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La Psicologia Dello Sviluppo e Le Teorie Dell'apprendimento
La Psicologia Dello Sviluppo e Le Teorie Dell'apprendimento
Nell’ambito della psicologia dello sviluppo una prima distinzione da operare è quella tra:
1. la psicologia dell’età evolutiva
2. la psicologia del ciclo di vita
Sia i candidati al TFA SOSTEGNO per Infanzia e Primaria sia quelli per SECONDARIA, devono
conoscere le fasi di sviluppo e le teorie e gli studiosi che ne parlano; con particolare attenzione ed
approfondimento per la fascia di età degli studenti interessati.
La psicologia dell’età evolutiva si occupa di osservare e studiare ciò che avviene dalla fase
dell’infanzia sino all’adolescenza. Infanzia ed adolescenze sono due periodi dello sviluppo
psicologico particolarmente ricchi di cambiamenti e di importanti acquisizioni prima ancora che
fisiologiche (cioè fisiche, nel corpo) nel cervello quindi cognitive che affettive, emotive, etc.
Il periodo dell’infanzia comprende la fase della vita che va dal momento
della nascita al dodicesimo anno (definizione di psicologia evolutiva). La fase dell’adolescenza,
invece, abbraccia tutto ciò che avviene dal dodicesimo al diciottesimo anno, anche se adesso si parla
sempre più spesso di «tarda adolescenza», intendendo così riferirsi al prolungamento di alcune
caratteristiche psicologiche proprie di questa fase di sviluppo, sino al venticinquesimo anno di età.
È importante operare le distinzioni per fasce d’età, poiché a ogni fascia corrispondono una serie
di cambiamenti che non sono solo individuali. ⇒ N.B. stiamo sempre all’interno di una
categoria di pensiero cognitivista.
La psicologia dell’età evolutiva è il settore della psicologia dello sviluppo che studia il processo di
crescita e organizzazione delle persone, legata alla crescita fisica e psicologica nell’ambiente sociale,
nel periodo che va dalla nascita fino all’età della maturazione sessuale e la piena integrazione
nell’ambiente sociale.
Solitamente questo processo viene diviso in cinque fasi:
Alcuni autori come Erikson come vedremo fanno coincidere ogni passaggio ad una sorta di crisi o
età diversa psichica.
Il passaggio da una fase all’altra implica spesso un periodo di crisi, che è fondamentale per adattare
la propria visione del mondo alla maggiore complessità della vita interiore.
Infatti in questo periodo la personalità va acquistando, attraverso alcuni processi evolutivi, una
maggiore autonomia e maturazione nella comprensione della partecipazione affettiva e di
socializzazione.
”Arco di vita” e ”corso di vita” sono principalmente impiegate dalla psicologia dello sviluppo la
prima, e dalla sociologia la seconda, come metafore di evoluzione della vita individuale, mentre
l’espressione ”ciclo di vita” viene usata per indicare l’evolvere nel tempo sia dell’individuo che della
famiglia.
In psicologia, questi concetti confluiscono nell’approccio definito life-span psychology. Life span è
traducibile in italiano come ciclo di vita. La formazione e la psicologia non finisce come diceva Freud
nei primi sei anni di vita, ma continua (Erikson parla di otto età della vita, e inserisce anche la terza
età – l’età adulta – vedi ERIKSON).
I tratti costitutivi della prospettiva life-span sono (Baltes e Reese 1984; Baltes 1987) i seguenti:
l’estensione dello sviluppo ontogenetico a tutta la vita, e non più relegato agli anni dell’infanzia o
ad altre fasce di età; l’esistenza di una notevole variabilità individuale a proposito degli schemi di
evoluzione e cambiamento; l’elevata complessità del processo di sviluppo che trova la propria
formalizzazione non tanto e non più in termini di crescita-maturità-declino, bensì in
un’organizzazione flessibile di fasi o stadi. Secondo questa impostazione, ciascuna fase è
caratterizzata da momenti di crescita e di declino, intesi come processi congiunti, lo sviluppo
psicologico è co-determinato da fattori interni, familiari, ambientali, e assume forme diverse in
funzione delle varie condizioni di vita storiche, sociali, culturali.
Ne deriva pertanto l’esigenza di un approccio interdisciplinare di ricerca in cui vengono privilegiati
gli aspetti processuali e di reciproca interazione delle variabili in gioco.
Così, per es., la psicologia dello sviluppo pone attenzione ai processi evolutivi entro il quadro
emotivo-cognitivo e relazionale del soggetto, mentre la sociologia li colloca nella coorte di
appartenenza, anello di congiunzione tra individuo e società, e la psicologia sociale della famiglia ne
studia il plurimo intrecciarsi all’interno delle dinamiche del gruppo familiare. In questa prospettiva
di studio, lo sviluppo è scandito in più fasi evolutive di cui alcuni autori sottolineano specie gli aspetti
di continuità tra l’una e l’altra, mentre altri ne evidenziano gli elementi di discontinuità.
Nel primo caso si privilegiano i fattori maturativi e intra-individuali, nel secondo si enfatizza
l’incidenza delle cause prossimali sul cambiamento e sullo sviluppo.
Audio 1
questo è un modulo importante all'interno della piattaforma perché è uno dei moduli che va a lavorare sulla
psicologia dell'età evolutiva e la psicologia del ciclo di vita. Questo significa che noi siamo di fronte a dei
ragazzini o a degli studenti nella fase adolescenziale che sono in età evolutiva, la loro psicologia evolve e
cambia; anche un bambino che ha una disturbo una forma di autismo nel tempo vediamo che le sue
capacità si sviluppano e anche le sue capacità. Dobbiamo sempre vedere questi disturbi all'interno di quella
che è detta comorbilità: la presenza di più patologie per esempio il bambino può essere autistico ma allo
stesso tempo avere un problema di attenzione e iperattività.
1. Teorie innatiste o genetiche ⇒ biologiche (apprendiamo per stadi quando matura il nostro
cervello)
2. Teorie apprendimento dall’ambiente e dall’interazione ⇒ sociali (apprendiamo interagendo
con gli altri)
ra chi sostiene che lo sviluppo psicologico del bambino sia innato – TEORIE INNATISTE O
GENETICHE (“ha preso da padre, dalla madre, etc.”) PRIMATO BIOLOGICO e chi sostiene che
invece dipende dall’AMBIENTE dove si cresce (un bambino del quartiere di Scampia a Napoli o di
Quarto Uggiaro a Milano che nasce in una situazione di SVANTAGGIO apprende diversamente da
un altro nato in un contesto ricco ed evoluto) PRIMATO SOCIALE.
Ad esempio il già citato Preyer propose una sintesi tra il primato biologico e quello sociale.
Dovendo occuparci di soggetti che sono in una fase di crescita cognitiva, il bando prevede le
conoscenze di base della psicologia dello sviluppo, la quale come disciplina autonoma avvenne
ufficialmente nel 1882 anno in cui Wilhelm Preyer pubblicò La mente del fanciullo.
Teorie a confronto: comportamentisti contro teorie organicistiche
Secondo alcuni teorici, il cambiamento ha natura quantitativa: lo sviluppo, cioè, è considerato sotto
forma di accrescimento, ovvero come somma e accumulazione progressiva di piccoli cambiamenti
nel tempo. Secondo altri, invece, il cambiamento avrebbe una natura prettamente qualitativa, sarebbe
cioè una trasformazione conseguente a specifici cambiamenti evolutivi.
La tesi quantitativa è sostenuta dai comportamentisti, secondo cui l’individuo accumula nel tempo
esperienze e apprendimenti consequenziali, che ne plasmano la crescita e ne direzionano lo sviluppo.
Tali teorie, dette anche «stimolorisposta» (S-R), considerano il bambino un essere infinitamente
plasmabile il cui sviluppo è interamente condizionato da fattori ambientali esterni.
La tesi qualitativa, invece, è sostenuta dalle teorie organismiche, proposte da Piaget e Vygotskij,
secondo cui l’individuo è attivo costruttore delle proprie conoscenze e competenze e lo sviluppo
appare determinato da principi intrinseci piuttosto che da fattori ambientali esterni.
La psicologia dell’età evolutiva: si occupa di osservare e studiare ciò che avviene nella fase
dell’infanzia sino all’adolescenza, due periodi dello sviluppo psicologico particolarmente
ricchi di cambiamenti e di importanti acquisizioni sia cognitive che affettive, emotive e, prima
ancora, fisiologiche. Il periodo dell’infanzia comprende la fase della vita che va dal momento
della nascita al dodicesimo anno. La fase dell’adolescenza, invece, abbraccia tutto ciò che
avviene dal dodicesimo al diciottesimo anno, anche se adesso si parla sempre più spesso di
«tarda adolescenza», intendendo così riferirsi al prolungamento di alcune caratteristiche
psicologiche proprie di questa fase di sviluppo, sino al venticinquesimo anno di età. È
importante operare le distinzioni per fasce d’età, poiché a ogni fascia corrispondono una serie
di cambiamenti che non sono solo individuali. L’età scolare, ad esempio, è caratterizzata
dall’ingresso nel sistema scolastico, cui segue la maturazione di specifiche abilità. Obiettivo
del percorso di crescita, sia sul piano fisico sia nell’area psicologica, è il raggiungimento della
maturità, ovvero ciò che l’individuo dovrebbe aver acquisito alla fine di questo lungo periodo
di vita, nei termini di una crescita progressiva e armonica nei diversi piani dello sviluppo in
ambito sia fisiologico che psicologico.
La psicologia del ciclo di vita: studia come le persone si adattano alle diverse tappe
dell’esistenza e come gradualmente acquisiscano consapevolezza del calendario biosociale,
ovvero di quell’insieme di scadenze che scandiscono i passaggi evolutivi, come il matrimonio
o l’arrivo dei figli. Per Erikson l’uomo ha come scopo quello di costruire un senso di identità,
per cui ogni tappa della vita rappresenta una svolta. La vita pone l’individuo nella condizione
di dover affrontare dei dilemmi sempre nuovi, in cui le esigenze personali si scontrano con le
componenti e i vincoli sociali. L’uomo apprende attraverso la gestione di questi dilemmi
nuove competenze e consapevolezze che lo conducono a sviluppare la propria identità.
A queste due teorie si aggiunge la prospettiva della psicologia dell’arco di vita, sviluppatasi
a partire dai contributi teorici di Lev Semënovič Vygotskij (1896-1934) e della scuola russa,
secondo cui per comprendere lo sviluppo psicologico dell’individuo è necessario tenere in
considerazione i fattori sociali e culturali in cui la persona è inserita. Secondo questa
prospettiva, le età dell’uomo non possono basarsi su un calcolo puramente cronologico,
poiché l’età da sola non è sufficiente a spiegare i cambiamenti comportamentali. Viene
inserito pertanto il concetto di crescita continua, poiché pur ammettendo, per pura comodità,
la suddivisione in fasi, queste non possono essere esplicative di un processo di costruzione
e integrazione di abilità che progredisce nel tempo.
Ovviamente si può dire che lo sviluppo è coerente con l’età del soggetto.
L’età scolare, ad esempio, è caratterizzata dall’ingresso nel sistema scolastico, cui segue la
maturazione di specifiche abilità. Obiettivo del percorso di crescita, sia sul piano fisico sia nell’area
psicologica, è il raggiungimento della maturità, ovvero ciò che l’individuo dovrebbe aver acquisito
alla fine di questo lungo periodo di vita, nei termini di una crescita progressiva e armonica nei diversi
piani dello sviluppo in ambito sia fisiologico che psicologico.
L’età scolare riguarda il cosiddetto periodo in cui il soggetto è o deve essere dentro
l’istituzione scolastica.
L’obbligo scolastico è una misura introdotta in molti Paesi del mondo, al fine di garantire
una scolarizzazione di massa. È inteso come obbligo di frequenza, non compatibile
col lavoro minorile, e come obbligo di conseguire un titolo di studio. Gli oneri della scuola
dell’obbligo sono totalmente o prevalentemente a carico dello Stato.
L’obbligo d’istruzione (detto genericamente obbligo scolastico e spesso
impropriamente ritenuto nel linguaggio comune come un sinonimo di obbligo formativo),
nel lessico giuridico, indica l’obbligo di assolvere determinati doveri in tema di istruzione.
Attualmente in Italia si distingue tra obbligo scolastico e diritto dovere
all’istruzione/formazione o obbligo formativo. Il primo richiede la permanenza nel sistema di
istruzione per dieci anni, indipendentemente dagli esiti e che dunque non termina a sedici
anni, ma dieci anni dopo aver iniziato (indipendentemente dalle promozioni conseguite), il
secondo, invece, non è un traguardo temporale ma richiede il raggiungimento di una
qualifica pari almeno al II livello EQF.
