
Puglie – 40 Basilica di San Nicola a Bari (1087-1197) È uno degli edifici più
rappresentativi della città. Ha l’aspetto di una fortezza con una facciata chiusa da due torri incompiute. La
Sicilia e Basilicata – Quest’ultime sono vicine ad influsso orientale e bizantino anche a causa delle varie
vicissitudini storiche, politiche e culturali come l’insediamento degli arabi e l’arrivo dei normanni. Gli
elementi bizantini musulmani ed occidentali si fondono nell’architettura conservando però l’aspetto
arabeggiante. Malgrado i rapporti conflittuali con i bizantini, i normanni ne riconoscono la supremazia
culturale ricorrendo a maestranze provenienti da Costantinopoli per la realizzazione degli edifici.
Un esempio: Cappella palatina di Palermo- XII secolo Presenta una pianta a tre navate che si
apre su un santuario triabsidato. La struttura si ispira agli edifici sacri del mondo greco-orientale. I mosaici si
trovano a convivere con lo stile islamico. La cappella è un connubio fra l’impianto bizantino nel presbiterio e
nello schema basilicale nella navata.
Il duomo di Cefalù Del 1131 finito nel 1170 presenta suggestioni nordiche, in
particolare di Cluny, presenta una facciata chiusa da due torri. Abbiamo una decorazione sulle pareti
dell’abside centrale dove è rappresentata a mezzo busto il Cristo pantocratore il quale è rappresentato nei
tratti, più severo. Venezia e la Basilica di San Marco tra Oriente e Occidente.
45Il Duomo di Monreale è una chiesa abbaziale, particolare è l’esterno dell’abside tutto
incrostato di decorazioni colorate in materiali diversi, l'intreccio degli archi è di tipo arabo, la superficie al di
sotto è riccamente decorata con mosaici fatti di tufo, pietra tifacea e pietra lava, sottili colonnine ricevono il
peso degli archi. L’interno è suddiviso in tre campate grazie a delle colonne, simile
al Duomo di Cefalù anche se fu costruito qualche decennio più tardi intorno al 1170: non c’è una
suddivisione in campate, il soffitto è a capriate, ma le pareti è coperto da mosaici fatti sia da maestranze
bizantine che siciliane. Nell’abside c’è il Cristo Pantocratore, con un aspetto più caricaturale rispetto a
quello di Cefalù, ma nel complesso gli elementi sono quelli classici, c’è una schematizzazione delle fasce
muscolari del collo e del volto, come le ciocche di capelli e i panneggi, la veste è ricoperta da fili dorati. Tra i
mosaici c’è una raffigurazione della creazione del mondo, il fondo è dorato, sulla sinistra c’è una figura con
panneggi stilizzati che fanno trasparire un corpo sottostante. Sono presenti anche scene del vangelo, come
la creazione della barca di Noè raffigurata come una grande chiesa, rifugio per l’uomo.
con Cristo in trono circondato dai 4 simboli degli evangelisti (il toro alato,
l’angelo, il leone e l’aquila) e al di sotto i 3 arcangeli (Gabriele, Raffaele e Michele): la figura è rigidamente
frontale e sta per benedire, ha l’aureola è crucifera, le parti anatomiche sono molto schematizzate segnano
il volto, gli occhi sono grandi e sproporzionati, le ombre fra l’attaccatura del collo e il torace è resa come
una sorta di piega scarsamente chiaroscurata, tiene in mano un libro aperto su cui si riesce a leggere l’alfa e
l’omega, l’abito è panneggiato sul corpo in maniera molto ricca senza lasciare indovinare una corporatura
sottostante, le ginocchia sono dei vortici, l’abito fascia un po’ le gambe, il poggiapiedi sembra uno scivolo,
non c’è senso di profondità, Cristo siede su un trono in legno con delle pietre e perle incastonate, vi è anche
un cuscino che sembra schiacciato sotto la figura. L’ultima cena :
il tavolo è reso come una lunetta, non c’è senso di profondità, è visto come dall’alto, le stoviglie su di esso si
vedono come di profilo, al centro vi è un’alzata con un agnello, viene riportata la raffigurazione in base
all’importanza infatti Cristo è il più grande, le architetture sullo sfondo sono puramente decorative e non
hanno a che fare con la scena che si svolge in primo piano, gli apostoli poggiano su una specie di triclinium,
anche se sono tutti raffigurati frontali si coglie una certa drammaticità e movimento, Gesù ha la mano
benedicente sul cibo con un braccio sproporzionato, Giuda (questa è un'arte molto diretta e semplice nella
comunicazione perché gli osservatori anche a distanza dovevano capire chi era il malvagio tra tutti) prima
della benedizione inizia a mangiare. Particolare del seppellimento di Cristo dopo la crocifissione
, ovvero del Cristo sulla croce ancora vivo che osserva lo spettatore (non viene
raffigurato l’aspetto di sofferenza fisica che patì, bensì si sottolinea la vittoria contro la morte, la sua
superiorità, quasi come se non lo facesse soffrire, in questo modo, guardando dritto negli occhi dello
spettatore, vuole in un certo senso confortarlo), iconografia che da li a qualche decennio cambierà. Di solito
sono affiancati da dei tabelloni che ne narrano la storia, con alla fine altre figure o anche la scena della
resurrezione. Dal punto di vista stilistico vediamo ancora come la pittura sia stilizzata, la muscolatura delle
gambe, delle braccia e del torace è irrealistica e appare come divisa in blocchi, l’attaccatura del collo, il
segno che va a descrivere la gola, i capelli simmetrici e ordinati che scendono sulla spalla, i lineamenti del
viso sono troppo marcati, le rughe e la canna nasale sono linee precise, non c’è chiaroscuro, è tutto
stilizzato. Altra croce dipinta 50 anni prima ma poi ridipinta una decina di anni dopo, è la 52 Croce del
Maestro Guglielmo che si trova a Sarzana, firmata e datata “Gullelmus 1138”,
ha anche la parte della carpenteria (tipo di legno, la forma elaborata, ovvero la parte strutturale e materiale
dell’opera), ha dei tabelloni laterali che terminano con una sorta di lunetta, i terminali dei bracci della croce
sono riccamente decorati, il Cristo raffigurato è anche qui un Cristus Triunfans, corpo eretto che non
accenna a soffrire, sono presenti anche la Madonna e San Giovanni Evangelista dolenti (di solito sono figure
che vengono spostate alle estremità del braccio trasversale), al di sotto vi è un ciclo della passione di Cristo
con il tradimento, la via crucis e forse la resurrezione. La scena della crocifissione tardò ad essere
raffigurata in generale perché era considerato poco rispettoso nei confronti di Dio raffigurarlo in una
sofferenza così atroce, che era destinata ai delinquenti.
53Saint Lazer a Autun, San Lazzaro a Otan, chiamato così perché secondo la tradizione fu sepolto lì Lazzaro,
l’amico di Gesù che fu riportato in vita. Com’è tipico degli edifici romanici francesi, qui abbiamo un timpano
(lunetta che sta sopra al portare maggiore) ricoperto da sculture e bassorilievi raffigurante il giudizio
universale in cui c’è Cristo giudice sul trovo, “Gislebertus hoc fecit”
è l’iscrizione che scorre al di sotto con il nome dello scultore che fece l’opera, dove viene espressa anche la
funzione dell’arte figurativa “l’orrore delle immagini preannuncia che davvero avverrà così”, il fedele
sapeva che se avesse fatto cose brutte avrebbe subito quelle pene (anche qui gli scultori erano considerati
più lodevoli dei pittori, infatti citati nelle loro opere). Particolare del Cristo racchiuso in una mandola, veste
molto ricca e dettagliata con passamaneria che decora i bordi del mantello che dalla spalla scende
morbidamente, che come nelle opere di Wiligelmo, si rappresentano in movimento solo nella parte finale e
per il resto sono piatte, danno solo l’idea del panneggio, non si rispecchia più la realtà, l’aureola è percorsa
da cerchi concentrici perlinati dove dietro vi si trova la croce. All’interno, sempre dello stesso scultore,
abbiamo Eva sdraiata nuda sul capitello, con una mano prende il pomo, coperta da fogliame e piante un po’
inquietanti, fusto è percorso da perline e da motivi a corda e sembra essere vivo, come un serpente che
tenta la donna, i capelli sono divisi in bande a onda divise e parallele. Alla sinistra del Cristo giudice vediamo
un angelo, dietro la pesature delle anime con una sorta bilancia in cui da una parte c’è San Michele mentre
dall’altra il diavolo, cercando di attrarre a se più anime che possono.
All’interno le pareti segnano il periodo di passaggio tra il romanico e il gotico: gli archi sono ogivali, gli spazi
sono divisi in campate con volte a botte, non ci sono pareti lisce ma sono tutte ricoperte da cornici
marcapiano che la dividono in vari livelli, al di sopra vi è il matroneo e sopra ancora il cleristorio (fascio di
finestre per illuminare l’ambiente), il tutto sostenuto da delle colonne, tutto questo crea movimento. Le
sculture in questo periodo non sono ancora a tutto tondo, sono racchiuse e dipendenti da altri elementi
architettonici come i timpani o i capitelli. Uno dei capitelli all’interno dell’edificio, sempre realizzati da
Gisleberto, mostrano il “noli me tangere” (scena di quando la Maddalena si avvicina a Gesù risorto con
l’intento di toccarlo, ma lui dice proprio “non mi toccare”), la donna è raffigurata “mirrofora”, che porta la
mirra (iconografia ricorrente per rappresentarla), ha infatti tra le mani un cofanetto per ungere il corpo per
poi avvolgerlo nel sudario. I corpi delle figure sotto le vesti abbondanti di piegoline, sono evidenti, si nota
infatti l’intento, il tutto è più pittorico che naturalistico, si vuole rendere il concetto e non la realtà. Altra
scena importante è quella in cui un angelo avvisa i tre Magi di fuggire perché Erode vuole sapere da loro
dove si trova il Cristo, che dopo aver fatto visita al nascituro, si stavano riposando in un albergo, infatti sono
raffigurati a letto ma con le loro corone (per farci capire che sono i re Magi), sono coperti da una copertina
riccamente decorata con una passamaneria realizzata con delle palline fiorate, identificati anche perché in
cielo si scorge la stella cometa che li aveva guidati, la veste dell’angelo e le pieghe delle copertine sono rese
con delle linee parallele, innaturali e pittoriche. Già nel 1130 abbiamo le diverse raffigurazioni dei Magi che
vanno a raffigurare le tre diverse età dell’uomo: infatti uno è rappresentato con barba e capelli più anziano,
quello giovanissimo senza barba né capelli, mentre quello maturo con i baffi. Altra figura presenta la fuga in
Egitto con la Madonna e Gesù bambino su un asinello (non sembra che stanno cavalcando, sono seduti
come su di un trono, si rifà all’iconografia classica) guidati da San Giuseppe, Gesù tiene in mano una sfera
ovvero il mondo, alla base non c’è un suolo ma un piano decorato con ruote percorse da fili di perle-
cerchiolini, le figure sono rigidamente frontali, testa dell’asino dettagliatamente decorata, la corda che lo
tira, c’è un'estrema attenzione per i dettagli.
delle note musicali dei vari canti gregoriani , altre il peccato originale in cui Adamo
ed Eva coperti con delle foglie si nascondono alla chiamata di Dio, le piante tutt’intorno sembrano vive.
Persiste ancora l’idea che la scultura solo un elemento decorativo e che dipenda dall’architettura. Era
simbolo di sfarzo e ricchezza, gli absidi sono radiali, ha 5 navate, ha delle torri sia nella facciata che
nell’incontro tra il transetto e le navate mediane, delle piccole cappelle laterali che si aprivano al livello del
transetto venivano usate dai monaci per celebrare delle messe a suffragio (per la salvezza delle anime
defunte), tutto è funzionale per la sua funzione—> molto spesso si celebravano delle messe in
contemporanea: i committenti e le famiglie dei defunti affittavano una cappella per celebrale la funzione e
ovviamente pagavano—> guadagno per la chiesa.
Il termine gotico nel XVI secolo definisce un tipo di architettura tipica del Nord lontana dai modelli classici
nella quale le strutture portanti appaiono mascherate da decorazioni lezzose. Una sorta di revival di stile in
cui la cultura romantica riconosce il formarsi delle caratteristiche tipiche dei popoli e delle nazioni moderne.
Il gotico è un fenomeno di portata europea e riguarda tutti i settori artistici con grandissimo sviluppo nelle
arti minori: es. vetrate. L’arte gotica rappresenta le nascenti monarchie nazionali dell’aristocrazia feudale
della borghesia urbana in fase di crescita politica ed economica. La periodizzazione differisce da regione a
regione ma è possibile datare intorno al 1380 in una fase definita Gotico internazionale che in Italia avrà
durata breve mentre a nord delle Alpi si prolunga nel tardogotico fino all’inizio XVI secolo.
Il gotico in Francia L’architettura gotica ha origine in Francia, intorno a Parigi, poco prima della metà del XII
secolo. La cattedrale gotica francese
è un edificio di dimensioni colossali slanciato e luminoso costruito
ricorrendo a spericolate soluzioni tecniche richiamando la costruzione teologica delle summae della
filosofia scolastica ossia del pensiero che affida alla logica il compito di organizzare i fenomeni in un sistema
concettuale complesso e ordinato gerarchicamente. Il gotico e la filosofia scolastica si sviluppano di pari
passo in Francia nella stessa area geografica. La cattedrale diviene così metafora del mondo: ancora alla
terra tende con semplificazioni e assottigliamento delle strutture a slanciarsi verso il cielo in cui tutte le
parti dell’edificio concorrono a questo slancio verticale. Le navate si innalzano ad altezze altissime sorrette
da agili pilastri. Possenti arcate collegano le navate laterale alla centrale attraversata da arconi che
separano ciascuna campata. L’arco a sesto acuto è la forma caratteristica dell’architettura gotica. Esso ha
un ruolo essenziale nel ritmo verticale in quanto scarica verso il basso le tensioni laterali. Le campate
possono essere di forma quadrata o rettangolare. Sono coperte da volte a crociera. Gli archi rampanti
invece, che equilibrano le spinte centrifughe delle volte, si allineano lungo le fiancate della cattedrale. La
forma esterna della cattedrale prevede l’uso di tetti spioventi – torri – guglie – decorazioni e trafori. Le
pareti sono costituite da vetrate istoriate e hanno la funzione di illuminare l’interno (funzione simbolica).
-
Gotico nasce nell’Île-de-France, inizia poco prima della metà del XII secolo, dal 1140 fino al 1380, da lì in
poi si ha in tutta Europa quello che si può chiamare gotico internazionale con durata differente per ogni
stato (ad esempio a Firenze non durerà molto perché subentrerà il Rinascimento).
NOTRE DAME DE PARIS XIII secolo : fu costruita un secolo dopo Saint-Denis, infatti il gotico è più maturo,
ma in generale le abbazie e le strutture venivano continuamente modificate quindi non si può instaurare un
netto paragone. C’è un grande lavoro di traforo, all’esterno per equilibrare la forza-peso della copertura vi
sono degli archi rampanti (non solo una funzione decorativa ma anche strutturale). Nella facciata
Cefalù). All’interno c’è una grande spinta ascensionale, gli archi sono ogivali, la
navata principale è suddivisa dalle altre minori da colonnati al di sopra vi è un matroneo percorribile,
nell’abside vi sono arconi che sostengono il peso della copertura. In questo periodo rinasce la scultura
monumentale quasi a tutto tondo. A cinque navate con transetto e doppio deambulatorio di cui la
copertura è fatta con volte a sezioni triangolari, le elevazioni delle pareti delle navate centrale tramite una
fila di oculi circolari al di sopra delle finestre. All’esterno gli archi rampanti dominano la struttura.
Particolare è il portale reale costruito intorno al 1145, in cui sono raffigurati tutti i re e
le regine d’Israele citati nella Bibbia, si inizia ad osservare un certo distacco tra l’architettura e la scultura
che avrà un completamento un secolo dopo, le figure sono allungate e cilindriche come le colonne dietro di
loro ma le teste sono distaccate, i panneggi degli abiti sono piatti e non si nota un corpo sottostante. La
pianta è a tre navate con transetto – doppio deambulatorio e cappelle radiali. La facciata, dominata da
altissime torri e portali ornati con sculture. Le pareti della navata centrale presentano archi e vetrate di
identica forma e misura che eliminano la massa muraria.
Seconda fase del Gotico : Arriverà nel secolo successivo, tra il 1220-1250, quello che viene chiamato il
CLASSICISMO GOTICO, cioè un recupero dell’arte classica da parte dell’arte gotica.
L’edificio si trova accanto al Nôtre-Dame, era la cappella palatina del palazzo dei re, si sviluppa su due piani
ed è fortemente svuotata, nella parte absidale rimangono solo i contrafforti alternati a delle enormi bifore
finestrate con vetrate colorate istoriate. All’interno non ci sono pareti, solo scheletro, le nervature delle
volte, colonne a fascio, non ci sono muri ma solo grandi vetrate. La cappella ha un soffitto più basso e meno
luminoso, assomiglia alla volta della Basilica di Assisi, la struttura qui è più massiccia perché deve sostenere
il peso del piano sovrastante.
Ha le pareti completamente abolite e sostituite da vetrate istoriate separate da sottili pilastri. Lo sviluppo
della scultura gotica francese presenta almeno due fondamentali caratteristiche:
al gusto enciclopedico delle summae di cui le cattedrali stesse appaiono un’espressione, si collega
alla tendenza ad allestire tramite la scultura degli schemi dottrinali complessi nei quali le figure e le
scene sacre si connettono a personificazioni del pensiero e della vita Si assiste al trapasso della
concezione romanica del rilievo come parte integrante dell’architettura per far posto alla nuova
concezione basata su una maggiore autonomia delle figure plastiche rispetto all’architettura.
Si assiste quindi ad un’ interpretazione del corpo umano come entità autonoma.
Confrontiamo due gruppi di statue cariatidi : Il re e le regine di Israele – 1145 Si trovano nella facciata della
61La cattedrale di Laon costruita verso la fine del XII secolo, presenta all’interno una grande spinta
ascensionale, le pareti sono percorse da colonne a fascio che sostengono la volta che non è divisa in 4 parti
ma in 6, molta luce entra dalle finestre sopra il matroneo e il cleristorio. Nella facciata si apre un grande
rosone al centro, due torri di facciata ai lati e portali fortemente strombati riempiti di sculture sempre più
autonome.
In Italia bisogna tenere conto di tradizioni storiche e situazioni sociali diverse. Il gotico stenta ad affermarsi
perché ostacolato dal romanico e dalla tradizione classica, paleocristiana e bizantina, che non concepisce
l’annullamento delle masse murarie tipico del gotico. Quindi stenta ad affermarsi, anche se fa propri motivi
del proprio stile come volta a costoloni o il rosone in facciata (Veneto, Lombardia ed Emilia). Il gotico è
intimamente legato alla cultura aristocratica della rinascente monarchia francese, quindi non legava
nell’ambiente dei Comuni italiani.
In Italia la diffusione del nuovo stile coincide con un momento storico abbastanza carico: l’imperatore – il
papa – la fioritura dei comuni – nascita della letteratura volgare e lo sviluppo delle signorie dominano la
scena italiana rendendo l’affermazione del gotico una vera impresa. In Italia i centri artistici innovativi sono
nell’area Nord occidentale e sud Federiciano, la Toscana e il centro Italia.
La penetrazione del gotico in Italia è lenta, e dà luogo a moderate forme romanico-gotiche che rifiutano
l’esasperato slancio verticale e l’abolizione dei muri che continuano a preferire gli affreschi alle vetrate. Il
gotico viene usato in Italia per la prima volta nelle costruzioni cistercensi in cui viene usata una versione
moderata del gotico: come in Francia l’ordine benedettino, costruisce edifici contenuti nell’altezza e nelle
finestrature e prive di torri. Sorgono in Italia le prime abbazie nel XII e XIII sec. al nord e al centro.
Lazio
63La chiesa abbaziale di Fossanova, come le chiese cistercensi, non c’è tutta
quella abbondanza di finestre e decorazioni che si hanno in Francia, il paramento murario della facciata è
molto semplice, c’è al centro un grande rosone, vi è un solo portone centrale, gli unici elementi decorativi
sono i capitelli portanti questo proprio perché una delle basi della riforma era il ritorno alla povertà e alla
semplicità, quindi non si perdeva tempo e denaro in decorazioni sontuose.
Di solito le chiese cistercensi hanno tutte una base a croce latina , l’abside non è
tondeggiante ma rettangolare (questo comportava una minore spesa), verso sud sorgeva il chiostro (così
zona più calda, in modo da non patire il freddo) con intorno tutti gli ambienti come la sala del capitolo, la
sala dei monaci, la dispensa, il refettorio dei conversi (quelli che mettevano la tunica e svolgevano lavori
umili ma non avevano preso i voti, li aiutavano solamente, ricordiamo che questi erano dei veri e propri
villaggi, aziende agricole), quello dei monaci ecc., mentre di solito nella zona a nord vi era il cimitero, spesso
vi si accedeva direttamente dal transetto.
Piemonte
è più gotico con l’accentuazione dello scheletro della struttura con un bicolorismo, le
colonnine ricevono la spinta dei costoloni delle volte a crociera ogivali che vanno a cadere su colonnini
sottili raccolte in fasci, tutto è molto più leggero, la spinta ascensionale non è tagliata da cornici
marcapiano.
Un altro ordine molto importante che nacque agli inizi del 1200 e che contribuì alla diffusione dell’arte
gotica, fu l’ordine francescano, uno degli ordini mendicanti che si distinse dagli altri ordini monastici perché
loro scelsero di operare dentro le città assistendo i malati e i bisognosi, di solito si stanziavano a ridosso
delle mura, come nel caso di San Francesco a Siena.
Emilia Romagna
Viene affidata l’erezione del battistero a Benedetto Antelami che ne concepisce un’opera originale. Il
battistero è un edificio ottagonale sviluppato in altezza. Al pian terreno tre facce appaiono svuotate dai
profondi strombi dei portali a tutto sesto ornati da rilievi. Al di sopra si sviluppano quattro ordini di logge
architravate concluse dalla fascia degli archetti ciechi. Una serie di caratteristiche gotiche ottenute tramite
forme romaniche e classiche. L’ottagono internamente appare come una struttura con 16 facce con nicchie
al piano terreno. Ci sono due ordini logge e la cupola. nei primi anni del 1200, si trova difronte al Duomo
come spesso avveniva, ci sono tre ingressi fortemente strombati, la parte bassa è legata all’arte romanica
per gli archi a tutto sesto, la parte superiore ha una galleria di colonne architrave, mentre al di sopra
abbiamo un’altra galleria come quella sottostante ma cieca e più fitta che chiude l’andamento verticale del
battistero, ogni angolo è scandito da dei massicci contrafforti che scandiscono la pianta ottagonale e
l’andamento circolare. Nel portale Nord è presente una iscrizione che cita: “Tolti due volte due anni dal
milleduecento, cominciò quest’opera (l’uomo) detto Benedetto”. Quindi la costruzione partì nel 1196 ma ci
risulta ufficiato nel 1216 poiché sappiamo che furono fatte delle messe, dopo pochi anni sarà ufficialmente
conclusa. Questi sono dei versi leonini, sono in latino ma presentano delle rime, quindi dal latino pian piano
si ci sta avvicinando al volgare. La parte scultorea è stata sempre fatta da Antelami, caratteristica è il Portale
All’interno l’abside è aperto da grandi finestroni, è divisa in tre navate ma data l’altezza degli
archi si va a creare come uno spazio unitario (caratteristica delle basiliche francescane, unico ambiente), le
cui volte sono esapartite, divisa cioè in sei spicchi, i costoloni sono ben evidenziati e vanno a raccogliersi in
colonne a fascio, ci sono le cornici marcapiano, bicromia resa con l’intonacato e il laterizio.
Veneto:
Ha tra navate e viene costruita come tomba del santo e combina motivi romani – gotici e bizantini. Sempre
di ordine francescano, nata agli inizi del 1200 per ospitare i resti del santo ritenuto miracoloso, per questo
la sua pianta è così grande, perché doveva riuscire ad ospitare i numerosi pellegrini, è a tre navate.
Vediamo la bicromia con il cotto e il marmo, quest’ultimo usato per gli elementi decorativi, come le
balaustre, il rosone, gli archi, il paramento è abbastanza solido, non ci sono molte aperture come in quello
francese, nella facciata sono presenti delle enormi strombature che alleggeriscono il paramento murario, la
caratteristica è la presenza di grandi cupole che coprono tutta la navata, di tradizione bizantina come il San
Marco a Venezia, caratteristica assente in Francia. La facciata è a capanna con galleria da cui si aprono nella
zona inferiore ampie arcate a sesto acuto. Lungo le fiancate sporgenti contrafforti slanciano la figura
verticale e nella parte terminale il deambulatorio.
San Francesco ad Assisi - La basilica, fondata da Gregorio IX, nel 1228 viene
consacrata da Innocenzo IV nel 1253. Le due chiese di Assisi sono a una sola navata con un transetto e
un’abside sostenute all’esterno da lunghi contrafforti cilindrici ed in basso da archi rampanti. Dopo la morte
di San Francesco avvenuta nel 1226, doveva servire per raccogliere le sue spoglie. Si articola in due livelli ed
è costruita con la pietra bianca locale, la facciata è molto semplice solamente decorata da un grande rosone
centrale e un portale gemino strombato, il campanile rimanda alla tradizione romanica con cornici
marcapiano e trifore.
Nella Chiesa inferiore la struttura è complicata dall’aggiunta di un
secondo transetto con funzioni di atrio e cappella. Essa funge da basamento per la costruzione sovrapposta
intuibile dalle ampie e schiacciate volte a crociera impostate su archi a tutto sesto poggianti su pilastri
69Il Duomo di Siena è stato costruito a partire dal 1226 (anche se sotto
sono state rinvenute delle tracce di una basilica romana datata all’XI secolo, oltre a delle notizie letterarie
che parlano di una certa Basilica di Santa Maria). Come ogni cattedrale ha subito molte costruzioni infatti
quello che vediamo oggi è un palinsesto: la parte presbiterale è stata costruita e aggiunta intorno agli anni
30 del 1300, ampliata perché si pensava di costruire una cattedrale ancora più grande (per questo si cercò
di costruire una parte che fosse grande uguale a quella che era la navata centrale), e si pensava che la parte
oggi esistente dovesse diventare il transetto, mentre il corpo longitudinale (quello che oggi è il museo
dell’Opera) doveva essere ampio fino a quello che oggi è (e doveva essere) il facciatone, questo progetto fu
abbandonato dopo la peste del 1348 per la morte di numerosi operai ed artisti. Il campanile è prettamente
romanico con finestre che aumentano man mano che si sale e le cornici marcapiano. La cupola si poggia ad
una galleria di archi sopra ad un’altra galleria architravata. In origine il battistero stava quasi difronte alla
facciata principale, poi fu spostato. Nell’ampliamento della Cattedrale è stato rispettato quello che era il
paramento murario laterale con delle bifore in stile gotico, le strisce di marmo di colore diverso sono meno
A Firenze
All’interno è molto semplice, non è ad aula unica ma lo sembra per via degli archi delle
navate laterali molto alti, gli archi ogivali della volta a crociera (copertura della navata centrale) e gli archi
trasversali sono di tradizione gotica, tutti gli elementi sono sottolineati con la bicromia. Gli architetti che la
costruirono furono Fra Sisto e Fra Ristoro, conosciuti solo per questa costruzione.
Santa Croce fu realizzata dall’architetto Arnolfo di Cambio ed
era sede dei Francescani, la facciata odierna è stata fatta nel 1800 in finto stile gotico, l’interno
Architetto del Battistero di Parma, è il più importante scultore italiano tra il XII e XIII sec. Si ispira al
romanico padano fondato da Wiligelmo seguendolo e rinnovandolo.
sappiamo il suo nome perché firmò e datò la sua opera ovvero 72la Deposizione del Duomo di Parma
Mecenate con i suoi predecessori normanni, Federico II attiva un collegamento con il gotico francese e
tedesco e il neoclassicismo per creare un’idea di Impero non circoscritta al solo campo delle arti. Favorisce
l’introduzione dei cistercensi al sud e le sue residenze acquisiscono un aspetto misto di architettura
transalpina e cultura meridionale. La sua passione per le forme geometriche si riassume nella sua più
famosa costruzione pare progettata da lui stesso: Castel del Monte ad Andria (Puglia) – residenza di caccia,
iniziata nel 1240, a pianta ottagonale con 8 torri agli angoli. Qui si assiste ad un precoce innesto di elementi
strutturali gotici nell’architettura civile ( finestre monofore o bifore inquadrate in archi a sesto acuto o nelle
ampie sale interne rette da volte ogivali) Porta di Capua – eretta nel 1234, non più esistente. Era ornata da
statue con fattezze tardo antiche o sculture con panneggio classico (che non nasconde le membra
sottostanti). Busto di imperatore – pare che riproduca le fattezze fisiche di Federico II, e si tratterebbe del
primo ritratto individuale dell’arte postclassica, legato al rinascente culto dell’imperatore.
L’esito più compiuto lo abbiamo nelle teste del Duomo di Troia di Bartolomeo da Foggia.
Per Federico II bisogna rappresentare le cose per come sono; durante il regno del figlio Manfredi, si
sviluppa in Puglia una scuola miniaturistica che illustra scientificamente la realtà naturale, ispirato alla
cultura araba e alla pittura francese; il miglior prodotto di questa scuola è il Codice: Il De Arte Venandi Cum
Avibus. 1258 Le immagini di cavalieri e falconieri si alternano alle rappresentazioni dei diversi uccelli e del
paesaggio. In basso, sempre sul margine sinistro, un altro potente in trono, quasi identico nell'aspetto e
nella posa all'imperatore: è il figlio di Federico, Manfredi, al quale l'opera è dedicata. Il giovane re, in veste
blu e manto rosso, con una corona simile a quella paterna ma più piccola, riceve l'omaggio di due falconieri
abbigliati secondo la moda del tempo: elegante sopravveste colorata, una cuffia per fermare l'acconciatura
dei capelli e - il secondo - un berretto a tesa rialzata. Gli uomini - con il braccio sinistro protetto da un
robusto guanto di pelle - presentano al re Manfredi due rapaci incappucciati. Nell’affresco del Duomo di
Atri (Teramo) : l’incontro dei 3 vivi e dei 3 morti 1240-1250. Si tratta della più antica rappresentazione
italiana di questo soggetto orientale: 3 principi durante la caccia incontrano 3 scheletri che li ammoniscono
sulla vanità delle cose umane. La pittura non ha niente di bizantino, ma riprende la cultura transalpina
filtrata dai miniatori. Gli affreschi di Roma e del Lazio del Duecento hanno una valenza politica; è la risposta
della Chiesa alle minacce politiche e militari di Federico II.
Le storie di Costantino –1246 nella chiesa dei Santi Quattro Coronati, vogliono legittimare il potere
temporale e spirituale della Chiesa e la sua supremazia sull’impero. Infatti, vengono rappresentate : la
Donazione delle Insegne Pontificie e la Sottomissione dell’Imperatore, dove Costantino si sottomette a Papa
Silvestro. Prima scena: Costantino, come segno di gratitudine per la sua guarigione, dona al Papa la città di
Roma, il sinichio (l’ombrellino segno della dignità dell’imperatore) la tiara, simbolo di potere ed un cavallo.
Possiamo vedere il Papa che è regalmente seduto su un trono, mentre Costantino è dipinto servilmente
piegato e al servizio del Papa. Seconda scena: Il Papa seduto a cavallo, come anche gli altri vescovi, viene
scortato dall’imperatore ed entra trionfalmente nella città di Roma.
GIUNTA PISANO e le sue croci dipinte, innovano l’iconografia del Cristo sulla croce, tipica delle zone
dell’Italia centrale. La più antica sta ad Assisi a Santa Maria degli Angeli. Non abbiamo più l’iconografia del
A Roma negli stessi anni fu realizzato78 il ciclo di affreschi che si trova nella Cappella di San Silvestro ai
Quattro Coronati (entro il 1250), significativi per la storia narrata: la donazione delle insegne al pontefice
NICOLA PISANO
Nicola Pisano (1215/1220-1278/1284) è stato uno scultore e architetto italiano, tra i principali maestri della
scultura gotica a livello europeo, che contribuì in maniera determinante alla formazione di un linguaggio
figurativo italiano. Nacque molto probabilmente nel Meridione e si stabilì a Pisa (forse per volontà di
Federico II), dove prende il suo nome e dove nacque suo figlio Giovanni, altro grande scultore del XIII sec.
Tuttavia, rimane il problema della formazione perché la sua cultura appare modellata sia sugli esempi
offerti dalla tradizione pisana, sia su quelli dell’ambiente del meridionale di Federico II. All’epoca la Toscana
era interessata da molteplici influenze provenienti dal mondo bizantino, dall’Emilia e dal Meridione d’Italia.
In particolare, a metà Duecento, la situazione venne animata dall’apertura di due cantieri voluti proprio
dall’imperatore, il Castello di Prato e l’Abbazia di San Galgano, ai quali parteciparono artisti già impegnati
nei precedenti cantieri nel Sud-Italia.
Questi maestri avevano manifestato influenze gotiche nordeuropee, interesse per i modelli classici e
attenzioni alla resa naturalistica delle cose e forse Nicola ‘’de Apulia’’ fu uno di questi artisti. Le sue opere
sono state così datate:
† 1247-1269 DUOMO DI SIENA: sia nell’architettura sia nella decorazione scultorea, con la serie delle teste-
capitello e delle teste-mensola che si protrasse per molto tempo, con ampio impiego della bottega. In
questo arco di tempo il pergamo del duomo di Siena va collocato tra il 1265-1268. La cattedrale ha un
impianto a croce latina, a 3 navate. Lo slancio verticale appare smorzato dagli archi a tutto sesto che
separano la navata centrale dalle laterali. L’orizzontalità dell’impianto è sottolineata dalla bicromia bianca e
verde ispirata alle cattedrali di Pisa. Sul presbiterio si eleva una cupola poggiante su 6 pilastri disposti ad
esagono unita da arconi di 52 diversa altezza dove il più alto è l’arco trionfale che dà accesso alla navata
centrale. L’edificio viene ristrutturato e ingrandito nei decenni successivi da Giovanni Pisano che aggiunge
una campata alla navata centrale e costruisce la parte inferiore della facciata.
† 1260 Lunetta con la Deposizione nel portale sinistro del DUOMO DI SAN MARTINO di Lucca.
Nicola approfondisce e sintetizza le due principali tendenze dell’arte meridionale, la sensibilità naturalistica
da un lato e dall’altro il classicismo alimentato dallo studio nelle numerose sculture antiche reperibili in
Toscana. Questa stratificazione della lunetta la si può confrontare con la Deposizione di Antelami a Parma.
Notiamo le figure all’interno della cornica semicircolare con assoluta naturalezza sollevandosi dai lati verso
il centro fino al culmine del Cristo morto. Nicola contrappone un’immagine più vera e toccante, cioè quella
del Cristo abbandonato con le ginocchia che si piegano e la testa che si flette esanime.
† 1260 PULPITO DEL BATTISTERO DI PISA
La Natività ,
La Presentazione al tempio ,
la Crocifissione,
il Giudizio Universale
il sesto lato è aperto per permettere l'accesso al predicatore. Esso poggia su 6 colonne 3 delle quali
sorrette da leoni. Al di sopra dei capitelli delle colonne si trovano le statue delle 4 Virtù Cardinali, di
San Giovanni Battista, dell'Arcangelo Michele, dei Profeti e degli Evangelisti. I leoni
corrisponderebbero al mondo terreno ovvero si definiscono la Domus Dei inferior, le 7 colonne
sono i simboli dei sacramenti cioè la Domus Dei exterior cioè la chiesa. Vi è infine la Domus Dei
superior, cioè l'aldilà. Le Virtù sono scolpite quasi a tutto tondo a imitazione delle statue antiche
con un dinamico ricadere dei panneggi e le capigliature mosse come ben si vede nella Carità
accompagnata da un puttino o nella Fortezza concepita come un fiero Ercole classico. Nei riquadri
cristologici notiamo nell'Adorazione dei Magi una ripresa dell'antico poiché la Vergine seduta
riprende da un'immagine di Fedra scolpita su un sarcofago scolpito a Pisa. Eppure, il classicismo
convive con l'inquietudine gotica che è avvertibile nei panneggi ricadenti a spigoli o nelle barbe dei
re e nelle criniere dei cavalli animate dalla lavorazione col trapano. Uguale la Presentazione al
tempio è sintesi di un dinamismo di descrizioni fisionomiche e di solennità classica, confermata
anche in questo caso dalla citazione di un gruppo antico, un Dioniso che si appoggia a un putto. La
Crocifissione costituisce il culmine dei rilievi del Pulpito. In primo piano notiamo un'indagine umana
e psicologica delle reazioni provocate dal sacrificio di Cristo. Qui spiccano i nuovi elementi
iconografici introdotti da Nicola come lo svenimento di Maria a sinistra che irrompe per la prima
volta nella rappresentazione del tema ma anche l'espressione dolorosa di San Giovanni dove
inedite sono le espressioni e le pose del dubbio. Nicola vuole allacciare una comunicazione diretta
tra spettatore e immagine.
† 1275-1278 FONTANA MAGGIORE DI PERUGIA, con il figlio GIOVANNI che è anche la più antica fontana
pubblica italiana realizzata verso la fine del 1270. Con la collaborazione di Giovanni Pisano essa presenta
una decorazione che contempla per la prima volta un programma con temi religiosi e simbologie politiche.
E' composta da due vasche poligonali sovrapposte, la prima a 12 facce sospesa su colonne e ornata da
statue a tutto tondo, la seconda a 25 facce decorate a rilievo. Le statue superiori rappresentano Perugia,
Roma accanto alla Chiesa e alla Teologia, a San Pietro e San Paolo. I rilievi della vasca inferiore
comprendono i mesi, le arti, scene bibliche e storiche ecc., ha due bacini, uno più grande con molte facce e
uno più piccolo contenuto in esso che si appoggia a delle colonne, sopra ha una tazza in bronzo con delle
fanciulle da cui fuoriesce l’acqua, l’opera è firmata Arnolfo di Cambio.
ARNOLFO DI CAMBIO.
A metà degli anni Ottanta realizzò il monumento funebre del Cardinale De Braye, morto nel 1282, nella
chiesa di San Domenico ad Orvieto. Con questo complesso scultoreo-architettonico, oggi trasformato,
Arnolfo inaugurò una tipologia sepolcrale usata in seguito fino al rinascimento con il catafalco accostato alla
parete e sormontato da un baldacchino scostato da due accoliti, coronato da una cuspide sostenuta da
colonne tortili e decorata da pinnacoli, che conteneva i tre gruppi statuari minori, secondo un ritmo
ascensionale che simboleggiava l’elevazione dell’anima verso il paradiso. A Roma l’artista era stato a
contatto con le grandi opere del passato romano, e aveva assorbito le lezioni dei maestri cosmateschi, di cui
realizzerà i partiti decorativi a intarsi di marmi colorati e vetri dorati nei cibori della Basilica di San Paolo e di
Santa Cecilia in Trastevere. Del 1289 circa è il monumento funebre del nipote del Cardinale Annibaldi,
Riccardo (conservato presso San Giovanni in Laterano). In questo periodo lavorò a Roma per altre
commissioni papali: monumento a Papa Bonifacio VIII, statua bronzea di San Pietro della Basilica di San
Pietro. Arnolfo realizzò probabilmente la prima rappresentazione plastica del Presepe, scolpendo nel 1291
otto statuette che rappresentano i personaggi della Natività e i Magi; le sculture superstiti del primo
presepe della storia, inizialmente inserite nel monumento a Bonifacio VIII nella Cripta della Cappella Sistina,
si trovano nella Basilica di Santa Maria Maggiore. La presenza alla corte di Carlo I d’Angiò spiega in un certo
senso l’allontanamento precoce di Arnolfo dai modi improntati ad una sintesi tra classicità e gotico di Nicola
Pisano e di suo figlio Giovanni: egli probabilmente venne avvicinato al gusto allora dominante la scuola
francese, caratterizzato da raffigurazioni più lineari, astratte ed aristocratiche, rispetto all’insuperato
culmine di sintesi naturalistica e monumentalità raggiunta prima del 1250. Le sculture di Arnolfo furono
quindi caratterizzate da un maggior senso della linea (piuttosto che dal volume) e da una rappresentazione
irrequieta. La valutazione della sua opera scultorea nel complesso è molto difficile per la perdita o lo stato
frammentario di alcune opere. Monumento a Carlo D’Angiò dove il sovrano è rappresentato seduto sul
trono ornato da protomi leonine, in una posa maestosa ma naturale. Questo esempio indica che questi
primi ritratti nascono con intenti di celebrazione politica in quanto soltanto i grandi della terra possono
ambire per il momento ad essere immortalati da un artista inseriti entro ampi contesti monumentali
destinati alla pubblica visione.
Negli anni successivi Arnolfo realizzò il 83 monumento sepolcrale del cardinale Guglielmo de Braye
che morì nel 1282, situato nella Chiesa di San Domenico ad Orvieto,
nel tempo l’opera è stata rimaneggiata e una parte perduta quindi viene difficile ricostruirla nel dettaglio.
Nel disegno originale vi era una parte architettonica con dei pinnacoli, vi rimane adesso un basamento
decorato con motivi cosmateschi (lavorazione tipicamente romana della scuola dei Cosmaici, fatta con
decorazioni in oro, pietre preziose, sembrano mosaici), su cui si poggia una cassa circondata da colonnine
tortili con capitelli corinzi decorate con motivi cosmateschi e due colonnine tortili agli estremi, su di essa vi
è una mensa decorata con dentelli e un gisant ovvero una cassa aperta con delle cortine sostenute da degli
accoliti (angeli senza ali) di cui quello alla nostra sinistra è vestito da diacono e avvolge il drappo intorno al
corpo sotto del quale si intravede un ginocchio, in quello di destra invece è visto di spalle il cui abito è di un
tessuto sottile che aderisce al corpo come se fosse bagnato; all’interno vi è la scultura che riproduce il
defunto (in questo periodo rinascono i ritratti, per renderlo più fedele possibile si faceva un calco e da
questo l’artista ricavava la scultura), sopra c’è una scultura della Madonna (da una mostra tenutasi a Roma
nel 2005, risultò che la statua è romana, poi lo scultore la inserì nella sua opera modificandone alcuni
aspetti, come i panneggi e rimpicciolì la testa, il resto è originale) in trono decorato con motivi cosmateschi
(oro e tessere di marmo bianco e nero) con il bambino, ai fianchi il cardinale (la sua anima) che viene
presentato dal suo santo protettore (San Marco) alla Madonna, mentre dall’altro lato c’è San Domenico,
fondatore dell’ordine dei domenicani che fondarono l’edificio in cui esso si conserva.
