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Storia dell’arte medievale

CAP. I - L’ARTE IMPERIALE DAI SEVERI A COSTANTINO

Il periodo tardo antico, III-IV sec. d.C., viene definito a livello morale, politico ed artistico di decadenza (con
la crisi della classicità con la rottura della forma organica, naturalistica e razionale dell’arte greca, una
tendenza antigreca definita provinciale e plebea). Solo all’inizio del ‘900, viene rivalutato con Riegl, afferma
con la sua ‘’volontà d’arte ’’ cioè che ogni fase storica esprime le idee attraverso il linguaggio artistico;
quindi ogni arte è degna di essere analizzata. La storia viene intesa come passaggio tra mondo antico e
medioevo.

L’impero subisce profondi cambiamenti:

- Esterno abbiamo continua lotte sui confini orientali e settentrionali dove nemmeno la vittoria di
Settimio Severo contro i Parti riuscì a placare così come le battaglie contro i barbari del Nord.
- Interno Roma perde il suo carattere di città centro del potere in quanto vediamo in questo periodo
imperatori non provenienti dalle grandi famiglie romane e estesa la cittadinanza romana a tutti
coloro che facevano parte del territorio romano.

L’elemento più significativo di questa fase storica è la religione. Si tende verso forme monoteistiche
come il pensiero neoplatonico di Plotino (240-270) che concepisce il mondo come emanazione
dell’UNO, cioè Dio, era trascendente, inconoscibile e irraggiungibile attraverso qualsiasi conoscenza
umana. Si sviluppano i culti di Mitra, del Sole, di Serapide. Nel 313 Costantino dichiara libero il
Cristianesimo che era già radicato nell’impero, prima tra le classi più povere e poi fino a quelle più
ricche. La ‘’Cronaca di Seert’’ del III sec., un testo persiano, parla dello Stato romano come di Stato
Cristiano. I sintomi di questa diffusione si vedono nei ritratti imperiali. Non importa rappresentare il
personaggio fedelmente dal punto di vista fisico e fisionomico, tipico della ritrattistica romana. Il
sovrano è emanazione del divino e viene rappresentato ultraterreno, quasi astratto: sguardo illuminato
con occhi grandi e tratti idealizzati.

Testa Colossale Gordiano III -III d.C.– Museo Nazionale Romano

 Rappresentato il giovane imperatore Gordiano III salito al trono a 16 anni e ucciso tre anni dopo. Questo
presenta uno sguardo intenso sottolineato dalle sopracciglia, l’osservatore ne è subito catturato. I capelli e i
baffetti da adolescente sono resi con piccole incisioni. Colpisce lo sguardo di questo giovane già adulto,
precocemente maturo. Figura molto amata nella letteratura. Il volto pingue contrasta la serietà del volto
mentre gli occhi suggeriscono l’abitudine alla meditazione.

Testa di Costantino e Costanzo II – IV d.C. – Metropolitan Museum – Museo Nazionale Romano

Il volto assume una forma plastica più semplice con i capelli, barba e sopracciglia resi tramite incisioni
curatissime quasi del tutto innaturale. Gli occhi sono grandi e sono coloro che catturano l’attenzione
dell’osservatore in quanto questi sembrano osservare la realtà circostante da una dimensione extraterrena.
Lo sguardo è lontano ed emana trascendenza e potere.
1- Pseudo-Seneca (ritratto di un uomo anziano molto fedele alla realtà, con rughe sul collo e
viso, la barba, le guance scavate, ritratto è reale. Conservato a Napoli. Il linguaggio è ANALITICO, descrive
dettagliatamente tutto, non sintetico (ovviamente ci sono anche i ritratti idealizzati, come quelli
dell’imperatore con i muscoli ben scolpiti, panneggio molto realistico, lorica riccamente dettagliata, molto
spesso si vedono anche le vene sulle braccia).

Testa di Valente o Valentiniano I – IV dC – Uffizi di Firenze Troviamo tratti fortemente idealizzati con occhi
grandi e fuori scala, pettinatura è curatissima con lo sguardo che appare lontano. La forte spiritualizzazione
rende difficile l’identificazione del personaggio.

Arco di Settimio Severo - 202/203 – Campidoglio Roma

 Arco onorario a 3 fornici per il trionfo contro i Parti. I 4 pannelli, due per parte, narrano gli avvenimenti
più importanti: gli episodi si leggono dal basso verso l’alto. L’imperatore è più grande rispetto ai soldati
(gerarchia dell’arte plebea). Rappresentazione della presa della città di Ctesinofonte. Il maestro fa largo uso
del trapano dove vediamo alternanza di zone d’ombra e di luce donando un effetto coloristico che vediamo
in età antoniana. Abbiamo una meno resa plastica e Settimio Severo è rappresentato in mezzo ai suoi
generali in una posizione rialzata intento nell’adlocutio. Vediamo caratteri della tradizione romana che
affondano le radici sull’arte provinciale e plebea.

Roma inizia a riempirsi di monumenti costruiti per volontà dei Severi. Il cambiamento culturale si vede
anche dalla costruzione delle Mura Aureliane (271-275). Roma non è più città aperta, ma si adegua ai
tempi. Aureliano si vede costretto a cingere la città per il momento instabile che vive il suo regno. A nord i
confini del Danubio vengono oltrepassati e, per la prima volta, i barbari arrivano al Garda. A Oriente intanto
c’è la lotta contro Zenobia, regina di Palmira. Tipico dell’epoca è il riuso di parti di monumenti antichi, come
ci mostra l’Arco di Costantino (315), innalzato per il decennale dell’imperatore, usa dei rilievi che ritraevano
gli imperatori più amati: Traiano, Adriano e Marco Aurelio. Costantino vuole apparire loro discendente
diretto. Nel rilievo dell’adlocutio, compaiono gli elementi tipici dell’arte plebea. Marco Aurelio e Adriano
sono più grandi rispetto agli altri; una prospettiva ribaltata pone figure e monumenti su un’unica superficie.
L’esecuzione a trapano si allontana dalle ricerche naturalistiche dell’arte greca per cadere in una
rappresentazione meno colta, ma di immediata comprensione. Nel IV sec. nascono i primi edifici di culto.
Roma, da una parte perde la sua centralità, dall’altro si prepara ad essere la capitale del mondo cristiano.
LA PRIMA ARTE CRISTIANA

Prima dell’editto del 313, il Cristianesimo si diffonde clandestinamente prima tra le classi povere, poi tra gli
aristocratici e commercianti. I ricchi mettono a disposizione dei luoghi segreti per pregare, le domus
ecclesiae (casa dell’assemblea). Nel IV sec. si contano 25 tituli (tipo parrocchie), chiese domestiche di cui
rimangono poche tracce. La resurrezione fa che si passi dall’incinerazione all’inumazione. I luoghi di
sepoltura erano collocati lungo le vie d’accesso (autorappresentazione) o nelle catacombe (usate da metà II
sec. al V sec., presso le grotte: zona dell’Appia dove sorgerà la Basilica Apostulorum). Sono luoghi di
pellegrinaggio fino al IX sec, quando con gli spostamenti dei corpi dei martiri nelle basiliche, vengono
abbandonate per essere riscoperte nel XVII sec. L’uso non era esclusivamente cristiano, ci sono ipogei
giudaici e pagani come quello sulla Via Latina del IV sec.: un mix di cristiani e pagani, con rappresentazioni
bibliche e mitologiche. Nel III sec. la Chiesa ancora clandestina divide Roma in 7 regioni, ognuna assegnata
ad un diacono (servo del culto). Ognuna di queste regioni corrisponde ad una catacomba fuori le mura.
Possono prendere il nome del proprietario del terreno (Priscilla) o quello del martire che ospita. Gli
ambulacri (gallerie o criptae come le chiamavano i fossori). Ai lati delle gallerie possono esserci cubicoli
(camere) poligonali per i più abbienti. Gli arcosoli, urne chiuse sormontate da un arco decorato a fresco.
I sepolcri sovrapposti sono detti loculi o loci messi in pila (sezione verticale). Della produzione artistica
dell’epoca abbiamo poco. Tra gli oggetti legati al culto dei martiri, abbiamo vetri dorati (III-IV sec. grazie
all’osservazioni tecnico stilistiche e le acconciature e vesti dei personaggi. Sugli oggetti di uso comune
vediamo dipinte, incise immagini inerenti il Buon Pastore, virtù cristiane e la vita proba Giona), avorio,
gioielli, lucerne.

CONVIVENZA TRA ARTE PAGANA E ARTE CRISTIANA

Con la concessione della cittadinanza, si intensificano i rapporti con le culture periferiche. L’arte si stacca
dall’impronta naturalistica dell’età classica, in favore di una lettura simbolica. La rima arte cristiana usa un
linguaggio figurato che s’ispira alla cultura pagana e a quella orientale giudaica. L’aniconismo, tipico prima
del giudaismo e poi del cristianesimo spinge ad usare figure simbolo. Dal IV sec. forma simbolica e forma
narrativa procedono insieme: agnello/Cristo; Buon Pastore – filosofo/ Cristo, scene del Vecchio
Testamento, parabole di salvezza. La figura di Cristo avendo due nature, una divina e l’altra umana, poteva
essere rappresentato. Con il sodalizio tra Chiesa e Stato compare, specialmente nelle absidi delle basiliche,
il Cristo con le insegne regali della traditio legis.

DIPINTI E RILIEVI CRISTAINI DEL III E IV SEC

I primi documenti risalgono al III sec. La mancanza di materiale dei primi secoli è imputabile al divieto
giudaico di rappresentare le divinità. Abbiamo un’arte che oscilla tra il realismo romano e una
rappresentazione simbolica e, dal IV sec, un ritorno alla tradizione classica. Le prime testimonianze a fresco
sono nei luoghi di sepoltura. Ispirazione alla romanità la troviamo nella Catacomba dei santi Pietro e
Marcellino con il Banchetto eucaristico - pagano. Lo stile dei primi secoli è quasi impressionistico.
Nei sarcofagi di III e IV sec., dalla narrazione romana, si passa a condensare più scene in un unico spazio. Ne
sono un esempio il SARCOFAGO LATERANO e il SARCOFAGO di GIUNIO BASSO (359), anche se questo ha
uno schema più classico. Dal IV sec. si passa all’espressionismo, le figure sono più ieratiche, si allontanano
dal naturalismo. Basiliche fondate nel IV-V sec che nel tempo furono modificate (come il soffitto a
cassettoni), erano suddivise in 3 navate da grandi file di colonne architravate che sorreggono una parete
liscia con grandi finestre, poteva ospitare mosaici (dopo il 431) o pitture. Già nel V sec nei mosaici
presentano scene dell’antico e del nuovo testamento. Si va verso una semplificazione e sinterizzazione degli
elementi. Il contrasto tra colori scuri e chiari dava tridimensionalità, non ci sono colori graduali per creare le
sfumature. Rapporto irrazionale tra figure e le architetture sullo sfondo. Dietro le scene c’è di base un testo
letterario, si solito sono i vangeli apocrifi, le figure sono molto semplici così le persone appena sentivano le
parole delle scritture capivano l’immagine, anche per essere comprese dal basso. La madonna veniva
raffigurata come una matrona romana con le perle tra i capelli, circondata da una schiera di angeli, una
delle prime raffigurazioni della madonna la troviamo a Santa Maria Maggiore. La gestualità delle mani era
molto importante, infatti raffigurate molto grandi, perché si doveva vedere cosa stava succedendo anche
da lontano, ogni gesto aveva un significato specifico.

5Il Missorio era un piatto d’argento che veniva donato come regalo decorato con
rilievi. Uno di questi raffigura Teodosio con i figli, i soldati, il committente, e la personificazione della terra
che sta sotto i piedi del trono di Teodosio (la terra feconda sottomessa dal potere di Teodosio), datato 388
d.C. Dettaglio dei capelli come calotta, aureola circonda il suo capo, architettura sottile sullo sfondo
(frontone del tempio, solo colonne che lo sostengono). Questa scena verrà presa come riferimento per
l’arte cristiana nella raffigurazione della madonna.

6 Mausoleo di Costanza, figlia dell’imperatore Costantino, è a pianta


centrale (tipica per battisteri e mausolei), tutt’intorno vi sono colonne architrave, un anello di mosaici tra le
colonne e la coppia di colonne, formano cerchi concentrici. Essi raffigurano colombe che bevono da un
bacinella d’acqua, le tessere più scure e chiare danno l’idea della tridimensionalità, ripetuto il motivo della
vendemmia (con contadini che caricano un carro di legno trainato da dei buoi), ha a che fare con il giudizio
finale, il pavone è simbolo di eternità (carne che non si decompone mai)—> Non ci sono temi altolocati e
temi miseri, tutto viene raffigurato, anche il carro trainato da buoi. Inoltre c’è anche la spremitura del vino,
parte fondamentale del giorno del giudizio, quando verranno designate le persone buone dalle cattive, si va
verso una raffigurazione simbolica.
La pittura del periodo è quella delle catacombe, molto semplice, fatta con pochi colpi di pennello, di facile
comprensione, fatte per essere sempre accompagnate da un testo sacro. Daniele che fu gettato nella fossa
dei leoni ma fu salvato da degli angeli—> scena con Daniele denudato e due leoni - fine - alludeva alla
resurrezione, era destinato alla morte ma fu salvato. Adamo ed Eva dopo aver mangiato il frutto proibito—
> spalle ricurve, simbolo di pentimento. Un uomo in una scatolina, delle onde alla base, le sue mani aperte
a orante e una colomba ben fatta che porta un ramoscello di ulivo—> Noè e l’arca. Le catacombe sono
cunicoli sotterranei dove i primi cristiani si seppellivano e dove celebravano le messe, erano chiese ipogee
ovvero sottoterra. Il loro tetto poteva essere affrescato, ad esempio con un pastore che alludeva Gesù, con
pavoni simbolo della vita eterna, raffigurazioni di persone sepolte nel luogo, erano soliti temi di vita
comune.
Arte sintetica sia dal punto di vista sintattico delle immagini, ma anche dal punto di vista estetico e
strutturale, il modo in cui si rappresentavano le scene, l’importante era far trasmettere il messaggio. I
sarcofagi erano riccamente decorati, molto spesso fatti costruire prima della loro effettiva morte, ad
4Tempio di Teodosio a Costantinopoli è descritta come un luogo ricco di monumenti riccamente decorati
con oro e pietre preziose (rimane solo la base di un obelisco scolpito in marmo). Nell’Ippodromo venne
collocato un grande obelisco recante un bassorilievo con l’imperatore Teodosio I e i suoi figli mentre
assistono a dei giochi (390 d.C.): le figure sono tutte frontali, non c’è prospettiva né profondità, stanno su
un unico piano, le figure più importanti sono raffigurate leggermente più grandi rispetto ai personaggi
minori come gli spettatori (se nell’arte classica le figure più grandi erano quelle in primo piano mentre solo
quelle in secondo erano più piccole proprio per dare profondità a favore di una ambientazione reale, nel
Medioevo le figure vennero rappresentate più grandi o più piccole in base alla loro importanza, rimarcando
lo stile simbolico). In un’altra facciata si vede Teodosio su un balcanico mentre fa un’orazione, è al centro
della scena mentre nel mezzo vi sono spettatori (più piccoli) e alla base delle danzatrici con dei strumenti
musicali ancora più piccoli.
6 Statua del nipote di Teodosio, Valentiniano, occhi grandi, capelli a calotta, panneggi e corpo memori
dell’arte classica, committente l’imperatorie quindi magnificenza delle forme, residui del classicismo.

CAP. II – LE NUOVE CAPITALI DELL’IMPERO

1. COSTANTINOPOLI La nuova Roma doveva essere totalmente diversa dalla prima. Costantino l’8
novembre del 324 consacra la nuova capitale sul Bosforo. Bisanzio sorge su un promontorio, la
piccola città greca viene ampliata da Settimio Severo nel 196.
Costantino, dà il nome a questa nuova sede e ne quadruplica l’estensione severiana, fornendola di
un: Nuovo porto; Un ippodromo; Amplia le mura; Costruisce acquedotti; Palazzi; Strade. L’unico
edificio che conserva ancora alcune parti è l’IPPODROMO e a partire dall’istituzione della Tetrarchia
è luogo di epifania imperiale, ed elemento essenziale di ogni residenza imperiale. Su un’altura
sorgeva il Foro, circolare e con al centro, una colonna sulla cui sommità c’era una statua di
Costantino -Helios.
La CHIESA DEI SANTI APOSTOLI, concepita come un mausoleo e futuro luogo di pellegrinaggio, era
costruita nel punto più alto della città. Era una costruzione a croce greca con all’interno la tomba
dell’imperatore, dove Costantino aveva disposto che ogni giorno si celebrasse il sacrificio
eucaristico. Alla morte di Costantino (337) i lavori non erano ancora finiti. La chiesa, che assunse la
funzione di cattedrale fu Santa Sofia fondata da Costantino e interamente ricostruita da
Giustiniano, nel XV e XVIII sec. La città divenne espressione della natura divina dell’imperatore.
Nonostante ciò non arrivava minimamente a rivaleggiare con Roma o con altre città antiche come
Antiochia o Alessandria. Per primeggiare deve aspettare il sacco di Roma da parte dei Goti del 410 e
dei Vandali nel 455 e la conquista persiana di Antiochia nel 540. Raggiunge il suo apice con
Giustiniano (528-565). Successivamente con Teodosio I e successori Costantinopoli è soggetta a
trasformazioni che la rendono un grande centro grazie anche alla decadenza degli altri centri.
Importanti sono le mura di Teodosio II, che sostituiscono quelle di Costantino in quanto ciò porta
alla creazione di nuovi cantieri con nuove maestranze. Costantinopoli diviene centro artistico in cui
giungono diversi artisti da ogni regione e nascono nuove scuole. Tra il IV V VI secolo avorio e
oreficerie sono sensibili agli effetti della renovatio con una consapevole ripresa dei 8 modelli
classici.
Il significato della renovatio lo cogliamo nelle opere di carattere profano, dai mosaici pavimentali
con scene bucoliche, cacce, ecc. SANTA SOFIA
– MILANO
Al centro della Pianura Padana, sorta in posizione strategica. Forse fondata dai Galli, ma l’aspetto
urbano più conosciuto è romano: schema a scacchiera poi coperto dallo schema a ragnatela.
Durante la Tetrarchia diventa capitale imperiale e viene ampliata con Massimiano (286-305). Sotto
Piazza Duomo ci sono i resti della Basilica a cinque navate del Salvatore, poi consacrata a SANTA
TECLA. Ricostruita sulla forma antica è la basilica di SAN LORENZO, pianta quadrata con angoli
rinforzati da torri. I toponimi delle vie limitrofe la associano al palazzo imperiale, quindi possiamo
datarla al IV o V sec. Il vescovo Ambrogio poi circonda Milano di chiese, come una cinta spirituale,
che modificano profondamente l’aspetto della città: BASILICA MARTYRIUM (dove ora sorge la
chiesa di S. Ambrogio) del 386 a 3 navate. Ospitava i martiri Gervasio e Protasio e poi lo stesso
Ambrogio. BASILICA APOSTOLORUM (San Nazaro) del 386 con pianta a croce. La curiosa planimetria
si ricollega alla chiesa degli Apostoli di Costantinopoli. BASILICA VIRGINUM (San Simpliciano) con
pianta a croce. SAN DIONIGI dedicata all’omonimo vescovo, se ne conosce solo la collocazione.

RAVENNA

Alla morte di Teodosio (395) l’impero viene diviso in due parti: l’Oriente con capitale Costantinopoli,
governato da Arcadio e l’Occidente con Onorio. La capitale viene spostata da Milano a Ravenna perché
circondata da paludi, quindi difficilmente raggiungibile dai Visigoti di Alarico. Con il legame stretto tra
Cristianesimo e Impero, si cerca di rendere Ravenna ‘’esteticamente’’ cristiana. La cattedra vescovile viene
trasferita nel IV sec. da Classe a Ravenna. Il vescovo Urso dota la città di edifici: La CATTEDRALE URSIANA:
deduciamo una pianta a 5 navate e priva di transetto;
Il BATTISTERO NEONIANO: ottagonale in laterizio. Il soffitto viene mosaicato dal Vescovo Neone nel V sec e
possiamo notare una rappresentazione plastica di derivazione romana. Nella fascia esterna del mosaico c’è
l’etimasia (trono vuoto con libro della vita) riferimento apocalittico alla fine del mondo). Il vero splendore
arriva sotto la reggenza di Galla Placidia, sovrana di Occidente in vece del figlio Valentiniano II. Si ipotizza la
presenza del Palazzo imperiale (a cui urbanisticamente sono legate le chiese), nella Regio Caesaris. Lì vicino
Galla Placidia fa costruire la CHIESA DI SAN GIOVANNI EVANGELISTA (426): 3 navate; rimaneggiata
pesantemente nei secoli, mosaici con membri della famiglia imperiale teodosiana perduti; presenza di due
pastofori (casa del sacerdote ambienti rettangolari) che chiudono le navate ai lati dell’abside. Questi
ambienti gemelli sono presenti in chiese paleocristiane e altomedievali. MAUSOLEO DI GALLA PLACIDIA,
era collegato a Santa Croce (oggi scomparsa) e doveva far parte di un edificio maggiore.
Tra i monumenti più antichi di Ravenna troviamo
9 il Mausoleo di Galla Placidia

(luogo in cui forse fu sepolta la figlia di Teodosio) sicuramente post 425. Al


suo interno vi era ancora la sedia imperiale—> città memore della civiltà classica. È a pianta centrale
realizzata in laterizio, molto semplice, era attaccata al palazzo imperiale ma per via delle varie guerre è
andato perduto, ma il mausoleo resistette. Dentro è interamente decorata con mosaici, la volta poggia su
degli archi, nelle decorazioni prevale il blu e motivi floreali. Dato che il corpo di Galla Placidia fu sepolta a
Roma, probabilmente questo era un sacello dedicato a San Lorenzo, infatti compare in una lunetta,

è l’unico santo riconoscibile per via della graticola ardente in cui fu


martirizzato.
Altra scena iconica è quella del Buon Pastore:

sormontato da un arco blu, vi è questo pastore che si rifà sicuramente a


Gesù (influenza dell’arte paleocristiana per motivi iconografici, Cristo senza barba né aureola, attributo
anche degli imperatori, raffigurazione inconsueta, solo dal VI secolo si rappresenterà con la barba), il cielo
alle sue spalle è azzurro e non oro come quelli bizantini, c’è una certa disinvoltura della figura nello spazio,
non è rigido. Annotazioni naturalistiche: cielo azzurro, piante rocce sullo sfondo, pecore con atteggiamenti
diversi—> dinamicità, senso del volume, chiaroscuro evidente, ombre presenti (con il tempo spariranno), si
nota ancora l’influenza del naturalismo e con lui dell’arte paleocristiana. La luce è resa con tessere bianche
dando l’idea di essere sporgenti.
10 Battistero degli Ortodossi, metà V secolo

. È un edificio a pianta ottogonale, slanciato, esternamente è costruito in


laterizio con lesene creando dinamicità, internamente vi sono molte finestre che danno luce, al centro la
fonte battesimale (vasca molto grande), i capitelli memori della tradizione classica, ci sono sia mosaici sia
decorazioni in gesso, molto utilizzata perché molto economica rispetto alla pietra, ma è meno resistente. La
fascia intermedia è in gesso con bassorilievi. Nella parte centrale in alto abbiamo un cripio dove al centro vi
è raffigurato il battesimo di Gesù con San Giovanni Battista e tutt’intorno gli apostoli,

lo sfondo è scuro per dare l’idea di tridimensionalità, tutto circondato


da elementi decorativi floreali e naturali, sono presenti delle targhette con il loro nome, le figure
camminano tenendo in mano delle corone—> simbolo del martirio (Paolo decapitato) non la porta
direttamente con le mani ma utilizza un panneggio, dono dato direttamente da Dio quindi sacro, vi è in
generale un notevole senso del volume, il panneggio delle vestiti fasciano il corpo sottostante (elemento
reso grazie a tessere più scure), senso di ombre, il suolo sembra dell’erba—> volontà di rappresentare i
santi in un Paradiso, come un mirabile giardino, vi è anche la personificazione del fiume Giordano, nella
scena vengono riportati tutti gli elementi che rimandano al battesimo—> simbolismo, così comprensibile
anche a distanza.

11Battistero degli Ariani: erano ariani tutte quelle popolazioni


germaniche che si stabilirono in Italia che poi diventavano cristiani. L’edificio venne costruito quando gli
Ostrogoti si stanziarono a Ravenna, l’esterno è molto semplice e grezzo, a pianta ottagonale, no lesene, le
pareti sono lisce e con grandi finestre, gli elementi decorativi sono simili al Battistero degli Ortodossi ma più
semplici come la cupola centrale pressoché uguale in cui sparisce il fondo blu atmosferico sostituito da un
fondo oro, per andare a simboleggiare la grandezza dell’evento, come in una dimensione ultraterrena,
invece qui le gradazioni di colore sono minori, le ombre più sintetizzate, la luce resa come semplici strisce
bianche, le figure appaiono appiattite.
12 Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, sorge di fianco al palazzo reale
voluta da Teodorico re degli ostrogoti. L’interno è decorato con mosaici di epoca teodoriciana e
giustinianea quindi di epoche diverse (fine V inizio VI secolo), la pianta ci ricorda le basiliche romane quindi
con 3 navate divise da colonne architrave sormontate da pareti lisce decorate con santi a destra

(figure bidimensionali, pieghe delle vesti rese con strisce nette di colore,
no profondità, volontà di ricreare una sorta di paradiso) e sante martiri a sinistra

(fondo oro, tengono in mano la corona del martirio, sono identificate non
per cosa tengono ma per il nome sopra le loro teste, figure piatte, no chiaroscuro, capi colorati in contrasto
con i colori del resto, tutto si sviluppa sul primo piano, non ci sono ombre, le figure non sono investite dalla
luce, procedono tutte verso una direzione ma nonostante ciò sono figure frontali, irrazionalità nella
rappresentazione dello spazio perché non importante al loro scopo), sopra di essi grandi finestroni per
illuminare, vi si alternano ad esse quadri con la vita di Cristo, nell’ultimo pannello vi sono alcune scene

come il Porto di Classe (importante al tempo perché utile per scappare in


caso di invasione nemica) vista “a volo d’uccello”, dalle mura si possono intravedere i monumenti
all’interno, tutto molto irreale, il mare sulla sinistra è in verticale, e il Palazzo di Teodorico, in origine
raffigurava Teodorico la sua corte cercando di emulare i comportamenti e lo stile degli imperatori romani,
dopo che Giustiniano lo sconfisse DAMNATIO MEMORIAE, lui e la sua corte furono cancellati in tutte le
opere e anche in questa, siamo sicuri di ciò perché si vedono ancora delle mani che tengono le tende.
Il tutto è decorato con motivi floreali astratti e colombe, reimpiego delle colonne, il soffitto è a cassettoni
sicuramente successivo, i mosaici presentano scene della vita di Cristo tratti dai vangeli apocrifi. - - Scena
molto importante è quella dei Magi rappresentati di profilo con vesti
particolari mentre seguono la stella cometa, addirittura considerata più importante della natività perché si
riconosceva l’autorità di Cristo.

- Pesca miracolosa sul lago di Tiberiade, Gesù raffigurato più grande rispetto
alle altre figure (non per tridimensionalità ma per esaltare la sua importanza) ha l’aureola e porta una
croce, non ha la barba, sono presenti nella scena anche i due pescatori mentre tirano su la rete piena di
pesci.

- Ultima cena, gli apostoli descrivono un arco con i loro corpi mentre
sono sdraiati sul triclinium, al centro un tavolo alla romana con un grande piatto di pesce, tutti i volti sono
presentati frontalmente tranne Giuda che è di profilo.

- La resurrezione, delle donne sulla destra vanno verso un tempietto con


all’interno la tomba posta verticalmente, è scoperchiata, sulla sinistra un angelo la indica.

- Il bacio di Giuda raffigurato di profilo, al centro Gesù, sulla destra un


gruppo di soldati con il volto frontale di cui uno che tiene la spalla di giuda, figura sproporzionata con un
braccio lunghissimo. Con il Vescovo Agnello, alla morte di Teodorico e sotto Giustiniano, la chiesa torna ad
essere cattolica e viene dedicata a San Martino, e vengono cancellate le figure che rappresentano il rito
ariano. Nel IX sec. viene dedicata al Vescovo Apollinare. Nella necropoli riservata ai Goti, all’esterno
decagonale, e all’interno circolare. Il soffitto è un’unica pietra monolitica. La cosa particolare è il motivo
decorativo che trova corrispondenze solo nell’oreficeria gotica. E’ un mix di culture diverse, romane e
germano-nordiche.

13Mausoleo di Teodorico, costruito con blocchi di pietra squadrati, richiama


all’architettura romana, sottolinea la sua volontà di essere il successore dell’impero romano. La sommità è
un unico blocco di pietra pesantissimo, infatti ci si interroga su come abbiano fatto a trasportarlo, dentro
c’è una vasca di porfido rosso, pietra durissima usata molto dai romani.
Dopo Teodorico arriva Giustiniano, colui che riunificò l’impero anche se per pochi anni.

14Avorio Barberini: placchetta oggi conservata al Louvre in avorio, raffigura


l’imperatore Giustiniano a cavallo mentre irrompe in una guerra, tiene in mano una lancia che arriva fino a
terra, la sua veste è preziosa, sotto gli zoccoli del cavallo la personificazione della Terra come una donna
disperata e povera, si distingue dietro di lui una figura vestita con abiti strani il quale rappresenta il dominio
sui popoli esteri, a destra la vittoria alata, nel pannello a sinistra c’è un soldato che porta in mano un
sacchetto di soldi, come a simboleggiare il bottino di guerra, in alto e in basso persone vestite con vestiti
strani (stranieri) portano doni, in alto il clibio è portato da degli angeli con Cristo benedicente (ci fa capire
che siamo in periodo cristiano).
Continua l’influenza dell’arte classica—> Renovatio = continue riprese di impulsi naturalistici di ascendenza
classica o ellenistica.
15Santa Sofia a Istanbul,

fondata da Costantino e consacrata nel 360, riedificata dopo un incendio da


Teodosio II nel 415 e ricostruita da Giustiniano nel 532 dopo la rivolta della Nika, nel tempo subirà
modifiche. È sormontata da una cupola gigantesca (non si sa come fa a stare su, forse materiale leggero)
che si appoggia su un anello di finestroni che vanno ad illuminare i mosaici sottostanti, è a pianta quasi
centrale leggermente longitudinale (71x77m), ha una navata centrale e due piccole navate ai suoi lati, alla
base abbiamo un colonnato architravato che va a sostenere un matroneo, al di sopra vi è una parete liscia
con due ordini di finestre.
Giustiniano dopo aver conquistato quasi tutto l’ex impero, si stabilisce a Ravenna.

16 San Vitale, conclusa con Massimiano intorno al 547, è una chiesa


situata vicino al mausoleo di Galla Placidia, è a pianta centrale, ottagonale, preceduta da un nartece con
due torri laterali, un abside centrale circondato da un anello che costeggia la chiesa, molto luminosa, lesene
e mosaici decorano le pareti, i capitelli ricordano molto quelli di Santa Sofia, pulvino (elemento che si
interpone tra l’architrave e il capitello) colorato e riccamente colorato. Tra i mosaici abbiamo una

raffigurazione di Cristo seduto su un trono posto su un globo, è


affiancato da due angeli e santi (come se fosse la sua corte), all’estrema destra vi è il committente
dell’opera—> il vescovo Ecclesio (c’è il nome sopra) in tal modo, facendosi raffigurare in paradiso e
finanziando i lavori, è come se cercasse di garantirsi un posto in paradiso e di salvare la sua anima; il fondo
è oro e rappresenta la luce del paradiso, Gesù da la corona del martirio a San Vitale titolare della chiesa
(per essere dedicato a lui significa che vi si trovava una reliquia), alla base il paradiso terrestre con i 4 fiumi

che vi scorrono. Altro mosaico mostra Giustiniano al


centro porta in dono il pane verso l’altare, è una sorta di offertorio, è accompagnato dal suo seguito, sono
tutti attaccati tra di loro, non c’è rimando al volume, solo uso di tessere di colore diverso, si svolge tutto sul
primo piano, i piedi delle figure sono tutti accavallati e si calpestano, molto spesso come in questo caso il
numero di piedi non corrisponde al numero di persone in scena quando (realtà simbolica e non fisica),
Giustiniano ha l’aureola da buon imperatore e accanto Massimiliano, diacono che volle farsi raffigurare
accanto all’imperatore. Altro mosaico simile è quello che raffigura la moglie, l’imperatrice Teodora, e come
nella scena del marito è accompagnata dalle sue ancelle, le vesti sono molto ricche, in basso sulla balza del
suo vestito ci sono i re Magi, tutto è però molto piatto.
17Sant’Apollinare in Classe, Classe era il porto di Ravenna, poco distante dalla città.
L’impianto della basilica ha le caratteristica di una basilica paleocristiana-bizantina di inizio VI secolo,
suddivisa in tre navate da file di colonne creando un unico spazio unitario, le colonne sostengono degli
archi, sui quali poggia una parete il cui ultimo ordine aperto da grandi finestroni che fanno entrare la luce.

Sul catino absidale abbiamo, oltre a delle serie di finestre


che illuminano la parte centrale, vi è un grande mosaico raffigurante il possessore della chiesa—>
Sant’Apollinare, vescovo divenuto santo patrono di Ravenna. Egli è raffigurato in una sorta di paradiso con
dei fili d’erba, pianticelle e piccoli arbusti (visione non realistica della realtà ma simbolica, scopo?
Rappresentare un giardino paradisiaco), non c’è profondità, gli elementi sono posti verticalmente uno
sopra l’altro, il santo è posto al centro rigidamente frontale, con le mani alzate a orante, indossa i
paramenti episcopali ovvero il pallio, nella volta sopra di lui troviamo un tondo a fondo azzurro con una
croce aurea incastonata di pietre preziose al suo interno, sotto riporta la scritta “salus mundi” salvezza del
mondo, al centro c’è L’Imago Christi ovvero una sorta di clipeo con al centro il volto di Cristo (ricorda una
croce fatta a Costantinopoli), a destra e a sinistra della croce c’è il simbolo dell’alfa e dell’omega. L’aspetto
interessante è che per rappresentare Cristo non si usava il Cristo crocifisso, che invece entrerà in uso
qualche secolo più tardi, ma la croce con il clipeo e Cristo con la barba, usanza nata proprio nel VI secolo.

18 Cattedra di Massimiano, conservata nel


museo arcivescovile di Ravenna, è una sorta di sedia episcopale (o papale come nel caso di quella del papa
a Roma), su cui sedeva il vescovo e per un monogramma trovato egli viene identificato come Massimiano,
lo stesso che si fece rappresentare nel mosaico con Giustiniano. Vista la manifattura eccellente della
cattedra, si pensa provenga direttamente da Costantinopoli. Si pensa che vi lavorarono più artigiani, ma la
caratteristica generale rimane la stessa. Ha una struttura lignea rivestita da placchette d’avorio con
bassorilievi: sul prospetto frontale vi sono 5 placche con bassorilievi raffiguranti i 4 evangelisti e San
Giovanni Battista al centro incorniciato in un arco sostenuto da delle colonne tortili (dietro c’è una sorta di
ventaglio, è la rappresentazione bidimensionale della nicchia in cui vi è posto il santo), tutti con varie
attitudini e personalità, con panneggi sottili al di sotto del quale si intravede un corpo e un ventre
importante anche se tutto molto schematizzato. Nelle altre placchette vi sono rappresentate scene della
vita di Cristo dell’antico e del nuovo testamento. Una di queste presenta Maria incinta che va con Giuseppe
al tempio per il censimento, un’altra il battesimo di Gesù con la colomba sopra le loro teste e la
personificazione del fiume Giordano insieme a due angeli che porgono a Gesù un telo per coprirsi (c’è
sempre la tendenza ad incorniciare la scena in una sorta di arco, diventando un modo per commentare e
sottolineare l’azione in primo piano, ma così si perde l’accezione naturalistica di ambientazione). Ai margini
della cattedra troviamo delle placche con girali vegetali di tradizione classica, ma il fatto che vi siano nelle
volute anche animali (motivi zoomorfi come volatili, conigli, orsi), fa già notare un’impronta medievale che
da qui in poi prenderà piede. In definitiva qui l’arte preponderante è quella bizantina e possiamo definirla
come l’arte che ha conservato quella che era l’arte classica con il naturalismo ecc., ma allo stesso tempo ha
questo andamento che va verso la stilizzazione e l’astrattismo. Queste due anime apparentemente
contraddittorie qui convivono, a tratti ne prevale una, in altri un’altra. Le opere di Ravenna sono le poche
testimonianze di arte bizantina per via delle lotte iconoclaste del VII-VIII secolo.

Nel 476 Odoacre, re degli Etoli, depone Romolo Augustolo. Noi usiamo questa data come cesura tra mondo
antico e medioevo. Teodorico, re dei Goti ed alleato di Bisanzio, viene mandata da Zenone a liberare il
suolo italico dagli invasori. Teodorico diventa Patrizio d’Oriente, e adottato da Zenone, bonifica l’area
intorno a Ravenna. Il nuovo re è ariano e, circondato da uomini di cultura, cerca di far convivere
pacificamente Latini e Goti. Per quest’ultimi costruisce un quartiere apposito nella Regio Caesaris.

ORIGINE DEL MOSAICO L’uso della tecnica risale alla tradizione greco-romana. L’esempio della fase più
antica è nel mosaico di Pella del IV sec. a.C. Nel corso del tempo si passa dai ciottoli alle tessere che
possono variare dimensione ed essere di smalto, pasta vitrea, terracotta o madreperla. L’oro e l’argento
vengono stesi su una lastra di vetro trasparente. Le dimensioni e forme variano: quelle usate per volti e
mani sono molto piccole mentre quelle per le superfici più ampie sono più grandi. Il muro viene preparato
con: Arriccio – preparazione del muro con calce, sabbia e acqua. Vari strati di polvere di marmo, calce
spenta e pozzolana. Il lavoro viene svolto in gruppo, dove troviamo: Pictor Imaginarius: traccia su cartone il
soggetto da rappresentare e i colori da utilizzare Pictor Parietarius: trasferisce il disegno dal cartone sulla
superficie Musivarius: dispone le tessere colorate sulla superficie. Fino al I sec. il mosaico veniva impiegato
nelle dimore patrizie; dal I sec. d.C. viene impiegato anche nelle abitazioni comuni; gli Antonini nel II sec.
d.C. li usano su edifici pubblici. Nelle prime basiliche si preferisce la decorazione a mosaico dell’abside a
quella pavimentale, che viene lasciata ai marmi. L’effetto che ne deriva, tra il colore delle tessere e la luce
che queste riflettono, è di immergere il fedele in un ambiente spirituale e contemplativo. Il mosaico è più
duraturo e quindi preferito. Roma- Ravenna e Milano testimoniano l’evoluzione del mosaico.

La morte di Teodorico nel 526 lascia il regno travagliato da lotte interne, specialmente per l’intolleranza
degli imperatori verso gli ariani. Con Giustiniano scoppia la guerra gotobizantina (535-553) che vede la
vittoria di Giustiniano e una breve unificazione degli Imperi. Nel 554 con la Prammatica Sanzione,
Giustiniano istituisce la Prefettura d’Italia, con capitale Ravenna. Il vescovo Agnello (557-570) si adopera
per cancellare tutti i segni ariani dalla città: sostituisce i personaggi del Palazzo di Teodorico con una sfilata
di Martiri e Vergini. Siamo in un periodo, seconda metà del IV sec., in cui c’è più aderenza all’arte bizantina,
con figure ieratiche e ultraterrene e il tipico fondo dorato.

MEDIOEVO CAP. I – IL TEMPO DEI BARBARI

Il concetto di MEDIOEVO o ETA’ di MEZZO viene creato dagli Umanisti del XV sec. Si usa per definire quel
periodo che va dalla caduta dell’Impero romano d’Occidente fino al 1492. E’ il tempo delle cosiddette
‘’ivasioni barbariche’’. Le migrazioni e la presenza di stranieri nell’esercito, fa sì che i barbari si spingano sul
territorio romanizzato. Tra IV e V secolo si formano i regno romano – barbarici. Lo sconvolgimento culturale
che ne deriva fa declinare alcune tecniche artistiche, quali l’architettura, la scultura e la pittura a favore
delle tecniche già usate dalle popolazioni occupanti. Si sviluppa così la lavorazione del legno, del metallo,
della pelle e l’oreficeria. Si afferma uno stile detto ‘’policromo’’, tipico delle popolazioni germaniche; si
usano pietre come granati e almandini incastonate in oro. Un altro stile è quello ‘’animalistico’’ che si divide
in I e II: geometrizzante e schematizzazione delle forme.

3 Arco di Costantino.
L'arco di Costantino è il più grande arco trionfale. Situato a Roma, a breve distanza dal Colosseo, non venne
abbattuto soprattutto in quanto Costantino fu pubblicizzato come il primo impearatore favorevole alla
religione cristiana, il che corrisponde al vero, anche se non si convertì mai ed ebbe solo intenti di potere.
L'arco fu voluto dal senato che lo dedicò all'imperatore per onorare il "liberatore della città e portatore di
pace", in parte per ingraziarselo, come del resto facevano con ogni imperatore, in parte forse perchè fu
effettivamente un valente condottiero capace di difendere l'impero.

Il monumento venne sottoposto a restauri e a diversi studi fin dalla fine del Quattrocento e nel 1733 ha
ricevuto notevoli lavori di integrazione delle parti mancanti.  Nel 1530 Lorenzino de' Medici venne cacciato
da Roma per aver tagliato per divertimento le teste sui rilievi dell'arco, che vennero in parte reintegrate nel
XVIII sec. Oltre alla notevole importanza storica  l'Arco è un vero e proprio museo di scultura romana
ufficiale, straordinario per ricchezza e importanza.
LA STORIA
L'arco fu dedicato dal senato per commemorare la vittoria di Costantino I contro Massenzio nella battaglia
di Ponte Milvio (28 ottobre del 312) e inaugurato ufficialmente nel 315 nell'anniversario dei dieci anni di
potere dell'imperatore. La collocazione, tra il Palatino e il Celio, era sull'antico percorso dei trionfi.
La datazione dell'arco è fissata tra il 130 e il 138 d.c..
L'arco è uno dei tre archi trionfali sopravvissuti a Roma, gli altri due sono l'arco di Tito (81-90 circa) e l'arco
di Settimio Severo (202-203).

Le informazioni che si conoscono derivano in gran parte dalla lunga iscrizione di dedica, ripetuta su ciascuna
faccia principale dell'attico. Infatti l'imperatore, che aveva dato libertà di culto nell'Impero Romano nel 313,
partecipò solo nel 325 al concilio di Nicea, e soprattutto non si convertì mai, nemmeno in  punto di morte,
visto che non lo riporta nemmeno una fonte, e un fatto del genere avrebbe fatto epoca.
Tra i rilievi dell'arco sono infatti presenti scene di sacrificio a divinità pagane e busti di divinità anche nei
passaggi laterali, e ancora divinità pagane sulle chiavi dell'arco.
Il monumento si suppone costruito all'epoca di Adriano e successivamente pesantemente rimaneggiato in
epoca costantiniana, con lo spostamento in fuori delle colonne, il rifacimento dell'intero attico,
l'inserimento del fregio traianeo sulle pareti interne del fornice centrale, e i rilievi e decorazioni di epoca
costantiniana, rilavorando dei blocchi già inseriti nella muratura, o inserendo nuovi elementi lavorati.
Sarebbero invece originali i Tondi adrianei.
Le sue sculture infatti per la maggior parte provenivano da monumenti di epoche precedenti (età di
Traiano, di Adriano e di Commodo) andati probabilmente distrutti per gli incendi del 283 e del 307 d.c.
BASSORILIEVO DELL'EPOCA DI MARCO
AURELIO
La sua struttura, inoltre, si compone essenzialmente di una parte derivata da un antico arco di trionfo
dedicato ad Adriano, la parte che arriva alla cornice, sopra i fornici, e le fondazioni incorporano strutture
murarie appartenenti, probabilmente, alla vicina Domus Aurea di Nerone.

Nel corso del Medio Evo l'arco, denominato di “arco de Trasi”, perchè collocato sulla strada che portava alla
chiesa intitolata a San Gregorio, fu modificato in torrione dalla famiglia dei Frangipane che la annesse alle
sue costruzioni fortificate tra il Palatino e il Colosseo. Nel corso del Settecento ebbe alcuni interventi di
risanamento ma venne liberata solo nel 1804.
La pulizia e l' isolamento dell’Arco di Costantino, come oggi lo vediamo in tutta la sua bellezza, furono
realizzate soltanto nel 1832, grazie alle opere di ingrandimento della Via di San Gregorio messe in atto dal
pontefice Gregorio XVI, e nel corso dell’anno successivo, durante il regime fascista, in occasione
dell’apertura al pubblico della strada rinominata Via dei Trionfi.

DESCRIZIONE

I fornici sono inquadrati sulle due facciate da quattro colonne corinzie su alti piloni e addossate alle pareti,
sormontate da una ricca trabeazione sormontata da un attico a una altezza di 25 m, e scandito in tre settori
da statue di prigionieri barbari. 

STATUA EPOCA TRAIANEA


Il monumento è in opera quadrata di marmo nei piloni, mentre l'attico, con uno spazio accessibile, è
realizzato in muratura e in cementizio rivestita all'esterno di blocchi marmorei. Sono stati utilizzati marmi
bianchi di diverse qualità, reimpiegati da monumenti più antichi, e sono stati riutilizzati anche buona parte
degli elementi architettonici e delle sculture della sua decorazione.

L'arco è a tre fornici, e quello centrale, che è il più grande. La struttura architettonica riprende quella
dell'arco di Settimio Severo nel Foro Romano, con i tre fornici inquadrati da colonne sporgenti su alti plinti,
e pure alcuni temi decorativi, come le Vittorie dei pennacchi del fornice centrale. La cornice dell'ordine
principale è di reimpiego, di età antonina o severiana, integrata da copie ostantiniane per gli elementi
sporgenti sopra le colonne, più accurate sulla fronte che sui fianchi. Ancora di reimpiego sono i capitelli
corinzi, di epoca antonina, i fusti in marmo giallo antico e le basi delle colonne.

Capitelli e basi delle retrostanti lesene sono invece copie costantiniane, mentre i fusti delle lesene,
probabilmente di reimpiego, sono stati quasi tutti sostituiti nei restauri settecenteschi. Di epoca
domizianea, ma con rilavorazioni successive, è anche il coronamento del fornice centrale.

Di epoca costantiniana sono invece gli archivolti del fornice centrale, i coronamenti, zoccoli, fregio,
architrave e basi dell'ordine principale, archivolti e coronamenti di imposta dei fornici laterali, con
modanature semplificate e con andamento non allineato.
ASSORILIEVO
COSTANTINIANO
La mancata precisazione della divinità sembra voluta: l'imperatore in quest'epoca, pur benevolo nei
confronti della nuova religione, che con il suo monoteismo vede come base ideologica del potere imperiale,
era anche vicino al Sol Invictus, e la scelta fra le due religioni fu difficile, tanto che riunì i suoi consiglieri per
valutare quale delle due, che erano le più seguite all'epoca, fosse la più indicata per l'impero.

Altre iscrizioni sulle pareti interne del fornice centrale (LIBERATORI · VRBIS e FVNDATORI · QVIETIS) e al di
sopra dei fornici laterali (sulla facciata nord: VOTIS · X · VOTIS · XX e sulla facciata sud: SIC · X · SIC · XX):
queste ultime si riferiscono ai decennalia e ai vicennalia, ossia ai festeggiamenti per i dieci o venti anni di
regno.

 Nell'attico, al centro compare un'ampia iscrizione, mentre ai lati minori e sopra ai fornici minori vi
sono collocati bassorilievi di epoca traianea e di Marco Aurelio; anche le sculture a tutto tondo (i
Prigionieri Daci) che sovrastano le colonne sono traianei.
 Al livello inferiore, sopra i due fornici minori, sono collocati coppie di tondi risalenti all'epoca di
Adriano, un tempo incorniciati da lastre di porfido.
 Allo stesso livello sui lati minori si trovano altri due tondi di epoca costantiniana.
 Al di sotto dei tondi, quattro pannelli a bassorilievo in orizzontale formano una sorta di fregio, di
epoca costantiniana.
 Altri bassorilievi si trovano al di sopra degli archi (Vittorie) e sui plinti delle colonne.
 I rilievi riutilizzati richiamano le figure dei "buoni imperatori" del II secolo (Traiano, Adriano e Marco
Aurelio), a cui viene così assimilata la figura di Costantino a fini propagandistici, per stabilire la
legittimità della sua successione di fronte allo sconfitto Massenzio (tetrarca al pari di Costantino). 

L'uso di materiale di recupero di monumenti antichi parte proprio da questi'epoca, così si presero
"citazioni" degli altri imperatori molto amati, le cui teste vennero rilavorate per dare loro le sembianze di
Costantino, che si proponeva quindi come loro erede.

Nello scolpire le nuove teste (oggi in gran parte frutto di restauri settecenteschi, con alcune lacune come
nei pannelli aureliani) alcune vennero dotate del nimbus, come mostrano alcune tracce, a simboleggiare la
maiestas imperiale. I rilievi sono posti simmetricamente sulle due facciate (nord e sud) e sui due lati corti
(est ed ovest) dell'arco. Come tipico negli archi romani a rilievi, sulla facciata esterna (a sud) prevalgono
scene di guerra, mentre sulla facciata interna (a nord), rivolta verso la città, scene di pace.
LE EPOCHE

Di epoca costantiniana le seguenti sculture situate sulle due facciate: 

 le situate sui plinti delle colonne, scolpiti sui tre lati che ritraggono delle Vittorie; 
 quelle presenti sugli archivolti del fornice centrale, sempre ritraenti delle Vittorie; 
 quelle sugli archivolti dei fornici minori, che ritraggono divinità fluviali; 
  quelle sulle chiavi degli archi, con figure allegoriche; 
 quelle sulle pareti interne dei fornici minori, con 8 grossi busti di imperatori in rilievo; 
  quelle sopra gli stessi fornici minori  sui due lati corti, con sei lunghi pannelli che illustrano la
campagna contro Massenzio. 
 Sui due lati corti i due tondi con la rappresentazione della Luna, nel lato ovest, e del Sole, nel lato
est.

TONDO ADRIANEO - CACCIA AL


CINGHIALE
Di epoca traianea: 

 le otto statue di Daci prigionieri (con le teste rifatte nel Settecento) nell'attico sui plinti sopra le
colonne,  
 i due pannelli sui lati minori dell'attico con scene di battaglia e gli altri due all'interno del fornice
centrale, appartenenti a un unico grande fregio (alto circa 3 metri e in origine lungo oltre 35 che
forse decorava l'attico della Basilica Ulpia. 

Di epoca adrianea, forse provenienti da un arco quadrifronte: 

 gli otto tondi della partenza per la caccia, 


 un sacrificio a Silvano, 
 la caccia all’orso, 
 un sacrificio a Diana; 
 nella facciata settentrionale, la caccia al cinghiale, 
 un sacrificio ad Apollo, 
 la caccia al leone, 
 un sacrificio ad Ercole. 

TONDO ADRIANEO - CACCIA AL LEONE


Di epoca commodiana, provenienti (insieme ad altri tre che si trovano nel Palazzo dei Conservatori) da un
arco onorario dedicato a Marco Aurelio:

 gli otto pannelli dell'attico ai lati dell'iscrizione con episodi relativi all'impero di Marco Aurelio (con
le teste dell’imperatore rilavorate nel Settecento): nella facciata meridionale,
 presentazione di un capo barbaro all’imperatore, 
 prigionieri condotti davanti all’imperatore, 
 discorso dell’imperatore ai soldati, 
  sacrificio nell’accampamento; 
 nella facciata settentrionale, arrivo a Roma dell’imperatore, 
 partenza da Roma dell'imperatore, 
 distribuzione di denaro al popolo, 
 resi di un capo barbaro. 

FREGIO TRAIANEO E DACI DELL'ATTICO

TONDO ADRIANEO - CACCIA ALL'ORSO


I 4 rilievi con scene di battaglia, ognuno formato da due lastroni in marmo pentelico, stanno sulle pareti
laterali del fornice centrale e sui lati corti dell'attico. Il fatto che combacino perfettamente conferma che si
tratti di un unico fregio, di circa 3 m di altezza, che raffigurava le gesta dell'imperatore Traiano durante le
campagne di conquista della Dacia, proveniente dal Foro di Traiano.

Il fregio doveva essere completato da altre lastre in parte perdute di cui si serbano frammenti al Louvre,
all'Antiquarium del Foro Romano e al Museo Borghese. Le teste dell'imperatore nelle lastre reimpiegate
sono state rilavorate come ritratti di Costantino. Calchi delle lastre sono ricomposti nella loro originaria
unità nel Museo della Civiltà Romana a Roma.

Il fregio, nelle parti combacianti sull'Arco, raffigura da destra a sinistra:

TONDO ADRIANEO - PARTENZA ALLA CACCIA

 la conquista di un villaggio dacico da parte della cavalleria e della fanteria romana che spingono i
prigionieri; 
 in secondo piano i soldati, sullo sfondo delle capanne del villaggio, mostrano le teste mozzate dei
barbari; 
 i prigionieri sono incalzati dall'altro lato da una carica della cavalleria guidata dall'imperatore  
seguito da signiferi e cornicini; 
 Traiano entra a Roma, incoronato da una Vittoria e guidato dalla Dea Virtus in abito amazzonico. 

Il fregio dei Daci, confrontato coi rilievi della Colonna Traiana, fa sospettare siano opera dello stesso
maestro, anche per alcune scene simili, come Traiano che riceve le teste di due capi daci e le scene di
cavalleria alla carica.

Sempre dal Foro di Traiano provengono le otto statue di prigionieri Daci in marmo pavonazzetto su
basamenti in marmo cipollino che sovrastavano l'attico (testa e mani delle sculture e una delle figure per
intero, in marmo bianco, sono dovute al restauro del XVIII secolo).

TONDI ADRIANEI

TONDO ADRIANEO - SACRIFICIO A


GIOVE

Otto rilievi tondi dell'epoca di Adriano di oltre 2 m di altezza stanno al di sopra dei fornici laterali, sulle due
facciate, inseriti a coppia in un campo rettangolare che in origine era ricoperto da lastre di porfido.
L'attribuzione adrianea deriva da fattori stilistici e soprattutto per la presenza della figura di Antinoo,
l'amante di Adriano.

Vi sono raffigurate scene di caccia e scene di sacrificio a divinità pagane, e anche in questi tondi le teste
dell'imperatore sono state rilavorate come ritratti di Costantino, nelle scene di sacrificio, e di Licinio o di
Costanzo Cloro nelle scene di caccia; viceversa per i tondi collocati sulla facciata nord.

Alle effigi di Costantino venne aggiunto il nimbus (aureola), spettante alla maiestas imperiale, che poi dal
cattolicesimo passerà ai santi. Si pensa che i tondi si trovassero originariamente proprio su questo arco,
forse adrianeo nella sua prima edificazione, adattato e ridecorato all'epoca di Costantino.

TONDO ADRIANEO - SACRIFICIO A MINERVA


L'ordine attuale dei tondi sull'arco, che differisce dall'ordine originale, è sulla facciata meridionale: Partenza
per la caccia, Sacrificio a Silvano, Caccia all'orso, Sacrificio a Diana;
sulla facciata settentrionale: Caccia al cinghiale, Sacrificio ad Apollo, Caccia al leone, Sacrificio ad Ercole.

Affiancano l'imperatore nelle scene due o tre personaggi, a cavallo in due dei rilievi di caccia, e a piedi negli
altri. Le composizioni sono attentamente studiate attorno alla figura imperiale e gli sfondi sono essenziali,
secondo le convenzioni dell'arte ellenistica.

Il tema della caccia, che proprio Adriano riportò in auge, è connesso all'esaltazione eroica del sovrano
risalente a Alessandro Magno e alle antiche civiltà orientali.

PANNELLI DI MARCO AURELIO


Sull'attico, ai lati dell'iscrizione, sono murati otto rilievi rettangolari alti oltre 3 m che raffigurano episodi
delle imprese di Marco Aurelio contro i Quadi e i Marcomanni del 175 d.c..

Le teste dell'imperatore sono state rilavorate anche qui, come ritratti di Costantino e Licinio. Oggi le teste
sono quelle del restauro del XVIII sec. e raffigurano Traiano, in quanto all'epoca i rilievi erano stati attribuiti
all'epoca di questo imperatore, esposti a palazzo dei Conservatori.
C'è la presenza fissa, alle spalle dell'imperatore, di un personaggio indicato come il genero e successore
possibile di Marco Aurelio, Tiberio Claudio Pompeiano, che fa pensare a un'origine comune dei rilievi.

L'attuale ordine dei rilievi sulla facciata meridionale, da sinistra a destra:

PANNELLO MARCO AURELIO


- CAPTIVI -

 Rex datus (presentazione all'imperatore di un capo barbaro sottomesso): Marco Aurelio,


accompagnato da Pompeiano, presenta al gruppo dei barbari il re tributario a lui sottomesso;
Pompeiano è dietro di lui e sullo sfondo si vedono un edificio da accampamento e, dietro ai barbari,
aquiliferi con insegne.
 Captivi (prigionieri condotti all'imperatore): Marco Aurelio e Pompeiano, su un basso palco alla
presenza di soldati con vessilli, condannano un principe barbaro che ha le mani legate sulla schiena;
sullo sfondo c'è un albero.
 Adlocutio (discorso ai soldati): L'imperatore parla i soldati e dietro di lui c'è Pompeiano.
 Lustratio (sacrificio al campo): Marco Aurelio, vestendo la toga sacrificale celebra un suovetaurilia
su un altare mobile, assistito da un camillo e circondato dai soldati, i signiferi e i tubicini; alle spalle
di Marco, tra due aquiliferi, si vede Pompeiano.

Sulla facciata settentrionale, sempre da sinistra a destra:

 Adventus (arrivo dell'imperatore a Roma): Marco Aurelio, sulla cui testa vola una Vittoria con un
serto, affiancato da Marte e Virtus, che lo invitano nella Porta Triumphalis; in secondo piano le
divinità dei templi presso la porta (oggi area sacra di Sant'Omobono): la Mater Matuta e la Fortuna
Redux, mentre il tempio sullo sfondo è quello di Fortuna, a sinistra.
PANNELLO MARCO AURELIO
- CLEMENTIA -

 Profectio (partenza da Roma): l'imperatore è in abito da viaggio e si trova tra il Genius Senatus e il


Genius Populi Romani e un gruppo si soldati con vessilli; in basso la figura sdraiata è la
personificazione di una via che invita l'imperatore; sullo sfondo la Porta Triumphalis; oltre il profilo
della testa di Marco Aurelio (restaurata) si vede il volto di Pompeiano.
 Liberalitas (distribuzione di denaro al popolo): l'imperatore in toga siede sulla sella curilis, collocata
su un altissimo podio, sul quale sono anche un inserviente che dispensa il materiale del congiarium
(a sinistra) e un togato, forse il prefetto Urbi Lucio Sergio Paulo; alle loro spalle due figure su un
gradino (quella di destra è Pompeiano, l'altro forse Claudio Severo, pure genero di Marco Aurelio e
console) e un colonnato di sfondo, forse la basilica Ulpia; in basso si trovano le figure del popolo,
compresi alcuni bambini, tra cui spiccano la figura di spalle che guarda in alto e l'uomo col figlio a
sedere sulle spalle.
 Submissio o Clementia (sottomissione di un capo barbaro): L'imperatore, con dietro Pompeiano, è
su un alto podio davanti ai soldati e agli aquiliferi con signa, e con un gesto di clemenza assolve un
proncipe barbaro che protegge il figlio giovinetto con un braccio sulla spalla.

PANNELLO MARCO AURELIO


- LIBERALITATIS -
I dodici rilievi originari provenivano forse da un arco, oggi scomparso, dedicato a Marco Aurelio sul
Campidoglio. Oppure appartenevano al complesso eretto in onore dell'imperatore dal figlio Commodo nel
Campo Marzio di cui oggi rimane la Colonna Antonina.

L'ordine dei pannelli nel monumento originario era diverso da quello odierno sull'arco, dove i rilievi non
seguivano un ordine narrativo, ma le tematiche di guerra (a sud) e di pace (a nord), o ad effetto, come
l'accostamento della partenza (Profectio) e dell'arrivo (Adventus).

I pannelli, attribuiti al cosiddetto Maestro delle Imprese di Marco Aurelio, sono significativi della svolta
nell'arte all'epoca di Commodo: in cui lo spazio è  visto dall'osservatore ed è evidenziata come non era nel
mondo greco, ma lo era già a Roma nei rilievi dell'Arco di Tito.
Nei rilievi è presente anche la pietà e il coinvolgimento per la condizione dei vinti (come nella Colonna
Traiana).

PANNELLO MARCO AURELIO


- LUSTRATIO -
Le scene sono di tipo onorario, non trionfale, in quanto il Senato non stabilì il trionfo per l'imperatore al
ritorno delle campagne del 171-172, e sono databili al 173 e includono eventi futuri, immaginati dai
senatori, come la scena della Liberitas, che di fatto non ebbe luogo.
Tondi costantiniani
Sui lati corti dell'arco il ciclo è completato da due tondi scolpiti all'epoca di Costantino; sul lato est il Sole-
Apollo sulla quadriga sorge dal mare, mentre sul lato ovest la Luna-Diana guida invece una biga che si
immerge nell'Oceano: i due rilievi inquadrano la vittoria dell'imperatore in una dimensione cosmica.
Fregi costantiniani

 Fregio costantiniano "Obsidio"


 Fregio costantiniano "Proelium"
 Fregio costantiniano "Oratio"
 Fregio costantiniano "Liberalitas"

PANNELLO MARCO AURELIO


- ODLOCUTIO -
Al di sopra dei fornici laterali e sotto i tondi adrianei, un fregio continuo (alto poco meno di 1 m) che
prosegue anche sui lati corti del monumento con il raccordo di elementi angolari, fu scolpito all'epoca di
Costantino direttamente sui blocchi della muratura, leggermente bugnati.

Il racconto, che riguarda gli episodi della guerra contro Massenzio e la celebrazione della vittoria di
Costantino a Roma, inizia sul lato corto occidentale e prosegue girando intorno all'arco in senso antiorario
per terminare all'angolo nordoccidentale con:

 Partenza da Milano ("Profectio"), sul lato occidentale, al di sotto del tondo con Luna-Diana:
Costantino è seduto su un carro con cathedra ed è preceduto dalle truppe a piedi e a cavallo,  
legionari regolari e ausiliares, con l'elmo cornuto e i dromedarii; alcuni soldati recano  statuette di
Sol Invictus e di Victoria.
 Assedio di Verona ("Obsidio"), sul lato meridionale: Costantino si vede sulla sinistra tra due
protectores divini lateris, mentre una Vittoria in volo lo incorona; al centro il gruppo dei soldati
assedianti; a sinistra le mura della città oltre le quali sporgono gli assediati, composti da truppe
pretoriane, pronte a lanciare pietre contro gli assalitori.
 Battaglia di Ponte Milvio ("Proelium"), sul lato meridionale: a sinistra il ponte Milvio con una
personificazione del Tevere che si affaccia mentre passa Costantino tra la Virtus e la Vittoria; segue
il massacro e annegamento dei cataphractrarii di Massenzio da parte della cavalleria costantiniana;
all'estrema destra i trombettieri dell'esercito vincitore richiamano le truppe.
 Arrivo a Roma ("Ingressus"), sul lato orientale, mentre sul lato opposto c'è il rientro dell'imperatore
nell'Urbe del 29 ottobre 312; l'imperatore sul carro incede veso la porta della città preceduto dai
cavalieri con berretto pannonico, fanti con armi e insegne, e cornicines, cioè le truppe palatine,
legionarie, cornuti e Mauri.

PANNELLO MARCO AURELIO


- PROFECTIO -
La scena si svolge nel Foro Romano e sullo sfondo si intravedono la basilica Iulia, l'arco di Tiberio, i Rostri col
palco imperiale, il monumento del decennale dei Tetrarchi e l'Arco di Settimio Severo; l'imperatore è assiso
al centro, in posizione rigidamente frontale e ingrandito gerarchicamente. La folla e i lati del foro sono
composti in prospettiva ribaltata; ai lati del palco si trovano le statue di Adriano a destra, e Marco Aurelio a
sinistra. La scena descrive la distribuzione di denaro al popolo (Congiarium o Liberalitas), che avvenne il 1º
gennaio 313.

Ci sono cinque moduli di proporzione gerarchica; l'imperatore è seduto al centro sul trono, in posizione
frontale, e sovrasta i personaggi del seguito sulla stessa loggia, a loro volta più grandi dei funzionari nella
loggia, che sono supplici o che prendono un donativo dalle mani dell'imperatore, la massa anonima dei
beneficianti si trova nella fascia inferiore, con la mano alzata per ricevere e rappresentati e quasi di spalle.

Nelle logge sopraelevate, la porticus Minucia o il Foro di Cesare, si vedono i funzionari che registrano le
elargizioni prendendo il denaro dai forzieri. Il fregio costantiniano, in narrazione continua di episodi,
prosegue la tradizione romana del rilievo storico, ma non nello stile, non più naturalistico ellenistico ma con
maggiore carattere simbolico.

PANNELLO MARCO AURELIO


- REX DATUS -
Le figure sono più tozze, con teste leggermente sproporzionate, le scene sono di massa, trascurando la
figura individuale tipica della visione artistica greca. Il ricorso al trapano permise scavature più profonde,
quindi ombre più scure in netto contrasto con le zone illuminate.

Privilegiando la linea di contorno rispetto ad una reale consistenza volumetrica, e i volti con gli occhi grandi
e sbarrati sono segnati da un marcato espressionismo.

Nella scena dell'Oratio l'imperatore, in posizione rialzata sulla tribuna, è l'unico in posizione frontale e
anche di dimensioni maggiorate, come una divinità che si mostri ai fedeli. Si tratta infatti di uno dei primi
casi a Roma di proporzioni tra le figure organizzate secondo gerarchia, caratteristica tipica della successiva
arte paleocristiana e medievale.

Lo sfondo del rilievo Liberalitatis mostra i monumenti del foro romano visibili all'epoca, ma la loro
collocazione non è realistica, bensì allineati e paralleli alla superficie del rilievo. Anche i due gruppi laterali
di popolani, che dovrebbero stare davanti alla tribuna, sono ruotati e schiacciati ai due lati.

L'allontanamento dalle ricerche naturalistiche dell'arte greca portava a una più facile interpretazione delle
immagini. Per alcuni segno di decadenza, per altri un'interpretazione artistica delle province romanizzate e
una maggiore naturalezza.

Altri rilievi costantiniani


TONDI COSTANTINIANI PROFECTIO (sinistra), INGRESSUS (destra)
I rilievi sui plinti delle colonne, accoppiati simmetricamente e raffiguranti:

 Sul fronte Vittorie che scrivono su scudi o reggono rami di palma e trofei con barbari prigionieri;
 Sui lati dei fornici laterali Prigionieri da soli o con soldati romani
 Sui lati del fornice centrale Soldati coi "signa" o Sol Invictus e Victoria;
 Gli otto busti su lastre inseriti nella muratura dei passaggi laterali con ritratti imperiali e figure di
divinità;
 Le Vittorie alate con trofei e i Geni delle Stagioni nei pennacchi del fornice centrale;
 Le personificazioni di fiumi nei pennacchi dei fornici laterali;
 Le sculture delle chiavi d'arco con raffigurazioni di divinità: sui fornici laterali Marte, Mercurio,
Genius populi Romani; sul fornice centrale Roma e Quies Rei Publicae.
PANNELLO MARCO AURELIO
- ADVENTURES -
Le figure allegoriche costantiniane si rifanno alla tradizione figurativa, ma privo di emozioni, il volume è
appiattivo degradando nel disegnativo e calligrafico.

I LONGOBARDI IN ITALIA

Con re Alboino entrano in Italia dal Fruili nel 568. Conquistano rapidamente la penisola tranne Ravenna,
l’Esrcato, Napoli, Amalfi e l’estremo sud. Il regno è denominato Longobarda Maior, al nord, più compatto, e
Longobarda Minor, al sud, con ducati più autonomi. I longobardi sono una popolazione nomade attestata
alle foci dell’Elba con il nome di Wannili. La loro produzione artistica, come per tutti i nomadi, è basata
sull’oreficeria.

Capitale diventa Pavia e il dominio longobardo viene sancito dall’Editto di Rotari (643), e la legge
longobarda si sostituisce al diritto romano. Gli invasori, con a capo Agilulfo (sovrano nel 592) e Teodolinda,
non riescono ad integrarsi con il popolo assoggettato e si riuniscono in clan familiari (farae – da qui i paese
che iniziano con Fara).

Queste popolazioni erano specializzate nella lavorare dei metalli, nelle oreficerie più che nella pittura o

scultura. Ne è un esempio 19la placca dell’elmo del re Agilurfo


realizzata nel VII secolo: il re si fa raffigurare in trono circondato dai soldati con una vittoria alata
(personificazione della vittoria, simbolo ricorrente nei romani) che lo sta omaggiando.

20 L’altare del Duca Ratchis riprende il tema cristiano della Visitazione , reso
con una bidimensionalità e con il conseguente disfarsi delle forme: le figure di Maria e della cugina
Elisabetta sono rappresentate con dei vestiti con striature insolite dando un’idea innaturale, sembrano
matasse di lana unite per comporre il corpo, i Longobardi riprendono l’usanza di incorniciare le figure in
degli archi poggianti su colonnine tortili (la Madonna sta sotto un arco più grande rispetto a quello della
cugina), tutt’intorno corrono motivi decorativi simili a nastri intrecciati. Sempre nell’altare del duca Ratchis
c’è la raffigurazione frontale del Cristo portato in gloria , raffigurato con l’aureola
dietro una croce e delle stelline (è la Dextra Patris, la mano di Dio), è inserito in una mandorla posta al
centro del pannello sostenuta da 4 angeli sproporzionati aventi teste piccolissime, le figure sembrano

elementi decorativi stilizzati e non figure umane. L’Adorazione dei Magi è


anch’essa molto innaturale, le figure sono date da elementi astratti, non c’è spessore, sono di grandezze
differenti in base alla loro importanza.
21Battistero di Callisto,

ci sono delle colonne classiche di reimpiego, ci sono anche i simboli degli evangelisti
come il bue alato le cui zampe reggono una sorta di lapide e il piumaggio dato con questi motivi astratti
incorniciato in una sorta di cerchio decorato con una treccia stilizzata, la testa di un leone che dovrebbe
simboleggiare l’evangelista Marco.
Le popolazioni germaniche, come quelle anglosassoni, hanno delle tradizioni artistiche molto diverse da
quelle dell’arte classica: si basavano molto sulla bidimensionali delle forme, figure stilizzate e motivi
particolari e ricorrenti. Le fibule sono dei fermagli-spille, che consentivano di fissare un mantello sulla
spalla: presentano dei castoni, ovvero delle pietre lavorate e incastonate in medaglioni in oro riccamente
decorati da dettagli in filigrana, oppure mostravano ad esempio dei cavalieri rappresentati in un anello
sempre decorato da una treccia.

Famosa è la 22Fibula di Benevento simbolo dell’abilità dell’oreficeria longobarda,


con dettagli in filigrana, al centro un cammeo di tradizione classica raffigurante il profilo un soldato con un
ciniero sul capo, forse di reimpiego, ha anche i tre pendenti con pietre lavorate.
23Transenna conservata a San Salvatore a Brescia di epoca longobarda
raffigura un pavone in cui è possibile vedere qualità e raffinatezza dei dettagli, ma è presente una
stilizzazione e rigidità. Lo stesso si può dire di un’altra lastra marmorea, molto stilizzata e decorata sempre
con tralci vegetali di vite resi in realtà con dei cerchi all’interno del quale c’è un grappolo e una foglia, al
centro ci sono due elementi zoomorfi stilizzati posti di fronte in materia simmetrica. È utile ricordare che
con queste popolazioni arriva anche il dato fantastico molto frequente nelle opere, come in questo caso
con queste figure zoomorfe con il muso di un leone, la coda di un drago e le ali di un’aquila.
LE ARCHITETTURE IN EPOCA LOMBARDA ricordano ancora l’arte classica e delle basiliche paleocristiana,
come dimostra la Basilica di San Salvatore a Brescia: l’aula è suddivisa in tre navate da delle colonne
sicuramente di reimpiego, infatti qui è difficile dire cosa è di manifattura longobarda e quale classica. Noto

è il 24Tempietto di Civitale nel Friuli, dove al suo interno sono presenti delle
decorazioni in stucco (elemento molto usato perché economico: una volta bagnato era molto più semplice
lavorare rispetto alla pietra), particolare è la decorazione dell’arco sopra la porta centrale e della parte al
suo interno, sei sante in gesso-stucco sono poste al di sopra e rappresentate frontalmente, portano in
mano la corona del martirio, hanno alle loro spalle l’aureola, per abbigliamento somigliano alle imperatrici
romane (come Teodora, come le figure importanti), grandi occhi, panneggio sempre molto schematico ma
c’è comunque il rimando all’arte classica, è maggiore il senso del chiaroscuro.
PRODUZIONE ARTISTICA DEGLI ANGLOSASSONI (VIII secolo) che si stabiliranno in Inghilterra. Caratteristici i
codici miniati, gli evangeliari-codici di carattere religioso. Introducono un altro linguaggio figurativo che,
unito alla tradizione classica degli ex-stati dell’impero romano, formerà il cosi detto stile romanico. L’arte di
queste popolazioni è aniconica = senza immagini, è tutta realizzata con motivi astratti e nastri che si
intrecciano, al massimo troviamo delle figure zoomorfe ma tutto molto ridotto a elementi decorativi molto
colorati le cui linee si vanno a perdere nei vari intrecci. Esempio una pagina

(25) dell’Evangeliario di Kells, VIII-IX secolo (datazione molto discussa) ,


completamente rivestita da elementi decorativi astrati che ci fanno perdere di vista la lettera che vogliono
mostrarci, in questo caso è la lettera greca “chi-ro-i”, quindi l’inizio della parola “Cri” di Cristo, è presente
anche quella che sembrerebbe la testa di Cristo e guardando nel dettaglio anche altre figure, ma vanno a
perdersi nel complesso. Altro Evangelario è quello di Durrow (VIII sec) decorato con
dei motivi che sembrano nastri ma in realtà sembrano dei serpenti che si mordono le code, al centro è
presente una croce che si perde nel tutto. Emblematica è la miniatura “Mago Hominis” ovvero Cristo,
ottenuto con motivi decorativi che suggeriscono una figura umana, una sorta di goccia ripetuta più volte
per andare a formare il corpo e le estremità sono le mani e i piedi, egli è seduto sopra un trono che sembra
più un’H. Le datazioni non sono molto precise per via dei vari spostamenti di queste popolazioni.

CAP.II – RENOVATIO DELL’IMPERO

Rinascenza Carolingia. I Longobardi, in Italia come in altre parti d’Europa, vennero sconfitti e respinti dai
Franchi che occuparono territori che corrispondo alle attuali Francia, Nord Italia e Germania. Carlo Magno
nel 774 pone fino al dominio longobardo sull’Italia del nord, sconfiggendo re Desiderio. Spoleto e
Benevento cadono invece nell’IX sec. con l’invasione normanna.Da qui abbiamo la costituzione del Sacro
Romano Impero da parte di Carlo Magno, il quale si fece incoronare imperatore a San Pietro a Roma la
notte di Natale dell’800. Nelle commissioni artistiche si rifà alla tradizione classica, tanto che nelle monete
verrà ritratto di profilo e con la corona d’alloro, l’unico elemento che ci permette di capire che è lui sono i
suoi iconici baffi, è vestito come vuole la tradizione con delle spille che tengono il mantello alle sue spalle.
Lo stile barbarico introduce uno stile nuovo. Tra le testimonianze: anelli-sigillo, lamine d’oro, le croci
gemmate (CROCE DI ADALOAIDO-COPERTURA DI EVANGELARIO, dono di Gregorio Mahno a Teodolinda),
numerose armi (presenti nei corredi funebri maschili; le impugnature delle spade presentano decorazione
ageminata), gli scudi da parata e gli elmi. Il vasellame ceramico, con forme rozze e modeste, ha decorazioni
graffite geometrizzanti. Di maggiore impegno sono invece le croci gemmate che riprendono il motivo del
crocefisso con l’aggiunta dell’immago Christi (un piccolo busto clipeo al centro della croce). Le tecniche
compositive per la realizzazione sono:

- Cloisonne: tecnica che prevede la decorazioni di metallo inserendo a freddo,in trafori preparati,le
pietre colorate;
- Chempleveu: tecnica che prevede una fitta rete di alveoli in cui le pietre,gli smalti e paste vitree
fuse sono inserite a caldo.
- Ageminatura: tecnica che prevede l’inserimento di sottili strisce d’argento in solchi ricavati nel
ferro con effetti di linearismo bicromo e astratto Damaschinatura: tecnica che serve a dare
flessibilità e resistenza alla torsione delle spade. PAVIA- Capitale dal 625 al 774. Gli edifici
dell’epoca sono scomparsi o pesantemente rimaneggiati, ma dai pochi resti che abbiamo, notiamo
una forte spinta anticlassica: CRIPTA DI SANT’EUSEBIO -frutto delle conversioni longobarde al
Cristianesimo. Abbiamo alcuni capitelli di tipologia nuova, che ricorda le ‘’fibule ad alveolo’’ e le
‘’fibule a cicala’’, tipiche dell’oreficeria. Un’apertura all’arte classica è invece nei plutei
dell’ORATORIO DI SAN MICHELE, ricchi di immagini simbolo. Nel passaggio di potere tra Longobardi
(che non si sono mai ambientati) e Carlo Magno nelle terre del Nord, non c’è un taglio netto, ma un
senso di continuità che possiamo trovare nella CHIESA DEL MONASTERO DI SAN SALVATORE A
BRESCIA fondato da Desiderio ma poi rinnovato nel IX sec.

SITUAZIONE AL SUD ITALIA- qui i Normanni cacciano i Longobardi nell’XIsec. La storia della Longobardia
Minor si intreccia con i poteri monastici: MONTE SANT’ANGELO SUL GARGANO- principale luogo di
devozione al sud fondato nel VI sec. e dedicato all’Arcangelo Michele, venerato dai Longobardi; ABBAZIA DI
MONTE CASSINO- benedettina e fondata nel 529; SAN VINCENZO AL VOLTURNO – della fine del VII sec, Qui
troviamo un esempio della ‘’SCUOLA DI BENEVENTO’’: ricorre a schemi compositivi orientali, aggiunge
colori luminosi e vibranti. Altri esempi di questa pittura sono a SAN BIAGIO a Castellamare di Stabia; SAN
RUFO E CARPONIO a Capua; GROTTA DI SAN MICHELE a Olevano sul Tusciano.

Il più importante ciclo di affreschi si trova nella CHIESA DI SANTA SOFIA a Benevento -
fondata da Arechi II (760), è a pianta centrale con struttura stellare, con qualche riferimento bizantino per
l’articolazione dei volumi. Il modello su cui si basa è la Chiesa di SANTA MARIA IN PERTICA a Pavia (677) a
pianta ottagonale con uno slanciato corpo centrale. PERTINENZA DEI MODELLI CLASSICI NELL’ARTE
ROMANA (VI – IX SEC.) La decadenza di Roma fa nascere il suo mito. Sotto il regno Goto (493-526) e sotto la
spinta di re Teodorico, si cerca di far tornare la città al vecchio splendore. Sotto la guida di Papa Felice IV
(526-530) si comincia a cristianizzare la parte del Foro. Fino a quel momento le Basiliche paleocristiane
erano poste fuori le mura. Utilizzando parti di edifici preesistenti come la Biblioteca del Foro della Pace e il
Vestibolo di Massenzio, viene fondata la CHIESA DEI SANTI COSMA E DAMIANO – la scena dell’abside
rappresenta Cristo tra i due Santi con sfondo apocalittico di nuvole rosse, e pome i personaggi, che hanno
una propria ombra, in un rigido schema a triangolo. E’ lo stesso schema iconografico del mosaico absidale
della CHIESA DI SANTA PUDENZIANA di IV/V sec, Con la conquista di Giustiniano del 522 ad opera dello
stratega Narsete, i Bizantini si occupano subito del restauro dei ponti, acquedotti e strade. Vengono
ridedicati luoghi di culto pagani: il Pantheon, consacrato alla Madonna nel 609, e il Tempio della Fortuna
Virile, che nl 872/882 diventa la Chiesa di Santa Maria in Gradellis. Da un’aula del Palazzo imperiale viene
ricavata SANTA MARIA ANTIQUA che viene interrata da una frana nell’847 e riscoperta nel nostro secolo. La
sua importanza sta nell’abside, una parete palinsesto dove si possono distinguere 4 interventi di
decorazione:

† Madonna con Bambino tra due angeli: fase più antica, dopo la conquista bizantina; frontalità iconica
imperiale. quando diventa chiesa palatina

† 565-578 : Annunciazione ci sono scritte in greco

† 650 : Salomone e i Maccabei fatto da artisti bizantini

† 705-707 : immagine di San Gregorio Nazianzeno 16 Il panorama artistico del VII e VIII sec. ha delle
caratteristiche non omogenee, quasi contradditorie. Si formano circoli di artisti greci e orientali a Roma che
fondono motivi dell’arte classica con modelli iconografici palestinesi. La bizantina immobilità simbolica delle
figure si può riscontrare nel mosaico dell’abside della CHIESA DI SANT’AGNESE FUORI LE MURA. Il ciclo di
affreschi di San Giovanni Crisogono o di San Lorenzo fuori le mura è invece tipicamente romano.
L’incoronazione di Carlo Magno da parte di Papa Leone III il 25 dicembre dell’800, segna la fine simbolica
dell’influsso bizantino e un ritorno alla tradizione paleocristiana e tardo antica. Nell’VIII sec. si afferma il

modello ad ‘’aula rettangolare triabsidata’’ (S. Maria in Domenica e S. Maria in


Cosmedin). Nell’IX sec. si torna allo schema spaziale delle basiliche paleocristiane (soprattutto come la
Basilica Vaticana): ne è un esempio la CHEISA DI SANTA PRASSEDE in cui ricompare il transetto. Sotto il
pontificato di Pasquale I (817-824), dopo un secolo torna in auge il mosaico: in SANTA PRASSEDE; SANTA
MARIA IN DOMNICA; SANTA CECILIA IN TRASTEVERE; SACELLO DI SAN ZENONE. Quindi nel IX sec. c’è una
ripresa della tradizione romana, contaminata però da impulsi orientali-bizantini e dell’arte del ducato
lombardo di Benevento. Nei Libri Carolini nel 794 si fa distinzione tra: sedurre le anime degli sventurati con
vane superstizioni ed è riferita a sé l’idolo stessa; favorire il ricordo di fatti trascorsi ed è riferita a qualcosa
l’immagine .