Il quadro europeo delle qualifiche: L'UE ha sviluppato il quadro europeo delle qualifiche
(EQF) come strumento di "traduzione" per facilitare la comprensione e la comparabilità delle qualifiche
nazionali. L'EQF cerca di sostenere la mobilità transfrontaliera di studenti e lavoratori, di promuovere
l'apprendimento permanente e lo sviluppo professionale in tutta Europa.
Va oltre ricordato il rapporto tra sviluppo cognitivo e ritardo cognitivo, che assume il nome di ritardo
mentale (VEDI MODULO 1 di ORIGINE):
I principali studiosi che hanno studiato per primi i processi cognitivi della
mente umana sono:
1. Piaget
2. Vygotskij
3. Erikson
Jean Piaget
Piaget è uno studioso dell sviluppo cognitivo del bambino. Sebbene collocato nell’ambito del
cognitivismo, Piaget è anche precursore di successive teorie dell’apprendimento, in particolare del
costruttivismo.
Piaget compie uno studio sperimentale sulle strutture e dei processi cognitivi legati alla costruzione
della conoscenza nel corso dello sviluppo.
Gli stadi, come definiti dallo stesso Piaget, si suddividono in:
Stadio senso-motorio da 0 ai 2 anni.
Stadio pre-operatorio dai 2 ai 6 anni.
Stadio operatorio concreto dai 6 ai 12
Stadio operatorio formale dai 12 anni in poi
Ad ogni stadio come vedremo poi segue un sotto-stadio.
Piaget ha tratto delle conclusioni a proposito di ciò che pensano i bambini. A 4 anni essi cominciano
a porsi domande sull’origine delle cose. A 5/6 anni vi è una tendenza all’animismo (vedere un anima
anche in cose inanimate o artificiali), a 8 pensano che siano stati degli esseri antropomorfici a creare
il mondo (artificialismo). A 11-12 anni i bambini definiscono esseri viventi solo piante ed animali.
Il bambino è un costruttore di teorie, fa delle generalizzazioni ed applica dei copioni e ama fare
narrazioni.
Sintesi ad esempio di sviluppo del bambino: Appena nati i bambini riescono a riconoscere i propri
simili. A 2 anni compare il desiderio, a 4 la credenza, la capacità di elaborare spiegazioni complesse
dei comportamenti degli altri. A 4 anni i bambini non sono in grado di dire bugie complesse ed
intenzionali, a 5 sì.
Sue opere principali Lo sviluppo mentale del bambino (1964) e La psicologia del bambino (1966).
Questa teoria verrà ripresa successivamente ne L’epistemologia genetica (1970).
Due le prime principali teorie sullo sviluppo della moralità, che risultano essere per certi aspetti
collegate: la teoria di Piaget e quella di Kohlberg, che si collocano nell’ampia prospettiva cognitivo-
evolutiva.
Piaget si focalizzò sulla morale dei bambini studiando il modo in cui giocano per capire come si
evolve il concetto di bene e di male. Scoprì, in questo modo, che la moralità può considerarsi un
processo evolutivo: i bambini cominciano con lo sviluppo di una morale basata sulla stretta aderenza
alle regole, dettata dalla convinzione che a un’azione errata segua automaticamente una punizione, e
successivamente, attraverso l’interazione con altri bambini, scoprono che un comportamento
strettamente aderente alle regole può talvolta essere problematico. Quindi, sviluppano uno stadio
autonomo di pensiero morale caratterizzato dalla capacità di interpretare le regole criticamente e
selettivamente basandosi sul mutuo rispetto e sulla cooperazione.
Piaget ritiene che il ragionamento morale esplicito del bambino sia una sorta di presa di coscienza
dell’attività morale. Questa presa di coscienza va intesa come una ricostruzione delle nozioni già
sviluppate effettuata anche in base alle nuove capacità cognitive.
Uno degli aspetti fondamentali di questa teoria è la distinzione tra due forme di moralità, che pur
essendo prevalenti in successive fasi dello sviluppo, possono convivere in varie forme: il realismo
morale e il relativismo morale.
La prima forma, il realismo morale, prevalente fino agli otto anni, collegata con una prospettiva
egocentrica del mondo e con il predominare di un modo di pensare “realistico”: la validità dei principi,
rigidi e immutabili, è determinata dall’autorità di chi li ha emanati ( es. i genitori), e dalla capacità di
questi ultimi di far rispettare tali principi con adeguate sanzioni in caso si trasgressione.
In questa prospettiva i comportamenti sono giudicati o giusti o sbagliati, e i bambini ritengono che
tutti debbano giudicarli in questo modo.
Invece, nella forma del relativismo morale, descritta anche come morale dell’autonomia,
l’intenzione e il contesto assumono un ruolo importante nella valutazione dell’atto. Questa forma
di moralità tende a prevalere dopo gli otto anni, anche se può coesistere con manifestazioni
della morale eteronoma. I principi non sono più considerati immutabili, ma fondati e mantenuti dal
consenso reciproco, e quindi modificabili in rapporto a situazioni e contesti diversi.
Per esempio, nei bambini in cui prevale il realismo morale la bugia è considerata ‘cattiva’ perché può
comportare una punizione. Successivamente, per quegli stessi bambini la bugia diventa qualcosa di
cattivo di per sé, anche se le punizioni venissero soppresse. Infine, è considerata negativa perché
danneggia la fiducia reciproca, quindi la regola è stata internalizzata. Da quanto detto prevale un
senso di giustizia derivante dal passaggio da una morale eteronoma ad una morale autonoma. Per
questo, se il bambino vive con i fratelli o compagni una vita sociale che favorisce i suoi bisogni di
simpatia e cooperazione, questo promuoverà una morale fondata sulla reciprocità e non
sull’obbedienza.
Livello convenzionale: questo livello (dai 13/14 anni fino ai 20 anni) è caratterizzato dal
rispetto di norme che sono state socialmente approvate, e non più dalle conseguenze
immediate dell’azione individuale.
Stadio 3: orientamento del “bravo ragazzo”: assume importanza il rispetto delle norme in
modo da rispondere alle aspettative positive della comunità della quale si condividono i
valori.
Stadio 4: orientamento al mantenimento dell’ordine sociale: le relazioni interindividuali
vengono considerate nel contesto di un sistema, le cui regole non devono essere infrante.
Le norme morali non valgono soltanto in quanto legate ad un gruppo con il quale si hanno
legami affettivi ma sono connesse con il proprio ruolo all’interno della società, le cui leggi
vanno rispettate in quanto garantiscono l’ordine sociale.
Livello post-convenzionale (regolato da principi): le norme morali vanno al di là della società
nella quale si vive, sono legate ad un sistema di principi astratti e di valori universali.
Stadio 5: orientamento del contratto sociale: le regole morali non sono fisse e immutabili ma
sono create e quindi modificabili in base ad una sorta di contratto sociale.
Stadio 6: orientamento della coscienza e dei principi universali, che possono non essere
scritti nelle leggi.
Lo sviluppo della moralità avviene sostanzialmente attraverso degli stadi, veicolati dalla vita
in famiglia e da quella nel gruppo dei pari. Ne consegue che la personalità dell’adulto riflette
le caratteristiche sviluppate durante l’infanzia, anche negli aspetti della moralità. In quel
periodo si forma la concezione morale degli individui e perciò della società.
Successivamente, la teoria di Kohlberg costituisce, in parte, un’estensione di quella di
Piaget , con la quale condivide l’aspetto stadiale, la considerazione centrale dei processi di
tipo cognitivo e l’interesse prevalente per il pensiero morale, piuttosto che per lo sviluppo
della moralità nelle sue manifestazioni comportamentali. L’estensione consiste in
un’articolazione degli stadi, che arrivano a coprire l’età adulta, e in una definizione precisa
dei criteri che consentono di collocare le varie forme di giudizio morale nei successivi stadi.
Teoria degli stadi. Piaget individua quattro stadi dello sviluppo, ciascuno dei quali può
dividersi in più sotto-stadi (o fasi)
La fase sensomotoria è la prima tappa di sviluppo cognitivo e parte dalla nascita per concludersi
verso i due anni di vita. Essa è suddivisa in sei stadi uguali universali per i bambini di tutto il mondo,
per questo non è possibile si possa saltare uno stadio né sintetizzare i processi tipici di quello stadio,
ma ogni individuo è necessario acquisisca e sviluppi i diversi schemi tipici di ogni fase.
Durante i primi due anni di vita gli schemi di azione di base gradualmente si coordinano per dare
luogo a schemi e comportamentali più complessi.
Compaiono quelle che sono definite le reazioni circolari primarie, ovvero la ripetizione di
un’azione prodotta inizialmente per caso, che il bambino esegue per sperimentare gli
interessanti effetti. Grazie alla ripetizione, l’azione originaria si consolida e diventa uno
schema che il bambino è capace di eseguire con facilità anche in altre circostanze.
Per concludere l’intelligenza sensomotoria e gli schemi di cui è composta non finiscono e
scompaiono con la prima infanzia, ma ciò che si acquisisce rimane per tutta la vita.
Chiaramente, con la comparsa della capacità simbolica e di altre forme di intelligenza più
alte quelle di base restano più silenti perché fungono da fondamenta per tutto lo sviluppo
cognitivo dell’essere umano.
In sintesi:
1. Reazioni riflesse (primo mese) il bambino agisce attraverso schemi senso motori rigidi innati.
2. Reazioni circolari primarie (tra il secondo e il quarto mese) il bambino ripete un’azione
casuale per ritrovarne gli effetti gradevoli.
3. Reazioni circolari secondarie (tra il quarto e l’ottavo mese) il bambino oriente i suoi
comportamenti verso l’ambiente esterno, cercando di afferrare e muovere gli oggetti e
osservando i risultati delle sue azioni.
4. Reazioni circolari terziarie (dai 12 ai 18 mesi) nasce l’interesse per la novità e dunque si passa
ad una sperimentazione continua.
5. Rappresentazione cognitiva (dai 18 ai 24 mesi) il bambino apprende il concetto di
“permanenza dell’oggetto” , ovvero che gli oggetti della realtà circostante esistono anche se
non li vede.
In questa fase prevale il pensiero egocentrico, ossia la tendenza a non considerare una realtà
diversa da quella che appare al bambino, accompagnato da animismo (tutti gli oggetti sono
animati), artificialismo (il bambino tende a confondere la causalità naturale con la
fabbricazione da parte degli uomini) e finalismo (il bambino attribuisce ad ogni attività
naturale una morale).
Il bambino attraverso il linguaggio diventa capace di ricostruire le azioni passate sotto forma
di racconto e di anticipare quelle future con la rappresentazione verbale.
II Stadio intelligenza preoperatoria
Stadio dell’intelligenza pre-operatoria
Lo stadio dai 2 ai 7 anni comprende due fasi:– la fase del pensiero simbolico pre-concettuale (dai 2
ai 4 anni) durante la quale appare un’attività di tipo simbolico, in quanto il bambino utilizza oggetti
per rappresentarne altri. Si tratta del gioco creativo o simbolico nel quale il bambino usa un oggetto
per rappresentarne un altro (es. una sedia per rappresentare un cavallo).
– la fase del pensiero simbolico intuitivo (dai 4 ai 7 anni) nel corso della quale il bambino acquisisce
sempre maggiore consapevolezza dei molteplici aspetti degli oggetti e comincia a consolidarsi la
capacità di classificare e raggruppare gli oggetti.
Nello stadio pre-operatorio un mondo nuovo fatto di giochi da solo e con l’altro, giochi di
fantasia, di associazioni, giochi con gli altri bambini e con la propria mamma in un universo
ricco di stimoli e pieno di allegria. A partire dal secondo anno di vita, quando nel bambino
va sviluppando l’identità di genere, il gioco si va via via più raffinando e s’iniziano a notare
differenze tra maschi e femmine. Il bambino utilizza il gioco come spazio scenico, di
esplorazione e di costituzione dell’identità. È in questo scenario che acquista particolare
importanza il gioco simbolico in quanto egli può fingersi ciò che non è.
Il bambino ha due anni: iniziano le prime paroline ed ecco che in un batter d’occhio ci si
ritrova seduti su una sedia a bere un finto the preparato da loro oppure presi in un
campionato di rally tra le sedie della cucina.
Tipici dello stadio pre-operatorio sono l’animismo e l’artificialismo: i bambini pensano che
anche i corpi immobili come le bambole o gli animali di plastica siano dotati di vita. Ci sono
anche casi in cui i bambini scelgono oggetti non propriamente con sembianze fisiche come
macchinine o dinosauri. Acquisendo la capacità di stare da solo con l’oggetto il bambino
consolida la fiducia in se stesso e sarà così più disponibile ad affrontare future situazioni
che richiedano indipendenza. Il bambino gioca ad impersonare ruoli diversi, esplorare luoghi
sperimentando le sue diverse emozioni sia proprie che del suo “alter ego”.