Arnolfo era anche uno scultore, infatti realizzò nel 1285 il86 Ciborio di San Paolo fuori le mura, è una sorta
di copertura erotta al di sopra dell’altare, una sorta di baldacchino realizzato con colonne, pinnacchi,
copertura e ghinberghe, integrate con una parte scultorea. In questo caso è sorretto da 4 colonne di porfido
raccordate un arco ogivale con dentro un trilobo, esse sono poi sormontate da una ghinberga traforata
decorata al centro con una specie di rosone sostenuta da due angeli, il tutto decorato da gattoni rampanti e
pinnacoli, il tutto ancora una volta sormontato da guglie e un pinnacolo centrale nuovamente decorato con
guglie e pinnacoli. Il tutto contribuisce a dare una forte spinta ascensionale, molto colorata con decorazioni
cosmatesche in oro, sono presenti anche delle piccole sculture come quella di Adamo che si copre il corpo
ed Eva mentre raccoglie il frutto proibito, su un altro lato abbiamo l’offerta di Caino ed Abele, si vede anche
la Dextra Patris (una mano dal cielo denedicente) che raccoglie i doni ricevuti, rispettivamente del grano e
un montone, San Pietro e Paolo raffigurati quasi con la stessa fisionomia soltanto che Paolo tiene in mano
la spada del martirio, un lavoro di trapano esaltano le ciocche delle loro barbe, Timoteto, giovane discepolo
di San Paolo, raffigurato senza barba, figura in questo caso sintetica, altra figura è un monaco benedettino
(dato che in questa chiesa vi erano i monaci benedettini, molto probabilmente è San Benedetto) mentre
con una mano possente tiene un libro in mano.
87Altro Ciborio che realizzò è quello di Santa Cecilia in Trastevere (il capo della santa si trova nell’edificio),
realizzato nel 1293, situato sopra l’altare. Qui la struttura non si sviluppa in altezza ma in larghezza, gli archi
che uniscono le colonne sono più larghi e non acuti, la struttura è più traforata, le decorazioni sono in stile
cosmatesco, i pinnacoli sono più esterni sporgono un po’ e hanno quasi la stessa altezza della limberga, le
figure sugli angoli sono a tutto tondo, distinguiamo Santa Cecilia da un lato, dall’altro il marito anch’egli
martire, San Valeriano, altro è il cavaliere Tibursio, fratello di Valeriano, con un cavallo con la bocca
spalancata e le fauci aperte, il ciuffo della criniera è legato, l’abbigliamento delle figure è molto ricercato e
dettagliato, il tutto arricchito con il colore, altra figura è l’Evangelista con il suo simbolo, raffigurato molto
giovane perché fu uno dei primi seguaci di Cristo, l’Evangelista Luca seduto su una specie di Sella Curulis
sopra una roccia, la testa è leonina coperta da un drappo.
Egli realizzò anche le sculture del presepe di Santa Maria Maggiore a Roma, presepe costruito in seguito
all’arrivo della reliquia di una mangiatoia proveniente dalla Terra Santa, nella rappresentazione si
includevano anche l’arrivo dei Magi, le masse sono massicce, compatte, coperte da vesti sottili e molto
dettagliate con motivi floreali e frange, ci sono rimasi i tre re Magi con espressioni intense.
GIOVANNI PISANO: durante gli anni in cui lavorò a fianco del padre collaborò alla decorazione scultorea del
BATTISTERO DI PISA e al PULPITO DI SIENA (1265-1269), anche se all’attribuzione delle diverse sculture che
compongono queste opere è controversa e complessa. Ebbe un ruolo sicuramente più attivo nella
FONTANA MAGGIORE (1275-1278) di Perugia. Successivamente entrò a capo di progetti lasciati incompiuti
dal padre: la decorazione esterna del Battistero di Pisa e il Duomo di Siena dove fu capomastro dal 1285 al
1296: qui allungò le navate di una campata, al termine della quale impostò la facciata monumentale;
condusse i lavori nella parte inferiore della facciata per la quale realizzò un gran numero di statue di Profeti
e Sapienti dell’antichità. Negli anni successivi lavorò al pulpito della chiesa di Sant’Andrea a Pistoia (1297-
1301).
Fu quindi a Pisa, dove assunse la carica di capomastro della cattedrale per la quale realizzò il pergamo,
impegno che si protrasse dal 1302 al 1310 con interruzioni causate da dissensi con il direttore dell’opera del
Duomo Borgogno di Tado. Più tardi, verso la conclusione della sua attività artistica, ricevette due
importanti commissioni private:
la MADONNA COL BAMBINO DELLA CAPPELLA DEGLI SCROVEGNI DI PADOVA
Non prese spunto solo dai modelli francesi, ma seppe a sua volta rinnovare il repertorio iconografico
dell’epoca con le più innovative soluzioni plastiche ed espressive, figure dalle movenze libere nello spazio e
svincolate dall’architettura, come nei rilievi dei portali del Duomo di Siena. A differenza di Arnolfo,
l’interesse tra scultura e architettura di Giovanni, propende tutto per il prima, ed è interessato fino ad un
certo punto alla fusione delle due componenti.
Fontana maggiore di Perugia
Lavorò anche lui alla Fontana di Perugia, in particolare a dei bassorilievi con le personificazioni dei mesi e
dei lavori dell’anno (tema di epoca romanica, hanno un andamento guizzante quasi a scatti: ad esempio
Giugno è la raccolta del grano, le vesti corte sventolano per questo movimento. Ci sono anche le
raffigurazioni delle arti liberali come l’astronomia e la geometria, la filosofia è raffigurata con una corona,
regina delle arti. Vi è anche la personificazione della città di Perugia rappresentata come una sorta di Dea
dell’abbondanza con una cornucopia ricca di frutti, i panneggi sono molto sottili e ben resi. Vi sono anche
dei Santi come Pietro e Paolo, il santo protettore di Perugia, come ad andare a sottolineare l’insieme di
temi.
Negli anni 80 del 1200 andrà a Pisa, per poi andare a Siena per la costruzione della facciata del Duomo, fece
sopratutto la parte bassa. Oggi le sculture che vediamo sono ottocentesche ma seguono lo schema originale
(iscrizioni nella parte destra delle nicchie), le originali furono spostate al Museo dell’Opera di Siena per
proteggerle dalle intemperie che le stavano logorando, ricordiamo che l’edificio è consacrato all’Annunziata
quindi tutte le sculture rimandano alla Vergine come i profeti dell’antico testamento, le sibille dell’antichità
considerate come profetesse, infatti tengono in mano dei cartigli aperti perché hanno profetizzavo
l’incarnazione di Cristo, in generale però le figure sono squilibrate, il collo è molto prominente (non solo
perché doveva essere vista dal basso, ha proprio una postura strana), sono tutte caratteristiche dello stile di
Giovanni. Il Re Davide ha una corona in testa, la postura assunta è detta ascement = ancheggiante, la figura
è a chiasmo (il suo braccio destro e la gamba destra sono tesi mentre il braccio e la gamba sinistra sono
flessi, ma il tutto non è bilanciato dalla testa che va verso la sua destra come era consueto nelle sculture
classiche, ma va verso la sua sinistra, comportando un disequilibrio una drammatizzazione), c’è una
mancanza di equilibrio, i volti sono molto intensi, le labbra socchiuse, la barba e i capelli scompigliati, i
panneggi sono gonfi, nei bordi ci sono delle frange come faceva il padre, si vede un corpo sottostate ma
sono divorati dai grossi panneggi.
Maria di Mosè, ha il volto bruscamente teso in avanti insieme alle braccia, una mano tiene un
cartiglio, il corpo è fasciato nella parte superiore da uno scialle mentre la parte sottostante da una veste
con panneggi pesanti, vista di profilo la drammatizzazione è data da una sorta di vento che smuove le vesti.
Mosè ha il volto rivolto verso la nostra destra, il braccio a sinistra, ha un cartiglio in mano, le pieghe della
veste che vanno a terminare con delle punte, sono molto scavate il che comporta a degli effetti
chiaroscurali, il volto non è gonfio e morbido come quello del padre ma è turgido e fortemente
Platone ha la bocca socchiusa e narrano ciò che c’è scritto nel cartiglio aperto che portano
(viene considerato come un profeta, è una sorta di fumetto), ha un copricapo particolare per indicare la sua
provenienza, la veste fascia il gomito ed è tirata dalla stessa mano che sorregge il cartiglio. Abacuc altro
Re Salomone con una veste molto ricca, il bordo oltre alla frangia ha una fascia ricamata al di sopra.
In questi anni venne realizzato anche un crocifisso ligneo oggi conservato nel museo dell’Opera di Siena (la
colorazione è successiva), rispetta l’iconografia delineata in uno scritto dell’ordine francescano intitolato
“ligneum vitae”, la croce è ricavata da un unico tronco ed ha una forma a Y, questo allunga in maniera
estenuante le braccia di Cristo rendendo il torace in tensione e la pancia molto in dentro, il corpo è molto
gracile. (dettaglio pdf 89/90/91 - Nicola e Giovanni).
Una delle ultime imprese scultoree di Giovanni ci è giunta frammentaria e si tratta della 90 Tomba di
Margherita di Brabante
Esistono fasi storiche in cui le diverse tecniche avanzano insieme, questo però non è il caso della Toscana
del Duecento e più in generale dell’Italia, dove si registra una frattura tra lo stile dell’architettura e della
scultura da una parte e quello della pittura dall’altra.
Mentre il rinnovamento della scultura è ulteriormente accelerato dall’immissione dei modelli gotici, con
l’attività di Nicola Pisano, lo stacco tra la scultura gotica e classicheggiante e la pittura rimasta bizantina,
tocca il culmine. I pittori sembrano disarmati di fronte alla capacità narrativa di Nicola, alla verosimiglianza,
alla vivacità, alla drammaticità delle sue figure e dei suoi rilievi attorno al 1260.
In questo momento la scultura è l’arte guida, in quanto la pittura si sta trasformando con lentezza e senza
mai negare la sua impronta bizantina. Eppure, nel giro di poco tempo, rinunciando di colpa a stilemi
secolari, i pittori rinnovano i loro modelli e i loro linguaggi sino a giungere con GIOTTO a fondamentali
innovazioni formali e narrative che rendono le loro storie quanto mai coinvolgenti. Il successo della pittura
è travolgente, offrendo anche la possibilità di decorazioni più economiche della scultura e di più rapida
esecuzione.
Nel Trecento si assiste a un ribaltamento del rapporto tra le due arti, la pittura diventerà l’Arte Guida, la
sede delle sperimentazioni, mentre la scultura segnerà il passo entrando in una fase involutiva. Il fenomeno
più appariscente della pittura toscana dall’inizio del 200 è la grande diffusione delle TAVOLE DIPINTE,
mentre l’affresco è raramente praticato.
La fortuna di questa tecnica si ha grazie all’appoggio degli Ordini mendicanti, in particolare i Francescani.
Divisi al loro interno, dopo la morte di S. Francesco: desiderosi di ammirare i Conventuali: appoggiati dal
papato e dall’alta borghesia nelle chiese fastose decorazioni, anche pittoriche; Gli Spirituali: avversi a tutto
ciò che contravviene all’idea di povertà.
I Francescani a ciò trovano conveniente una soluzione di compromesso: le TAVOLE DIPINTE sono un
fastoso ornamento per gli altari e le navate, ma possono essere eventualmente rimosse e si prestano ad
essere trasportate per le vie della città nel corso delle processioni; i soggetti rappresentati nelle tavole sono
quelli cari ai Francescani quali : Il Crocifisso, la Madonna col Bambino, l’immagine di S. Francesco.
La nuova pittura italiana non nasce a Lucca, dove Berlinghiero Berlinghieri fonda un’importante bottega
ereditata dai figli. La sua firma compare su una CROCE, un’opera legata ancora con la cultura bizantina. Il
Cristo appare in posa statica, con le membra delineate graficamente tramite luminescenze e sottili
ombreggiature. E’ ancora sulla croce, che non muore, da notare gli occhi che sono aperti, l’espressione è
impassibili; bensì trionfa sulla morte.
Accanto a Lucca, Pisa è a sua volta sede nel primo 200 di una scuola pittorica che però opta per un
linguaggio meno stilizzato e più drammatico. Si confronti il 92 Dossale con san Francesco e suoi miracoli
Le modifiche portate dall'anonimo pittore, si comprendono meglio tenendo conto della migliore qualità dei
modelli bizantini disponibili ai pisani. Ne è preziosa testimonianza verso il 1230, la Croce, del Museo
Nazionale di Pisa . Opera di un maestro greco, è un documento artistico fondamentale non tanto per
l'intelligenza formale, quanto per l'avanzare di una gamba rispetto all'altra che aderisce al legno della croce,
la sintetica drammaticità delle storie della Passione illustrate sotto i bracci della croce, ma soprattutto
perché sul suolo italiano per la prima volta viene adottato il modello del Cristo patiens, del Dio fatto uomo
che muore sulla croce chiudendo gli occhi e reclinando il capo. A rinforzo dell'immagine c'è anche un fiotto
di sangue che zampilla dalla ferita aperta del costato.
L'altro soggetto tipico della pittura toscana e cioè la Madonna col Bambino, se ne segue l'evoluzione a
partire dalla Madonna di Montelungo, firmata dal caposcuola aretino Margarito o Margaritone D'Arezzo,
un artista del quale non si hanno notizie biografiche. La tavola riprende una tipologia cristianoorientale di
origine egiziana: la madre e il bambino sono severamente frontali e appiattiti e il figlio è rappresentato
come un dio-infante benedicente con lo scettro in mano.
Altra opera fatta da Coppo e conservata a Santa Maria dei Servi a Siena è la 92 Madonna col bambino,
il cui volto però è stato restaurato agli inizi del 1300: la donna è seduta su una
poltrona con uno schienale a forma di lira e un cuscino morbido, è vestita come un’imperatrice, i dettagli
della veste sono resi con delle crisografie (linee dorate che simulano le ombre delle pieghe ma in realtà
danno un effetto piatto), sopra una cuffia porta un velo che rende la sua testa tonda.
Negli stessi anni visse CIMABUE, grande pittore citato da Dante nella Divina Commedia in cui lo esalta per la
sua bravura. Il suo stile ricorda molto quello di Giunta Pisano (il crocifisso di San Domenico a Bologna con il
Cristus Patients morente) e non si rifà allo stile dei suoi contemporanei fiorentini. La prima opera attribuita
a Cimabue è il 93Crocifisso di Arezzo
realizzato prima del 1271, è alto 4 metri, nei pannelli laterali non ci sono
delle storie ma un motivo a losanghe, i dolenti ai margini del braccio trasversale della croce e la postura del
corpo a mezzaluna, che richiama molto il Cristo di Giunta, anche il volto ricorda quello di Giunta per i segni
sotto gli occhi e nelle guance, l’incarnato è realizzato con pennellate sottili per dare il senso del volume, non
è a macchie ma tutto molto sfumato, i capelli sono realizzati in maniera calligrafica con striature, mentre la
barba è fortemente chiaroscurata (effetto dato con delle pennellate molto sottili), la canna nasale messa in
risalto con delle zone di luce, come il mento e le labbra, le orecchie sembrano il manico di un’anfora
(elemento tipico di Cimabue). I dolenti sono patetici con forti ombre del naso e del mento, la Vergine tiene
nelle mani un fazzoletto, il mantello è ricoperto da crisografie dando un senso di movimento al panneggio,
dall’altra parte c’è San Giovanni Evangelista che appoggia la mano sopra il mento, osserva l’osservatore
come ad invitarlo a guardare la scena, il braccio è molto realistico, nel volto abbiamo il classico naso a
forcella, le orecchie ad anfora, la veste è liscia sormontata da un mantello riccamente decorato con
crisografie, lo è anche il perizoma rosso di Cristo rendendolo simile ad un tessuto in seta, si percepisce un
corpo sottostante.
Famoso è il 94crocifisso di Santa Croce a Firenze
Ci troviamo in un momento capitale della storia della pittura in Italia, quando si forma lo stile che il Vasari
definisce latino per contrapporlo al greco dei Bizantini. La rivoluzione in atto si coglie innanzi tutto nella
basilica di Assisi. La cronologia degli affreschi della basilica superiore è tra le più controverse della storia
dell'arte italiana e si intreccia con i dibattiti dei Francescani, la cui ala spirituale continua a rifiutare di
arricchire le chiese dell'Ordine con fastosi apparati decorativi. Nel Concilio di Narbona i Francescani optano
ancora per la scelta rigorista escludendo l'uso delle immagini. Un altro concilio dei francescani tenuto ad
Assisi ribadisce l'indirizzo aniconico suscitando però una ferma reazione da parte di papa Niccolò III.
Secondo alcuni studiosi sarebbe stato proprio questo papa a dare il via agli affreschi di Assisi. I primi
affreschi compaiono dunque nella basilica superiore nel 1288. Gli affreschi che narrano le Storie di Maria,
l'Apocalisse, non sono più ben leggibili. Nella Crocifissione del transetto sinistro, con le sue numerose figure
fortemente gesticolanti sotto un cielo affollato da angeli in pose di sgomento e di strazio, è ancora leggibile
un'immagine drammatica. Nello stesso periodo altre maestranze eseguono affreschi nella navata della
chiesa contestando gli arcaismi di Cimabue. Artisti attivi sulle lunette attorno alle finestre contrappongono
una pittura diversa, di tipo illusionistico, creando finte strutture architettoniche innestate sulle cornici delle
finestre vere come per ampliarle. Il nuovo sistema figurativo ha un seguito immediato. Questa idea è
ripresa con Giotto giovane, giunto ad Assisi al seguito di Cimabue ma ormai avviato autonomamente ad una
lunga carriera. Osserviamo l'Esaù respinto da Isacco, qui è tutto nuovo, dalla plasticità dei corpi, il gioco
delle ombre e delle luci, l'andamento fluente dei panneggi. Risalta soprattutto la scatola spaziale che
contiene la scena, la stanza dalle pareti scorciate, cui è stata asportata quella anteriore per permetterci di
vedere ciò che avviene all'interno dove notiamo i baldacchini del letto su cui giace Isacco. La scena è
dunque costruita come una successione di piani in profondità. Siamo qui probabilmente di fronte alla più
antica opera a noi nota di Giotto (1267-1337), l'allievo fiorentino di Cimabue, nato a Vespigniano. Dopo
l'apprendistato con Cimabue, Giotto è stato anche a Roma e ha studiato i plastici e spaziali cicli musivi e
pittorici del IV e del V secolo d.c. Ancora a Giotto spettano le Storie di san Francesco sulle pareti della
navata della basilica superiore di Assisi. Questa storia è suddivisa in 28 riquadri che si svolge per tutta la
parete destra verso l'ingresso della chiesa, gira nella controfacciata e torna indietro lungo la parete
opposta, descrivendo le vicende del santo titolare della basilica, dalla giovinezza alla morte, alternando gli
episodi storici ufficiali a quelli delle leggende. Con Giotto la vita quotidiana, esclusa da secoli dalle arti
figurative, rientra in una chiesa e prende stabile possesso delle pareti più in vista.
Consideriamo ora una delle scene L'omaggio dell'uomo semplice:si svolge lungo una via che gli spettatori
potevano riconoscere immediatamente come un sito reale di Assisi. Gli edifici formano un fondale dove il
santo appare di profilo incedendo e un cittadino stende il mantello al suo passaggio, la scena è naturale e
credibile. Anche i bambini sono assenti da secoli nell'arte sacra, ritrovano posto nella pittura giottesca nelle
scene di folla dove la loro presenza aggiunge un tocco di casualità quotidiana ad esempio ne La rinuncia ai
beni, dove sono raffigurati non lontani dall'esplosione d'ira di Bernardone, il padre del santo alla vista della
folle restituzione delle ricchezze da parte del figlio. Il rapporto tra le figure e lo sfondo non è mai casuale.
La scena de La conferma della regola mostra un meditato accordo tra architettura e personaggi.
Nell'Elemosina del mantello, dove non c'è un fondale architettonico, Giotto sfrutta i profili obliqui dei colli
per portare l'attenzione del riguardante dove essi si incrociano, dietro la testa nimbata di san Francesco.
Mentre è evidente però che Giotto tratta il paesaggio in modo ancora arcaico, senza definire con precisione
le distanze e il succedersi dei piani in profondità. Giotto rifiuta quindi il retaggio bizantino recuperando
effetti di plasticità e di spazialità dimenticate da secoli. Ancora di più la novità del suo linguaggio risalta
quando a Firenze dopo l'esecuzione delle Storie di san Francesco, affronta temi più tradizionali quali il
Crocifisso (Abolito il cliché dell'incarnarsi del corpo di Cristo tanto caro a Cimabue. I piedi sono accavallati e
forati da un solo chiodo, perciò le ginocchia si piegano.) e la Maestà (Solida volumetria dei protagonisti
incastonati entro il prezioso trono cuspidato, quasi trasformato in una chiesa, o sugli angeli e santi raccolti
ai lati del trono disposti di profilo nello spazio, uno dietro l'altro anziché uno sopra l'altro come nelle
Maestà precedenti).
La cultura romana
Il rinnovamento della pittura italiana negli ultimi 15 anni del Duecento si svolge quindi a Firenze, ad Assisi e
a Roma. Da Firenze provengono i pittori, Assisi fornisce la prestigiosa vetrina da cui le opere traggono vasta
risonanza, a Roma troviamo il rifiorire dell'interesse verso la spazialità e la maestosità dell'arte antica tanto
che da questo clima Giotto ha tratto degli spunti fondamentali.
Non sono note le più antiche pitture del romano Jacopo Torriti un contemporaneo di Cimabue. Favorito di
Niccolò IV, anch'egli lavora ad Assisi e poi tornato a Roma fornisce il modello per i mosaici absidali di Santa
Maria Maggiore. Realizza in Santa Maria Maggiore un ciclo dedicato alla vita di Maria sempre introno al
1295 nell’abside, c’è l’incoronazione di Maria da parte di Cristo, c’è un senso del volume ma è ancora legata
alla tradizione bizantina, sovrabbondanza dei panneggi, le linee del volto sono dure e suddividono le varie
parti del corpo, schematismo di retaggio bizantino, l’annunciazione con l’angelo ancora bizantino,
sembrano le figure del battistero degli ortodossi di Ravenna, nella natività la Madonna sta stesa tipo in una
grotta-tempio non una stalla, sta su un lenzuolo, il bambino sta in una sorta di sarcofago, intorno
all’incoronazione c’è il committente pontefice, San Pietro e San Paolo e San Francesco più piccolo rispetto
agli altri perché era ancora un santo recente, le figure sono piatte. Più complesso è il caso di Pietro
Cavallini (1273-1321) più giovane del Torriti. Esso lo ritroviamo a Santa Cecilia accanto ad Arnolfo dove
sopravvive un grande frammento del Giudizio Universale dipinto nella controfacciata. E' un affresco
importante e innovativo dove notiamo il convergere degli sguardi degli apostoli e l'inclinazione dei troni che
spinge lo sguardo verso il centro dove c'è il Giudice chiuso nella sua mandorla. I manti svelano la
disposizione delle membra mentre la cromia è estremamente sfumata con trapassi chiaroscurali. Cavallini è
un grandissimo pittore, un protagonista del revival proto-classico romano. In definitiva Giotto risulta un
riformatore più radicale e coerente del Cavallini. , nel secolo scorso furono trovati degli affreschi a Santa
Cecilia in Trastevere (dove c’è anche il ciborio di Arnolfo di Cambio) del giudizio universale: Gesù è seduto
su un trono marmoreo, sta in una mandorla circondato da angeli, anche se è vestito mostra i segni della
passione sanguinanti, la pittura è densa con dolci trapassi chiaroscurali, ai lati ci sono gli apostoli seduti su
stalli lignei, c’è una ricerca del volume e della prospettiva, sulla linea dello stile di Giotto, si intravede di più
l’anatomia sottostante e sono meno gonfie le vesti, la luce arriva da sinistra colpendo le vesti in maniera
forte, le parti in luce sono bianche, San Giacomo è simile a Cristo (è suo cugino), ha in mano una spada
simbolo del suo martirio, le pennellate sono sottili e fitti tratteggi e non chiazze, l’angelo ha un’acconciatura
alla bizantina con una sorta di cerchietto, le ali sono colorate e sfumate. Il Cavallini ha anche realizzato il
disegno dei mosaici con la storia della vita della Madonna a Santa Maria in Trastevere, sempre intorno al
1296, una scena raffigura la natività con Anna e la Madonna appena nata, la struttura del letto ricorda le
storie di Isacco di Assisi, da profondità alla stanza con colonne in prospettiva, non si raggiunge il rigore delle
strutture di Giotto infatti gli oggetti sopra il tavolo al centro sembrano scivolare, anche l’iconografia delle
figure ricorda le Madonne bizantine con il moaforeon a zig zag. L’annunciazione: l’angelo arriva in volo,
Maria si allontana un po’ spaventata, seduta su un trono ligneo e non marmoreo, caratteristica di Cavallini,
le bocche delle figure molto strette. Presentazione di Gesù al Tempio per la circoncisione: lui viene preso in
mano da Simeone con dietro la profetessa Anna (una vecchietta), le architetture sembrano dei giocattoli.
A Napoli intorno al 1308 fece la Cappella Brancaccio affrescata con scene della vita di San Giovanni
Evangelista e Sant’Andrea. La scena più nota è la crocifissione: ci sono 2 architetture sullo sfondo a cui
corrispondono San Domenico e San Pietro martire (sono santi domenicani, la cappella era domenicana), al
centro Gesù in croce con ai lati la Madonna e San Giovanni Evangelista, c’è il senso del volume, i trapassi
chiaroscurali dolci però le architetture sono piatte. Altra scena è l’Assunzione in cielo di San Giovanni
Evangelista: una luce meridiana colpisce le architetture mettendole in rilievo, c’è una sorta di altare che
ricorda molto quella della visione dei troni del ciclo AssisIale, si stava celebrando il suo funerale ma fu
assunto in cielo.
Più o meno contemporaneo di Duccio ma molto più moderno e rivoluzionario, fu GIOTTO, in questi anni
egli si sgancia totalmente alla tradizione bizantina di cui Duccio era ancora legato. Insieme a Cimabue fece
delle opere nella Basilica di Assisi, sotto il pontificato di Niccolò IV, tra il 1288-92, datazione proposta da
Bellosi in seguito confermata da un documento con la richiesta delle decorazioni e con la stessa
approvazione del Papa. Egli realizzò un ciclo di affreschi nella Basilica Superiore ad Assisi, con storie di San
Francesco. Affrescò le volte a crociera con un cielo azzurro, le stelle ed altri elementi decorativi (nel
transetto ci sono gli affreschi di Cimabue). Giotto introdusse le cornici architettoniche che incorniciano le
scene, sembrano delle finestre aperte, sono colonne con motivi cosmateschi che sostengono una sorta di
tettoia con sopra delle mensole, nella parte bassa ci sono dei tendaggi appesi. Pone molta attenzione alla
prospettiva la naturalezza delle scene, ad esempio nelle scene di San Francesco ricrea i luoghi in cui andò,
riproducendo alle architetture reali di Assisi. Non solo rappresentò il ciclo della vita di San Francesco ma
anche alcune scene della genesi nel pannello superiore, come la scena di Isacco ed Esaù: la scena si svolge
sempre dentro questo piccolo prospetto, il senso di profondità è ottenuto anche da dei bastoni che
sostengono la tenda che permettono di osservare la scena al loro interno, le parti illuminate delle vesti dei
personaggi vanno in contrasto con le zone in ombra creando un effetto seta, molto bruschi anche i passaggi
del volto, le ciocche di capelli sono raccolte in maniera schematica, le zone colpite dalla luce sembrano
superfici metalliche, i panneggi sono molto taglienti, il parapetto del letto è in legno riccamente decorato.
Fa parte delle opere giovanili, contemporanea alla scena di Esaù ed Isacco, è la 104Croce dipinta situata a
Santa Maria novella che anche qui rivoluziona l’iconografia classica: non è
presente la grande curva del corpo di Cristo ma cade morto in maniera più naturale, la mano non sta aperta
ma si richiude sul chiodo creando una zona d’ombra, la luce modula il corpo in maniera delicata, i trapassi
di luce e ombra sono molto lievi, le linee non nette, l’addome molto vero non è diviso in zone, il perizoma è
trasparente, le pieghe sono molto lievi, i dolenti ricordano le figure delle storie del ciclo superiore degli
affreschi di Assisi, lo sfondo è dorato, il velo della Madonna scende giù senza fare la testa tonda, non si
stringe al livello del collo ma è molto più naturale, i tabelloni laterali non presentano più storie.
Nelle opere viene aggiunta una terza dimensione, la profondità. Le figure non sono tutte accalcate al primo
piano ma abbiamo una prospettiva empirica ma non ancora scientifica, introduce ad una rappresentazione
più veritiera resa con giochi di luce ed ombre, la novità che introduce sono le scatole architettoniche, le
cornici, i drappi e le mensole che incorniciano le scene.
105 Ciclo delle storie di San Francesco. Nella prima scena abbiamo San Francesco rappresentato come un
giovane cavaliere che passeggia per le vie della città, quando un fedele vedendolo, porge il suo mantello
per farlo camminare al di sopra, sullo sfondo sono presenti monumenti realmente esistiti ad Assisi, è la
prima scena ma fu l’ultima ad essere realizzata. La prima scena in assoluto realizzata da Giotto (la seconda
in successione) fu quella in cui dona il mantello al povero, le rocce sullo sfondo ricordano le scene di Duccio,
lo sfondo non è oro ma azzurro ma non ancora atmosferico. Altra scena è il sogno del Palazzo con le armi: il
santo dorme su un letto a baldacchino (simile a quello di Isacco) e accanto c’è la rappresentazione del
sogno con questo palazzo con dei scudi e spade all’interno, sembra molto reale, le sue architetture
richiamano quelle gotiche e non sono astratte, particolare è la mano di Cristo scorciata che gli indica il
palazzo, le ombre mettono in risalto i particolari del polso e del palmo, la sua posa non è più a cucchiaio ma
molto naturale, le dita dell’altra mano sono flesse rese molto bene dalle luci e ombre. Altro affresco mostra
il dialogo con il crocifisso di San Damiano: San Francesco è all’interno di un edificio diroccato più piccolo
rispetto alla sua figura, sembra un modellino, questa è la chiesa che lui ricostruirà diventando la Chiesa di
San Damiano, si dilunga nella sua decorazione (Giotto rifarà anche il crocifisso portando anche qui delle
novità: è un Cristo Triumphans vivo con figure nei tabelloni laterali, non ha la curva ma è eretto). Altra
scena è la rinuncia agli averi: San Francesco si spoglia completamente in piazza, il padre Bernardone molto
arrabbiato vorrebbe colpirlo ma viene bloccato da un uomo dietro di se, il Vescovo copre il corpo nudo di
Francesco come ad approvare questa sua scelta, egli si denuda dei suoi averi terreni e del suo padre
terreno, per abbracciare il padre celeste nella sua semplicità così come lui lo ha creato, la scena è chiara e
lucida ma molto arcaica, anche se c’è un senso di profondità (non prospettiva), le architetture racchiudono i
vari gruppi distanziati come a voler simboleggiare la loro distanza, il corpo del santo è molto sfumato e
giovane. Andando avanti nel racconto c’è il sogno di Innocenzo III: sogna che la Chiesa stava crollando ma
fortunatamente venne sorretta da San Francesco, era una sorta di premonizione come se gli suggerisse di
accettare in futuro la regola proposta dai francescani, la Chiesa è la rappresentazione della Basilica di San
Giovanni in Laterano del tempo, egli è rappresentato con tutti i paramenti da vescovo (per farlo
riconoscere). Altra scena è l’approvazione della regola: siamo all’interno di una stanza riccamente decorata
con delle tende con un motivo floreale (una sorta di carta da parati del tempo), grossi menzioni si
protendono verso lo spettatore e sostengono le volte, il Papa su un trono accetta e benedice la regola di
San Francesco, la scena è investita dalla luce proveniente da destra che riflette il bianco delle vesti dei
vescovi, i gruppi di persone in tralice danno l’idea di profondità. Altro racconto è la visione da parte di dei
francescani di San Francesco mentre galoppa nel cielo su un carro di fuoco circondato da luce: l'evento è
narrato nella Legenda Maior scritta da Bonaventura da Bagnoregio intorno al 1263, le figure che osservano
la scena stanno sotto una architettura che non fa più da sfondo ma è parte integrante della scena, ci sono
delle ombre. La scena successiva è la visione dei troni: un frate vede nel cielo i troni lasciati dagli angeli
ribelli, uno di questi è più grande degli altri ed è destinato a San Francesco rappresentato a lato mentre
prega presso un altare, non c’è una prospettiva unitaria, ma si cerca di dare profondità. Altra scena
rappresenta la cacciata dei diavoli dalla città di Arezzo: San Francesco è inginocchiato e con la preghiera
esorcizza la città che sembra un modellino, una fonte di luce da destra crea un senso del volume, le mura
sono decorate e possenti, alla nostra sinistra si scorge l’abside del Pieve di Santa Maria di Arezzo, realmente
esistito. Il racconto continua con l’episodio in cui San Francesco va dal Sultano d’Oriente per convertirlo: in
un primo momento viene bastonato poi però lo lascia parlare perché è incuriosito, per metterlo alla prova
lo sfida dicendo di attraversare il fuoco, i suoi sacerdoti fuggono ma lui resta ed attraversa, la scena
rappresenta questo momento cruciale, le architetture sono molto dettagliate, la volta è cassettonata, il
sultano sta su un trono con un drappo rosso, il tutto è occidentale l’unica cosa orientaleggiante è la veste
del sultano. Altra scena è l’estasi di San Francesco mentre si eleva da terra in questo dialogo con dio, è
osservato da altri frati. Andando avanti c’è una scena ambientata dietro il tramezzo riservato al clero in cui
San Francesco costruì un presepe: lì la notte di Natale comparve la statuetta di Gesù bambino appoggiata
dal santo vestito da diacono, il ciborio è simile a quello di Arnolfo di Cambio, l’aspetto interessante è vedere
il retro della croce dipinta attaccata con una corda ad una struttura in legno molto dettagliata, nella scena la
profondità è suggerita dalle architetture colpite dalla luce, le figure dei cantori e dei diaconi che assistono
alla messa hanno le bocche aperte perché cantano, altre figure osservano la scena. A seguire il miracolo
dell’assetato: durante un pellegrinaggio mancava l’acqua, allora Francesco prega e compare una sorgente, il
santo è inginocchiato (ricorda Gesù nell’orto dei Gezzemani, infatti porta le stigmati), la luce proviene
dall’alto e colpisce le superfici delle rocce, vi sono altre due figure che assistono e un asino con le briglie e la
sella molto dettagliato. La predica agli uccelli è una delle scene più famose (la natura nel medioevo era
considerata una nemica da domare), non ci sono architetture ma piante dal fogliame morbido, i passaggi
chiaroscurali sono morbidi, ci sono dei volatili oggi però rovinati, il santo è piegato, ha l'aureola con dei
raggi un po’ in rilievo. Morte del cavaliere di Cerano: la storia narra che il santo fu invitato a pranzo dal
cavaliere perché si sentiva di stare per morire e voleva confessarsi, infatti lo confessa e muore: sembrano
sopra un terrazzino con decorazioni cosmatesche, una balaustra suggerisce uno spazio più ampio, altre
figure circondano il morto. Altra scena è la predica davanti a Papa Onofrio III: le colonne cadono davanti
alle figure viste in tralice, ci sono delle bifore in alto, il Papa ha in testa la tiara pontificia e il pallio rosso e
siede su un trono con gradini in stile cosmatesco, San Francesco fa un gesto particolare forse indica se
stesso, il Papa con la mano al mento riflette e ascolta, la figura alla sua destra con la mano aperta sta
parlando. Altra scena è l’apparizione di San Francesco durante il capitolo di Arles, riunione annuale in cui
tutti i frati si riunivano per parlare di certe questioni: le figure si trovano dentro una sala capitolare di un
convento con arconi con bifore cuspidate, un portale incornicia il santo che, come Padre Pio, ha il dono
dell’ubiquità (poteva stare in due luoghi contemporaneamente), nella scena è presente un altro santo (ha
anche lui l’aureola) ed è Sant'Antonio da Padova che stava parlando in piedi e le altre figure ascoltavano,
sono raffigurate in tralice, indossano dei sai ben dettagliati con pieghe. Altra scena è la Scena delle
stigmate: Cristo è serafino con delle ali angeliche, sembra in croce, dalle cui braccia e piedi partono raggi
che colpiscono il corpo di Francesco e riportano le ferite, il santo si era ritirato a Laverna per un
pellegrinaggio insieme ad un altro frate rappresentato alla nostra destra, si nota dietro di lui una piccola
chiesa, l’episodio è molto importante perché da questo momento lo chiameranno l’Alter Cristus, aveva lo
stesso sigillo di Cristo. Scena successiva è la morte del santo: la sua animula sale in cielo sorretta dagli angeli
di tradizione bizantina, i frati compiangono il suo corpo morto che sta su una tavola di legno (importante,
veniva considerata come una reliquia), assomiglia alla scena di Cristo morto. Frate Agostino e il vescovo di
Assisi prima di morire hanno la visione di San Francesco, sono due scene diverse rappresentate insieme, le
due architetture diverse sottolineano questa divisione, il santo non è rappresentato ma è sottinteso, il frate
ha le mani alzate come per andare verso il santo. Dopo abbiamo la scena dell’accertazione delle stigmate
dopo la morte di San Francesco, c’è un laico che tocca la ferita nel costato, altri due laici sostengono due
ceri, l'architettura simile ad una mensola sostiene un’immagine della Madonna con il bambino, una statua
di San Michele arcangelo e al centro il crocifisso, sembra esserci un chiaro riferimento alla Basilica superiore
di Assisi, forse erano presenti questi elementi nella chiesa dove morì il santo o vi erano questi elementi ai
tempi di Giotto. Altra scena mostra il compianto delle clarisse: il corpo di San Francesco viene portato verso
il cimitero per essere sepolto su una sorta di lettiga, nel tragitto si ferma davanti ad un edificio dove stavano
le clarisse, Santa Chiara in primo piano va a toccare il corpo del santo morto, ricordo del compianto sul
Cristo morto, come narrato nelle vite dei santi era come un giorno di festa perché veniva accolto in
paradiso, infatti le clarisse anche se erano di clausura escono, c’è una folla trepidante, sullo sfondo un
giovinetto sale su un albero per raccogliere un ramo (come l’entrata a Gerusalemme di Cristo). Altra scena
anche se molto rovinata è la canonizzazione avvenuta due anni dopo la morte, nel 1228: tutti guardano in
alto perché probabilmente si stavano leggendo i miracoli e gli eventi della vita del santo, al centro c’è una
sorta di altare dove probabilmente sotto vi era seppellito il corpo del santo. Altra scena rappresenta
l’apparizione a Gregorio IX: l’ambiente ha una sua profondità per via della luce, delle linee diagonali e il
drappo sospeso in aria sostenuto da delle corde, il Papa dubitava dell’esistenza delle stigmate di San
Francesco allora lui gli appare e gli da una ampolla con il sangue che sgorgava dalle sue ferite, nella scena
sono presenti altre figure presenti, una dorme, altre parlano fra se e un altro fa il rosario. Da qui ci sono le
ultime tre scene, le più importanti perché sono i miracoli post-mortem, ciò significava che il santo era in
paradiso e godeva della grazia divina. Il primo miracolo è la guarigione di un malato spagnolo: i medici sulla
sinistra vanno via scoraggiati perché non sanno più cosa fare, allora il santo interviene e lo salva, le figure
sono più esili, le architetture più sottili per questo si pensa sia stata fatta da maestri diversi, l’impaginazione
generale e alcune figure è propria di Giotto quindi comunque lui ha diretto i lavori, è una maturazione del
suo stile. Il secondo miracolo è la confessione della donna di Benevento: stava per morire senza
confessione, allora San Francesco interviene e lo comunica a Gesù (particolare in alto a sinistra) che manda
un frate per confessarla quando altre figure erano pronte a celebrare l’esequie, in alto un angelo scaccia via
il diavolo pronto a prendere la sua anima. L’ultima scena è la liberazione di Pietro di Alife: era stato
imprigionato ingiustamente allora, sempre per l’intercessione di San Francesco chiesta dal vescovo, egli
venne liberato; le architetture sono molto esili e fantasiose, una colonna è percorsa da un bassorilievi.
Sempre ad Assisi un giovane Giotto realizzò altre due scene, una rappresenta Isacco che sta dando la
benedizione a Giacobbe e l’altra è Isacco che respinge Esaù.
In controfacciata egli realizzò una Madonna in un cerchio con in braccio Gesù bambino che la guarda e
sorride, è una Madonna molto diversa a quella della tradizione bizantina e a quella di Duccio perché più
corpulenta, occupa uno spazio all’interno del cerchio, ha un velo sottile da cui si intravede la cuffia
sottostante, il naso non è sfuggente, il volto è rotondo, una forte luce e conseguente ombra mette in risalto
il mento e il collo, le mani afferrano realmente il corpo del bimbo non più a cucchiaio e affusolate.
Attribuita a Giotto è la così detta Volta dei quattro Dottori della Chiesa d’Occidente, oggi rovinata: vi sono
dei troni architettonici di forma particolare che si adattano all’angusto spazio triangolare della volta, vi è
una cura particolare per i dettagli, le mani afferrano realmente gli oggetti, le vesti fasciano i corpi, i
panneggi hanno pieghe taglienti tipiche del giovane Giotto.