Definita l’epoca dell’abbondanza e della gioia, la Renovatio carolingia deve il suo successo all’aver fuso
insieme le culture che fino a quel momento si erano alternate al potere o lo avevano influenzato (modelli
romani, anglosassoni, irlandesi, greco - ellenici, bizantini, longobardi). Tra VIII e IX sec. la dinastia cerca di
unificare tutto il mondo occidentale cristiano. Per aumentare la sua autorevolezza si aggancia all’ideale di
grandezza dell’Impero Romano, soprattutto quello del periodo costantiniano. Si allea con l’ordine
benedettino, favorendo le grandi abbazie e conia monete esteticamente simili a quelle tardo-antiche;
stabilisce la liturgia romana in sostituzione delle tradizioni locali. L’attività architettonica – in 46 anni di
regno vengono costruiti 75 palazzi, 7 cattedrali e 232 monasteri. Gli edifici presi a modello sono quelli della
Roma costantiniana, per render chiara la politica imperiale.

Il PALAZZO IMPERIALE DI ACQUISGRANA si rifà alla residenza papale presso San Giovanni. Ci rimane la
CAPPELLA PALATINA: a pianta centrale, poligonale e coperta da una cupola. L’ingresso è preceduto da un
quadriportico come per le basiliche costantiniane. La PORTA TRIONFALE DI LORSCH 760-790: è ricollegabile
all’Arco di Costantino. Nonostante le piccole dimensioni ha un carattere monumentale. Ha nella parte
inferiore una loggia a 3 fornici mentre in quella superiore c’è un’aula che serviva all’imperatore come sala
del trono e per le cerimonie della liturgia imperiale. Le due facciate sono decorate da semicolonne
accostate ai pilastri degli archi. Un paramento di pietre rosse e bianche compongono motivi geometrici che
coprono le murature. La sala interna è ugualmente affrescata con una decorazione che ricorda l’esterno
dell’edificio. Il WESTWERK è quella costruzione architettonica tipicamente medioevale e di epoca carolingia,
cioè un edificio a più piani aggiunto all’ingresso della chiesa. Si tratta di una costruzione riscontrabile
solamente al centro dell’impero, quasi del tutto estranea all’architettura italiana e presente soltanto in
poche chiese, una delle quali è a Roma, la chiesa dei Santi Quattro Coronati e un’altra è a Verona: la rettoria
di San Lorenzo Martire. L’Abbazia di Corvey ne ha un esempio integro. Poteva conservare anche le reliquie
dei santi e dei martiri.

PITTURA E MINIATURA-

La pittura legata alla committenza imperiale è andata quasi tutta perduta. Ne abbiamo un esempio nella
CRIPTA DI S. GERMAIN D’AUXERRE (841/857): lo spazio della cripta è esaltato da un’intelaiatura in finti
elementi architettonici, . L’attenzione del pittore si concentra sulla dinamica violenta della scena mirando
all’esatta definizione del movimento: lapidazione di Santo Stefano: lo sfondo è indeterminato. Città e
personaggi sono incongruenti per dimensioni. 18 La CHIESA DI SAN GIOVANNI A MUSTAIR (IX)
: decorata con una concordanza tra Antico e Nuovo Testamento. A

testimonianza della varietà culturale ci sono gli affreschi di NATURNO: che


hanno un linearismo esagerato, tipico irlandese e anglosassone, e che ricorda quello dell’Altare di Ratchis a
Cividale. La dinastia carolingia vuole emanciparsi dalle sue radici germaniche e avvicinarsi al gusto cristiano
e romano. Dall’Abbazia di Corbie, luogo pregno di cultura umanistica, provengono il SALTERIO Manoscritto
800, i VANGELI DI GODESCALCO 583, L’EVANGELARIO DI SAINT MEDARD IX sec. Quello che viene definito
‘’archeologismo’’, si riscontra in questi manoscritti: presentano tutti un’importanza bizantina e ravennate
con un linearismo tipicamente antico. L’EVANGELARIO sembra riconducibile ad affreschi del I sec.,
ricordando le architetture pittoriche pompeiane o i mosaici tardo-antichi. La committenza di Ludovico il Pio,
figlio di Carlo Magno, ci lascia i VANGELI DELL’INCORONAZIONE e i VANGELI DI XANTEN. Imitano entrambi i
modelli pittorici ellenistici; le figure vengono rappresentate come filosofi, seduti su troni classicheggianti
con un grande paesaggio come sfondo. Abbiamo il SALTERIO DI UTRECHT (820-830): narrazione figurata
simili alla pittura monumentale, visione a volo d’uccello. Le BIBBIE DI CARLO IL CALVO; il SACRAMENTO DI
DROGONE: figlio di Carlo Magno, dove ricompaiono le iniziali dorate con viti e foglie di acanto. L’autore
sembra essersi ispirato alle pitture di Santa Costanza a Roma IV sec. Con l’affievolirsi della committenza si
torna a modelli più lineari e meno virtuosi.

SCULTURA E ORIFICERIA

Venivano usati il bronzo, l’avorio e l’ora. Con le ricchezze accumulate, aumentano gli oggetti preziosi legati

al culto. In bronzo abbiamo la STATUETTA DI CARLO MAGNO ispirata al monumento


equestre di Teodorico ad Aquisgrana, I libri liturgici, venerati come reliquie. Il DITTICO DI SAN MARTINO

ricorda l’evangelario di Godescalco; la COPERTA DELL’EVANGELARIO DI LORSCH: ricalca dei


prototipi come la Cattedra di Massimiano del IV sec. Uno stile classicheggiante con i temi virgiliani delle
Egloghe è il FLABELLO DI TOURNUS IX sec., ventaglio liturgico. Il capolavoro dell’arte carolingia pervenuto è
l’ALTARE DI SANT’AMBROGIO a Milano, fatto per il vescovo Angilberto II da Vuolvino. Dell’IX sec. è anche il
CIBORIO DI ARNOLFO che conserva quel grafismo nervoso e spezzato della Scuola di Reims.
27 Cappella Palatina è la cappella del palazzo imperiale, dalla quale lui
assisteva alle funzioni da un trono, è a pianta centrale, i battenti della cappella sono esempio della grande
qualità delle opere in epoca carolingia: presenta una testa leonina circondata da una fascia con palmette
tipicamente alto medievali, mentre il leone vuole richiamarsi alla cultura classica.
La miniatura, i codici miniati, sono caratteristici in epoca carolingia. Ad esempio le miniature presenti nei
Vangeli detti dell’Incoronazione che, come narra la leggenda, furono ritrovati nella tomba di Carlo Magno (a
cavallo tra l’VIII e il IX sec). Celebre è la miniatura a tutta pagina raffigurante un Evangelista (forse San

Giovanni ), la cui morfologia richiama quella romana e quella classica: la figura siede
su un trono, sullo sfondo si apre un paesaggio quasi abbozzato con un cielo azzurro (fattezze naturalistiche),
il tutto sta dentro una cornice che da l’idea di essere aggettante grazie ad una zona di luce che rende la
cornice sporgente, quasi in rilievo, la figura non è piatta, ha un senso del volume grazie ad una luce
proveniente da sinistra, mentre la destra è abbastanza ombreggiata, si noti il particolare del poggia piedi in
basso le cui gambe laterali sporgono fuori dalla cornice mostrandosi in primo piano. È celebre anche

un’altra raffigurazione di un Evangelista Matteo (2) , molto diversa dalla prima, è mostrato
di profilo, non ha la barba, ha i capelli corti, ha una grandissima aureola, indossa una grande veste bianca
all’antica (richiamo alla vecchia gloria) in cui traspare un corpo sottostante, è seduto su un sedile di legno,
sta scrivendo un vangelo raffigurato parzialmente insieme al leggio su cui poggia entrambi raffigurati in
prospettiva, si noti l’influenza classica.
La grande estensione dell’impero e la convivenza di popoli con culture e tradizioni diverse, si riflette anche
nella creazione delle miniature. Altre miniature ben diverse rispetto a quelle che abbiamo visto in

precedenza, sono quelle che si trovano nei Vangeli di Ebbone: Evangelista Matteo il senso
della volumetria del corpo ben marcato, ma eccessiva abbondanza di panneggi, espressione caricaturale del
volto che guarda in alto, il leggio è in verticale infatti il libro sembra che stia per cadere. Altra miniatura
dello stesso Vangelo presenta l’Evangelista Marco con la stessa espressione
caricaturale mentre guarda in alto a destra il leone alato (il suo simbolo), intinge alla sua destra una piuma
all’interno del calamaio pronta a scrivere, il chiaroscuro è importante, i panneggi ancora una volta esagerati
vanno come a tagliare un corpo sottostante che però è presente e si vede, tutta la scena è caotica, anche
qui è presente una cornice ma è piatta perché non colpita dalla luce.

28Salterio di Utrecht opera molto importante, un salterio è una raccolta di


salmi scritti quasi tutti da Davide, un salmo è una sorta di ballata-poesia per essere cantata durante le varie
attività. Questo Salterio ha una parte scritta e una miniata in monocromo, ovvero scritta soltanto con il
colore nero, sono dei disegnini che illustrano o commentano la parte scritta. Rappresentano battaglie,
scene con tempi, cavalieri, ci sono anche scene di Cristo (che porta una aureola crucifera), questo perché
alcuni avvenimenti narrati nell’antico testamento vengono considerati come anticipazioni della vita di
Cristo. Delle volte è anche possibile vedere lo stesso Davide intento a suonare vari strumenti, proprio
perché questi salmi venivano cantati con una base musicale sotto. Anche qui come nelle miniature dei
Vangeli di Ebbone, si nota una grande caoticità, espressioni molto caricaturate, mani molto grandi,
panneggi eccessivi. Nel salmo 14 sono raffigurate delle miniature che rappresentano l’Anastasi ovvero la
discesa di Cristo negli inferi dopo la resurrezione per prendere i profeti patriarchi, oppure la scena in cui tre
donne fanno visita al sepolcro di Cristo ma lo trovano vuoto.

OPERE IN ITALIA IN EPOCA CAROLINGIA.

29 L’Altare reliquiario della Basilica di Sant’Ambrogio a Milano, è in oro e


smalti in castoni, riccamente decorata da bassorilievi in entrambe le facce. La facciata anteriore è divisa in
tre parti, quelli laterali mostrano 6 storie di Cristo ciascuna, mentre quello centrale ha al centro il
Pantocratore in trono e nei 4 bracci i simboli degli evangelisti, negli angoli vi sono gli apostoli a 3 a 3. Di
solito le opere di oreficeria raramente pervengono a noi perché molto spesso gli oggetti venivano fusi per il
riutilizzo del materiale, questo è un raro esempio e sicuramente si è conservato per il valore immenso che
aveva per i fedeli milanesi, infatti esso contiene al suo interno la reliquia dello stesso santo. La facciata
posteriore è realizzata con un materiale
diverso, è sempre divisa in 3 pannelli di cui quelli laterali mostrano scene della vita di Sant’Ambrogio,
mentre quello centrale ha due sportelli apribili (c’è anche una maniglia) per consentire di vedere le reliquie
conservate al suo interno. Particolari sono i tondi sugli sportelli poiché presenta il committente e anche il
maestro orafo, Vulvinio, che fece l’opera. Si noti però che la parte frontale dell’altare, nonostante sia stata
realizzata nello stesso periodo di quella posteriore, fu realizzata da un maestro orafo diverso, è infatti
percettibile la differenza stilistica.

- (Tondo 1 in basso a sinistra) presenta due figure: Sant’Ambrogio


rappresentato alla pianeta (il pallio) e l’aureola rotonda (come indica la scritta alle sue spalle “Sanctus
Ambrosius Dominus”), mentre incorona Angilbertus, vescovo committente dell’opera (infatti l’aureola è
quadrata con cui di solito si indicavano i committenti) vissuto all’inizio del IX secolo, mentre offre al
santo quello che è il modellino dell’altare (pratica già vista nella Basilica di San Vitale quando il vescovo
Ursicino offre il modellino della basilica a Cristo), in cambio chiede una raccomandazione per andare in
paradiso perché, in generale come in particolare per questa, le opere d’arte venivano fatte proprio con
questo scopo, per chiedere un favore al destinatario, inoltre questa volontà fu anche messa da lui per
iscritto, infatti tutt’intorno all’altare ricorre la scritta in cui lui spiega la sua volontà.

- (Tondo 2 in basso a destra) Clipeo tutto circondato da file di perline, una


fascia decorata con smalti cloasonné (pratica con cui gli smalti erano ottenuti da una pasta lastra vitrea
colorata che veniva colata fusa dentro a degli spazi delimitati per poi raffreddarsi ed indurirsi), dei
castoni, dei lavori a filigrana, racchiudono la scena principale in cui compaiono Sant’Ambrogio vestito da
vescovo con il pallio, la pianeta e il libro in mano, mentre sta incoronando Vuolvinius Magister Faber, il
fabbro costruttore dell’opera. Questa è una particolarità perché nel medioevo l’artista non viene mai
rammendato, venivano considerati alla stregua di semplici artigiani, mentre in questo caso riveste un
ruolo alla pari del committente, notiamo infatti che miniatori e orafi venivano considerati alla pari degli
architetti, mentre la stessa cosa non valeva per i pittori.
- (Tondo 3 in alto a sinistra) Rappresenta Santus Gabri, l’Arcangelo Gabriele reso con uno stile molto
sobrio, uno sfondo liscio che va a risaltare le volumetrie della figura.
Nella facciata posteriore:
- (Riquadro 1) si noti il riquadro raffigurante la nascita di Sant’Ambrogio, rappresentato come un
bambino cresciuto in una culla, sulla sinistra la madre e sulla destra il padre, mentre al centro uno
sciame di api che entrano ed escono dalla bocca del santo senza ferirlo, fenomeno che anticipava il
fatto che egli da adulto sarebbe stato dotato di una grande capacità oratoria e dialettica; il tutto
racchiuso dentro una cornice riccamente decorata da perline, castoni, smalti ed elementi in filigrana.
- (Riquadro 2) Sant’Ambrogio (vissuto nel IV secolo a.C. ai tempi dei romani) era anche un console, infatti
qui venne rappresentata la volta in cui partì da Milano per andare in Liguria per ricoprire una carica,
infatti è a cavallo, la città alla sue spalle e un alberello sulla destra, questi sono elementi simbolici ed
essenziali per farci capire che lui si trovava ormai fuori Milano in modo che anche chi non sapeva
leggere la didascalia posta in basso che dice proprio di questo viaggio, potesse comprandere; il tutto
sempre incorniciato da smalti ecc. (siamo sempre nella metà del IX secolo).
- (Riquadro 3) Mostra Sant’Ambrogio a cavallo quasi arrivato a destinazione (si noti infatti la città sempre
simbolica sulla destra) colto di sorpresa dalla chiamata divina (Dio raffigurato come una mano che
spunta da della specie di cerchi che simboleggiano il cielo, da qui partono dei raggi che vanno verso
Ambrogio, sono simbolo di un dialogo diretto) che gli dice di ritornare a Milano perché sarà nominato
vescovo: questo inaspettato cambio di rotta è raffigurato molto bene, infatti capiamo che il cavallo era
presumibilmente in corsa ma viene bruscamente tirato da Ambrogio sentendo la chiamata, la testa del
cavallo è tesa bruscamente dalla parte opposta, i piedi di Ambrogio sono in tensione sulle tenaglie
proprio per cercare di mantenere l’equilibrio dopo questo brusco movimento; notiamo anche il
parallelismo cambia di rotta = cambia vita.
- (Riquadro 4) Tornato a Milano accoglie l’offerta fatta e inizia il suo nuovo cammino, partendo infatti dal
battesimo come mostra il riquadro, è per immersione, Sant’Ambrogio si trova in piedi dentro una fonte
colma d’acqua (si notino anche i piccoli dettagli per simulare l’acqua in movimento), un uomo sulla
destra ritratto di spalle con dei vestiti particolari in cui si intravede un corpo sottostante gli versa
l’acqua sul capo, lo sfondo è liscio.
- (Riquadro 5) Diatriba tra gli ariani (considerati eretici) compattati gli uni gli altri sulla destra e
Sant’Ambrogio (ormai battezzato e con l’aureola) sulla sinistra che dialoga con loro (simbolo della sua
mano destra che dialoga) e un angelo che gli sta addosso come se gli suggerisse le cose da dire. Si noti
la netta distinzione tra i due gruppi, semplicità del racconto e della narrazione.
- (Riquadro 6) Cristo va a chiamare il diacono di Sant’Ambrogio che era a letto e lo avvisa che sta per
morire. Si notino i ricchi dettagli del letto, anche se i quattro piedi sono tutti rappresentati in primo
piano, quindi si nota che la prospettiva non era l’interesse principale dell’artista, le ciabattine del
diacono poste a fianco del letto e lui che è in procinto di alzarsi.
- (Riquadro 7) Parte finale cioè la morte “Ubi animam in caelo cum ducitur corpore in lecto rappositus”, il
corpo di Ambrogio rimane coperto, è presente il suo diacono, ed è presente la stessa mano di Dio che lo
aveva chiamato per riceve l’anima di Ambrogio, portata da un angelo che si copre le mani con un
drappo in segno di rispetto, per portarla in paradiso. Notiamo che l’anima è qui rappresentata con la
sola testa del santo, mentre vedremo che più avanti verrà rappresentata come il corpo di un bambino.
Sulla facciata anteriore rivolta verso l’assemblea vediamo invece eventi della vita di Cristo:
- (Riquadro 1) Giairo che chiama Cristo per farlo venire a casa sua per visitare la figlia gravemente
ammalata. Stile completamente diverso, scene più affollate e ricche di dettagli, meno definiti i
personaggi.
- (Riquadro 2) Guarigione del cieco nato. Il riquadro si divide in due momenti: il primo quando Gesù,
accompagnato da 3 discepoli, guarisce il cieco toccandogli gli occhi con le dita e il secondo quando il
cieco va alla fontana (riccamente decorata, si noti infatti che essa si compone di un piedistallo su cui
poggia un animale scolpito, dalla cui bocca fuoriesce l’acqua fedelmente rappresentata, forse prese
come modello una fontana di quel tempo) per sciacquassi il volto.
Al centro della croce della facciata anteriore vi è un ovale con la raffigurazione di Cristo in trono con la
barba rigidamente frontale, figura minuta molto diversa rispetto a quelle della facciata posteriore, si
percepisce molto bene l’anatomia del corpo che sta sotto i panneggi molto morbidi che cadono fin sopra i
piedi, il trono è raffigurato frontalmente, i braccioli sono decorati con delle gemme, il quale poggia su uno
sgabello riccamente decorato con degli smalti, l’aureola di Cristo è realizzata con tre rubini rossi che
poggiano su una base di smalti cloasoneé rossi all’interno e azzurri nel bordo.

30Santa Maria Foris Portas è una chiesa a Castelserpio in Lombardia che conserva degli
affreschi della metà del IX secolo di un artista bizantino di Costantinopoli che probabilmente fuggì dalla città
per sfuggire alle lotte iconoclaste (non c’era più lavoro per i pittori perciò fuggivano). Le storie raffigurate
negli affreschi sono tratte dai Vangeli Apocrifi riguardanti la vita della Madonna e dell’infanzia di Cristo. Il
ciclo di affreschi fu scoperto casualmente per via dei bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale che
fecero crollare l’intonaco, infatti essi in precedenza furono scialbati (ovvero coperti con l’intonaco) ma

fortunatamente il crollo li portò alla luce. Particolare è la scena in cui


l’angelo va a svegliare Giuseppe per avvisarlo della nascita di Gesù, è raffigurato in movimento e di profilo
(vediamo infatti che rispetto all’arte bizantina del tempo questa è una piccola corrente, infatti si noti
l’impeto con cui arriva l’angelo, il dinamismo), ha l’aureola molto grande e azzurra, l’anatomia resa bene
anche grazie l’utilizzo del chiaroscuro, la veste fascia il corpo, il mantello vola per l’impeto, la resa è molto
potente considerando che manca qualche strato superficiale dell’affresco. Un altro affresco rappresenta
l’Annunciazione, in cui la Madonna indica se stessa, sullo sfondo è presente una sua ancella che si spaventa

alla vista dell’angelo. Di fianco abbiamo la Visitazione , momento in cui la Vergine


incinta va a trovare la cugina Elisabetta anche lei incinta, in particolare nel momento in cui Elisabetta tocca
la pancia di Maria, le due figure hanno un grande senso del volume. Altro affresco importante è la Natività,

pervenuto a noi un po’ rovinato perché ai tempi, per far aderire bene
l’intonaco posto sopra, si picchiettò la superficie creando questi buchini su tutto l’affresco: la Madonna ha
appena partorito ed esausta si riposa su una specie di lettino molto morbido (si noti la riservatezza a lei
data e il meritato riposo, infatti nessuno interagisce con lei), ai suoi piedi delle ostriche lavano il bimbo e
San Giuseppe osserva la scena un po’ pensieroso (questa è una scena presente nei Vangeli Apocrifi); in alto
invece abbiamo l’annuncio ai pastori da parte di un angelo. Questa è una pittura che, con poche pennellate,
è riuscita a rendere la plasticità e la complessità dei volti. Particolare affresco è quello di Cristo

Pantocratore con una aureola crucifera, ha grandi occhi


che osservano lo spettatore, molto simile all’angelo in mosaico di Santa Sofia, con uno sguardo
malinconico, le labbra carnose, per questo si è pensato ad un artista proveniente probabilmente da
Bisanzio perché non si hanno altri artisti in zona che fecero opere simili a queste.

Chiesa di San Michele a Hildesheim – 1010-33 Il capolavoro


dell’architettura ottoniana in Sassonia è tale chiesa abbaziale. La pianta di San Michele è tracciata entro uno
schema geometrico di tre quadrati uguali ognuno dei quali è a sua volta tripartito. Il corpo centrale è a tre
navate e termina ad Oriente in un transetto a tre absidi. A Occidente abbiamo un transetto con profonda
abside, si eleva su di una cripta circondata da deambulatorio. I capitelli stessi sono quadrati con gli angoli
inferiori smussati e sono tenuti dall’unione di forme geometriche perfette e dovevano essere poi dorati e
dipinti. La cripta è coperta a volte. L’esterno si presenta come un cristallino incastro di solidi geometrici
definiti da murature lisce e compatte. I maestri di San Michele hanno usato sistemi proporzionali
geometrici e matematici nella definizione dell’edificio. Per San Michele furono fuse forse, sul modello delle
porte tardoantiche, due enormi battenti bronzei con riquadri narrativi raffiguranti scene dell’Antico e

Nuovo testamento. La porta raffronta sui due battenti la storia della caduta a sinistra con
quella della salvazione a destra. Maestri diversi, guidati da un’unica mente, svolsero tale porta prendendo
schemi figurativi delle Bibbie carolingie di Tours e dal Salterio Utrecht ma trasformandoli radicalmente.
Sulla superficie della porta affiorano elementi architettonici e paesistici a bassissimo rilievo mentre le figure
al contrario sono ad alto rilievo ed emergono dal piano fino ad avere busto e testa a tutto tondo
proiettando anche ombre.
Cicli di affreschi e codici miniati

Gli affreschi del pittore Giovanni eseguiti per Ottone III della Cappella Palatina di Aquisgrana sono andati
perduti nell’800 ma ne rimangono copie in acquarello. Molto significativo è che il re chiamasse un artista
italiano a decorare la mitologia imperiale. Abbiamo un forte legame con l’arte longobarda. Nel X secolo si
pone il maggior momento di fioritura della scuola minatoria. Gli artisti di questo periodo, X e prima metà
dell’XI, sono chiamati a restaurare vecchi codici, a rinnovare le decorazioni o arricchirli. Proprio questo è
quello che richiede un dotto committente, ovvero l’arcivescovo di Treviri Egberto a un maestro italiano
commissionandogli due miniature a piena pagina per un codice contenente una raccolta di epistole di
Gregorio Magno: Registrum Gregorii 22 Registrum Gregorii: Imperatore Ottone II in trono – San Gregorio
ispirato dalla colomba – 983 Le due miniature raffigurano Ottone II in trono circondato dalle province
dell’impero e San Gregorio ispirato dalla colomba mentre detta allo scriba. Nella prima immagine troviamo
centrale l’imperatore e la sua centralità è quindi innalzata tramite forme geometriche fra cui prevale un
sistema di cerchi concentrici che regolano il disporsi degli oggetti intorno all’imperatore. Nella seconda
troviamo invece l’architettura che incornicia con assoluta naturalezza i personaggi. Lo scriba è
rappresentato diviso dal Santo ma partecipa all’episodio. In entrambe le scene la gamma cromatica è
studiatissima con lumeggiature che conferiscono un forte risalto plastico ai personaggi.

Vangeli di Ottone III:

1 Le Province dell’Impero / 2 Ottone III circondato dai grandi dell’impero / 3 L’evangelista Luca / 4 Inizio del
Vangelo secondo Luca – fine X secolo 1.Le province incedono reverenti e la prima che rende omaggio ad
Ottone I, è Roma la quale reca in mano un drappo in segno di rispetto. Le mani sono rappresentate coperte
e reca nell’altra mano un bacile d’oro e di gemme.

2.La rappresentazione dell’imperatore deriva dal modello del Registrum Gregorii ma il linguaggio figurativo
è diverso. La scena si divide in due momenti narrativi da leggere in sequenza. L’architettura classica diviene
una tettoia sorretta da due sole colonne da cui spuntano capitelli corinzi e tra gli acanti si vedono teste
umane.

3.L’evangelista è rappresentato dentro una mandorla di luce con ai lati due cerbiatti simboli dei credenti
che si abbeverano al suo verbo mentre egli regge una rappresentazione dell’epifania divina dove all’interno
troviamo la figura di Dio nella gloria dei suoi angeli e profeti insieme all’immagine apocalittica del
tetramorfo. L’evangelista si staglia contro l’oro abbagliante del fondo. 4.L’iniziale,impaginata con classica
chiarezza, è invasa da un rigoglio ornamentale con elementi zoomorfi derivanti di stoffe orientali.

Battistero di San Vincenzo a Galliano - 1007 Commissionato da Ariberto di Intimiano, si tratta di un


battistero a pianta quadrilopa con pilastri liberi e gallerie. Lo spazio è monumentale e chiuso da potenti
masse murarie che ricordano quelle del westwerk ottoniano. L’abside fu affrescata tra il 1007 e il 1018. Al
centro è rappresentato Cristo in mandorla con l’arcangelo Gabriele e Geremia a sinistra e l’arcangelo
Gabriele a destra che intercedono per i fedeli. Nell’emiciclo vi sono tre episodi della vita di S. Vincenzo,
nonché San Adeotato e lo stesso Ariberto che offre al salvatore il modellino della chiesa. Abbiamo lo stesso
senso spaziale che troviamo a Mustair e troviamo elementi di origine bizantina nella veste degli angeli. Il
senso plastico è del tutto occidentale, mentre le lumeggiature e ombre ricordano certi prodotti ottoniani.
CAP.III – L’EUROPA ROMANICA

L’XI sec. è un secolo dinamico:

- Evolve l’agricoltura;
- Si sviluppano i centri urbani;
- Tecniche militari

All’inizio del secolo si nota il divario tra le regioni dell’Europa e l’Islam o tra i territori bizantini. Una presa di
coscienza collettiva e identità nazionale porta alla reconquista di parte della penisola iberica e all’inizio delle
crociate per la liberazione della Terra Santa. Con la crescita dell’agricoltura e l’incremento demografico
cambiano i rapporti tra campagna e centri urbani; soprattutto in zone più evolute come la pianura padana,
la Toscana e i Paesi borgo tra Bassi nasce la Borghesia l’aristocrazia/ecclesiastici e popolo. I mutamenti
economici riguardano tutte le classi sociali, ma che ne beneficia di più è la novità che riversa le sue risorse
nella costruzione di edifici non solo sacri. Evolvono le tecniche di costruzione. L’ideale monarchico delle
genti non corrisponde con la realtà. Il potere è frammentato. L’autorità imperiale è circoscritta alle terre
germaniche. I Normanni in Inghilterra ( dal 1066) consolidano la propria indipendenza come quelli della
Spagna settentrionale. Minano la monarchia anche lo sviluppo del feudalesimo e le autonomie cittadine
(Italia). I signori locali ormai passano il potere di padre in figlio e non rispondono più ad un potere centrale.
In Borgogna, Provenza ed Italia la figura imperiale è ormai solo nominale. Solo in Germania, con la dinastia
salica si può parlare di sovrani. Il concordato di Worms (1122) sancisce l’autonomia del papato dall’Impero.
L’Abbazia di CLUNY (910) e i monasteri ad essa collegati fungono da focolai pre - concordato: loro
rispondevano direttamente al Papa, non avevano nessun intermediario, né ecclesiastico né laico.

IL ROMANICO

Il rinnovamento delle forme artistiche di XI e XII sec. riguarda soprattutto l’architettura e la scultura
monumentale, legata all’architettura (capitelli e portali). Meno la pittura murale e l’oreficeria che erano già
fiorite nelle epoche precedenti. Il termine romanico viene usato nella prima metà dell’800 da archeologi
francesi, art roman, che evoca il contemporaneo sviluppo delle lingue romanze con radice il latino. La
caratteristica principale, con le dovute differenze da regione a regione, è la ripresa delle tecniche
costruttive romane e la rinascita della grande scultura. Come elementi:

† Riscoperta della logica strutturale

† Riscoperta della copertura a volte a crociera su pianta quadrata

† Annullamento dell’effetto di unità ambientale

† Gioco di elementi strutturali e di illuminazione

† Utilizzo di elementi di sostegno nelle pareti dell’edificio che sono concepite a più strati: questa concezione
rimanda all’architettura tardo romana delle province.

† Sviluppo della zona presbiteriale per necessità liturgiche: con cupola con l’incrocio delle navate con il
transetto

† Si ampliano le cripte divenendo cappelle sotterranee


† Presbiterio sopraelevato rispetto alle navate

† Si creano deambulatori absidali con cappella a raggiera

† Imponenza monumentale

† All’esterno abbiamo un gioco di sequenze spaziali e di volumi, animate da elementi architettonici vari ma
anche da sculture, capitelli, mensole ecc. Volte a crociera è un tipo di copertura architettonica formata da
due volte a botte, che alleggerisce la parete e la slancia in altezza.

LE REGIONI DEL ROMANICO EUROPEO

In Italia il monumento per eccellenza è la cattedrale; in Francia ( Aquitania e Borgogna) le grandi abbazie.
Germania e Paesi bassi – continuità e sviluppo si colgono bene nella Cattedrale di Spira: fondata
dall’imperatore Corrado II (1061). Ha dimensioni monumentali. Presenta una articolazione della zona
presbiteriale con la navata centrale scandita mediante semicolonne addossate ai pilastri. Nel 1080 la chiesa
viene ricostruita da parte di Enrico IV che ne conserva il motivo degli archi cechi che scandiscono le pareti
coprendo la navata centrale con volte a crociera. Abbiamo una perfetta fusione tra le parti più antiche e
quelle più recenti dell’edificio. Un altro esempio è la Chiesa di Santa Maria Laach del 1093.

La scultura monumentale e architettonica ha uno sviluppo limitato, mentre la lavorazione preziosa del
metallo è prospera in posti come la regione della Mosa, ad Aquisgrana, a Colonia. Vengono ripresi modelli
bizantini e ottoniani,

Normandia ed Inghilterra. L’architettura normanna è legata alle vicende politiche di Guglielmo Il


Conquistatore; Prima che i normanni conquistassero l’Inghilterra, Guglielmo e la moglie Matilde,
costruirono a Caen la cattedrale che rappresenta la più grande realizzazione del romanico europeo: SAINT
ETIENNE. 1066-1077 Fu costruita per il volere di Guglielmo e la moglie Matilde. In facciata le torri
incorniciano la parte centrale dell’edificio e si elevano sulla prima campata delle navate laterali. Hanno un
forte slancio verticale e all’interno la parete riceve un’articolazione complessa e potente. L’originale soffitto
ligneo fu sostituito da volte costolonate prima della metà del XII, anche il coro e l’abside furono edificate
all’inizio del XIII secolo.

In Inghilterra, gli edifici romanici, vedono uno slancio verticale, articolazione della parete della navata con
una ricerca di effetti decorativi spettacolari nelle facciate. Borgogna si diffonde il modello cluniacense.
E’ modello per la basilica di Paray le Monial, che ne riprende la struttura della parete a 3 piani della navata
centrale e le coperture con volte a botte. Motivi più raffinati, ma sullo stesso stampo di Saint Lazare a Autun
e nella porta della città. Nei primi decenni del XIII sec. si sviluppa in Borgogna anche un altro tipo di
costruzione, con pareti della navata centrale scandite in due soli piani, archi a pieno centro e campate con
volte a crociera e divise da grandi archi traversi.

Riguardo la scultura monumentale troviamo un forte arcaismo nei capitelli di Saint Benigne a Digione e,
precedente più diretto della scultura borgogniana, i capitelli dell’abbazia benedettina di Saint Benoit sulla
Loira: scene floreali, apocalittiche e santi 1094. I capitelli di Cluny mostrano una profonda conoscenza dei
modelli antichi. Probabilmente i capitelli illustrano una epistola di San Pier Damiani
che elogia la vita dei monaci e, pure rientrando a pieno titolo nell’arte romanica, risentono (con le loro
figure isolate in una mandorla e con le pieghe appiattite e sovrapposte), dell’arte ottoniana di oreficeria e
avorio. Analoga tecnica di intaglio c’è nel timpano della chiesa di Charlieu con Cristo tra due angeli.

Da qui abbiamo un’evoluzione dei timpani, le figure diventano sempre più


sciolte, anche se rigidamente simmetriche, fino ad arrivare al ricco timpano del maestro Gislebertus della

chiesa di Saint Lazare ad Autun con il Giudizio finale . Sua anche la


Eva e la fuga in Egitto e i sogni dei Magi.

A Vazelay in Saint Madeleine c’è l’evoluzione

: Cristo tra gli Apostoli: l’immagine teofanica con linguaggio aulico del
timpano, riprende, trasfigurandoli, elementi ottoniani e bizantini, dando un maggior risalto plastico e un
tono narrativo più ricco nei capitelli delle navate e del nartece. Linguadoca e Dordogne – (regioni francesi)
A Tolosa viene ricostruita la chiesa di pellegrinaggio di Saint Sernin (1080-XIII sec.). L’importanza di Saint
Sernin sta nell’impianto planimetrico , tipico dei santuari sorti lungo il Cammino di
Santiago de Compostela, per l’imponenza della navata centrale e della zona presbiteriale, e soprattutto dai
suoi laboratori di scultura. I capitelli di Lazzaro ed Epulone del 1090 presentano derivazione da modelli
antichi e appartengono alla prima fase. Alla seconda fase appartiene la Tavola dell’altare: costruita in
marmo dei Pirenei, ha Cristo tra la Vergine e gli Apostoli, San Giovanni, uccelli e l’episodio leggendario
dell’ascensione di Alessandro Magno. Ispirato a precedenti usciti dalle officine di Narbonne del IX-XI sec.,
presenta forme più evolute e la più consapevole ripresa dei modelli antichi. La scritta in latino ci tramanda il
nome dell’autore: Bernardus Gelduinus. Dalla sua bottega escono anche 7 bassorilievi in marmo collocati
nel deambulatorio con il Cristo in Maestà: impianto totalmente romanico, con spunti dall’oreficeria
ottoniana. Sua anche la porta di Miegeville.

Ha molte affinità con il Santuario di Compostela. Un altro alternativamente singoli e gemini come le
colonne, sono tutti modellati con sculture che hanno poca profondità e 28 forme appiattite. Al XII sec.
appartengono invece i lavori per il portico della chiesa abbaziale: nella lunetta c’è la Visione apocalittica di
San Giovanni (Cristo in Maestà tra i simboli degli evangelisti); sugli stipiti San Pietro e Isaia e animali
mostruosi. Le pareti laterali hanno storie d’infanzia di Gesù, la Parabola del ricco Epulone e La punizione di
Avarizia e Lussuria. Alla rigida frontalità del Cristo si contrappone la violenta animazione delle figure vicine,
alla rigida simmetria dello schema, l’asimmetria dei singoli elementi. Nella regione della Dordogne abbiamo
la Cattedrale di Cahors, al cui portale dell’Ascensione lavorano gli scultori del cantiere di Moissac. L’influsso
di Moisacc si manifesta nel portale meridionale della Chiesa di Beaulieu con il Giudizio finale sul timpano e
in Saint Marie di Souillac. Abbazia cluniacense di Moissac 1110 Nel chiostro troviamo capitelli scolpiti con
figure di apostoli a grandezza naturale, le immagini sono rappresentate di profilo con grande interesse
naturalistico. Questi sono modellati come sculture e chiara è la distinzione fra fusto e il blocco di imposta
rettangolare. La superficie si appiattisce e si trasforma in una piramide tronca rovesciata. Abbiamo la
distinzione fra la superficie orizzontale inferiore che accoglie una decorazione più complessa. Le figure dei
capitelli sono incorniciate con la distinzione tra fondo e figura che si attenua per far prevalere la simmetria.
Il portico della chiesa abbaziale con raffigurata la Visione apocalittica di San Giovanni, - gli stipiti con le
figure di San Pietro e Isaia, - le storie delle pareti laterali sono fatti risalire al dodicesimo secolo.

Conques, Aquitania, l’Alvernia e Provenza – Sainte Foy a Conques, richiama numerosi pellegrini ed è
costruita nell’XI secolo con forte sviluppo della navata centrale con decorazione scultorea non ricca se non
nel timpano del portale con il giudizio finale. In Alvernia, lo sviluppo dell’arte romana è collegato con i
pellegrinaggi: abbiamo lo sviluppo della zona del transetto e delle absidi con capitelli figurati. In Provenza
abbiamo una particolare ricchezza di monumenti sempre collegati con il pellegrinaggio dove abbiamo
riprese dello schema degli archi trionfali con ricche decorazioni scultoree e le sculture inserite dietro il
colonnato. Spagna settentrionale - Il passaggio all’arte romanica, in un paese in stretto contatto con la
Francia e meta di pellegrinaggi per Santiago, si verifica nel cantiere di San Isidoro a Leon. Vicino c’è il
Pantheon del Ios Reyes fine XI sec., luogo di sepoltura reale con volta con Majestas Domini, motivi
apocalittici, scene dell’infanzia e della Passione di Gesù. L’edificio più importante è il santuario di Santiago
de Compostela ricostruito dal 1075 sullo schema tipico delle chiese di pellegrinaggio francese, con lunghe e
alte navate. La Porta degli Orafi conserva gran parte delle sculture originali. Allo stesso ambito culturale
appartengono le figure classicheggianti del portale della cattedrale di Jaca. Più complesso appare l’apparato
decorativo di Burgos, nel Monastero di Santo Domingo de Silos che, tra l’altro, fu uno dei principali centri di
diffusione della riforma cluniacense. Pantheon de los Reyes E’ un luogo di sepoltura con la volta decorata
dalla Maestas Domini – motivi apocalittici e scene dell’infanzia e passione di Cristo e simboli dei mesi
dentro ai medaglioni. Gli archi delle volte poggiano su dei capitelli e questi sono molto essenziali. La
datazione è controversa e la più convincente è quella che conduce indica come data l’XI secolo. Santiago di
CompostelaE’ ricostruita sullo schema delle grandi chiese di pellegrinaggio francesi e questa presenta
lunghe e alte navate, ampio transetto a tre navate. I capitelli del deambulatorio sono contrastanti con quelli
di Tolosa. CatalognaQui abbiamo edifici di ridotte dimensioni con scarsa articolazione spaziale, con chiese a
sala con copertura a botte e triplice absidi con le pareti esterne scandite da lesene e teorie di arcatelle
cieche. Per quanto riguarda la decorazione scultorea, questa non ha grande importanza in quanto la
pittorica diviene più di ampio rilievo e questa riprende i modelli bizantini che vengono interpretati con
grande essenzialità. Diffusa è la pittura su tavola.

La penisola italiana

L’Italia merita un discorso a parte. Non vede uno sviluppo omogeneo del romanico. Ci sono differenze da
regione a regione. Ciò può essere spiegato dalla differenza di situazioni politiche e dal fatto di essere divisa
da Occidente europeo e Mediterraneo. Tra le stratificazioni di motivi bizantini, islamici e occidentali e la
resistenza a favore di un’arte paleocristiana (Roma e Campania), i confini non sono sempre delineabili.
Quelle che presentano più punti di contatto con l’Europa sono Sant’Ambrogio a Milano e il Duomo di
Modena. Sant’Ambrogio è fondata tra IX e X sex. Il sistema con volte a crociera costolanate e
corrispondenti strutture portanti è uno dei più rigorosi del romanico europeo. La chiesa è illuminata dalle
finestre della facciata e dalle aperture del tiburio. Ciò crea un forte chiaroscuro che dà maestosità alla
chiesa e compensa il poco slancio verticale tipico della Normandia e della Borgogna.

La distruzione delle grandi chiese lombarde (Pavia, Novara, Vercelli) la fa apparire molto isolata. Nella
pianura padana abbiamo il Duomo di Modena.

Fondato nel 1099 su un edificio


preesistente, voluto da tutto il popolo e con l’appoggio della feudataria del luogo Matilde di Canossa. Da
rilievi scultorei sappiamo che l’architetto è Lanfranco e lo scultore Wiligelmo. Priva di transetto, a 3 navate
chiuse da absidi nel presbiterio sopraelevato. La navata centrale è divisa in 4 campate. Le finestre sono
strette e in alto. L’articolazione interna si riflette all’esterno. Rosone e aperture laterali sono del XII sec.
Compaiono qui per la prima volta i leoni stilofori. I rilievi rappresentano le Storie della Genesi. Il maestro
Wiligelmo rinnova i gesti, non usa forme stereotipate, c’è una continua ricerca del vero. Ne risulta una
comprensione immediata. A Cremona, nell’abbazia di Nomantola, troviamo le figure di Profeti del Maestro
delle Metope.

CAP. IV – ARTE IN ITALIA TRA XI E XII SEC

IL romanico in Italia

Negli ultimi anni del XI e i primi del XII sec. in Italia abbiamo situazioni diverse per ogni regione.

Lombardia

La pianura padana è quella più direttamente collegata al romanico europeo. Nel XII sec. la basilica di

Sant’Ambrogio a Milano si arricchisce del


‘’campanile dei canonici’’: cortina rossa in laterizio (tipica della pianura) interrotta da inserti in pietra con
sottilissime semicolonne. Il modello ambrosiano viene ripreso in San Sigismondo a Rivolta d’Adda
soprattutto nei capitelli, e in San Michele a Pavia.

La chiesa pavese ha una facciata con un fantasioso


repertorio con temi naturalistici e allegorici, tipici dell’immaginario medievale con uno stile che fa pensare a
derivazione armene. San Michele presenta un grande sviluppo ascensionale della facciata accentuato dalle
finestre in posizione centrale. San Michele a Pavia- XII secolo Questa presenta una relazione con la basilica
ambrosiana nelle decorazioni della facciata. Questa chiesa è decorata con temi naturalistici e allegorici tipici
dell’immaginario medievale con scene anche grottesche o soggetti provenienti dalla vita quotidiana.
Oggetto di molte ricostruzioni e in facciata presenta uno sviluppo verso l’alto che è accentuato dalla
particolare ubicazione delle finestre che si trovano nella parte centrale. I contrafforti tripartiscono la
facciata e abbiamo un forte gioco chiaroscurale alimentato dalla decorazione scultorea indipendente. Un
altro materiale usato nel romanico lombardo è la pietra e questo suo utilizzo è un elemento di diversità
rispetto al romanico milanese e pavese. A Como abbiamo Sant’Abbondio

che riprende modelli nordeuropei sia nell’uso della pietra (nel milanese si usa il
laterizio) sia nell’uso delle torri gemelle, tipico della Germania ottoniana. Sant’Abbondio-secolo XI In questa
chiesa troviamo elementi tipici dell’architettura romanica lombarda. È a cinque navate con copertura a travi
lignee. L’edificio presenta due torri gemelle richiamando le soluzioni diffuse in Germania di ascendenza
ottoniana. A Como la scultura ha funzione strettamente decorativa e abbiamo un gusto prettamente
fantastico con particolare predilezione per il mostruoso ed il grottesco come vediamo nei capitelli di questa
chiesa. Sempre nel comasco troviamo due costruzioni particolari: San Fedele, con pianta tricora e San Maria
del Tiglio a Gravedona, con un campanile sulla facciata.. La pietra viene impiegata sia in edifici religiosi e
non.

Emilia

La scultura di Como, con la sua volumetria, introduce un nuovo capitolo fortemente segnato nel XII e inizi
XIII dall’attività di Wiligelmo, Niccolò e Benedetto Antelami.

33Il duomo di Modena

Nel cantiere di Modena, abbiamo un’intensa attività di scultori in stretta


correlazione con le strutture architettoniche. L’edificio è eretto da Lanfranco a partire dal 1099 e fu
completata all’inizio del 200 e fu un punto di riferimento nel XII secolo, testimoniato da lapidi (il suo nome
è presente anche in un codice miniato, ovvero nella Relatio Translationis Corporis Sancti Geminiani: il
Duomo di Modena è dedicato a San Gimignano poiché contiene le sue reliquie, fu fatto questo codice per
testimoniare lo spostamento di esse al momento della ristrutturazione della chiesa dopo l’anno mille.
Il duomo di Modena accoglie il contributo di numerosi artigiani che compivano iscrizioni su pietra, aprendo
il capitolo della scultura post wiligelmica. All’epoca di Wiligelmo appartengono i rilievi della porta dei
principi al lato sud dell’edificio dove troviamo rappresentate una teoria di santi negli stipiti e la storia di San
Gimignano, successiva invece è la decorazione della porta della pescheria. La scultura riecheggia quella
dell’area di Borgogna e Aquitania optando quindi per un repertorio non immediatamente comprensibile al
pubblico con anche episodi provenienti dalla leggenda di Re Artù nell’archivolto. Motivi naturalistici,
animali e piante, li troviamo sui portali e sugli stipiti.
Duomo di Modena testimonia anche questo cambiamento, la cui facciata presenta la divisione interna in
più navate, la facciata è riccamente decorata come era consueto fare in epoca romanica con una galleria di
archetti di trifore con l’aggiunta di altri archetti pensili, al centro è però presente un rosone che
sicuramente è stato aggiunto in epoca gotica insieme ai due portoni laterali. Altro elemento importante e
nuovo nelle costruzioni romaniche fu la presenza delle Cripte, ambienti che si trovavano al di sotto del
presbiterio che servivano per conservare le reliquie dei santi titolari della chiesa. Di solito per accedervi era
necessario scendere delle scale, infatti molto spesso il presbiterio era rialzato rispetto al piano della chiesa,
quindi per accedervi era necessario salire di qualche gradino, per via della cripta sottostante.).

Nelle miniature viene illustrata la vita di cantiere infatti qui compare il nome di Lanfranco, raffigurato più
grande rispetto agli altri lavoratori e ben vestito, tiene in mano una sorta di scettro del potere, per far
capire che era lui a dirige i lavori. È possibile cogliere la divisione dei lavori all’interno del cantiere: c’erano i
manovali (operarii) che dovevano scavare la terra e levarla, rappresentati trasandati con vesti corte perché
stavano svolgendo un lavoro manuale (a differenza di Lanfranco con una veste lunga) e altri invece vestiti in
modo migliore ma sempre con una veste corta sono i costruttori (artifices) che con dei picconi poggiano i
mattoni portati da altri. Oltre al nome di Lanfranco che progettò la struttura, compare anche il nome dello
scultore, Wiligelmo: questa fu una novità perché in passato gli architetti, dati i loro studi di aritmetica e
delle arti liberali, venivano considerati di livello maggiore rispetto agli artisti, ciò testimonia il
riconoscimento del loro valore (questo vale per gli scultori e non ancora per i pittori).

La facciata
L’apertura del rosone, le aperture laterali e l’innalzamento centrale sono di epoca gotica. La parte esterna
absidale è sempre la parte più bella. Quello del Duomo di Modena presenta grandi blocchi squadrati, tipico
dell’arte romanica (a differenza dell’arte pre-romanica ovvero quella prima dell’anno mille, in cui si usavano
pietre e piccoli blocchi trovati nelle zone limitrofe). Già dall’esterno si può notare che la navata centrale è
più rialzata rispetto alle navate laterali, il tutto è riccamente decorato da colonne e archetti pensili, una
galleria con un ripetersi ritmico di trifore racchiuse in degli archi sostenuti da delle colonne, ricorre per

tutto il perimetro della struttura. I Pròtiri , piccoli portici a cuspide posti a


protezione e copertura degli ingressi, sono sostenuti da colonne poggianti su leoni stilofori (la colonna
poggia sul dorso del leone). Il campanile è decorato con delle lesene, che vanno a congiungersi con una fila
di archetti pensili, tutta la sua superficie è suddivisa da cornici di marcapiano, delle aperture aumentano di
numero salendo in altezza partendo da una monofora, bifora, trifora, un’altra trifora fino ad arrivare alle
campane. All’interno la copertura era presumibilmente a capriate lignee
ma venne sostituita in epoca gotica con volte a crociera con archi a sesto
acuto, essa si poggia però su una struttura in stile romanico, suddivisa in campate a base quadrata, le
colonne portanti sono a fascio. È rispettato il rapporto 2:1 delle navate, il presbiterio è rialzato con la cripta
sotto dove è conservato il corpo di San Gimignano.

Il portico regia è decorato con un girale vegetale abitato da figure umane e


zoomorfe (non si sa se avessero un significato o fossero puramente decorative, comunque rimandano alle
miniature anglosassoni, l’influenza delle popolazioni che invasero l’Italia in quel periodo), gli elementi
decorativi sono spesso sostenuti da telamoni, ovvero figurine che sembrano schiacciate dal loro peso, negli
stipiti vi sono dei profeti racchiusi

a livello più basso di un vescovo a sx mentre a livello più basso di un diacono a dx

, secondo la tradizione classica, in colonne e archi sempre per esaltare


l’importanza del personaggio rappresentato, le teste sono importanti, i panneggi morbidi, i piedi ben
piazzati al suolo. Posto sull’architrave della Porta dei Principi (non è quella principale ma una delle laterali)
vi è un ciclo di bassorilievi narranti sei storie della vita di San Gimignano Vescovo:

la narrazione estremamente semplificata infatti ci sono soltanto i


personaggi principali, sono sproporzionati, hanno delle grandi teste, non c’è senso del volume né uno
sfondo, nonostante ciò è comunque simbolo della rinascita della scultura monumentale anche se
probabilmente non fu fatta proprio da Wiligelmo ma qualcuno della sua bottega.
1. Nella prima scena vi è raffigurato un uomo a cavallo seguito da un personaggio che tiene il pastorale,
oggetto messo in risalto in modo da capire il personaggio in questione—> San Gimignano vescovo,
egli sta andando verso Bisanzio perché l’imperatore lo aveva chiamato per fare un esorcismo alla
figlia indemoniata.
2. Nella seconda scena vediamo il Santo e altre due figure (teste molto grandi, sproporzione) colpiti da
una tempesta durante un viaggio in barca verso Bisanzio (il mare è mosso, molto stilizzato), fu
scatenata dal demonio (raffigurato in basso a destra) perché cerca di ostacolare il loro arrivo.
3. Nella terza scena San Gimignano indossa i paramenti adatti per praticare l’esorcismo, procedendo
verso la nostra destra abbiamo la figlia ormai libera dal demonio raffigurato sopra la sua testa,
l’imperatore che assiste alla scena e di fianco l’imperatrice seduta su di uno sgabello.
4. Nella quarta scena i due coniugi ringraziano il vescovo per quello che ha fatto donandogli un calice
(magari si fa riferimento ad un oggetto al tempo conservato al duomo).
5. Nella quinta scena vediamo San Gimignano trionfante mentre fa ritorno a cavallo, accolto da un
personaggio che sparge l’incenso (c’è sempre il personaggio a lato che gli tiene il pastorale).
6. Nell’ultima scena, parte principale nella vita dei santi, raffigura la sepoltura di San Gimignano mentre
viene calato nella sua tomba, in alto vi è un paravento forse rappresenta duomo, dal momento che
conserva le sue reliquie.
La Porta della Pescheria

presenta altri bassorilievi in cui viene raccontato un ciclo


arturiano facendo riferimento ai romanzi cavallereschi, nell’architrave invece scene tratte dalle storie di
Esodo. Quando fu costruito il duomo, a differenza delle altre cattedrali, non vennero abbattute tutte le
abitazioni limitrofe per creare una sorta di piazza per ammirare meglio l’opera, ma tutto rimase com’era,
infatti nelle vicinanze rimasero botteghe, abitazioni e banconi, possibilmente anche a ridosso delle porte, è
probabile quindi che a ridosso di questa porta vi era una pescheria. Gli stipiti di questa porta presentano il
ciclo dei mesi, probabilmente fatto da uno scultore della bottega di Wiligelmo (anche queste figure sono
racchiuse in archi sostenuti da colonne minuziosamente decorate con motivi rettilinei o ondulatori in cui è
possibile vedere anche la costruzione dietro agli archi), vi sono anche le personificazioni delle attività
principali che si svolgono nei vari mesi, ad esempio per Aprile c’è una persona con delle piante—> fioritura,
per Maggio una persona con un cavallo—> forse periodo in cui si partiva per le guerre data la bella
stagione, o per di caccia (molte volte veniva rappresentato anche un falco sul braccio della persona), per
Giugno una persona con una zappa—> semina, Luglio una persona con una falce—> raccolto, Dicembre una
persona che taglia della legna—> per il fuoco. Si notino la cura dei dettagli e la volontà di dare un’impronta
naturalistica al tutto, dettaglio di Luglio l’uomo ha un’espressione corrucciata dalla fatica, porta un cappello
per proteggersi dal sole.
In generale da questo momento in poi, le chiese non affronteranno un tema solo ma una pluralità di temi,
più o meno comuni, ma che abbiano come denominatore comune Dio. Ad esempio il ciclo dei mesi rimanda
allo scorrere del tempo, facendo riferimento a colui che lo comanda.

Sulla facciata vi sono 4 lastre scolpite da


Wiligelmo in persona di cui abbiamo notizia grazie ad una di queste: è una lapide nella lapide, murata e
sostenuta dai profeti Enoc ed Elia, conosciuti perché furono assunti in cielo con i loro stessi corpi senza
sperimentare la morte, per questo fu affidata a loro questa lastra, per far si che duri per sempre. Su di essa
vi è riportata una lunga e teatrale frase che ci fa sapere la data di fondazione, sembra che successivamente
fu aggiunto il nome di Wiligelmo. È probabilmente che in origine i rilievi stessero tutti su un unico livello,
come a formare un fregio continuo, ma con l’apertura delle porte laterali il primo e l’ultimo rilievo furono
spostati al di sopra delle porte: sono molto grandi e narrano le storie della Genesi, documentano così la
rinascita della scultura monumentale che da questo momento in poi verrà considerata più innovativa della
pittura, si dovrà aspettare Giotto per allontanarsi dalla rigidità dell’arte bizantina. Nella prima scena vi è Dio
che si affaccia da una finestra a mandorla sostenuta da due angeli, scorrendo verso la nostra destra
abbiamo la creazione di Adamo (viene riportato il nome) da Dio (è raffigurato con il volto di Cristo e
l’aureola cruciforme), particolari i piedi dei personaggi perché poggiano su un suolo non definito e
sembrano sostenere tutto il peso dei loro corpi, i panneggi della veste e del mantello di Dio sono ben
marcati, l’orlo è consistente e pare in movimento anche se il resto è stilizzato. A seguire la creazione di Eva
dalla costola di Adamo, poi la scena del peccato originale con il serpente attorcigliato al tronco di un albero
ed Adamo che mangia il frutto proibito e la conseguente presa di coscienza di essere nudi. L’altro pannello
mostra il rimprovero da parte di Dio, la cacciata di Adamo ed Eva dal paradiso terrestre e la scena in cui
sono costretti a lavorare la terra (particolare perché anche Eva lo fa). Altro pannello vi è l’offerta di Caino ed
Abele rispettivamente di un vitello e del grano a Dio, raffigurato in una sorta di altare tenuto da un
telamone, subito dopo c’è l’uccisione di Abele da parte di Caino (c’è un certo senso del movimento dettato
dalla bastonata che provoca il movimento del bordo delle vesti di Caino) ed infine l’espulsione di Caino da
parte di Dio (qui i piedi sono coperti da delle calzature). Nel pannello successivo abbiamo l’ uccisione di
Caino da parte di Lamek, a seguire l’episodio dell’arca di Noè e del diluvio universale (in cui l’arca viene
rappresentata come un edificio perché simbolo della chiesa, per far capire che chi sta al suo interno è salvo,
il mare al di sotto è molto stilizzato) e infine la scena in cui Noè e i suoi figli escono dall’arca. In generale
notiamo una cura particolare per i dettagli, la volontà di creare un certo naturalismo, i panneggi dettagliati,
per dare l’idea di vivacità dell’iride veniva inciso un foro nell’occhio per poi essere riempito con del piombo
colato e quindi di colore nero creando un contrasto con la pietra del rilievo, i volti sono molto rudi e severi
simili tra loro.
Esempio di reimpiego è il genietto alato con la fiaccola abbassata simbolo della morte, di solito raffigurato
sopra i sarcofagi romani, poi usati dai cristiani per rappresentare gli angeli. In generale abbiamo 3 tipi di
reimpiego: 1. Reimpiego del materiale, si prende solo il materiale, come i blocchi di marmo degli ex edifici
romani per costruire nuove strutture; 2. Reimpiego dei leoni silofoni di facciata, si prende la scultura così
com’è (in questo caso dei leoni e lo si rende elementi decorativi); 3. Si fa una vera e propria copia, si prende
la cosa (un concetto o un simbolo romano) e lo si reinterpreta, lo si copia e lo si rifà.
Particolari i capitelli con i volti umani, piante, foglie, animali, con l’obiettivo di dare volume al capitello,
cercando di simulare quelli della tradizione classica. I contrafforti sono decorati con delle metope ovvero
lastre colorate abitate da giocolieri, contorsionisti in posizioni strane, una persona bicefala con le gambe
spalancate che mostra i genitali, una piccola fanciulla con abiti attillati che sta rannicchiata per stare in un
piccolo spazio, una donna con le gambe contorte verso l’altro che sembrano quasi code di una sirena e dai
capelli lunghi come alghe (oggi sono pezzi museali). Sono opere molto dettagliate con piccoli fori fatti a
mano con l’uso di un trapano.
Il maestro delle metope autore di otto lastre collocate lungo i salienti dei muri che traversano il tetto della
cattedrale, questo rievoca memorie classiche mediante una forte stilizzazione delle figure. Attivo nel
cantiere del duomo nel primo quarto del XII, questo decora le lastre con figure fantastiche in atteggiamenti
inconsueti a cui deve giungere il messaggio di evangelizzazione.

Anselmo da Campione attivo intorno al 1165, questo si occupa del grande rosone in facciata che
alleggerisce la severità del prospetto.

Il duomo di Parma

La sua costruzione interessa due secoli. L’edificio presenta un impianto


planimetrico complesso che si risolve con un gioco di volumi nella zona absidale. Il transetto ha uno
sviluppo grandioso. Si tratta di un corpo longitudinale a tre navate con abside. All’esterno si presenta come
un complesso spettacolare di masse architettoniche cubiche e cilindriche innestate una sull’altra. Le pareti
esterne sono scandite da loggette che ritmano ed animano la massa muraria con effetti chiaroscurali. Alla
prima campagna di lavori, tra il 1090 e il 1130 è riferita la decorazione scultorea. A Benedetto Antelami è
attribuita la cattedrale.

34Duomo di Piacenza

, la pianta è a croce latina riccamente decorata, il transetto è diviso


in tre piccole navate da una serie di colonne sormontate da archi, parete liscia con trifore e infine un ordine
di finestre, ha 3 absidi e al centro tra il transetto e la navata centrale c’è una cupola, è molto particolare
perché le volte delle campate sono a 6 spicchi e non a 4.
Particolari sono anche le formelle sulle colonne perché raffigurano i mestieri,
non attraverso la raffigurazione dei mesi, ma le varie corporazioni che avevano donato e contribuito alla
costruzione della cattedrale. Ad esempio un carraio mentre fa una ruota, quella dei calzolai in cui una

donna seduta su uno sgabello lavora ad una scarpa, quella dei fornai
con delle donne che portano panetti di pasta per essere poggiati su una pala e infornati nei forni comuni,
quella dei venditori di stoffa

mentre uno di loro taglia un pezzo di stoffa per essere venduto.


Molto spesso durante le messe, le persone che facevano parte di quella corporazione stavano al di sotto
della loro colonna. Il maestro che realizzò queste formelle chiamate “dei Paratici” fu il famoso Niccolò
attivo anche a Ferrara, nella facciata è presente un riquadro in cui è raffigurato lui a lavoro insieme alla sua
bottega, compare anche la sua firma. La particolarità dello stile romanico sta proprio nella libertà della
rappresentazione, ogni cosa poteva essere rappresentata.

Il romanico si diversificò molto in base al luogo di sviluppo.


35 Duomo di Ferrara,

ricorda quello di Modena. Parte


superiore di epoca gotica, parte sottostante di epoca romanica, sopratutto nei fianchi dove vi è realizzato in
laterizio e in cotto anziché in pietra, trifore che corrono per tutto il fianco come in quello di Modena.
A ridosso dell’edificio vi erano delle piccole botteghe che poi nel tempo furono abbattute. Anche la pianta
ricorda quella del Duomo di Modena, non ha il transetto, ha un lungo presbiterio, un solo abside (quello di
Modena ne ha uno principale e due ai lati minori), fu realizzata da un maestro chiamato Niccolò, che inoltre
realizzò tutte le sculture del protiro della porta principale. Una serie di arcate riccamente decorate con
motivi floreali carnosi e figure animali, racchiudono una lunette, una di queste raffigura San Giorgio mentre
uccide il drago: è una scena viva, la punta della spada e la testa del santo fuoriescono dalla lunetta, la lancia
conficcata nella gola del drago è molto realistica, la veste sotto l’armatura sembra muoversi per l’impeto
della lotta. Nell’architrave sono raffigurate scene della vita di Cristo in cui le figure sono racchiuse sotto
archi sostenuti da colonne variegate, vi è una maggiore descrizione dei dettagli ma non ancora ai livelli di
Wiligelmo. Le decorazioni degli elementi portanti del portone sono fatte da colonnine che sostengono delle
ghiere, la parte esterna del protiro è decorata con rosette. Niccolò rispetto a Wiligelmo ha un fare più
sottile, i volumi delle figure sono ridotti e meno possenti, i panneggi e i dettagli delle barbe sono meno
definiti, le decorazioni delle colonne e i rilievi sono più sottili e sembrano quasi delle opere di oreficeria.
Nella facciata sono presenti delle miniature di profeti il quale tengono in mano delle pergamene che
profetizzano la venuta di Cristo, per questo motivo vengono raffigurate all’entrata proprio per annunciare
in un certo senso la sua venuta.

Lombardia

Niccolò fu anche attivo nella Sacra di San Michele in Piemonte, particolari i dettagli del basso rilievo dei
manici della Porta dello Zodiaco raffiguranti i segni zodiacali, esse hanno lo stesso valore della
raffigurazione dei mesi—> simboleggiano il tempo: dettaglio del Capricorno e del Sagittario (ci sono i nomi
scritti sopra), le figure sono racchiuse da girali vegetali che sembrano essere dei serpenti vivi, forse per via
delle perline che vi corrono tutt’intorno, nel dettaglio dello Scorpione si intravede anche la Bilancia, quindi
magari i due segni sono rappresentati insieme, a seguire c’è la Vergine con lunghi capelli, una veste
riccamente decorata e la palma del martirio (attributo iconografico usato per rappresentare le sante vergini
martiri).

A Venezia
possiamo vedere l’estrema varietà delle realizzazioni di epoca romanica, città sempre legata a Bisanzio e

alla sua arte, infatti 36la Basilica di San Marco ricorda in parte l’interno
di Santa Sofia. All’esterno possiamo notare un grande nartece e un portico, la struttura ha una pianta a
croce greca (navata centrale lunga quanto il transetto trasversale) e non longitudinale, sormontata da 5
grandi cupole orientaleggianti, all’interno le pareti sono tutte rivestite da mosaici con un pavimento

realizzato in stile cosmatesco, ovvero con tessere colorate di origine romana.


Verona
risentì più dello stile romanico lombardo che quello veneto, forse per la sua posizione più nell’entroterra.

Non a caso la facciata della 37 Basilica di San Zeno ricorda molto il Duomo di
Modena, dove è possibile cogliere dall’esterno la suddivisione in tre navate (quella centrale più elevata
delle altre), il rosone è stato aggiunto in epoca più tarda, gli archetti pensili e le lesene alleggeriscono il
paramento murario, le bifore si aprono su tutta la lunghezza dell’edificio decorando riccamente la facciata,
essa è preceduta da un protiro sostenuto da delle colonne che si poggiano su leoni stilofori. Nella parte
bassa della facciata è decorata con rilievi raffiguranti eventi della Genesi e dei Vangeli (più piccoli di quelli di
Wiligelmo, molto più simili a quelli di Niccolò). Nella lunetta della facciata principale vi è il santo protettore
della città, sicuramente San Gimignano perché ha il pastorale (quindi un santo vescovo, come lui), con i
piedi calpesta il demonio (quindi praticava esorcismi, come lui); il tutto è sormontato da una serie di
archetti decorati con motivi floreali ed elementi zoomorfi. L’aspetto interessante è il pigmento rimasto, che
ci fa comprendere come le opere di epoca romanica fossero colorate e vivaci. Vi è anche una delle prime
raffigurazioni dello stendardo del comune.
Toscana

Il campo dei Miracoli a Pisa : Si tratta di un gioiello dell’urbanistica


medievale conservatosi nella sua omogeneità stilistica ed è testimonianza della ricchezza raggiunta dalla
città. I lavori del complesso iniziano nel 1064 con i lavori della cattedrale pisana.

Conosciamo i nomi degli artefici con Buscheto e Rainaldo che si occuparono della fisionomia del duomo,
Diotisalvi si occupò del battistero iniziato nel 1153 mentre Bonanno della torre campanaria. Un’epigrafe
della facciata ci informa che il bottino ricavato da sei navi saracene nel porto di Palermo fu utilizzato poiché
la spedizione vide la vincita della flotta pisana. Un’altra funge da elogio funebre nei confronti di Buscheto.

In Toscana il romanico ha caratteristiche ancora più diverse. La caratteristica principale del Duomo di Pisa e
di Firenze è il bicolorismo con l’uso di marmi bianchi e verdastri, elemento che ritroveremo anche in
Sardegna, dato il collegamento tra la repubblica marinara di Pisa e l’isola. La zona absidale del 38Duomo di

Pisa, zona realizzata per prima dall’architetto Buscheto sepolto al suo interno, presenta una
serie di gallerie formate da colonnati sormontati da archi e da architravi nella zona più alta, la base è
abbellita da delle colonne a tutto tondo che sostengono degli archi al cui interno sono presenti delle
losanghe bicrome decorate . la sua struttura rivela una funzione di elementi classici paleocristiani, arabi e
romanici.

La facciata è a due spioventi, la parte centrale è più rialzata, riporta il motivo


con le arcate già visto nell’abside, alla base abbiamo l’alternarsi di arcate vuote e arcate con portoni
riccamente decorate. L’interno è suddiviso in 5 navate, quella centrale è delimitata da colonnati che
sostengono degli archi su cui poggia un architrave, vi si poggia un matroneo con delle bifore separate da
delle colonne bicrome (questa riprende l’arte paleocristiana, non abbiamo la suddivisione in campate ma
un tetto ligneo). È presente anche un pulpito

rettangolare poggiante su 4 colonne, è stato riccamente decorato


dal maestro Guglielmo (colui che prese i lavori dopo Buscheto, sicuramente appartenente alla stessa
bottega), mostrano scene della vita di Cristo dalla nascita alla morte, poggiano su uno sfondo riccamente
decorato da delle roselline su cui si stanziano le figure panneggiate, il tutto è molto ricco ma quasi

irrazionale e monotono. La torre campanaria di fianco fa il paio con l’abside,


infatti la base è pressoché uguale come le parti sovrastanti, in cima poi sono presenti le campane.
Particolari sono anche i battenti in bronzo del portale Ranieri
della Cattedrale di Pisa, realizzati da Bonanno Pisano intorno al 1180,
narranti scene del vangelo: la narrazione parte dal basso, ogni scena è circondata da delle cornici con
rosette, i bassorilievi sono essenziali a sfondo liscio per dare risalto alle figure-protagoniste, vi sono delle
scritte che le spiegano. Esempio la fuga dall’Egitto raffigura San Giuseppe con la scarsella e il bastone da
pellegrino e la borraccia, la Madonna sta su un asino, accanto a loro una palma per far capire che si è fuori
città, tutti elementi per farci comprendere che erano in viaggio. Altro esempio è l’Annunciazione: la
Madonna sta sotto un’architettura (si incorniciano i personaggi importanti), di fianco l’angelo appena
arrivato in terra infatti le vesti sembrano mosse dal vento, ha il dito alzato come ad indicare un dialogo con
la donna. L’incontro tra Maria ed Elisabetta: le due figure stanno sotto un grande arco orientaleggiante, le
mani (sproporzionate, messe in risalto per far capire cosa sta accadendo) sembrano toccarsi le rispettive
pance rigonfie, le figure sono esili e stanno per abbracciarsi. La Natività: a sinistra i pastori suonano uno
strumento a fiato rivestiti con pelli animali, hanno una borraccia come reduci da un lungo viaggio, sulla
destra gli angeli annunciano l’evento, in basso al centro la Madonna che si riposa appoggiando la testa su
un cuscino con accanto una piccola cesta con Gesù bambino da cui si sporgono le teste del bue e l’asinello,
di fianco San Giuseppe che la osserva pensieroso, ai piedi della Madonna vi sono delle ostetriche molto
piccole in dimensioni rispetto alle altre due. La presentazione al tempio: la raffigurazione è simmetrica, a
sinistra San Giuseppe che porta in dono delle colombe preceduto dalla Madonna con Gesù in braccio, lo
porgono al sacerdote Simeone e dietro di lui la profetessa Anna (si noti che ella porta tra le mani un
cartiglio, come era consueto raffigurare i profeti, qui è chiaro il riferimento a loro, come è chiara la volontà
di rappresentare Anna come l’ultima profetessa prima dell’avvento di Gesù), riferimento al tempio con la
costruzione alle loro spalle.
A metà strada tra il bicolorismo del Duomo di Pisa e quello di Firenze, vi è

39San Martino a Lucca , il cui campanile è però romanico lombardo con le


finestre che aumentano man mano che si sale, ha tre grandi portici che precedono le tre entrate nella
facciata, al di sopra vi è la decorazione con colonne e archi riccamente decorati come nel Duomo di Pisa, ha
tre navate.
40Il Battistero di Firenze è a pianta centrale, l’abside a pianta
circolare squadrata, specchiature bicrome, archi a tutto sesto, bicolorismo che esalta i dettagli, tutte queste
caratteristiche furono riprese nella ricostruzione della facciata di Santa Maria del Fiore nell’800.
41San Miniato al Monte

ha una facciata che riprende le specchiare bicrome del battistero


fiorentino. Il primo ordine è classicheggiante, gli elementi portanti come le colonne sono in serpentino
verde come gli archi, alternanza di porte vere e porte finte, la parte superiore rettangolare con elementi di
raccordo tra la parte centrale rialzata e la base più larga data con elementi triangolari a ripetizione.

All’interno

si ripresenta la decorazione bicromia della facciata, è divisa


in tre navate da delle colonne con sopra delle pareti lisce con finestre (arte paleocristiana), ma sono
presenti 2 archi trasversali che però non suddividono l’area in campate, il soffitto è a capriate. Al piano di
sotto c’è una cripta la cui volta è suddivisa in numerose volte crociera per sostenere il piano sovrastante. Il
pulpito è appoggiato su una transenna rialzata nel transetto, è formata da una cassetta rettangolare
appoggiata da una parte su una balaustra mentre dall’altro da due colonne.
A Pistoia troviamo 42San Giovanni Fuorcivitas
, ripresa motivi del romanico pisano, suddivisione in fasce
bicrome, fasci di paraste (portanti) e lesene (decorative) a base quadrata come pilastri, sormontati da
capitelli che vanno sostengono gli archi doppi che ospitano al loro interno delle losanghe incassate. Sopra
questa cornice marcapiano, c’è una galleria di colonnine che sostengono degli archi, e sopra di essa un’altra
galleria con colonnine più piccole e fitte. Il portale principale ha un arco con le imposte più stretto rispetta
alla chiave di volta più alta, affiancato da colonne che sostengono l’arco bicromo, architrave decorata con
cristo e gli apostoli con panneggi ridondanti.
Particolare è il 43deambulatorio dell’Abbazia di Sant’Antimo nel senese

, con una sorta di camminamento tipico di una chiesa meta di pellegrinaggio


anche se non era questo il caso dal momento che si tratta di chiesa di un monastero benedettino.
All’esterno notiamo un campanile tipicamente in stile romanico lombardo, con le cornici marcapiano e le
finestre che vanno ad aumentare, l’abside è circondato da piccole cappelle circolari.

Roma e Lazio

L’influsso lombardo investe il Lazio misurandosi però la sempre fortunata tradizione antica. L’influsso
romanico a Viterbo lo possiamo trovare nella rappresentazione della Madonna nel portale di Santa Maria
Maggiore a Tuscania: la Sedes Sapientiae (Madonna con in braccio il bambino con ai piedi due leoni) è
tipicamente romanica. Vediamo attribuiti a maestranze lombarde edifici della zona laziale. Il XII secolo a
Roma è caratterizzato da una grande fioritura economica grazie all’operato pontificio di Pasquale II, Onorio
II e Innocenzo II che decidono di rilanciare l’immagine della città. Grandi sono le basiliche di San Clemente e
Santa Maria in Trastevere che si caratterizzano per la loro ricchezza decorativa nei mosaici e nella pittura.

San Clemente va ad edificarsi nel 1128 su di un edificio paleocristiano preesistente.


Quest’ultimo nell’abside presenta una maestosa
croce ai cui lati notiamo girali d’acanto che alludono al giardino paradisiaco insieme a questi vediamo figure
di animali, oggetti simbolici e dei volti che esaltano il tema della redenzione.L’influsso costantinopolitano, lo
notiamo in Santa Maria Nova e in Santa Maria in Trastevere. Il XII secolo si caratterizza per la nascita di
nuovi fenomeni artistici protraendosi nell’ambito scultoreo e architettonico per tutto il XIII secolo. Abbiamo
anche la produzione di oggetti in ambito liturgico come per esempio altari o candelabri. Gli artisti si
tramandavano di padre in figlio il mestiere favorendo così la formazione di grandi famiglie specializzate in
tali campi. Per esempio: abbiamo a San Paolo fuori le mura per ora della famiglia Vassalletto un candelabro
che riprende il modello della colonna coclide istoriata.

Campania –

Le tradizioni classica e paleocristiana in Campania sono molto presenti. L’abate Desiderio (1058-1087), si
rivolge a maestranze bizantine riguardando però la decorazione delle basiliche romane. L’architettura
campana accoglie motivi arabo siciliani e moreschi dove vediamo anche l’accostamento di schemi basilicali
classici con influssi arabo-siculi sono le finestre a ferro di cavallo nei transetti o negli archi intrecciati del
Duomo di Caserta Vecchia (XII sec.) o i motivi geometrici arabeggianti dell’ambrone del duomo di Ravello.
Abruzzo – Influssi antichi, arabi e bizantini: troviamo intrecci geometrici di gusto arabo con figure a tutto
tondo. Marmorari come il Maestro Nicodemo, autore dell’ambone di Santa Maria del Lago a Moscufo.

Puglie – 40 Basilica di San Nicola a Bari (1087-1197) È uno degli edifici più
rappresentativi della città. Ha l’aspetto di una fortezza con una facciata chiusa da due torri incompiute. La

pianta è a T con un’ampia cripta estesa all’intero transetto. La facciata è di


ispirazione lombarda e presenta un notevole slancio verticale ed innovativa risulta l’inserzione del
matroneo. All’esterno appare un massiccio incastro di volumi Motivi orientali hanno la Cattedrale di Ruvo e
di Elia. Motivi ornamentali di ascendenza lombarda si trovano nel prospetto della Cattedrale di Ruvo che
deriva dal Duomo di Trani. I battenti del portale sono di Barisano da Trani. In Puglia abbiamo anche
riferimenti francesi: la Chiesa di San Nicola e Cataldo a Lecce. L’interno con arche a sesto acuto e volta a
botte richiamo le forme della Borgogna. Elementi pisani li troviamo nella facciata della Cattedrale di Troia. Il
romanico pugliese accoglie anche il gusto romanzo riflesso in pavimenti musivi: quello della Cattedrale di
Otranto che si dispiega lungo l’intera navata fatto da Pantaleone e commissionato dall’Arcivescovo Gionata:
vi rappresentano l’immaginario medievale, citazioni veterotestamentarie e romanzi cavallereschi, racconti
ebraici e leggende arabe.

Sicilia e Basilicata – Quest’ultime sono vicine ad influsso orientale e bizantino anche a causa delle varie
vicissitudini storiche, politiche e culturali come l’insediamento degli arabi e l’arrivo dei normanni. Gli
elementi bizantini musulmani ed occidentali si fondono nell’architettura conservando però l’aspetto
arabeggiante. Malgrado i rapporti conflittuali con i bizantini, i normanni ne riconoscono la supremazia
culturale ricorrendo a maestranze provenienti da Costantinopoli per la realizzazione degli edifici.

Un esempio: Cappella palatina di Palermo- XII secolo Presenta una pianta a tre navate che si
apre su un santuario triabsidato. La struttura si ispira agli edifici sacri del mondo greco-orientale. I mosaici si
trovano a convivere con lo stile islamico. La cappella è un connubio fra l’impianto bizantino nel presbiterio e
nello schema basilicale nella navata.

Il duomo di Cefalù Del 1131 finito nel 1170 presenta suggestioni nordiche, in
particolare di Cluny, presenta una facciata chiusa da due torri. Abbiamo una decorazione sulle pareti
dell’abside centrale dove è rappresentata a mezzo busto il Cristo pantocratore il quale è rappresentato nei
tratti, più severo. Venezia e la Basilica di San Marco tra Oriente e Occidente.

45Il Duomo di Monreale è una chiesa abbaziale, particolare è l’esterno dell’abside tutto
incrostato di decorazioni colorate in materiali diversi, l'intreccio degli archi è di tipo arabo, la superficie al di
sotto è riccamente decorata con mosaici fatti di tufo, pietra tifacea e pietra lava, sottili colonnine ricevono il
peso degli archi. L’interno è suddiviso in tre campate grazie a delle colonne, simile
al Duomo di Cefalù anche se fu costruito qualche decennio più tardi intorno al 1170: non c’è una
suddivisione in campate, il soffitto è a capriate, ma le pareti è coperto da mosaici fatti sia da maestranze
bizantine che siciliane. Nell’abside c’è il Cristo Pantocratore, con un aspetto più caricaturale rispetto a
quello di Cefalù, ma nel complesso gli elementi sono quelli classici, c’è una schematizzazione delle fasce
muscolari del collo e del volto, come le ciocche di capelli e i panneggi, la veste è ricoperta da fili dorati. Tra i
mosaici c’è una raffigurazione della creazione del mondo, il fondo è dorato, sulla sinistra c’è una figura con
panneggi stilizzati che fanno trasparire un corpo sottostante. Sono presenti anche scene del vangelo, come
la creazione della barca di Noè raffigurata come una grande chiesa, rifugio per l’uomo.

