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MODULO III

La psicologia dello sviluppo e le teorie dell’apprendimento


 Il termine “cognitivo” fa riferimento a tutto ciò che accade internamente alla mente, ovvero
tutti i processi mentali come pensiero, ragionamento, attenzione, memoria, con implicazioni
sullo stato di coscienza o consapevolezza, etc.
 Il termine “comportamentale” fa riferimento invece ai comportamenti manifesti (non solo
azioni e condotte, ma tutte le attività osservabili dell’organismo in rapporto con l’ambiente)
da parte del soggetto.
 Il termine “sociale” – La psicologia sociale: il superamento della prospettiva cognitivista e
guarda alla relazione tra il soggetto e l’ambiente sociale e culturale in cui si inserisce
 Il termine “analitica” – La psico-analisi o la psicologia analitica fanno riferimento alle teorie
di Freud e di Jung
N.B. [negli ultimi cicli la psicoanalisi è meno presente nei testi mentre è più presente
l’approccio di psicologia cognitiva]

Nell’ambito della psicologia dello sviluppo una prima distinzione da operare è quella tra:
1. la psicologia dell’età evolutiva
2. la psicologia del ciclo di vita

1. La psicologia dell’età evolutiva e le 5 fasi


Il panorama delle teorie sullo sviluppo infantile è decisamente complesso e variegato.
I candidati che si presentano per INFANZIA e PRIMARIA potrebbero approfondire alcuni autori
come Bowlby e Winnicot (vedi apposita sezione INFANZIA E PRIMARIA).

Sia i candidati al TFA SOSTEGNO per Infanzia e Primaria sia quelli per SECONDARIA, devono
conoscere le fasi di sviluppo e le teorie e gli studiosi che ne parlano; con particolare attenzione ed
approfondimento per la fascia di età degli studenti interessati.

La psicologia dell’età evolutiva si occupa di osservare e studiare ciò che avviene dalla fase
dell’infanzia sino all’adolescenza. Infanzia ed adolescenze sono due periodi dello sviluppo
psicologico particolarmente ricchi di cambiamenti e di importanti acquisizioni prima ancora che
fisiologiche (cioè fisiche, nel corpo) nel cervello quindi cognitive che affettive, emotive, etc.
Il periodo dell’infanzia comprende la fase della vita che va dal momento
della nascita al dodicesimo anno (definizione di psicologia evolutiva). La fase dell’adolescenza,
invece, abbraccia tutto ciò che avviene dal dodicesimo al diciottesimo anno, anche se adesso si parla
sempre più spesso di «tarda adolescenza», intendendo così riferirsi al prolungamento di alcune
caratteristiche psicologiche proprie di questa fase di sviluppo, sino al venticinquesimo anno di età.

È importante operare le distinzioni per fasce d’età, poiché a ogni fascia corrispondono una serie
di cambiamenti che non sono solo individuali. ⇒ N.B. stiamo sempre all’interno di una
categoria di pensiero cognitivista.
La psicologia dell’età evolutiva è il settore della psicologia dello sviluppo che studia il processo di
crescita e organizzazione delle persone, legata alla crescita fisica e psicologica nell’ambiente sociale,
nel periodo che va dalla nascita fino all’età della maturazione sessuale e la piena integrazione
nell’ambiente sociale.
Solitamente questo processo viene diviso in cinque fasi:

 la prima infanzia (da zero a due anni);


 la seconda infanzia (da due a sei anni);
 la fanciullezza (da sei a dieci anni);
 la preadolescenza (da dieci ai 14)
 l’adolescenza (dai 14 anni in poi).
Le divisioni sono convenzionali e ogni individuo può attraversare queste fasi ad età differenti.

Alcuni autori come Erikson come vedremo fanno coincidere ogni passaggio ad una sorta di crisi o
età diversa psichica.

Il passaggio da una fase all’altra implica spesso un periodo di crisi, che è fondamentale per adattare
la propria visione del mondo alla maggiore complessità della vita interiore.

Infatti in questo periodo la personalità va acquistando, attraverso alcuni processi evolutivi, una
maggiore autonomia e maturazione nella comprensione della partecipazione affettiva e di
socializzazione.

La psicologia del ciclo di vita, ovvero life-span psychology


“Arco di vita”, ”corso di vita” e ”ciclo di vita” sono espressioni centrali nel recente dibattito intorno
alla natura e alle caratteristiche dello sviluppo psicosociale dell’uomo, e vengono a volte usate in
modo intercambiabile.

”Arco di vita” e ”corso di vita” sono principalmente impiegate dalla psicologia dello sviluppo la
prima, e dalla sociologia la seconda, come metafore di evoluzione della vita individuale, mentre
l’espressione ”ciclo di vita” viene usata per indicare l’evolvere nel tempo sia dell’individuo che della
famiglia.

In psicologia, questi concetti confluiscono nell’approccio definito life-span psychology. Life span è
traducibile in italiano come ciclo di vita. La formazione e la psicologia non finisce come diceva Freud
nei primi sei anni di vita, ma continua (Erikson parla di otto età della vita, e inserisce anche la terza
età – l’età adulta – vedi ERIKSON).
I tratti costitutivi della prospettiva life-span sono (Baltes e Reese 1984; Baltes 1987) i seguenti:
l’estensione dello sviluppo ontogenetico a tutta la vita, e non più relegato agli anni dell’infanzia o
ad altre fasce di età; l’esistenza di una notevole variabilità individuale a proposito degli schemi di
evoluzione e cambiamento; l’elevata complessità del processo di sviluppo che trova la propria
formalizzazione non tanto e non più in termini di crescita-maturità-declino, bensì in
un’organizzazione flessibile di fasi o stadi. Secondo questa impostazione, ciascuna fase è
caratterizzata da momenti di crescita e di declino, intesi come processi congiunti, lo sviluppo
psicologico è co-determinato da fattori interni, familiari, ambientali, e assume forme diverse in
funzione delle varie condizioni di vita storiche, sociali, culturali.
Ne deriva pertanto l’esigenza di un approccio interdisciplinare di ricerca in cui vengono privilegiati
gli aspetti processuali e di reciproca interazione delle variabili in gioco.
Così, per es., la psicologia dello sviluppo pone attenzione ai processi evolutivi entro il quadro
emotivo-cognitivo e relazionale del soggetto, mentre la sociologia li colloca nella coorte di
appartenenza, anello di congiunzione tra individuo e società, e la psicologia sociale della famiglia ne
studia il plurimo intrecciarsi all’interno delle dinamiche del gruppo familiare. In questa prospettiva
di studio, lo sviluppo è scandito in più fasi evolutive di cui alcuni autori sottolineano specie gli aspetti
di continuità tra l’una e l’altra, mentre altri ne evidenziano gli elementi di discontinuità.

Nel primo caso si privilegiano i fattori maturativi e intra-individuali, nel secondo si enfatizza
l’incidenza delle cause prossimali sul cambiamento e sullo sviluppo.

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questo è un modulo importante all'interno della piattaforma perché è uno dei moduli che va a lavorare sulla
psicologia dell'età evolutiva e la psicologia del ciclo di vita. Questo significa che noi siamo di fronte a dei
ragazzini o a degli studenti nella fase adolescenziale che sono in età evolutiva, la loro psicologia evolve e
cambia; anche un bambino che ha una disturbo una forma di autismo nel tempo vediamo che le sue
capacità si sviluppano e anche le sue capacità. Dobbiamo sempre vedere questi disturbi all'interno di quella
che è detta comorbilità: la presenza di più patologie per esempio il bambino può essere autistico ma allo
stesso tempo avere un problema di attenzione e iperattività.

Come apprendiamo? Perchè apprendiamo?


Si dice volgarmente: “nessuno nasce imparato” eppure “ognuno apprende diversamente”.
Possiamo riassumere in due grandi sezioni le diverse teorie dello sviluppo.

1. Teorie innatiste o genetiche ⇒ biologiche (apprendiamo per stadi quando matura il nostro
cervello)
2. Teorie apprendimento dall’ambiente e dall’interazione ⇒ sociali (apprendiamo interagendo
con gli altri)
ra chi sostiene che lo sviluppo psicologico del bambino sia innato – TEORIE INNATISTE O
GENETICHE (“ha preso da padre, dalla madre, etc.”) PRIMATO BIOLOGICO e chi sostiene che
invece dipende dall’AMBIENTE dove si cresce (un bambino del quartiere di Scampia a Napoli o di
Quarto Uggiaro a Milano che nasce in una situazione di SVANTAGGIO apprende diversamente da
un altro nato in un contesto ricco ed evoluto) PRIMATO SOCIALE.
Ad esempio il già citato Preyer propose una sintesi tra il primato biologico e quello sociale.
Dovendo occuparci di soggetti che sono in una fase di crescita cognitiva, il bando prevede le
conoscenze di base della psicologia dello sviluppo, la quale come disciplina autonoma avvenne
ufficialmente nel 1882 anno in cui Wilhelm Preyer pubblicò La mente del fanciullo.
Teorie a confronto: comportamentisti contro teorie organicistiche
Secondo alcuni teorici, il cambiamento ha natura quantitativa: lo sviluppo, cioè, è considerato sotto
forma di accrescimento, ovvero come somma e accumulazione progressiva di piccoli cambiamenti
nel tempo. Secondo altri, invece, il cambiamento avrebbe una natura prettamente qualitativa, sarebbe
cioè una trasformazione conseguente a specifici cambiamenti evolutivi.

La tesi quantitativa è sostenuta dai comportamentisti, secondo cui l’individuo accumula nel tempo
esperienze e apprendimenti consequenziali, che ne plasmano la crescita e ne direzionano lo sviluppo.
Tali teorie, dette anche «stimolorisposta» (S-R), considerano il bambino un essere infinitamente
plasmabile il cui sviluppo è interamente condizionato da fattori ambientali esterni.
La tesi qualitativa, invece, è sostenuta dalle teorie organismiche, proposte da Piaget e Vygotskij,
secondo cui l’individuo è attivo costruttore delle proprie conoscenze e competenze e lo sviluppo
appare determinato da principi intrinseci piuttosto che da fattori ambientali esterni.

Cosa si intende con il Concetto di sviluppo


Concetto di sviluppo
Il concetto di sviluppo può essere definito come il processo evolutivo di un organismo con
modificazioni di struttura, di funzione e di organizzazione. Tale processo può avvenire per
tre ordini di cause: maturazione intrinseca (ovvero sviluppo di capacità innate), influenza
dell’ambiente e apprendimento.

Nell’ambito della psicologia dello sviluppo, distinguiamo:

 La psicologia dell’età evolutiva: si occupa di osservare e studiare ciò che avviene nella fase
dell’infanzia sino all’adolescenza, due periodi dello sviluppo psicologico particolarmente
ricchi di cambiamenti e di importanti acquisizioni sia cognitive che affettive, emotive e, prima
ancora, fisiologiche. Il periodo dell’infanzia comprende la fase della vita che va dal momento
della nascita al dodicesimo anno. La fase dell’adolescenza, invece, abbraccia tutto ciò che
avviene dal dodicesimo al diciottesimo anno, anche se adesso si parla sempre più spesso di
«tarda adolescenza», intendendo così riferirsi al prolungamento di alcune caratteristiche
psicologiche proprie di questa fase di sviluppo, sino al venticinquesimo anno di età. È
importante operare le distinzioni per fasce d’età, poiché a ogni fascia corrispondono una serie
di cambiamenti che non sono solo individuali. L’età scolare, ad esempio, è caratterizzata
dall’ingresso nel sistema scolastico, cui segue la maturazione di specifiche abilità. Obiettivo
del percorso di crescita, sia sul piano fisico sia nell’area psicologica, è il raggiungimento della
maturità, ovvero ciò che l’individuo dovrebbe aver acquisito alla fine di questo lungo periodo
di vita, nei termini di una crescita progressiva e armonica nei diversi piani dello sviluppo in
ambito sia fisiologico che psicologico.
 La psicologia del ciclo di vita: studia come le persone si adattano alle diverse tappe
dell’esistenza e come gradualmente acquisiscano consapevolezza del calendario biosociale,
ovvero di quell’insieme di scadenze che scandiscono i passaggi evolutivi, come il matrimonio
o l’arrivo dei figli. Per Erikson l’uomo ha come scopo quello di costruire un senso di identità,
per cui ogni tappa della vita rappresenta una svolta. La vita pone l’individuo nella condizione
di dover affrontare dei dilemmi sempre nuovi, in cui le esigenze personali si scontrano con le
componenti e i vincoli sociali. L’uomo apprende attraverso la gestione di questi dilemmi
nuove competenze e consapevolezze che lo conducono a sviluppare la propria identità.

 A queste due teorie si aggiunge la prospettiva della psicologia dell’arco di vita, sviluppatasi
a partire dai contributi teorici di Lev Semënovič Vygotskij (1896-1934) e della scuola russa,
secondo cui per comprendere lo sviluppo psicologico dell’individuo è necessario tenere in
considerazione i fattori sociali e culturali in cui la persona è inserita. Secondo questa
prospettiva, le età dell’uomo non possono basarsi su un calcolo puramente cronologico,
poiché l’età da sola non è sufficiente a spiegare i cambiamenti comportamentali. Viene
inserito pertanto il concetto di crescita continua, poiché pur ammettendo, per pura comodità,
la suddivisione in fasi, queste non possono essere esplicative di un processo di costruzione
e integrazione di abilità che progredisce nel tempo.

Differenza tra età mentale ed età scolare. Approfondimento sull’obbligo scolastico.


L’età mentale è una modalità di valutazione delle prestazioni di un soggetto.

Ovviamente si può dire che lo sviluppo è coerente con l’età del soggetto.

In base al livello di sviluppo cognitivo dell’allievo noi distinguiamo tra:


1. età cronologica
2. età mentale
3. età scolare (questo è il vero problema e la giustificazione dell’insegnante di sostegno lo
scostamento dalla normalità di queste tre età di sviluppo della mente dello studente).

L’età scolare, ad esempio, è caratterizzata dall’ingresso nel sistema scolastico, cui segue la
maturazione di specifiche abilità. Obiettivo del percorso di crescita, sia sul piano fisico sia nell’area
psicologica, è il raggiungimento della maturità, ovvero ciò che l’individuo dovrebbe aver acquisito
alla fine di questo lungo periodo di vita, nei termini di una crescita progressiva e armonica nei diversi
piani dello sviluppo in ambito sia fisiologico che psicologico.

L’età scolare riguarda il cosiddetto periodo in cui il soggetto è o deve essere dentro
l’istituzione scolastica.
L’obbligo scolastico è una misura introdotta in molti Paesi del mondo, al fine di garantire
una scolarizzazione di massa. È inteso come obbligo di frequenza, non compatibile
col lavoro minorile, e come obbligo di conseguire un titolo di studio. Gli oneri della scuola
dell’obbligo sono totalmente o prevalentemente a carico dello Stato.
L’obbligo d’istruzione (detto genericamente obbligo scolastico e spesso
impropriamente ritenuto nel linguaggio comune come un sinonimo di obbligo formativo),
nel lessico giuridico, indica l’obbligo di assolvere determinati doveri in tema di istruzione.
Attualmente in Italia si distingue tra obbligo scolastico e diritto dovere
all’istruzione/formazione o obbligo formativo. Il primo richiede la permanenza nel sistema di
istruzione per dieci anni, indipendentemente dagli esiti e che dunque non termina a sedici
anni, ma dieci anni dopo aver iniziato (indipendentemente dalle promozioni conseguite), il
secondo, invece, non è un traguardo temporale ma richiede il raggiungimento di una
qualifica pari almeno al II livello EQF.

 Il quadro europeo delle qualifiche: L'UE ha sviluppato il quadro europeo delle qualifiche
(EQF) come strumento di "traduzione" per facilitare la comprensione e la comparabilità delle qualifiche
nazionali. L'EQF cerca di sostenere la mobilità transfrontaliera di studenti e lavoratori, di promuovere
l'apprendimento permanente e lo sviluppo professionale in tutta Europa.

Va oltre ricordato il rapporto tra sviluppo cognitivo e ritardo cognitivo, che assume il nome di ritardo
mentale (VEDI MODULO 1 di ORIGINE):

I principali studiosi che hanno studiato per primi i processi cognitivi della
mente umana sono:

1. Piaget
2. Vygotskij
3. Erikson

Jean Piaget
Piaget è uno studioso dell sviluppo cognitivo del bambino. Sebbene collocato nell’ambito del
cognitivismo, Piaget è anche precursore di successive teorie dell’apprendimento, in particolare del
costruttivismo.
Piaget compie uno studio sperimentale sulle strutture e dei processi cognitivi legati alla costruzione
della conoscenza nel corso dello sviluppo.
Gli stadi, come definiti dallo stesso Piaget, si suddividono in:
 Stadio senso-motorio da 0 ai 2 anni.
 Stadio pre-operatorio dai 2 ai 6 anni.
 Stadio operatorio concreto dai 6 ai 12
 Stadio operatorio formale dai 12 anni in poi
Ad ogni stadio come vedremo poi segue un sotto-stadio.

Piaget ha tratto delle conclusioni a proposito di ciò che pensano i bambini. A 4 anni essi cominciano
a porsi domande sull’origine delle cose. A 5/6 anni vi è una tendenza all’animismo (vedere un anima
anche in cose inanimate o artificiali), a 8 pensano che siano stati degli esseri antropomorfici a creare
il mondo (artificialismo). A 11-12 anni i bambini definiscono esseri viventi solo piante ed animali.

Il bambino è un costruttore di teorie, fa delle generalizzazioni ed applica dei copioni e ama fare
narrazioni.

Sintesi ad esempio di sviluppo del bambino: Appena nati i bambini riescono a riconoscere i propri
simili. A 2 anni compare il desiderio, a 4 la credenza, la capacità di elaborare spiegazioni complesse
dei comportamenti degli altri. A 4 anni i bambini non sono in grado di dire bugie complesse ed
intenzionali, a 5 sì.

Sue opere principali Lo sviluppo mentale del bambino (1964) e La psicologia del bambino (1966).
Questa teoria verrà ripresa successivamente ne L’epistemologia genetica (1970).

Le tre fasi dello sviluppo morale del bambino


Lo sviluppo della moralità nel bambino comprende sia il giudizio morale sia il comportamento
morale. Si tratta di un campo molto ampio che rientra più specificamente tra i processi di
socializzazione, ma investe anche problemi che riguardano dimensioni più interne del funzionamento
della persona, e in particolare le interazioni tra affetti, esperienza sociale e processi cognitivi che
portano alla coscienza morale individuale.
Lo sviluppo della moralità nel bambino rappresenta una tematica importante sia dal punto di vista
psicologico che da quello sociale e comprende sia i meccanismi che sottendono la formazione
della moralità sia i fattori che la influenzano. Capire come si genera la moralità nel bambino aiuta
a comprendere meglio se stessi nell’interazione sociale e aiuta a orientare i criteri educativi quando
si esercita il ruolo di genitore o di insegnante o, in generale, di educatore.
I primi studi sistematici in questo campo risalgono a Jean Piaget, che si è interessato prevalentemente
alle forme e allo sviluppo del pensiero e del giudizio morale nel bambino. Inoltre, importanti
contributi provengono dalla prospettiva psicoanalitica, fin dai tempi di Freud. In questo caso, ad
essere indagati con particolare interesse erano i processi di ordine relazionale-affettivo che sono alla
base dell’acquisizione del controllo morale e del comportamento.
Le odierne teorie della sociobiologia, sostengono che le emozioni alla base del comportamento
altruistico o pro-sociale sarebbero il prodotto di un’evoluzione di forme di altruismo reciproco,
praticate dagli uomini in rapporto alla necessità di difendersi, di proteggersi dai nemici e di
condividere. Contributi rilevanti provengono anche dalla prospettiva comportamentista, che si è
evoluta nella prospettiva del social learning.

Due le prime principali teorie sullo sviluppo della moralità, che risultano essere per certi aspetti
collegate: la teoria di Piaget e quella di Kohlberg, che si collocano nell’ampia prospettiva cognitivo-
evolutiva.
Piaget si focalizzò sulla morale dei bambini studiando il modo in cui giocano per capire come si
evolve il concetto di bene e di male. Scoprì, in questo modo, che la moralità può considerarsi un
processo evolutivo: i bambini cominciano con lo sviluppo di una morale basata sulla stretta aderenza
alle regole, dettata dalla convinzione che a un’azione errata segua automaticamente una punizione, e
successivamente, attraverso l’interazione con altri bambini, scoprono che un comportamento
strettamente aderente alle regole può talvolta essere problematico. Quindi, sviluppano uno stadio
autonomo di pensiero morale caratterizzato dalla capacità di interpretare le regole criticamente e
selettivamente basandosi sul mutuo rispetto e sulla cooperazione.
Piaget ritiene che il ragionamento morale esplicito del bambino sia una sorta di presa di coscienza
dell’attività morale. Questa presa di coscienza va intesa come una ricostruzione delle nozioni già
sviluppate effettuata anche in base alle nuove capacità cognitive.
Uno degli aspetti fondamentali di questa teoria è la distinzione tra due forme di moralità, che pur
essendo prevalenti in successive fasi dello sviluppo, possono convivere in varie forme: il realismo
morale e il relativismo morale.
La prima forma, il realismo morale, prevalente fino agli otto anni, collegata con una prospettiva
egocentrica del mondo e con il predominare di un modo di pensare “realistico”: la validità dei principi,
rigidi e immutabili, è determinata dall’autorità di chi li ha emanati ( es. i genitori), e dalla capacità di
questi ultimi di far rispettare tali principi con adeguate sanzioni in caso si trasgressione.
In questa prospettiva i comportamenti sono giudicati o giusti o sbagliati, e i bambini ritengono che
tutti debbano giudicarli in questo modo.
Invece, nella forma del relativismo morale, descritta anche come morale dell’autonomia,
l’intenzione e il contesto assumono un ruolo importante nella valutazione dell’atto. Questa forma
di moralità tende a prevalere dopo gli otto anni, anche se può coesistere con manifestazioni
della morale eteronoma. I principi non sono più considerati immutabili, ma fondati e mantenuti dal
consenso reciproco, e quindi modificabili in rapporto a situazioni e contesti diversi.
Per esempio, nei bambini in cui prevale il realismo morale la bugia è considerata ‘cattiva’ perché può
comportare una punizione. Successivamente, per quegli stessi bambini la bugia diventa qualcosa di
cattivo di per sé, anche se le punizioni venissero soppresse. Infine, è considerata negativa perché
danneggia la fiducia reciproca, quindi la regola è stata internalizzata. Da quanto detto prevale un
senso di giustizia derivante dal passaggio da una morale eteronoma ad una morale autonoma. Per
questo, se il bambino vive con i fratelli o compagni una vita sociale che favorisce i suoi bisogni di
simpatia e cooperazione, questo promuoverà una morale fondata sulla reciprocità e non
sull’obbedienza.

Lo sviluppo della moralità secondo Kohlberg


Per Kohlberg è fondamentale il parallelismo tra gli stadi dello sviluppo intellettivo e quelli
dello sviluppo del pensiero morale; il possesso delle competenze cognitive di uno stadio è
una condizione necessaria ma non sufficiente perché siano presenti le corrispondenti
caratteristiche del giudizio morale. Tale teoria si oppone alla concezione che lo sviluppo del
pensiero morale sia il risultato di un apprendimento sociale, e ritiene che tale sviluppo derivi
da un progressivo ampliamento della comprensione delle caratteristiche delle azioni sociali
proprie e degli altri.
Kohlberg si è servito fondamentalmente di interviste in modalità analoghe a quelle di Piaget,
proponendo ai suoi soggetti dei dilemmi morali, rappresentati da vicende nelle quali il
protagonista può prender diverse decisioni. Kohlberg ha delineato, in questo modo, una
serie di stadi di sviluppo morale molto articolati, dall’infanzia all’età adulta. La nozione di
stadio è strettamente legata a quella di Piaget : lo sviluppo degli stadi va da un livello
inferiore ad un livello superiore e ogni individuo passa da uno stadio a quello successivo
(invarianza della sequenza); la sequenza ideata da Kolberg prevede 3 livelli di giudizio
morale, ognuno dei quali è diviso in 2 stadi.
Livello preconvenzionale: in questo livello (sotto i 9-10 anni), si considerano le norme che
possono comportare una punizione: la motivazione sulla quale si basa la valutazione è
legata al rischio di ricevere una punizione, e quindi all’obbedienza all’autorità. La prospettiva
socio-cognitiva è quella egocentrica.
Stadio 1: orientamento premio-punizione non si tiene conto di possibili differenze nei punti
di vista dai quali si valuta un dilemma morale, né si considerano adeguatamente le intenzioni
che determinano un comportamento (valutato soprattutto in rapporto alle sue conseguenze
sul piano fisico).
Stadio 2: orientamento individualistico e strumentale: ciò che è giusto o sbagliato diventa
più relativo, e non dipende più così radicalmente dalla sanzione dell’autorità.

Livello convenzionale: questo livello (dai 13/14 anni fino ai 20 anni) è caratterizzato dal
rispetto di norme che sono state socialmente approvate, e non più dalle conseguenze
immediate dell’azione individuale.
Stadio 3: orientamento del “bravo ragazzo”: assume importanza il rispetto delle norme in
modo da rispondere alle aspettative positive della comunità della quale si condividono i
valori.
Stadio 4: orientamento al mantenimento dell’ordine sociale: le relazioni interindividuali
vengono considerate nel contesto di un sistema, le cui regole non devono essere infrante.
Le norme morali non valgono soltanto in quanto legate ad un gruppo con il quale si hanno
legami affettivi ma sono connesse con il proprio ruolo all’interno della società, le cui leggi
vanno rispettate in quanto garantiscono l’ordine sociale.
Livello post-convenzionale (regolato da principi): le norme morali vanno al di là della società
nella quale si vive, sono legate ad un sistema di principi astratti e di valori universali.
Stadio 5: orientamento del contratto sociale: le regole morali non sono fisse e immutabili ma
sono create e quindi modificabili in base ad una sorta di contratto sociale.
Stadio 6: orientamento della coscienza e dei principi universali, che possono non essere
scritti nelle leggi.

Lo sviluppo della moralità avviene sostanzialmente attraverso degli stadi, veicolati dalla vita
in famiglia e da quella nel gruppo dei pari. Ne consegue che la personalità dell’adulto riflette
le caratteristiche sviluppate durante l’infanzia, anche negli aspetti della moralità. In quel
periodo si forma la concezione morale degli individui e perciò della società.
Successivamente, la teoria di Kohlberg costituisce, in parte, un’estensione di quella di
Piaget , con la quale condivide l’aspetto stadiale, la considerazione centrale dei processi di
tipo cognitivo e l’interesse prevalente per il pensiero morale, piuttosto che per lo sviluppo
della moralità nelle sue manifestazioni comportamentali. L’estensione consiste in
un’articolazione degli stadi, che arrivano a coprire l’età adulta, e in una definizione precisa
dei criteri che consentono di collocare le varie forme di giudizio morale nei successivi stadi.
Teoria degli stadi. Piaget individua quattro stadi dello sviluppo, ciascuno dei quali può
dividersi in più sotto-stadi (o fasi)

Lo Stadio Senso motorio si divide in 6 sottostadi: Stadio senso motoria


Stadio dell’intelligenza senso motoria
Piaget oltre ad individuare uno STADIO principale di sviluppo individua anche dei SOTTOSTADI.

La fase sensomotoria è la prima tappa di sviluppo cognitivo e parte dalla nascita per concludersi
verso i due anni di vita. Essa è suddivisa in sei stadi uguali universali per i bambini di tutto il mondo,
per questo non è possibile si possa saltare uno stadio né sintetizzare i processi tipici di quello stadio,
ma ogni individuo è necessario acquisisca e sviluppi i diversi schemi tipici di ogni fase.
Durante i primi due anni di vita gli schemi di azione di base gradualmente si coordinano per dare
luogo a schemi e comportamentali più complessi.

1. Stadio sensomotorio 1, da 0 a 1 mese


Tipici di questa fase sono una serie di riflessi definiti innati, quali la suzione, i movimenti oculari e i
movimenti degli arti, che Piaget considerava molto importanti perché rappresentano la base
dello sviluppo cognitivo o i primi schemi sensomotori del bambino.
Non c’è ancora né imitazione né gioco, però il bambino è stimolato a piangere dal pianto di altri
bambini o a esprimere col pianto a una serie di richieste.

I cui 6 sotto-stadi possono essere sintetizzati nello schema che segue.


2. Stadio sensomotorio 2, da 1 a 4 mesi
Si registra in questa fase una evoluzione e integrazione degli schemi sensomotori individuali
e di base: succhiare, guardare, ascoltare, vocalizzare e afferrare gli oggetti, poiché si passa
a ripetere questi riflessi innati molte volte durante l’arco della giornata in maniera spontanea.
In seguito, relazionando tra loro gli schemi sensomotori, il bambino comincia ad attribuire un
significato all’azione. A esempio il bambino nel sentire un suono gira la testa e gli occhi nella
direzione della fonte del suono. In questa fase si presentano altri due schemi: succhiare-
afferrare, portare alla bocca oggetti per conoscerli, e vedere-afferrare, prendere tutto quello
che capita tra le mani.
La schema sensomotorio mano e occhio sarà un mezzo molto importante per esplorare
l’ambiente e acquisire nuove nozioni provenienti dall’ambiente esterno.
Inoltre, il bambino inizia a seguire con lo sguardo un oggetto che cade nel suo campo visivo
e quando lo perde l’unico tentativo che compie nella speranza di ritrovarlo è prolungare i
movimenti nel ritornare al punto in cui l’oggetto è sparito. In questo modo assegna
permanenza agli oggetti fino al momento in cui riesce a seguirli e a ritrovarli con movimenti
semplici.

Compaiono quelle che sono definite le reazioni circolari primarie, ovvero la ripetizione di
un’azione prodotta inizialmente per caso, che il bambino esegue per sperimentare gli
interessanti effetti. Grazie alla ripetizione, l’azione originaria si consolida e diventa uno
schema che il bambino è capace di eseguire con facilità anche in altre circostanze.

3. Stadio sensomotorio 3, dai 4 agli 8 mesi


Durante questa fase il bambino inizia a compiere delle azioni motorie e continua a eseguirle
ripetutamente per il puro piacere di verificare cosa accade nell’ambiente nel momento in cui
compie quell’azione. Per esempio il bambino può afferrare e scuotere un giocattolo che
produce un suono. A questo punto, preso dallo stupore del risultato ottenuto continua con
l’azione appena prodotta.
Durante questa fase il bambino diventa sempre più sociale grazie all’acquisizione di una
serie di capacità sensomotorie che gli permettono di interagire con l’esterno.
Il bambino sposta la sua attenzione al mondo esterno, oltre che al proprio corpo, cercando
di afferrare, tirare, scuotere, muovere gli oggetti che stimolano la sua mano per vedere che
rapporto c’è tra queste azioni e i risultati che derivano sull’ambiente, reazioni circolari
secondarie.

4) Stadio sensomotorio 4, dagli 8 ai 12 mesi


Compaiono i primi movimenti intenzionali, diretti verso uno scopo, coordinazione mezzi-fini.
In questa fase il bambino può stringere una mano producendo un effetto sensoriale, che
rappresenta lo scopo. Così facendo il bambino mostra una maggiore integrazione nel
mondo esterno e maggiore interazione con gli altri. Il bambino, inizia a percepire che
esistono degli oggetti che possono essere soggetti a diversi schemi d’azione, come
scuotere, spostare, dondolare ecc. in questo modo inizia a comprendere che gli oggetti sono
indipendenti dalla sua attività percettiva o motoria.