Tra le opere giovanili ricordiamo 106la Madonna della chiesa di San Giorgio alla Costa
che purtroppo è stata tagliata da un lato: la vergine siede su un trono marmoreo con decorazioni
cosmatesche ricoperto da un drappo tenuto alle spalle da due angeli, la vergine mantiene i tratti bizantini
come il velo sopra la testa e la cuffia sottostante ma il volto è pieno e naturale, la posizione del bambino è
più arcaica rispetto a quella di Assisi, è frontale e benedicente. Altro dipinto su tavola è il 107 Polittico di
Giotto realizzò intorno al 1303-05 anche il 108ciclo di affreschi della Cappella degli Scrovegni a Padova
(vedere libro giotto), è una cappella funeraria voluta da Enrico Scrovegni per la sua sepoltura, è ad aula
unica con una volta a botte ed è intitolata alla Vergine Annunziata, gli affreschi si trovano in dei riquadri
suddivisi da cornici con decorazioni cosmatesche e quadripoli con figure minori, il tutto suddiviso in tre
ordini: nella parte bassa scompare l’idea di decorazioni con drappi appesi (come ad Assisi), ma viene
sostituita da delle specchiare marmoree dipinte che simulano un marmo vero, inframmezzate da allegorie
che rappresentano le virtù e i vizzi, in contro-facciata (dove c’è la porta d’ingresso) vi è il giudizio universale
come da prassi. Per rendere il tutto più armonioso e unitario nonostante l’asimmetria della struttura (ci
sono finestre solo su un lato), Giotto ha preso la distanza tra due finestre, l’ha divisa in due creando due
rettangoli, ed ha utilizzato le dimensioni di un rettangolo come dimensione per tutti i pannelli affrescati.
Sull’abside abbiamo il monumento sepolcrale di Enrico con su una scultura di Giovanni Pisano. Osservando
dall’entrata verso l’interno dell'abside vi è una piccola volta a botte dove alla base sono rappresentati due
“Coretti” dipinti che riescono ad ingrandire otticamente la struttura, al loro interno vi è un lampadario ed
una grande finestra da cui entra la luce, sopra del quale andando verso l’alto, vi sono delle scene che
narrano storie dell’infanzia della Vergine, mentre nell’arco terminale la scena principale con
l’annunciazione in cui Dio che ordina all’arcangelo di annunciare a Maria della nascita di Gesù, questo
complesso di affreschi apre il ciclo, il tutto narrato nei vangeli apocrifi. La prima scena nelle pareti è la
cacciata di Gioacchino dal Tempio: il sacerdote non ebbe figli e questa era considerata una punizione
divina e così fu cacciato, il Tempio è rappresentato come un ciborio con sopra un altare, la pittura è più
morbida, le ombreggiature sono molto sfumate, i passaggi sono graduali e le scene solenni, le scene sono
meno piene di dettagli forse per il poco spazio, a differenza di quelli di Assisi gli affreschi sono meno
taglienti e più smussati, c’è un certo equilibrio e serenità. Scena successiva c’è Gioacchino che si ritira con i
pastori che si guardano tra loro sorpresi: è di profilo compresa l’aureola che non è circolare ma ovale, il
paesaggio è rurale, le rocce sono meno brillanti rispetto a quelle di Assisi. Altra scena contemporanea è
l’Annunciazione alla moglie Anna da parte di un angelo, la donna è anziana con la pelle del viso pallida, ha
un velo trasparente sulla testa in cui si può intravedere l’acconciatura sottostante, l’edificio è schiacciato in
cui si può vedere una scala esterna molto ripida che da ad un terrazzino, un’inserviente fuori dalla sua
stanza sta filando, le vesti rivelano un corpo sottostante. Nella scena successiva vediamo un angelo che
appare in sogno a Gioacchino che gli dice di fare un sacrificio per auspicare la grazia di un figlio, dietro di lui
c’è una capanna, l’angelo ha i capelli svolazzanti, uno scettro con tre punte di tradizione bizantina e
l’aureola ovale. Dopo c’è Gioacchino che fa un sacrificio aiutato da un pastore, nella scena è presente un
angelo, dall’alto esce una mano (rappresenta Dio) che ascolta la richiesta di Gioacchino. Successivamente
Gioacchino incontra Anna alla porta Aurea di Gerusalemme, lei lo aggiorna sulla visione che ha avuto e i
due si abbracciano e si baciano, è il momento legato al concepimento di Maria, altre donne assistono alla
scena su un ponticello. La natività di Maria è nello stesso luogo dell’annunciazione, Anna sta su un letto e
riceve la bambina, dietro delle donne che portano il puerbero (il cibo), in basso le ostetriche che lavano e
fasciano la bambina, le proporzioni non sono esatte perché il riquadro era piccolo e Giotto non poteva fare
elementi troppo piccoli altrimenti non era possibile vederli da lontano. Scena successiva è Maria che viene
portata al Tempio, intorno a loro altre figure assistono alla scena, il tono è solenne, le architetture ospitano
le figure, salgono nove gradini, le pieghe non sono più taglienti, Maria ha una veste bianca simbolo di
purezza. Dopo abbiamo la scena in cui il sacerdote consegna a ciascun pretendente di Maria un bastone,
chi fosse riuscito a farlo fiorire avrebbe sposato la donna, il sacerdote sta dietro un altare dentro
un’architettura. Nella scena dopo vediamo tutti i pretendenti inginocchiati rivolti verso l’altare con i
bastoni, insieme a Maria e il sacerdote. Dopo abbiamo il giorno del matrimonio con Maria vestita di bianco
seguita dalle sue accompagnatrici, Giuseppe la precede, a lato delle figure suonano vari strumenti. Dopo il
matrimonio, Giuseppe e Maria sono rappresentati di profilo uno difronte all’altro, Maria è vestita con
vestiti del tempo, lui tiene in mano un giglio. A seguire ci sono gli affreschi dell’arco (dove ci sono i Coretti)
con al centro (in corrispondenza della chiave dell’arco) l’Annunciazione: Dio da un giglio all’arcangelo con il
compito di scendere sulla Terra e annunciare a Maria la nascita di Gesù, sono circondati da una schiera di
angeli, la scena sta su una sorta di mensola, sostenuta da delle strutture architettoniche, dei drappi spostati
permettono di vedere la scena. Scendendo in corrispondenza dei piedritti dell’arco c’è a sinistra l’arcangelo
Gabriele che da l’annuncio e a destra Maria inginocchiata che riceve la notizia, le braccia sono incrociate sul
petto come a voler accettare la volontà di Dio, è investita da una luce che viene dall’alto, anche qui c’è una
tenda sostenuta da dei cerchiolini che permettono di osservare la scena. La storia procede con l’incontro
tra Maria ed Elisabetta anche lei incinta del Battista, dietro c’è la casa della cugina con delle colonne
decorate a risaie, le vesti sono di tessuto spesso che vanno ad ammucchiarsi sul suolo. Poi abbiamo la
natività: la Madonna è sdraiata su un fianco come a voler mettere il bambino su una sorta di mangiatoia di
legno, appoggiato ad esso c’è San Giuseppe che dorme, di fianco il bue e l’asinello, il tutto sta sotto una
misera capanna di legno, al di sopra vi sono degli angeli che contemporaneamente annunciano ai pastori
l’evento. Dopo c’è l’arrivo dei Magi: la Madonna qui è seduta con il moaforeon in testa, un angelo tiene
uno dei loro doni, i tre Magi (nelle tre età dell’uomo) sono accompagnati da inservienti che tengono i
cammelli, le vesti sono pesanti e voluminose che non lasciano intravedere un corpo sottostante, la stella
cometa è rappresentata più come un meteorite nel cielo buio. Successivamente abbiamo la presentazione
al Tempio di Gesù per la circoncisione, Maria e Giuseppe portano in dono delle colombe, il Tempio è
sintetizzato con un altare sormontato da un ciborio, Simeone con una barba fluente tiene il bambino che
con il braccio cerca la madre che gli va incontro. Dopo abbiamo la fuga in Egitto, è una scena solenne,
nonostante la Madonna sia rappresentata di profilo su un asino, tiene in braccio il bambino con una sorta di
fascia, una montagna si erge dietro di loro, davanti a loro Giuseppe guida l’asino, intorno a loro altre figure
e in alto un angelo. Dopo c’è la strage degli innocenti, sullo sfondo si scorgono due edifici a pianta centrale
da cui (su quello di sinistra) esce Erode che comanda la strage, le madri sulla destra si battono per i loro
figli, al centro dei boia uccidono i bambini, sulla sinistra una figura scappa per non vedere la scena.
Successivamente abbiamo Cristo tra i dottori della legge: Giuseppe e Maria vanno a Gerusalemme per il
censimento ma perdono Gesù, lo ritrovano al Tempio a conversare sapientemente con i dottori nonostante
la giovane età, il tempio ha delle esedre (sorte di absidi che si aprono sulle pareti), la scena è leggermente
decentrata verso destra infatti le figure su questo lato sono viste più in prospettiva e di profilo rispetto a
quelle più frontali del lato opposto, ovvero Giuseppe e Maria. La storia prosegue con il battesimo di Gesù,
immerso nudo nelle acque la quale sembrano salire verso l’alto (come si faceva nelle opere bizantine), dal
cielo compare Dio come detto nel vangelo, sulla destra i primi due apostoli che lo seguiranno dopo l’evento,
degli angeli tengono le vesti che dopo si metterà, sembra che tutto si sia congelato in quell’istante. Dopo ci
sono le Nozze di Canaan con il banchetto degli sposi al centro, Gesù è raffigurato di profilo sulla sinistra,
importante è la figura della Madonna messa in risalto dalla sua aureola scintillante (sarà lei ad incitare Gesù
a compire il suo primo miracolo—> la trasformazione dell’acqua in vino), il tavolo è in prospettiva come lo
sono gli oggetti verosimilmente posti sopra, sulla destra ci sono 7 otri piene d’acqua, la scena si svolge in
una sorta di cortile, in alto si scorge un balconcino riccamente decorato suggerendo una profondità. Dopo
c’è la resurrezione di Lazzaro: Gesù è raffigurato di profilo con la mano alzata con gli apostoli dietro di lui,
Lazzaro è già mummificato perché, da quanto detto nel Vangelo, già morto da tre giorni (la pelle è molto
pallida ed emana un cattivo odore infatti le donne dietro di lui si coprono il naso), due inservienti hanno
spostato la copertura della tomba, la folla ha le mani alzate in segno di stupore, Maria e Marta si prostrano
ai piedi di Gesù, la roccia sullo sfondo rimanda al volto di Gesù. Successivamente abbiamo la cacciata dei
mercanti dal Tempio maestoso con tre ingressi sormontati da cuspidi, in primo piano abbiamo Gesù che
per via di un attacco di rabbia rovescia un tavolino davanti a lui e una gabbia da cui fuoriescono gli animali e
sta per colpire il mercante con pugno, nonostante la caoticità della situazione la sua postura è solenne.
Altra scena è l’entrata a Gerusalemme su un asino seguito dagli apostoli a piedi per festeggiare la pasqua
ebraica (è molto simile alla scena di Duccio), sullo sfondo ci sono dei bambini che si arrampicano sugli alberi
per vedere meglio la scena, altri si levano e poggiano il mantello per far camminare sopra l’asino,
sull’estrema destra si scorge la porta della città con due maestose torri. Successivamente c’è l’ultima cena
con tutti e 12 gli apostoli, le loro aureole sono scure perché molto probabilmente erano d’argento mentre
quella di Gesù è dorata, le figure rappresentate di spalle hanno l’aureola come se fosse davanti al volto, in
modo da poterci far apprezzare i dettagli del volto e dei capelli, alcuni parlano tra loro, altri guardano Gesù
abbracciato da Giovanni, l’architettura che racchiude la scena è leggiadra, vi sono delle finestre aperte da
cui si intravede il cielo, le figure sono corpulente e massicce, siedono sulle panche. Nella lavanda dei piedi
Gesù è inginocchiato con una mano alzata come se stesse parlando, delle inservienti gli porgono la brocca
con l’acqua, Pietro sta per farsi lavare i piedi, l’ambiente è lo stesso dell’ultima cena. Dopo c’è la scena del
tradimento, è molto caotica, al centro c’è Giuda dal volto imbruttito che abbraccia Gesù dal volto solenne e
corrucciato, lo fissa negli occhi, intorno a lui si scorgono elmetti con delle lance e delle fiaccole accese
(quindi è notte), c’è un sacerdote del Tempio con lo scialle in testa e un corno, un altro afferma un apostolo
che sta scappando, mentre Pietro taglia l’orecchio ad una figura. Dopo c’è Gesù che viene portato davanti
a Caifa con le mani legate, un soldato dietro è pronto a colpirlo, Caifa si sta slacciando le vesti ed indica ira,
la stanza è opprimente, il soffitto è ligneo e scuro illuminato dalle fiaccole accese, non c’è più il soffitto
chiaro e arioso delle volte. Nella scena successiva c’è Cristo vestito con una veste da re e la corona di spine
posto davanti a Pilato che parla con i sacerdoti del Tempio, i soldati lo deridono, si trovano nel refettorio di
Pilato. Dopo c’è la via del calvario, Gesù porta la croce, si scorge lo stesso edificio che lo ha accolto per la
domenica delle palme, lì incontra la madre che lo osserva straziata dal dolore. Dopo si passa alla
Crocifissione, il corpo nudo di Cristo è molto chiaro e con pochi passaggi chiaroscurali, la veste è
trasparente, il legno è descritto in tutte le sue venature, sotto la croce vi sono le ossa di Adamo, ai suoi
piedi c’è la Maddalena con i capelli sciolti in segno di dolore mentre tocca i piedi di Gesù, sulla sinistra c’è lo
svenimento di Maria sostenuta da Giovanni e una donna, sulla destra c’è Longino con la lancia, il
Centurione con l’aureola perché dopo la morte di Cristo si convertirà, i soldati si giocano la veste rossa, in
alto gli angeli si strappano le vesti per l’ira e il dolore, altri hanno una coppa in mano perché prendono il
sangue di Gesù. Dopo c’è il compianto su una collina che scende dolcemente verso l’abbraccio della
Madonna che tiene sulla ginocchia il corpo di Gesù morto, la Maddalena con i capelli sciolti tiene i piedi di
Gesù, nella scena c’è anche Giovanni, le pie donne piangenti, gli angeli in cielo, Giuseppe d’Arimatea (colui
che offre la sua tomba per Cristo, tiene sulle spalle la veste che lo coprirà, la sindone) e Nicodemo hanno le
aureole. Poi c’è la scena del “Noli me tangere”, in cui la Maddalena incontra Gesù e non lo riconosce, i
soldati addormentati da un lato, gli angeli seduti sopra la tomba. Dopo c’è l’ascensione dentro una
mandorla con delle nuvolette e degli angeli tutt’intorno, al di sotto gli apostoli e la Madonna. Dopo c’è la
Pentecoste dentro una struttura gotica, ci sono tutti gli apostoli riuniti nel cenacolo con le linguette di fuoco
sopra le loro teste. In controfacciata c’è il giudizio universale, al centro c’è Gesù dentro una mandorla, al di
sotto ci sono degli angeli che sorreggono la croce, sopra ci sono delle schiere di angeli, al livello di Cristo ci
sono gli apostoli seduti su delle panche e al di sotto gli eletti da una parte e dall’altra i dannati, al centro vi è
Enrico Scrovegni, mentre dona alla Vergine affiancata da altre due sante, il modellino della cappella.
Dopo Padova, Giotto si reca a Rimini per realizzare 109gli affreschi del Tempio Malatestiano, non resta più
nulla se non una croce dipinta e la scuola di pittori riminesi che rimasero colpiti dalle sue innovazioni e
decisero di seguirle. Nella croce mancano i tabelloni laterali con i due dolenti, il Cristo è più esile a
assottigliato e con una compattezza maggiore, restano le sue innovazioni come il lieve passaggio
chiaroscurale sopratutto nei i muscoli.
Dopo Rimini, Giotto ritorna ad Assisi e poco prima del 1309 affresca la Cappella della
Maddalena nella Basilica Inferiore, il committente è il vescovo Teobaldo Pontano raffigurato con il suo
stemma (un ponte), era molto devoto alla santa infatti le dedica la cappella, pagando un contributo volle
farsi seppellire dentro la basilica in modo da assicurarsi il paradiso. Il committente è raffigurato due volte in
riquadri differenti: in uno compare inginocchiato vestito da penitente mentre si aggrappa alla mano della
Maddalena vestita di rosso per chiedere l’entrata in paradiso, in un altro (sempre per lo stesso motivo) è
rappresentato con il vescovo Rufino, santo vescovo protettore di Assisi, questa volta vestito con gli abiti
vescovili. Nel ciclo ci sono scene tratte dal vangelo e dalla legenda aurea, in cui era presente la Maddalena.
Una di queste è la cena a casa del fariseo: la tavola è imbandita, Gesù siede su una sedia di legno
riccamente decorata, vi è anche San Pietro e San Giovanni evangelista, degli inservienti portano le vivande,
tutti stanno sotto una struttura resa in prospettiva sostenuta da costoloni in legno e intarsi in marmo con
motivi cosmateschi, la Maddalena ha i capelli sciolti ed è vestita di rosso (è una prostituta), piange perché si
è pentita dei suoi peccati, sta inginocchiata mentre bacia i piedi di Gesù, ha già l’aureola, il fariseo guarda la
scena perplesso. Altra scena è la resurrezione di Lazzaro: Cristo è al centro con il braccio alzato, Lazzaro
(ancora avvolto nelle fasce) viene svestito da delle figure mentre si coprono il volto per la puzza, ai piedi di
Cristo inginocchiate ci sono Marta e Maria Maddalena, sorelle del miracolato, le vesti non fasciano i corpi
ma sono voluminose, l’aureola è ovalizzata, la bocca di Cristo è socchiusa perché sta parlando. Altra scena è
l’incontro tra la Maddalena e Gesù il giorno della resurrezione ovvero la scena del “Noli me tangere”, le
figure sono molto più morbide rispetto a quella della Cappella degli Scrovegni. Poi iniziano le storie tratte
dalle legenda aurea, si dice che la Maddalena, Marta, Lazzaro, Massimino che diventa vescovo dopo la
confessione e un’altra figura, furono messi su una nave senza remi né vele e furono lasciati alla deriva (era
il periodo delle persecuzioni), furono miracolati arrivando sani e salvi in Provenza in Francia e li predicarono
il verbo di Dio (infatti le loro spoglie si trovano li), la Maddalena si stabili a Le Bon per seguire una vita
eremitica. Infatti in una scena è rappresenta dentro un atrio roccioso di una montagna, ha i capelli sciolti, è
completamente nuda perché con il tempo le vesti si sono logorate, un santo eremita con l’aureola le offre
una veste nuova. Altra scena è l’estasi della santa: secondo la tradizione ogni giorno lievitava in cielo e
pregava con gli angeli, è nuda coperta dai suoi capelli, questa scena è collocata in un cuspide, nella parte
alta della parete. Altra scena la rappresenta mentre viene portata dal vescovo Massimino per darle l’ultima
comunione.
Intorno al 1310 Giotto affrescò con l’aiuto del Parente di Giotto (forse identificabile con il pittore Stefano
Fiorentino) e il così detto Maestro delle Vele (altro pittore umbro) la volta, il transetto destro e le vele della
Basilica Inferiore di Assisi. Una di queste scene è la Visitazione, che rispetto alle altre raffigurazioni, ha una
fisionomia diversa ma sempre di una certa qualità (data la continua richiesta di opere, Giotto non poteva
farle tutte, sicuramente è stata fatta dalla sua bottega). A seguire vi è la natività: la Madonna è sdraiata,
dietro il bambino con dietro il bue e l’asinello, il tutto sta in una mangiatoia (novità portata da Giotto), li
vicino c’è San Giuseppe che riposa e le ostetriche, in altro ci sono gli angeli che annunciano l’evento ai
pastori, altri guardano la stella cometa, un raggio di luce (che rappresenta Dio) investe il bambino. Altra
scena è l’arrivo dei Magi: da un lato è possibile vedere la mangiatoia, ma la Madonna con il bambino stanno
su un trono sotto un’architettura con decorazioni cosmatesche circondata da angeli, il magio più vecchio si
inginocchia al nascituro (si è tolto la corona poggiata di fianco a lui), altri guardano la scena mentre parlano
fra di loro, dietro di loro figure portano i loro cammelli. Dopo abbiamo la presentazione al Tempio,
l’ambiente descrive una chiesa gotica vista frontalmente, le volte sono a crociera decorate di blu, è
possibile vedere il vano del presbiterio, vi è Simeone e la profetessa Anna con il cartiglio srotolato in mano,
la Madonna protende le mani verso il bambino, il così detto Parente di Giotto ha realizzato le figure con
degli occhi grandi. Dopo c’è la fuga in Egitto: la Madonna sta su un asino con il bambino annodato in una
sorta di marsupio, sullo sfondo una palma ricurva che, come narrato nei vangeli apocrifi, si piegò per offrire
i suoi frutti al bambino, la Madonna è più sorridente e meno rigida rispetto a quella degli Scrovegni, il che la
rende più terrena. A seguire abbiamo la strage degli innocenti sviluppata in più piani: nel primo abbiamo le
madri che piangono i corpi dei loro bambini morti, dopo ci sono i boia che strappano e uccidono i bambini
dalle loro madri, dietro dei soldati e sopra una architettura Erode mentre ordina il malfatto, le donne hanno
i capelli sciolti e si strappano le vesti, come nella Scrovegni si scorge una figura che si allontana raffigurata
di spalle. Dopo c’è la scena in cui Giuseppe e Maria vanno con Gesù verso Gerusalemme per il censimento,
atteggiamento molto dolce di Maria che guarda il bambino, molto quotidiana, dietro vi è una dettagliata
descrizione delle architetture della città. Dopo c’è il ritrovamento di Gesù nel Tempio mentre discute con i
dottori della legge, l’edificio ricorda un edifico gotico del tempio, è una sorta di volta cassettonata
sostenuta da volte a crociera, la scena è rigidamente frontale, sicuramente è del Maestro delle Vele perché
i volti sono sgranati. Poi c’è la crocifissione, il corpo di Cristo è latteo con tutti i segni dei flagelli che ha
subito, gli occhi sono socchiusi, ai suoi piedi ci sono tre francescani (probabilmente dei ritratti perché molto
dettagliati e diversi fra di loro), due di loro hanno l’aureola quindi molto probabilmente sono San Francesco
e Sant’Antonio da Padova insieme ad un altro frate del tempo, Maria Maddalena bacia i piedi di Cristo, San
Giovanni Evangelista trattiene un pianto, una pia donna dietro di lui grida dal dolore, di fianco lo
svenimento di Maria. Dopo ci sono i miracoli avvenuti post mortem in cui Francesco compare in volo, in un
pannello viene spiegata la storia—> per via del crollo di una struttura un bambino rimase ferito, ma grazie
all’intervento del santo (pannello successivo), lo guarisce.
Oltre queste scene nel transetto destro, la bottega affresca le vele della campata sopra l’altare
probabilmente fatte dal Maestro delle Vele e dal Parente di Giotto (Stefano Fiorentino): le così dette
“Allegorie francescane”. Probabilmente fatta dal Parente di Giotto, è il matrimonio tra San Francesco e la
personificazione della Povertà celebrato da Gesù: Paupertas è rattoppata, ai suoi piedi ci sono dei rovi, di
fianco a Francesco vi sono degli angeli stupiti, dall’altra parte ci sono le personificazione della Speranza,
forse della Carità (ci sono delle scritte), altri angeli e giovani fuggono da questa scelta, altri tengono stretti i
sacchetti con il denaro, al centro di ragazzetti lanciano dei sassi agli sposi, mentre in alto degli angeli
portano in dono a Dio i simboli delle ricchezze terrene, un palazzo ed un ricco abito. Altra scena è l’allegoria
della Castitas (era necessario mettere delle scritte perché data la presenta di molte allegorie, era necessaria
una spiegazione), questa è rappresentata su una torre affiancata da angeli che portano doni, al di sotto vi
sono varie allegorie, come la Forza (le allegorie delle virtù sono raffigurate con le aureole poligonali), ci
sono anche persone che fanno una sorta di battesimo (simbolo di purezza), a lato c’è San Francesco (ha le
stigmate) mentre accoglie altri fedeli che aderiscono alla regola, questi rappresentano i tre ordini (clarisse,
l’ordine maschile e i laici che vivevano la loro vita in famiglia ma seguivano la regola). Più deboli sono le
scene fatte dal Maestro delle Vele, come l’Esaltazione di San Francesco: si trova in Paradiso affiancato dagli
angeli, è rappresentato su un trono lussuoso con un saio d’oro, nonostante lui predicasse la povertà. L’altra
allegoria è quella dell’Obbedienza mentre fa cenno di silenzio, è affiancata da altre due allegorie con
l’aureola poligonale e stanno sotto una architettura meno convincente rispetto alle altre della Bottega
giottesca, al di sopra vi è San Francesco affiancato da angeli, sembra essere mosso da Dio.
Giotto in generale non fa solo affreschi, ma anche dipinti su tavola: oltre a quello nel Louvre, la Croce di
Santa Maria novella, La Madonna di San Giorgio alla Cosa, la croce di Padova, la Maestà di Ogni Santi,
rappresenta la Dormitio Verginis a Berlino, realizzata intorno al 1310, rappresenta la morte della Madonna
posta in un sarcofago sostenuto da angeli, nella scena vi sono anche San Pietro e Giovanni, al centro sotto
la cuspide vi è Gesù che tiene l’animula della madre da cui partano tutte le teste delle altre figure, la scena
è vista leggermente da sinistra, c’è l’idea di rompere le simmetrie di epoca bizantina tutta sul primo piano,
si suggerisce la profondità.
Altra opera è la Madonna con il bambino che faceva parte di un politico insieme al più noto Santo Stefano
che tiene in mano un libro coperto da un drappo cangiante e sostenuto da delle mani fedelmente in
scorcio, la veste è la dalmatica dei diaconi riccamente decorata (sicuramente qui Giotto si rifà ai grandi
pittori senesi come Stefano Martini famosi per la preziosità delle loro opere), ha in testa delle pietre perché
fu martirizzato, profondità resa impeccabilmente. Infine c’è l’incoronazione della Madonna situata nella
Cappella Baroncelli
Scena della rinuncia agli averi: lo spigolo della struttura coincide con la
sua figura di san Francesco che si è denudato in piazza, il vescovo di Assisi lo copre, scena importante anche
giuridicamente perché significava anche era approvata dalla chiesa, Francesco ha le braccia alzate verso il
cielo perché abbandona il padre terreno per accettare il padre celeste, il padre ha in mano le vesti del figlio
e viene trattenuto da amici e familiari, anche loro vestiti molto eleganti e raffinate, dei bambini sembrano
voler tirare dei sassi ma sono trattenuti dalle madri che li tirano per i capelli. Poi c’è la scena
dell’approvazione della regola, in cui il Santo con i suoi pochi frati
vanno dal Papa, le architetture sono molto raffinate e dettagliate. Poi c’è la scena di quando San Francesco
La storia della pittura italiana del Duecento, potrebbe essere definita come una progressiva emancipazione
dalla suggestione dei modelli bizantini. Ma prima che Giotto creasse un nuovo linguaggio figurativo “latino”
l'Italia era stata la regione dell'occidente più ricettiva nei confronti dei prototipi di Bisanzio. Erano inoltre
attivi in Italia pittori e mosaicisti greci che condizionava l'evoluzione formale e le scelte iconografiche dei
pittori italiani. Di fronte a questo ampio fenomeno bisogna precisare che va del tutto superata la
concezione storiografica secondo cui l'elemento bizantino avrebbe costituito un freno dello sviluppo
stilistico della penisola. In realtà fenomeni vitali della pittura duecentesca italiana quali l'animazione
patetica, il raffinamento delle proporzioni delle figure, un modo più libero e fuso di dipingere non vennero
conseguiti per opposizione agli stilemi bizantini, bensì grazie anche al loro apporto.
Il secondo Duecento e il primo Trecento coincido anzi con un periodo estremamente vitale, caratterizzato
da sperimentazioni e tentativi innovativi di grande importanza. Si tratta della fase detta della “rinascenza
paleologa”, dal nome della dinastia regnante sul trono di Bisanzio.
Nel 1261 Michele Paleologo riconquista Bisanzio, la capitale dell'Impero d'oriente, caduta nel 1204 nelle
mani dei crociati che avevano depredato la città. I suoi tesori artistici erano stati distrutti o trasportati in
occidente, gli intellettuali e gli artisti erano fuggiti. Come spesso succede, si promuoveva il riscatto politico e
militare riportando in auge lo stile artistico dei momenti più gloriosi del passato. Dopo il ritorno della corte
a Bisanzio, il nuovo stile appare nei manoscritti miniati presso gli scriptoria paleologhi. Lo caratterizzano
figure definite con correttezza anatomica e fissate in pose vivaci e naturali, nelle ambientazioni
architettoniche si ricercano effetti inediti di spazialità, la stesura pittorica si fa sciolta e sfumata. L'arte
bizantina del secondo Duecento è dunque tutt'altro che statica e ripetitiva. Ma attenzione il revival
ellenistico promosso dalla corte paleologa non mette in moto come avviene in occidente tramite lo studio
dell'arte antica un processo di rielaborazione e superamento dei modelli, esso non esprime alcun
fenomeno vitale di rinnovamento della società e della cultura bizantina. Gli artisti non hanno l'appoggio di
una intraprendente borghesia urbana o di attivi ordini religiosi.
Situazione politica, economica, sociale Nel secondo duecento troviamo sulla scena artistica personalità
fiorentine quali Cimabue, Arnolfo di cambio e soprattutto Giotto e l’apertura a Firenze di importanti cantieri
architettonici. Tutto ciò è legato con il primato economico e politico acquisito dalla città. Nel 1266 abbiamo
il collasso del partito Ghibellini in tutta italia e Firenze guelfa sfrutta questa nuova situazione politica per
allargare il proprio dominio. Attraverso queste contese tra la parte guelfa contro la ghibellina cui si
intrecciano anche conflitti di classe tra aristocrazia, ricca borghesia e piccola borghesia, si elabora a firenze
una formula di governo secondo cui il potere è detenuto dai membri delle principali famiglie. Alle
rivoluzioni innescate sul fronte economico dagli imprenditori fiorentini corrisponde quella promossa da
Giotto in campo artistico in quanto il suo stile corrisponde alle aspettative e alla visione del mondo del ceto
dirigente fiorentino. Gli imprenditori fiorentini erano intenti a far circolare merci e denaro per ricavarne
guadagni e perciò commissionarono opere d’arte di tema religioso in quanto erano un fattore di espiazione
ed un mezzo per salvare l’anima. E quindi si rivolgono a Giotto e ai suoi maggiori allievi per decorare le
cappelle di Santa Maria Novella e Santa Croce: Giotto ne affresca 4 a Santa Croce (due solo ci sono
pervenute). Il primo trecento rappresenta una dei motivi più felici dell’arte italiana soprattutto della pittura.
Oramai l’eclissi del mosaico è compiuta. Le tecniche dominanti ormai sono l’affresco e la tempera su tavola.
Nei cicli parietali si rappresentano le storie dell’antico e del nuovo testamento e le vite dei santi. Si elabora
una tipologia decorativa raggruppando più tavole dipinte dentro delle cornici lignee unitarie per formare i
polittici, le cui misure e composizioni variano a seconda della destinazione.
Viene eretto il Campanile di Santa Maria del Fiore ad opera di Giotto e portato a compimento da Andrea
Pisano e Francesco Talenti.
L’inizio della costruzione di Palazzo vecchio su progetto di Arnolfo di Cambio coincide ancora con la guerra
tra Neri e Bianchi. Andrea Pisano esegue tra il 1330 e il 1336 il grande portale di bronzo con le Storie di San
Giovanni e le Virtù in 28 formelle: aggiunge un portale romanico con elementi gotici. Campanile di Santa
Maria del Fiore Il campanile marmoreo è iniziato da Giotto nel 1334\37 e portato a termini da Andrea
Pisano e da Francesco Talenti. Notiamo una variegata cromia del marmo che rivela le predilezioni
coloristiche dell’architetto\pittore e che arricchisce la solida struttura verticale, ritmata da rilievi, statue e
finestre. L’influsso di Giotto è decisivo nei rilievi scolpiti da Pisano per il basamento del campanile per il
quale il pittore fornisce dei disegni. Uno degli elementi più importanti del ciclo consiste nell’adeguamento
iconografico di realtà culturale ed economica fiorentina con la rappresentazione delle arti meccaniche con
scene che illustrano il lavoro cui sono accostate anche le arti figurative, a conferma dello status sociale
ormai acquisito Palazzo Vecchio Eretto da Arnolfo di Cambio tra il 1299 e il 1314. Il palazzo ha l’aspetto di
maniero fortificato ma questa massiccia struttura è ingentilita dalle file regolari di finestre e mossa dall’alta
torre decentrata. Le sale interne sono ornate con cicli di affreschi di tema civico, nei quali interviene anche
Giotto (andati distrutti) Porta Bronzea del Battistero In previsione di una porta bronzea del battistero,
l’incarico è assolto da Andrea Pisano che esegue tra il 1330 e il 1336 il grande portale rappresentando le
storie di San Giovanni Battista e le virtù. Notiamo 28 formelle quadrate, tipicamente gotiche, nella quale si
dispongono le composizioni figurativa. Caratterizzata da linee rette, si affiancano le linee spezzate quando
come notiamo nelle formelle del trasporto e della sepoltura del corpo del Battista, i panneggi inducono
elementi di dinamismo.
Compaiono altri artisti: impiegato nella bottega di Giotto Taddeo Gaddi (1300-1365) per 24 anni, affresca
nel 1330 le Storie di Maria nella cappella Baroncelli di Santa Croce. Rispetto al maestro moltiplica i dettagli
naturalistici, ma riprende le sperimentazioni prospettiche di Giotto. complice l’influsso dei pittori senesi è
più lirico rispetto al maestro. La cacciata di Gioacchino dal Tempio segue la tendenza di Giotto dando
ampio spazio alle architetture rendendole protagoniste della scena, infatti l’architettura è a tre navate, con
volte a crociera, quella centrale è più ampia di quelle laterali, i personaggi portano delle offerte. L’incontro
alla Porta Aurea di Gerusalemme: Gioacchino torna a casa e incontra la moglie Anna, con lui c’è un pastore
che lo aveva guidato verso casa. La presentazione di Maria al Tempio: il tempio ha molte scalinate che
vanno in diverse direzioni (è simile a quello della cacciata di Gioacchino) creando un senso vorticoso, da
altri edifici si affacciano delle figure. Le scene essenziali diventano affollate con figure ed elementi
accessori, le scene sono incorniciate da colonne tortili non tanto in prospettiva, sono poco reali e non
sembrano sostenere l’architrave sovrastante, meno razionali di quelle di Giotto. Tale razionalità si andrà
perdendo e si riavrà solo nel Rinascimento. Lo sposalizio della Vergine: è al centro della scena ed è vestita
secondo la moda del tempo come tutte le altre donne, gli uomini invece sono vestiti come gli antichi, in
primo piano una figura spezza il bastone perché non è fiorito, altre figure che suonano strumenti,
tutt’intorno un giardino spumeggiante sembra anticipare il gotico maturo con questa particolare attenzione
al dato naturale, i panneggi sono molto nitidi, sembrano sottili e analitici. Nella parte bassa della cappella ci
sono delle nicchie con dentro degli oggetti appoggiati, oggetti per la celebrazione eucaristica.
Bernardo Daddi Il suo tema preferito è la Madonna col Bambino, in genere su pale o piccoli altari
destinati alla devozione privata. Inserisce teneri particolari. In questo caso, nel Polittico di San Pancrazio, la
Vergine offre dei fiori e il Bambino ha in mano un cardellino.
Maso di Banco è l’erede più coerente con Giotto. La Madonna col Bambino riprende lo stile della Cappella
Peruzzi.. Nell’uso dei colori supera Giotto. San Silvestro che resuscita due maghi che realizzò delle scene
sulla vita di San Silvestro Papa che liberò la città da un drago (dalla legenda aurea): sputando fuoco uccise
delle persone allora lui le riporta in vita, è ripetuto due volte = due momenti diversi, i colori sono chiari e
brillanti, le ombre non sono fatte con lo scuro, ma con gradazioni diverse dello stesso colore, inoltre sono
molto solenni, le scene sono congelate, non affollate come quelle del Gaddi, un po’ segue la tradizione
solenne di Giotto. Realizzò anche una Madonna ora conservata a Berlino, a differenza della tradizione
bizantina, le figure sono rappresentate quasi per interno, non sono tagliate.
Altro pittore è PUCCIO CAPANNA che rappresentò l’incoronazione di Maria della Basilica di Assisi
, fece anche il martirio di San Stanislao nella Basilica inferiore di Assisi che
venne decapitato e smembrato e le sue parti gettate via, caratteristica dell’artista è la sua pittura densa,
particolare il vano sullo sfondo che si allunga all’interno, in primo piano un arco illuminato, infondo delle
volte a crociere con un abside e una croce dipenda che sta sopra l’altare, ci sono delle bifore con delle
finestre con un cielo sembra notturno. Altra opera è il miracolo di San Stanislao vescovo mentre resuscita
Vasari ci parla di un misterioso allievo di Giotto, Stefano Fiorentino, definendo che la sua pittura fosse
talmente dolce che sembra impossibile che fosse stata fatta in quei tempi, l’originalità di Stefano, consiste
nell’unione dei colori, nella delicatezza dei trapassi cromatici, tali da dare una parvenza di vita alle sue
figure. Purtroppo, però non è possibile collegare al suo nome nessuna opera certa, ma tra le ipotesi più
proposte quella più possibile è che fosse identificato come quel “parente” di Giotto che abbiamo visto
attivo nelle Storie dell’infanzia di Cristo della basilica di Assisi.
Giottino, figlio di Stefano, pittore ormai isolato nel quadro dell’arte fiorentina, che esprime anch’esso le
stesse caratteristiche di Giotto. Realizzò la deposizione di Cristo con la pietà di San Remigio vescovo, c’è un
ricorso allo schema del compianto di Giotto agli Scrovegni: nei volti della Maddalena piangente a sinistra,
nel San Giovanni accorato chino con le mani giunte, nei personaggi in piedi a destra.
BERNARDO DARDI raffigura le figure meno importanti più piccolo rispetto a quelli più importanti di
tradizione bizantina, le sue figure erano molto dettagliate e naturali, meno solenni.
Il Campanile a Firenze della cattedrale di Santa Maria del Fiore: i lavori iniziali furono interrotti per via della
peste del 1348, Giotto realizzò la prima zona ovvero la base, poi subentrò Andrea Pisano che vi lavora dal
1337 (anno della morte di Giotto) al 1348, i lavori furono ripresi da Giuseppe Talenti completando l’opera
con la cella campanaria nel 1359, era prevista con una cuspide ma termina con questo cornicione piatto.
Alla base vi sono delle formelle realizzate da Andrea Pisano (allievo di Giotto), sono 16 per ogni lato
suddivise in due ordini da 8 formelle ciascuno, delle losanghe fatte probabilmente dalla bottega di Andrea
Pisano le suddividano una dall’altra, il marmo è policromo tipico della tradizione toscana, agli angoli ci sono
dei contrafforti, al di sopra vi sono delle nicchie con delle statue a tutto tondo con il contributo di altri artisti
dei secoli successivi, gli originali sono conservati all’interno del Museo dell’Opera, oggi vi sono delle copie,
all’intento dei riquadri vi sono degli esagoni con varie attività svolte della città. Dal lato Ovest, lato che
guarda alla facciata, abbiamo 8 formelle sulle storie della genesi, tra le quali troviamo la creazione
Eva dalla costola di Adamo, nel ciclo non c’è il peccato originale, forse c’è
una allusione al serpente nel fusto della pianta, perché è presente nella creazione di Eva ma non in quella di
Adamo. Successivamente c’è la condanna dopo la cacciata dal paradiso terrestre in cui i coniugi sono
coperti da tessuti, questo è l’aggancio usato per parlare dei vari lavori e le arti liberali: il pastore seduto
mentre osserva il suo gregge, la creazione della musica con un uomo mentre suona una tuba seduto ad un
banco da lavoro dove ha costruito lo strumento, la metallurgia con tutti gli attrezzi e il fuoco, l’ebrezza di
Noè per via del vino infatti vi è una grossa botte e una vite, ogni cosa poteva essere rappresentata con
grande naturalezza. È un ciclo che vuole esaltare l’uomo e il suo ingegno, il lavoro era una cosa nobile così
importante da essere rappresentata sul campanile di una cattedrale (si ricorda la regola dei monaci “orat et
laborat”), inoltre Firenze al tempo era una città fervente e mercantile oltre che centro culturale. Nel lato
Sud la resa è più debole, vi è l’astronomia, una delle sette arti liberali, con un
uomo seduto ad una scrivania mentre studia un astrolabio e scrive su un cartiglio, c’è anche la caccia con
l’agricoltura mentre ara la terra con un aratro trainato da buoi molto naturale, altra
scena è il carro dei Tespi, scena teatrale con un carro trainato da cavalli, poi c’è la
geometria con un uomo seduto ad un tavolo da lavoro con un compasso in mano, si noti la poltrona su cui
siede è visto sia di fronte che di lato, altra scena è la scultura con un uomo piegato su una scultura che sta
realizzando di fianco uno sgabello con degli attrezzi che sta realizzando e vediamo come già questa arte è
importante non solo la pittura, infatti è di seguito rappresentata con un pittore all’opera con una mano
sull’opera dietro del quale vi è un trittico su cui venivano applicate le tavole, i pannelli dell’artista lo
avvolgono non lo fasciano.