50Sant’Angelo in Formis è una chiesa abbaziale benedettina situata in


Campania, all’interno vi è un ciclo di affreschi molto raro della fine dell’XI secolo, l’architettura ricorre
ancora ad un impianto basilicale in cui l’ambiente è diviso in tre navate da file di colonnati, le pareti
sovrastanti sono lisce e ospitano gli affreschi che narrano scene della vita di Cristo dell’antico e del nuovo
testamento, mentre nelle lunette che stanno tra i pennacchi (parete di raccordo tra i due archi e la parete
sopra liscia) ci sono questi triangoli che ospitano i profeti, anticipando le vicende di Cristo. Nel nartece vi è
raffigurato il committente dell’opera con il classico nimbo quadrato—> l’abate Desiderio (morto alla fine
del IX secolo, siamo in grado di datare la commissione), tiene in mano il modellino della chiesa che egli
stesso aveva realizzato, non c’erano ancora i ritratti ma il modellino è fedele. I maestri impegnati nella
realizzazione dell’opera furono sia bizantini che locali. Particolare è la decorazione dell’abside

con Cristo in trono circondato dai 4 simboli degli evangelisti (il toro alato,
l’angelo, il leone e l’aquila) e al di sotto i 3 arcangeli (Gabriele, Raffaele e Michele): la figura è rigidamente
frontale e sta per benedire, ha l’aureola è crucifera, le parti anatomiche sono molto schematizzate segnano
il volto, gli occhi sono grandi e sproporzionati, le ombre fra l’attaccatura del collo e il torace è resa come
una sorta di piega scarsamente chiaroscurata, tiene in mano un libro aperto su cui si riesce a leggere l’alfa e
l’omega, l’abito è panneggiato sul corpo in maniera molto ricca senza lasciare indovinare una corporatura
sottostante, le ginocchia sono dei vortici, l’abito fascia un po’ le gambe, il poggiapiedi sembra uno scivolo,
non c’è senso di profondità, Cristo siede su un trono in legno con delle pietre e perle incastonate, vi è anche
un cuscino che sembra schiacciato sotto la figura. L’ultima cena :
il tavolo è reso come una lunetta, non c’è senso di profondità, è visto come dall’alto, le stoviglie su di esso si
vedono come di profilo, al centro vi è un’alzata con un agnello, viene riportata la raffigurazione in base
all’importanza infatti Cristo è il più grande, le architetture sullo sfondo sono puramente decorative e non
hanno a che fare con la scena che si svolge in primo piano, gli apostoli poggiano su una specie di triclinium,
anche se sono tutti raffigurati frontali si coglie una certa drammaticità e movimento, Gesù ha la mano
benedicente sul cibo con un braccio sproporzionato, Giuda (questa è un'arte molto diretta e semplice nella
comunicazione perché gli osservatori anche a distanza dovevano capire chi era il malvagio tra tutti) prima
della benedizione inizia a mangiare. Particolare del seppellimento di Cristo dopo la crocifissione

: è avvolto in un sudario e riposto in un sarcofago riccamente decorato


con delle sorte di onde ed in alto ad ovuli, ricorda i sarcofagi classici e antichi. La discesa di Cristo negli inferi

per riportare in vita profeti : egli ha un’aureola crucifera, viene raffigurato


mentre irrompe nel limbo (una sorta di zona oscura), scardina la porta (dettaglio ai suoi piedi, di solito c’è il
diavolo, simbolo della morte) in questo modo libera l’umanità dal peccato, egli vince la morte—>
resurrezione. Di solito i primi che vengono risvegliati e salvati dal limbo sono Adamo ed Eva (a seguire il re
Salomone, il Re Davide ecc), rappresentati seminudi, con colori strani. Dentro il limbo si può intravedere
una folla capeggiata da San Giovanni Battista mentre indica Gesù il salvatore (iconografia ricorrente, lui che
indica Gesù, di fatto lui è colui che annunciò l’arrivo del messia). In controfacciata all’abside vi è

rappresentato il giudizio universale , di solito rappresentato nella parte occidentale


perché l’abside veniva sempre costruito ad oriente, ovvero dove sorge il sole, simbolo di Cristo, colui che
scaccia le tenebre: al centro Cristo giudice all’interno di una mandorla (simbolo proveniente dall’arte
bizantina simbolo di gloria, del paradiso), è circondato da schiere di angeli, in alto gli angeli che suonano le
lunghe trombe, al di sotto su degli stalli vi sono gli apostoli capeggiati da San Pietro e San Paolo, ancora più
in basso ci sono degli angeli con, alla nostra sinistra (che è la destra del padre) gli eletti, mentre a destra i
reprobi ovvero coloro che saranno giustiziati e mandati all’inferno (ci sono anche dei monaci, proprio per
far capire che nessuno è escluso), ci sono delle tombe scoperchiate con delle personcine che fuoriescono,
come narrato nell’Apocalisse, è la resurrezione dei morti. In generale per raffigurare il giudizio universale,
gli artisti si sbizzarrirono nel raffigurare le pene più cruente.
Sopratutto in Italia centrale (Toscana, Umbria, le Marche) si sviluppò la pittura su tavola, sopratutto la
produzione di croci dipinte con la raffigurazione di Cristo. Famoso è quello che si trova nel

51Duomo di Spoleto in Umbria datata 1187 fatta da Alberto Sotio (ricordare


date perché sono riferimenti per lo sviluppo dell’arte), questa è la rappresentazione di Cristus Triunfans

, ovvero del Cristo sulla croce ancora vivo che osserva lo spettatore (non viene
raffigurato l’aspetto di sofferenza fisica che patì, bensì si sottolinea la vittoria contro la morte, la sua
superiorità, quasi come se non lo facesse soffrire, in questo modo, guardando dritto negli occhi dello
spettatore, vuole in un certo senso confortarlo), iconografia che da li a qualche decennio cambierà. Di solito
sono affiancati da dei tabelloni che ne narrano la storia, con alla fine altre figure o anche la scena della
resurrezione. Dal punto di vista stilistico vediamo ancora come la pittura sia stilizzata, la muscolatura delle
gambe, delle braccia e del torace è irrealistica e appare come divisa in blocchi, l’attaccatura del collo, il
segno che va a descrivere la gola, i capelli simmetrici e ordinati che scendono sulla spalla, i lineamenti del
viso sono troppo marcati, le rughe e la canna nasale sono linee precise, non c’è chiaroscuro, è tutto
stilizzato. Altra croce dipinta 50 anni prima ma poi ridipinta una decina di anni dopo, è la 52 Croce del
Maestro Guglielmo che si trova a Sarzana, firmata e datata “Gullelmus 1138”,
ha anche la parte della carpenteria (tipo di legno, la forma elaborata, ovvero la parte strutturale e materiale
dell’opera), ha dei tabelloni laterali che terminano con una sorta di lunetta, i terminali dei bracci della croce
sono riccamente decorati, il Cristo raffigurato è anche qui un Cristus Triunfans, corpo eretto che non
accenna a soffrire, sono presenti anche la Madonna e San Giovanni Evangelista dolenti (di solito sono figure
che vengono spostate alle estremità del braccio trasversale), al di sotto vi è un ciclo della passione di Cristo
con il tradimento, la via crucis e forse la resurrezione. La scena della crocifissione tardò ad essere
raffigurata in generale perché era considerato poco rispettoso nei confronti di Dio raffigurarlo in una
sofferenza così atroce, che era destinata ai delinquenti.

ROMANICO FRANCESE, periodo che copre tutto il XII secolo.

53Saint Lazer a Autun, San Lazzaro a Otan, chiamato così perché secondo la tradizione fu sepolto lì Lazzaro,
l’amico di Gesù che fu riportato in vita. Com’è tipico degli edifici romanici francesi, qui abbiamo un timpano
(lunetta che sta sopra al portare maggiore) ricoperto da sculture e bassorilievi raffigurante il giudizio

universale in cui c’è Cristo giudice sul trovo, “Gislebertus hoc fecit”
è l’iscrizione che scorre al di sotto con il nome dello scultore che fece l’opera, dove viene espressa anche la
funzione dell’arte figurativa “l’orrore delle immagini preannuncia che davvero avverrà così”, il fedele
sapeva che se avesse fatto cose brutte avrebbe subito quelle pene (anche qui gli scultori erano considerati
più lodevoli dei pittori, infatti citati nelle loro opere). Particolare del Cristo racchiuso in una mandola, veste
molto ricca e dettagliata con passamaneria che decora i bordi del mantello che dalla spalla scende
morbidamente, che come nelle opere di Wiligelmo, si rappresentano in movimento solo nella parte finale e
per il resto sono piatte, danno solo l’idea del panneggio, non si rispecchia più la realtà, l’aureola è percorsa
da cerchi concentrici perlinati dove dietro vi si trova la croce. All’interno, sempre dello stesso scultore,
abbiamo Eva sdraiata nuda sul capitello, con una mano prende il pomo, coperta da fogliame e piante un po’
inquietanti, fusto è percorso da perline e da motivi a corda e sembra essere vivo, come un serpente che
tenta la donna, i capelli sono divisi in bande a onda divise e parallele. Alla sinistra del Cristo giudice vediamo
un angelo, dietro la pesature delle anime con una sorta bilancia in cui da una parte c’è San Michele mentre
dall’altra il diavolo, cercando di attrarre a se più anime che possono.
All’interno le pareti segnano il periodo di passaggio tra il romanico e il gotico: gli archi sono ogivali, gli spazi
sono divisi in campate con volte a botte, non ci sono pareti lisce ma sono tutte ricoperte da cornici
marcapiano che la dividono in vari livelli, al di sopra vi è il matroneo e sopra ancora il cleristorio (fascio di
finestre per illuminare l’ambiente), il tutto sostenuto da delle colonne, tutto questo crea movimento. Le
sculture in questo periodo non sono ancora a tutto tondo, sono racchiuse e dipendenti da altri elementi
architettonici come i timpani o i capitelli. Uno dei capitelli all’interno dell’edificio, sempre realizzati da
Gisleberto, mostrano il “noli me tangere” (scena di quando la Maddalena si avvicina a Gesù risorto con
l’intento di toccarlo, ma lui dice proprio “non mi toccare”), la donna è raffigurata “mirrofora”, che porta la
mirra (iconografia ricorrente per rappresentarla), ha infatti tra le mani un cofanetto per ungere il corpo per
poi avvolgerlo nel sudario. I corpi delle figure sotto le vesti abbondanti di piegoline, sono evidenti, si nota
infatti l’intento, il tutto è più pittorico che naturalistico, si vuole rendere il concetto e non la realtà. Altra
scena importante è quella in cui un angelo avvisa i tre Magi di fuggire perché Erode vuole sapere da loro
dove si trova il Cristo, che dopo aver fatto visita al nascituro, si stavano riposando in un albergo, infatti sono
raffigurati a letto ma con le loro corone (per farci capire che sono i re Magi), sono coperti da una copertina
riccamente decorata con una passamaneria realizzata con delle palline fiorate, identificati anche perché in
cielo si scorge la stella cometa che li aveva guidati, la veste dell’angelo e le pieghe delle copertine sono rese
con delle linee parallele, innaturali e pittoriche. Già nel 1130 abbiamo le diverse raffigurazioni dei Magi che
vanno a raffigurare le tre diverse età dell’uomo: infatti uno è rappresentato con barba e capelli più anziano,
quello giovanissimo senza barba né capelli, mentre quello maturo con i baffi. Altra figura presenta la fuga in
Egitto con la Madonna e Gesù bambino su un asinello (non sembra che stanno cavalcando, sono seduti
come su di un trono, si rifà all’iconografia classica) guidati da San Giuseppe, Gesù tiene in mano una sfera
ovvero il mondo, alla base non c’è un suolo ma un piano decorato con ruote percorse da fili di perle-
cerchiolini, le figure sono rigidamente frontali, testa dell’asino dettagliatamente decorata, la corda che lo
tira, c’è un'estrema attenzione per i dettagli.

54Basilique Saint-Marie-Madeleine a Vézelay,


chiamata così perché secondo la tradizione in questa abbazia vi è sepolta la Maddalena, sorella di Lazzaro.
La presenza di Lazzaro e della Maddalena nel Sud della Francia è una conseguenza di una leggenda che
vuole i due fratelli messi su una barca e mandati alla deriva in esilio, loro sarebbero sbarcati nel Sud della
Francia e l’avrebbero evangelizzata, di conseguenza i loro corpi sepolti in quelle terre (queste storie sono
raccontate nella Leggenda Aurea, una serie di cicli di leggende che narrano la vita dei santi, ogni cosa allora
conosciuta si fondava sull’antico e il nuovo testamento, sull’interpretazione dei padri della chiesa, ma
anche su questo testo). Il timpano della facciata raffigura Cristo in trono

che manda gli apostoli in missione per il mondo, il linguaggio


completamente diverso rispetto all’abbazia di prima, riconosciamo solo San Pietro perché tiene in mano le
chiavi, i volti sono oggi sfigurati perché nel corso della rivoluzione francese del 1789, la furia iconoclasta dei
rivoluzionari deturpò e rovinò gran parte degli edifici antichi, proprio per l’odio nei confronti del clero e
della chiesa, però nonostante questo siamo in grado di osservare la resa delle anatomie, dei panneggi
intorno ai corpi, c’è un senso del volume che traspare dai panneggi che fasciano gli arti e le gambe.
L’intento dell’autore è però quello di rappresentare la potenza della forza di Dio che investe gli apostoli,
infatti i panneggi si muovono in maniera vorticosa, i movimenti sono violenti e molto espressivi—> il vento
rappresenta la potenza di Dio. I vortici sono ricorrenti in generale in tutto l’edificio dando un senso di
innaturalezza. La veste è un po’ la stessa della veste di Saint Lazer, con una cintura in vita sulla quale passa
un panneggio, il cui lembo cade giù, le cui piegoline sono sottili taglienti fitte fitte. All’interno ci sono i
capitelli istoriali, come il mulino mistico in cui vi sono raffigurate due figurine, una con delle corte vesti (di
solito indossate da persone di rango minore che svolgevano lavori manuali e richiedevano un’ampia libertà
di movimento) mentre versa del grano all’interno del mulino, l’altra ha delle vesti più lunghe e raccoglie
all’interno del sacco la farina ottenuta: questa scena ha avuto molte interpretazioni come ad esempio
l’incontro tra l’antico e il nuovo testamento, comunque sono sempre presenti i vortici e le piegoline delle
vesti. Altra scena di un capitello rappresenta la morte di un personaggio, la cui animula viene tirata fuori da
dei diavoli e portata all’inferno (intento di spaventare il fedele e indurlo a comportarsi bene). Altra scena
rappresenta una donna, personificazione della stessa chiesa abbaziale (estrema varietà dei soggetti
rappresentati), con la bandiera di Vézelay e in mano il modellino della chiesa abbaziale, una iscrizione al di
sotto in latino dice “prima ero fumosa ora sono bellissima”, fa riferimento ad un incendio che si era
sviluppato prima che le odierne sculture venissero messe e che aveva distrutto la struttura. L’interno
dell’abbazia ha un doppio portico sostenuto da una colonna centrale, la parete è tutta estremamente
mossa dalla cornice marcapiano e dagli elementi di sostegno delle volte, facendola sembrare quasi scolpita,
colorismo sottolineato dalla bicromia degli arconi a tutto sesto che dividono la navata in tante campate, vi
era anche un coro. Sicuramente vista la santa sepolta, era meta di pellegrinaggi. Nella facciata abbiamo una
galleria e delle colonne architrave di ricordo classico che ricorda un po’ i tempi romani, sicuramente le
colonne sono di reimpiego, la galleria che si appoggia su delle colonne ricorda il romanico toscano, le torri
di facciata sono circolari.

55L’Abbazia di Cluny era il centro della riforma cluniacense, riforma che


colpì l’ordine benedettino alla fine dell’IX secolo, dopo la devastazione della rivoluzione francese rimangono
sono alcuni capitelli del chiostro che furono musealizzati. Alcuni di questi raffigurano le personificazioni

delle note musicali dei vari canti gregoriani , altre il peccato originale in cui Adamo
ed Eva coperti con delle foglie si nascondono alla chiamata di Dio, le piante tutt’intorno sembrano vive.
Persiste ancora l’idea che la scultura solo un elemento decorativo e che dipenda dall’architettura. Era
simbolo di sfarzo e ricchezza, gli absidi sono radiali, ha 5 navate, ha delle torri sia nella facciata che
nell’incontro tra il transetto e le navate mediane, delle piccole cappelle laterali che si aprivano al livello del
transetto venivano usate dai monaci per celebrare delle messe a suffragio (per la salvezza delle anime
defunte), tutto è funzionale per la sua funzione—> molto spesso si celebravano delle messe in
contemporanea: i committenti e le famiglie dei defunti affittavano una cappella per celebrale la funzione e
ovviamente pagavano—> guadagno per la chiesa.

Il timpano che si trova nella facciata 56di Saint


Fouis (Santa Fede) nel centro della Francia, è un elemento interessante perché mostra traccia di pigmento
conservato grazie ad una specie di portico-tettoia che lo ha protetto nel tempo. Vi è raffigurato il Cristo
giudice probabilmente vestito di blu all’interno di una mandorla avente le mani alzate, è rappresentato
vestito ma una parte del torace è scoperta perché mostra, insieme a quelle delle mani, le piaghe della
passione, porta con se anche la croce e questo per far capire che egli giudica perché ha subito la passione.
Alla sua destra vi è il paradiso con gli eletti (si scorge San Pietro) preceduti dalla Madonna, mentre a sinistra
c’è l’inferno con i dannati perseguitati e torturati dai demoni. La porta del paradiso è preceduta da una
porta rotola i cui battenti sono aperti, vi è anche un angelo che accoglie gli eletti, mentre la porta
dell’inferno è rettangolare, gli angoli sono acuminati, come ad anticipare le sofferenze che vi sono
all’interno, ed ad aspettare le anime dei dannati vi è una enorme bocca spalancata. In alto si intravedono gli
angeli tubicini, coloro che suonano la tromba che annuncia l’apocalisse, mentre da una parte si osservano
alcuni angeli scoperchiare le tombe ed estrarre i corpi degli eletti, mentre già da qui i demoni iniziano a
tormentare i corpi dei dannati. Vi è raffigurato anche Abramo che abbraccia degli eletti, vi sono anche molti
iscrizioni.

Parte II – IL GOTICO E L’ARTE ITALIANA TRA DUECENTO E TRECENTO

CAP. I - Origine del Gotico in Francia e i primi riflessi in Italia.

Il termine gotico nel XVI secolo definisce un tipo di architettura tipica del Nord lontana dai modelli classici
nella quale le strutture portanti appaiono mascherate da decorazioni lezzose. Una sorta di revival di stile in
cui la cultura romantica riconosce il formarsi delle caratteristiche tipiche dei popoli e delle nazioni moderne.
Il gotico è un fenomeno di portata europea e riguarda tutti i settori artistici con grandissimo sviluppo nelle
arti minori: es. vetrate. L’arte gotica rappresenta le nascenti monarchie nazionali dell’aristocrazia feudale
della borghesia urbana in fase di crescita politica ed economica. La periodizzazione differisce da regione a
regione ma è possibile datare intorno al 1380 in una fase definita Gotico internazionale che in Italia avrà
durata breve mentre a nord delle Alpi si prolunga nel tardogotico fino all’inizio XVI secolo.

Il gotico in Francia L’architettura gotica ha origine in Francia, intorno a Parigi, poco prima della metà del XII
secolo. La cattedrale gotica francese
è un edificio di dimensioni colossali slanciato e luminoso costruito
ricorrendo a spericolate soluzioni tecniche richiamando la costruzione teologica delle summae della
filosofia scolastica ossia del pensiero che affida alla logica il compito di organizzare i fenomeni in un sistema
concettuale complesso e ordinato gerarchicamente. Il gotico e la filosofia scolastica si sviluppano di pari
passo in Francia nella stessa area geografica. La cattedrale diviene così metafora del mondo: ancora alla
terra tende con semplificazioni e assottigliamento delle strutture a slanciarsi verso il cielo in cui tutte le
parti dell’edificio concorrono a questo slancio verticale. Le navate si innalzano ad altezze altissime sorrette
da agili pilastri. Possenti arcate collegano le navate laterale alla centrale attraversata da arconi che
separano ciascuna campata. L’arco a sesto acuto è la forma caratteristica dell’architettura gotica. Esso ha
un ruolo essenziale nel ritmo verticale in quanto scarica verso il basso le tensioni laterali. Le campate
possono essere di forma quadrata o rettangolare. Sono coperte da volte a crociera. Gli archi rampanti
invece, che equilibrano le spinte centrifughe delle volte, si allineano lungo le fiancate della cattedrale. La
forma esterna della cattedrale prevede l’uso di tetti spioventi – torri – guglie – decorazioni e trafori. Le
pareti sono costituite da vetrate istoriate e hanno la funzione di illuminare l’interno (funzione simbolica).

- Prima fase del Gotico:

-
Gotico nasce nell’Île-de-France, inizia poco prima della metà del XII secolo, dal 1140 fino al 1380, da lì in
poi si ha in tutta Europa quello che si può chiamare gotico internazionale con durata differente per ogni
stato (ad esempio a Firenze non durerà molto perché subentrerà il Rinascimento).

NOTRE DAME DE PARIS XIII secolo : fu costruita un secolo dopo Saint-Denis, infatti il gotico è più maturo,
ma in generale le abbazie e le strutture venivano continuamente modificate quindi non si può instaurare un
netto paragone. C’è un grande lavoro di traforo, all’esterno per equilibrare la forza-peso della copertura vi
sono degli archi rampanti (non solo una funzione decorativa ma anche strutturale). Nella facciata

c’è un grande rosone, dei portali profondamente strombati degradati in profondità,


le due torri di facciata tipiche dell’architettura nordica (come fecero i Normanni portandole in Sicilia, a

Cefalù). All’interno c’è una grande spinta ascensionale, gli archi sono ogivali, la
navata principale è suddivisa dalle altre minori da colonnati al di sopra vi è un matroneo percorribile,
nell’abside vi sono arconi che sostengono il peso della copertura. In questo periodo rinasce la scultura
monumentale quasi a tutto tondo. A cinque navate con transetto e doppio deambulatorio di cui la
copertura è fatta con volte a sezioni triangolari, le elevazioni delle pareti delle navate centrale tramite una
fila di oculi circolari al di sopra delle finestre. All’esterno gli archi rampanti dominano la struttura.

Cattedrale di Chartres – tra il 1094/1230

Particolare è il portale reale costruito intorno al 1145, in cui sono raffigurati tutti i re e
le regine d’Israele citati nella Bibbia, si inizia ad osservare un certo distacco tra l’architettura e la scultura
che avrà un completamento un secolo dopo, le figure sono allungate e cilindriche come le colonne dietro di
loro ma le teste sono distaccate, i panneggi degli abiti sono piatti e non si nota un corpo sottostante. La
pianta è a tre navate con transetto – doppio deambulatorio e cappelle radiali. La facciata, dominata da
altissime torri e portali ornati con sculture. Le pareti della navata centrale presentano archi e vetrate di
identica forma e misura che eliminano la massa muraria.
Seconda fase del Gotico : Arriverà nel secolo successivo, tra il 1220-1250, quello che viene chiamato il
CLASSICISMO GOTICO, cioè un recupero dell’arte classica da parte dell’arte gotica.

Gotico Radiante Saint-Chapel del Palazzo di Giustizia di Parigi.


del 1246, che fu fatta costruire da Luigi IX re di Francia per ospitare la preziosissima corona di spine di Cristo
proveniente dalla Terra Santa tutt’oggi conservata al Nôtre-Dame, che scampò all’incendio del 2019.

L’edificio si trova accanto al Nôtre-Dame, era la cappella palatina del palazzo dei re, si sviluppa su due piani
ed è fortemente svuotata, nella parte absidale rimangono solo i contrafforti alternati a delle enormi bifore
finestrate con vetrate colorate istoriate. All’interno non ci sono pareti, solo scheletro, le nervature delle
volte, colonne a fascio, non ci sono muri ma solo grandi vetrate. La cappella ha un soffitto più basso e meno
luminoso, assomiglia alla volta della Basilica di Assisi, la struttura qui è più massiccia perché deve sostenere
il peso del piano sovrastante.

Ha le pareti completamente abolite e sostituite da vetrate istoriate separate da sottili pilastri. Lo sviluppo
della scultura gotica francese presenta almeno due fondamentali caratteristiche:

 al gusto enciclopedico delle summae di cui le cattedrali stesse appaiono un’espressione, si collega
alla tendenza ad allestire tramite la scultura degli schemi dottrinali complessi nei quali le figure e le
scene sacre si connettono a personificazioni del pensiero e della vita Si assiste al trapasso della
concezione romanica del rilievo come parte integrante dell’architettura per far posto alla nuova
concezione basata su una maggiore autonomia delle figure plastiche rispetto all’architettura.
 Si assiste quindi ad un’ interpretazione del corpo umano come entità autonoma.
Confrontiamo due gruppi di statue cariatidi : Il re e le regine di Israele – 1145 Si trovano nella facciata della

cattedrale di Chartres. Di allungata forma cilindrica le figure sono colonne


sagomate di aspetto antropomorfo da cui sporgono solo le braccia e i piedi.

Annunciazione e Visitazione – 1225 Si trovano sul portale


della cattedrale di Reims. Sono figure indipendenti addossate alle colonne retrostanti atteggiate con
naturalezza e bilanciate da armoniosi contrapposti. I panneggi rivelano le membra sottostanti e si ha
l’impressione di ammirate statue classiche. Tra il 1150 e 1250 la scultura francese si approssima a quella
classica e si parla quindi di un classicismo gotico riconoscibile verso il 1220-1250. Dopo il 1250 la scultura
francese si orienta verso definizioni più astratte. I cantieri italiani nella prima metà del XIII sec.

Importante è la 60cattedrale di Reims

, centro importantissimo del potere. La parte alta fu realizzata nel 1300-


1400, ma il portale centrale nel 1220-1250. Notiamo lo sviluppo degli antefatti dell’arte gotica con la
scomparsa del paramento murario, tutto viene traforato a partire dal grande rosone, le bifore accoppiate,
le ghimberte, tutto è attraversato da archi rampanti da cui si intravedono gli arconi che sostengono la parte
esterna della navata centrale, i portali esterni sono strombati e incassati, tutto è decorato con sculture.
Il portale è dedicato alla Vergine infatti le sculture narrano gli avvenimenti della sua vita, come la
Visitazione in cui Maria si incontra con Elisabetta dal volto rugoso e le guance cadenti, ci sono tracce di
policromia. Rispetto alle sculture di Chartres qui notiamo un cambiamento perché le gambe sono
rappresentate a livelli diversi, le braccia sono in movimento, il panneggio ricco e fluente si muove intorno al
corpo ricordando la scultura classica, si nota proprio un corpo sottostante fasciato dagli indumenti. Altra
scultura importante e particolare è quella di San Pietro, il cui corpo e panneggio della veste ricorda la
scultura dell’imperatore Augusto, anche se più rigida e quasi accartocciata ma quasi a tutto tondo, è un
elemento importante perché in tutto l’alto medioevo questo naturalismo anche se un pò stilizzato, venne
meno, infatti i riccioli dei capelli e la barba sono descritti dettagliatamente, le labbra sono carnose, la fronte
è corrucciata e piena di rughe. A Reims c’è anche un famoso gruppo scultoreo che sta alla destra della
Visitazione, ed è l’Annunciazione, lo stile è diverso rispetto alle sculture di fianco (sicuramente lo scultore è
diverso), le figure sono a tutto tondo, c’è una sorta di movimento, le espressioni sono particolari, l’angelo
sorride (atteggiamento nuovo mai visto prima), in quello che rimane delle ali dell’angelo è possibile vedere
resti di pigmento nel piumaggio, i panneggi sono ben dettagliati in cui traspare un corpo sottostante ma le
linee che creano sono più spigolose potremmo dire più gotiche rispetto a quelle dell’Annunciazione che
richiama più il classicismo.

61La cattedrale di Laon costruita verso la fine del XII secolo, presenta all’interno una grande spinta
ascensionale, le pareti sono percorse da colonne a fascio che sostengono la volta che non è divisa in 4 parti
ma in 6, molta luce entra dalle finestre sopra il matroneo e il cleristorio. Nella facciata si apre un grande
rosone al centro, due torri di facciata ai lati e portali fortemente strombati riempiti di sculture sempre più
autonome.

In Italia bisogna tenere conto di tradizioni storiche e situazioni sociali diverse. Il gotico stenta ad affermarsi
perché ostacolato dal romanico e dalla tradizione classica, paleocristiana e bizantina, che non concepisce
l’annullamento delle masse murarie tipico del gotico. Quindi stenta ad affermarsi, anche se fa propri motivi
del proprio stile come volta a costoloni o il rosone in facciata (Veneto, Lombardia ed Emilia). Il gotico è
intimamente legato alla cultura aristocratica della rinascente monarchia francese, quindi non legava
nell’ambiente dei Comuni italiani.

In Italia la diffusione del nuovo stile coincide con un momento storico abbastanza carico: l’imperatore – il
papa – la fioritura dei comuni – nascita della letteratura volgare e lo sviluppo delle signorie dominano la
scena italiana rendendo l’affermazione del gotico una vera impresa. In Italia i centri artistici innovativi sono
nell’area Nord occidentale e sud Federiciano, la Toscana e il centro Italia.

La penetrazione del gotico in Italia è lenta, e dà luogo a moderate forme romanico-gotiche che rifiutano
l’esasperato slancio verticale e l’abolizione dei muri che continuano a preferire gli affreschi alle vetrate. Il
gotico viene usato in Italia per la prima volta nelle costruzioni cistercensi in cui viene usata una versione
moderata del gotico: come in Francia l’ordine benedettino, costruisce edifici contenuti nell’altezza e nelle
finestrature e prive di torri. Sorgono in Italia le prime abbazie nel XII e XIII sec. al nord e al centro.

Lazio
63La chiesa abbaziale di Fossanova, come le chiese cistercensi, non c’è tutta
quella abbondanza di finestre e decorazioni che si hanno in Francia, il paramento murario della facciata è
molto semplice, c’è al centro un grande rosone, vi è un solo portone centrale, gli unici elementi decorativi
sono i capitelli portanti questo proprio perché una delle basi della riforma era il ritorno alla povertà e alla
semplicità, quindi non si perdeva tempo e denaro in decorazioni sontuose.

Di solito le chiese cistercensi hanno tutte una base a croce latina , l’abside non è
tondeggiante ma rettangolare (questo comportava una minore spesa), verso sud sorgeva il chiostro (così
zona più calda, in modo da non patire il freddo) con intorno tutti gli ambienti come la sala del capitolo, la
sala dei monaci, la dispensa, il refettorio dei conversi (quelli che mettevano la tunica e svolgevano lavori
umili ma non avevano preso i voti, li aiutavano solamente, ricordiamo che questi erano dei veri e propri
villaggi, aziende agricole), quello dei monaci ecc., mentre di solito nella zona a nord vi era il cimitero, spesso
vi si accedeva direttamente dal transetto.

64L’abbazia di San Galgano è un edificio cistercense, la pianta è sempre a croce


latina, qui il tetto è crollato ma è ancora possibile vedere tutte le altre zone, quelle del monastero ecc.,
nella facciata vi sono tre portali e non solo uno e probabilmente era presente anche un nartece.

Piemonte

65Abbazia di canonici regolari Sant’Andrea a Vercelli


fu costruita con materiali locali infatti non abbiamo molti elementi in pietra, come nelle strutture francesi,
ma più elementi in laterizio (cotto). L’edificio ha una grande spinta ascensionale, è divisa in tre navate
individuabili dalla facciata, una torre sta sopra l’incrocio tra il transetto e la navata centrale, la facciata
è stretta tra due torri che ricordano ancora l’architettura romanica, i portali
fortemente strombati ma con arco a tutto sesto, sopra il rosone due ordini di gallerie. L’interno

è più gotico con l’accentuazione dello scheletro della struttura con un bicolorismo, le
colonnine ricevono la spinta dei costoloni delle volte a crociera ogivali che vanno a cadere su colonnini
sottili raccolte in fasci, tutto è molto più leggero, la spinta ascensionale non è tagliata da cornici
marcapiano.
Un altro ordine molto importante che nacque agli inizi del 1200 e che contribuì alla diffusione dell’arte
gotica, fu l’ordine francescano, uno degli ordini mendicanti che si distinse dagli altri ordini monastici perché
loro scelsero di operare dentro le città assistendo i malati e i bisognosi, di solito si stanziavano a ridosso
delle mura, come nel caso di San Francesco a Siena.

Emilia Romagna

Battistero di Parma – 1196/1270

Viene affidata l’erezione del battistero a Benedetto Antelami che ne concepisce un’opera originale. Il
battistero è un edificio ottagonale sviluppato in altezza. Al pian terreno tre facce appaiono svuotate dai
profondi strombi dei portali a tutto sesto ornati da rilievi. Al di sopra si sviluppano quattro ordini di logge
architravate concluse dalla fascia degli archetti ciechi. Una serie di caratteristiche gotiche ottenute tramite
forme romaniche e classiche. L’ottagono internamente appare come una struttura con 16 facce con nicchie
al piano terreno. Ci sono due ordini logge e la cupola. nei primi anni del 1200, si trova difronte al Duomo
come spesso avveniva, ci sono tre ingressi fortemente strombati, la parte bassa è legata all’arte romanica
per gli archi a tutto sesto, la parte superiore ha una galleria di colonne architrave, mentre al di sopra
abbiamo un’altra galleria come quella sottostante ma cieca e più fitta che chiude l’andamento verticale del
battistero, ogni angolo è scandito da dei massicci contrafforti che scandiscono la pianta ottagonale e
l’andamento circolare. Nel portale Nord è presente una iscrizione che cita: “Tolti due volte due anni dal
milleduecento, cominciò quest’opera (l’uomo) detto Benedetto”. Quindi la costruzione partì nel 1196 ma ci
risulta ufficiato nel 1216 poiché sappiamo che furono fatte delle messe, dopo pochi anni sarà ufficialmente
conclusa. Questi sono dei versi leonini, sono in latino ma presentano delle rime, quindi dal latino pian piano
si ci sta avvicinando al volgare. La parte scultorea è stata sempre fatta da Antelami, caratteristica è il Portale

del Giudizio in cui vediamo delle figure esili un po’ cilindriche,


le teste grandi come il busto, i panneggi rispetto vent’anni prima fanno intravedere un corpo sottostante.
La scena mostra il Giudizio Universale, scena molto usata nella scultura francese (questo perché lui viaggiò
molto in Francia), la scena ha al centro Cristo seduto su un trono con le mani alzate (figura più grande
rispetto alle altre) e mostra i segni della passione, mentre tutt’intorno vengono mostrati gli strumenti con
cui fu tormento come la corona di spine, la croce, la spugna ecc. Al di sotto ci sono in fila i corpi delle

persone resuscitate. Altra porta è il Portale della Vergine a


lei dedicata, mostra al centro la Vergine con il bambino seduto sul ginocchio sinistro, quindi un po’ spostato
(di solito si raffiguravano rigidamente frontali con il volto di Cristo allineato con quello della madre), c’è un
certo allontanamento dalla rigidità romanica, ci sono tracce di pigmento dalla veste blu della Madonna
raffigurata come regina, alla nostra destra c’è un angelo con un cartiglio in mano mentre avvisa San
Giuseppe di fuggire in Egitto. Al di sotto invece vi è raffigurato il ciclo sulla vita di San Giovanni Battista
(molte scene sono state prese dai vangeli apocrifi), una delle scene principali è il Battesimo di Cristo, in cui il
Giordano è raffigurato in maniera innaturalistica come una mezzaluna, degli angeli porgono le vesti per
asciugare il corpo di Cristo, a seguire il banchetto di Erode ed Erodiade, in cui il tavolo è rappresentato
frontalmente arricchito da dei panneggi, ancora a seguire c’è la decapitazione.
Il terzo ed ultimo portone è il Portale della Vita con la
leggenda memento mori di Barlaam e Josaphat (raccontata nella leggenda aurea) che ci ricorda la
precarietà della vita umana, elemento che avevamo visto nelle costruzioni francesi e anche nel giudizio
universale. Ci sono resti di pigmento, ci sono molte personificazioni, al centro vi è un albero con busto e
foglie molto sinuose quasi vive, tra i rami vi è un giovane mentre si nutre del miele di un alveare, è allegoria
della gioventù dell’uomo in cui egli gode di molti piaceri immemore del suo destino, rappresentato dai due
roditori alla base dell’albero mentre rosicchiano le radici, infatti la leggenda narra che quest’albero di li a
poco cadrà e il giovane verrà divorato dal drago sputa fuoco che lo attende impaziente, come a
rappresentare l’inferno che lo attende. A destra e sinistra vi sono le allegorie del giorno e della notte, il Sole
è figurato con dei raggi dietro la sua testa ed alto nel cielo, mentre la Luna ha proprio una luna diedero la
testa al di sotto del quale vi è rispettivamente una figura su un carro trainata da cavalli e un’altra su un
carro trainato da tori, sono entrambi in corsa, le zampe sono quasi sospese, sono frustati per andare più
veloce, questo per simboleggiare la rapidità con cui il giorno e la notte si alternano e con cui il tempo passa
—> la nostra fine si avvicina. Al di sotto vi sono delle sculture particolari fatte da Antelami e la sua bottega
raffiguranti i mesi—> lo scorrere del tempo: mese di Febbraio con sopra il segno zodiacale del mese (pesci)
è personificato in una figura che scava la terra con un badile e si aiuta con il piede per conficcarlo meglio nel
terreno, è vestita con una veste corta come per chi faceva lavori manuali; Marzo è un ragazzino che suona
uno strumento a fiato (il piffero), i panneggi fasciano il corpo sottostante e lo fanno trapelare.
Un altro ciclo dei mesi un pochino più tardo di un artista sconosciuto chiamato per l’appunto Maestro dei
Mesi, è conservato nel Museo della Cattedrale di Ferrara. Le scene sono molto dettagliate. Settembre ha le
vesti con molte pieghe (non è una veste corta, ma una lunga che è stata raccolta in vita in modo da non
intralciare il lavoro), la cuffia sul capo non è liscia ma si intravede l’orecchio con delle piegoline, i dettagli
dell’intreccio delle ceste in vimini, delle viti sono fissate a dei fusti e hanno enormi grappoli, tutto molto più
naturale e veritiero e questo rappresenta la svolta dell’arte gotica rispetto all’arte precedente bizantina.
Gennaio è rappresentato bifronte (con due teste) una rivolta simbolicamente verso l’anno passato e l’altra
rivolta verso quello nuovo. Maggio era il mese della guerra e della caccia, infatti l’uomo è rappresentato a
cavallo mentre tiene in mano uno scudo, i panneggi della sua veste sono molto mossi, il suolo è ricco di
vegetazione.

San Francesco a Bologna – 1250. I Francescani affidano la


costruzione a Marco da Brescia. A 3 navate, ha strette finestre che ricordano quelle degli edifici cistercensi.
Richiama esempi francesi, ma mantiene muri consistenti ed è costruita in mattoni, materiale tipicamente
padano. la facciata è costruita in laterizio con pochi elementi decorativi, la zona absidale ha dei contrafforti
esterni ad arco, tutte le cappelle hanno delle bifore con un quadrilobo a finestra, persistono gli elementi
decorativi di tradizione romana come gli archetti pensili o le cornici marcapiano della torre campanaria.

All’interno l’abside è aperto da grandi finestroni, è divisa in tre navate ma data l’altezza degli
archi si va a creare come uno spazio unitario (caratteristica delle basiliche francescane, unico ambiente), le
cui volte sono esapartite, divisa cioè in sei spicchi, i costoloni sono ben evidenziati e vanno a raccogliersi in
colonne a fascio, ci sono le cornici marcapiano, bicromia resa con l’intonacato e il laterizio.

Veneto:

Basilica di Sant’Antonio a Padova –iniziata nel 1233

Ha tra navate e viene costruita come tomba del santo e combina motivi romani – gotici e bizantini. Sempre
di ordine francescano, nata agli inizi del 1200 per ospitare i resti del santo ritenuto miracoloso, per questo
la sua pianta è così grande, perché doveva riuscire ad ospitare i numerosi pellegrini, è a tre navate.
Vediamo la bicromia con il cotto e il marmo, quest’ultimo usato per gli elementi decorativi, come le
balaustre, il rosone, gli archi, il paramento è abbastanza solido, non ci sono molte aperture come in quello
francese, nella facciata sono presenti delle enormi strombature che alleggeriscono il paramento murario, la
caratteristica è la presenza di grandi cupole che coprono tutta la navata, di tradizione bizantina come il San
Marco a Venezia, caratteristica assente in Francia. La facciata è a capanna con galleria da cui si aprono nella
zona inferiore ampie arcate a sesto acuto. Lungo le fiancate sporgenti contrafforti slanciano la figura
verticale e nella parte terminale il deambulatorio.

San Francesco ad Assisi - La basilica, fondata da Gregorio IX, nel 1228 viene
consacrata da Innocenzo IV nel 1253. Le due chiese di Assisi sono a una sola navata con un transetto e
un’abside sostenute all’esterno da lunghi contrafforti cilindrici ed in basso da archi rampanti. Dopo la morte
di San Francesco avvenuta nel 1226, doveva servire per raccogliere le sue spoglie. Si articola in due livelli ed
è costruita con la pietra bianca locale, la facciata è molto semplice solamente decorata da un grande rosone
centrale e un portale gemino strombato, il campanile rimanda alla tradizione romanica con cornici
marcapiano e trifore.
Nella Chiesa inferiore la struttura è complicata dall’aggiunta di un
secondo transetto con funzioni di atrio e cappella. Essa funge da basamento per la costruzione sovrapposta
intuibile dalle ampie e schiacciate volte a crociera impostate su archi a tutto sesto poggianti su pilastri

massicci. Nella chiesa superiore la navata è divisa in campate quadrate


coperte da volte ogivali e rette da pilastri addossati alle pareti. Gli archi a sesto acuto sono ortogonali agli
arconi che scavano la fascia superiore delle pareti inquadrando le finestre mentre la fascia inferiore
presenta una ricca decorazione ad affresco. L’interno della basilica superiore è un trionfo di colori, la parte
bassa delle pareti (parte sporgente) vi è un ciclo di affreschi sulla vita di San Francesco, mentre al di sopra
(parte più indietro e sottile, aperta da grandi finestroni) vi è il ciclo sulla vita di Cristo, entrambi opera di
Giotto. L’architettura è molto semplice, c’è una sola navata coperta da volte a crociera i cui costoloni si
uniscono in un fascio di colonne. Il ritmo verticale degli archi è bilanciato dall’orizzontalità delle pareti. Lo
slancio rettilineo della navata è rallentato dalle cesure dei pilastri e archi, risulta essere un capolavoro del
gotico italiano. La basilica inferiore invece è più bassa, ha archi a tutto sesto in ricordo all’arte romanica (più
per un bisogno strutturale perché servivano degli archi massicci e grandi pilastri per sostenere il peso della
basilica sovrastante). Successivamente furono aperte delle cappelle laterali, decorate con gli affreschi di
Martini, perché molti si volevano par seppellire accanto al corpo di San Francesco come per avere una
garanzia di andare in Paradiso. L’accesso alla basilica inferiore fa il paio con quello superiore, è un portale
gemino strombato ma questa volta è preceduto da un protiro. Dall’esterno è possibile vedere la particolare
forma dei contrafforti cilindrici che si alternano alle grandi finestre della basilica superiore.

69Il Duomo di Siena è stato costruito a partire dal 1226 (anche se sotto
sono state rinvenute delle tracce di una basilica romana datata all’XI secolo, oltre a delle notizie letterarie
che parlano di una certa Basilica di Santa Maria). Come ogni cattedrale ha subito molte costruzioni infatti
quello che vediamo oggi è un palinsesto: la parte presbiterale è stata costruita e aggiunta intorno agli anni
30 del 1300, ampliata perché si pensava di costruire una cattedrale ancora più grande (per questo si cercò
di costruire una parte che fosse grande uguale a quella che era la navata centrale), e si pensava che la parte
oggi esistente dovesse diventare il transetto, mentre il corpo longitudinale (quello che oggi è il museo
dell’Opera) doveva essere ampio fino a quello che oggi è (e doveva essere) il facciatone, questo progetto fu
abbandonato dopo la peste del 1348 per la morte di numerosi operai ed artisti. Il campanile è prettamente
romanico con finestre che aumentano man mano che si sale e le cornici marcapiano. La cupola si poggia ad
una galleria di archi sopra ad un’altra galleria architravata. In origine il battistero stava quasi difronte alla
facciata principale, poi fu spostato. Nell’ampliamento della Cattedrale è stato rispettato quello che era il
paramento murario laterale con delle bifore in stile gotico, le strisce di marmo di colore diverso sono meno

fitte a differenza della zona sovrastante e del campanile. Nella facciata


abbiamo tre portali fortemente strombati, al di sopra vi sono delle limberghe come nell’architettura gotica
francese (questo perché vi erano contatti con i mercanti e finanche senesi con quelli del resto d’Europa), è

tutta decorata con delle sculture realizzate da Giovanni Pisano. All’interno si


aprono delle volte a crociera con dei poderosi pilastri, una cornice al di sopra spezza la spinta ascensionale
sotto la quale sono presenti i busti dei papi, vi è un rosone centrale.
70Il Duomo di Orvieto è collegato con quello di Siena perché il capomastro diventò
un artista senese, ovvero Lorenzo Maitani. È stata costruita intorno al 1290 per ospitare il Corporale, una
specie di tovaglietta sulla quale durante la messa vi era caduta una gocciolina di sangue proveniente da
un’ostia appena spezzata, la tradizione narra che il sacerdote durante la liturgia avesse dubitato della
presenza del corpo di Cristo nell’ostia, allora lui addolorato sanguinò. Questa tovaglietta poi verrà
conservata in un reliquiario creato da orafi senesi. La facciata è simile a quella di Siena, compresa la
bicromia, il rosone è compreso in una cornice quadrata. L’interno è molto semplice, ha un corpo suddiviso
in tre navate con l’uso di colonnati, non ci sono colonne a fascio, il tetto è semplice a capriate quindi non ci
sono elementi dell’arte gotica come le volte a crociera, ma richiama l’arte paleocristiana.

A Firenze

Abbiamo la 71 Chiesa di Santa Maria Novella, era la sede dei


domenicani, altro ordine mendicante.
La parte superiore della facciata fu alzata successivamente, bicromia persistente tipicamente toscana, è
decorata da colonne architrave di materiale diverso (quindi diverso dalle chiese francesi), vi sono archi a
tutto sesto che decorano la facciata di ricordo all’arte romanica e romana, cadono su dei capitali. In basso
nei portoni laterali vi sono degli archi ogivali, mentre quello centrale è a tutto sesto, vi sono delle tombe.

All’interno è molto semplice, non è ad aula unica ma lo sembra per via degli archi delle
navate laterali molto alti, gli archi ogivali della volta a crociera (copertura della navata centrale) e gli archi
trasversali sono di tradizione gotica, tutti gli elementi sono sottolineati con la bicromia. Gli architetti che la
costruirono furono Fra Sisto e Fra Ristoro, conosciuti solo per questa costruzione.
Santa Croce fu realizzata dall’architetto Arnolfo di Cambio ed
era sede dei Francescani, la facciata odierna è stata fatta nel 1800 in finto stile gotico, l’interno

è suddiviso in tre navate ma sembrano un unico ambiente, il soffitto è


a capriate, le membrature architettoniche sono realizzate in materiale diverso dall’intonaco per farle
risaltare, verso l’abside si aprono dei grandi finestroni che permettono l’entrata della luce, era un luogo
molto importante perché vi furono sepolti tutte le figure illustri di Firenze. Durante l’alluvione del 62’ molte
cose si danneggiarono come il crocifisso di Cimabue.
La Cattedrale sempre realizzata da Arnolfo di Cambio prevede un incrocio tra una pianta longitudinale e
uno a pianta centrale, c’è un grande sviluppo della zona del transetto e dell’abside, con delle zone semi
circolari che si aprono su cui si affacciano delle cappellette, altra particolarità è la cupola al centro che sarà
ultimata dal Brunelleschi. L’interno pur essendo di piena epoca gotica, sembra anticipare il rinascimento
con un materiale che sottolinea i particolari architettonici, abbiamo una divisione in campate e le volte sono
a crociera con dei costoloni che scendono giù in dei fasci di colonne, dalla pianta possiamo vedere la
ricchezza dei dettagli e la volontà di ricreare una sorta di corolla di fiori nella zona presbiterale, ricchezza
all’esterno esaltata dalla bicromia e archi a tutto sesto dentro le quali si aprono delle cuspidi gotiche.
Elemento gotico stride con elementi dell’arte romanica e classica che rinasceranno nel rinascimento
fiorentino.

Benedetto Antelami e la cultura figurativa in Italia settentrionale

Architetto del Battistero di Parma, è il più importante scultore italiano tra il XII e XIII sec. Si ispira al
romanico padano fondato da Wiligelmo seguendolo e rinnovandolo.

sappiamo il suo nome perché firmò e datò la sua opera ovvero 72la Deposizione del Duomo di Parma

del 1178. L’iscrizione dice: “1178, scultore la


preparò nel mese secondo (aprile), questo scultore detto fu Benedetto”. Si tratta una lastra in pietra la cui
scena è incorniciata in uno spirale vegetale di rimando classico, esaltato da una pittura nera (il gnello). La
scena è molto affollata, al centro Gesù mentre viene fatto scendere dalla croce ormai morto, la Madonna
alla nostra sinistra tiene il braccio di Gesù (ogni figura ha accanto il suo nome), di fianco ai piedi della croce
c’è una fanciulla adolescente (ecclesia esaltatur) ovvero la personificazione della Chiesa nascente alla morte
di Cristo, colui che prende il corpo è sicuramente San Giuseppe D’Arimatea (anche colui che chiederà il
corpo di Cristo a Ponzio Pilato), quello invece sulla scala è Nicodemo mentre stacca le viti, quello la cui testa
è tenuta dall’angelo è la personificazione dell’Antico Testamento e della Sinagoga (che si conclude con la
morte di Cristo) ha il vessillo spezzato mentre la personificazione della Chiesa ha il vessillo con una croce
sopra sventolante (questo perché inizia il nuovo testamento). Le figure sono monotone, tutte hanno lo
stesso atteggiamento, i panneggi sono più naturali rispetto a quelli dei rilievi di Wiligelmo, le vesti non
sembrano fasciare un corpo, sono riccamente decorati con forellini martellati, i piedi sono molto grandi
perché la figura doveva essere vista dal basso, quindi dovevano essere saldamente piazzati al suolo, i vari
elementi sono rappresentati con una certa prospettiva come ad esempio la scala (una parte è in tralice ben
rilevata mentre l’altra parte è rappresentata molto sottile). Alla nostra destra vediamo il Centurione con la
spada e lo scudo con la mano alzata perché sta parlando, e dice “è davvero lui il figlio di Dio”, sembra un
fumetto, estrema destra ci sono dei soldati e in primo piano due di loro giocano a dadi la veste di Cristo
riccamente decorata con una sorta di traforo, era così contesa perché priva di cuciture (prima pensavano di
dividersela infatti nella scena è presente una sorta di coltellaccio, poi decisero di giocarsela), scena
abbastanza famosa perché era stata profetizzata (questo per far capire che anche gli eventi più stupidi che
sono stati profetizzati sono avvenuti).

L’Età di Federico II in Italia Meridionale

Mecenate con i suoi predecessori normanni, Federico II attiva un collegamento con il gotico francese e
tedesco e il neoclassicismo per creare un’idea di Impero non circoscritta al solo campo delle arti. Favorisce
l’introduzione dei cistercensi al sud e le sue residenze acquisiscono un aspetto misto di architettura
transalpina e cultura meridionale. La sua passione per le forme geometriche si riassume nella sua più
famosa costruzione pare progettata da lui stesso: Castel del Monte ad Andria (Puglia) – residenza di caccia,
iniziata nel 1240, a pianta ottagonale con 8 torri agli angoli. Qui si assiste ad un precoce innesto di elementi
strutturali gotici nell’architettura civile ( finestre monofore o bifore inquadrate in archi a sesto acuto o nelle
ampie sale interne rette da volte ogivali) Porta di Capua – eretta nel 1234, non più esistente. Era ornata da
statue con fattezze tardo antiche o sculture con panneggio classico (che non nasconde le membra
sottostanti). Busto di imperatore – pare che riproduca le fattezze fisiche di Federico II, e si tratterebbe del
primo ritratto individuale dell’arte postclassica, legato al rinascente culto dell’imperatore.

74 Capitello proveniente dal Duomo di Troia in Puglia, è composto da 4


protomi (teste) umane che vanno a rappresentare le 4 etnie, un vecchio con un turbante, un uomo con i
capelli ricci e le labbra carnose, tutto con estremo naturalismo—> rimando all’arte classica.

L’esito più compiuto lo abbiamo nelle teste del Duomo di Troia di Bartolomeo da Foggia.
Per Federico II bisogna rappresentare le cose per come sono; durante il regno del figlio Manfredi, si
sviluppa in Puglia una scuola miniaturistica che illustra scientificamente la realtà naturale, ispirato alla
cultura araba e alla pittura francese; il miglior prodotto di questa scuola è il Codice: Il De Arte Venandi Cum
Avibus. 1258 Le immagini di cavalieri e falconieri si alternano alle rappresentazioni dei diversi uccelli e del
paesaggio. In basso, sempre sul margine sinistro, un altro potente in trono, quasi identico nell'aspetto e
nella posa all'imperatore: è il figlio di Federico, Manfredi, al quale l'opera è dedicata. Il giovane re, in veste
blu e manto rosso, con una corona simile a quella paterna ma più piccola, riceve l'omaggio di due falconieri
abbigliati secondo la moda del tempo: elegante sopravveste colorata, una cuffia per fermare l'acconciatura
dei capelli e - il secondo - un berretto a tesa rialzata. Gli uomini - con il braccio sinistro protetto da un
robusto guanto di pelle - presentano al re Manfredi due rapaci incappucciati. Nell’affresco del Duomo di
Atri (Teramo) : l’incontro dei 3 vivi e dei 3 morti 1240-1250. Si tratta della più antica rappresentazione
italiana di questo soggetto orientale: 3 principi durante la caccia incontrano 3 scheletri che li ammoniscono
sulla vanità delle cose umane. La pittura non ha niente di bizantino, ma riprende la cultura transalpina
filtrata dai miniatori. Gli affreschi di Roma e del Lazio del Duecento hanno una valenza politica; è la risposta
della Chiesa alle minacce politiche e militari di Federico II.
Le storie di Costantino –1246 nella chiesa dei Santi Quattro Coronati, vogliono legittimare il potere
temporale e spirituale della Chiesa e la sua supremazia sull’impero. Infatti, vengono rappresentate : la
Donazione delle Insegne Pontificie e la Sottomissione dell’Imperatore, dove Costantino si sottomette a Papa
Silvestro. Prima scena: Costantino, come segno di gratitudine per la sua guarigione, dona al Papa la città di
Roma, il sinichio (l’ombrellino segno della dignità dell’imperatore) la tiara, simbolo di potere ed un cavallo.
Possiamo vedere il Papa che è regalmente seduto su un trono, mentre Costantino è dipinto servilmente
piegato e al servizio del Papa. Seconda scena: Il Papa seduto a cavallo, come anche gli altri vescovi, viene
scortato dall’imperatore ed entra trionfalmente nella città di Roma.

GIUNTA PISANO e le sue croci dipinte, innovano l’iconografia del Cristo sulla croce, tipica delle zone
dell’Italia centrale. La più antica sta ad Assisi a Santa Maria degli Angeli. Non abbiamo più l’iconografia del

75Cristus Triunfans, ancora vivo e sofferente, ma abbiamo un Cristo


morto più veritiero con la testa appoggiata su un lato e le gambe leggermente piegate, ai lati i due dolenti
in riquadri in corrispondenza delle fine dei bracci (di solito erano degli elementi decorativi che si ponevano
sopra gli altari). 76Altro crocifisso di Giunta Pisano, è anche firmato, siamo intorno al 1240-50, la curva delle
gambe è più accentuata, ci sono sempre i due dolenti ai capi della croce (la Madonna e San Giovanni
Evangelista), qui abbiamo una rappresentazione più patetica, non realistica perché un corpo morto non sta
così però vediamo la volontà di non rappresentare più un Cristo insofferente che vince la morte, ma uno
che vuole suggerire sofferenza, con tanto di sangue che cola, la muscolature è stilizzata, il petto ha una
forte linea scura per dividerne le varie parti, allo stesso modo per i muscoli delle gambe.
Altra opera è 77 la Croce che si trova a San Domenico conventuale
a Bologna, viene riproposta questa nuova iconografia con un Cristo dolente dai fianchi larghi, l’addome è
diviso in tre parti, le mani sono aperte con delle lunghe dita inchiodate alla croce, la curva delle gambe
ancora una volta non è realistica ma va a simboleggiare l’abbandono del corpo, ha i due dolenti ai lati, è
stata fatta intorno al 1250 ma con ancora un rimando all’arte bizantina. La vergine appoggia la sua mano
destra al volto mentre tiene un panno, con l’altra invece indica il sacrificio del figlio, sulle spalle porta un
mantello che le copre anche la testa al di sotto del quale ha una cuffia che le raccoglie i capelli, il tutto
rende la testa sia innaturalmente tondeggiante. Le striature dorate che percorrono il mantello sono la
schematizzazione delle pieghe dei panneggi, sempre di tradizione bizantina, che si alternano a delle parti
completamente lisce, il panneggio avvolge la vergine in maniera confusa intrecciandosi alle sue braccia.
L’anatomia del volto le zone rilevate sono realizzate con la biacca (crea parti bianche molto luminose che
vogliono ricreare i volumi del naso e del mento), dettagli molto bruschi privi di un chiaro scuro graduale,
ancora una volta tipico dell’arte bizantina. Per San Giovanni Evangelista come per la Madonna, i volumi del
volto sono resi con la biacca, la veste azzurra ha forti contrasti tra zone luminose e zone scure, il mantello
invece ha delle striature dorate che non suggeriscono un volume ma una sacralità.
Di solito nei crocifissi precedenti vi erano dei tabelloni in corrispondenza del corpo longitudinale della croce
che narravano storie ma con Giunta Pisano si andranno a perdere e verranno rimpiazzati con dei riquadri
vuoti decorati con motivi a losanghe.

A Roma negli stessi anni fu realizzato78 il ciclo di affreschi che si trova nella Cappella di San Silvestro ai
Quattro Coronati (entro il 1250), significativi per la storia narrata: la donazione delle insegne al pontefice

. Si fece un documento falso perché si voleva giustificare in qualche


modo il potere temporale del pontefice, qui vediamo l’imperatore Costantino (imperatore che nel IV secolo
liberalizzò il cristianesimo e si fece battezzare) che dona al pontefice San Silvestro una tiara (inizialmente un
attributo imperiale, ma che viene dato ad un pontefice) e darà una parte della Città del Vaticano. Il Papa sta
seduto su un trono e benedice con la mano l’imperatore afferente quasi inginocchiato mentre porge il suo
dono. Questo ciclo di affreschi fa riferimento alle lotte che si svolsero intorno al 1250 tra Federico II e il
Pontefice, lotta sull’esercizio dei loro poteri. L'altra scena che sta alla nostra sinistra è la Sottomissione
dell’Imperatore, in cui San Silvestro entra nella città su un cavallo bianco
accompagnato dai suoi servitori, sulla destra c’è l’imperatore a piedi con la corona in testa, questo ciclo
vuole rappresentare la supremazia del potere temporale del Papa e la sua differenza con l’imperatore. In
generale le scene sono spoglie, le figure piatte, le ricche decorazioni della veste dell’imperatore si
articolano a discapito del suo volume quasi assente, i panneggi sono resi con delle bande scure non
sfumate, non c’è una corrispondente altezza tra le figure a cavallo e quelle non, questo sottolinea la non
naturalezza della scena. Questo era lo stato della pittura intorno al 1250 a Roma. Altra scena mostra il

Battesimo di Costantino, l’architettura sullo sfondo è piatta,


sembra incorniciare solo la scena che si svolge sul primo piano, l’arco con le colonne e la cupola sembra
incorniciare ed esaltare Costantino posto dentro una fonte battesimale vista contemporaneamente sia di
profilo che dall’alto, le figure sono piatte, stanno una attaccata all’altra, il numero di teste non corrisponde
al numero dei piedi, molto legata ai dettati dell’arte bizantina, a differenza della scultura che si lancerà
verso una più naturalezza dei dettagli, la scultura sarà sempre più avanti rispetto alla pittura. Queste
leggende precedenti, queste dicerie, vennero raccolte nella Legenda Aurea, composta in questo periodo.

CAP. II – Arte in Italia centrale da Nicola Pisano a Giotto

NICOLA PISANO

Nicola Pisano (1215/1220-1278/1284) è stato uno scultore e architetto italiano, tra i principali maestri della
scultura gotica a livello europeo, che contribuì in maniera determinante alla formazione di un linguaggio
figurativo italiano. Nacque molto probabilmente nel Meridione e si stabilì a Pisa (forse per volontà di
Federico II), dove prende il suo nome e dove nacque suo figlio Giovanni, altro grande scultore del XIII sec.
Tuttavia, rimane il problema della formazione perché la sua cultura appare modellata sia sugli esempi
offerti dalla tradizione pisana, sia su quelli dell’ambiente del meridionale di Federico II. All’epoca la Toscana
era interessata da molteplici influenze provenienti dal mondo bizantino, dall’Emilia e dal Meridione d’Italia.
In particolare, a metà Duecento, la situazione venne animata dall’apertura di due cantieri voluti proprio
dall’imperatore, il Castello di Prato e l’Abbazia di San Galgano, ai quali parteciparono artisti già impegnati
nei precedenti cantieri nel Sud-Italia.

Questi maestri avevano manifestato influenze gotiche nordeuropee, interesse per i modelli classici e
attenzioni alla resa naturalistica delle cose e forse Nicola ‘’de Apulia’’ fu uno di questi artisti. Le sue opere
sono state così datate:
† 1247-1269 DUOMO DI SIENA: sia nell’architettura sia nella decorazione scultorea, con la serie delle teste-
capitello e delle teste-mensola che si protrasse per molto tempo, con ampio impiego della bottega. In
questo arco di tempo il pergamo del duomo di Siena va collocato tra il 1265-1268. La cattedrale ha un
impianto a croce latina, a 3 navate. Lo slancio verticale appare smorzato dagli archi a tutto sesto che
separano la navata centrale dalle laterali. L’orizzontalità dell’impianto è sottolineata dalla bicromia bianca e
verde ispirata alle cattedrali di Pisa. Sul presbiterio si eleva una cupola poggiante su 6 pilastri disposti ad
esagono unita da arconi di 52 diversa altezza dove il più alto è l’arco trionfale che dà accesso alla navata
centrale. L’edificio viene ristrutturato e ingrandito nei decenni successivi da Giovanni Pisano che aggiunge
una campata alla navata centrale e costruisce la parte inferiore della facciata.

Pulpito del Duomo di Siena

Anche qui abbiamo un podio


poligonale appoggiato ad arcate trilobate rette da colonne innalzate su leoni, ma l'impianto di Pisa è ora
trasformato e reso più continuo e animato. La pianta che prima era esagonale qui diventa ottagonale e 7
riquadri del parapetto non sono separati da colonnine ma da figure scolpite. I temi dei rilievi principali sono
gli stessi ma il tono è più drammatico per l'inserimento della Strage degli Innocenti e per il raddoppio dello
spazio dedicato al Giudizio Universale, suddiviso su due formelle contigue separate dal Cristo giudice. Le
composizioni sono più affollate e scompaiono le figure più classiche con un'accentuata espressività dei volti.
Si parla di una accentuazione del goticismo a scapito del classicismo. Dall'altra parte il Pulpito è destinato a
Siena che è una città meno segnata rispetto a Pisa dall'eredità classica. fu realizzato intorno al 1266-1268, lo
sappiamo grazie a dei documenti del tempo, è uguale a quello di Pisa tranne per la base che non è
esagonale ma ottagonale, negli spigoli fra un pannello e l’altro non ci sono 3 colonne di porfido ma sculture
(nel tempo subirà delle variazioni), le colonne alternandosi si poggiano su dei leoni mentre sbranano degli
animali o delle persone, mentre quella centrale si poggia su un basamento su cui sono state scolpite le 7
arti liberali (grammatica, astronomia, musica, retorica, dialettica, aritmetica e geometria) con in più la
filosofia considerata la cultura base degli uomini colti, quindi anello portante. Le figure sono più minute
perché in un pannello vi sono più personaggi. Il primo pannello (1) presenta la natività
con la Madonna che interagisce con le ostetriche mentre lavano il
bambino, sono presenti anche il bue e l’asinello, in alto ci sono degli angeli che fanno l’annuncio ai pastori
con i loro animali, di lato c’è la Visitazione con Maria ed Elisabetta, sul retro la casa di Elisabetta
rappresentata come un edificio gotico, vi è grande espressività dei volti delle due donne, non c’è atarassia
come nella tradizione classica ma drammaticità, sono sorprese e sembrano parlare tra di loro, grande
attenzione alle vesti con delle frange ai bordi, nella scena ci sono anche altri personaggi forse
accompagnatrici, i panneggi sono sempre spezzati ma non mancano delle parti morbide.

Altro pannello (2) con l’arrivo dei Magi a cavallo,


vi sono due scene in un solo pannello, prima c’è la cavalcata di partenza dei Magi con delle piante alle
spalle, i cavalli sono molto dettagliati, sono accompagnati da levrieri su dei cammelli, di solito venivano
rappresentati con loro anche degli animali esotici proprio per sottolineare il fatto che venivano da lontano,
ci si perde in dettagli non descritti dai testi, sicuramente erano di colore, hanno dei tratti che ricordano gli
Africani, i capelli sono ricci, la pianta del naso larga, le labbra carnose, mentre l’altra scena è l’ incontro con
Gesù bambino e i doni portati, i tre Magi rappresentano le tre fasi della vita di un uomo, le loro vesti
riccamente decorate con fasce e mantelli. Altro pannello (3) abbiamo diverse scene, a sinistra la
presentazione al Tempio con la Madonna che mostra il bambino a Simeone con dietro la profetessa Anna,
sul retro c’è il Tempio (architettura del tempo), i panneggi sono pesanti e lanosi, il velo della Madonna
sembra raccolto alle sue spalle, il suo atteggiamento è molto naturale, il bambino è diffidente tra le braccia
del vecchio, la Madonna gli tiene un braccio; di seguito abbiamo l’annuncio a San Giuseppe e la
conseguente fuga in Egitto, in alto c’è Erode con altre due figure che parlano fra di loro perché si parlava
della nascita di questo re che era più potente di lui, allora decide di ordire la strage, al di sotto ci sono San
Giovanni e San Matteo. Pannello successivo (4) c’è la Strage degli innocenti,
Erode porta il bastone del comando, la scena è
drammatica e molto caotica, ci sono donne, madri, nonne che cercano di proteggere i bambini, i soldati li
strappano dalle loro braccia, conficcano pugnali, per terra giacciono i corpi dei bambini già uccisi, altre
invece scappano, c’è varietà di figure raffigurate, chi di spalle, chi di lato, chi frontali.

Altro pannello (5) c’è la Crocifissione, la Madonna sviene,


altre figure piangono, Longino lo guarda dopo averlo colpito con la lancia, dall’altra parte c’è Stephaton con
la spugna, c’è anche il Centurione che guarda la scena della morte, ai piedi della croce c’è il teschio di
Adamo, il volto di Cristo è sereno e sembra addormentato, la testa è più incassata tra le spalle il che
accentua i tendini delle braccia in tensione, il corpo non crea una curva come quello di Pisa, la croce è tratta
da un unico albero, i fianchi sono avvolti da un perizoma morbido, i piedi uniti in un unico chiodo, nella
scena ci sono altri uomini che contemplano il volto di Cristo, come a prefigurare il culto successivo, non a
caso sono alla sua destra. Altra scena (6-7) abbiamo il giudizio universale,

è fatta da due pannelli uniti insieme a cerniera dal Cristo giudice,


ha la bocca semi aperta e sembra parlare, è circondato dai segni della passione, da una parte gli eletti tutti
ordinati in livelli diversi con in alto delle teste coronate quasi tutti rivolti verso Cristo trasmettendo
armonia, dall’altra i dannati sono tutti disordinati, vengono respinti e gettati all’inferno, ci sono demoni con
grandi fauci, mezzo uomo mezzo animale, belve che divorano uomini, altre figure piangono disperate, altre
portate di peso sulle spalle, altre implorano di passare dall’altra parte ma vengono respinti da degli angeli
con una veste con le maniche arrotolare, come per far capire che quello era un lavoro duro, si riconoscono
anche dei monaci, nessuno scampava al giudizio di Dio, si percepisce la rabbia, sofferenza, sono scene di
monito per i fedeli in modo da allontanarli dal peccato. La statuetta della Madonna con Gesù imbraccio che
si trova in uno spigolo fra due pannelli, si pensa rimandi alle statuette in avorio che giravano in quel tempo
in Francia, da cui Nicola Pisano abbia tratto ispirazione, con panneggio morbido, l’abito riccamente
decorato.

† 1260 Lunetta con la Deposizione nel portale sinistro del DUOMO DI SAN MARTINO di Lucca.

Del 1260 circa: rappresenta una scena racchiusa in una


lunetta che sta sopra una delle porte, la scena è complessa ma ben sistemata nonostante il piccolo spazio,
alla nostra sinistra c’è un gruppo di donne tra cui una è senza testa, al centro il corpo del Cristo morto
rappresentato in maniera molto naturalistica mentre viene staccato dalla croce da Giuseppe d’Arimatea,
Nicodemo è intento a levare i chiodi dai piedi, la croce non è un insieme di travi ma un unico tronco
(caratteristica dei Pisani) e sta sotto una specie di cunetta che rappresenta il Golgota dentro la quale vi è il
teschio di Adamo, sulla destra vi sono dei soldati con delle spade che assistono alla scena. Le figure sono
molto naturalistiche, i panneggi sono spessi come di lana grossa, si intravedono i corpi sottostanti ma
sembrano gonfi, le pieghe sono schiacciate e stilizzate tipo ad angolo, le capigliature e le barbe sono fluenti
e molto chiaroscurate con dei buchi fatti con il trapano.

Nicola approfondisce e sintetizza le due principali tendenze dell’arte meridionale, la sensibilità naturalistica
da un lato e dall’altro il classicismo alimentato dallo studio nelle numerose sculture antiche reperibili in
Toscana. Questa stratificazione della lunetta la si può confrontare con la Deposizione di Antelami a Parma.
Notiamo le figure all’interno della cornica semicircolare con assoluta naturalezza sollevandosi dai lati verso
il centro fino al culmine del Cristo morto. Nicola contrappone un’immagine più vera e toccante, cioè quella
del Cristo abbandonato con le ginocchia che si piegano e la testa che si flette esanime.
† 1260 PULPITO DEL BATTISTERO DI PISA

 datato nel 1260 ma iniziato verso il 1257 probabilmente per


volontà dell'arcivescovo Filippo Visconti. Nicola rifiuta la tradizionale forma quadrangolare per
progettarne una esagonale, il cui parapetto è ornato su 5 lati da rilievi cristologici quali:

La Natività ,

 l'Adorazione dei Magi ,

 La Presentazione al tempio ,
 la Crocifissione,

 il Giudizio Universale
 il sesto lato è aperto per permettere l'accesso al predicatore. Esso poggia su 6 colonne 3 delle quali
sorrette da leoni. Al di sopra dei capitelli delle colonne si trovano le statue delle 4 Virtù Cardinali, di
San Giovanni Battista, dell'Arcangelo Michele, dei Profeti e degli Evangelisti. I leoni
corrisponderebbero al mondo terreno ovvero si definiscono la Domus Dei inferior, le 7 colonne
sono i simboli dei sacramenti cioè la Domus Dei exterior cioè la chiesa. Vi è infine la Domus Dei
superior, cioè l'aldilà. Le Virtù sono scolpite quasi a tutto tondo a imitazione delle statue antiche
con un dinamico ricadere dei panneggi e le capigliature mosse come ben si vede nella Carità
accompagnata da un puttino o nella Fortezza concepita come un fiero Ercole classico. Nei riquadri
cristologici notiamo nell'Adorazione dei Magi una ripresa dell'antico poiché la Vergine seduta
riprende da un'immagine di Fedra scolpita su un sarcofago scolpito a Pisa. Eppure, il classicismo
convive con l'inquietudine gotica che è avvertibile nei panneggi ricadenti a spigoli o nelle barbe dei
re e nelle criniere dei cavalli animate dalla lavorazione col trapano. Uguale la Presentazione al
tempio è sintesi di un dinamismo di descrizioni fisionomiche e di solennità classica, confermata
anche in questo caso dalla citazione di un gruppo antico, un Dioniso che si appoggia a un putto. La
Crocifissione costituisce il culmine dei rilievi del Pulpito. In primo piano notiamo un'indagine umana
e psicologica delle reazioni provocate dal sacrificio di Cristo. Qui spiccano i nuovi elementi
iconografici introdotti da Nicola come lo svenimento di Maria a sinistra che irrompe per la prima
volta nella rappresentazione del tema ma anche l'espressione dolorosa di San Giovanni dove
inedite sono le espressioni e le pose del dubbio. Nicola vuole allacciare una comunicazione diretta
tra spettatore e immagine.

† 1275-1278 FONTANA MAGGIORE DI PERUGIA, con il figlio GIOVANNI che è anche la più antica fontana
pubblica italiana realizzata verso la fine del 1270. Con la collaborazione di Giovanni Pisano essa presenta
una decorazione che contempla per la prima volta un programma con temi religiosi e simbologie politiche.
E' composta da due vasche poligonali sovrapposte, la prima a 12 facce sospesa su colonne e ornata da
statue a tutto tondo, la seconda a 25 facce decorate a rilievo. Le statue superiori rappresentano Perugia,
Roma accanto alla Chiesa e alla Teologia, a San Pietro e San Paolo. I rilievi della vasca inferiore
comprendono i mesi, le arti, scene bibliche e storiche ecc., ha due bacini, uno più grande con molte facce e
uno più piccolo contenuto in esso che si appoggia a delle colonne, sopra ha una tazza in bronzo con delle
fanciulle da cui fuoriesce l’acqua, l’opera è firmata Arnolfo di Cambio.

ARNOLFO DI CAMBIO.

A metà degli anni Ottanta realizzò il monumento funebre del Cardinale De Braye, morto nel 1282, nella
chiesa di San Domenico ad Orvieto. Con questo complesso scultoreo-architettonico, oggi trasformato,
Arnolfo inaugurò una tipologia sepolcrale usata in seguito fino al rinascimento con il catafalco accostato alla
parete e sormontato da un baldacchino scostato da due accoliti, coronato da una cuspide sostenuta da
colonne tortili e decorata da pinnacoli, che conteneva i tre gruppi statuari minori, secondo un ritmo
ascensionale che simboleggiava l’elevazione dell’anima verso il paradiso. A Roma l’artista era stato a
contatto con le grandi opere del passato romano, e aveva assorbito le lezioni dei maestri cosmateschi, di cui
realizzerà i partiti decorativi a intarsi di marmi colorati e vetri dorati nei cibori della Basilica di San Paolo e di
Santa Cecilia in Trastevere. Del 1289 circa è il monumento funebre del nipote del Cardinale Annibaldi,
Riccardo (conservato presso San Giovanni in Laterano). In questo periodo lavorò a Roma per altre
commissioni papali: monumento a Papa Bonifacio VIII, statua bronzea di San Pietro della Basilica di San
Pietro. Arnolfo realizzò probabilmente la prima rappresentazione plastica del Presepe, scolpendo nel 1291
otto statuette che rappresentano i personaggi della Natività e i Magi; le sculture superstiti del primo
presepe della storia, inizialmente inserite nel monumento a Bonifacio VIII nella Cripta della Cappella Sistina,
si trovano nella Basilica di Santa Maria Maggiore. La presenza alla corte di Carlo I d’Angiò spiega in un certo
senso l’allontanamento precoce di Arnolfo dai modi improntati ad una sintesi tra classicità e gotico di Nicola
Pisano e di suo figlio Giovanni: egli probabilmente venne avvicinato al gusto allora dominante la scuola
francese, caratterizzato da raffigurazioni più lineari, astratte ed aristocratiche, rispetto all’insuperato
culmine di sintesi naturalistica e monumentalità raggiunta prima del 1250. Le sculture di Arnolfo furono
quindi caratterizzate da un maggior senso della linea (piuttosto che dal volume) e da una rappresentazione
irrequieta. La valutazione della sua opera scultorea nel complesso è molto difficile per la perdita o lo stato
frammentario di alcune opere. Monumento a Carlo D’Angiò dove il sovrano è rappresentato seduto sul
trono ornato da protomi leonine, in una posa maestosa ma naturale. Questo esempio indica che questi
primi ritratti nascono con intenti di celebrazione politica in quanto soltanto i grandi della terra possono
ambire per il momento ad essere immortalati da un artista inseriti entro ampi contesti monumentali
destinati alla pubblica visione.

Negli anni successivi Arnolfo realizzò il 83 monumento sepolcrale del cardinale Guglielmo de Braye

che morì nel 1282, situato nella Chiesa di San Domenico ad Orvieto,
nel tempo l’opera è stata rimaneggiata e una parte perduta quindi viene difficile ricostruirla nel dettaglio.
Nel disegno originale vi era una parte architettonica con dei pinnacoli, vi rimane adesso un basamento
decorato con motivi cosmateschi (lavorazione tipicamente romana della scuola dei Cosmaici, fatta con
decorazioni in oro, pietre preziose, sembrano mosaici), su cui si poggia una cassa circondata da colonnine
tortili con capitelli corinzi decorate con motivi cosmateschi e due colonnine tortili agli estremi, su di essa vi
è una mensa decorata con dentelli e un gisant ovvero una cassa aperta con delle cortine sostenute da degli
accoliti (angeli senza ali) di cui quello alla nostra sinistra è vestito da diacono e avvolge il drappo intorno al
corpo sotto del quale si intravede un ginocchio, in quello di destra invece è visto di spalle il cui abito è di un
tessuto sottile che aderisce al corpo come se fosse bagnato; all’interno vi è la scultura che riproduce il
defunto (in questo periodo rinascono i ritratti, per renderlo più fedele possibile si faceva un calco e da
questo l’artista ricavava la scultura), sopra c’è una scultura della Madonna (da una mostra tenutasi a Roma
nel 2005, risultò che la statua è romana, poi lo scultore la inserì nella sua opera modificandone alcuni
aspetti, come i panneggi e rimpicciolì la testa, il resto è originale) in trono decorato con motivi cosmateschi
(oro e tessere di marmo bianco e nero) con il bambino, ai fianchi il cardinale (la sua anima) che viene
presentato dal suo santo protettore (San Marco) alla Madonna, mentre dall’altro lato c’è San Domenico,
fondatore dell’ordine dei domenicani che fondarono l’edificio in cui esso si conserva.

A Roma realizzò il 85 Monumento funebre di Riccardo Annibaldi,

conservato in San Giovanni in Laterano, anche questo fu smontato infatti


rimangono solo pochi pezzi come il gisant, riccamente dettagliato infatti si pensa sia un ritratto (il volto è
giovane, quindi sicuramente morì giovane, il capo si poggia su due cuscini), un complesso di diaconi su uno
sfondo decorato con elementi cosmateschi mentre celebravano forse la veglia funebre. Le figure sono ben
massicce, le vesti sono sottili, da importanza al dato naturalistico infatti uno dei diaconi ha le guance gonfie
perché sta soffiando il turibolo con l’incenso oppure le mani di uno di loro che saldamente tengono
l’aspersorio, un altro ha il pastorale e la mitria (copricapo appuntito che portano i vescovi), un altro si pensa
sia il celebrante perché legge (le dita seguono il rigo) un libro sorretto da un chierichetto con le braccia
alzate, le figure sembrano mozzate quindi si pensa che stavano dietro il defunto, inoltre sicuramente in
origine erano colorate.

Arnolfo era anche uno scultore, infatti realizzò nel 1285 il86 Ciborio di San Paolo fuori le mura, è una sorta
di copertura erotta al di sopra dell’altare, una sorta di baldacchino realizzato con colonne, pinnacchi,
copertura e ghinberghe, integrate con una parte scultorea. In questo caso è sorretto da 4 colonne di porfido
raccordate un arco ogivale con dentro un trilobo, esse sono poi sormontate da una ghinberga traforata
decorata al centro con una specie di rosone sostenuta da due angeli, il tutto decorato da gattoni rampanti e
pinnacoli, il tutto ancora una volta sormontato da guglie e un pinnacolo centrale nuovamente decorato con
guglie e pinnacoli. Il tutto contribuisce a dare una forte spinta ascensionale, molto colorata con decorazioni
cosmatesche in oro, sono presenti anche delle piccole sculture come quella di Adamo che si copre il corpo
ed Eva mentre raccoglie il frutto proibito, su un altro lato abbiamo l’offerta di Caino ed Abele, si vede anche
la Dextra Patris (una mano dal cielo denedicente) che raccoglie i doni ricevuti, rispettivamente del grano e
un montone, San Pietro e Paolo raffigurati quasi con la stessa fisionomia soltanto che Paolo tiene in mano
la spada del martirio, un lavoro di trapano esaltano le ciocche delle loro barbe, Timoteto, giovane discepolo
di San Paolo, raffigurato senza barba, figura in questo caso sintetica, altra figura è un monaco benedettino
(dato che in questa chiesa vi erano i monaci benedettini, molto probabilmente è San Benedetto) mentre
con una mano possente tiene un libro in mano.