4) Stadio sensomotorio 4, dagli 8 ai 12 mesi


Compaiono i primi movimenti intenzionali, diretti verso uno scopo, coordinazione mezzi-fini. In
questa fase il bambino può stringere una mano producendo un effetto sensoriale, che rappresenta lo
scopo. Così facendo il bambino mostra una maggiore integrazione nel mondo esterno e maggiore
interazione con gli altri. Il bambino, inizia a percepire che esistono degli oggetti che possono essere
soggetti a diversi schemi d’azione, come scuotere, spostare, dondolare ecc. in questo modo inizia a
comprendere che gli oggetti sono indipendenti dalla sua attività percettiva o motoria.
5) Stadio sensomotorio 5, dai 12 ai 18 mesi
È una fase di esplorazione e interazione attiva e intenzionale in cui il bambino vuole esplorare per
scoprire il mondo esterno. Quando scopre un oggetto nuovo gli piace esplorare le proprietà attraverso
la messa in atto di schemi nuovi che derivano da evoluzioni di vecchi schemi, reazioni circolari
terziarie. In questo modo scopre nuovi modi per raggiungere nuovi e vecchi scopi.

6) Stadio sensomotorio 6, dai 18 i 24 mesi


E’ la fase della rappresentazione degli oggetti attraverso simboli. Il bambino sarà capace di
distinguere mentalmente il simbolo e l’oggetto che rappresenta. Dunque, il bambino riesce
a trovare dei modi rappresentazionali alternativi e renderli concreti nel comportamento
esplicito. Si arriva in questo modo alla comparsa del gioco simbolico. Grazie alla comparsa
della funzione simbolica il bambino è in grado di agire sulla realtà col pensiero. Inoltre, usa
le parole non solo per accompagnare le azioni che sta compiendo (nominare o chiedere un
oggetto presente), ma anche per descrivere cose non presenti e raccontare quello che ha
fatto o visto qualche tempo prima. Il bambino è in grado di riconoscere oggetti anche se ne
vede solo una parte. È in grado di imitare i comportamenti e le azioni di un modello di
riferimento, anche dopo che questo è uscito dal suo campo percettivo. Sa imitare azioni e
comportamenti di coloro che hanno un’importanza di tipo affettivo- relazionale.

Per concludere l’intelligenza sensomotoria e gli schemi di cui è composta non finiscono e
scompaiono con la prima infanzia, ma ciò che si acquisisce rimane per tutta la vita.
Chiaramente, con la comparsa della capacità simbolica e di altre forme di intelligenza più
alte quelle di base restano più silenti perché fungono da fondamenta per tutto lo sviluppo
cognitivo dell’essere umano.

In sintesi:

1. Reazioni riflesse (primo mese) il bambino agisce attraverso schemi senso motori rigidi innati.
2. Reazioni circolari primarie (tra il secondo e il quarto mese) il bambino ripete un’azione
casuale per ritrovarne gli effetti gradevoli.
3. Reazioni circolari secondarie (tra il quarto e l’ottavo mese) il bambino oriente i suoi
comportamenti verso l’ambiente esterno, cercando di afferrare e muovere gli oggetti e
osservando i risultati delle sue azioni.
4. Reazioni circolari terziarie (dai 12 ai 18 mesi) nasce l’interesse per la novità e dunque si passa
ad una sperimentazione continua.
5. Rappresentazione cognitiva (dai 18 ai 24 mesi) il bambino apprende il concetto di
“permanenza dell’oggetto” , ovvero che gli oggetti della realtà circostante esistono anche se
non li vede.
In questa fase prevale il pensiero egocentrico, ossia la tendenza a non considerare una realtà
diversa da quella che appare al bambino, accompagnato da animismo (tutti gli oggetti sono
animati), artificialismo (il bambino tende a confondere la causalità naturale con la
fabbricazione da parte degli uomini) e finalismo (il bambino attribuisce ad ogni attività
naturale una morale).
Il bambino attraverso il linguaggio diventa capace di ricostruire le azioni passate sotto forma
di racconto e di anticipare quelle future con la rappresentazione verbale.
II Stadio intelligenza preoperatoria
 Stadio dell’intelligenza pre-operatoria
Lo stadio dai 2 ai 7 anni comprende due fasi:– la fase del pensiero simbolico pre-concettuale (dai 2
ai 4 anni) durante la quale appare un’attività di tipo simbolico, in quanto il bambino utilizza oggetti
per rappresentarne altri. Si tratta del gioco creativo o simbolico nel quale il bambino usa un oggetto
per rappresentarne un altro (es. una sedia per rappresentare un cavallo).
– la fase del pensiero simbolico intuitivo (dai 4 ai 7 anni) nel corso della quale il bambino acquisisce
sempre maggiore consapevolezza dei molteplici aspetti degli oggetti e comincia a consolidarsi la
capacità di classificare e raggruppare gli oggetti.

Il temine operazioni si riferisce a operazioni logiche o principi utilizzati nella soluzione di


problemi.

Nello stadio pre-operatorio un mondo nuovo fatto di giochi da solo e con l’altro, giochi di
fantasia, di associazioni, giochi con gli altri bambini e con la propria mamma in un universo
ricco di stimoli e pieno di allegria. A partire dal secondo anno di vita, quando nel bambino
va sviluppando l’identità di genere, il gioco si va via via più raffinando e s’iniziano a notare
differenze tra maschi e femmine. Il bambino utilizza il gioco come spazio scenico, di
esplorazione e di costituzione dell’identità. È in questo scenario che acquista particolare
importanza il gioco simbolico in quanto egli può fingersi ciò che non è.
Il bambino ha due anni: iniziano le prime paroline ed ecco che in un batter d’occhio ci si
ritrova seduti su una sedia a bere un finto the preparato da loro oppure presi in un
campionato di rally tra le sedie della cucina.

Le principali manifestazioni dello stadio pre-operatorio sono:


1. l’imitazione differita
2. il gioco simbolico
3. lo sviluppo del linguaggio.
Nella fase di imitazione differita il bambino assume un comportamento visto dal fratello o
altro adulto e lo imita anche dopo diverso tempo ed in assenza del soggetto.
Per Piaget questo deriva da una maggiore capacità del bambino di formare rappresentazioni
mentali su azioni e comportamenti delle persone intorno a lui.
Inoltre, si dedica al gioco simbolico. Inventano storie, recitano parti dando libero sfogo alla
loro immaginazione o in alcuni casi esprimendo attraverso il gioco ansie, paure e traumi.
Con il gioco il bambino è capace di raccontare un avvenimento a cui ha assistito mettendo
in mostra anche le sue emozioni. Per Piaget esso implica la capacità del bambino di agire
come se al di fuori del contesto normale e la capacità di utilizzare oggetti in sostituzione di
quelli reali per esempio usare una scatola per simulare un telefono oppure un ferro da stiro,
oppure una sedia per una macchina. Implica inoltre la capacità del bambino di mettere in
scena azioni seguite da altri e l’abilità di collegare schemi di azioni differenti in sequenze
tematiche correnti, dare cioè una sequenzialità a quello che sta facendo.
In questo stadio pre-operaorio il bambino grazie all’ indipendenza motoria che via via
aumenta sente l’esigenza di trasformare l’oggetto in un compagno di vita, un partner
metacognitivo al passo con lui e la sua crescita.
Scrive Piaget:
(…) Dopo aver appreso ad afferrare, dondolare, lanciare, il bambino prima o poi, afferra
per il piacere di afferrare, dondola per il gusto di dondolare ecc. in breve egli ripete
questo comportamento solo per il piacere di acquisire padronanza di esso e di mostrare
il proprio potere di sottomettere la realtà (…) – da Piaget, “La formazione del simbolo
nel bambino”, 1945
La capacità di camminare, afferrare e manipolare gli oggetti, prendere e sposare le cose
danno al bambino sicurezza e gli permettono di muoversi ed organizzarsi al meglio nel
proprio spazio di gioco. Questo nuovo oggetto d’amore così concepito è reclutato a seconda
di alcune caratteristiche salienti per il piccolo prime fra tutte la morbidezza, il colore, la forma.
La maggior parte delle bambine sceglie oggetti che abbiano per lo più una componente
riconducibile all’aspetto umano, come ad esempio un peluche, in quanto dopo aver acquisito
le capacità linguistiche, iniziano a rapportarsi con l’oggetto anche attraverso il linguaggio e
quindi avere di fronte qualcosa che rappresenti un volto rende il tutto più agevole.

Tipici dello stadio pre-operatorio sono l’animismo e l’artificialismo: i bambini pensano che
anche i corpi immobili come le bambole o gli animali di plastica siano dotati di vita. Ci sono
anche casi in cui i bambini scelgono oggetti non propriamente con sembianze fisiche come
macchinine o dinosauri. Acquisendo la capacità di stare da solo con l’oggetto il bambino
consolida la fiducia in se stesso e sarà così più disponibile ad affrontare future situazioni
che richiedano indipendenza. Il bambino gioca ad impersonare ruoli diversi, esplorare luoghi
sperimentando le sue diverse emozioni sia proprie che del suo “alter ego”.
Il bambino si finge madre, padre si traveste, accentua caratteristiche per lui interessanti di
un determinato soggetto che interpreta. È nello stadio pre-operatorio che il gioco
dell’immaginazione si sviluppa e permette alla sua fantasia di “correre” veloce in avventure,
personaggi e ambienti diversi. In questa fase si vedono bambine che giocano alla mamma
con le bambole, che si prendono cura del loro orsacchiotto, maschietti che fanno le parti del
papà oppure insieme che cooperano per la risoluzione di storie fantastiche.
Il bambino in questo stadio non solo utilizza i simboli ma è in grado di manipolare i simboli
in modo logico. Una importante conquista è l’acquisizione del concetto di reversibilità, ossia
la capacità di considerare che gli effetti di un’azione possano essere annullati da
un’operazione inversa (ad esempio in ambito scolastico e di insegnamento della matematica
il processo di reversibilità delle principali operazioni addizione/sottrazione –
moltiplicazione/divisione).
Stadio delle operazioni concrete
Stadio delle operazioni concrete
Dai 7 fino ad 11 anni il bambino può utilizzare solo capacità mentali che gli permettono di giungere
a operazioni concrete, non potendo, perché cognitivamente non strutturato, utilizzare informazioni
esclusivamente verbali, ad esempio non è in grado di rispondere al quesito che segue: “Un ragazzo
dice alle sue tre sorelle: ‘In questo mazzo di fiori ce ne sono alcuni gialli’. La prima sorella risponde:
‘Allora tutti i tuoi fiori sono gialli’. La seconda dice: ‘Una parte dei tuoi fiori è gialla’. La terza dice:
‘Nessun fiore è giallo’.

La scarsa maturità cognitiva non permette di rispondere in maniera adeguata e quindi, il bambino
produce una risposta solo ed esclusivamente parziale.

Ancora, nello stadio operatorio concreto riesce ad applicare il principio di conservazione dei
materiali, a esempio una palla di creta si può scomporre in tante palline, e di conservazione della
superficie, alcuni cartoncini occupano la stessa superficie sia sparsi sia uniti in una figura.

Le operazioni in questo periodo risultato legate ai concetti di:

– Conservazione o invarianza.
Il bambino si rende conto che una sostanza conserva la sua quantità pur attraversando una
serie di mutamenti delle caratteristiche percettive (forma, peso, volume). Astrae il concetto
di sostanza dalla realtà fenomenica mutevole. Un oggetto è riconoscibile come forma
astratta.

– Classificazione.
La capacità di formare insieme omogenei o eterogenei di oggetti, stabilendo relazioni (più
grande, più piccolo).
– Seriazione.
La capacità di fare SERIE o mettere in serie ed in classi oggetti e cose. In pratica di disporre
in ordine seriale un gruppo di oggetti in ordine di peso, di lunghezza, ecc., dimostrando di
saper cogliere la relazione tra l’oggetto che precede e quello che segue.
In questa fase il linguaggio egocentrico sparisce e il bambino diviene sempre più capace di
cooperare.

Le operazioni concrete contribuiscono, infatti, allo sviluppo della socializzazione grazie a tre
principali tipi di azione:
– I giochi con le regole
– Le azioni in comune
– Gli scambi verbali

Anche l’affettività amplia la sua sfera man mano che si moltiplicano i rapporti sociali e i
sentimenti morali.

In questo stadio il bambino comincia a risolvere i compiti di conservazione di cui si è parlato la volta
scorsa.
Il bambino, nella fase precedente, cioè quella pre operatoria, dirà che la quantità di liquido presente
nei due contenitori di forma diversa è cambiata. Questo avviene perché il bambino concentra la sua
attenzione solo sull’aspetto degli oggetti e non sul contenuto. Ora, con l’avvento dello stadio
operatorio concreto riesce ad affermare, o meglio a conservare, che la quantità d’acqua è sempre la
stessa anche se il contenitore cambia.
In questo modo è possibile sviluppare il pensiero logico, che permette di coordinare e
relazionare le azioni mentali le une con le altre, diventando operazioni concrete.

Nello stadio operatorio concreto il pensiero del bambino è meno egocentrico e autocentrato,
anche se è ancora difficile riuscire a mettersi nei panni dell’altro, percependone il diverso
punto di vista.
La capacità di compiere operazioni mentali concrete, però, permette al bambino di uscire
dal proprio egocentrismo, per prendere in considerazione punti di vista diversi dal proprio.
Così, scopre quali sono i vantaggi che possono derivare dal poter integrare prospettive
diverse dalla propria. In questo modo si generano sentimenti di cooperazione sociale, come
l’amicizia, il rispetto reciproco, l’etica e il senso di giustizia.

Il bambino, inoltre, riesce a comprendere la modalità giusta per poter coordinare due azioni
che sono sequenziali tra loro, garantendo l’apprendimento di nuovi compiti rivolti a uno
scopo. Egli, altresì, prende coscienza che un’azione può anche rimanere invariata, uguale
a se stessa, producendo comunque un risultato se ripetuta.

Il pensiero in questa fase subisce anch’esso un’evoluzione poiché varia da una modalità di
tipo analogico a una di tipo induttivo, per questo si riescono a trarre conclusioni partendo da
assunzioni generali e creare una sorta di credenze che poi influenzeranno il vissuto del
bambino durante tutto l’arco della sua vita.
Stadio delle operazioni formali. IV stadio.
QUARTO STADIO – Stadio delle operazioni formali – Teoria degli Stadi di Piaget.

Secondo il Piaget, in questa fase l’intelligenza raggiunge la sua massima espressione: i nuovi
strumenti deduttivi rendono possibile la costruzione di idee e dei valori legati ai progetti per il futuro.
Siamo giunti all’ ultimo stadio con la teoria di Piaget sullo sviluppo cognitivo nel bambino. Durante
questa ultima fase il protagonista non sarà più il bambino, ma il preadolescente. Infatti, lo stadio
operatorio formale inizia dagli undici-dodici anni e si conclude verso i 15 anni.
Interessa il periodo compreso dagli 11/12 ai 14/16 anni di età.

Nella fase delle operazioni formali in pratica il pre-adolescente acquisisce la capacità del
ragionamento astratto, di tipo ipotetico-deduttivo. Può ora considerare delle ipotesi che possono
essere o non essere vere e pensare cosa potrebbe accadere se fossero vere. Il mondo delle idee e delle
astrazioni gli permette di realizzare un certo equilibrio fra assimilazione e accomodamento.

Famoso è l’esperimento del pendolo ideato da Piaget.


Al soggetto viene presentato un pendolo costituito da una cordicella con un piccolo solido appeso. Il
suo compito è quello di scoprire quali fattori (lunghezza della corda, peso del solido, ampiezza di
oscillazione, slancio impresso al peso), che ha la possibilità di variare a suo piacere, determina la
frequenza delle oscillazioni.
Lavorando su tutte le combinazioni possibili in maniera logica e ordinata, il soggetto arriverà ben
presto a capire che la frequenza del pendolo dipende dalla lunghezza della sua cordicella. In pratica
il pre-adolescente è riuscito a compire un’operazione formale astratta.

Ovviamente il pensiero logico-formale non è ancora quello teorico-scientifico, che non si forma certo
nel periodo adolescenziale.

Ovviamente umana non evolve seconda la carta d’identità, non è che il giorno del compimento dei
12 anni il bambino inizia a fare operazioni formali, mentre il giorno prima non è era capace. Sono dei
range di evoluzione, specialmente per il pensiero astratto.

Il pensiero acquista autonomia rispetto al dato concreto:


 Il bambino (o meglio il pre-adolescente) riesce a compiere operazioni senza ricorrere ad una
situazione concreta.
 Le operazioni logiche cominciano a venire trasposte dal piano della manipolazione concreta al
piano delle idee pure espresse in un linguaggio (il linguaggio delle parole o quello dei simboli
matematici), ma senza l’appoggio della percezione, dell’esperienza.
 Il pensiero formale è, quindi, ipotetico-deduttivo: è il pensiero capace di trarre conclusioni da
pure ipotesi e non soltanto da un’osservazione concreta.

L’adolescenza è caratterizzata dalla capacità di utilizzare il cosiddetto pensiero ipotetico, ossia la


riflessione libera e staccata dal reale, il quanto il soggetto non ha bisogno di avere l’oggetto davanti
a sé, ma può ragionare in termini ipotetici.
Lo stadio operatorio formale inizia dagli undici-dodici anni e si conclude verso i 15 anni. In questo
periodo si verificano una quantità di trasformazioni a livello cognitivo che portano a uno sviluppo
esponenziale del pensiero, poiché il preadolescente è ormai in grado di implementare processi mentali
che variano dal particolare – concreto al generale- astratto.

In questo periodo si verificano una quantità di trasformazioni a livello cognitivo che portano
a uno sviluppo esponenziale del pensiero, poiché il preadolescente è ormai in grado di
implementare processi mentali che variano dal particolare – concreto al generale – astratto.
Questa fase delle operazioni intellettuali formali, ovvero operazioni mentali eseguite su
contenuti astratti o formali, riguarda concetti non immediatamente percepibili. Il
preadolescente è in grado di staccarsi mentalmente dal concreto per iniziare a estendere i
contenuti inviluppandoli in una realtà più ampia. Quindi, si parte dal reale per arrivare a
produrre ragionamento ipotetico o astratto.
Il pensiero in questo stadio è molto immaginativo, in gergo si definisce di logica –
proposizionale, ovvero si fantastica su cose tendenzialmente probabili. Tutto questo è
possibile grazie allo sviluppo di capacità mentali totalmente reversibili, che portano, alla fine
della fiera, alla formazione di concetti generali, credenze o verità, indubbiamente soggettive.

Queste nozioni generali sono desunte da una serie di strutture logiche di base possedute
precedentemente e che, solo in questo momento, è possibile astrarre utilizzando una serie
di principi:
1. Proporzionalità, rispettare le reali proporzioni e relazione tra le variabili;
2. operazioni combinatorie, capacità di ricavare tutte le combinazioni possibili tra diverse
variabili;
3. relatività dei movimenti e delle velocità, percepire le diverse sfumature dovute alla
distanza e al movimento;
4. nozione di probabilità, si tratta di ragionare in base al calcolo combinatorio;
5. nozione di correlazione, stabilire la reale relazione di causa ed effetto tra le variabili in
base a elementi comuni;
6. compensazione moltiplicativa, l’aumento del peso può essere compensato da una
diminuzione dell’altezza;
7. Forma di conservazione che oltrepassa l’esperienza, conservazione non verificabile in
quanto non sperimentabile come nel caso del principio di inerzia.
Le operazioni descritte sono puramente intellettive poiché il preadolescente giunge alle
conclusioni tramite un processo di esclusione mentale di alcune variabili concrete. Il
pensiero formale è caratterizzato, inoltre, dalla capacità di separare, che consiste nel
considerare in modo disgiunto e staccato diverse variabili di un sistema. Quindi, il
preadolescente è in grado di comprendere che alcuni fenomeni sono costituiti da parti e di
conseguenza scomponibili. Durante questa fase di sviluppo del pensiero formale si pongono
le basi per la definizione della propria personalità.
La costruzione della personalità ha inizio verso gli otto anni, si struttura intorno ai 12 anni e,
inevitabilmente, è influenzata dalla cultura, dalle regole e dal senso di moralità.
La personalità è il risultato finale che si ottiene nel momento in cui tutte le fasi di pensiero
sono state raggiunte, sviluppate e si è definito un minimo di progetto evolutivo sulla propria
persona.
Per questo, l’adolescente in questo periodo fantastica progetti e sogna il futuro, facendo i
conti con il reale, la società, in cui non si riconosce, perché gli impedisce, con le sue regole,
di far sbocciare il suo essere.L’amore, l’essere al centro del suo mondo costituiscono le basi
per entrare a far parte di diritto nel mondo circostante, apportando un contribuito specifico
rispetto alle proprie potenzialità e caratteristiche personologiche.
⇒ In questo periodo il pensiero è caratterizzato da idee astratte e consente all’adolescente
di raggiungere un certo equilibrio fra assimilazione e accomodamento.

Le caratteristiche principali dello stadio delle operazioni formali sono:

– La capacità di ragionare su situazioni ipotetiche


– La ricerca sistematica delle ipotesi, ossia di tutte le possibili soluzioni di un problema
– La capacità di elaborare operazioni astratte
– La ricerca dei principi sui quali occorre basare la propria conoscenza del mondo.

Approfondimento Piaget:

Punto di partenza della teoria di Piaget è il concetto di conoscenza come continua interazione tra
ambiente e organismo. Perché vi sia conoscenza, il soggetto però deve agire sull’ ambiente in maniera
attiva. Piaget individua due tipi di azione: reale (fisica) e interiorizzata (mentale).
Osservando il comportamento del bambino durante le fasi della sua evoluzione, Piaget asserisce che
esistono degli invarianti funzionali che governano tutte le azioni degli individui e che non mutano le
loro caratteristiche di funzionamento durante lo sviluppo della persona. Tali invarianti sono
il principio di organizzazione, per il quale il pensiero si organizza in strutture e schemi coerenti, e
il principio di adattamento, per il quale lo scambio continuo tra soggetto e ambiente esterno causa
una variazione delle strutture del pensiero.
L’adattamento avviene tramite due processi:

– ASSIMILAZIONE: si ha quando le nuove conoscenze o esperienze vengono assimilate,


inglobate nelle strutture stesse;
– ACCOMODAMENTO: si ha quando le nuove conoscenze non possono essere inquadrate in
modo coerente nelle strutture esistenti. Pertanto, se l’organizzazione tende a determinare la
creazione delle strutture, l’adattamento, invece, comporta una modifica delle strutture stesse.
Piaget individua quattro stadi dello sviluppo, ciascuno dei quali può dividersi in più sotto-stadi (o
fasi):
– lo stadio senso-motorio, che va da 0 a 2 anni e si divide in 6 sotto-stadi;
– lo stadio preoperatorio, che va dai 2 ai 7 anni e si divide in 2 sotto-stadi;
– lo stadio delle operazioni concrete, che va dai 7 ai 12 anni;
– lo stadio delle operazioni formali, che va dai 12 ai 16 anni.
Secondo il Piaget lo sviluppo intellettivo avviene attraverso la progressiva trasformazione delle
strutture cognitive che, da strutture elementari, a poco a poco si trasformano in strutture più
complesse grazie all’attività del soggetto in interazione con l’ambiente.
Tale sviluppo è determinato da due processi:
l’ assimilazione e l’accomodamento.
L’assimilazione e l’accomodamento accompagnano tutto il percorso cognitivo della persona.
L’assimilazione consiste nell’incorporazione di un evento o di un oggetto in uno schema
comportamentale o cognitivo già acquisito dal soggetto.

In pratica un bambino decodifica un’esperienza in base ad elementi che già gli sono noti.

L’accomodamento consiste nella modifica della struttura cognitiva o dello schema comportamentale
per accogliere nuovi soggetti o eventi che fino a quel momento erano ignoti.

I due processi si alternano nella costante ricerca di un equilibrio, ovvero di una forma di controllo
della realtà esterna.

Nei suoi studi sull’età evolutiva, Piaget rilevò la presenza di momenti dello sviluppo nei quali
prevale l’assimilazione, momenti nei quali prevale l’accomodamento e momenti di relativo
equilibrio.

Elaborò, dunque, una distinzione degli stadi dello sviluppo cognitivo descrivendo quattro periodi
fondamentali dello stesso, comuni a tutti gli individuo e che si susseguono se
1. Stadio dell’intelligenza senso-motoria (0/2 anni)
2. Stadio pre-operatorio (2/7 anni)
3. Stadio delle operazioni concrete (7/12 anni)
4. Stadio delle operazioni formali (da 12 anni in poi)

Stadio dell’intelligenza senso motoria


Si presenta nel periodo che va dalla nascita ai due anni circa di
– Reazioni riflesse (primo mese) il bambino agisce attraverso schemi senso motori rigidi innati.
– Reazioni circolari primarie (tra il secondo e il quarto mese) il bambino ripete un’azione casuale
per ritrovarne gli effetti gradevoli.
– Reazioni circolari secondarie (tra il quarto e l’ottavo mese) il bambino oriente i suoi
comportamenti verso l’ambiente esterno, cercando di afferrare e muovere gli oggetti e osservando i
risultati delle sue azioni.
– Reazioni circolari terziarie (dai 12 ai 18 mesi) nasce l’interesse per la novità e dunque si passa ad
una sperimentazione continua.
– Rappresentazione cognitiva (dai 18 ai 24 mesi) il bambino apprende il concetto di “permanenza
dell’oggetto” , ovvero che
gli oggetti della realtà circostante esistono anche se non li vede.
Si presenta nel periodo che va dai 2 anni ai 6-7 anni di età.
In questa fase prevale il pensiero egocentrico, ossia la tendenza a non considerare una realtà
diversa da quella che appare al bambino, accompagnato da animismo (tutti gli oggetti sono
animati), artificialismo (il bambino tende a confondere la causalità naturale con la fabbricazione da
parte degli uomini) e finalismo (il bambino attribuisce ad ogni attività naturale una morale).
Il bambino attraverso il linguaggio diventa capace di ricostruire le azioni passate sotto forma di
racconto e di anticipare quelle future con la rappresentazione verbale.

Stadio dell’intelligenza preoperatoria


Lo stadio dai 2 ai 7 anni comprende due fasi:
– la fase del pensiero simbolico pre-concettuale (dai 2 ai 4 anni) durante la quale appare un’attività
di tipo simbolico, in quanto il bambino utilizza oggetti per rappresentarne altri. Si tratta del gioco
creativo o simbolico nel quale il bambino usa un oggetto per rappresentarne un altro (es. una sedia
per rappresentare un cavallo).
– la fase del pensiero simbolico intuitivo (dai 4 ai 7 anni) nel corso della quale il bambino
acquisisce sempre maggiore consapevolezza dei molteplici aspetti degli oggetti e comincia a
consolidarsi la capacità di classificare e raggruppare gli oggetti.
Va dai 7 agli 11 anni di età.
Il temine operazioni si riferisce a operazioni logiche o principi utilizzati nella soluzione di problemi.
Il bambino in questo stadio non solo utilizza i simboli ma è in grado di manipolarli in modo logico.
Una importante conquista è l’acquisizione del concetto di reversibilità, ossia la capacità di
considerare che gli effetti di un’azione possano essere annullati da un’operazione inversa
(addizione/sottrazione –moltiplicazione/divisione).

Stadio delle operazioni concrete


Le operazioni in questo periodo risultato legate ai concetti di:
– Conservazione o invarianza. Si verifica quando il bambino si rende conto che una sostanza
conserva la sua quantità pur attraversando una serie di mutamenti delle caratteristiche percettive
(forma, peso, volume).
– Classificazione, ossia la capacità di formare insieme omogenei o eterogenei di oggetti, stabilendo
relazioni (più grande, più piccolo)
– Seriazione, consiste nella capacità di disporre in ordine seriale un gruppo di oggetti in ordine di
peso, di lunghezza, ecc., dimostrando di saper cogliere la relazione tra l’oggetto che precede e
quello che segue.
In questa fase il linguaggio egocentrico sparisce e il bambino diviene sempre più capace di
cooperare.
Le operazioni concrete contribuiscono, infatti, allo sviluppo della socializzazione grazie a tre
principali tipi di azione:
– I giochi con le regole
– Le azioni in comune
– Gli scambi verbali
Anche l’affettività amplia la sua sfera man mano che si moltiplicano i rapporti sociali e i sentimenti
morali.
2. Per Lev Semënovič Vygotskij lo sviluppo psicologico dell’individuo è
necessario tenere in considerazione i fattori sociali e culturali in cui la persona è
inserita. Vygotskij nel suo libro dal titolo Pensiero e linguaggio sviluppa i concetti di ZLV
(cioè di zona di sviluppo prossimale) e di stimolo mezzo.

Lo sviluppo del pensiero: LA FORMAZIONE DEI CONCETTI per Lev Semënovič


Vygotskij (1896-1934)

Vygotskij e la formazione dei concetti


Vygotskij compì osservazioni sistematiche di bambini che, incaricati di mettere in ordine dei
pezzetti di legno su cui erano segnate delle sillabe, procedevano in modi diversi. Dalle
osservazioni deriva il sistema di classificazione in quattro fasi, con cui egli spiega l’evolversi
della costruzione dei concetti:

 fase dei mucchi: il materiale viene assemblato insieme e senza differenziazioni;


 fase dei complessi: in questa fase, corrispondente all’età scolare, si rileva una forma di
organizzazione dei materiali basata su legami irrilevanti;
 fase degli pseudoconcetti: tale fase, che procede sino all’adolescenza, porta a raggruppare gli
oggetti in base alle caratteristiche esterne;
 fase dei concetti: corrisponde ad una capacità di organizzazione in base all’astrazione e alla
generalizzazione.
Per Vygotskij (a differenza di Piaget) i concetti di cambiamento e sviluppo devono dunque
essere inquadrati in una prospettiva interazionista e costruttivista in cui individuo e
ambiente sono strettamente correlati (lo sviluppo cognitivo risente per i costruttivisti
dell’ambiente di apprendimento socio-culturale dove il bambino o l’adolescente cresce e si
sviluppa).