Il bambino si finge madre, padre si traveste, accentua caratteristiche per lui interessanti di
un determinato soggetto che interpreta. È nello stadio pre-operatorio che il gioco
dell’immaginazione si sviluppa e permette alla sua fantasia di “correre” veloce in avventure,
personaggi e ambienti diversi. In questa fase si vedono bambine che giocano alla mamma
con le bambole, che si prendono cura del loro orsacchiotto, maschietti che fanno le parti del
papà oppure insieme che cooperano per la risoluzione di storie fantastiche.
Il bambino in questo stadio non solo utilizza i simboli ma è in grado di manipolare i simboli
in modo logico. Una importante conquista è l’acquisizione del concetto di reversibilità, ossia
la capacità di considerare che gli effetti di un’azione possano essere annullati da
un’operazione inversa (ad esempio in ambito scolastico e di insegnamento della matematica
il processo di reversibilità delle principali operazioni addizione/sottrazione –
moltiplicazione/divisione).
Stadio delle operazioni concrete
Stadio delle operazioni concrete
Dai 7 fino ad 11 anni il bambino può utilizzare solo capacità mentali che gli permettono di giungere
a operazioni concrete, non potendo, perché cognitivamente non strutturato, utilizzare informazioni
esclusivamente verbali, ad esempio non è in grado di rispondere al quesito che segue: “Un ragazzo
dice alle sue tre sorelle: ‘In questo mazzo di fiori ce ne sono alcuni gialli’. La prima sorella risponde:
‘Allora tutti i tuoi fiori sono gialli’. La seconda dice: ‘Una parte dei tuoi fiori è gialla’. La terza dice:
‘Nessun fiore è giallo’.
La scarsa maturità cognitiva non permette di rispondere in maniera adeguata e quindi, il bambino
produce una risposta solo ed esclusivamente parziale.
Ancora, nello stadio operatorio concreto riesce ad applicare il principio di conservazione dei
materiali, a esempio una palla di creta si può scomporre in tante palline, e di conservazione della
superficie, alcuni cartoncini occupano la stessa superficie sia sparsi sia uniti in una figura.
– Conservazione o invarianza.
Il bambino si rende conto che una sostanza conserva la sua quantità pur attraversando una
serie di mutamenti delle caratteristiche percettive (forma, peso, volume). Astrae il concetto
di sostanza dalla realtà fenomenica mutevole. Un oggetto è riconoscibile come forma
astratta.
– Classificazione.
La capacità di formare insieme omogenei o eterogenei di oggetti, stabilendo relazioni (più
grande, più piccolo).
– Seriazione.
La capacità di fare SERIE o mettere in serie ed in classi oggetti e cose. In pratica di disporre
in ordine seriale un gruppo di oggetti in ordine di peso, di lunghezza, ecc., dimostrando di
saper cogliere la relazione tra l’oggetto che precede e quello che segue.
In questa fase il linguaggio egocentrico sparisce e il bambino diviene sempre più capace di
cooperare.
Le operazioni concrete contribuiscono, infatti, allo sviluppo della socializzazione grazie a tre
principali tipi di azione:
– I giochi con le regole
– Le azioni in comune
– Gli scambi verbali
Anche l’affettività amplia la sua sfera man mano che si moltiplicano i rapporti sociali e i
sentimenti morali.
In questo stadio il bambino comincia a risolvere i compiti di conservazione di cui si è parlato la volta
scorsa.
Il bambino, nella fase precedente, cioè quella pre operatoria, dirà che la quantità di liquido presente
nei due contenitori di forma diversa è cambiata. Questo avviene perché il bambino concentra la sua
attenzione solo sull’aspetto degli oggetti e non sul contenuto. Ora, con l’avvento dello stadio
operatorio concreto riesce ad affermare, o meglio a conservare, che la quantità d’acqua è sempre la
stessa anche se il contenitore cambia.
In questo modo è possibile sviluppare il pensiero logico, che permette di coordinare e
relazionare le azioni mentali le une con le altre, diventando operazioni concrete.
Nello stadio operatorio concreto il pensiero del bambino è meno egocentrico e autocentrato,
anche se è ancora difficile riuscire a mettersi nei panni dell’altro, percependone il diverso
punto di vista.
La capacità di compiere operazioni mentali concrete, però, permette al bambino di uscire
dal proprio egocentrismo, per prendere in considerazione punti di vista diversi dal proprio.
Così, scopre quali sono i vantaggi che possono derivare dal poter integrare prospettive
diverse dalla propria. In questo modo si generano sentimenti di cooperazione sociale, come
l’amicizia, il rispetto reciproco, l’etica e il senso di giustizia.
Il bambino, inoltre, riesce a comprendere la modalità giusta per poter coordinare due azioni
che sono sequenziali tra loro, garantendo l’apprendimento di nuovi compiti rivolti a uno
scopo. Egli, altresì, prende coscienza che un’azione può anche rimanere invariata, uguale
a se stessa, producendo comunque un risultato se ripetuta.
Il pensiero in questa fase subisce anch’esso un’evoluzione poiché varia da una modalità di
tipo analogico a una di tipo induttivo, per questo si riescono a trarre conclusioni partendo da
assunzioni generali e creare una sorta di credenze che poi influenzeranno il vissuto del
bambino durante tutto l’arco della sua vita.
Stadio delle operazioni formali. IV stadio.
QUARTO STADIO – Stadio delle operazioni formali – Teoria degli Stadi di Piaget.
Secondo il Piaget, in questa fase l’intelligenza raggiunge la sua massima espressione: i nuovi
strumenti deduttivi rendono possibile la costruzione di idee e dei valori legati ai progetti per il futuro.
Siamo giunti all’ ultimo stadio con la teoria di Piaget sullo sviluppo cognitivo nel bambino. Durante
questa ultima fase il protagonista non sarà più il bambino, ma il preadolescente. Infatti, lo stadio
operatorio formale inizia dagli undici-dodici anni e si conclude verso i 15 anni.
Interessa il periodo compreso dagli 11/12 ai 14/16 anni di età.
Nella fase delle operazioni formali in pratica il pre-adolescente acquisisce la capacità del
ragionamento astratto, di tipo ipotetico-deduttivo. Può ora considerare delle ipotesi che possono
essere o non essere vere e pensare cosa potrebbe accadere se fossero vere. Il mondo delle idee e delle
astrazioni gli permette di realizzare un certo equilibrio fra assimilazione e accomodamento.
Ovviamente il pensiero logico-formale non è ancora quello teorico-scientifico, che non si forma certo
nel periodo adolescenziale.
Ovviamente umana non evolve seconda la carta d’identità, non è che il giorno del compimento dei
12 anni il bambino inizia a fare operazioni formali, mentre il giorno prima non è era capace. Sono dei
range di evoluzione, specialmente per il pensiero astratto.
In questo periodo si verificano una quantità di trasformazioni a livello cognitivo che portano
a uno sviluppo esponenziale del pensiero, poiché il preadolescente è ormai in grado di
implementare processi mentali che variano dal particolare – concreto al generale – astratto.
Questa fase delle operazioni intellettuali formali, ovvero operazioni mentali eseguite su
contenuti astratti o formali, riguarda concetti non immediatamente percepibili. Il
preadolescente è in grado di staccarsi mentalmente dal concreto per iniziare a estendere i
contenuti inviluppandoli in una realtà più ampia. Quindi, si parte dal reale per arrivare a
produrre ragionamento ipotetico o astratto.
Il pensiero in questo stadio è molto immaginativo, in gergo si definisce di logica –
proposizionale, ovvero si fantastica su cose tendenzialmente probabili. Tutto questo è
possibile grazie allo sviluppo di capacità mentali totalmente reversibili, che portano, alla fine
della fiera, alla formazione di concetti generali, credenze o verità, indubbiamente soggettive.
Queste nozioni generali sono desunte da una serie di strutture logiche di base possedute
precedentemente e che, solo in questo momento, è possibile astrarre utilizzando una serie
di principi:
1. Proporzionalità, rispettare le reali proporzioni e relazione tra le variabili;
2. operazioni combinatorie, capacità di ricavare tutte le combinazioni possibili tra diverse
variabili;
3. relatività dei movimenti e delle velocità, percepire le diverse sfumature dovute alla
distanza e al movimento;
4. nozione di probabilità, si tratta di ragionare in base al calcolo combinatorio;
5. nozione di correlazione, stabilire la reale relazione di causa ed effetto tra le variabili in
base a elementi comuni;
6. compensazione moltiplicativa, l’aumento del peso può essere compensato da una
diminuzione dell’altezza;
7. Forma di conservazione che oltrepassa l’esperienza, conservazione non verificabile in
quanto non sperimentabile come nel caso del principio di inerzia.
Le operazioni descritte sono puramente intellettive poiché il preadolescente giunge alle
conclusioni tramite un processo di esclusione mentale di alcune variabili concrete. Il
pensiero formale è caratterizzato, inoltre, dalla capacità di separare, che consiste nel
considerare in modo disgiunto e staccato diverse variabili di un sistema. Quindi, il
preadolescente è in grado di comprendere che alcuni fenomeni sono costituiti da parti e di
conseguenza scomponibili. Durante questa fase di sviluppo del pensiero formale si pongono
le basi per la definizione della propria personalità.
La costruzione della personalità ha inizio verso gli otto anni, si struttura intorno ai 12 anni e,
inevitabilmente, è influenzata dalla cultura, dalle regole e dal senso di moralità.
La personalità è il risultato finale che si ottiene nel momento in cui tutte le fasi di pensiero
sono state raggiunte, sviluppate e si è definito un minimo di progetto evolutivo sulla propria
persona.
Per questo, l’adolescente in questo periodo fantastica progetti e sogna il futuro, facendo i
conti con il reale, la società, in cui non si riconosce, perché gli impedisce, con le sue regole,
di far sbocciare il suo essere.L’amore, l’essere al centro del suo mondo costituiscono le basi
per entrare a far parte di diritto nel mondo circostante, apportando un contribuito specifico
rispetto alle proprie potenzialità e caratteristiche personologiche.
⇒ In questo periodo il pensiero è caratterizzato da idee astratte e consente all’adolescente
di raggiungere un certo equilibrio fra assimilazione e accomodamento.
Approfondimento Piaget:
Punto di partenza della teoria di Piaget è il concetto di conoscenza come continua interazione tra
ambiente e organismo. Perché vi sia conoscenza, il soggetto però deve agire sull’ ambiente in maniera
attiva. Piaget individua due tipi di azione: reale (fisica) e interiorizzata (mentale).
Osservando il comportamento del bambino durante le fasi della sua evoluzione, Piaget asserisce che
esistono degli invarianti funzionali che governano tutte le azioni degli individui e che non mutano le
loro caratteristiche di funzionamento durante lo sviluppo della persona. Tali invarianti sono
il principio di organizzazione, per il quale il pensiero si organizza in strutture e schemi coerenti, e
il principio di adattamento, per il quale lo scambio continuo tra soggetto e ambiente esterno causa
una variazione delle strutture del pensiero.
L’adattamento avviene tramite due processi:
In pratica un bambino decodifica un’esperienza in base ad elementi che già gli sono noti.
L’accomodamento consiste nella modifica della struttura cognitiva o dello schema comportamentale
per accogliere nuovi soggetti o eventi che fino a quel momento erano ignoti.
I due processi si alternano nella costante ricerca di un equilibrio, ovvero di una forma di controllo
della realtà esterna.
Nei suoi studi sull’età evolutiva, Piaget rilevò la presenza di momenti dello sviluppo nei quali
prevale l’assimilazione, momenti nei quali prevale l’accomodamento e momenti di relativo
equilibrio.
Elaborò, dunque, una distinzione degli stadi dello sviluppo cognitivo descrivendo quattro periodi
fondamentali dello stesso, comuni a tutti gli individuo e che si susseguono se
1. Stadio dell’intelligenza senso-motoria (0/2 anni)
2. Stadio pre-operatorio (2/7 anni)
3. Stadio delle operazioni concrete (7/12 anni)
4. Stadio delle operazioni formali (da 12 anni in poi)
In questa lezione cerchiamo di spiegare la differenza teorica tra Paget e Vygotsky: questi
due autori importanti che sulla questione di come noi apprendiamo hanno due prospettive
diverse. Da un lato c'è Piaget che parla di una teoria stadiale quindi una serie di stadi, fasi.
Entrambi gli autori studiano come un bambino che abbiano apprende costruisce processi
cognitivi e pian piano riesce a sviluppare nuove capacità. Partendo dal principio della vita
dell’apprendiemnto di un bambino, dagli 0 ai 2 anni il bambino acquisisce delle prime
capacità fino ad arrivare alle capacità evolutive superiori. Diversamente Vygotskyn guarda
da altri aspetti e non soltanto quelli evolutivi. Comincerei dall'idea di stadio: è simile all'idea
che noi abbiamo di una pianta quando la mente umana come una pianta sviluppa
biologicamente certe caratteristiche, anche la mente umana ha bisogno di avere il proprio
tempo evolutivo per sviluppare certe capacità.