87Altro Ciborio che realizzò è quello di Santa Cecilia in Trastevere (il capo della santa si trova nell’edificio),
realizzato nel 1293, situato sopra l’altare. Qui la struttura non si sviluppa in altezza ma in larghezza, gli archi
che uniscono le colonne sono più larghi e non acuti, la struttura è più traforata, le decorazioni sono in stile
cosmatesco, i pinnacoli sono più esterni sporgono un po’ e hanno quasi la stessa altezza della limberga, le
figure sugli angoli sono a tutto tondo, distinguiamo Santa Cecilia da un lato, dall’altro il marito anch’egli
martire, San Valeriano, altro è il cavaliere Tibursio, fratello di Valeriano, con un cavallo con la bocca
spalancata e le fauci aperte, il ciuffo della criniera è legato, l’abbigliamento delle figure è molto ricercato e
dettagliato, il tutto arricchito con il colore, altra figura è l’Evangelista con il suo simbolo, raffigurato molto
giovane perché fu uno dei primi seguaci di Cristo, l’Evangelista Luca seduto su una specie di Sella Curulis
sopra una roccia, la testa è leonina coperta da un drappo.
Egli realizzò anche le sculture del presepe di Santa Maria Maggiore a Roma, presepe costruito in seguito
all’arrivo della reliquia di una mangiatoia proveniente dalla Terra Santa, nella rappresentazione si
includevano anche l’arrivo dei Magi, le masse sono massicce, compatte, coperte da vesti sottili e molto
dettagliate con motivi floreali e frange, ci sono rimasi i tre re Magi con espressioni intense.

GIOVANNI PISANO: durante gli anni in cui lavorò a fianco del padre collaborò alla decorazione scultorea del
BATTISTERO DI PISA e al PULPITO DI SIENA (1265-1269), anche se all’attribuzione delle diverse sculture che
compongono queste opere è controversa e complessa. Ebbe un ruolo sicuramente più attivo nella
FONTANA MAGGIORE (1275-1278) di Perugia. Successivamente entrò a capo di progetti lasciati incompiuti
dal padre: la decorazione esterna del Battistero di Pisa e il Duomo di Siena dove fu capomastro dal 1285 al
1296: qui allungò le navate di una campata, al termine della quale impostò la facciata monumentale;
condusse i lavori nella parte inferiore della facciata per la quale realizzò un gran numero di statue di Profeti
e Sapienti dell’antichità. Negli anni successivi lavorò al pulpito della chiesa di Sant’Andrea a Pistoia (1297-
1301).

Fu quindi a Pisa, dove assunse la carica di capomastro della cattedrale per la quale realizzò il pergamo,
impegno che si protrasse dal 1302 al 1310 con interruzioni causate da dissensi con il direttore dell’opera del
Duomo Borgogno di Tado. Più tardi, verso la conclusione della sua attività artistica, ricevette due
importanti commissioni private:
la MADONNA COL BAMBINO DELLA CAPPELLA DEGLI SCROVEGNI DI PADOVA

(1305-06) e il MONUMENTO SEPOLCRALE DI MARGHERITA DI


LUSSEMBURGO (Margherita di Brabante, moglie di Enrico VII morta nel 1311). Questa è la sua ultima opera
nota, conclusa il 25 ago 1312. Opere: L’attività nella quale la sua opera brillò maggiormente fu quella di
scultore. L’uscita di scena del padre coincise con la completa maturità dell’artista. L’antitesi che vede Nicola
Pisano scultore classico e Giovanni scultore gotico, è un’interpretazione che travisa la realtà: anche Nicola
fu pienamente gotico e s’inserì nella corrente del tempo che era più orientata al recupero della volumetria
e dell’impostazione classica. In seguito, l’arte gotica italiana, influenzata da quella francese, si orientò verso
un maggior linearismo, una ricerca più artificiosa di effetti drammatici e un’aristocratica elaborazione
formale e queste tendenze si manifestarono con una diversa impostazione dei rilievi, con capiscuola
proprio Giovanni Pisano e Arnolfo di Cambio. In ogni caso Giovanni, seppe andare oltre questi modelli
oltralpini, infondendo nelle sue opere un forte senso: di volumetria; del movimento; della resa espressiva.

Non prese spunto solo dai modelli francesi, ma seppe a sua volta rinnovare il repertorio iconografico
dell’epoca con le più innovative soluzioni plastiche ed espressive, figure dalle movenze libere nello spazio e
svincolate dall’architettura, come nei rilievi dei portali del Duomo di Siena. A differenza di Arnolfo,
l’interesse tra scultura e architettura di Giovanni, propende tutto per il prima, ed è interessato fino ad un
certo punto alla fusione delle due componenti.
Fontana maggiore di Perugia

Lavorò anche lui alla Fontana di Perugia, in particolare a dei bassorilievi con le personificazioni dei mesi e
dei lavori dell’anno (tema di epoca romanica, hanno un andamento guizzante quasi a scatti: ad esempio
Giugno è la raccolta del grano, le vesti corte sventolano per questo movimento. Ci sono anche le
raffigurazioni delle arti liberali come l’astronomia e la geometria, la filosofia è raffigurata con una corona,
regina delle arti. Vi è anche la personificazione della città di Perugia rappresentata come una sorta di Dea
dell’abbondanza con una cornucopia ricca di frutti, i panneggi sono molto sottili e ben resi. Vi sono anche
dei Santi come Pietro e Paolo, il santo protettore di Perugia, come ad andare a sottolineare l’insieme di
temi.

Facciata duomo di Siena

Negli anni 80 del 1200 andrà a Pisa, per poi andare a Siena per la costruzione della facciata del Duomo, fece
sopratutto la parte bassa. Oggi le sculture che vediamo sono ottocentesche ma seguono lo schema originale
(iscrizioni nella parte destra delle nicchie), le originali furono spostate al Museo dell’Opera di Siena per
proteggerle dalle intemperie che le stavano logorando, ricordiamo che l’edificio è consacrato all’Annunziata
quindi tutte le sculture rimandano alla Vergine come i profeti dell’antico testamento, le sibille dell’antichità
considerate come profetesse, infatti tengono in mano dei cartigli aperti perché hanno profetizzavo
l’incarnazione di Cristo, in generale però le figure sono squilibrate, il collo è molto prominente (non solo
perché doveva essere vista dal basso, ha proprio una postura strana), sono tutte caratteristiche dello stile di
Giovanni. Il Re Davide ha una corona in testa, la postura assunta è detta ascement = ancheggiante, la figura
è a chiasmo (il suo braccio destro e la gamba destra sono tesi mentre il braccio e la gamba sinistra sono
flessi, ma il tutto non è bilanciato dalla testa che va verso la sua destra come era consueto nelle sculture
classiche, ma va verso la sua sinistra, comportando un disequilibrio una drammatizzazione), c’è una
mancanza di equilibrio, i volti sono molto intensi, le labbra socchiuse, la barba e i capelli scompigliati, i
panneggi sono gonfi, nei bordi ci sono delle frange come faceva il padre, si vede un corpo sottostate ma
sono divorati dai grossi panneggi.

Maria di Mosè, ha il volto bruscamente teso in avanti insieme alle braccia, una mano tiene un
cartiglio, il corpo è fasciato nella parte superiore da uno scialle mentre la parte sottostante da una veste
con panneggi pesanti, vista di profilo la drammatizzazione è data da una sorta di vento che smuove le vesti.
Mosè ha il volto rivolto verso la nostra destra, il braccio a sinistra, ha un cartiglio in mano, le pieghe della
veste che vanno a terminare con delle punte, sono molto scavate il che comporta a degli effetti
chiaroscurali, il volto non è gonfio e morbido come quello del padre ma è turgido e fortemente

chiaroscurato. Profeta Isaia ha il cartiglio aperto, porta un mantello, il volto è grifagno


ovvero che assomiglia al muso di dei rapaci, il naso è importante, i capelli sono mossi, la bocca è socchiusa e
sembra parlare, il volto ha molte rughe, nonostante sia logorato dal tempo le figure sono potenti. Simeone
ha una fluente barba e i capelli sono mossi dal vento, la veste nella parte alta fascia le spalle mentre nella
parte bassa va ad arricchirsi di pieghe, è bordata da delle frange, ha la bocca socchiusa parla, si può notare
l’attività fatta con il scalpello comportando dei profili taglienti e drammatici.

Platone ha la bocca socchiusa e narrano ciò che c’è scritto nel cartiglio aperto che portano
(viene considerato come un profeta, è una sorta di fumetto), ha un copricapo particolare per indicare la sua
provenienza, la veste fascia il gomito ed è tirata dalla stessa mano che sorregge il cartiglio. Abacuc altro

profeta molto giovane, ha un’espressione intensa e labbra socchiuse.

Re Salomone con una veste molto ricca, il bordo oltre alla frangia ha una fascia ricamata al di sopra.

Pulpito della Chiesa di Sant’Andrea a Pistoia

Qui Giovanni riprende e modifica i prototipi paterni di Pisa e Siena. Il pulpito


è esagonale come quello pisano, ma i rilievi del parapetto sono separati da grandi figure come a Siena. È più
slanciato in verticale, tramite il rialzo degli archi trilobati. Le modificazioni più appariscenti sono però di
ordine figurativo. Le figure di Giovanni sembrano nascere di getto. Da notare una delle Sibille poste al di
sopra dei capitelli delle colonne reagisce quasi con spavento, volgendo di scatto il volto turbato all'angelo
che da dietro le spalle le suggerisce le rivelazioni profetiche. Nei rilievi del parapetto Giovanni scava la
pietra, determinando contrasti tra ombre e luci. A figure minuziosamente caratterizzate accosta volti o
corpi sommariamente sbozzati, di fortissimo valore espressivo. Mirabile fra tutti è la formella 58 della
Strage degli innocenti, la cui foga espressiva si traduce in un ondeggiare e ritrarsi delle figure all'angolo
superiore destro: una cascata obliqua generata dal braccio di Erode, teso a ordinare il massacro. A stento si
intuiscono le singole pose delle figure, ma risaltano, i volti piangenti delle donne coi bimbi in braccio
minacciati dai soldati e in basso i patetici compianti sui cadaveri dei figlioletti assassinati.

Pulpito del Duomo di Pisa

Il secondo pulpito di Giovanni. Nuova è la struttura circolare. Le lastre


del parapetto con le Storie di Cristo sono incurvate, gli archi di sostegno sono sostituiti da mensole a volute,
il posto di alcune colonne è preso da figure-cariatide. Sempre meno architettonico il pulpito da dei
messaggi teologici. Osserviamo ad esempio le quattro Virtù. Tra esse spicca la Temperanza nuda che si
copre con le mani il seno e l'inguine, ispirata a un celebre modello classico. Ma le quattro figure non
contengono soltanto indicazioni etiche. Esse sono le parti del mondo, i quattro fiumi del Paradiso, ma anche
le età della vita umana poiché i volti mostrano età diverse, scalate tra la giovinezza della Prudenza e la
vecchiaia della Giustizia. Sulla base di un medesimo impegno inventivo, nasce il Monumento funebre a
Margherita di Lussemburgo, un cenotafio a parete per accogliere le spoglie della consorte dell'imperatore
Arrigo VII. Nel monumento genovese, in gran parte perduto e smontato, Giovanni introduce per la prima
volta in un cenotafio, le Virtù come sostegno del sarcofago. Più straordinario ancora è un altro frammento
l'Elevatio animae, l'assunzione in cielo dell'anima dell'imperatrice sollevata da due angeli, dove Giovanni da
rappresentazione a un motivo nuovo e difficilissimo, la radiosa e assorta bellezza suscitata nel volto della
santa imperatrice dalla visione divina, rinforzata dallo scatto diagonale del busto che ascende spinto, dal
desiderio stesso di congiungersi con l'Eterno. Il primo pannello (1) della balaustra raffigura l’Annunciazione

in alto a sinistra con Maria impaurita che si sposta spaventata dal


lato opposto (ricorda la sibilla del pulpito di Pistoia) e tiene tra le mani il libro dei salmi (il salterio) con il
dito all’interno per non perdere la pagina, in alto a destra c’è l’incontro con la cugina Elisabetta con il loro
abbraccio, in basso a sinistra c’è la Natività del Battista (si capisce perché Elisabetta ha il volto rugoso e le
viene portato della puerpera, scena assente nella natività di Cristo, inoltre mancano il bue e l’asinello), in
basso a destra c’è Zaccaria che da il nome al figlio scrivendo sulla tavoletta, tutto intorno c’è una cornice
floreale a dentelli che ricorda la tradizione classica. Nel pannello successivo (2) c’è la Natività di Cristo

sulla sinistra con la Madonna che accenna ad un sorriso


sdraiata su una sorta di triclinium in una grotta affiancata dal bue e l’asinello che circondano Gesù in una
specie di sarcofago, gli angeli annunciano la notizia ai pastori con le loro pecore e capre, sotto c’è il
bagnetto del bimbo con l’ostetrica che assaggia l’acqua per vedere la temperatura, san Giuseppe è
pensieroso e osserva la scena, lo sfondo è liscio che fa risaltare le figure, la scena è più statica rispetto a
quella di Pistoia, i panneggi sono più spessi, le forme sono addolcite. Altro pannello (3) raffigura l’Arrivo dei

Magi a cavallo, si ha l’idea di una specie di strada a salire che


hanno percorso per arrivare alla grotta, rappresentano le tre età dell’uomo e hanno le corone, di seguito
scendono da cavallo e offrono i dono a Gesù, sono circondati dagli angeli che guidano i movimenti dei Magi
(uno spinge il più giovane a farsi avanti, un altro sembra incitare il magio a levare la corona in segno di
rispetto), è presente anche Maria che offre il bambino a loro, in basso viene raffigurato tutto il loro viaggio
con grandi bauli, ci sono dei cammelli e dei cavalli, e di fianco la scena di quando l’angelo sveglia i Magi per
avvisarli dell’arrivo di Erode e di incitarli a fuggire. Di seguito (4) la Presentazione al Tempio

rappresentato come un edificio gotico dell’epoca, in primo piano


c’è Giuseppe in disparte e Maria che porge il bambino a Simeone (il bambino è diffidente, naturalezza della
scena), alle spalle c’è la profetessa Anna, di fianco a questa scena c’è la Fuga in Egitto in cui l’angelo sveglia
Giuseppe e gli dice di fuggire, subito dopo la Madonna è su un asinello con Gesù in braccio guidati da
Giuseppe, alle loro spalle in alto si vedono degli uomini con un turbante in testa mentre parlano tra loro,
uno di loro potrebbe essere Erode mentre combutta contro Gesù. Nel pannello successivo
(5) c’è la Strage degli Innocenti

, la scena è molto caotica, in alto un po’ decentrato si scorge


Erode mentre confabula con i suoi aiutanti aventi sempre il turbante in testa, in primo piano il caos di
soldati mentre uccidono i bambini, le madri disperate con i capelli sciolti cercano di salvarli, altre piangono i
loro corpi, altri chiedono ad Erode stesso la salvezza.

Dopo (6) c’è la scena della Crocifissione in cui compaiono anche il


buono e il cattivo ladrone, le croci sono molto elevate e stanno in un piano diverso rispetto a quello della
folla agitata, lo sfondo è liscio e vuoto, al centro anche se un po’ decentrato (questo per rendere il tutto più
drammatico perché la simmetria dava un senso di ordine) c’è il crocifisso di Gesù il cui corpo è molto
realistico, il torace è asciutto infatti si vedono le costole, i tendini del braccio sono tesissimi, le ossa della
clavicola sono sporgenti, le gambe molto magre, vi sono nella scena dei soldati sia a piedi che a cavallo con
in mano delle mazze per spezzare le gambe ai crocifissi (spezzando le gambe, il peso del corpo gravava sulle
braccia e per la tensione, l’uomo moriva per soffocamento), il soldato con la mazza che doveva colpire
Cristo si ferma ad osservarlo perché è già morto (scena messa così in risalto perché è un’altra profezia che
si avvera, quella in cui si dice che nessun osso gli verrà spezzato), vi è anche la personificazione della Chiesa
che avanza con un calice in mano, mentre la personificazione della Sinagoga viene respinta da un angelo,
nella scena vi è accanto ad uno dei ladroni un angelo mentre porta via la sua animula (sappiamo infatti che
lui andrà in paradiso, come Cristo aver detto), mentre per l’altro ladrone abbiamo l’animella presa dal
demonio e l’angelo che lo caccia via, sotto abbiamo le pie donne con San Giovanni evangelista, lo
svenimento di Maria (un po’ più composto rispetto a quello di Pistoia).

In questi anni venne realizzato anche un crocifisso ligneo oggi conservato nel museo dell’Opera di Siena (la
colorazione è successiva), rispetta l’iconografia delineata in uno scritto dell’ordine francescano intitolato
“ligneum vitae”, la croce è ricavata da un unico tronco ed ha una forma a Y, questo allunga in maniera
estenuante le braccia di Cristo rendendo il torace in tensione e la pancia molto in dentro, il corpo è molto
gracile. (dettaglio pdf 89/90/91 - Nicola e Giovanni).

Una delle ultime imprese scultoree di Giovanni ci è giunta frammentaria e si tratta della 90 Tomba di
Margherita di Brabante

, moglie dell’Imperatore Arrigo VII, morta a Genova nel 1311, l'opera fu


commissionata dall’Imperatore ed eseguita due anni dopo, era conservata nella chiesa di San Francesco di
Castelletto a Genova ma andò distrutta: era un sarcofago sorretto dalle 4 virtù cariatidi, la giustizia è ancora
integra. Più che “elevatio animae” quindi dell’animula della defunta, Giovanni rappresenta l’elevazione del
vero e proprio corpo di Margherita sollevato da angeli, rimanda alla sollevazione delle anime nel giorno del
giudizio universale: il volto è molto dettagliato quindi probabilmente è un ritratto, è vestita con un soggolo
(velo che fasciava il capo in uso all’epoca), la veste è molto sottile e raffinata.
Probabilmente le sue ultime opere le fece Siena intorno al 1314, morirà lì prima del 1319.

Pittura in Toscana nella seconda metà del Duecento

Esistono fasi storiche in cui le diverse tecniche avanzano insieme, questo però non è il caso della Toscana
del Duecento e più in generale dell’Italia, dove si registra una frattura tra lo stile dell’architettura e della
scultura da una parte e quello della pittura dall’altra.

Mentre il rinnovamento della scultura è ulteriormente accelerato dall’immissione dei modelli gotici, con
l’attività di Nicola Pisano, lo stacco tra la scultura gotica e classicheggiante e la pittura rimasta bizantina,
tocca il culmine. I pittori sembrano disarmati di fronte alla capacità narrativa di Nicola, alla verosimiglianza,
alla vivacità, alla drammaticità delle sue figure e dei suoi rilievi attorno al 1260.

In questo momento la scultura è l’arte guida, in quanto la pittura si sta trasformando con lentezza e senza
mai negare la sua impronta bizantina. Eppure, nel giro di poco tempo, rinunciando di colpa a stilemi
secolari, i pittori rinnovano i loro modelli e i loro linguaggi sino a giungere con GIOTTO a fondamentali
innovazioni formali e narrative che rendono le loro storie quanto mai coinvolgenti. Il successo della pittura
è travolgente, offrendo anche la possibilità di decorazioni più economiche della scultura e di più rapida
esecuzione.
Nel Trecento si assiste a un ribaltamento del rapporto tra le due arti, la pittura diventerà l’Arte Guida, la
sede delle sperimentazioni, mentre la scultura segnerà il passo entrando in una fase involutiva. Il fenomeno
più appariscente della pittura toscana dall’inizio del 200 è la grande diffusione delle TAVOLE DIPINTE,
mentre l’affresco è raramente praticato.

La fortuna di questa tecnica si ha grazie all’appoggio degli Ordini mendicanti, in particolare i Francescani.
Divisi al loro interno, dopo la morte di S. Francesco: desiderosi di ammirare i Conventuali: appoggiati dal
papato e dall’alta borghesia nelle chiese fastose decorazioni, anche pittoriche; Gli Spirituali: avversi a tutto
ciò che contravviene all’idea di povertà.

I Francescani a ciò trovano conveniente una soluzione di compromesso: le TAVOLE DIPINTE sono un
fastoso ornamento per gli altari e le navate, ma possono essere eventualmente rimosse e si prestano ad
essere trasportate per le vie della città nel corso delle processioni; i soggetti rappresentati nelle tavole sono
quelli cari ai Francescani quali : Il Crocifisso, la Madonna col Bambino, l’immagine di S. Francesco.

La nuova pittura italiana non nasce a Lucca, dove Berlinghiero Berlinghieri fonda un’importante bottega
ereditata dai figli. La sua firma compare su una CROCE, un’opera legata ancora con la cultura bizantina. Il
Cristo appare in posa statica, con le membra delineate graficamente tramite luminescenze e sottili
ombreggiature. E’ ancora sulla croce, che non muore, da notare gli occhi che sono aperti, l’espressione è
impassibili; bensì trionfa sulla morte.

Del figlio Bonaventura Berlinghieri, documentato tra il 1228 e il 1274, è invece il


91dossale d'altare con San Francesco e storie della sua vita, dove nella tavola
sono fissati per la prima volta in forma narrativa alcuni episodi salienti della sua vita. Notiamo sei vivaci
scenette allineate verticalmente ai lati della rigida, allungata effige. Il protagonista a piena figura, immoto, è
fiancheggiato dalle storie a più personaggi e arricchite da cenni ambientali. Bisogna dire che in questo
periodo, i santi effigiati, sono sempre accompagnati da attributi fissi allusivi alla loro vita e all'eventuale
martirio. A S. Francesco competono il saio francescano, le miracolose stigmate, il libro che lo qualifica come
quinto evangelista.

Accanto a Lucca, Pisa è a sua volta sede nel primo 200 di una scuola pittorica che però opta per un
linguaggio meno stilizzato e più drammatico. Si confronti il 92 Dossale con san Francesco e suoi miracoli

. Qui la figura appare più viva e animata, le proporzioni sono più


massicce, una gamba si scosta dall'altra, le pieghe del saio, anziché cadere a piombo, sono mosse dagli
spostamenti delle membra sottostanti. Anche gli angioletti al di sopra, si volgono di tre quarti rompendo la
rigida frontalità delle figure della prima tavola.

Le modifiche portate dall'anonimo pittore, si comprendono meglio tenendo conto della migliore qualità dei
modelli bizantini disponibili ai pisani. Ne è preziosa testimonianza verso il 1230, la Croce, del Museo
Nazionale di Pisa . Opera di un maestro greco, è un documento artistico fondamentale non tanto per
l'intelligenza formale, quanto per l'avanzare di una gamba rispetto all'altra che aderisce al legno della croce,
la sintetica drammaticità delle storie della Passione illustrate sotto i bracci della croce, ma soprattutto
perché sul suolo italiano per la prima volta viene adottato il modello del Cristo patiens, del Dio fatto uomo
che muore sulla croce chiudendo gli occhi e reclinando il capo. A rinforzo dell'immagine c'è anche un fiotto
di sangue che zampilla dalla ferita aperta del costato.
L'altro soggetto tipico della pittura toscana e cioè la Madonna col Bambino, se ne segue l'evoluzione a
partire dalla Madonna di Montelungo, firmata dal caposcuola aretino Margarito o Margaritone D'Arezzo,
un artista del quale non si hanno notizie biografiche. La tavola riprende una tipologia cristianoorientale di
origine egiziana: la madre e il bambino sono severamente frontali e appiattiti e il figlio è rappresentato
come un dio-infante benedicente con lo scettro in mano.

Coppo di Marcovaldo: fu un artista contemporaneo ai Pisano. Egli intorno al 1260-70 realizzò un

91crocifisso, oggi conservato nel Museo Civico di San Gimignano,


molto diverso dalla scultura del tempo perché è molto legato all’arte bizantina, la struttura anatomica è
fortemente schematizzata, l’addome sembra diviso in zone come del resto le braccia e le gambe molto
allungate, anche il panneggio che gira intorno ai fianchi sembra un disegno, nei tabelloni laterali ci sono 6
storie della vita di Cristo e della passione, in alto
l’ascensione della vita di Cristo.

Altra opera fatta da Coppo e conservata a Santa Maria dei Servi a Siena è la 92 Madonna col bambino,

il cui volto però è stato restaurato agli inizi del 1300: la donna è seduta su una
poltrona con uno schienale a forma di lira e un cuscino morbido, è vestita come un’imperatrice, i dettagli
della veste sono resi con delle crisografie (linee dorate che simulano le ombre delle pieghe ma in realtà
danno un effetto piatto), sopra una cuffia porta un velo che rende la sua testa tonda.

Negli stessi anni visse CIMABUE, grande pittore citato da Dante nella Divina Commedia in cui lo esalta per la
sua bravura. Il suo stile ricorda molto quello di Giunta Pisano (il crocifisso di San Domenico a Bologna con il
Cristus Patients morente) e non si rifà allo stile dei suoi contemporanei fiorentini. La prima opera attribuita
a Cimabue è il 93Crocifisso di Arezzo
realizzato prima del 1271, è alto 4 metri, nei pannelli laterali non ci sono
delle storie ma un motivo a losanghe, i dolenti ai margini del braccio trasversale della croce e la postura del
corpo a mezzaluna, che richiama molto il Cristo di Giunta, anche il volto ricorda quello di Giunta per i segni
sotto gli occhi e nelle guance, l’incarnato è realizzato con pennellate sottili per dare il senso del volume, non
è a macchie ma tutto molto sfumato, i capelli sono realizzati in maniera calligrafica con striature, mentre la
barba è fortemente chiaroscurata (effetto dato con delle pennellate molto sottili), la canna nasale messa in
risalto con delle zone di luce, come il mento e le labbra, le orecchie sembrano il manico di un’anfora
(elemento tipico di Cimabue). I dolenti sono patetici con forti ombre del naso e del mento, la Vergine tiene
nelle mani un fazzoletto, il mantello è ricoperto da crisografie dando un senso di movimento al panneggio,
dall’altra parte c’è San Giovanni Evangelista che appoggia la mano sopra il mento, osserva l’osservatore
come ad invitarlo a guardare la scena, il braccio è molto realistico, nel volto abbiamo il classico naso a
forcella, le orecchie ad anfora, la veste è liscia sormontata da un mantello riccamente decorato con
crisografie, lo è anche il perizoma rosso di Cristo rendendolo simile ad un tessuto in seta, si percepisce un
corpo sottostante.
Famoso è il 94crocifisso di Santa Croce a Firenze

fatto prima del 1284, fu però rovinato dall’alluvione del 1966: da


foto dell’epoca possiamo notare una dolcezza maggiore nei dettagli del volto, il chiaroscuro si fa importante
non solo nel volto ma anche nelle varie parti dell’addome che non è più diviso in zone, il tutto è più
naturale, si può intravedere anche un chiaroscuro nei dettagli delle braccia, il perizoma è trasparente infatti
si intravede la sagoma dei fianchi e della coscia di Cristo, ai vertici del braccio trasversale sono presenti i
dolenti.
L’opera successiva fu la95 Maestà, oggi conservata al Louvre e datata
intorno al 1280, realizzata per la Chiesa di San Francesco a Pisa. La Madonna è seduta su un trono ligneo
visto intralice (è visto frontalmente ma è possibile vedere il lato), indossa una veste molto sottile, un
mantello blu che sale fino alla testa coperta con una cuffia, le pieghe sono schematiche e poco
naturalistiche (il classico zig-zag del velo tipico dell’arte bizantina), ha un’aureola dorata che spezza la
visione del trono, il volto è ancora molto schematizzato proveniente dalla tradizione bizantina, le linee del
viso sono nette e poco chiaroscurate, mantiene però le pennellate sottili e parallele che si infittiscono nelle
zone d’ombra, tiene in braccio Gesù bambino ed è circondata da sei angeli appoggiati al trono e la
acclamano come una maestà.
Ad Assisi realizzò molti affreschi nel transetto della basilica sotto il pontificato di Nicolò IV tra il 1288-1290,

tra questi riconosciamo la96 Crocifissione, molto particolare


perché le parti bianche realizzate a ph di piombo sono diventate scure, facendolo sembrare un negativo: in
alto ci sono degli angeli commossi, alcuni con delle coppe raccolgono il sangue di Cristo, il suo perizoma
sembra muoversi per via di un forte vento, il crocifisso ricorda le altre figure del Cimabue con la classica
curva del busto e gli occhi chiusi, in basso ai piedi della croce vediamo la Maddalena straziata dal dolore
con le braccia alzate, dal lato opposto San Giovanni che tiene la mano della Madonna e le pie donne dietro
di lei, di fianco il Centurione con altri personaggi discutono, alcuni si tengono il mento, ai piedi della croce vi
è il teschio di Adamo, inoltre vi è inserita anche una nuova figura, ovvero San Francesco, le cui spoglie sono
conservate in quell’edifico. Vi sono anche delle scene dell’Apocalisse e della vita della Madonna, come il
commiato: la Madonna è stesa sul suo letto morente, è circondata dagli apostoli, di lato c’è San Paolo
alzato in piedi con il braccio alzato mentre le parla, l’architettura circostante è trilobata, si appoggia su
colonnine scanalate, c’è un suggerimento di una sorta di copertura, ritornano queste vesti fitte che fasciano
i corpi.
Altra97 Maestà di santa Trìnita conservata agli Uffizi raffigura Cristo e la Madonna su
un grande trono rappresentato frontalmente, novità nella rappresentazione, introduzione di idea di spazio,
rimane intralice il sub pedanio, intorno vi sono angeli e santi, in basso i francescani, committenti dell’opera.
Oltre al transetto, Cimabue affrescò anche la volta a crociera e i costoloni circostanti, nei cui spicchi sono
raffigurati gli evangelisti, molto originale come scena perché loro non sono raffigurati semplicemente seduti
mentre scrivono i vangeli ma sono affiancati anche da scorci di città e zone del mondo (come la Giudea) e
sopra ci sono i loro simboli: ad esempio di fianco a San Marco c’è la rappresentazione dell’Italia, è Roma
con la cupola del Pantheon.
Sempre ad Assisi nella Basilica Inferiore, abbiamo una Maestà

, la Madonna è seduta su un trono visto intralice


con accanto San Francesco con le orecchie a sventola. La Maestà di Santa Trinità è una delle ultime opere
realizzate da lui e datata intorno al 1300, lui morirà intorno al 1302: la Madonna è rappresentata seduta su
un trono visto frontale, anche il sub pedaneo è rappresentato frontalmente, le vesti sono sottili, ritornano
le crisografie che contribuiscono a dare l’idea della seta, le mani hanno una forma ricurva con le dita molto
lunghe, lei indica Gesù bambino seduto sulle sue gambe, di sotto abbiamo una specie di archi in cui vi sono
collocati profeti e patriarchi come il re Davide (ha la corona), hanno in mano dei cartigli aperti. È cambiata
la fisionomia della Madonna, è meno corrucciata e più sorridente, le pieghe del velo sopra la testa è meno
schematico, non ci sono più quelle pieghe a lunette, sul volto il naso è più sfumato e naturale, non ci sono
delle linee nette. Ultima opera di Cimabue è il San Giovanni musivo all’interno del Duomo di Pisa, opera che
sappiamo di per certo sia stata fatta da lui perché vi sono dei documenti che affermano la sua
partecipazione intorno al 1301-1302 (l’unica opera documentata), poi morì. Il volto ricorda quello della
Madonna visto prima, il naso è molto naturale, non c’è la divisone grafica delle parti del corpo di tradizione
bizantina.

Pittori del Cantiere d’Assisi

Ci troviamo in un momento capitale della storia della pittura in Italia, quando si forma lo stile che il Vasari
definisce latino per contrapporlo al greco dei Bizantini. La rivoluzione in atto si coglie innanzi tutto nella
basilica di Assisi. La cronologia degli affreschi della basilica superiore è tra le più controverse della storia
dell'arte italiana e si intreccia con i dibattiti dei Francescani, la cui ala spirituale continua a rifiutare di
arricchire le chiese dell'Ordine con fastosi apparati decorativi. Nel Concilio di Narbona i Francescani optano
ancora per la scelta rigorista escludendo l'uso delle immagini. Un altro concilio dei francescani tenuto ad
Assisi ribadisce l'indirizzo aniconico suscitando però una ferma reazione da parte di papa Niccolò III.

Secondo alcuni studiosi sarebbe stato proprio questo papa a dare il via agli affreschi di Assisi. I primi
affreschi compaiono dunque nella basilica superiore nel 1288. Gli affreschi che narrano le Storie di Maria,
l'Apocalisse, non sono più ben leggibili. Nella Crocifissione del transetto sinistro, con le sue numerose figure
fortemente gesticolanti sotto un cielo affollato da angeli in pose di sgomento e di strazio, è ancora leggibile
un'immagine drammatica. Nello stesso periodo altre maestranze eseguono affreschi nella navata della
chiesa contestando gli arcaismi di Cimabue. Artisti attivi sulle lunette attorno alle finestre contrappongono
una pittura diversa, di tipo illusionistico, creando finte strutture architettoniche innestate sulle cornici delle
finestre vere come per ampliarle. Il nuovo sistema figurativo ha un seguito immediato. Questa idea è
ripresa con Giotto giovane, giunto ad Assisi al seguito di Cimabue ma ormai avviato autonomamente ad una
lunga carriera. Osserviamo l'Esaù respinto da Isacco, qui è tutto nuovo, dalla plasticità dei corpi, il gioco
delle ombre e delle luci, l'andamento fluente dei panneggi. Risalta soprattutto la scatola spaziale che
contiene la scena, la stanza dalle pareti scorciate, cui è stata asportata quella anteriore per permetterci di
vedere ciò che avviene all'interno dove notiamo i baldacchini del letto su cui giace Isacco. La scena è
dunque costruita come una successione di piani in profondità. Siamo qui probabilmente di fronte alla più
antica opera a noi nota di Giotto (1267-1337), l'allievo fiorentino di Cimabue, nato a Vespigniano. Dopo
l'apprendistato con Cimabue, Giotto è stato anche a Roma e ha studiato i plastici e spaziali cicli musivi e
pittorici del IV e del V secolo d.c. Ancora a Giotto spettano le Storie di san Francesco sulle pareti della
navata della basilica superiore di Assisi. Questa storia è suddivisa in 28 riquadri che si svolge per tutta la
parete destra verso l'ingresso della chiesa, gira nella controfacciata e torna indietro lungo la parete
opposta, descrivendo le vicende del santo titolare della basilica, dalla giovinezza alla morte, alternando gli
episodi storici ufficiali a quelli delle leggende. Con Giotto la vita quotidiana, esclusa da secoli dalle arti
figurative, rientra in una chiesa e prende stabile possesso delle pareti più in vista.

Consideriamo ora una delle scene L'omaggio dell'uomo semplice:si svolge lungo una via che gli spettatori
potevano riconoscere immediatamente come un sito reale di Assisi. Gli edifici formano un fondale dove il
santo appare di profilo incedendo e un cittadino stende il mantello al suo passaggio, la scena è naturale e
credibile. Anche i bambini sono assenti da secoli nell'arte sacra, ritrovano posto nella pittura giottesca nelle
scene di folla dove la loro presenza aggiunge un tocco di casualità quotidiana ad esempio ne La rinuncia ai
beni, dove sono raffigurati non lontani dall'esplosione d'ira di Bernardone, il padre del santo alla vista della
folle restituzione delle ricchezze da parte del figlio. Il rapporto tra le figure e lo sfondo non è mai casuale.
La scena de La conferma della regola mostra un meditato accordo tra architettura e personaggi.

Nell'Elemosina del mantello, dove non c'è un fondale architettonico, Giotto sfrutta i profili obliqui dei colli
per portare l'attenzione del riguardante dove essi si incrociano, dietro la testa nimbata di san Francesco.
Mentre è evidente però che Giotto tratta il paesaggio in modo ancora arcaico, senza definire con precisione
le distanze e il succedersi dei piani in profondità. Giotto rifiuta quindi il retaggio bizantino recuperando
effetti di plasticità e di spazialità dimenticate da secoli. Ancora di più la novità del suo linguaggio risalta
quando a Firenze dopo l'esecuzione delle Storie di san Francesco, affronta temi più tradizionali quali il
Crocifisso (Abolito il cliché dell'incarnarsi del corpo di Cristo tanto caro a Cimabue. I piedi sono accavallati e
forati da un solo chiodo, perciò le ginocchia si piegano.) e la Maestà (Solida volumetria dei protagonisti
incastonati entro il prezioso trono cuspidato, quasi trasformato in una chiesa, o sugli angeli e santi raccolti
ai lati del trono disposti di profilo nello spazio, uno dietro l'altro anziché uno sopra l'altro come nelle
Maestà precedenti).

La cultura romana

Il rinnovamento della pittura italiana negli ultimi 15 anni del Duecento si svolge quindi a Firenze, ad Assisi e
a Roma. Da Firenze provengono i pittori, Assisi fornisce la prestigiosa vetrina da cui le opere traggono vasta
risonanza, a Roma troviamo il rifiorire dell'interesse verso la spazialità e la maestosità dell'arte antica tanto
che da questo clima Giotto ha tratto degli spunti fondamentali.
Non sono note le più antiche pitture del romano Jacopo Torriti un contemporaneo di Cimabue. Favorito di
Niccolò IV, anch'egli lavora ad Assisi e poi tornato a Roma fornisce il modello per i mosaici absidali di Santa
Maria Maggiore. Realizza in Santa Maria Maggiore un ciclo dedicato alla vita di Maria sempre introno al
1295 nell’abside, c’è l’incoronazione di Maria da parte di Cristo, c’è un senso del volume ma è ancora legata
alla tradizione bizantina, sovrabbondanza dei panneggi, le linee del volto sono dure e suddividono le varie
parti del corpo, schematismo di retaggio bizantino, l’annunciazione con l’angelo ancora bizantino,
sembrano le figure del battistero degli ortodossi di Ravenna, nella natività la Madonna sta stesa tipo in una
grotta-tempio non una stalla, sta su un lenzuolo, il bambino sta in una sorta di sarcofago, intorno
all’incoronazione c’è il committente pontefice, San Pietro e San Paolo e San Francesco più piccolo rispetto
agli altri perché era ancora un santo recente, le figure sono piatte. Più complesso è il caso di Pietro
Cavallini (1273-1321) più giovane del Torriti. Esso lo ritroviamo a Santa Cecilia accanto ad Arnolfo dove
sopravvive un grande frammento del Giudizio Universale dipinto nella controfacciata. E' un affresco
importante e innovativo dove notiamo il convergere degli sguardi degli apostoli e l'inclinazione dei troni che
spinge lo sguardo verso il centro dove c'è il Giudice chiuso nella sua mandorla. I manti svelano la
disposizione delle membra mentre la cromia è estremamente sfumata con trapassi chiaroscurali. Cavallini è
un grandissimo pittore, un protagonista del revival proto-classico romano. In definitiva Giotto risulta un
riformatore più radicale e coerente del Cavallini. , nel secolo scorso furono trovati degli affreschi a Santa
Cecilia in Trastevere (dove c’è anche il ciborio di Arnolfo di Cambio) del giudizio universale: Gesù è seduto
su un trono marmoreo, sta in una mandorla circondato da angeli, anche se è vestito mostra i segni della
passione sanguinanti, la pittura è densa con dolci trapassi chiaroscurali, ai lati ci sono gli apostoli seduti su
stalli lignei, c’è una ricerca del volume e della prospettiva, sulla linea dello stile di Giotto, si intravede di più
l’anatomia sottostante e sono meno gonfie le vesti, la luce arriva da sinistra colpendo le vesti in maniera
forte, le parti in luce sono bianche, San Giacomo è simile a Cristo (è suo cugino), ha in mano una spada
simbolo del suo martirio, le pennellate sono sottili e fitti tratteggi e non chiazze, l’angelo ha un’acconciatura
alla bizantina con una sorta di cerchietto, le ali sono colorate e sfumate. Il Cavallini ha anche realizzato il
disegno dei mosaici con la storia della vita della Madonna a Santa Maria in Trastevere, sempre intorno al
1296, una scena raffigura la natività con Anna e la Madonna appena nata, la struttura del letto ricorda le
storie di Isacco di Assisi, da profondità alla stanza con colonne in prospettiva, non si raggiunge il rigore delle
strutture di Giotto infatti gli oggetti sopra il tavolo al centro sembrano scivolare, anche l’iconografia delle
figure ricorda le Madonne bizantine con il moaforeon a zig zag. L’annunciazione: l’angelo arriva in volo,
Maria si allontana un po’ spaventata, seduta su un trono ligneo e non marmoreo, caratteristica di Cavallini,
le bocche delle figure molto strette. Presentazione di Gesù al Tempio per la circoncisione: lui viene preso in
mano da Simeone con dietro la profetessa Anna (una vecchietta), le architetture sembrano dei giocattoli.

A Napoli intorno al 1308 fece la Cappella Brancaccio affrescata con scene della vita di San Giovanni
Evangelista e Sant’Andrea. La scena più nota è la crocifissione: ci sono 2 architetture sullo sfondo a cui
corrispondono San Domenico e San Pietro martire (sono santi domenicani, la cappella era domenicana), al
centro Gesù in croce con ai lati la Madonna e San Giovanni Evangelista, c’è il senso del volume, i trapassi
chiaroscurali dolci però le architetture sono piatte. Altra scena è l’Assunzione in cielo di San Giovanni
Evangelista: una luce meridiana colpisce le architetture mettendole in rilievo, c’è una sorta di altare che
ricorda molto quella della visione dei troni del ciclo AssisIale, si stava celebrando il suo funerale ma fu
assunto in cielo.
Più o meno contemporaneo di Duccio ma molto più moderno e rivoluzionario, fu GIOTTO, in questi anni
egli si sgancia totalmente alla tradizione bizantina di cui Duccio era ancora legato. Insieme a Cimabue fece
delle opere nella Basilica di Assisi, sotto il pontificato di Niccolò IV, tra il 1288-92, datazione proposta da
Bellosi in seguito confermata da un documento con la richiesta delle decorazioni e con la stessa
approvazione del Papa. Egli realizzò un ciclo di affreschi nella Basilica Superiore ad Assisi, con storie di San
Francesco. Affrescò le volte a crociera con un cielo azzurro, le stelle ed altri elementi decorativi (nel
transetto ci sono gli affreschi di Cimabue). Giotto introdusse le cornici architettoniche che incorniciano le
scene, sembrano delle finestre aperte, sono colonne con motivi cosmateschi che sostengono una sorta di
tettoia con sopra delle mensole, nella parte bassa ci sono dei tendaggi appesi. Pone molta attenzione alla
prospettiva la naturalezza delle scene, ad esempio nelle scene di San Francesco ricrea i luoghi in cui andò,
riproducendo alle architetture reali di Assisi. Non solo rappresentò il ciclo della vita di San Francesco ma
anche alcune scene della genesi nel pannello superiore, come la scena di Isacco ed Esaù: la scena si svolge
sempre dentro questo piccolo prospetto, il senso di profondità è ottenuto anche da dei bastoni che
sostengono la tenda che permettono di osservare la scena al loro interno, le parti illuminate delle vesti dei
personaggi vanno in contrasto con le zone in ombra creando un effetto seta, molto bruschi anche i passaggi
del volto, le ciocche di capelli sono raccolte in maniera schematica, le zone colpite dalla luce sembrano
superfici metalliche, i panneggi sono molto taglienti, il parapetto del letto è in legno riccamente decorato.

Fa parte delle opere giovanili, contemporanea alla scena di Esaù ed Isacco, è la 104Croce dipinta situata a

Santa Maria novella che anche qui rivoluziona l’iconografia classica: non è
presente la grande curva del corpo di Cristo ma cade morto in maniera più naturale, la mano non sta aperta
ma si richiude sul chiodo creando una zona d’ombra, la luce modula il corpo in maniera delicata, i trapassi
di luce e ombra sono molto lievi, le linee non nette, l’addome molto vero non è diviso in zone, il perizoma è
trasparente, le pieghe sono molto lievi, i dolenti ricordano le figure delle storie del ciclo superiore degli
affreschi di Assisi, lo sfondo è dorato, il velo della Madonna scende giù senza fare la testa tonda, non si
stringe al livello del collo ma è molto più naturale, i tabelloni laterali non presentano più storie.
Nelle opere viene aggiunta una terza dimensione, la profondità. Le figure non sono tutte accalcate al primo
piano ma abbiamo una prospettiva empirica ma non ancora scientifica, introduce ad una rappresentazione
più veritiera resa con giochi di luce ed ombre, la novità che introduce sono le scatole architettoniche, le
cornici, i drappi e le mensole che incorniciano le scene.

105 Ciclo delle storie di San Francesco. Nella prima scena abbiamo San Francesco rappresentato come un
giovane cavaliere che passeggia per le vie della città, quando un fedele vedendolo, porge il suo mantello
per farlo camminare al di sopra, sullo sfondo sono presenti monumenti realmente esistiti ad Assisi, è la
prima scena ma fu l’ultima ad essere realizzata. La prima scena in assoluto realizzata da Giotto (la seconda
in successione) fu quella in cui dona il mantello al povero, le rocce sullo sfondo ricordano le scene di Duccio,
lo sfondo non è oro ma azzurro ma non ancora atmosferico. Altra scena è il sogno del Palazzo con le armi: il
santo dorme su un letto a baldacchino (simile a quello di Isacco) e accanto c’è la rappresentazione del
sogno con questo palazzo con dei scudi e spade all’interno, sembra molto reale, le sue architetture
richiamano quelle gotiche e non sono astratte, particolare è la mano di Cristo scorciata che gli indica il
palazzo, le ombre mettono in risalto i particolari del polso e del palmo, la sua posa non è più a cucchiaio ma
molto naturale, le dita dell’altra mano sono flesse rese molto bene dalle luci e ombre. Altro affresco mostra
il dialogo con il crocifisso di San Damiano: San Francesco è all’interno di un edificio diroccato più piccolo
rispetto alla sua figura, sembra un modellino, questa è la chiesa che lui ricostruirà diventando la Chiesa di
San Damiano, si dilunga nella sua decorazione (Giotto rifarà anche il crocifisso portando anche qui delle
novità: è un Cristo Triumphans vivo con figure nei tabelloni laterali, non ha la curva ma è eretto). Altra
scena è la rinuncia agli averi: San Francesco si spoglia completamente in piazza, il padre Bernardone molto
arrabbiato vorrebbe colpirlo ma viene bloccato da un uomo dietro di se, il Vescovo copre il corpo nudo di
Francesco come ad approvare questa sua scelta, egli si denuda dei suoi averi terreni e del suo padre
terreno, per abbracciare il padre celeste nella sua semplicità così come lui lo ha creato, la scena è chiara e
lucida ma molto arcaica, anche se c’è un senso di profondità (non prospettiva), le architetture racchiudono i
vari gruppi distanziati come a voler simboleggiare la loro distanza, il corpo del santo è molto sfumato e
giovane. Andando avanti nel racconto c’è il sogno di Innocenzo III: sogna che la Chiesa stava crollando ma
fortunatamente venne sorretta da San Francesco, era una sorta di premonizione come se gli suggerisse di
accettare in futuro la regola proposta dai francescani, la Chiesa è la rappresentazione della Basilica di San
Giovanni in Laterano del tempo, egli è rappresentato con tutti i paramenti da vescovo (per farlo
riconoscere). Altra scena è l’approvazione della regola: siamo all’interno di una stanza riccamente decorata
con delle tende con un motivo floreale (una sorta di carta da parati del tempo), grossi menzioni si
protendono verso lo spettatore e sostengono le volte, il Papa su un trono accetta e benedice la regola di
San Francesco, la scena è investita dalla luce proveniente da destra che riflette il bianco delle vesti dei
vescovi, i gruppi di persone in tralice danno l’idea di profondità. Altro racconto è la visione da parte di dei
francescani di San Francesco mentre galoppa nel cielo su un carro di fuoco circondato da luce: l'evento è
narrato nella Legenda Maior scritta da Bonaventura da Bagnoregio intorno al 1263, le figure che osservano
la scena stanno sotto una architettura che non fa più da sfondo ma è parte integrante della scena, ci sono
delle ombre. La scena successiva è la visione dei troni: un frate vede nel cielo i troni lasciati dagli angeli
ribelli, uno di questi è più grande degli altri ed è destinato a San Francesco rappresentato a lato mentre
prega presso un altare, non c’è una prospettiva unitaria, ma si cerca di dare profondità. Altra scena
rappresenta la cacciata dei diavoli dalla città di Arezzo: San Francesco è inginocchiato e con la preghiera
esorcizza la città che sembra un modellino, una fonte di luce da destra crea un senso del volume, le mura
sono decorate e possenti, alla nostra sinistra si scorge l’abside del Pieve di Santa Maria di Arezzo, realmente
esistito. Il racconto continua con l’episodio in cui San Francesco va dal Sultano d’Oriente per convertirlo: in
un primo momento viene bastonato poi però lo lascia parlare perché è incuriosito, per metterlo alla prova
lo sfida dicendo di attraversare il fuoco, i suoi sacerdoti fuggono ma lui resta ed attraversa, la scena
rappresenta questo momento cruciale, le architetture sono molto dettagliate, la volta è cassettonata, il
sultano sta su un trono con un drappo rosso, il tutto è occidentale l’unica cosa orientaleggiante è la veste
del sultano. Altra scena è l’estasi di San Francesco mentre si eleva da terra in questo dialogo con dio, è
osservato da altri frati. Andando avanti c’è una scena ambientata dietro il tramezzo riservato al clero in cui
San Francesco costruì un presepe: lì la notte di Natale comparve la statuetta di Gesù bambino appoggiata
dal santo vestito da diacono, il ciborio è simile a quello di Arnolfo di Cambio, l’aspetto interessante è vedere
il retro della croce dipinta attaccata con una corda ad una struttura in legno molto dettagliata, nella scena la
profondità è suggerita dalle architetture colpite dalla luce, le figure dei cantori e dei diaconi che assistono
alla messa hanno le bocche aperte perché cantano, altre figure osservano la scena. A seguire il miracolo
dell’assetato: durante un pellegrinaggio mancava l’acqua, allora Francesco prega e compare una sorgente, il
santo è inginocchiato (ricorda Gesù nell’orto dei Gezzemani, infatti porta le stigmati), la luce proviene
dall’alto e colpisce le superfici delle rocce, vi sono altre due figure che assistono e un asino con le briglie e la
sella molto dettagliato. La predica agli uccelli è una delle scene più famose (la natura nel medioevo era
considerata una nemica da domare), non ci sono architetture ma piante dal fogliame morbido, i passaggi
chiaroscurali sono morbidi, ci sono dei volatili oggi però rovinati, il santo è piegato, ha l'aureola con dei
raggi un po’ in rilievo. Morte del cavaliere di Cerano: la storia narra che il santo fu invitato a pranzo dal
cavaliere perché si sentiva di stare per morire e voleva confessarsi, infatti lo confessa e muore: sembrano
sopra un terrazzino con decorazioni cosmatesche, una balaustra suggerisce uno spazio più ampio, altre
figure circondano il morto. Altra scena è la predica davanti a Papa Onofrio III: le colonne cadono davanti
alle figure viste in tralice, ci sono delle bifore in alto, il Papa ha in testa la tiara pontificia e il pallio rosso e
siede su un trono con gradini in stile cosmatesco, San Francesco fa un gesto particolare forse indica se
stesso, il Papa con la mano al mento riflette e ascolta, la figura alla sua destra con la mano aperta sta
parlando. Altra scena è l’apparizione di San Francesco durante il capitolo di Arles, riunione annuale in cui
tutti i frati si riunivano per parlare di certe questioni: le figure si trovano dentro una sala capitolare di un
convento con arconi con bifore cuspidate, un portale incornicia il santo che, come Padre Pio, ha il dono
dell’ubiquità (poteva stare in due luoghi contemporaneamente), nella scena è presente un altro santo (ha
anche lui l’aureola) ed è Sant'Antonio da Padova che stava parlando in piedi e le altre figure ascoltavano,
sono raffigurate in tralice, indossano dei sai ben dettagliati con pieghe. Altra scena è la Scena delle
stigmate: Cristo è serafino con delle ali angeliche, sembra in croce, dalle cui braccia e piedi partono raggi
che colpiscono il corpo di Francesco e riportano le ferite, il santo si era ritirato a Laverna per un
pellegrinaggio insieme ad un altro frate rappresentato alla nostra destra, si nota dietro di lui una piccola
chiesa, l’episodio è molto importante perché da questo momento lo chiameranno l’Alter Cristus, aveva lo
stesso sigillo di Cristo. Scena successiva è la morte del santo: la sua animula sale in cielo sorretta dagli angeli
di tradizione bizantina, i frati compiangono il suo corpo morto che sta su una tavola di legno (importante,
veniva considerata come una reliquia), assomiglia alla scena di Cristo morto. Frate Agostino e il vescovo di
Assisi prima di morire hanno la visione di San Francesco, sono due scene diverse rappresentate insieme, le
due architetture diverse sottolineano questa divisione, il santo non è rappresentato ma è sottinteso, il frate
ha le mani alzate come per andare verso il santo. Dopo abbiamo la scena dell’accertazione delle stigmate
dopo la morte di San Francesco, c’è un laico che tocca la ferita nel costato, altri due laici sostengono due
ceri, l'architettura simile ad una mensola sostiene un’immagine della Madonna con il bambino, una statua
di San Michele arcangelo e al centro il crocifisso, sembra esserci un chiaro riferimento alla Basilica superiore
di Assisi, forse erano presenti questi elementi nella chiesa dove morì il santo o vi erano questi elementi ai
tempi di Giotto. Altra scena mostra il compianto delle clarisse: il corpo di San Francesco viene portato verso
il cimitero per essere sepolto su una sorta di lettiga, nel tragitto si ferma davanti ad un edificio dove stavano
le clarisse, Santa Chiara in primo piano va a toccare il corpo del santo morto, ricordo del compianto sul
Cristo morto, come narrato nelle vite dei santi era come un giorno di festa perché veniva accolto in
paradiso, infatti le clarisse anche se erano di clausura escono, c’è una folla trepidante, sullo sfondo un
giovinetto sale su un albero per raccogliere un ramo (come l’entrata a Gerusalemme di Cristo). Altra scena
anche se molto rovinata è la canonizzazione avvenuta due anni dopo la morte, nel 1228: tutti guardano in
alto perché probabilmente si stavano leggendo i miracoli e gli eventi della vita del santo, al centro c’è una
sorta di altare dove probabilmente sotto vi era seppellito il corpo del santo. Altra scena rappresenta
l’apparizione a Gregorio IX: l’ambiente ha una sua profondità per via della luce, delle linee diagonali e il
drappo sospeso in aria sostenuto da delle corde, il Papa dubitava dell’esistenza delle stigmate di San
Francesco allora lui gli appare e gli da una ampolla con il sangue che sgorgava dalle sue ferite, nella scena
sono presenti altre figure presenti, una dorme, altre parlano fra se e un altro fa il rosario. Da qui ci sono le
ultime tre scene, le più importanti perché sono i miracoli post-mortem, ciò significava che il santo era in
paradiso e godeva della grazia divina. Il primo miracolo è la guarigione di un malato spagnolo: i medici sulla
sinistra vanno via scoraggiati perché non sanno più cosa fare, allora il santo interviene e lo salva, le figure
sono più esili, le architetture più sottili per questo si pensa sia stata fatta da maestri diversi, l’impaginazione
generale e alcune figure è propria di Giotto quindi comunque lui ha diretto i lavori, è una maturazione del
suo stile. Il secondo miracolo è la confessione della donna di Benevento: stava per morire senza
confessione, allora San Francesco interviene e lo comunica a Gesù (particolare in alto a sinistra) che manda
un frate per confessarla quando altre figure erano pronte a celebrare l’esequie, in alto un angelo scaccia via
il diavolo pronto a prendere la sua anima. L’ultima scena è la liberazione di Pietro di Alife: era stato
imprigionato ingiustamente allora, sempre per l’intercessione di San Francesco chiesta dal vescovo, egli
venne liberato; le architetture sono molto esili e fantasiose, una colonna è percorsa da un bassorilievi.
Sempre ad Assisi un giovane Giotto realizzò altre due scene, una rappresenta Isacco che sta dando la
benedizione a Giacobbe e l’altra è Isacco che respinge Esaù.

In controfacciata egli realizzò una Madonna in un cerchio con in braccio Gesù bambino che la guarda e
sorride, è una Madonna molto diversa a quella della tradizione bizantina e a quella di Duccio perché più
corpulenta, occupa uno spazio all’interno del cerchio, ha un velo sottile da cui si intravede la cuffia
sottostante, il naso non è sfuggente, il volto è rotondo, una forte luce e conseguente ombra mette in risalto
il mento e il collo, le mani afferrano realmente il corpo del bimbo non più a cucchiaio e affusolate.

Attribuita a Giotto è la così detta Volta dei quattro Dottori della Chiesa d’Occidente, oggi rovinata: vi sono
dei troni architettonici di forma particolare che si adattano all’angusto spazio triangolare della volta, vi è
una cura particolare per i dettagli, le mani afferrano realmente gli oggetti, le vesti fasciano i corpi, i
panneggi hanno pieghe taglienti tipiche del giovane Giotto.
Tra le opere giovanili ricordiamo 106la Madonna della chiesa di San Giorgio alla Costa
che purtroppo è stata tagliata da un lato: la vergine siede su un trono marmoreo con decorazioni
cosmatesche ricoperto da un drappo tenuto alle spalle da due angeli, la vergine mantiene i tratti bizantini
come il velo sopra la testa e la cuffia sottostante ma il volto è pieno e naturale, la posizione del bambino è
più arcaica rispetto a quella di Assisi, è frontale e benedicente. Altro dipinto su tavola è il 107 Polittico di

Badia Fiorentina , realizzato a ridosso del ciclo di Assisi intorno al


1295, oggi è molto rovinato perché tra le varie opere di restaurazione e la sporcizia, la superficie dorata si è
indebolita: le figure sono all’interno di archi da cui sembrano affacciarsi, c’è l’idea del volume nello spazio e
della massa corporea, le vesti non fasciano il corpo, Giotto guarda la realtà e la rappresenta, la Madonna ha
una veste azzurrina con un mantello blu, il mafoneon è sostituito da un leggero velo trasparente, non
sembra esserci una cuffia sottostante ma i capelli sono comunque raccolti in una acconciatura, San Pietro
alla sinistra della vergine ha una sorta di pallio rigido, partendo dalla nostra estrema sinistra per andare
verso destra troviamo San Nicola, San Giovanni Evangelista, la Madonna, San Pietro e un santo
Benedettino.

Giotto realizzò intorno al 1303-05 anche il 108ciclo di affreschi della Cappella degli Scrovegni a Padova
(vedere libro giotto), è una cappella funeraria voluta da Enrico Scrovegni per la sua sepoltura, è ad aula
unica con una volta a botte ed è intitolata alla Vergine Annunziata, gli affreschi si trovano in dei riquadri
suddivisi da cornici con decorazioni cosmatesche e quadripoli con figure minori, il tutto suddiviso in tre
ordini: nella parte bassa scompare l’idea di decorazioni con drappi appesi (come ad Assisi), ma viene
sostituita da delle specchiare marmoree dipinte che simulano un marmo vero, inframmezzate da allegorie
che rappresentano le virtù e i vizzi, in contro-facciata (dove c’è la porta d’ingresso) vi è il giudizio universale
come da prassi. Per rendere il tutto più armonioso e unitario nonostante l’asimmetria della struttura (ci
sono finestre solo su un lato), Giotto ha preso la distanza tra due finestre, l’ha divisa in due creando due
rettangoli, ed ha utilizzato le dimensioni di un rettangolo come dimensione per tutti i pannelli affrescati.
Sull’abside abbiamo il monumento sepolcrale di Enrico con su una scultura di Giovanni Pisano. Osservando
dall’entrata verso l’interno dell'abside vi è una piccola volta a botte dove alla base sono rappresentati due
“Coretti” dipinti che riescono ad ingrandire otticamente la struttura, al loro interno vi è un lampadario ed
una grande finestra da cui entra la luce, sopra del quale andando verso l’alto, vi sono delle scene che
narrano storie dell’infanzia della Vergine, mentre nell’arco terminale la scena principale con
l’annunciazione in cui Dio che ordina all’arcangelo di annunciare a Maria della nascita di Gesù, questo
complesso di affreschi apre il ciclo, il tutto narrato nei vangeli apocrifi. La prima scena nelle pareti è la
cacciata di Gioacchino dal Tempio: il sacerdote non ebbe figli e questa era considerata una punizione
divina e così fu cacciato, il Tempio è rappresentato come un ciborio con sopra un altare, la pittura è più
morbida, le ombreggiature sono molto sfumate, i passaggi sono graduali e le scene solenni, le scene sono
meno piene di dettagli forse per il poco spazio, a differenza di quelli di Assisi gli affreschi sono meno
taglienti e più smussati, c’è un certo equilibrio e serenità. Scena successiva c’è Gioacchino che si ritira con i
pastori che si guardano tra loro sorpresi: è di profilo compresa l’aureola che non è circolare ma ovale, il
paesaggio è rurale, le rocce sono meno brillanti rispetto a quelle di Assisi. Altra scena contemporanea è
l’Annunciazione alla moglie Anna da parte di un angelo, la donna è anziana con la pelle del viso pallida, ha
un velo trasparente sulla testa in cui si può intravedere l’acconciatura sottostante, l’edificio è schiacciato in
cui si può vedere una scala esterna molto ripida che da ad un terrazzino, un’inserviente fuori dalla sua
stanza sta filando, le vesti rivelano un corpo sottostante. Nella scena successiva vediamo un angelo che
appare in sogno a Gioacchino che gli dice di fare un sacrificio per auspicare la grazia di un figlio, dietro di lui
c’è una capanna, l’angelo ha i capelli svolazzanti, uno scettro con tre punte di tradizione bizantina e
l’aureola ovale. Dopo c’è Gioacchino che fa un sacrificio aiutato da un pastore, nella scena è presente un
angelo, dall’alto esce una mano (rappresenta Dio) che ascolta la richiesta di Gioacchino. Successivamente
Gioacchino incontra Anna alla porta Aurea di Gerusalemme, lei lo aggiorna sulla visione che ha avuto e i
due si abbracciano e si baciano, è il momento legato al concepimento di Maria, altre donne assistono alla
scena su un ponticello. La natività di Maria è nello stesso luogo dell’annunciazione, Anna sta su un letto e
riceve la bambina, dietro delle donne che portano il puerbero (il cibo), in basso le ostetriche che lavano e
fasciano la bambina, le proporzioni non sono esatte perché il riquadro era piccolo e Giotto non poteva fare
elementi troppo piccoli altrimenti non era possibile vederli da lontano. Scena successiva è Maria che viene
portata al Tempio, intorno a loro altre figure assistono alla scena, il tono è solenne, le architetture ospitano
le figure, salgono nove gradini, le pieghe non sono più taglienti, Maria ha una veste bianca simbolo di
purezza. Dopo abbiamo la scena in cui il sacerdote consegna a ciascun pretendente di Maria un bastone,
chi fosse riuscito a farlo fiorire avrebbe sposato la donna, il sacerdote sta dietro un altare dentro
un’architettura. Nella scena dopo vediamo tutti i pretendenti inginocchiati rivolti verso l’altare con i
bastoni, insieme a Maria e il sacerdote. Dopo abbiamo il giorno del matrimonio con Maria vestita di bianco
seguita dalle sue accompagnatrici, Giuseppe la precede, a lato delle figure suonano vari strumenti. Dopo il
matrimonio, Giuseppe e Maria sono rappresentati di profilo uno difronte all’altro, Maria è vestita con
vestiti del tempo, lui tiene in mano un giglio. A seguire ci sono gli affreschi dell’arco (dove ci sono i Coretti)
con al centro (in corrispondenza della chiave dell’arco) l’Annunciazione: Dio da un giglio all’arcangelo con il
compito di scendere sulla Terra e annunciare a Maria la nascita di Gesù, sono circondati da una schiera di
angeli, la scena sta su una sorta di mensola, sostenuta da delle strutture architettoniche, dei drappi spostati
permettono di vedere la scena. Scendendo in corrispondenza dei piedritti dell’arco c’è a sinistra l’arcangelo
Gabriele che da l’annuncio e a destra Maria inginocchiata che riceve la notizia, le braccia sono incrociate sul
petto come a voler accettare la volontà di Dio, è investita da una luce che viene dall’alto, anche qui c’è una
tenda sostenuta da dei cerchiolini che permettono di osservare la scena. La storia procede con l’incontro
tra Maria ed Elisabetta anche lei incinta del Battista, dietro c’è la casa della cugina con delle colonne
decorate a risaie, le vesti sono di tessuto spesso che vanno ad ammucchiarsi sul suolo. Poi abbiamo la
natività: la Madonna è sdraiata su un fianco come a voler mettere il bambino su una sorta di mangiatoia di
legno, appoggiato ad esso c’è San Giuseppe che dorme, di fianco il bue e l’asinello, il tutto sta sotto una
misera capanna di legno, al di sopra vi sono degli angeli che contemporaneamente annunciano ai pastori
l’evento. Dopo c’è l’arrivo dei Magi: la Madonna qui è seduta con il moaforeon in testa, un angelo tiene
uno dei loro doni, i tre Magi (nelle tre età dell’uomo) sono accompagnati da inservienti che tengono i
cammelli, le vesti sono pesanti e voluminose che non lasciano intravedere un corpo sottostante, la stella
cometa è rappresentata più come un meteorite nel cielo buio. Successivamente abbiamo la presentazione
al Tempio di Gesù per la circoncisione, Maria e Giuseppe portano in dono delle colombe, il Tempio è
sintetizzato con un altare sormontato da un ciborio, Simeone con una barba fluente tiene il bambino che
con il braccio cerca la madre che gli va incontro. Dopo abbiamo la fuga in Egitto, è una scena solenne,
nonostante la Madonna sia rappresentata di profilo su un asino, tiene in braccio il bambino con una sorta di
fascia, una montagna si erge dietro di loro, davanti a loro Giuseppe guida l’asino, intorno a loro altre figure
e in alto un angelo. Dopo c’è la strage degli innocenti, sullo sfondo si scorgono due edifici a pianta centrale
da cui (su quello di sinistra) esce Erode che comanda la strage, le madri sulla destra si battono per i loro
figli, al centro dei boia uccidono i bambini, sulla sinistra una figura scappa per non vedere la scena.
Successivamente abbiamo Cristo tra i dottori della legge: Giuseppe e Maria vanno a Gerusalemme per il
censimento ma perdono Gesù, lo ritrovano al Tempio a conversare sapientemente con i dottori nonostante
la giovane età, il tempio ha delle esedre (sorte di absidi che si aprono sulle pareti), la scena è leggermente
decentrata verso destra infatti le figure su questo lato sono viste più in prospettiva e di profilo rispetto a
quelle più frontali del lato opposto, ovvero Giuseppe e Maria. La storia prosegue con il battesimo di Gesù,
immerso nudo nelle acque la quale sembrano salire verso l’alto (come si faceva nelle opere bizantine), dal
cielo compare Dio come detto nel vangelo, sulla destra i primi due apostoli che lo seguiranno dopo l’evento,
degli angeli tengono le vesti che dopo si metterà, sembra che tutto si sia congelato in quell’istante. Dopo ci
sono le Nozze di Canaan con il banchetto degli sposi al centro, Gesù è raffigurato di profilo sulla sinistra,
importante è la figura della Madonna messa in risalto dalla sua aureola scintillante (sarà lei ad incitare Gesù
a compire il suo primo miracolo—> la trasformazione dell’acqua in vino), il tavolo è in prospettiva come lo
sono gli oggetti verosimilmente posti sopra, sulla destra ci sono 7 otri piene d’acqua, la scena si svolge in
una sorta di cortile, in alto si scorge un balconcino riccamente decorato suggerendo una profondità. Dopo
c’è la resurrezione di Lazzaro: Gesù è raffigurato di profilo con la mano alzata con gli apostoli dietro di lui,
Lazzaro è già mummificato perché, da quanto detto nel Vangelo, già morto da tre giorni (la pelle è molto
pallida ed emana un cattivo odore infatti le donne dietro di lui si coprono il naso), due inservienti hanno
spostato la copertura della tomba, la folla ha le mani alzate in segno di stupore, Maria e Marta si prostrano
ai piedi di Gesù, la roccia sullo sfondo rimanda al volto di Gesù. Successivamente abbiamo la cacciata dei
mercanti dal Tempio maestoso con tre ingressi sormontati da cuspidi, in primo piano abbiamo Gesù che
per via di un attacco di rabbia rovescia un tavolino davanti a lui e una gabbia da cui fuoriescono gli animali e
sta per colpire il mercante con pugno, nonostante la caoticità della situazione la sua postura è solenne.
Altra scena è l’entrata a Gerusalemme su un asino seguito dagli apostoli a piedi per festeggiare la pasqua
ebraica (è molto simile alla scena di Duccio), sullo sfondo ci sono dei bambini che si arrampicano sugli alberi
per vedere meglio la scena, altri si levano e poggiano il mantello per far camminare sopra l’asino,
sull’estrema destra si scorge la porta della città con due maestose torri. Successivamente c’è l’ultima cena
con tutti e 12 gli apostoli, le loro aureole sono scure perché molto probabilmente erano d’argento mentre
quella di Gesù è dorata, le figure rappresentate di spalle hanno l’aureola come se fosse davanti al volto, in
modo da poterci far apprezzare i dettagli del volto e dei capelli, alcuni parlano tra loro, altri guardano Gesù
abbracciato da Giovanni, l’architettura che racchiude la scena è leggiadra, vi sono delle finestre aperte da
cui si intravede il cielo, le figure sono corpulente e massicce, siedono sulle panche. Nella lavanda dei piedi
Gesù è inginocchiato con una mano alzata come se stesse parlando, delle inservienti gli porgono la brocca
con l’acqua, Pietro sta per farsi lavare i piedi, l’ambiente è lo stesso dell’ultima cena. Dopo c’è la scena del
tradimento, è molto caotica, al centro c’è Giuda dal volto imbruttito che abbraccia Gesù dal volto solenne e
corrucciato, lo fissa negli occhi, intorno a lui si scorgono elmetti con delle lance e delle fiaccole accese
(quindi è notte), c’è un sacerdote del Tempio con lo scialle in testa e un corno, un altro afferma un apostolo
che sta scappando, mentre Pietro taglia l’orecchio ad una figura. Dopo c’è Gesù che viene portato davanti
a Caifa con le mani legate, un soldato dietro è pronto a colpirlo, Caifa si sta slacciando le vesti ed indica ira,
la stanza è opprimente, il soffitto è ligneo e scuro illuminato dalle fiaccole accese, non c’è più il soffitto
chiaro e arioso delle volte. Nella scena successiva c’è Cristo vestito con una veste da re e la corona di spine
posto davanti a Pilato che parla con i sacerdoti del Tempio, i soldati lo deridono, si trovano nel refettorio di
Pilato. Dopo c’è la via del calvario, Gesù porta la croce, si scorge lo stesso edificio che lo ha accolto per la
domenica delle palme, lì incontra la madre che lo osserva straziata dal dolore. Dopo si passa alla
Crocifissione, il corpo nudo di Cristo è molto chiaro e con pochi passaggi chiaroscurali, la veste è
trasparente, il legno è descritto in tutte le sue venature, sotto la croce vi sono le ossa di Adamo, ai suoi
piedi c’è la Maddalena con i capelli sciolti in segno di dolore mentre tocca i piedi di Gesù, sulla sinistra c’è lo
svenimento di Maria sostenuta da Giovanni e una donna, sulla destra c’è Longino con la lancia, il
Centurione con l’aureola perché dopo la morte di Cristo si convertirà, i soldati si giocano la veste rossa, in
alto gli angeli si strappano le vesti per l’ira e il dolore, altri hanno una coppa in mano perché prendono il
sangue di Gesù. Dopo c’è il compianto su una collina che scende dolcemente verso l’abbraccio della
Madonna che tiene sulla ginocchia il corpo di Gesù morto, la Maddalena con i capelli sciolti tiene i piedi di
Gesù, nella scena c’è anche Giovanni, le pie donne piangenti, gli angeli in cielo, Giuseppe d’Arimatea (colui
che offre la sua tomba per Cristo, tiene sulle spalle la veste che lo coprirà, la sindone) e Nicodemo hanno le
aureole. Poi c’è la scena del “Noli me tangere”, in cui la Maddalena incontra Gesù e non lo riconosce, i
soldati addormentati da un lato, gli angeli seduti sopra la tomba. Dopo c’è l’ascensione dentro una
mandorla con delle nuvolette e degli angeli tutt’intorno, al di sotto gli apostoli e la Madonna. Dopo c’è la
Pentecoste dentro una struttura gotica, ci sono tutti gli apostoli riuniti nel cenacolo con le linguette di fuoco
sopra le loro teste. In controfacciata c’è il giudizio universale, al centro c’è Gesù dentro una mandorla, al di
sotto ci sono degli angeli che sorreggono la croce, sopra ci sono delle schiere di angeli, al livello di Cristo ci
sono gli apostoli seduti su delle panche e al di sotto gli eletti da una parte e dall’altra i dannati, al centro vi è
Enrico Scrovegni, mentre dona alla Vergine affiancata da altre due sante, il modellino della cappella.

Dopo Padova, Giotto si reca a Rimini per realizzare 109gli affreschi del Tempio Malatestiano, non resta più
nulla se non una croce dipinta e la scuola di pittori riminesi che rimasero colpiti dalle sue innovazioni e
decisero di seguirle. Nella croce mancano i tabelloni laterali con i due dolenti, il Cristo è più esile a
assottigliato e con una compattezza maggiore, restano le sue innovazioni come il lieve passaggio
chiaroscurale sopratutto nei i muscoli.

Dopo Rimini, Giotto ritorna ad Assisi e poco prima del 1309 affresca la Cappella della
Maddalena nella Basilica Inferiore, il committente è il vescovo Teobaldo Pontano raffigurato con il suo
stemma (un ponte), era molto devoto alla santa infatti le dedica la cappella, pagando un contributo volle
farsi seppellire dentro la basilica in modo da assicurarsi il paradiso. Il committente è raffigurato due volte in
riquadri differenti: in uno compare inginocchiato vestito da penitente mentre si aggrappa alla mano della
Maddalena vestita di rosso per chiedere l’entrata in paradiso, in un altro (sempre per lo stesso motivo) è
rappresentato con il vescovo Rufino, santo vescovo protettore di Assisi, questa volta vestito con gli abiti
vescovili. Nel ciclo ci sono scene tratte dal vangelo e dalla legenda aurea, in cui era presente la Maddalena.
Una di queste è la cena a casa del fariseo: la tavola è imbandita, Gesù siede su una sedia di legno
riccamente decorata, vi è anche San Pietro e San Giovanni evangelista, degli inservienti portano le vivande,
tutti stanno sotto una struttura resa in prospettiva sostenuta da costoloni in legno e intarsi in marmo con
motivi cosmateschi, la Maddalena ha i capelli sciolti ed è vestita di rosso (è una prostituta), piange perché si
è pentita dei suoi peccati, sta inginocchiata mentre bacia i piedi di Gesù, ha già l’aureola, il fariseo guarda la
scena perplesso. Altra scena è la resurrezione di Lazzaro: Cristo è al centro con il braccio alzato, Lazzaro
(ancora avvolto nelle fasce) viene svestito da delle figure mentre si coprono il volto per la puzza, ai piedi di
Cristo inginocchiate ci sono Marta e Maria Maddalena, sorelle del miracolato, le vesti non fasciano i corpi
ma sono voluminose, l’aureola è ovalizzata, la bocca di Cristo è socchiusa perché sta parlando. Altra scena è
l’incontro tra la Maddalena e Gesù il giorno della resurrezione ovvero la scena del “Noli me tangere”, le
figure sono molto più morbide rispetto a quella della Cappella degli Scrovegni. Poi iniziano le storie tratte
dalle legenda aurea, si dice che la Maddalena, Marta, Lazzaro, Massimino che diventa vescovo dopo la
confessione e un’altra figura, furono messi su una nave senza remi né vele e furono lasciati alla deriva (era
il periodo delle persecuzioni), furono miracolati arrivando sani e salvi in Provenza in Francia e li predicarono
il verbo di Dio (infatti le loro spoglie si trovano li), la Maddalena si stabili a Le Bon per seguire una vita
eremitica. Infatti in una scena è rappresenta dentro un atrio roccioso di una montagna, ha i capelli sciolti, è
completamente nuda perché con il tempo le vesti si sono logorate, un santo eremita con l’aureola le offre
una veste nuova. Altra scena è l’estasi della santa: secondo la tradizione ogni giorno lievitava in cielo e
pregava con gli angeli, è nuda coperta dai suoi capelli, questa scena è collocata in un cuspide, nella parte
alta della parete. Altra scena la rappresenta mentre viene portata dal vescovo Massimino per darle l’ultima
comunione.
Intorno al 1310 Giotto affrescò con l’aiuto del Parente di Giotto (forse identificabile con il pittore Stefano
Fiorentino) e il così detto Maestro delle Vele (altro pittore umbro) la volta, il transetto destro e le vele della
Basilica Inferiore di Assisi. Una di queste scene è la Visitazione, che rispetto alle altre raffigurazioni, ha una
fisionomia diversa ma sempre di una certa qualità (data la continua richiesta di opere, Giotto non poteva
farle tutte, sicuramente è stata fatta dalla sua bottega). A seguire vi è la natività: la Madonna è sdraiata,
dietro il bambino con dietro il bue e l’asinello, il tutto sta in una mangiatoia (novità portata da Giotto), li
vicino c’è San Giuseppe che riposa e le ostetriche, in altro ci sono gli angeli che annunciano l’evento ai
pastori, altri guardano la stella cometa, un raggio di luce (che rappresenta Dio) investe il bambino. Altra
scena è l’arrivo dei Magi: da un lato è possibile vedere la mangiatoia, ma la Madonna con il bambino stanno
su un trono sotto un’architettura con decorazioni cosmatesche circondata da angeli, il magio più vecchio si
inginocchia al nascituro (si è tolto la corona poggiata di fianco a lui), altri guardano la scena mentre parlano
fra di loro, dietro di loro figure portano i loro cammelli. Dopo abbiamo la presentazione al Tempio,
l’ambiente descrive una chiesa gotica vista frontalmente, le volte sono a crociera decorate di blu, è
possibile vedere il vano del presbiterio, vi è Simeone e la profetessa Anna con il cartiglio srotolato in mano,
la Madonna protende le mani verso il bambino, il così detto Parente di Giotto ha realizzato le figure con
degli occhi grandi. Dopo c’è la fuga in Egitto: la Madonna sta su un asino con il bambino annodato in una
sorta di marsupio, sullo sfondo una palma ricurva che, come narrato nei vangeli apocrifi, si piegò per offrire
i suoi frutti al bambino, la Madonna è più sorridente e meno rigida rispetto a quella degli Scrovegni, il che la
rende più terrena. A seguire abbiamo la strage degli innocenti sviluppata in più piani: nel primo abbiamo le
madri che piangono i corpi dei loro bambini morti, dopo ci sono i boia che strappano e uccidono i bambini
dalle loro madri, dietro dei soldati e sopra una architettura Erode mentre ordina il malfatto, le donne hanno
i capelli sciolti e si strappano le vesti, come nella Scrovegni si scorge una figura che si allontana raffigurata
di spalle. Dopo c’è la scena in cui Giuseppe e Maria vanno con Gesù verso Gerusalemme per il censimento,
atteggiamento molto dolce di Maria che guarda il bambino, molto quotidiana, dietro vi è una dettagliata
descrizione delle architetture della città. Dopo c’è il ritrovamento di Gesù nel Tempio mentre discute con i
dottori della legge, l’edificio ricorda un edifico gotico del tempio, è una sorta di volta cassettonata
sostenuta da volte a crociera, la scena è rigidamente frontale, sicuramente è del Maestro delle Vele perché
i volti sono sgranati. Poi c’è la crocifissione, il corpo di Cristo è latteo con tutti i segni dei flagelli che ha
subito, gli occhi sono socchiusi, ai suoi piedi ci sono tre francescani (probabilmente dei ritratti perché molto
dettagliati e diversi fra di loro), due di loro hanno l’aureola quindi molto probabilmente sono San Francesco
e Sant’Antonio da Padova insieme ad un altro frate del tempo, Maria Maddalena bacia i piedi di Cristo, San
Giovanni Evangelista trattiene un pianto, una pia donna dietro di lui grida dal dolore, di fianco lo
svenimento di Maria. Dopo ci sono i miracoli avvenuti post mortem in cui Francesco compare in volo, in un
pannello viene spiegata la storia—> per via del crollo di una struttura un bambino rimase ferito, ma grazie
all’intervento del santo (pannello successivo), lo guarisce.
Oltre queste scene nel transetto destro, la bottega affresca le vele della campata sopra l’altare
probabilmente fatte dal Maestro delle Vele e dal Parente di Giotto (Stefano Fiorentino): le così dette
“Allegorie francescane”. Probabilmente fatta dal Parente di Giotto, è il matrimonio tra San Francesco e la
personificazione della Povertà celebrato da Gesù: Paupertas è rattoppata, ai suoi piedi ci sono dei rovi, di
fianco a Francesco vi sono degli angeli stupiti, dall’altra parte ci sono le personificazione della Speranza,
forse della Carità (ci sono delle scritte), altri angeli e giovani fuggono da questa scelta, altri tengono stretti i
sacchetti con il denaro, al centro di ragazzetti lanciano dei sassi agli sposi, mentre in alto degli angeli
portano in dono a Dio i simboli delle ricchezze terrene, un palazzo ed un ricco abito. Altra scena è l’allegoria
della Castitas (era necessario mettere delle scritte perché data la presenta di molte allegorie, era necessaria
una spiegazione), questa è rappresentata su una torre affiancata da angeli che portano doni, al di sotto vi
sono varie allegorie, come la Forza (le allegorie delle virtù sono raffigurate con le aureole poligonali), ci
sono anche persone che fanno una sorta di battesimo (simbolo di purezza), a lato c’è San Francesco (ha le
stigmate) mentre accoglie altri fedeli che aderiscono alla regola, questi rappresentano i tre ordini (clarisse,
l’ordine maschile e i laici che vivevano la loro vita in famiglia ma seguivano la regola). Più deboli sono le
scene fatte dal Maestro delle Vele, come l’Esaltazione di San Francesco: si trova in Paradiso affiancato dagli
angeli, è rappresentato su un trono lussuoso con un saio d’oro, nonostante lui predicasse la povertà. L’altra
allegoria è quella dell’Obbedienza mentre fa cenno di silenzio, è affiancata da altre due allegorie con
l’aureola poligonale e stanno sotto una architettura meno convincente rispetto alle altre della Bottega
giottesca, al di sopra vi è San Francesco affiancato da angeli, sembra essere mosso da Dio.
Giotto in generale non fa solo affreschi, ma anche dipinti su tavola: oltre a quello nel Louvre, la Croce di
Santa Maria novella, La Madonna di San Giorgio alla Cosa, la croce di Padova, la Maestà di Ogni Santi,
rappresenta la Dormitio Verginis a Berlino, realizzata intorno al 1310, rappresenta la morte della Madonna
posta in un sarcofago sostenuto da angeli, nella scena vi sono anche San Pietro e Giovanni, al centro sotto
la cuspide vi è Gesù che tiene l’animula della madre da cui partano tutte le teste delle altre figure, la scena
è vista leggermente da sinistra, c’è l’idea di rompere le simmetrie di epoca bizantina tutta sul primo piano,
si suggerisce la profondità.