Audio-lezione differenza tra Piaget e Vygotsky (con qualche anticipazione su Bruner)

In questa lezione cerchiamo di spiegare la differenza teorica tra Paget e Vygotsky: questi
due autori importanti che sulla questione di come noi apprendiamo hanno due prospettive
diverse. Da un lato c'è Piaget che parla di una teoria stadiale quindi una serie di stadi, fasi.
Entrambi gli autori studiano come un bambino che abbiano apprende costruisce processi
cognitivi e pian piano riesce a sviluppare nuove capacità. Partendo dal principio della vita
dell’apprendiemnto di un bambino, dagli 0 ai 2 anni il bambino acquisisce delle prime
capacità fino ad arrivare alle capacità evolutive superiori. Diversamente Vygotskyn guarda
da altri aspetti e non soltanto quelli evolutivi. Comincerei dall'idea di stadio: è simile all'idea
che noi abbiamo di una pianta quando la mente umana come una pianta sviluppa
biologicamente certe caratteristiche, anche la mente umana ha bisogno di avere il proprio
tempo evolutivo per sviluppare certe capacità.
Esempio: quando piantiamo un ulivo non ci aspettiamo di raccogliere le olive dopo il primo
anno, ma aspettiamo la raccolta delle olive quando la pianta ha raggiunto la sua piena
maturazione.
Per quanto riguarda la mente umana ad un bambino di 2 anni non possiamo chiedere delle
capacità cognitive per esempio calcoli, astrazioni che possiamo chiedere a un bambino di
10 anni. Questa è la teoria stadiale, cioè gli esseri umani attraversano degli stadi evolutivi.
Secondo tale teoria degli stadi di Piaget i bambini hanno un primo stadio che va da 0 a 2
anni, che poi sarà diviso in sotto stadi, cioè un periodo in cui maturano delle abilità.
Tale stadio si chiama Stadio Sensomotorio che va da 0 a 2 anni che si divide in sei sotto
stati in cui praticamente il bambino e acquisisce la capacità di controllare il proprio corpo,
afferra un oggetto, lo tocca, all'inizio comincia a portare gli oggetti alla bocca perché è un
modo per conoscere i propri sensi, per conoscere, sapere, afferra un oggetto (il bambino ci
mette alcuni mesi per riuscire a prendere bene un oggetto nella proprio mano)
Poi abbiamo lo stadio preoperatorio che va dai 2 ai 7 anni e si divide in due sottostati quindi
preoperatorio significa prima dello Stadio delle operazioni concrete e finalmente vi è questo
stadio delle operazioni concrete in cui abbiamo fondamentalmente la capacità del bambino
di avere l'idea che le cose si conservano, che rimangono nel tempo, quindi anche il capire
di avere rispetto delle cose. L'individuazione di una forma di un peso di un volume, saper
classificare gli oggetti, quindi sa per esempio che se vede la forma di un cane la sua
classifica nel regno animale, quindi la classificazione delle cose. Sicuramente è il periodo
della costruzione delle serie, inizia a costruire l'idea che le cose sono concatenate, che
sono della serie quindi comincia a contare, a saper fare le addizioni, le divisioni a fare una
serie numerica fino ad arrivare agli scambi verbali e comunicativi. Quindi il bambino nella
fase dopo le azioni concrete ha queste capacità di fare operazioni. L'ultimo stadio poi, dopo
gli 11/12 anni il bambino riesce, senza ricorrere alla situazione concreta , a immaginarlo. Se
riesce a fare i calcoli a mente e se in un primo momento li faceva piano piano e con la penna,
è perchè si sta sviluppando la capacità di astrazione, con la manipolazione concreta delle
idee riesce raggiungere un pensiero formale.
Con la capacità di ragionare su situazioni ipotetiche, in questa fase riesce a dire bugie, le
malizie, riesce ad avere quella capacità di fingere, di costruire finzioni. E’ una nuova fase in
cui ha questa capacità di elaborare concetti astratti rispetto al concetto concreto ( es sedia
tavolo è concreta già parlare di democrazia la democrazia o l'idea di alcuni contenuti che
noi nella nostra vita che sono dei soldi ad esempio il valore è capito comincia a capire il
valore della moneta un bambino di 7 anni ancora non riesce ad avere idea di come
funzionano i soldi le quantità perché con questi soldi compro delle cose è rimasto ancora un
livello molto basico della sua capacità mentale, invece quando arriva alle operazioni formali
sa dare il valore ai soldi. Si va dalle cose più semplici alle cose più complesse diviso per
età, con Piaget.
Qual è invece la critica che faV.: è anche vero che se noi vediamo due bambini uno di 5 e
uno di 7 anni lo mettiamo insieme a uno di 9 anni sicuramente c'è una zona prossimale per
cui completato il mio stadio tendo a portarmi più avanti perché sono stimolato dal bambino
più grande da chi ne fa di più. L’ individuo all'interno della società in relazione con gli altri ha
delle stimolazioni maggiori, la cultura e l’ambinte in cui vive sono molto importanti pe lo
sviluppo cognitivo. Rispetto all'impostazione di Piaget e lo sviluppo della mente del bambino
come determinate esclusivamente da un fatto biologico interno come un albero, una painta,
per V non basta perchè lui inserisce la dimensione sociale e culturale. Non a caso V è un
autore dove gli aspetti socio-culturali sono determinanti per l'apprendimento.
Un bambino che nasce a Scampia avrà delle stimolazioni e uno sviluppo diverso dal
bambino che nasce una brava famiglia. Il famoso scugnizzo napoletano che si dice che si è
più sveglio degli altri bambini è perché in un contesto dove è richiesta una certa scaltrezza,
una certa capacità di muoversi, permette a questi bambini di sfruttare una famosa zona di
gruppo prossimale.
Esempio del bambini eschimese edella sua esperienza con la neve.
Un altro concetto è quello dello stimolo-mezzo un'altra cosa Che l'essere umano fa è quello
di crearsi degli stimoli fuori di te che possono condizionare lo possono aiutare e farlo
evolvere.
Esempio della sveglia: la sveglia ci permette di agire su noi stessi, ma siamo noi stessi a
crearla come stimolo esterno. La sveglia ci permette di decidere il nostro tempo. Altri
esempi: il nodo al fazzoletto per ricordarsi qualcosa, il calendario, la sveglia; sono tutti stimoli
mezzo che sfruttano le capacità umane di sviluppare le proprie capacità cognitiva con degli
stimoli mezzo questo è anche quella famosa teoria degli amplificatori di Bruner che dirà la
stessa cosa, molto simile allo stimolo mezzo perchè considera gli amplificatori o degli oggetti
come amplificatore di capacità cognitive degli individui.
L’uso delle tecnologie è un amplificatore nella didattica; non sono altro che gli strumenti che
gli oggetti anche la stessa LIM che amplifica la capacità delle persone di poter imparare
qualcosa perché oltre a sentire il docente può vedere un video o ascoltare una musica può
vedere un tutorial quindi tutti questi oggetti tecnici che gli esseri umani usano possono in
certo qual senso implementare l’apprendimento.
Piaget dice età e maturità del soggetto, Bruner dice oggetti amplificatori,
V. dice ambiente.
La conoscenza è data da quell’insieme di saperi e conoscenze, strumenti e amplificatori di
conoscenze, risorse didattiche, esperienze. Non è qualcosa che si trasmette come se fosse
un pacchetto di informazioni che vanno da una testa ad un'altra testa.
L’approccio costruttivista e l'approccio per cui se vuoi date un pesciolino ha un bambino
africano lui mangia il pesciolino e poi dopo di nuovo fame invece una buon rendimento
significativo significa dare la canna da pesca al bambino in modo tale che il bambino possa
da solo ritrovarsi quelle conoscenze e quelle informazioni che desidera.
Che cos'è un apprendimento significativo un è proprio questa capacità di far proprie
queste conoscenze, quindi di farle diventare competenze con il passaggio tra conoscenze
e competenze per poterlo usare poi anche in assenza dell’ educatore.
Il fine ultimo della scuola è che i ragazzi imparino ad imparare, questo è il concetto
fondamentale imparare ad imparare come si potrebbe anche da soli farsi delle informazioni
può farsi una conoscenza.Facciamo un esempio: l'insegnante di storia insegna la storia solo
con il libro e il bambino risponde all'insegnante solo per prendere un voto. Invece chi insegna
imparare ad imparare insegna bambino Come fare quando magari va a visitare con la
mamma gli scavi di Pompei per cercare delle informazioni sul luogo per farsi da solo una
conoscenza che può essere utile per la vita di tutti i giorni.

3. Erik Erikson
Il campo della psicologia del ciclo di vita, al quale ha dato forte impulso il lavoro di Erik
Erikson (1902-1980), studia come le persone si adattano alle diverse tappe dell’esistenza
e come gradualmente acquisiscano consapevolezza del calendario biosociale, ovvero di
quell’insieme di scadenze che scandiscono i passaggi evolutivi, come il matrimonio o l’arrivo
dei figli.

Per Erikson l’uomo ha come scopo quello di costruire un senso di identità, per cui ogni tappa
della vita rappresenta una svolta.
Le otto età della vita, gli stadi dell’evoluzione psicologica di Erikson che dura tutta la vita (a
differenza di Freud)

Lo sviluppo psicosociale di Erikson


Lo psicologo americano Erick Erikson ha allargato il campo d’indagine della concezione freudiana
e ha elaborato una sequenza di stadi di sviluppo che vanno dalla fiducia di base della prima infanzia
all’ integrità dell’io dell’età matura.
Erikson sostiene che alla dimensione psico-sessuale di Freud va aggiunta la dimensione psico-
sociale. Ad esempio, nella fase orale, non dobbiamo considerare soltanto il piacere orale del bambino,
ma anche quello di emettere suoni e di comunicare.
Erikson divide il ciclo di vita dell’uomo in otto età, che dispone in una sequenza ordinata.
A partire dalle fasi di sviluppo psico-sessuale di Sigmund Freud, Erikson individua otto stadi di
sviluppo psicosociale, ciascuna caratterizzata da una precisa crisi psicosociale:

1. Infanzia 0-1 anno (fase orale-respiratorio), fiducia/sfiducia;


2. Prima Infanzia 1-3 anni (fase anale-uretrale), autonomia/vergogna e dubbio;
3. Età genitale 3-6 anni (fase infantile-genitale), iniziativa/senso di colpa;
4. Età scolare 6-12 anni (fase di “latenza”), industriosità/inferiorità;
5. Adolescenza 12-20 anni (pubertà), identità e contestazione/diffusione di identità;
6. Prima età adulta 20-40 anni (genitalità), intimità e solidarietà/isolamento;
7. Seconda età adulta 40-65 anni, generatività/stagnazione e auto-assorbimento;
8. Vecchiaia 65 in poi, integrità dell’Io/disperazione.
Erikson dice che in ogni fase di passaggio c’è una crisi nel soggetto.
Questo ciclo si ripete in tutti gli individui anche se appartenenti a culture diverse. Tra un ciclo e l’altro
l’individuo deve industriarsi per superare una crisi. Nello sviluppo, infatti, è importante il concetto
di crisi intesa in maniera positiva; è questa, infatti, la scelta effettuata per risolvere la problematica
evolutiva.
La grande novità rispetto a Freud consiste nel ritenere che lo sviluppo psico-sociale continui
ben oltre l’adolescenza e prosegua per tutta la vita dell’individuo.
Opere principali:

 Gioventù e crisi di identità (Identity: Youth and Crisis) (1968)


 L’adulto. Una prospettiva interculturale (Adulthood) (1978)
 Coinvolgimenti vitali nella terza età (Vital Involvement in Old Age) (1986)
 I cicli della vita (The Life Cycle Completed) (1982)

⇒ Erikson: La vita pone l’individuo nella condizione di dover affrontare dei dilemmi sempre
nuovi, in cui le esigenze personali si scontrano con le componenti e i vincoli sociali.

⇒ Erikson: L’uomo apprende attraverso la gestione di questi dilemmi nuove competenze e


consapevolezze che lo conducono a sviluppare la propria identità.

Audiolezione su Erikson
Audiolezione

Il percorso evolutivo: Piaget, Vygotskij, Erikson


Il percorso evolutivo: Piaget, Vygotskij, Erikson

Secondo Jean Piaget lo sviluppo riguarda varie fasi, ogni fase è caratterizzata da un tipo particolare
di operazione:

 lo stadio sensomotorio, che dura dalla nascita all’età di due anni e consente all’intelligenza
di esprimersi solo attraverso il contatto sensorio efisico con l’ambiente. Prima che sia
raggiunto il livello del linguaggio, i significati vengono definiti attraverso la manipolazione.
Un effetto dell’attività manipolatoria del bambino è il conseguimento dell’oggetto,
l’acquisita consapevolezza cioè che un oggetto visto da differenti angoli visuali costituisce
una realtà duratura, perché l’oggetto rimane invariato.
Per esempio, quando impara a reggere il biberon, se questo gli viene presentato capovolto il
bambino cerca di poppare dal fondo, ma successivamente, quando riconoscerà l’oggetto come
qualcosa di persistente, lo raddrizza e comincia a succhiare dalla sommità;
 lo stadio preoperazionale, che si prolunga dai due ai sette anni e che appare caratterizzato,
sotto il profilo sia della conoscenza sia della morale, da un tratto particolare, l’egocentrismo.
Il bambino inizia con il comprendere e il sentire attraverso se stesso, prima di riuscire a
operare una distinzione tra ciò che appartiene alle cose o agli altri e ciò che proviene dal
proprio universo intellettivo e affettivo. Il bambino, dunque, non può divenire cosciente del
proprio pensiero, poiché la coscienza di sé comporta un confronto continuo tra l’io e l’altro.
Nel periodo dai cinque ai sette anni si sviluppa progressivamente il principio
della conservazione della massa, del peso e del volume degli oggetti;

 lo stadio delle operazioni concrete, che dura dall’età di sette all’età di undici anni, in cui si
alterna il primitivo egocentrismo all’accettazione passiva dei giudizi altrui. Fino all’età di
sette anni, dato che il rapporto con gli adulti, innanzitutto con i genitori, appare
predominante e segnato dalla soggezione e dalla coercizione, il pensiero e la coscienza
morale sono ancora esterni al bambino, che li riceve incondizionatamente dagli altri soggetti
significativi del suo ambiente. Durante questa fase, i fanciulli sono capaci di trattare il mondo
concreto quasi con la stessa abilità cognitiva di un adulto, possono assumere i ruoli degli
altri e giudicare ponendosi nella prospettiva di costoro. Il bambino diventa capace di compiere
operazioni logiche, come la reversibilità in aritmetica, la classificazione, cioè
l’organizzazione di oggetti in gerarchie di classi, esuccessivamente la seriazione, ossia
l’organizzazione di oggetti in serie ordinate. Appare un’altra forma di relazione sociale, quella
fondata sulla cooperazione, instaurata tramite il contatto con compagni coetanei, che
consente di comprendere la diversità e la complementarità delle funzioni nel gioco
collettivo e quindi della molteplicità dei punti di vista. Si perviene all’autonomia solo
attraverso la discussione, che, ingenerando riflessioni, verifiche e critiche, permette di passare
al vaglio idee e categorie, regole e principi;
 lo stadio delle operazioni formali, che comincia con l’inizio dell’adolescenza ed è
caratterizzato dall’acquisita capacità del soggetto
di concettualizzazione e di formulazione di un ragionamento ipotetico-deduttivo.

Il processo di sviluppo cognitivo, secondo Piaget, presenta un carattere universale, poiché


in tutte le società si attraversano gli stessi stadi con lo stesso ordine, anche se il contenuto,
a seconda delle diverse visioni del mondo, varia da una cultura all’altra. Una scarsa
esposizione al pensiero formale, inoltre, fa sì che non tutti i soggetti raggiungano lo stadio
conclusivo, bloccandosi a quello delle operazioni concrete.

Il fondatore della psicanalisi, Sigmund Freud (1856-1939), ha riconosciuto l’importanza


fondamentale per lo sviluppo delle prime esperienze infantili e ha descritto i rapporti del
bambino con i genitori mostrandone le radici sessuali definite «libidiche»: il contatto fisico
con la madre, o con chi la sostituisce, procura il primo piacere. I vari periodi della crescita
individuale possono essere definiti come fasi dello sviluppo psicosessuale, in rapporto alla
diversa localizzazione corporea delle fonti di piacere nelle varie età, fino ad arrivare alla
gratificazione della sessualità adulta. Freud ha distinto:
 lo stadio orale, corrispondente ai primi due anni di vita, durante il quale la gratificazione
avviene attraverso la stimolazione delle labbra e della regione orale, come accade
nell’allattamento e nella suzione del pollice;
 lo stadio anale, che corrisponde all’età compresa tra i due e i quattro anni, durante il quale la
gratificazione è ottenuta attraverso la ritenzione o l’espulsione delle feci;
 lo stadio fallico, compreso tra i quattro e i sei anni, durante il quale la gratificazione si realizza
attraverso la stimolazione degli organi sessuali;
 lo stadio di latenza, fase che si prolunga dai sei ai dieci anni, durante il quale gli stimoli
sessuali si placano, ma non scompaiono;
 lo stadio genitale, durante il quale gli interessi sessuali si delineano in maniera definita.
Nella prospettiva di Lev Semënovič Vygotskij (1896-1934), il maggior esponente della
scuola cognitiva russa, lo sviluppo cognitivo è soprattutto un riflesso delle condizioni
materiali e appare guidato dal contesto storico-sociale in cui il bambino vive. L’aspetto
caratterizzante dello sviluppo è la socialità, poiché il piccolo cresce nell’interazione con gli
altri, in primo luogo con gli adulti significativi del suo ambiente. Di centrale importanza
appaiono la comunicazione e l’educazione nel processo di umanizzazione dell’uomo e di
acquisizione, da parte dell’individuo, delle caratteristiche fondamentali della comunità di
appartenenza. Esistono due livelli di sviluppo nel percorso di crescita del soggetto: il primo,
definito effettivo, concerne ciò che è stato conseguito come risultato di uno specifico
processo formativo già realizzato; il secondo, definito potenziale, riguarda invece ciò che il
bambino può raggiungere inizialmente solo con l’aiuto di un adulto. Erik Homburger
Erikson (1902-1994) descrive una successione di stadi psicosociali durante i quali il
fanciullo si trova, ad ogni svolta, ad affrontare problemi specifici, tessendo una rete sempre
più complessa di interazioni, che parte dal rapporto con la madre per comprendere
progressivamente le relazioni con entrambi i genitori, con l’intero nucleo familiare, con il
vicinato, con i compagni di scuola, con gli amici, con i colleghi, fino a giungere all’intera
società.
Gli ASSET dello sviluppo che possono essere inficiati da problematiche inerenti
l’apprendimento sono:

La persona conosce e interpreta la realtà in interazione con l’ambiente, che non è separato
dall’individuo ma è anzi in una certa misura costruito dall’individuo stesso. Per questo motivo
occorre porre l’attenzione sulle diverse funzioni psicologiche dello sviluppo: lo sviluppo
fisico-motorio, lo sviluppo cognitivo, lo sviluppo affettivo-emozionale, lo sviluppo sociale e
della comunicazione.

Le principali teorie dell’apprendimento sono 4:


1. Comportamentismo (vedi la mappa concettuale collegata)
2. Cognitivismo (vedi la mappa concettuale collegata)
3. Costruttivismo (vedi la mappa concettuale collegata)
4. Gestalt (vedi la mappa concettuale collegata)

IL COMPORTAMENTISMO
⇒ Principali autori del comportamentismo classico

Ivan Pavlov
Ivan Pavlov concetto di connessione tra stimolo e risposta e concetto di condizionamento.
Egli ha distinto uno stimolo e una risposta incondizionati, da uno stimolo e una risposta condizionati,
cioè indotti dall’esterno.

Comportamentismo – condizionamento classico


L’apprendimento avviene nel momento in cui si crea un’ associazione tra stimolo e risposta

Vedi → esperimento cane di Pavlov:


La ricerca pavloviana sul condizionamento classico evidenzia uno schema tipico:
PRIMA DEL CONDIZIONAMENTO
1. un cane affamato (precondizione) in presenza di cibo (stimolo incondizionato) saliva
(riflesso incondizionato);
2. sente suonare un campanello (stimolo neutro) cui rimane indifferente;
DURANTE IL CONDIZIONAMENTO
3. sente suonare un campanello (stimolo neutro) e poi gli viene presentato del cibo (stimolo
incondizionato) per cui automaticamente saliva (riflesso
incondizionato);
DOPO IL CONDIZIONAMENTO
4. dopo alcune ripetizioni della sequenza campanello-cibo: il cane sente la campana, che
ormai è diventata uno stimolo attivo (stimolo condizionato dall’associazione con il cibo) per
cui automaticamente saliva (anche in assenza di cibo- riflesso condizionato).
Questa tecnica si basa sul presupposto per cui se associamo uno stimolo condizionato (a nostra
discrezione, può essere un suono, un’immagine) allo stimolo incondizionato (il cibo), un numero
sufficiente di volte, il cane tenderà ad associare i due stimoli, e ad attribuire loro lo stesso significato.
Dunque, se il cane associa il cibo a un certo stimolo condizionato, lo stimolo condizionato assumerà
lo stesso significato del cibo, dunque produrrà lo stesso tipo di risposta, ovvero la salivazione.

Perché avvenga questa associazione devono essere rispettate due condizioni principali:
– La contiguità temporale tra le variabili in gioco;
– La connessione tra le variabili deve essere ripetuta un numero sufficiente di volte.

Comportementismo-riflesso condizionato
Il riflesso condizionato è un processo passivo (non richiede partecipazione da parte del soggetto) che
tende a radicarsi nella mente del soggetto secondo una gerarchia di rinforzi:
 rinforzo casuale (random)
 rinforzo cadenzato (ogni n volte)
 rinforzo costante (sempre)
Il rinforzo positivo, per essere efficace, richiede di solito un maggior numero di somministrazioni
rispetto al rinforzo negativo.
– Se il rinforzo viene a mancare⇒ la risposta condizionata tende ad estinguersi.
– Se si riprende a somministrare il rinforzo (estinto)⇒ il riflesso condizionato torna a
manifestarsi rapidamente.

Comportamentismo-rinforzo positivo
Il rinforzo positivo consiste: in una ricompensa che aumenta la frequenza di emissione di una
risposta; ha l’effetto di accrescere la probabilità che un dato evento si verifichi (una ricompensa
segue il comportamento desiderato). La sottrazione del soggetto ad una situazione di disagio
determina invece un RINFORZO NEGATIVO.

Nell’ambito degli studi sul riflesso condizionato, si mettono in evidenza anche dei fenomeni
specifici:
 estinzione;
 recupero spontaneo
 generalizzazione;
 discriminazione

Comportamentismo-estinzione
Graduale scomparsa della risposta condizionata o riflessa. Se lo stimolo incondizionato viene
omesso ripetutamente, allora la risposta condizionata perde di intensità fino a scomparire.
Comportamentismo-recupero spontaneo
Progressivo riapparire della risposta condizionata o riflessa se lo stimolo condizionato comincia
progressivamente a riaccompagnare quello incondizionato.

Comportamentismo-generalizzazione
Tendenza a produrre la risposta condizionata anche quando lo stimolo che accompagna lo
stimolo incondizionato è molto prossimo a quello condizionato, ossia allo stimolo per il quale è
stato creato il condizionamento.
La risposta condizionata è sensibile alla generalizzazione dello stimolo condizionato (per esempio il
cane può iniziare a salivare anche all’ udire suoni diversi da quello iniziale).

Comportamentismo-discriminazione
Fenomeno opposto alla generalizzazione – il soggetto impara a distinguere in modo sensibile due
stimoli pressoché simili. Se uno di essi rappresenta lo stimolo condizionato, l’altro, che è molto
simile, non riesce a produrre analogamente la risposta condizionata.
John B. Watson ED IL COMPORTAMENTISMO

Watson è considerato il padre del comportamentismo.


Nel 1913 l’articolo dal titolo “La psicologia esaminata da un behaviorista” segnò la data di
nascita del comportamentismo nel senso che si applica anche alla dimensione didattica il
concetto di Pavlov di stimolo-rinforzo.
La visione psicologica di Watson prevede l’esistenza di un ambiente circostante attivo,
capace di influenzare un soggetto passivo che apprende solo quando riceve stimoli.
Per Pavlov esistono delle connessioni stimolo-risposta che sono ereditarie e altre che si
generano mediante processi di condizionamento, come quelli operati da Pavlov: questi ultimi
si possono configurare come processi di apprendimento.
La presenza del medesimo stimolo genera nel soggetto delle risposte differenti. Pertanto si
interroga su quale di queste risposte sia la più probabile ripetendo lo stimolo con il passare
del tempo. (Da questo scaturiscono la legge della frequenza e la legge della recenza).
In relazione al condizionamento, è rimasto famoso l’esperimento del piccolo Albert.

Albert è un bambino di 9 mesi che ama giocare con un topolino bianco e viene spaventato con rumori
violenti proprio mentre gioca con la bestiola:
uno stimolo incondizionato (il rumore violento) provoca una risposta incondizionata (la paura).
Allo stimolo incondizionato il bambino associa lo stimolo neutro ( il topolino), per cui dopo una
serie di somministrazioni congiunte dei due stimoli, Albert finisce per avere paura anche del topolino.
Egli mostra una risposta condizionata o riflessa (la paura) in presenza dello stimolo
neutro (topolino) che diventa condizionato.

Ricordiamo in una sintesi didattica le due leggi di Watson:

 legge della frequenza (La probabilità di una risposta è direttamente proporzionale al


numero di volte in cui tale risposta si verifica in seguito allo stimolo (frequenza-probabilità)
 legge della recenza (Secondo tale legge, la risposta più recente è quella maggiormente
probabile)

In sintesi, possiamo affermare che sono proprio i principi della frequenza e della recenza a
gestire questo condizionamento esterno.
Per Watson tanto più frequentemente e tanto più recentemente un’associazione stimolo
rinforzo si è verificata, maggiore è la probabilità che questa si verifichi ancora e si ripeta.
Più recente è lo stimolo più questo condiziona.

EDWARD L. THORNDIKE → legge dell’effetto/ legge dell’esercizio/ legge della prontezza


La ricompensa ed il sistema prove ed errori di Thorndike
Un altro psicologo di tipo comportamentista è lo statunitense Edward L. Thorndike.
Nella teoria dell’apprendimento provata e pensata anche nell’addestramento degli animali, egli
studiava le ricompense.
Ricordiamo che la ricompensa è il rinforzo una volta che un soggetto abbia portato a termine
con successo quanto l’addestratore o l’istruttore ha assegnato. Ricompensa e compito assegnato
sono correlati.
Il modello delle ricompense agisce sul processo di apprendimento.
Egli studia il modello di apprendimento per “prove ed errori”. Detto anche sistema trial ed error.
L’espressione prova e sbaglia (in inglese trial and error ossia, letteralmente, tentativo ed errore)
denota un metodo euristico che mira a trovare una soluzione a un problema effettuando un tentativo
e verificando se ha prodotto l’effetto desiderato.

L’espressione prova e sbaglia (in inglese trial and error ossia, letteralmente, tentativo ed errore)
denota un metodo euristico che mira a trovare una soluzione a un problema effettuando un tentativo
e verificando se ha prodotto l’effetto desiderato. In caso positivo il tentativo costituisce una soluzione
al problema altrimenti si prosegue effettuando un diverso tentativo.

Alcune caratteristiche del metodo prova e sbaglia sono le seguenti.

 È orientato alla soluzione: non si propone di scoprire perché un tentativo funziona ma si limita
a cercarlo.
 È specifico del problema in esame: non ha alcuna pretesa di generalizzazione ad altri
problemi.
 Non è ottimale: si limita in genere a trovare una sola soluzione che di solito non sarà la
migliore possibile.
 Non richiede una conoscenza approfondita: si propone di trovare una soluzione ad un
problema di cui magari si conosce poco o nulla.
È possibile usare il prova e sbaglia per trovare tutte le soluzioni o la migliore soluzione nel caso in
cui ne esista un numero finito. In tal caso, anziché fermarsi al primo tentativo che ha fornito un esito
desiderato, se ne prende nota e si continua nei tentativi fino a trovare tutte le soluzioni. Alla fine
queste vengono confrontate sulla base di un dato criterio che determinerà quali tra esse è da
considerarsi la migliore.

Thorndike formula le cosidette “leggi dell’apprendimento” che si vanno aggiungere a quella della
frequenza da individuata da Watson:

 Legge dell’esercizio: l’apprendimento è graduale e migliora con la ripetizione delle prove


 Legge dell’effetto: l’apprendimento avviene in funzione delle conseguenze del
comportamento: azioni seguite da riduzione di “stati di bisogno” o ricompense tendono ad
essere ripetute.
 Legge del trasferimento: una risposta acquisita in una situazione verrà effettuata in altre
situazioni nella misura in cui queste ultime sono simili alla prima.
Thorndike anticipa il comportamentismo in molti modi: Non usa l’introspezione e si concentra sul
comportamento osservabile; formula una teoria dell’apprendimento basata sulla connessione tra
stimoli e risposte, il che rende necessarie poche ipotesi su cosa succede dentro l’individuo;
generalizza dall’animale all’umano. Per esempio, la sua pedagogia utilizza le leggi
dell’apprendimento di cui sopra: occorre fare esercizio (legge dell’esercizio), i comportamenti
“giusti” vanno premiati e quelli “sbagliati” puniti (legge dell’effetto) e non ci si può aspettare che
l’apprendimento sia generalizzato al di fuori dell’ambito specifico di insegnamento (legge del
trasferimento).

⇒ In caso positivo il tentativo costituisce una soluzione al problema altrimenti si prosegue effettuando
un diverso tentativo.
La base dell’apprendimento ipotizzata da Thorndike è l’associazione tra le impressioni sensoriali e
gli impulsi all’azione, cioè la “connessione”. Poiché sono queste connessioni che si rafforzano o si
indeboliscono nella formazione o nell’estinzione di abitudini, il sistema di Thorndike viene
definito connessionismo.
Una volta individuato il comportamento soddisfacente, per Thorndike è importante formulare delle
leggi che possano descrivere come l’animale apprende e adotta successivamente tale comportamento
in situazioni analoghe (legge dell’effetto/ legge dell’esercizio/ legge della prontezza).
Legge dell’effetto
Le azioni che producono effetti soddisfacenti hanno più probabilità di essere ripetute quando si
presenta la stessa situazione, e quindi di essere apprese. Le azioni che producono effetti spiacevoli
o sono prive di effetti hanno sempre meno probabilità di essere ripetute e quindi apprese.
Legge dell’esercizio
Comportamenti più spesso esercitati hanno maggiori probabilità di essere impiegati in condizioni
simili.
Legge della prontezza
La correlazione stimolo – risposta viene rafforzata dall’esercizio e si indebolisce quando
l’addestramento è discontinuo.
Un soggetto trova stimolante compiere una certa associazione quando è pronto, sufficientemente
maturo per compierla. Se non è nello stato di poterla compiere, il fatto di metterla in atto porta ad una
situazione di disagio. In modo analogo, l’essere pronti a svolgere una certa associazione e non essere
messi in condizione di farlo crea uno stato di disagio.

Per Edward L. Thorndike gli studenti erano incoraggiati dai buoni risultati ma che il
peggioramento degli stessi non insegnava loro a correggere gli errori.
Il contrario di questo approccio sarà poi successivamente la didattica dell’errore.

“E’ sorprendente vedere come gli studenti possano perdere una parte della loro paura di sbagliare,
profondamente radicata in loro, quando si trovano con un insegnante che non chiede loro di essere
nel giusto, ma soltanto di unirsi a lui nella ricerca dell’errore: del suo come del proprio” (Postman,
1981)

APPRENDIMENTO PER ERRORI

Thorndike: il modello di apprendimento per prove ed errori, l’esperimento del gatto


ed il modello ABA usato oggi
Thorndike studiò le modalità con cui gli animali riuscivano ad apprendere ad uscire da una gabbia
(puzzle box) che poteva essere aperta premendo con la zampa una leva. Si ricorda, che l’approccio
del coportamentismo è sempre quello di considerare tutte le forme di apprendimento, anche
l’apprendimento umano come quello di un “animale”. Questi ricercatori studiano i sistemi neuronali,
il cervello delle forme viventi che sono chiamati all’apprendimento.
Cane (Pavolov), topolini (Skinner) ed ora un gatto per Thorndike.
Anche se sembrerebbe essere superato tale modello, in realtà esso è ancora usato nell’ABA in
un trattamento specifico.
Il metodo ABA, acronimo inglese di Applied Behavioral Analysis, è il ramo applicativo dell’Analisi
del Comportamento, la scienza che si occupa di descrivere le relazioni tra il comportamento degli
organismi e gli eventi che lo influenzano, e deve molto agli studi ed alle ricerche dei
comportamentisti.
Il campo di applicazione di questa tecnica in cui si è mostrata una più significativa crescita e
applicazione è quello riguardante i bambini con disturbo autistico. Anni di studi e ricerche hanno
dimostrato l’efficacia del metodo ABA nel ridurre comportamenti disfunzionali e nel migliorare ed
aumentare la comunicazione, l’apprendimento e comportamenti socialmente appropriati.
L’obiettivo del trattamento di un bambino autistico con il metodo ABA è quello di migliorare la sua
qualità di vita e le relazioni con gli altri, stimolandolo all’apprendimento con rinforzi e ricompense.

Ma torniamo all’esperimento di Thordnike

Gli esperimenti erano condotti su un gatto deprivato di cibo, che veniva posto all’esterno della gabbia.

L’animale produceva comportamenti casuali (graffiare le sbarre, scavare il pavimento, miagolare,


etc.) finché casualmente colpiva la leva. Il gatto veniva quindi rimesso in gabbia. Dopo 20-30 prove
il gatto riusciva a trovare velocemente la soluzione ed a raggiungere il cibo (apprendimento per
prove ed errori).
 Procedere a caso fino al raggiungimento dello scopo. Non c’è un “intervento intelligente”
da parte del soggetto nel trovare la soluzione.

L’espressione prova e sbaglia (in inglese trial and error ossia, letteralmente, tentativo ed errore)
denota un metodo euristico che mira a trovare una soluzione a un problema effettuando un tentativo
e verificando se ha prodotto l’effetto desiderato.

In caso positivo il tentativo costituisce una soluzione al problema altrimenti si prosegue effettuando
un diverso tentativo.