Sempre con Andrea Pisano, poco prima di subentrare come capomastro ai lavori del campanile nel 1337,
egli aveva realizzato delle formelle sulla vita di Giovanni Battista poste su una delle porte del Battistero
sempre a Firenze, hanno una forma quadrata decorata con dentelli all’intento, mentre le scene sono
all’intento di una cornice mistilinea con elementi cuspidati e a punta, le figure stanno su una sorta di
mensole (retaggio di Giotto) dando una ambientazione quadrata: la visitazione tra Maria ed Anna, la scena
dell’imposizione del nome al Battista, scena secondo le leggende apocrife di quando Giovanni si era ritirato
nel deserto a giovane età rappresentato già con tutti i segni caratterizzanti, poi c’è la danza di Salomé
accompagnata da musicisti, scena successiva è la decapitazione davanti al carcere con dei soldati e il boia
che sta in punta di piedi per lo sforzo, poi c’è il momento in cui la testa viene portata ad Erode da un
servitore con Salomé compiaciuta, poi c’è la scena di quando Erodiade seduta su un trono mostra la testa a
Salomé inginocchiata davanti (si prese come riferì mento per queste scene egli affreschi di Giotto nella
Cappella Peruzzi), poi abbiamo la scena in cui i discepoli del Battista portano il suo corpo al sepolcro, infatti
di seguito c’è il seppellimento, in generale il ciclo è molto dettagliato, noi abbiamo visto solo una parte.
Nella parte sotto del portare ci sono le virtù, come la carità seduta su una sorta di cassapanca con in mano
una cornucopia ed una aureola esagonale, la temperanza sempre seduta sulla cassapanca, tiene
saldamente tra le mani una spada.
All’inizio del 300 si arricchisce urbanisticamente. E’ più aperta di Firenze alle influenze francesi. E’ la prima
città che propone regole edilizie per migliorare gli spazi comuni. L’arte senese è tendenzialmente un’arte di
propaganda politica. Mentre a Firenze le commissioni erano di privati, a Siena è il comune in quanto
organismo politico. Protezione per gli artisti in cambio di buona pubblicità. Nella metà del secolo viene
eretto il sontuoso Palazzo Pubblico. La grande piazza del Palio non è più intesa come spazio vuoto, ma serve
per dare risonanza al palazzo e ad esaltare simbolicamente un modello politico. Si cerca di ingrandire il
Duomo di Nicola e Giovanni Pisano, ma i lavori vengono bloccati dalla pestilenza della metà del 300. Palazzo
pubblico in Piazza del Campo a Siena Il più sontuoso monumento architettonico sia proprio il palazzo
pubblico, progettato dal governo dei nove ed eretto a partire dal 1297, attraverso fasi costruttive
successive, fino ad assumere la forma attuale dove notiamo 3 blocchi merlati dominati dalla torre del
mangia. Il blocco più antico è quello centrale. All’interno vengono allestite le sale necessarie per accogliere i
vari organismi del governo abbelliti da cicli di affreschi. La costruzione del palazzo non è che l’episodio più
rilevante di una volontà di riorganizzare ed abbellire l’intero centro urbano.
Altro scultore e architetto senese attivo in questo periodo fu LORENZO MAITANI, lavorò anche al Duomo di
Siena, ma la sua opera più importante è la facciata del Duomo di Orvieto: fatta tra il 1310-1330, divisa in tre
navate, le cuspidi con le ghinberghe, i portali strombati, la galleria che corre orizzontalmente taglia la spinta
ascensionale, la struttura quadrata accoglie il rosone centrale, molto simile a quello di Siena, alla base
realizza scene di carattere biblico con fondo liscio e i rilievi delicati (non drammatici come quelli di Giovanni
Pisano), sempre di carattere gotico, ben descritte, tra le scene c’è il peccato originale, la creazione degli
animali, la resurrezione dei corpi del giudizio universale con dei sarcofagi classici decorati con dei putti
mentre tengono dei festoni c’è grande tensione e caos.
Altro scultore senese attivo ai tempi di Giovanni Pisano e suo allievo (infatti lavoreranno insieme a Pisa), fu
TINO DI CAMAINO, la sua Madonna con il Bambino è molto simile alla Madonna di Prato del Giovanni, le
pieghe sono molto pesanti e profonde, tensione ottenuta dal braccio piegato, il mantello è tirato, lo
sguardo tra la madre e il bambino del Pisano è sostituito da uno sguardo più dolce della madre che guarda il
figlio che invece guarda altrove. Realizza anche la scultura di Arrigo VI in occasione della sua visita a Pisa,
oggi mancano le braccia. Egli realizzò anche il Monumento Funebre al Cardinale Petroni realizzato tra il
1313-1317 che si trova all’interno del Duomo di Siena, risente della struttura di Arnolfo di Cambio che di
Giovanni Pisano, la cassa si poggia su delle scene della vita di Cristo (elemento nuovo, forse ispirato alla
tradizione paleocristiana), in alto c’è il Cristo morto in una sorta di camera funeraria in cui due angeli
spostano delle tendine (idea ripresa da Arnolfo di Cambio), il tutto è concluso con una edicola in stile gotico
con la Madonna e due santi.
GORO DI GREGORIO fu uno scultore senese attivo nei primi anni del 1300, che realizzò l’Arca di San
Cerbone, oggi situata nel duomo di Massa Marittima, ne era il vescovo. Il santo doveva essere mangiato da
degli orsi che alla fine non lo mangiano ma gli leccano i piedi, in alto su un balconcino vi sono coloro che
ordinarono l’esecuzione, lo sfondo non è atmosferico o liscio ma riccamente decorato da una fantasia, il
tutto sembra un’opera di oreficeria.
Giovanni e Pietro da Rimini. Lì Giotto aveva fatto nel Tempio Malatestiano (prima era una chiesa
francescana poi dal 1400 Leon Battista Alberti sotto commissione della famiglia Malatesta lo trasformò in
un mausoleo) un ciclo di affreschi oggi però andato perduto, rimane soltanto una croce dipinta, oggi
ricollocata in loco, in cui si può vedere la somiglianza con il crocifisso di Santa Maria Novella di Giotto.
Pittura a Siena
L’arte bizantina del VI secolo è fortemente schematizzata con scarsa varietà di forme e scene. Dal 1290 in
poi ci sarà una rivoluzione.
DUCCIO DI BUONINSEGNA fu un pittore senese, la sua opera più importante fu La Maestà situata sull’altare
maggiore del Duomo di Siena, oggi conservata nel Museo dell’Opera del Duomo, ma la sua prima opera
SIMONE MARTINI fu un grande pittore senese quasi contemporaneo di Giotto, anch’egli seguì le sue novità,
inoltre anticipa alcune tendenze sviluppatesi alla fine del 1300 con il Gotico Internazionale con la sua
eleganza. La sua prima opera nota è La Maestà del Palazzo Pubblico
In questi anni Simone realizzò anche dei polittici per vari committenti, molti per gli ordini mendicanti che
commissionavano molte opere d’arte per molte donazioni. Una di quelle fu il polittico realizzato per la
chiesa di Santa Caterina a Pisa realizzata intorno al 1320 , al centro
c’è la Madonna che iconograficamente richiama alle donne bizantine (ha il moaforeon, le dita affusolate e il
bambino in braccio), il polittico si sviluppa su quattro ordini, partendo dal basso vi è un ordine con dei santi,
poi c’è l’ordine principale più grande con la Madonna al centro e altri santi, poi ci sono gli apostoli e nelle
cuspidi i profeti, la cornice è andata perduta, forse era con pinnacoli decorati. A Orvieto realizzò il Polittico
di San Domenico per i domenicani del luogo, sicuramente è stato smontato e rimontato con le pale rimaste
perché la posizione dei santi non è coerente (uno di essi è rivolto verso destra e non a sinistra come ci si
aspetterebbe), al centro c’è la Madonna con il bambino e ai altri dei santi, vi è anche il committente ovvero
il vescovo Trasmondo Monaldeschi posto di fianco alla Maddalena che lo presenta, i panneggi sono sinuosi,
sotto il moaforeon vi è un velo bianco di invenzione di Duccio rispetto alla tradizione bizantina, particolare è
la figura di San Pietro, le ombre del suo mantello sono fatte con un giallo più scuro. Nella sua carriera
realizzò molti polittici per vari ordini mendicanti.
Annunciazione oggi conservata agli Uffizi e datata 1333, è un polittico, 5 tavole-archi, sopra vi sono degli
archi fiammeggianti, fu però rifatta nel 1800, originali sono i tondi con i 4 profeti, fu realizzata per uno degli
altari del Duomo di Siena ma poi fu portata a Firenze da Pietro Leopoldo. Un blocco centrale di 3 archi
ospita la scena principale con l’Arcangelo Gabriele con una corona d’alloro e vesti super raffinate con
dettagli in oro, ha la bocca socchiusa perché dice “ave gratia plaena …” (c’è l’iscrizione), da l’annuncio a
Maria che si mostra diffidente, è seduta su un trono marmoreo decorato con decorazioni cosmatesche, il
suo mantello bordato è azzurro decorato con elementi in oro con pieghe sfalsate che spezzano il volume,
ha una corona realizzata con intarsi di pietre preziose e di perle, la sua aureola fatta con stampi e bulino
(piccolo scalpello) formando piccole raggiere, al di fuori dell’aureola continuano i raggi di luce, sullo sfondo
ci sono dei gigli bianchi ben chiaroscurati, il mantello dell’angelo è a scacchi e svolazza cose se fosse appena
atterrato, la sua veste ha una fantasia a motivi vegetali con delle zone in ombra dello stesso colore della
veste ma più scuro (tipico senese), la tavolozza è molto ricca di colori brillanti e vivaci, l’opera è molto
dettagliata, la Madonna tiene con le sue mani affusolate un libro ben descritto con le fibbie per tenerlo
chiuso, Simone si sofferma pure a rappresentare le parole al suo interno dato che la Madonna non lo ha
chiuso completamente.
La rappresentazione del Guidoriccio da Fogliano è situato nella Stanza del Mappamondo del Palazzo
Pubblico di Siena, posto nella parete opposta rispetto alla sua Maestà, Guidoriccio è rappresentato mentre
conquista i castelli sottomessi, fa battaglie e conquiste per la Repubblica di Siena, è sicuramente un ritratto
perché il volto è molto dettagliato, indossa un’armatura in metallo sopra del quale è posta una veste che
riprende la gualdrappa del suo destriero, essa si muove indietro in risposta al suo movimento in avanti.
Ad un certo punto Simone Martini venne chiamato ad Avignone nel 1336 per realizzare il Polittico Orsini,
commissionato intorno al 1340 dal Cardinale Orsini: è una sorta di altare portatile realizzato con più tavole
unite insieme, doveva essere pratico da trasportare infatti ogni tavoletta è di appena 24x15 cm. La
Madonna annunciata ha un volto un po’ abbronciato, ha uno scatto verso dietro, prende con la mano
affusolata il mantello bordato con dettagli d’oro e si va a coprire il volto come sorpresa dall’angelo, nelle
mani tiene un piccolo librino aperto di tradizione trecentesca con le preghiere, siede su un trono marmoreo
coperto da un drappo rosso, le scena è incorniciata con una cornice realizzata con punzoni e stampi, su
un’altra tavoletta vi è l’angelo annunciante con le mani incrociate sul petto, è appena atterrato infatti il suo
mantello è ancora svolazzante, altra tavoletta raffigura il calvario di Cristo verso il Golgota, ricco di figure
che escono dalla porta della città, le solo vesti hanno colori squillanti (sembrano smalti, come nelle opere di
oreficeria delle botteghe senesi con un finish lucido, sono brillanti), al centro Gesù con la croce di legno
sulle spalle, la Madonna sembra voler aiutare il figlio nel portarla, infine vi è la crocifissione, il corpo di
Cristo è esile con la veste trasparente (ricorda quello del maestro Duccio), ai piedi della croce una massa in
movimento di persone dalle vesti vivaci, Longino ferisce il costato con la lancia, si vede anche l’uomo con la
spugna dietro di lui, la Madonna svenuta è tenuta dalle pie donne, i soldati portano vessilli e lance, l’artista
si attarda e si perde in ogni minimo dettaglio nonostante le piccole dimensioni, in alto alcuni angeli si
strappano i capelli, c’è una grande varietà di movimenti ma non è confusionaria, poi c’è la deposizione
sempre ricca di personaggi in cui con sono soltanto i “buoni”, in questa scena si è fatto collocare il
committente con i suoi paramenti episcopali, la Maddalena ha i capelli sciolti e le mani alzate, particolare è i
resti di sangue rimasti sulla croce, un personaggio porta gli unguenti per la sepoltura, dopo vi è la
deposizione nel sepolcro, c’è un affollamento ma non c’è dispersione Maria abbraccia in primo piano il
figlio, Giuseppe d’Arimatea tiene gli unguenti per ungere il corpo, le pie donne si strappano i capelli, sullo
sfondo si scorgono delle piante ed alberi.
Realizzò anche degli affreschi per il Palazzo dei Papi (la sede papale non era più a Roma ma ad Avignone)
negli ultimi anni della sua carriera, rimangono di questo periodo due affreschi: il Cristo Benedicente (ha un
globo in mano, quindi ci fa pensare che sia Dio con le fattezze di Cristo, ma non si ha la certezza) circondato
da angeli in volo date le vesti mosse da un forte vento, molto sottili e una Madonna dell’Umiltà seduta in
terra (simbolo di umiltà, non è in trono, tema molto usato nel gotico internazionale) circondata da angeli in
cui si intravede anche il committente, sono le sinopie ovvero i disegni che stanno sotto gli affreschi (con la
tecnica dello strappo si può letteralmente strappare l’affresco sovrastante per far emergere la sinopia, in
questo caso dato che gli affreschi erano molto rovinato, si è preferito apprezzare le sinopie), nonostante ciò
si può sempre osservare l’eleganza e il rigore del suo stile, entrambi realizzati per la Cattedrale di Avignone.
Ad Avignone conoscerà il Petrarca e realizzerà per lui una miniatura per il frontespizio di un suo codice che
conteneva il commento di Servio al poeta Virgilio, oggi conservata nella Biblioteca Ambrosiana a Milano, la
scena è allegorica in cui c’è Virgilio rappresentato più grande rispetto alle altre figure, ha la corona d’alloro
e sta seduto sotto un albero ed è coperto da un leggero tendaggio che Servio sposta per mostrare il suo
corpo, questo perché lui commenta e spiega le opere di Virgilio (le Bucoliche e le Georgiche), gli elementi
naturali sono ben descritti. Morirà nel 1344.
I fratelli Lorenzetti
PIETRO LORENZETTI fu un grande artista senese contemporaneo di Simone Martini, si formò nella bottega
di Duccio ma una volta andato ad Assisi rimase folgorato dalle opere di Giotto. Fra le sue prime opere
troviamo un finto trittico realizzato intorno al 1315, collocato su un altare della Cappella Orsini dedicata a
San Giovanni Battista nel transetto sinistro della Basilica Inferiore di Assisi,
Mentre lavora ad Assisi, egli realizzò altre opere come la Madonna di Castiglione d’Orcia,
AMBROGIO LORENZETTI, fratello di Pietro Lorenzetti. La pittura di Ambrogio si compone del senso del
volume giottesco con la preziosità del colore della pittura senese, egli è anche documentato a Firenze
intorno al 1320 sperimentando le innovazioni dell’epoca sperimentando la profondità.
La sua prima opera è la tavola con la Madonna di Vico l’Abate,
è datata 1319 con una iscrizione in basso del committente, ricorda per la
sua impostazione frontale quelle più antiche bizantine, e ciò contrasta la vivacità e il volume del bambino e
le mani con una tesa salda della madonna, non sono le mani a cucchiaio di epoca bizantina. Il forte senso
del volume e della profondità anche ottenuta dal trono con i suoi braccioli che vanno fuori dalla cornice,
come se fosse una finestra che inquadra solo una parte dello spazio reale oltre ad essa. La cuffia di ricordo
bizantino, raccoglie i capelli sotto il moaforeon sotto il grande mantello blu.
Nella Basilica di San Francesco Ambrogio realizzò il Martirio dei Santi Francescani,
per uno degli altari della Cattedrale di Siena oggi conservata negli
Uffizi, l’andamento prospettico è reso dalla posizione delle piastrelle, tutti i personaggi hanno le vesti dai
colori brillanti, il naso dritto, il volto turgido, la Madonna ha tra le mani delle fasce con cui teneva il
bambino, il volume è dilatato ma non va a discapito del colore, sull’altare vi è un fuoco dove probabilmente
è stata offerta una colonna, vi è anche un coltellino con cui facevano la circoncisione, sono presenti i nomi
di fianco alle figure, sono presenti degli elementi in oro che arricchiscono i particolari, sullo sfondo si
possono cogliere gli imponenti dettagli del tempio, le volte a fondo blu stellato, i capitelli sono dorati, una
scultura in primo piano rappresenta Mosè.
La Piccola Maestà
i personaggi distribuiti in
un’enorme scena in cui sono riuniti diversi temi, quello principale è la Morte, personificata in una strega
con capelli lunghi e grigi, ali di pipistrello, con la falce della morte tra le mani (ancora non c’era l’dea della
morte come scheletro), sotto di lei un cumulo di morti di diverso rango (questo per sottolineare il fatto che
la morte non fa discriminazioni), ella si dirige verso un gruppo di giovani ragazzi/e che stanno all’ombra di
delle piante mentre cantano e suonano spensierati. Dai morti il diavolo e gli angeli tirano su le anime per
portarli al paradiso o all’inferno, alcuni si contendono le animule, la scena è decorata con cartigli oggi però
rovinati, forte contrasto tra un gruppo colpito da sofferenza, malattie e povertà con cartigli che vogliono la
morte (ma lei non li considera) e il gruppo di giovani (la morte va verso di loro), è una sorta di memento
mori. Sulla sinistra c’è la scena che racconta l’incontro tra i tre vivi e i tre morti, anche questo un memento
mori, è una scena rappresentata anche in molti affreschi tema ricorrente, Buffalmacco amplifica il gruppo di
giovani a cavallo con i cappelli, vestiti elegantemente, fanno parte della società più agiata e questo serve a
sottolineare il contrasto con il loro destino, vi sono anche degli inservienti, sicuramente era una battuta di
caccia, ad un certo punto incontrano tre morti che dicono “noi fummo quello che voi siete, ma voi
diventerete ciò che noi siamo”: i morti sono in tre bare tutti molto decomposti, uno ha una corona in testa,
un altro è uno scheletro, tra i vivi uno si copre il volto per il cattivo odore che emanano. In alto ci sono degli
eremiti che si erano ritirati per pensare al significato della vita, visto ammonito il fatto che tutti andremo a
morire, uno di loro indica il cartiglio che ha in mano proprio per far riflette sul senso della nostra esistenza.
Il Giudizio Universale e l’Inferno è composto con il Cristo Giudice dentro una mandorla affiancato dalla
Madonna, ai lati seduti su dei seggi ci sono gli apostoli, al di sotto i giusti e i dannati, vi è anche una
incisione del 1700 che riproduce sia il Giudizio a sinistra e a desta l’Inferno. Gli apostoli seduti alla nostra
destra di fianco al Cristo hanno un proprio volume come le figure di Giotto ma i loro volti sono vari e molto
espressivi, alcuni impauriti, altri sorpresi, altri dormono, altri discutono fra se. In basso sotto gli angeli
tubicini, un angelo prende l’animula di uno tremante per la paura per giudicarlo, come per dire “di questo
che ne facciamo?”, dall’altra parte uno viene buttato all’Inferno, gli angeli hanno la fronte aggrottata e si
danno un gran da fare per smistare le anime, alcuni di loro hanno i capelli spostati dal vento per
l’agitazione, il tutto per far trasparire la confusione del momento, va in contrasto con la Gloria del Cristo al
centro. All’Inferno le anime varie piangono e cercano di andare in Paradiso, sperano di poter andarci fino
all’ultimo momento, queste scene erano così intense per poter impressionare il fedele e istigarlo a
condurre una vita giusta e non in balia del peccato. Il Cristo è vestito e mostra i segni della passione che ha
subito per redimere l’umanità, proprio perché grazie ad essa può giudicare i vivi. In generale i volti sono
molto duri, le superfici sono molto nitide, con un forte contrasto tra le zone in luce e quelle in ombra.
Nell’arte del Duecento abbiamo l’ideazione di immagini e soggetti che coinvolgano emotivamente
l’osservatori. I soggetti prediletti della pittura su tavola sono la Crocifissione – Madonna col Bambino i quali
erano particolarmente amati dai Francescani in quanto funzionali per essere umanizzati e per rendere più
vicino al cuore del fedele Cristo. Tra la seconda metà del Duecento e Trecento si assiste ad una mutamento
radicale: si rinnovano le immagini e figure introducendo nuovi soggetti. La vita di Cristo e Maria sono tra i
soggetti più rappresentati ma i Vangeli non forniscono spunti iconografici sufficienti così si decide di
attingere a quelli apocrifi i quali offrono fonti preziose per la vita di Maria e Cristo nella sua infanzia o a
moderne riscritture delle narrazioni evangeliche apocrife che narrano delle pene di Maria sotto la croce e
della Sacra Famiglia.
Fonti fondamentale è la Legenda Aurea per la Vita di Cristo ma anche le Vitae Christi: queste contengono
info sulla biografia di Cristo riguardanti infanzia – passione e gioie e dolori di Maria e dove troviamo le
leggende agiografiche. Nel Trecento le scene della vita quotidiana della Sacra Famiglia è ambientata in
ambienti domestici o urbani: Natività di Maria: Ambientata in una camera da letto del 300 Annunciazione:
Ambientata in ambiente domestico.E’ un ottimo espediente per poter descrivere l’interno dell’epoca.
Natività di Cristo: Ambientazione è l’umile capanna con bue ed asinello (come dice il Libro di Giacomo) e il
Bimbo adagiato nella mangiatoia e la Vergine che si prende cura del figlio con Giuseppe che adora a sua
volta il bambino Adorazione dei magi: Diventa uno spettacolo aristocratico in quanto i magi vengono vestiti
di eleganti costumi dove presenti sono anche servitori – cani da caccia – cavalli bardati. Passione e Ultima
cena: Hanno ora grande importanza e sono immaginate come scene dalle grandi folle da umanità
diversificata. La Vergine che raggiunge il figlio con l’Incoronazione è un soggetto molto frequente. Vi sono
dunque intenti di umanizzazione infatti nella Crocifissione vediamo L’Uomo dei dolori in cui il Cristo è
rappresentato morto a mezzo busto che mostra le ferite e il costato dove sgorga sangue.La Pietà è invece
rappresentata con la Madonna isolata tra le braccia il figlio morto: è molto comune in Italia nel XV secolo.
La Madonna col Bambino è il tema più frequente ed è sempre più una scena umanizzata con la Madonna
che allatta o porge un fiore al Bambino mentre questo l’accarezza o gioca con lei. Nella seconda metà del
Trecento abbiamo la Madonna dell’Umiltà: la Vergine seduta in terra col bambino in braccio (questo
sottolinea da una parte l’umiltà di Maria e dall’altra se ne evidenzia il carattere ultraterreno). La Madonna
della Misericordia esprime invece la protezione che quest’ultima estende ai suoi adepti che si trovano sotto
di lei. Per quanto riguarda i santi i più raffigurati sono: San Francesco – Sant’Antonio da Padova
(Francescani) – San Domenico - San Tommaso d’Aquino – San Pietro – San Paolo – San Silvestro – San
Giorgio –San Martino etc.Ogni committente ha il suo santo eponimo ed ognuno di questo è standardizzato
affinchè sia riconoscibile e questo permette quindi ai pittori di esercitarsi in ambientazioni – situazioni e tipi
umani diversi. I Polittici Tra la fine del 200 e inizi 300 molto praticato è la pittura su polittico. Questo è una
composizione architettonica di tavole dipinte riunite in una cornice di legno intagliata e dorata. Questi non
hanno forma o dimensione canonica e possono differire a seconda del gusto del committente o la
destinazione. Alla fine del 200 le pale di questo tipo, unica pala, iniziano a risultare poco armoniose e
troppo costipate come immagini con un impoverimento iconografico così si sente il bisogno di dare
maggiore isolamento alle figure sacre così si elabora un sistema a più tavole. Nel 300 la tipologia più amata
è il polittico formato da tavole allineate di formato verticale a sesto acuto in numero dispera dove la tavola
centrale è più grande rispetto alle laterali. La predella è la fascia dipinta divisa in più riquadri e la sua
funzione era quella di coprire lo zoccolo inferiore della cornice.
CAP.IV – DIFFUSIONE DELLA CULTURA FIGURATIVA TOSCANA ED ESITI DELL’ARTE ITALIANA DEL TRECENTO
ARTE DELLA PRIMA META’ DEL XIV SEC. IN ITALIA MERIDIONALE E SETTENTRIONALE
L’evoluzione artistica che vede protagoniste Firenze – Assisi – Siena coinvolge tutta Italia mentre Roma
conosce un periodo di stanziamento quando la sede papale si sposta ad Avignone. L’impulso creativo è
incoraggiato dalle situazioni politiche – economiche e religiose favorevoli. A Napoli la corte degli Angiò ha
una funzione fondamentale in quanto è il motore dell’attività artistica. Qui non si formano scuole ma le
commissioni sono fatte da botteghe esterne al Regno. Rimini invece, dopo il passaggio di Giotto a Padova, si
ravviva artisticamente risentendo delle influenze transalpine e padane. Bologna invece si presenta come un
centro il quale si rifiuta del giottismo e resiste all’arte fiorentina contrapponendo una mistura di realismo e
drammaticità. A Milano nel 300 si assiste ad un impianto di cultura figurativa di nostalgia romanica
ponendo così le premesse per la formazione di una tendenza lombardo – veneta in cui vedremo pittori della
corte dei Visconti: Padova e Verona. A Venezia è sempre presente il problema della tendenza dell’Oriente
bizantino. 76 Con lo spostamento della sede papale vedremo inoltre molti pittori italiani spostarsi
all’interno della corte papale al seguito dei mercanti – cardinali e letterati italiani. Il linguaggio di Giotto
confluirà nelle ragioni in maniera diversa con Bologna e Avignone che mostrano una chiusura. Regno di
Napoli Nel 1266 abbiamo il passaggio dalla dominazione Sveva a quella d’Angiò con Carlo I – II e ora
Roberto III detto Il Saggio. Abbiamo qui casi di esportazione dell’arte toscana con questo monarca con
Simone Martini – Giotto – Tino di Camaino. I sovrani ora affidano il loro potere politico ai baroni francesi, il
potere economico ai banchieri fiorentini facendo lo stesso in campo artistico. Nella città non si forma una
vera scuola in quando le commissioni sono di botteghe esterne che sono attirate dall’Italia del Sud: nel
tardo Duecento a Napoli, con Carlo II, dominano tendenze francesi e catalane e queste sono ben visibili
negli acquisti e commissioni di corte. L’arte a Napoli ha il suo momento di grande fioritura con Roberto Il
Saggio. Nel 1308 Pietro Cavallini giunge a Napoli e le sue opere hanno grande risonanza in suolo campano
come il suo intervento in San Domenico. Legato a lui è Lello da Orvieto che è presente a Napoli dal 1315 al
1322 il quale si indirizza verso un genere artistico autonomo. Simone Martini e Tino di Camaino arrivano a
Napoli, quest’ultimo tra il 1324 e 1337 è artisticamente attivo. Tra il 1328 e 1333 arriva Giotto il quale
agisce all’interno di Santa Chiara e a Castelnuovo dove di quel poco rimasto, notiamo un grande senso
spaziale e sfumati accordi coloristiche che troviamo a Padova e Assisi. All’interno della sua bottega vediamo
introdotti anche artisti locali (Roberto D’Oderisio). Quest’ultimo è molto schematico e incisivo nei profili e
ottiene numerosi incarichi con la corte di Napoli e con Giovanna D’Angiò ha un periodo aulico la quale
chiede di mascherare la realtà sociale e politica disgregata con visioni di aristocrazia ed eleganza. Centri
dell’Italia settentrionale nella prima metà del Trecento Città dei Malatesta.
Il passaggio di Giotto lascia il segno, si formano degli autori cheRimini seguono il suo stampo. Il maestro ci
lascio il Crocifisso su tavola.
Dopo un inizio giottesco la cultura riminese si apre a varie influenze:
- GIOVANNI DA RIMINI, la pittura è più fusa (in Giotto i trapassi chiaroscurali erano più morbidi). Ciclo di
affreschi nella Chiesa di Sant’Agostino, la presentazione al Tempio
- Altro pittore influenzato da Giotto fu PIETRO DA RIMINI, la sua unica opera firmata è la Croce della
Maestro di San Pietro in Sylvis Nel 1330 a San Pietro in Sylvis vediamo un Cristo in maestà che presenta
affinità tardo antiche mentre ai lati della Crocifissione vediamo due file di Apostoli i quali sembrano
riprendere i modelli di statue francesi classico gotiche si presenta come un centro che ha conoscenze
dirette dell’arte toscana in quanto a arriva a bologna nel Duecento una maestà di Cimabue mentre nel
Trecento un polittico dipinto da Giotto e allievi. La scuola che si sviluppa nel terzo decennio del Trecento è
preceduta da una brillante serie di illustrazioni librarie le quali presentano caratteristiche gotiche e
transalpine. L’apertura dell’arte bolognese è testimoniata dalle Storie di Cristo le quali presentano uno stile
e modello iconografico Gotico oltralpe. A causa delle numerose perdite in campo di affreschi è impossibile
ricostruire una storia artistica chiara della città. Nel campo della miniatura abbiamo una forte
manifestazione nei codici destinati a docenti e discenti di Giurisprudenza: tramite le immagini viene resa
più vivace la dottrina dei testi. Illustratore fu uno specialista del ramo e questo nelle sue narrazioni
presenta una rara abilità nell’adattare le figurazioni negli stretti spazi disponibili. Questo è caratterizzato da
una grande attenzione anche per i particolari più cruenti. ricamato su un piviale del XIII sec. o Ciclo delle
Storie di Cristo il più famoso è l’Illustratore:o Illustrazioni miniate e codici per l’Università Cattura e
condanna di un servo – 1340 – Codex – Biblioteca Vaticana. Sopra le colonne di testo rappresentato una
scena tumultuosa con il servo che tenta la fuga – la sua condanna da parte del giudice - la sua tortura nella
quale viene sospeso in aria e l’amputazione di un piede. Nelle fasce sottostanti vediamo la sua fasciatura e
una scena di caccia alla lepre metaforica. Tipico francese è il trittico ao Tavola del Trittico della
Crocifissione per San Vitale sportelli, raro in Italia: Crocifissione – Louvre – 1333. Era destinata alla Chiesa
di San Vitale e presenta un chiaro influsso francese nella carpenteria ( trittico a sportelli comune in Francia)
sia nella costipazione figurativa del pannello centrale. Al cento rappresentato Cristo sulla croce smagrito e
dolorante. una Crocifissione:o Pseudo-Jacopino 1330. Presenta fonti nordiche, forse una miniatura da cui
deriva l’ornato del fondo con Cristo smagrito come nella Crocifissione del Louvre e ricadente in avanti con
un pubblico cavalleresco che assiste alla scena 78 massimo pittore bolognese- Nei suoi dipinti la veemenza
goticao Vitale da Bologna tocca il culmine. San Giorgio e il drago. Il suo stile penetra in Friuli e in Trentino.
Crocifissione – XIV – Vitale da Bologna. Vediamo figure accalcate di individui dolenti. Cristo, al centro, è
raffigurato con ai lati i ladroni che pendono torti dalle croci mentre i cavalieri discutono infervorati. Maria
sviene mentre i soldati si accapigliano.SI tratta di un dipinto dove appaiono le regole di armonia – spazialità.
San Giorgio e il drago – 1335/1340 – Vitale da Bologna. Rappresentato San Giorgio a cavallo mentre è
intento nel conficcare nella gola del mostro l’asta sulla quale egli appoggia tutto il suo peso affinché il colpo
sia mortale. Il cavalo s’inarca e torce terrorizzato. La posizione del cavallo spaventato viene riutilizzata nel
1340 quando Vitale da Bologna dipinge il Trionfo della Morte. La Lombardia dal 1277 è governata da
Visconti. Il 1344 il castello della Rocca di Angera diviene di proprietà Viscontea dove le pitture sono ancora
legate alla tradizione romanica. Anche qui gli artisti toscani influiscono nell’ambiente lombardo in quanto
questi lavorano all’interno del cantiere del palazzo che si sta erigendo in città. Arca di San Pietro Martire -
1339 – Giovanni di Balduccio. Quest’arca è sorretta dalle Virtù ed è coronato da un tabernacolo con la
Madonna col Bambino e sormontato da altre statue. Qui si ispira a Nicola Pisano nella sua Arca di San
Domenico e a Tino di Camaino nel Monumento Petroni. Giotto tra il 1334 e 1336 è a Milano dove dipinge
all’interno del Palazzo di Azzone Visconti una serie di Uomini Illustri. Sfortunatamente è pervenuto a noi
molto rovinato anche se sono riconoscibili nella Crocifissione i volti vivaci realizzati con morbide pennellate.
L’area Veronese – atesina nel XIII secolo si distingue per la pittura profana collegata con le commissioni
privati di signori feudali. Gli affreschi illustrano in genere romanzi francesi di tema arturiana – carolingio con
uno stile attardato. L’interesse risiede nel contesto profano di estrazione aristocratica. In queste pitture
abbiamo una grande attenzione ai particolari dei costumi – fisionomie dei soldati .di una concezione
arcaica. L’influsso di Giotto non tarda a penetrare. A Venezia verso il 1330 vediamo la costruzione di due
chiese gotiche di aspetto continentale dove però lo stile bizantino difficilmente non è presente. ( es. Pala
feriale – Paolo Veneziano).
L’Italia riceve e rielabora motivi del gotico nordico e esporta stili al di là delle Alpi. Gli artifici prospettici
italiani tra il 1320 e il 1340 sono imitati in Austria, Francia e Spagna. La corte di Avignone ha il Fiabesco
Palazzo dei Papi. Nel 1366 arriva Simone Martini, accanto a lui lavorano artisti senesi come il Maestro degli
angeli ribelli. Ad Avignone non lavorano autori totalmente giotteschi che non sarebbero graditi, ma i senesi
legati a motivi gotici. La Camera del Guardaroba del Palazzo dei Papi è affrescata con scene profane.
Maestro degli angeli ribelli sintetizza il naturalismo dei particolari e fantasia di Simone e il rigore prospettico
di Lorenzetti. Ad Avignone non lavorano solamente artisti di osservanza giottesca ma anche senesi legati ai
motivi gotici. Scena di Caccia e Pesca – 1343 – Palazzo dei Papi. Rappresentati falconieri – pescatori – cani –
uccelli su di uno sfondo erboso con fiori e alberi realizzati con grande attenzione. La tematica è aristocratica
ed agreste e abbiamo il contrasto tra l’appiattimento in superficie e la veridicità dei particolari
MATTEO GIOVANNETTI fu un prete pittore originario di Viterbo e attivo ad Avignone nella prima metà del
1300, lì affrescò alcune stanze del Palazzo dei Papi in quel periodo detto della “Cattività Avignonese” in cui
la sede papale era lì e non a Roma (in modo che il Pontefice e l’Imperatore fossero in stretto contatto), il
territorio era in mano alla Famiglia degli Angiò del Regno di Napoli imparentati con i monarchi francesi,
molti artisti furono chiamati ad Avignone tra cui Matteo e Simone Martini suo conoscente, infatti da lui
ereditò l’eleganza e la raffinatezza delle figure, la vivacità dei colori coniugandole alle innovazioni giottesche
come l’illusionismo architettonico e spaziale, oltre alla sua resa dei ritratti molto dettagliati, diventando il
suo segno distintivo.
Egli realizzò la Volta della Cappella dedicata a San Marziale datata al 1346, era un santo dell’epoca
apostolica vissuto ai tempi di Gesù e di San Pietro e fu mandato in Francia per evangelizzarla (ciò serviva
per legittimizzare anche dal punto di vista storico questo scambio di sedi papali, perché era concepito come
una sorta di San Pietro francese). Le architetture sono abitate da figure, qui le tecniche toscane si uniscono
al gotico francese, la decorazione generale ricorda quella della Cappella degli Scrovegni decorata con
specchiature marmoree al di sopra del quale vi sono delle monofore dal profilo mistilineo, che simulano
delle finestre aperte, procedendo verso l’altro troviamo attuato nelle scene l’illusionismo architettonico,
infatti la scena sembra proseguire oltre le cornici architettoniche, qui abbiamo delle sale che forano le
pareti, tutto in prospettiva. I volti dei personaggi sono sicuramente dei ritratti data la loro attenta
particolarità, attenzione al dato naturalistico —> anticipazione del gotico di fine 1300. San Marziale fu il
personaggio che portò il cesto con i pani e i pesci in occasione del miracolo fatto da Cristo, infatti nella
cappella è presente anche questa scena, proprio per sottolineare la vicinanza di questo santo a Cristo.
Matteo Giovannetti realizzò anche la Sala dell’Udienza datata 1352, ma sono rimasti solo piccole scene
come il gruppo di Profeti e patriarchi: le figure sono rappresentate sopra uno sfondo blu stellato, stanno su
delle nubi, la cornice è decorata con motivi floreali, le figure sono eleganti, il volume è eroso dalle pieghe
delle vesti, tra gli spicchi della volta vi sono altre figure incastrate.
Altra sala è la Camera del Cervo sempre ad Avignone, il soggetto è profano —> una scena di caccia, vi è un
cacciatore con un il falcone tenuto sul braccio con il guanto, accompagnato dal suo inserviente e dei cani,
intorno a loro la natura dettagliata del bosco.
Fenomeni di crisi e assestamento oltre la metà del secolo La scultura che aveva avuto un grande sviluppo
lascia al passo alla pittura come vediamo dai numerosi affreschi. Si amplia la gamma di contenuti dove i
pittori si vedono anche a rispondere alla richiesta di committenti laici che vede immagini che rappresentano
ambienti naturali – urbani e domestici con uomini intenti nelle più svariate occupazioni. I temi religiosi sono
umanizzati. Firenze vede una forte crisi dove gli altri centri, prima solamente confinati, vedono ora il loro
periodo di fioritura: es. Rimini. A Napoli con Giovanna I d’Angiò viene a mancare il supporto culturale di
corte motore prima delle vicende artistiche. La crisi di Firenze e Siena è anche aggravata dalla crisi
economica con la piccola e media borghesia che si sostituisce tra il 1342 e il 1381 a quell’alta. Il gusto
dell’alta borghesia, espresso da Giotto, è soppiantato da quello laico e moderno della piccola e media
borghesia legata alla concezione religiosa arcaica. Nel 1348 arriva la peste che innesta una forte spiritualità
fra la gente che prevede anche forme di penitenza. Questo dà quindi un’origine ad un’arte diversa dove
non si cerca più di umanizzare l’arte sacra ma di scuotere gli animi con immagini violente o di sollecitare la
speranza di salvezza spirituale. Le produzioni artistiche di Siena e Firenze non hanno più un ruolo trainante
per gli altri centri. Le cause sono legate a motivazioni di tipo culturale – economico – sociale e religioso ma
sono legati anche al nuovo gusto dei committenti e aspettative del pubblico. Firenze e la Toscana tra il 1350
e 1380 La crisi demografica e politica, la peste del 1348, non lasciano seguito a Firenze. Viene fatta la Loggia
della Signoria (1376-81), da Benci di Cione e Simone Talenti; è destinata alle cerimonie pubbliche del
Comune. La Loggia con i suoi arconi a tutto sesto esprime la ricerca di un purismo formale classicheggiante
che caratterizzerà, qualche decennio più tardi, le costruzioni del Brunelleschi. Tra gli artisti possiamo citare
Andrea Orcagna, è stilisticamente affine a Maso nelle opere giovanili ed è incline a trasformare la solennità
proto-classica in espressione di astratta maestà sovrannaturale. che ci lascia il Tabernacolo di
Orsanmichele, opera gotica; un polittico del Redentore e Santi nella cappella Strozzi in Santa Maria Novella;
La Presentazione della Vergine al Tempio. 81 Redentore e santi – 1357 – Santa Maria Novella.
Rappresentato Cristo impassibile all’interno di una mandorla, abbiamo la riproposta di una iconografia
duecentesca. Presentazione della Vergine al Tempio – 1355/1359 – Tabernacolo di Orsanmichele a Firenze.
Andrea si allontana dall’atmosfera umana creata da Giotto nella Cappella degli Scrovegni e organizza la
scena in maniera simmetrica. Il sacerdote è rappresentato centralmente facendogli assumere un ruolo di
rilevanza. Ieratico. La Madonna sale le scale. La narrazione lascia spazio all’immagine di tipo rituale. Poi
abbiamo Nando di Cione fratello di Orcagna: Madonna e Santi; il Paradiso. La loro pittura è venata di
suggestioni arcaiche alla Cimabue.
Le conquiste formali e spirituali del giottismo sono accantonate.
Madonna e santi – 1356 – New York. Rappresentata la contemplazione dei fedeli nei confronti di un idolo
con fondale di stoffe preziose. La Madonna appare distaccata da ciò che le accade intorno come anche i
santi. Andrea Bonaiuti dipinge nel 1366-1368 nel Cappellone degli Spagnoli in Santa Maria Novella. Sulle
pareti e volte vediamo accattonate le conquiste giottesche e rappresentata un’ardua iconografia.
Importante è il Trionfo dove le figure si dispongono rappresentando il pensiero domenicano: Sopra i padri
della scolastica fiancheggiati dagli evangelisti – santi – re d’Israele. Sotto abbiamo le Virtù e le Arti liberali
dove ognuna di questa è posta all’interno di un’edicola gotica. Vi è poi 82 la Via veritas: percorso allegorico
con cui si celebra la funzione di Domenica e della Chiesa cioè quello di via per la salvezza. La scena artistica
fiorentina torna a vivere alla fine del secolo, con Agnolo Gaddi e Spinello Aretino. Quest’ultimo, artista
fecondi che si sposta tra Arezzo, Pisa, Siena e Firenze.