Polittico Stefaneschi, parte anteriore realizzato intorno al 1320, fu


commissionato per l’altare maggiore di San Pietro, perché prima di essere fatto in età barocca era di stile
paleocristiano: ha davanti il Cristo in trono, a destra il martirio di San Paolo e a sinistra quello di San Pietro
con riferimenti topografici precisi (una la basilica e l’altra il santuario di San Paolo alle tre fontane), il
committente viene rappresentato sia nella parte frontale vestito da penitente ai piedi del trono di Cristo,

sia sul retro dove vi è raffigurato San Pietro in cattedra


(successore di Gesù e primo Papa), affiancato da due angeli, santi papi, San Giorgio e il committente mentre
dona il polittico stesso, sempre per avere in cambio una raccomandazione per il paradiso, ai lati ci sono le
raffigurazioni degli apostoli.

Altra opera è la Madonna con il bambino che faceva parte di un politico insieme al più noto Santo Stefano
che tiene in mano un libro coperto da un drappo cangiante e sostenuto da delle mani fedelmente in
scorcio, la veste è la dalmatica dei diaconi riccamente decorata (sicuramente qui Giotto si rifà ai grandi
pittori senesi come Stefano Martini famosi per la preziosità delle loro opere), ha in testa delle pietre perché
fu martirizzato, profondità resa impeccabilmente. Infine c’è l’incoronazione della Madonna situata nella
Cappella Baroncelli

datata verso il 1334, la struttura che


vediamo adesso è di rifacimento rinascimentale, vi è Gesù che incorona la madre, sotto degli angeli ed in
altro schiere di santi, questa è la rappresentazione del Paradiso, i colori sono delicati ma brillanti, preziosi e
cangianti (si passa dal giallo al verde), gli occhi sono allungati, molto dettagliati, le acconciature sono
diverse, gli angeli cantano e suonano.
Giotto portò nella pittura una vera e propria rivoluzione che sconvolse la precedente arte bizantina un po’
in tutta Italia. Una volta tornato a Firenze egli lavorò alla Cappella Peruzzi e Bardi all’interno della Chiesa di
Santa Croce, si trovano nel transetto e sono vani funerari costruiti dalle famiglie più facoltose della città per
seppellirvi dentro il defunto per poi ricevere le preghiere dai francescani anche durante le celebrazioni.
Cappella Peruzzi fu realizzata tra il 1310-1316, con scene della vita di San Giovanni Battista ed Evangelista
(perché si chiamava Giovanni, allora per non lasciare fuori nessuno li ha voluti mettere entrambi), gli edifici
sono tutti realizzati in prospettiva in modo da essere visti dall’entrata della Chiesa, sono rovinati . Annuncio

a Zaccaria : si trova nel Tempio, immaginato come un ciborio con


sotto un altare con dietro dei cantori, nel lato opposto c’è l’angelo che da l’annuncio. La nascita del Battista:
ci sono due scene, una dietro ovvero la nascita con Elisabetta su un letto dal tessuto molto morbido,
davanti la scena in cui il nascituro viene portato dal padre per scegliere il nome, lui ha in mano la tavoletta,
la fonte sono i Vangeli Apocrifi. Poi c’è una scena della vita dell’Evangelista, quando compie la resurrezione

di Drusiana (fonte legenda aurea), siamo fuori le mura della


città, era in corso un funerale ma con il gesto del Santo la morta si risveglia, sempre forte senso del volume.
Poi c’è San Giovanni sull’Isola di Patmos, isola su cui venne mandato in esilio, li ha le visioni che riporterà
nell’Apocalisse, qui è raffigurato mentre dorme, da l’idea di un vecchietto addormentato, un mantello lo
avvolge, i trapassi chiaroscurali non sono bruschi ma molto graduali, nonostante siano molto rovinati. Poi
c’è l’assunzione di San Giovanni Evangelista che, secondo la legenda aurea, il suo corpo come quello della
vergine, non ha subito corruzione, ma salì in cielo con tutto il corpo, infatti Gesù afferra saldamente il corpo
di Giovanni e lo fa salire in cielo, da proprio l’idea di pesantezza, alcune figure osservano la scena stupite,
altri osservano sorpresi la tomba vuota, l’architettura è molto dettagliata, giochi di luce ed ombre, la fonte
di luce è quella emanata dall’evento, non dalla luce naturale. Poi c’è il banchetto di Erode,
scena della vita del Battista: una porticina sulla
destra allude al carcere in cui il Battista venne decapitato, sull’estrema destra c’è invece Salomè mentre
porge alla madre la testa su un vassoio, al centro Erode mentre sta banchettando, il cibo è posto sopra la
tavola in maniera convincente, dei musicisti suonano, altri due inservienti chiacchierano tra loro, le
architetture sono molto dettagliate, sembra una sorta di Tempio pagano con delle colonne terminanti con
delle statue. In tutto Giotto affrescò 4 cappelle, ma ne rimangono solo queste due.
Dopo circa 10 anni intorno al 1328, realizzò la Cappella Bardi,

la scena fondamentale sta nella parte frontale


con le stigmate del santo, all’interno c’è il ciclo sulla vita di San Francesco. Il ciclo è molto diverso rispetto a
quello Assisiate perché le scene sono di meno, le strutture sono molto importanti e occupano molto spazio.

Scena della rinuncia agli averi: lo spigolo della struttura coincide con la
sua figura di san Francesco che si è denudato in piazza, il vescovo di Assisi lo copre, scena importante anche
giuridicamente perché significava anche era approvata dalla chiesa, Francesco ha le braccia alzate verso il
cielo perché abbandona il padre terreno per accettare il padre celeste, il padre ha in mano le vesti del figlio
e viene trattenuto da amici e familiari, anche loro vestiti molto eleganti e raffinate, dei bambini sembrano
voler tirare dei sassi ma sono trattenuti dalle madri che li tirano per i capelli. Poi c’è la scena
dell’approvazione della regola, in cui il Santo con i suoi pochi frati
vanno dal Papa, le architetture sono molto raffinate e dettagliate. Poi c’è la scena di quando San Francesco

va in Oriente per convertire i musulmani, va davanti al sultano seduto


su un trono con colonnine tortili e decorazioni cosmatesche, ha un turbante sopra un copricapo conico, tra
di loro c’è il fuoco, perché dovevano affrontare la prova del fuoco, da un lato gli imam con la pelle scura si
rifiutano, mentre San Francesco è pronto a farlo (chi diceva la verità sarebbe uscito indenne dopo aver
camminato sul fuoco), sullo sfondo una parete decorata con drappeggi, le architetture sono in prospettiva.
Dopo c’è la morte del Santo con l’accertamento delle stigmate, la scena assomiglia a quelle del compianto
al Cristo morto. E infine altre due scene: l’apparizione al capitolo di Arles e i due miracoli post-mortem in
cui delle figure vedono l’anima del Santo salire in cielo.
Sappiamo che Giotto fu a Milano, ma non è rimasto nulla. I pittori romani rimasero colpiti dalle pitture di
Giotto sopratutto dagli affreschi di Assisi, che al tempo era un centro più sviluppato di Roma, e decisero di
accogliere nella loro arte le novità introdotte da lui.

L'arte bizantina fra XIII e XIV secolo: La Rinascenza paleologa

La storia della pittura italiana del Duecento, potrebbe essere definita come una progressiva emancipazione
dalla suggestione dei modelli bizantini. Ma prima che Giotto creasse un nuovo linguaggio figurativo “latino”
l'Italia era stata la regione dell'occidente più ricettiva nei confronti dei prototipi di Bisanzio. Erano inoltre
attivi in Italia pittori e mosaicisti greci che condizionava l'evoluzione formale e le scelte iconografiche dei
pittori italiani. Di fronte a questo ampio fenomeno bisogna precisare che va del tutto superata la
concezione storiografica secondo cui l'elemento bizantino avrebbe costituito un freno dello sviluppo
stilistico della penisola. In realtà fenomeni vitali della pittura duecentesca italiana quali l'animazione
patetica, il raffinamento delle proporzioni delle figure, un modo più libero e fuso di dipingere non vennero
conseguiti per opposizione agli stilemi bizantini, bensì grazie anche al loro apporto.

Il secondo Duecento e il primo Trecento coincido anzi con un periodo estremamente vitale, caratterizzato
da sperimentazioni e tentativi innovativi di grande importanza. Si tratta della fase detta della “rinascenza
paleologa”, dal nome della dinastia regnante sul trono di Bisanzio.

Nel 1261 Michele Paleologo riconquista Bisanzio, la capitale dell'Impero d'oriente, caduta nel 1204 nelle
mani dei crociati che avevano depredato la città. I suoi tesori artistici erano stati distrutti o trasportati in
occidente, gli intellettuali e gli artisti erano fuggiti. Come spesso succede, si promuoveva il riscatto politico e
militare riportando in auge lo stile artistico dei momenti più gloriosi del passato. Dopo il ritorno della corte
a Bisanzio, il nuovo stile appare nei manoscritti miniati presso gli scriptoria paleologhi. Lo caratterizzano
figure definite con correttezza anatomica e fissate in pose vivaci e naturali, nelle ambientazioni
architettoniche si ricercano effetti inediti di spazialità, la stesura pittorica si fa sciolta e sfumata. L'arte
bizantina del secondo Duecento è dunque tutt'altro che statica e ripetitiva. Ma attenzione il revival
ellenistico promosso dalla corte paleologa non mette in moto come avviene in occidente tramite lo studio
dell'arte antica un processo di rielaborazione e superamento dei modelli, esso non esprime alcun
fenomeno vitale di rinnovamento della società e della cultura bizantina. Gli artisti non hanno l'appoggio di
una intraprendente borghesia urbana o di attivi ordini religiosi.

CAP. III – Firenze e Siena nella prima metà del Trecento

Situazione politica, economica, sociale Nel secondo duecento troviamo sulla scena artistica personalità
fiorentine quali Cimabue, Arnolfo di cambio e soprattutto Giotto e l’apertura a Firenze di importanti cantieri
architettonici. Tutto ciò è legato con il primato economico e politico acquisito dalla città. Nel 1266 abbiamo
il collasso del partito Ghibellini in tutta italia e Firenze guelfa sfrutta questa nuova situazione politica per
allargare il proprio dominio. Attraverso queste contese tra la parte guelfa contro la ghibellina cui si
intrecciano anche conflitti di classe tra aristocrazia, ricca borghesia e piccola borghesia, si elabora a firenze
una formula di governo secondo cui il potere è detenuto dai membri delle principali famiglie. Alle
rivoluzioni innescate sul fronte economico dagli imprenditori fiorentini corrisponde quella promossa da
Giotto in campo artistico in quanto il suo stile corrisponde alle aspettative e alla visione del mondo del ceto
dirigente fiorentino. Gli imprenditori fiorentini erano intenti a far circolare merci e denaro per ricavarne
guadagni e perciò commissionarono opere d’arte di tema religioso in quanto erano un fattore di espiazione
ed un mezzo per salvare l’anima. E quindi si rivolgono a Giotto e ai suoi maggiori allievi per decorare le
cappelle di Santa Maria Novella e Santa Croce: Giotto ne affresca 4 a Santa Croce (due solo ci sono
pervenute). Il primo trecento rappresenta una dei motivi più felici dell’arte italiana soprattutto della pittura.
Oramai l’eclissi del mosaico è compiuta. Le tecniche dominanti ormai sono l’affresco e la tempera su tavola.
Nei cicli parietali si rappresentano le storie dell’antico e del nuovo testamento e le vite dei santi. Si elabora
una tipologia decorativa raggruppando più tavole dipinte dentro delle cornici lignee unitarie per formare i
polittici, le cui misure e composizioni variano a seconda della destinazione.

Viene eretto il Campanile di Santa Maria del Fiore ad opera di Giotto e portato a compimento da Andrea
Pisano e Francesco Talenti.

L’inizio della costruzione di Palazzo vecchio su progetto di Arnolfo di Cambio coincide ancora con la guerra
tra Neri e Bianchi. Andrea Pisano esegue tra il 1330 e il 1336 il grande portale di bronzo con le Storie di San
Giovanni e le Virtù in 28 formelle: aggiunge un portale romanico con elementi gotici. Campanile di Santa
Maria del Fiore Il campanile marmoreo è iniziato da Giotto nel 1334\37 e portato a termini da Andrea
Pisano e da Francesco Talenti. Notiamo una variegata cromia del marmo che rivela le predilezioni
coloristiche dell’architetto\pittore e che arricchisce la solida struttura verticale, ritmata da rilievi, statue e
finestre. L’influsso di Giotto è decisivo nei rilievi scolpiti da Pisano per il basamento del campanile per il
quale il pittore fornisce dei disegni. Uno degli elementi più importanti del ciclo consiste nell’adeguamento
iconografico di realtà culturale ed economica fiorentina con la rappresentazione delle arti meccaniche con
scene che illustrano il lavoro cui sono accostate anche le arti figurative, a conferma dello status sociale
ormai acquisito Palazzo Vecchio Eretto da Arnolfo di Cambio tra il 1299 e il 1314. Il palazzo ha l’aspetto di
maniero fortificato ma questa massiccia struttura è ingentilita dalle file regolari di finestre e mossa dall’alta
torre decentrata. Le sale interne sono ornate con cicli di affreschi di tema civico, nei quali interviene anche
Giotto (andati distrutti) Porta Bronzea del Battistero In previsione di una porta bronzea del battistero,
l’incarico è assolto da Andrea Pisano che esegue tra il 1330 e il 1336 il grande portale rappresentando le
storie di San Giovanni Battista e le virtù. Notiamo 28 formelle quadrate, tipicamente gotiche, nella quale si
dispongono le composizioni figurativa. Caratterizzata da linee rette, si affiancano le linee spezzate quando
come notiamo nelle formelle del trasporto e della sepoltura del corpo del Battista, i panneggi inducono
elementi di dinamismo.

Giotto e i giotteschi fiorentini


Giotto nei primi decenni del 300 è il direttore di una grande ditta artistica; quindi il suo influsso è ben
evidente nei dipinti fiorentini della prima parte del XIV s.
† Maestro di Santa Cecilia
† Pacino di Bonaguida – attivo tra il 1303 e il 1320; nell’Albero della Croce, usa la posa del Cristo di Giotto di
S.M. Novella.
† Parente di Giotto (o Stefano Fiorentino) – collaboratore di Giotto, opera nella Basilica inferiore di S.
Francesco. Dopo il 1328 Giotto scompare dalla scena artistica di Firenze; va a Napoli al servizio di Roberto
D’Angiò e poi a Milano al servizio di Azzone Visconti.

Compaiono altri artisti: impiegato nella bottega di Giotto Taddeo Gaddi (1300-1365)  per 24 anni, affresca
nel 1330 le Storie di Maria nella cappella Baroncelli di Santa Croce. Rispetto al maestro moltiplica i dettagli
naturalistici, ma riprende le sperimentazioni prospettiche di Giotto. complice l’influsso dei pittori senesi è
più lirico rispetto al maestro. La cacciata di Gioacchino dal Tempio segue la tendenza di Giotto dando
ampio spazio alle architetture rendendole protagoniste della scena, infatti l’architettura è a tre navate, con
volte a crociera, quella centrale è più ampia di quelle laterali, i personaggi portano delle offerte. L’incontro
alla Porta Aurea di Gerusalemme: Gioacchino torna a casa e incontra la moglie Anna, con lui c’è un pastore
che lo aveva guidato verso casa. La presentazione di Maria al Tempio: il tempio ha molte scalinate che
vanno in diverse direzioni (è simile a quello della cacciata di Gioacchino) creando un senso vorticoso, da
altri edifici si affacciano delle figure. Le scene essenziali diventano affollate con figure ed elementi
accessori, le scene sono incorniciate da colonne tortili non tanto in prospettiva, sono poco reali e non
sembrano sostenere l’architrave sovrastante, meno razionali di quelle di Giotto. Tale razionalità si andrà
perdendo e si riavrà solo nel Rinascimento. Lo sposalizio della Vergine: è al centro della scena ed è vestita
secondo la moda del tempo come tutte le altre donne, gli uomini invece sono vestiti come gli antichi, in
primo piano una figura spezza il bastone perché non è fiorito, altre figure che suonano strumenti,
tutt’intorno un giardino spumeggiante sembra anticipare il gotico maturo con questa particolare attenzione
al dato naturale, i panneggi sono molto nitidi, sembrano sottili e analitici. Nella parte bassa della cappella ci
sono delle nicchie con dentro degli oggetti appoggiati, oggetti per la celebrazione eucaristica.
 Bernardo Daddi Il suo tema preferito è la Madonna col Bambino, in genere su pale o piccoli altari
destinati alla devozione privata. Inserisce teneri particolari. In questo caso, nel Polittico di San Pancrazio, la
Vergine offre dei fiori e il Bambino ha in mano un cardellino.

 Maso di Banco è l’erede più coerente con Giotto. La Madonna col Bambino riprende lo stile della Cappella
Peruzzi.. Nell’uso dei colori supera Giotto. San Silvestro che resuscita due maghi che realizzò delle scene
sulla vita di San Silvestro Papa che liberò la città da un drago (dalla legenda aurea): sputando fuoco uccise
delle persone allora lui le riporta in vita, è ripetuto due volte = due momenti diversi, i colori sono chiari e
brillanti, le ombre non sono fatte con lo scuro, ma con gradazioni diverse dello stesso colore, inoltre sono
molto solenni, le scene sono congelate, non affollate come quelle del Gaddi, un po’ segue la tradizione
solenne di Giotto. Realizzò anche una Madonna ora conservata a Berlino, a differenza della tradizione

bizantina, le figure sono rappresentate quasi per interno, non sono tagliate.

Altro pittore è PUCCIO CAPANNA che rappresentò l’incoronazione di Maria della Basilica di Assisi

, fece anche il martirio di San Stanislao nella Basilica inferiore di Assisi che
venne decapitato e smembrato e le sue parti gettate via, caratteristica dell’artista è la sua pittura densa,
particolare il vano sullo sfondo che si allunga all’interno, in primo piano un arco illuminato, infondo delle
volte a crociere con un abside e una croce dipenda che sta sopra l’altare, ci sono delle bifore con delle
finestre con un cielo sembra notturno. Altra opera è il miracolo di San Stanislao vescovo mentre resuscita

un giovane, le figure sono compresse in questa scena.

Vasari ci parla di un misterioso allievo di Giotto, Stefano Fiorentino, definendo che la sua pittura fosse
talmente dolce che sembra impossibile che fosse stata fatta in quei tempi, l’originalità di Stefano, consiste
nell’unione dei colori, nella delicatezza dei trapassi cromatici, tali da dare una parvenza di vita alle sue
figure. Purtroppo, però non è possibile collegare al suo nome nessuna opera certa, ma tra le ipotesi più
proposte quella più possibile è che fosse identificato come quel “parente” di Giotto che abbiamo visto
attivo nelle Storie dell’infanzia di Cristo della basilica di Assisi.

Giottino, figlio di Stefano, pittore ormai isolato nel quadro dell’arte fiorentina, che esprime anch’esso le
stesse caratteristiche di Giotto. Realizzò la deposizione di Cristo con la pietà di San Remigio vescovo, c’è un
ricorso allo schema del compianto di Giotto agli Scrovegni: nei volti della Maddalena piangente a sinistra,
nel San Giovanni accorato chino con le mani giunte, nei personaggi in piedi a destra.

BERNARDO DARDI raffigura le figure meno importanti più piccolo rispetto a quelli più importanti di
tradizione bizantina, le sue figure erano molto dettagliate e naturali, meno solenni.
Il Campanile a Firenze della cattedrale di Santa Maria del Fiore: i lavori iniziali furono interrotti per via della
peste del 1348, Giotto realizzò la prima zona ovvero la base, poi subentrò Andrea Pisano che vi lavora dal
1337 (anno della morte di Giotto) al 1348, i lavori furono ripresi da Giuseppe Talenti completando l’opera
con la cella campanaria nel 1359, era prevista con una cuspide ma termina con questo cornicione piatto.
Alla base vi sono delle formelle realizzate da Andrea Pisano (allievo di Giotto), sono 16 per ogni lato
suddivise in due ordini da 8 formelle ciascuno, delle losanghe fatte probabilmente dalla bottega di Andrea
Pisano le suddividano una dall’altra, il marmo è policromo tipico della tradizione toscana, agli angoli ci sono
dei contrafforti, al di sopra vi sono delle nicchie con delle statue a tutto tondo con il contributo di altri artisti
dei secoli successivi, gli originali sono conservati all’interno del Museo dell’Opera, oggi vi sono delle copie,
all’intento dei riquadri vi sono degli esagoni con varie attività svolte della città. Dal lato Ovest, lato che
guarda alla facciata, abbiamo 8 formelle sulle storie della genesi, tra le quali troviamo la creazione

dell’uomo realizzate con grande senso del volume, piante sullo


sfondo, artista ormai gotico, dato naturalistico importante, le pieghe delle vesti sono importanti, il volume
delle figure è più eroso dalle pieghe rispetto alle figure di Giotto, altra formella rappresenta la creazione di

Eva dalla costola di Adamo, nel ciclo non c’è il peccato originale, forse c’è
una allusione al serpente nel fusto della pianta, perché è presente nella creazione di Eva ma non in quella di
Adamo. Successivamente c’è la condanna dopo la cacciata dal paradiso terrestre in cui i coniugi sono
coperti da tessuti, questo è l’aggancio usato per parlare dei vari lavori e le arti liberali: il pastore seduto
mentre osserva il suo gregge, la creazione della musica con un uomo mentre suona una tuba seduto ad un
banco da lavoro dove ha costruito lo strumento, la metallurgia con tutti gli attrezzi e il fuoco, l’ebrezza di
Noè per via del vino infatti vi è una grossa botte e una vite, ogni cosa poteva essere rappresentata con
grande naturalezza. È un ciclo che vuole esaltare l’uomo e il suo ingegno, il lavoro era una cosa nobile così
importante da essere rappresentata sul campanile di una cattedrale (si ricorda la regola dei monaci “orat et
laborat”), inoltre Firenze al tempo era una città fervente e mercantile oltre che centro culturale. Nel lato
Sud la resa è più debole, vi è l’astronomia, una delle sette arti liberali, con un
uomo seduto ad una scrivania mentre studia un astrolabio e scrive su un cartiglio, c’è anche la caccia con

un uomo su un cavallo con un mantello che svolazza, la tessitura con una


fanciulla rappresentata come una dea dell’antichità con una posa nobile mentre insegna ad una ragazza
seduta ad un telaio a tessere, Dedalo (mito classico) coperto di piume rese molto naturali appigliato a delle
ali da lui costruite ed attaccate da lui con delle fasce per poter volare con il figlio Icaro, alla base gli utensili
che ha usato per costruirlo, di solito è un mito negativo perché vuole ammonire l’uomo dall’essere troppo
ambiziosi, qui invece è volto in senso positivo per rappresentare l’ingegno umano nel costruire queste ali,
altro mito è quello di Ercole che ha ucciso il mostro Caco che aveva riempito una grotta con del fumo per
proteggersi ma non riuscì a sfuggire ad Ercole rappresentato quasi nudo con delle pelli di leone che aveva
scuoiato, spesso è anche usato come simbolo di Cristo, sullo sfondo le rocce sono morbide e le foglie
carnose, poi c’è la navigazione di due personaggi su una barca mentre navigano. Sul lato Est vi è

l’agricoltura mentre ara la terra con un aratro trainato da buoi molto naturale, altra

scena è il carro dei Tespi, scena teatrale con un carro trainato da cavalli, poi c’è la
geometria con un uomo seduto ad un tavolo da lavoro con un compasso in mano, si noti la poltrona su cui
siede è visto sia di fronte che di lato, altra scena è la scultura con un uomo piegato su una scultura che sta
realizzando di fianco uno sgabello con degli attrezzi che sta realizzando e vediamo come già questa arte è
importante non solo la pittura, infatti è di seguito rappresentata con un pittore all’opera con una mano
sull’opera dietro del quale vi è un trittico su cui venivano applicate le tavole, i pannelli dell’artista lo
avvolgono non lo fasciano.

Sempre con Andrea Pisano, poco prima di subentrare come capomastro ai lavori del campanile nel 1337,
egli aveva realizzato delle formelle sulla vita di Giovanni Battista poste su una delle porte del Battistero
sempre a Firenze, hanno una forma quadrata decorata con dentelli all’intento, mentre le scene sono
all’intento di una cornice mistilinea con elementi cuspidati e a punta, le figure stanno su una sorta di
mensole (retaggio di Giotto) dando una ambientazione quadrata: la visitazione tra Maria ed Anna, la scena
dell’imposizione del nome al Battista, scena secondo le leggende apocrife di quando Giovanni si era ritirato
nel deserto a giovane età rappresentato già con tutti i segni caratterizzanti, poi c’è la danza di Salomé
accompagnata da musicisti, scena successiva è la decapitazione davanti al carcere con dei soldati e il boia
che sta in punta di piedi per lo sforzo, poi c’è il momento in cui la testa viene portata ad Erode da un
servitore con Salomé compiaciuta, poi c’è la scena di quando Erodiade seduta su un trono mostra la testa a
Salomé inginocchiata davanti (si prese come riferì mento per queste scene egli affreschi di Giotto nella
Cappella Peruzzi), poi abbiamo la scena in cui i discepoli del Battista portano il suo corpo al sepolcro, infatti
di seguito c’è il seppellimento, in generale il ciclo è molto dettagliato, noi abbiamo visto solo una parte.
Nella parte sotto del portare ci sono le virtù, come la carità seduta su una sorta di cassapanca con in mano
una cornucopia ed una aureola esagonale, la temperanza sempre seduta sulla cassapanca, tiene
saldamente tra le mani una spada.

Siena Cantieri architettonici e la scultura

All’inizio del 300 si arricchisce urbanisticamente. E’ più aperta di Firenze alle influenze francesi. E’ la prima
città che propone regole edilizie per migliorare gli spazi comuni. L’arte senese è tendenzialmente un’arte di
propaganda politica. Mentre a Firenze le commissioni erano di privati, a Siena è il comune in quanto
organismo politico. Protezione per gli artisti in cambio di buona pubblicità. Nella metà del secolo viene
eretto il sontuoso Palazzo Pubblico. La grande piazza del Palio non è più intesa come spazio vuoto, ma serve
per dare risonanza al palazzo e ad esaltare simbolicamente un modello politico. Si cerca di ingrandire il
Duomo di Nicola e Giovanni Pisano, ma i lavori vengono bloccati dalla pestilenza della metà del 300. Palazzo
pubblico in Piazza del Campo a Siena Il più sontuoso monumento architettonico sia proprio il palazzo
pubblico, progettato dal governo dei nove ed eretto a partire dal 1297, attraverso fasi costruttive
successive, fino ad assumere la forma attuale dove notiamo 3 blocchi merlati dominati dalla torre del
mangia. Il blocco più antico è quello centrale. All’interno vengono allestite le sale necessarie per accogliere i
vari organismi del governo abbelliti da cicli di affreschi. La costruzione del palazzo non è che l’episodio più
rilevante di una volontà di riorganizzare ed abbellire l’intero centro urbano.

Altro scultore e architetto senese attivo in questo periodo fu LORENZO MAITANI, lavorò anche al Duomo di
Siena, ma la sua opera più importante è la facciata del Duomo di Orvieto: fatta tra il 1310-1330, divisa in tre
navate, le cuspidi con le ghinberghe, i portali strombati, la galleria che corre orizzontalmente taglia la spinta
ascensionale, la struttura quadrata accoglie il rosone centrale, molto simile a quello di Siena, alla base
realizza scene di carattere biblico con fondo liscio e i rilievi delicati (non drammatici come quelli di Giovanni
Pisano), sempre di carattere gotico, ben descritte, tra le scene c’è il peccato originale, la creazione degli
animali, la resurrezione dei corpi del giudizio universale con dei sarcofagi classici decorati con dei putti
mentre tengono dei festoni c’è grande tensione e caos.

Altro scultore senese attivo ai tempi di Giovanni Pisano e suo allievo (infatti lavoreranno insieme a Pisa), fu
TINO DI CAMAINO, la sua Madonna con il Bambino è molto simile alla Madonna di Prato del Giovanni, le
pieghe sono molto pesanti e profonde, tensione ottenuta dal braccio piegato, il mantello è tirato, lo
sguardo tra la madre e il bambino del Pisano è sostituito da uno sguardo più dolce della madre che guarda il
figlio che invece guarda altrove. Realizza anche la scultura di Arrigo VI in occasione della sua visita a Pisa,
oggi mancano le braccia. Egli realizzò anche il Monumento Funebre al Cardinale Petroni realizzato tra il
1313-1317 che si trova all’interno del Duomo di Siena, risente della struttura di Arnolfo di Cambio che di
Giovanni Pisano, la cassa si poggia su delle scene della vita di Cristo (elemento nuovo, forse ispirato alla
tradizione paleocristiana), in alto c’è il Cristo morto in una sorta di camera funeraria in cui due angeli
spostano delle tendine (idea ripresa da Arnolfo di Cambio), il tutto è concluso con una edicola in stile gotico
con la Madonna e due santi.

GORO DI GREGORIO fu uno scultore senese attivo nei primi anni del 1300, che realizzò l’Arca di San
Cerbone, oggi situata nel duomo di Massa Marittima, ne era il vescovo. Il santo doveva essere mangiato da
degli orsi che alla fine non lo mangiano ma gli leccano i piedi, in alto su un balconcino vi sono coloro che
ordinarono l’esecuzione, lo sfondo non è atmosferico o liscio ma riccamente decorato da una fantasia, il
tutto sembra un’opera di oreficeria.

Giovanni e Pietro da Rimini. Lì Giotto aveva fatto nel Tempio Malatestiano (prima era una chiesa
francescana poi dal 1400 Leon Battista Alberti sotto commissione della famiglia Malatesta lo trasformò in
un mausoleo) un ciclo di affreschi oggi però andato perduto, rimane soltanto una croce dipinta, oggi
ricollocata in loco, in cui si può vedere la somiglianza con il crocifisso di Santa Maria Novella di Giotto.

Pittura a Siena

L’arte bizantina del VI secolo è fortemente schematizzata con scarsa varietà di forme e scene. Dal 1290 in
poi ci sarà una rivoluzione.

DUCCIO DI BUONINSEGNA fu un pittore senese, la sua opera più importante fu La Maestà situata sull’altare
maggiore del Duomo di Siena, oggi conservata nel Museo dell’Opera del Duomo, ma la sua prima opera

documentata è la 98Madonna Rucellai oggi conservata nel Museo


degli Uffizi di Firenze, commissionata nel 1285 dalla compagnia dei Laudesi e doveva essere un’opera
mobile per questo è stata fatta su tavola, è di grandi dimensioni (4,50x2,90m), appartiene a quel periodo in
cui le vecchie iconografie furono rielaborate ed ingrandite. È molto simile alla Maestà di Cimabue:
l’iconografia è la stessa compresa la cornice con medaglioni con i busti dei santi, varia però la disposizione
degli angeli perché qui sono inginocchiati ed è assente il senso di profondità mentre quella di Cimabue è più
realistica, il trono del Rucellai è più elaborato e leggiadro con archi sullo sfondo che arricchiscono la scena,
la bordatura tremolante del Maforeon (il mantello della vergine) mette in risalto i bordi dorati della veste e
delle maniche (dettagli mancanti in quello di Cimabue), diverso è anche il modo di trattare le pieghe perché
in quello di Cimabue fasciano la Madonna, mentre nel Rucellai cadano a strapiombo in giù. Il volto della
Madonna di Duccio è poco schematizzato e i trapassi chiaroscurali sono più graduali, anche nel gesto
benedicente e nella manina di Gesù i segni sono più morbidi e meno marcati, le vesti del bambino sono
quasi trasparenti e decorati con motivi dorati, in generale tutto è più naturale rispetto a quello di Cimabue.
Tra le opere giovanili di Duccio, leggermente più antica della Rucellai, troviamo la 99Madonna dei

Francescani conservata nella Pinacoteca, si tratta di una piccola


tavoletta oggi molto rovinata, forse un’opera commissionata per una grazia ricevuta o ancora da ricevere: i
personaggi sembrano più arcaici rispetto a quella del Rucellai come nell’espressione accigliata, nelle mani
artigliate e nel naso adunco, è usata la biacca (elemento di tradizione bizantina) per creare delle zone di
luce infatti i chiaroscuri sono molto forti. Similitudini con la Rucellai le riscontriamo nella rappresentazione
del bambino, nella postura e nelle vesti. Nella tavola sono presenti anche dei frati in un angolo mentre
pregano.
Tra le poche opere di Duccio databili con certezza, nonostante non se ne faccia il suo nome nei documenti

relativi, troviamo il vetrata dell’abside del Duomo di Siena, messo in


opera tra il 1287-1288 da un valente maestro vetraio. Ma benché le figurazioni della vetrata vadano
d’accordo con le opere di Duccio di quel periodo, vi è una importantissima per la storia dell’arte italiana:
per la prima volta compare il trono architettonico marmoreo con decorazioni simili a quelle cosmatesche.
Per una simile novità profondamente legata alla concezione “spaziosa” della pittura del Trecento, era
necessario un collegamento con il grande pittore che di quella concezione è fondatore—> Giotto. Quando
Duccio lavorava alla vetrata, egli aveva più di vent’anni e doveva perciò aver già maturato qualcuna delle
sue nuove idee, sicuramente Duccio ha conosciuto a Firenze, insieme a Cimabue, il giovane Giotto e abbia
partecipato alle straordinarie discussioni che in quella cerchia dovevano nascere, contribuendovi
personalmente e riconoscendosi in quelle nuove idee. Tale vetrata ora si trova nel Museo dell’Opera del
Duomo di Siena ma prima era collocato nell’occhio dell’abside, oggi lì c’è una copia fatta da Francesco Mori.
Fu attribuita a Duccio dal Carli, sovrintendente del Museo dell’Opera del Duomo che, durante la seconda
guerra mondiale per evitare che andasse in frantumi per i bombardamenti, decise di spostarla:
osservandola da vicino capì che lui poteva esserne l’autore. La vetrata racconta la vita della Vergine a il
Duomo è consacrato: nella parte centrale ci sono i 4 santi protettori di Siena (Ansano, Savino, Crescenzio e
Bartolomeo che poi verrà sostituito da Vittore) e i 4 evangelisti negli spicchi laterali con i loro simboli. Una
delle scene è l’assunzione, in cui la vergine è raffigurata seduta su una specie di trono posto all’interno di
una mandorla, simbolo di gloria, è circondata da quattro angeli che non la toccano direttamente ma
sostengono il trono, lavorato a grisaglie, uno sfumato chiaroscurato vengono resi i dettagli del volto, le
rughe delle mani e del collo che danno senso del volume, mentre il resto del disegno è dato dall’unione di
piccoli pezzi di vetro uniti insieme dal piombo, la veste ha una fascia oro con rosette cerchiate, il senso del
volume è dato con colori più scuri, è una sorta di lavoro a smalti. È presente la rappresentazione del trono
architettonico, non in legno ma in marmo con decorazioni simili a quelle cosmatesche di Arnolfo di Cambio
di tradizione romana, ha intarsi colorati, il fondo è coperto da un drappo, è molto largo, ci stanno sia Maria
che Cristo (riporta i segni della passione, sono in cielo, lui è risorto) che la incorona regina del cielo, sono
seduti su dei cuscini, non c’è una prospettiva studiata, è in tralice, la scena è circondata da angeli. Per i santi
protettori di Siena sono presenti al di sopra i nomi, San Bartolomeo verrà sempre rappresentato con delle
vesti pregiate, come è narrato nella legenda aurea. Gli evangelisti stanno seduti su troni non di legno ma in
marmo. Duccio ha fatto il disegno di base, poi i maestri vetrai hanno fatto i lavori con il vetro e il piombo,
poi Duccio le ha ritoccate aggiungendo i dettagli sfumati e quelli del volto, anche se l’opera non poteva
essere ammirata da vicino vediamo una minuziosa attenzione perché l’opera non poteva essere vista dagli
uomini era vista da Dio, era per lui.

Altra opera è la 100 Madonna di Berna , poco più grande della


Madonna dei francescani e rivela molti caratteri di stile simili a essa tanto da farci credere che sia stato
eseguito a poca distanza di tempo. Presenta un trono identico a quelli che si vedono nella vetrata del
Duomo di Siena, comprese le decorazioni “cosmatesche” a piccole losanghe. Nella tavoletta di Berna si
leggono anche aspetti più moderni come l’individuazione di una fonte di luce unitaria, da sinistra, che
presiede all’articolazione del chiaroscuro, mentre nella Madonna Rucellai e in quella dei francescani, si
aveva una luminosità più indeterminata, si notino infatti che gli angeli sono investiti dalla luce e proiettano
un’ombra, vediamo però ancora una irrazionalità perché se gli angeli sembrano essere investiti dalla luce da
sinistra, il trono sembra da destra, si avrà una coerenza solo con Giotto, inoltre le figure sono più composte
e rivelano un maggiore senso di appiombo, la dolcezza di tema bizantino del gesto del bambino che
accarezza la guancia della Madonna, anche qui c’è il bordo della veste della Madonna che percorre tutto il
corpo molto rigido. Il naso della Madonna è più armonioso, meno aquilino come lo era nella tradizione
bizantina.

L’opera più importante di Duccio è 101la Maestà del Duomo di Siena

realizzata su tavola intorno al 1308-1311 (abbiamo il


documento di locazione), era l’opera più grande realizzata in questo periodo oggi però è incompleta perché
nel tempo depauperata: mancano tutti i pinnacoli e le decorazioni che la circondavano, anche il retro era
decorato, oggi si trovano separati ma sempre esposti nel museo dell’Opera. Vista frontalmente al centro c’è
la Madonna su un trono di marmo, il drappo d’onore copre tutto il trono compreso il cuscino fino ad
arrivare a terra, schiere di angeli la circondano con in prima fila i 4 santi protettori inginocchiati (dalla
nostra sinistra verso destra c’è Sant’Ansano, San Savino, San Crescenzio e San Vittore). Alla base del trono vi
è un’iscrizione che cita “Mater Sancta dei, sis causa Senis requiei. Sis Ducio vita te qui pinti ita” - Madre
Santa di Dio, sii ragione di pace per Siena. Sii vita per Duccio, poiché ti dipinse così. Sicuramente il nome
esposto di Duccio in prima persona, è un riconoscimento da parte della committenza: mettendo la vita del
pittore allo stesso piano della pace della città, lo solleva a un rango maggiore anche sociale. Il trono
marmoreo su cui siede la Vergine è in prospettiva quindi le linee di fuga dei fianchi convergono verso il
centro, secondo la nuova concezione prospettica trecentesca, gli angeli fanno corona al trono della Vergine,
hanno i volti carnosi, dolci e larghi, sono tra le figure più belle che Duccio abbia mai dipinto. Nella parte
superiore vi era un incolonnamento con varie figure anche di apostoli, mentre nella parte inferiore una
pradella, sul retro lo stesso. Non tutte le scene sono conservate nel Museo dell’Opera del Duomo, molte
sono state vendute a stranieri perché non apprezzate in Italia. I sontuosi ricami del drappo d’onore
appoggiato sul trono di Maria, si estendono anche al piviale (una sorta di mantello che portavano i vescovi)
di San Savino inginocchiato a sinistra, e ai mantelli delle due sante alle estremità (Caterina d’Alessandria e
Agnese), soluzione decorativa inventata da Duccio che passarà anche a Simone Martini e nella pittura
senese del Trecento, anticipando anche certi aspetti del gotico internazionale. A questa fitta accolta di
personaggi sacri, Duccio ha dato una disposizione arcaica su tre file orizzontali, le teste sono tutte allineate
il che fa ancora pensare alle teorie dei santi bizantini: così facendo, Duccio non si allinea alle novità di
Giotto.
Secondo la cronaca del tempo, quest’opera nonostante le sue enormi dimensioni, fu portata in processione
per tutta la città, partendo dalla bottega di Duccio (che si trovava in Via San Loreggi a Siena), passando da
Piazza del Campo, fino ad arrivare al Duomo e lì collocata sopra l’altare maggiore. La parte retrostante
narra il ciclo della passione di Cristo, dall’entrava a Gerusalemme fino alla Resurrezione (l’entrata a
Gerusalemme e la Crocifissione impegnano un pannello intero, mentre le altre scene mezzo), l’opera si
legge dal basso verso l’alto, da sinistra verso destra. Nel primo pannello vediamo Gerusalemme raffigurata
come una città gotica, tutto è volto ad esaltare la figura di Cristo, infatti Duccio allinea l’edificio a pianta
centrale con i parapetti bianchi in modo da far scorgere sullo sfondo Cristo che precede gli apostoli, tutti
accolti calorosamente dalla popolazione. C’è una unica luce proveniente da sinistra, sembra una luce
pomeridiana che crea delle zona di luce e ombra, la veste di Gesù è decorata con un ricamo d’oro, gli
apostoli sono rappresentati tutti un po’ in primo piano in maniera arcaica, come del resto la folla che li
accoglie. Gli sguardi sono intensi e acuti, vengono messi dei mantelli sotto i zoccoli dei loro cavalli. Tra le
scene vi è anche quella in cui Pilato si lava le mani, egli indossa una corona dall’oro, la rappresentazione è
ancora medievale perché non è importante la disposizione spaziale ma il messaggio che si voleva
trasmettere. Al centro del registro superiore c’è la Crocifissione, le croci sono risaltate, sulla sinistra c’è lo
svenimento di Maria, il corpo di Cristo è più chiaro aspetto quello degli altri ladroni, sulla destra ci sono gli
ebrei che hanno condannato Cristo in cui è presente anche il soldato con la spugna e il centurione ma non
Longino con la lancia, il perizoma di Cristo è trasparente come aveva introdotto Cimabue, la testa è
abbassata, dal costato perde acqua e sangue, tutto il corpo è chiaroscurato, vi sono anche degli angeli che
piangono, uno si tocca il volto, un altro si tira i capelli, sono gesti plateali per far capire il dolore. L’ultima
scena è la Resurrezione (scena inconsueta perché di solito si rappresentavano quelle successive), nella
scena vi sono le Pie Donne alla nostra sinistra capeggiate dalla Maddalena, sono mirrofore ovvero portano
la mirra e gli unguenti il corpo di Cristo, però trovano il sepolcro aperto e vuoto su cui vi è seduto un angelo
con delle vesti candide, sullo sfondo vi è una grossa montagna che sembra incorniciare l’angelo. Dopo c’è
anche la scena del “Noli me Tangere” con l’incontro tra Gesù e la Maddalena al mattina di Pasqua, la veste
di Cristo ha delle luneggiature d’oro, elementi che prima non c’erano volti a rappresentare la gloria della
resurrezione, porta anche un vessillo con la croce come quando si va in battaglia, proprio per rappresentare
la vittoria sulla morte.
Sicuramente Duccio quando realizzò questa Maestà aveva visto delle opere di Giotto perché abbiamo un
senso di prospettiva, degli spazzi aperti e in generale un senso naturalistico. Altra scena è il commiato agli
apostoli che avviene nello stesso ambiente dopo l’ultima cena, il soffitto è a cassettoni, manca Giuda perché
era già andato al sinedrio per chiamare le guardie, gli altri nella stanza guardano Gesù mentre parla. Poi c’è
il momento di preghiera nell’Orto dei Gezzemani in cui l’ambientazione è un po’ arida e cupa ma ci sono
degli alberelli con dei frutti, sono rappresentati due momenti diversi con Gesù rappresentato due volte: la
prima quando con Pietro, Giacomo e Giovanni pregano e la seconda quando prega da solo accompagnato
da un angelo con gli apostoli dormienti sullo sfondo. Poi c’è la cattura di Gesù con Giuda che lo bacia per far
capire chi fosse lui il giudeo, tutt’intorno ci sono i soldati con delle fiaccole (nei testi c’è scritto che avvenne
di notte), gli apostoli a destra fuggono mentre a uno di loro viene tagliato l’orecchio. Dopo abbiamo la
scena in cui Gesù viene frustato con le mani legate, c’è un suggerimento spaziale e una luce univoca da
sinistra, i due pannelli sono collegati da una sorta di scala come se fosse un unico edificio e le scene
avvenissero contemporaneamente (trovata di Duccio, le altre scene sono solo divise da una cornice rossa),
una donna sta per salire le scale quando indica Pietro perché lo ha riconosciuto e lui rinnega per la prima
volta. Poi altra scena raffigura Gesù difronte a Caifa seduto sul suo trono mentre si straccia le vesti, egli è
seguito da Pietro che rinnega un’altra volta, insultato da due ebrei; nella scena di sopra Pietro parla con una
donna e lui rinnega per la terza volta, sopra un gallo canta. Altro pannello c’è Caifa che porta Gesù al
cospetto di Ponzio Pilato seduto su un trono con una corona d’alloro dorata, gli ebrei rimangono fuori dal
pretorio perché non si volevano contaminare, Duccio vuole dare profondità alla scena ma non è ai livelli di
Giotto che ai tempi aveva già realizzato la Cappella degli Scovegni. Nel pannello superiore è lo stesso
ambiente, Ponzio Pilato non trova Gesù colpevole (qui rappresentato frontale con le mani legate circondato
da dei soldati) e decide di mandarlo al cospetto di Erode (il modo di rappresentare la folla ancora
Cimabuesca e Bizantina, sia per la folla di ebrei che per i soldati). Scena dopo il Re Erode sta su un trono in
marmo con un mantello purpureo, parla con Gesù che ha sempre la mani legate accompagnato da soldati
ed ebrei, Erode prima di rimandarlo a Pilato gli fa indossare una veste bianca; nella scena di sopra Gesù si
ritrova davanti a Pilato con la nuova veste, la scena è uguale a quella del pannello precedente. Nuovo
pannello Gesù flagellato legato ad una colonna, i flagellatori hanno una veste più corta rispetto a quella
degli ebrei che osservano la scena, a lato c’è Pilato che osserva; pannello di sotto a Gesù viene posta una
corona di spine, una canna come scettro e gli viene messa una veste rossa, personaggi gli si prosano come
se fosse un re per prenderlo in giro, l’ambiente è sempre il palazzo di Pilato. Altro pannello Pilato si lava le
mani, scena innaturale perché le mani stanno davanti la colonna e non dietro come suggerisce la
prospettiva, poi partenza per la via del calvario. Altro pannello è quando sta per andare sul Golgota e
incontra la Madonna (la scena in realtà non esiste nelle scritture, c’è solo scritto che incontra delle donne,
però venne aggiunta e molto usata a quel tempo per far avvicinare il fedele all’evento, coinvolgendolo al
dolore della madre), la Vergine ha una tunica rossa con un mantello blu bordato in oro. Nel pannello
successivo c’è la Crocifissione, la tre croci sono ben distanziate e messe in evidenza, in basso lo svenimento
della Vergine, c’è la divisione tra i fedeli alla sua destra e quelli a sinistra, tra cui si vede il centurione vestito
come un ebreo, sulla destra le vesti sono tutte uguali e si ripetono in maniera ordinata, la sinistra è tutto un
caos. Scena successiva è quando Gesù viene sceso dalla croce, la Madonna tiene il corpo morto del figlio
aiutata da Giovanni evangelista, sotto c’è Nicodemo che stacca i chiodi con l’attrezzatura. Scena successiva
è il Compianto sul Cristo morto mentre viene riposto nella tomba, il volto della Madonna è vicino a quello di
Gesù, sullo sfondo delle rocce molto aride ci rimanda con i suoi pendii al volto di Gesù. Dopo abbiamo la
scena dell’arrivo delle pie donne al sepolcro per ungerlo con gli oli, non trovano il corpo ma un angelo con
vesti candide che annuncia la resurrezione (la scena è uguale a quella della deposizione con la stessa
montagna sul retro), l’angelo molto simile agli angeli bizantini; scena in basso è quella della discesa negli
Inferi, in cui la veste di Gesù è rossa con un mantello blu ricoperto da luneggiature d’oro, va nel limbo e lì
incontra tutte le anime dell’antico testamento che non potevano andare in Paradiso perché lo creerà lui
con la sua resurrezione, si riconosce Adamo ed Eva, San Giovanni Battista ecc., ha in mano un vessillo della
vittoria. Altro pannello c’è la Maddalena e il “Noli me tangere” con Cristo glorioso con vesti luccicanti e il
vessillo, lo sfondo non sembra più arido ma sono presenti degli arbusti; nella parte superiore abbiamo i
pellegrini mentre entrano alle porte della città di Emmaus vicino Gerusalemme, ed incontrano una terza
persona che si unirà a loro, è Gesù vestito come i pellegrini del medioevo con una borsino e un vestito di
pelle. Poi ci sono altre scene dopo la resurrezione.
102Madonna a Massa Marittima
datata 1316-1318 è molto simile alla Maestà di Siena, era accompagnata anch’essa da
pannelli ma sono molto rovinati e molti altri sono stati probabilmente segati e venduti. Nella Crocifissione,
uguale a quella di Siena, è presenta in più la scena in cui i soldati si giocano la veste di Cristo posta in primo
piano, la Madonna è simile a quelle bizantine ma presenta caratteri nuovi, Gesù bambino è rappresentato
non come un adulto e molto serio, ma come un vero bambino.
L’unico affresco attribuito a Duccio è il103 Castello di Giuncarico che si trova nella Sala del Mappamondo
del Palazzo Pubblico di Siena, datato presumibilmente 1314. Era stato scialbato (coperto con dell’intonaco)
per mettere un grande mappamondo girevole, e per fare ciò l’affresco è stato raschiato. È stato scoperto
negli anni 80’ da Bellosi.

SIMONE MARTINI fu un grande pittore senese quasi contemporaneo di Giotto, anch’egli seguì le sue novità,
inoltre anticipa alcune tendenze sviluppatesi alla fine del 1300 con il Gotico Internazionale con la sua
eleganza. La sua prima opera nota è La Maestà del Palazzo Pubblico

nella Sala del Mappamondo datata 1315, dal lato opposto


sempre fatto da lui vi è il Guidoriccio. Sicuramente egli si formò nella bottega di Duccio (infatti assomiglia
alla sua Maestra datata intorno al 1308-1311) e per commissionargli un’opera così importante si sarà
distinto per la sua bravura. La Maestà sembra ambientata in un grande spazio aperto come sotto un
tendone (ricorda la tenda sospesa di Giotto di Assisi), decorati con chiaroscuri e stemma senese, è sorretto
da dei bastoni da due santi. Il trono è aureo, sembra un oggetto di oreficeria (vediamo infatti che lui era a
conoscenza di questo tipo di arte, infatti vi sono documenti che attestano la commissione di un’opera di
questo tipo), vi è appeso un drappo, la Madonna poggia su un cuscino, la corte celeste suggerisce una
prospettiva, non sono tutti in primo piano come in quella di Duccio - arte bizantina, ma è più dinamica e
sincera—> alcuni si voltano, altri guardano lo spettatore, altri di profilo—> novità. Nella parte bassa c’è una
cornice con la data, e un’iscrizione con la sua firma, alla base di essa ci sono le due facce della moneta
senese con la Madonna in una e il leone simbolo del comune nell’altra. Le aureole sono a punzoni, ovvero
stampi con varie forme che si pressano sull’intonaco fresco per imprimere il motivo, lui li userà insieme agli
stampi in maniera massiccia, elementi dell’arte orafa, il velo della madonna è molto leggero e sottile, non
traspare una cuffia che soffoca i capelli corti biondi, ora liberi, il bambino ha una sorta di vestito con un
mantellino di sopra, tiene nelle mani una pergamena semi srotolata, tutt’intorno vi è una cornice con dei
tondi con i profeti, in alto c’è Cristo benedicente, ai lati i 4 evangelisti in basso i 4 dottori della chiesa
d’Occidente, oggi molto rovinata, ma in cui comunque traspare la profondità e densità delle figure (le figure
basse si rifanno agli affreschi grotteschi del transetto destro e delle vele), vi sono dei santi che portano delle
suppliche alla Madonna, sono i Santi protettori di Siena e proprio loro chiedono una supplica per la
cittadina, una iscrizione che interpreterebbe le loro parole invoca la giustizia, la risposta della Madonna
compare su un gradino di porfido, nella versione del 1321 c’è una aggiunta alle parole della Madonna
dicendo che ella apprezza le buone azioni delle governanti, ma non apprezza il fatto che per il potere
disprezzano lei e la sua terra, c’è il riferimento ad un problema politico interno del tempo. Quindi vediamo
come un simbolo religioso diventò strumento politico di propaganda del Buongoverno dei 9, che poi avrà il
culmine con l’opera di Lorenzetti, sottolineando il fatto che non verranno ascoltate le preghiere di chi non
governasse bene.

Altre opere precedenti attribuite a lui sono la Madonna 583 (numero di


catalogazione) conservata nel Museo dell’Opera di Siena, è odigitria secondo la tradizione bizantina, con il
moaforeon e il velo bianco sottostante come nelle madonne di Duccio, le luneggiature sono dorate, il naso
adunco, la mano un po’ a cucchiaio, ma il volto è più umanizzato. Nel 1321 egli rifarà alcune parti,
sopratutto la parte centrale, infatti i volti sono leggermente più chiari degli altri, più realistici, le vesti meno
voluminose, si colgono i segni di maturazione del suo stile. Simone utilizzava materiali diversi che inseriva
nell’intonaco, come ad esempio delle pietre preziose, anticipando il gotico borghese, prevalgono i colori
chiari e più brillanti, caratteristica generale della pittura senese, distinguendosi da quella fiorentina.
Fra il 1315 e il 1321, egli si reca ad Assisi per affrescare la Cappella di San Martino nella Basilica Inferiore,
la decorazione fu commissionata dal Cardinale Martino di Montefiore. Sopra l’ingresso che introduce alla
cappella c’è il committente mentre è inginocchiato presso il santo per chiedere l’entrata in paradiso, lui in
cambio gli offre questa cappella (ripresa di Giotto per l’incorniciazione delle figure sotto una architettura
con dietro una balaustra). San Martino visse nel IV secolo, era un soldato romano, una volta uscendo dalla
città incontra un povero e gli offrirà parte del suo mantello tagliandolo con la sua spada (ha già l’aureola
nelle raffigurazioni anche da soldato), la notte successiva ha un sogno in cui Gesù gli riporta il mantello
donato e li capì e che il povero era Gesù, rappresentato circondato da angeli, una luce viene dall’alto e
colpisce maggiormente un lato del letto, possiamo vedere come al tempo si rifaceva il letto con una coperta
sgargiante, il santo ha i capelli raccolti sotto una cuffia arricciati con un ferro secondo la moda del tempo.
Dopo di questo viene investito Cavaliere, gli vengono dati gli speroni dall’imperatore con in testa una
corona d’alloro, nella scena sono presenti anche musicisti ed altre figure, i tessuti sono preziosi, le vesti e i
copricapi sono ben descritti con le varie cinture e colori diversi. Altra scena quando il santo abbandona
l’esercito per diventare vescovo, alle sue spalle vi è l’accampamento con l’imperatore seduto su una sella
curulis, ha la corona d’alloro ed è rappresentato di profilo come nelle monete romane, il taglio di capelli è a
paggetto tipico del tempo, separato da delle montagne c’è l’esercito nemico quindi probabilmente avvenne
durante una battaglia, la luce proviene da sinistra. Altra scena è il miracolo del fanciullo resuscitato con
Nicola vescovo, la scena è molto rovinata, il fanciullo era già morto e giaceva su un tettuccio, la madre ha i
capelli sciolti, dei giovani dietro hanno una espressione dubbiosa e un altro è sorpreso, le fattezze sono
diverse, uno di loro ha il pennacchio (più era lungo più eri ricco), inoltre c’è anche Dio che sembra guidare
Nicola nella sua impresa. Altra scena è il miracolo dell’imperatore Valentiniano che aveva rifiutato di
ricevere il santo che voleva chiedere grazia per i condannati, ma un’improvvisa fiammata lo scacciò dal
trono, un accolito di San Martino si porta le mani alla bocca per lo spavento mentre l’imperatore si
inginocchia verso il santo, le architetture sono molto dettagliate, il soffitto è ligneo. Altro miracolo descritto
è quando il santo stava celebrando la messa, e siccome donava tutto ai poveri, il manto che usava era tutto
sgualcito, allora scendono su di lui degli angeli che gli porgono un mantello d’oro e gemme, la luce proviene
dall’alto come se Dio intercedesse a lui, davanti c’è l’altare con tutti gli oggetti della messa, sembrano
oggetti di oreficeria tipica senese. Altra scena è il sogno di Sant’Ambrogio vescovo di Milano che durante la
messa si addormenta (siede su una sella curulis, un diacono gli tocca la spalla per farlo svegliare, davanti
un’altro tiene il libro liturgico), era amico di San Martino di Tur infatti alla sua morte crolla in questo sonno,
opera molto dettagliata sia nelle architetture sia nelle vesti, dei volti. Altra scena è la morte di San Martino
appoggiato al suolo, è nella casa episcopale, intorno a lui una serie di diaconi inginocchiati, tutti hanno delle
espressioni diverse, tutto è dinamico ma molto composto e regale, i loro abiti sono molto preziosi, la luce
investe la scena da sinistra, sullo sfondo si può intuire la grandezza dell’edificio in cui sembrano esserci altre
stanze, la scena successiva sarebbe il funerale. Nei sottarchi della cappella ci sono coppie di santi, ritoccati
successivamente perché intorno al 1313 realizza gli affreschi della cappella, nel 1317 andrà a Napoli per
fare la tavola di San Ludovico di Tolosa, poi torna ad Assisi per completare la cappella e i santi, alcuni furono
stati ridipinti: vi è San Francesco, Sant’Antonio da Padova vestito da diacono con la tipica fascia sul collo, lo
sfondo è dorato percorso dai gigli di Francia simbolo della casa D’Angiò, quindi è probabile che la famiglia
volle partecipare all’opera (vennero in contatto dopo il viaggio di Simone a Napoli), poi c’è San Luigi dei
Francesi e di fianco San Ludovico di Tolosa, un santo francescano con il pastorale e l’anello episcopale della
famiglia d’Angiò, altra bifora con Santa Caterina d’Alessandria e Santa Maria Maddalena, le loro vesti sono
molto ricche con panneggi abbondanti e bordi ricamati che spezza il senso del volume, spezzato a favore
del colore e linee sinuose che percorrono le vesti, infine c’è Santa Chiara e Santa Elisabetta d’Ungheria,
sembrano tutte damigelle di una corte che partecipano ad una festa, il loro atteggiamento è regale e le loro
vesti molto pregiate.

A Napoli realizzò la pala d’altare

per la Basilica di San Lorenzo Maggiore, ora conservata al Museo Nazionale di


Capodimonte, il soggetto principale è San Ludovico di Tolosa nella scena in cui incorona il fratello Roberto
d’Angiò, al di sotto vi sono 5 scene della sua breve vita (muore poco più che ventenne infatti venne
canonizzato presto). Egli doveva ereditare il regno di Napoli ma decise di entrare nell’ordine francescano,
ovviamente questa scelta non fu ben vista dalla sua famiglia, che accettò la sua scelta solo a patto che egli
diventasse Vescovo di Tolosa, infatti nelle scene è rappresentato sia vescovo che frate. La figura è
rigidamente frontale, due angeli gli mettono in testa una corona celeste voluta da Dio, mentre mette la
corona terrestre al fratello. L’aureola è decorata riccamente con la tecnica con gli stampi, il piviale ha i gigli
simbolo della casa d’Angiò chiuso sul davanti da una spilla, tutto è molto sinuoso, il faldistorio ha le gambe
leonine, qui il senso del volume di Giotto viene eroso dalla preziosità del colore e dalle linee dei tessuti, la
figura è esile con delle vesti molto preziose, il pavimento è diviso con delle linee che danno un senso del
volume spezzato da un fondo oro liscio, qui c’è il primo ritratto nella pittura del 1300, il volto del fratello,
molto dettagliato e con rughe, il naso adunco, il pomo d’Adamo. La cornice che gira tutt’intorno con un
andamento cuspidato, è blu con lo stemma degli Angioini, l’opera fu commissionata da Roberto d’Angiò.
Nella barella ci sono i 5 episodi della sua vita, sono piccole scene ambientate dentro delle stanze che
risentono della lezione Giottesca, le stanze sono divise da delle colonnine architrave che aprono vari
ambienti: la prima raffigura San Ludovico mentre si inginocchia davanti a Papa Bonifacio VIII che voleva
farlo vescovo seduto su un trono molto ricco, Ludovico indica i frati dietro di lui perché prima di farsi
vescovo lui voleva farsi frate, nella scena successiva egli viene accettato tra i francescani infatti ha il saio e
successivamente sopra di esso viene messo il palio e la mitria per far capire che divenne vescovo (la scena è
divisa con una colonna per far capire le due scene diverse). Altro pannello è un miracolo di Ludovico, sullo
sfondo vi è una tavola apparecchiata, l’ambiente è diverso non è di tipo ecclesiastico con volte a crociera
come quello precedente, ma è una abitazione con il tetto a spiovente, il tavolo è in prospettiva con oggetti
posti plausibilmente sopra, le figure sono esili. Successivamente ci sono i funerali di Ludovico, sdraiato su
un letto con drappeggi neri funebri, circondato da frati mentre cantano, i vescovi e i laici, inoltre nella scena
sono presenti anche dei miracoli che avvennero, infatti vi è un cieco, uno storpio e una indemoniata tenuta
da un parente, tutti miracolati entrando in contatto con la reliquia del santo. Ultima scena raffigura un
miracolo post-mortem, in questo caso l’architettura è diversa è una abitazione, un bambino era morto ma
viene resuscitato da Ludovico, per la grazia ricevuta il padre gli dona una statuetta in cera per ringraziarlo
del miracolo.
Dopo ciò Simone ritorna ad Assisi e continua gli affreschi della Cappella, realizzando i sottarchi,
introducendo alcuni santi della famiglia d’Angiò come Ludovico canonizzato nel 1317.
Successivamente realizzò il dossale che ha al centro il beato Sant’Agostino Novello,

oggi opera conservata nella Pinacoteca senese. Ai tempi


dell’opera era ancora beato ma non canonizzato, probabilmente l’opera fu fatta per promuovere il santo,
infatti vi sono anche 4 miracoli da lui compiuti: il santo si erge su un fondo oro, con delle piante ai lati da cui
spuntano degli animali, tutto è molto dettagliato e naturale, la figura è esile, le mani affusolate tengono in
mano un libro, il primo miracolo in alto a sinistra è quello del bambino che venne aggredito da un cane poi
punito a bastonate dalla madre addolorata, ma grazie all’intervento del santo (è un miracolo post-mortem
perché compare in cielo), viene riportato in vita (la scena descrive due momenti diversi infatti i personaggi
compaiono due volte), nonostante lo sfondo è oro che astrattizza la scena, le mura della città sono descritte
prospetticamente infatti si intravede la campagna retrostante, una luce proveniente da sinistra investe la
scena. Nel secondo miracolo un bambino cade da una altana di legno perché si rompe una tavola, ma
venne prontamente preso dal santo prima che si schiantasse al suolo (sono due scene in una, il momento
del miracolo e il post), la madre sul balconcino si strappa i capelli dalla disperazione, la scena avviene in un
vicolo della città, il tutto è impreziosito dalle tinte vivaci. Terzo miracolo avviene invece in mezzo a delle
montagne con delle piante ben descritte in tutto il suo fogliame, un cavaliere cadde da cavallo e ne rimase
sotto, ma grazie all’intervento del santo che compare sempre con il suo librino sottobraccio (suo attributo
iconografico) lo salva, infatti di fianco vi è rappresentato il cavaliere liberato mentre lo ringrazia. Ultimo
miracolo anch’esso sviluppato in due momenti diversi (quello della sciagura e quello della risoluzione),
vediamo prima che una balia mentre culla un bambino in una culla sorretta da delle corde, una di essa si
spezza e il bambino vola dalla finestra e cade a terra morto, ma grazie all’intervento del santo lo resuscita,
in un secondo momento la madre con delle donne portano un cero in segno di gratitudine per il miracolo, il
bambino è vestito da agostiniano.

In questi anni Simone realizzò anche dei polittici per vari committenti, molti per gli ordini mendicanti che
commissionavano molte opere d’arte per molte donazioni. Una di quelle fu il polittico realizzato per la
chiesa di Santa Caterina a Pisa realizzata intorno al 1320 , al centro
c’è la Madonna che iconograficamente richiama alle donne bizantine (ha il moaforeon, le dita affusolate e il
bambino in braccio), il polittico si sviluppa su quattro ordini, partendo dal basso vi è un ordine con dei santi,
poi c’è l’ordine principale più grande con la Madonna al centro e altri santi, poi ci sono gli apostoli e nelle
cuspidi i profeti, la cornice è andata perduta, forse era con pinnacoli decorati. A Orvieto realizzò il Polittico
di San Domenico per i domenicani del luogo, sicuramente è stato smontato e rimontato con le pale rimaste
perché la posizione dei santi non è coerente (uno di essi è rivolto verso destra e non a sinistra come ci si
aspetterebbe), al centro c’è la Madonna con il bambino e ai altri dei santi, vi è anche il committente ovvero
il vescovo Trasmondo Monaldeschi posto di fianco alla Maddalena che lo presenta, i panneggi sono sinuosi,
sotto il moaforeon vi è un velo bianco di invenzione di Duccio rispetto alla tradizione bizantina, particolare è
la figura di San Pietro, le ombre del suo mantello sono fatte con un giallo più scuro. Nella sua carriera
realizzò molti polittici per vari ordini mendicanti.
Annunciazione oggi conservata agli Uffizi e datata 1333, è un polittico, 5 tavole-archi, sopra vi sono degli
archi fiammeggianti, fu però rifatta nel 1800, originali sono i tondi con i 4 profeti, fu realizzata per uno degli
altari del Duomo di Siena ma poi fu portata a Firenze da Pietro Leopoldo. Un blocco centrale di 3 archi
ospita la scena principale con l’Arcangelo Gabriele con una corona d’alloro e vesti super raffinate con
dettagli in oro, ha la bocca socchiusa perché dice “ave gratia plaena …” (c’è l’iscrizione), da l’annuncio a
Maria che si mostra diffidente, è seduta su un trono marmoreo decorato con decorazioni cosmatesche, il
suo mantello bordato è azzurro decorato con elementi in oro con pieghe sfalsate che spezzano il volume,
ha una corona realizzata con intarsi di pietre preziose e di perle, la sua aureola fatta con stampi e bulino
(piccolo scalpello) formando piccole raggiere, al di fuori dell’aureola continuano i raggi di luce, sullo sfondo
ci sono dei gigli bianchi ben chiaroscurati, il mantello dell’angelo è a scacchi e svolazza cose se fosse appena
atterrato, la sua veste ha una fantasia a motivi vegetali con delle zone in ombra dello stesso colore della
veste ma più scuro (tipico senese), la tavolozza è molto ricca di colori brillanti e vivaci, l’opera è molto
dettagliata, la Madonna tiene con le sue mani affusolate un libro ben descritto con le fibbie per tenerlo
chiuso, Simone si sofferma pure a rappresentare le parole al suo interno dato che la Madonna non lo ha
chiuso completamente.

La rappresentazione del Guidoriccio da Fogliano è situato nella Stanza del Mappamondo del Palazzo
Pubblico di Siena, posto nella parete opposta rispetto alla sua Maestà, Guidoriccio è rappresentato mentre
conquista i castelli sottomessi, fa battaglie e conquiste per la Repubblica di Siena, è sicuramente un ritratto
perché il volto è molto dettagliato, indossa un’armatura in metallo sopra del quale è posta una veste che
riprende la gualdrappa del suo destriero, essa si muove indietro in risposta al suo movimento in avanti.
Ad un certo punto Simone Martini venne chiamato ad Avignone nel 1336 per realizzare il Polittico Orsini,
commissionato intorno al 1340 dal Cardinale Orsini: è una sorta di altare portatile realizzato con più tavole
unite insieme, doveva essere pratico da trasportare infatti ogni tavoletta è di appena 24x15 cm. La
Madonna annunciata ha un volto un po’ abbronciato, ha uno scatto verso dietro, prende con la mano
affusolata il mantello bordato con dettagli d’oro e si va a coprire il volto come sorpresa dall’angelo, nelle
mani tiene un piccolo librino aperto di tradizione trecentesca con le preghiere, siede su un trono marmoreo
coperto da un drappo rosso, le scena è incorniciata con una cornice realizzata con punzoni e stampi, su
un’altra tavoletta vi è l’angelo annunciante con le mani incrociate sul petto, è appena atterrato infatti il suo
mantello è ancora svolazzante, altra tavoletta raffigura il calvario di Cristo verso il Golgota, ricco di figure
che escono dalla porta della città, le solo vesti hanno colori squillanti (sembrano smalti, come nelle opere di
oreficeria delle botteghe senesi con un finish lucido, sono brillanti), al centro Gesù con la croce di legno
sulle spalle, la Madonna sembra voler aiutare il figlio nel portarla, infine vi è la crocifissione, il corpo di
Cristo è esile con la veste trasparente (ricorda quello del maestro Duccio), ai piedi della croce una massa in
movimento di persone dalle vesti vivaci, Longino ferisce il costato con la lancia, si vede anche l’uomo con la
spugna dietro di lui, la Madonna svenuta è tenuta dalle pie donne, i soldati portano vessilli e lance, l’artista
si attarda e si perde in ogni minimo dettaglio nonostante le piccole dimensioni, in alto alcuni angeli si
strappano i capelli, c’è una grande varietà di movimenti ma non è confusionaria, poi c’è la deposizione
sempre ricca di personaggi in cui con sono soltanto i “buoni”, in questa scena si è fatto collocare il
committente con i suoi paramenti episcopali, la Maddalena ha i capelli sciolti e le mani alzate, particolare è i
resti di sangue rimasti sulla croce, un personaggio porta gli unguenti per la sepoltura, dopo vi è la
deposizione nel sepolcro, c’è un affollamento ma non c’è dispersione Maria abbraccia in primo piano il
figlio, Giuseppe d’Arimatea tiene gli unguenti per ungere il corpo, le pie donne si strappano i capelli, sullo
sfondo si scorgono delle piante ed alberi.
Realizzò anche degli affreschi per il Palazzo dei Papi (la sede papale non era più a Roma ma ad Avignone)
negli ultimi anni della sua carriera, rimangono di questo periodo due affreschi: il Cristo Benedicente (ha un
globo in mano, quindi ci fa pensare che sia Dio con le fattezze di Cristo, ma non si ha la certezza) circondato
da angeli in volo date le vesti mosse da un forte vento, molto sottili e una Madonna dell’Umiltà seduta in
terra (simbolo di umiltà, non è in trono, tema molto usato nel gotico internazionale) circondata da angeli in
cui si intravede anche il committente, sono le sinopie ovvero i disegni che stanno sotto gli affreschi (con la
tecnica dello strappo si può letteralmente strappare l’affresco sovrastante per far emergere la sinopia, in
questo caso dato che gli affreschi erano molto rovinato, si è preferito apprezzare le sinopie), nonostante ciò
si può sempre osservare l’eleganza e il rigore del suo stile, entrambi realizzati per la Cattedrale di Avignone.
Ad Avignone conoscerà il Petrarca e realizzerà per lui una miniatura per il frontespizio di un suo codice che
conteneva il commento di Servio al poeta Virgilio, oggi conservata nella Biblioteca Ambrosiana a Milano, la
scena è allegorica in cui c’è Virgilio rappresentato più grande rispetto alle altre figure, ha la corona d’alloro
e sta seduto sotto un albero ed è coperto da un leggero tendaggio che Servio sposta per mostrare il suo
corpo, questo perché lui commenta e spiega le opere di Virgilio (le Bucoliche e le Georgiche), gli elementi
naturali sono ben descritti. Morirà nel 1344.

I fratelli Lorenzetti

PIETRO LORENZETTI fu un grande artista senese contemporaneo di Simone Martini, si formò nella bottega
di Duccio ma una volta andato ad Assisi rimase folgorato dalle opere di Giotto. Fra le sue prime opere
troviamo un finto trittico realizzato intorno al 1315, collocato su un altare della Cappella Orsini dedicata a
San Giovanni Battista nel transetto sinistro della Basilica Inferiore di Assisi,

nella parte centrale vi è la Madonna con il bambino


che ancora ricorda quelle di Duccio un po’ malinconica e bizantina, il moaforeon sale sopra la testa, rimane
l’idea del mantello scuro che risale su per il gomito fermato dal braccio come per tenerlo saldo (elemento
non molto naturale, ma serviva a sottolineare la parte anatomica della figura, di retaggio di Giovanni
Pisano), il bambino guarda amorevolmente la madre mentre gioca con il velo bianco sottostante, le altre
due figure sono il Battista, rappresentato con i capelli arruffati ricordando l’impressionismo di Giovanni
Pisano, e San Francesco che ricorda molto le raffigurazioni di Giotto, esse sono raffigurate minori rispetto
alla figura centrale, tutte comunque sembrano affacciarsi su una sorta di terrazza che da su un loggiato, è in
prospettiva con il punto di vista centrale, arricchite con decorazioni cosmatesche. Nelle pareti della
Cappella si svolge il ciclo dedicato alla passione, la scena della crocifissione occupa tutta la parete, mentre
le altre sono minori, datato tra il 1310-1320. La prima scena del ciclo è l’ingresso di Gesù a Gerusalemme

seguito dagli apostoli, è accolto da una folla in festa


che esce dalla porta della città, molto simile all’opera di Duccio, però il volti sono più espressivi (elemento
preso da Giovanni Pisano), Giuda è l’unico tra gli apostoli rappresentato senza aureola, è di profilo con una
espressione un po’ malvagia, le figure sono molto voluminose memori della lezione giottesca. Scena
successiva è l’ultima cena

molto innovativa, è suddivisa in due ambienti, in uno c’è la


scena principale che avviene sotto una sorta di gazebo a pianta esagonale, l’altro è la cucina in cui due
inservienti puliscono i taglieri presso un camino acceso che sprigiona luce proveniente dal basso creando
ombre tra gli animaletti presenti, si scorge dietro una mensola con una anfora in ombra, tutto
rappresentato in prospettiva anche se non del tutto razionale, si scorge anche un cielo stellato. Dopo c’è la

lavanda dei piedi , l’ambiente è molto razionale, il punto di vista è sulla


destra per cui noi vediamo la parete sinistra, si intuisce che la stanza continua a destra perché si intravede
una mezza aureola di fianco al volto di Giuda il cui corpo è anche tagliato, gli apostoli siedono su sedili in
marmo decorati con motivi cosmateschi, la stanza ricorda una chiesa con le bifore e gli archi tutto sesto che
si appoggiano su pilastri e balaustre. Scena successiva è quella del bacio di Giuda e la conseguente cattura
di Cristo,

la scena sembra oppressa da questo ambiente roccioso


con dei piccoli arbusti di ulivo, il cielo è stellato in cui compaiono delle piccole meteore, su una stradina
alcuni apostoli scappano, in primo piano Pietro si lancia contro i soldati che volevano catturare Cristo, i
colori sono squillanti e ricordano Giotto. Successivamente c’è la flagellazione davanti a Pilato

infatti l’ambiente è più fastoso rispetto alle altre scene,


la colonna a cui è legato Cristo è di porfido rosso, è più grande rispetto alle altre (probabilmente fa
riferimento ad una reliquia), altre figure guardano la scena sulla soglia del pretorio perché non volevano
entrare per non essere contaminati, il soldato di fianco a Pilato ricorda una scultura classica, su una bifora si
affaccia una donna con un bambino, nella parte alta dell’architettura ci sono dei leoni stilofori.
Continuando il racconto c’è l’andata al calvario situata
fuori dalle mura della città, una grande folla assiste alla scena, sembra una processione, Gesù porta sulle
spalle la croce preceduto da dei soldati e i ladroni, tutti sembrano percorrere una discesa, le figure di San
Giovanni Evangelista e la Madonna ricordano le sculture di Giovanni Pisano, la Maddalena si strappa i
capelli, le espressioni sono patetiche.

Successivamente c’è la crocifissione, è grande come 4


riquadri, c’è un grande affollamento di figure con atteggiamenti diversi, il tutto è racchiuso ad anello da
figure a cavallo, le pie donne tengono la Madonna svenuta alla nostra sinistra. Scena successiva è la

deposizione, molto solenne, Cristo è stato appena


staccato dalla croce, il suo corpo è candido in cui si possono scorgere i segni della passione, sembra un
manichino, le figure nella scena sono unite e sorreggono amorevolmente il corpo morto, è sorretto da
Giuseppe d’Arimatea, mentre Nicodemo stacca gli ultimi chiodi dei piedi, la Maddalena gli bacia i piedi, la
Madonna appoggia il suo volto a quello del figlio, sullo sfondo c’è la croce molto semplice in cui rimangono i
segni di sangue delle ferite. Conclude il ciclo con un trittico, rispetto alla partizione architettonica del trittico
Orsini, lo spazio è libero e non suddiviso da nulla, le dimensioni delle figure sono coerenti, in basso è
presente lo stemma del committente, la Madonna indica San Francesco mentre dialoga con il bambino che
tiene in braccio, nella scena è presente anche il Battista.

Mentre lavora ad Assisi, egli realizzò altre opere come la Madonna di Castiglione d’Orcia,

è un’opera giovanile in cui si possono scorgere i retaggi di Duccio, ella cerca di


instaurare un dialogo con lo spettatore guardandolo, il suo mantello pieghettato è innaturale.

La Madonna di Montichiello abbandona già le reminiscenze bizantine, gli occhi hanno


una palpebra un po’ cadente ed allungando dando una espressione viva e dolce, il bambino è più sollevato
in alto più vicino al volto della madre, ha un manto verde portato indietro sopra quello blu come nel trittico
di Assisi, tutte le figure stanno su uno spazio credibile, la sua aureola va altro lo spazio circoscritto, questa
tavola faceva parte di un polittico, a cui appartiene e anche la tavola di una santa con una veste gialla che
sta sopra ad un’altra tunica con i bordi decorati, ha una acconciatura fatta da una treccia ed un nastro
bianco che le scende giù.
Subito dopo il ciclo di Assisi egli realizzò un polittico per il Pieve di S. Maria ad Arezzo

intorno al 1320 su commissione del vescovo Tariati e


concluso intorno al 1324-25, è organizzata su tre ordini uno con i santi principali e la Madonna al centro
(non ha più il moaforeon blu notte ma è bianco con motivi quadrilobati tenuto con una mano, con l’altra
tiene a fatica il bambino, si notino le mani affusolate che affondano sul suo corpo), poi un altro ordine più
piccolo con altri santi inseriti in degli archi con al centro l’annunciazione e infine un altro ordine con altri
santi in dei pinnacoli, in origine sicuramente vi era una cornice architettonica ora andata perduta.
La Pala del Carmine

del 1329 è oggi conservata in Pinacoteca,


oggi è incompleta perché alcune tavole si trovano in musei stranieri, al centro c’è la Madonna con il
bambino mentre guarda il profeta Elia, fondatore dell’ordine, è seduta ha un atteggiamento solenne
mentre guarda lo spettatore. Alla base c’è una barella narrante la storia dell’ordine domenicano,
sicuramente loro committenti infatti ne esalta l’origine: la prima scena si svolge in una stanza da letto, nella
parte alta ci sono degli archi e delle bifore, una scala porta alla parte alta dell’edificio, un uomo dorme e un
angelo sopra di lui gli annuncia in sogno una cosa; scena successiva descrive la vita dei primi monaci che
vivevano da eremiti nelle grotte del Monte Carmelo, le figure sono ben piazzate nello spazio, le vesti sono
voluminose, uno di loro raccoglie dell’acqua da una fontana, la luce proviene da sinistra, sulla destra c’è un
monache in una cella che medita; successivamente c’è la scena che sta sotto la parte centrale in cui si vede
la città di Gerusalemme da cui esce un corteo con uomini a cavallo capeggiati dal vescovo del tempo
Sant’Alberto che va a dare la regola a questo gruppo di monaci, sullo sfondo delle montagne; altra scena è
l’approvazione della regola da parte del Papa, in primo piano c’è il pavimento che va sotto una balaustra
dentro la quale vi sono dei cardinali seduti, al centro dei monaci inginocchiati davanti al papa seduto su un
trono, sopra di lui i tre poteri del papa che portano in mano i riconoscimenti della regola; infine la ricevuta
dell’abito bianco dell’ordine, sempre dal papa, non sono più inginocchiati ma in gruppo si avvicinano al
potentine per ricevere le vesti, la luce viene da sinistra, la ripetizioni degli archi simboleggiano lo sfarzo
degli ambienti papali, è diverso da quello precedente. Tra i santi laterali vediamo S. Agnese con un velo
trasparente sul capo che copre un’acconciatura con una treccia, la veste è come quella del tempo che si
stringe sotto il seno, è rossa e molto ricca e voluminosa, la spalla ci indica una profondità, è rappresentata
di 3/4. Altra santa è Caterina, ha una corona perché era figlia di un re infatti la sua veste è molto ricca, in
una mano tiene la palma del martirio mentre con l’altra sposta il mantello.