Thorndike così introduceva il concetto di motivazione: il successo che discende da un


comportamento agisce come un premio (o rinforzo) per l’azione compiuta. La ripetizione dell’azione
causa il rafforzamento dell’apprendimento. Il successo agisce da rinforzo, l’insuccesso come
punizione.
Il premio ha maggiore forza della punizione.

Burrhus F. Skinner ed il condizionamento operante


Burrhus Skinner è il padre del concetto di condizionamento operante ed insieme a Pavlov
uno dei maggiori e principali esponenti del comportamentismo.
Burrhus Skinner è stato uno dei più influenti psicologi del XX secolo, incidendo un grande
capitolo nella teoria psicologica e nell’applicazione clinica.
Esperimenti come la Skinner box, che gli permisero di formulare le leggi sul
condizionamento operante. Attraverso la Skinner box la cavia può compiere
comportamenti che portano a un rinforzo.
Egli riprende il concetto di rinforzo, già delineato da Thorndike, e si sofferma in molti suoi
lavori in modo specifico sull’insegnamento e sull’apprendimento.
L’apprendimento implica due stadi: il primo concerne il modo in cui l’informazione perviene
al discente; il secondo, la maniera in cui egli la incorpora nella sua struttura cognitiva
preesistente,

Lo strumento sperimentale usato in questo paradigma era la Skinner box: una gabbia in cui
la cavia poteva esplorare liberamente l’ambiente e compiere comportamenti come pigiare
una leva o premere un tasto (vedi l’ esperimento).

Esperimento con la Skinner box

ESPERIMENTO N°1
L’animale posto all’interno della gabbia è a digiuno da molte ore e quindi attivo e alla ricerca di
cibo. Il cibo viene reso disponibile solo quando l’animale preme una delle leve presenti nella gabbia
(solo una funziona). L’animale, muovendosi in modo casuale, prima o poi preme la leva giusta.
Dopo averlo fatto alcune volte per caso, si dirigerà senza esitazione verso quella leva: ha appreso
questa operazione, che viene chiamata operazione condizionata. Un premio che incoraggia la
ripetizione del comportamento come il cibo viene definito rinforzo positivo.

ESPERIMENTO N°2
Il roditore viene posto in una gabbia attraverso la quale avviene un passaggio di corrente. Il topo può
subire una scossa elettrica, tuttavia, azionando una leva in maniera casuale, la scossa si interrompe.
In questo caso vi è un rinforzo negativo, ossia la sottrazione del soggetto da una situazione di disagio.
Anche in questo caso, dopo qualche esperienza, il topo “impara” a compiere quelle azioni che
rimuovono il disagio dovuto alla scossa elettrica.
In entrambi i casi, la risposta del topo (il suo comportamento) induce un rinforzo che funge da
stimolo per comportamenti futuri.
Al contrario, la punizione, riduce la comparsa di un comportamento inadatto o sgradevole.
IL NEO-COMPORTAMENTISMO
Il modello NEO-COMPORTAMENTISTA segna un punto di reale rottura e discontinuità con
il comportamentismo classico. Rappresenta un ponte verso le teorie cognitiviste: si sostituisce
al paradigma stimolo-risposta un nuovo paradigma che prevede la presenza del soggetto
tra lo stimolo e la risposta.
Principali autori del neocomportamentismo:
 EDWARD C. TOLMAN
 CLARK L.HULL
♦ ALBERT BANDURA, con la sua teoria dell’apprendimento sociale e dell’autoefficacia, è
stato un autore fondamentale nel passaggio dall’approccio comportamentista verso la
definizione del cognitivismo.

Edward C. Tolman ed il concetto di apprendimento latente


Tolman parla di apprendimento latente nel libro Introduction and removal of reward, and maze
performance in rats.
Per apprendimento latente questi intendeva mettere in relazione prestazione e apprendimento.
Egli studia il concetto di “scopi”, “mappa cognitiva”, “aspettative”.
Si veda anche Gestalt.
La psicologia della Gestalt (dal tedesco Gestaltpsychologie, “psicologia della forma o
rappresentazione”) è una corrente psicologica incentrata sui temi della percezione e
dell’esperienza. A differenza del comportamentismo, secondo tale corrente
l’apprendimento si basa su processi cognitivi e può essere compreso andando oltre lo
studio del semplice comportamento.
La nascita della psicologia della Gestalt si fa risalire esattamente al 1912 a Max Wertheimer.
Essa studia la non corrispondenza diretta tra realtà empirica e realtà percettiva; per la
Gestalt la forma non è data dalla semplice somma dei suoi elementi ma è qualcosa di
diverso, essendo frutto di elaborazione mentale e cognitiva dei dati visibili.
La percezione dunque non dipende dagli elementi ma dalla strutturazione di questi in un
“insieme organizzato”, in una “Gestalt” (generalmente tradotta con “forma”, “struttura

Del comportamentismo rimane comunque nel sistema di Tolman la metodologia e il punto


di partenza, ovvero il comportamento osservabile.

Vedi la GESTALt (anche dalla chiave di ricerca)

Max Wertheimer (Esponente della Gestalt)


Max Wertheimer stato uno dei maggiori psicologi della Gestal.

Per la Gestalt la forma non è data dalla semplice somma dei suoi elementi ma è qualcosa di diverso,
essendo frutto di elaborazione mentale e cognitiva dei dati visibili.

La percezione dunque non dipende dagli elementi ma dalla strutturazione di questi in un “insieme
organizzato”, in una “Gestalt” (generalmente tradotta con “forma”, “struttura”).

La concezione fondamentale alla base della Gestalt è che nella nostra percezione del mondo esterno
noi non cogliamo delle semplici somme di stimoli, i quali si uniscono a dare gli oggetti, ma
percepiamo delle forme, che sono qualcosa di più e di diverso della semplice somma degli stimoli
che la compongono. Tale teoria si opponeva polemicamente a quanto sostenevano gli psicologi
associazionisti ed elementaristi i quali concepivano invece il processo percettivo come una semplice
opera di sommazione degli stimoli e vedevano il lavoro dello psicologo soprattutto come un’opera
di analisi del percepito, in cui era importante separare il momento della “sensazione” da quello della
vera e propria “percezione”.

Per gli psicologi della forma, invece, tale analisi non era possibile, essendo le forme stesse le minime
unità d’analisi, ulteriormente inscindibili; essi pensavano inoltre che le forme si costituissero sulla
base di certe leggi percettive sostanzialmente innate, legate alla dinamica del sistema nervoso, mentre
per gli associazionisti i legami fra le sensazioni elementari si costituivano sulla base
dell’esperienza passata dell’individuo. La nascita della Gestalt si ebbe con un famoso esperimento di
Wertheimer, del 1911, sul movimento apparente o stroboscopico: il “fenomeno phi”.

Esso consiste nel fatto che, presentando due luci proiettate su uno schermo a una certa distanza l’una
dall’altra, e separate da un breve intervallo temporale, il soggetto non percepisce due luci immobili,
ma un’unica luce in movimento dalla prima alla seconda posizione. Il fenomeno in quanto tale era
noto già da tempo (e del resto è alla base del movimento cinematografico), ma l’originalità di
Wertheimer consiste nell’interpretazione che ne diede. Il fenomeno phi dimostrava, infatti, come il
fatto percettivo fosse inanalizzabile; il movimento (in questo caso il dato più importante che emergeva
a livello percettivo) sarebbe stato distrutto da un processo di analisi, che avrebbe portato solo a trovare
degli stimoli stazionari.

L’esperimento di Wertheimer dimostrava una cosa fondamentale: che il «tutto – cioè il movimento
percepito – è qualcosa di più e di diverso dalla somma dei singoli componenti». Se la percezione
fosse il risultato diretto di quello che accade nel fenomeno fisico, dovremmo vedere luci che si
accendono una dopo l’altra e non una luce in movimento. Dunque è la nostra mente che interviene
attivamente nella costruzione del fenomeno percettivo e lo coglie nella sua totalità.

La mente percepisce il tutto e lo ricostruisce attivamente.


Lo studio della percezione ci mette dunque di fronte a un dubbio sostanziale: quando percepiamo, la
mente «riceve» o «costruisce»? Le percezioni, i ricordi, le conoscenze sono le tracce che abbiamo
semplicemente “registrato” dalla realtà esterna o sono il prodotto di operazioni compiute dalla nostra
mente attraverso le sue strutture.

La risposta della psicologia gestaltista è chiara perché attribuisce i risultati dell’attività percettiva ai
modi in cui la mente ricostruisce i fenomeni che osserviamo. Noi tendiamo a percepire il tutto come
qualcosa di diverso dalle sue singole parti. Lo aveva notato in passato anche lo psicologo e filosofo
austriaco Cristian Von Ehrenfels (1859-1932) facendo osservare come in un brano musicale quello
che la nostra percezione coglie non sono le singole note ma la melodia.

La mente, per la psicologia della Gestalt, percepisce il tutto come indivisibile, ovvero come flusso
continuo e questo “tutto” viene anche completato dalla mente stessa. In questo caso, è bene affermale,
che la percezione è una facoltà mentale attiva, perché non si limita a registrare i fatti ma li ricostruisce
rappresentandoseli.

Clark L. Hull (1884-1952)


l modello di apprendimento elaborato da Hull si caratterizza per una strutturazione ipotetico-
deduttiva che ha lo scopo di sistematizzare la psicologia proprio come lo sono la matematica
e la logica formale contemporanee.
Hull definì infatti la sua teoria come matematica-deduttiva, per indicare non solo che essa
utilizza il metodo ipotetico-deduttivo, ma soprattutto che tale metodo viene utilizzato in
maniera rigorosamente quantitativa. Il metodo è infatti di tipo formale e, partendo da principi
indefiniti e definizioni, si sviluppa poi in postulati, corollari, teoremi e problemi. I postulati
vengono enunciati prima in forma verbale, poi in notazione logica simbolica formale e infine
spiegati e corroborati da esempi sperimentali. I teoremi sono enunciati, poi dimostrati per
derivazione matematica da definizioni e postulati, poi sottoposti, quando è possibile, a test
sperimental
♦ ALBERT BANDURA, con la sua teoria dell’apprendimento sociale e
dell’autoefficacia, è stato un autore fondamentale nel passaggio dall’approccio
comportamentista verso la definizione del cognitivismo.

Albert Bandura ha formulato la teoria dell’apprendimento sociale, di stampo


comportamentista.
Mediante una serie di esperimenti, Bandura stabilisce che un modello aggressivo tende ad
essere giustificato e imitato dai bambini quando questi si trovano in uno stato di irritazione.

Questi risultati aprono le porte al concetto di apprendimento osservativo (o apprendimento


vicario) Tipo di apprendimento che si discosta dal paradigma stimolo-risposta-rinforzo e avviene
tramite l’osservazione di un modello di comportamento (osservazione diretta di un modello,
descrizione verbale di un comportamento, rappresentazione pittorica o simbolica).

La teoria dell’apprendimento sociale e dell’autoefficacia


La teoria dell’apprendimento sociale di Bandura è conosciuta anche come teoria
dell’apprendimento per osservazione o imitazione.
Dal 1961 al 1963 Bandura e il suo team cercarono di dimostrare l’importanza dell’apprendimento per
osservazione nei bambini, nello specifico dimostrarono che l’imitazione di un modello, l’adulto,
aveva più influenza nei bambini rispetto al semplice rinforzo, che ha lo scopo di consolidare un
comportamento, un apprendimento.
Vedi il famoso L’esperimento della bambola Bobo è uno dei più famosi.

All’ esperimento presero parte bambini di età compresa tra i 3 e i 6 anni che frequentavano l’asilo dell’Università di
Stanford.

Lo psicologo divise i bambini in 3 gruppi:

 Il primo gruppo venne condotto in una sala piena di giochi dove un adulto colpiva con una mazza e insultava
una bambola di grandi dimensioni, Bobo.
 Nel secondo gruppo c’era sempre un adulto, ma non mostrava alcuna forma di aggressività nei confronti della
bambola.
 Infine, il gruppo di controllo non prevedeva la presenza di un adulto come modello.
Risultati: la maggior parte dei bambini esposti al modello aggressivo erano più propensi a comportarsi in modo
fisicamente aggressivo rispetto ai bambini che invece non avevano assistito ad un comportamento aggressivo.
Grazie a questo esperimento, Bandura ebbe anche modo di dimostrare che esistono 3 forme di apprendimento per
osservazione:

 Attraverso un modello in persona, ovvero un individuo che realizza un determinato comportamento.


 Attraverso un’istruzione verbale che implica una descrizione dettagliata di un comportamento.
 La terza modalità è legata ad una dimensione simbolica, il modello in questo caso può essere il personaggio
fittizio di un libro, di un fumetto, di un film o anche di una persona reale di cui si imita il comportamento
attraverso i mezzi disponibili.
Il comportamentismo classico

Il condizionamento classico di Pavlov


Noti a questo proposito sono gli studi del Nobel per la medicina Ivan Pavlov (1849-1936), il
fisiologo russo che dimostrò, attraverso l’osservazione sistematica di cani sottoposti a particolari
stimolazioni, il legame tra stimoli e risposte. Pavlov osservò che nei cani si produceva un’aumentata
salivazione in conseguenza all’assunzione di cibo. Sfruttando questa associazione di stimoli e
introducendo quello che definì SC, ovvero uno stimolo neutro come un suono, ottenne ugualmente la
reazione di salivazione, pur eliminando la somministrazione del cibo.

Gli esperimenti condotti sui cani consentirono di ottenere da parte degli animali una risposta
fisiologica di salivazione anche in assenza della somministrazione di cibo, confermando l’avvenuto
apprendimento della risposta incondizionata per via associativa.

STIMOLI E RINFORZI
Il rinforzo viene somministrato ogni volta con parametri di risposta diversi (es la prima volta dopo 3
pressioni della leva, la seconda volta dopo 5 pressioni ecc.).

Si distinguono «rinforzi primari» e «rinforzi secondari» a secondo se collegati ai bisogni primari


(mangiare, bere, dormire, bisogni vitali), ed ai bisogni secondari (accettazione, socialità,
realizzazione).

Caratteristiche fondamentali che lo rendono maggiormente efficace nel determinare il


comportamento di un soggetto (nell’apprendere):
 qualità e quantità
 il ritardo
Può essere di due tipi:

rinforzo primario (o incondizionato) Così chiamato perchè soddisfa i bisogni primari


dell’individuo (sonno, fame, sete).
 rinforzo secondario (o condizionato) Evento che soddisfa i bisogni non primari (es.
nell’animale, gettoni che permetto poi di ottenere cibo, nell’essere umano il denaro).
Garantisce la gratificazione anche se non la fornisce direttamente
Viene distinto (in base al numero di risposte fornite) in:

Rinforzo a rapporto fisso (fixed interval) Il rinforzo viene erogato dopo un numero prefissato di
volte (per esempio ogni 3 volte che l’animale preme la leva).

Rinforzo a rapporto variabile (fixed ratio) Il rinforzo viene somministrato ogni volta con
parametri di risposta diversi (es la prima volta dopo 3 pressioni della leva, la seconda volta
dopo 5 pressioni ecc.).
Si distinguono «rinforzi primari» e «rinforzi secondari» a secondo se collegati ai bisogni
primari (mangiare, bere, dormire, bisogni vitali), ed ai bisogni secondari (accettazione,
socialità, realizzazione).

Il rinforzo viene somministrato ogni volta con parametri di risposta diversi (es la prima volta dopo 3
pressioni della leva, la seconda volta dopo 5 pressioni ecc.).

Si distinguono «rinforzi primari» e «rinforzi secondari» a secondo se collegati ai bisogni primari


(mangiare, bere, dormire, bisogni vitali), ed ai bisogni secondari (accettazione, socialità,
realizzazione).

Il rinforzo e la tecnica della token economy


Caratteristiche fondamentali che lo rendono maggiormente efficace nel determinare il
comportamento di un soggetto (nell’apprendere):
 qualità e quantità
 il ritardo
Può essere di due tipi:

 rinforzo primario (o incondizionato)


 rinforzo secondario (o condizionato)
Viene distinto (in base al numero di risposte fornite) in:

 Rinforzo a rapporto fisso (fixed interval)


 Rinforzo a rapporto variabile (fixed ratio)
Il sistema lavora come nel metodo e nella tecnica della token economy usata nell’ABA. Se la risposta
è positiva ti do un token.

Il rinforzo viene somministrato ogni volta con parametri di risposta diversi (es la prima volta dopo 3
pressioni della leva, la seconda volta dopo 5 pressioni ecc.).

Si distinguono «rinforzi primari» e «rinforzi secondari» a secondo se collegati ai bisogni primari


(mangiare, bere, dormire, bisogni vitali), ed ai bisogni secondari (accettazione, socialità,
realizzazione).
Il condizionamento operante di Skinner
Il condizionamento operante
Il condizionamento operante
Il condizionamento operante è stato introdotto da Edward Lee Thorndike (1874-1949) e
approfondito dallo psicologo statunitense Burrhus Skinner (1904-1990), secondo cui
l’apprendimento avviene mediante «rinforzo» di una delle tante risposte presenti nel contesto. Nei
suoi esperimenti condotti sui topi egli notò che il topo chiuso in una gabbia, se premeva una leva
casualmente e otteneva cibo (rinforzo), apprendeva ad abbassare la leva per ottenerlo nuovamente. Si
era, cioè, strutturato un condizionamento operante.

Si può sostenere, sintetizzando, che dagli studi sul condizionamento operante derivi l’assunto secondo
cui i comportamenti rinforzati positivamente tendono a ripetersi, quelli rinforzati negativamente o
non rinforzati, tendono a estinguersi. Si distinguono, inoltre, i rinforzi primari, che soddisfano i
bisogni fondamentali, come fame e sete, dai rinforzi secondari.

Per la psicologia dello sviluppo e per la moderna pedagogia, questi studi acquisiscono una particolare
significatività.

La maggior parte delle strategie educative proposte come vincenti per la prima infanzia, ma anche
per l’adolescenza, si fonda su questi concetti.

Nella moderna psicologia dello sviluppo, i ricercatori hanno spostato l’attenzione dagli animali ai
bambini e ci si è domandati se il condizionamento classico è applicabile ai bambini. A tale scopo
sono state fatte osservazioni precise sul riflesso di suzione nel lattante.

JOHN B. WATSON → legge della frequenza/ legge della recenza


JOHN B. WATSON → legge della frequenza/ legge della recenza

Nella teoria elaborata da W. il comportamento è considerato soprattutto nei termini di adattamento


dell’organismo all’ambiente e di contrazioni muscolari e viene a costituire l’unità di misura
dell’osservazione psicologica. La mente, e tutto ciò che vi è dentro, è insondabile dal metodo delle
scienze naturali che è quello galileiano.
Il comportamentismo da lui espresso è detto radicale per l’assolutismo delle sue posizioni, in netto
contrasto a quelle della psicologia strutturalista cui W. rimproverava l’uso del metodo introspettivo
che faceva riferimento a esperienze private e dunque non osservabili se non da parte del soggetto
esperiente. La psicologia avrebbe invece dovuto studiare il comportamento definito in termini di
reazioni muscolari e ghiandolari. I principi cui W. fa riferimento nel suo studio sul
comportamento sono la frequenza, la recenza e il condizionamento.
Watson afferma che tanto più frequentemente e tanto più recentemente un’associazione si è verificata,
maggiore è la proabilità che questa si verifichi. Il principio del condizionamento sostiene che
nell’organismo esistono risposte incondizionate a determinate situazioni.
In pratica non basta solo condizione il cane (Pavlov) ma bisogno farlo con intervalli ed in intervalli
di tempo fissi in modo che il condizionamento abbia successo, deve perciò il condizionamento essere
ripetuto, continuo e costante.
La tecnica di tipo comportamentista e della frequenza è applicata sopratutto con i bambini autistici
nel metodo ABA con frequenze di gratificazioni anche che coprono intervalli di pochi secondi. Tra
stimolo e rinforzo ci deve essere una giusta correlazione temporale in pratica.

Thorndike: il modello di apprendimento per prove ed errori, l’esperimento del gatto


ed il modello ABA usato oggi
Thorndike studiò le modalità con cui gli animali riuscivano ad apprendere ad uscire da una gabbia
(puzzle box) che poteva essere aperta premendo con la zampa una leva. Si ricorda, che l’approccio
del coportamentismo è sempre quello di considerare tutte le forme di apprendimento, anche
l’apprendimento umano come quello di un “animale”. Questi ricercatori studiano i sistemi neuronali,
il cervello delle forme viventi che sono chiamati all’apprendimento.
Cane (Pavolov), topolini (Skinner) ed ora un gatto per Thorndike.
Anche se sembrerebbe essere superato tale modello, in realtà esso è ancora usato nell’ABA in
un trattamento specifico.
Il metodo ABA, acronimo inglese di Applied Behavioral Analysis, è il ramo applicativo dell’Analisi
del Comportamento, la scienza che si occupa di descrivere le relazioni tra il comportamento degli
organismi e gli eventi che lo influenzano, e deve molto agli studi ed alle ricerche dei
comportamentisti.
Il campo di applicazione di questa tecnica in cui si è mostrata una più significativa crescita e
applicazione è quello riguardante i bambini con disturbo autistico. Anni di studi e ricerche hanno
dimostrato l’efficacia del metodo ABA nel ridurre comportamenti disfunzionali e nel migliorare ed
aumentare la comunicazione, l’apprendimento e comportamenti socialmente appropriati.
L’obiettivo del trattamento di un bambino autistico con il metodo ABA è quello di migliorare la sua
qualità di vita e le relazioni con gli altri, stimolandolo all’apprendimento con rinforzi e ricompense.

Ma torniamo all’esperimento di Thordnike

Gli esperimenti erano condotti su un gatto deprivato di cibo, che veniva posto all’esterno della gabbia.

L’animale produceva comportamenti casuali (graffiare le sbarre, scavare il pavimento, miagolare,


etc.) finché casualmente colpiva la leva. Il gatto veniva quindi rimesso in gabbia. Dopo 20-30 prove
il gatto riusciva a trovare velocemente la soluzione ed a raggiungere il cibo (apprendimento per
prove ed errori).
L’espressione prova e sbaglia (in inglese trial and error ossia, letteralmente, tentativo ed errore)
denota un metodo euristico che mira a trovare una soluzione a un problema effettuando un tentativo
e verificando se ha prodotto l’effetto desiderato.

In caso positivo il tentativo costituisce una soluzione al problema altrimenti si prosegue effettuando
un diverso tentativo.

Thorndike così introduceva il concetto di motivazione: il successo che discende da un


comportamento agisce come un premio (o rinforzo) per l’azione compiuta. La ripetizione dell’azione
causa il rafforzamento dell’apprendimento. Il successo agisce da rinforzo, l’insuccesso come
punizione.
Il premio ha maggiore forza della punizione.
La ricompensa ed il sistema prove ed errori di Thorndike
Un altro psicologo di tipo comportamentista è lo statunitense Edward L. Thorndike.
Nella teoria dell’apprendimento provata e pensata anche nell’addestramento degli animali, egli
studiava le ricompense.
Ricordiamo che la ricompensa è il rinforzo una volta che un soggetto abbia portato a termine
con successo quanto l’addestratore o l’istruttore ha assegnato. Ricompensa e compito assegnato
sono correlati.
Il modello delle ricompense agisce sul processo di apprendimento.
Egli studia il modello di apprendimento per “prove ed errori”. Detto anche sistema trial ed error.
L’espressione prova e sbaglia (in inglese trial and error ossia, letteralmente, tentativo ed errore)
denota un metodo euristico che mira a trovare una soluzione a un problema effettuando un tentativo
e verificando se ha prodotto l’effetto desiderato.

L’espressione prova e sbaglia (in inglese trial and error ossia, letteralmente, tentativo ed errore)
denota un metodo euristico che mira a trovare una soluzione a un problema effettuando un tentativo
e verificando se ha prodotto l’effetto desiderato. In caso positivo il tentativo costituisce una soluzione
al problema altrimenti si prosegue effettuando un diverso tentativo.

Alcune caratteristiche del metodo prova e sbaglia sono le seguenti.

 È orientato alla soluzione: non si propone di scoprire perché un tentativo funziona ma si limita a
cercarlo.
 È specifico del problema in esame: non ha alcuna pretesa di generalizzazione ad altri problemi.
 Non è ottimale: si limita in genere a trovare una sola soluzione che di solito non sarà la migliore
possibile.
 Non richiede una conoscenza approfondita: si propone di trovare una soluzione ad un problema di cui
magari si conosce poco o nulla.
È possibile usare il prova e sbaglia per trovare tutte le soluzioni o la migliore soluzione nel caso in
cui ne esista un numero finito. In tal caso, anziché fermarsi al primo tentativo che ha fornito un esito
desiderato, se ne prende nota e si continua nei tentativi fino a trovare tutte le soluzioni. Alla fine
queste vengono confrontate sulla base di un dato criterio che determinerà quali tra esse è da
considerarsi la migliore.

Thorndike formula le cosidette “leggi dell’apprendimento” che si vanno aggiungere a quella della
frequenza da individuata da Watson:

 Legge dell’esercizio: l’apprendimento è graduale e migliora con la ripetizione delle prove


 Legge dell’effetto: l’apprendimento avviene in funzione delle conseguenze del comportamento:
azioni seguite da riduzione di “stati di bisogno” o ricompense tendono ad essere ripetute.
 Legge del trasferimento: una risposta acquisita in una situazione verrà effettuata in altre situazioni
nella misura in cui queste ultime sono simili alla prima.
Thorndike anticipa il comportamentismo in molti modi: Non usa l’introspezione e si concentra sul
comportamento osservabile; formula una teoria dell’apprendimento basata sulla connessione tra
stimoli e risposte, il che rende necessarie poche ipotesi su cosa succede dentro l’individuo;
generalizza dall’animale all’umano. Per esempio, la sua pedagogia utilizza le leggi
dell’apprendimento di cui sopra: occorre fare esercizio (legge dell’esercizio), i comportamenti
“giusti” vanno premiati e quelli “sbagliati” puniti (legge dell’effetto) e non ci si può aspettare che
l’apprendimento sia generalizzato al di fuori dell’ambito specifico di insegnamento (legge del
trasferimento).

⇒ In caso positivo il tentativo costituisce una soluzione al problema altrimenti si prosegue effettuando
un diverso tentativo.

La base dell’apprendimento ipotizzata da Thorndike è l’associazione tra le impressioni sensoriali e


gli impulsi all’azione, cioè la “connessione”. Poiché sono queste connessioni che si rafforzano o si
indeboliscono nella formazione o nell’estinzione di abitudini, il sistema di Thorndike viene
definito connessionismo.
Una volta individuato il comportamento soddisfacente, per Thorndike è importante formulare delle
leggi che possano descrivere come l’animale apprende e adotta successivamente tale comportamento
in situazioni analoghe (legge dell’effetto/ legge dell’esercizio/ legge della prontezza).
Legge dell’effetto
Le azioni che producono effetti soddisfacenti hanno più probabilità di essere ripetute quando si
presenta la stessa situazione, e quindi di essere apprese. Le azioni che producono effetti spiacevoli
o sono prive di effetti hanno sempre meno probabilità di essere ripetute e quindi apprese.
Legge dell’esercizio
Comportamenti più spesso esercitati hanno maggiori probabilità di essere impiegati in condizioni
simili.

Legge della prontezza


La correlazione stimolo – risposta viene rafforzata dall’esercizio e si indebolisce quando
l’addestramento è discontinuo.
Un soggetto trova stimolante compiere una certa associazione quando è pronto, sufficientemente
maturo per compierla. Se non è nello stato di poterla compiere, il fatto di metterla in atto porta ad una
situazione di disagio. In modo analogo, l’essere pronti a svolgere una certa associazione e non essere
messi in condizione di farlo crea uno stato di disagio.

Per Edward L. Thorndike gli studenti erano incoraggiati dai buoni risultati ma che il
peggioramento degli stessi non insegnava loro a correggere gli errori.
Il contrario di questo approccio sarà poi successivamente la didattica dell’errore.

“E’ sorprendente vedere come gli studenti possano perdere una parte della loro paura di sbagliare,
profondamente radicata in loro, quando si trovano con un insegnante che non chiede loro di essere
nel giusto, ma soltanto di unirsi a lui nella ricerca dell’errore: del suo come del proprio” (Postman,
1981)
La teoria dell’apprendimento sociale e il concetto di auto-efficacia di Bandura
La teoria dell’apprendimento sociale di Bandura è di tipo neo-comportamentista, mediante una serie
di esperimenti, Bandura stabilisce che un modello aggressivo tende ad essere giustificato e imitato
dai bambini quando questi si trovano in uno stato di irritazione.

In un’epoca in cui il comportamentismo dominava la psicologia, Bandura ha elaborato la sua teoria


dell’apprendimento sociale. A partire da questo momento, si inizia ad attribuire importanza ai
processi cognitivi e sociali che intervengono nel processo di apprendimento delle persone e non
solo a prendere in considerazione le associazioni tra stimoli e rinforzi che seguono un determinato
comportamento, come aveva fatto il comportamentismo.
La persona non è più considerata un burattino del contesto, ma un individuo in grado di mettere in
gioco i suoi processi privati, come l’attenzione o il pensiero, per imparare.

Per Bandura ci sono quattro fasi in cui avviene il processo di apprendimento per imitazione:
1. l’attenzione
2. la ritenzione,
3. l’esecuzione
4. la motivazione
Albert Bandura, la teoria dell’apprendimento sociale e il concetto di auto-efficacia .

Per Bandura i bambini imparano in un ambiente sociale imitando il comportamento altrui. Imitazione
di un modello, in tal senso usando una tecnica di osservazione di un modello e apprendendo per
imitazione.

Con il concetto di autoefficacia, Bandura si riferisce alla convinzione di poter avere successo o di
fallire in una prestazione.
L’autoefficacia, meglio nota come autoefficacia percepita citando esattamente le parole usate da
Albert Bandura, corrisponde alla consapevolezza di essere capace di dominare specifiche attività,
situazioni o aspetti del proprio funzionamento psicologico o sociale. In altre parole, è la percezione
che abbiamo di noi stessi di sapere di essere in grado di fare, sentire, esprimere, essere o divenire
qualcosa.
Questi risultati aprono le porte al concetto di apprendimento osservativo (o apprendimento vicario).
Essi riconobbero l’importanza dell’APPRENDIMENTO OSSERVATIVO, cioè l’acquisizione di
nuove capacità o informazioni, o il cambiamento di vecchi comportamenti, attraverso la semplice
osservazione degli altri bambini e degli adulti o anche leggendo un libro.
Per Bandura (1986) la maggior parte dell’apprendimento ha luogo attraverso l’osservazione e
l’insegnamento, piuttosto che grazie ad un comportamento manifesto del tipo per “prove ed errori”.
Esperimento con la bambola Bobo di Bandura
All’ esperimento presero parte bambini di età compresa tra i 3 e i 6 anni che frequentavano l’asilo
dell’Università di Stanford. Il modelling e la teoria dell’osservazione ci dicono che a maggior parte
dei bambini esposti al modello aggressivo erano più propensi a comportarsi in modo
fisicamente aggressivo rispetto ai bambini che invece non avevano assistito ad un comportamento
aggressivo. Una sorta di rinforzo vicario all’azione che viene appresa per imitazione di un modello
genitoriale o di un modello adulto.
Bandura formò tre gruppi di bambini in età prescolare:
 nel primo gruppo inserì uno dei suoi collaboratori che si mostrò aggressivo nei confronti di
un pupazzo gonfiabile chiamato Bobo. L’adulto picchiava il pupazzo con un martello gridando:
«Picchialo sul naso!» e «Pum pum!».
 nel secondo gruppo, quello di confronto, un altro collaboratore giocava con le costruzioni di legno
senza manifestare alcun tipo di aggressività né interesse nei confronti di Bobo.
 infine, il terzo gruppo, quello di controllo, era formato da bambini che giocavano da soli e
liberamente, senza alcun adulto con funzione di modello.
In una fase successiva i bambini venivano condotti in una stanza nella quale vi erano
giochi neutri (peluche, modellini di camion) e giochi aggressivi (fucili, martelli finti).