Esempio: quando piantiamo un ulivo non ci aspettiamo di raccogliere le olive dopo il primo
anno, ma aspettiamo la raccolta delle olive quando la pianta ha raggiunto la sua piena
maturazione.
Per quanto riguarda la mente umana ad un bambino di 2 anni non possiamo chiedere delle
capacità cognitive per esempio calcoli, astrazioni che possiamo chiedere a un bambino di
10 anni. Questa è la teoria stadiale, cioè gli esseri umani attraversano degli stadi evolutivi.
Secondo tale teoria degli stadi di Piaget i bambini hanno un primo stadio che va da 0 a 2
anni, che poi sarà diviso in sotto stadi, cioè un periodo in cui maturano delle abilità.
Tale stadio si chiama Stadio Sensomotorio che va da 0 a 2 anni che si divide in sei sotto
stati in cui praticamente il bambino e acquisisce la capacità di controllare il proprio corpo,
afferra un oggetto, lo tocca, all'inizio comincia a portare gli oggetti alla bocca perché è un
modo per conoscere i propri sensi, per conoscere, sapere, afferra un oggetto (il bambino ci
mette alcuni mesi per riuscire a prendere bene un oggetto nella proprio mano)
Poi abbiamo lo stadio preoperatorio che va dai 2 ai 7 anni e si divide in due sottostati quindi
preoperatorio significa prima dello Stadio delle operazioni concrete e finalmente vi è questo
stadio delle operazioni concrete in cui abbiamo fondamentalmente la capacità del bambino
di avere l'idea che le cose si conservano, che rimangono nel tempo, quindi anche il capire
di avere rispetto delle cose. L'individuazione di una forma di un peso di un volume, saper
classificare gli oggetti, quindi sa per esempio che se vede la forma di un cane la sua
classifica nel regno animale, quindi la classificazione delle cose. Sicuramente è il periodo
della costruzione delle serie, inizia a costruire l'idea che le cose sono concatenate, che
sono della serie quindi comincia a contare, a saper fare le addizioni, le divisioni a fare una
serie numerica fino ad arrivare agli scambi verbali e comunicativi. Quindi il bambino nella
fase dopo le azioni concrete ha queste capacità di fare operazioni. L'ultimo stadio poi, dopo
gli 11/12 anni il bambino riesce, senza ricorrere alla situazione concreta , a immaginarlo. Se
riesce a fare i calcoli a mente e se in un primo momento li faceva piano piano e con la penna,
è perchè si sta sviluppando la capacità di astrazione, con la manipolazione concreta delle
idee riesce raggiungere un pensiero formale.
Con la capacità di ragionare su situazioni ipotetiche, in questa fase riesce a dire bugie, le
malizie, riesce ad avere quella capacità di fingere, di costruire finzioni. E’ una nuova fase in
cui ha questa capacità di elaborare concetti astratti rispetto al concetto concreto ( es sedia
tavolo è concreta già parlare di democrazia la democrazia o l'idea di alcuni contenuti che
noi nella nostra vita che sono dei soldi ad esempio il valore è capito comincia a capire il
valore della moneta un bambino di 7 anni ancora non riesce ad avere idea di come
funzionano i soldi le quantità perché con questi soldi compro delle cose è rimasto ancora un
livello molto basico della sua capacità mentale, invece quando arriva alle operazioni formali
sa dare il valore ai soldi. Si va dalle cose più semplici alle cose più complesse diviso per
età, con Piaget.
Qual è invece la critica che faV.: è anche vero che se noi vediamo due bambini uno di 5 e
uno di 7 anni lo mettiamo insieme a uno di 9 anni sicuramente c'è una zona prossimale per
cui completato il mio stadio tendo a portarmi più avanti perché sono stimolato dal bambino
più grande da chi ne fa di più. L’ individuo all'interno della società in relazione con gli altri ha
delle stimolazioni maggiori, la cultura e l’ambinte in cui vive sono molto importanti pe lo
sviluppo cognitivo. Rispetto all'impostazione di Piaget e lo sviluppo della mente del bambino
come determinate esclusivamente da un fatto biologico interno come un albero, una painta,
per V non basta perchè lui inserisce la dimensione sociale e culturale. Non a caso V è un
autore dove gli aspetti socio-culturali sono determinanti per l'apprendimento.
Un bambino che nasce a Scampia avrà delle stimolazioni e uno sviluppo diverso dal
bambino che nasce una brava famiglia. Il famoso scugnizzo napoletano che si dice che si è
più sveglio degli altri bambini è perché in un contesto dove è richiesta una certa scaltrezza,
una certa capacità di muoversi, permette a questi bambini di sfruttare una famosa zona di
gruppo prossimale.
Esempio del bambini eschimese edella sua esperienza con la neve.
Un altro concetto è quello dello stimolo-mezzo un'altra cosa Che l'essere umano fa è quello
di crearsi degli stimoli fuori di te che possono condizionare lo possono aiutare e farlo
evolvere.
Esempio della sveglia: la sveglia ci permette di agire su noi stessi, ma siamo noi stessi a
crearla come stimolo esterno. La sveglia ci permette di decidere il nostro tempo. Altri
esempi: il nodo al fazzoletto per ricordarsi qualcosa, il calendario, la sveglia; sono tutti stimoli
mezzo che sfruttano le capacità umane di sviluppare le proprie capacità cognitiva con degli
stimoli mezzo questo è anche quella famosa teoria degli amplificatori di Bruner che dirà la
stessa cosa, molto simile allo stimolo mezzo perchè considera gli amplificatori o degli oggetti
come amplificatore di capacità cognitive degli individui.
L’uso delle tecnologie è un amplificatore nella didattica; non sono altro che gli strumenti che
gli oggetti anche la stessa LIM che amplifica la capacità delle persone di poter imparare
qualcosa perché oltre a sentire il docente può vedere un video o ascoltare una musica può
vedere un tutorial quindi tutti questi oggetti tecnici che gli esseri umani usano possono in
certo qual senso implementare l’apprendimento.
Piaget dice età e maturità del soggetto, Bruner dice oggetti amplificatori,
V. dice ambiente.
La conoscenza è data da quell’insieme di saperi e conoscenze, strumenti e amplificatori di
conoscenze, risorse didattiche, esperienze. Non è qualcosa che si trasmette come se fosse
un pacchetto di informazioni che vanno da una testa ad un'altra testa.
L’approccio costruttivista e l'approccio per cui se vuoi date un pesciolino ha un bambino
africano lui mangia il pesciolino e poi dopo di nuovo fame invece una buon rendimento
significativo significa dare la canna da pesca al bambino in modo tale che il bambino possa
da solo ritrovarsi quelle conoscenze e quelle informazioni che desidera.
Che cos'è un apprendimento significativo un è proprio questa capacità di far proprie
queste conoscenze, quindi di farle diventare competenze con il passaggio tra conoscenze
e competenze per poterlo usare poi anche in assenza dell’ educatore.
Il fine ultimo della scuola è che i ragazzi imparino ad imparare, questo è il concetto
fondamentale imparare ad imparare come si potrebbe anche da soli farsi delle informazioni
può farsi una conoscenza.Facciamo un esempio: l'insegnante di storia insegna la storia solo
con il libro e il bambino risponde all'insegnante solo per prendere un voto. Invece chi insegna
imparare ad imparare insegna bambino Come fare quando magari va a visitare con la
mamma gli scavi di Pompei per cercare delle informazioni sul luogo per farsi da solo una
conoscenza che può essere utile per la vita di tutti i giorni.
3. Erik Erikson
Il campo della psicologia del ciclo di vita, al quale ha dato forte impulso il lavoro di Erik
Erikson (1902-1980), studia come le persone si adattano alle diverse tappe dell’esistenza
e come gradualmente acquisiscano consapevolezza del calendario biosociale, ovvero di
quell’insieme di scadenze che scandiscono i passaggi evolutivi, come il matrimonio o l’arrivo
dei figli.
Per Erikson l’uomo ha come scopo quello di costruire un senso di identità, per cui ogni tappa
della vita rappresenta una svolta.
Le otto età della vita, gli stadi dell’evoluzione psicologica di Erikson che dura tutta la vita (a
differenza di Freud)
⇒ Erikson: La vita pone l’individuo nella condizione di dover affrontare dei dilemmi sempre
nuovi, in cui le esigenze personali si scontrano con le componenti e i vincoli sociali.
Audiolezione su Erikson
Audiolezione
Secondo Jean Piaget lo sviluppo riguarda varie fasi, ogni fase è caratterizzata da un tipo particolare
di operazione:
lo stadio sensomotorio, che dura dalla nascita all’età di due anni e consente all’intelligenza
di esprimersi solo attraverso il contatto sensorio efisico con l’ambiente. Prima che sia
raggiunto il livello del linguaggio, i significati vengono definiti attraverso la manipolazione.
Un effetto dell’attività manipolatoria del bambino è il conseguimento dell’oggetto,
l’acquisita consapevolezza cioè che un oggetto visto da differenti angoli visuali costituisce
una realtà duratura, perché l’oggetto rimane invariato.
Per esempio, quando impara a reggere il biberon, se questo gli viene presentato capovolto il
bambino cerca di poppare dal fondo, ma successivamente, quando riconoscerà l’oggetto come
qualcosa di persistente, lo raddrizza e comincia a succhiare dalla sommità;
lo stadio preoperazionale, che si prolunga dai due ai sette anni e che appare caratterizzato,
sotto il profilo sia della conoscenza sia della morale, da un tratto particolare, l’egocentrismo.
Il bambino inizia con il comprendere e il sentire attraverso se stesso, prima di riuscire a
operare una distinzione tra ciò che appartiene alle cose o agli altri e ciò che proviene dal
proprio universo intellettivo e affettivo. Il bambino, dunque, non può divenire cosciente del
proprio pensiero, poiché la coscienza di sé comporta un confronto continuo tra l’io e l’altro.
Nel periodo dai cinque ai sette anni si sviluppa progressivamente il principio
della conservazione della massa, del peso e del volume degli oggetti;
lo stadio delle operazioni concrete, che dura dall’età di sette all’età di undici anni, in cui si
alterna il primitivo egocentrismo all’accettazione passiva dei giudizi altrui. Fino all’età di
sette anni, dato che il rapporto con gli adulti, innanzitutto con i genitori, appare
predominante e segnato dalla soggezione e dalla coercizione, il pensiero e la coscienza
morale sono ancora esterni al bambino, che li riceve incondizionatamente dagli altri soggetti
significativi del suo ambiente. Durante questa fase, i fanciulli sono capaci di trattare il mondo
concreto quasi con la stessa abilità cognitiva di un adulto, possono assumere i ruoli degli
altri e giudicare ponendosi nella prospettiva di costoro. Il bambino diventa capace di compiere
operazioni logiche, come la reversibilità in aritmetica, la classificazione, cioè
l’organizzazione di oggetti in gerarchie di classi, esuccessivamente la seriazione, ossia
l’organizzazione di oggetti in serie ordinate. Appare un’altra forma di relazione sociale, quella
fondata sulla cooperazione, instaurata tramite il contatto con compagni coetanei, che
consente di comprendere la diversità e la complementarità delle funzioni nel gioco
collettivo e quindi della molteplicità dei punti di vista. Si perviene all’autonomia solo
attraverso la discussione, che, ingenerando riflessioni, verifiche e critiche, permette di passare
al vaglio idee e categorie, regole e principi;
lo stadio delle operazioni formali, che comincia con l’inizio dell’adolescenza ed è
caratterizzato dall’acquisita capacità del soggetto
di concettualizzazione e di formulazione di un ragionamento ipotetico-deduttivo.
La persona conosce e interpreta la realtà in interazione con l’ambiente, che non è separato
dall’individuo ma è anzi in una certa misura costruito dall’individuo stesso. Per questo motivo
occorre porre l’attenzione sulle diverse funzioni psicologiche dello sviluppo: lo sviluppo
fisico-motorio, lo sviluppo cognitivo, lo sviluppo affettivo-emozionale, lo sviluppo sociale e
della comunicazione.
IL COMPORTAMENTISMO
⇒ Principali autori del comportamentismo classico
Ivan Pavlov
Ivan Pavlov concetto di connessione tra stimolo e risposta e concetto di condizionamento.
Egli ha distinto uno stimolo e una risposta incondizionati, da uno stimolo e una risposta condizionati,
cioè indotti dall’esterno.
Perché avvenga questa associazione devono essere rispettate due condizioni principali:
– La contiguità temporale tra le variabili in gioco;
– La connessione tra le variabili deve essere ripetuta un numero sufficiente di volte.
Comportementismo-riflesso condizionato
Il riflesso condizionato è un processo passivo (non richiede partecipazione da parte del soggetto) che
tende a radicarsi nella mente del soggetto secondo una gerarchia di rinforzi:
rinforzo casuale (random)
rinforzo cadenzato (ogni n volte)
rinforzo costante (sempre)
Il rinforzo positivo, per essere efficace, richiede di solito un maggior numero di somministrazioni
rispetto al rinforzo negativo.