Altro artista attivo tra il 1325-1370 fu GIOVANNI DA MILANO, forse nato a Como ma attivo a Firenze, il suo
linguaggio è tipicamente lombardo per l’immediatezza e l’intensità delle espressioni, coniugato con la
solidità delle forme e l’interesse per l’illusionismo architettonico tipico fiorentino. La sua prima opera fu il
Polittico di Prato
Fece anche degli affreschi nella Cappella Rinuccini all’interno della sagrestia di Santa Croce a Firenze,
l’opera fu commissionata dalla famiglia nobile dei Rinuccini nel 1365 con scene della vita di Maria e della
Maddalena, nella sua impaginazione è l’influenzata dagli affreschi di Assisi—> le scene sono divise da
colonne ed elementi architettonici. La pittura è fortemente scorciata e vista dal basso, forti ombre danno il
senso del volume e della profondità. Cacciata di Gioacchino dal Tempio: esso è diviso in 5 navate molto
affollate, al centro vi è il sacerdote mentre caccia Gioacchino con un agnello in mano, alle loro spalle si
intravede un altare e delle fiamme, nella navata alla nostra estrema sinistra ci sono delle figure maschili
mentre attendono di poter sacrificare gli agnellini che tengono in mano, procedendo in avanti vi sono altre
figure mentre porgono gli animaletti, alla nostra estrema destra delle donne molto agghindate portano le
loro offerte, andando avanti figure maschili pregano. Alcuni volti sono ben dettagliati il che fa pensare a dei
ritratti, inoltre solo alcune figure sono vestite all’antica. Altra scena sempre nella Cappella Rinuccini,
racconta due scene in una, divise da una roccia e un pastore accompagnato da un cane: la prima scena alla
nostra sinistra raffigura l’angelo che sveglia Gioacchino di notte per dirgli che può tornare a casa, mentre
l’altra scena sulla sinistra è l’incontro con Anna alla Porta aurea di Gerusalemme. Altra scena è la natività di
Maria, scena molto solenne e quotidiana, alla nostra sinistra delle ostetriche porgono delle lenzuola, al
centro tre ostetriche giocano con Maria dopo averle fatto il bagnetto, mentre sulla destra Anna si lava le
mani aiutata da una inserviente. Dalla parte opposta a questa parete vi è la scena del primo incontro tra la
Maddalena e Cristo duramente la scena del fariseo, ella gli lava i piedi con un unguento, altri inservienti
portano le vivande a tavola, in alto dei demoni vanno via (nelle sacre scritture c’è scritto che quando Gesù
accolse la Maddalena, egli scacciò da le 7 demoni). Altra scena è la Cena in casa di Marta e Maddalena:
Cristo è seduto su una sedia mentre Maddalena è inginocchiata ai suoi piedi estasiata dal suo racconto
(Gesù ha il dito rivolto verso l’alto, parlando delle cose del cielo), mentre Marta con un grembiule la
rimprovera perché non la aiuta a preparare la cena (si scorge infatti sullo sfondo la tavola apparecchiata),
dietro di lei vi sono il Lazzaro loro fratello e gli apostoli ancora vestiti all’antica.
Dopo la strage della Peste del 1348, gli artisti del tempo si decimarono. Se intorno al 1200 l’Italia era micro
fratturata e divisa in tanti comuni, intorno al 1400-1500 lo scenario era più omogeneo e suddiviso in
comuni, erano come dei piccoli stati. Le signorie si formarono nella seconda metà del 1300, si formarono
perché i comuni erano in lotta fra loro per cui si arrivava a delle ingovernabilità, l’unica soluzione era
affidare il loro piccolo territorio prima a dei Podestà che nel tempo diventeranno veri e propri signori, come
dei piccoli principi. Questi signori tal volta erano eletti dal popolo o si affermavano attraverso maneggi vari,
o venivano appoggiati da Papi o Imperatori, e assumevano pieni poteri. Attraverso le Compagnie di Ventura
mantenevano stabili i territori, inoltre conducevano delle guerre esterne per ampliare il loro confini, così si
passarono dai piccoli comuni alle grandi signorie. Commissionavano molte opere perché l’arte serviva a
dare lustro alla casata, il loro centro di potere erano i loro palazzi riccamente affrescati, le loro cappelle
gentilizie dove si facevano seppellire dovevano essere all’altezza della loro grandezza.
PAOLO VENEZIANO realizzò nel 1345 la coperta feriale della pala di San Marco,
è una opera di
oreficeria oggi situata in un altare laterale della Basilica di San Marco a Venezia, è riccamente decorata con
oro, smalti e pietre preziose, il primo nucleo fu fatto inizialmente nel X secolo per poi essere ampliata e
modificata, era un oggetto di grande devozione che veniva coperto da una tavola-coperta feriale meno
pregiata (questa) e scoperta in seguito a specifiche festività durante l’anno. L’arte veneziana era molto
legata all’arte bizantina, nonostante le sue architetture erano molto innovative, sicuramente dovuta al
continuo legame commerciale con Bisanzio. Nella parte superiore vediamo questo flusso bizantino con
Cristo dolente al centro affiancato dalla Madonna, San Giovanni Evangelista anziano e altri santi, mentre
nella parte inferiore vediamo più l’influenza di Giotto con 7 scene della vita di San Marco, sopratutto per gli
elementi architettonici che incorniciano le scene. Gli incarnati sono metallizzati, sembrano armature in
bronzo, i profili sono sottili con linee che frazionano i volumi (carattere gotico). Molto simili a questa pala,
sono le due scene della vita di San Nicola a Bari, i colori sono molto vivaci, le architetture fanno da sfondo
e incorniciano le scene, ma vediamo che questa ripresa dello stile di Giotto non è del tutto coerente, infatti
la coperta del letto delle tre fanciulle non è perfettamente in prospettiva. Realizzò anche la Madonna con il
L’Italia settentrionale nella seconda metà del Trecento A differenza dell’Italia meridionale che va in crisi
politica, al nord fioriscono gli stati signorili: Savoia in Piemonte, Visconti a Milano,Gonzaga a Mantova,
Scaligeri a Verona, Estensi a Ferrara, Da Carrara a Padova. Le corti hanno quindi l’esigenza di
autorappresentarsi sotto ogni aspetto. Queste signorie affermano l’autonomia politica territoriale e queste
divengono committenti di numerose opere architettoniche – artistiche e di arredo. Queste stimolano
l’artigianato di lusso appoggiando l’evoluzione artistica. Si costruiscono non solo palazzi ma anche opere
architettoniche religiose perché la decorazione e edificazione religiosa rientra nella sfera politica.
L’ambiente cortese si traduce in un Gotico Internazionale, di pungente naturalismo ed eleganza.
Milano Viscontea
La corte dei Visconti assume un ruolo di primo piano in campo artistico. Galeazzo II fa erigere a Pavia il
castello, perfetto esempio di adattamento di una struttura difensiva a residenziale. Alla fine del Trecento il
Duca Gian Galeazzo fonda edifici che possano simboleggiare la potenza e la ricchezza del suo Stato, come il
Duomo di Milano ( iniziato nel 1386) e la Certosa di Pavia (1386). Anche la scultura è usata a fini celebrativi:
Dinastia dei Da Campione Scaricato da Roby C. (robyseb.99@gmail.com) lOMoARcPSD|3445412 83
Monumento sepolcrale di Bernabò Visconti 1363. Arca sepolcrale con al dì sopra una statua equestre e
presenta una variante con Ritratto equestre di Cangrande della Scala in cui il cavallo rompe l’allineamento
con il capo che si volta. La pittura milanese del terzo quarto del Trecento presenta una continuità con
Giotto anche se questo deve fare i conti con l’arte tardo gotica che comincia a fiorire nella corte dei
Visconti. Nei codici miniati ora conservati a Parigi notiamo un’estrema raffinatezza delle fusioni cromatiche
portate da Giotto e iconografie profano- cavalleresche. Questi dimostrano l’evoluzione dello stile tardo
gotico.
TOMMASO DA MODENA lascia nel capitolo del convento di San Niccolò a Treviso, un ciclo particolare
come il cardinale Ugo di Billon) , è seduto alla scrivania intento a scrivere delle carte.
Un altro sempre con in testa il galero (identificato come il cardinale Nicolò di Rouen ),
siede alla scrivania per consultare accuratamente dei libri con una lente di ingrandimento, la scena è molto
naturale, il libro è tenuto saldamente da una parte mentre l’altra è libera infatti si apre per la pesantezza,
inoltre anche qui il volto è ben descritto, è un ritratto. Altro frate invece è intento a scrivere con il calamaio,
ha il galero e degli occhiali, su una delle mensole di fianco a lui vi è un libro aperto. Tra di loro vi è anche un
papa fatto beato—> Benedetto XI, infatti ha in testa la fiera pontificia piena di raggi.
Altro ciclo di affreschi da lui realizzato è quello di Sant’Orsola datato 1356-58 che si trovava a Santa
Margherita degli Eremitani, era stato scialbato con l’intonaco e fu trovato per caso durante quelle
trasformazioni delle chiese in stalle o caserme durante il 1800, lo scoprì l’abate Luigi Bailo nel 1882 e riuscì
a trasportarlo fortuitamente con l’aiuto di giovani e riuscendo a salvarli dalla distruzione. Le scene del ciclo
narrano la storia di Sant’Orsola che insieme alle sue compagne (secondo la legenda erano circa 100.000
fanciulle) andarono in pellegrinaggio a Roma dal Papa, però nella strada del ritorno vennero uccise da delle
frecce per la loro fede, sono delle martiri. Le scene sono rovinate. Una delle scene raffigura la santa mentre
saluta la madre prima di partire, tutto è molto vivace, le figure sono vestite secondo la moda del tempo, c’è
una vivacità espressiva, vi sono dei sorrisi, le vesti fasciano i corpi, hanno delle ampie scollature, tutti questi
dettagli vanno a discapito dei dettagli dello sfondo infatti il palazzo che si intravede non ospita le figure ma
sembra a parte, senza profondità. Altra scena raffigura l’incontro con il Papa, la scena è affollata però i vari
elementi e le vesti delle figure sono ben descritte, la santa si inginocchia ai suoi piedi. Altra scena raffigura
le fanciulle con la santa su una barca di ritorno da Roma, erano quasi arrivate a destinazione (infatti si
intravedono le sue mura della città), quando furono colpite dalle frecce.
Altra opera è il Polittico che si trova in Repubblica Ceca nel Castello di Karlstejn, vi è una iscrizione in latino
che dice “chi ha dipinto questa opera? Quale sia la sua qualità la vedete, Tommaso figlio di Barisini”, le
figure del polittico appartenevano ad altre opere poi unite insieme per formare ciò che vediamo oggi
(infatti il mantello del cavaliere alla nostra sinistra è tagliato), il fondo è oro riccamente decorato con
punzoni e stampi, gli sguardi sono molto severi, la Madonna tiene a stento il bambino in braccio, i due si
guardano intensamente, il moaforeon è riccamente decorato e avvolge tutta la sua figura, le altre due
figure sono dei santi cavalieri, hanno delle vesti molto pregiate e piene di accessori come lance, spille,
scudi. Questo insieme ad un’altra opera trovata in Cecoslovacchia fece pensare che il pittore fosse boemo,
ma poi documenti e firme vari confermarono che fosse italiano.
Il GOTICO INTERNAZIONALE è l’arte del primo 1300 soltanto portato all’estremo. Per definizione è il
periodo che cronologicamente va dagli ultimi anni del 1300 (1370 circa) fino alla metà del 1400 (con alcune
particolarità in varie zone dell’Europa), viene definito internazionale perché in qualche modo unifica la
produzione artistica delle corti europee (Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Boemia oggi Repubblica Ceca,
Germania) e questo tramite gli scambi commerciali e i movimento degli artisti tra le varie corti. Viene anche
chiamato Tardo Gotico ma con accezione negativa, perché considerato come le ultime battute di uno stile
nato già alla fine del 1200, che in Italia si scontrava con le prime innovazioni del Rinascimento fiorentino
(con Masaccio, Donatello, Brunelleschi), oppure Gotico Cortese perché incarnava gli ideali delle corti e dei
signori in Italia, in generale nessuna di queste definizioni si può escludere perché contiene in se una parte di
verità. Per capire a pieno le caratteristiche del Gotico si devono osservare le opere.
Esempi perfetti del Gotico Cortese sono le opere dei TRE FRATELLI LIMBOURG, erano miniaturisti che
lavoravano nelle corti, lasciarono moltissime opere. Tra le più importanti osserviamo quelle del Libro delle
Ore “Les tres Riches Heures de Jean de Berry” oggi conservate a Chantilly nel Musée Condé datate 1412-
1415, era un libro di preghiere con miniature sulla vita dei santi e delle celebrazioni liturgiche, ma anche del
ciclo legato alla rappresentazione dei mesi con i segni zodiacali e le rappresentazioni del cielo, il
committente era un illustre uomo legato all’aristocrazia francese per discendenza, Jean de Berry. Esempio
Giugno (si può capire dal segno dei Gemelli e del Cancro, oltre dal tipo di lavoro rappresentato), ciò che
colpisce è l’azzurro acceso del cielo quasi trasparente, non ci sono ombre, c’è un tono fiabesco ed elegante
pur rappresentando un lavoro così rude, la città sullo sfondo ha questi tetti a punta in cui si scorge anche un
edificio gotico, la prospettiva è molto dilatata ma si nota una particolare attenzione al dato naturalistico, ad
esempio è ben descritto il lavoro dei campi in cui gli uomini facevano il lavoro pesante con le falci, mentre
le donne con i rastrelli facevano i covoni. Altra miniatura ha il segno dell’Acquario e del Pesci, quindi è
Febbraio, qui compare il cielo atmosferico gonfio di nubi, il paesaggio è innevato, un uomo taglia la legna,
un’altra tutta coperta per il freddo si dirige verso la casa in cui vi sono delle donne che si riscaldano accanto
al fuoco, la capanna è fortemente scorciata, sono descritti dettagliatamente i volatili nel cortile, l’aratro di
fianco. Gennaio con i segni del Capricorno e dell’Acquario presenta il banchetto del duca di Berry seduto a
tavola con un vestito di broccato azzurro e un copricapo di pelliccia, viene illustrato il gusto e lo sfarzo della
corte, le figure hanno tutti vestiti preziosi, alcuni personaggi portano dei doni al padrone di casa, i colori
sono vivaci e non ci sono ombre, il chiaroscuro è dato con gradazioni più scure dello stesso colore, sulla
tavola tutti gli oggetti sono ben descritti, sullo sfondo tra le campagne alle porte della città sembra si sia
svolgendo una guerra, si nota come non è importante come si rappresenta ma cosa si rappresenta. Agosto
con il segno del Leone e Vergine, raffigura il divertimento dei giovani dell’epoca, infatti un gruppo di giovani
tutti a cavallo vestiti molto elegantemente si dirigono verso la campagna accompagnati da un inserviente,
sullo sfondo si vede il castello e un laghetto in cui altre figure fanno il bagno. Maggio con il segno del Toro e
Gemelli, sullo sfondo si scorgono tantissime piante con il fusto ben dettagliato, in primo piano un gruppo di
giovani a cavallo con vesti molto pregiate, le fanciulle sono vestite di verde e parlano frase. Aprile con
Ariete e Toro, in primo piano ci sono delle figure che si scambiano gli anelli, i loro corpi molto esili sono
avvolti in vesti abbondanti ed eleganti ma si intravede un corpo sottostante, delle altre figure raccolgono in
terra dai fiori, sullo sfondo un boschetto, delle piante e un castello con un recinto.
Tra alcuni pittori italiani attivi in questo periodo ricordiamo LORENZO MONACO, nato a Siena intorno al
1367, era un monaco camaldolese ma aveva la licenza per stare fuori dal monastero infatti fu attivo a
Firenze, i suoi soggetti erano principalmente a carattere religioso, morì tra il 1423-1424. Tra le opere
giovanili abbiamo il Trittico che si trovava Collegiata di Empoli oggi nel suo museo datato 1404, al centro vi
è la Madonna dell’Umiltà cioè seduta su un cuscino in terra (iconografia creata qualche secolo prima da
Simone Martini) è affiancata da coppie di santi che parlano fra sé ma hanno una prospettiva diversa inoltre
l’orizzonte verde dietro di loro è diverso (il che ci fa pensare che tra di loro ci fossero altre figure e altri
pannelli, nonostante ciò lo spazio è comunque unitario), le linee sono sinuose su cui si modellano i
panneggi delle vesti, il corpo della Madonna è corpulento, i colori sono brillanti e talvolta fluorescenti come
il manto di uno dei santi, il senso del volume è dato da un chiaroscuro reso con gradazioni dello stesso
colore, il bambino abbraccia la madre. Altra opera conservata alla National Gallery di Londra presenta al
centro Cristo mentre incorona la Madonna, prevale la brillantezza delle vesti, il chiaroscuro ottenuto con le
gradazioni del colore, il nero è quasi assente, le pieghe sono falcate che quasi distruggono il volume dei
corpi quasi assenti sotto le vesti, si scorgono solo le ginocchia. Altra opera è l’Incoronazione della Vergine
conservato agli Uffizi datato 1414, la scena è unica, il pavimento rappresenta tutti i cieli di diverso colore il
che favorisce a dare un senso di profondità, alle loro spalle schiere di angeli e santi, i colori sono sempre
strillanti e le linee fluide, alla base vi è una bretella con delle storie. Altro trittico datato 1410-15 presenta al
centro l’Annunciazione, i colori sono sempre brillanti, i panneggi falcati, non ci sono ombre per cui il senso
del volume è dato dalle gradazione del colore, la veste dell’angelo è rosa con dentro un morivo blu e
dorato, le ali hanno le piume con colori brillanti. Nel 1420 circa realizzò la tavola sopra l’altare con
l’Annunciazione per la Cappella Bartolini Salimbeni della Santa Trinità a Firenze di cui realizzò anche gli
affreschi retrostanti della Cappella, nella scena vi è un maggiore senso del volume, la Madonna è seduta su
una panca, sullo sfondo si scorge un edificio che da ad un giardino che sembra ospitare le figure (qui
abbiamo un rimando alle opere di Giotto e all’arte del secolo precedente). Verso il 1422-23 a ridosso della
morte realizzò l’Adorazione dei Magi oggi conservata agli Uffizi in cui si può vedere che i colori squillanti
sono attenuati dal chiaroscuro, sicuramente fu influenzato dallo stile di Masaccio attivo in quel periodo a
Firenze, però egli rimane sempre sul suo stile, le montagne sullo sfondo sono definiti da linee taglienti,
tutto molto idealizzato, le architetture sembrano finte anche dal colore innaturale, in alto ci sono i profeti
che anticipano l’evento infatti hanno i cartigli aperti, tra i pennacchi ci è l’annunciazione.
Due dei grandi protagonisti di questo periodo sono Gentile da Fabriano e Pisanello.
GENTILE DA FABRIANO nasce appunto a Fabriano, marchigiano, tipico artista cortese che viaggiava di corte
in corte. Una delle sue opere giovanili è la pala con la Madonna col Bambino
oggi conservata a Berlino nel Staatliche Museen datata 1394-1400, la
Madonna al centro guarda lo spettatore, il bambino in braccio guarda il committente di dimensioni minori
inginocchiato ai loro piedi, ai lati vi sono San Nicola di Bari e Santa Caterina d’Alessandria con una veste
molto ricca, non vi è più un pavimento marmoreo ma un prato, sullo sfondo vi sono degli alberi i cui frutti
sono dei piccoli angeli, il tutto riporta ad una dimensione fiabesca. Polittico di Valle Romita oggi nella
Pinacoteca di Brera realizzato tra il 1400-1410, è diviso in più tavole con al centro l’incoronazione di Maria,
ai lati dei santi, nella parte superiore scene dalla vita di altri santi, il pavimento è un prato con piante
riconducibili a elementi che esistono (dato naturalistico), lo sfondo è dorato, il volume delle figure è
segnato da questo virtuosismo di linee che lo rende anche leggermente innaturale, la materialità delle cose
e dei tessuti è ben descritta. Poi abbiamo l’Adorazione dei Magi commissionata da Talla Strozzi,
MICHELINO DA BESOZZO e STEFANO DA VERONA sono due artisti del Nord Italia a cui si attribuisce la
realizzazione della Madonna del roseto datata 1410-12, la prospettiva è scomparsa, la Madonna siede su
un tappeto fiorito, lo sfondo è oro, vi è anche Santa Caterina seduta con la Madonna, il realismo cede il
posto al senso fiabesco mantenendo però l’attenzione ai dettagli, i corpi sono erosi dai panneggi sinuosi, vi
è anche uno ostensorio in oro visto contemporaneamente dal basso e dall’alto, nella scena sono presenti
anche degli angeli molto piccoli mentre portano un cesto con i fiori, vi sono anche dei piccoli animaletti ben
descritti che camminano tra il prato. Sposalizio mistico di Santa Caterina conservato oggi nella Pinacoteca
senese attribuito a Michelino di Besozzo, è scomparsa la minuziosa descrizione del trono della Madonna,
del pavimento, dello sfondo, per lasciare spazio ad un fondo oro in cui si accennano appena questi
elementi, le figure sembrano eteree se non fosse il modellato profondo dei loro volti e dei loro panneggi,
nella scena oltre alla Madonna con il bambino e Santa Caterina sono presenti anche Sant’Antonio e San
Giovanni Battista. Adorazione dei Magi datata 1435 è attribuita a Stefano da Verona, oggi conservata nella
Pinacoteca a Milano, sotto la capanna vi è la Madonna con il Bambino, di fianco vi sono due santi con
l’aureola che osservano il nascituro, mentre di fronte si prostrano i Magi riccamente vestiti, la scena è
affollata, l’artista si attarda a descrivere tutti gli elementi come i cani, i pastori in lontananza con le pecore,
le montagne sullo sfondo, il cielo atmosferico in cui si intravede la stella cometa.
PISANELLO era originario di Pisa, fu attivo a Verona (dove incontrò Stefano da Verona), a Venezia, a Pavia
(dove lavorò per i Visconti), a Mantova (per i Gonzaga), a Roma (per il Papa), poi ritorna a Verona per poi
morire a Napoli nel 1449. La Madonna della Quaglia è un’opera giovanile datata 1420, presenta la
Madonna dell’umiltà seduta su un cuscino su un prato fiorito con diversi animali tra cui la Quaglia dietro di
lei seduta su un cuscino dorato, la Vergine è incoronata da due angioletti il cui corpo è tagliato dai
panneggi, ha lunghi capelli biondi coperti da un manto trasparente, indossa un mantello che si sparpaglia al
suolo. Altra opera principale si trova a Verona nella Chiesa di San Fermo, sono degli affreschi con elementi
in stucco che decorano il monumento funerario della Famiglia Brenzoni datati 1426: al centro vi è il
sarcofago funerario con un tendaggio in stucco, mentre ai lati l’Annunciazione con da un lato l’angelo che si
inginocchia davanti all’edificio come se sta per entrare in casa della Madonna (sullo sfondo vi è una città in
stile gotico), dall’altro la Vergine annunciata sul primo piano con accanto un cagnolino, raffigurata come se
accettare il suo destino, mentre alle sue spalle si erge un edificio puramente gotico con pinnacoli e bifore in
cui si intravede l’alcova (il letto di Maria). Anche il Vasari rimase colpito da questa opera, ne rimane il suo
commento cui ne elogia la particolare attenzione all’elemento naturalistico. Pisanello era anche uno
scultore, infatti realizzò moltissime medaglie onorifiche in bronzo, avviando questo genere. Ad esempio
quella di Giovanni Paleologo Imperatore dell’Impero Romano d’Oriente datata 1438, in una faccia il suo
ritratto di profilo con il copricapo imperiale con una scritta intorno in greco che dice “Giovanni Paleologo
basileus e autocrate dell’impero romano”, nell’altra faccia lui rappresentato a cavallo davanti ad una croce
mentre prega con una sorta di firma dello scultore sia in latino che in greco (i due si poterono incontrare
per via del Concilio di Ferrara-Firenze convocato per chiudere lo Scisma della Chiesa d’Oriente e
d’Occidente). Altra opera sono gli affreschi della Cappella Pellegrini della Chiesa di Sant’Anastasia a
Verona, fatti dopo il soggiorno a Roma. Rappresentano l’episodio di San Giorgio che aveva liberato la città
dal Drago, non si capisce bene però il momento che viene raffigurato (se il santo ha già sconfitto il mostro o
sta per andare), in primo piano vi è il santo vestito con una ricca armatura con accanto il suo cavallo, di
fianco vi è la Principessa con una veste ricca con un lungo strascico, tutt’intorno dei cavalieri a cavallo, sullo
sfondo si osserva una città gotica da una parte mentre dall’altra si vede il mare con una barca, si scorgono
anche delle figure impiccate, si percepisce una inquietudine anche data dai colori scuri. Nel Palazzo Ducale
a Mantova è stato scoperto un Ciclo Arturiano che era stato scialbato, oggi molto rovinato ma mostra
ancora con potenza le crudeltà della guerra, uomini trafitti da lance, è un tappeto di morti e crudeltà. Di lui
rimangono anche molti disegni preparatori, come lo schizzo degli impiccati con lo studio dei vari dettagli,
disegni di dei cavalli. Fa anche degli studi sull’antico, forse reduce dal suo viaggio a Roma, studi su dei
sarcofagi, pronto alla ricerca di una eleganza. Ultima sua opera nota è l’incontro tra San Eustochio con un
cervo, si scorge un crocifisso sullo sfondo, la scena presenta molte piante e animali che per la loro
grandezza e raffinatezza sembrano avere la stessa importanza del santo che non ha l’aureola ma un grande
copricapo azzurro, l’atmosfera sembra surreale e sospesa dopo questo incontro inaspettato con il cervo
(infatti le zampe del cavallo sembrano come indietreggiare).
Il palazzo del potere civile nel Medioevo Con l’affermazione dell’autonomia comunale la città muta a
seconda delle esigenze che quest’ultima richiede. Il duomo è centro simbolico funzionale che si affianca al
Palazzo comunale che risponde alle esigenze politiche – amministrative – governative. Prima ci si riuniva
all’interno delle chiese o all’aperto ma ora c’è bisogno di un edificio che risponda a questa esigenza. Nel
1176 Battaglia di Legnano abbiamo la vittoria con Federico Barbarossa che determina il crollo della pretesa
imperiale e l’emergere delle autorità cittadine. Abbiamo così l’erigersi del broletto. Il broletto prevedeva un
ampio porticato praticabile dalla piazza dove all’interno vi si accedeva facendo ingresso in una sala
affrescata. Presenti erano finestre – balconi e scalinate. La sua struttura va evolvendosi a causa delle
funzioni governative che si moltiplicano portando ad un ampliamento dell’edificio. Nell’Italia centrale dalla
seconda metà del XIII secolo iniziano le varie tipologie di edilizia. I palazzi prendono nome dalle
magistrature che vi hanno sede. Secondariamente i palazzi in Italia centrale portano alla creazione di una
loggia che fa le veci di porticato. Il ruolo dell’artista nel Medioevo A partire da Giotto i pittori iniziano a
suscitare grande interesse. procurandosi anche grande notorietà. Nel Trecento vediamo smantellata la
barriera che vede le arti figurative non all’interno delle arti liberali. Nel Purgatorio Dante afferma di non
dover distinguere i letterati dagli artisti i quali erano generalmente considerati inferiori in quanto
appartenenti alle arti meccaniche. Dante li rivaluta. Petrarca quando incontra Simone Martini ad Avignone
fa eseguire a quest’ultimo delle opere che porteranno Martini ad essere elogiato e paragonato a Policleto e
Virgilio. Boccaccio elogia nel Decameron l’abilità di Giotto nel riprodurre la natura. In Grecia gli artisti
assumono lo status da intellettuali infatti dal VI secolo questi firmano le proprie opere per essere ricordati e
orgogliosi inoltre delle loro opere d’arte. Gli artisti si inseriscono al vertice della società come Fidia o
Policleto e con la maggiore richiesta di opere i prezzi di queste salgono a livelli molto alti. A Roma la
considerazione dell’artista è inferiore e per influsso greco raccolgono le opere d’arte in quanto esteti. Le
opere hanno destinazione propagandistica e quindi l’artista si trova ad essere sottomesso al committente i
quali scelgono i programmi iconografici. Il declino della considerazione dell’artista è nell’Alto Medioevo
quando scompare il collezionismo e l’unico committente è la Chiesa. L’artista è artigiano ad eccezione
dell’orefice il quale firma le proprie opere (es. Sant’Ambrogio a Milano). Dopo l’anno Mille gli artisti
ricadono nell’anonimato e le rare notizie del XI – XII sono soltanto di architetti e orafi: gli architetti sono
riconosciuti perché hanno conoscenze teoriche mentre i secondi hanno una considerazione alta perché
lavorano materiali preziosi. Nel XII secolo gli architetti e scultori firmano ancora le proprie opere e sono
anche citati in iscrizioni (Wiligelmo e Lanfranco).Iniziano poi a firmarsi anche i pittori di tavole quali Giunta
Pisano o Guido da Siena. Nei Pulpiti Giovanni Pisano si proclama maestro colto di facoltà inventive più alte
del padre. 86 Gli artisti iniziano sempre ad avere più consapevolezza ed elogi: es. Giotto ottiene il titolo
nobiliare. Giotto non è solo un semplice artista è capo-bottega molto ricco che investe il proprio denaro.
Nella Maestà di Duccio di Buoninsegna nel 1311 questa viene trasportata al duomo da un solenne corteo
facendoci intendere di non considerare questa un’opera d’arte quanto invece un manufatto dai poteri
magico religiosi. In conclusione, l’artista resta ancora un artigiano i quali rimangono ancora inglobati
nell’arte dei maestri di pietra e legna. L’aspetto materiale della loro professione è indimenticabile.
Firenze: il 300 è segnato da turbamenti sociali, difficoltà economica e artistica. Il 400 si apre con una certa
stabilità. Negli ultimi anni del secolo si delineano committenze pubbliche e la possibilità di superare i
modelli antichi accogliendo lo stile internazionale o recuperando le radici classiche. Queste alternative sono
spiegate nei due saggi di Ghiberti e Brunelleschi scritti per il concorso del 1401, bandito per scegliere la
formella che sarebbe stata destinata alla porta della Mandorla del Duomo di Firenze. Questa formella
doveva rappresentare il sacrificio di Isacco.
Ghiberti fonde linearismi gotici e bellezze ellenistiche (il nudo di Isacco), chiaroscuro lieve, primo di violenti
stacchi dal piano di fondo. Da qui Donatello poggerà le basi per la creazione del suo stiacciato. Attualmente
l Firenze, museo nazionale del Bargello. Nella parte sinistra della composizione ci sono i due servitori, ignari
del drammatico avvenimento; scena principale: Abramo che punta il coltello alla gola di Isacco suo figlio nel
proposito di sacrificarlo, ma interviene in lontananza l’angelo, fuso con lo sfondo come se spuntasse dalle
nubi, che tende il braccio per fermare Abramo. La scena è segnata obliquamente dalle rocce, sulla sommità
delle quali vi è il capro che dovrà essere sacrificato. La composizione è sintattica e il suo centro d’attenzione
è centrale, rivolto verso l’atto di Abramo di puntare alla gola del figlio il coltello. La struttura compositiva è
radiale, dalla scena principale si dipartono i raggi che portano ai personaggi secondari (angelo, capro, servi).
Brunelleschi recupera gli scatti espressivi di Giovanni Pisano, arricchendoli di naturalismo nordico
accostandolo all’antico. Oggi si trova agli Uffizi al Museo Nazionale del Bargello. Al centro della
composizione vi è Abramo, che porta dinamicamente il coltello alla gola del figlio Isacco che piega il busto
per sfuggire alla morte, in un’espressione di terrore. Interviene a fermare l’uccisione l’angelo che prende la
mano di Abramo e la ferma. In basso a sinistra e a destra vi sono i due servitori che, come l’asino, non
prendono parte alla scena principale e quasi trasbordano dalla cornice della formella. La struttura
compositiva è radiale e al centro troviamo Abramo e Isacco; rispetto alla formella del Ghiberti le figure sono
molto più drammatiche e le loro posture sono molto più dinamiche. Vince Ghiberti e la sua vittoria chiarisce
come fosse superati i modi ‘’ internazionali’’, me non era ancora maturato l’orientamento verso un
classicismo innovativo, rinascimentale. La piega presa dalla cultura fiorentina va associata all’arte pittorica
di Gherardo Starnina, caratterizzato da una grafica vivace, colori accesi, abbigliamenti fastosi. Nelle opere di
Ghiberti assiste a una progressione che culmina con la statua bronzea di San Giovanni Battista.
Via analoga è seguita da Lorenzo Monaco a partire dal 1404: nella sua pittura figure allungate, racchiuse da
contorni ritmici, rivestite di ampi panneggi. Si opera maggiormente per una committenza religiosa . Un
esempio delle sue opere è l’Incoronazione della Vergine: un trittico con sfondo oro del 1414 oggi agli Uffizi.
Il pannello centrale raffigura l’Incoronazione ed è suddiviso in tre parti sormontate da cuspidi. Al centro
Gesù e Maria sono seduti su un trono. Cristo incorona infatti la Madre alla presenza di angeli e santi. I
religiosi sono inginocchiati e rivolti verso il sacro evento. I dipinti sono fiancheggiati a sinistra e a destra da
due pilastrini con colonnine tortili e fusti sono ancorati alcuni lobi con figure dipinte di profeti. Nei pinnacoli
che sormontano la scena principale è raffigurata l’Annunciazione con al centro Dio Padre, mentre in basso
la predella, composta da formelle di forma mistilinea caratteristiche del repertorio decorativo gotico,
illustra al centro la Natività di Gesù e l’Adorazione dei Magi, e ai lati quattro episodi della vita di San
Benedetto. L’arcobaleno stellato che sostiene l’Incoronazione è una rappresentazione simbolica
dell’universo. In questo clima si forma Masolino da Panicale: la sua indipendenza si vede dalle prime opere,
come la Madonna ora a Palazzo Vecchio (ante 1423). È caratterizza da tratti molto dolci, Maria siede su un
cuscino a terra, secondo il modello iconografico noto come Madonna dell’Umiltà (dal latino humus, terra).
La Vergine nutre il figlio Gesù offrendogli il seno, così che l’iconografia della Madonna dell’Umiltà si fonde
con quella della Madonna del latte, secondo una consuetudine diffusa nella pittura toscana soprattutto nel
XIV secolo. Entrambi i modelli sottolineano il ruolo privilegiato di Maria quale intermediatrice fra Dio e
l’umanità. Il tema sembra particolarmente adatto per un’immagine sacra esposta alla devozione e destinata
ad un piccolo oratorio o ad un altare secondario di una chiesa, come suggeriscono anche le dimensioni non
troppo grandi del dipinto di Masolino. Su tutti questi artisti ci sarà l’influenza di Gentile, stabilitosi a Firenze
dal 1421, inaugurando la seconda ondata innovatrice, rappresentata dall’Adorazione dei Magie eseguita
per Palla Strozzi nel 1423, ritenuta il culmine della pittura moderna: La struttura che incornicia l'opera
centrale è composta da guglie gotiche e cuspidi che hanno anche colonnine laterali. In alto distinguiamo tre
medaglioni circolari: al centro troviamo Gesù, sulla sinistra troviamo l'angelo annunciante, sulla destra c'è la
Madonna annunciante.. La storia raccontata da Gentile da Fabriano è una storia ad episodi, che ha inizio
sotto il primo arco con l’avvistamento, dalla sommità del monte Vettore, della stella cometa, che guiderà il
corteo lungo il suo cammino. La cavalcata procede poi nella lunetta centrale, dove vediamo i Magi e il loro
numeroso ed animato seguito muoversi attraverso i dolci declivi di una campagna sapientemente coltivata.
Sullo sfondo si vedono le mura di Gerusalemme, prima tappa del loro viaggio. Ed ecco nuovamente, nella
terza lunetta, i protagonisti della nostra storia, ammantati nelle loro vesti dorate, che si apprestano a
superare a dorso dei loro destrieri il ponte levatoio che permetterà loro di entrare nella città santa.
Giungono di fronte alla capanna alle porte di Betlemme, dove hanno trovato riparo Maria e Giuseppe con il
loro Bambino. La scena si svolge ormai in primo piano, davanti agli occhi dell’osservatore. Alle spalle della
Madonna, due ancelle osservano con cura il dono appena presentato da Melchiorre; Gesù accarezza con la
sua manina la testa di uno dei Magi che ha già posato a terra la sua corona. Le vesti dei tre Re sono
finemente lavorate. Dietro al gruppo dei Magi due personaggi, altrettanto riccamente vestiti, assistono
all’episodio sacro. Colui rappresentato avente in mano un falcone, è Palla Strozzi mentre il giovane al suo
fianco, che guarda dritto verso l’osservatore, viene identificato con il figlio Lorenzo. Alle loro spalle
prosegue il corteo. Nelle tre tavole della predella, che corre lungo la base della pala d’altare, sono narrati
alcuni fatti dell’infanzia di Gesù: la Natività, la Fuga in Egitto e la Presentazione al TemLa Pala Strozzi è
racchiusa entro una elaborata cornice in legno intarsiato e dorato, costituita da tre archi a tutto sesto
sormontati da cuspidi e da due pilastrini ottagonali ai lati, la cui superficie è movimentata da inserti
polilobati. Il punto di arrivo cui giunge Gentile possiamo considerarlo la Madonna di Orvieto: eleganze
decorative ridotte al minimo, solidi corpi, volti precisamente individuati con espressioni umanissime.
Capitolo II
Ai primi del 400 Brunelleschi, attraverso norme geometriche restituisce la profondità e le dimensioni delle
figure, partendo dalla nozione dell’ottica medievale e da un nuovo concetto di spazio Brunelleschi ebbe un
ruolo guida per Donatello : si recarono insieme a Roma verso il 1409 per studiare i resti antichi. In seguito
più volte collaborarono e il loro rapporto di scambio dialettico viene preso a modello del clima a Firenze in
quel periodo. Esemplare valore che danno al tema della Crocifissione: Brunelleschi traduce la divinità senza
accenni al dolore, in equilibrio di proporzioni → le braccia allargate di Cristo sono lunghe quanto l’intera
figura; rappresenta la figura con una leggera torsione del corpo verso sinistra. Donatello drammatizza
l’elemento umano. Il suo Cristo è colto nel momento dell’agonia: ha i lineamenti contratti, la bocca
dischiusa, gli occhi semiaperti. Il corpo mostra senza ombra di dubbi come a Donatello premessa realizzare
la verità umana. Il primo ambito in cui si vedono gli sviluppi legati alla cultura illuminista sono quelli della
scultura, concentrata all’inizio del secolo in due grandi cantieri: Orsanmichele e S. Maria del Fiore ( → porta
dei Canonici, Porta della Mandorla, facciata). In quest’ultima prevaleva il linguaggio moderno di Ghiberti,
una miscela di gotico, classico e naturalezza. All’interno di questa cultura emersero Donatello e Nanni di
Banco, entrambi legati da amicizia a Brunelleschi. Lavorarono fianco a fianco fino alla morte di Nanni.
Confronto S. Luca di Nanni1 e S. Giovanni di Donatello 2, entrambi realizzati per la facciata di S. Maria del
Fiore. Notiamo una somiglianza di intenti con soluzioni differenti. In comune hanno il tentativo di collocare
le figure nello spazio con maggiore libertà, vivacità plastica e fisionomica. Nanni segue con maggiore
attenzione il modello classico; Donatello la statuaria antica è stimolo di ricerca di una maggiore aderenza
alla realtà e umana varietà dei personaggi. San Giovanni è rappresentato corrucciato e fremente,
caratterizzato da un chiaroscuro spezzato che anima i panneggi. Il gruppo dei SS. Quattro Coronato, di
Nanni accentua il proposito di sottolineare la dignità umana, attraverso la ripresa degli antichi ritratti
imperiali. Statici e solenni accompagnano, con la loro disposizione semicircolare, la nicchia. Energia e
vitalità accompagnano il S. Giorgio di Donatello: Il santo, infatti,viene rappresentato come un soldato, con
le armi e lo sguardo fieroIl personaggio ha quindi uno sguardo attento, che guarda lontano, con le
sopracciglia aggrottate e la bocca semiaperta. Il corpo è leggermente girato, la mano sinistra scende lungo i
fianchi stringendo una spada; la mano destra è appoggiata allo scudo. Sotto la statua, nel basamento,
troviamo un bassorilievo stiacciato, inventato da Donatello inventato da Donatello, che rappresenta
appunto San Giorgio che uccide il drago, rimirato da una principessa. La figura è impostata come se sei
aprisse a compasso (la forma delle gambe), ha una leggera rotazione intorno l’asse centrale, costituito dallo
scudo con la croce. La rappresentazione contiene molto spesso la forma ovale: il volto, il profilo del
mantello, l’andamento delle spalle, lo scudo. Anche il rilievo sulla base ribadisce attenzione al dramma.
Venne realizzato forse due anni dopo la statua , a bassissimo rilievo. Le opere successive di Donatello
furono caratterizzate da un’accentuazione delle tecniche che aveva attuato precedentemente, come
l’individuazione fisionomica. Ad esempio la rappresentazione di S. Rossore, in bronzo in parte dorato, oggi a
Pisa al Museo di S. Matteo, diverrò il prototipo quattrocentesco del busto ritratto. Significativi sono anche i
due profeti eseguiti per il campanile di Giotto, Geremia e Ababuc, quest’ultimo detto lo zuccone per la
forma della sua testa. Nella loro rappresentazione sono evidenti i richiami alla ritrattistica romana. Un
punto di svolta e di arrivo si ebbe con la Cantori del duomo di Firenze. Fu commissionata a Donatello dagli
operai di Santa Maria del Fiore nel 1433, poco dopo che venne affidata a Luca della Robbia un’altra di
uguale misure. Luca illustra il salmo 150, con dieci rilievi, sei posti sul parapetto e 4 tra le mensole, i rilievi
sono popolati da figure di grande bellezza (1). La Cantoria di Donatello ha una struttura a parallelepipedo
della vasca della stessa misura dei mensoloni che lo sorreggono (secondo registro). Ad ogni mensola
corrisponde una coppia di colonne che sostengono un architrave aggettante. Donatello rappresenta
probabilmente il salmo 148 0 149, dove si allude alla danza come espressione di gioia. 1 2 Brunelleschi
Dopo gli esordi come scultore inizia ad interessarsi dell’architettura. I suoi primi incarichi furono quelli di
ingegneria militare per la Repubblica fiorentina. Poco dopo si interessò della cupola di Santa Maria del
Fiore. Tutto ciò che ha progettato e costruire è racchiudibile in 30 anni e a Firenze. Queste strutture sono
caratterizzate da un preciso proporzionamento che definisce e collega le diverse parti.