Bandura poté verificare che i bambini che avevano osservato l’adulto picchiare Bobo manifestavano
un’incidenza maggiore di comportamenti aggressivi sia verso persone che verso oggetti, sia rispetto
a quelli che avevano visto il modello pacifico sia rispetto a quelli che avevano giocato da soli.

sto esperimento, Bandura ebbe anche modo di dimostrare che esistono 3 forme di apprendimento per
osservazione:

 Attraverso un modello in persona, ovvero un individuo che realizza un determinato comportamento.


 Attraverso un’istruzione verbale che implica una descrizione dettagliata di un comportamento.
 La terza modalità è legata ad una dimensione simbolica, il modello in questo caso può essere il
personaggio fittizio di un libro, di un fumetto, di un film o anche di una persona reale di cui si imita il
comportamento attraverso i mezzi disponibili.

La teoria dell’apprendimento sociale di Bandura o neo-compotarmentismo


Attenzione, ritenzione, esecuzione, motivazione: teoria dell’apprendimento sociale
di Bandura
La teoria dell’apprendimento sociale di Albert Bandura va oltre il comportamentismo classico di
Pavlov e Skinner e pone al centro l’osservazione come mezzo di apprendimento anche in assenza di
rinforzo.
Bandura riconosce comunque il ruolo delle circostanze, considerandole una parte importante del
processo di apprendimento, ma non l’unica. Secondo l’autore, il rinforzo è necessario affinché si
verifichi l’esecuzione, non l’apprendimento in sé.
Egli parla anche etichettamento eufemistico legato al costrutto del disimpegno morale elaborato da
Bandura è un meccanismo che ridimensiona la dolorosità delle conseguenze attraverso una
distorsione concettuale del vero significato dell’azione.
Ricordiamo che per eufemismo si intende la sostituzione di un’espressione propria e abituale con una attenuata
o alterata, suggerita da scrupolo morale o religioso o da riguardosità: per
es. alienato per pazzo ; andarsene per morire.
L’apprendimento è un processo che implica il vivere delle esperienze che provocano un cambiamento
più o meno permanente in chi apprende. Ma avviene anche perché vediamo altri fare certe cose ed
applichiamo un modello ad altri, o gli altri ci fanno da modello per certi comportamento.

 L’apprendimento dipende dall’esperienza, infatti ogni apprendimento è esperienziale;


 Può essere consapevole o inconsapevole;
 La predisposizione ad apprendere è potente fin dalla nascita e ci accompagna per tutto l’arco della
vita.

Per Bandura ci sono quattro fasi in cui avviene il processo di apprendimento per imitazione:

1. l’attenzione
2. la ritenzione,
3. l’esecuzione
4. la motivazione
Bandura ha individuato 4 SOTTOPROCESSI alla base dell’APPRENDIMENTO tramite
OSSERVAZIONE.

1. Attenzione – notare qualcosa nell’ambiente


2. Ritenzione – ricordare ciò che è stato notato
3. Riproduzione – produrre un’azione copia di quella notata
4. Motivazione – le conseguenze cambiano la probabilità che quell’azione venga prodotta di nuovo
L’apprendimento in quest’ottica non sarebbe più associato alla sola esperienza diretta, bensì
all’imitazione di modelli mediante il processo di rinforzo vicariante, per cui le conseguenze relative
al comportamento del modello (ricompensa o punizione) hanno lo stesso effetto sull’osservatore.

In tale contesto, il bambino assume un ruolo attivo nel processo di organizzazione ed elaborazione
degli stimoli provenienti dall’ambiente esterno.

⇒ I rinforzi non derivano più, dunque, dall’ambiente esterno ma dall’elaborazione individuale degli
stessi (rinforzi intrinseci).

Per Bandura, una fonte di auto-efficacia sono le “esperienze di padronanza”

I diversi modelli di apprendimento


L’apprendimento, nella psicologia cognitiva, consiste nell’acquisizione o nella modifica
di conoscenze, comportamenti, abilità, valori o preferenze e può riguardare la sintesi di diversi tipi
di informazione. Possiedono questa capacità gli esseri umani, gli animali, le piante e
alcune macchine. L’evoluzione del comportamento nel tempo segue una curva di apprendimento.

Apprendimento associativo detto anche semplice o meccanico, l’apprendimento associativo è fondato


dalla relazione stimolo-risposta che mette capo alla formazione di abitudini. Esso comprende il
condizionamento classico, il condizionamento operante e l’apprendimento di risposte combinate

Lo studio dell’apprendimento umano fa parte della psicologia sperimentale, della pedagogia,


della psicologia cognitiva e delle scienze dell’educazione.

Le istituzioni dell’educazione formale devono tener conto dei principi generali che regolano
l’apprendimento nella stesura del progetto educativo. Numerose sono le agenzie sociali che
producono apprendimento informale. Possono essere appresi sia comportamenti adattativi che
disadattivi.
2.Il cognitivismo

L’approccio cognitivista prende distanza dai modelli comportamentisti spostando l’attenzione dal
concetto di associazione a quello di soggetto attivo nell’ elaborazione della realtà circostante, dando
pertanto maggior rilievo ai processi interni di elaborazione e rappresentazione.
Se nella prospettiva comportamentista l’apprendimento viene studiato attraverso il comportamento
manifesto e trattato come un fenomeno “unitario”, nella nuova prospettiva cognitivista si osserva
una frammentazione dell’ambito di indagine e l’apprendimento viene ridefinito in relazione
alle diverse componenti cognitive coinvolte. In particolare, si verifica una forte associazione tra
lo studio dell’apprendimento e quello della memoria, in quanto, per poter imparare, è innanzitutto
necessario saper codificare, immagazzinare, integrare e ricordare un set d’informazioni. Quindi dal
momento che le informazioni vengono processate dapprima dai sensi e successivamente dalla
memoria, la progettazione dei contenuti formativi deve tener conto della necessità di assicurare tale
trasferimento nel modo più efficace possibile. Quando infatti tale trasferimento non avviene
immediatamente, l’informazione viene persa.

Principali autori del cognitivismo di seconda generazione:

David Paul Ausubel e l’apprendimento significativo


David Paul Ausubel (New York, 25 ottobre 1918 – New York, 9 luglio 2008) è stato
uno psicologo statunitense.

Ha fornito contributi significativi nei campi della psicologia dell’educazione, delle scienze
cognitive e della didattica delle discipline scientifiche. È noto per avere sviluppato la strategia
cognitiva degli “organizzatori avanzati”.
Ausubel accoglie l’idea piagetiana di apprendimento come processo di assimilazione e
accomodamento di nuovi concetti.

Si oppone invece alle teorie comportamentiste in quanto ritiene che a livello scolastico
l’apprendimento non si possa considerare di natura stimolo-risposta, interessando processi cognitivi
superiori al fine di risultare significativo.

Ausbel sviluppa la propria riflessione in un periodo in cui la corrente di pensiero comportamentista


domina il panorama scientifico.

Egli si pone in contrasto con tale corrente di pensiero e polarizza la sua riflessione sull’apprendimento
di tipo cognitivo, cioè sull’acquisizione e sull’utilizzo della conoscenza.

Per Ausubel l’apprendimento significativo è il processo attraverso il quale le nuove informazioni


entrano in relazione con i concetti preesistenti nella struttura cognitiva della persona. Questo
approccio presuppone un ruolo attivo, una scelta consapevole da parte di chi apprende.
L’ORGANIZZATORE PROPEDEUTICO
David Ausubel propose un organizzatore propedeutico che premette allo studente di richiamare e
trasferire pregresse conoscenze a nuove informazioni che gli vengono presentate. Questa teoria è
basata sull’idea che l’apprendimento sia facilitato, se l’allievo può aggiungere significato alle
nuove informazioni. Se può essere stabilita una correlazione tra nuove informazioni e conoscenze
precedentemente acquisite l’esperienza dell’apprendimento diventerà più significativa per l’allievo.
Da questo momento in poi la nuova informazione può considerarsi appresa.
L’organizzatore propedeutico non è una strategia adoperata dall’allievo ma usata dall’insegnante
(potrebbe essere un breve e generico discorso preparato dall’insegnante, prima di presentare il nuovo
materiale, per introdurre la lezione). Alcune caratteristiche basilari:
1. è una breve, astratta presentazione;
2. è un ponte che connette le analogie delle cose note con quelle ignote;
3. è adoperato come introduzione al nuovo materiale;
4. è un abbozzo della nuova informazione ed una riaffermazione della precedente conoscenza
5. aiuta a strutturare la nuova informazione
6. incoraggia gli studenti a trasferire ed applicare la precedente conoscenza
7. consiste di informazioni concrete

Joseph D. Novak
Ha scritto e citiamo qui come fonti di numerosi articoli e libri tra cui “A theory of education”
(1977) e “Learning how to learn” (1984).

Novak – Le mappe concettuali


La tecnica delle mappe concettuali è stata sviluppata da Novak negli anni ’60.

Essa si basa sulle teorie di Ausubel, il quale ha evidenziato l’importanza dellen pre-conoscenze
possedute dalle persone per l’apprendimento di nuovi concetti.

Partendo dal presupposto che “l’apprendimento significativo implica l’assimilazione dei nuovi
concetti nelle strutture cognitive esistenti“, nacque l’ipotesi della costruzione delle mappe
concettuali per poter formalizzare la conoscenza strutturata, ovvero il modo in cui i vari concetti
posseduti sono interconnessi tra di loro all’interno di un determinato dominio conoscitivo.
Le mappe sono un modello di come noi organizziamo e applichiamo le conoscenze. Possono
essere categorizzate, connettive, associative, specificative o divise in categorie, ad esempio di tipo
causale o temporale.
Una mappa evidenzia i saperi di una persona permettendole di guardarsi in profondità e capire le
proprie conoscenze. Rende cioè esplicito e conscio ciò che è spesso implicito. Punto focale della
costruzione delle mappe è la loro dinamicità intrinseca, per cui, in differenti contesti e in tempi
diversi le rappresentazioni possono essere molto diverse.
Le mappe toccano alcuni degli elementi centrali delle tecnologie didattiche e dell’apprendimento.

Assumendo che le tecnologie didattiche hanno lo scopo di rendere più efficace il processo formativo,
le mappe, in quanto strumenti di rappresentazione, innalzano da un lato la nostra comprensione su
come gli studenti organizzano ed usano le loro conoscenze, dall’altro aumentano gli strumenti
di autovalutazione dei processi di apprendimento. Per loro natura, infatti, le mappe fanno parte di
quegli attrezzi cognitivi che supportano, guidano ed estendono il processo di pensiero di chi li usa, in
quanto è molto difficile costruire delle rappresentazioni significative senza riflettere profondamente
sulle informazioni possedute.

Lev Semënovic Vygotskij


Massimo esponente della scuola storico-culturale secondo la quale lo sviluppo delle facoltà psichiche
non è solo influenzato da fattori biologici, ma anche da fattori storici, sociali e culturali.

Vygotskij affronta la problematica del linguaggio come strumento di sviluppo cognitivo.


Egli dà al linguaggio egocentrico del bambino un valore cognitivo rilevante: esso, infatti, è
essenzialmente un ragionare ad alta voce.

Sappiamo che, tipicamente, gli adulti svolgono dei ragionamenti mediante il loro linguaggio interiore,
ossia mentalmente ragionano su dei problemi o su delle azioni che stanno svolgendo, senza parlare
ad alta voce. Il linguaggio egocentrico del bambino è la manifestazione di tale linguaggio interiore
che però si palesa con un linguaggio esteriore, ossia un vero e proprio linguaggio parlato, che gli altri
possono ascoltare.

Il linguaggio aggiunge alle capacità del bambino i seguenti fattori:


– la moltiplicazione di stimoli;
– la funzione auto-regolativa.
Nella risoluzione di un problema o nello svolgimento di un compito, l’essere umano, a differenza
dell’animale, può disporre di due tipi di funzioni psichiche:

– Funzioni psichiche inferiori: sono tipiche anche degli animali e si caratterizzano per la fusione
del funzionamento percettivo/mnemonico con quello motorio;
–Funzioni psichiche superiori: entrano in gioco quando si usano sistemi simbolici o anche il
linguaggio.

Approfondimento Vygotskij
Lev Semënovic Vygotskij (Orša, 1896 – Mosca, 1934) è considerato il massimo esponente
della scuola storico-culturale, secondo la quale lo sviluppo delle facoltà psichiche non è solo
influenzato da fattori biologici, ma anche da fattori storici, sociali e culturali. Nella sua breve vita,
Vygotskij ha avuto modo di apportare contributi determinanti allo studio delle modalità con le quali
linguaggio e simboli sviluppano le funzioni cognitive. Inoltre, ha fornito spunti interessanti sulla
validità pedagogica del gioco e ha introdotto il concetto di zona di sviluppo prossimale. La sua
maggiore opera, pubblicata postuma, è Pensiero e linguaggio del 1934.

Jean Piaget
Piaget è uno studioso dell sviluppo cognitivo del bambino. Sebbene collocato nell’ambito del
cognitivismo, Piaget è anche precursore di successive teorie dell’apprendimento, in particolare del
costruttivismo.
Piaget compie uno studio sperimentale sulle strutture e dei processi cognitivi legati alla costruzione
della conoscenza nel corso dello sviluppo.
Gli stadi, come definiti dallo stesso Piaget, si suddividono in:
 Stadio senso-motorio da 0 ai 2 anni.
 Stadio pre-operatorio dai 2 ai 6 anni.
 Stadio operatorio concreto dai 6 ai 12
 Stadio operatorio formale dai 12 anni in poi
Ad ogni stadio come vedremo poi segue un sotto-stadio.

Piaget ha tratto delle conclusioni a proposito di ciò che pensano i bambini. A 4 anni essi cominciano
a porsi domande sull’origine delle cose. A 5/6 anni vi è una tendenza all’animismo (vedere un anima
anche in cose inanimate o artificiali), a 8 pensano che siano stati degli esseri antropomorfici a creare
il mondo (artificialismo). A 11-12 anni i bambini definiscono esseri viventi solo piante ed animali.

Il bambino è un costruttore di teorie, fa delle generalizzazioni ed applica dei copioni e ama fare
narrazioni.

Sintesi ad esempio di sviluppo del bambino: Appena nati i bambini riescono a riconoscere i propri
simili. A 2 anni compare il desiderio, a 4 la credenza, la capacità di elaborare spiegazioni complesse
dei comportamenti degli altri. A 4 anni i bambini non sono in grado di dire bugie complesse ed
intenzionali, a 5 sì.

Sue opere principali Lo sviluppo mentale del bambino (1964) e La psicologia del bambino (1966).
Questa teoria verrà ripresa successivamente ne L’epistemologia genetica (1970).
La teoria degli stadi di Piaget
Secondo Piaget lo sviluppo non è un processo innato, ma nasce dall’interazione tra individuo e
ambiente: la mente è come un organismo vivente che in rapporto col proprio ambiente si accresce.
Fattori generali dello sviluppo sono:
 la maturazione del sistema nervoso,
 l’apprendimento attraverso l’esperienza diretta;
 l’interazione sociale;
 l’integrazione adattiva attraverso cui il bambino autoregola il proprio sviluppo.
Il pensiero del bambino si accresce da sé grazie ad alcuni meccanismi fondamentali, che Piaget
definisce invarianti funzionali, cioè dei principi costantemente attivi e operanti a qualsiasi età, questi
sono l’organizzazione, l’adattamento, l’equilibrazione.

Jerome Bruner
Jerome Seymour Bruner ( New York, 1915-2016) è uno studioso americano che ha fornito contributi
rilevanti nel campo della psicologia cognitiva, aderendo inizialmente al movimento psicologico
chiamato New look. Il suo interesse si è ampliato anche al campo dell’educazione e le teorie da lui
elaborate hanno riscosso notevole successo, rendendolo uno dei pedagogisti di riferimento dell’età
contemporanea.
E’ autore di numerose opere, tra le quali è essenziale ricordare A Study of Thinking (1956), The
Process of Education (1960) e Toward a Theory of Instruction (1966).
Infine, J. S. Bruner nel libro La cultura dell’educazione tradotto in italia nel 1996 afferma che la
scuola non può mai essere considerata culturalmente “indipendente”.

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Curricolo a spirale
Così detto perchè inizialmente presenta le idee chiave in modo semplice e intuitivo, ma
periodicamente ritorna su tali idee, rivisitandole in una forma diversa, sempre più elaborata, e facendo
leva su forme di rappresentazione sempre più formali e simboliche.
Bruner parte dal presupposto che “Gli aspetti fondamentali di ciascuna disciplina possono essere
insegnati a chiunque, qualsiasi età egli abbia, purchè siano messi in una certa forma“. Quando queste
idee sono colte intuitivamente in una forma preliminare e basilare, è più semplice comprenderle in
seguito, nel momento in cui devono essere presentate sotto un aspetto più formale. Ad esempio, la
comprensione intuitiva di alcuni fenomeni fisici facilita la comprensione di questi ultimi in una fase
successiva, quando verranno presentati mediante equazioni e formule.

L’apprendimento per scoperta


L’essenza vera della scoperta è la possibilità di riarrangiare o trasformare quanto risulta evidente
dall’esperienza, in modo che si possa andare oltre l’esperienza visibile. In questo senso, la scoperta
può essere una modalità adatta a favorire negli alunni un modo di pensare autonomo che potrà
permettere loro di continuare ad apprendere nella vita.

Come realizzare un apprendimento per scoperta? Bruner identifica 2 tipologie di approccio


all’insegnamento:
1. INSEGNAMENTO ESPOSITIVO: il docente ha la libertà di organizzare i contenuti e i
concetti che vuole presentare.
2. INSEGNAMENTO IPOTETICO: pone docente e studente su un piano collaborativo; lo
studente prende parte alla formulazione dei contenuti e talvolta gioca il ruolo principale. Si
tratta di un insegnamento che favorisce l’apprendimento per scoperta.

Lo scaffolding (1976)
Bruner, insieme ad altri studiosi, riprende il concetto di problem solving e lo riallaccia a quello
di scaffolding, termine inglese che significa impalcatura.
La figura chiave è quella del tutor (un adulto, un insegnante, un esperto) che affianca
nell’apprendimento e nella scoperta un soggetto apprendente (un bambino, uno studente o una
persona meno esperta), che viene definito tutee.
L’ipotesi di partenza è che l’apprendente sia in possesso di alcune abilità di base (abilità inferiori) e
il tutor deve prevedere che tali abilità vengano combinate per raggiungere un’abilità superiore
mediante la risoluzione di un problema più o meno complesso.
⇒ Pertanto, lo scaffolding è un processo che permette ad un bambino o ad uno studente di risolvere
un problema o raggiungere un obiettivo che andrebbe oltre le sue possibilità, qualora non fosse
assistito.

Il termine deriva dalla parola inglese scaffold, che, letteralmente, indica “impalcatura” o “ponteggio”.
Letteralmente ci si riferisce alle impalcature di tipo edilizio, di legno o di acciaio, che consentono agli
operai di svolgere lavori di costruzione o ristrutturazione. In ambito didattico tale termine ha assunto
il valore metaforico di sostegno, supporto, guida al processo di apprendimento di un ragazzo, messa
in atto dal docente o da un compagno, che lo aiuta progressivamente ad emanciparsi e ad assumere
in modo autonomo percorsi di conoscenza.

Il termine scaffolding viene utilizzato in psicologia e pedagogia per indicare l’aiuto dato da una
persona ad un’altra per svolgere un compito e venne utilizzato per la prima volta in ambito psicologico
in un articolo scritto da J. Bruner, D. Wood e G. Ross, nel 1976 e pubblicato dal Journal of Child
Psychology and Psychiatry.

Il termine venne usato quindi anche come metafora per indicare l’intervento di una persona
più esperta che ne aiuta una meno esperta ad effettuare un compito, risolvere un problema o
raggiungere un obiettivo che non riuscirebbe a raggiungere senza un adeguato sostegno così
come le impalcature sostengono gli operai durante i lavori edilizi. Si tratta, dunque, del sostegno
che un esperto (adulto o pari) offre ad un apprendista durante la costruzione attiva del suo
processo di apprendimento.
Una comprensione del concetto di scaffolding può essere offerta dalla lettura del concetto di ” zona
di sviluppo prossimale” di S. Vygotskji che indica le competenze potenzialmente acquisibili che un
allievo potrebbe raggiungere con l’aiuto di una figura esperta andando oltre l’”area effettiva di
sviluppo”, cioè le competenze effettivamente acquisite da un soggetto ad un certo momento dello
sviluppo cognitivo.
Lo sviluppo cognitivo per Bruner
Per Bruner lo sviluppo cognitivo può essere delineato mediante il concetto di rappresentazione, con
cui egli intende una modalità di elaborazione delle informazioni che provengono al soggetto
dall’ambiente circostante, un sistema di codifica.

Esistono tre modalità di rappresentazione:

esecutiva: Sono le prime ad emergere e a svilupparsi nel primo anno di vita. I bambini comprendono
gli oggetti in termini di azioni che possono svolgere con loro. Queste rappresentazioni permangono
anche nei periodi successivi di vita, per codificare informazioni che vengono meglio descritte tramite
sequenze di gesti (es. procedura per allacciare le scarpe).
iconica: Originano durante il secondo anno di vita, avvengono in forma di immagini (es. immagine
che ritrae le caratteristiche di una persona conosciuta o di un dipinto noto).
simbolica: Originano più tardi delle altre. Sono codifiche basate sul linguaggio e su altre basi
astratte (simboli, segni). Rispetto alle precedenti non necessitano di una somiglianza con la realtà
(es. simboli matematici, formule di composti chimici).
È il modo in cui le informazioni vengono elaborate che differenzia i percorsi dello sviluppo
psicologico di un individuo.

1. rappresentazione esecutiva (azione),


2. rappresentazione iconica (immagine)
3. rappresentazione simbolica (linguaggio)
Egli individua tre modalità di elaborazione del pensiero che non costituiscono fasi disgiunte
o stadi di sviluppo, ma possono coesistere.

Ciascuna di esse si manifesta in un dato periodo dell’evoluzione del bambino/adolescente. Tuttavia,


permane e si evolve, senza essere completamente sostituita dalle altre. Le rappresentazioni esecutive
sono le prime ad emergere e a svilupparsi nel primo anno di vita.

⇒ N.B. Nonostante Piaget e Vygotsky sono anche i precursori del costruttivimo, gli autori principali
del costruttivismo sono:

Heinz Werner e Jerome Bruner


Heinz Werner (1890-1964) propose un concetto di sviluppo che parte da una matrice di ordine
biologico. Facendo un parallelismo tra sviluppo psichico e fisico, egli descrisse lo sviluppo adottando
il principio della crescente organizzazione: in particolare, lo psicologo austriaco sostenne che lo
sviluppo prende le mosse da un insieme indifferenziato, partendo dal quale procede poi per tappe di
differenziazione e organizzazione gerarchica. Le acquisizioni che caratterizzano i diversi periodi di
vita sono affiancate a ciò che il bambino ha già appreso, ma ad un livello gerarchico superiore. Anche
lo sviluppo psicologico, pertanto, procede da una comprensione globale del dato intrapsichico
(emozioni, sensazioni) e della realtà ad una comprensione analitica.

Jerome Bruner (1915-2016) ritiene che per sviluppo si debba intendere lo sviluppo cognitivo.
Tale sviluppo non avviene per stadi come nella teoria di Piaget, ma è legato alle strategie messe in
atto dall’individuo per affrontare e padroneggiare una determinata situazione di vita in un determinato
contesto.
È il modo in cui le informazioni vengono elaborate che differenzia i percorsi dello sviluppo
psicologico di un individuo.

1. rappresentazione esecutiva (azione),


2. rappresentazione iconica (immagine)
3. rappresentazione simbolica (linguaggio)
Egli individua tre modalità di elaborazione del pensiero che non costituiscono fasi disgiunte
o stadi di sviluppo, ma possono coesistere.

L’azione si riferisce alla prima modalità di conoscenza, prettamente manipolativa, corrispondente a


ciò che il bambino fa esplorando intenzionalmente l’ambiente. Tale attivazione ha come scopo
proprio la conoscenza dell’ambiente e della realtà.

La rappresentazione iconica (fino ai 7 anni) corrisponde alle immagini mentali che il bambino si
costruisce in base all’esperienza e che costituiscono forme di riorganizzazione della realtà.
L’acquisizione del linguaggio fornisce poi al bambino uno strumento di codifica e decodifica della
realtà ancora più complesso. I processi mentali hanno pertanto, per Bruner, un fondamento sociale.

I concetti fondamentali di BRUNER:


EVOLUZIONE – CULTURA E ISTRUZIONE per Bruner
EVOLUZIONE – CULTURA E ISTRUZIONE
Il modello formale di Bruner che sta sottende alle strategie cognitive è di grande interesse pedagogico
per l’importanza che dà all’inferenza, all’intuizione e alla creatività.

Bruner chiarisce ciò che va considerato innato e acquisito nei fattori che intervengono nei processi
cognitivi.
Introduce la nozione di modello: in quanto sistema psichico di riferimento sia delle modalità della
rappresentazione che dell’inferenza percettiva e concettuale (è personale, del soggetto quando
conosce) e sostiene che i fondamenti di simili modelli appartengono al patrimonio innato e sono:
– l’idea di causa e effetto, come struttura di connessione tra dati
– l’idea di identità, come fondamento del riconoscimento percettivo
– il principio di gerarchia, come struttura di ordinamento per classi
– modalità strutturali del linguaggio o universali linguistici
Questi 4 modelli si sviluppano in funzione degli usi della cultura e in seguito vengono adattati agli
usi individuali.

Innatismo: i fattori invarianti della conoscenza (i principi della sua organizzazione) risultano
connessi alla trasformazione dei modelli rappresentativi, in funzione degli usi sociali e della cultura
–> l’essere umano è portatore di qualcosa di universale che lo accomuna ad ogni altro essere umano,
ma nello stesso tempo ha tratti distintivi di natura individuale; questi tratti vincolano le nostre attività
percettive e concettuali.
E’ importante anche l’evoluzione che gli esseri umani conoscono grazie alla loro esperienza sociale
–> fondamentale è l’uso degli oggetti (vedi TEORIA DEGLI OGGETTI) come amplificatori:
– amplificatori delle capacità motorie umane: grande varietà di arnesi
– amplificatori delle capacità sensorie: mezzi di comunicazione
– amplificatori delle capacità raziocinative umane: linguaggio, mito, teoria, spiegazione
La cultura diventa lo strumento principale per garantire l’adattamento con le sue tecniche di
trasmissione. Una pedagogia dell’adeguamento alla natura del bambino non è più proponibile perché:
– il bambino è il prodotto di un’evoluzione biologica e sociale
– l’adattamento ad una società in trasformazione e caratterizzata da un’informazione altamente
simbolica richiede abilità naturali sempre più specializzate, sostenute dalla rappresentazione
simbolica.
Se il ritmo evolutivo è quello che va dall’azione all’immagine al simbolo, all’istruzione della civiltà
contemporanea è un’adeguata accelerazione dei ritmi di sviluppo. Per dare forza alla sua tesi Bruner
riporta ai termini estremi le forme dei processi di apprendimento nelle società primitive:
– fra gli adulti e i bambini le sfere sociali sono differenziate solo secondo le relative capacità;
– fin dall’inizio il bambino è orientato verso la stessa realtà degli adulti.

L’apprendimento nelle società tecnologiche per Bruner è diverso da quello delle società semplici o
primitive.
Al contrario in una civiltà tecnologicamente avanzata:
– il processo di apprendimento perde il suo carattere di continuità con la vita adulta;
– l’apprendimento si svolge al di fuori del contesto dell’azione e lontano dalla percezione diretta
della realtà;
– prevale la comunicazione simbolica;
– la conoscenza e l’abilità diventano sempre più smisurate e così anche i limiti di queste che tutti
possono raggiungere;
– si sviluppa una netta distinzione tra il mondo degli adulti e quello dei bambini;
– si sviluppa una nuova tecnica per istruire i giovani fondata soprattutto sul conoscere e sul sapere
anziché sul fare;
– il mondo dell’apprendimento del fanciullo a scuola si distacca dalla vita, dal contesto immediato
dell’azione sociale.

Bruner prende atto della crisi irreversibile della scuola attiva di Dewey:
occorre prendere atto che la società è sempre più formalizzata, quindi la scuola deve rapidamente
superare i momenti dell’azione e dell’immaginazione per introdurre gli alunni nel mondo dei simboli;
occorre anche lasciare spazio alle emozioni, alla metafora, al mito, all’invenzione e alla creatività;
richiama l’attenzione sui tratti reali della società di oggi per permettere la sopravvivenza e
l’evoluzione degli esseri umani; il fine formativo dell’uomo del presente-futuro è l’eccellenza o
l’ideale della perfezione.
Il soggetto è protagonista e occorre che vada al di là dell’informazione data.
Il processo cognitivo secondo Bruner è diviso in 2 fasi:
1. salto dai dati dei sensi ad un’ipotesi di prima approssimazione derivante dal rapporto tra
l’informazione in arrivo e un modello formatosi internamente e basato sull’esperienza passata.
2. ricerca di conferma in cui l’ipotesi iniziale viene messa alla prova di dati ulteriori (se c’è concordanza
l’ipotesi viene mantenuta, altrimenti viene modificata fino alla soluzione).
Al contrario dell’uomo del comportamentismo (trattenuto da relazioni meccaniche), dell’uomo della
psicanalisi (che agisce sulla base di impulsi), dell’uomo attivo di Dewey (che necessita dell’azione
come movente del suo pensiero), l’uomo di Bruner è visto come un elaboratore di
informazioni all’interno di un processo cognitivo nel quale i dati della situazione ambientale e di
esperienza sono superati dall’inferenza o dalla creatività in relazione alle capacità cognitive dei
singoli e dei loro atti di conoscenza, rifacendosi in tal senso ad un modello cognitivista-strutturalista.
Il soggetto va sempre al di là dell’informazione data attraverso:
– l’inferenza –> gli esseri umani riescono a risalire da pochi spunti o indizi ad una classe si identità
o equivalenza (grande economia di processi adattivi all’ambiente).
– invenzione o atto intuitivo o creatività –> uno schema viene trasferito a dei dati precedentemente
giudicati eterogenei rispetto ad esso (inscrizione di dati entro un nuovo sistema di codificazione).
L’inferenza intuitiva non è una sequenza per prove ed errori (comportamentismo), né un’ipotesi da
mettere alla prova mediante le conseguenze dell’azione (Dewey), ma è un atto autonomo di
conoscenza, tanto più produttivo quanto più ricco è l’insieme dei modelli già posseduti dal soggetto.
Intuizione e creatività non nascono dal vuoto ma dal patrimonio conoscitivo del soggetto e dalla sua
abilità di utilizzare i propri modelli. Ricordare è riflettere o ricostruire sulla base di un principio una
serie di dati.

Bruner – teoria degli oggetti ed amplificatori cognitivi


Bruner elabora la teoria degli oggetti come “amplificatori di capacità umane e strumenti di
potenziamento dell’apprendimento”, detta anche teoria degli amplificatori cognitivi.
Bruner RIPRENDE IN PRATICA il concetto stimolo-mezzo di Vigostkij. Il concetto infatti ricorda
quello di stimolo-mezzo, cioè qualcosa “creato” dall’uomo; è utilizzato per instaurare un nuovo
rapporto stimolo-risposta e promuovere lo svolgimento del comportamento in una direzione diversa.
In particolare egli studia l’importanza dell’uso di strumenti e simboli nello sviluppo umano come
stimoli-mezzo.

L’esempio più celebre con cui Vygotskij illustrava il concetto di stimolo-mezzo è quello del
fazzoletto: se una persona deve ricordarsi di svolgere una mansione, può fare un nodo su un
fazzoletto; il nodo è uno stimolo-mezzo, che media il rapporto tra il dovere di compiere una mansione
e l’azione-risposta. Ad esempio, potremmo dire una sveglia. L’uomo programma la sveglia, un
oggetto esterno a cui affida il compito di svegliarlo. Questo oggetto creato e programmato dall’uomo
agisce sull’uomo stesso dando a questi una capacità di programmazione del sonno che egli
naturalmente non ha. Nessun essere umano può decidere il minuto preciso in cui svegliarsi.