Al 1342 risale la commissione della Pala che raffigura la Natività di Maria,


che si doveva trovare sull’altare di San Savino nel Duomo di Siena oggi conservato al Museo dell’Opera. Lo
spazio non è diviso in pannelli ma è unico, nel pannello centrale c’è Anna seduta sul suo letto con una
coperta scozzese mentre riceve il pranzo, in basso il lavaggio della bambina, nella stanza accanto c’è una
specie di corridoio con una finestra che da su un vicolo in cui si scorge il palazzo difronte, lì Gioacchino dice
ad un fanciullo il nome da dare alla nascitura, il pavimento rispetto alla stanza precedente è più sobrio, le
figure sono voluminose.

La Crocifissione in San Francesco a siena si è perduto il


fondo blu ed è rimasto il fondo rosso, manca la parte bassa, per conservare il dipinto fu staccato il muro e
portato in San Francesco, al centro c’è il Cristo in croce, il corpo è consistente, il torace è contratto
sofferente, gli angeli intorno si strappano le vesti nel petto e si disperano, a sinistra c’è San Giovanni
Evangelista dolente con le pie donne che sorreggono la Madonna, a destra dei soldati con dei turbanti e
due hanno le aureole esagonali sicuramente sono Longino e il Centurione che successivamente si
convertiranno.
Nel 1335 realizza insieme al fratello Ambrogio e a Simone Martini la facciata di Santa Maria della Scala
ricoperta con storie della vita della Vergine, oggi andate perdute perché rovinate dalle intemperie.

AMBROGIO LORENZETTI, fratello di Pietro Lorenzetti. La pittura di Ambrogio si compone del senso del
volume giottesco con la preziosità del colore della pittura senese, egli è anche documentato a Firenze
intorno al 1320 sperimentando le innovazioni dell’epoca sperimentando la profondità.
La sua prima opera è la tavola con la Madonna di Vico l’Abate,

è datata 1319 con una iscrizione in basso del committente, ricorda per la
sua impostazione frontale quelle più antiche bizantine, e ciò contrasta la vivacità e il volume del bambino e
le mani con una tesa salda della madonna, non sono le mani a cucchiaio di epoca bizantina. Il forte senso
del volume e della profondità anche ottenuta dal trono con i suoi braccioli che vanno fuori dalla cornice,
come se fosse una finestra che inquadra solo una parte dello spazio reale oltre ad essa. La cuffia di ricordo
bizantino, raccoglie i capelli sotto il moaforeon sotto il grande mantello blu.
Nella Basilica di San Francesco Ambrogio realizzò il Martirio dei Santi Francescani,

non si è sicuri di che martirio si tratti ma probabilmente


è quello dei Francescani di Ceuta, al centro vi è il sultano riconoscibile dal copricapo particolare mentre sta
combinando la pena capitale, in basso sulla sinistra c’è il boia mentre da il colpo di grazia ai frati mentre
sulla destra vi sono dei ragazzini un po’ schifati e di fianco il boia mentre rinfodera la spada, assistono alla
scena delle figure con elmi e turbanti, in questo modo si voleva simboleggiare in maniera esotica il luogo
del martirio. Altra scena raffigurata da Ambrogio è la vicenda di Ludovico di Tolosa, siamo in un edifico che
si poggia su delle colonnine in cui si apre il primo piano della scena con sedili di legno su cui sono seduti i
cardinali, tutto in prospettiva, mentre parlano tra loro, al centro dei frati inginocchiati mentre si prostrano
al Papa, sullo sfondo altre figure che assistono.
Una delle sue opere più importanti è la Madonna del Latte

fu realizzata per il Convento Agostiniano di Lecceto in provincia di Siena, il tema è


la Galacto Profusa, tipologia di Madonna già in uno in epoca bizantina raffigurata mentre allatta, però è
resa in maniera moderna. Il chiaroscuro del telo con cui la Madonna tiene il bambino non è reso con il nero,
ma con gradazione del rosa, ella è vista di 3/4 ed è leggermente decentrata, la sua spalla fuoriesce dalla
cornice dando un senso di profondità e volume, ricostruendo una sorta di movimento dolce, anche
l’aureola si sovrappone alla cornice, inoltre sotto il moaforeon c’è un velo bianco, il bambino è vero e
sgambettante mentre la madre lo guarda, gli occhi delle figure sono allungati, il naso all’insù, l’opera si
trova nel Museo Diocesano di Siena.

Trittico di San Procolo, datato 1332, raffigurata la Madonna con il bambino al


centro con San Nicola e San Procolo ai lati, si trovava nella Chiesa di San Procolo a Firenze dove vi era anche
il culto di San Nicola. Le vesti sono preziosissime e ben descritte come quelle dei vescovi con tutti i loro
paramenti, le pieghe hanno un volume e ombre che simulano il loro andamento sinuoso del tessuto spesso,
la resa volumetrica delle mitre è eccellente, i colori sono brillanti, sotto il moaforeon della Madonna vi è un
velo trasparente che vi fuoriesce, in alto nelle cuspidi abbiamo il Cristo benedicente e ai lati San Giovanni
Evangelista e il Battista, la superficie in oro è riccamente decorata con punzoni e stampi.
Storie della vita di San Nicola

che si trovano nella stessa Chiesa fatte intorno allo stesso


anno, ci sono 4 scene ma non sappiamo se stavano di fianco ad una figura centrale o una scultura. Una
delle scene rappresenta San Nicola giovane mentre butta da una piccola finestra 3 lingotti d’oro per aiutare
tre fanciulle in povertà, infatti all’interno dell’abitazione il padre porge questi lingotti alle giovani,
immaginato come una sorta di dote; l’ambiente è immaginato aperto per poter vedere la scena, vi sono
degli archi sostenuti da sottili colonne, l’interno è descritto in tutti i suoi elementi di vita quotidiana, al di
sopra un balconcino, il tutto ben descritto in prospettiva, sullo sfondo si scorge una stradina senese con dei
palazzi retrostanti con tanto di stemma della famiglia, archi ogivali e balconcini, il tutto investito dalla luce
proveniente da sinistra creando ombre. Seconda scena raffigura il giovane santo (sempre vestito con la
veste rossa della scena precedente) mentre entra nella Cattedrale di Mira (oggi in Turchia) e subito viene
preso per la manica e fatto vescovo (raccontato nella legenda aurea: il vescovo anziano ebbe in sogno una
illuminazione divina secondo il quale il primo che sarebbe entrato nella Cattedrale, è la persona giusta a cui
lasciare l’incarico di vescovo), la scena si compone in due momenti diversi, in primo piano il momento in cui
il santo viene preso per la manica dal vecchio, mentre in secondo piano sopra l’altare c’è la proclamazione
del voto con lui inginocchiato con il piviale, ai lati altri due vescovi che gli porgono la mitria e il bastone e
davanti a lui un terzo mentre celebra la funzione, i due momenti sono distribuiti in due piani diversi
collegati da scalinate su ambo i lati, una volta a crociera si apre sopra l’altare con un trittico cuspidato.
Scena di San Nicola che riesce ad ottenere del grano per la città di Mira che stava vivendo una grande
carestia, egli è sulla riva del mare seguito dai suoi seguaci ben vestiti per bloccare un vascello che dall’Egitto
stava consegnando il grano all’imperatore a Costantinopoli, le vele del vascello sono piegate e l’ancora è
stata gettata, piccole imbarcazioni trasportano a forza il grano a riva, la costa è descritta, all’orizzonte altre
navi con le vele spiegate dal vento, questa opera simboleggia anche l’impegno sociale dei vescovi
dell’epoca, il miracolo sta nella generosità del capitano della nave nel donare una parte del loro carico che
verrà risarcito da degli angeli che dal celo gettano il carico, sulla sinistra la città con delle rocce. Ultimo
episodio è un miracolo post-mortem con 3 momenti diversi in tre ambienti diversi, uno su un banchetto in
primo piano (sembra una terrazza coperta, la parete è eliminata per permettere di osservare la scena, vi era
una sorta di banchetto con degli inservienti che portano taglieri a un tavolo a L, la vista è dal basso infatti si
vede la balaustra con colonnine che la sostengono, durante questo banchetto un mendicante bussa alla
porta, allora il padre manda il figlio a dare l’elemosina), secondo momento (quello principale) si svolge sulle
scale (il mendicante è il diavolo vestito da pellegrino, ha le ali nere e le dita affusolate, è una trappola infatti
lo fa scendere dalle scale e il bambino viene ucciso strangolato), terzo e ultimo momento si svolge a piano
terra (qui i personaggi si ripetono per far capire meglio la storia quasi come delle sequenze, il bambino è
morto sdraiato a letto con la madre che lo piange, poi il padre di fianco chiede la grazia rivolgendosi verso
l’alto e la madre inginocchiata prega, nella stessa scena il bambino si alza resuscitato e la madre che gli va
incontro gioiosa), inoltre vediamo come la figura del santo è data da una lamina dorata per simboleggiare la
luce del paradiso, con dei raggi che vanno a colpire il bimbo morto (per far capire il miracolo da lui
compiuto).
A Montesiepi realizzò un ciclo di affreschi in una cappella dove era sepolto San Galgano, eremita senese
vissuto nel XII secolo, in cui è conservata la spada che conficcò nella roccia, maestosa è la rappresentazione
dell’Annunciazione, in cui la Madonna si aggrappa alla colonna spaventata dall’arrivo dell’angelo, la parte
sopra dopo pochi anni fu sostituita con un volto meno spaventato, come per andare ad accettare l’arrivo di
Dio (abbiamo il disegno preparatorio del progetto iniziale rinvenuto attraverso lo strappo della superficie
pittorica, la Madonna è accasciata a terra impaurita, è una novità, mai si era rappresentata così impaurita),
la colonna è rossa e fa riferimento al luogo reale dell’annunciazione, il soffitto a cassettoni viene riprodotto
anche all’interno della finestra e nelle pareti vennero rappresentate come delle aperture per collegare le
due scene, l’angelo ha in mano una sorta di palma del martirio e non il giglio come per voler anticipare il
destino di morte di Cristo concepito in questo momento, un po’ sbiadito vi è accanto il committente.
Sempre a Montesiepi sopra l’annunciazione c’è la scena della Madonna in trono con il bambino, è un
marmo sopraelevato da alcuni gradini, sul retro vi sono degli angeli che portano mazzi di fiori e gigli, ai lati
alcuni santi, la profondità è ben resa, i personaggi non sono più uno sopra l’altro come nella Maestà di
Duccio, il prato verde in primo piano, degli stalli su cui stanno i santi dietro mentre gli angeli dietro stanno
su una balaustra (vi sono delle figure discusse perché non si sa chi fossero), sulla Madonna vediamo dei
ripensamenti e cancellature—> ha tre mani (con due tiene il bambino ma poi spunta un’altra che tiene uno
scettro, prima era una Madonna regina, poi fu aggiunto il bambino), sul primo piano vi è una donna sdraiata
—> Eva con lunghe trecce, tiene in mano un cartiglio che facendo riferimento al peccato originale, crea così
un parallelismo tra Eva che ha introdotto il peccato originale e Maria che lo accetta e lo redime (allo stesso
modo c’è anche un parallelismo tra Gesù e Adamo con il suo teschio ai piedi della croce), vi sono delle
discussioni sulle figure in primo piano alla destra e sinistra di Eva (forse quella alla sua destra rappresenta
l’amore per il prossimo mentre quello alla sua sinistra l’amore per Dio), fu realizzato intorno al 1334.
Poco dopo intorno al 1335-36 per la Chiesa di Sant’Agostino a Massa Marittima realizzò una Maestà

con la Madonna seduta su un trono al centro della scena


circondata da schiere di angeli suonanti altri tengono il cuscino ai lati del trono altri invece incensano con il
turibolo la figura altri spargono fiori bianchi e rossi e i suoi manti svolazzano, le loro ali continuano oltre le
cornici il che fa pensare ad uno spazio più ampio retrostante la cornice, alle spalle schiere di santi e nelle
cuspidi i profeti e patriarchi, i colori sono squillanti, ci sono anche dettagli in oro, il trono sembra marmoreo
ma non siamo sicuri per via delle ali degli angeli che coprono lo schienale, esso è sopraelevato su tre scalini
ognuno di colore diverso (quello rosso rappresenta l’amore verso Dio, la caritas, dove vi siede la sua
personificazione vestita di rosa all’antica con la spalla scoperta mentre tiene in mano un cuore, quello
verde invece è la speranza, spes, rappresentata da una donna che tiene in mano una torre di cui guarda la
cima, infine vi è su quello bianco la fede, vestita di bianco con la corona di tipo imperiale mentre guarda su
uno specchio la trinità. Tutte e tre hanno le ali), la Madonna e il bambino riproducono la Madonna
“Glicofilusa” cioè la Madonna della tenerezza, infatti stanno guancia a guancia.
Altra opera è il trittico di San Michele della badia a Rofeno

datato 1333-1337, al centro vi è una tavola quadrata con la raffigurazione


del santo mentre uccide il drago, ai lati dei santi mentre nella cuspide principale la Madonna con il
bambino, le figure sono sinuose, viene dato spazio più al colore e alle linee che al loro volume, il
movimento del mantello e le spire del drago creano un movimento vorticoso.
Scene del Palazzo Pubblico di Siena, Buono e Cattivo Governo nella Sala della Pace.
La scena del buon governo in città

è affollata e piena di figure a carattere


allegorico, realizzata intorno al 1338, così si voleva sottolineare il fatto che il governo era guidato da tutte
queste virtù. La scena si sviluppa su due livelli, la figura principale è quella del Governo senese,
rappresentato come un uomo anziano seduto su un trono con una veste bianca e nera (colori dello stemma
senese), sull’affresco furono usate delle lamine d’oro per i dettagli, tiene in mano uno scettro e uno scudo,
il trono è molto allargato perché fa spazio alle personificazioni delle virtù e concetti molto cari al governo
(sopra le loro teste c’è scritto il loro nome). Partendo dalla nostra sinistra c’è la Pace semi sdraiata su un
cuscino molto comodo, ha tra i capelli e in mano un ramo di ulivo, ai suoi piedi come sotto il cuscino vi sono
delle armi, è vestita con una sorta di tunica quasi trasparente e molto semplice che contrasta con gli scudi e
armi accanto a lei, è una giovane fanciulla con una acconciatura a treccia. Di fianco vi è la Fortezza con scudi
e armi, procedendo c’è la Prudenza con una sorta di disco con scritto “passato, presente e futuro”, perché
prima di ogni decisione politica bisogna essere prudenti, inoltre per garantire stabilità bisogna sempre
considerare il passato per evitare di ricommettere gli stessi errori per garantire un futuro. Dopo c’è la
Magnanimità, Temperanza con una clessidra in mano come a ricordare di fare le cose non impulsivamente,
e infine la Giustizia molto macabra ma d’effetto, per far capire che i nemici del Governo devono essere
puniti. Sopra la testa del Buon Governo vi sono le 3 virtù teologali: la Fede con una croce in mano, la Carità
simile a quella di Massa Marittima e la Speranza. Vediamo quindi i tre livelli in cui era diviso il Governo
senese, tutti e tre cooperavano per il bene comune, i civili, i laici e i religiosi. All’estrema sinistra fuori dal
divano, vi è la Giustizia rappresentata con i due piatti della bilancia, sopra di lei come se la ispirasse c’è la
Sapienza, per garantire l’equanimità del suo giudizio (la Giustizia si divide in Distributiva e Commutativa), i
piatti della bilancia tenuti allo stesso livello dalla Giustizia come per far capire che era equa, su un piatto vi è
un angelo vestito di rosso mentre da una parte punisce il cattivo e benedice il buono (Distributiva), mentre
sull’altro piatto vi è un angelo vestito di bianco mentre dona a due figure un metro e dei pesi, perché la
giustizia era anche di tipo mercantile perché anche l’economia e gli esercizi commerciali del governo
dovessero essere giusti e guidati dalla sapienza. Alla base vi erano i cittadini senesi di tutte classi sociali,
tutti concordi con il Buon Governo; sotto la Giustizia (come se fosse il prodotto tra lei e la Sapienza) vi è la
Concordia che dona ai cittadini le due corde che partono dai bracci della bilancia, sulla destra vi sono i
cattivi assicurati alla Giustizia, hanno le mani legate dietro la schiena e sono preceduti dagli armati.
Sull’altra parete vi sono anche gli effetti del Buon Governo, sia in Città che in Campagna,

la città è Siena con tutte le attività, è


fervente e attiva, i cavalieri circolano per la città, al centro delle fanciulle danzano felici con abiti dell’epoca
(la città era tranquilla e sicura), una di loro canta e suona il cembalo, un’altra sta per sposarsi, altri vengono
in città dalle campagne; sulla campagna si evince la laboriosità nei campi e dell’agricoltura con vigneti, ulivi
e castelli, si intravedono le porte della città (somiglia a Porta Romana), si intravede la Securitas minacciosa
anche se raffigurata come una sorta di angelo con vesti sottili e quasi trasparenti, ha in mano una forca con
un impiccato, questo perché i cattivi vengono sempre condannati dalla Giustizia. Su un’altra parete vi è il
Cattivo Governo, oggi molto rovinato, rappresentato come l’immagine speculativa di quello buono. Il
Cattivo governo è seduto al centro di un grande trono, ha gli occhi un po’ strabili, i denti aguzzi che
fuoriescono dalla sua bocca e ha delle corse, i suoi abiti sono neri, è affiancato dai vizi come la Crudeltà,
l’Ambiguità, il Tradimento, il Furore, l’Ingiustizia e la Guerra, sopra di loro vi sono l’Avarizia, la Superbia e la
Vana Gloria, questa è la Tirannide che ha come principale conseguenza l’Ingiustizia, infatti se nell’altra
scena la Giustizia stava su un trono ben vestita, adesso come conseguenza di tale azioni è legata e spogliata
dalle sue ricche vesti sontuose, i piatti della bilancia sono buttati al suolo, infatti come conseguenza ai lati vi
sono assassini, violenza, guerre, qui prevalgono i colori scuri e i brutti volti, figure ambigue.
Polittico che si trova nella Chiesa di San Pietro in Castelvecchio

, Madonna con il bambino tra San Pietro, San Paolo, una


Santa Cecilia e San Michele Arcangelo, tempera su tavola oggi molto rovinata. La Madonna non ha un
manto pesante blu sulla testa, ma un leggero velo che ricade sulle spalle sopra il mantello blu che sposta
con il braccio, il bambino sembra sgambettare infatti il suo piedino si intreccia alla sua veste leggera e di
colore rosa.
Nel 1342 Ambrogio realizzò la Presentazione al Tempio

per uno degli altari della Cattedrale di Siena oggi conservata negli
Uffizi, l’andamento prospettico è reso dalla posizione delle piastrelle, tutti i personaggi hanno le vesti dai
colori brillanti, il naso dritto, il volto turgido, la Madonna ha tra le mani delle fasce con cui teneva il
bambino, il volume è dilatato ma non va a discapito del colore, sull’altare vi è un fuoco dove probabilmente
è stata offerta una colonna, vi è anche un coltellino con cui facevano la circoncisione, sono presenti i nomi
di fianco alle figure, sono presenti degli elementi in oro che arricchiscono i particolari, sullo sfondo si
possono cogliere gli imponenti dettagli del tempio, le volte a fondo blu stellato, i capitelli sono dorati, una
scultura in primo piano rappresenta Mosè.
La Piccola Maestà

oggi conservata in Pinacoteca a Siena (30x20-15 cm) è la parte centrale di un


trittico, qui la Madonna è in trono circondata da 6 Santi (2 Vescovi Nicola e Martino, 2 Papi Clemente e
Gregorio, Elisabetta d’Ungheria e Santa Caterina d’Alessandria), il trono è un faldistorio infatti si
intravedono delle teste leonine, è coperto da un drappo sul quale vi è un cuscino su cui siede la Madonna,
una lamina dorata riccamente decorata sta di fondo all’opera, al centro in primo piano vi è un vaso di fiori, i
gradini sono rivestiti da un tappeto orientale che con le sue linee suggerisce la profondità. Ai lati c’è la
scena di San Nicola quando donò la dote alle tre fanciulle rappresentate mentre dormono su un letto con
una coperta a scacchi e quando San Martino cavaliere donò metà del suo mantello al povero che in realtà
era Cristo si intravede la città e la campagna sullo sfondo, il complesso però fu smembrato: la pala centrale
è a Siena e le due altre rispettivamente al Louvre e a New Haven a Yale.
Infine abbiamo l’Annunciazione in Pinacoteca

datata 1344, si trovava da uno degli ambienti del Palazzo Pubblico


(quindi vediamo come non c’era differenza tra scena laica e scena religiosa). La scena è immaginata come
sotto un portico, sul primo piano vi è un arco che introduce all’ambiente dove accade la scena e da cui
parte un pavimento che da il senso di profondità, la Madonna siede su un trono marmoreo, l’Angelo tiene
in mano la palma del martirio e ha in testa il serto di ulivo, i colori sono vivaci, la colonna dello spirito santo
va verso Maria, ha degli orecchini, tra i due archi vi è Dio padre che manda la colomba, prima è stato
dipinto poi è stata messa una lamina d’oro per poi essere raschiata e far intravedere il colore sottostante.

BONAMICO DI BUFFALMACCO (più o meno contemporaneo di Giotto) fu un personaggio ricordato dalle


fonti locali (come Boccaccio) come un burlone amante degli scherzi, era fiorentino ma girò per l’Italia, lo
troviamo attivo a Parma e Pisa. Gli affreschi del Campo Santo di Pisa sono le opere più famose, opere che
andarono rovinate nel corso della II Guerra Mondiale per via di una scheggia degli alleati che provocò un
incendio, da qui subirono innumerevoli variazioni ed interventi di restauro per non farli deteriorare
ulteriormente, fu rimesso insieme solo nel 2018, quello che vediamo oggi è un mosaico dei piccoli pezzi
rimasti. È datato 1336, Bellosi lo attribuì a lui e non ad un artista bolognese. La caratteristica del suo
linguaggio è la sua forte personalità, forte vivacità degli atteggiamenti, si avvicina molto a quello di Giotto
ma le stravolge, viene introdotta una certa drammaticità alla solennità. Egli nel Campo Santo fece il Trionfo
della Morte, il Giudizio Universale e l’Inferno.
La scena più famosa è il Trionfo della Morte

i personaggi distribuiti in
un’enorme scena in cui sono riuniti diversi temi, quello principale è la Morte, personificata in una strega
con capelli lunghi e grigi, ali di pipistrello, con la falce della morte tra le mani (ancora non c’era l’dea della
morte come scheletro), sotto di lei un cumulo di morti di diverso rango (questo per sottolineare il fatto che
la morte non fa discriminazioni), ella si dirige verso un gruppo di giovani ragazzi/e che stanno all’ombra di
delle piante mentre cantano e suonano spensierati. Dai morti il diavolo e gli angeli tirano su le anime per
portarli al paradiso o all’inferno, alcuni si contendono le animule, la scena è decorata con cartigli oggi però
rovinati, forte contrasto tra un gruppo colpito da sofferenza, malattie e povertà con cartigli che vogliono la
morte (ma lei non li considera) e il gruppo di giovani (la morte va verso di loro), è una sorta di memento
mori. Sulla sinistra c’è la scena che racconta l’incontro tra i tre vivi e i tre morti, anche questo un memento
mori, è una scena rappresentata anche in molti affreschi tema ricorrente, Buffalmacco amplifica il gruppo di
giovani a cavallo con i cappelli, vestiti elegantemente, fanno parte della società più agiata e questo serve a
sottolineare il contrasto con il loro destino, vi sono anche degli inservienti, sicuramente era una battuta di
caccia, ad un certo punto incontrano tre morti che dicono “noi fummo quello che voi siete, ma voi
diventerete ciò che noi siamo”: i morti sono in tre bare tutti molto decomposti, uno ha una corona in testa,
un altro è uno scheletro, tra i vivi uno si copre il volto per il cattivo odore che emanano. In alto ci sono degli
eremiti che si erano ritirati per pensare al significato della vita, visto ammonito il fatto che tutti andremo a
morire, uno di loro indica il cartiglio che ha in mano proprio per far riflette sul senso della nostra esistenza.
Il Giudizio Universale e l’Inferno è composto con il Cristo Giudice dentro una mandorla affiancato dalla
Madonna, ai lati seduti su dei seggi ci sono gli apostoli, al di sotto i giusti e i dannati, vi è anche una
incisione del 1700 che riproduce sia il Giudizio a sinistra e a desta l’Inferno. Gli apostoli seduti alla nostra
destra di fianco al Cristo hanno un proprio volume come le figure di Giotto ma i loro volti sono vari e molto
espressivi, alcuni impauriti, altri sorpresi, altri dormono, altri discutono fra se. In basso sotto gli angeli
tubicini, un angelo prende l’animula di uno tremante per la paura per giudicarlo, come per dire “di questo
che ne facciamo?”, dall’altra parte uno viene buttato all’Inferno, gli angeli hanno la fronte aggrottata e si
danno un gran da fare per smistare le anime, alcuni di loro hanno i capelli spostati dal vento per
l’agitazione, il tutto per far trasparire la confusione del momento, va in contrasto con la Gloria del Cristo al
centro. All’Inferno le anime varie piangono e cercano di andare in Paradiso, sperano di poter andarci fino
all’ultimo momento, queste scene erano così intense per poter impressionare il fedele e istigarlo a
condurre una vita giusta e non in balia del peccato. Il Cristo è vestito e mostra i segni della passione che ha
subito per redimere l’umanità, proprio perché grazie ad essa può giudicare i vivi. In generale i volti sono
molto duri, le superfici sono molto nitide, con un forte contrasto tra le zone in luce e quelle in ombra.

Temi e fonti dell’arte religiosa del Trecento

Nell’arte del Duecento abbiamo l’ideazione di immagini e soggetti che coinvolgano emotivamente
l’osservatori. I soggetti prediletti della pittura su tavola sono la Crocifissione – Madonna col Bambino i quali
erano particolarmente amati dai Francescani in quanto funzionali per essere umanizzati e per rendere più
vicino al cuore del fedele Cristo. Tra la seconda metà del Duecento e Trecento si assiste ad una mutamento
radicale: si rinnovano le immagini e figure introducendo nuovi soggetti. La vita di Cristo e Maria sono tra i
soggetti più rappresentati ma i Vangeli non forniscono spunti iconografici sufficienti così si decide di
attingere a quelli apocrifi i quali offrono fonti preziose per la vita di Maria e Cristo nella sua infanzia o a
moderne riscritture delle narrazioni evangeliche apocrife che narrano delle pene di Maria sotto la croce e
della Sacra Famiglia.

Fonti fondamentale è la Legenda Aurea per la Vita di Cristo ma anche le Vitae Christi: queste contengono
info sulla biografia di Cristo riguardanti infanzia – passione e gioie e dolori di Maria e dove troviamo le
leggende agiografiche. Nel Trecento le scene della vita quotidiana della Sacra Famiglia è ambientata in
ambienti domestici o urbani: Natività di Maria: Ambientata in una camera da letto del 300 Annunciazione:
Ambientata in ambiente domestico.E’ un ottimo espediente per poter descrivere l’interno dell’epoca.
Natività di Cristo: Ambientazione è l’umile capanna con bue ed asinello (come dice il Libro di Giacomo) e il
Bimbo adagiato nella mangiatoia e la Vergine che si prende cura del figlio con Giuseppe che adora a sua
volta il bambino Adorazione dei magi: Diventa uno spettacolo aristocratico in quanto i magi vengono vestiti
di eleganti costumi dove presenti sono anche servitori – cani da caccia – cavalli bardati. Passione e Ultima
cena: Hanno ora grande importanza e sono immaginate come scene dalle grandi folle da umanità
diversificata. La Vergine che raggiunge il figlio con l’Incoronazione è un soggetto molto frequente. Vi sono
dunque intenti di umanizzazione infatti nella Crocifissione vediamo L’Uomo dei dolori in cui il Cristo è
rappresentato morto a mezzo busto che mostra le ferite e il costato dove sgorga sangue.La Pietà è invece
rappresentata con la Madonna isolata tra le braccia il figlio morto: è molto comune in Italia nel XV secolo.
La Madonna col Bambino è il tema più frequente ed è sempre più una scena umanizzata con la Madonna
che allatta o porge un fiore al Bambino mentre questo l’accarezza o gioca con lei. Nella seconda metà del
Trecento abbiamo la Madonna dell’Umiltà: la Vergine seduta in terra col bambino in braccio (questo
sottolinea da una parte l’umiltà di Maria e dall’altra se ne evidenzia il carattere ultraterreno). La Madonna
della Misericordia esprime invece la protezione che quest’ultima estende ai suoi adepti che si trovano sotto
di lei. Per quanto riguarda i santi i più raffigurati sono: San Francesco – Sant’Antonio da Padova
(Francescani) – San Domenico - San Tommaso d’Aquino – San Pietro – San Paolo – San Silvestro – San
Giorgio –San Martino etc.Ogni committente ha il suo santo eponimo ed ognuno di questo è standardizzato
affinchè sia riconoscibile e questo permette quindi ai pittori di esercitarsi in ambientazioni – situazioni e tipi
umani diversi. I Polittici Tra la fine del 200 e inizi 300 molto praticato è la pittura su polittico. Questo è una
composizione architettonica di tavole dipinte riunite in una cornice di legno intagliata e dorata. Questi non
hanno forma o dimensione canonica e possono differire a seconda del gusto del committente o la
destinazione. Alla fine del 200 le pale di questo tipo, unica pala, iniziano a risultare poco armoniose e
troppo costipate come immagini con un impoverimento iconografico così si sente il bisogno di dare
maggiore isolamento alle figure sacre così si elabora un sistema a più tavole. Nel 300 la tipologia più amata
è il polittico formato da tavole allineate di formato verticale a sesto acuto in numero dispera dove la tavola
centrale è più grande rispetto alle laterali. La predella è la fascia dipinta divisa in più riquadri e la sua
funzione era quella di coprire lo zoccolo inferiore della cornice.

CAP.IV – DIFFUSIONE DELLA CULTURA FIGURATIVA TOSCANA ED ESITI DELL’ARTE ITALIANA DEL TRECENTO

ARTE DELLA PRIMA META’ DEL XIV SEC. IN ITALIA MERIDIONALE E SETTENTRIONALE

L’evoluzione artistica che vede protagoniste Firenze – Assisi – Siena coinvolge tutta Italia mentre Roma
conosce un periodo di stanziamento quando la sede papale si sposta ad Avignone. L’impulso creativo è
incoraggiato dalle situazioni politiche – economiche e religiose favorevoli. A Napoli la corte degli Angiò ha
una funzione fondamentale in quanto è il motore dell’attività artistica. Qui non si formano scuole ma le
commissioni sono fatte da botteghe esterne al Regno. Rimini invece, dopo il passaggio di Giotto a Padova, si
ravviva artisticamente risentendo delle influenze transalpine e padane. Bologna invece si presenta come un
centro il quale si rifiuta del giottismo e resiste all’arte fiorentina contrapponendo una mistura di realismo e
drammaticità. A Milano nel 300 si assiste ad un impianto di cultura figurativa di nostalgia romanica
ponendo così le premesse per la formazione di una tendenza lombardo – veneta in cui vedremo pittori della
corte dei Visconti: Padova e Verona. A Venezia è sempre presente il problema della tendenza dell’Oriente
bizantino. 76 Con lo spostamento della sede papale vedremo inoltre molti pittori italiani spostarsi
all’interno della corte papale al seguito dei mercanti – cardinali e letterati italiani. Il linguaggio di Giotto
confluirà nelle ragioni in maniera diversa con Bologna e Avignone che mostrano una chiusura. Regno di
Napoli Nel 1266 abbiamo il passaggio dalla dominazione Sveva a quella d’Angiò con Carlo I – II e ora
Roberto III detto Il Saggio. Abbiamo qui casi di esportazione dell’arte toscana con questo monarca con
Simone Martini – Giotto – Tino di Camaino. I sovrani ora affidano il loro potere politico ai baroni francesi, il
potere economico ai banchieri fiorentini facendo lo stesso in campo artistico. Nella città non si forma una
vera scuola in quando le commissioni sono di botteghe esterne che sono attirate dall’Italia del Sud: nel
tardo Duecento a Napoli, con Carlo II, dominano tendenze francesi e catalane e queste sono ben visibili
negli acquisti e commissioni di corte. L’arte a Napoli ha il suo momento di grande fioritura con Roberto Il
Saggio. Nel 1308 Pietro Cavallini giunge a Napoli e le sue opere hanno grande risonanza in suolo campano
come il suo intervento in San Domenico. Legato a lui è Lello da Orvieto che è presente a Napoli dal 1315 al
1322 il quale si indirizza verso un genere artistico autonomo. Simone Martini e Tino di Camaino arrivano a
Napoli, quest’ultimo tra il 1324 e 1337 è artisticamente attivo. Tra il 1328 e 1333 arriva Giotto il quale
agisce all’interno di Santa Chiara e a Castelnuovo dove di quel poco rimasto, notiamo un grande senso
spaziale e sfumati accordi coloristiche che troviamo a Padova e Assisi. All’interno della sua bottega vediamo
introdotti anche artisti locali (Roberto D’Oderisio). Quest’ultimo è molto schematico e incisivo nei profili e
ottiene numerosi incarichi con la corte di Napoli e con Giovanna D’Angiò ha un periodo aulico la quale
chiede di mascherare la realtà sociale e politica disgregata con visioni di aristocrazia ed eleganza. Centri
dell’Italia settentrionale nella prima metà del Trecento Città dei Malatesta.
Il passaggio di Giotto lascia il segno, si formano degli autori cheRimini seguono il suo stampo. Il maestro ci
lascio il Crocifisso su tavola.
Dopo un inizio giottesco la cultura riminese si apre a varie influenze:
- GIOVANNI DA RIMINI, la pittura è più fusa (in Giotto i trapassi chiaroscurali erano più morbidi). Ciclo di
affreschi nella Chiesa di Sant’Agostino, la presentazione al Tempio

è quella meno rovinata e mostra in maniera chiara la discendenza di


Giotto, sia dalla Cappella degli Scrovegni che dal ciclo assisiate della Basilica Superiore, meta di
pellegrinaggi: balzano all’occhio le architetture sullo sfondo che danno un senso di spazialità, la scena si
poggia su delle mensole, gli edifici hanno una grande spinta ascensionale, le figure hanno un senso del
volume e occupano uno spazio, una luce investe la scena da destra, le scene sono incorniciate da delle
colonne tortili come nel ciclo assisiate, sono irrazionali, le ombre sembrano idealizzate, l’equilibrio è
traballante, i pittori del tempo copiavano le innovazioni di Giotto senza capirne realmente il significato.

- Altro pittore influenzato da Giotto fu PIETRO DA RIMINI, la sua unica opera firmata è la Croce della

Cattedrale di Urbania dove vi è inciso “Petrus de Arimino fecit hoc”


datata intorno al 1310, caratteristiche particolari del suo stile come la forte drammaticità dei volti delle
figure, come smorfie caricaturali, il collo un po’ taurino, ha sempre però la volontà di dare un volume e
uno spazio alle figure con luci ed ombre, il naso è importante, la pittura è densa. Altra opera da lui
realizzata è la Deposizione, i colli delle figure sono molto larghi, i nasi sono molto grandi, le bocche
sottili, i colori squillanti, le pieghe dei panneggi ricordano più quelli assisiati che quelli della Cappella
degli Scrovegni, i colori metallici creando pieghe taglienti, anche le rocce sullo sfondo sono taglienti
come quelle di Assisi. Gli viene anche attribuito il ciclo di affreschi che si trova nel Cappellone (cappella
molto grande) di San Nicola da Tolentino datato intorno al 1310, piena di affreschi sulla vita del santo e
di Cristo, in un pannello vediamo la presentazione al Tempio (con colonnine colpite dalla luce
proveniente da destra, il soffitto cassettonato, l’altare di sotto è coperto da una tovaglia con il libro
liturgico) al centro della scena, ci sono anche i committenti inginocchiati su un lato molto più piccoli
rispetto alle altre figure, i loro mantelli sono ben descritti, vediamo il sentore Giottiniano ma si nota che
non è compreso a fondo, si perde l’equilibrio prospettico, poco razionale, edifici visti
contemporaneamente da destra e da sinistra, è simile al massacro degli innocenti della Cappella degli
Scovegni; altra scena è la resurrezione di una ragazza, le donne accanto a lei hanno ancora i capelli
sciolti dal dolore, la madre che la abbraccia esulta di gioia, le figure tutte hanno una espressione
esagerata, il letto è irrazionale.

Maestro di San Pietro in Sylvis Nel 1330 a San Pietro in Sylvis vediamo un Cristo in maestà che presenta
affinità tardo antiche mentre ai lati della Crocifissione vediamo due file di Apostoli i quali sembrano
riprendere i modelli di statue francesi classico gotiche si presenta come un centro che ha conoscenze
dirette dell’arte toscana in quanto a arriva a bologna nel Duecento una maestà di Cimabue mentre nel
Trecento un polittico dipinto da Giotto e allievi. La scuola che si sviluppa nel terzo decennio del Trecento è
preceduta da una brillante serie di illustrazioni librarie le quali presentano caratteristiche gotiche e
transalpine. L’apertura dell’arte bolognese è testimoniata dalle Storie di Cristo le quali presentano uno stile
e modello iconografico Gotico oltralpe. A causa delle numerose perdite in campo di affreschi è impossibile
ricostruire una storia artistica chiara della città. Nel campo della miniatura abbiamo una forte
manifestazione nei codici destinati a docenti e discenti di Giurisprudenza: tramite le immagini viene resa
più vivace la dottrina dei testi. Illustratore fu uno specialista del ramo e questo nelle sue narrazioni
presenta una rara abilità nell’adattare le figurazioni negli stretti spazi disponibili. Questo è caratterizzato da
una grande attenzione anche per i particolari più cruenti. ricamato su un piviale del XIII sec. o Ciclo delle
Storie di Cristo il più famoso è l’Illustratore:o Illustrazioni miniate e codici per l’Università Cattura e
condanna di un servo – 1340 – Codex – Biblioteca Vaticana. Sopra le colonne di testo rappresentato una
scena tumultuosa con il servo che tenta la fuga – la sua condanna da parte del giudice - la sua tortura nella
quale viene sospeso in aria e l’amputazione di un piede. Nelle fasce sottostanti vediamo la sua fasciatura e
una scena di caccia alla lepre metaforica. Tipico francese è il trittico ao Tavola del Trittico della
Crocifissione per San Vitale sportelli, raro in Italia: Crocifissione – Louvre – 1333. Era destinata alla Chiesa
di San Vitale e presenta un chiaro influsso francese nella carpenteria ( trittico a sportelli comune in Francia)
sia nella costipazione figurativa del pannello centrale. Al cento rappresentato Cristo sulla croce smagrito e
dolorante. una Crocifissione:o Pseudo-Jacopino 1330. Presenta fonti nordiche, forse una miniatura da cui
deriva l’ornato del fondo con Cristo smagrito come nella Crocifissione del Louvre e ricadente in avanti con
un pubblico cavalleresco che assiste alla scena 78 massimo pittore bolognese- Nei suoi dipinti la veemenza
goticao Vitale da Bologna tocca il culmine. San Giorgio e il drago. Il suo stile penetra in Friuli e in Trentino.
Crocifissione – XIV – Vitale da Bologna. Vediamo figure accalcate di individui dolenti. Cristo, al centro, è
raffigurato con ai lati i ladroni che pendono torti dalle croci mentre i cavalieri discutono infervorati. Maria
sviene mentre i soldati si accapigliano.SI tratta di un dipinto dove appaiono le regole di armonia – spazialità.
San Giorgio e il drago – 1335/1340 – Vitale da Bologna. Rappresentato San Giorgio a cavallo mentre è
intento nel conficcare nella gola del mostro l’asta sulla quale egli appoggia tutto il suo peso affinché il colpo
sia mortale. Il cavalo s’inarca e torce terrorizzato. La posizione del cavallo spaventato viene riutilizzata nel
1340 quando Vitale da Bologna dipinge il Trionfo della Morte. La Lombardia dal 1277 è governata da
Visconti. Il 1344 il castello della Rocca di Angera diviene di proprietà Viscontea dove le pitture sono ancora
legate alla tradizione romanica. Anche qui gli artisti toscani influiscono nell’ambiente lombardo in quanto
questi lavorano all’interno del cantiere del palazzo che si sta erigendo in città. Arca di San Pietro Martire -
1339 – Giovanni di Balduccio. Quest’arca è sorretta dalle Virtù ed è coronato da un tabernacolo con la
Madonna col Bambino e sormontato da altre statue. Qui si ispira a Nicola Pisano nella sua Arca di San
Domenico e a Tino di Camaino nel Monumento Petroni. Giotto tra il 1334 e 1336 è a Milano dove dipinge
all’interno del Palazzo di Azzone Visconti una serie di Uomini Illustri. Sfortunatamente è pervenuto a noi
molto rovinato anche se sono riconoscibili nella Crocifissione i volti vivaci realizzati con morbide pennellate.
L’area Veronese – atesina nel XIII secolo si distingue per la pittura profana collegata con le commissioni
privati di signori feudali. Gli affreschi illustrano in genere romanzi francesi di tema arturiana – carolingio con
uno stile attardato. L’interesse risiede nel contesto profano di estrazione aristocratica. In queste pitture
abbiamo una grande attenzione ai particolari dei costumi – fisionomie dei soldati .di una concezione
arcaica. L’influsso di Giotto non tarda a penetrare. A Venezia verso il 1330 vediamo la costruzione di due
chiese gotiche di aspetto continentale dove però lo stile bizantino difficilmente non è presente. ( es. Pala
feriale – Paolo Veneziano).

ARTE ITALIANA E CENTRI EUROPEI

L’Italia riceve e rielabora motivi del gotico nordico e esporta stili al di là delle Alpi. Gli artifici prospettici
italiani tra il 1320 e il 1340 sono imitati in Austria, Francia e Spagna. La corte di Avignone ha il Fiabesco
Palazzo dei Papi. Nel 1366 arriva Simone Martini, accanto a lui lavorano artisti senesi come il Maestro degli
angeli ribelli. Ad Avignone non lavorano autori totalmente giotteschi che non sarebbero graditi, ma i senesi
legati a motivi gotici. La Camera del Guardaroba del Palazzo dei Papi è affrescata con scene profane.
Maestro degli angeli ribelli sintetizza il naturalismo dei particolari e fantasia di Simone e il rigore prospettico
di Lorenzetti. Ad Avignone non lavorano solamente artisti di osservanza giottesca ma anche senesi legati ai
motivi gotici. Scena di Caccia e Pesca – 1343 – Palazzo dei Papi. Rappresentati falconieri – pescatori – cani –
uccelli su di uno sfondo erboso con fiori e alberi realizzati con grande attenzione. La tematica è aristocratica
ed agreste e abbiamo il contrasto tra l’appiattimento in superficie e la veridicità dei particolari

MATTEO GIOVANNETTI fu un prete pittore originario di Viterbo e attivo ad Avignone nella prima metà del
1300, lì affrescò alcune stanze del Palazzo dei Papi in quel periodo detto della “Cattività Avignonese” in cui
la sede papale era lì e non a Roma (in modo che il Pontefice e l’Imperatore fossero in stretto contatto), il
territorio era in mano alla Famiglia degli Angiò del Regno di Napoli imparentati con i monarchi francesi,
molti artisti furono chiamati ad Avignone tra cui Matteo e Simone Martini suo conoscente, infatti da lui
ereditò l’eleganza e la raffinatezza delle figure, la vivacità dei colori coniugandole alle innovazioni giottesche
come l’illusionismo architettonico e spaziale, oltre alla sua resa dei ritratti molto dettagliati, diventando il
suo segno distintivo.
Egli realizzò la Volta della Cappella dedicata a San Marziale datata al 1346, era un santo dell’epoca
apostolica vissuto ai tempi di Gesù e di San Pietro e fu mandato in Francia per evangelizzarla (ciò serviva
per legittimizzare anche dal punto di vista storico questo scambio di sedi papali, perché era concepito come
una sorta di San Pietro francese). Le architetture sono abitate da figure, qui le tecniche toscane si uniscono
al gotico francese, la decorazione generale ricorda quella della Cappella degli Scrovegni decorata con
specchiature marmoree al di sopra del quale vi sono delle monofore dal profilo mistilineo, che simulano
delle finestre aperte, procedendo verso l’altro troviamo attuato nelle scene l’illusionismo architettonico,
infatti la scena sembra proseguire oltre le cornici architettoniche, qui abbiamo delle sale che forano le
pareti, tutto in prospettiva. I volti dei personaggi sono sicuramente dei ritratti data la loro attenta
particolarità, attenzione al dato naturalistico —> anticipazione del gotico di fine 1300. San Marziale fu il
personaggio che portò il cesto con i pani e i pesci in occasione del miracolo fatto da Cristo, infatti nella
cappella è presente anche questa scena, proprio per sottolineare la vicinanza di questo santo a Cristo.

Matteo Giovannetti realizzò anche la Sala dell’Udienza datata 1352, ma sono rimasti solo piccole scene
come il gruppo di Profeti e patriarchi: le figure sono rappresentate sopra uno sfondo blu stellato, stanno su
delle nubi, la cornice è decorata con motivi floreali, le figure sono eleganti, il volume è eroso dalle pieghe
delle vesti, tra gli spicchi della volta vi sono altre figure incastrate.
Altra sala è la Camera del Cervo sempre ad Avignone, il soggetto è profano —> una scena di caccia, vi è un
cacciatore con un il falcone tenuto sul braccio con il guanto, accompagnato dal suo inserviente e dei cani,
intorno a loro la natura dettagliata del bosco.
Fenomeni di crisi e assestamento oltre la metà del secolo La scultura che aveva avuto un grande sviluppo
lascia al passo alla pittura come vediamo dai numerosi affreschi. Si amplia la gamma di contenuti dove i
pittori si vedono anche a rispondere alla richiesta di committenti laici che vede immagini che rappresentano
ambienti naturali – urbani e domestici con uomini intenti nelle più svariate occupazioni. I temi religiosi sono
umanizzati. Firenze vede una forte crisi dove gli altri centri, prima solamente confinati, vedono ora il loro
periodo di fioritura: es. Rimini. A Napoli con Giovanna I d’Angiò viene a mancare il supporto culturale di
corte motore prima delle vicende artistiche. La crisi di Firenze e Siena è anche aggravata dalla crisi
economica con la piccola e media borghesia che si sostituisce tra il 1342 e il 1381 a quell’alta. Il gusto
dell’alta borghesia, espresso da Giotto, è soppiantato da quello laico e moderno della piccola e media
borghesia legata alla concezione religiosa arcaica. Nel 1348 arriva la peste che innesta una forte spiritualità
fra la gente che prevede anche forme di penitenza. Questo dà quindi un’origine ad un’arte diversa dove
non si cerca più di umanizzare l’arte sacra ma di scuotere gli animi con immagini violente o di sollecitare la
speranza di salvezza spirituale. Le produzioni artistiche di Siena e Firenze non hanno più un ruolo trainante
per gli altri centri. Le cause sono legate a motivazioni di tipo culturale – economico – sociale e religioso ma
sono legati anche al nuovo gusto dei committenti e aspettative del pubblico. Firenze e la Toscana tra il 1350
e 1380 La crisi demografica e politica, la peste del 1348, non lasciano seguito a Firenze. Viene fatta la Loggia
della Signoria (1376-81), da Benci di Cione e Simone Talenti; è destinata alle cerimonie pubbliche del
Comune. La Loggia con i suoi arconi a tutto sesto esprime la ricerca di un purismo formale classicheggiante
che caratterizzerà, qualche decennio più tardi, le costruzioni del Brunelleschi. Tra gli artisti possiamo citare
Andrea Orcagna, è stilisticamente affine a Maso nelle opere giovanili ed è incline a trasformare la solennità
proto-classica in espressione di astratta maestà sovrannaturale. che ci lascia il Tabernacolo di
Orsanmichele, opera gotica; un polittico del Redentore e Santi nella cappella Strozzi in Santa Maria Novella;
La Presentazione della Vergine al Tempio. 81 Redentore e santi – 1357 – Santa Maria Novella.
Rappresentato Cristo impassibile all’interno di una mandorla, abbiamo la riproposta di una iconografia
duecentesca. Presentazione della Vergine al Tempio – 1355/1359 – Tabernacolo di Orsanmichele a Firenze.
Andrea si allontana dall’atmosfera umana creata da Giotto nella Cappella degli Scrovegni e organizza la
scena in maniera simmetrica. Il sacerdote è rappresentato centralmente facendogli assumere un ruolo di
rilevanza. Ieratico. La Madonna sale le scale. La narrazione lascia spazio all’immagine di tipo rituale. Poi
abbiamo Nando di Cione fratello di Orcagna: Madonna e Santi; il Paradiso. La loro pittura è venata di
suggestioni arcaiche alla Cimabue.
Le conquiste formali e spirituali del giottismo sono accantonate.

Madonna e santi – 1356 – New York. Rappresentata la contemplazione dei fedeli nei confronti di un idolo
con fondale di stoffe preziose. La Madonna appare distaccata da ciò che le accade intorno come anche i
santi. Andrea Bonaiuti dipinge nel 1366-1368 nel Cappellone degli Spagnoli in Santa Maria Novella. Sulle
pareti e volte vediamo accattonate le conquiste giottesche e rappresentata un’ardua iconografia.
Importante è il Trionfo dove le figure si dispongono rappresentando il pensiero domenicano: Sopra i padri
della scolastica fiancheggiati dagli evangelisti – santi – re d’Israele. Sotto abbiamo le Virtù e le Arti liberali
dove ognuna di questa è posta all’interno di un’edicola gotica. Vi è poi 82 la Via veritas: percorso allegorico
con cui si celebra la funzione di Domenica e della Chiesa cioè quello di via per la salvezza. La scena artistica
fiorentina torna a vivere alla fine del secolo, con Agnolo Gaddi e Spinello Aretino. Quest’ultimo, artista
fecondi che si sposta tra Arezzo, Pisa, Siena e Firenze.

Altro artista attivo tra il 1325-1370 fu GIOVANNI DA MILANO, forse nato a Como ma attivo a Firenze, il suo
linguaggio è tipicamente lombardo per l’immediatezza e l’intensità delle espressioni, coniugato con la
solidità delle forme e l’interesse per l’illusionismo architettonico tipico fiorentino. La sua prima opera fu il
Polittico di Prato

realizzato intorno al 1355-1360, realizzato per l’Ospedale della Misericordia


della città, ha una doppia predella alla base su cui posa la tavola principale con a centro la Madonna con il
bambino seduta su un trono architettonico in prospettiva, è circondata da altri 4 santi (dalla nostra sinistra
c’è un santo benedettino forse San Benedetto, Caterina D’Alessandria con la palma del martirio e una ruota
dentata alle spalle), i colori sono vivi e netti, le figure sono estremamente eleganti.
Polittico di Ognissanti

è una delle pale più nuove e articolate del 1300,


infatti fu smembrata dai mercanti e molte parti vendute, al centro doveva esserci l’incoronazione di Maria
con ai lati delle coppie di santi e alla base altri gruppi più numerosi di santi posti all’interno di loggiati
facendo intuire uno spazio più ampio oltre la cornice, forti ombre danno il volume ma non sono nere ma
bensì cangianti, i volti delle figure sono pallidi ed entrano in contrasto con le vesti dai colori vivaci, hanno
un’espressione leggermente imbronciata, le labbra sottili e gli occhi grandi, i loro volti sono tutti rivolti
verso la Madonna, l’oro è decorato con stampi e punzoni, l’opera fu realizzata prima del 1360-1369 anno in
cui l’artista fu chiamato a Roma per affrescare la sede pontificia insieme ad altri artisti fiorentini.
Firmata e datata 1365 realizzò per il Terzo Ordine Francescano (quindi per la Chiesa dei Santi Girolamo e
Francesco a Firenze loro sede), oggi conservata nella Galleria dell’Accademia a Firenze, è la rappresenta del
Cristo in pietà sorretto dalla madre, dalla Maddalena e da San Giovanni Evangelista, è a scopo devozionale
—> si vuole mostrare il Cristo e gli altri personaggi per i fedeli, non si vuole raccontare la storia della
passione.

Fece anche degli affreschi nella Cappella Rinuccini all’interno della sagrestia di Santa Croce a Firenze,
l’opera fu commissionata dalla famiglia nobile dei Rinuccini nel 1365 con scene della vita di Maria e della
Maddalena, nella sua impaginazione è l’influenzata dagli affreschi di Assisi—> le scene sono divise da
colonne ed elementi architettonici. La pittura è fortemente scorciata e vista dal basso, forti ombre danno il
senso del volume e della profondità. Cacciata di Gioacchino dal Tempio: esso è diviso in 5 navate molto
affollate, al centro vi è il sacerdote mentre caccia Gioacchino con un agnello in mano, alle loro spalle si
intravede un altare e delle fiamme, nella navata alla nostra estrema sinistra ci sono delle figure maschili
mentre attendono di poter sacrificare gli agnellini che tengono in mano, procedendo in avanti vi sono altre
figure mentre porgono gli animaletti, alla nostra estrema destra delle donne molto agghindate portano le
loro offerte, andando avanti figure maschili pregano. Alcuni volti sono ben dettagliati il che fa pensare a dei
ritratti, inoltre solo alcune figure sono vestite all’antica. Altra scena sempre nella Cappella Rinuccini,
racconta due scene in una, divise da una roccia e un pastore accompagnato da un cane: la prima scena alla
nostra sinistra raffigura l’angelo che sveglia Gioacchino di notte per dirgli che può tornare a casa, mentre
l’altra scena sulla sinistra è l’incontro con Anna alla Porta aurea di Gerusalemme. Altra scena è la natività di
Maria, scena molto solenne e quotidiana, alla nostra sinistra delle ostetriche porgono delle lenzuola, al
centro tre ostetriche giocano con Maria dopo averle fatto il bagnetto, mentre sulla destra Anna si lava le
mani aiutata da una inserviente. Dalla parte opposta a questa parete vi è la scena del primo incontro tra la
Maddalena e Cristo duramente la scena del fariseo, ella gli lava i piedi con un unguento, altri inservienti
portano le vivande a tavola, in alto dei demoni vanno via (nelle sacre scritture c’è scritto che quando Gesù
accolse la Maddalena, egli scacciò da le 7 demoni). Altra scena è la Cena in casa di Marta e Maddalena:
Cristo è seduto su una sedia mentre Maddalena è inginocchiata ai suoi piedi estasiata dal suo racconto
(Gesù ha il dito rivolto verso l’alto, parlando delle cose del cielo), mentre Marta con un grembiule la
rimprovera perché non la aiuta a preparare la cena (si scorge infatti sullo sfondo la tavola apparecchiata),
dietro di lei vi sono il Lazzaro loro fratello e gli apostoli ancora vestiti all’antica.

Dopo la strage della Peste del 1348, gli artisti del tempo si decimarono. Se intorno al 1200 l’Italia era micro
fratturata e divisa in tanti comuni, intorno al 1400-1500 lo scenario era più omogeneo e suddiviso in
comuni, erano come dei piccoli stati. Le signorie si formarono nella seconda metà del 1300, si formarono
perché i comuni erano in lotta fra loro per cui si arrivava a delle ingovernabilità, l’unica soluzione era
affidare il loro piccolo territorio prima a dei Podestà che nel tempo diventeranno veri e propri signori, come
dei piccoli principi. Questi signori tal volta erano eletti dal popolo o si affermavano attraverso maneggi vari,
o venivano appoggiati da Papi o Imperatori, e assumevano pieni poteri. Attraverso le Compagnie di Ventura
mantenevano stabili i territori, inoltre conducevano delle guerre esterne per ampliare il loro confini, così si
passarono dai piccoli comuni alle grandi signorie. Commissionavano molte opere perché l’arte serviva a
dare lustro alla casata, il loro centro di potere erano i loro palazzi riccamente affrescati, le loro cappelle
gentilizie dove si facevano seppellire dovevano essere all’altezza della loro grandezza.

PAOLO VENEZIANO realizzò nel 1345 la coperta feriale della pala di San Marco,

è una opera di
oreficeria oggi situata in un altare laterale della Basilica di San Marco a Venezia, è riccamente decorata con
oro, smalti e pietre preziose, il primo nucleo fu fatto inizialmente nel X secolo per poi essere ampliata e
modificata, era un oggetto di grande devozione che veniva coperto da una tavola-coperta feriale meno
pregiata (questa) e scoperta in seguito a specifiche festività durante l’anno. L’arte veneziana era molto
legata all’arte bizantina, nonostante le sue architetture erano molto innovative, sicuramente dovuta al
continuo legame commerciale con Bisanzio. Nella parte superiore vediamo questo flusso bizantino con
Cristo dolente al centro affiancato dalla Madonna, San Giovanni Evangelista anziano e altri santi, mentre
nella parte inferiore vediamo più l’influenza di Giotto con 7 scene della vita di San Marco, sopratutto per gli
elementi architettonici che incorniciano le scene. Gli incarnati sono metallizzati, sembrano armature in
bronzo, i profili sono sottili con linee che frazionano i volumi (carattere gotico). Molto simili a questa pala,
sono le due scene della vita di San Nicola a Bari, i colori sono molto vivaci, le architetture fanno da sfondo
e incorniciano le scene, ma vediamo che questa ripresa dello stile di Giotto non è del tutto coerente, infatti
la coperta del letto delle tre fanciulle non è perfettamente in prospettiva. Realizzò anche la Madonna con il

Bambino di Sant’Alvise intorno al 1335-40, gli incarnati sono imbruniti, la veste


sinuosamente scende giù con pieghe falcate, il manto blu è ricoperto da decorazioni dorate, questa
ricchezza delle decorazioni come quelle in oro (particolarità dell’arte veneziana) tendono a rompere e
ridurre il volume e le linee sinuose dei panneggi. Altra opera molto sontuosa è il Polittico per le Clarisse di
Venezia, in alto infatti abbiamo alcune scene della vita di San Francesco e Santa Chiara, al centro la
Madonna e Cristo che la benedice siedono su un trono allargato che quasi scompare dietro le numerose
decorazioni e raggi di luce corpulenti, la carpenteria è super ricca con dettagli d’oro presente anche nelle
figure, ciò rende il tutto quasi bidimensionale.
Altro artista influenzato in parte da Paolo, fu GUARIENTO, artista padovano attivo tra il 1310-1370. Inizia
come pittore giottesco come testimonia la Croce di Bassano del Grappa in cui è anche presente il
committente Maria dei Povolini inginocchiato ai piedi della croce, anche se il perizoma trasparente anticipa
il gotico. Il Polittico dell’incoronazione datato 1344 mostra la Madonna al centro mentre viene incoronata
regina da Cristo, ai lati indie loggiati sono narrate scene della vita di Cristo, i colori sono più chiari.
I Da Carrara (?, carraresi), chiamati a diventare signori di Padova per far fronte ai problemi della città,
commissionarono nel 1354 per abbellire la loro reggia e la cappella privata, una serie di affreschi e delle
tavole dipinte, di queste sono rimasti 27 angeli, la Madonna, San Matteo, gerarchie angeliche e anche altri
affreschi. Particolare del gruppo di angeli armati raggruppati in schiere, vanno in diagonale bando senso di
profondità, gli incarnati sono metallici, le acconciature ricordano la tradizione bizantina, i colori usati sono
molto vivaci e brillanti, le figure degli angeli sono sinuose, i loro volumi sono interrotti sia dalle decorazioni
sia dagli scudi morbidi che sembrano appiattiti al corpo. Altra tavola raffigura una schiera di angeli con in
mano dei gigli e dei globi, sembrano seduti su dei cerchi concentrici (forse indicano i cieli del Paradiso),
sono in prospettiva tanto che le aureole di quelli in primo piano coprono i volti di quelli dietro, hanno delle
vesti bianche e molto ricche simili a quelle dei diaconi. Altro affresco presenta la Madonna con il Bambino, i
colori sono molto vivaci, i volti sono metallici, le parti esposte alla luce sono bianche, il manto blu è
arricchito da disegni dorati, la madonna ha in testa una corona da cui partono dei raggi in oro lucenti
rendendoli ben visibili anche da lontano. San Matteo con in basso il suo simbolo, l’angelo, sta seduto su una
cattedra lignea mentre scrive il vangelo, un grande libro raffigurato in prospettiva.
GIUSTO DE’ MENABUOI fu un artista attivo nel Battistero di Parma, superò la tradizione bizantina. Nasce a
Firenze, lavora per un certo periodo a Milano, per poi stabilirsi a Padova realizzando delle commissioni per
la famiglia dei Da Carrara a Policcimo, morirà nel 1387. Madonna Schiff è seduta su un trono marmoreo
reso in prospettiva, fu realizzato per Isotta Terzaghi datato 1363. A lui vengono anche attribuiti gli affreschi
dell’Abbazia Viboldone nella zona di Milano datati intorno al 1349, particolare è il Giudizio Universale
simile per iconografia che per la resa del volume a quello della Cappella degli Scrovegni di Giotto a Padova
del 1303-1305 (vediamo come dopo quasi 50 anni le opere di Giotto sono prese come riferimento, si nota
infatti il particolare dell’arrotolamento-srotolamento dei cieli particolare innovazione Giottesca, oltre al
Cristo al centro circondato dagli angeli). Trittichetto / altarolo portatile e chiudibile fatto per una
commissione privata, oggi è conservata nella National Gallery datato e firmato “Justus pinxit in Mediolano
1367” (Mediolano = Milano), al centro vi è l’incoronazione di Maria circondata da angeli su vari piani, alla
base le mattonelle del pavimento creano un senso di profondità e prospettiva in cui i santi vi si poggiano
saldamente, prospettiva spezzata dai gradini del trono della Madonna, però a sua volta ripresa dallo
schienale del trono marmoreo alle loro spalle in stile giottesco, nel suo stile lo sono anche le scene laterali
della vita di Cristo, come la Natività (la capanna di legno attaccata ad una grande roccia sullo sfondo, San
Giuseppe rannicchiato nel suo mantello giallo), in generale le scene si svolgono su uno sfondo d’oro
raschiato per far risaltare la superficie lucente.
Battistero di Padova è interamente affrescato sia nelle pareti che nella volta, sicuramente dopo il 1378, era
un battistero e un mausoleo per la famiglia dei signori da Carrara, la committente nello specifico fu la
signora Fina di Pataro Buzzaccarini, moglie di Francesco I di Carrara, che ottenne dall’Arcivescovo il
permesso di trasformare il battistero nel loro mausoleo privato. Le scene sono molto varie, come quelle
sulla vita di Cristo, della vita della Madonna, dell’antico testamento. Nella cupola c’è una sorta di Cristo
Pantocratore circondato da schiere di angeli e santi seduti su troni (di retaggio bizantino ma con
innovazioni moderne e giottesche), nei pennacchi ci sono i 4 evangelisti, nel tamburo ci sono le storie della
Genesi, i colori sono fluorescenti e quasi trasparenti, come il manto di azzurrino di Cristo e della Madonna
che li fanno spiccare tra le altre figure (in generale si voleva creare una rappresentazione del Paradiso). Tra
le varie scene vi è anche la creazione della Terra da parte di Dio rappresentato con le sembianze di Cristo,
seduto sorretto da angeli, il suo manto è fluorescente ed azzurrino, la Terra è circondata dai cieli e dai segni
zodiacali (a quel tempo era si credeva che i segni avessero una influenza sulla vita dell’uomo, inoltre
significa anche lo scorrere del tempo).
La Cappella del Beato Luca Belludi (era un francescano) all’interno della Basilica di Sant’Antonio a Padova
(basilica che sorge nel punto il cui morì il santo, inoltre è un Santo molto famoso perché faceva miracoli e
proprio per questo le persone si rivolgevano a lui per un miracolo e le famiglie facoltose volevano farsi
seppellire nella Basilica). Al centro vi è la Madonna in trono circondata da i santi francescani e i committenti
(erano la famiglia Conti, una delle più nobili di Padova), al di sopra vi è l’annunciazione il cui spazio è
perfettamente in prospettica, lo stesso spazio accoglie il rosone, la finestra vera, il cui motivo viene ripreso
in delle piccole aperture fittizie che vi girano tutto intorno e si alternano a riquadri con i profeti, come per
dire che la scena che sta sotto si è compiuta come scritto nelle sacre scritture.
ALTICHIERO rientra in quel gruppo di artisti attivi nella seconda metà del 1300 entro gli anni 80. Nato a
Verona, lavora per grandi famiglie come i Da Carrara a Padova e gli Scaligeri a Verona.
La famiglia Cavalli commissionò degli affreschi per la loro Cappella Cavalli in Santa Anastasia a Verona, in
uno di questi affreschi vediamo vari membri della famiglia inginocchiati e rivolti verso la Madonna seduta in
trono sulla sinistra con in braccio il bambino, accompagnati dai loro santi protettori (loro li presentavano
alla Madonna e chiedevano di andare in Paradiso, è un’opera votiva), successivamente sulla parete fu
costruito un monumento funerario sicuramente successivo. Lo stile di Altichiero risentì dell’influenza
giottesca, infatti alle spalle della scena si ergono degli edifici gotici che contribuiscono a dare un senso di
prospettiva, i colori sono caldi, si vede un anticipo del gusto cortese del Gotico Internazionale attraverso
l’eleganza e la raffinatezza delle figure. A Padova realizzò per la Famiglia Lupi, la Cappella di San Giacomo,
oggi San Felice (sta difronte al corpo di Sant’Antonio), della Basilica di Sant’Antonio, il committente era il
Marchese Bonifacio Lupi di Soragna. La cappella mostra la crocifissione con ai lati due sarcofagi, la scena sta
dentro un trittico (ma la scena è comunque unitaria) fatto con archi ogivali sostenuti da colonne, delle
architetture complesse danno un senso di profondità, le numerose figure distribuite in vari livelli rafforzano
questo concetto, c’è un affollamento ma ciò non va a discapito della solennità dell’evento, non mancano
ritratti della vita quotidiana: persone incuriosite osservano la scena, una donna parla a un bambino sulla
sinistra, gli operai che avevano messo i chiodi a Cristo vanno via come se nulla fosse, nella parte destra vi
sono i soldati che si giocano la veste ignari di quello che sta accadendo. Altra committenza sempre Padova è
la Cappella di San Giorgio nella piazza antistante alla Basilica di Sant’Antonio di Padova, che per la
disposizione degli affreschi, nei colori e nella sua struttura (aula unica con volta a botte) ricorda la Cappella
degli Scrovegni della città, qui però le scene sono più ampie ed inoltre Altichiero sfrutta anche lo spazio tra
le finestre, il committente è un altro membro della Famiglia Lupi (Raimondo Lupi) e fu realizzata tra il 1379-
84, presenta storie della vita di San Giorgio, Santa Lucia e Santa Caterina d’Alessandria. Le architetture
accolgono le figure, come nel funerale di Santa Lucia, alcuni volti sono dei ritratti, le vesti sono quelle
secondo la moda del tempo, non fasciano il corpo ma sono voluminose e ben salde il che contribuisce a
dare un tono solenne al tutto (retaggio giottesco). Altra scena è Santa Lucia condotta al lupanare (nella
legenda aurea si narra che la santa non si volle concedere al console del luogo, allora lui la costrinse ad
andare in un bordello, ma nel momento in cui la stava per portare lì, il corpo della santa diventa
pesantissimo, tanto che neanche un numero esorbitante di buoi riuscirono a spostarla), la santa si trova
sulla sinistra con una veste molto voluminosa e ricca di pieghe, un uomo la spinge con forza da dietro, dei
buoi cercano di andare avanti a forma ma senza successo, dei pastori li pungolano per incentivare la loro
forza ma questo non sembra bastare, le architetture sullo sfondo vanno come ad esaltare la scena in primo
piano—> l’architettura al centro più bassa sembra esaltare la tensione dei buoi.

L’Italia settentrionale nella seconda metà del Trecento A differenza dell’Italia meridionale che va in crisi
politica, al nord fioriscono gli stati signorili: Savoia in Piemonte, Visconti a Milano,Gonzaga a Mantova,
Scaligeri a Verona, Estensi a Ferrara, Da Carrara a Padova. Le corti hanno quindi l’esigenza di
autorappresentarsi sotto ogni aspetto. Queste signorie affermano l’autonomia politica territoriale e queste
divengono committenti di numerose opere architettoniche – artistiche e di arredo. Queste stimolano
l’artigianato di lusso appoggiando l’evoluzione artistica. Si costruiscono non solo palazzi ma anche opere
architettoniche religiose perché la decorazione e edificazione religiosa rientra nella sfera politica.
L’ambiente cortese si traduce in un Gotico Internazionale, di pungente naturalismo ed eleganza.

Milano Viscontea
La corte dei Visconti assume un ruolo di primo piano in campo artistico. Galeazzo II fa erigere a Pavia il
castello, perfetto esempio di adattamento di una struttura difensiva a residenziale. Alla fine del Trecento il
Duca Gian Galeazzo fonda edifici che possano simboleggiare la potenza e la ricchezza del suo Stato, come il
Duomo di Milano ( iniziato nel 1386) e la Certosa di Pavia (1386). Anche la scultura è usata a fini celebrativi:
Dinastia dei Da Campione Scaricato da Roby C. (robyseb.99@gmail.com) lOMoARcPSD|3445412 83
Monumento sepolcrale di Bernabò Visconti 1363. Arca sepolcrale con al dì sopra una statua equestre e
presenta una variante con Ritratto equestre di Cangrande della Scala in cui il cavallo rompe l’allineamento
con il capo che si volta. La pittura milanese del terzo quarto del Trecento presenta una continuità con
Giotto anche se questo deve fare i conti con l’arte tardo gotica che comincia a fiorire nella corte dei
Visconti. Nei codici miniati ora conservati a Parigi notiamo un’estrema raffinatezza delle fusioni cromatiche
portate da Giotto e iconografie profano- cavalleresche. Questi dimostrano l’evoluzione dello stile tardo
gotico.
TOMMASO DA MODENA lascia nel capitolo del convento di San Niccolò a Treviso, un ciclo particolare

datato 1352, dove vengono raffigurati i domenicani nei


loro studioli intenti a svolgere i loro lavori, è una esaltazione del loro ordine (non ci sono santi dell’ordine
ma solo figure importanti), alla base vi è una fascia decorativa, sopra di essa una fascia con i frati intenti a
lavorare vestiti con il loro vestito tipico nero e bianco, descrive analiticamente sia i dettagli del volto che gli
oggetti in scena. Tommaso è così importante perché ha caratteristiche che anticipano il gotico
internazionale. Il primo frate sta in piedi mentre si appoggia ad una scrivania intento a leggere dei libri, ha
la mitria in testa quindi ci fa pensare ad un frate vescovo, sicuramente è un ritratto perché il volto è ben
dettagliato con le rughe, le borse sotto gli occhi, la fossetta sul mento. Le innovazioni di Giotto sulla
prospettiva è andata persa, la scrivania sembra scivolare, la mensola sembra vista dal basso mentre la
scena è vista frontalmente. Un altro frate sembra un cardinale per via del galero che indossa (identificato

come il cardinale Ugo di Billon) , è seduto alla scrivania intento a scrivere delle carte.

Un altro sempre con in testa il galero (identificato come il cardinale Nicolò di Rouen ),
siede alla scrivania per consultare accuratamente dei libri con una lente di ingrandimento, la scena è molto
naturale, il libro è tenuto saldamente da una parte mentre l’altra è libera infatti si apre per la pesantezza,
inoltre anche qui il volto è ben descritto, è un ritratto. Altro frate invece è intento a scrivere con il calamaio,
ha il galero e degli occhiali, su una delle mensole di fianco a lui vi è un libro aperto. Tra di loro vi è anche un
papa fatto beato—> Benedetto XI, infatti ha in testa la fiera pontificia piena di raggi.
Altro ciclo di affreschi da lui realizzato è quello di Sant’Orsola datato 1356-58 che si trovava a Santa
Margherita degli Eremitani, era stato scialbato con l’intonaco e fu trovato per caso durante quelle
trasformazioni delle chiese in stalle o caserme durante il 1800, lo scoprì l’abate Luigi Bailo nel 1882 e riuscì
a trasportarlo fortuitamente con l’aiuto di giovani e riuscendo a salvarli dalla distruzione. Le scene del ciclo
narrano la storia di Sant’Orsola che insieme alle sue compagne (secondo la legenda erano circa 100.000
fanciulle) andarono in pellegrinaggio a Roma dal Papa, però nella strada del ritorno vennero uccise da delle
frecce per la loro fede, sono delle martiri. Le scene sono rovinate. Una delle scene raffigura la santa mentre
saluta la madre prima di partire, tutto è molto vivace, le figure sono vestite secondo la moda del tempo, c’è
una vivacità espressiva, vi sono dei sorrisi, le vesti fasciano i corpi, hanno delle ampie scollature, tutti questi
dettagli vanno a discapito dei dettagli dello sfondo infatti il palazzo che si intravede non ospita le figure ma
sembra a parte, senza profondità. Altra scena raffigura l’incontro con il Papa, la scena è affollata però i vari
elementi e le vesti delle figure sono ben descritte, la santa si inginocchia ai suoi piedi. Altra scena raffigura
le fanciulle con la santa su una barca di ritorno da Roma, erano quasi arrivate a destinazione (infatti si
intravedono le sue mura della città), quando furono colpite dalle frecce.
Altra opera è il Polittico che si trova in Repubblica Ceca nel Castello di Karlstejn, vi è una iscrizione in latino
che dice “chi ha dipinto questa opera? Quale sia la sua qualità la vedete, Tommaso figlio di Barisini”, le
figure del polittico appartenevano ad altre opere poi unite insieme per formare ciò che vediamo oggi
(infatti il mantello del cavaliere alla nostra sinistra è tagliato), il fondo è oro riccamente decorato con
punzoni e stampi, gli sguardi sono molto severi, la Madonna tiene a stento il bambino in braccio, i due si
guardano intensamente, il moaforeon è riccamente decorato e avvolge tutta la sua figura, le altre due
figure sono dei santi cavalieri, hanno delle vesti molto pregiate e piene di accessori come lance, spille,
scudi. Questo insieme ad un’altra opera trovata in Cecoslovacchia fece pensare che il pittore fosse boemo,
ma poi documenti e firme vari confermarono che fosse italiano.

Il GOTICO INTERNAZIONALE è l’arte del primo 1300 soltanto portato all’estremo. Per definizione è il
periodo che cronologicamente va dagli ultimi anni del 1300 (1370 circa) fino alla metà del 1400 (con alcune
particolarità in varie zone dell’Europa), viene definito internazionale perché in qualche modo unifica la
produzione artistica delle corti europee (Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Boemia oggi Repubblica Ceca,
Germania) e questo tramite gli scambi commerciali e i movimento degli artisti tra le varie corti. Viene anche
chiamato Tardo Gotico ma con accezione negativa, perché considerato come le ultime battute di uno stile
nato già alla fine del 1200, che in Italia si scontrava con le prime innovazioni del Rinascimento fiorentino
(con Masaccio, Donatello, Brunelleschi), oppure Gotico Cortese perché incarnava gli ideali delle corti e dei
signori in Italia, in generale nessuna di queste definizioni si può escludere perché contiene in se una parte di
verità. Per capire a pieno le caratteristiche del Gotico si devono osservare le opere.
Esempi perfetti del Gotico Cortese sono le opere dei TRE FRATELLI LIMBOURG, erano miniaturisti che
lavoravano nelle corti, lasciarono moltissime opere. Tra le più importanti osserviamo quelle del Libro delle
Ore “Les tres Riches Heures de Jean de Berry” oggi conservate a Chantilly nel Musée Condé datate 1412-
1415, era un libro di preghiere con miniature sulla vita dei santi e delle celebrazioni liturgiche, ma anche del
ciclo legato alla rappresentazione dei mesi con i segni zodiacali e le rappresentazioni del cielo, il
committente era un illustre uomo legato all’aristocrazia francese per discendenza, Jean de Berry. Esempio
Giugno (si può capire dal segno dei Gemelli e del Cancro, oltre dal tipo di lavoro rappresentato), ciò che
colpisce è l’azzurro acceso del cielo quasi trasparente, non ci sono ombre, c’è un tono fiabesco ed elegante
pur rappresentando un lavoro così rude, la città sullo sfondo ha questi tetti a punta in cui si scorge anche un
edificio gotico, la prospettiva è molto dilatata ma si nota una particolare attenzione al dato naturalistico, ad
esempio è ben descritto il lavoro dei campi in cui gli uomini facevano il lavoro pesante con le falci, mentre
le donne con i rastrelli facevano i covoni. Altra miniatura ha il segno dell’Acquario e del Pesci, quindi è
Febbraio, qui compare il cielo atmosferico gonfio di nubi, il paesaggio è innevato, un uomo taglia la legna,
un’altra tutta coperta per il freddo si dirige verso la casa in cui vi sono delle donne che si riscaldano accanto
al fuoco, la capanna è fortemente scorciata, sono descritti dettagliatamente i volatili nel cortile, l’aratro di
fianco. Gennaio con i segni del Capricorno e dell’Acquario presenta il banchetto del duca di Berry seduto a
tavola con un vestito di broccato azzurro e un copricapo di pelliccia, viene illustrato il gusto e lo sfarzo della
corte, le figure hanno tutti vestiti preziosi, alcuni personaggi portano dei doni al padrone di casa, i colori
sono vivaci e non ci sono ombre, il chiaroscuro è dato con gradazioni più scure dello stesso colore, sulla
tavola tutti gli oggetti sono ben descritti, sullo sfondo tra le campagne alle porte della città sembra si sia
svolgendo una guerra, si nota come non è importante come si rappresenta ma cosa si rappresenta. Agosto
con il segno del Leone e Vergine, raffigura il divertimento dei giovani dell’epoca, infatti un gruppo di giovani
tutti a cavallo vestiti molto elegantemente si dirigono verso la campagna accompagnati da un inserviente,
sullo sfondo si vede il castello e un laghetto in cui altre figure fanno il bagno. Maggio con il segno del Toro e
Gemelli, sullo sfondo si scorgono tantissime piante con il fusto ben dettagliato, in primo piano un gruppo di
giovani a cavallo con vesti molto pregiate, le fanciulle sono vestite di verde e parlano frase. Aprile con
Ariete e Toro, in primo piano ci sono delle figure che si scambiano gli anelli, i loro corpi molto esili sono
avvolti in vesti abbondanti ed eleganti ma si intravede un corpo sottostante, delle altre figure raccolgono in
terra dai fiori, sullo sfondo un boschetto, delle piante e un castello con un recinto.
Tra alcuni pittori italiani attivi in questo periodo ricordiamo LORENZO MONACO, nato a Siena intorno al
1367, era un monaco camaldolese ma aveva la licenza per stare fuori dal monastero infatti fu attivo a
Firenze, i suoi soggetti erano principalmente a carattere religioso, morì tra il 1423-1424. Tra le opere
giovanili abbiamo il Trittico che si trovava Collegiata di Empoli oggi nel suo museo datato 1404, al centro vi
è la Madonna dell’Umiltà cioè seduta su un cuscino in terra (iconografia creata qualche secolo prima da
Simone Martini) è affiancata da coppie di santi che parlano fra sé ma hanno una prospettiva diversa inoltre
l’orizzonte verde dietro di loro è diverso (il che ci fa pensare che tra di loro ci fossero altre figure e altri
pannelli, nonostante ciò lo spazio è comunque unitario), le linee sono sinuose su cui si modellano i
panneggi delle vesti, il corpo della Madonna è corpulento, i colori sono brillanti e talvolta fluorescenti come
il manto di uno dei santi, il senso del volume è dato da un chiaroscuro reso con gradazioni dello stesso
colore, il bambino abbraccia la madre. Altra opera conservata alla National Gallery di Londra presenta al
centro Cristo mentre incorona la Madonna, prevale la brillantezza delle vesti, il chiaroscuro ottenuto con le
gradazioni del colore, il nero è quasi assente, le pieghe sono falcate che quasi distruggono il volume dei
corpi quasi assenti sotto le vesti, si scorgono solo le ginocchia. Altra opera è l’Incoronazione della Vergine
conservato agli Uffizi datato 1414, la scena è unica, il pavimento rappresenta tutti i cieli di diverso colore il
che favorisce a dare un senso di profondità, alle loro spalle schiere di angeli e santi, i colori sono sempre
strillanti e le linee fluide, alla base vi è una bretella con delle storie. Altro trittico datato 1410-15 presenta al
centro l’Annunciazione, i colori sono sempre brillanti, i panneggi falcati, non ci sono ombre per cui il senso
del volume è dato dalle gradazione del colore, la veste dell’angelo è rosa con dentro un morivo blu e
dorato, le ali hanno le piume con colori brillanti. Nel 1420 circa realizzò la tavola sopra l’altare con
l’Annunciazione per la Cappella Bartolini Salimbeni della Santa Trinità a Firenze di cui realizzò anche gli
affreschi retrostanti della Cappella, nella scena vi è un maggiore senso del volume, la Madonna è seduta su
una panca, sullo sfondo si scorge un edificio che da ad un giardino che sembra ospitare le figure (qui
abbiamo un rimando alle opere di Giotto e all’arte del secolo precedente). Verso il 1422-23 a ridosso della
morte realizzò l’Adorazione dei Magi oggi conservata agli Uffizi in cui si può vedere che i colori squillanti
sono attenuati dal chiaroscuro, sicuramente fu influenzato dallo stile di Masaccio attivo in quel periodo a
Firenze, però egli rimane sempre sul suo stile, le montagne sullo sfondo sono definiti da linee taglienti,
tutto molto idealizzato, le architetture sembrano finte anche dal colore innaturale, in alto ci sono i profeti
che anticipano l’evento infatti hanno i cartigli aperti, tra i pennacchi ci è l’annunciazione.
Due dei grandi protagonisti di questo periodo sono Gentile da Fabriano e Pisanello.