– Se il rinforzo viene a mancare⇒ la risposta condizionata tende ad estinguersi.
– Se si riprende a somministrare il rinforzo (estinto)⇒ il riflesso condizionato torna a
manifestarsi rapidamente.
Comportamentismo-rinforzo positivo
Il rinforzo positivo consiste: in una ricompensa che aumenta la frequenza di emissione di una
risposta; ha l’effetto di accrescere la probabilità che un dato evento si verifichi (una ricompensa
segue il comportamento desiderato). La sottrazione del soggetto ad una situazione di disagio
determina invece un RINFORZO NEGATIVO.
Nell’ambito degli studi sul riflesso condizionato, si mettono in evidenza anche dei fenomeni
specifici:
estinzione;
recupero spontaneo
generalizzazione;
discriminazione
Comportamentismo-estinzione
Graduale scomparsa della risposta condizionata o riflessa. Se lo stimolo incondizionato viene
omesso ripetutamente, allora la risposta condizionata perde di intensità fino a scomparire.
Comportamentismo-recupero spontaneo
Progressivo riapparire della risposta condizionata o riflessa se lo stimolo condizionato comincia
progressivamente a riaccompagnare quello incondizionato.
Comportamentismo-generalizzazione
Tendenza a produrre la risposta condizionata anche quando lo stimolo che accompagna lo
stimolo incondizionato è molto prossimo a quello condizionato, ossia allo stimolo per il quale è
stato creato il condizionamento.
La risposta condizionata è sensibile alla generalizzazione dello stimolo condizionato (per esempio il
cane può iniziare a salivare anche all’ udire suoni diversi da quello iniziale).
Comportamentismo-discriminazione
Fenomeno opposto alla generalizzazione – il soggetto impara a distinguere in modo sensibile due
stimoli pressoché simili. Se uno di essi rappresenta lo stimolo condizionato, l’altro, che è molto
simile, non riesce a produrre analogamente la risposta condizionata.
John B. Watson ED IL COMPORTAMENTISMO
Albert è un bambino di 9 mesi che ama giocare con un topolino bianco e viene spaventato con rumori
violenti proprio mentre gioca con la bestiola:
uno stimolo incondizionato (il rumore violento) provoca una risposta incondizionata (la paura).
Allo stimolo incondizionato il bambino associa lo stimolo neutro ( il topolino), per cui dopo una
serie di somministrazioni congiunte dei due stimoli, Albert finisce per avere paura anche del topolino.
Egli mostra una risposta condizionata o riflessa (la paura) in presenza dello stimolo
neutro (topolino) che diventa condizionato.
In sintesi, possiamo affermare che sono proprio i principi della frequenza e della recenza a
gestire questo condizionamento esterno.
Per Watson tanto più frequentemente e tanto più recentemente un’associazione stimolo
rinforzo si è verificata, maggiore è la probabilità che questa si verifichi ancora e si ripeta.
Più recente è lo stimolo più questo condiziona.
L’espressione prova e sbaglia (in inglese trial and error ossia, letteralmente, tentativo ed errore)
denota un metodo euristico che mira a trovare una soluzione a un problema effettuando un tentativo
e verificando se ha prodotto l’effetto desiderato. In caso positivo il tentativo costituisce una soluzione
al problema altrimenti si prosegue effettuando un diverso tentativo.
È orientato alla soluzione: non si propone di scoprire perché un tentativo funziona ma si limita
a cercarlo.
È specifico del problema in esame: non ha alcuna pretesa di generalizzazione ad altri
problemi.
Non è ottimale: si limita in genere a trovare una sola soluzione che di solito non sarà la
migliore possibile.
Non richiede una conoscenza approfondita: si propone di trovare una soluzione ad un
problema di cui magari si conosce poco o nulla.
È possibile usare il prova e sbaglia per trovare tutte le soluzioni o la migliore soluzione nel caso in
cui ne esista un numero finito. In tal caso, anziché fermarsi al primo tentativo che ha fornito un esito
desiderato, se ne prende nota e si continua nei tentativi fino a trovare tutte le soluzioni. Alla fine
queste vengono confrontate sulla base di un dato criterio che determinerà quali tra esse è da
considerarsi la migliore.
Thorndike formula le cosidette “leggi dell’apprendimento” che si vanno aggiungere a quella della
frequenza da individuata da Watson:
⇒ In caso positivo il tentativo costituisce una soluzione al problema altrimenti si prosegue effettuando
un diverso tentativo.
La base dell’apprendimento ipotizzata da Thorndike è l’associazione tra le impressioni sensoriali e
gli impulsi all’azione, cioè la “connessione”. Poiché sono queste connessioni che si rafforzano o si
indeboliscono nella formazione o nell’estinzione di abitudini, il sistema di Thorndike viene
definito connessionismo.
Una volta individuato il comportamento soddisfacente, per Thorndike è importante formulare delle
leggi che possano descrivere come l’animale apprende e adotta successivamente tale comportamento
in situazioni analoghe (legge dell’effetto/ legge dell’esercizio/ legge della prontezza).
Legge dell’effetto
Le azioni che producono effetti soddisfacenti hanno più probabilità di essere ripetute quando si
presenta la stessa situazione, e quindi di essere apprese. Le azioni che producono effetti spiacevoli
o sono prive di effetti hanno sempre meno probabilità di essere ripetute e quindi apprese.
Legge dell’esercizio
Comportamenti più spesso esercitati hanno maggiori probabilità di essere impiegati in condizioni
simili.
Legge della prontezza
La correlazione stimolo – risposta viene rafforzata dall’esercizio e si indebolisce quando
l’addestramento è discontinuo.
Un soggetto trova stimolante compiere una certa associazione quando è pronto, sufficientemente
maturo per compierla. Se non è nello stato di poterla compiere, il fatto di metterla in atto porta ad una
situazione di disagio. In modo analogo, l’essere pronti a svolgere una certa associazione e non essere
messi in condizione di farlo crea uno stato di disagio.
Per Edward L. Thorndike gli studenti erano incoraggiati dai buoni risultati ma che il
peggioramento degli stessi non insegnava loro a correggere gli errori.
Il contrario di questo approccio sarà poi successivamente la didattica dell’errore.
“E’ sorprendente vedere come gli studenti possano perdere una parte della loro paura di sbagliare,
profondamente radicata in loro, quando si trovano con un insegnante che non chiede loro di essere
nel giusto, ma soltanto di unirsi a lui nella ricerca dell’errore: del suo come del proprio” (Postman,
1981)
Gli esperimenti erano condotti su un gatto deprivato di cibo, che veniva posto all’esterno della gabbia.
L’espressione prova e sbaglia (in inglese trial and error ossia, letteralmente, tentativo ed errore)
denota un metodo euristico che mira a trovare una soluzione a un problema effettuando un tentativo
e verificando se ha prodotto l’effetto desiderato.
In caso positivo il tentativo costituisce una soluzione al problema altrimenti si prosegue effettuando
un diverso tentativo.
Lo strumento sperimentale usato in questo paradigma era la Skinner box: una gabbia in cui
la cavia poteva esplorare liberamente l’ambiente e compiere comportamenti come pigiare
una leva o premere un tasto (vedi l’ esperimento).
ESPERIMENTO N°1
L’animale posto all’interno della gabbia è a digiuno da molte ore e quindi attivo e alla ricerca di
cibo. Il cibo viene reso disponibile solo quando l’animale preme una delle leve presenti nella gabbia
(solo una funziona). L’animale, muovendosi in modo casuale, prima o poi preme la leva giusta.
Dopo averlo fatto alcune volte per caso, si dirigerà senza esitazione verso quella leva: ha appreso
questa operazione, che viene chiamata operazione condizionata. Un premio che incoraggia la
ripetizione del comportamento come il cibo viene definito rinforzo positivo.
ESPERIMENTO N°2
Il roditore viene posto in una gabbia attraverso la quale avviene un passaggio di corrente. Il topo può
subire una scossa elettrica, tuttavia, azionando una leva in maniera casuale, la scossa si interrompe.
In questo caso vi è un rinforzo negativo, ossia la sottrazione del soggetto da una situazione di disagio.
Anche in questo caso, dopo qualche esperienza, il topo “impara” a compiere quelle azioni che
rimuovono il disagio dovuto alla scossa elettrica.
In entrambi i casi, la risposta del topo (il suo comportamento) induce un rinforzo che funge da
stimolo per comportamenti futuri.
Al contrario, la punizione, riduce la comparsa di un comportamento inadatto o sgradevole.
IL NEO-COMPORTAMENTISMO
Il modello NEO-COMPORTAMENTISTA segna un punto di reale rottura e discontinuità con
il comportamentismo classico. Rappresenta un ponte verso le teorie cognitiviste: si sostituisce
al paradigma stimolo-risposta un nuovo paradigma che prevede la presenza del soggetto
tra lo stimolo e la risposta.
Principali autori del neocomportamentismo:
EDWARD C. TOLMAN
CLARK L.HULL
♦ ALBERT BANDURA, con la sua teoria dell’apprendimento sociale e dell’autoefficacia, è
stato un autore fondamentale nel passaggio dall’approccio comportamentista verso la
definizione del cognitivismo.
Per la Gestalt la forma non è data dalla semplice somma dei suoi elementi ma è qualcosa di diverso,
essendo frutto di elaborazione mentale e cognitiva dei dati visibili.
La percezione dunque non dipende dagli elementi ma dalla strutturazione di questi in un “insieme
organizzato”, in una “Gestalt” (generalmente tradotta con “forma”, “struttura”).
La concezione fondamentale alla base della Gestalt è che nella nostra percezione del mondo esterno
noi non cogliamo delle semplici somme di stimoli, i quali si uniscono a dare gli oggetti, ma
percepiamo delle forme, che sono qualcosa di più e di diverso della semplice somma degli stimoli
che la compongono. Tale teoria si opponeva polemicamente a quanto sostenevano gli psicologi
associazionisti ed elementaristi i quali concepivano invece il processo percettivo come una semplice
opera di sommazione degli stimoli e vedevano il lavoro dello psicologo soprattutto come un’opera
di analisi del percepito, in cui era importante separare il momento della “sensazione” da quello della
vera e propria “percezione”.
Per gli psicologi della forma, invece, tale analisi non era possibile, essendo le forme stesse le minime
unità d’analisi, ulteriormente inscindibili; essi pensavano inoltre che le forme si costituissero sulla
base di certe leggi percettive sostanzialmente innate, legate alla dinamica del sistema nervoso, mentre
per gli associazionisti i legami fra le sensazioni elementari si costituivano sulla base
dell’esperienza passata dell’individuo. La nascita della Gestalt si ebbe con un famoso esperimento di
Wertheimer, del 1911, sul movimento apparente o stroboscopico: il “fenomeno phi”.
Esso consiste nel fatto che, presentando due luci proiettate su uno schermo a una certa distanza l’una
dall’altra, e separate da un breve intervallo temporale, il soggetto non percepisce due luci immobili,
ma un’unica luce in movimento dalla prima alla seconda posizione. Il fenomeno in quanto tale era
noto già da tempo (e del resto è alla base del movimento cinematografico), ma l’originalità di
Wertheimer consiste nell’interpretazione che ne diede. Il fenomeno phi dimostrava, infatti, come il
fatto percettivo fosse inanalizzabile; il movimento (in questo caso il dato più importante che emergeva
a livello percettivo) sarebbe stato distrutto da un processo di analisi, che avrebbe portato solo a trovare
degli stimoli stazionari.
L’esperimento di Wertheimer dimostrava una cosa fondamentale: che il «tutto – cioè il movimento
percepito – è qualcosa di più e di diverso dalla somma dei singoli componenti». Se la percezione
fosse il risultato diretto di quello che accade nel fenomeno fisico, dovremmo vedere luci che si
accendono una dopo l’altra e non una luce in movimento. Dunque è la nostra mente che interviene
attivamente nella costruzione del fenomeno percettivo e lo coglie nella sua totalità.
La risposta della psicologia gestaltista è chiara perché attribuisce i risultati dell’attività percettiva ai
modi in cui la mente ricostruisce i fenomeni che osserviamo. Noi tendiamo a percepire il tutto come
qualcosa di diverso dalle sue singole parti. Lo aveva notato in passato anche lo psicologo e filosofo
austriaco Cristian Von Ehrenfels (1859-1932) facendo osservare come in un brano musicale quello
che la nostra percezione coglie non sono le singole note ma la melodia.
La mente, per la psicologia della Gestalt, percepisce il tutto come indivisibile, ovvero come flusso
continuo e questo “tutto” viene anche completato dalla mente stessa. In questo caso, è bene affermale,
che la percezione è una facoltà mentale attiva, perché non si limita a registrare i fatti ma li ricostruisce
rappresentandoseli.