Ad esempio, l’essere umano non è dotato in modo naturale di un sistema di regolazione del sonno ma
tramite la sveglia può auto-programmarsi. Ricorriamo più spesso di quello che crediamo a questi
oggetti esterni per poter gestire meglio ed amplificare le nostre capacità cognitive. Un agenda
telefonica o una rubrica del cellulare, non sono altro che estensioni della memoria umana,
amplificano la memoria umana. Certo un essere umano conosce molti numeri di telefono a
memoria ma non può conoscerli oltre un certo numero, una memoria digitale è quasi infinita.
Un essere umano ha una voce, questa voce è anche abbastanza forte può raggiungere
un’ascoltatore a diversi metri, ma non a centinaia di metri. Per fare questo deve amplificare la
propria voce tramite sistemi tecnologici.
Il comportamento umano è quindi mediato da stimoli-mezzo, i quali possono essere strumenti esterni
(il nodo del fazzoletto), ma anche strumenti acquisiti dall’ambiente sociale e interiorizzati.

1. – amplificatori delle capacità motorie umane: grande varietà di arnesi, ma anche bicicletta,
auto, che permettono all’uomo di muoversi di più più a lungo o più velocemente, o di afferrare
più oggetti o tramite una gru di di alzare grossi pesi – l’idea di fondo è che la Tecnica sia uno
strumento per potenziare le capacità fisiche umane
2. – amplificatori delle capacità sensorie: mezzi di comunicazione – la televisione o lo schermo
l’occhio, la radio l’orecchio, etc.
3. – amplificatori delle capacità raziocinative umane: linguaggio, mito, teoria, spiegazione –
connesse come abbiamo visto al pensiero narrativo

APPROFONDIMENTO

Un brano di BRUNER evoluzione umana ed evoluzione del cervello, dalle società primitive, alle
società moderne….

Nell’individuo anche la rappresentazione dell’ambiente dipende da tecniche apprese: tecniche di


rappresentazione attraverso l’azione, attraverso l’immagine, attraverso i simboli. Lo sviluppo
cognitivo dell’uomo, influenzato dalla cultura, può assumere caratteristiche diverse a seconda dei
diversi contesti culturali. In queste pagine analizza le differenze tra i processi di apprendimento che
si verificano in società “primitive” (in cui si trasmettono tecniche e regole nel contesto dell’azione)
e quelli che si verificano nella società “tecnologica” (che si serve di simboli astratti).

“Sembrerebbe ora … che la grande dimensione del cervello di alcuni ominidi sia uno sviluppo
relativamente tardo e che il cervello si sia evoluto in forza della nuova pressione
selettiva successiva al bipedalismo e conseguente all’uso degli arnesi. L’uso degli arnesi, la vita sul
suolo, la vita di caccia crearono il grande cervello umano e non fu l’uomo dal grande cervello a
scoprire certi nuovi modi di vita. Crediamo che questa conclusione sia il piú importante risultato delle
recenti scoperte degli ominidi fossili e sia una conclusione ricca delle piú ampie implicazioni per
l’interpretazione del comportamento umano e delle sue origini… L’importante è che la grandezza del
cervello, per quanto può essere misurato in base alle capacità delle scatole craniche si è accresciuta
quasi di tre volte in seguito all’uso ed alla costruzione degli arnesi… L’unicità dell’uomo moderno è
vista come il risultato di una vita tecnico-sociale che triplicò la grandezza del cervello, ridusse la
faccia e modificò molte altre strutture del corpo”.
Questa tesi implica che il principale cambiamento dell’uomo in un lungo periodo di anni (forse
cinquecentomila) sia stato alloplastico piuttosto che autoplastico. Cioè egli si è trasformato,
vincolandosi a nuovi ed esterni sistemi di attrezzature, anziché mediante un notevole cambiamento
di morfologia: “evoluzione-per-protesi”, come la chiama Weston La Barre. I sistemi di attrezzature
sembra siano stati di tre tipi generali: 1) amplificatori delle capacità motorie umane che vanno
dall’arnese per tagliare, passano per la leva e la ruota e giungono alla grande varietà degli arnesi
moderni; – 2) amplificatori delle capacità sensorie, che includono gli artifici primitivi come le
segnalazioni col fumo e quelli moderni come l’ingrandimento ed il radar, ma anche probabilmente
includono quei “software” come i riduttori percettivi convenzionalizzati che possono essere applicati
ad un ambiente sensoriamente ridondante; – infine, 3) amplificatori delle capacità raziocinative
umane infinitamente vari, che vanno dal linguaggio al mito, alla teoria ed alla spiegazione. Tutte
queste forme di amplificazione sono piú o meno convenzionalizzate e trasmesse mediante la cultura;
l’ultima di esse è probabilmente la piú notevole, dal momento che gli amplificatori raziocinativi
implicano sistemi di simboli governati da regole, che bisogna condividere, per poterli usare.
Ogni sistema di attrezzature, per essere efficace, deve produrre un’adeguata contropartita interna,
un’abilità appropriata, necessaria all’organizzazione degli atti sensomotori, per organizzare i percetti
e i nostri pensieri in un modo che li renda adeguati alle esigenze dei sistemi di strumenti. Queste
abilità interne rappresentate geneticamente come capacità, vengono lentamente selezionate
nell’evoluzione. Nel senso piú profondo, perciò, l’uomo può essere descritto come una specie che
acquista specializzazione attraverso l’uso di strumenti tecnologici. La sua selezione e la sua
sopravvivenza sono dipese da una morfologia e da un insieme di capacità, che potevano essere legate
ad artifici alloplastici, che hanno reso possibile la sua successiva evoluzione. Noi ci muoviamo,
percepiamo e pensiamo in una maniera che dipende dalle tecniche piuttosto che da collegamenti
presenti nel nostro sistema nervoso.

IL PENSIERO NARRATIVO DI BRUNER


ll pensiero narrativo ed il pensiero paradigmatico di Bruner
Avere buon bagaglio di conoscenze e informazioni debba possedere anche consapevolezza dei suoi
meccanismi di apprendimento, di come procede il suo pensiero per acquisire la capacità di
organizzare la sua vita di adulto.

Secondo Bruner il pensiero narrativo è uno dei due modi principali di pensiero con cui gli esseri
umani organizzano e gestiscono la loro conoscenza del mondo, anzi strutturano la loro stessa
esperienza immediata.
Il lavoro di Bruner approfondisce infatti gli aspetti della memoria autobiografica e del pensiero
narrativo ( a cui poi nel Novecento si ispirerà anche Duccio Demetrio). Oggi diremmo l’uomo è un
animale coinvolto in un processo continuo di storytelling di racconto continuo di storie.
Esistono due tipi di pensiero:

1) paradigmatico, tipico della verità scientifica e quello narrativo, basato sul criterio della
verosimiglianza e che presenta le caratteristiche del racconto, tramite il quale è possibile ricondurre
a unitarietà e dare senso alle vicende personali . Il procedimento logico-scientifico, l’altro modo con
cui gli esseri umani organizzano e gestiscono la loro conoscenza del mondo, ha come obiettivo quello
di chiarire, di togliere le ambiguità.
2) narrativo, tipico delle storie e dei racconti ha come sua natura la proprietà di esprimere più
significati, e questa polisemia del racconto significa apertura al possibile: il racconto diventa una via
di trasmissione aperta di un sapere che non può essere limitato agli enunciati dimostrativi della
scienza, ma veicolato da un processo che fa riferimento al voler conoscere, al saper ascoltare, al saper
scegliere, al saper fare.
Due aspetti fondamentali del pensiero narrativo.

1. La dimensione interpretativa: in essa si contrappongono la “canonicità” di una narrazione e la


sua apertura alla “possibilità”. In questo il pensiero narrativo costituisce il mezzo di
stabilizzazione di una cultura, ma anche del suo continuo rinnovamento.
2. Il pensiero narrativo è costituito dalla “creazione narrativa del sé”, dimensione essenziale di
costruzione della identità soggettiva e insieme di apertura costante all’Altro (autobiografia ed
auto-descrizione di sè)
Vedi anche il concetto di SET COGNITIVO  Il set cognitivo di Bruner è un meccanismo di
percezione selettiva degli elementi della realtà in continuo mutamento.
La selezione è in effetti dovuta a strutture mentali intrinseche che già la Gestalt aveva
proposto, ma queste strutture non sono semplici meccanismi innati e statici di
organizzazione del percepito, ma mutevoli forme fortemente influenzate da esperienze
passate, bisogni ed interessi sviluppati dall’individuo.

L’educazione non è qualcosa di avulso dal contesto culturale e sociale, essa esiste e si struttura
all’interno di esso.
Lo sviluppo della competenza narrativa va incontro a questa esigenza; saper narrare non è una dote
innata ma un’abilità che può essere coltivata.

Bruner individua due punti fondamentali da cui partire: la conoscenza che ogni bambino deve avere
relativamente alle fiabe e ai racconti tipici della propria tradizione culturale e la convinzione che il
raccontare storie sviluppa la capacità immaginativa, offrendo così strumenti adeguati per costruire
con più sicurezza gli scenari della propria vita.

Altra componente del pensiero narrativo è l’intersoggettività del linguaggio non verbale, ossia la
«capacità di capire attraverso il linguaggio e i gesti o con altri mezzi, cosa hanno in mente gli altri»,
e di relazionare tutto quanto ad un contesto che ne specifica il significato.
In virtù di questa capacità, gli uomini riescono a negoziare i significati al di là del linguaggio verbale.
La psicologia culturale ha trovato un ottimo campo di applicazione in ambito educativo; essa sostiene
l’approccio interattivo (intersoggettivo) anche all’interno della classe: non è l’insegnante il detentore
del sapere da trasmettere ma è nello scambio collaborativo e cooperativo tra tutti, alunni e insegnanti
che si crea l’apprendimento.

Bruner nel suo testo La cultura dell’educazione propone una panoramica dei modelli educativi e di
apprendimento nella realtà scolastica evidenziandone i diversi aspetti; volendo fare una sintesi si
possono individuare due linee teoriche principali: una basata sul rapporto esternalizzazione-
internalizzazione, ossia l’indagine spazia dalla modalità tradizionale di trasmettere insegnamenti
dall’esterno a quella che parte dal presupposto di verificare la prospettiva del bambino, agendo
dall’interno per capire che cosa può o vuole fare.
L’altra considera la dimensione oggettività intersoggettività che pone l’insegnante su un piano
totalmente distaccato dall’alunno nel primo caso o lo rende esso stesso partecipe delle teorie insegnate
nel secondo caso.
Bruner si ispira a quattro idee fondamentali:

– capacità di azione (agency). La mente è intesa come agente, è orientata al raggiungimento di


obiettivi, è selettiva ed interpretativa. È nella sua attività di scambio con altre menti che si attiva il
dialogo costruttivo della realtà, negoziando ipotesi, formulando strategie
– riflessione. L’apprendimento non è completo se non è accompagnato dalla comprensione profonda
e contestuale di ciò che si apprende; ogni materia deve essere interpretata nel suo significato al di là
della pura spiegazione scientifica.
– collaborazione. Comporta la messa in comune delle abilità e risorse, lo scambio interattivo tra
alunni e insegnanti come momento di maggior apprendimento.
– cultura. L’insieme di credenze, miti, mitologie anche contemporanei, sogni, pensieri, usanze,
credenze, comportamenti che è in continua evoluzione e che è costantemente modificato
dall’interagire degli individui, che rappresenta il mondo in cui viviamo.
Il minimo comune denominatore di tutto quanto sopra detto si trova nella narrazione: è coltivando
questa fondamentale abilità che traggono nutrimento e possono attecchire le quattro linee educative
sopra descritte, la narrazione come forma mentis, come struttura che organizza il corpus delle
conoscenze e come supporto alle pratiche educative scolastiche.
Bruner propone un altro concetto interessante che ha influenzato il modo di pensare l’apprendimento
e le ricerche in merito: l’idea del curriculum a spirale, ossia il metodo più efficace per affrontare un
argomento consiste nel partire da un’idea intuitiva comprensibile e familiare all’alunno per poi
procedere a spiegazioni più formali seguendo un moto circolare crescente fino alla completa
comprensione. In altre parole: si può insegnare qualsiasi argomento a qualsiasi bambino a qualsiasi
età, purché ciò sia fatto in forma accettabile; e si dovrebbe aggiungere, non slegato dalla
comprensione pratica del contesto entra il quale si sviluppa il ragionamento. Tale concetto è
applicabile ad ogni sfera della conoscenza.
La forma narrativa è quella che consente di meglio percorrere la spirale della conoscenza.

LA TEORIA DEL SET COGNITIVO di Bruner


l set cognitivo di Bruner è un meccanismo di percezione selettiva degli elementi della realtà
in continuo mutamento.
La selezione è in effetti dovuta a strutture mentali intrinseche che già la Gestalt aveva
proposto, ma queste strutture non sono semplici meccanismi innati e statici di
organizzazione del percepito, ma mutevoli forme fortemente influenzate da esperienze
passate, bisogni ed interessi sviluppati dall’individuo.

Di Bruner si ricordi anche la sua concezione del curricolo a spirale.

LA TEORIA DEGLI OGGETTI O AMPLIFICATORI di Bruner


Bruner – teoria degli oggetti ed amplificatori cognitivi
Bruner elabora la teoria degli oggetti come “amplificatori di capacità umane e strumenti di
potenziamento dell’apprendimento”, detta anche teoria degli amplificatori cognitivi.
Bruner RIPRENDE IN PRATICA il concetto stimolo-mezzo di Vigostkij. Il concetto infatti ricorda
quello di stimolo-mezzo, cioè qualcosa “creato” dall’uomo; è utilizzato per instaurare un nuovo
rapporto stimolo-risposta e promuovere lo svolgimento del comportamento in una direzione diversa.
In particolare egli studia l’importanza dell’uso di strumenti e simboli nello sviluppo umano come
stimoli-mezzo.

L’esempio più celebre con cui Vygotskij illustrava il concetto di stimolo-mezzo è quello del
fazzoletto: se una persona deve ricordarsi di svolgere una mansione, può fare un nodo su un
fazzoletto; il nodo è uno stimolo-mezzo, che media il rapporto tra il dovere di compiere una mansione
e l’azione-risposta. Ad esempio, potremmo dire una sveglia. L’uomo programma la sveglia, un
oggetto esterno a cui affida il compito di svegliarlo. Questo oggetto creato e programmato dall’uomo
agisce sull’uomo stesso dando a questi una capacità di programmazione del sonno che egli
naturalmente non ha. Nessun essere umano può decidere il minuto preciso in cui svegliarsi.

Ad esempio, l’essere umano non è dotato in modo naturale di un sistema di regolazione del sonno ma
tramite la sveglia può auto-programmarsi. Ricorriamo più spesso di quello che crediamo a questi
oggetti esterni per poter gestire meglio ed amplificare le nostre capacità cognitive. Un agenda
telefonica o una rubrica del cellulare, non sono altro che estensioni della memoria umana,
amplificano la memoria umana. Certo un essere umano conosce molti numeri di telefono a
memoria ma non può conoscerli oltre un certo numero, una memoria digitale è quasi infinita.
Un essere umano ha una voce, questa voce è anche abbastanza forte può raggiungere
un’ascoltatore a diversi metri, ma non a centinaia di metri. Per fare questo deve amplificare la
propria voce tramite sistemi tecnologici.
Il comportamento umano è quindi mediato da stimoli-mezzo, i quali possono essere strumenti esterni
(il nodo del fazzoletto), ma anche strumenti acquisiti dall’ambiente sociale e interiorizzati.

1. – amplificatori delle capacità motorie umane: grande varietà di arnesi, ma anche bicicletta, auto, che
permettono all’uomo di muoversi di più più a lungo o più velocemente, o di afferrare più oggetti o
tramite una gru di di alzare grossi pesi – l’idea di fondo è che la Tecnica sia uno strumento per
potenziare le capacità fisiche umane
2. – amplificatori delle capacità sensorie: mezzi di comunicazione – la televisione o lo schermo l’occhio,
la radio l’orecchio, etc.
3. – amplificatori delle capacità raziocinative umane: linguaggio, mito, teoria, spiegazione – connesse
come abbiamo visto al pensiero narrativo

AUSUBEL
Gli “organizzatori” di Ausbel a cui deve ricorre l’insegnante nel processo di
apprendimento
Per agevolare l’appropriazione significativa di un contenuto da parte dello studente, l’insegnante
deve ricorrere ⇒ a degli “organizzatori”, che egli chiama organizers o ad advance organizers.
Domanda uscita alle preselettive cn la traduzione italiana: “organizzatori” didattici o anche
come “anticipatori”.

Gli organizzatori sono: esempi, problemi, in generale materiali che strutturano idee rilevanti e
significative, le quali fungono da base di riferimento a cui agganciare il nuovo
contenuto. Organizzatori didattici.
Gli organizzatori possono avere “funzione espositiva”, quando dotano lo studente di una base
concettuale più generale a lui nota, o “di confronto”, quando suggeriscono idee familiari con cui le
nuove possano essere comparate e integrate o differenziate. Per Ausubel:
In generale le operazioni cognitive che si verificano durante il processo di apprendimento sono:
1) la progressiva differenziazione e specificazione a partire da idee più generali;
2) la concettualizzazione a un livello superiore, con la conseguenza di un’estensione della matrice
di apprendimento del soggetto.
Esempi, problemi, materiali collegati alle esperienze e conoscenze del discente fanno sì che anche
l’apprendimento per ricezione possa essere significativo. Ausubel ci tiene a sfatare una credenza
diffusa, quella in base a cui solo l’apprendimento per scoperta è significativo. A suo avviso entrambe
le tipologie di acquisizione di informazione possono dar luogo a un apprendimento o meccanico o
significativo.

D’altra parte l’apprendimento ricettivo, che passa essenzialmente per il canale verbale e che per
Ausubel è quello privilegiato a scuola, implica la capacità di astrazione da parte dell’alunno proprio
perché non prevede la scoperta. A fare la differenza tra apprendimento meccanico e significativo è la
motivazione del discente e la capacità dell’insegnante a promuovere un’assimilazione attiva e
autocritica, delineando ad esempio le somiglianze e le differenze tra concetti collegati, chiedendo agli
alunni di riformulare nuove proposizioni con parole loro, ecc.
L’apprendimento è dunque determinato sia da variabili intrapsichiche (cognitivo e
motivazionali), che situazionali (di contesto, di classe e di ambiente di apprendimento).

I concetti fondamentali di Bruner:


EVOLUZIONE – CULTURA E ISTRUZIONE per Bruner
Il modello formale di Bruner che sta sottende alle strategie cognitive è di grande interesse
pedagogico per l’importanza che dà all’inferenza, all’intuizione e alla creatività.

Bruner chiarisce ciò che va considerato innato e acquisito nei fattori che intervengono nei
processi cognitivi.
Introduce la nozione di modello: in quanto sistema psichico di riferimento sia delle modalità
della rappresentazione che dell’inferenza percettiva e concettuale (è personale, del
soggetto quando conosce) e sostiene che i fondamenti di simili modelli appartengono al
patrimonio innato e sono:
– l’idea di causa e effetto, come struttura di connessione tra dati
– l’idea di identità, come fondamento del riconoscimento percettivo
– il principio di gerarchia, come struttura di ordinamento per classi
– modalità strutturali del linguaggio o universali linguistici
Questi 4 modelli si sviluppano in funzione degli usi della cultura e in seguito vengono adattati
agli usi individuali.

Innatismo: i fattori invarianti della conoscenza (i principi della sua organizzazione) risultano
connessi alla trasformazione dei modelli rappresentativi, in funzione degli usi sociali e della
cultura –> l’essere umano è portatore di qualcosa di universale che lo accomuna ad ogni
altro essere umano, ma nello stesso tempo ha tratti distintivi di natura individuale; questi
tratti vincolano le nostre attività percettive e concettuali.
E’ importante anche l’evoluzione che gli esseri umani conoscono grazie alla loro esperienza
sociale –> fondamentale è l’uso degli oggetti (vedi TEORIA DEGLI OGGETTI) come
amplificatori:
– amplificatori delle capacità motorie umane: grande varietà di arnesi
– amplificatori delle capacità sensorie: mezzi di comunicazione
– amplificatori delle capacità raziocinative umane: linguaggio, mito, teoria, spiegazione
La cultura diventa lo strumento principale per garantire l’adattamento con le sue tecniche di
trasmissione. Una pedagogia dell’adeguamento alla natura del bambino non è più
proponibile perché:
– il bambino è il prodotto di un’evoluzione biologica e sociale
– l’adattamento ad una società in trasformazione e caratterizzata da un’informazione
altamente simbolica richiede abilità naturali sempre più specializzate, sostenute dalla
rappresentazione simbolica.
Se il ritmo evolutivo è quello che va dall’azione all’immagine al simbolo, all’istruzione della
civiltà contemporanea è un’adeguata accelerazione dei ritmi di sviluppo. Per dare forza alla
sua tesi Bruner riporta ai termini estremi le forme dei processi di apprendimento nelle società
primitive:
– fra gli adulti e i bambini le sfere sociali sono differenziate solo secondo le relative capacità;
– fin dall’inizio il bambino è orientato verso la stessa realtà degli adulti.
L’apprendimento nelle società tecnologiche per Bruner è diverso da quello delle società
semplici o primitive.
Al contrario in una civiltà tecnologicamente avanzata:
– il processo di apprendimento perde il suo carattere di continuità con la vita adulta;
– l’apprendimento si svolge al di fuori del contesto dell’azione e lontano dalla percezione
diretta della realtà;
– prevale la comunicazione simbolica;
– la conoscenza e l’abilità diventano sempre più smisurate e così anche i limiti di queste
che tutti possono raggiungere;
– si sviluppa una netta distinzione tra il mondo degli adulti e quello dei bambini;
– si sviluppa una nuova tecnica per istruire i giovani fondata soprattutto sul conoscere e
sul sapere anziché sul fare;
– il mondo dell’apprendimento del fanciullo a scuola si distacca dalla vita, dal contesto
immediato dell’azione sociale.

Bruner prende atto della crisi irreversibile della scuola attiva di Dewey:
occorre prendere atto che la società è sempre più formalizzata, quindi la scuola deve
rapidamente superare i momenti dell’azione e dell’immaginazione per introdurre gli alunni
nel mondo dei simboli; occorre anche lasciare spazio alle emozioni, alla metafora, al mito,
all’invenzione e alla creatività; richiama l’attenzione sui tratti reali della società di oggi per
permettere la sopravvivenza e l’evoluzione degli esseri umani; il fine formativo dell’uomo del
presente-futuro è l’eccellenza o l’ideale della perfezione.
Il soggetto è protagonista e occorre che vada al di là dell’informazione data.
Il processo cognitivo secondo Bruner è diviso in 2 fasi:
1. salto dai dati dei sensi ad un’ipotesi di prima approssimazione derivante dal rapporto tra
l’informazione in arrivo e un modello formatosi internamente e basato sull’esperienza passata.
2. ricerca di conferma in cui l’ipotesi iniziale viene messa alla prova di dati ulteriori (se c’è concordanza
l’ipotesi viene mantenuta, altrimenti viene modificata fino alla soluzione).
Al contrario dell’uomo del comportamentismo (trattenuto da relazioni meccaniche),
dell’uomo della psicanalisi (che agisce sulla base di impulsi), dell’uomo attivo di Dewey (che
necessita dell’azione come movente del suo pensiero), l’uomo di Bruner è visto come un
elaboratore di informazioni all’interno di un processo cognitivo nel quale i dati della
situazione ambientale e di esperienza sono superati dall’inferenza o dalla creatività in
relazione alle capacità cognitive dei singoli e dei loro atti di conoscenza, rifacendosi in tal
senso ad un modello cognitivista-strutturalista.
Il soggetto va sempre al di là dell’informazione data attraverso:
– l’inferenza –> gli esseri umani riescono a risalire da pochi spunti o indizi ad una classe si
identità o equivalenza (grande economia di processi adattivi all’ambiente).
– invenzione o atto intuitivo o creatività –> uno schema viene trasferito a dei dati
precedentemente giudicati eterogenei rispetto ad esso (inscrizione di dati entro un nuovo
sistema di codificazione).
L’inferenza intuitiva non è una sequenza per prove ed errori (comportamentismo), né
un’ipotesi da mettere alla prova mediante le conseguenze dell’azione (Dewey), ma è un atto
autonomo di conoscenza, tanto più produttivo quanto più ricco è l’insieme dei modelli già
posseduti dal soggetto. Intuizione e creatività non nascono dal vuoto ma dal patrimonio
conoscitivo del soggetto e dalla sua abilità di utilizzare i propri modelli. Ricordare è riflettere
o ricostruire sulla base di un principio una serie di dati.
APPROFONDIMENTO

Un brano di BRUNER evoluzione umana ed evoluzione del cervello, dalle società primitive,
alle società moderne….

Nell’individuo anche la rappresentazione dell’ambiente dipende da tecniche apprese:


tecniche di rappresentazione attraverso l’azione, attraverso l’immagine, attraverso i simboli.
Lo sviluppo cognitivo dell’uomo, influenzato dalla cultura, può assumere caratteristiche
diverse a seconda dei diversi contesti culturali. In queste pagine analizza le differenze tra i
processi di apprendimento che si verificano in società “primitive” (in cui si trasmettono
tecniche e regole nel contesto dell’azione) e quelli che si verificano nella società
“tecnologica” (che si serve di simboli astratti).

“Sembrerebbe ora … che la grande dimensione del cervello di alcuni ominidi sia uno
sviluppo relativamente tardo e che il cervello si sia evoluto in forza della nuova pressione
selettiva successiva al bipedalismo e conseguente all’uso degli arnesi. L’uso degli arnesi, la
vita sul suolo, la vita di caccia crearono il grande cervello umano e non fu l’uomo dal grande
cervello a scoprire certi nuovi modi di vita. Crediamo che questa conclusione sia il piú
importante risultato delle recenti scoperte degli ominidi fossili e sia una conclusione ricca
delle piú ampie implicazioni per l’interpretazione del comportamento umano e delle sue
origini… L’importante è che la grandezza del cervello, per quanto può essere misurato in
base alle capacità delle scatole craniche si è accresciuta quasi di tre volte in seguito all’uso
ed alla costruzione degli arnesi… L’unicità dell’uomo moderno è vista come il risultato di
una vita tecnico-sociale che triplicò la grandezza del cervello, ridusse la faccia e modificò
molte altre strutture del corpo”.
Questa tesi implica che il principale cambiamento dell’uomo in un lungo periodo di anni
(forse cinquecentomila) sia stato alloplastico piuttosto che autoplastico. Cioè egli si è
trasformato, vincolandosi a nuovi ed esterni sistemi di attrezzature, anziché mediante un
notevole cambiamento di morfologia: “evoluzione-per-protesi”, come la chiama Weston La
Barre. I sistemi di attrezzature sembra siano stati di tre tipi generali: 1) amplificatori delle
capacità motorie umane che vanno dall’arnese per tagliare, passano per la leva e la ruota e
giungono alla grande varietà degli arnesi moderni; – 2) amplificatori delle capacità sensorie,
che includono gli artifici primitivi come le segnalazioni col fumo e quelli moderni come
l’ingrandimento ed il radar, ma anche probabilmente includono quei “software” come i
riduttori percettivi convenzionalizzati che possono essere applicati ad un ambiente
sensoriamente ridondante; – infine, 3) amplificatori delle capacità raziocinative
umane infinitamente vari, che vanno dal linguaggio al mito, alla teoria ed alla spiegazione.
Tutte queste forme di amplificazione sono piú o meno convenzionalizzate e trasmesse
mediante la cultura; l’ultima di esse è probabilmente la piú notevole, dal momento che gli
amplificatori raziocinativi implicano sistemi di simboli governati da regole, che bisogna
condividere, per poterli usare.
Ogni sistema di attrezzature, per essere efficace, deve produrre un’adeguata contropartita
interna, un’abilità appropriata, necessaria all’organizzazione degli atti sensomotori, per
organizzare i percetti e i nostri pensieri in un modo che li renda adeguati alle esigenze dei
sistemi di strumenti. Queste abilità interne rappresentate geneticamente come capacità,
vengono lentamente selezionate nell’evoluzione. Nel senso piú profondo, perciò, l’uomo può
essere descritto come una specie che acquista specializzazione attraverso l’uso di strumenti
tecnologici. La sua selezione e la sua sopravvivenza sono dipese da una morfologia e da
un insieme di capacità, che potevano essere legate ad artifici alloplastici, che hanno reso
possibile la sua successiva evoluzione. Noi ci muoviamo, percepiamo e pensiamo in una
maniera che dipende dalle tecniche piuttosto che da collegamenti presenti nel nostro
sistema nervoso.

Il pensiero narrativo ed il pensiero paradigmatico di Bruner


Avere buon bagaglio di conoscenze e informazioni debba possedere anche consapevolezza dei suoi
meccanismi di apprendimento, di come procede il suo pensiero per acquisire la capacità di
organizzare la sua vita di adulto.

Secondo Bruner il pensiero narrativo è uno dei due modi principali di pensiero con cui gli esseri
umani organizzano e gestiscono la loro conoscenza del mondo, anzi strutturano la loro stessa
esperienza immediata.
Il lavoro di Bruner approfondisce infatti gli aspetti della memoria autobiografica e del pensiero
narrativo ( a cui poi nel Novecento si ispirerà anche Duccio Demetrio). Oggi diremmo l’uomo è un
animale coinvolto in un processo continuo di storytelling di racconto continuo di storie.
Esistono due tipi di pensiero:

1) paradigmatico, tipico della verità scientifica e quello narrativo, basato sul criterio della
verosimiglianza e che presenta le caratteristiche del racconto, tramite il quale è possibile ricondurre
a unitarietà e dare senso alle vicende personali . Il procedimento logico-scientifico, l’altro modo con
cui gli esseri umani organizzano e gestiscono la loro conoscenza del mondo, ha come obiettivo quello
di chiarire, di togliere le ambiguità.
2) narrativo, tipico delle storie e dei racconti ha come sua natura la proprietà di esprimere più
significati, e questa polisemia del racconto significa apertura al possibile: il racconto diventa una via
di trasmissione aperta di un sapere che non può essere limitato agli enunciati dimostrativi della
scienza, ma veicolato da un processo che fa riferimento al voler conoscere, al saper ascoltare, al saper
scegliere, al saper fare.
Due aspetti fondamentali del pensiero narrativo.

1. La dimensione interpretativa: in essa si contrappongono la “canonicità” di una narrazione e la


sua apertura alla “possibilità”. In questo il pensiero narrativo costituisce il mezzo di
stabilizzazione di una cultura, ma anche del suo continuo rinnovamento.
2. Il pensiero narrativo è costituito dalla “creazione narrativa del sé”, dimensione essenziale di
costruzione della identità soggettiva e insieme di apertura costante all’Altro (autobiografia ed
auto-descrizione di sè)
Vedi anche il concetto di SET COGNITIVO
L’educazione non è qualcosa di avulso dal contesto culturale e sociale, essa esiste e si struttura
all’interno di esso.
Lo sviluppo della competenza narrativa va incontro a questa esigenza; saper narrare non è una dote
innata ma un’abilità che può essere coltivata.