GENTILE DA FABRIANO nasce appunto a Fabriano, marchigiano, tipico artista cortese che viaggiava di corte
in corte. Una delle sue opere giovanili è la pala con la Madonna col Bambino
oggi conservata a Berlino nel Staatliche Museen datata 1394-1400, la
Madonna al centro guarda lo spettatore, il bambino in braccio guarda il committente di dimensioni minori
inginocchiato ai loro piedi, ai lati vi sono San Nicola di Bari e Santa Caterina d’Alessandria con una veste
molto ricca, non vi è più un pavimento marmoreo ma un prato, sullo sfondo vi sono degli alberi i cui frutti
sono dei piccoli angeli, il tutto riporta ad una dimensione fiabesca. Polittico di Valle Romita oggi nella
Pinacoteca di Brera realizzato tra il 1400-1410, è diviso in più tavole con al centro l’incoronazione di Maria,
ai lati dei santi, nella parte superiore scene dalla vita di altri santi, il pavimento è un prato con piante
riconducibili a elementi che esistono (dato naturalistico), lo sfondo è dorato, il volume delle figure è
segnato da questo virtuosismo di linee che lo rende anche leggermente innaturale, la materialità delle cose
e dei tessuti è ben descritta. Poi abbiamo l’Adorazione dei Magi commissionata da Talla Strozzi,

esponente dell’aristocrazia fiorentina di corte, oggi conservata


agli Uffizi, il tema viene sfruttato per rappresentare elementi esotici, inoltre i tre re vengono rappresentati
come gli uomini valorosi del tempo, il tutto è decorato con elementi in oro con punzoni e stampi, la scena è
molto affollata quasi soffocante, non abbiamo una prospettiva ampia, tutto si sviluppa sul primo piano,
sopra la grotta incombe il corteo di uomini a cavallo (prospettiva quasi assente), nella scena sono rimaste
anche due ostetriche che osservano un vasetto che una di loro apre, i cavalli sono raffigurati in tutti i loro
scorci, le figure hanno copricapi pittoreschi, in generale viene chiamato Trittico ma in realtà rimane solo la
cornice tripartita perché la scena è unica, in basso vi è la predella con la Natività, la Fuga in Egitto e la
Presentazione al Tempio, mentre nei pennacchi in alto vi sono i profeti e tra loro l’Annunciazione e in un
cerchio il Cristo Benedicente. La Presentazione al Tempio: la scena principale è al centro mentre a sinistra ci
sono due donne che passeggiano in abiti molto raffinati, a destra dei poveri chiedono l’elemosina, sullo
sfondo dei palazzi in prospettiva, il cielo è atmosferico, le ombre sono dense. Polittico Quaratesi
realizzato intorno al 1425, oggi è disperso in diversi
musei, in origine presentava la Madonna con il bambino al centro con ai lati i santi (la Maddalena, San
Nicola, il Battista e San Giorgio) e sotto scene relativi ai personaggi che stanno sopra, la pala con la
Madonna con il bambino è molto luminosa, siede su un trono sfarzoso coperto da dei drappi riccamente
decorati, esso sta su un tappeto anch’esso riccamente decorato. Fra le sue ultime opere vi è la Madonna

con il bambino che si trova dentro al Duomo di Orvieto, è fortemente


chiaroscurata (sicuramente prese ispirazione da Masaccio) per dare senso del volume, tutto è in
prospettiva, la scena è vista dal basso ed è illuminata da sinistra, sul retro vi è una sorta di muro che recinge
la Madonna decorato con archi e lesene, molto bello anche il gioco di mani tra la madre e il piccolo.

MICHELINO DA BESOZZO e STEFANO DA VERONA sono due artisti del Nord Italia a cui si attribuisce la
realizzazione della Madonna del roseto datata 1410-12, la prospettiva è scomparsa, la Madonna siede su
un tappeto fiorito, lo sfondo è oro, vi è anche Santa Caterina seduta con la Madonna, il realismo cede il
posto al senso fiabesco mantenendo però l’attenzione ai dettagli, i corpi sono erosi dai panneggi sinuosi, vi
è anche uno ostensorio in oro visto contemporaneamente dal basso e dall’alto, nella scena sono presenti
anche degli angeli molto piccoli mentre portano un cesto con i fiori, vi sono anche dei piccoli animaletti ben
descritti che camminano tra il prato. Sposalizio mistico di Santa Caterina conservato oggi nella Pinacoteca
senese attribuito a Michelino di Besozzo, è scomparsa la minuziosa descrizione del trono della Madonna,
del pavimento, dello sfondo, per lasciare spazio ad un fondo oro in cui si accennano appena questi
elementi, le figure sembrano eteree se non fosse il modellato profondo dei loro volti e dei loro panneggi,
nella scena oltre alla Madonna con il bambino e Santa Caterina sono presenti anche Sant’Antonio e San
Giovanni Battista. Adorazione dei Magi datata 1435 è attribuita a Stefano da Verona, oggi conservata nella
Pinacoteca a Milano, sotto la capanna vi è la Madonna con il Bambino, di fianco vi sono due santi con
l’aureola che osservano il nascituro, mentre di fronte si prostrano i Magi riccamente vestiti, la scena è
affollata, l’artista si attarda a descrivere tutti gli elementi come i cani, i pastori in lontananza con le pecore,
le montagne sullo sfondo, il cielo atmosferico in cui si intravede la stella cometa.
PISANELLO era originario di Pisa, fu attivo a Verona (dove incontrò Stefano da Verona), a Venezia, a Pavia
(dove lavorò per i Visconti), a Mantova (per i Gonzaga), a Roma (per il Papa), poi ritorna a Verona per poi
morire a Napoli nel 1449. La Madonna della Quaglia è un’opera giovanile datata 1420, presenta la
Madonna dell’umiltà seduta su un cuscino su un prato fiorito con diversi animali tra cui la Quaglia dietro di
lei seduta su un cuscino dorato, la Vergine è incoronata da due angioletti il cui corpo è tagliato dai
panneggi, ha lunghi capelli biondi coperti da un manto trasparente, indossa un mantello che si sparpaglia al
suolo. Altra opera principale si trova a Verona nella Chiesa di San Fermo, sono degli affreschi con elementi
in stucco che decorano il monumento funerario della Famiglia Brenzoni datati 1426: al centro vi è il
sarcofago funerario con un tendaggio in stucco, mentre ai lati l’Annunciazione con da un lato l’angelo che si
inginocchia davanti all’edificio come se sta per entrare in casa della Madonna (sullo sfondo vi è una città in
stile gotico), dall’altro la Vergine annunciata sul primo piano con accanto un cagnolino, raffigurata come se
accettare il suo destino, mentre alle sue spalle si erge un edificio puramente gotico con pinnacoli e bifore in
cui si intravede l’alcova (il letto di Maria). Anche il Vasari rimase colpito da questa opera, ne rimane il suo
commento cui ne elogia la particolare attenzione all’elemento naturalistico. Pisanello era anche uno
scultore, infatti realizzò moltissime medaglie onorifiche in bronzo, avviando questo genere. Ad esempio
quella di Giovanni Paleologo Imperatore dell’Impero Romano d’Oriente datata 1438, in una faccia il suo
ritratto di profilo con il copricapo imperiale con una scritta intorno in greco che dice “Giovanni Paleologo
basileus e autocrate dell’impero romano”, nell’altra faccia lui rappresentato a cavallo davanti ad una croce
mentre prega con una sorta di firma dello scultore sia in latino che in greco (i due si poterono incontrare
per via del Concilio di Ferrara-Firenze convocato per chiudere lo Scisma della Chiesa d’Oriente e
d’Occidente). Altra opera sono gli affreschi della Cappella Pellegrini della Chiesa di Sant’Anastasia a
Verona, fatti dopo il soggiorno a Roma. Rappresentano l’episodio di San Giorgio che aveva liberato la città
dal Drago, non si capisce bene però il momento che viene raffigurato (se il santo ha già sconfitto il mostro o
sta per andare), in primo piano vi è il santo vestito con una ricca armatura con accanto il suo cavallo, di
fianco vi è la Principessa con una veste ricca con un lungo strascico, tutt’intorno dei cavalieri a cavallo, sullo
sfondo si osserva una città gotica da una parte mentre dall’altra si vede il mare con una barca, si scorgono
anche delle figure impiccate, si percepisce una inquietudine anche data dai colori scuri. Nel Palazzo Ducale
a Mantova è stato scoperto un Ciclo Arturiano che era stato scialbato, oggi molto rovinato ma mostra
ancora con potenza le crudeltà della guerra, uomini trafitti da lance, è un tappeto di morti e crudeltà. Di lui
rimangono anche molti disegni preparatori, come lo schizzo degli impiccati con lo studio dei vari dettagli,
disegni di dei cavalli. Fa anche degli studi sull’antico, forse reduce dal suo viaggio a Roma, studi su dei
sarcofagi, pronto alla ricerca di una eleganza. Ultima sua opera nota è l’incontro tra San Eustochio con un
cervo, si scorge un crocifisso sullo sfondo, la scena presenta molte piante e animali che per la loro
grandezza e raffinatezza sembrano avere la stessa importanza del santo che non ha l’aureola ma un grande
copricapo azzurro, l’atmosfera sembra surreale e sospesa dopo questo incontro inaspettato con il cervo
(infatti le zampe del cavallo sembrano come indietreggiare).
Il palazzo del potere civile nel Medioevo Con l’affermazione dell’autonomia comunale la città muta a
seconda delle esigenze che quest’ultima richiede. Il duomo è centro simbolico funzionale che si affianca al
Palazzo comunale che risponde alle esigenze politiche – amministrative – governative. Prima ci si riuniva
all’interno delle chiese o all’aperto ma ora c’è bisogno di un edificio che risponda a questa esigenza. Nel
1176 Battaglia di Legnano abbiamo la vittoria con Federico Barbarossa che determina il crollo della pretesa
imperiale e l’emergere delle autorità cittadine. Abbiamo così l’erigersi del broletto. Il broletto prevedeva un
ampio porticato praticabile dalla piazza dove all’interno vi si accedeva facendo ingresso in una sala
affrescata. Presenti erano finestre – balconi e scalinate. La sua struttura va evolvendosi a causa delle
funzioni governative che si moltiplicano portando ad un ampliamento dell’edificio. Nell’Italia centrale dalla
seconda metà del XIII secolo iniziano le varie tipologie di edilizia. I palazzi prendono nome dalle
magistrature che vi hanno sede. Secondariamente i palazzi in Italia centrale portano alla creazione di una
loggia che fa le veci di porticato. Il ruolo dell’artista nel Medioevo A partire da Giotto i pittori iniziano a
suscitare grande interesse. procurandosi anche grande notorietà. Nel Trecento vediamo smantellata la
barriera che vede le arti figurative non all’interno delle arti liberali. Nel Purgatorio Dante afferma di non
dover distinguere i letterati dagli artisti i quali erano generalmente considerati inferiori in quanto
appartenenti alle arti meccaniche. Dante li rivaluta. Petrarca quando incontra Simone Martini ad Avignone
fa eseguire a quest’ultimo delle opere che porteranno Martini ad essere elogiato e paragonato a Policleto e
Virgilio. Boccaccio elogia nel Decameron l’abilità di Giotto nel riprodurre la natura. In Grecia gli artisti
assumono lo status da intellettuali infatti dal VI secolo questi firmano le proprie opere per essere ricordati e
orgogliosi inoltre delle loro opere d’arte. Gli artisti si inseriscono al vertice della società come Fidia o
Policleto e con la maggiore richiesta di opere i prezzi di queste salgono a livelli molto alti. A Roma la
considerazione dell’artista è inferiore e per influsso greco raccolgono le opere d’arte in quanto esteti. Le
opere hanno destinazione propagandistica e quindi l’artista si trova ad essere sottomesso al committente i
quali scelgono i programmi iconografici. Il declino della considerazione dell’artista è nell’Alto Medioevo
quando scompare il collezionismo e l’unico committente è la Chiesa. L’artista è artigiano ad eccezione
dell’orefice il quale firma le proprie opere (es. Sant’Ambrogio a Milano). Dopo l’anno Mille gli artisti
ricadono nell’anonimato e le rare notizie del XI – XII sono soltanto di architetti e orafi: gli architetti sono
riconosciuti perché hanno conoscenze teoriche mentre i secondi hanno una considerazione alta perché
lavorano materiali preziosi. Nel XII secolo gli architetti e scultori firmano ancora le proprie opere e sono
anche citati in iscrizioni (Wiligelmo e Lanfranco).Iniziano poi a firmarsi anche i pittori di tavole quali Giunta
Pisano o Guido da Siena. Nei Pulpiti Giovanni Pisano si proclama maestro colto di facoltà inventive più alte
del padre. 86 Gli artisti iniziano sempre ad avere più consapevolezza ed elogi: es. Giotto ottiene il titolo
nobiliare. Giotto non è solo un semplice artista è capo-bottega molto ricco che investe il proprio denaro.
Nella Maestà di Duccio di Buoninsegna nel 1311 questa viene trasportata al duomo da un solenne corteo
facendoci intendere di non considerare questa un’opera d’arte quanto invece un manufatto dai poteri
magico religiosi. In conclusione, l’artista resta ancora un artigiano i quali rimangono ancora inglobati
nell’arte dei maestri di pietra e legna. L’aspetto materiale della loro professione è indimenticabile.

Arte Moderna Tomo I e II

Capitolo I: il 400 internazionale

Firenze: il 300 è segnato da turbamenti sociali, difficoltà economica e artistica. Il 400 si apre con una certa
stabilità. Negli ultimi anni del secolo si delineano committenze pubbliche e la possibilità di superare i
modelli antichi accogliendo lo stile internazionale o recuperando le radici classiche. Queste alternative sono
spiegate nei due saggi di Ghiberti e Brunelleschi scritti per il concorso del 1401, bandito per scegliere la
formella che sarebbe stata destinata alla porta della Mandorla del Duomo di Firenze. Questa formella
doveva rappresentare il sacrificio di Isacco.
Ghiberti fonde linearismi gotici e bellezze ellenistiche (il nudo di Isacco), chiaroscuro lieve, primo di violenti
stacchi dal piano di fondo. Da qui Donatello poggerà le basi per la creazione del suo stiacciato. Attualmente
l Firenze, museo nazionale del Bargello. Nella parte sinistra della composizione ci sono i due servitori, ignari
del drammatico avvenimento; scena principale: Abramo che punta il coltello alla gola di Isacco suo figlio nel
proposito di sacrificarlo, ma interviene in lontananza l’angelo, fuso con lo sfondo come se spuntasse dalle
nubi, che tende il braccio per fermare Abramo. La scena è segnata obliquamente dalle rocce, sulla sommità
delle quali vi è il capro che dovrà essere sacrificato. La composizione è sintattica e il suo centro d’attenzione
è centrale, rivolto verso l’atto di Abramo di puntare alla gola del figlio il coltello. La struttura compositiva è
radiale, dalla scena principale si dipartono i raggi che portano ai personaggi secondari (angelo, capro, servi).
Brunelleschi recupera gli scatti espressivi di Giovanni Pisano, arricchendoli di naturalismo nordico
accostandolo all’antico. Oggi si trova agli Uffizi al Museo Nazionale del Bargello. Al centro della
composizione vi è Abramo, che porta dinamicamente il coltello alla gola del figlio Isacco che piega il busto
per sfuggire alla morte, in un’espressione di terrore. Interviene a fermare l’uccisione l’angelo che prende la
mano di Abramo e la ferma. In basso a sinistra e a destra vi sono i due servitori che, come l’asino, non
prendono parte alla scena principale e quasi trasbordano dalla cornice della formella. La struttura
compositiva è radiale e al centro troviamo Abramo e Isacco; rispetto alla formella del Ghiberti le figure sono
molto più drammatiche e le loro posture sono molto più dinamiche. Vince Ghiberti e la sua vittoria chiarisce
come fosse superati i modi ‘’ internazionali’’, me non era ancora maturato l’orientamento verso un
classicismo innovativo, rinascimentale. La piega presa dalla cultura fiorentina va associata all’arte pittorica
di Gherardo Starnina, caratterizzato da una grafica vivace, colori accesi, abbigliamenti fastosi. Nelle opere di
Ghiberti assiste a una progressione che culmina con la statua bronzea di San Giovanni Battista.
Via analoga è seguita da Lorenzo Monaco a partire dal 1404: nella sua pittura figure allungate, racchiuse da
contorni ritmici, rivestite di ampi panneggi. Si opera maggiormente per una committenza religiosa . Un
esempio delle sue opere è l’Incoronazione della Vergine: un trittico con sfondo oro del 1414 oggi agli Uffizi.
Il pannello centrale raffigura l’Incoronazione ed è suddiviso in tre parti sormontate da cuspidi. Al centro
Gesù e Maria sono seduti su un trono. Cristo incorona infatti la Madre alla presenza di angeli e santi. I
religiosi sono inginocchiati e rivolti verso il sacro evento. I dipinti sono fiancheggiati a sinistra e a destra da
due pilastrini con colonnine tortili e fusti sono ancorati alcuni lobi con figure dipinte di profeti. Nei pinnacoli
che sormontano la scena principale è raffigurata l’Annunciazione con al centro Dio Padre, mentre in basso
la predella, composta da formelle di forma mistilinea caratteristiche del repertorio decorativo gotico,
illustra al centro la Natività di Gesù e l’Adorazione dei Magi, e ai lati quattro episodi della vita di San
Benedetto. L’arcobaleno stellato che sostiene l’Incoronazione è una rappresentazione simbolica
dell’universo. In questo clima si forma Masolino da Panicale: la sua indipendenza si vede dalle prime opere,
come la Madonna ora a Palazzo Vecchio (ante 1423). È caratterizza da tratti molto dolci, Maria siede su un
cuscino a terra, secondo il modello iconografico noto come Madonna dell’Umiltà (dal latino humus, terra).
La Vergine nutre il figlio Gesù offrendogli il seno, così che l’iconografia della Madonna dell’Umiltà si fonde
con quella della Madonna del latte, secondo una consuetudine diffusa nella pittura toscana soprattutto nel
XIV secolo. Entrambi i modelli sottolineano il ruolo privilegiato di Maria quale intermediatrice fra Dio e
l’umanità. Il tema sembra particolarmente adatto per un’immagine sacra esposta alla devozione e destinata
ad un piccolo oratorio o ad un altare secondario di una chiesa, come suggeriscono anche le dimensioni non
troppo grandi del dipinto di Masolino. Su tutti questi artisti ci sarà l’influenza di Gentile, stabilitosi a Firenze
dal 1421, inaugurando la seconda ondata innovatrice, rappresentata dall’Adorazione dei Magie eseguita
per Palla Strozzi nel 1423, ritenuta il culmine della pittura moderna: La struttura che incornicia l'opera
centrale è composta da guglie gotiche e cuspidi che hanno anche colonnine laterali. In alto distinguiamo tre
medaglioni circolari: al centro troviamo Gesù, sulla sinistra troviamo l'angelo annunciante, sulla destra c'è la
Madonna annunciante.. La storia raccontata da Gentile da Fabriano è una storia ad episodi, che ha inizio
sotto il primo arco con l’avvistamento, dalla sommità del monte Vettore, della stella cometa, che guiderà il
corteo lungo il suo cammino. La cavalcata procede poi nella lunetta centrale, dove vediamo i Magi e il loro
numeroso ed animato seguito muoversi attraverso i dolci declivi di una campagna sapientemente coltivata.
Sullo sfondo si vedono le mura di Gerusalemme, prima tappa del loro viaggio. Ed ecco nuovamente, nella
terza lunetta, i protagonisti della nostra storia, ammantati nelle loro vesti dorate, che si apprestano a
superare a dorso dei loro destrieri il ponte levatoio che permetterà loro di entrare nella città santa.
Giungono di fronte alla capanna alle porte di Betlemme, dove hanno trovato riparo Maria e Giuseppe con il
loro Bambino. La scena si svolge ormai in primo piano, davanti agli occhi dell’osservatore. Alle spalle della
Madonna, due ancelle osservano con cura il dono appena presentato da Melchiorre; Gesù accarezza con la
sua manina la testa di uno dei Magi che ha già posato a terra la sua corona. Le vesti dei tre Re sono
finemente lavorate. Dietro al gruppo dei Magi due personaggi, altrettanto riccamente vestiti, assistono
all’episodio sacro. Colui rappresentato avente in mano un falcone, è Palla Strozzi mentre il giovane al suo
fianco, che guarda dritto verso l’osservatore, viene identificato con il figlio Lorenzo. Alle loro spalle
prosegue il corteo. Nelle tre tavole della predella, che corre lungo la base della pala d’altare, sono narrati
alcuni fatti dell’infanzia di Gesù: la Natività, la Fuga in Egitto e la Presentazione al TemLa Pala Strozzi è
racchiusa entro una elaborata cornice in legno intarsiato e dorato, costituita da tre archi a tutto sesto
sormontati da cuspidi e da due pilastrini ottagonali ai lati, la cui superficie è movimentata da inserti
polilobati. Il punto di arrivo cui giunge Gentile possiamo considerarlo la Madonna di Orvieto: eleganze
decorative ridotte al minimo, solidi corpi, volti precisamente individuati con espressioni umanissime.

Capitolo II

Mentre Europa e Italia erano caratterizzate dal rinnovamento Internazionale → un atteggiamento


tributario del passato. A Firenze, con Brunelleschi, Masaccio e Donatello, prese slancio un’alternativa
diversa: traeva alimento dallo stretto legame con, tanto da trarne il nome Rinascimento. Questo termine è
l’immagine ideale del periodo che definisce. La parola rinascita fu utilizzata in precedenza dagli umanisti e
compare riferita all’ambito vasariano. Si tratta del periodo che va dai primi del 400 agli anni 40 del 500 →
periodo vissuto dalla maggior parte dei suoi protagonisti come un’età nuova, come rapida maturazione di
un nuovo modo di pensare il mondo e se stessi già nato in ambito, poi giunto a incidere sulle arti figurative
e infine sulla mentalità corrente. Il termine stesso di Rinascita implica l’idea di un risveglio dello spirito e
delle forme dell’età classica.
L’intera tradizione classica diventa fonte di creazione originale. Si delinea una figura di un uomo che
rapporta in modo diverso con ciò che lo circonda; è in grado di autodeterminarsi, di coltivare in sé le doti
che gli permetteranno di vincere la Fortuna e di dominare la natura e modificarla. Viene esaltata
l’individualità, che fa da correttivo la consapevolezza della necessità della vita associata e del valore positivo
che acquistano sia la competizione, sia il confronto dialettico.
Anche per le arti figurative i mutamenti hanno le radici nel 300. Il mutamento si articola in due fasi: la prima
si può far giungere fino alla metà del secolo ed è caratterizzata da sperimentalismo; la seconda, il cui inizio
si intreccia con la prima ma che si afferma nei decenni centrali, è segnata da una sistemazione più
intellettualistica delle precedenti conquiste. Lo stile rinascimentale è caratterizzato da tre tratti: 1. Norme
riguardanti la rappresentazione dello spazio (uso della prospettiva lineare centrica); 2. Attenzione all’uomo
come individuo nella sua componente fisica e emotiva (riflesso di un preciso stato d’animo); 3. Sintesi ed
essenzialità. Il fattore più importante è il problema prospettico: genericamente si può indicare come
prospettiva ogni sistema atto a rappresentare si di un piano una tridimensionalità.

Ai primi del 400 Brunelleschi, attraverso norme geometriche restituisce la profondità e le dimensioni delle
figure, partendo dalla nozione dell’ottica medievale e da un nuovo concetto di spazio Brunelleschi ebbe un
ruolo guida per Donatello : si recarono insieme a Roma verso il 1409 per studiare i resti antichi. In seguito
più volte collaborarono e il loro rapporto di scambio dialettico viene preso a modello del clima a Firenze in
quel periodo. Esemplare valore che danno al tema della Crocifissione: Brunelleschi traduce la divinità senza
accenni al dolore, in equilibrio di proporzioni → le braccia allargate di Cristo sono lunghe quanto l’intera
figura; rappresenta la figura con una leggera torsione del corpo verso sinistra. Donatello drammatizza
l’elemento umano. Il suo Cristo è colto nel momento dell’agonia: ha i lineamenti contratti, la bocca
dischiusa, gli occhi semiaperti. Il corpo mostra senza ombra di dubbi come a Donatello premessa realizzare
la verità umana. Il primo ambito in cui si vedono gli sviluppi legati alla cultura illuminista sono quelli della
scultura, concentrata all’inizio del secolo in due grandi cantieri: Orsanmichele e S. Maria del Fiore ( → porta
dei Canonici, Porta della Mandorla, facciata). In quest’ultima prevaleva il linguaggio moderno di Ghiberti,
una miscela di gotico, classico e naturalezza. All’interno di questa cultura emersero Donatello e Nanni di
Banco, entrambi legati da amicizia a Brunelleschi. Lavorarono fianco a fianco fino alla morte di Nanni.
Confronto S. Luca di Nanni1 e S. Giovanni di Donatello 2, entrambi realizzati per la facciata di S. Maria del
Fiore. Notiamo una somiglianza di intenti con soluzioni differenti. In comune hanno il tentativo di collocare
le figure nello spazio con maggiore libertà, vivacità plastica e fisionomica. Nanni segue con maggiore
attenzione il modello classico; Donatello la statuaria antica è stimolo di ricerca di una maggiore aderenza
alla realtà e umana varietà dei personaggi. San Giovanni è rappresentato corrucciato e fremente,
caratterizzato da un chiaroscuro spezzato che anima i panneggi. Il gruppo dei SS. Quattro Coronato, di
Nanni accentua il proposito di sottolineare la dignità umana, attraverso la ripresa degli antichi ritratti
imperiali. Statici e solenni accompagnano, con la loro disposizione semicircolare, la nicchia. Energia e
vitalità accompagnano il S. Giorgio di Donatello: Il santo, infatti,viene rappresentato come un soldato, con
le armi e lo sguardo fieroIl personaggio ha quindi uno sguardo attento, che guarda lontano, con le
sopracciglia aggrottate e la bocca semiaperta. Il corpo è leggermente girato, la mano sinistra scende lungo i
fianchi stringendo una spada; la mano destra è appoggiata allo scudo. Sotto la statua, nel basamento,
troviamo un bassorilievo stiacciato, inventato da Donatello inventato da Donatello, che rappresenta
appunto San Giorgio che uccide il drago, rimirato da una principessa. La figura è impostata come se sei
aprisse a compasso (la forma delle gambe), ha una leggera rotazione intorno l’asse centrale, costituito dallo
scudo con la croce. La rappresentazione contiene molto spesso la forma ovale: il volto, il profilo del
mantello, l’andamento delle spalle, lo scudo. Anche il rilievo sulla base ribadisce attenzione al dramma.
Venne realizzato forse due anni dopo la statua , a bassissimo rilievo. Le opere successive di Donatello
furono caratterizzate da un’accentuazione delle tecniche che aveva attuato precedentemente, come
l’individuazione fisionomica. Ad esempio la rappresentazione di S. Rossore, in bronzo in parte dorato, oggi a
Pisa al Museo di S. Matteo, diverrò il prototipo quattrocentesco del busto ritratto. Significativi sono anche i
due profeti eseguiti per il campanile di Giotto, Geremia e Ababuc, quest’ultimo detto lo zuccone per la
forma della sua testa. Nella loro rappresentazione sono evidenti i richiami alla ritrattistica romana. Un
punto di svolta e di arrivo si ebbe con la Cantori del duomo di Firenze. Fu commissionata a Donatello dagli
operai di Santa Maria del Fiore nel 1433, poco dopo che venne affidata a Luca della Robbia un’altra di
uguale misure. Luca illustra il salmo 150, con dieci rilievi, sei posti sul parapetto e 4 tra le mensole, i rilievi
sono popolati da figure di grande bellezza (1). La Cantoria di Donatello ha una struttura a parallelepipedo
della vasca della stessa misura dei mensoloni che lo sorreggono (secondo registro). Ad ogni mensola
corrisponde una coppia di colonne che sostengono un architrave aggettante. Donatello rappresenta
probabilmente il salmo 148 0 149, dove si allude alla danza come espressione di gioia. 1 2 Brunelleschi
Dopo gli esordi come scultore inizia ad interessarsi dell’architettura. I suoi primi incarichi furono quelli di
ingegneria militare per la Repubblica fiorentina. Poco dopo si interessò della cupola di Santa Maria del
Fiore. Tutto ciò che ha progettato e costruire è racchiudibile in 30 anni e a Firenze. Queste strutture sono
caratterizzate da un preciso proporzionamento che definisce e collega le diverse parti.

Ospedale degli innocenti Il portico con archi a tutto sesto su colonne è formato da nove campate di pianta
quadrata nelle quali il rapporto tra luce e freccia dell’arco è fissato in partenza secondo misure che
governano tutto l’insieme: tutte le altezze dipendono dall’altezza del piedritto. Questa struttura modulare è
esaltata dall’uso della volta a vela come copertura. San Lorenzo L’edificio riprende uno schema monastico
medievale a croce latina a tre navate con transetto su cui lato di fondo si aprono cinque cappelle
rettangolari quella centrali ampia come la navata maggiore, le laterali come le navatelle. Altre sei cappelle
sono disposte lungo le testate e il lato anteriore del transetto. La copertura è varia piana sul capocroce
intorno allo snodo centrale della cupola; a vela nella navate laterali a botte nelle cappelle. Santa Maria del
Fiore la costruzione del Duomo a metà Trecento era giunta al tamburo ottagonale di imposta della cupola,
solo nel 1418 gli Operai bandirono un concorso per il modello della cupola, vinsero a pari merito
Brunelleschi e Ghiberti. Questa venne iniziata il 1 agosto 1420 in un clima di aspettativa che coinvolgeva
tutta la cittadinanza. Il primo problema da affrontare era di ordine tecnico: l’enorme copertura, seguendo i
sistemi tradizionali avrebbe richiesto ponteggi partenti da terra e centine lignee per reggere la cupola in
costruzione fino alla sistemazione della chiave di volta. Date le dimensioni dell’invaso e l’altezza dell’edificio
i costi e le difficoltà di tale apparato si presentavano insostenibili. In secondo luogo, si trattava di trovare
una forma rispondente alle nuove esigenze estetiche ma che al tempo stesso concludesse armonicamente
l’edifico preesistente. Brunelleschi idea una doppia cupola a sesto acuto costituita da un’ossatura di otto
costoloni interni tra i quali si tendono vele a sezione orizzontale rettilinea in grado di assorbire le fortissime
spinte orizzontali dei costoloni ricavandone una coesione che impedisce gli sbilanciamenti Il problema delle
centine è invece risolto grazie all’uso di murature a spina di pesce. I costoloni vengono così costituiti
insieme alle vele che svolgono una funzione di sostegno nei loro confronti e che si reggono
autonomamente grazie alla particolare posa dei mattoni. A conclusione di tutto la lanterna, con la spinta
longitudinale esercitata dal suo peso consolida ulteriormente costoloni a vele. Si tratta perciò di una
struttura organica al cui interno gli elementi si danno reciprocamente forza convertendo in valori positivi e
di coesione anche le forze potenzialmente negative. Nella creazione Brunelleschi riversa tutte le
conoscenze dell’architettura gotica su rapporti tra pesi e spinte, eliminando però ogni orpello decorativo.
All’interno della chiesa la cupola riunifica con forza accentratrice del suo vano gigantesco gli spazi dinamici
e centrifughi delle cappelle radiali e della zona interna del capocroce, conducendo lo sguardo all’ideale
punto di fuga costituito dall’occhio della lanterna. Brunelleschi elimina ogni elemento esornativo,
limitandosi alla semplice calotta la cui spazialità è alterata dalla presenza degli affreschi di Zuccari. Alla fine
Brunelleschi inserisce nei lati del tamburo lasciati liberi dai lobi delle absidi quattro tribune semicircolari. In
questo modo si completava la corona di corpi dai quali si slanciava la cupola evidenziandone la qualità
“accentratrice”. La Cappella dei Pazzi Situata in santa croce a Firenze, grazie alla bicromia, il telaio
strutturale si evidenzia chiaramente contro il fondo chiaro delle murature. Le tre immagini mostrano come
gli elementi siano desunti dagli ordini antichi di cui Brunelleschi si serve programmaticamente per limitare a
pochi tipi regolati gli elementi base di contro alla varietà tipica del Gotico. Santo Spirito L’edificio e stato
ritenuto prototipo della composizione per rapporti semplici che godra molta fortuna nella divulgazione
delle conquiste brunelleschiane. Infatti tutte le misure della chiesa sono calcolate a partire dalla meta del
lato delle campate. l’articolazione degli spazi e piu ricca e complessa in armonia con una nuova
interpretazione della classicita, di cui si vogliono riproporre non solo i metodi ma anche l’imponenza e la
monumentalita. Viene rivista e ripresa la tradizione medievale delle cattedrali di Pisa e di Siena con l’uso del
colonnato continuo che abbraccia anche il transetto e con la cupola all’incrocio dei bracci. Si accentua il
risalto plastico delle membrature mentre si riduce lo sviluppo delle superfici grazie all’uguale altezza di
navate laterali e cappelle. Le diverse cromie dei materiali e soprattutto l’illuminazione contrastata
drammatizzano ulteriormente l’insieme.

Masaccio La sua attività è racchiudibile in circa 6 anni. Nasce nel 1401, ritenuto allievo di Masolino.
Analazziamo due opere quasi coeve, che rendono dubbia l’ipotesi che fosse suo allievo. La Madonna con
bambino di Masolino (1), oggi a Brema,se la confrontiamo con la tavola giovanile a Palazzo Vecchio
(2)testimonia una formazione avvenuta su Starnina, Gentile e Ghiberti. Masaccio invece nel Polittico di San
Giovenale (3) del 1422 dichiara diversi modelli. A Firenze aveva stretto amicizia con Brunelleschi e
Donatello e aveva condotto una rilettura su Giotto. Nella tavola con Sant’Anna, la Madonna e il bambino del
’24, oggi agli Uffizi i due lavorno insieme: l’angelo reggicortina in alto a destra, la Vergine e il bambinsono
stati dipinti da Masaccio; Masolino dipinge Sant’Anna e gli altri angeli, senza spessore, come solidi blocchi
che occupano un preciso spazio, a differenza di quelli di Masaccio. La Vergine è seduta su un trono con il
Bambino tra le braccia. Sant’Anna invece è dietro di lei e poggia la mano destra sulla spalla della Vergine.
Due angeli in basso agitano un turibolo mentre altri due scostano le cortine di lato e uno le solleva in alto.
L’opera si può considerare una Maestà in trono, come descritta in tanti dipinti religiosi del Rinascimento. Le
parti dipinte da Masaccio nella Sant’Anna Metterza sono state determinanti per porlo a capo di tutta la
trasformazione della pittura del Rinascimento italiano. Masaccio infatti cambiò la concezione dello spazio e
la determinazione dei volumi attraverso un corretto chiaroscuro. La mano dei due maestri è evidente
poiché la concezione dello spazio e dei volumi è diversa. Masaccio fu un innovatore e introdusse un netto
chiaroscuro nelle tre figure, che dipinge rendendole maggiormente solide e realistiche. Masolino invece fu
un artista ancora legato alla concezione dello spazio del gotico Fiorentino. Il modellato del corpo di Gesù
Bambino sembra essere ispirato invece alle statue della classicità. Il dipinto è realizzato a tempera su una
tavola. I colori sono tutti caldi e tendenti al rosso. Il trono spicca per la sua colorazione verde-grigio. Il
manto della Madonna è molto scuro e lumeggiato sul panneggio lasciando intravedere la solidità del corpo
sottostante. Lo spazio concepito da Masaccio è già di tipo brunelleschiano; la profondità si percepisce
attraverso il basamento del trono. Le solide strutture lo chiudono poi lateralmente. Lo spazio si legge anche
nella sovrapposizione dei personaggi, a partire da Gesù Bambino in primo piano, dal volto della Madonna e,
dietro di lei, da Sant’Anna. La Madonna è contenuta in un blocco piramidale, la composizione in alto
termina con un arco a sesto acuto come nella tradizione gotica. LA CAPPELLA BRANCACC, CHIESA DI SANTA
MARIA DEL CARMINE, FIRENZE Cappella fondata da Pietro Brancacci, membro di un’antica famiglia patrizia
di Firenze. La decorazione fu commissionata a Masolino e Masaccio nel 1424 da Felice Brancacci, ricco
mercante, genero di Palla Strozzi, è stato un banchiere, politico, letterato, filosofo italiano. Le pitture
rivestivano interamente il vano: sulla volta erano raffigurati gli Evangelisti, mentre le pareti erano decorate
con Storie di S. Pietro, disposte su 3 registri. Tra il 1426-27, Masolino abbandonò l’incarico per andare a
lavorare in Ungheria. Tornato in Italia fu chiamato dal cardinale Branda Castiglione a Roma, dove nel 28 lo
raggiunse anche Masaccio. La morte di quest’ultimo e l’esilio dei Brancacci per l’instaurarsi dei Medici,
fecero si che la decorazione venne completata nell’81 da Filippino Lippi. PARETE SINISTRA: Cacciata di
Adamo ed Eva: questo affresco rappresenta il momento in cui i due peccatori vengono allontanati dal
Paradiso Terrestre. Adamo ed Eva sono nudi, indifesi. I due personaggi biblici varcano una soglia in
muratura e si dirigono verso destra. In alto il cherubino li conduce all’esterno con atteggiamento deciso
brandendo una spada con la destra. Intorno a loro il paesaggio è spoglio e privo di vita. Il tributo: Cristo è al
centro dell’affresco. È leggermente rivolto a sinistra verso Pietro e con la mano destra indica il lago. Anche
Pietro indica verso la stessa direzione mentre guarda Gesù. Intorno ai due personaggi vi sono gli altri
apostoli. Inoltre, un uomo voltato di schiena si rivolge a Gesù portando in avanti la mano sinistra aperta.
Sembra chiedere qualcosa. Intanto, con la mano destra indica verso l’ingresso di un’abitazione. Cristo
indossa un’ampia veste rossa e un mantello blu appoggiato sulla spalla sinistra. Pietro, invece, un abito blu
e un mantello color arancione. Anche gli altri apostoli indossano lunghe vesti e mantelli. Tutti portano
barbe piuttosto folte tranne gli apostoli più giovani come Giovanni. Intorno al loro capo è dipinta una
aureola dall’aspetto solido e tridimensionale. Infine, l’uomo che interpella Cristo indossa un abito corto,
molto simile ad una tunica. A sinistra nuovamente l’apostolo Pietro è chinato verso la sponda del lago. Ha
posato il mantello a terra e afferra un grosso pesce. A destra, Pietro è di fronte all’uomo che parlava a
Cristo in centro. L’apostolo consegna qualcosa nella mano destra dell’uomo che si regge su un bastone con
la sinistra. A differenza di Cristo e degli apostoli ha un’apparenza più ordinaria e non porta l’aureola. Dietro
i due personaggi, inoltre, si intravede un edificio con un porticato d’ingresso e un altro accesso con tre bassi
gradini. La predica di Pietro: Egli si trova davanti a una folla mentre, con un gesto eloquente, fa una predica.
Le espressioni degli astanti sono le più varie; e tre teste di giovani dietro al santo sono probabilmente
ritratti di contemporanei, come anche i due frati a destra, forse due carmelitani del convento del Carmine,
e in passato erano pure stati attribuiti a Masaccio. San Paolo visita San Pietro in carcere: opera di Filippino
Lippi, si vede il santo che si affaccia da una finestra con le sbarre, mentre il visitatore dà le spalle a chi
osserva. Forse la scena seguì un disegno di Masaccio, come dimostrerebbe la perfetta continuità
architettonica con la contigua scena della Resurrezione del figlio di Teofilo. vFilippino cercò di temperare il
suo stile, adeguando la sua tavolozza alla cromia degli affreschi più antichi e mantenendo la solenne
impostazione delle figure, per non rompere l'omogeneità dell'insieme. Più diverso appare invece il
trattamento della figura di san Pietro affacciato alla grata, improntato a un chiaroscuro più maturo e dotato
della linea di contorno che è tipica dello stile intellettualistico del Rinascimento all'epoca di Lorenzo il
Magnifico. Resurrezione del figlio di Teofilo e san Pietro in cattedra: , sulla parete sinistra, rappresenta due
eventi della vita di san Pietro avvenuti a Antiochia; a leggenda vuole che quando Pietro era in città a
predicare venne arrestato e messo a pane ed acqua dal governatore Teofilo. In quell'occasione San Paolo
andò a trovarlo in prigione (scena nell'affresco di Filippino Lippi a sinistra di questo). Paolo andò poi a
supplicare il governatore affinché liberasse Pietro, ma questi lo sfidò, promettendogli di farlo solo a patto
che l'apostolo incarcerato dimostrasse i suoi poteri soprannaturali resuscitandogli suo figlio, morto
quattordici anni prima. Pietro venne allora portato alla tomba del fanciullo, dove lo resuscitò
miracolosamente. In seguito a questo evento tutta la popolazione di Antiochia si convertì al Cristianesimo e
venne eretta una magnifica chiesa, la prima sul cui trono (la cattedra) Pietro poté sedere venendo ascoltato
da tutti. L'evento fu così un'anticipazione della sua futura assunzione al trono pontificio in RomaL'affresco è
per metà di Masaccio e per metà di Filippino Lippi. San Pietro risana gli infermi con la sua ombra: San Pietro
e gli altri Apostoli percorrono le vie della città. San Pietro ha uno sguardo serio e compassato come anche
gli uomini che lo seguono. Dietro di lui lo accompagna San Giovanni. Sulla veste indossa un ampio mantello
panneggiato. Al passare del Santo gli infermi vengono guariti dalle loro infermità. Intorno al capo Pietro
porta una aureola semicircolare. A sinistra Sono rappresentati gli infermi a partire dall’uomo tetraplegico in
basso a sinistra. Altri tre infermi sono già stati risanati e ringraziano per l’evento miracoloso. Sullo sfondo è
raffigurata una prospettiva cittadina con architetture tipiche del Quattrocento fiorentino. Al termine della
fuga dei palazzi è presente la facciata di una chiesa classicheggiante. Si notano infatti una colonna con
capitello corinzio, una parte di tetto e un campanile. PARETE DESTRA: Il Battesimo dei neofiti: ritrae una
scena delle storie di san Pietro in cui l'apostolo battezza alcuni nuovi cristiani o "neofiti". Il testo evangelico
parla che dopo la Pentecoste Pietro si mise a predicare esortando le genti al battesimo in nome di Gesù
Cristo (scena della Predica di san Pietro); ecco che in questa scena egli inizia a battezzare con una ciotola.
L'episodio, ambientato in una vallata tra colli, mostra alcuni giovani si apprestano a ricevere il battesimo:
uno è inginocchiato nel fiume e lo riceve a mani giunte (col corpo dall'anatomia stupendamente modellata),
uno già spogliato sta aspettando coprendosi con le braccia mentre trema per il freddo, figura di grande
realismo. Straordinario è il senso dell'acqua e l'effetto bagnato sui capelli e sul perizoma del ragazzo in
ginocchio. Assiste una folla, tra i quali ci sono alcuni personaggi forse ritratti di contemporanei. I due ritratti
dietro Pietro sono due testimoni fiorentini, hanno dei volti fortemente individualizzati. Secondo Longhi
però sarebbero opera di Filippino Lippi (come anche la testa di Pietro), il quale avrebbe coperto i ritratti
cancellati di due personaggi legati ai Brancacci dopo la cacciata della famiglia. L'ipotesi non è comunque
condivisa da tutti gli studiosi. La maggior parte degli studiosi assegna comunque le figure a Masaccio e le
montagne dello sfondo, così aguzze e gotiche, a Masolino. In questa scena, come nella Predica, Pietro è
raffigurato solo, mentre nel testo evangelico egli era in compagnia degli altri apostoli. questa scelta
sottolinea fortemente il suo primato e la sua personificazione con la Chiesa intera. Guarigione dello storpio
e resurrezione di Tabita: La guarigione di un paralitico e la resurrezione della cristiana Tabita sono due
miracoli di san Pietro che in questo affresco vengono unificati nello spazio, nonostante fossero avvenuti in
luoghi differenti. A sinistra si vedono san Pietro e san Giovanni che miracolano uno storpio davanti a una
loggia in prospettiva. Nel racconto evangelico essi stavano salendo al tempio per la preghiera dove un
uomo storpio fin dalla nascita chiedeva ogni giorno l'elemosina; quando vide i due che stavano per entrare
domandò loro un'offerta, ma Pietro gli intimò di guardarlo e "nel nome di Gesù Cristo il Nazareno", gli disse
"alzati e cammina", guarendolo dalla sua malattia. A destra invece, sul limitare di una casa, è raffigurato san
Pietro che fa un miracolo di resurrezione. La pia donna chiamata Tabita, devota di Giaffa, proprio in quei
giorni si era ammalata ed era morta, ma subito ne era stato avvisato Pietro che, trovandosi a Lidda, partì
appositamente per vederla. Arrivato a Giaffa gli si fecero incontro le vedove piangenti che gli mostrarono le
tuniche e i mantelli della povera donna. Entrato nella sua stanza e chiesto di restare solo, Pietro si mise a
pregare, poi si rivolse a lei intimandole di alzarsi, al che ella aprì gli occhi e resuscitò. Masolino fece
naturalmente una selezione del racconto biblico, rappresentando l'arrivo di Pietro che, con un solo gesto,
resuscita la donna tra lo stupore degli astanti. Il centro della scena è occupato da una visione della Firenze
dell'epoca con una piazza in prospettiva centrale (piazza della Signoria?), dove si affacciano case merlate
con le pertiche appese tra le finestre e, in primo piano, passano due borghesi riccamente abbigliati, che
passeggiano incuranti di quanto avviene intorno.Tentazione di Adamo ed Eva: realizzato di fronte alla
cacciata, i due personaggi ci appaiono di una compostezza severa e classicheggiante. Eva sta per addentare
il frutto proibito, che il serpente le ha appena offerto dall'albero dove essa appoggia il braccio. Il serpente è
avvolto sull'albero e si sporge in alto per sincerarsi che la donna addenti il frutto. Esso ha una testina dotata
di una folta capigliatura bionda, molto idealizzata. Eva sta tentando Adamo affinché anche lui addenti il
frutto, sempre sotto l'influsso del serpente. La distribuzione dei beni e la morte di Anania del Masaccio: La
scena è ambientata in un borgo del contado nei pressi di Firenze, dove vengono messe a confronto nuove
con vecchie costruzioni di dismesse fabbriche, dove in un piccolo squarcio di sfondo si intravedono sinuosi
colli, in uno dei quali domina un luminoso castello. In primo piano l’infedele Anania si trova stramazzato a
terra ai piedi di un San Pietro tutto ammantato di giallo. La vicenda di Anania, è quella di aver venduto un
campo e poi aver dichiarato alla comunità soltanto una minima parte del guadagno; richiamato dal Santo,
egli cadde a terra fulminato. Disputa di Simon Mago e crocifissione di san Pietro: le due scene si svolgono
fuori dalle mura di Roma (identificabile dalle costruzioni che si intravedono oltre la merlatura e dalla
piramide di Caio Cestio sulle Mura aureliane) con disputa tra Simon Mago, San Pietro e San Paolo al
cospetto di Nerone).Tale disputa nacque dal fatto che Pietro volle sfidare il mago ad indovinare ciò che lui
pensasse presenza dell’imperatore. Simone venne sconfitto da Pietro e ciò è testimoniato dal chiaro gesto
di condanna di Nerone con l’idolo pagano abbattuto ai suoi piedi. A sinistra si svolge l’episodio del martirio
del santo, che non volendo essere crocifisso come il Cristo, chiese ai carnefici di venire appeso a testa in
giù. Dalla sua figura si evidenzia come la straordinaria maestria nella resa anatomica di Filippino fosse ormai
già consolidata all’epoca di Lorenzo il Magnifico. Nelle figure sono stati identificati personaggi dell’epoca: Il
giovane col berretto situato all’estrema destra è lo stesso artista; l’anziano col berretto rosso, al centro del
gruppo della Disputa, è Antonio del Pollaiolo. Il ragazzo appartenente al gruppo della raffigurazione a
sinistra, che sta sotto l’arco con il volto ripreso a tre quarti, è Sandro Botticelli, il celebre maestro del Lippi.
triLiberazione di S. Pietro dal carcere: l'impostazione riprende fedelmente quella della parete opposta dove
si trova San Pietro visitato da san Paolo, ambientato tutto sommato nello stesso carcere. Anche in questo
caso l'architettura è connessa a quella della scena attigua. Il santo è avvolto dall'ampio mantello che
"macchia" di colore la scena e dà al corpo un volume dilatato. Anche la mano, il piede e il volto hanno un
disegno e un chiaroscuro semplificato, che si confanno alla pittura "di getto" masaccesca. Riconoscibile
come più tardo è però l'uso della linea di contorno. Per contrasto invece l'angelo appare molto più
moderno, con la leggera veste e il volto bello e leggermente malinconico che pare uscito da un'opera di
Botticelli, maestro di Filippino. La guardia, armata di spada, dorme in primo piano appoggiata ad un lungo
bastone, con una posizione sciolta e morbida, impensabile per il primo Quattrocento. Nonostante le loro
somiglianze, il distacco tra i due è evidenziato negli affreschi della cacciata e del peccato. Le figure di
Masolino ( il peccato originale) possiedono una morbida consistenza e mostrano un’evidenziata anatomia,
modellato chiaroscuro. La coppia di Masaccio poggia saldamente sul terreno nudo, solcato dalle ombre
prodotte da illuminazione che proviene da in alto a destra. Anche questi corpi sono rappresentati con una
evidenziata anatomia; il modello per il nudo di Eva dovrebbe esser stata una Venire Pudica o la Temperanza
del pulpito di Giovanni Pisano. Dai volti traspare disperazione, con Adamo che si porta le mani sul volto per
la vergogna ed Eva rappresentata con un’espressione quasi di dolore. Gli inizi dell’Angelico e Filippo Lippi I
primi eredi in ambito pittorico sono coloro che studiando la cappella Brancacci, in quanto furono in grado di
mettere in pratica il patrimonio lasciato da Masaccio. Vasari cita per primo Beato Angelico: sia nelle
miniature che nelle tavole offre immagini pure , che giocano su accordi luminosissimi, lo spazio è gestito da
figure leggermente allungate, dalle vesti semplici, a tratti mosse da profili ondulati. Beato Angelico,
Annunciazione, 1430-35, miniatura, Firenze, Museo di S. Marco: qui sfrutta la forma della lettera R per
collocare i protagonisti su spazi diversi, collegandoli su uno sfondo unitario. Sul fondo della lettera,
interamente realizzato in foglia d’oro, è rappresentato l’arcangelo Gabriele, ancora in volo sopra piccole
nuvole, che saluta la Vergine, pronta ad accogliere la missione con la stessa devozione ed obbedienza
narrata dal Vangelo, come accenna il gesto di portare le braccia incrociate al petto. Nell’occhiello della
lettera è Dio Padre nell’atto di mandare la colomba dello Spirito Santo a Maria. Le vesti dei personaggi sono
rese con particolare armonia nei toni delicati; entro il clipeo nel margine inferiore trova spazio la figura di
Isaia, il profeta che predisse la nascita di Cristo, che, volgendo lo sguardo verso la scena, la presenta al
lettore con il gesto della mano. Questi elementi li ritroviamo nella tavola centrale del Trittico di S. Pietro
Martire, del 1425: la Vergine chiusa nel manto animato da pieghe evidenziate dalle ginocchia; vi è una
definizione umana dei personaggi. L'opera è un trittico di transizione, poiché sebbene le cuspidi
suggeriscano la presenza di tre scomparti, in realtà la pittura è dispiegata su un unico piano, senza
interruzioni. Al centro si trova una Maestà (Madonna col Bambino in trono) e ai lati i santi Domenico di
Guzmán, Giovanni Battista, Pietro Martire e Tommaso d'Aquino. Nelle cuspidi si trovano dei quadrilobi con
Angelo annunciante, Vergine annunciata e, al centro, Cristo benedicente. Tra le cuspidi infine sono
disegnati alcune scene della vita di san Pietro Martire: la Predicazione e il Martirio. Lo stile dell'opera
presenta già alcune caratteristiche dell'opera dell'Angelico, come le figure di geometrica purezza, allungate
e con vesti semplici dalle pieghe pesanti, i colori accesi e luminosi e l'uso di uno spazio misurabile. Nella
parte centrale la Vergine è assisa sul seggio coperto da un broccato d'oro, con il Bambino in piedi sulle
ginocchia e con un'ampolla nell'altra, un riferimento al vaso della Maddalena e quindi alla Passione. Il
manto è drappeggiato pesantemente, con le pieghe determinate dalle ginocchia di Maria, ed evoca le
figure plastiche e volumetriche, semplificate, di Masaccio. La posizione leggermente in tralice della Vergine
sembra citare la Sant'Anna Metterza (1425-1425) di Masolino e Masaccio. Il Bambino è abbigliato di una
tunica riccamente bordata d'oro e reca in mano il globo, simbolo del potere di Cristo sulla terra, mentre
l'altra mano è alzata in segno di benedizione. La luce proviene uniformemente da sinistra. A parte il ricco
broccato e le pieghe terminali del manto della Vergine, mancano concessioni alla decorazione, rivelando
un'influenza da parte di Masaccio già presente, che allontana quest'opera dalla precedente Pala di Fiesole
(1424-1425) ancora influenzata prevalentemente da Gentile da Fabriano. Il gradino sotto il seggio della
Vergine sconfina nei pannelli laterali, suggerendo, oltre che uno scorcio prospettico, l'unificazione spaziale
dell'intera scena. I santi laterali hanno le teste sulla stessa linea laterale, come di tradizione, ma i loro piedi
sono disposti in maniera innovativa, con l'arretramento dei due personaggi vicino alla Vergine in modo da
dare l'idea di disporsi a semicerchio attorno al trono. Insolita è anche la presenza di pitture tra gli spazi della
carpenteria delle cuspidi, dove si trovano le scenette della vita di san Pietro Martire, trattate con uno
svagato tono miniaturistico, che ricorda le opere fiorentine coeve di Gentile da Fabriano. Ai lati si trova una
doppia curva di alberi che unifica lo spazio di queste scenette, come se si svolgessero in un unico panorama.
L'autografia di queste scenette è stata oggetto di molti pareri discordanti, arrivando a proporre anche il
nome dell'allievo Benozzo Gozzoli. L'unica cosa certa è che il restauro ha rivelato come la pittura di queste
zone sia coeva al Trittico, per cui parte integrante del dipinto fin dall'inizio. egli anni successivi alla morte di
Masaccio Beato Angelico non è l’unico artista ad apportare modifiche ed evoluzione in campo artistico.
Sono gli anni del Tabernacolo dei Linaioni dell’Angelico e della Madonna dell’Umiltà di Filippo Lippi. Il
Tabernacolo rappresenta il momento di sintesi tra le esperienze formative del pittore e segna l’inizio della
sua fase matura; la Madonna dell’Umiltà ha un evidente impronta masaccesca nella Vergine, nella
dilatazione delle forme dal forte risalto plastico, accompagnato da un interesse per la scultura più attuale
(Donatello, Luca della Robbia). Gli sviluppi di questi due artisti e di Masolino a segnare nuove direttrici sulle
quali si muoverà la pittura dopo Masaccio. Tabernacolo dei Linaioli 1432-33, Museo Nazionale di S.Marco,
Venezia: il tabernacolo è composto da una struttura marmorea rettangolare con cuspide triangolare, dove
si trova una mandorla col Cristo benedicente e Angeli cherubini. Al centro, dentro un'apertura ad arco, si
trova la tavola dell'Angelico, con la Maestà incorniciata da una fascia con dodici angeli musicanti. Davanti si
trovano due sportelli mobili dipinti su entrambi i lati con santi a tutta figura: all'esterno, visibili quando il
tabernacolo è chiuso, si trovano San Marco Evangelista (sinistra) e San Pietro (destra); all'interno San
Giovanni Battista (sinistra) e San Giovanni Evangelista (destra). La pala è completa di predella, divisa in tre
pannelli con: San Pietro detta il Vangelo a san Marco, Adorazione dei Magi e Martirio di san Marco. La
figura di Marco ricorre perché era il protettore della corporazione. Il pannello centrale, sebbene fortemente
danneggiato, presenta uno stile coerente con le prime opere dell'Angelico; la Madonna è incorniciata da
una profusione di broccati e tendaggi dorati, che le donano un'aura di preziosità e sospensione
paragonabile alle icone. l primo pannello della predella mostra San Pietro che detta il Vangelo a san Marco;
il pannello centrale presenta un'innovativa Adorazione dei Magi, dove al posto del tradizionale corteo
disposto orizzontalmente come un fregio si trova una composizione di tipo circolare; la terza scena mostra
il Martirio di san Marco. La parte marmorea è opera di Ghiberti. (tempera su tavola) Madonna dell’umiltà,
1429-32, Pinacoteca castello Sforzesco, Milano: nella composizione predomina un forte impianto plastico a
cui sono soggette le figure disposte a formare una sorta di piramide tra una stretta lingua di giardino e la
volta del cielo che fa da sfondo. La struttura ha il punto focale nel volume della Vergine che, seduta, tiene in
braccio un robusto Bambino con gli occhi puntati verso lo spettatore. Fanno da corona due gruppi di angeli
senza ali e alcuni santi dell’ordine domenicano. (tempera su tavola trasportata su tela) Leon Battista Alberti
A metà degli anni trenta il personaggio chiave è Leon Battista Alberti devoto al passato romano e giunto
stabilmente in città solo nel 1434, quando i testi cardine della rivoluzione figurativa erano già stati creati.
Conduce la sua formazione a Padova, Bologna e Roma, dove radica le sue esperienze nell’umanesimo
romano. Teorizza tutte e tre le arti maggiori affrontando problematiche tecniche ed estetiche. Il De Pictura
e il De Re Aedificatoria sono i testi fondamentali per i decenni seguenti che hanno contribuito alla
diffusione delle conquiste rinascimentali e alla trasformazione dell’artista in intellettuale.

Capitolo III: Il Quattrocento Fiammingo I paesi Fiamminghi godono all’inizio del VX secolo di una grande
prosperità, grazie anche all’annessione al ducato di Borgogna. Filippo II l’Ardito e successivamente Filippo il
Buono riescono a mantenere l’equilibrio tra esigenze di un potere centralizzato e le tradizionali autonomie
locali. Si sviluppa una società cosmopolita, agiata e culturalmente aperta, interessata alla produzione
figurativa. La pittura si pone all’avanguardia del rinnovamento. Nel 1426 viene fondata l’università di
Loviano, che fa da promotore per queste attività culturali. All’interno di questa fioritura artistica va inserita
la pittura di Van Eyck → artefice del rinnovamento, la sua attività artistica è parallela a quella di Masaccio.
Conduce da solo una riforma straordinaria: il suo forte legame che lo unisce al mondo gotico emerge già
dalle prime opere, le miniature. Sono alcuni fogli delle ‘’ Ore di Torino’’ eseguite per Giovanni di Baviera nel
1422\24. In essi l’attenzione alla natura viene approfondita: con la ‘’ Nascita del Battista’’ e il ‘’ Mese di
Giugno’’ , questo ultimo di Pol de Limbourg, probabilmente formatosi nella stessa bottega di Van Eyck:
questo ha gli spazi appena accennati e le figure appaiono estranee allo sfondo in quanto sono solamente
giustapposte ad esso, la luce non ha un ruolo significante; le immagini create da Van Eyck invece sono
caratterizzate dalla completa integrazione di figure e paesaggio unificati dalla luce. Per quanto riguarda la
rappresentazione della realtà adotta soluzioni diverse rispetto a Masaccio: quest’ultimo opera una sintesi
cogliendo la sintesi delle cose in modo razionale, mentre Van Eyck parte da un’analisi dei singoli oggetti;
Masaccio modella con il chiaroscuro, Van Eyk utilizza la tecnica ad olio e opera attraverso velature di colore-
luce traslucide e trasparenti, definendo le superfici e i particolari. Anche se l’Angelico è uno degli artisti più
sensibili alla rappresentazione della luce, V. E. viene considerato un suo parallelo fiammingo, ma un abisso
li separa: la stanza dipinta da Beato Angelico nella ‘’Guarigione del diacono Giustiniano’’ della predella
della Pala di S. Marco è costruito su un unico punto di fuga, mentre nell’opera ‘’ I Coniugi Arnolfini’’ ne
compaiono 4. L’Anglico si serve della prospettiva per creare un piccolo mondo ordinato con una precisa
fonte luminosa che definisce le forme e il loro rapporto nello spazio e dove l’azione si volge sotto gli occhi di
uno spettatore che rimane esterno; la stanza realizzata da Van Eyk è tagliata in modo che ci sia l’illusione di
uno spazio che includa anche lo spettatore: lo spazio si apre all’esterno verso il paesaggio che si intravede
dalla finestra e all’interno viene raddoppiato dallo specchio che riflette le spalle dei protagonisti. Il Maestro
di Flamalle e Rogier Van Der Weyden Alla stessa generazione di Van Eyck appartiene il Maestro di Flamalle,
Robert Campin. Una delle sue opere è il Trittico di Merode rappresentante l’Annunciazione: questo
episodio è rappresentato come un episodio quotidiano e ambientato in un interno borghese. Gli
atteggiamenti dei personaggi sono familiari ma lontani dalla mobilità ieratica di Van Eyck → le sue figure
sono caratterizzate da una definita linea incisa e valorizzate dalla luce. Lo spazio dell’Annunciazione non è
unificato dalla luminosità e gli sfondi appaiono giustapposti ai personaggi. Allievo di Campin è molto
probabilmente Van Der Weyden. I protagonisti delle sue opere sono legati da una catena di sguardi e di
gesti; concentra l’attenzione soprattutto sull’uomo, tralasciando i paesaggi, sugli episodi drammatici o
patetici; utilizza tinte fredde e raffinate. Nella Deposizione del Prado il gruppo delle figure risulta quasi a
bassorilievo, in uno spazio limitato. Il perno è costituito dal corpo di Gesù, la cui posizione obliqua è ripresa
dalla Vergine svenuta; è caratterizzato da un semplice sfondo oro per dare risalto al dramma. Italiani e
fiamminghi Nel 1449 Van der Weyden compì un viaggio in Italia, dove l’interesse verso la pittura fiamminga
si era esplicato intorno al 1440 a diversi livelli. Il primo fu quello della committenza: banchieri e
commercianti italiani commissionavano pale d’altare e ritratti destinandoli alla madrepatria, facendosi
intermediai del nuovo linguaggio; il secondo livello quello della critica, in quanto in Italia la cultura classica
fornì schemi per la valutazione della qualità di un’opera. In Italia i giudizi sull’arte fiamminga erano positivi,
e si spiana così la strada per l’espansione delle opere e per l’assimilazione del linguaggio fiammingo (un
italiano che assimila queste tecniche è Piero della Francesca.

Fiamminghi e italiani

Mentre per gli italiano non era difficile assimilare le tecniche fiamminghe senza intaccare la propria visione,
la nuova visione prospettica dello spazio utilizzata in Italia non poteva non andare ad ‘’intaccare’’ l’arte
fiamminga. Van Der Wayden nella sua Decorpo cposizione assimila quella di Beato Angelico, ordinata
rigorosamente in piani successivi, diviene nell’opera del fiammingo più affollata e complessa. Il gruppo è
posto a semicerchio intorno a Cristo, ma sbilanciato dall’asse diagonale formata dal suo corpo. Alla fine del
secolo la cultura fiamminga sarà ‘’contaminata’’ da quella italiana. Capitolo IV: Le culture di mediazione Il
400 è caratterizzato da una varietà di articolazioni formali ed espressive, è caratterizzato da un contesto
ricco di alternative. Le conquiste rinascimentali trovarono maggior ascolto nelle flessioni meno radicali,
come testimoniano Ghiberti, Masolino e Michelozzo. Essi trovano il loro comun denominatore
nell’atteggiamento di positiva valutazione della tradizione precedente, riordinata sulla base della cultura
umanistica e del rigore prospettico. In campo pittorico Masolino occupa una posizione rilevante. Fa da
tramite per le novità prospettiche in luoghi come Siena o l’Italia settentrionale dove la cultura gotica
prevaleva. Al servizio del Cardinale Branda realizzò le Storie del Battista sulle pareti del battistero e le Storie
della Vergine nella Collegiata. Posto particolare nelle cultura di mediazione va riservato a Siena. È
caratterizzata da un cosciente rcupero e un aggiornamento dell’eredità 2\300esca. Ciò avviene sia in campo
politico che artistico. Gli artisti senesi ebbero precoce conoscenza delle nuove vie battute a Firenze. Paolo
Uccello Si forma presso la bottega di Ghiberti; resterà legato ad un’impronta tardogotica. Tra le sue opere
giovanili spiccano gli affreschi con le Storie della Genesi nel Chiostro Verde di Santa Maria Novella che
termina nel 1425. Il suo successivo soggiorno a Venezia, dove lavora ai mosaici per la facciata di S. Marco, lo
allontana da Firenze proiettandolo in un mondo che accentua la sua evasione fantastica. Le opere che
esegue al ritorno da Firenze testimoniano la sua determinazione a usare il linguaggio tardogotico per
costruire un nuovo universo dal quale vengono esclusi natura e sentimento. Le Storie di Noè con le quali
riprende i lavori del Chiostro di S. Maria Novella, sono costruite su due punti di fuga incrociati, dove i
personaggi si scaglionano senza proporzione: la raffigurazione acquista toni da favola che si ritrova nei tre
episodi della Battaglia di S. Romano, dipinti verso il ’40 per Cosimo de’ Medici: Il condottiero avanza e
ordina l’attacco su di un cavallo bianco bardato con finimenti preziosi. Dietro di lui i trombettieri
trasmettono l’ordine suonando i loro lunghi strumenti. Un araldo avanza sventolando un grande stendardo.
L’esercito di Firenze giunge intanto da sinistra per cogliere di sorpresa i senesi. Sul terreno sono caduti pezzi
di lance, armi e armature. Un soldato è a terra disteso sotto gli zoccoli dei soldati di Firenze. Le armature
che vengono raffigurate erano utilizzate nei tornei cavallereschi. Una siepe con fiori divide la scena dal
paesaggio della campagna toscana dove giovani nobili cacciano armati di balestra e giavellotto. Lo stesso
effetto di evocazione fantastica è realizzato da Antonio Averlino, che si scelse il soprannome Filarete. Nel
’45 termina i battenti in bronzo per la Porta di S. Pietro. Era di origini fiorentine e di educazione ghibertiana.
Nell’affrontare il compito (battenti S. Pietro) mette in campo un’ammirazione per l’antichità: ogni battente
è diviso in solo 3 riquadri sovrapposti, raffiguranti a sinistra Cristo, S. Paolo e il martirio di quest’ultimo; a
destra la Vergine, S. Pietro e la sua Crocifissione, separati da fregi rettangolari con episodi del pontificato di
Eugenio IV, il tutto cir condato da girali d’acanto. Gli stessi termini sono utilizzati nell’opera di Jacopo
Bellini: fu allievo di Gentile da Fabriano e capostipite di una bottega dove si formeranno i figli Gentile e
Giovanni. Ha un’impronta rinascimentale assimilata nelle corti umanistiche.
Capitolo V:
Alla metà del secolo Stabilizzazione della politica intorno agli anni ’40 grazie alla Pace di Lodi (1454): l’Italia
viene spartita in 5 stati, che man mano vedono l’accentramento del potere nelle mani di un Signore; la
borghesia diventa meno attiva, assumendo atteggiamenti aristocratici lontani dal rifiuto dell’ostentazione
→ le arti figurative risentono di questo mutamento ma accrescono gli scambi culturali: nascono correnti
che arricchiscono il panorama artistico. Il primo fenomeno a nascere viene battezzato da Ferdinando
Bologna ‘’ congiuntura Nord-Sud’’, con epicentro a Napoli: Con l'espressione "congiuntura Nord-Sud" si
indica quella corrente in cui gli elementi fiamminghi e mediterranei si fondevano insieme, favoriti dai
commerci e dalle relazioni politiche. Questo fenomeno tocca anche alcune personalità francesi, tedesche e
austriache. A Firenze nasce un linguaggio ricco, ornato e flessibile. In questi anni inoltre prende avvio una
reazione a catene con l’espansione del linguaggio toscano in diversi centri italiani, innescata principalmente
dallo spostamento degli artisti. Inoltre, Roma, con il pontificato di Niccolò V esce dal periodo di torpore
dovuto al soggiorno avignonese → cattività avignonese: il periodo della storia compreso tra il 1309 e il
1377, durante il quale la sede papale venne trasferita ad Avignone, mentre il 1377 fu l'ultimo anno in cui i
pontefici rimasero nella città francese; Il papa Gregorio XI riporta il papato a Roma. La Congiuntura Nord-
Sud L’opera di Donato de’ Bernardi può essere considerata un caso di precocità. Nato a Pavia nelle sue
opere si riallaccia al gusto lombardo; nel trittico con la ‘’ Madonna dell’umiltà’’ è evidente l’attenzione alla
verità del personaggio, un colore più unito e compatto che lo fa avvicinare ad una matrice fiamminga. La
sua carriera si svolse a Genova, uno dei vari empori della cultura fiamminga in Italia. L’unione tra la cultura
fiamminga e quella lombarda è rappresentata nella ‘’Crocifissione’’ di Savona, una delle ultime opere di
Donato, insolita anche per il grande formato. Della stessa linea di pensiero artistica sono: Zanetto Bugatto,
ritrattista alla corte degli Sforza, mandato a perfezionarsi presso Rogier Van Der Weden; Carlo Braccesco,
milanese, attivo soprattutto in Liguria. Le componenti di questa cultura le troviamo nella realizzazione del
trittico con l’Annunciazione oggi al Louvre: L'opera è composta da tre pannelli. In quello centrale si svolge
l'Annunciazione in un arioso loggiato, chiuso da un alto parapetto decorato a girali marmoree, oltre il quale
si vede un ampio paesaggio con una città, Su un pavimento a scacchi in prospettiva, la cui spazialità è
suggerita anche da un gradino, si trova lo scranno della Vergine, che si è appena levata in piedi spaventata
dall'Angelo che scivola su una sorta di disco d'oro dal cielo. Ella alza un braccio per proteggersi
schivamente, mentre con l'altro si aggrappa smarrita alla vicina colonna. Nei pannelli laterali si trovano a
sinistra San Benedetto e santo vescovo e a destra i Santi Stefano e Alberto carmelitano. Napoli e le rotte
mediterranee A Napoli troviamo due diversi momenti di influenza franco-fiamminga, legati alla
dominazione politica: quella di Renato d’Angiò e dal 1444 quella di Alfonso d’Aragona. Dal ’38 al ’42
risedette a Napoli il re Renato d’Angiò, amante delle arti e pittore. La sua vita gli permettere di conoscere
molti artisti fiamminghi, come ad esempio Van Eyck. A Napoli introduce un misto di analisi fiamminga e
plasticità borgognona, questo attraverso le opere del famoso Maestro dell’Annunciazione di Aix: questa pur
se smembrata, attira l’attenzione non sulla resa mimetica ma al plasticismo modellato e a una luce intensa
che unifica lo spazio e le figure. Questi caratteri sono evidenti anche nelle miniature. È databile al 1443-
1445 e proviene dalla Cattedrale di San Salvatore di Aix-en-Provence, mentre oggi è smembrato in più
musei: il pannello centrale dell'Annunciazione si trova ad Aix-en-Provence nella chiesa della Maddalena; il
pannello sinistro col profeta Isaia è diviso in due parti, il profeta al Museo Boijmans Van Beuningen di
Rotterdam, mentre la parte alta con uno scaffale pieno di libri ed oggetti vari è conservata al Rijksmuseum
di Amsterdam; lo scomparto destro con il profeta Geremia è infine al Museo reale delle belle arti del Belgio
di Bruxelles. Sul rovescio degli scomparti laterali è dipinto un Noli me tangere. Il maggiore pittore
napoletano del periodo è Colantonio: nei due pannelli pricipali della grande pala d’altare di S. Lorenzo
Maggiore, ‘’ La consegna della regola francescana e S. Gerolamo nello studio), eseguiti in tempi
leggermente diversi, riporta i due momenti culturali (Renato d’Angiò e Alfonso d’Aragona). La consegna
della regola francescana, Museo Nazionale di Capodimonte, 1445: La figura in piedi di San Francesco
occupa il centro di questa tavola come una colonna portante. Contro lo sfondo dorato, il suo semplice abito
marrone assume un colore più chiaro rispetto a quelli della congregazione che lo precedono, come se fosse
il più santo di tutti. Egli sta consegnando la regola del suo ordine ai fratelli francescani a sinistra e all'ordine
della sorelle delle Clarisse a destra. Questo pannello faceva parte di un polittico realizzato da Colantonio in
gioventù per la più importante chiesa francescana a Napoli, San Lorenzo. Questa tavola comprendeva
anche S. Gerolamo nello studio, stesso anno e stessa ubicazione: In questo dipinto possiamo ammirare, al
centro, San Girolamo, intento nel togliere la spina dalla zampa del leone. La leggenda narra che in un
monastero francescano ove risiedeva San Girolamo, arrivò un leone ferito: tutti i monaci scapparono,
tranne il santo che, invece, andò incontro al leone e lo curò. Nel dipinto, proprio in onore della
commissione francescana, San Girolamo non veste gli abiti cardinalizi ma indossa un abito francescano. Il
pittore Colantonio, però, ricorda il ruolo del santo all’interno della Chiesa cattolica, ponendo il suo berretto
porporato a sinistra, posto su un tavolino. Il rapporto con la natura fiamminga è comprovato anche dalla
realizzazione dello studio del santo. Le pergamene, i libri, i calamai, le ampolle sono dipinti con una
ricchezza di dettagli straordinaria che ricorda non solo le pitture fiamminghe ma anche le opere di
Antonello da Messina, di cui Colantonio era stato maestro. Nel 1444 Alfonso I d’Aragona si era insediato sul
trono di Napoli portando la città ad un giro di scambi commerciali con altri territori della corona,
estendendo gli incontri da nord a sud. Firenze 1440-69 → anni di elaborazione dell’eredità della
generazione precedente; Cosimo de’ Medici al suo rientro a Firenze continuava ad improntare il suo
comportamento a modelli derivati dallo stoicismo ciceroniano → spiegazione del perché commissionava
opere pubbliche semplici e sobrie, come Palazzo Medici o il Convento di S. Marco. Diverse erano le opere di
destinazione privata, come il David- Mercurio in bronzo commissionato a Donaello per il cortile di Palazzo
Medici. Che si tratti dell’eroe o del dio, Donatello ne da un’interpretazione intellettualistica raffinata,
soddisfacendo le aspettative di un ambiente colto e aristocratico: la testa ombreggiata dal copricapo, la
posizione del corpo riprende il gusto prassitelico. Il gusto si accentua con Piero de’ Medici che preferiva le
collezioni di piccoli oggetti in quanto simboli di prestigio sociale. Filippo Lippi, Domenico Veneziano, Andrea
del Castagno Nelle raccolte medicee erano presenti anche molte opere fiamminghe: il S. Gerolamo di Van
Eyck, il Ritratto di giovane donna di Petrus Christus. Si segnala l’attività di un’artista portoghese, Giovanni di
Consalvo, che negli affreschi con ‘’Storie benedettine’’ del Chiostro degli Aranci illustra le possibilità di una
sintesi tra linguaggio italiano e fiammingo, unendo la spazialità, appresa soprattutto da Beato Angelico, con
l’uso fiammingo della luce. Uno dei primi ad utilizzare questa unione nelle sue opere fu Filippo Lippi: eseguì
la ‘’ Madonna di Tarquinia’’ inserendo il risalto plastico di masaccio e il gusto donatellliano per lo scorcio,
uniti ad una precisa attenzione per l’ambiente e per la luminosità. Questa modalità di rappresentazione è
ancor più profonda in Domenico Veneziano. Della sua formazione non si sa molto, probabilmente la compì
a Venezia e la completò tra Firenze e Roma al seguito di Gentile e Pisanello. Elegante e suntuoso è il tondo
con l’Adorazione dei Magi, commissionato da Piero de’ Medici: sullo sfondo di un ridente paesaggio
collinare, con campi coltivati, borghi fortificati e prati verdeggianti punteggiati di candide pecore e tagliati
da strade sinuose, si svolge il sontuoso corteo dei Magi che approda in primo piano. I tre re si inginocchiano
al cospetto di Gesù, presentato come in un solenne rituale di corte da Maria sulle proprie ginocchia, con
Giuseppe a fianco. Il giovane, con la veste bianca e nera, che tiene un falcone sulla mano inguantata,
potrebbe essere identificato con Piero de’ Medici, committente dell’opera. Invece il giovane, che gli sta
accanto e che sta sollevando la corona dalla testa del mago, è stato identificato con Giovanni de’ Medici, il
fratelo. Il tondo di Domenico Veneziano esemplifica il gusto raffinato e colto di Piero. Alberti nel trattato del
De Pictura, scritto a Firenze nel 1435, concetti in stretta sintonia con il gusto di Piero de’ Medici. Nel tondo
dell’Adorazione dei Magi si ritrovano una appropriata “copia e varietà delle cose”, la “vezzosa grazia”,
l’”amistà dei colori” che costituivano la bellezza e la “dignità” di un’opera. L’anno successivo alla
realizzazione dell’opera gli vennero commissionati gli affreschi absidali in Sant’Egidio, da realizzare con
Piero della Francesca. Nella pala di Santa Lucia de’ Magnoli, la Sacra conversazione centrale, ambientata in
una loggia aperta, è impostata secondo uno schema prospettico a tre punti di fuga, che dimostra come
Domenico seguisse le sperimentazioni spaziali più avanzate. L’elemento dominante è la luce mattutina che
definisce i volumi dell’architettura e dei personaggi. Il profilo di Santa Lucia si staglia sul verde
dell’architettura grazie al suo volto molto chiaro. All’influenza fiamminga è da collegare anche l’interesse
per il paesaggio, manifesto nell opere del Pollaiolo e in quelle di Alessio Baldovinetti. Apollo e Dafne (1),
Pollaiolo, 1460-70, Londra National Gallery \ la Natività (2), Baldovinetti, 1462, Firenze, chiesa della SS.
Annunziata, Chiostro dei volti: presentano entrambi un’impaginazione tipicamente nordica: figure in primo
piano rialzate, stagliate contro fondali profondi. Interpretazione sensibile ripresa anche nell’Adorazione del
Bambino (3) Filippo Lippi. 1. L'opera mostra l'episodio tratto dalle Metamorfosi di Ovidio in cui Apollo
insegue la ninfa Dafne, ma quando la raggiunge essa si trasforma in un albero di alloro per sfuggirgli.
L'istante rappresentato è proprio quello della trasformazione, con la donna le cui braccia si sono già
trasformate in rami, mentre il dio l'afferra sollevandola in vita. La figura di Apollo è caratterizzata da un
certo dinamismo e da una puntuale resa anatomica, con una linea di contorno tesa ed elastica nelle gambe
che delinea lo scatto muscolare. Dafne invece è nella metà inferiore dinamica e in quella superiore
estremamente statica, come a voler sottolineare la trasformazione in atto in un oggetto immobile quale un
albero. La sua espressione è serena e non tradisce alcun sentimento. La scena si svolge sullo sfondo di un
ampio paesaggio fluviale, che sfuma dolcemente in lontananza per via dell'effetto della foschia.
Nonostante la carente conservazione dell'opera, in parte dipinta a secco sebbene riparata dal portico, vi si
rileva ancora oggi una cura attenta al dettaglio naturalistico, soprattutto nel vasto paesaggio che fa da
sfondo alla scena, visto a volo d'uccello con una profondità straordinaria. In primo piano, a destra, sta la
capanna della Natività, in rovina come da tradizione, con al centro il Bambino affiancato da Maria in
preghiera, Giuseppe dormiente, il bue e l’asinello. A destra accorrono due pastori, mentre a sinistra altri
due ricevono l'annuncio da parte dell'angelo. In alto volano quattro angeli, ciascuno scorciato in maniera
diversa. 3.Realizzata tra il 1458 e il 1460 per volontà di Piero de' Medici e della moglie Lucrezia Tornabuoni.
Oggi è conservata a Berlino. Lippi aggiunge alla rappresentazione di questa visione estatica San Giovanni
Battista (santo patrono di Firenze) adolescente, vestito con un mantello foderato di pelle e con in mano la
verga cruciforme ornata con il tradizionale filatterio che reca l'iscrizione Ecce Agnus Dei. In cielo appare Dio
Padre che benedice la scena e al di sotto si profila la colomba dello Spirito Santo, i cui raggi scendono sul
gruppo sottostante; la scena è costruita su un paesaggio onusto di alberi e piante, il cui aspetto non è
dissimile dagli sfondi degli arazzi fiamminghi e nordici importati dalla famiglia de' Medici a Firenze. Nel
percorso artistico di Lippi è importante il ciclo di affreschi realizzato per il duomo di Prato con le Storie dei
Santi Stefano e Giovanni: l’episodio della nascita di S. Stefano è dominato dalle figure umane e dal loro
dinamismo. Il senso di moto è accentuato dagli scorci profondi delle architetture, costruite secondo plurimi
punti di vista e dal chiaroscuro. Masaccio e Donatello sono gli artisti che pesano di più nella formazione di
Andrea del Castagno: la sua pittura si distingue dal gusto corrente e si sviluppa su basi prospettiche. nel
1447 torna a Firenze ed esegue un ciclo di affreschi sulla parete di fondo del refettorio di Sant’Apollonia: la
parete era divisa in due registri, il più basso interamente occupato dalla raffigurazione dell’Ultima Cena.
L’ambiente ricco e solenne con un evidente gusto antico. Il registro superiore accoglie scene che si svolgono
all’aperto, la deposizione, la crocifissione, la resurrezione, con una luce che evidenzia corpi e paesaggi.
Anche nelle opere più tarde accentua l’espressività dei personaggi e il realismo, punti che prenderanno
come riferimento gli artisti ferraresi. eato Angelico Tra i continuatori di Masaccio, occupa un posto
particolare per la sua peculiare cultura: esponente convinto della tradizione tomistica si sforza di saldare le
conquiste rinascimentali con valori risalenti all’estetica medievale. La continuità con Masaccio la ritroviamo
nell’uso della luce con cui è costruita la pala dell’ ‘’Incoronazione della Vergine’’ . Lo sprofondare dello
spazio è scandito dai gradini e dallo scaglionarsi simmetrico delle figure; gli oggetti e i corpi sono volumi
rivestiti da un colore lucente e quasi privo di ombre. Due palcoscenici sovrapposti descrivono l’evento
celestiale. Schiere di angeli e un pubblico di personaggi vestiti in modo ricco ed elegante con tessuti dai
colori preziosi assistono all’incoronazione di Maria. L’Incoronazione della Vergine realizzata da Beato
Angelico, proviene dalla chiesa di San Domenico a Fiesole. Esiste un’altra Incoronazione della Vergine
dipinta da Beato Angelico custodita alla Galleria degli Uffizi. I Santi visti di schiena in primo piano sono
dipinti in modo innovativo rispetto alla tradizione. Queste figure infatti assumono un aspetto monumentale
e plastico che le avvicina alle figure di Masaccio. Tipica cifra stilistica di Beato Angelico è la decorazione
ricca e curata delle vesti. I colori sono chiari e brillanti e le forme modellate con un debole chiaroscuro
realizzato con lo stesso tono variato leggermente nella luminosità. La prospettiva rappresentata all’interno
di questo dipinto non è, ancora, perfettamente corretta. La scena infatti è strutturata su due registri
sovrapposti. Quello superiore è riservato a Cristo che incorona Maria. Nel registro inferiore invece i Santi
che assistono sono disposti simmetricamente rispetto al centro. La prospettiva di sovrapposizione è
riservata alla descrizione delle schiere angeliche disposte simmetricamente a destra del trono. Gli angeli poi
sembrano sovrapposti in profondità all’infinito. La composizione è rigidamente simmetrica e ogni figura
contribuisce a creare un impianto forte e speculare. Le componenti fiamminghe si accentuano nella
decorazione del convento di S. Marco. La ‘’Madonna delle ombre’’ è dipinta sulla parete di un corridoio
illuminato da sinistra dalla luce di una finestrella; anche nell’affresco proviene da sinistra e proietta le
ombre dei capitelli. Le due ali formate dai santi di sinistra e di destra creano deboli fugheprospettiche che
suggeriscono la profondità occupata dai loro corpi. Inoltre il basamento marmoreo sul quale si trova la
Vergine con il Bambino è costruito in prospettiva come la decorazione superiore. Infine anche le ombre
proiettate dai capitelli sulla parete contribuiscono a creare la sensazione di tridimensionalità spaziale. Il
convento di S. Marco era stato ristrutturato da Michelozzo a partire dal 1437, incaricato da Cosimo de’
Medici, e la direzione della decorazione pittorica era stata affidata a Beato Angelico. Ogni cella era decorata
con un affresco delle Sacre Scritture. Nel ‘’Cristo deriso’’ del 1438, la scena principale è collocata alle spalle
della Vergine, collocata in basso a sinistra, e di S. Domenico, in basso a destra. La composizione è impostata
su uno schema triangolare ed è caratterizzata da una semplicità cromatica. Roma Si consolida il potere
papale e si riafferma la monarchia → questo porta Roma a tornare uno dei poli principali della produzione
artistica. Sisto IV porta un piano di riassetto articolato su 5 punti fondamentali: il ripristino delle mura, il
restauro o la ricostruzione delle 40 chiese stazionali, ampliamento di S. Pietro e ristrutturazione del palazzo
pontificio. Vuole dar vita ad una cittadella religiosa facente perno su S. Pietro → vuole intrecciarne il
desiderio di esaltare la potenza della chiesa esaltando così la connessione, la continuazione tra la Roma
imperiale e la Roma cristiana. Per questo progetto, non portato a termine a causa del breve pontificato, il
pontefice convoca artisti di diversa formazione. Importante è la figura di Leon Battista Alberti, che già nel
1443-45 aveva steso la Descripto Urbis Romae; nel ’52 gli dedicò al papa il suo tratta De re Aedificatoria.
Capitolo VI: Artisti\ artigiani Verso la metà del secolo le teorie umanistiche sull’arte mirano in modo più o
meno esplicito a fare dell’artista un ideatore di forme e non un semplice produttore di oggetti,
promuovendolo come artefice ‘’ liberale’’. Questo processo inizia nel ‘300 come vediamo negli scritti di
Dante, Petrarca, Boccaccio; all’interno di questi si delinea l’idea che il valore di un’opera sta nella fedeltà
riproduttiva nei confronti del reale e non nella preziosità del materiale o nel piacere che può procurare.
L’artista rivendica in se il privilegio di riuscire a concentrare in se la capacità creativa mimetica e l’abilità
tecnica. Il ragazzino che voleva intraprendere la ‘’carriera’’ di artista veniva introdotto nella bottega come
apprendista. Questa permanenza andava tra i 3 e i 12 anni, durante i quali viveva con il maestro. I discepoli
ricevevano vitto e alloggio e alcune volte un piccolo salario. In tutte le botteghe, oltre gli apprendisti,
esistevano impiegati con un salario fisso che compivano funzioni costanti senza mirare a diventare maestri
autonomi. Una costante per l’apprendista era la pratica del disegno: quest’ultimo era la matrice unitaria di
tutte la arti. Ciò che viene prodotto in queste botteghe veniva diviso per categorie: oggetti più correnti
come ad esempio arredi ecclesiastici, e vi erano opere di maggiore impegno eseguite su commissione,
pubblica o privata. Il rapporto tra committente e maestro era regolato da un contratto dove si
determinavano le caratteristiche dell’oggetto, il prezzo e il metodo di pagamento. L’artefice elaborava un
disegno che realizzava solo dopo l’approvazione del committente. Riguardo il metodo di pagamento, ai
primi del 400 l’artista veniva pagato in base alla quantità di lavoro e alla preziosità dei materiali. A questi
era riservata un’attenzione particolare; nel corso del secolo diventa più importante la capacità del maestro.