All’ esperimento presero parte bambini di età compresa tra i 3 e i 6 anni che frequentavano l’asilo dell’Università di
Stanford.
Il primo gruppo venne condotto in una sala piena di giochi dove un adulto colpiva con una mazza e insultava
una bambola di grandi dimensioni, Bobo.
Nel secondo gruppo c’era sempre un adulto, ma non mostrava alcuna forma di aggressività nei confronti della
bambola.
Infine, il gruppo di controllo non prevedeva la presenza di un adulto come modello.
Risultati: la maggior parte dei bambini esposti al modello aggressivo erano più propensi a comportarsi in modo
fisicamente aggressivo rispetto ai bambini che invece non avevano assistito ad un comportamento aggressivo.
Grazie a questo esperimento, Bandura ebbe anche modo di dimostrare che esistono 3 forme di apprendimento per
osservazione:
Gli esperimenti condotti sui cani consentirono di ottenere da parte degli animali una risposta
fisiologica di salivazione anche in assenza della somministrazione di cibo, confermando l’avvenuto
apprendimento della risposta incondizionata per via associativa.
STIMOLI E RINFORZI
Il rinforzo viene somministrato ogni volta con parametri di risposta diversi (es la prima volta dopo 3
pressioni della leva, la seconda volta dopo 5 pressioni ecc.).
Rinforzo a rapporto fisso (fixed interval) Il rinforzo viene erogato dopo un numero prefissato di
volte (per esempio ogni 3 volte che l’animale preme la leva).
Rinforzo a rapporto variabile (fixed ratio) Il rinforzo viene somministrato ogni volta con
parametri di risposta diversi (es la prima volta dopo 3 pressioni della leva, la seconda volta
dopo 5 pressioni ecc.).
Si distinguono «rinforzi primari» e «rinforzi secondari» a secondo se collegati ai bisogni
primari (mangiare, bere, dormire, bisogni vitali), ed ai bisogni secondari (accettazione,
socialità, realizzazione).
Il rinforzo viene somministrato ogni volta con parametri di risposta diversi (es la prima volta dopo 3
pressioni della leva, la seconda volta dopo 5 pressioni ecc.).
Il rinforzo viene somministrato ogni volta con parametri di risposta diversi (es la prima volta dopo 3
pressioni della leva, la seconda volta dopo 5 pressioni ecc.).
Si può sostenere, sintetizzando, che dagli studi sul condizionamento operante derivi l’assunto secondo
cui i comportamenti rinforzati positivamente tendono a ripetersi, quelli rinforzati negativamente o
non rinforzati, tendono a estinguersi. Si distinguono, inoltre, i rinforzi primari, che soddisfano i
bisogni fondamentali, come fame e sete, dai rinforzi secondari.
Per la psicologia dello sviluppo e per la moderna pedagogia, questi studi acquisiscono una particolare
significatività.
La maggior parte delle strategie educative proposte come vincenti per la prima infanzia, ma anche
per l’adolescenza, si fonda su questi concetti.
Nella moderna psicologia dello sviluppo, i ricercatori hanno spostato l’attenzione dagli animali ai
bambini e ci si è domandati se il condizionamento classico è applicabile ai bambini. A tale scopo
sono state fatte osservazioni precise sul riflesso di suzione nel lattante.
Gli esperimenti erano condotti su un gatto deprivato di cibo, che veniva posto all’esterno della gabbia.
In caso positivo il tentativo costituisce una soluzione al problema altrimenti si prosegue effettuando
un diverso tentativo.
L’espressione prova e sbaglia (in inglese trial and error ossia, letteralmente, tentativo ed errore)
denota un metodo euristico che mira a trovare una soluzione a un problema effettuando un tentativo
e verificando se ha prodotto l’effetto desiderato. In caso positivo il tentativo costituisce una soluzione
al problema altrimenti si prosegue effettuando un diverso tentativo.
È orientato alla soluzione: non si propone di scoprire perché un tentativo funziona ma si limita a
cercarlo.
È specifico del problema in esame: non ha alcuna pretesa di generalizzazione ad altri problemi.
Non è ottimale: si limita in genere a trovare una sola soluzione che di solito non sarà la migliore
possibile.
Non richiede una conoscenza approfondita: si propone di trovare una soluzione ad un problema di cui
magari si conosce poco o nulla.
È possibile usare il prova e sbaglia per trovare tutte le soluzioni o la migliore soluzione nel caso in
cui ne esista un numero finito. In tal caso, anziché fermarsi al primo tentativo che ha fornito un esito
desiderato, se ne prende nota e si continua nei tentativi fino a trovare tutte le soluzioni. Alla fine
queste vengono confrontate sulla base di un dato criterio che determinerà quali tra esse è da
considerarsi la migliore.
Thorndike formula le cosidette “leggi dell’apprendimento” che si vanno aggiungere a quella della
frequenza da individuata da Watson:
⇒ In caso positivo il tentativo costituisce una soluzione al problema altrimenti si prosegue effettuando
un diverso tentativo.
Per Edward L. Thorndike gli studenti erano incoraggiati dai buoni risultati ma che il
peggioramento degli stessi non insegnava loro a correggere gli errori.
Il contrario di questo approccio sarà poi successivamente la didattica dell’errore.
“E’ sorprendente vedere come gli studenti possano perdere una parte della loro paura di sbagliare,
profondamente radicata in loro, quando si trovano con un insegnante che non chiede loro di essere
nel giusto, ma soltanto di unirsi a lui nella ricerca dell’errore: del suo come del proprio” (Postman,
1981)
La teoria dell’apprendimento sociale e il concetto di auto-efficacia di Bandura
La teoria dell’apprendimento sociale di Bandura è di tipo neo-comportamentista, mediante una serie
di esperimenti, Bandura stabilisce che un modello aggressivo tende ad essere giustificato e imitato
dai bambini quando questi si trovano in uno stato di irritazione.
Per Bandura ci sono quattro fasi in cui avviene il processo di apprendimento per imitazione:
1. l’attenzione
2. la ritenzione,
3. l’esecuzione
4. la motivazione
Albert Bandura, la teoria dell’apprendimento sociale e il concetto di auto-efficacia .
Per Bandura i bambini imparano in un ambiente sociale imitando il comportamento altrui. Imitazione
di un modello, in tal senso usando una tecnica di osservazione di un modello e apprendendo per
imitazione.
Con il concetto di autoefficacia, Bandura si riferisce alla convinzione di poter avere successo o di
fallire in una prestazione.
L’autoefficacia, meglio nota come autoefficacia percepita citando esattamente le parole usate da
Albert Bandura, corrisponde alla consapevolezza di essere capace di dominare specifiche attività,
situazioni o aspetti del proprio funzionamento psicologico o sociale. In altre parole, è la percezione
che abbiamo di noi stessi di sapere di essere in grado di fare, sentire, esprimere, essere o divenire
qualcosa.
Questi risultati aprono le porte al concetto di apprendimento osservativo (o apprendimento vicario).
Essi riconobbero l’importanza dell’APPRENDIMENTO OSSERVATIVO, cioè l’acquisizione di
nuove capacità o informazioni, o il cambiamento di vecchi comportamenti, attraverso la semplice
osservazione degli altri bambini e degli adulti o anche leggendo un libro.
Per Bandura (1986) la maggior parte dell’apprendimento ha luogo attraverso l’osservazione e
l’insegnamento, piuttosto che grazie ad un comportamento manifesto del tipo per “prove ed errori”.
Esperimento con la bambola Bobo di Bandura
All’ esperimento presero parte bambini di età compresa tra i 3 e i 6 anni che frequentavano l’asilo
dell’Università di Stanford. Il modelling e la teoria dell’osservazione ci dicono che a maggior parte
dei bambini esposti al modello aggressivo erano più propensi a comportarsi in modo
fisicamente aggressivo rispetto ai bambini che invece non avevano assistito ad un comportamento
aggressivo. Una sorta di rinforzo vicario all’azione che viene appresa per imitazione di un modello
genitoriale o di un modello adulto.
Bandura formò tre gruppi di bambini in età prescolare:
nel primo gruppo inserì uno dei suoi collaboratori che si mostrò aggressivo nei confronti di
un pupazzo gonfiabile chiamato Bobo. L’adulto picchiava il pupazzo con un martello gridando:
«Picchialo sul naso!» e «Pum pum!».
nel secondo gruppo, quello di confronto, un altro collaboratore giocava con le costruzioni di legno
senza manifestare alcun tipo di aggressività né interesse nei confronti di Bobo.
infine, il terzo gruppo, quello di controllo, era formato da bambini che giocavano da soli e
liberamente, senza alcun adulto con funzione di modello.
In una fase successiva i bambini venivano condotti in una stanza nella quale vi erano
giochi neutri (peluche, modellini di camion) e giochi aggressivi (fucili, martelli finti).
Bandura poté verificare che i bambini che avevano osservato l’adulto picchiare Bobo manifestavano
un’incidenza maggiore di comportamenti aggressivi sia verso persone che verso oggetti, sia rispetto
a quelli che avevano visto il modello pacifico sia rispetto a quelli che avevano giocato da soli.
sto esperimento, Bandura ebbe anche modo di dimostrare che esistono 3 forme di apprendimento per
osservazione:
Per Bandura ci sono quattro fasi in cui avviene il processo di apprendimento per imitazione:
1. l’attenzione
2. la ritenzione,
3. l’esecuzione
4. la motivazione
Bandura ha individuato 4 SOTTOPROCESSI alla base dell’APPRENDIMENTO tramite
OSSERVAZIONE.
In tale contesto, il bambino assume un ruolo attivo nel processo di organizzazione ed elaborazione
degli stimoli provenienti dall’ambiente esterno.
⇒ I rinforzi non derivano più, dunque, dall’ambiente esterno ma dall’elaborazione individuale degli
stessi (rinforzi intrinseci).
Le istituzioni dell’educazione formale devono tener conto dei principi generali che regolano
l’apprendimento nella stesura del progetto educativo. Numerose sono le agenzie sociali che
producono apprendimento informale. Possono essere appresi sia comportamenti adattativi che
disadattivi.
2.Il cognitivismo
L’approccio cognitivista prende distanza dai modelli comportamentisti spostando l’attenzione dal
concetto di associazione a quello di soggetto attivo nell’ elaborazione della realtà circostante, dando
pertanto maggior rilievo ai processi interni di elaborazione e rappresentazione.
Se nella prospettiva comportamentista l’apprendimento viene studiato attraverso il comportamento
manifesto e trattato come un fenomeno “unitario”, nella nuova prospettiva cognitivista si osserva
una frammentazione dell’ambito di indagine e l’apprendimento viene ridefinito in relazione
alle diverse componenti cognitive coinvolte. In particolare, si verifica una forte associazione tra
lo studio dell’apprendimento e quello della memoria, in quanto, per poter imparare, è innanzitutto
necessario saper codificare, immagazzinare, integrare e ricordare un set d’informazioni. Quindi dal
momento che le informazioni vengono processate dapprima dai sensi e successivamente dalla
memoria, la progettazione dei contenuti formativi deve tener conto della necessità di assicurare tale
trasferimento nel modo più efficace possibile. Quando infatti tale trasferimento non avviene
immediatamente, l’informazione viene persa.
Ha fornito contributi significativi nei campi della psicologia dell’educazione, delle scienze
cognitive e della didattica delle discipline scientifiche. È noto per avere sviluppato la strategia
cognitiva degli “organizzatori avanzati”.
Ausubel accoglie l’idea piagetiana di apprendimento come processo di assimilazione e
accomodamento di nuovi concetti.
Si oppone invece alle teorie comportamentiste in quanto ritiene che a livello scolastico
l’apprendimento non si possa considerare di natura stimolo-risposta, interessando processi cognitivi
superiori al fine di risultare significativo.
Egli si pone in contrasto con tale corrente di pensiero e polarizza la sua riflessione sull’apprendimento
di tipo cognitivo, cioè sull’acquisizione e sull’utilizzo della conoscenza.
Joseph D. Novak
Ha scritto e citiamo qui come fonti di numerosi articoli e libri tra cui “A theory of education”
(1977) e “Learning how to learn” (1984).
Essa si basa sulle teorie di Ausubel, il quale ha evidenziato l’importanza dellen pre-conoscenze
possedute dalle persone per l’apprendimento di nuovi concetti.
Partendo dal presupposto che “l’apprendimento significativo implica l’assimilazione dei nuovi
concetti nelle strutture cognitive esistenti“, nacque l’ipotesi della costruzione delle mappe
concettuali per poter formalizzare la conoscenza strutturata, ovvero il modo in cui i vari concetti
posseduti sono interconnessi tra di loro all’interno di un determinato dominio conoscitivo.
Le mappe sono un modello di come noi organizziamo e applichiamo le conoscenze. Possono
essere categorizzate, connettive, associative, specificative o divise in categorie, ad esempio di tipo
causale o temporale.