Ospedale degli innocenti Il portico con archi a tutto sesto su colonne è formato da nove campate di pianta
quadrata nelle quali il rapporto tra luce e freccia dell’arco è fissato in partenza secondo misure che
governano tutto l’insieme: tutte le altezze dipendono dall’altezza del piedritto. Questa struttura modulare è
esaltata dall’uso della volta a vela come copertura. San Lorenzo L’edificio riprende uno schema monastico
medievale a croce latina a tre navate con transetto su cui lato di fondo si aprono cinque cappelle
rettangolari quella centrali ampia come la navata maggiore, le laterali come le navatelle. Altre sei cappelle
sono disposte lungo le testate e il lato anteriore del transetto. La copertura è varia piana sul capocroce
intorno allo snodo centrale della cupola; a vela nella navate laterali a botte nelle cappelle. Santa Maria del
Fiore la costruzione del Duomo a metà Trecento era giunta al tamburo ottagonale di imposta della cupola,
solo nel 1418 gli Operai bandirono un concorso per il modello della cupola, vinsero a pari merito
Brunelleschi e Ghiberti. Questa venne iniziata il 1 agosto 1420 in un clima di aspettativa che coinvolgeva
tutta la cittadinanza. Il primo problema da affrontare era di ordine tecnico: l’enorme copertura, seguendo i
sistemi tradizionali avrebbe richiesto ponteggi partenti da terra e centine lignee per reggere la cupola in
costruzione fino alla sistemazione della chiave di volta. Date le dimensioni dell’invaso e l’altezza dell’edificio
i costi e le difficoltà di tale apparato si presentavano insostenibili. In secondo luogo, si trattava di trovare
una forma rispondente alle nuove esigenze estetiche ma che al tempo stesso concludesse armonicamente
l’edifico preesistente. Brunelleschi idea una doppia cupola a sesto acuto costituita da un’ossatura di otto
costoloni interni tra i quali si tendono vele a sezione orizzontale rettilinea in grado di assorbire le fortissime
spinte orizzontali dei costoloni ricavandone una coesione che impedisce gli sbilanciamenti Il problema delle
centine è invece risolto grazie all’uso di murature a spina di pesce. I costoloni vengono così costituiti
insieme alle vele che svolgono una funzione di sostegno nei loro confronti e che si reggono
autonomamente grazie alla particolare posa dei mattoni. A conclusione di tutto la lanterna, con la spinta
longitudinale esercitata dal suo peso consolida ulteriormente costoloni a vele. Si tratta perciò di una
struttura organica al cui interno gli elementi si danno reciprocamente forza convertendo in valori positivi e
di coesione anche le forze potenzialmente negative. Nella creazione Brunelleschi riversa tutte le
conoscenze dell’architettura gotica su rapporti tra pesi e spinte, eliminando però ogni orpello decorativo.
All’interno della chiesa la cupola riunifica con forza accentratrice del suo vano gigantesco gli spazi dinamici
e centrifughi delle cappelle radiali e della zona interna del capocroce, conducendo lo sguardo all’ideale
punto di fuga costituito dall’occhio della lanterna. Brunelleschi elimina ogni elemento esornativo,
limitandosi alla semplice calotta la cui spazialità è alterata dalla presenza degli affreschi di Zuccari. Alla fine
Brunelleschi inserisce nei lati del tamburo lasciati liberi dai lobi delle absidi quattro tribune semicircolari. In
questo modo si completava la corona di corpi dai quali si slanciava la cupola evidenziandone la qualità
“accentratrice”. La Cappella dei Pazzi Situata in santa croce a Firenze, grazie alla bicromia, il telaio
strutturale si evidenzia chiaramente contro il fondo chiaro delle murature. Le tre immagini mostrano come
gli elementi siano desunti dagli ordini antichi di cui Brunelleschi si serve programmaticamente per limitare a
pochi tipi regolati gli elementi base di contro alla varietà tipica del Gotico. Santo Spirito L’edificio e stato
ritenuto prototipo della composizione per rapporti semplici che godra molta fortuna nella divulgazione
delle conquiste brunelleschiane. Infatti tutte le misure della chiesa sono calcolate a partire dalla meta del
lato delle campate. l’articolazione degli spazi e piu ricca e complessa in armonia con una nuova
interpretazione della classicita, di cui si vogliono riproporre non solo i metodi ma anche l’imponenza e la
monumentalita. Viene rivista e ripresa la tradizione medievale delle cattedrali di Pisa e di Siena con l’uso del
colonnato continuo che abbraccia anche il transetto e con la cupola all’incrocio dei bracci. Si accentua il
risalto plastico delle membrature mentre si riduce lo sviluppo delle superfici grazie all’uguale altezza di
navate laterali e cappelle. Le diverse cromie dei materiali e soprattutto l’illuminazione contrastata
drammatizzano ulteriormente l’insieme.
Masaccio La sua attività è racchiudibile in circa 6 anni. Nasce nel 1401, ritenuto allievo di Masolino.
Analazziamo due opere quasi coeve, che rendono dubbia l’ipotesi che fosse suo allievo. La Madonna con
bambino di Masolino (1), oggi a Brema,se la confrontiamo con la tavola giovanile a Palazzo Vecchio
(2)testimonia una formazione avvenuta su Starnina, Gentile e Ghiberti. Masaccio invece nel Polittico di San
Giovenale (3) del 1422 dichiara diversi modelli. A Firenze aveva stretto amicizia con Brunelleschi e
Donatello e aveva condotto una rilettura su Giotto. Nella tavola con Sant’Anna, la Madonna e il bambino del
’24, oggi agli Uffizi i due lavorno insieme: l’angelo reggicortina in alto a destra, la Vergine e il bambinsono
stati dipinti da Masaccio; Masolino dipinge Sant’Anna e gli altri angeli, senza spessore, come solidi blocchi
che occupano un preciso spazio, a differenza di quelli di Masaccio. La Vergine è seduta su un trono con il
Bambino tra le braccia. Sant’Anna invece è dietro di lei e poggia la mano destra sulla spalla della Vergine.
Due angeli in basso agitano un turibolo mentre altri due scostano le cortine di lato e uno le solleva in alto.
L’opera si può considerare una Maestà in trono, come descritta in tanti dipinti religiosi del Rinascimento. Le
parti dipinte da Masaccio nella Sant’Anna Metterza sono state determinanti per porlo a capo di tutta la
trasformazione della pittura del Rinascimento italiano. Masaccio infatti cambiò la concezione dello spazio e
la determinazione dei volumi attraverso un corretto chiaroscuro. La mano dei due maestri è evidente
poiché la concezione dello spazio e dei volumi è diversa. Masaccio fu un innovatore e introdusse un netto
chiaroscuro nelle tre figure, che dipinge rendendole maggiormente solide e realistiche. Masolino invece fu
un artista ancora legato alla concezione dello spazio del gotico Fiorentino. Il modellato del corpo di Gesù
Bambino sembra essere ispirato invece alle statue della classicità. Il dipinto è realizzato a tempera su una
tavola. I colori sono tutti caldi e tendenti al rosso. Il trono spicca per la sua colorazione verde-grigio. Il
manto della Madonna è molto scuro e lumeggiato sul panneggio lasciando intravedere la solidità del corpo
sottostante. Lo spazio concepito da Masaccio è già di tipo brunelleschiano; la profondità si percepisce
attraverso il basamento del trono. Le solide strutture lo chiudono poi lateralmente. Lo spazio si legge anche
nella sovrapposizione dei personaggi, a partire da Gesù Bambino in primo piano, dal volto della Madonna e,
dietro di lei, da Sant’Anna. La Madonna è contenuta in un blocco piramidale, la composizione in alto
termina con un arco a sesto acuto come nella tradizione gotica. LA CAPPELLA BRANCACC, CHIESA DI SANTA
MARIA DEL CARMINE, FIRENZE Cappella fondata da Pietro Brancacci, membro di un’antica famiglia patrizia
di Firenze. La decorazione fu commissionata a Masolino e Masaccio nel 1424 da Felice Brancacci, ricco
mercante, genero di Palla Strozzi, è stato un banchiere, politico, letterato, filosofo italiano. Le pitture
rivestivano interamente il vano: sulla volta erano raffigurati gli Evangelisti, mentre le pareti erano decorate
con Storie di S. Pietro, disposte su 3 registri. Tra il 1426-27, Masolino abbandonò l’incarico per andare a
lavorare in Ungheria. Tornato in Italia fu chiamato dal cardinale Branda Castiglione a Roma, dove nel 28 lo
raggiunse anche Masaccio. La morte di quest’ultimo e l’esilio dei Brancacci per l’instaurarsi dei Medici,
fecero si che la decorazione venne completata nell’81 da Filippino Lippi. PARETE SINISTRA: Cacciata di
Adamo ed Eva: questo affresco rappresenta il momento in cui i due peccatori vengono allontanati dal
Paradiso Terrestre. Adamo ed Eva sono nudi, indifesi. I due personaggi biblici varcano una soglia in
muratura e si dirigono verso destra. In alto il cherubino li conduce all’esterno con atteggiamento deciso
brandendo una spada con la destra. Intorno a loro il paesaggio è spoglio e privo di vita. Il tributo: Cristo è al
centro dell’affresco. È leggermente rivolto a sinistra verso Pietro e con la mano destra indica il lago. Anche
Pietro indica verso la stessa direzione mentre guarda Gesù. Intorno ai due personaggi vi sono gli altri
apostoli. Inoltre, un uomo voltato di schiena si rivolge a Gesù portando in avanti la mano sinistra aperta.
Sembra chiedere qualcosa. Intanto, con la mano destra indica verso l’ingresso di un’abitazione. Cristo
indossa un’ampia veste rossa e un mantello blu appoggiato sulla spalla sinistra. Pietro, invece, un abito blu
e un mantello color arancione. Anche gli altri apostoli indossano lunghe vesti e mantelli. Tutti portano
barbe piuttosto folte tranne gli apostoli più giovani come Giovanni. Intorno al loro capo è dipinta una
aureola dall’aspetto solido e tridimensionale. Infine, l’uomo che interpella Cristo indossa un abito corto,
molto simile ad una tunica. A sinistra nuovamente l’apostolo Pietro è chinato verso la sponda del lago. Ha
posato il mantello a terra e afferra un grosso pesce. A destra, Pietro è di fronte all’uomo che parlava a
Cristo in centro. L’apostolo consegna qualcosa nella mano destra dell’uomo che si regge su un bastone con
la sinistra. A differenza di Cristo e degli apostoli ha un’apparenza più ordinaria e non porta l’aureola. Dietro
i due personaggi, inoltre, si intravede un edificio con un porticato d’ingresso e un altro accesso con tre bassi
gradini. La predica di Pietro: Egli si trova davanti a una folla mentre, con un gesto eloquente, fa una predica.
Le espressioni degli astanti sono le più varie; e tre teste di giovani dietro al santo sono probabilmente
ritratti di contemporanei, come anche i due frati a destra, forse due carmelitani del convento del Carmine,
e in passato erano pure stati attribuiti a Masaccio. San Paolo visita San Pietro in carcere: opera di Filippino
Lippi, si vede il santo che si affaccia da una finestra con le sbarre, mentre il visitatore dà le spalle a chi
osserva. Forse la scena seguì un disegno di Masaccio, come dimostrerebbe la perfetta continuità
architettonica con la contigua scena della Resurrezione del figlio di Teofilo. vFilippino cercò di temperare il
suo stile, adeguando la sua tavolozza alla cromia degli affreschi più antichi e mantenendo la solenne
impostazione delle figure, per non rompere l'omogeneità dell'insieme. Più diverso appare invece il
trattamento della figura di san Pietro affacciato alla grata, improntato a un chiaroscuro più maturo e dotato
della linea di contorno che è tipica dello stile intellettualistico del Rinascimento all'epoca di Lorenzo il
Magnifico. Resurrezione del figlio di Teofilo e san Pietro in cattedra: , sulla parete sinistra, rappresenta due
eventi della vita di san Pietro avvenuti a Antiochia; a leggenda vuole che quando Pietro era in città a
predicare venne arrestato e messo a pane ed acqua dal governatore Teofilo. In quell'occasione San Paolo
andò a trovarlo in prigione (scena nell'affresco di Filippino Lippi a sinistra di questo). Paolo andò poi a
supplicare il governatore affinché liberasse Pietro, ma questi lo sfidò, promettendogli di farlo solo a patto
che l'apostolo incarcerato dimostrasse i suoi poteri soprannaturali resuscitandogli suo figlio, morto
quattordici anni prima. Pietro venne allora portato alla tomba del fanciullo, dove lo resuscitò
miracolosamente. In seguito a questo evento tutta la popolazione di Antiochia si convertì al Cristianesimo e
venne eretta una magnifica chiesa, la prima sul cui trono (la cattedra) Pietro poté sedere venendo ascoltato
da tutti. L'evento fu così un'anticipazione della sua futura assunzione al trono pontificio in RomaL'affresco è
per metà di Masaccio e per metà di Filippino Lippi. San Pietro risana gli infermi con la sua ombra: San Pietro
e gli altri Apostoli percorrono le vie della città. San Pietro ha uno sguardo serio e compassato come anche
gli uomini che lo seguono. Dietro di lui lo accompagna San Giovanni. Sulla veste indossa un ampio mantello
panneggiato. Al passare del Santo gli infermi vengono guariti dalle loro infermità. Intorno al capo Pietro
porta una aureola semicircolare. A sinistra Sono rappresentati gli infermi a partire dall’uomo tetraplegico in
basso a sinistra. Altri tre infermi sono già stati risanati e ringraziano per l’evento miracoloso. Sullo sfondo è
raffigurata una prospettiva cittadina con architetture tipiche del Quattrocento fiorentino. Al termine della
fuga dei palazzi è presente la facciata di una chiesa classicheggiante. Si notano infatti una colonna con
capitello corinzio, una parte di tetto e un campanile. PARETE DESTRA: Il Battesimo dei neofiti: ritrae una
scena delle storie di san Pietro in cui l'apostolo battezza alcuni nuovi cristiani o "neofiti". Il testo evangelico
parla che dopo la Pentecoste Pietro si mise a predicare esortando le genti al battesimo in nome di Gesù
Cristo (scena della Predica di san Pietro); ecco che in questa scena egli inizia a battezzare con una ciotola.
L'episodio, ambientato in una vallata tra colli, mostra alcuni giovani si apprestano a ricevere il battesimo:
uno è inginocchiato nel fiume e lo riceve a mani giunte (col corpo dall'anatomia stupendamente modellata),
uno già spogliato sta aspettando coprendosi con le braccia mentre trema per il freddo, figura di grande
realismo. Straordinario è il senso dell'acqua e l'effetto bagnato sui capelli e sul perizoma del ragazzo in
ginocchio. Assiste una folla, tra i quali ci sono alcuni personaggi forse ritratti di contemporanei. I due ritratti
dietro Pietro sono due testimoni fiorentini, hanno dei volti fortemente individualizzati. Secondo Longhi
però sarebbero opera di Filippino Lippi (come anche la testa di Pietro), il quale avrebbe coperto i ritratti
cancellati di due personaggi legati ai Brancacci dopo la cacciata della famiglia. L'ipotesi non è comunque
condivisa da tutti gli studiosi. La maggior parte degli studiosi assegna comunque le figure a Masaccio e le
montagne dello sfondo, così aguzze e gotiche, a Masolino. In questa scena, come nella Predica, Pietro è
raffigurato solo, mentre nel testo evangelico egli era in compagnia degli altri apostoli. questa scelta
sottolinea fortemente il suo primato e la sua personificazione con la Chiesa intera. Guarigione dello storpio
e resurrezione di Tabita: La guarigione di un paralitico e la resurrezione della cristiana Tabita sono due
miracoli di san Pietro che in questo affresco vengono unificati nello spazio, nonostante fossero avvenuti in
luoghi differenti. A sinistra si vedono san Pietro e san Giovanni che miracolano uno storpio davanti a una
loggia in prospettiva. Nel racconto evangelico essi stavano salendo al tempio per la preghiera dove un
uomo storpio fin dalla nascita chiedeva ogni giorno l'elemosina; quando vide i due che stavano per entrare
domandò loro un'offerta, ma Pietro gli intimò di guardarlo e "nel nome di Gesù Cristo il Nazareno", gli disse
"alzati e cammina", guarendolo dalla sua malattia. A destra invece, sul limitare di una casa, è raffigurato san
Pietro che fa un miracolo di resurrezione. La pia donna chiamata Tabita, devota di Giaffa, proprio in quei
giorni si era ammalata ed era morta, ma subito ne era stato avvisato Pietro che, trovandosi a Lidda, partì
appositamente per vederla. Arrivato a Giaffa gli si fecero incontro le vedove piangenti che gli mostrarono le
tuniche e i mantelli della povera donna. Entrato nella sua stanza e chiesto di restare solo, Pietro si mise a
pregare, poi si rivolse a lei intimandole di alzarsi, al che ella aprì gli occhi e resuscitò. Masolino fece
naturalmente una selezione del racconto biblico, rappresentando l'arrivo di Pietro che, con un solo gesto,
resuscita la donna tra lo stupore degli astanti. Il centro della scena è occupato da una visione della Firenze
dell'epoca con una piazza in prospettiva centrale (piazza della Signoria?), dove si affacciano case merlate
con le pertiche appese tra le finestre e, in primo piano, passano due borghesi riccamente abbigliati, che
passeggiano incuranti di quanto avviene intorno.Tentazione di Adamo ed Eva: realizzato di fronte alla
cacciata, i due personaggi ci appaiono di una compostezza severa e classicheggiante. Eva sta per addentare
il frutto proibito, che il serpente le ha appena offerto dall'albero dove essa appoggia il braccio. Il serpente è
avvolto sull'albero e si sporge in alto per sincerarsi che la donna addenti il frutto. Esso ha una testina dotata
di una folta capigliatura bionda, molto idealizzata. Eva sta tentando Adamo affinché anche lui addenti il
frutto, sempre sotto l'influsso del serpente. La distribuzione dei beni e la morte di Anania del Masaccio: La
scena è ambientata in un borgo del contado nei pressi di Firenze, dove vengono messe a confronto nuove
con vecchie costruzioni di dismesse fabbriche, dove in un piccolo squarcio di sfondo si intravedono sinuosi
colli, in uno dei quali domina un luminoso castello. In primo piano l’infedele Anania si trova stramazzato a
terra ai piedi di un San Pietro tutto ammantato di giallo. La vicenda di Anania, è quella di aver venduto un
campo e poi aver dichiarato alla comunità soltanto una minima parte del guadagno; richiamato dal Santo,
egli cadde a terra fulminato. Disputa di Simon Mago e crocifissione di san Pietro: le due scene si svolgono
fuori dalle mura di Roma (identificabile dalle costruzioni che si intravedono oltre la merlatura e dalla
piramide di Caio Cestio sulle Mura aureliane) con disputa tra Simon Mago, San Pietro e San Paolo al
cospetto di Nerone).Tale disputa nacque dal fatto che Pietro volle sfidare il mago ad indovinare ciò che lui
pensasse presenza dell’imperatore. Simone venne sconfitto da Pietro e ciò è testimoniato dal chiaro gesto
di condanna di Nerone con l’idolo pagano abbattuto ai suoi piedi. A sinistra si svolge l’episodio del martirio
del santo, che non volendo essere crocifisso come il Cristo, chiese ai carnefici di venire appeso a testa in
giù. Dalla sua figura si evidenzia come la straordinaria maestria nella resa anatomica di Filippino fosse ormai
già consolidata all’epoca di Lorenzo il Magnifico. Nelle figure sono stati identificati personaggi dell’epoca: Il
giovane col berretto situato all’estrema destra è lo stesso artista; l’anziano col berretto rosso, al centro del
gruppo della Disputa, è Antonio del Pollaiolo. Il ragazzo appartenente al gruppo della raffigurazione a
sinistra, che sta sotto l’arco con il volto ripreso a tre quarti, è Sandro Botticelli, il celebre maestro del Lippi.
triLiberazione di S. Pietro dal carcere: l'impostazione riprende fedelmente quella della parete opposta dove
si trova San Pietro visitato da san Paolo, ambientato tutto sommato nello stesso carcere. Anche in questo
caso l'architettura è connessa a quella della scena attigua. Il santo è avvolto dall'ampio mantello che
"macchia" di colore la scena e dà al corpo un volume dilatato. Anche la mano, il piede e il volto hanno un
disegno e un chiaroscuro semplificato, che si confanno alla pittura "di getto" masaccesca. Riconoscibile
come più tardo è però l'uso della linea di contorno. Per contrasto invece l'angelo appare molto più
moderno, con la leggera veste e il volto bello e leggermente malinconico che pare uscito da un'opera di
Botticelli, maestro di Filippino. La guardia, armata di spada, dorme in primo piano appoggiata ad un lungo
bastone, con una posizione sciolta e morbida, impensabile per il primo Quattrocento. Nonostante le loro
somiglianze, il distacco tra i due è evidenziato negli affreschi della cacciata e del peccato. Le figure di
Masolino ( il peccato originale) possiedono una morbida consistenza e mostrano un’evidenziata anatomia,
modellato chiaroscuro. La coppia di Masaccio poggia saldamente sul terreno nudo, solcato dalle ombre
prodotte da illuminazione che proviene da in alto a destra. Anche questi corpi sono rappresentati con una
evidenziata anatomia; il modello per il nudo di Eva dovrebbe esser stata una Venire Pudica o la Temperanza
del pulpito di Giovanni Pisano. Dai volti traspare disperazione, con Adamo che si porta le mani sul volto per
la vergogna ed Eva rappresentata con un’espressione quasi di dolore. Gli inizi dell’Angelico e Filippo Lippi I
primi eredi in ambito pittorico sono coloro che studiando la cappella Brancacci, in quanto furono in grado di
mettere in pratica il patrimonio lasciato da Masaccio. Vasari cita per primo Beato Angelico: sia nelle
miniature che nelle tavole offre immagini pure , che giocano su accordi luminosissimi, lo spazio è gestito da
figure leggermente allungate, dalle vesti semplici, a tratti mosse da profili ondulati. Beato Angelico,
Annunciazione, 1430-35, miniatura, Firenze, Museo di S. Marco: qui sfrutta la forma della lettera R per
collocare i protagonisti su spazi diversi, collegandoli su uno sfondo unitario. Sul fondo della lettera,
interamente realizzato in foglia d’oro, è rappresentato l’arcangelo Gabriele, ancora in volo sopra piccole
nuvole, che saluta la Vergine, pronta ad accogliere la missione con la stessa devozione ed obbedienza
narrata dal Vangelo, come accenna il gesto di portare le braccia incrociate al petto. Nell’occhiello della
lettera è Dio Padre nell’atto di mandare la colomba dello Spirito Santo a Maria. Le vesti dei personaggi sono
rese con particolare armonia nei toni delicati; entro il clipeo nel margine inferiore trova spazio la figura di
Isaia, il profeta che predisse la nascita di Cristo, che, volgendo lo sguardo verso la scena, la presenta al
lettore con il gesto della mano. Questi elementi li ritroviamo nella tavola centrale del Trittico di S. Pietro
Martire, del 1425: la Vergine chiusa nel manto animato da pieghe evidenziate dalle ginocchia; vi è una
definizione umana dei personaggi. L'opera è un trittico di transizione, poiché sebbene le cuspidi
suggeriscano la presenza di tre scomparti, in realtà la pittura è dispiegata su un unico piano, senza
interruzioni. Al centro si trova una Maestà (Madonna col Bambino in trono) e ai lati i santi Domenico di
Guzmán, Giovanni Battista, Pietro Martire e Tommaso d'Aquino. Nelle cuspidi si trovano dei quadrilobi con
Angelo annunciante, Vergine annunciata e, al centro, Cristo benedicente. Tra le cuspidi infine sono
disegnati alcune scene della vita di san Pietro Martire: la Predicazione e il Martirio. Lo stile dell'opera
presenta già alcune caratteristiche dell'opera dell'Angelico, come le figure di geometrica purezza, allungate
e con vesti semplici dalle pieghe pesanti, i colori accesi e luminosi e l'uso di uno spazio misurabile. Nella
parte centrale la Vergine è assisa sul seggio coperto da un broccato d'oro, con il Bambino in piedi sulle
ginocchia e con un'ampolla nell'altra, un riferimento al vaso della Maddalena e quindi alla Passione. Il
manto è drappeggiato pesantemente, con le pieghe determinate dalle ginocchia di Maria, ed evoca le
figure plastiche e volumetriche, semplificate, di Masaccio. La posizione leggermente in tralice della Vergine
sembra citare la Sant'Anna Metterza (1425-1425) di Masolino e Masaccio. Il Bambino è abbigliato di una
tunica riccamente bordata d'oro e reca in mano il globo, simbolo del potere di Cristo sulla terra, mentre
l'altra mano è alzata in segno di benedizione. La luce proviene uniformemente da sinistra. A parte il ricco
broccato e le pieghe terminali del manto della Vergine, mancano concessioni alla decorazione, rivelando
un'influenza da parte di Masaccio già presente, che allontana quest'opera dalla precedente Pala di Fiesole
(1424-1425) ancora influenzata prevalentemente da Gentile da Fabriano. Il gradino sotto il seggio della
Vergine sconfina nei pannelli laterali, suggerendo, oltre che uno scorcio prospettico, l'unificazione spaziale
dell'intera scena. I santi laterali hanno le teste sulla stessa linea laterale, come di tradizione, ma i loro piedi
sono disposti in maniera innovativa, con l'arretramento dei due personaggi vicino alla Vergine in modo da
dare l'idea di disporsi a semicerchio attorno al trono. Insolita è anche la presenza di pitture tra gli spazi della
carpenteria delle cuspidi, dove si trovano le scenette della vita di san Pietro Martire, trattate con uno
svagato tono miniaturistico, che ricorda le opere fiorentine coeve di Gentile da Fabriano. Ai lati si trova una
doppia curva di alberi che unifica lo spazio di queste scenette, come se si svolgessero in un unico panorama.
L'autografia di queste scenette è stata oggetto di molti pareri discordanti, arrivando a proporre anche il
nome dell'allievo Benozzo Gozzoli. L'unica cosa certa è che il restauro ha rivelato come la pittura di queste
zone sia coeva al Trittico, per cui parte integrante del dipinto fin dall'inizio. egli anni successivi alla morte di
Masaccio Beato Angelico non è l’unico artista ad apportare modifiche ed evoluzione in campo artistico.
Sono gli anni del Tabernacolo dei Linaioni dell’Angelico e della Madonna dell’Umiltà di Filippo Lippi. Il
Tabernacolo rappresenta il momento di sintesi tra le esperienze formative del pittore e segna l’inizio della
sua fase matura; la Madonna dell’Umiltà ha un evidente impronta masaccesca nella Vergine, nella
dilatazione delle forme dal forte risalto plastico, accompagnato da un interesse per la scultura più attuale
(Donatello, Luca della Robbia). Gli sviluppi di questi due artisti e di Masolino a segnare nuove direttrici sulle
quali si muoverà la pittura dopo Masaccio. Tabernacolo dei Linaioli 1432-33, Museo Nazionale di S.Marco,
Venezia: il tabernacolo è composto da una struttura marmorea rettangolare con cuspide triangolare, dove
si trova una mandorla col Cristo benedicente e Angeli cherubini. Al centro, dentro un'apertura ad arco, si
trova la tavola dell'Angelico, con la Maestà incorniciata da una fascia con dodici angeli musicanti. Davanti si
trovano due sportelli mobili dipinti su entrambi i lati con santi a tutta figura: all'esterno, visibili quando il
tabernacolo è chiuso, si trovano San Marco Evangelista (sinistra) e San Pietro (destra); all'interno San
Giovanni Battista (sinistra) e San Giovanni Evangelista (destra). La pala è completa di predella, divisa in tre
pannelli con: San Pietro detta il Vangelo a san Marco, Adorazione dei Magi e Martirio di san Marco. La
figura di Marco ricorre perché era il protettore della corporazione. Il pannello centrale, sebbene fortemente
danneggiato, presenta uno stile coerente con le prime opere dell'Angelico; la Madonna è incorniciata da
una profusione di broccati e tendaggi dorati, che le donano un'aura di preziosità e sospensione
paragonabile alle icone. l primo pannello della predella mostra San Pietro che detta il Vangelo a san Marco;
il pannello centrale presenta un'innovativa Adorazione dei Magi, dove al posto del tradizionale corteo
disposto orizzontalmente come un fregio si trova una composizione di tipo circolare; la terza scena mostra
il Martirio di san Marco. La parte marmorea è opera di Ghiberti. (tempera su tavola) Madonna dell’umiltà,
1429-32, Pinacoteca castello Sforzesco, Milano: nella composizione predomina un forte impianto plastico a
cui sono soggette le figure disposte a formare una sorta di piramide tra una stretta lingua di giardino e la
volta del cielo che fa da sfondo. La struttura ha il punto focale nel volume della Vergine che, seduta, tiene in
braccio un robusto Bambino con gli occhi puntati verso lo spettatore. Fanno da corona due gruppi di angeli
senza ali e alcuni santi dell’ordine domenicano. (tempera su tavola trasportata su tela) Leon Battista Alberti
A metà degli anni trenta il personaggio chiave è Leon Battista Alberti devoto al passato romano e giunto
stabilmente in città solo nel 1434, quando i testi cardine della rivoluzione figurativa erano già stati creati.
Conduce la sua formazione a Padova, Bologna e Roma, dove radica le sue esperienze nell’umanesimo
romano. Teorizza tutte e tre le arti maggiori affrontando problematiche tecniche ed estetiche. Il De Pictura
e il De Re Aedificatoria sono i testi fondamentali per i decenni seguenti che hanno contribuito alla
diffusione delle conquiste rinascimentali e alla trasformazione dell’artista in intellettuale.
Capitolo III: Il Quattrocento Fiammingo I paesi Fiamminghi godono all’inizio del VX secolo di una grande
prosperità, grazie anche all’annessione al ducato di Borgogna. Filippo II l’Ardito e successivamente Filippo il
Buono riescono a mantenere l’equilibrio tra esigenze di un potere centralizzato e le tradizionali autonomie
locali. Si sviluppa una società cosmopolita, agiata e culturalmente aperta, interessata alla produzione
figurativa. La pittura si pone all’avanguardia del rinnovamento. Nel 1426 viene fondata l’università di
Loviano, che fa da promotore per queste attività culturali. All’interno di questa fioritura artistica va inserita
la pittura di Van Eyck → artefice del rinnovamento, la sua attività artistica è parallela a quella di Masaccio.
Conduce da solo una riforma straordinaria: il suo forte legame che lo unisce al mondo gotico emerge già
dalle prime opere, le miniature. Sono alcuni fogli delle ‘’ Ore di Torino’’ eseguite per Giovanni di Baviera nel
1422\24. In essi l’attenzione alla natura viene approfondita: con la ‘’ Nascita del Battista’’ e il ‘’ Mese di
Giugno’’ , questo ultimo di Pol de Limbourg, probabilmente formatosi nella stessa bottega di Van Eyck:
questo ha gli spazi appena accennati e le figure appaiono estranee allo sfondo in quanto sono solamente
giustapposte ad esso, la luce non ha un ruolo significante; le immagini create da Van Eyck invece sono
caratterizzate dalla completa integrazione di figure e paesaggio unificati dalla luce. Per quanto riguarda la
rappresentazione della realtà adotta soluzioni diverse rispetto a Masaccio: quest’ultimo opera una sintesi
cogliendo la sintesi delle cose in modo razionale, mentre Van Eyck parte da un’analisi dei singoli oggetti;
Masaccio modella con il chiaroscuro, Van Eyk utilizza la tecnica ad olio e opera attraverso velature di colore-
luce traslucide e trasparenti, definendo le superfici e i particolari. Anche se l’Angelico è uno degli artisti più
sensibili alla rappresentazione della luce, V. E. viene considerato un suo parallelo fiammingo, ma un abisso
li separa: la stanza dipinta da Beato Angelico nella ‘’Guarigione del diacono Giustiniano’’ della predella
della Pala di S. Marco è costruito su un unico punto di fuga, mentre nell’opera ‘’ I Coniugi Arnolfini’’ ne
compaiono 4. L’Anglico si serve della prospettiva per creare un piccolo mondo ordinato con una precisa
fonte luminosa che definisce le forme e il loro rapporto nello spazio e dove l’azione si volge sotto gli occhi di
uno spettatore che rimane esterno; la stanza realizzata da Van Eyk è tagliata in modo che ci sia l’illusione di
uno spazio che includa anche lo spettatore: lo spazio si apre all’esterno verso il paesaggio che si intravede
dalla finestra e all’interno viene raddoppiato dallo specchio che riflette le spalle dei protagonisti. Il Maestro
di Flamalle e Rogier Van Der Weyden Alla stessa generazione di Van Eyck appartiene il Maestro di Flamalle,
Robert Campin. Una delle sue opere è il Trittico di Merode rappresentante l’Annunciazione: questo
episodio è rappresentato come un episodio quotidiano e ambientato in un interno borghese. Gli
atteggiamenti dei personaggi sono familiari ma lontani dalla mobilità ieratica di Van Eyck → le sue figure
sono caratterizzate da una definita linea incisa e valorizzate dalla luce. Lo spazio dell’Annunciazione non è
unificato dalla luminosità e gli sfondi appaiono giustapposti ai personaggi. Allievo di Campin è molto
probabilmente Van Der Weyden. I protagonisti delle sue opere sono legati da una catena di sguardi e di
gesti; concentra l’attenzione soprattutto sull’uomo, tralasciando i paesaggi, sugli episodi drammatici o
patetici; utilizza tinte fredde e raffinate. Nella Deposizione del Prado il gruppo delle figure risulta quasi a
bassorilievo, in uno spazio limitato. Il perno è costituito dal corpo di Gesù, la cui posizione obliqua è ripresa
dalla Vergine svenuta; è caratterizzato da un semplice sfondo oro per dare risalto al dramma. Italiani e
fiamminghi Nel 1449 Van der Weyden compì un viaggio in Italia, dove l’interesse verso la pittura fiamminga
si era esplicato intorno al 1440 a diversi livelli. Il primo fu quello della committenza: banchieri e
commercianti italiani commissionavano pale d’altare e ritratti destinandoli alla madrepatria, facendosi
intermediai del nuovo linguaggio; il secondo livello quello della critica, in quanto in Italia la cultura classica
fornì schemi per la valutazione della qualità di un’opera. In Italia i giudizi sull’arte fiamminga erano positivi,
e si spiana così la strada per l’espansione delle opere e per l’assimilazione del linguaggio fiammingo (un
italiano che assimila queste tecniche è Piero della Francesca.
Fiamminghi e italiani
Mentre per gli italiano non era difficile assimilare le tecniche fiamminghe senza intaccare la propria visione,
la nuova visione prospettica dello spazio utilizzata in Italia non poteva non andare ad ‘’intaccare’’ l’arte
fiamminga. Van Der Wayden nella sua Decorpo cposizione assimila quella di Beato Angelico, ordinata
rigorosamente in piani successivi, diviene nell’opera del fiammingo più affollata e complessa. Il gruppo è
posto a semicerchio intorno a Cristo, ma sbilanciato dall’asse diagonale formata dal suo corpo. Alla fine del
secolo la cultura fiamminga sarà ‘’contaminata’’ da quella italiana. Capitolo IV: Le culture di mediazione Il
400 è caratterizzato da una varietà di articolazioni formali ed espressive, è caratterizzato da un contesto
ricco di alternative. Le conquiste rinascimentali trovarono maggior ascolto nelle flessioni meno radicali,
come testimoniano Ghiberti, Masolino e Michelozzo. Essi trovano il loro comun denominatore
nell’atteggiamento di positiva valutazione della tradizione precedente, riordinata sulla base della cultura
umanistica e del rigore prospettico. In campo pittorico Masolino occupa una posizione rilevante. Fa da
tramite per le novità prospettiche in luoghi come Siena o l’Italia settentrionale dove la cultura gotica
prevaleva. Al servizio del Cardinale Branda realizzò le Storie del Battista sulle pareti del battistero e le Storie
della Vergine nella Collegiata. Posto particolare nelle cultura di mediazione va riservato a Siena. È
caratterizzata da un cosciente rcupero e un aggiornamento dell’eredità 2\300esca. Ciò avviene sia in campo
politico che artistico. Gli artisti senesi ebbero precoce conoscenza delle nuove vie battute a Firenze. Paolo
Uccello Si forma presso la bottega di Ghiberti; resterà legato ad un’impronta tardogotica. Tra le sue opere
giovanili spiccano gli affreschi con le Storie della Genesi nel Chiostro Verde di Santa Maria Novella che
termina nel 1425. Il suo successivo soggiorno a Venezia, dove lavora ai mosaici per la facciata di S. Marco, lo
allontana da Firenze proiettandolo in un mondo che accentua la sua evasione fantastica. Le opere che
esegue al ritorno da Firenze testimoniano la sua determinazione a usare il linguaggio tardogotico per
costruire un nuovo universo dal quale vengono esclusi natura e sentimento. Le Storie di Noè con le quali
riprende i lavori del Chiostro di S. Maria Novella, sono costruite su due punti di fuga incrociati, dove i
personaggi si scaglionano senza proporzione: la raffigurazione acquista toni da favola che si ritrova nei tre
episodi della Battaglia di S. Romano, dipinti verso il ’40 per Cosimo de’ Medici: Il condottiero avanza e
ordina l’attacco su di un cavallo bianco bardato con finimenti preziosi. Dietro di lui i trombettieri
trasmettono l’ordine suonando i loro lunghi strumenti. Un araldo avanza sventolando un grande stendardo.
L’esercito di Firenze giunge intanto da sinistra per cogliere di sorpresa i senesi. Sul terreno sono caduti pezzi
di lance, armi e armature. Un soldato è a terra disteso sotto gli zoccoli dei soldati di Firenze. Le armature
che vengono raffigurate erano utilizzate nei tornei cavallereschi. Una siepe con fiori divide la scena dal
paesaggio della campagna toscana dove giovani nobili cacciano armati di balestra e giavellotto. Lo stesso
effetto di evocazione fantastica è realizzato da Antonio Averlino, che si scelse il soprannome Filarete. Nel
’45 termina i battenti in bronzo per la Porta di S. Pietro. Era di origini fiorentine e di educazione ghibertiana.
Nell’affrontare il compito (battenti S. Pietro) mette in campo un’ammirazione per l’antichità: ogni battente
è diviso in solo 3 riquadri sovrapposti, raffiguranti a sinistra Cristo, S. Paolo e il martirio di quest’ultimo; a
destra la Vergine, S. Pietro e la sua Crocifissione, separati da fregi rettangolari con episodi del pontificato di
Eugenio IV, il tutto cir condato da girali d’acanto. Gli stessi termini sono utilizzati nell’opera di Jacopo
Bellini: fu allievo di Gentile da Fabriano e capostipite di una bottega dove si formeranno i figli Gentile e
Giovanni. Ha un’impronta rinascimentale assimilata nelle corti umanistiche.