Bruner individua due punti fondamentali da cui partire: la conoscenza che ogni bambino deve avere
relativamente alle fiabe e ai racconti tipici della propria tradizione culturale e la convinzione che il
raccontare storie sviluppa la capacità immaginativa, offrendo così strumenti adeguati per costruire
con più sicurezza gli scenari della propria vita.
Altra componente del pensiero narrativo è l’intersoggettività del linguaggio non verbale, ossia la
«capacità di capire attraverso il linguaggio e i gesti o con altri mezzi, cosa hanno in mente gli altri»,
e di relazionare tutto quanto ad un contesto che ne specifica il significato.
In virtù di questa capacità, gli uomini riescono a negoziare i significati al di là del linguaggio verbale.
La psicologia culturale ha trovato un ottimo campo di applicazione in ambito educativo; essa sostiene
l’approccio interattivo (intersoggettivo) anche all’interno della classe: non è l’insegnante il detentore
del sapere da trasmettere ma è nello scambio collaborativo e cooperativo tra tutti, alunni e insegnanti
che si crea l’apprendimento.

Bruner nel suo testo La cultura dell’educazione propone una panoramica dei modelli educativi e di
apprendimento nella realtà scolastica evidenziandone i diversi aspetti; volendo fare una sintesi si
possono individuare due linee teoriche principali: una basata sul rapporto esternalizzazione-
internalizzazione, ossia l’indagine spazia dalla modalità tradizionale di trasmettere insegnamenti
dall’esterno a quella che parte dal presupposto di verificare la prospettiva del bambino, agendo
dall’interno per capire che cosa può o vuole fare.
L’altra considera la dimensione oggettività intersoggettività che pone l’insegnante su un piano
totalmente distaccato dall’alunno nel primo caso o lo rende esso stesso partecipe delle teorie insegnate
nel secondo caso.
Bruner si ispira a quattro idee fondamentali:

– capacità di azione (agency). La mente è intesa come agente, è orientata al raggiungimento di


obiettivi, è selettiva ed interpretativa. È nella sua attività di scambio con altre menti che si attiva il
dialogo costruttivo della realtà, negoziando ipotesi, formulando strategie
– riflessione. L’apprendimento non è completo se non è accompagnato dalla comprensione profonda
e contestuale di ciò che si apprende; ogni materia deve essere interpretata nel suo significato al di là
della pura spiegazione scientifica.
– collaborazione. Comporta la messa in comune delle abilità e risorse, lo scambio interattivo tra
alunni e insegnanti come momento di maggior apprendimento.
– cultura. L’insieme di credenze, miti, mitologie anche contemporanei, sogni, pensieri, usanze,
credenze, comportamenti che è in continua evoluzione e che è costantemente modificato
dall’interagire degli individui, che rappresenta il mondo in cui viviamo.
Il minimo comune denominatore di tutto quanto sopra detto si trova nella narrazione: è coltivando
questa fondamentale abilità che traggono nutrimento e possono attecchire le quattro linee educative
sopra descritte, la narrazione come forma mentis, come struttura che organizza il corpus delle
conoscenze e come supporto alle pratiche educative scolastiche.
Bruner propone un altro concetto interessante che ha influenzato il modo di pensare l’apprendimento
e le ricerche in merito: l’idea del curriculum a spirale, ossia il metodo più efficace per affrontare un
argomento consiste nel partire da un’idea intuitiva comprensibile e familiare all’alunno per poi
procedere a spiegazioni più formali seguendo un moto circolare crescente fino alla completa
comprensione. In altre parole: si può insegnare qualsiasi argomento a qualsiasi bambino a qualsiasi
età, purché ciò sia fatto in forma accettabile; e si dovrebbe aggiungere, non slegato dalla
comprensione pratica del contesto entra il quale si sviluppa il ragionamento. Tale concetto è
applicabile ad ogni sfera della conoscenza.
La forma narrativa è quella che consente di meglio percorrere la spirale della conoscenza.
Il set cognitivo di Bruner
Il set cognitivo di Bruner è un meccanismo di percezione selettiva degli elementi della realtà in
continuo mutamento.
La selezione è in effetti dovuta a strutture mentali intrinseche che già la Gestalt aveva proposto, ma
queste strutture non sono semplici meccanismi innati e statici di organizzazione del percepito, ma
mutevoli forme fortemente influenzate da esperienze passate, bisogni ed interessi sviluppati
dall’individuo.

Di Bruner si ricordi anche la sua concezione del curricolo a spirale.

Bruner – teoria degli oggetti ed amplificatori cognitivi


Bruner elabora la teoria degli oggetti come “amplificatori di capacità umane e strumenti di
potenziamento dell’apprendimento”, detta anche teoria degli amplificatori cognitivi.
Bruner RIPRENDE IN PRATICA il concetto stimolo-mezzo di Vigostkij. Il concetto infatti ricorda
quello di stimolo-mezzo, cioè qualcosa “creato” dall’uomo; è utilizzato per instaurare un nuovo
rapporto stimolo-risposta e promuovere lo svolgimento del comportamento in una direzione diversa.
In particolare egli studia l’importanza dell’uso di strumenti e simboli nello sviluppo umano come
stimoli-mezzo.

L’esempio più celebre con cui Vygotskij illustrava il concetto di stimolo-mezzo è quello del
fazzoletto: se una persona deve ricordarsi di svolgere una mansione, può fare un nodo su un
fazzoletto; il nodo è uno stimolo-mezzo, che media il rapporto tra il dovere di compiere una mansione
e l’azione-risposta. Ad esempio, potremmo dire una sveglia. L’uomo programma la sveglia, un
oggetto esterno a cui affida il compito di svegliarlo. Questo oggetto creato e programmato dall’uomo
agisce sull’uomo stesso dando a questi una capacità di programmazione del sonno che egli
naturalmente non ha. Nessun essere umano può decidere il minuto preciso in cui svegliarsi.

Ad esempio, l’essere umano non è dotato in modo naturale di un sistema di regolazione del sonno ma
tramite la sveglia può auto-programmarsi. Ricorriamo più spesso di quello che crediamo a questi
oggetti esterni per poter gestire meglio ed amplificare le nostre capacità cognitive. Un agenda
telefonica o una rubrica del cellulare, non sono altro che estensioni della memoria umana,
amplificano la memoria umana. Certo un essere umano conosce molti numeri di telefono a
memoria ma non può conoscerli oltre un certo numero, una memoria digitale è quasi infinita.
Un essere umano ha una voce, questa voce è anche abbastanza forte può raggiungere
un’ascoltatore a diversi metri, ma non a centinaia di metri. Per fare questo deve amplificare la
propria voce tramite sistemi tecnologici.
Il comportamento umano è quindi mediato da stimoli-mezzo, i quali possono essere strumenti esterni
(il nodo del fazzoletto), ma anche strumenti acquisiti dall’ambiente sociale e interiorizzati.

1. – amplificatori delle capacità motorie umane: grande varietà di arnesi, ma anche bicicletta,
auto, che permettono all’uomo di muoversi di più più a lungo o più velocemente, o di afferrare
più oggetti o tramite una gru di di alzare grossi pesi – l’idea di fondo è che la Tecnica sia uno
strumento per potenziare le capacità fisiche umane
2. – amplificatori delle capacità sensorie: mezzi di comunicazione – la televisione o lo schermo
l’occhio, la radio l’orecchio, etc.
3. – amplificatori delle capacità raziocinative umane: linguaggio, mito, teoria, spiegazione –
connesse come abbiamo visto al pensiero narrativo
Teoria dell’apprendimento e modello protesico della cultura di Bruner
Teoria dell’apprendimento di Bruner ed il tema del rapporto tra natura umana e cultura
Ricordiamo i tre principi fondamentali di Bruner:

«L’educazione non è un’isola, ma fa parte del continente della cultura»


«L’educazione deve aiutare i giovani a usare gli strumenti del fare significato e della costruzione della
realtà»
«L’educazione è un’attività complessa, che si propone di adattare una cultura alle Esigenze dei suoi
membri»

Secondo Bruner, l’apprendimento avviene attraverso la trasmissione di contenuti di conoscenza,


proprio all’interno di specifici contesti sociali, come per esempio la scuola; i “saperi”, vengono
dunque acquisiti dal bambino/ragazzo, attraverso le esperienze compiute all’interno del contesto
socio-culturale di appartenenza.
Ci troviamo difronte ad un’approccio tipicamente costruttivista e culturalista (ma anche in
riferimento alle classi sociali). VEDI ANCHE I CONCETTI DELLA TEORIA DEGLI OGGETTI
E DEGLI AMPLIFICATORI DI BRUNER
Non a caso, grande influenza ha esercitato su di lui Vigotskij, sia per il concetto di cultura e il suo
carattere protesico o anche per il concetto Vigotskjiano di stimolo-mezzo (che poi diventerà il
concetto di Bruner di amplificatori), sia per il concetto di zona di sviluppo prossimale e per il ruolo
del linguaggio nello sviluppo del pensiero.
Per Bruner: la cultura e l’educazione è come una protesi che implementa ed aiuta l’essere umano nel
fare le cose.

Un quaderno di appunti è una protesi della memoria umana, oppure un libro, gli oggetti culturali
permettono all’uomo di vincere e superare i suoi limiti cognitivi. Per questo si dice anche che Bruner
aveva un approccio prosetico alla cultura.
La cultura, infatti, per Bruner, col suo carattere protesico di protesi dell’umano, è fondamentale
perché permette di trasmettere ed ampliare la conoscenza tra le diverse generazioni attraverso
numerosi dispositivi, amplificatori della capacità motoria, comunicativa e cognitiva. Bruner nel suo
testo La cultura dell’educazione propone una panoramica dei modelli educativi e di apprendimento
nella realtà scolastica evidenziandone i diversi aspetti.
–> un apprendimento efficace per tanto richiede:
1. – un atteggiamento che guidi la persona a procedere in modo non meccanico ma con una
conoscenza che si costruisce il soggetto nella relazione con il docente – la conoscenza è qualcosa
che si costruisce ogni volta da capo nella situazione, non è la mera trasmissione di dati o
informazioni o concetti o contenuti disciplinare (non è riempire una testa nuova, ma mirare ad
una testa ben fatta! (Morin)
2. – che la comprensione sia considerata un fattore più importante dell’esercizio
3. – apre la mente alla generalizzazione e al transfert
4. – postula la necessità di una motivazione da parte del soggetto che apprende
5. – sollecita strategie inventive e creative in funzione della costruzione di modelli formali (creatività ed
originalità).
6. – la creazione di sistemi di codifica generalizzanti che consentano di andare oltre i dati, verso nuove
e fruttuose previsioni .

Audiolezione WERNER e BRUNER


Voglio spiegare forse uno dei concetti più difficili che che sta in piattaforma che è il principio della crescente
organizzazione, principio di Heinz Werner. Che cosa significa?
Noi individui come ha detto Piaget la sviluppano delle capacità attraverso degli stadi, quindi uno sviluppo legato
all'età come una pianta che piano piano cresce. Dice invece Werner che noi man mano che aumentiamo la
capacità di elaborare informazioni differenziamo cioè altre capacità si separano da queste capacità quindi
fondamentalmente il livello superiore di capacità è anche in certo qual senso anticipato dal momento precedente.
Noi usiamo mentre cresciamo la capacità cognitiva di fare calcoli, di parlare, di costruire frasi Noi abbiamo
anche una crescita della nostra capacità di sentire le emozioni, dare un nome alle nostre sensazioni quindi alla
crescita logica. Esiste una crescita dovuta ad emozioni sensazioni quindi non solo una comprensione della realtà
analitica ma anche globale dove entra nella sfera della crescita. Saper stare con gli altri, la legge nella empatia,
leggere le emozioni quindi ci dice che noi evolviamo completamente non soltanto dal punto di vista conoscitivo.
Ne approfitto adesso per entrare in un altro argomento : Bruner, un grande studioso dell'evoluzione del pensiero
della mente umana è un po' anche lui come Werner e Vygotsky critica un po' il modello di Piaget, lo reputa
incompleto. Noi ci rendiamo conto che le strategie messe in atto dall'individuo per affrontare e padroneggiare
strategie di vita dipendono dai contesti, in alcuni contesti noi operiammo quella che lui definisce come una
rappresentazione esecutiva, quindi l'azione/ l'esecuzione; noi facciamo le cose e queste cose ci fanno crescere.
Una rappresentazione iconica: il linguaggio capace di attivare il linguaggio linguaggio delle immagini linguaggio
dei suoni linguaggio verbale quindi queste tre modalità di rappresentazione esecutiva rappresentazione iconica
simbolica sono il modo in cui praticamente Bruner si differenzia da Piaget dicendoci sostanzialmente come
evolve la mente umana.
Questi tre aspetti uno più potente dell'altro sono collegati tra loro.
Più ho capacità di immaginare. più sviluppo una capacità di usare il linguaggio è più sono capace di fare altre
cose perché sono collegate. Quindi lui addirittura dirà che la rappresentazione iconica che corrisponde alle
immagini mentale che il bambino si costruisce un vaso l'esperienza gli permettono di organizzare diversamente
la realtà ed è acquisire nuove capacità di linguaggio.
Nelle società preindustrializzatee pretecnologiche noi eravamo un numero diverso dell'apprendimento rispetto
a quello che succede oggi. Una società primitiva, contadina anche la trasmissione delle conoscenze avveniva per
imitazione: esempio il bambino piccolo e ragazzino già appena poteva dare una mano in campagna andava con
il genitore vedevi genitore Come lavorava faceva le cose che facevano i genitori: raccogliere i pomodori,
seminare, costruire..§Più che altro nelle società tecnologiche il sapere cambia, non tutto è trasmissibile.
Immaginate come un bambino che va col padre che fa l'avvocato, cosa potrebbe capire? Non è più una
trasmissione di conoscenze per imitazione o perché stando con un'altra persona i bambini imparano il mestiere
adesso alcune professioni nella società tecnologica sono distanti e un bambino non sarebbe ancora pronto. Lui
dice che c’è un rapporto di distanza tra i tipi di società di trasmissione ed evoluzione della conoscenza.
Un altro concetto importante è il pensiero narrativo quindi l'importanza dello storytelling parola story telling
significa raccontare storie e raccontarle col pensiero narrativo.
Le storie nei racconti e favole per bambini hanno in sé una serie di significati quindi hanno un valore di
apprendimento. Qui B. Ontroduce la teoria dei set cognitivi ovvero il fatto che nella mente umana ci siano delle
organizzazioni di concetto fondamentalmente per Bruner il set cognitivo.
Importante anche la teoria degli amplificatori alcuni strumenti tecnici es. la radio,la televisione, youtube,
internet possono amplificare le capacità umane di apprendere nel senso che la radio è un orecchio più grande la
televisione un modo per vedere con un occhio più grande come se fossero degli amplificatori dei sensi quindi se
noi dobbiamo vedere o ascoltare o sentire noi abbiamo degli strumenti che oggi ci permettono di farlo. Per vedere
di più, per ascoltare di più, per conoscere quindi per questo motivo gli oggetti, tornandoa alla didattica sono di
una importanza fondamentale: il quaderno dove raccogliamo le nostre informazioni è un amplificatore della
nostra capacità di memoria, la lista della spesa è un'amplificazione nome nostra capacità di ricordarci le cose.
Oggi con il digitale che permette di amplificare le nostre capacità possiamo ricordare di più, possiamo conoscere
di più, possiamo interrogare la conoscenza in modo pragmatico. Google Google è un amplificatore della
conoscenza perché voi potete in un tempo immediato trovare le informazioni.
La differenza tra Google e l'enciclopedia è la velocità del processo di conoscenza.
Velocità, immediatezza, comodità sono tutti amplificatori dell aocnoscenza strettamente dipendenti da un
oggetto la connessione e i dispositivi elettronici.

Audiolezione Apprendimento significativo


Puramente legati al discorso sul costruttivismo sono gli autori David Hausbell che entrambi si
soffermano sul concetto di apprendimento significativo. L'apprendimento significativo è un
apprendimento autentico fatto in modo motivato e motivante da parte degli alunni. L'apprendimento è
significativo se contestualizzato quindi se può trovare applicazione nella realtà. L'apprendimento
significativo rimane anche quando questo ha finito la sua esistenza scolastica.
Cosa differenzia l'apprendimento significativo da altre forme di apprendimento? sicuramente si
differenzia dal apprendimento meccanico come dicevo precedentemente quando parlavamo
decostruttivisti l'apprendimento meccanico è basato sull’idea della trasmissione di istruzioni per cui il
focus è posto sull’ insegnante che deve trasmettere all'allievo dei contenuti culturali. (un vero e proprio
travaso di conoscenze, alunno-contenitore) quindi questa trasmissione propone una conoscenza
oggettiva non una conoscenza soggettiva come la chiamerebbero i costruttivisti. Esiste una
conoscenza oggettiva, un sapere di cui il detentore è il docente che lo trasmette meccanicamente (da
qui l'apprendimento meccanico) all'allievo a differenza dell'apprendimento significativo che è un
concetto costruttivista che si focalizza sull’allievo, esso diviene il centro dell’apprendimento, non il
destinatario che deve imparare, che sta costruendo le conoscenze e soprattutto è basato sulle sue
conoscenze perché attraverso queste l’allievo costrisce la sua principale motivazione.
Se c’è motivazione ad apprendere in un certo senso la conoscenza diventa qualcosa di soggettivo,
interno alla mente e all’anima delle persona. Dobbiamo sempre tenere presente questa distinzione
tra un approccio classico e comportamentista di trasmissione delle conoscenze e un approccio di
tipo significativo quindi di creazione delle conoscenze. Quando diciamo costruzione parliamo di un
processo che si svolge “insieme” tra docente e discente. Dove la conoscenza rimane al soggetto è
perchè anche lui ha contribuito alla sua origine. La conoscenza come patrimonio unico e significativo
indelebile dell'allievo.
Richiamo al concetto di mindfull che prendi qualcosa di tuo, che già esiste ma lo amplifichi. Non ce
riempi la mente ma getti il concime.

3) Costruttivisti
George Kelly
George Alexander Kelly (Perth, 28 aprile 1905 – Waltham, 6 marzo 1967) è stato
uno psicologo statunitense, ideatore della Teoria dei Costrutti Personali, antesignana
del Costruttivismo.
Le persone differiscono l’una dall’altra nella loro costruzione degli eventi. Nella prospettiva di
Kelly, una persona è diversa dall’altra non solo perché ha vissuto esperienze o ha affrontato eventi
diversi, ma, soprattutto, perché attribuisce un diverso significato alle stesse esperienze e agli stessi
eventi.
Costruttivismo personale
Kelly parla di costruttivismo personale in quanto l’approccio alla costruzione della realtà è guidato
in primis dalle funzioni psicologiche del singolo individuo; solo in una fase successiva possono
entrare in gioco le interazioni con gli individui.

Ernst von Glaserfeld-costruttivismo radicale


“Radical constructivism: A way of knowing and learning” di Ernst von Glasersfeld
Il costruttivismo radicale che Glasersfeld propone è un approccio non-convenzionale al problema
della conoscenza e del conoscere.
Parte dall’assunto che la conoscenza, indipendentemente da come venga definita, sta nella testa
delle persone, e che il soggetto pensante
non ha alternativa: può solo costruire ciò che sa sulla base della sua stessa esperienza.
Ciò che noi capiamo dell’esperienza costituisce l’unico mondo in cui sappiamo di vivere.

I principi fondamentali del suo costruttivismo radicale sono proposti in quattro punti:
1. la conoscenza non viene ricevuta passivamente né attraverso i sensi né grazie alla
comunicazione;
2. la conoscenza viene attivamente costruita dal soggetto “conoscente”;
3. la funzione della conoscenza è adattiva, nel senso biologico del termine, e tende verso l’adattezza
o la “viabilità”;
4. la conoscenza serve all’organizzazione del mondo esperienziale del soggetto, non alla scoperta di
una realtà ontologicamente oggettiva.

Distinzione tra addestramento ed apprendimento


Utile per la prova scritta è la distinzione tra addestramento ed apprendimento.
L’addestramento rappresenta uno strumento utilitaristico cioè pone l’attenzione su cosa è utile saper
fare ⇒ abilità
mentre
l‘apprendimento rappresenta uno strumento epistemologico che permette l’acquisizione della
conoscenza tramite concetti sapere ⇒ concetti
Seymour Papert
Secondo Papert, costruzionismo è una parola con due aspetti, uno si richiama alla
teoria costruttivista ed a Piaget che considera l’apprendimento come una ricostruzione e non come
una mera trasmissione di conoscenze (istruzionismo), l’altro estende il concetto dei materiali
manipolativi affermando che la costruzione e quindi l’apprendimento è più efficace e padroneggiato
quando non è solo mentale, ma è supportato da una costruzione reale, da una attività come la
costruzione di un progetto significativo (Papert 1986).
⇒ Papert chiama questa forma di costruzione mentale “pensiero concreto”.
Nella visione epistemologica di Piaget era solo uno stadio “intermedio” mentre nell’impostazione
proposta da Papert diventa il protagonista dell’apprendimento, un apprendimento definito “sintonico”
e fondato sui tre principi:

1. di continuità con le esperienze e conoscenze pregresse del soggetto


2. potenza nel realizzare progetti personali carichi di significato
3. risonanza culturale delle conoscenze da apprendere.
Nella creazione di ambienti per l’apprendimento che utilizzano tecnologie, ambito privilegiato da
Papert, diventa centrale l’allievo e le sue attività concrete che generano apprendimenti.
Nel 1963, in contrapposizione alle applicazioni CAI (Computer Assisted Instruction) di stampo
comportamentista, Papert realizza il progetto didattico-tecnologico innovativo LOGO, un linguaggio
e un ambiente di programmazione appositamente sviluppato per i bambini e sviluppa
successivamente l’estensione del set di costruzioni LEGO ad un set di robotica in modo da rendere
disponibili ai bambini strumenti per concretizzare il pensiero astratto e strumenti per realizzare ed
esplorare anche creature artificiali.
⇒ Il sistema scolastico, reso obsoleto anche dall’avvento delle nuove tecnologie, va quindi ripensato
per andare oltre un programma lineare e statico verso un percorso flessibile e dinamico in cui sia data
ai bambini la possibilità di gestire il proprio apprendimento e di imparare non a dare la giusta risposta
alle domande inerenti quello che si è appreso a scuola, ma trovare giuste soluzioni a situazioni che
vadano oltre l’ambito scolastico: “The one really competitive skill is the skill of being able to learn”
(Papert 1998).

Il concetto di apprendimento “significativo” (meaningful learning) di Jonassen


La tematica dell’apprendimento “significativo” (meaningful learning), è stata sviluppata attraverso
ricerca e pratica da David Jonassen il quale ha sviluppato diversi approcci operativi in cui le
tecnologie hanno un ruolo importante.
L’apprendimento significativo è quella forma di apprendimento per il quale le persone sono in grado
di dare un senso a ciò apprendono, è quell’apprendimento che può essere, successivamente ed in
contesti differenti, utilizzato dalle persone per risolvere problemi e per realizzare attività.
L’apprendimento significativo è l’opposto della memorizzazione.
Secondo David Jonassen, l’apprendimento significativo ha queste caratteristiche:

1. è attivo: si interagisce con l’ambiente, si manipolano gli oggetti presenti in quell’ ambiente e
si osserva l’esito dell’azione;
2. è costruttivo: si riflette sulle attività e sulle osservazioni; è intenzionale (goal-directed): si fa
qualcosa per uno scopo;
3. è cooperativo, conversazionale, collaborativo: si negozia socialmente una comune
comprensione;
4. è autentico
5. è complesso e contestuale
Il processo di apprendimento significativo, secondo David Jonassen è caratterizzato da:

1. investigazione, esplorazione, scrittura,


2. modellamento, comunicazione,
3. progettazione, visualizzazione e valutazione.
L’apprendimento significativo, proprio per queste sue caratteristiche, per le operazioni che lo
realizzano può essere attivato e sostenuto da un adeguato uso delle tecnologie

David Jonassen – Costruttivismo ed ambienti di apprendimento


Jonassen è un esponente della teoria del Costruttivismo, secondo cui la conoscenza si
raggiunge per esperienza personale attraverso un processo di costruzione.
L’iniziatore di questo paradigma è Seymour Papert, un matematico sudafricano che dopo aver
lavorato con Piaget si è trasferì (anni ’60) al MIT per lavorare con il gruppo che si occupava
di Intelligenza artificiale e in particolare con Marvin Minsky.
⇒ L’insegnante non è più trasmettitore di conoscenza ma diviene un facilitatore, che indirizza gli
studenti verso la giusta direzione e permette loro di acquisire conoscenza in modo autonomo
coniugando le esperienze presenti e passate.
Jonassen cerca di individuare le modalità per promuovere negli studenti un apprendimento
significativo, ossia una forma d’apprendimento che abbia un senso per il soggetto che
apprende, e che non sia semplice memorizzazione di contenuti. Perché questo abbia luogo,
il soggetto deve essere impegnato e coinvolto in prima persona, con tutte le sue conoscenze,
esperienze e credenze, collaborando alla costruzione di significati con i propri pari, grazie
alla mediazione di esperti.
⇒ Inoltre, l’apprendimento è significativo se contestualizzato, se può trovare applicazione
nella realtà quotidiana.
Infine, dovrebbe comportare uno stimolo a riflettere e organizzare in modo sistematico i
propri apprendimenti, i processi e le decisioni.
A partire da questi assunti, le tematiche di maggior interesse affrontate dall’autore
riguardano la progettazione d’ambienti d’apprendimento costruttivisti (Constructivist Learning
Enviroment), l’apprendimento attraverso le tecnologie, le tecnologie come strumenti
cognitivi.
Centrale nella filosofia educativa di Jonassen è il concetto di mindtool: “Mindtools are
knowledge construction tools that learners learn with, not from” (Jonassen, 2000). Sono
strumenti di costruzione di conoscenza con i quali gli studenti apprendono.

Il costruttivismo
Il Costruttivismo, sviluppatosi a partire dagli anni’50 con il lavoro dello psicologo
statunitense George Kelly, mette in discussione la possibilità di una conoscenza “oggettiva”, di un
sapere che rappresenti fedelmente la realtà esterna.
Il sapere non esiste indipendentemente dal soggetto che conosce, non può essere ricevuto in modo
passivo ma risulta dalla relazione fra un soggetto attivo e la realtà.
La conoscenza è una soggettiva costruzione di significato a partire da una complessa
rielaborazione interna di sensazioni, conoscenze, credenze, emozioni. La “costruzione” poggia su
mappe cognitive che servono agli individui per orientarsi e costruire le proprie interpretazioni.
La realtà, in quanto oggetto della nostra conoscenza, sarebbe dunque creata dal nostro continuo “fare
esperienza” di essa, nel corso di processi d’interazione. Nell’incontro di un soggetto con il mondo
non è possibile distinguere osservatore e oggetto osservato, poiché entrambi si definiscono all’interno
del rapporto di osservazione e interazioni reciproche. Ciò significa che le proprietà e relazioni sono
costruite a partire dalla nostra azione organizzante sull’ambiente, non sono cose, proprietà o
relazioni di un mondo che esiste indipendentemente dall’osservatore. L’ambiente in quest’ottica cessa
d’essere luogo denso di informazioni precostituite e diviene luogo di esperienza, che offre diverse
possibilità di costruire informazioni e conoscenze. Questo processo è allo stesso tempo permesso e
condizionato dal linguaggio, culturalmente, socialmente e storicamente contestualizzato. Pertanto, la
conoscenza è individuale e situata.
Il Costruttivismo si contrappone ad una visione positivistica della scienza come visione unica della
realtà e della verità. Il concetto di verità come termine assoluto viene sostituito dal criterio di
adattamento funzionale e di viabilità: i concetti si costruiscono a partire dalle regolarità che si
incontrano nell’esperienza e hanno una funzione predittiva, sono strumentali all’azione e vengono
definiti viabili quando permettono di raggiungere uno scopo pratico. ll Costruttivismo assume quindi
un approccio di carattere pragmatico e non ontologico: la conoscenza serve per adattarsi all’ambiente.

Il concetto di apprendimento “significativo” (meaningful learning) di Jonassen


La tematica dell’apprendimento “significativo” (meaningful learning), è stata sviluppata attraverso
ricerca e pratica da David Jonassen il quale ha sviluppato diversi approcci operativi in cui le
tecnologie hanno un ruolo importante.
L’apprendimento significativo è quella forma di apprendimento per il quale le persone sono in grado
di dare un senso a ciò apprendono, è quell’apprendimento che può essere, successivamente ed in
contesti differenti, utilizzato dalle persone per risolvere problemi e per realizzare attività.
L’apprendimento significativo è l’opposto della memorizzazione.
Secondo David Jonassen, l’apprendimento significativo ha queste caratteristiche:

1. è attivo: si interagisce con l’ambiente, si manipolano gli oggetti presenti in quell’ ambiente e
si osserva l’esito dell’azione;
2. è costruttivo: si riflette sulle attività e sulle osservazioni; è intenzionale (goal-directed): si fa
qualcosa per uno scopo;
3. è cooperativo, conversazionale, collaborativo: si negozia socialmente una comune
comprensione;
4. è autentico
5. è complesso e contestuale

Il processo di apprendimento significativo, secondo David Jonassen è caratterizzato da:


1. investigazione, esplorazione, scrittura,
2. modellamento, comunicazione,
3. progettazione, visualizzazione e valutazione.
L’apprendimento significativo, proprio per queste sue caratteristiche, per le operazioni che lo
realizzano può essere attivato e sostenuto da un adeguato uso delle tecnologie.

Audio-lezione COSTRUTTIVISMO
Il costruttivismo è una teoria dell'apprendimento che ha come sua base di partenza i cognitivisti gli studi sulla
mente e la modalità di sviluppo dei processi cognitivi.
P. V. E Bruner non sono autori costruttivisti, ma studiano come evolve la mente umana in età evolutiva, come
essi apprendono e conoscono. Partendo da loro studi i costruttivisti incominciano a ribaltare il concetto di
apprendimento fino ad arrivare al comportamentismo. L'idea di fondo era che noi trasferiamo dei concetti come
se fossero dei pacchetti da chi sa le cose a chi non le sa e quindi il sapere era un sapere da cattedra
nozionistico tra qualcuno che sapeva (docente) e qualcuno che non sapevo (lo studente) , i Costruttivisti invece
dicono che il processo di costruzione della conoscenza è un processo che deve avere una motivazione
intrinseca cioè i ragazzi devono essere motivati. La motivazione non può essere come dicevano gli studiosi
del comportamentismo data da uno stimolo e da un rinforzo positivo, io vado bene e voglio prendere 8, ma
la motivazione dice vado a scuola per imparare, meglio ancora per imparare ad imparare.
Questo ultimo è lo slogan dei costruttivisti: “costruisco la mia conoscenza in base all'ambiente di
apprendimento, alle risorse didattiche o alle risorse di metodo e del docente che in realtà più che trasmettere
un pacchetto di informazione mette in circolo una doppia dinamica.
La conoscenza è un processo che si costruisce in un processo a due quindi è qualcosa che avviene come
costruzione. La conoscenza non è qualcosa che io prendo in modo mnemonico e in modo matematico soltanto
perché qualcuno me la dà ma sono io che vado a costruirla, vado a manipolare degli indizi, dei dati delle
informazioni, vado a fare delle ricerche, costruisco la mia conoscenza.
Gli studiosi e i pedagogisti sono ormai quasi tutti costruttivisti come potete immaginare gli autori che per primi
hanno parlato in questo termini sono stati George Kelly col concetto di costruttivismo personale poi Ernest von
Glasersfeld che parla di costruttivismo radicale che fondmentalmente esprimono il fatto che noi possediamo
la nostra conoscenza perchè tutto è costruito, che non esiste niente di naturale, non esiste una conoscenza
che arriva dall'alto ma viene costruita al basso. Seymur Papert che parla del famoso progetto LEGO e poi
Jonassen che parla di costruttivismo legato agli ambienti di apprendimento.
Sono questi autori minori, quindi difficilmente riescono ad una preselettiva, però è utile ricordare che fanno
parte di questa corrente di pensiero. Questo autori fondamentalmente pensano chela relatà sia una
costruzione sociale, che noi costruiamo tutto. Gli stessi soldi , il denaro e l’oro sono costruiti socialmente.
(Esempio Indiani d’ America). Tutto quello che noi abbiamo è qualcosa che esiste perchè abbiamo una
conoscenza: se esiste la conoscenza ed è un valore per quel tipo di società significa che è socialmente
costruito.
Esempio di costruzione della realtà sociale: un matrimonio, un’ istituzione costruita con la firma o con il sì
davanti all'altare- Un vero e proprio atto di costruzione sociale, un atto che vale perché la società ha costruito
quel contesto, quel rituale, quella legittimità giuridica che è ben diversi dal pensare al matrimonio come una
convivenza, come un tramonto in un'altra situazione un altro posto... non ne viene riconosciuto il valore, non
si costruisce società, non si costruisce per matrimonio, quindi anche il matrimonio è una costruzione sociale.