Una mappa evidenzia i saperi di una persona permettendole di guardarsi in profondità e capire le
proprie conoscenze. Rende cioè esplicito e conscio ciò che è spesso implicito. Punto focale della
costruzione delle mappe è la loro dinamicità intrinseca, per cui, in differenti contesti e in tempi
diversi le rappresentazioni possono essere molto diverse.
Le mappe toccano alcuni degli elementi centrali delle tecnologie didattiche e dell’apprendimento.
Assumendo che le tecnologie didattiche hanno lo scopo di rendere più efficace il processo formativo,
le mappe, in quanto strumenti di rappresentazione, innalzano da un lato la nostra comprensione su
come gli studenti organizzano ed usano le loro conoscenze, dall’altro aumentano gli strumenti
di autovalutazione dei processi di apprendimento. Per loro natura, infatti, le mappe fanno parte di
quegli attrezzi cognitivi che supportano, guidano ed estendono il processo di pensiero di chi li usa, in
quanto è molto difficile costruire delle rappresentazioni significative senza riflettere profondamente
sulle informazioni possedute.
Sappiamo che, tipicamente, gli adulti svolgono dei ragionamenti mediante il loro linguaggio interiore,
ossia mentalmente ragionano su dei problemi o su delle azioni che stanno svolgendo, senza parlare
ad alta voce. Il linguaggio egocentrico del bambino è la manifestazione di tale linguaggio interiore
che però si palesa con un linguaggio esteriore, ossia un vero e proprio linguaggio parlato, che gli altri
possono ascoltare.
– Funzioni psichiche inferiori: sono tipiche anche degli animali e si caratterizzano per la fusione
del funzionamento percettivo/mnemonico con quello motorio;
–Funzioni psichiche superiori: entrano in gioco quando si usano sistemi simbolici o anche il
linguaggio.
Approfondimento Vygotskij
Lev Semënovic Vygotskij (Orša, 1896 – Mosca, 1934) è considerato il massimo esponente
della scuola storico-culturale, secondo la quale lo sviluppo delle facoltà psichiche non è solo
influenzato da fattori biologici, ma anche da fattori storici, sociali e culturali. Nella sua breve vita,
Vygotskij ha avuto modo di apportare contributi determinanti allo studio delle modalità con le quali
linguaggio e simboli sviluppano le funzioni cognitive. Inoltre, ha fornito spunti interessanti sulla
validità pedagogica del gioco e ha introdotto il concetto di zona di sviluppo prossimale. La sua
maggiore opera, pubblicata postuma, è Pensiero e linguaggio del 1934.
Jean Piaget
Piaget è uno studioso dell sviluppo cognitivo del bambino. Sebbene collocato nell’ambito del
cognitivismo, Piaget è anche precursore di successive teorie dell’apprendimento, in particolare del
costruttivismo.
Piaget compie uno studio sperimentale sulle strutture e dei processi cognitivi legati alla costruzione
della conoscenza nel corso dello sviluppo.
Gli stadi, come definiti dallo stesso Piaget, si suddividono in:
Stadio senso-motorio da 0 ai 2 anni.
Stadio pre-operatorio dai 2 ai 6 anni.
Stadio operatorio concreto dai 6 ai 12
Stadio operatorio formale dai 12 anni in poi
Ad ogni stadio come vedremo poi segue un sotto-stadio.
Piaget ha tratto delle conclusioni a proposito di ciò che pensano i bambini. A 4 anni essi cominciano
a porsi domande sull’origine delle cose. A 5/6 anni vi è una tendenza all’animismo (vedere un anima
anche in cose inanimate o artificiali), a 8 pensano che siano stati degli esseri antropomorfici a creare
il mondo (artificialismo). A 11-12 anni i bambini definiscono esseri viventi solo piante ed animali.
Il bambino è un costruttore di teorie, fa delle generalizzazioni ed applica dei copioni e ama fare
narrazioni.
Sintesi ad esempio di sviluppo del bambino: Appena nati i bambini riescono a riconoscere i propri
simili. A 2 anni compare il desiderio, a 4 la credenza, la capacità di elaborare spiegazioni complesse
dei comportamenti degli altri. A 4 anni i bambini non sono in grado di dire bugie complesse ed
intenzionali, a 5 sì.
Sue opere principali Lo sviluppo mentale del bambino (1964) e La psicologia del bambino (1966).
Questa teoria verrà ripresa successivamente ne L’epistemologia genetica (1970).
La teoria degli stadi di Piaget
Secondo Piaget lo sviluppo non è un processo innato, ma nasce dall’interazione tra individuo e
ambiente: la mente è come un organismo vivente che in rapporto col proprio ambiente si accresce.
Fattori generali dello sviluppo sono:
la maturazione del sistema nervoso,
l’apprendimento attraverso l’esperienza diretta;
l’interazione sociale;
l’integrazione adattiva attraverso cui il bambino autoregola il proprio sviluppo.
Il pensiero del bambino si accresce da sé grazie ad alcuni meccanismi fondamentali, che Piaget
definisce invarianti funzionali, cioè dei principi costantemente attivi e operanti a qualsiasi età, questi
sono l’organizzazione, l’adattamento, l’equilibrazione.
Jerome Bruner
Jerome Seymour Bruner ( New York, 1915-2016) è uno studioso americano che ha fornito contributi
rilevanti nel campo della psicologia cognitiva, aderendo inizialmente al movimento psicologico
chiamato New look. Il suo interesse si è ampliato anche al campo dell’educazione e le teorie da lui
elaborate hanno riscosso notevole successo, rendendolo uno dei pedagogisti di riferimento dell’età
contemporanea.
E’ autore di numerose opere, tra le quali è essenziale ricordare A Study of Thinking (1956), The
Process of Education (1960) e Toward a Theory of Instruction (1966).
Infine, J. S. Bruner nel libro La cultura dell’educazione tradotto in italia nel 1996 afferma che la
scuola non può mai essere considerata culturalmente “indipendente”.
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Curricolo a spirale
Così detto perchè inizialmente presenta le idee chiave in modo semplice e intuitivo, ma
periodicamente ritorna su tali idee, rivisitandole in una forma diversa, sempre più elaborata, e facendo
leva su forme di rappresentazione sempre più formali e simboliche.
Bruner parte dal presupposto che “Gli aspetti fondamentali di ciascuna disciplina possono essere
insegnati a chiunque, qualsiasi età egli abbia, purchè siano messi in una certa forma“. Quando queste
idee sono colte intuitivamente in una forma preliminare e basilare, è più semplice comprenderle in
seguito, nel momento in cui devono essere presentate sotto un aspetto più formale. Ad esempio, la
comprensione intuitiva di alcuni fenomeni fisici facilita la comprensione di questi ultimi in una fase
successiva, quando verranno presentati mediante equazioni e formule.
Lo scaffolding (1976)
Bruner, insieme ad altri studiosi, riprende il concetto di problem solving e lo riallaccia a quello
di scaffolding, termine inglese che significa impalcatura.
La figura chiave è quella del tutor (un adulto, un insegnante, un esperto) che affianca
nell’apprendimento e nella scoperta un soggetto apprendente (un bambino, uno studente o una
persona meno esperta), che viene definito tutee.
L’ipotesi di partenza è che l’apprendente sia in possesso di alcune abilità di base (abilità inferiori) e
il tutor deve prevedere che tali abilità vengano combinate per raggiungere un’abilità superiore
mediante la risoluzione di un problema più o meno complesso.
⇒ Pertanto, lo scaffolding è un processo che permette ad un bambino o ad uno studente di risolvere
un problema o raggiungere un obiettivo che andrebbe oltre le sue possibilità, qualora non fosse
assistito.
Il termine deriva dalla parola inglese scaffold, che, letteralmente, indica “impalcatura” o “ponteggio”.
Letteralmente ci si riferisce alle impalcature di tipo edilizio, di legno o di acciaio, che consentono agli
operai di svolgere lavori di costruzione o ristrutturazione. In ambito didattico tale termine ha assunto
il valore metaforico di sostegno, supporto, guida al processo di apprendimento di un ragazzo, messa
in atto dal docente o da un compagno, che lo aiuta progressivamente ad emanciparsi e ad assumere
in modo autonomo percorsi di conoscenza.
Il termine scaffolding viene utilizzato in psicologia e pedagogia per indicare l’aiuto dato da una
persona ad un’altra per svolgere un compito e venne utilizzato per la prima volta in ambito psicologico
in un articolo scritto da J. Bruner, D. Wood e G. Ross, nel 1976 e pubblicato dal Journal of Child
Psychology and Psychiatry.
Il termine venne usato quindi anche come metafora per indicare l’intervento di una persona
più esperta che ne aiuta una meno esperta ad effettuare un compito, risolvere un problema o
raggiungere un obiettivo che non riuscirebbe a raggiungere senza un adeguato sostegno così
come le impalcature sostengono gli operai durante i lavori edilizi. Si tratta, dunque, del sostegno
che un esperto (adulto o pari) offre ad un apprendista durante la costruzione attiva del suo
processo di apprendimento.
Una comprensione del concetto di scaffolding può essere offerta dalla lettura del concetto di ” zona
di sviluppo prossimale” di S. Vygotskji che indica le competenze potenzialmente acquisibili che un
allievo potrebbe raggiungere con l’aiuto di una figura esperta andando oltre l’”area effettiva di
sviluppo”, cioè le competenze effettivamente acquisite da un soggetto ad un certo momento dello
sviluppo cognitivo.
Lo sviluppo cognitivo per Bruner
Per Bruner lo sviluppo cognitivo può essere delineato mediante il concetto di rappresentazione, con
cui egli intende una modalità di elaborazione delle informazioni che provengono al soggetto
dall’ambiente circostante, un sistema di codifica.
esecutiva: Sono le prime ad emergere e a svilupparsi nel primo anno di vita. I bambini comprendono
gli oggetti in termini di azioni che possono svolgere con loro. Queste rappresentazioni permangono
anche nei periodi successivi di vita, per codificare informazioni che vengono meglio descritte tramite
sequenze di gesti (es. procedura per allacciare le scarpe).
iconica: Originano durante il secondo anno di vita, avvengono in forma di immagini (es. immagine
che ritrae le caratteristiche di una persona conosciuta o di un dipinto noto).
simbolica: Originano più tardi delle altre. Sono codifiche basate sul linguaggio e su altre basi
astratte (simboli, segni). Rispetto alle precedenti non necessitano di una somiglianza con la realtà
(es. simboli matematici, formule di composti chimici).
È il modo in cui le informazioni vengono elaborate che differenzia i percorsi dello sviluppo
psicologico di un individuo.
⇒ N.B. Nonostante Piaget e Vygotsky sono anche i precursori del costruttivimo, gli autori principali
del costruttivismo sono:
Jerome Bruner (1915-2016) ritiene che per sviluppo si debba intendere lo sviluppo cognitivo.
Tale sviluppo non avviene per stadi come nella teoria di Piaget, ma è legato alle strategie messe in
atto dall’individuo per affrontare e padroneggiare una determinata situazione di vita in un determinato
contesto.
È il modo in cui le informazioni vengono elaborate che differenzia i percorsi dello sviluppo
psicologico di un individuo.
La rappresentazione iconica (fino ai 7 anni) corrisponde alle immagini mentali che il bambino si
costruisce in base all’esperienza e che costituiscono forme di riorganizzazione della realtà.
L’acquisizione del linguaggio fornisce poi al bambino uno strumento di codifica e decodifica della
realtà ancora più complesso. I processi mentali hanno pertanto, per Bruner, un fondamento sociale.
Bruner chiarisce ciò che va considerato innato e acquisito nei fattori che intervengono nei processi
cognitivi.
Introduce la nozione di modello: in quanto sistema psichico di riferimento sia delle modalità della
rappresentazione che dell’inferenza percettiva e concettuale (è personale, del soggetto quando
conosce) e sostiene che i fondamenti di simili modelli appartengono al patrimonio innato e sono:
– l’idea di causa e effetto, come struttura di connessione tra dati
– l’idea di identità, come fondamento del riconoscimento percettivo
– il principio di gerarchia, come struttura di ordinamento per classi
– modalità strutturali del linguaggio o universali linguistici
Questi 4 modelli si sviluppano in funzione degli usi della cultura e in seguito vengono adattati agli
usi individuali.
Innatismo: i fattori invarianti della conoscenza (i principi della sua organizzazione) risultano
connessi alla trasformazione dei modelli rappresentativi, in funzione degli usi sociali e della cultura
–> l’essere umano è portatore di qualcosa di universale che lo accomuna ad ogni altro essere umano,
ma nello stesso tempo ha tratti distintivi di natura individuale; questi tratti vincolano le nostre attività
percettive e concettuali.