Capitolo V:
Alla metà del secolo Stabilizzazione della politica intorno agli anni ’40 grazie alla Pace di Lodi (1454): l’Italia
viene spartita in 5 stati, che man mano vedono l’accentramento del potere nelle mani di un Signore; la
borghesia diventa meno attiva, assumendo atteggiamenti aristocratici lontani dal rifiuto dell’ostentazione
→ le arti figurative risentono di questo mutamento ma accrescono gli scambi culturali: nascono correnti
che arricchiscono il panorama artistico. Il primo fenomeno a nascere viene battezzato da Ferdinando
Bologna ‘’ congiuntura Nord-Sud’’, con epicentro a Napoli: Con l'espressione "congiuntura Nord-Sud" si
indica quella corrente in cui gli elementi fiamminghi e mediterranei si fondevano insieme, favoriti dai
commerci e dalle relazioni politiche. Questo fenomeno tocca anche alcune personalità francesi, tedesche e
austriache. A Firenze nasce un linguaggio ricco, ornato e flessibile. In questi anni inoltre prende avvio una
reazione a catene con l’espansione del linguaggio toscano in diversi centri italiani, innescata principalmente
dallo spostamento degli artisti. Inoltre, Roma, con il pontificato di Niccolò V esce dal periodo di torpore
dovuto al soggiorno avignonese → cattività avignonese: il periodo della storia compreso tra il 1309 e il
1377, durante il quale la sede papale venne trasferita ad Avignone, mentre il 1377 fu l'ultimo anno in cui i
pontefici rimasero nella città francese; Il papa Gregorio XI riporta il papato a Roma. La Congiuntura Nord-
Sud L’opera di Donato de’ Bernardi può essere considerata un caso di precocità. Nato a Pavia nelle sue
opere si riallaccia al gusto lombardo; nel trittico con la ‘’ Madonna dell’umiltà’’ è evidente l’attenzione alla
verità del personaggio, un colore più unito e compatto che lo fa avvicinare ad una matrice fiamminga. La
sua carriera si svolse a Genova, uno dei vari empori della cultura fiamminga in Italia. L’unione tra la cultura
fiamminga e quella lombarda è rappresentata nella ‘’Crocifissione’’ di Savona, una delle ultime opere di
Donato, insolita anche per il grande formato. Della stessa linea di pensiero artistica sono: Zanetto Bugatto,
ritrattista alla corte degli Sforza, mandato a perfezionarsi presso Rogier Van Der Weden; Carlo Braccesco,
milanese, attivo soprattutto in Liguria. Le componenti di questa cultura le troviamo nella realizzazione del
trittico con l’Annunciazione oggi al Louvre: L'opera è composta da tre pannelli. In quello centrale si svolge
l'Annunciazione in un arioso loggiato, chiuso da un alto parapetto decorato a girali marmoree, oltre il quale
si vede un ampio paesaggio con una città, Su un pavimento a scacchi in prospettiva, la cui spazialità è
suggerita anche da un gradino, si trova lo scranno della Vergine, che si è appena levata in piedi spaventata
dall'Angelo che scivola su una sorta di disco d'oro dal cielo. Ella alza un braccio per proteggersi
schivamente, mentre con l'altro si aggrappa smarrita alla vicina colonna. Nei pannelli laterali si trovano a
sinistra San Benedetto e santo vescovo e a destra i Santi Stefano e Alberto carmelitano. Napoli e le rotte
mediterranee A Napoli troviamo due diversi momenti di influenza franco-fiamminga, legati alla
dominazione politica: quella di Renato d’Angiò e dal 1444 quella di Alfonso d’Aragona. Dal ’38 al ’42
risedette a Napoli il re Renato d’Angiò, amante delle arti e pittore. La sua vita gli permettere di conoscere
molti artisti fiamminghi, come ad esempio Van Eyck. A Napoli introduce un misto di analisi fiamminga e
plasticità borgognona, questo attraverso le opere del famoso Maestro dell’Annunciazione di Aix: questa pur
se smembrata, attira l’attenzione non sulla resa mimetica ma al plasticismo modellato e a una luce intensa
che unifica lo spazio e le figure. Questi caratteri sono evidenti anche nelle miniature. È databile al 1443-
1445 e proviene dalla Cattedrale di San Salvatore di Aix-en-Provence, mentre oggi è smembrato in più
musei: il pannello centrale dell'Annunciazione si trova ad Aix-en-Provence nella chiesa della Maddalena; il
pannello sinistro col profeta Isaia è diviso in due parti, il profeta al Museo Boijmans Van Beuningen di
Rotterdam, mentre la parte alta con uno scaffale pieno di libri ed oggetti vari è conservata al Rijksmuseum
di Amsterdam; lo scomparto destro con il profeta Geremia è infine al Museo reale delle belle arti del Belgio
di Bruxelles. Sul rovescio degli scomparti laterali è dipinto un Noli me tangere. Il maggiore pittore
napoletano del periodo è Colantonio: nei due pannelli pricipali della grande pala d’altare di S. Lorenzo
Maggiore, ‘’ La consegna della regola francescana e S. Gerolamo nello studio), eseguiti in tempi
leggermente diversi, riporta i due momenti culturali (Renato d’Angiò e Alfonso d’Aragona). La consegna
della regola francescana, Museo Nazionale di Capodimonte, 1445: La figura in piedi di San Francesco
occupa il centro di questa tavola come una colonna portante. Contro lo sfondo dorato, il suo semplice abito
marrone assume un colore più chiaro rispetto a quelli della congregazione che lo precedono, come se fosse
il più santo di tutti. Egli sta consegnando la regola del suo ordine ai fratelli francescani a sinistra e all'ordine
della sorelle delle Clarisse a destra. Questo pannello faceva parte di un polittico realizzato da Colantonio in
gioventù per la più importante chiesa francescana a Napoli, San Lorenzo. Questa tavola comprendeva
anche S. Gerolamo nello studio, stesso anno e stessa ubicazione: In questo dipinto possiamo ammirare, al
centro, San Girolamo, intento nel togliere la spina dalla zampa del leone. La leggenda narra che in un
monastero francescano ove risiedeva San Girolamo, arrivò un leone ferito: tutti i monaci scapparono,
tranne il santo che, invece, andò incontro al leone e lo curò. Nel dipinto, proprio in onore della
commissione francescana, San Girolamo non veste gli abiti cardinalizi ma indossa un abito francescano. Il
pittore Colantonio, però, ricorda il ruolo del santo all’interno della Chiesa cattolica, ponendo il suo berretto
porporato a sinistra, posto su un tavolino. Il rapporto con la natura fiamminga è comprovato anche dalla
realizzazione dello studio del santo. Le pergamene, i libri, i calamai, le ampolle sono dipinti con una
ricchezza di dettagli straordinaria che ricorda non solo le pitture fiamminghe ma anche le opere di
Antonello da Messina, di cui Colantonio era stato maestro. Nel 1444 Alfonso I d’Aragona si era insediato sul
trono di Napoli portando la città ad un giro di scambi commerciali con altri territori della corona,
estendendo gli incontri da nord a sud. Firenze 1440-69 → anni di elaborazione dell’eredità della
generazione precedente; Cosimo de’ Medici al suo rientro a Firenze continuava ad improntare il suo
comportamento a modelli derivati dallo stoicismo ciceroniano → spiegazione del perché commissionava
opere pubbliche semplici e sobrie, come Palazzo Medici o il Convento di S. Marco. Diverse erano le opere di
destinazione privata, come il David- Mercurio in bronzo commissionato a Donaello per il cortile di Palazzo
Medici. Che si tratti dell’eroe o del dio, Donatello ne da un’interpretazione intellettualistica raffinata,
soddisfacendo le aspettative di un ambiente colto e aristocratico: la testa ombreggiata dal copricapo, la
posizione del corpo riprende il gusto prassitelico. Il gusto si accentua con Piero de’ Medici che preferiva le
collezioni di piccoli oggetti in quanto simboli di prestigio sociale. Filippo Lippi, Domenico Veneziano, Andrea
del Castagno Nelle raccolte medicee erano presenti anche molte opere fiamminghe: il S. Gerolamo di Van
Eyck, il Ritratto di giovane donna di Petrus Christus. Si segnala l’attività di un’artista portoghese, Giovanni di
Consalvo, che negli affreschi con ‘’Storie benedettine’’ del Chiostro degli Aranci illustra le possibilità di una
sintesi tra linguaggio italiano e fiammingo, unendo la spazialità, appresa soprattutto da Beato Angelico, con
l’uso fiammingo della luce. Uno dei primi ad utilizzare questa unione nelle sue opere fu Filippo Lippi: eseguì
la ‘’ Madonna di Tarquinia’’ inserendo il risalto plastico di masaccio e il gusto donatellliano per lo scorcio,
uniti ad una precisa attenzione per l’ambiente e per la luminosità. Questa modalità di rappresentazione è
ancor più profonda in Domenico Veneziano. Della sua formazione non si sa molto, probabilmente la compì
a Venezia e la completò tra Firenze e Roma al seguito di Gentile e Pisanello. Elegante e suntuoso è il tondo
con l’Adorazione dei Magi, commissionato da Piero de’ Medici: sullo sfondo di un ridente paesaggio
collinare, con campi coltivati, borghi fortificati e prati verdeggianti punteggiati di candide pecore e tagliati
da strade sinuose, si svolge il sontuoso corteo dei Magi che approda in primo piano. I tre re si inginocchiano
al cospetto di Gesù, presentato come in un solenne rituale di corte da Maria sulle proprie ginocchia, con
Giuseppe a fianco. Il giovane, con la veste bianca e nera, che tiene un falcone sulla mano inguantata,
potrebbe essere identificato con Piero de’ Medici, committente dell’opera. Invece il giovane, che gli sta
accanto e che sta sollevando la corona dalla testa del mago, è stato identificato con Giovanni de’ Medici, il
fratelo. Il tondo di Domenico Veneziano esemplifica il gusto raffinato e colto di Piero. Alberti nel trattato del
De Pictura, scritto a Firenze nel 1435, concetti in stretta sintonia con il gusto di Piero de’ Medici. Nel tondo
dell’Adorazione dei Magi si ritrovano una appropriata “copia e varietà delle cose”, la “vezzosa grazia”,
l’”amistà dei colori” che costituivano la bellezza e la “dignità” di un’opera. L’anno successivo alla
realizzazione dell’opera gli vennero commissionati gli affreschi absidali in Sant’Egidio, da realizzare con
Piero della Francesca. Nella pala di Santa Lucia de’ Magnoli, la Sacra conversazione centrale, ambientata in
una loggia aperta, è impostata secondo uno schema prospettico a tre punti di fuga, che dimostra come
Domenico seguisse le sperimentazioni spaziali più avanzate. L’elemento dominante è la luce mattutina che
definisce i volumi dell’architettura e dei personaggi. Il profilo di Santa Lucia si staglia sul verde
dell’architettura grazie al suo volto molto chiaro. All’influenza fiamminga è da collegare anche l’interesse
per il paesaggio, manifesto nell opere del Pollaiolo e in quelle di Alessio Baldovinetti. Apollo e Dafne (1),
Pollaiolo, 1460-70, Londra National Gallery \ la Natività (2), Baldovinetti, 1462, Firenze, chiesa della SS.
Annunziata, Chiostro dei volti: presentano entrambi un’impaginazione tipicamente nordica: figure in primo
piano rialzate, stagliate contro fondali profondi. Interpretazione sensibile ripresa anche nell’Adorazione del
Bambino (3) Filippo Lippi. 1. L'opera mostra l'episodio tratto dalle Metamorfosi di Ovidio in cui Apollo
insegue la ninfa Dafne, ma quando la raggiunge essa si trasforma in un albero di alloro per sfuggirgli.
L'istante rappresentato è proprio quello della trasformazione, con la donna le cui braccia si sono già
trasformate in rami, mentre il dio l'afferra sollevandola in vita. La figura di Apollo è caratterizzata da un
certo dinamismo e da una puntuale resa anatomica, con una linea di contorno tesa ed elastica nelle gambe
che delinea lo scatto muscolare. Dafne invece è nella metà inferiore dinamica e in quella superiore
estremamente statica, come a voler sottolineare la trasformazione in atto in un oggetto immobile quale un
albero. La sua espressione è serena e non tradisce alcun sentimento. La scena si svolge sullo sfondo di un
ampio paesaggio fluviale, che sfuma dolcemente in lontananza per via dell'effetto della foschia.
Nonostante la carente conservazione dell'opera, in parte dipinta a secco sebbene riparata dal portico, vi si
rileva ancora oggi una cura attenta al dettaglio naturalistico, soprattutto nel vasto paesaggio che fa da
sfondo alla scena, visto a volo d'uccello con una profondità straordinaria. In primo piano, a destra, sta la
capanna della Natività, in rovina come da tradizione, con al centro il Bambino affiancato da Maria in
preghiera, Giuseppe dormiente, il bue e l’asinello. A destra accorrono due pastori, mentre a sinistra altri
due ricevono l'annuncio da parte dell'angelo. In alto volano quattro angeli, ciascuno scorciato in maniera
diversa. 3.Realizzata tra il 1458 e il 1460 per volontà di Piero de' Medici e della moglie Lucrezia Tornabuoni.
Oggi è conservata a Berlino. Lippi aggiunge alla rappresentazione di questa visione estatica San Giovanni
Battista (santo patrono di Firenze) adolescente, vestito con un mantello foderato di pelle e con in mano la
verga cruciforme ornata con il tradizionale filatterio che reca l'iscrizione Ecce Agnus Dei. In cielo appare Dio
Padre che benedice la scena e al di sotto si profila la colomba dello Spirito Santo, i cui raggi scendono sul
gruppo sottostante; la scena è costruita su un paesaggio onusto di alberi e piante, il cui aspetto non è
dissimile dagli sfondi degli arazzi fiamminghi e nordici importati dalla famiglia de' Medici a Firenze. Nel
percorso artistico di Lippi è importante il ciclo di affreschi realizzato per il duomo di Prato con le Storie dei
Santi Stefano e Giovanni: l’episodio della nascita di S. Stefano è dominato dalle figure umane e dal loro
dinamismo. Il senso di moto è accentuato dagli scorci profondi delle architetture, costruite secondo plurimi
punti di vista e dal chiaroscuro. Masaccio e Donatello sono gli artisti che pesano di più nella formazione di
Andrea del Castagno: la sua pittura si distingue dal gusto corrente e si sviluppa su basi prospettiche. nel
1447 torna a Firenze ed esegue un ciclo di affreschi sulla parete di fondo del refettorio di Sant’Apollonia: la
parete era divisa in due registri, il più basso interamente occupato dalla raffigurazione dell’Ultima Cena.
L’ambiente ricco e solenne con un evidente gusto antico. Il registro superiore accoglie scene che si svolgono
all’aperto, la deposizione, la crocifissione, la resurrezione, con una luce che evidenzia corpi e paesaggi.
Anche nelle opere più tarde accentua l’espressività dei personaggi e il realismo, punti che prenderanno
come riferimento gli artisti ferraresi. eato Angelico Tra i continuatori di Masaccio, occupa un posto
particolare per la sua peculiare cultura: esponente convinto della tradizione tomistica si sforza di saldare le
conquiste rinascimentali con valori risalenti all’estetica medievale. La continuità con Masaccio la ritroviamo
nell’uso della luce con cui è costruita la pala dell’ ‘’Incoronazione della Vergine’’ . Lo sprofondare dello
spazio è scandito dai gradini e dallo scaglionarsi simmetrico delle figure; gli oggetti e i corpi sono volumi
rivestiti da un colore lucente e quasi privo di ombre. Due palcoscenici sovrapposti descrivono l’evento
celestiale. Schiere di angeli e un pubblico di personaggi vestiti in modo ricco ed elegante con tessuti dai
colori preziosi assistono all’incoronazione di Maria. L’Incoronazione della Vergine realizzata da Beato
Angelico, proviene dalla chiesa di San Domenico a Fiesole. Esiste un’altra Incoronazione della Vergine
dipinta da Beato Angelico custodita alla Galleria degli Uffizi. I Santi visti di schiena in primo piano sono
dipinti in modo innovativo rispetto alla tradizione. Queste figure infatti assumono un aspetto monumentale
e plastico che le avvicina alle figure di Masaccio. Tipica cifra stilistica di Beato Angelico è la decorazione
ricca e curata delle vesti. I colori sono chiari e brillanti e le forme modellate con un debole chiaroscuro
realizzato con lo stesso tono variato leggermente nella luminosità. La prospettiva rappresentata all’interno
di questo dipinto non è, ancora, perfettamente corretta. La scena infatti è strutturata su due registri
sovrapposti. Quello superiore è riservato a Cristo che incorona Maria. Nel registro inferiore invece i Santi
che assistono sono disposti simmetricamente rispetto al centro. La prospettiva di sovrapposizione è
riservata alla descrizione delle schiere angeliche disposte simmetricamente a destra del trono. Gli angeli poi
sembrano sovrapposti in profondità all’infinito. La composizione è rigidamente simmetrica e ogni figura
contribuisce a creare un impianto forte e speculare. Le componenti fiamminghe si accentuano nella
decorazione del convento di S. Marco. La ‘’Madonna delle ombre’’ è dipinta sulla parete di un corridoio
illuminato da sinistra dalla luce di una finestrella; anche nell’affresco proviene da sinistra e proietta le
ombre dei capitelli. Le due ali formate dai santi di sinistra e di destra creano deboli fugheprospettiche che
suggeriscono la profondità occupata dai loro corpi. Inoltre il basamento marmoreo sul quale si trova la
Vergine con il Bambino è costruito in prospettiva come la decorazione superiore. Infine anche le ombre
proiettate dai capitelli sulla parete contribuiscono a creare la sensazione di tridimensionalità spaziale. Il
convento di S. Marco era stato ristrutturato da Michelozzo a partire dal 1437, incaricato da Cosimo de’
Medici, e la direzione della decorazione pittorica era stata affidata a Beato Angelico. Ogni cella era decorata
con un affresco delle Sacre Scritture. Nel ‘’Cristo deriso’’ del 1438, la scena principale è collocata alle spalle
della Vergine, collocata in basso a sinistra, e di S. Domenico, in basso a destra. La composizione è impostata
su uno schema triangolare ed è caratterizzata da una semplicità cromatica. Roma Si consolida il potere
papale e si riafferma la monarchia → questo porta Roma a tornare uno dei poli principali della produzione
artistica. Sisto IV porta un piano di riassetto articolato su 5 punti fondamentali: il ripristino delle mura, il
restauro o la ricostruzione delle 40 chiese stazionali, ampliamento di S. Pietro e ristrutturazione del palazzo
pontificio. Vuole dar vita ad una cittadella religiosa facente perno su S. Pietro → vuole intrecciarne il
desiderio di esaltare la potenza della chiesa esaltando così la connessione, la continuazione tra la Roma
imperiale e la Roma cristiana. Per questo progetto, non portato a termine a causa del breve pontificato, il
pontefice convoca artisti di diversa formazione. Importante è la figura di Leon Battista Alberti, che già nel
1443-45 aveva steso la Descripto Urbis Romae; nel ’52 gli dedicò al papa il suo tratta De re Aedificatoria.
Capitolo VI: Artisti\ artigiani Verso la metà del secolo le teorie umanistiche sull’arte mirano in modo più o
meno esplicito a fare dell’artista un ideatore di forme e non un semplice produttore di oggetti,
promuovendolo come artefice ‘’ liberale’’. Questo processo inizia nel ‘300 come vediamo negli scritti di
Dante, Petrarca, Boccaccio; all’interno di questi si delinea l’idea che il valore di un’opera sta nella fedeltà
riproduttiva nei confronti del reale e non nella preziosità del materiale o nel piacere che può procurare.
L’artista rivendica in se il privilegio di riuscire a concentrare in se la capacità creativa mimetica e l’abilità
tecnica. Il ragazzino che voleva intraprendere la ‘’carriera’’ di artista veniva introdotto nella bottega come
apprendista. Questa permanenza andava tra i 3 e i 12 anni, durante i quali viveva con il maestro. I discepoli
ricevevano vitto e alloggio e alcune volte un piccolo salario. In tutte le botteghe, oltre gli apprendisti,
esistevano impiegati con un salario fisso che compivano funzioni costanti senza mirare a diventare maestri
autonomi. Una costante per l’apprendista era la pratica del disegno: quest’ultimo era la matrice unitaria di
tutte la arti. Ciò che viene prodotto in queste botteghe veniva diviso per categorie: oggetti più correnti
come ad esempio arredi ecclesiastici, e vi erano opere di maggiore impegno eseguite su commissione,
pubblica o privata. Il rapporto tra committente e maestro era regolato da un contratto dove si
determinavano le caratteristiche dell’oggetto, il prezzo e il metodo di pagamento. L’artefice elaborava un
disegno che realizzava solo dopo l’approvazione del committente. Riguardo il metodo di pagamento, ai
primi del 400 l’artista veniva pagato in base alla quantità di lavoro e alla preziosità dei materiali. A questi
era riservata un’attenzione particolare; nel corso del secolo diventa più importante la capacità del maestro.
Giotto bellosi
GIOTTO
LE PRIME OPERE
La figura di Giotto è simbolo di un rinnovamento profondo nella storia della civiltà figurativa occidentale,
anzi del primo rinnovamento radicale dopo l’antichità. Ne parlano già i suoi contemporanei, poi Ghiberti e
Vasari. Boccaccio in una novella del Decameron parla di lui come il miglior pittore del mondo. I Bardi e i
Peruzzi, cioè le famiglie fiorentine titolari delle più importanti banche europee di allora, sono i suoi
committenti. Lavora per commissioni prestigiose, come quella per la basilica di San Francesco ad Assisi.
Lavora per il papa, per il più ricco e influente cittadino di Padova, per la cappella e per l’altare maggiore
della basilica di San Pietro a Roma, per il re di Napoli e per il signore di Milano.
Le sue prime manifestazioni coerenti si hanno nella decorazione della basilica superiore di Assisi: si tratta
delle storie del Vecchio Testamento (dalla Benedizione di Isacco), della Volta dei Dottori, delle storie del
Nuovo Testamento e il ciclo delle Storie di san Francesco. C’è chi pensa che gli affreschi di Assisi siano
soltanto un riflesso dell’arte di Giotto, di epoca successiva all’opera padovana (Cappella degli Scrovegni). È,
però, praticamente impossibile credere a questa teoria: i piccoli angeli che fanno da comparse in certe
scene, come la Deposizione, si mostrano solo a mezza figura, esattamente come voleva la pittura 200esca e
come li aveva rappresentati Cimabue; a Padova, invece, essi sono concepiti come se una nuvoletta
nascondesse la metà inferiore del loro corpo. Nel contesto generale della decorazione della basilica
superiore le parti giottesche si distinguono nettamente, non solo per caratteristiche personali, ma perché
rappresentano un ordine di idee completamente nuovo. La concezione dell’affresco è mutata: per Cimabue
e per i pittori medievali, la parete da affrescare era una superficie e la figurazione che la riempiva era calata
in uno spazio bidimensionale; invece, gli affreschi giotteschi della basilica superiore sono concepiti come se
fossero incorniciati dall’architettura stessa della chiesa e le cose sono rappresentate nella tridimensionalità,
come ci appaiono realmente. Le pareti con le storie di san Francesco hanno un’articolazione architettonica
fittizia, a partire dalla tenda dipinta in basso che corre lungo tutta la parete fino all’incorniciatura delle
storie basata su una divisione a 3 per ogni campata: la base di piccole mensole, le colonne che sostengono
un soffitto a cassettoni su cui poggiano robuste mensole. Questo illusionismo architettonico si dispone in
modo che in una veduta laterale la campata sembra obliqua, mentre in una veduta dal centro sembra
orizzontale. Le scene iniziano con le due storie di Isacco in uno spazio delimitato e ricco di punti di
riferimento. La visione dello spazio proposto ad Assisi trova vasto consenso in Italia e poi, nella seconda
metà del ‘300, anche fuori d’Italia, nella pianura fiamminga.
La pittura di Giotto è molto più povera di quello che lo ha preceduto, più semplice. L’idea di ricostruire su
una superficie a due dimensioni uno spazio in 3D significa restituire alla realtà un valore che aveva perso
perché il Medioevo considerava la realtà ultraterrena come quella vera. Il ribaltamento di questa
concezione in Giotto vanno in parallelo con alcune correnti di pensiero che porteranno al nominalismo di
Ockham. Questa capacità di rinnovare la pittura guardando la realtà con i propri occhi cancella le tradizioni
bizantine e la cultura pittorica bizantina e tutte quelle formule figurative astratte presenti in Cimabue e
Duccio. Giotto usa naturalezza e dà all’umanità un aspetto più terreno, come nel crocifisso di Santa Maria
Novella a Firenze, in cui il corpo del Cristo pende pesantemente e Maria e San Giovanni, ai lati della croce,
sono quasi intercambiabili con le figure di Esaù e di Giacobbe nelle storie di Isacco: spalle squadrate e
ampie, sguardi addolorati, posa solenne, vesti classiche sono tratti dello stesso artista. Dopo le due storie di
Isacco, gli affreschi di Assisi continuano con storie del Vecchio (le storie di Giuseppe) e del Nuovo
Testamento (come il battesimo, l’Ascensione, la Pentecoste, le figure di san Pietro e di San Paolo). In tutto
questo complesso, Giotto era aiutato da un gruppo di collaboratori e non tutto è all’altezza delle due storie
di Isacco. Le 4 vele della volta raffigurano i dottori della chiesa: sono 4, accompagnati dai loro segretari e da
un busto di Cristo dentro una nuvola, in alto. Sono fatti convergere verso il vertice del triangolo che li
accoglie e rendono per la prima volta in pittura gli effetti policromi dei marmi bianchi e le sfumature dei
mobili in legno, degli scrittoi e dei rotoli su cui scrivevano.
L’esecuzione delle Storie di san Francesco ha avuto inizio a partire dal Dono del mantello al povero
gentiluomo, che è la seconda delle 28 storie; mentre la prima con l’Omaggio dell’uomo semplice, fu
probabilmente dipinta per ultima. Questo perché nello spazio del primo riquadro andava acadere la trave
dell’iconostasi, il cui spezzone è visibile ancora oggi; fu evidentemente quando si arrivò alla fine della
decorazione che si decise di affrescare anche l’ultimo e il primo riquadro. Le differenze fra la prima e la
seconda scena sono notevolissime: nell’Omaggio dell’uomo semplice la stesura pittorica si è ammorbidita, i
passaggi sono più sfumati e le vesti hanno una consistenza soffice; il Dono del mantello è invece ancora
caratterizzato da una pittura trasparente, la testa del giovane Francesco è molto più affine a quelle di Esaù e
Giacobbe. La squadra di Giotto e dei suoi collaboratori è passata ad eseguire le Storie di san Francesco sulle
quali si soffermano per più tempo, sia perché lo spazio era più ampio, sia perché il lavoro era più vicino
all’occhio dello spettatore e quindi necessitava più attenzione.
La finta incorniciatura delle Storie di San Francesco è divisa in 3 riquadri quadrati, salvo quella di ingresso
che ne ha 4 e la parete di controfacciata che ne ha 2. Sono rappresentate 28 storie che seguono la biografia
ufficiale del santo Legenda Maior di San Bonaventura.
Dono del mantello al vecchio gentiluomo: è ambientata in un paesaggio aperto fatto di costoni di roccia su
cui sono appollaiati dei caseggiati. A sinistra è rappresentata Assisi, cinta da mura merlate con la chiesa di
San Damiano fuori porta. Il cielo sul fondo è di un blu astratto. Le montagne così pietrose sono di eredità
bizantina. Il mantello donato ci riporta alle storie di Isacco ed è realizzato con cavità e effetti chiaro-scuri
reali.
Visione del palazzo con le armi: la coperta che avvolge san Francesco mentre dorme è un pezzo di
pittura sorprendentemente percorritrice del trompe-l’oeil.
Sogno di Innocenzo: l’alcova ricorda le storie di Isacco anche se l’arredo del letto e l’architettura sembrino
alludere più chiaramente agli usi del tempo di Giotto. I due sogni: il primo è costituito da un singolare
palazzo, ricco di allusioni all’architettura gotica italiana e appoggiato sul pavimento accanto al letto; il
secondo della basilica di San Giovanni in Laterano, collocata anch’essa accanto all’alcova e descritta
secondo l’aspetto che le aveva dato il restauro di Nicolò IV nel 1290.
Crocifisso di San Damiano: due soli elementi la chiesa diroccata con il crocefisso sull’altare e il giovane
Francesco inginocchiato. Questi due elementi sono però distaccati fra di loro: una cosa è la chiesa, un’altra
è la figura di Francesco che si colloca nella chiesa e il rapporto proporzionale con essa è del tutto fuori scala.
Questa tecnica è ripresa dalla pittura fiamminga.
Rinuncia degli averi: l’ira del padre si esprime nel volto contratto, nel tirarsi su la veste per lanciarsi contro
il figlio, ma soprattutto nel braccio trattenuto dall’amico e nel pugno teso.
Predica davanti a papa Onorio: il gesto, l’atteggiamento, l’espressione del volto sono “parlanti” e indicano
dei modelli di mimica per la pittura 300esca. Il gesto di S. Francesco è stato interpretato come volgare, ma
al tempo di Giotto non lo era.
Deposizione: fa parte degli affreschi delle pareti alte. Questa scena veniva raffigurata di solito da un
accalcarsi convulso e urlante intorno al corpo di Cristo, mentre qui diventa un’alta recitazione del cordoglio,
evocante i gesti della statuaria classica. A differenza delle storie di San Francesco il tono è molto più vivace.
Si fa una distinzione quasi involontaria tra Cristo e i Santi, ai quali corrispondono termini aulici e solenni. È il
tempo in cui anche Dante teorizza molteplici livelli di stile: uno stile “superiore” per la tragedia, uno stile
“inferiore” per la commedia e lo stile die miseri per l’elegia, cui si adattava rispettivamente un “volgare
illustre”, un “volgare ora mediocre ora umile” e un “volgare esclusivamente umile”. Del resto, quando
Jacopo Torriti inserisce nei mosaici absidali di San Giovanni in Laterano e di Santa Maria Maggiore a Roma
le figure di san Francesco e di sant’Antonio da Padova li raffigura più piccoli, come ripiegati su se stessi,
meno dignitosi a questi santi recenti veniva attribuita una dignità inferiore.
La conferma della regola: presenta l’impianto “spazioso” più organico e unitario di tutti gli affreschi della
basilica superiore, insieme alla Predica davanti ad Onorio. Sono due degli esempi più pragmatici della
concezione dello spazio come scatola cubica aperta sul davanti che è propria di Giotto. Sembra che
l’attenzione sia concentrata sulle parti alte, articolate da una serie di archetti fortemente aggettanti su
robuste mensole nel primo affresco, occupate dalle prime volte a crociera messe in prospettiva sella pittura
italiana nel secondo. Lo schieramento dei frati inginocchiati dietro a san Francesco è per file disposte in
profondità, prima di Giotto lo schieramento delle figure era sempre orizzontale e per file parallele alla
superficie dipinta.
Visione del carro di fuoco: è straordinaria l’idea dei frati che dormono, uno dei quali rinnova in modo più
espressionistico lo scorcio del soldato che dormiva appoggiando la testa sul dorso della mano nella
Resurrezione delle pareti alte.
Visione dei troni: impressionano l’oggettualità da trompe-l’oeil dei seggi sospesi in aria e l’osservazione del
lampadario davanti all’altare sospeso da una corda che permette di farlo salire e scendere per rinnovare
l’olio.
Cacciata dei diavoli da Arezzo: la città è realizzata in salita con le case tutte attaccate e senza spazi,
completamente murata; mentre la veduta absidale della grande chiesa sulla sx assomiglia a quella della
Pieve aretina.
Presepe di Greccio: è l’interno di una chiesa vista dal presbiterio, al di qua della transenna che lo divide
dalla navata e a cui le donne non hanno accesso; esse, infatti, sono inquadrate nel vano dell’apertura dal
quale guardano la scena senza attraversarlo. Tutto è visto dall’interno e da dietro: l’ambone con i ceri
accesi, il mobile che sostiene il leggio con il corale su cui i frati cantori leggono il canto, il tabernacolo
arnolfiano sopra l’altare inghirlandato per la festa di Natale e il tergo della croce che pende verso la navata
con la sua parchettatura lignea perfettamente in vista e la trave su cui è appesa la corda per tenerla
sospesa.
PARETE DI FONDO
Miracolo dell’assetato e la Predica agli uccelli: la prima è la più giottesca e c’è una concezione
paesaggistica particolare che si può notare nella figura dell’asino, nella seconda la scena è in aperta
pianura.
Madonna con bambino tra due angeli: si situa tra le due storie precedenti entro 3 tondi.
PRIMA CAMPATA DELLA PARETE SINISTRA
Cavaliere di Celano: c’è una tavola apparecchiata con le vivande, le stoviglie e la posateria.
Predica ad Onorio: fitta decorazione cosmatesca dello sgabello del papa.
L’apparizione del capitolo di Arles: è collocata in una veduta in tralice dell’aula capitolare, con la parete di
fondo suddivisa da 3 aperture. Le figure massicce dei frati visti di spalle anticipano certe soluzioni della
Deposizione di Padova.
Stimmate: la straordinaria trasparenza delle rocce assume una luminosità come fosforescente. Per gli
affreschi successivi la paternità giottesca è in dubbio: ad esempio, l’ultima campata è attribuita al maestro
di santa Cecilia l’artista non lavorava mai da solo.
Compianto delle clarisse: è il meglio conservato fra gli affreschi della seconda campata della parete sinistra.
Compare per la prima volta in pittura l’intera facciata di una basilica gotica centroitaliana, decorata non
solo da marmo e dai motivi cosmateschi, ma anche da un fitto gruppo di sculture.
Canonizzazione: è danneggiata. Trovandosi a dover figurare delle storie quasi contemporanee Giotto ha
rivestito i personaggi laici degli abiti a lui contemporanei. Nel valutare il registro stilistico tra gli affreschi
delle pareti alte e le storie francescane, va tenuto presente che Giotto era stato preceduto proprio ad Assisi
dall’anonimo autore della tavola di Santa Chiara, nella quale i personaggi laici delle storiette laterali vestono
abiti inconfondibilmente contemporanei. Le loro fogge trovano ancora molti punti di contatto con le storie
francescane, mentre sono decisamente sorpassate negli affreschi della cappella dell’arena.
Apparizione a Gregorio IX: questa volta la costruzione spaziale non è perfettamente centralizzata.
La tenda sospesa al soffitto cassettonato, che aumenta la credibilità del vano spaziale in cui si svolge la
figurazione. Le ultime storie francescane sono caratterizzate da un’estrema gracilità delle architetture e le
figure si fanno sottili e allungate. Si è perfino pensato che questi ultimi affreschi di Assisi riflettano già il
momento padovano di Giotto. Si noterà quanto difettosi e incongrui, da un punto di vista strettamente
naturalistico, siano i profili messi in opera in questi affreschi e negli altri del ciclo francescano. A Padova,
invece, essi sono perfettamente realizzati e permettono anzi alcuni degli effetti più memorabili. Dal IV
secolo personaggi sacri o importanti sono sempre stati raffigurati frontalmente; la rappresentazione di
profilo diventa sempre più rara e marginale, essendo riservata esclusivamente a qualche personaggio
malvagio o di poco conto. L’esilità delle strutture architettoniche e l’allungamento delle figure permettono
di giustificare anche le proposte che elle ultime Storie di san Francesco sia all’opera il Maestro della Santa
Cecilia, o addirittura il giovane Simone Martini. Il fatto che questi affreschi abbiano costituito a lungo un
testo figurativo da prendere a modello per la storia in figura di san Francesco è probabilmente un segno del
prevalere dell’interpretazione moderata del fenomeno francescano.
Tavola del Louvre con le stimmate di san Francesco: eseguita originariamente per la chiesa di San
Francesco a Pisa. La scena principale e le 3 scenette della predella (il Sogno di Innocenzo III, la Conferma
della regola e la Predica agli uccelli) sono un’evidente variazione sul tema delle stesse scene figurate nel
ciclo assisiate. Si è insistito di solito sulla somiglianza iconografica che è evidente. È da notare la sottile
eleganza gotica della predella, denunciata dall’assottigliamento delle figure, che costituisce il punto di
riferimento per certi artisti fiorentini nel genere del Maestro della santa Cecilia. Quest’opera firmata
costituisce la prova più importante della paternità giottesca degli affreschi assisiati.
Polittico di Badia: oggi agli Uffizi, il suo stato di conservazione è assai cattivo, ma è un’opera in cui Giotto
esprime tutta la sua serietà presentazione delle figure a mezzo busto ripetuta nei 5 scomparti, ricorrere
delle targhe col nome sul fondo d’oro intorno alle teste.
Crocefissione del Tempio Malatestiano: è la testimonianza diretta del soggiorno riminese di Giotto.
Mancano i tabelloni dei bracci della croce. C’è un forte richiamo alla pittura assisiate.
È una chiesa di piccole proporzione e soprattutto asimmetrica; per rendere possibile l’attuazione del piano
iconografico, il pittore ha preso come punto di riferimento lo spazio tra le due finestre, calcolando di
inserirvi due storie, una sopra all’altra; con questa unità di misura ha suddiviso le pareti della cappella
ricorrendo ad una sola modifica, quella di sfalsare proprio le storie tra le finestre rispetto alle altre.
Il sistema delle cornici che separano le storie fra loro finge di essere l’articolazione architettonica delle
pareti stesse della chiesa. L’organizzazione delle opere prevede una serie di figurazioni su quattro livelli
sovrapposti. L’idea qui è quella di racchiudere gli affreschi per mezzo di fasce marmoree larghe, ma con
cornici poco rilevate, riccamente decorate alla cosmatesca e in cui si aprono delle formelle lobate oltre le
quali compaiono figurazioni minori. La nuova idea di Giotto è quella di aver finto un basamento ad ampie
specchiature di marmi mischi, conclusa con una cornice; vengono inserite tra le specchiature le Allegorie di
Virtù e Vizi, in monocromo, come rilievi marmorei, e ciò darà luogo aun genere di decorazione ad affresco
che avrà fortuna nel Quattro e Cinquecento. Giotto introduce, inoltre, l’invenzione di pura architettura dei
due coretti dipinti a trompe-l’oeil sulla parete di fondo verso l’altare, in cui compaiono degli sfondamenti
architettonici, dipinti in una prospettiva perfettamente coerente, realizzata a mano libera.
La volta a crociera compare al di là dell’arco a sesto acuto, e sulla parete di fondo di essa si apre una bifora
gotica. Il cielo oltre la bifora è più chiaro rispetto a quello realizzato negli altri affreschi, segno della resa
atmosferica.
La suddivisione delle pareti vede riquadri più piccoli rispetto a quelli di Assisi. Si spiega con questo fatto il
diverso rapporto proporzionale che Giotto instaura tra le figure e il riquadro o tra le figure e lo spazio che le
contiene. Vediamo, nella sua realizzazione padovana, una straordinaria concentrazione e unità figurativa
tanto apprezzate in epoca moderna. La stesura pittorica padovana è più morbida e densa rispetto a quella
di Assisi, il risalto delle figure è più pieno, ogni asperità è smussata, i gesti mantengono un equilibrio
inimitabile tra la gravitas di certe statue antiche e il garbo del gotico francese. Il tono della narrazione è
solenne e alto, ma comunque disteso e sereno. Le figure più importanti sono realizzate in un atteggiamento
maestoso, con sguardo concentrato, ma non mancano di gentilezza. Tutte via le figure rappresentate nella
Cappella non sono solo personaggi prestigiosi, ma vediamo anche una campionatura di personaggi di
contorno la cui minore dignità è continuamente sottolineata da espressività, da caratterizzazioni
fisionomiche, da vivacità di atteggiamenti.
Questo tono più prosaico della figurazione caratterizza le Allegorie dei Vizi e delle Virtù, nelle quali c’è un
richiamo a una sfera quotidiana e meno sublime.
Vediamo per prime le sei storie di Gioacchino e Anna nella fascia più alta della parete destra. La storia a
lieto fino ha un tono bucolico e pacato, sottolineato dal paesaggio diafano e dai dettagli morbidi (come il
vello delle pecore). Lo spazio messo in opera è più ristretto, le figure vi campeggiano maggiormente e le
strutture architettoniche sono ridotte ad una soltanto per affresco, quella indispensabile. È memorabile
l’Annuncio dell’angelo a sant’Anna, in cui l’unico oggetto architettonico rappresentato acquista evidenza e
chiarezza; è un’architettura-vocabolo che sta stretto nella scena, tanto che l’angelo sembra faticare ad
entrare dalla finestrella, ma alla fine ne sottolinea lo spessore e la concretezza. La resa della camera della
santa è miserabile, come tutto l’ambiente domestico, come nella Natività di Maria.
Nelle sei scene successive vediamo la Natività di Maria, la sua Presentazione al Tempio e quattro scene
relative al matrimonio (i Pretendenti che consegnano le verghe, la Preghiera dei Pretendenti per la
fioritura delle verghe, il Matrimonio di Maria con Giuseppe e il Corteo Nuziale). Anche questa serie si
mantiene fedele al principio dell’elemento architettonico unico. La casa di sant’Anna è quella già vista, il
tempio è lo stesso che nella Cacciata, ed immaginato come il settore di un presbiterio enucleato dal sistema
transenne-ciborio-ambrone. L’edificio ripetuto nel Matrimonio è ripetuto tre volte. Nella Preghiera dei
Pretendenti la voluminosità quintessenziale è ottenuta semplificando il panneggio e l’anatomia, come se i
corpi avessero solo spessore luminoso. Lo spazio della grande lunetta intorno all’arco trionfale, ossia la
zona più in vista della cappella, è riservata alla scena dell’Annunciazione. Le schiere angeliche sono qui
disposte stupendamente a suggerire uno spazio anche nel Paradiso; esse formano due doppi semicori di
angeli compostissimi, mentre ci sono dei piccoli angeli che suonano strumenti a fiato all’estremità.
L’Annunciazione effettiva si svolge al di sotto, con le due figure protagoniste lontane l’una dall’altra perché
collocate ognuna su uno dei due lati dell’arco trionfale. Esse sono sistemate in due edicole come se stessero
una di fronte all’altra; ciò è indicato approssimativamente dal fatto che i fianchi dell’architettura in vista
sono quelli che guardano verso l’esterno. Le figure sono molto composte, e la Madonna è costruita con una
precisione straordinaria nel piano in scorcio formato dalle mani incrociate sul petto che, se pure costruito a
mano libera, fa pensare a figurazioni quattrocentesche. Questa sensazione tridimensionale è fortemente
accentuata da un’altra singolare invenzione di Giotto, che interessa tutti gli affreschi della Cappella
padovana, ossia la resa delle aureole: Giotto ovalizza le aureole per renderle di scorcio.
Le cinque storie successive sulla parete delle finestre sono: la Natività, l’Adorazione dei Magi, la
Presentazione al Tempio, la Fuga in Egitto e la Strage degli Innocenti. Le prime due scene vedono la stessa
ben costruita capanna di legno, mentre nella Presentazione si ha una veduta del ciborio del tempio, lo
stesso della Cacciata di Gioacchino e della Presentazione della Vergine.
La Fuga in Egitto vede un paesaggio di pura roccia, ma di consistenza tenera e di luminosità quasi diafana. Il
gruppo delle due figure sull’asino è ben isolato ed evidenziato dalla sua collocazione.
La Strage degli Innocenti è l’unica storia della cappella degli Scrovegni in cui compaiono due architetture
invece che una: la loggia di Erode (realizzata con una pianta centrale di forma ottagonale – ispirata a
qualche battistero, definita con precisione) e un edificio a pianta centrale (forse ispirato al Battistero di
Firenze). Il modo di utilizzare le ombre è intenso e sottile. Il centro della scena è invece riservato al
protagonista negativo.
Le sei storie dell’altra parete sono Cristo tra i Dottori, il Battesimo di Cristo, le Nozze di Cana, la
Resurrezione di Lazzaro, l’Ingresso in Gerusalemme e la Cacciata dei mercantai dal Tempio.
Sono le sue narrazioni di tono più elevato e solenne.
Il Cristo tra i Dottori è il primo affresco tra quelli padovani ambientati interamente in un interno, secondo
uno schema ripreso dal ciclo di San Francesco ad Assisi, ed è collocato ad un’estremità della parete di
sinistra.
Il Battesimo di Cristo vede una qualità molto alta per il volto sublime di Cristo, però presenta inoltre delle
invenzioni straordinarie - come lo scorcio dell’Eterno, ed è caratterizzato da un’esecuzione pittorica di
grande livello; presenta inoltre, però, un caso di irrazionalità nella raffigurazione dell’acqua in cui è
immerso Cristo, che, se gli arrivasse davvero fino al ventre, dovrebbe ricoprire anche parte delle rocce e
delle altre figure a lato. La scelta iconografica attuata da Giotto ha una storia legata quasi a un regresso
della capacità astrattiva; non sappiamo se è un errore di Giotto o un’imposizione della committenza, o una
scelta per coprire il corpo di Cristo; è comunque un elemento che richiama alla vecchia prassi figurativa
medievale, tutt’altro che superata.