Giotto bellosi

GIOTTO
LE PRIME OPERE

La figura di Giotto è simbolo di un rinnovamento profondo nella storia della civiltà figurativa occidentale,
anzi del primo rinnovamento radicale dopo l’antichità. Ne parlano già i suoi contemporanei, poi Ghiberti e
Vasari. Boccaccio in una novella del Decameron parla di lui come il miglior pittore del mondo. I Bardi e i
Peruzzi, cioè le famiglie fiorentine titolari delle più importanti banche europee di allora, sono i suoi
committenti. Lavora per commissioni prestigiose, come quella per la basilica di San Francesco ad Assisi.
Lavora per il papa, per il più ricco e influente cittadino di Padova, per la cappella e per l’altare maggiore
della basilica di San Pietro a Roma, per il re di Napoli e per il signore di Milano.

Le sue prime manifestazioni coerenti si hanno nella decorazione della basilica superiore di Assisi: si tratta
delle storie del Vecchio Testamento (dalla Benedizione di Isacco), della Volta dei Dottori, delle storie del
Nuovo Testamento e il ciclo delle Storie di san Francesco. C’è chi pensa che gli affreschi di Assisi siano
soltanto un riflesso dell’arte di Giotto, di epoca successiva all’opera padovana (Cappella degli Scrovegni). È,
però, praticamente impossibile credere a questa teoria: i piccoli angeli che fanno da comparse in certe
scene, come la Deposizione, si mostrano solo a mezza figura, esattamente come voleva la pittura 200esca e
come li aveva rappresentati Cimabue; a Padova, invece, essi sono concepiti come se una nuvoletta
nascondesse la metà inferiore del loro corpo. Nel contesto generale della decorazione della basilica
superiore le parti giottesche si distinguono nettamente, non solo per caratteristiche personali, ma perché
rappresentano un ordine di idee completamente nuovo. La concezione dell’affresco è mutata: per Cimabue
e per i pittori medievali, la parete da affrescare era una superficie e la figurazione che la riempiva era calata
in uno spazio bidimensionale; invece, gli affreschi giotteschi della basilica superiore sono concepiti come se
fossero incorniciati dall’architettura stessa della chiesa e le cose sono rappresentate nella tridimensionalità,
come ci appaiono realmente. Le pareti con le storie di san Francesco hanno un’articolazione architettonica
fittizia, a partire dalla tenda dipinta in basso che corre lungo tutta la parete fino all’incorniciatura delle
storie basata su una divisione a 3 per ogni campata: la base di piccole mensole, le colonne che sostengono
un soffitto a cassettoni su cui poggiano robuste mensole. Questo illusionismo architettonico si dispone in
modo che in una veduta laterale la campata sembra obliqua, mentre in una veduta dal centro sembra
orizzontale. Le scene iniziano con le due storie di Isacco in uno spazio delimitato e ricco di punti di
riferimento. La visione dello spazio proposto ad Assisi trova vasto consenso in Italia e poi, nella seconda
metà del ‘300, anche fuori d’Italia, nella pianura fiamminga.

La pittura di Giotto è molto più povera di quello che lo ha preceduto, più semplice. L’idea di ricostruire su
una superficie a due dimensioni uno spazio in 3D significa restituire alla realtà un valore che aveva perso
perché il Medioevo considerava la realtà ultraterrena come quella vera. Il ribaltamento di questa
concezione in Giotto vanno in parallelo con alcune correnti di pensiero che porteranno al nominalismo di
Ockham. Questa capacità di rinnovare la pittura guardando la realtà con i propri occhi cancella le tradizioni
bizantine e la cultura pittorica bizantina e tutte quelle formule figurative astratte presenti in Cimabue e
Duccio. Giotto usa naturalezza e dà all’umanità un aspetto più terreno, come nel crocifisso di Santa Maria
Novella a Firenze, in cui il corpo del Cristo pende pesantemente e Maria e San Giovanni, ai lati della croce,
sono quasi intercambiabili con le figure di Esaù e di Giacobbe nelle storie di Isacco: spalle squadrate e
ampie, sguardi addolorati, posa solenne, vesti classiche sono tratti dello stesso artista. Dopo le due storie di
Isacco, gli affreschi di Assisi continuano con storie del Vecchio (le storie di Giuseppe) e del Nuovo
Testamento (come il battesimo, l’Ascensione, la Pentecoste, le figure di san Pietro e di San Paolo). In tutto
questo complesso, Giotto era aiutato da un gruppo di collaboratori e non tutto è all’altezza delle due storie
di Isacco. Le 4 vele della volta raffigurano i dottori della chiesa: sono 4, accompagnati dai loro segretari e da
un busto di Cristo dentro una nuvola, in alto. Sono fatti convergere verso il vertice del triangolo che li
accoglie e rendono per la prima volta in pittura gli effetti policromi dei marmi bianchi e le sfumature dei
mobili in legno, degli scrittoi e dei rotoli su cui scrivevano.

STORIE DI SAN FRANCESCO DELLA BASILICA SUPERIORE DI ASSISI


La decorazione della basilica prevedeva la conclusione con le storie di san Francesco da affrescare sulla
parte bassa. In tutta la basilica non si ripete nessuna figurazione tranne quella della crocefissione, che è
rappresentata per altre 2 volte sulle pareti orientali del transetto, nella stessa posizione, anche, della
basilica inferiore, dove le storie di San Francesco erano in parallelo con quelle di Cristo. Nella basilica l’idea
è ripetuta con l’inserimento anche del Vecchio Testamento. Anche il sistema decorativo è affine a quello
della basilica inferiore: infatti, il motivo delle mensole dipinte, che fingono di sostenere un architrave a
chiusura della parete in aggetto dove sono dipinte le Storie di San Francesco, era già presente con la stessa
funzione nella decorazione cimabuesca del transetto. Cimabue: esegue in modo grafico e facendo divergere
le mensole laterali da quella centrale; Giotto: laterali verso quella centrale, soluzione tarda perché nella
Volta dei Dottori ce ne sono metà e metà.

L’esecuzione delle Storie di san Francesco ha avuto inizio a partire dal Dono del mantello al povero
gentiluomo, che è la seconda delle 28 storie; mentre la prima con l’Omaggio dell’uomo semplice, fu
probabilmente dipinta per ultima. Questo perché nello spazio del primo riquadro andava acadere la trave
dell’iconostasi, il cui spezzone è visibile ancora oggi; fu evidentemente quando si arrivò alla fine della
decorazione che si decise di affrescare anche l’ultimo e il primo riquadro. Le differenze fra la prima e la
seconda scena sono notevolissime: nell’Omaggio dell’uomo semplice la stesura pittorica si è ammorbidita, i
passaggi sono più sfumati e le vesti hanno una consistenza soffice; il Dono del mantello è invece ancora
caratterizzato da una pittura trasparente, la testa del giovane Francesco è molto più affine a quelle di Esaù e
Giacobbe. La squadra di Giotto e dei suoi collaboratori è passata ad eseguire le Storie di san Francesco sulle
quali si soffermano per più tempo, sia perché lo spazio era più ampio, sia perché il lavoro era più vicino
all’occhio dello spettatore e quindi necessitava più attenzione.

La finta incorniciatura delle Storie di San Francesco è divisa in 3 riquadri quadrati, salvo quella di ingresso
che ne ha 4 e la parete di controfacciata che ne ha 2. Sono rappresentate 28 storie che seguono la biografia
ufficiale del santo Legenda Maior di San Bonaventura.

Dono del mantello al vecchio gentiluomo: è ambientata in un paesaggio aperto fatto di costoni di roccia su
cui sono appollaiati dei caseggiati. A sinistra è rappresentata Assisi, cinta da mura merlate con la chiesa di
San Damiano fuori porta. Il cielo sul fondo è di un blu astratto. Le montagne così pietrose sono di eredità
bizantina. Il mantello donato ci riporta alle storie di Isacco ed è realizzato con cavità e effetti chiaro-scuri
reali.

Visione del palazzo con le armi: la coperta che avvolge san Francesco mentre dorme è un pezzo di
pittura sorprendentemente percorritrice del trompe-l’oeil.

Sogno di Innocenzo: l’alcova ricorda le storie di Isacco anche se l’arredo del letto e l’architettura sembrino
alludere più chiaramente agli usi del tempo di Giotto. I due sogni: il primo è costituito da un singolare
palazzo, ricco di allusioni all’architettura gotica italiana e appoggiato sul pavimento accanto al letto; il
secondo della basilica di San Giovanni in Laterano, collocata anch’essa accanto all’alcova e descritta
secondo l’aspetto che le aveva dato il restauro di Nicolò IV nel 1290.

Crocifisso di San Damiano: due soli elementi  la chiesa diroccata con il crocefisso sull’altare e il giovane
Francesco inginocchiato. Questi due elementi sono però distaccati fra di loro: una cosa è la chiesa, un’altra
è la figura di Francesco che si colloca nella chiesa e il rapporto proporzionale con essa è del tutto fuori scala.
Questa tecnica è ripresa dalla pittura fiamminga.

Rinuncia degli averi: l’ira del padre si esprime nel volto contratto, nel tirarsi su la veste per lanciarsi contro
il figlio, ma soprattutto nel braccio trattenuto dall’amico e nel pugno teso.

Predica davanti a papa Onorio: il gesto, l’atteggiamento, l’espressione del volto sono “parlanti” e indicano
dei modelli di mimica per la pittura 300esca. Il gesto di S. Francesco è stato interpretato come volgare, ma
al tempo di Giotto non lo era.

Deposizione: fa parte degli affreschi delle pareti alte. Questa scena veniva raffigurata di solito da un
accalcarsi convulso e urlante intorno al corpo di Cristo, mentre qui diventa un’alta recitazione del cordoglio,
evocante i gesti della statuaria classica. A differenza delle storie di San Francesco il tono è molto più vivace.
Si fa una distinzione quasi involontaria tra Cristo e i Santi, ai quali corrispondono termini aulici e solenni. È il
tempo in cui anche Dante teorizza molteplici livelli di stile: uno stile “superiore” per la tragedia, uno stile
“inferiore” per la commedia e lo stile die miseri per l’elegia, cui si adattava rispettivamente un “volgare
illustre”, un “volgare ora mediocre ora umile” e un “volgare esclusivamente umile”. Del resto, quando
Jacopo Torriti inserisce nei mosaici absidali di San Giovanni in Laterano e di Santa Maria Maggiore a Roma
le figure di san Francesco e di sant’Antonio da Padova li raffigura più piccoli, come ripiegati su se stessi,
meno dignitosi a questi santi recenti veniva attribuita una dignità inferiore.

La conferma della regola: presenta l’impianto “spazioso” più organico e unitario di tutti gli affreschi della
basilica superiore, insieme alla Predica davanti ad Onorio. Sono due degli esempi più pragmatici della
concezione dello spazio come scatola cubica aperta sul davanti che è propria di Giotto. Sembra che
l’attenzione sia concentrata sulle parti alte, articolate da una serie di archetti fortemente aggettanti su
robuste mensole nel primo affresco, occupate dalle prime volte a crociera messe in prospettiva sella pittura
italiana nel secondo. Lo schieramento dei frati inginocchiati dietro a san Francesco è per file disposte in
profondità, prima di Giotto lo schieramento delle figure era sempre orizzontale e per file parallele alla
superficie dipinta.

Visione del carro di fuoco: è straordinaria l’idea dei frati che dormono, uno dei quali rinnova in modo più
espressionistico lo scorcio del soldato che dormiva appoggiando la testa sul dorso della mano nella
Resurrezione delle pareti alte.
Visione dei troni: impressionano l’oggettualità da trompe-l’oeil dei seggi sospesi in aria e l’osservazione del
lampadario davanti all’altare sospeso da una corda che permette di farlo salire e scendere per rinnovare
l’olio.

Cacciata dei diavoli da Arezzo: la città è realizzata in salita con le case tutte attaccate e senza spazi,
completamente murata; mentre la veduta absidale della grande chiesa sulla sx assomiglia a quella della
Pieve aretina.

Presepe di Greccio: è l’interno di una chiesa vista dal presbiterio, al di qua della transenna che lo divide
dalla navata e a cui le donne non hanno accesso; esse, infatti, sono inquadrate nel vano dell’apertura dal
quale guardano la scena senza attraversarlo. Tutto è visto dall’interno e da dietro: l’ambone con i ceri
accesi, il mobile che sostiene il leggio con il corale su cui i frati cantori leggono il canto, il tabernacolo
arnolfiano sopra l’altare inghirlandato per la festa di Natale e il tergo della croce che pende verso la navata
con la sua parchettatura lignea perfettamente in vista e la trave su cui è appesa la corda per tenerla
sospesa.

 PARETE DI FONDO
Miracolo dell’assetato e la Predica agli uccelli: la prima è la più giottesca e c’è una concezione
paesaggistica particolare che si può notare nella figura dell’asino, nella seconda la scena è in aperta
pianura.
Madonna con bambino tra due angeli: si situa tra le due storie precedenti entro 3 tondi.
 PRIMA CAMPATA DELLA PARETE SINISTRA
Cavaliere di Celano: c’è una tavola apparecchiata con le vivande, le stoviglie e la posateria.
Predica ad Onorio: fitta decorazione cosmatesca dello sgabello del papa.
L’apparizione del capitolo di Arles: è collocata in una veduta in tralice dell’aula capitolare, con la parete di
fondo suddivisa da 3 aperture. Le figure massicce dei frati visti di spalle anticipano certe soluzioni della
Deposizione di Padova.

Stimmate: la straordinaria trasparenza delle rocce assume una luminosità come fosforescente. Per gli
affreschi successivi la paternità giottesca è in dubbio: ad esempio, l’ultima campata è attribuita al maestro
di santa Cecilia  l’artista non lavorava mai da solo.

Compianto delle clarisse: è il meglio conservato fra gli affreschi della seconda campata della parete sinistra.
Compare per la prima volta in pittura l’intera facciata di una basilica gotica centroitaliana, decorata non
solo da marmo e dai motivi cosmateschi, ma anche da un fitto gruppo di sculture.

Canonizzazione: è danneggiata. Trovandosi a dover figurare delle storie quasi contemporanee Giotto ha
rivestito i personaggi laici degli abiti a lui contemporanei. Nel valutare il registro stilistico tra gli affreschi
delle pareti alte e le storie francescane, va tenuto presente che Giotto era stato preceduto proprio ad Assisi
dall’anonimo autore della tavola di Santa Chiara, nella quale i personaggi laici delle storiette laterali vestono
abiti inconfondibilmente contemporanei. Le loro fogge trovano ancora molti punti di contatto con le storie
francescane, mentre sono decisamente sorpassate negli affreschi della cappella dell’arena.

Apparizione a Gregorio IX: questa volta la costruzione spaziale non è perfettamente centralizzata.
La tenda sospesa al soffitto cassettonato, che aumenta la credibilità del vano spaziale in cui si svolge la
figurazione. Le ultime storie francescane sono caratterizzate da un’estrema gracilità delle architetture e le
figure si fanno sottili e allungate. Si è perfino pensato che questi ultimi affreschi di Assisi riflettano già il
momento padovano di Giotto. Si noterà quanto difettosi e incongrui, da un punto di vista strettamente
naturalistico, siano i profili messi in opera in questi affreschi e negli altri del ciclo francescano. A Padova,
invece, essi sono perfettamente realizzati e permettono anzi alcuni degli effetti più memorabili. Dal IV
secolo personaggi sacri o importanti sono sempre stati raffigurati frontalmente; la rappresentazione di
profilo diventa sempre più rara e marginale, essendo riservata esclusivamente a qualche personaggio
malvagio o di poco conto. L’esilità delle strutture architettoniche e l’allungamento delle figure permettono
di giustificare anche le proposte che elle ultime Storie di san Francesco sia all’opera il Maestro della Santa
Cecilia, o addirittura il giovane Simone Martini. Il fatto che questi affreschi abbiano costituito a lungo un
testo figurativo da prendere a modello per la storia in figura di san Francesco è probabilmente un segno del
prevalere dell’interpretazione moderata del fenomeno francescano.

Tavola del Louvre con le stimmate di san Francesco: eseguita originariamente per la chiesa di San
Francesco a Pisa. La scena principale e le 3 scenette della predella (il Sogno di Innocenzo III, la Conferma
della regola e la Predica agli uccelli) sono un’evidente variazione sul tema delle stesse scene figurate nel
ciclo assisiate. Si è insistito di solito sulla somiglianza iconografica che è evidente. È da notare la sottile
eleganza gotica della predella, denunciata dall’assottigliamento delle figure, che costituisce il punto di
riferimento per certi artisti fiorentini nel genere del Maestro della santa Cecilia. Quest’opera firmata
costituisce la prova più importante della paternità giottesca degli affreschi assisiati.

Polittico di Badia: oggi agli Uffizi, il suo stato di conservazione è assai cattivo, ma è un’opera in cui Giotto
esprime tutta la sua serietà presentazione delle figure a mezzo busto ripetuta nei 5 scomparti, ricorrere
delle targhe col nome sul fondo d’oro intorno alle teste.

Crocefissione del Tempio Malatestiano: è la testimonianza diretta del soggiorno riminese di Giotto.
Mancano i tabelloni dei bracci della croce. C’è un forte richiamo alla pittura assisiate.

Cappella degli Scrovegni (1303 – 1305)


È considerata l’opera più significativa e paradigmatica lasciataci da Giotto e come uno dei fatti capitali della
storia della pittura europea. La fondazione, la costruzione, la decorazione e la consacrazione della cappella
sono datate indicativamente intorno al 1303 e il 1305.

È una chiesa di piccole proporzione e soprattutto asimmetrica; per rendere possibile l’attuazione del piano
iconografico, il pittore ha preso come punto di riferimento lo spazio tra le due finestre, calcolando di
inserirvi due storie, una sopra all’altra; con questa unità di misura ha suddiviso le pareti della cappella
ricorrendo ad una sola modifica, quella di sfalsare proprio le storie tra le finestre rispetto alle altre.
Il sistema delle cornici che separano le storie fra loro finge di essere l’articolazione architettonica delle
pareti stesse della chiesa. L’organizzazione delle opere prevede una serie di figurazioni su quattro livelli
sovrapposti. L’idea qui è quella di racchiudere gli affreschi per mezzo di fasce marmoree larghe, ma con
cornici poco rilevate, riccamente decorate alla cosmatesca e in cui si aprono delle formelle lobate oltre le
quali compaiono figurazioni minori. La nuova idea di Giotto è quella di aver finto un basamento ad ampie
specchiature di marmi mischi, conclusa con una cornice; vengono inserite tra le specchiature le Allegorie di
Virtù e Vizi, in monocromo, come rilievi marmorei, e ciò darà luogo aun genere di decorazione ad affresco
che avrà fortuna nel Quattro e Cinquecento. Giotto introduce, inoltre, l’invenzione di pura architettura dei
due coretti dipinti a trompe-l’oeil sulla parete di fondo verso l’altare, in cui compaiono degli sfondamenti
architettonici, dipinti in una prospettiva perfettamente coerente, realizzata a mano libera.

La volta a crociera compare al di là dell’arco a sesto acuto, e sulla parete di fondo di essa si apre una bifora
gotica. Il cielo oltre la bifora è più chiaro rispetto a quello realizzato negli altri affreschi, segno della resa
atmosferica.

La suddivisione delle pareti vede riquadri più piccoli rispetto a quelli di Assisi. Si spiega con questo fatto il
diverso rapporto proporzionale che Giotto instaura tra le figure e il riquadro o tra le figure e lo spazio che le
contiene. Vediamo, nella sua realizzazione padovana, una straordinaria concentrazione e unità figurativa
tanto apprezzate in epoca moderna. La stesura pittorica padovana è più morbida e densa rispetto a quella
di Assisi, il risalto delle figure è più pieno, ogni asperità è smussata, i gesti mantengono un equilibrio
inimitabile tra la gravitas di certe statue antiche e il garbo del gotico francese. Il tono della narrazione è
solenne e alto, ma comunque disteso e sereno. Le figure più importanti sono realizzate in un atteggiamento
maestoso, con sguardo concentrato, ma non mancano di gentilezza. Tutte via le figure rappresentate nella
Cappella non sono solo personaggi prestigiosi, ma vediamo anche una campionatura di personaggi di
contorno la cui minore dignità è continuamente sottolineata da espressività, da caratterizzazioni
fisionomiche, da vivacità di atteggiamenti.
Questo tono più prosaico della figurazione caratterizza le Allegorie dei Vizi e delle Virtù, nelle quali c’è un
richiamo a una sfera quotidiana e meno sublime.

L’andamento degli affreschi è elicoidale.

Vediamo per prime le sei storie di Gioacchino e Anna nella fascia più alta della parete destra. La storia a
lieto fino ha un tono bucolico e pacato, sottolineato dal paesaggio diafano e dai dettagli morbidi (come il
vello delle pecore). Lo spazio messo in opera è più ristretto, le figure vi campeggiano maggiormente e le
strutture architettoniche sono ridotte ad una soltanto per affresco, quella indispensabile. È memorabile
l’Annuncio dell’angelo a sant’Anna, in cui l’unico oggetto architettonico rappresentato acquista evidenza e
chiarezza; è un’architettura-vocabolo che sta stretto nella scena, tanto che l’angelo sembra faticare ad
entrare dalla finestrella, ma alla fine ne sottolinea lo spessore e la concretezza. La resa della camera della
santa è miserabile, come tutto l’ambiente domestico, come nella Natività di Maria.

Nelle sei scene successive vediamo la Natività di Maria, la sua Presentazione al Tempio e quattro scene
relative al matrimonio (i Pretendenti che consegnano le verghe, la Preghiera dei Pretendenti per la
fioritura delle verghe, il Matrimonio di Maria con Giuseppe e il Corteo Nuziale). Anche questa serie si
mantiene fedele al principio dell’elemento architettonico unico. La casa di sant’Anna è quella già vista, il
tempio è lo stesso che nella Cacciata, ed immaginato come il settore di un presbiterio enucleato dal sistema
transenne-ciborio-ambrone. L’edificio ripetuto nel Matrimonio è ripetuto tre volte. Nella Preghiera dei
Pretendenti la voluminosità quintessenziale è ottenuta semplificando il panneggio e l’anatomia, come se i
corpi avessero solo spessore luminoso. Lo spazio della grande lunetta intorno all’arco trionfale, ossia la
zona più in vista della cappella, è riservata alla scena dell’Annunciazione. Le schiere angeliche sono qui
disposte stupendamente a suggerire uno spazio anche nel Paradiso; esse formano due doppi semicori di
angeli compostissimi, mentre ci sono dei piccoli angeli che suonano strumenti a fiato all’estremità.
L’Annunciazione effettiva si svolge al di sotto, con le due figure protagoniste lontane l’una dall’altra perché
collocate ognuna su uno dei due lati dell’arco trionfale. Esse sono sistemate in due edicole come se stessero
una di fronte all’altra; ciò è indicato approssimativamente dal fatto che i fianchi dell’architettura in vista
sono quelli che guardano verso l’esterno. Le figure sono molto composte, e la Madonna è costruita con una
precisione straordinaria nel piano in scorcio formato dalle mani incrociate sul petto che, se pure costruito a
mano libera, fa pensare a figurazioni quattrocentesche. Questa sensazione tridimensionale è fortemente
accentuata da un’altra singolare invenzione di Giotto, che interessa tutti gli affreschi della Cappella
padovana, ossia la resa delle aureole: Giotto ovalizza le aureole per renderle di scorcio.

Le cinque storie successive sulla parete delle finestre sono: la Natività, l’Adorazione dei Magi, la
Presentazione al Tempio, la Fuga in Egitto e la Strage degli Innocenti. Le prime due scene vedono la stessa
ben costruita capanna di legno, mentre nella Presentazione si ha una veduta del ciborio del tempio, lo
stesso della Cacciata di Gioacchino e della Presentazione della Vergine.

La Fuga in Egitto vede un paesaggio di pura roccia, ma di consistenza tenera e di luminosità quasi diafana. Il
gruppo delle due figure sull’asino è ben isolato ed evidenziato dalla sua collocazione.

La Strage degli Innocenti è l’unica storia della cappella degli Scrovegni in cui compaiono due architetture
invece che una: la loggia di Erode (realizzata con una pianta centrale di forma ottagonale – ispirata a
qualche battistero, definita con precisione) e un edificio a pianta centrale (forse ispirato al Battistero di
Firenze). Il modo di utilizzare le ombre è intenso e sottile. Il centro della scena è invece riservato al
protagonista negativo.

Le sei storie dell’altra parete sono Cristo tra i Dottori, il Battesimo di Cristo, le Nozze di Cana, la
Resurrezione di Lazzaro, l’Ingresso in Gerusalemme e la Cacciata dei mercantai dal Tempio.
Sono le sue narrazioni di tono più elevato e solenne.

Il Cristo tra i Dottori è il primo affresco tra quelli padovani ambientati interamente in un interno, secondo
uno schema ripreso dal ciclo di San Francesco ad Assisi, ed è collocato ad un’estremità della parete di
sinistra.

Il Battesimo di Cristo vede una qualità molto alta per il volto sublime di Cristo, però presenta inoltre delle
invenzioni straordinarie - come lo scorcio dell’Eterno, ed è caratterizzato da un’esecuzione pittorica di
grande livello; presenta inoltre, però, un caso di irrazionalità nella raffigurazione dell’acqua in cui è
immerso Cristo, che, se gli arrivasse davvero fino al ventre, dovrebbe ricoprire anche parte delle rocce e
delle altre figure a lato. La scelta iconografica attuata da Giotto ha una storia legata quasi a un regresso
della capacità astrattiva; non sappiamo se è un errore di Giotto o un’imposizione della committenza, o una
scelta per coprire il corpo di Cristo; è comunque un elemento che richiama alla vecchia prassi figurativa
medievale, tutt’altro che superata.

Nelle Nozze di Cana la tensione delle scene si perde, il tono dimesso e domestico della storia garantito dalla
caratterizzazione quasi comica dei servi riacquisterà però tensione nelle scene successive. Anche in queste
scene però Giotto sottolinea la sua interpretazione consistente e oggettuale del visibile, come con l’utilizzo
dell’effetto di trompe-l’oeil sui banchi e le gabbie di legno nella Cacciata dei mercanti. Il racconto continua
sulla parete di lato all’arco trionfale con il Tradimento di Giuda. Il discepolo traditore è rappresentato di
profilo, secondo quei principi semplici e didascalici che vogliono che la malvagità venga indicata dalla
bruttezza del volto; vediamo inoltre la presenza del diavolo alle spalle di Giuda, che si presenta con
l’aureola nera. Si scende nella fascia inferiore, sulla parete delle finestre, dove sono figurate in una
disposizione simmetrica (due interni – un esterno – due interni) cinque scene della Passione: l’Ultima Cena,
la Lavanda dei piedi, il Bacio di Giuda, Cristo davanti a Caifa e il Cristo deriso.

Le prime due scene sono solenni, figurate nello stesso ambiente, mentre a seguire vediamo un ambiente
affollato, ossia quello del Bacio di Giuda, rappresentato con un orrido profilo, a contrasto con il bellissimo
viso di Cristo; in questa figurazione domina la massiccia figura del discepolo traditore, dilatata dall’aprirsi
del manto nel gesto dell’abbraccio.

Il Cristo davanti a Caifa è una nuova dimostrazione della libertà mentale acquisita da Giotto nell’osservare
gli effetti del mondo visibile. La scena è in notturna, in cui una fiaccola (ora diventata scura per le alterazioni
cromatiche) crea un effetto di illuminazione dal basso sul soffitto di legno. Le ultime sei storie della vita di
Cristo sono canoniche, fatta eccezione per l’Andata al Calvario, le altre sono comparse anche ad Assisi: la
Crocifissione, il Compianto sul Cristo deposto sulla croce, la Resurrezione – con il Noli me tangere,
l’Ascensione e la Discesa dello Spirito Santo. Nella Crocefissione e nel Compianto le figure dei dolenti sono
contenuti nei gesti, di ispirazione antica, e di fisicità corporea, sottolineata con degli effetti impressionanti.
All’intensa concentrazione di questo affresco, succede una composizione ben più allentata e piena di pause.
Conformemente al testo evangelico, la resurrezione di Cristo non è rappresentata direttamente, ma
attraverso alcuni episodi che la testimoniano, in questo caso il Noli Me Tangere. L’ambiente della Discesa
dello Spirito Santo allude direttamente all’architettura gotica contemporanea, ed è l’unico affresco della
Cappella a rendere ciò.

Il ciclo padovano contiene le raffigurazioni delle sette Virtù e dei sette Vizi contrari. In questo contesto
compare una nuova introduzione giottesca relativamente all’illusionismo architettonico: vediamo il finto
zoccoletto di specchi marmorei, in cui sono inserite queste realizzazioni come fossero dei rilievi scolpiti;
queste produzioni sono inoltre caratterizzate dall’aspetto prosaico in confronto al tono elevato del
racconto. Questa realizzazione è probabilmente il frutto di un luogo comune per cui la poesia è superiore
alla poesia, il tragico al comico, il sublime al normale. Vanno notate la collocazione centrale e le dimensioni
maggiori rispetto alle altre allegorie di quelle che rappresentano la Giustizia e l’Ingiustizia, raffigurate come
governanti (rispettivamente un buono e cattivo governo, una corona regale e un tiranno); questo significato
è legato alle mire dello Scrovegni di governare.

Altre coppie di virtù – vizi:


 Prudenza – stoltezza
 Fortezza – incostanza
 Fede – infedeltà
Nelle fasce decorative sono inserite numerose figurazioni minori, con alcune scene dell’Antico Testamento,
altre con busti di santi e profeti. Le prime vanno ricollegate alla tradizione gotica di ritrarre parallelismo tra
Antico e Nuovo Testamento, le seconde sono a volte di qualità altissima.

Sulla parete di fondo, nella controfacciata, Giotto ha inserito un’unica grande scena, quella del Giudizio
Finale. Questa scena è complessa, molteplice e affollata, e non dà l’impressione del perfetto equilibrio e
della razionalità che caratterizza le produzioni precedenti.

La mandorla con il Cristo giudice con gli angeli che la circondano ha un carattere araldico (= di stemma) che
ne fa un’apparizione fuori del contesto tridimensionale in cui è collocata, al centro di uno spazio concavo
individuato nella profondità della curva della pedana su cui sono posti gli scranni dei dodici apostoli; lo
spazio è ulteriormente approfondito dal degradare verso il fondo degli schieramenti angelici in alto,
allineati.
Altre presenze troppo simboliche e araldiche sono i due angeli che arrotolano i cieli come un volume nella
parte più alta dell’affresco, scoprendo le mura della Gerusalemme celeste, o gli altri due angeli in basso al
centro, che tengono la croce, o la fiumana di fuoco che parte dalla mandorla di Cristo a formare l’Inferno.
Né la rigida etichetta che stabilisce l’importanza delle figure attraverso le loro proporzioni contribuisce
certo a migliorare le possibilità di rendere razionale una simile figurazione.

Vi è tutta una degradazione di proporzioni che intorbida continuamente i tentativi di dare un ordine
all’enorme composizione. In questo lavoro è possibile misurare la portata unificatrice dell’idea giottesca di
abolire le suddivisioni e di coinvolgere tutti i gruppi in un unico spazio. È ancora presente il peso della
tradizione iconografica nella composizione a nuclei agglomerati, ma anche in questo senso la volontà
unificatrice di Giotto ha introdotto una novità, facendo della mandorla col Cristo giudice una specie di forza
di attrazione centripeta, nella cui direzione tutti i nuclei tendono ad orientarsi. Cristo siede dentro la
mandorla iridata, grandioso e dominante. Con la sinistra respinge i reprobi, mentre con gli occhi ancora
aggrottati si rivolge agli eletti, aprendo loro la destra. Gli apostoli stanno seduti solennemente nei loro
scranni, il più ricco dei quali è riservato a Pietro. La Vergine, bruna e giovane, dal volto dolce, sembra quasi
voler trascinare per mano verso Cristo il primo della più altra schiera degli eletti, san Giovanni Battista.
Vediamo altre schiere di eletti, alcune più autorevoli. Vediamo inoltre uomini e donne laici accompagnati da
angeli, disposti su linee parallele nel senso di profondità, e danno luogo a quelle curiose file di teste in
profilo che Giotto usa per indicare la sistemazione entro uno spazio tridimensionale di una folla ordinata.
A destra vediamo il vortice di dannati che sprofondano nell’Inferno, dominato dalla figura di Satana e
formicola di personaggi di dimensioni ridotte, oscene e ridicole per le angherie cui è sottoposta dalle
schiere scimmiesche dei diavoli. Queste figurine sono probabilmente attribuibili ai collaboratori di Giotto.
L’episodio che si svolge sul crinale roccioso è invece forse di mano giottesca, e vede due diavoli che
riconducono un uomo tra i dannati, spingendolo e tirandolo per la veste, il quale si sta strappando e
sfilando la testa.
In basse, quasi al centro del Giudizio, vediamo la scena dedicatoria, con Enrico Scrovegni che si inginocchia
davanti alla Vergine e a due sante, offrendo la cappella sotto forma di modello. Dobbiamo sottolineare che
siamo qui di fronte al primo ritratto della pittura occidentale e la sua importanza è aumentata dall’essere
raffigurato nelle stesse proporzioni delle figure sacre alle quali si rivolge; posizionandolo in ginocchio, lo
rende inferiore rispetto alle figure a cui è al cospetto. Il modellino della cappella dell’Arena presentata da
Enrico Scrovegni alla Vergine si differenzia in qualche particolare dalla realizzazione. Questo ha fatto
pensare che il Giudizio finale fosse stato eseguito agli inizi, quando la costruzione non aveva ancora avuto
forse la sua struttura definitiva.

Anche il Crocefisso mostra le affinità più sorprendenti con quello affrescato nel transetto destro della
basilica inferiore.
Altre due opere di simile stile e periodizzazione sono:
 La Maestà degli Uffizi. È una raffigurazione che vede le figure sacre rivolte verso il devoto, ossia la
Madonna, con il bambino benedicente. La madonna di Giotto è una matrona umana, dalla faccia serena,
quasi sorridente. La sua terrenità è denunziata dal peso del suo corpo, messo in evidenzia dalla gracilità
delle strutture architettoniche del trono, come se la tradizione pittorica di un’architettura gotica avesse
subito lo stesso processo di assottigliamento. La semplificazione dell’immagine non significa povertà di
immagine.
 La Morte della Vergine, oggi a Berlino, ha una forma insolita, cuspidata. Forse costituiva la predella della
Maestà fiorentina, e ciò ci è suggerito dalla somiglianza tra l’angelo in quest’opera e quello inginocchiato a
destra nella Madonna di Ognissanti – la Maestà. Le figure sono tutte estremamente vicine. L’immagine è
leggermente asimmetrica, per la disposizione del corteo celeste e di patriarchi a destra e il gruppo di
apostoli e di Marie sulla sinistra, interrotta dall’apostolo piegato. Anche il sarcofago è disposto leggermente
a sinistra. La scena rappresentata è quella della calata di Maria nel sepolcro, con Cristo che accoglie tra le
sue braccia l’animula di Maria. La composizione è realizzata nel tono grave e solenne, ma allo stesso tempo
garbato e affabile, degli affreschi padovani. Entrambe destinate alla chiesa fiorentina di Ognissanti.
La basilica inferiore di Assisi
Notiamo una notevole vicinanza tra le ultime parti della decorazione padovana e gli affreschi della cappella
della Maddalena nella basilica inferiore di Assisi. Molto probabilmente quest’opera è riconnessa
direttamente con Giotto e non con il lavoro dei suoi allievi. La Resurrezione di Lazzaro ha un respiro
monumentale, nonostante i personaggi e i loro atteggiamenti siano più o meno simili a quelli di Padova.
Qui, il gesto di Cristo è più imponente e le due Marie hanno uno stacco maggiore.

Nella cappella della Maddalena la pittura di Giotto è più densa e morbida, quasi corposa. La struttura
decorativa della cappella è costituita da una parte più bassa in cui le figurazioni sono contenute dentro con
una finta architettura aggettante su colonne tortili e da una parte alta suddivisa da cornici piatte. Vi sono
dipinte sette storie della Maddalena e altre figurazioni.

Le vicende della santa hanno inizio nella zona mediana della parete di sinistra con la Cena in casa del
fariseo (quando la Maddalena lava i piedi a Cristo e li asciuga con i suoi capelli) e la Resurrezione di Lazzaro.
Nella zona mediana della parete di destra abbiamo la scena in cui Cristo appena risorto compare alla santa
in veste da giardiniere (Noli me tangere) e col miracoloso Approdo a Marsiglia, quando la Maddalena,
Lazzaro, Marta ed altri, messi dai persecutori su una barca senza timone, arrivano sani e salvi al porto della
città, dal quale partiranno per evangelizzare la Provenza. Nelle lunette in alto sono raffigurati la Maddalena
a colloquio con gli angeli (parete destra), la Maddalena assunta in cielo (parete sinistra) e la Maddalena
riceve la veste dall’eremita Zosimo (nella parete sopra l’entrata della cappella). Figurazioni minori sono
negli intradossi delle finestre e dei due ingressi laterali. Nel sottarco d’ingresso troviamo dodici santi,
disposti a coppie, su tre livelli. Nelle zone più basse delle pareti laterali sono raffigurati a sinistra, San
Rufino, patrono di Assisi, con vescovo Teobaldo Pontano (committente della cappella, inginocchiato ai
piedi del santo); a destra, la Maddalena con il cardinale Pietro di Barro inginocchiato. Nella volta, entro
quattro tondi, Cristo benedicente, la Maddalena, Lazzaro e Marta.
Questi affreschi, prima che si scoprisse il committente era il vescovo di Assisi, vennero datati dopo
il 1314, ma dopo la scoperta recente di un documento che fa riferimento ad una precedente presenza di
Giotto ad Assisi, vengono collocati a ridosso degli affreschi padovani, probabilmente prima del 1309. Gli
interventi degli allievi, sembrano riportare indietro lo sviluppo giottesco ad una fase prepadovana; mentre
nelle parti più autografe il maestro arriva ad una morbidezza pittorica e ad una dolcezza cromatica molto
più avanzate rispetto a Padova.
Le ombre del chiaroscuro sono intrise di colore. Gli stessi tipi umani, dal bruno padovano sono passati ad un
biondo rossiccio, e gli occhi sono spesso chiari. Le fisionomie e le espressioni appaiono più sfaccettate e
misteriose. Le figure sono ingigantite e come cresciute in altezza. La pittura più calda e cremosa. La lunetta
sopra la porta d’ingresso, dove è raffigurata la Maddalena che riceve la veste da Zosimo, è invasa da
un’immensa roccia bianca e soffice come una nuvola, in un anfratto della quale sta la santa. Gli angeli che
sollevano da terra la Maddalena nella lunetta della parete destra alzano verso di lei i loro volti, dalle
espressioni più morbide rispetto a Padova.

Anche molte figure sacre sono più imponenti e piene di sussiego che a Padova. Inoltre, Giotto, dimostra un
amore anche nella resa degli oggetti.
Nella cappella della Maddalena vi sono le premesse per la decorazione giottesca della basilica inferiore, dal
transetto destro alle vele. Di recente si è dimostrato che questa parte è stata eseguita prima del transetto
sinistro dove Pietro Lorenzetti dipinse le storie della Passione. Sicuramente precedenti al 1320, queste, i
lavori giotteschi sono ancora più antichi e si pensa che subito dopo la cappella della Maddalena, a Giotto e
alla sua bottega sia stato affidato il rifacimento della decorazione del transetto destro e delle vele (zona che
era già stata affrescata alla fine del Duecento, come testimonia il riquadri di Cimabue, parzialmente
risparmiato). In questa impresa Giotto è stato più un ideatore che un esecutore. Nel transetto destro sono
raffigurati alcuni Miracoli di San Francesco compiuti dopo la morte, un riquadro con San Francesco che
presenta uno scheletro, un tondo con l’Eterno benedicente, la Crocefissione e otto storie dell’infanzia di
Cristo (la Visitazione, la Natività, l’Adorazione dei Magi, la Presentazione al Tempio, la Strage degli
innocenti, la Fuga in Egitto, Cristo fra i Dottori e Ritorno a Nazareth di Cristo fanciullo con Maria e
Giuseppe.

L’aspetto degli affreschi è di un fulgore e una preziosità cromatica eccezionale. I risultati giotteschi sono
divenuti subito un testo figurativo esemplare per i pittori umbri, che continueranno a citarli nei dipinti su
tavola, negli affreschi ma anche nelle miniature. Alcuni disegni testimoniano l’importanza e la fama che
godettero questi affreschi nel Trecento, attraverso alcune raffigurazioni intere o parziali di essi, ma la
qualità di questi affreschi è di un livello un po’ meno alto rispetto alle opere in cui Giotto partecipa
direttamente. Egli dovette seguire questi lavori e la sua presenza è visibile in vari punti, soprattutto nella
Crocifissione. Quest’opera è da attribuire direttamente alla mano di Giotto, ad eccezione delle figure in
piedi a destra, eseguite da un collaboratore. Questo Cristo crocifisso ha un corpo latteo, che reca
dappertutto i segni della flagellazione e delle percosse. Ai suoi piedi troviamo inginocchiati sulla destra tre
francescani, mentre sulla sinistra in piedi abbiamo dei dolenti, san Giovanni e due Marie, che manifestano il
loro cordoglio con un gesto sublime, che dal pianto contenuto di san Giovanni passa al grido aperto di
Maria e diventa un ghigno nella donna all’estremità.

La bottega giottesca continuò i lavori di decorazione della basilica inferiore affrescando le quattro vele della
volta sopra l’altare maggiore. La raffigurazione più in vista è il San Francesco in gloria. Qui la decorazione
della basilica inferiore raggiunge il massimo di sontuosità, attraverso vesti trapunte d’oro e vasti fondali
dorati. Le vele accolgono quattro figurazioni allegoriche di soggetto francescano: San Francesco in gloria,
l’Allegoria dell’Obbedienza, l’Allegoria della Castità e l’Allegoria della Povertà. Le raffigurazioni sono fitte
di figure sorridenti e festanti, continuano le tendenze giottesche rilevate nelle storie dell’infanzia di Cristo
del transetto desto, con una prevalenza del collaboratore che si caratterizza per un’espressività attonita e al
quale viene attribuito l’appellativo di Maestro delle vele.

La cappella Peruzzi (Firenze, Basilica di Santa Croce)

Purtroppo il ciclo Peruzzi era talmente ridipinto fino a non molto tempo fa ed è in uno stato di
conservazione talmente larvale, dopo l’ultimo intervento restaurativo, da lasciare perplessi sulla possibilità
di cavarne delle indicazioni a proposito dell’importanza che esso ha avuto nel percorso artistico di Giotto e
nella storia della pittura italiana del Trecento. Certi aspetti della moda indicano una cronologia più tarda
della Cappella degli Scrovegni e degli affreschi di Assisi, ma non di molto, sicché le date verso il 1312 o tra il
1310 e il 1316 per cui si hanno indicazioni coeve assai incerte sembrerebbero attagliarsi bene alla
decorazione della cappella Peruzzi.

Il ciclo è costruito dalle storie parallele di san Giovanni Battista (parete sinistra) e di san Giovanni
Evangelista (parete destra). Delle figurazioni minori sono interessanti alcune testine entro esagoni,
dall’aspetto talmente vero ed individualizzato da aver fatto credere che raffigurassero personaggi della
famiglia Peruzzi o che fossero i primi ritratti autonomi della pittura italiana. Gli scarsi dati stilistici che si
ricavano dalla situazione attuale degli affreschi sono tutti relativi all’impaginazione delle storie,
dall’impianto eccezionalmente monumentale. Le ampie superfici permettevano una complessità figurativa
molto superiore che negli affreschi padovani e le figure, grandiose e dilatate, vi si muovono liberamente, in
un rapporto molto più variato con le architetture e gli spazi che le contengono. Trattandosi di una cappella
alta e abbastanza profonda, ma poco estesa in larghezza, Giotto ha immaginato un punto di vista obliquo,
con il riguardante che sta dalla parte dell’ingresso alla cappella, che ha la fronte quasi completamente
aperta. Gli edifici sono collocati obliquamente e su tutte e due le pareti presentano in vista il fianco verso
l’ingresso della cappella. Il rapporto tra figure e architetture si è fatto molto più razionale; ogni vano ha uno
spazio più che sufficiente per contenere le figure. Quindi il giudizio sugli affreschi non può che rimanere
sospeso; salvo apprezzare l’unico frammento ben conservato di tutta la cappella, che è la mano di san
Giovanni Evangelista protesa nel gesto di resuscitare Drusiana (La resurrezione di Drusiana). Tra le
decorazione della cappella Peruzzi e quella della cappella Bardi, entrambe nella chiesa di Santa Croce, dove,
Giotto avrebbe dipinto quattro cappelle e quattro tavole d’altare, cade l’esecuzione di altri dipinti.

Sono sette pannelli quadrati raffiguranti l’Adorazione dei Magi, la Presentazione al Tempio, l’Ultima Cena,
la Crocifissione, la Deposizione, la Discesa al Limbo e la Pentecoste. La lettura di questi pannelli però è
problematica a causa dello stato di conservazione, ma l’autografia giottesca non è messa in discussione.

Il prodotto più importante fra i dipinti su tavola rimane il Polittico Stefaneschi, eseguito per l’altare
maggiore della basilica di San Pietro a Roma e ricordato come opera di Giotto nel necrologio del cardinale
Jacopo Stefaneschi che ne fu il committente. Dipinto sia dietro che davanti, è conservato quasi
integralmente nella Pinacoteca Vaticana. Le figurazioni che vi compaiono sono dominate dal tono
sacramentale e ieratico dei pannelli centrali, assai eccezionali nella produzione giottesca, ma che proprio
per ciò dimostra la capacità del grande pittore di calarsi nelle situazioni nuove che ogni commissione
rappresentava.

Nel pannello centrale della faccia anteriore, Cristo siede in trono frontalmente alzando la mano destra a
benedire e tenendo con la sinistra il libro della Rivelazione. Intorno al trono, vi è una schiera di angeli, la cui
disposizione è sottilmente adattata alle nuove idee figurative con l’accenno a disporsi in cerchio.
Inginocchiato in primo piano è il cardinale Stefaneschi. Il pannello di sinistra reca raffigurata la Crocifissione
di san Pietro, quello di destra la Decapitazione di san Paolo.

Anche la predella, con la Madonna in trono assistita da due angeli e accompagnata da dodici apostoli,
presenta una figurazione arcana e distaccata, che richiama alla mente le “teorie” dei santi dei mosaici
bizantini.

Sul retro del polittico, quattro solenni figure di apostoli in piedi fanno da laterali del pannello di
centro in cui san Pietro siede in trono, nello stesso atteggiamento di Cristo, con ai lati due angeli e i
due santi Giorgio e Silvestro, mentre inginocchiati davanti sono Celestino V e il cardinale
Stefaneschi nell’atto di offrire il polittico stesso.

Questo polittico è, nel suo insieme, di un livello qualitativo sorprendente e alcune sue parti sono stupende
sia nell’ideazione, sia nell’esecuzione. Il perfetto calcolo su cui spazi e volumi si compenetrano, la preziosità
cromatica continuamente esaltata, la sottile eleganza gotica di alcune figure e l’arcana, incantata
espressività di altre ricollegano strettamente quest’opera complessa agli affreschi della basilica inferiore di
Assisi, dei quali ripete anche qualche idea.

Cappella Bardi (1318)

La nuova tendenza gotica di aggiungere snellezza quasi filiforme al corpo di Cristo, allontanandosi dal senso
di pesantezza, è essenza di gran parte della produzione tarda giottesca, e ha il suo momento paradigmatico
negli affreschi della cappella Bardi di Santa Croce.

Il nuovo metro della pittura giottesca è più sottile, elegante e ornato.

Gli affreschi della cappella Bardi non offrivano la possibilità di vari sfoggi, dato che le storie di san Francesco
sono un argomento povero, ma le proporzioni slanciate delle figure, la cromia delicatissima, la morbidezza
pittorica di certe parti sono in linea con la tendenza che si accennava. Il racconto conferisce alle figurazioni
un tono accostante e meno elevato che negli affreschi Peruzzi. Inoltre le storie del santi sono
necessariamente ridotte di numero, data la limitatezza della superficie che il pittore aveva a disposizione.

Vi sono raffigurati: la Rinuncia degli averi, nella lunetta in alto della parete sinistra, la Conferma della
regola, nella lunetta opposta, e, subito sotto, la Prova del fuoco davanti al sultano, l’Apparizione nel
Capitolo di Arles, sulla parete di fronte, a di sotto di essa, i Funerali di San Francesco e l’accertamento delle
stimmate e sulla parete opposta, a destra, l’Apparizione a frate Agostino e al vescovo di Assisi.

La scena della Stigmatizzazione è dipinta in alto, sopra l’arco di ingresso della cappella, dalla parte esterna,
mentre ai lati della finestra erano dipinti quattro santi francescani, tre solo conservati (Ludovico da Tolosa,
Chiara e Elisabetta d’Ungheria). Nella volta vediamo tondi dalla cornice polilobata, in cui erano
rappresentate le figure allegoriche a mezzo busto di Castità, Povertà e Obbedienza.
A questi affreschi fu dato di bianco in epoca barocca, per cui vediamo ridipinture e ricreazioni delle parti
mancanti.

Il San Francesco rappresentato è senza barba, e questa raffigurazione è legata alla corrente revisionistica
del francescanesimo, quella rappresentata dai conventuali, e ai conseguenti tentativi di modificare
l’immagine del santo, i suoi significati pauperistici e il suo aspetto fisico. Le storie del santo sono riassunte
negli episodi più rappresentativi per uno stringato racconto protocollare della sua vita.
Le storie francescane di questa cappella non hanno più la vivacità di quelle di Assisi, come se un velo di
sussiego e di consacrata santità le allontanasse nel tempo e le ponesse su di un piedistallo di maggiore
aulicità. Le scene sono molto unitarie, simmetriche, la materia pittorica è sottilissima e impalpabile, ma allo
stesso tempo intensa e come vellutata, i colori sono delicati, leggeri, chiari. L’evidenza e la razionalità di
costruzione sono ancora di più i principi ispiratori.

Questi affreschi furono realizzati da Giotto con l’aiuto di Taddeo Gaddi.

Un elemento per la datazione degli affreschi Bardi ci è offerto dalla presenza di Lodovico da Tolosa tra i
santi affrescati intorno alla finestra. Essendo stato canonizzato nel 1317, ne viene la conseguenza che
questa decorazione sia stata effettuata dopo questa data, per cui osserviamo dei lavori della fase tarda
dell’attività giottesca. La lunga attività giottesca aveva sollevato la pittura ad un livello prestigioso tra le arti,
al punto da poter stimolare e insieme condizionare anche la scultura. Fu soprattutto il momento assisiate
ad avere successo, in modo clamoroso e definitivo, ma nell’insieme, la spinta che Giotto impresse
all’esperienza figurativa fu tale da determinare il destino della pittura occidentale.

ARTE NELLE CITTÀ, ARTE NELLE CORTI

CAPITOLO PRIMO
Nel corso del Duecento, si diffuse in gran parte dell’Europa un nuovo modo di costruire, che noi oggi
chiamiamo gotico e che nel XIII secolo Burcardo di Hall definì francigenum, facendo probabilmente
riferimento ad alcuni particolari tecnici e d’esecuzione che considerava originari della Francia, e in
particolare nell’Île-de-France. Tuttavia per il momento non esiste un dato che accomuni tutte le pratiche
artistiche, poiché il loro appartenere allo stile gotico si basa su caratteristiche assai differenti. Nonostante
ciò, si può rintracciare un dato unificante nel metodo progettuale e nel modo di organizzare le forme. Gli
storici dell’arte usano il termine “gotico” quando si presenta un determinato modo di trattare i volti, i
panneggi, le linee e gli atteggiamenti. Tali elementi vengono però assorbiti nelle varie aree in modi diversi,
in base agli strumenti a disposizione e alla tradizione artistica locale, dando quindi vita a opere “ibride”. In
Italia, ad esempio, l’influenza transalpina trovava la sua contrapposizione in quella bizantina
particolarmente forte a Venezia e nella Sicilia normanna. La Lombardia rappresenta invece un punto focale
per la sperimentazione anche se non si raggiunsero mai risultati di verticalità come in Francia (non esiste
una chiesa totalmente “goticaraggiante”); precoce fu sicuramente l’uso del costolone lombardo, ma ciò non
diede avvio allo stile e anche i primi edifici gotici rimangono isolati. Altri elementi in stile che giungono in
Italia vengono spesso usati in modo incoerente alla logica di costruzione. Punto nodale del gotico italiano è
la chiesa di San Francesco ad Assisi, su modello di altre chiese a due piani e con soluzioni architettoniche
nordiche, nonostante la resistenza, ancora presente.

CAPITOLO SECONDO

Altro centro promotore della diffusione del nuovo stile fu la corte degli Svevi. Federico II condiziona lo stile
artistico proponendo una ripresa del modello classico: arte come strumento di potere per costruire la
propria aura di imperatore romano. Propaganda una restaurazione dell’impero, commissionando molte
copie. Vuole un classicismo di portata moderna, rinnova il linguaggio figurativo per renderlo adatto alla
funzione politica e a rappresentare “le cose che sono come sono”. Pertanto si data in quest’epoca la
rinascita del ritratto moderno. Fece costruire castelli di caccia in cui si nota il connubio tra forme gotiche,
classiche e germaniche e scrisse un trattato sulla caccia la cui miniatura fu affidata a personaggi della corte;
anche in questo contesto tornò in auge il ritratto.

CAPITOLO TERZO

Grande importanza nel XII secolo assume la scultura e fondamentali sono le esperienze di Lanfranco e
Wiligelmo presso la cattedrale di Modena: entrambi i nomi ci sono tramandati da lapidi con il loro elogio. In
Francia invece usava apporre soltanto la firma. Per tutto il Duecento, tuttavia, gli artisti hanno avuto
coscienza della loro perizia. Si veda ad esempio Giovanni Pisano che sul pulpito di Pisa dichiarò la creatività
un dono di Dio, parlò del significato dell’opera, della propria vita e affermò la propria superiorità rispetto al
padre. La scultura toscana è larte-guida del Duecento, con personalità come Nicola Pisano, la cui sensibilità
gotica è evidente nel pulpito di Siena, e suo figlio Giovanni (nonostante il primo scultore gotico sia
Benedetto Antelami). Sul finire del Duecento Giovanni è più personale e modifica il rapporto scultura-
architettura a favore della prima. Nel frattempo a Siena si sviluppa una cultura plastica basata sui modelli
giotteschi. Novità anche nel campo del ritratto scultoreo, che supera quello pittorico per la resa psicologica
e fisiognomica, erede della tradizione ritrattistica federiciana. In questo momento le due arti dialogano,
Giotto guarda ad Arnolfo e Nicola Pisano, Pietro Lorenzetti guarderà a Giovanni e alla scultura senese.

CAPITOLO QUARTO

C'è un nesso ora tra le microtecniche e le arti monumentali, le une si ispirano alle altre dando vita a
reliquiari a forma di chiese con tanto di guglie, pinnacoli e contrafforti. Cresce anche l’importanza dei sigilli,
strettamente collegati al proprietario che vuole i migliori artisti. Il sigillo è un oggetto di primissimo piano,
anche quello comunale, come si nota nella Maestà di Simone Martini. Egli inserisce il sigillo ‘i Siena,
realizzato da Guccio di Mannaia, esperto di modi gotici francesi, adopera ombre, espressività e pieghe dei
panneggi più profonde. Influenza inoltre gli orafi ed è fondamentale per la diffusione dell’arte senese in
Europa, grazie all’assimilazione del gotico. L’uso dello smalto traslucido acquista prestigio; proprio nel
campo delle microtecniche si possono rintracciare le influenze e i nessi tra le arti.

CAPITOLO QUINTO
Le pitture murali della cattedrale di Modena testimoniano la precoce penetrazione del gotico in pittura,
raffigurando anche motivi architettonici: le due arti ebbero tempi diversi e solo nella seconda metà del
Duecento la fusione di elementi del nuovo stile ed elementi tardo-antichi fa sì che la pittura domini la scena
europea. Assisi e Roma sono tuttavia due centri in cui si manifesta la resistenza, nella prima città a causa
delle tensioni tra francescani conventuali e spirituali, nella seconda per i contrasti tra le famiglie
aristocratiche e l’anti-angioinismo. Roma diventa luogo di sperimentazione, grazie alla presenza di prelati
del nord e di artisti fiorentini dà vita a restauri e nuove committenze (da lì parte l’équipe per San Francesco)
e insieme ad Assisi diventa polo fondamentale per la nuova pittura. Si pone allora il problema della
rappresentazione dello spazio ed urgono innovazioni per la resa della terza dimensione. Non c'è dubbio che
Giotto abbia introdotto importanti novità, ma rimane complicato stabilire se è stato lui fin dagli inizi a dare
soluzione ai problemi della rappresentazione dello spazio e i rapporti tra la sua pittura e quella del romano
Cavallini. L’apice di Giotto ebbe luogo nei primi del Trecento, mentre Roma conosceva un periodo buio a
causa dello spostamento della curia pontificia ad Avignone; egli ottenne dunque prestigiose committenze in
tutt'Italia, compì molti viaggi e diffuse la nuova arte e ben presto si avvertì che tutta la pittura precedente
era ormai superata. In questa fase si ha inoltre il processo che portò alla rivalutazione del ruolo dell’artista
e l’inserimento delle arti figurative nel sistema culturale fiorentino. Nelle loro iscrizioni, alcuni artisti si
definiscono docti o doctor, ma pare che solo la menzione da parte dei letterati avesse valore legittimante. Il
paradigma giottesco si espande presto in buona parte della penisola, dando origine a un panorama artistico
complesso e variegato, in base alla diversa ricezione delle innovazioni. L’arte senese comincia ad essere
conosciuta al di fuori dei confini della Toscana, grazie ai suoi orafi; artisti ottengono commissioni anche
nella vicina Firenze (città aperta, a differenza di Siena, che manifesta una chiusura corporativa nei confronti
degli artisti forestieri) e ad Avignone. Gli artisti senesi attribuiscono grande importanza all’autopsia per
rappresentare con realismo e riconoscibilità dei luoghi; Ambrogio Lorenzetti, in mancanza di esempi, se non
letterari, della resa del paesaggio e dell’atmosfera, dovette basarsi sull’osservazione. Siena diventa dunque
capitale dell’affresco e la pittura profana si mescola con quella religiosa: si veda Simone Martini, sala del
mappamondo, Palazzo Pubblico di Siena. Sviluppo dei polittici a partire dalla tavola d’altare, che fondono
iconicità enarrazione in programmi iconografici talvolta complessi e con doppia raffigurazione, fronte e
retro, per un doppio pubblico. Viene aggiunta la predella, spesso narrativa come una sacra conversazione.
Problemi di conservazione, la maggior parte sono stati smembrati.

CAPITOLO SESTO

L’arte italiana si diffuse all’estero, grazie a personaggi ricchi che, dopo aver visitato l’Italia, si fanno
committenti nel loro paese di opere in stile. Guala Bicchieri attuò il processo inverso, portò il gotico
dall’Inghilterra a Vercelli (Sant'Andrea). L’intarsio e il disegno marmoreo dell’abbazia di Westminster furono
opera di italiani. Ciò testimonia il fitto interscambio in atto, come anche l’attività di maestranze transalpine
presso il cantiere di Assisi. La capacità di rendere la terza dimensione in pittura ha molto successo
all’estero, dove tali problemi non avevano ancora trovato soluzione. Abbiamo testimonianze di un “duch de
Siene” nel ruolo delle imposte a Parigi: si è ipotizzato fosse Duccio, ma non ci sono certezze. Dopo lo
spostamento della curia papale ad Avignone, molti artisti si spostarono nel sud della Francia. 1320-1330
l’influenza della pittura italiana si fa sempre più pensante e Jean Pucelle è una figura importante: frequenta
italiani, rappresenta castelli e architetture toscane, diffonde modi italiani, promuove integrazioni con i
principi della pittura nordica e ha influenze anche sulle vetrate. Avignone è sicuramente il centro più
significativo per la diffusione dell’arte italiana all’estero; i papi chiamarono lì gli artisti per affidare loro la
decorazione di chiese, cappelle e palazzi già dal 1320, ma soprattutto del 1335. La città francese diventa
così crogiuolo di nuove tecniche e generi (tra cui si pensa si sia sviluppato anche il ritratto) e appare come
exempla per le altre città europee.

ARTE NELLE CITTÀ, ARTE NELLE CORTI – ENRICO CASTELNUOVO


OPUS FRANCIGENUM
* Il duomo è la chiesa più importante di una città. Se il duomo si trova presso una città che è sede vescovile
prende anche il nome di cattedrale. Negli ultimi decenni del 1100 si assiste a sostanziali modifiche dei
paesaggi artistici in Italia. Qui Vasari fa iniziare le sue “Vite”; non ha gran stima per la produzione artistica
medievale (maniera tedesca). Nell’ottica del Vasari disprezzo per aspetti formali di espressioni artistiche
estranee alla tradizione italiana (dunque il Vasari predilige un certo conservazionismo/tradizionalismo. Nel
XIII secolo in gran parte d’Europa si diffonde un nuovo modo di costruire (gotico) che un contemporaneo
segnalava come Opus Francigenum. Prima di allora non si utilizzava il concetto di “stile”, bensì il termine
“Opus” seguito da un aggettivo di localizzazione. Veniva usato per indicare prodotti di una certa tecnica
originaria di determinati luoghi, particolarmente utilizzato per i ricami (ad esempio, “opus anglicanum” per i
ricami inglesi diffusi in Europa che contribuirono alla divulgazione del disegno gotico. Il termine “opus
francigenum” è utilizzato da un cronista tedesco, Burkhard DiHall, per parlare di un edificio; alludere a
particolari tecnici, ad esempio il modo di tagliare la pietra. Tradurre “opus francigenum” con “stile gotico” è
illegittimo e antistorico, sebbene si riferisca a una sviluppata coscienza di un certo modo di costruire nato in
Francia, in particolare nell’Île-de-France. Questo modo di accomunare e classificare prodotti realizzati con
diverse tecniche corretto, anche se: 1. esistono differenze cronologiche nel percorso in cui tali tecniche
sono state sviluppate; 2. quando il percorso sembra procedere in modo sincrono è difficile
scoprire/inventare elementi comuni dal punto di vista formale. La distribuzione delle forze nell’architettura
gotica non è applicabile a scultura o pittura, nonostante la tendenza ad allungarsi delle figure. Erwin
Panofsky: comune maniera di organizzare le forme (secondo la quale l’architetto o scultore strutturano la
loro materia e ne distribuiscono gli elementi). Carattere unificante dello stile gotico è dato dal metodo
progettuale, dal disegno. Con lo stile gotico si accomunano fenomeni diversi che i contemporanei non
avvertivano parentele, e accettare questo termine non significa che i problemi di classificazione siano
risolti. “Stile 1200”: tendenza artistica con forte accentuazione classicistica dell’Europa settentrionale:
Introdurre un nuovo strumento classificatorio significa che ha caratteristiche non attribuibili né al romanico
né al gotico. Per presentare una certa immagine dello svolgimento dell’arte italiana, tendenza a mettere in
opposizione “gotico” a “bizantino”. Gli elementi gotici penetrarono in Italia con modalità diverse: talora
intrecciati a quelli bizantini, altre volte attraverso fenomeni apparentemente ibridi. Zackenstil: stile a zig-
zag, introdurre degli elementi del nuovo modo negli schemi abituali. Si devono tenere presenti quegli
elementi che possono condurre un artista a rivolgersi a spunti orientali o a elementi nordici: a Venezia e
nella Sicilia Normanna l’arte era orientata verso Costantinopoli e l’impatto della pittura di icone bizantina
risulta determinante sullo sviluppo della pittura italiana su tavola del Duecento. In seguito al sacco di
Costantinopoli del 1204, si ha un conseguente spostamento di opere orientali in Occidente. Solo quattro
anni dopo, la costruzione dell’abbazia di Fossanova, con elementi borgognoni, rende evidente la presenza
forte delle due correnti (inizio Duecento). Fu l’architettura la prima tecnica gotica a discendere e a
espandersi in Italia, nonostante diffuse sacche di resistenza. Sin da subito l’Italia settentrionale diventa
terreno di sperimentazioni (ad esempio, le volte a crociera su costoloni, sebbene non come elemento
dinamico come in Normandia, ma elemento statico, a conservazione della funzione muraria. Le prima
chiese autenticamente gotiche del Duecento restano isolate: il Battistero di Parma è quasi un unicum con
quella struttura nervosa che Antelami deve aver appreso dalla Francia; come pure Sant’Andrea a Vercelli,
che evidenzia un’aggiunta di elementi inglesi. Importanza delle committenze e delle relazioni familiari.
Inoltre, c’è la questione degli ordini religiosi nuovi o riformati che apporteranno ai loro edifici formule
architettoniche nuove. Per tracciare una storia dell’accoglimento e dello sviluppo delle forme
architettoniche gotiche in Italia occorrerà tener presenti diversi dati:

 incoerenza col gotico del Nord come gli elementi vengono modificati per adattarli alle tradizioni locali
(cattedrale di Piacenza) e non hanno filiazioni. Resistenza per le tradizioni formali: di sicuro c’è da dire che
l’Italia settentrionale e centrale conosce il proprio ruolo e ha una volontà cosciente di riportarsi a Roma
come modello oltre ai persistenti rapporti di una parte dell’Italia con il mondo bizantino. Nonostante tutte
queste resistenze questa nuova arte trova modo di attecchire anche in Italia e alcuni aspetti, a proposito dei
caratteri naturalistici, verranno risolti proprio qui.
Architettura gotica:
San Francesco d’Assisi, fondata da Gregorio IX nel 1228 e consacrata da Innocenzo IV nel 1253, modello
occidentale di chiesa a due piani con l’aggiunta di soluzioni nordiche (come ad esempio la pianta e
l’elevazione. San Francesco punto nodale del gotico italiano (volle essere chiesa-santuario e chiesa
conventuale, cripta funeraria e cappella papale). Le vetrate: ampiezza possibile dalla variazione della
distribuzione delle spinte. Vetro di vario colore, piombi, pittura monocroma (luci-ombre), lineature di ferro
(impaginazione) sono tutti elementi che conducono a un risultato comune, che ha caratteri propri al
mosaico, allo smalto e alla pittura, ma con l’aspetto esclusivo di penetrazione della luce (caratteri
condivisi/esclusivi). La prima decorazione della Basilica Superiore di Assisi furono le vetrate: quelle
dell’abside sono opera di maestri tedeschi, mentre quelle appartenenti al transetto e alla navata furono
realizzate da autori francesi e italiani. Per la pittura, i primi che lavorarono al transetto nord furono nordici,
forse inglesi, poi però il cantiere venne affidato a Cimabue (1190) e ad altre maestranze come Duccio di
Buoninsegna e Giotto, il quale terminerà le Storie di San Francesco nel 1200. Roma e la curia furono
determinanti per la penetrazione del gotico in Italia. Altro centro propulsore del gotico fu la corte degli
ultimi Staufen (Federico II). RAPPRESENTARE CIÒ CHE ESISTE COME È Federico II: strategia di dominazione
attraverso la propria politica artistica. Grande costruttore di chiese, castelli e città. Origini sveve e
normanne che lo influenzano sui programmi iconografici. D’altra parte in Sicilia dominazione islamica che
aveva introdotto abitudini raffinate, e Federico le riprese e non per imitare l’impero bizantino, ma aspirava
all’antico Impero Romano, modello di tutti gli imperi. Per questo promosse ripresa classicheggiante, o nel
rifacimento degli “augustali”, le monete d’oro col profilo dell’imperatore, o l’incisione di gemme o camei.
Questo atteggiamento non solo per motivi politici, ma anche per rappresentare al meglio certi contenuti.
Federico II grande uso della propria effigie: statua acefala dalla Porta Capua. Importante per la rinascita del
ritratto. Utilizzo politico della propria immagine, interessi naturalistici, volontà di rappresentare “ciò che
esiste come è” = passo importantissimo nell’atteggiamento verso l’individuo, passo capitale per la rinascita
del ritratto moderno. Con lui piante, progetti e alzati dell’architettura gotica discesero nel Mezzogiorno +
connubio con forme arcaizzanti dell’Impero Germanico + forme classiche > tutto poi nella scultura di Nicola
Pisano. PER MAN DI QUEI CHE ME’ INTAGLIASSE IN PIETRA Importanza della produzione plastica toscana
nella seconda metà del Duecento grazie a Nicola e a Giovanni Pisano. Periodi di epigrafi laudatorie, anche in
Francia. Firme di Giovanni Pisano: due iscrizioni sul pulpito della Cattedrale di Pisa, dicendo prima che è un
dono di Dio poi lodando se stesso sfidando i critici. Questo conferma anche la posizione della scultura come
arte-guida. Alla teratologia (studio delle deformità e mostruosità) si sostituisce la botanica gotica (capitelli
con maschere vegetali). Dai “Mesi” di Parma, sarà Benedetto Antelami il primo scultore gotico italiano.
Nicola Pisano: proveniente dal Mezzogiorno federiciano, a Pisa per il cantiere del Battistero: elementi della
tradizione progettuale gotica e del classicismo federiciano trovano un luogo di sintesi. Lo stile di Nicola
evolve verso più il gotico nel pulpito di Siena dove lavorerà con il figlio e Arnolfo di Cambio. Giovanni
lavorerà a Pisa, Arnolfo a Roma, itinerari diversi; Giovanni “contro-rivoluzione gotica” > scultura espressiva,
drammatica. È il più personale e geniale degli scultori europei sul finire del Duecento. Egli modifica molto il
rapporto scultura-architettura a favore della prima.

ARTI SUNTUARI E MICROTECNICHE.

I TURIBULI. Due problemi: 1. nesso che lega le microtecniche e le arti monumentali (i tabernacoli e i turibuli
a forma di edifici); 2. l’importanza per gli orafi di esempi tramontani. I reliquiari utilizzano il repertorio del
disegno architettonico per proporre micro-esempi. Sono pezzi di oreficeria nei grandi tesori ecclesiastici (ad
esempio, il Reliquiario della testa di San Galgano del Museo dell’Opera del Duomo di Siena, a pianta
centrale, a forma di alto tiburio. Struttura poligonale, accentuata da contrafforti che scandiscono le scene.
Siena, fine Duecento: attivissimo luogo di produzione per le tecniche suntuarie. Tra i pezzi più moderni: i
sigilli. Per disegnarli scelti i migliori artisti. Nella gerarchia medievale il sigillo occupa parte di primissimo
piano: per sugellare il valore civile del suo affresco con la Maestà in Palazzo Pubblico, Simone Martini, dove
rappresenta il sigillo della città di Siena, eseguito da Duccio di Mannaia nel 1298. Sua la firma sul calice che
papa Niccolò IV donò al tesoro della Basilica di Assisi. Qui per la prima volta tecnica degli smalti traslucidi su
placca in argento incisa. Guccio di Mannaia conosce i modi gotici francesi con un’espressività più
accentuata. Convergenze con vetrate della grande quadrifora del braccio sinistro del transetto sud della
Chiesa Superiore di San Francesco ad Assisi. Fatto significativo: da una parte mostra l’incidenza di queste
vetrate transalpine sul campo artistico italiano, dall’altra permette di immaginare l’esistenza presso i
francescani di una grande ricettività. Lo stile di Guccio non riesce ad affermarsi, ma influenza gli orafi senesi
e diverrà una componente presente nello stile di Simone e Pietro Lorenzetti. Al tempo di Guccio momento
dell’espansione di Siena. Lo smalto translucido acquisterà un vasto prestigio: Reliquiario del Santissimo
Corporale della Cattedrale di Orvieto di Ugolino di Vieri.

PITTURA A INIZI DEL ‘300 Nel sottotetto della Cattedrale di Modena frammenti di pitture morali di maestri
campionesi. Testimonianze precoci di forme gotiche. I tempi della pittura non concordano in Italia con
quelli dell’architettura o della scultura; nascerà ad Assisi e Roma la pittura che dominerà la scena europea
nell’ultimo quarto del Duecento. Roma: luogo di sperimentazione. Da qui controllo del programma
iconografico di Assisi.

Urgenza di innovazione: Giotto. Trecento: secolo più ricco di novità e variazioni. Per molto tempo il
panorama della pittura è stato riassunto tra due poli – Firenze e Siena – ma grazie a Roberto Longhi,
conosciamo un paesaggio artistico più complesso e articolato: Emilia, Lombardia, Marche, Napoli, Venezia,
Sicilia e altre città toscane. Siena punto particolare. Firenze si apre alla pittura senese: Madonna Rucella di
Duccio per Santa Maria Novella. Grandi capacità espansive dell’arte senese. In più avrebbe anche scoperto
la pittura “metereologica”. Con il Palazzo Pubblico diviene la capitale dell’affresco. La pittura profana, civile,
si intreccia con i temi religiosi. Accanto all’affresco c’è la pittura su tavola: il polittico. L’ITALIA FUORI
DALL’ITALIA Artisti che nel Trecento proiettarono nei centri d’Europa schemi, ricerche e formule dell’arte
italiana. Personaggi facoltosi furono stimolati a farsi committenti nel loro paese di opere d’arte che
riprendono quei temi e quelle tecniche. Dal 1320/1330 poli d’irraggiamento: Parigi con Jean Pucelle,
Strasburgo e l’area austriaca. Avignone rappresenta un caso particolare: lo stabilirsi dei papi portò molti
artisti italiani, come ad esempio Simone Martini, nella città provenzale. Qui nacque il semplice ritratto
privato. Quello che si faceva ad Avignone era exempla per altri centri

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