4) TEORIA DELLA GESTALT


(N.B. autori usciti a precedenti TFA SOSTEGNO)
La teoria della Gestalt o teoria della forma (Gestalt = forma) nasce in Austria nella scuola
di derivazione tedesca. Vedi APPROFONDIMENTO la Gestalt
La Gestalt
La psicologia della Gestalt (dal tedesco Gestaltpsychologie, “psicologia della forma o
rappresentazione”) è una corrente psicologica incentrata sui temi della percezione e
dell’esperienza. A differenza del comportamentismo, secondo tale corrente l’apprendimento si
basa su processi cognitivi e può essere compreso andando oltre lo studio del semplice
comportamento.
La nascita della psicologia della Gestalt si fa risalire esattamente al 1912 a Max Wertheimer.
Essa studia la non corrispondenza diretta tra realtà empirica e realtà percettiva; per la Gestalt la
forma non è data dalla semplice somma dei suoi elementi ma è qualcosa di diverso, essendo frutto di
elaborazione mentale e cognitiva dei dati visibili.
La percezione dunque non dipende dagli elementi ma dalla strutturazione di questi in un “insieme
organizzato”, in una “Gestalt” (generalmente tradotta con “forma”, “struttura”).
I principi della GESTALT – chiusura, continuità, isomorfismo, modello di campo ed
insight
Nel 1923 Wertheimer enuncio i fattori che presiedono l’organizzazione delle forme percettive: le
parti di un campo percettivo tendono a costituire delle gestalt che sono tanto più coerenti, solide, unite
quanto più gli elementi sono:

1. vicini (legge della vicinanza),


2. simili (legge della somiglianza),
3. tendono a formare linee chiuse (legge della chiusura)
4. sono disposti lungo la stessa linea (legge della continuazione)
5. si muovono concordemente (legge del destino o moto comune)
6. la legge della pregnanza
7. la legge dell’esperienza passata.
Per la legge della pregnanza o bontà di una forma i gestaltisti intendevano una serie di caratteristiche
che rendevano questa forma armonica, simmetrica, semplice.

Ad esempio un cerchio è più pregnante di uno ovale, e un triangolo equilatero è più pregnante di uno
isoscele.

La legge della pregnanza afferma che le parti di un campo percettivo tendono a costituire delle
Gestalt più pregnanti. Questa legge è stata successivamente ampliata alla memoria e in particolare
alle modificazioni che subisce la traccia mnestica che tende con l’andar del tempo a farsi sempre più
regolare e a cancellare eventuali disarmonie.
Sono anche strutture della mente che possono rappresentare ostacoli alla soluzione dei problemi.

L’individuo tende ad organizzare il campo del problema secondo alcuni principi percettivi che
possono talvolta chiudere prematuramente il processo di soluzione.
Alcuni principi della Gestalt

PRINCIPIO DI CHIUSURA

Legge della vicinanza. Tendenza a

Legge della chiusura.Tendenza a percepire come uniti bordi che percepire oggetti raggruppati come una

sono molto vicini tra loro singola unità percettiva.


PRINCIPIO DELLA CONTINUITA’

Principio di buona continuità. Il contorno illusorio

Legge della somiglianza:Tendenza a percepire una forma quando è definito dallo sfasamento delle linee di due

più stimoli sono presentati contemporaneamente. reticoli.

Per quanto riguarda la legge dell’esperienza passata, i gestaltisti ammettevano che l’esperienza fosse
in grado di influenzare i processi di base che portano alla strutturazione del campo fenomenico
imponendo dei vincoli in grado di imporre certe organizzazioni a discapito di altre.

ISOMORFISMO
La teoria tradizionale della Gestalt affermava un isomorfismo tra mondo fenomenico e eventi
cerebrali che però non si traduceva in un parallelismo tra mentale e fisico. Il punto chiave e che il
mondo fenomenico non è il mondo della vita mentale ma ciò che alla vita mentale appare. La vita
mentale, invece, corrisponde allo svolgersi di processi fisiologici, ed è a queste entità che la psicologia
della Gestalt e ha dato il nome di isomorfismo.
Esistono due concezioni diverse di isomorfismo una enunciata da Kohler che è la più popolare e
l’altra enunciata da Wertheimer.

Secondo Kohler l’isomorfismo corrisponde a una identità strutturale tra eventi del campo fenomenico
ed eventi del sistema nervoso centrale.

Per Wertheimer il mondo reale ,al di là di quello fenomenico, non solo aveva una specifica esistenza
ma anche una precisa logica interna, e le sue strutture potevano essere rappresentate
matematicamente. Le attività cognitive del soggetto dovevano allora consistere nel cogliere questa
presentazione, per questo, il mondo fenomenico doveva essere strutturalmente identico e isomorfo al
mondo reale. ed è proprio qui che si osserva l’influenza esercitata da Spinoza.

Lo sforzo di Wertheimer è quindi quello di determinare i costrutti logico matematici applicabili al


mondo fenomenico e le loro corrispondenze con il mondo degli stimoli e della realtà. A questo punto
è interessante il saggio sul pensiero dei popoli primitivi in cui Wertheimer individuava una serie di
rappresentazioni della realtà dotate di una struttura e di una loro logica che sono alla base del
comportamento numerico.

Ad esempio sapere che manca una persona, non richiede la conoscenza del numero delle persone
presenti poiché il gruppo forma una struttura e l’assenza di una persona emerge in quanto disequilibria
questa struttura. nel campo fenomenico esiste quindi una rappresentazione di tale struttura che è
isomorfa alla struttura del gruppo reale.
IL MODELLO DI CAMPO di Kohler
Questo modello fu approfondito da Kohler secondo il quale il sistema percettivo è un sistema fisico
che tende verso uno stato di equilibrio. il sistema, inoltre, appare come un campo totale un insieme
di forze interagenti in cui ogni oggetto che viene introdotto modifica l’equilibrio delle forze presenti
e agisce su un altro oggetto che è presente nel campo.
Questi effetti oltre a verificarsi nel mondo inorganico della fisica si hanno anche in quello organico
della fisiologia e della psicologia. Per questo motivo la teoria della forma è stesso chiamata teoria del
campo poiché tra il mondo fenomenico studiato dalla psicologia e il mondo psicologico studiato dalla
fisiologia esiste un’ isoformismo dato dalla identità di legge di strutturazione che regolano entrambi
i mondi.

L’INSIGHT di Kohler
Oltre agli studi sulla percezione ci furono altre aree di ricerca costituite dal pensiero e della memoria.
Kohler condusse una serie di esperimenti sulla intelligenza dei primati (scimmie antropoidi).
Gli scimpanzé dovevano trovare una soluzione (unire due canne e salire su delle casse) per
raggiungere uno scopo (una banana) Kohler osservò che gli animali compivano una serie di prove ed
errori ma improvvisamente arrivavano alla soluzione attraverso un processo di pensiero denominato
secondo il termine inglese insight (intuizione, visione).

L’interpretazione fornita da Kohler si opponeva alla teoria della semplice associazione di esperienze
precedenti. L’autore voleva mettere in evidenza che vi era stata una ristrutturazione di tutte le
esperienze passate e delle condizioni presenti che andava al di là della loro semplice somma e che
consentiva una nuova visione del problema. Per questo motivo, insisteva molto sul concetto di
struttura di campo secondo cui gli elementi sparsi nel campo visivo dell’animale assumano grazie all’
insight un significato diverso organizzandosi gli uni con gli altri in una nuova totalità.

Max Wertheimer
Max Wertheimer stato uno dei maggiori psicologi della Gestal.

Per la Gestalt la forma non è data dalla semplice somma dei suoi elementi ma è qualcosa di diverso,
essendo frutto di elaborazione mentale e cognitiva dei dati visibili.

La percezione dunque non dipende dagli elementi ma dalla strutturazione di questi in un “insieme
organizzato”, in una “Gestalt” (generalmente tradotta con “forma”, “struttura”).

La concezione fondamentale alla base della Gestalt è che nella nostra percezione del mondo esterno
noi non cogliamo delle semplici somme di stimoli, i quali si uniscono a dare gli oggetti, ma
percepiamo delle forme, che sono qualcosa di più e di diverso della semplice somma degli stimoli
che la compongono. Tale teoria si opponeva polemicamente a quanto sostenevano gli psicologi
associazionisti ed elementaristi i quali concepivano invece il processo percettivo come una semplice
opera di sommazione degli stimoli e vedevano il lavoro dello psicologo soprattutto come un’opera
di analisi del percepito, in cui era importante separare il momento della “sensazione” da quello della
vera e propria “percezione”.
Per gli psicologi della forma, invece, tale analisi non era possibile, essendo le forme stesse le minime
unità d’analisi, ulteriormente inscindibili; essi pensavano inoltre che le forme si costituissero sulla
base di certe leggi percettive sostanzialmente innate, legate alla dinamica del sistema nervoso, mentre
per gli associazionisti i legami fra le sensazioni elementari si costituivano sulla base
dell’esperienza passata dell’individuo. La nascita della Gestalt si ebbe con un famoso esperimento di
Wertheimer, del 1911, sul movimento apparente o stroboscopico: il “fenomeno phi”.

Esso consiste nel fatto che, presentando due luci proiettate su uno schermo a una certa distanza l’una
dall’altra, e separate da un breve intervallo temporale, il soggetto non percepisce due luci immobili,
ma un’unica luce in movimento dalla prima alla seconda posizione. Il fenomeno in quanto tale era
noto già da tempo (e del resto è alla base del movimento cinematografico), ma l’originalità di
Wertheimer consiste nell’interpretazione che ne diede. Il fenomeno phi dimostrava, infatti, come il
fatto percettivo fosse inanalizzabile; il movimento (in questo caso il dato più importante che emergeva
a livello percettivo) sarebbe stato distrutto da un processo di analisi, che avrebbe portato solo a trovare
degli stimoli stazionari.

L’esperimento di Wertheimer dimostrava una cosa fondamentale: che il «tutto – cioè il movimento
percepito – è qualcosa di più e di diverso dalla somma dei singoli componenti». Se la percezione
fosse il risultato diretto di quello che accade nel fenomeno fisico, dovremmo vedere luci che si
accendono una dopo l’altra e non una luce in movimento. Dunque è la nostra mente che interviene
attivamente nella costruzione del fenomeno percettivo e lo coglie nella sua totalità.

La mente percepisce il tutto e lo ricostruisce attivamente


Lo studio della percezione ci mette dunque di fronte a un dubbio sostanziale: quando
percepiamo, la mente «riceve» o «costruisce»? Le percezioni, i ricordi, le conoscenze sono
le tracce che abbiamo semplicemente “registrato” dalla realtà esterna o sono il prodotto di
operazioni compiute dalla nostra mente attraverso le sue strutture?

La risposta della psicologia gestaltista è chiara perché attribuisce i risultati dell’attività


percettiva ai modi in cui la mente ricostruisce i fenomeni che osserviamo. Noi tendiamo a
percepire il tutto come qualcosa di diverso dalle sue singole parti. Lo aveva notato in passato
anche lo psicologo e filosofo austriaco Cristian Von Ehrenfels (1859-1932) facendo
osservare come in un brano musicale quello che la nostra percezione coglie non sono le
singole note ma la melodia.

La mente, per la psicologia della Gestalt, percepisce il tutto come indivisibile, ovvero come
flusso continuo e questo “tutto” viene anche completato dalla mente stessa. In questo caso,
è bene affermale, che la percezione è una facoltà mentale attiva, perché non si limita a
registrare i fatti ma li ricostruisce rappresentandoseli.

Kohler ed il concetto di insight ed il carattere discontinuo dell’apprendimento


Wolfgang Köhler sviluppa due concetti legati all’apprendimento:
1. Il concetto di insight (intuizione generale totale)
2. Il carattere discontinuo dell’apprendimento
Il raggiungimento di un determinato obiettivo, ovvero l’atto di apprendere o risolvere un problema,
viene ottenuto solo in seguito a reiterati e casuali tentativi che vengono corretti in seguito
all’osservazione dei risultati: questo procedimento viene definito “per prove ed errori”.

In tale prospettiva, tipicamente di stampo comportamentista, alla soluzione si giunge attraverso un


accumulo di esperienza in grado alla fine di generare la risposta corretta per il problema presentato.

L’impostazione di Kohler è molto differente, andando ad evidenziare il ruolo, nella componente


intellettiva che porta all’apprendimento, oltre che degli aspetti ripetitivi dell’intelligenza, soprattutto
di quelli creativi con cui siamo in grado di cogliere i nessi chiave di una situazione.
Gli esperimenti condotti dallo psicologo con gli scimpanzé consistevano nell’osservazione del loro
comportamento in una situazione problematica quale quella di raggiungere del cibo posto fuori da
una gabbia e non raggiungibile senza l’ausilio di uno strumento.

Durante tali prove risultò evidente come la soluzione per prove ed errori, in cui il “pensiero”
procederebbe alla cieca, viene seguita solo in fasi relativamente poco importanti ai fini
dell’apprendimento. Le azioni degli animali tendevano secondo lo psicologo tedesco a una soluzione
ottenuta in seguito a una strategia non casuale: riuscivano infatti ad ottenere il cibo impiegando un
bastone (strumento) per avvicinarlo alla gabbia, evidenziando un atto di intelligenza tale
da ristrutturare il campo cognitivo attraverso un atto di insight.
Nel campo cognitivo della scimmia il bastone è infatti presente già prima che essa riesca a risolvere
il problema, ma quando lo utilizza per trarre il cibo a sé il valore del bastone è mutato, risultando in
quella particolare situazione l’oggetto più funzionale per la risoluzione del problema specifico.

Il contrasto di visioni fra l’impostazione gestaltista, come indicata in Kohler, e quella di tipo
comportamentista, è stata alla base della controversia sulla natura continua o discontinua
dell’apprendimento umano.
Lo studioso introdusse il concetto di insight (intuire nel senso di “vedere dentro”) e con esso quello
di carattere discontinuo dell’apprendimento (Kohler, 1921).
Molti degli psicologi contemporanei di Kohler, quali ad esempio Thorndike, ritenevano che i processi
di apprendimento si attuassero secondo un insieme di tentativi casuali (secondo un modello di tipo
ripetitivo, o di prova ed errore).

In tal senso, il raggiungimento di un determinato obiettivo, ovvero l’atto di apprendere o risolvere un


problema, viene ottenuto solo in seguito a reiterati e casuali tentativi che vengono corretti in seguito
all’osservazione dei risultati: questo procedimento viene definito “per prove ed errori”.

In tale prospettiva, tipicamente di stampo comportamentista, alla soluzione si giunge attraverso un


accumulo di esperienza in grado alla fine di generare la risposta corretta per il problema presentato.

L’impostazione di Kohler è molto differente, andando ad evidenziare il ruolo, nella componente


intellettiva che porta all’apprendimento, oltre che degli aspetti ripetitivi dell’intelligenza, soprattutto
di quelli creativi con cui siamo in grado di cogliere i nessi chiave di una situazione. (Vedi
esperimenti)
L’insight per Kohler è l’improvvisa scoperta di un nuovo modo di interpretare la situazione totale.
L’insight è dunque la scoperta di rapporti tra gli elementi, rapporti diversi da quelli individuati prima
della scoperta. L’analisi dei gestaltisti verte sulla risoluzione dei problemi piuttosto che
sull’apprendimento, inteso come accumulo di esperienza e ricorso alla continuità

I gestaltisti, con la loro idea di insight, propendevano per un apprendimento subitaneo, che quindi ha
caratteristiche di discontinuità.
Questa impostazione ha fatto si che i gestaltisti si dedicassero soprattutto alla soluzione di
problemi (problem solving) e molto meno di apprendimento in generale, campo quest’ultimo che
sembra rispondere invece a un’impostazione che preveda l’accumulo di conoscenze e quindi il ricorso
a una teoria di tipo continuo quale quella comportamentista.

Kurt Koffka ed i principi di psicologia della forma


Koffka è il fondatore insieme a W. Köhler e M. Wertheimer, della cosiddetta Gestaltpsychologie
Nel 1921 fondò assieme a W. Köhler, K. Goldstein, M. Wertheimer e H. Gruhle, la
rivista Psychologische Forschung, in cui comparvero molti contributi alla nuova psicologia.
Stabilitosi definitivamente negli Stati Uniti nel 1927, insegnando alle università di Cornell
e Wisconsin, diede larga diffusione alle concezioni gestaltiste, influendo notevolmente sull’ambiente
americano, nonostante il massiccio predominio di metodi e tesi behavioristiche. Die Grundlagen der
psychischen Entwicklung (1921) costituisce un tentativo di applicare i principî della Gestalt alla
psicologia infantile.
L’opera più notevole, per l’impostazione teorica e la ricchezza del materiale raccolto, resta la grande
sintesi Principles of Gestalt-Psychology (1935).

Wilhelm Maximilian Wundt – la psicologia fisiologica


Gli esperimenti condotti da Wundt presso il suo laboratorio si concentravano principalmente sugli
atti volontari, essendo questi uno psicologo cognitivista della forma. Basandosi sulla recente scoperta
del fenomeno dell’arco riflesso,

Il metodo di indagine proposto da Wund prevede la scomposizione della coscienza in sensazione ed


emozioni elementari.

Wundt, infatti, riteneva che il processo di reazione agli stimoli fosse composto di cinque momenti:

Il primo puramente fisiologico e quindi osservabili in laboratorio dallo sperimentatore.

I momenti centrali erano della coscienze interna al soggetto sono i processi mentali descrivibili solo
tramite l’introspezione del soggetto dell’esperimento, che pertanto non poteva essere una persona
qualunque, ma doveva essere qualcuno che fosse stato istruito a distinguere quei tre diversi momenti.

L’ultimo fisiologico e quindi esterno ed osservabile.

Secondo Wundt, se anche ammettessimo che i fenomeni mentali complessi dipendono dal cervello,
lo studio della loro connessione con il sostrato fisiologico non sarebbe comunque in grado di
restituirci quello che è il reale significato di tali fenomeni.
Per questo motivo di solito nel laboratorio di Wundt i soggetti dell’esperimento erano gli stessi
studenti di Wundt. L’esperimento si basava quindi su due pilastri: da un lato la misura oggettiva del
tempo di reazione, ovvero quello trascorso tra il primo e l’ultimo momento; dall’altro il resoconto
introspettivo dei tre momenti centrali, fornito dal soggetto dell’esperimento al termine del processo.

Anche se Wundt è considerato l’iniziatore della psicologia sperimentale e fisiologica, egli non era
convinto che questo approccio potesse essere impiegato per studiare ogni tipo di contenuto psichico.
Wundt distingue infatti i processi mentali più semplici, come le sensazioni, da quelli più complessi,
che dipendono dalle facoltà superiori dell’animo umano. Le sensazioni sono strettamente legate alle
condizioni fisiologiche, come l’attività degli organi di senso, e per questo possono essere indagate
sperimentalmente, tramite opportune stimolazioni fisiologiche. I contenuti mentali complessi hanno
invece bisogno di altri metodi per essere studiati, come ad esempio la “psicologia dei popoli”
(Völkerpsychologie).

Per questo motivo Wundt ritiene che la psicologia sia una disciplina ibrida, che ricade in parte
all’interno delle “scienze naturali” (Naturwissenschaften), nella misura in cui si occupa delle
sensazioni e delle connessioni psicofisiche, e in parte nelle “scienze dello spirito”
(Geisteswissenschaften), nella misura in cui tratta delle funzioni psicologiche superiori
(ragionamento, linguaggio, decisioni morali, creazioni artistiche, etc.).

Le proprietà fondamentali dei processi psichici superiori non possono infatti essere spiegate tramite
la parallela attività cerebrale. Per questo motivo, Wundt fornisce una interpretazione diversa al
principio del parallelismo psicofisico, che per i contemporanei di Wundt affermava la completa
dipendenza dei processi mentali dal sostrato fisiologico. Per come lo intende Wundt esso implica solo
la simultaneità (dunque una semplice coincidenza temporale, non una dipendenza) tra fenomeni
cerebrali e mentali, oltre all’assunto che vi sono caratteristiche dei processi mentali che non hanno
alcun corrispettivo fisiologico nel cervello.
In particolare, per Wundt le proprietà mentali sono descrivibili in 4 principi.

Il principio di attualità (Actualität), secondo cui “ogni contenuto psichico è un processo (actus)”,
dunque un qualcosa che fluisce ed è continuamente in mutamento, a differenza degli oggetti che fanno
parte della scienza naturale, i quali sono invece un qualcosa di fisso e che han bisogno dell’intervento
di una forza esterna per mutare.
Il principio di sintesi creativa (schöpferische Synthese), in base al quale l’unione di più contenuti
psichici possiede un significato che non era già contenuto nella somma delle sue parti (come dice la
parola, la sintesi, l’unione, crea qualcosa che non c’era prima). In particolare, i contenuti mentali
complessi che risultano dalla sintesi creativa sono dotati di valore. Ad esempio una poesia ha un
significato maggiore della mera somma delle parole che la compongono, e in più il risultato di questa
unione creatrice è qualcosa che per noi ha un valore (artistico, letterario, etc.).
Il principio dell’analisi correlante (beziehende Analyse), che rappresenta per certi versi l’inverso
del precedente, in quanto afferma che quando nell’analisi si separano dei contenuti mentali, le parti
risultanti mantengono il loro significato solo grazie al fatto che rimangono in una connessione con le
altre parti.
Infine il principio del rafforzamento per contrasto (Contrastverstärkung) afferma che quando due
vissuti sono contrapposti tra loro (ad esempio una sensazione di piacere ed una di dolore), il loro
contrasto finisce per renderli più intensi.
Il vaso di Rubin – il volto o il vaso? Illusioni ottiche e Gestalt
Vaso di Rubin (noto anche come il volto Rubin o la figura-sfondo vaso) è una famosa serie
di ambigue figure bidimensionali sviluppate intorno al 1915 dallo psicologo danese Edgar
Rubin.
Rubin raccolse in due volumi alcuni esempi di figure, in lingua danese Synsoplevede
figurer (“Figure visive”); Egli incluse un certo numero di esempi, ma quello che è diventato il
più famoso è certamente quello del vaso.

Nel vaso di Rubin si possono distinguere due profili neri su sfondo bianco, oppure un calice
bianco su sfondo nero. Tutte le figure di questo tipo possono sempre essere interpretate in
due modi: una figura delle due viene focalizzata, l’ altra assume la funzione di sfondo.

Se si focalizza prima una figura piuttosto che un’ altra dipende soggetto a soggetto, è una
cosa psicologica.

Approfondimento: la Gestalt in Italia:


Cesare Musatti (primo psicologo della forma e della Gestalt in Italia)
Fabio Metelli (⇒ Principali libro di testo La teoria della forma (a.a. 1933-1934). Lezioni di
psicologia sperimentale)
Gaetano Kanizsa (⇒ psicologo della forma italiana ed anche pittore di forme astratte – allievo di
Musatti – il triangolo illusione ottica)

Kanizsa – Il triangolo di Kanizsa ed il rapporto figura/sfondo


Il triangolo di Kanizsa è un’illusione ottica, descritta per la prima volta nel 1955 dallo
psicologo italiano Gaetano Kanizsa. Nella figura “vediamo” due triangoli equilateri bianchi, l’uno
sovrapposto all’altro, anche se nessuno dei due triangoli è effettivamente disegnato.

Questo effetto è conosciuto come profilo soggettivo o illusorio.


Inoltre il triangolo bianco inesistente sembra essere più luminoso della zona circostante, mentre
quell’area ha la stessa luminosità delle zone adiacenti. Questo fenomeno avviene in quanto il nostro
apparato percettivo ha una tendenza organizzativa innata costituita dall’articolazione figura/sfondo
secondo cui non c’è una figura senza sfondo; ciò avviene anche con figure ottenute con margini
fisicamente inesistenti come appunto questo triangolo.

Ciò perché la nostra valutazione percettiva ha bisogno di contrasto figura/sfondo e anche quando
questo non c’è si crea lo stesso.

Nella figura qui sopra noi vediamo, o crediamo di vedere due triangoli equilateri bianchi, l’uno
sovrapposto all’altro, uno dei quali possiede il contorno in parte nero.
Ma è solo un’illusione: nessuno dei due triangoli esiste perché non è effettivamente disegnato!
Inoltre, il triangolo totalmente bianco appare più luminoso della zona circostante, mentre
in realtà le due aree hanno la stessa luminosità. Questa illusione dipende dal fatto che il
nostro cervello ha la tendenza a vedere, sullo sfondo, un’immagine che usa per
contrastare quella in primo piano.
Se questa immagine non c’è, semplicemente… la inventa e la reintepreta.

La psicologia sociale

Willem Doise: la differenziazione categoriale ed il conflitto socio-cognitivo


Gli studi di Willem Doise hanno messo in evidenza il ruolo che le interazioni fra bambini possiedono
nella soluzione di problemi. Apprendere in un contesto relazionale provoca dei profondi mutamenti
di carattere strategico.

Il suo testo di riferimento è W. Doise, Confini e identità, Il Mulino, Bologna 2010


La teoria social-costruttivista permette infatti di superare il modello chiuso di Piaget, in cui
l’apprendimento era visto in chiave sostanzialmente individuale: quando un bambino si trova ad
operare insieme ad altri, il suo modo di agire e di pensare cambia, tenendo conto del contributo
collettivo. Doise ipotizza che l’interazione sociale diviene fonte di progresso cognitivo grazie ai
conflitti socio-cognitivi. Sono i conflitti socio-cognitivi che fanno crescere gli individui,
l’apertura alla complessità del possibile ed hanno quindi una valenza positiva di
“agone”/competizione stimolante. Egli ipotizza che la sua analisi parte dal fatto che ogni
individuo in fase di apprendimento si trova in una posizione (sociale, comunitaria, rispetto agli
altri, etc.) e non in un laboratorio astratto ed isolato (modello di Piaget).
Apprendiamo in una posizione ed a partire da una posizione sociale, di classe, di status, una posizione
contro e non solo una posizione a favore.

Tali conflitti si producono quando, rispetto a un problema dato, più individui utilizzano approcci
cognitivi diversi e tutti ugualmente insufficienti. Il confronto simultaneo tra vari approcci o soluzioni
individuali nel corso di un’interazione sociale rende necessaria e genera la loro integrazione in una
nuova organizzazione.

Perché possa nascere un conflitto sociocognitivo, i partecipanti a un’interazione devono già disporre
di certi strumenti cognitivi; analogamente, il bambino trae profitto dall’interazione solo se è in grado
di coordinare il proprio approccio con quello degli altri.

Questa competenza pre-acquisita consente ad alcuni bambini di giovarsi di un’interazione data,


mentre quelli che non hanno ancora raggiunto una competenza iniziale non ne traggono alcun
profitto.

Processo di differenziazione categoriale – Doise


Secondo Doise devono essere distinti tre aspetti delle relazioni tra gruppi: quello comportamentale,
quello dei giudizi di valore, quello delle rappresentazioni. Questi tre aspetti sono strettamente
interconnessi.
Questi aspetti entrano sempre in gioco nel processo di categorizzazione.

Willem Doise presuppone un legame tra le regolazioni sociali e funzionamento cognitivo quale
generatore delle rappresentazioni sociali, puntualizza tre assunzioni principali:
 Le rappresentazioni sociali possono essere considerate come principi organizzatori delle relazioni
simboliche fra individui e gruppi, in quanto i diversi membri di un gruppo condividono delle
conoscenze comuni sull’oggetto a cui si riferiscono nel corso delle conversazioni.
 Si organizzano delle differenze nelle prese di posizione individuali entro l’ambito della conoscenza
condivisa, in funzione della intensità della loro adesione ai vari aspetti della rappresentazione
sociale.
 Tali differenze fra le prese di posizione individuali sono ancorate alle appartenenze a gruppi, alle
realtà simboliche che questi elaborano, ad esperienze sociopsicologiche condivise in diversa misura
dagli individui, alle loro credenze circa la realtà sociale.

In questo modo le strategie di apprendimento s’intrecciano e rendono necessario un lavoro d’insieme,


che provoca necessariamente una revisione delle singole posizioni di partenza e la costruzione di una
conoscenza più ampia e cooperativa.

1. Mentre nella prospettiva piagetiana l’interiorizzazione e la simbolizzazione delle azioni ad opera


dell’individuo sono alla base dell’attività cognitiva, noi riteniamo che solo coordinando le proprie
azioni con quelle altrui il bambino giunga ad elaborare coordinazioni cognitive di cui non sarebbe
ancora capace individualmente.
2. I bambini che hanno partecipato a certe coordinazioni sociali in seguito diventano capaci di attuarle
autonomamente.
3. Certe operazioni cognitive che si attuano su un materiale dato e in una situazione sociale specifica
hanno un carattere di stabilità e di generalità e possono, in una certa misura, essere applicate ad altri
materiali e ad altre situazioni.

Le regolazioni di natura sociale (norme, rappresentazioni) che presiedono a una data


interazione possono essere un fattore importante nel costituirsi di nuove coordinazioni
cognitive. L’intervento di tali rappresentazioni o significazioni sociali nel corso delle coordinazioni
cognitive effettuate in vista di un compito particolare viene studiato grazie alla nozione di
connotazione sociale.
Essa si riferisce alle possibili corrispondenze tra le regolazioni sociali che caratterizzano i rapporti tra
i protagonisti realmente o simbolicamente presenti in una situazione specifica e le operazioni
cognitive riguardanti certe proprietà degli oggetti che mediano tali relazioni sociali. Una
corrispondenza di questo genere esiste, per esempio, quando una norma sociale richiede l’equa
ripartizione di un liquido in due recipienti di dimensioni diverse.

I bambini praticano la regola dell’uguaglianza prima di padroneggiare tutte le operazioni cognitive


necessarie a concepire l’esistenza di un’identità nel campo dei volumi. È soprattutto in situazioni di
questo genere che il conflitto socio-cognitivo diventa un potente fattore di sviluppo cognitivo. […]
Un’interazione breve ma appropriata, che faceva intervenire il conflitto sociocognitivo e/o la
connotazione sociale, permetteva ai bambini provenienti da ambienti socialmente svantaggiati di
raggiungere i livelli che i bambini più privilegiati raggiungono da soli (fonte W. Doise, Confini e
identità, Il Mulino, Bologna 2010).
Leggiamo un estratto su la connotazione sociale

La connotazione sociale, e quindi l’intervento di norme o regolazioni sociali, ha effetti significativi


solo se si accompagna a un conflitto sociocognitivo, solo se attese fondate su una norma sociale sono
contraddette dalla realtà apparente così come la percepiscono le centrazioni individuali. Pensare che
ogni situazione di connotazione sociale porti a un progresso cognitivo potrebbe implicare il fatto che
il funzionamento cognitivo sia una semplice interiorizzazione delle regolazioni sociali. Poiché non è
così, bisogna definire le condizioni necessarie perché possa intervenire un conflitto sociocognitivo.

Agli individui si pone un problema sociale – come far evolvere le loro relazioni – e insieme un
problema cognitivo: come dare conto delle differenze fra le cognizioni e, eventualmente,
coordinarle o integrarle in una visione comune. Gli aspetti sociali e quelli cognitivi sono
intimamente legati, ma l’analisi della situazione è facilitata quando le due fonti dell’eventuale
perturbazione e del riequilibrio sono prese esplicitamente in considerazione.
Ricerche recenti nel campo dell’apprendimento tra pari (peer groups learning) illustrano la
pertinenza di questa analisi nei termini di una duplice dinamica. (W. Doise, Confini e identità, Il
Mulino, Bologna 2010, pp. 51-53)

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