Nelle Nozze di Cana la tensione delle scene si perde, il tono dimesso e domestico della storia garantito dalla
caratterizzazione quasi comica dei servi riacquisterà però tensione nelle scene successive. Anche in queste
scene però Giotto sottolinea la sua interpretazione consistente e oggettuale del visibile, come con l’utilizzo
dell’effetto di trompe-l’oeil sui banchi e le gabbie di legno nella Cacciata dei mercanti. Il racconto continua
sulla parete di lato all’arco trionfale con il Tradimento di Giuda. Il discepolo traditore è rappresentato di
profilo, secondo quei principi semplici e didascalici che vogliono che la malvagità venga indicata dalla
bruttezza del volto; vediamo inoltre la presenza del diavolo alle spalle di Giuda, che si presenta con
l’aureola nera. Si scende nella fascia inferiore, sulla parete delle finestre, dove sono figurate in una
disposizione simmetrica (due interni – un esterno – due interni) cinque scene della Passione: l’Ultima Cena,
la Lavanda dei piedi, il Bacio di Giuda, Cristo davanti a Caifa e il Cristo deriso.
Le prime due scene sono solenni, figurate nello stesso ambiente, mentre a seguire vediamo un ambiente
affollato, ossia quello del Bacio di Giuda, rappresentato con un orrido profilo, a contrasto con il bellissimo
viso di Cristo; in questa figurazione domina la massiccia figura del discepolo traditore, dilatata dall’aprirsi
del manto nel gesto dell’abbraccio.
Il Cristo davanti a Caifa è una nuova dimostrazione della libertà mentale acquisita da Giotto nell’osservare
gli effetti del mondo visibile. La scena è in notturna, in cui una fiaccola (ora diventata scura per le alterazioni
cromatiche) crea un effetto di illuminazione dal basso sul soffitto di legno. Le ultime sei storie della vita di
Cristo sono canoniche, fatta eccezione per l’Andata al Calvario, le altre sono comparse anche ad Assisi: la
Crocifissione, il Compianto sul Cristo deposto sulla croce, la Resurrezione – con il Noli me tangere,
l’Ascensione e la Discesa dello Spirito Santo. Nella Crocefissione e nel Compianto le figure dei dolenti sono
contenuti nei gesti, di ispirazione antica, e di fisicità corporea, sottolineata con degli effetti impressionanti.
All’intensa concentrazione di questo affresco, succede una composizione ben più allentata e piena di pause.
Conformemente al testo evangelico, la resurrezione di Cristo non è rappresentata direttamente, ma
attraverso alcuni episodi che la testimoniano, in questo caso il Noli Me Tangere. L’ambiente della Discesa
dello Spirito Santo allude direttamente all’architettura gotica contemporanea, ed è l’unico affresco della
Cappella a rendere ciò.
Il ciclo padovano contiene le raffigurazioni delle sette Virtù e dei sette Vizi contrari. In questo contesto
compare una nuova introduzione giottesca relativamente all’illusionismo architettonico: vediamo il finto
zoccoletto di specchi marmorei, in cui sono inserite queste realizzazioni come fossero dei rilievi scolpiti;
queste produzioni sono inoltre caratterizzate dall’aspetto prosaico in confronto al tono elevato del
racconto. Questa realizzazione è probabilmente il frutto di un luogo comune per cui la poesia è superiore
alla poesia, il tragico al comico, il sublime al normale. Vanno notate la collocazione centrale e le dimensioni
maggiori rispetto alle altre allegorie di quelle che rappresentano la Giustizia e l’Ingiustizia, raffigurate come
governanti (rispettivamente un buono e cattivo governo, una corona regale e un tiranno); questo significato
è legato alle mire dello Scrovegni di governare.
Sulla parete di fondo, nella controfacciata, Giotto ha inserito un’unica grande scena, quella del Giudizio
Finale. Questa scena è complessa, molteplice e affollata, e non dà l’impressione del perfetto equilibrio e
della razionalità che caratterizza le produzioni precedenti.
La mandorla con il Cristo giudice con gli angeli che la circondano ha un carattere araldico (= di stemma) che
ne fa un’apparizione fuori del contesto tridimensionale in cui è collocata, al centro di uno spazio concavo
individuato nella profondità della curva della pedana su cui sono posti gli scranni dei dodici apostoli; lo
spazio è ulteriormente approfondito dal degradare verso il fondo degli schieramenti angelici in alto,
allineati.
Altre presenze troppo simboliche e araldiche sono i due angeli che arrotolano i cieli come un volume nella
parte più alta dell’affresco, scoprendo le mura della Gerusalemme celeste, o gli altri due angeli in basso al
centro, che tengono la croce, o la fiumana di fuoco che parte dalla mandorla di Cristo a formare l’Inferno.
Né la rigida etichetta che stabilisce l’importanza delle figure attraverso le loro proporzioni contribuisce
certo a migliorare le possibilità di rendere razionale una simile figurazione.
Vi è tutta una degradazione di proporzioni che intorbida continuamente i tentativi di dare un ordine
all’enorme composizione. In questo lavoro è possibile misurare la portata unificatrice dell’idea giottesca di
abolire le suddivisioni e di coinvolgere tutti i gruppi in un unico spazio. È ancora presente il peso della
tradizione iconografica nella composizione a nuclei agglomerati, ma anche in questo senso la volontà
unificatrice di Giotto ha introdotto una novità, facendo della mandorla col Cristo giudice una specie di forza
di attrazione centripeta, nella cui direzione tutti i nuclei tendono ad orientarsi. Cristo siede dentro la
mandorla iridata, grandioso e dominante. Con la sinistra respinge i reprobi, mentre con gli occhi ancora
aggrottati si rivolge agli eletti, aprendo loro la destra. Gli apostoli stanno seduti solennemente nei loro
scranni, il più ricco dei quali è riservato a Pietro. La Vergine, bruna e giovane, dal volto dolce, sembra quasi
voler trascinare per mano verso Cristo il primo della più altra schiera degli eletti, san Giovanni Battista.
Vediamo altre schiere di eletti, alcune più autorevoli. Vediamo inoltre uomini e donne laici accompagnati da
angeli, disposti su linee parallele nel senso di profondità, e danno luogo a quelle curiose file di teste in
profilo che Giotto usa per indicare la sistemazione entro uno spazio tridimensionale di una folla ordinata.
A destra vediamo il vortice di dannati che sprofondano nell’Inferno, dominato dalla figura di Satana e
formicola di personaggi di dimensioni ridotte, oscene e ridicole per le angherie cui è sottoposta dalle
schiere scimmiesche dei diavoli. Queste figurine sono probabilmente attribuibili ai collaboratori di Giotto.
L’episodio che si svolge sul crinale roccioso è invece forse di mano giottesca, e vede due diavoli che
riconducono un uomo tra i dannati, spingendolo e tirandolo per la veste, il quale si sta strappando e
sfilando la testa.
In basse, quasi al centro del Giudizio, vediamo la scena dedicatoria, con Enrico Scrovegni che si inginocchia
davanti alla Vergine e a due sante, offrendo la cappella sotto forma di modello. Dobbiamo sottolineare che
siamo qui di fronte al primo ritratto della pittura occidentale e la sua importanza è aumentata dall’essere
raffigurato nelle stesse proporzioni delle figure sacre alle quali si rivolge; posizionandolo in ginocchio, lo
rende inferiore rispetto alle figure a cui è al cospetto. Il modellino della cappella dell’Arena presentata da
Enrico Scrovegni alla Vergine si differenzia in qualche particolare dalla realizzazione. Questo ha fatto
pensare che il Giudizio finale fosse stato eseguito agli inizi, quando la costruzione non aveva ancora avuto
forse la sua struttura definitiva.
Anche il Crocefisso mostra le affinità più sorprendenti con quello affrescato nel transetto destro della
basilica inferiore.
Altre due opere di simile stile e periodizzazione sono:
La Maestà degli Uffizi. È una raffigurazione che vede le figure sacre rivolte verso il devoto, ossia la
Madonna, con il bambino benedicente. La madonna di Giotto è una matrona umana, dalla faccia serena,
quasi sorridente. La sua terrenità è denunziata dal peso del suo corpo, messo in evidenzia dalla gracilità
delle strutture architettoniche del trono, come se la tradizione pittorica di un’architettura gotica avesse
subito lo stesso processo di assottigliamento. La semplificazione dell’immagine non significa povertà di
immagine.
La Morte della Vergine, oggi a Berlino, ha una forma insolita, cuspidata. Forse costituiva la predella della
Maestà fiorentina, e ciò ci è suggerito dalla somiglianza tra l’angelo in quest’opera e quello inginocchiato a
destra nella Madonna di Ognissanti – la Maestà. Le figure sono tutte estremamente vicine. L’immagine è
leggermente asimmetrica, per la disposizione del corteo celeste e di patriarchi a destra e il gruppo di
apostoli e di Marie sulla sinistra, interrotta dall’apostolo piegato. Anche il sarcofago è disposto leggermente
a sinistra. La scena rappresentata è quella della calata di Maria nel sepolcro, con Cristo che accoglie tra le
sue braccia l’animula di Maria. La composizione è realizzata nel tono grave e solenne, ma allo stesso tempo
garbato e affabile, degli affreschi padovani. Entrambe destinate alla chiesa fiorentina di Ognissanti.
La basilica inferiore di Assisi
Notiamo una notevole vicinanza tra le ultime parti della decorazione padovana e gli affreschi della cappella
della Maddalena nella basilica inferiore di Assisi. Molto probabilmente quest’opera è riconnessa
direttamente con Giotto e non con il lavoro dei suoi allievi. La Resurrezione di Lazzaro ha un respiro
monumentale, nonostante i personaggi e i loro atteggiamenti siano più o meno simili a quelli di Padova.
Qui, il gesto di Cristo è più imponente e le due Marie hanno uno stacco maggiore.
Nella cappella della Maddalena la pittura di Giotto è più densa e morbida, quasi corposa. La struttura
decorativa della cappella è costituita da una parte più bassa in cui le figurazioni sono contenute dentro con
una finta architettura aggettante su colonne tortili e da una parte alta suddivisa da cornici piatte. Vi sono
dipinte sette storie della Maddalena e altre figurazioni.
Le vicende della santa hanno inizio nella zona mediana della parete di sinistra con la Cena in casa del
fariseo (quando la Maddalena lava i piedi a Cristo e li asciuga con i suoi capelli) e la Resurrezione di Lazzaro.
Nella zona mediana della parete di destra abbiamo la scena in cui Cristo appena risorto compare alla santa
in veste da giardiniere (Noli me tangere) e col miracoloso Approdo a Marsiglia, quando la Maddalena,
Lazzaro, Marta ed altri, messi dai persecutori su una barca senza timone, arrivano sani e salvi al porto della
città, dal quale partiranno per evangelizzare la Provenza. Nelle lunette in alto sono raffigurati la Maddalena
a colloquio con gli angeli (parete destra), la Maddalena assunta in cielo (parete sinistra) e la Maddalena
riceve la veste dall’eremita Zosimo (nella parete sopra l’entrata della cappella). Figurazioni minori sono
negli intradossi delle finestre e dei due ingressi laterali. Nel sottarco d’ingresso troviamo dodici santi,
disposti a coppie, su tre livelli. Nelle zone più basse delle pareti laterali sono raffigurati a sinistra, San
Rufino, patrono di Assisi, con vescovo Teobaldo Pontano (committente della cappella, inginocchiato ai
piedi del santo); a destra, la Maddalena con il cardinale Pietro di Barro inginocchiato. Nella volta, entro
quattro tondi, Cristo benedicente, la Maddalena, Lazzaro e Marta.
Questi affreschi, prima che si scoprisse il committente era il vescovo di Assisi, vennero datati dopo
il 1314, ma dopo la scoperta recente di un documento che fa riferimento ad una precedente presenza di
Giotto ad Assisi, vengono collocati a ridosso degli affreschi padovani, probabilmente prima del 1309. Gli
interventi degli allievi, sembrano riportare indietro lo sviluppo giottesco ad una fase prepadovana; mentre
nelle parti più autografe il maestro arriva ad una morbidezza pittorica e ad una dolcezza cromatica molto
più avanzate rispetto a Padova.
Le ombre del chiaroscuro sono intrise di colore. Gli stessi tipi umani, dal bruno padovano sono passati ad un
biondo rossiccio, e gli occhi sono spesso chiari. Le fisionomie e le espressioni appaiono più sfaccettate e
misteriose. Le figure sono ingigantite e come cresciute in altezza. La pittura più calda e cremosa. La lunetta
sopra la porta d’ingresso, dove è raffigurata la Maddalena che riceve la veste da Zosimo, è invasa da
un’immensa roccia bianca e soffice come una nuvola, in un anfratto della quale sta la santa. Gli angeli che
sollevano da terra la Maddalena nella lunetta della parete destra alzano verso di lei i loro volti, dalle
espressioni più morbide rispetto a Padova.
Anche molte figure sacre sono più imponenti e piene di sussiego che a Padova. Inoltre, Giotto, dimostra un
amore anche nella resa degli oggetti.
Nella cappella della Maddalena vi sono le premesse per la decorazione giottesca della basilica inferiore, dal
transetto destro alle vele. Di recente si è dimostrato che questa parte è stata eseguita prima del transetto
sinistro dove Pietro Lorenzetti dipinse le storie della Passione. Sicuramente precedenti al 1320, queste, i
lavori giotteschi sono ancora più antichi e si pensa che subito dopo la cappella della Maddalena, a Giotto e
alla sua bottega sia stato affidato il rifacimento della decorazione del transetto destro e delle vele (zona che
era già stata affrescata alla fine del Duecento, come testimonia il riquadri di Cimabue, parzialmente
risparmiato). In questa impresa Giotto è stato più un ideatore che un esecutore. Nel transetto destro sono
raffigurati alcuni Miracoli di San Francesco compiuti dopo la morte, un riquadro con San Francesco che
presenta uno scheletro, un tondo con l’Eterno benedicente, la Crocefissione e otto storie dell’infanzia di
Cristo (la Visitazione, la Natività, l’Adorazione dei Magi, la Presentazione al Tempio, la Strage degli
innocenti, la Fuga in Egitto, Cristo fra i Dottori e Ritorno a Nazareth di Cristo fanciullo con Maria e
Giuseppe.
L’aspetto degli affreschi è di un fulgore e una preziosità cromatica eccezionale. I risultati giotteschi sono
divenuti subito un testo figurativo esemplare per i pittori umbri, che continueranno a citarli nei dipinti su
tavola, negli affreschi ma anche nelle miniature. Alcuni disegni testimoniano l’importanza e la fama che
godettero questi affreschi nel Trecento, attraverso alcune raffigurazioni intere o parziali di essi, ma la
qualità di questi affreschi è di un livello un po’ meno alto rispetto alle opere in cui Giotto partecipa
direttamente. Egli dovette seguire questi lavori e la sua presenza è visibile in vari punti, soprattutto nella
Crocifissione. Quest’opera è da attribuire direttamente alla mano di Giotto, ad eccezione delle figure in
piedi a destra, eseguite da un collaboratore. Questo Cristo crocifisso ha un corpo latteo, che reca
dappertutto i segni della flagellazione e delle percosse. Ai suoi piedi troviamo inginocchiati sulla destra tre
francescani, mentre sulla sinistra in piedi abbiamo dei dolenti, san Giovanni e due Marie, che manifestano il
loro cordoglio con un gesto sublime, che dal pianto contenuto di san Giovanni passa al grido aperto di
Maria e diventa un ghigno nella donna all’estremità.
La bottega giottesca continuò i lavori di decorazione della basilica inferiore affrescando le quattro vele della
volta sopra l’altare maggiore. La raffigurazione più in vista è il San Francesco in gloria. Qui la decorazione
della basilica inferiore raggiunge il massimo di sontuosità, attraverso vesti trapunte d’oro e vasti fondali
dorati. Le vele accolgono quattro figurazioni allegoriche di soggetto francescano: San Francesco in gloria,
l’Allegoria dell’Obbedienza, l’Allegoria della Castità e l’Allegoria della Povertà. Le raffigurazioni sono fitte
di figure sorridenti e festanti, continuano le tendenze giottesche rilevate nelle storie dell’infanzia di Cristo
del transetto desto, con una prevalenza del collaboratore che si caratterizza per un’espressività attonita e al
quale viene attribuito l’appellativo di Maestro delle vele.
Purtroppo il ciclo Peruzzi era talmente ridipinto fino a non molto tempo fa ed è in uno stato di
conservazione talmente larvale, dopo l’ultimo intervento restaurativo, da lasciare perplessi sulla possibilità
di cavarne delle indicazioni a proposito dell’importanza che esso ha avuto nel percorso artistico di Giotto e
nella storia della pittura italiana del Trecento. Certi aspetti della moda indicano una cronologia più tarda
della Cappella degli Scrovegni e degli affreschi di Assisi, ma non di molto, sicché le date verso il 1312 o tra il
1310 e il 1316 per cui si hanno indicazioni coeve assai incerte sembrerebbero attagliarsi bene alla
decorazione della cappella Peruzzi.
Il ciclo è costruito dalle storie parallele di san Giovanni Battista (parete sinistra) e di san Giovanni
Evangelista (parete destra). Delle figurazioni minori sono interessanti alcune testine entro esagoni,
dall’aspetto talmente vero ed individualizzato da aver fatto credere che raffigurassero personaggi della
famiglia Peruzzi o che fossero i primi ritratti autonomi della pittura italiana. Gli scarsi dati stilistici che si
ricavano dalla situazione attuale degli affreschi sono tutti relativi all’impaginazione delle storie,
dall’impianto eccezionalmente monumentale. Le ampie superfici permettevano una complessità figurativa
molto superiore che negli affreschi padovani e le figure, grandiose e dilatate, vi si muovono liberamente, in
un rapporto molto più variato con le architetture e gli spazi che le contengono. Trattandosi di una cappella
alta e abbastanza profonda, ma poco estesa in larghezza, Giotto ha immaginato un punto di vista obliquo,
con il riguardante che sta dalla parte dell’ingresso alla cappella, che ha la fronte quasi completamente
aperta. Gli edifici sono collocati obliquamente e su tutte e due le pareti presentano in vista il fianco verso
l’ingresso della cappella. Il rapporto tra figure e architetture si è fatto molto più razionale; ogni vano ha uno
spazio più che sufficiente per contenere le figure. Quindi il giudizio sugli affreschi non può che rimanere
sospeso; salvo apprezzare l’unico frammento ben conservato di tutta la cappella, che è la mano di san
Giovanni Evangelista protesa nel gesto di resuscitare Drusiana (La resurrezione di Drusiana). Tra le
decorazione della cappella Peruzzi e quella della cappella Bardi, entrambe nella chiesa di Santa Croce, dove,
Giotto avrebbe dipinto quattro cappelle e quattro tavole d’altare, cade l’esecuzione di altri dipinti.
Sono sette pannelli quadrati raffiguranti l’Adorazione dei Magi, la Presentazione al Tempio, l’Ultima Cena,
la Crocifissione, la Deposizione, la Discesa al Limbo e la Pentecoste. La lettura di questi pannelli però è
problematica a causa dello stato di conservazione, ma l’autografia giottesca non è messa in discussione.
Il prodotto più importante fra i dipinti su tavola rimane il Polittico Stefaneschi, eseguito per l’altare
maggiore della basilica di San Pietro a Roma e ricordato come opera di Giotto nel necrologio del cardinale
Jacopo Stefaneschi che ne fu il committente. Dipinto sia dietro che davanti, è conservato quasi
integralmente nella Pinacoteca Vaticana. Le figurazioni che vi compaiono sono dominate dal tono
sacramentale e ieratico dei pannelli centrali, assai eccezionali nella produzione giottesca, ma che proprio
per ciò dimostra la capacità del grande pittore di calarsi nelle situazioni nuove che ogni commissione
rappresentava.
Nel pannello centrale della faccia anteriore, Cristo siede in trono frontalmente alzando la mano destra a
benedire e tenendo con la sinistra il libro della Rivelazione. Intorno al trono, vi è una schiera di angeli, la cui
disposizione è sottilmente adattata alle nuove idee figurative con l’accenno a disporsi in cerchio.
Inginocchiato in primo piano è il cardinale Stefaneschi. Il pannello di sinistra reca raffigurata la Crocifissione
di san Pietro, quello di destra la Decapitazione di san Paolo.
Anche la predella, con la Madonna in trono assistita da due angeli e accompagnata da dodici apostoli,
presenta una figurazione arcana e distaccata, che richiama alla mente le “teorie” dei santi dei mosaici
bizantini.
Sul retro del polittico, quattro solenni figure di apostoli in piedi fanno da laterali del pannello di
centro in cui san Pietro siede in trono, nello stesso atteggiamento di Cristo, con ai lati due angeli e i
due santi Giorgio e Silvestro, mentre inginocchiati davanti sono Celestino V e il cardinale
Stefaneschi nell’atto di offrire il polittico stesso.
Questo polittico è, nel suo insieme, di un livello qualitativo sorprendente e alcune sue parti sono stupende
sia nell’ideazione, sia nell’esecuzione. Il perfetto calcolo su cui spazi e volumi si compenetrano, la preziosità
cromatica continuamente esaltata, la sottile eleganza gotica di alcune figure e l’arcana, incantata
espressività di altre ricollegano strettamente quest’opera complessa agli affreschi della basilica inferiore di
Assisi, dei quali ripete anche qualche idea.
La nuova tendenza gotica di aggiungere snellezza quasi filiforme al corpo di Cristo, allontanandosi dal senso
di pesantezza, è essenza di gran parte della produzione tarda giottesca, e ha il suo momento paradigmatico
negli affreschi della cappella Bardi di Santa Croce.
Gli affreschi della cappella Bardi non offrivano la possibilità di vari sfoggi, dato che le storie di san Francesco
sono un argomento povero, ma le proporzioni slanciate delle figure, la cromia delicatissima, la morbidezza
pittorica di certe parti sono in linea con la tendenza che si accennava. Il racconto conferisce alle figurazioni
un tono accostante e meno elevato che negli affreschi Peruzzi. Inoltre le storie del santi sono
necessariamente ridotte di numero, data la limitatezza della superficie che il pittore aveva a disposizione.
Vi sono raffigurati: la Rinuncia degli averi, nella lunetta in alto della parete sinistra, la Conferma della
regola, nella lunetta opposta, e, subito sotto, la Prova del fuoco davanti al sultano, l’Apparizione nel
Capitolo di Arles, sulla parete di fronte, a di sotto di essa, i Funerali di San Francesco e l’accertamento delle
stimmate e sulla parete opposta, a destra, l’Apparizione a frate Agostino e al vescovo di Assisi.
La scena della Stigmatizzazione è dipinta in alto, sopra l’arco di ingresso della cappella, dalla parte esterna,
mentre ai lati della finestra erano dipinti quattro santi francescani, tre solo conservati (Ludovico da Tolosa,
Chiara e Elisabetta d’Ungheria). Nella volta vediamo tondi dalla cornice polilobata, in cui erano
rappresentate le figure allegoriche a mezzo busto di Castità, Povertà e Obbedienza.
A questi affreschi fu dato di bianco in epoca barocca, per cui vediamo ridipinture e ricreazioni delle parti
mancanti.
Il San Francesco rappresentato è senza barba, e questa raffigurazione è legata alla corrente revisionistica
del francescanesimo, quella rappresentata dai conventuali, e ai conseguenti tentativi di modificare
l’immagine del santo, i suoi significati pauperistici e il suo aspetto fisico. Le storie del santo sono riassunte
negli episodi più rappresentativi per uno stringato racconto protocollare della sua vita.
Le storie francescane di questa cappella non hanno più la vivacità di quelle di Assisi, come se un velo di
sussiego e di consacrata santità le allontanasse nel tempo e le ponesse su di un piedistallo di maggiore
aulicità. Le scene sono molto unitarie, simmetriche, la materia pittorica è sottilissima e impalpabile, ma allo
stesso tempo intensa e come vellutata, i colori sono delicati, leggeri, chiari. L’evidenza e la razionalità di
costruzione sono ancora di più i principi ispiratori.
Un elemento per la datazione degli affreschi Bardi ci è offerto dalla presenza di Lodovico da Tolosa tra i
santi affrescati intorno alla finestra. Essendo stato canonizzato nel 1317, ne viene la conseguenza che
questa decorazione sia stata effettuata dopo questa data, per cui osserviamo dei lavori della fase tarda
dell’attività giottesca. La lunga attività giottesca aveva sollevato la pittura ad un livello prestigioso tra le arti,
al punto da poter stimolare e insieme condizionare anche la scultura. Fu soprattutto il momento assisiate
ad avere successo, in modo clamoroso e definitivo, ma nell’insieme, la spinta che Giotto impresse
all’esperienza figurativa fu tale da determinare il destino della pittura occidentale.
CAPITOLO PRIMO
Nel corso del Duecento, si diffuse in gran parte dell’Europa un nuovo modo di costruire, che noi oggi
chiamiamo gotico e che nel XIII secolo Burcardo di Hall definì francigenum, facendo probabilmente
riferimento ad alcuni particolari tecnici e d’esecuzione che considerava originari della Francia, e in
particolare nell’Île-de-France. Tuttavia per il momento non esiste un dato che accomuni tutte le pratiche
artistiche, poiché il loro appartenere allo stile gotico si basa su caratteristiche assai differenti. Nonostante
ciò, si può rintracciare un dato unificante nel metodo progettuale e nel modo di organizzare le forme. Gli
storici dell’arte usano il termine “gotico” quando si presenta un determinato modo di trattare i volti, i
panneggi, le linee e gli atteggiamenti. Tali elementi vengono però assorbiti nelle varie aree in modi diversi,
in base agli strumenti a disposizione e alla tradizione artistica locale, dando quindi vita a opere “ibride”. In
Italia, ad esempio, l’influenza transalpina trovava la sua contrapposizione in quella bizantina
particolarmente forte a Venezia e nella Sicilia normanna. La Lombardia rappresenta invece un punto focale
per la sperimentazione anche se non si raggiunsero mai risultati di verticalità come in Francia (non esiste
una chiesa totalmente “goticaraggiante”); precoce fu sicuramente l’uso del costolone lombardo, ma ciò non
diede avvio allo stile e anche i primi edifici gotici rimangono isolati. Altri elementi in stile che giungono in
Italia vengono spesso usati in modo incoerente alla logica di costruzione. Punto nodale del gotico italiano è
la chiesa di San Francesco ad Assisi, su modello di altre chiese a due piani e con soluzioni architettoniche
nordiche, nonostante la resistenza, ancora presente.
CAPITOLO SECONDO
Altro centro promotore della diffusione del nuovo stile fu la corte degli Svevi. Federico II condiziona lo stile
artistico proponendo una ripresa del modello classico: arte come strumento di potere per costruire la
propria aura di imperatore romano. Propaganda una restaurazione dell’impero, commissionando molte
copie. Vuole un classicismo di portata moderna, rinnova il linguaggio figurativo per renderlo adatto alla
funzione politica e a rappresentare “le cose che sono come sono”. Pertanto si data in quest’epoca la
rinascita del ritratto moderno. Fece costruire castelli di caccia in cui si nota il connubio tra forme gotiche,
classiche e germaniche e scrisse un trattato sulla caccia la cui miniatura fu affidata a personaggi della corte;
anche in questo contesto tornò in auge il ritratto.
CAPITOLO TERZO
Grande importanza nel XII secolo assume la scultura e fondamentali sono le esperienze di Lanfranco e
Wiligelmo presso la cattedrale di Modena: entrambi i nomi ci sono tramandati da lapidi con il loro elogio. In
Francia invece usava apporre soltanto la firma. Per tutto il Duecento, tuttavia, gli artisti hanno avuto
coscienza della loro perizia. Si veda ad esempio Giovanni Pisano che sul pulpito di Pisa dichiarò la creatività
un dono di Dio, parlò del significato dell’opera, della propria vita e affermò la propria superiorità rispetto al
padre. La scultura toscana è larte-guida del Duecento, con personalità come Nicola Pisano, la cui sensibilità
gotica è evidente nel pulpito di Siena, e suo figlio Giovanni (nonostante il primo scultore gotico sia
Benedetto Antelami). Sul finire del Duecento Giovanni è più personale e modifica il rapporto scultura-
architettura a favore della prima. Nel frattempo a Siena si sviluppa una cultura plastica basata sui modelli
giotteschi. Novità anche nel campo del ritratto scultoreo, che supera quello pittorico per la resa psicologica
e fisiognomica, erede della tradizione ritrattistica federiciana. In questo momento le due arti dialogano,
Giotto guarda ad Arnolfo e Nicola Pisano, Pietro Lorenzetti guarderà a Giovanni e alla scultura senese.
CAPITOLO QUARTO
C'è un nesso ora tra le microtecniche e le arti monumentali, le une si ispirano alle altre dando vita a
reliquiari a forma di chiese con tanto di guglie, pinnacoli e contrafforti. Cresce anche l’importanza dei sigilli,
strettamente collegati al proprietario che vuole i migliori artisti. Il sigillo è un oggetto di primissimo piano,
anche quello comunale, come si nota nella Maestà di Simone Martini. Egli inserisce il sigillo ‘i Siena,
realizzato da Guccio di Mannaia, esperto di modi gotici francesi, adopera ombre, espressività e pieghe dei
panneggi più profonde. Influenza inoltre gli orafi ed è fondamentale per la diffusione dell’arte senese in
Europa, grazie all’assimilazione del gotico. L’uso dello smalto traslucido acquista prestigio; proprio nel
campo delle microtecniche si possono rintracciare le influenze e i nessi tra le arti.
CAPITOLO QUINTO
Le pitture murali della cattedrale di Modena testimoniano la precoce penetrazione del gotico in pittura,
raffigurando anche motivi architettonici: le due arti ebbero tempi diversi e solo nella seconda metà del
Duecento la fusione di elementi del nuovo stile ed elementi tardo-antichi fa sì che la pittura domini la scena
europea. Assisi e Roma sono tuttavia due centri in cui si manifesta la resistenza, nella prima città a causa
delle tensioni tra francescani conventuali e spirituali, nella seconda per i contrasti tra le famiglie
aristocratiche e l’anti-angioinismo. Roma diventa luogo di sperimentazione, grazie alla presenza di prelati
del nord e di artisti fiorentini dà vita a restauri e nuove committenze (da lì parte l’équipe per San Francesco)
e insieme ad Assisi diventa polo fondamentale per la nuova pittura. Si pone allora il problema della
rappresentazione dello spazio ed urgono innovazioni per la resa della terza dimensione. Non c'è dubbio che
Giotto abbia introdotto importanti novità, ma rimane complicato stabilire se è stato lui fin dagli inizi a dare
soluzione ai problemi della rappresentazione dello spazio e i rapporti tra la sua pittura e quella del romano
Cavallini. L’apice di Giotto ebbe luogo nei primi del Trecento, mentre Roma conosceva un periodo buio a
causa dello spostamento della curia pontificia ad Avignone; egli ottenne dunque prestigiose committenze in
tutt'Italia, compì molti viaggi e diffuse la nuova arte e ben presto si avvertì che tutta la pittura precedente
era ormai superata. In questa fase si ha inoltre il processo che portò alla rivalutazione del ruolo dell’artista
e l’inserimento delle arti figurative nel sistema culturale fiorentino. Nelle loro iscrizioni, alcuni artisti si
definiscono docti o doctor, ma pare che solo la menzione da parte dei letterati avesse valore legittimante. Il
paradigma giottesco si espande presto in buona parte della penisola, dando origine a un panorama artistico
complesso e variegato, in base alla diversa ricezione delle innovazioni. L’arte senese comincia ad essere
conosciuta al di fuori dei confini della Toscana, grazie ai suoi orafi; artisti ottengono commissioni anche
nella vicina Firenze (città aperta, a differenza di Siena, che manifesta una chiusura corporativa nei confronti
degli artisti forestieri) e ad Avignone. Gli artisti senesi attribuiscono grande importanza all’autopsia per
rappresentare con realismo e riconoscibilità dei luoghi; Ambrogio Lorenzetti, in mancanza di esempi, se non
letterari, della resa del paesaggio e dell’atmosfera, dovette basarsi sull’osservazione. Siena diventa dunque
capitale dell’affresco e la pittura profana si mescola con quella religiosa: si veda Simone Martini, sala del
mappamondo, Palazzo Pubblico di Siena. Sviluppo dei polittici a partire dalla tavola d’altare, che fondono
iconicità enarrazione in programmi iconografici talvolta complessi e con doppia raffigurazione, fronte e
retro, per un doppio pubblico. Viene aggiunta la predella, spesso narrativa come una sacra conversazione.
Problemi di conservazione, la maggior parte sono stati smembrati.
CAPITOLO SESTO
L’arte italiana si diffuse all’estero, grazie a personaggi ricchi che, dopo aver visitato l’Italia, si fanno
committenti nel loro paese di opere in stile. Guala Bicchieri attuò il processo inverso, portò il gotico
dall’Inghilterra a Vercelli (Sant'Andrea). L’intarsio e il disegno marmoreo dell’abbazia di Westminster furono
opera di italiani. Ciò testimonia il fitto interscambio in atto, come anche l’attività di maestranze transalpine
presso il cantiere di Assisi. La capacità di rendere la terza dimensione in pittura ha molto successo
all’estero, dove tali problemi non avevano ancora trovato soluzione. Abbiamo testimonianze di un “duch de
Siene” nel ruolo delle imposte a Parigi: si è ipotizzato fosse Duccio, ma non ci sono certezze. Dopo lo
spostamento della curia papale ad Avignone, molti artisti si spostarono nel sud della Francia. 1320-1330
l’influenza della pittura italiana si fa sempre più pensante e Jean Pucelle è una figura importante: frequenta
italiani, rappresenta castelli e architetture toscane, diffonde modi italiani, promuove integrazioni con i
principi della pittura nordica e ha influenze anche sulle vetrate. Avignone è sicuramente il centro più
significativo per la diffusione dell’arte italiana all’estero; i papi chiamarono lì gli artisti per affidare loro la
decorazione di chiese, cappelle e palazzi già dal 1320, ma soprattutto del 1335. La città francese diventa
così crogiuolo di nuove tecniche e generi (tra cui si pensa si sia sviluppato anche il ritratto) e appare come
exempla per le altre città europee.
incoerenza col gotico del Nord come gli elementi vengono modificati per adattarli alle tradizioni locali
(cattedrale di Piacenza) e non hanno filiazioni. Resistenza per le tradizioni formali: di sicuro c’è da dire che
l’Italia settentrionale e centrale conosce il proprio ruolo e ha una volontà cosciente di riportarsi a Roma
come modello oltre ai persistenti rapporti di una parte dell’Italia con il mondo bizantino. Nonostante tutte
queste resistenze questa nuova arte trova modo di attecchire anche in Italia e alcuni aspetti, a proposito dei
caratteri naturalistici, verranno risolti proprio qui.
Architettura gotica:
San Francesco d’Assisi, fondata da Gregorio IX nel 1228 e consacrata da Innocenzo IV nel 1253, modello
occidentale di chiesa a due piani con l’aggiunta di soluzioni nordiche (come ad esempio la pianta e
l’elevazione. San Francesco punto nodale del gotico italiano (volle essere chiesa-santuario e chiesa
conventuale, cripta funeraria e cappella papale). Le vetrate: ampiezza possibile dalla variazione della
distribuzione delle spinte. Vetro di vario colore, piombi, pittura monocroma (luci-ombre), lineature di ferro
(impaginazione) sono tutti elementi che conducono a un risultato comune, che ha caratteri propri al
mosaico, allo smalto e alla pittura, ma con l’aspetto esclusivo di penetrazione della luce (caratteri
condivisi/esclusivi). La prima decorazione della Basilica Superiore di Assisi furono le vetrate: quelle
dell’abside sono opera di maestri tedeschi, mentre quelle appartenenti al transetto e alla navata furono
realizzate da autori francesi e italiani. Per la pittura, i primi che lavorarono al transetto nord furono nordici,
forse inglesi, poi però il cantiere venne affidato a Cimabue (1190) e ad altre maestranze come Duccio di
Buoninsegna e Giotto, il quale terminerà le Storie di San Francesco nel 1200. Roma e la curia furono
determinanti per la penetrazione del gotico in Italia. Altro centro propulsore del gotico fu la corte degli
ultimi Staufen (Federico II). RAPPRESENTARE CIÒ CHE ESISTE COME È Federico II: strategia di dominazione
attraverso la propria politica artistica. Grande costruttore di chiese, castelli e città. Origini sveve e
normanne che lo influenzano sui programmi iconografici. D’altra parte in Sicilia dominazione islamica che
aveva introdotto abitudini raffinate, e Federico le riprese e non per imitare l’impero bizantino, ma aspirava
all’antico Impero Romano, modello di tutti gli imperi. Per questo promosse ripresa classicheggiante, o nel
rifacimento degli “augustali”, le monete d’oro col profilo dell’imperatore, o l’incisione di gemme o camei.
Questo atteggiamento non solo per motivi politici, ma anche per rappresentare al meglio certi contenuti.
Federico II grande uso della propria effigie: statua acefala dalla Porta Capua. Importante per la rinascita del
ritratto. Utilizzo politico della propria immagine, interessi naturalistici, volontà di rappresentare “ciò che
esiste come è” = passo importantissimo nell’atteggiamento verso l’individuo, passo capitale per la rinascita
del ritratto moderno. Con lui piante, progetti e alzati dell’architettura gotica discesero nel Mezzogiorno +
connubio con forme arcaizzanti dell’Impero Germanico + forme classiche > tutto poi nella scultura di Nicola
Pisano. PER MAN DI QUEI CHE ME’ INTAGLIASSE IN PIETRA Importanza della produzione plastica toscana
nella seconda metà del Duecento grazie a Nicola e a Giovanni Pisano. Periodi di epigrafi laudatorie, anche in
Francia. Firme di Giovanni Pisano: due iscrizioni sul pulpito della Cattedrale di Pisa, dicendo prima che è un
dono di Dio poi lodando se stesso sfidando i critici. Questo conferma anche la posizione della scultura come
arte-guida. Alla teratologia (studio delle deformità e mostruosità) si sostituisce la botanica gotica (capitelli
con maschere vegetali). Dai “Mesi” di Parma, sarà Benedetto Antelami il primo scultore gotico italiano.
Nicola Pisano: proveniente dal Mezzogiorno federiciano, a Pisa per il cantiere del Battistero: elementi della
tradizione progettuale gotica e del classicismo federiciano trovano un luogo di sintesi. Lo stile di Nicola
evolve verso più il gotico nel pulpito di Siena dove lavorerà con il figlio e Arnolfo di Cambio. Giovanni
lavorerà a Pisa, Arnolfo a Roma, itinerari diversi; Giovanni “contro-rivoluzione gotica” > scultura espressiva,
drammatica. È il più personale e geniale degli scultori europei sul finire del Duecento. Egli modifica molto il
rapporto scultura-architettura a favore della prima.
I TURIBULI. Due problemi: 1. nesso che lega le microtecniche e le arti monumentali (i tabernacoli e i turibuli
a forma di edifici); 2. l’importanza per gli orafi di esempi tramontani. I reliquiari utilizzano il repertorio del
disegno architettonico per proporre micro-esempi. Sono pezzi di oreficeria nei grandi tesori ecclesiastici (ad
esempio, il Reliquiario della testa di San Galgano del Museo dell’Opera del Duomo di Siena, a pianta
centrale, a forma di alto tiburio. Struttura poligonale, accentuata da contrafforti che scandiscono le scene.
Siena, fine Duecento: attivissimo luogo di produzione per le tecniche suntuarie. Tra i pezzi più moderni: i
sigilli. Per disegnarli scelti i migliori artisti. Nella gerarchia medievale il sigillo occupa parte di primissimo
piano: per sugellare il valore civile del suo affresco con la Maestà in Palazzo Pubblico, Simone Martini, dove
rappresenta il sigillo della città di Siena, eseguito da Duccio di Mannaia nel 1298. Sua la firma sul calice che
papa Niccolò IV donò al tesoro della Basilica di Assisi. Qui per la prima volta tecnica degli smalti traslucidi su
placca in argento incisa. Guccio di Mannaia conosce i modi gotici francesi con un’espressività più
accentuata. Convergenze con vetrate della grande quadrifora del braccio sinistro del transetto sud della
Chiesa Superiore di San Francesco ad Assisi. Fatto significativo: da una parte mostra l’incidenza di queste
vetrate transalpine sul campo artistico italiano, dall’altra permette di immaginare l’esistenza presso i
francescani di una grande ricettività. Lo stile di Guccio non riesce ad affermarsi, ma influenza gli orafi senesi
e diverrà una componente presente nello stile di Simone e Pietro Lorenzetti. Al tempo di Guccio momento
dell’espansione di Siena. Lo smalto translucido acquisterà un vasto prestigio: Reliquiario del Santissimo
Corporale della Cattedrale di Orvieto di Ugolino di Vieri.
PITTURA A INIZI DEL ‘300 Nel sottotetto della Cattedrale di Modena frammenti di pitture morali di maestri
campionesi. Testimonianze precoci di forme gotiche. I tempi della pittura non concordano in Italia con
quelli dell’architettura o della scultura; nascerà ad Assisi e Roma la pittura che dominerà la scena europea
nell’ultimo quarto del Duecento. Roma: luogo di sperimentazione. Da qui controllo del programma
iconografico di Assisi.
Urgenza di innovazione: Giotto. Trecento: secolo più ricco di novità e variazioni. Per molto tempo il
panorama della pittura è stato riassunto tra due poli – Firenze e Siena – ma grazie a Roberto Longhi,
conosciamo un paesaggio artistico più complesso e articolato: Emilia, Lombardia, Marche, Napoli, Venezia,
Sicilia e altre città toscane. Siena punto particolare. Firenze si apre alla pittura senese: Madonna Rucella di
Duccio per Santa Maria Novella. Grandi capacità espansive dell’arte senese. In più avrebbe anche scoperto
la pittura “metereologica”. Con il Palazzo Pubblico diviene la capitale dell’affresco. La pittura profana, civile,
si intreccia con i temi religiosi. Accanto all’affresco c’è la pittura su tavola: il polittico. L’ITALIA FUORI
DALL’ITALIA Artisti che nel Trecento proiettarono nei centri d’Europa schemi, ricerche e formule dell’arte
italiana. Personaggi facoltosi furono stimolati a farsi committenti nel loro paese di opere d’arte che
riprendono quei temi e quelle tecniche. Dal 1320/1330 poli d’irraggiamento: Parigi con Jean Pucelle,
Strasburgo e l’area austriaca. Avignone rappresenta un caso particolare: lo stabilirsi dei papi portò molti
artisti italiani, come ad esempio Simone Martini, nella città provenzale. Qui nacque il semplice ritratto
privato. Quello che si faceva ad Avignone era exempla per altri centri