E’ importante anche l’evoluzione che gli esseri umani conoscono grazie alla loro esperienza sociale
–> fondamentale è l’uso degli oggetti (vedi TEORIA DEGLI OGGETTI) come amplificatori:
– amplificatori delle capacità motorie umane: grande varietà di arnesi
– amplificatori delle capacità sensorie: mezzi di comunicazione
– amplificatori delle capacità raziocinative umane: linguaggio, mito, teoria, spiegazione
La cultura diventa lo strumento principale per garantire l’adattamento con le sue tecniche di
trasmissione. Una pedagogia dell’adeguamento alla natura del bambino non è più proponibile perché:
– il bambino è il prodotto di un’evoluzione biologica e sociale
– l’adattamento ad una società in trasformazione e caratterizzata da un’informazione altamente
simbolica richiede abilità naturali sempre più specializzate, sostenute dalla rappresentazione
simbolica.
Se il ritmo evolutivo è quello che va dall’azione all’immagine al simbolo, all’istruzione della civiltà
contemporanea è un’adeguata accelerazione dei ritmi di sviluppo. Per dare forza alla sua tesi Bruner
riporta ai termini estremi le forme dei processi di apprendimento nelle società primitive:
– fra gli adulti e i bambini le sfere sociali sono differenziate solo secondo le relative capacità;
– fin dall’inizio il bambino è orientato verso la stessa realtà degli adulti.
L’apprendimento nelle società tecnologiche per Bruner è diverso da quello delle società semplici o
primitive.
Al contrario in una civiltà tecnologicamente avanzata:
– il processo di apprendimento perde il suo carattere di continuità con la vita adulta;
– l’apprendimento si svolge al di fuori del contesto dell’azione e lontano dalla percezione diretta
della realtà;
– prevale la comunicazione simbolica;
– la conoscenza e l’abilità diventano sempre più smisurate e così anche i limiti di queste che tutti
possono raggiungere;
– si sviluppa una netta distinzione tra il mondo degli adulti e quello dei bambini;
– si sviluppa una nuova tecnica per istruire i giovani fondata soprattutto sul conoscere e sul sapere
anziché sul fare;
– il mondo dell’apprendimento del fanciullo a scuola si distacca dalla vita, dal contesto immediato
dell’azione sociale.
Bruner prende atto della crisi irreversibile della scuola attiva di Dewey:
occorre prendere atto che la società è sempre più formalizzata, quindi la scuola deve rapidamente
superare i momenti dell’azione e dell’immaginazione per introdurre gli alunni nel mondo dei simboli;
occorre anche lasciare spazio alle emozioni, alla metafora, al mito, all’invenzione e alla creatività;
richiama l’attenzione sui tratti reali della società di oggi per permettere la sopravvivenza e
l’evoluzione degli esseri umani; il fine formativo dell’uomo del presente-futuro è l’eccellenza o
l’ideale della perfezione.
Il soggetto è protagonista e occorre che vada al di là dell’informazione data.
Il processo cognitivo secondo Bruner è diviso in 2 fasi:
1. salto dai dati dei sensi ad un’ipotesi di prima approssimazione derivante dal rapporto tra
l’informazione in arrivo e un modello formatosi internamente e basato sull’esperienza passata.
2. ricerca di conferma in cui l’ipotesi iniziale viene messa alla prova di dati ulteriori (se c’è concordanza
l’ipotesi viene mantenuta, altrimenti viene modificata fino alla soluzione).
Al contrario dell’uomo del comportamentismo (trattenuto da relazioni meccaniche), dell’uomo della
psicanalisi (che agisce sulla base di impulsi), dell’uomo attivo di Dewey (che necessita dell’azione
come movente del suo pensiero), l’uomo di Bruner è visto come un elaboratore di
informazioni all’interno di un processo cognitivo nel quale i dati della situazione ambientale e di
esperienza sono superati dall’inferenza o dalla creatività in relazione alle capacità cognitive dei
singoli e dei loro atti di conoscenza, rifacendosi in tal senso ad un modello cognitivista-strutturalista.
Il soggetto va sempre al di là dell’informazione data attraverso:
– l’inferenza –> gli esseri umani riescono a risalire da pochi spunti o indizi ad una classe si identità
o equivalenza (grande economia di processi adattivi all’ambiente).
– invenzione o atto intuitivo o creatività –> uno schema viene trasferito a dei dati precedentemente
giudicati eterogenei rispetto ad esso (inscrizione di dati entro un nuovo sistema di codificazione).
L’inferenza intuitiva non è una sequenza per prove ed errori (comportamentismo), né un’ipotesi da
mettere alla prova mediante le conseguenze dell’azione (Dewey), ma è un atto autonomo di
conoscenza, tanto più produttivo quanto più ricco è l’insieme dei modelli già posseduti dal soggetto.
Intuizione e creatività non nascono dal vuoto ma dal patrimonio conoscitivo del soggetto e dalla sua
abilità di utilizzare i propri modelli. Ricordare è riflettere o ricostruire sulla base di un principio una
serie di dati.
L’esempio più celebre con cui Vygotskij illustrava il concetto di stimolo-mezzo è quello del
fazzoletto: se una persona deve ricordarsi di svolgere una mansione, può fare un nodo su un
fazzoletto; il nodo è uno stimolo-mezzo, che media il rapporto tra il dovere di compiere una mansione
e l’azione-risposta. Ad esempio, potremmo dire una sveglia. L’uomo programma la sveglia, un
oggetto esterno a cui affida il compito di svegliarlo. Questo oggetto creato e programmato dall’uomo
agisce sull’uomo stesso dando a questi una capacità di programmazione del sonno che egli
naturalmente non ha. Nessun essere umano può decidere il minuto preciso in cui svegliarsi.
Ad esempio, l’essere umano non è dotato in modo naturale di un sistema di regolazione del sonno ma
tramite la sveglia può auto-programmarsi. Ricorriamo più spesso di quello che crediamo a questi
oggetti esterni per poter gestire meglio ed amplificare le nostre capacità cognitive. Un agenda
telefonica o una rubrica del cellulare, non sono altro che estensioni della memoria umana,
amplificano la memoria umana. Certo un essere umano conosce molti numeri di telefono a
memoria ma non può conoscerli oltre un certo numero, una memoria digitale è quasi infinita.
Un essere umano ha una voce, questa voce è anche abbastanza forte può raggiungere
un’ascoltatore a diversi metri, ma non a centinaia di metri. Per fare questo deve amplificare la
propria voce tramite sistemi tecnologici.
Il comportamento umano è quindi mediato da stimoli-mezzo, i quali possono essere strumenti esterni
(il nodo del fazzoletto), ma anche strumenti acquisiti dall’ambiente sociale e interiorizzati.
1. – amplificatori delle capacità motorie umane: grande varietà di arnesi, ma anche bicicletta,
auto, che permettono all’uomo di muoversi di più più a lungo o più velocemente, o di afferrare
più oggetti o tramite una gru di di alzare grossi pesi – l’idea di fondo è che la Tecnica sia uno
strumento per potenziare le capacità fisiche umane
2. – amplificatori delle capacità sensorie: mezzi di comunicazione – la televisione o lo schermo
l’occhio, la radio l’orecchio, etc.
3. – amplificatori delle capacità raziocinative umane: linguaggio, mito, teoria, spiegazione –
connesse come abbiamo visto al pensiero narrativo
APPROFONDIMENTO
Un brano di BRUNER evoluzione umana ed evoluzione del cervello, dalle società primitive, alle
società moderne….
“Sembrerebbe ora … che la grande dimensione del cervello di alcuni ominidi sia uno sviluppo
relativamente tardo e che il cervello si sia evoluto in forza della nuova pressione
selettiva successiva al bipedalismo e conseguente all’uso degli arnesi. L’uso degli arnesi, la vita sul
suolo, la vita di caccia crearono il grande cervello umano e non fu l’uomo dal grande cervello a
scoprire certi nuovi modi di vita. Crediamo che questa conclusione sia il piú importante risultato delle
recenti scoperte degli ominidi fossili e sia una conclusione ricca delle piú ampie implicazioni per
l’interpretazione del comportamento umano e delle sue origini… L’importante è che la grandezza del
cervello, per quanto può essere misurato in base alle capacità delle scatole craniche si è accresciuta
quasi di tre volte in seguito all’uso ed alla costruzione degli arnesi… L’unicità dell’uomo moderno è
vista come il risultato di una vita tecnico-sociale che triplicò la grandezza del cervello, ridusse la
faccia e modificò molte altre strutture del corpo”.
Questa tesi implica che il principale cambiamento dell’uomo in un lungo periodo di anni (forse
cinquecentomila) sia stato alloplastico piuttosto che autoplastico. Cioè egli si è trasformato,
vincolandosi a nuovi ed esterni sistemi di attrezzature, anziché mediante un notevole cambiamento
di morfologia: “evoluzione-per-protesi”, come la chiama Weston La Barre. I sistemi di attrezzature
sembra siano stati di tre tipi generali: 1) amplificatori delle capacità motorie umane che vanno
dall’arnese per tagliare, passano per la leva e la ruota e giungono alla grande varietà degli arnesi
moderni; – 2) amplificatori delle capacità sensorie, che includono gli artifici primitivi come le
segnalazioni col fumo e quelli moderni come l’ingrandimento ed il radar, ma anche probabilmente
includono quei “software” come i riduttori percettivi convenzionalizzati che possono essere applicati
ad un ambiente sensoriamente ridondante; – infine, 3) amplificatori delle capacità raziocinative
umane infinitamente vari, che vanno dal linguaggio al mito, alla teoria ed alla spiegazione. Tutte
queste forme di amplificazione sono piú o meno convenzionalizzate e trasmesse mediante la cultura;
l’ultima di esse è probabilmente la piú notevole, dal momento che gli amplificatori raziocinativi
implicano sistemi di simboli governati da regole, che bisogna condividere, per poterli usare.
Ogni sistema di attrezzature, per essere efficace, deve produrre un’adeguata contropartita interna,
un’abilità appropriata, necessaria all’organizzazione degli atti sensomotori, per organizzare i percetti
e i nostri pensieri in un modo che li renda adeguati alle esigenze dei sistemi di strumenti. Queste
abilità interne rappresentate geneticamente come capacità, vengono lentamente selezionate
nell’evoluzione. Nel senso piú profondo, perciò, l’uomo può essere descritto come una specie che
acquista specializzazione attraverso l’uso di strumenti tecnologici. La sua selezione e la sua
sopravvivenza sono dipese da una morfologia e da un insieme di capacità, che potevano essere legate
ad artifici alloplastici, che hanno reso possibile la sua successiva evoluzione. Noi ci muoviamo,
percepiamo e pensiamo in una maniera che dipende dalle tecniche piuttosto che da collegamenti
presenti nel nostro sistema nervoso.
Secondo Bruner il pensiero narrativo è uno dei due modi principali di pensiero con cui gli esseri
umani organizzano e gestiscono la loro conoscenza del mondo, anzi strutturano la loro stessa
esperienza immediata.
Il lavoro di Bruner approfondisce infatti gli aspetti della memoria autobiografica e del pensiero
narrativo ( a cui poi nel Novecento si ispirerà anche Duccio Demetrio). Oggi diremmo l’uomo è un
animale coinvolto in un processo continuo di storytelling di racconto continuo di storie.
Esistono due tipi di pensiero:
1) paradigmatico, tipico della verità scientifica e quello narrativo, basato sul criterio della
verosimiglianza e che presenta le caratteristiche del racconto, tramite il quale è possibile ricondurre
a unitarietà e dare senso alle vicende personali . Il procedimento logico-scientifico, l’altro modo con
cui gli esseri umani organizzano e gestiscono la loro conoscenza del mondo, ha come obiettivo quello
di chiarire, di togliere le ambiguità.
2) narrativo, tipico delle storie e dei racconti ha come sua natura la proprietà di esprimere più
significati, e questa polisemia del racconto significa apertura al possibile: il racconto diventa una via
di trasmissione aperta di un sapere che non può essere limitato agli enunciati dimostrativi della
scienza, ma veicolato da un processo che fa riferimento al voler conoscere, al saper ascoltare, al saper
scegliere, al saper fare.
Due aspetti fondamentali del pensiero narrativo.
L’educazione non è qualcosa di avulso dal contesto culturale e sociale, essa esiste e si struttura
all’interno di esso.
Lo sviluppo della competenza narrativa va incontro a questa esigenza; saper narrare non è una dote
innata ma un’abilità che può essere coltivata.
Bruner individua due punti fondamentali da cui partire: la conoscenza che ogni bambino deve avere
relativamente alle fiabe e ai racconti tipici della propria tradizione culturale e la convinzione che il
raccontare storie sviluppa la capacità immaginativa, offrendo così strumenti adeguati per costruire
con più sicurezza gli scenari della propria vita.
Altra componente del pensiero narrativo è l’intersoggettività del linguaggio non verbale, ossia la
«capacità di capire attraverso il linguaggio e i gesti o con altri mezzi, cosa hanno in mente gli altri»,
e di relazionare tutto quanto ad un contesto che ne specifica il significato.
In virtù di questa capacità, gli uomini riescono a negoziare i significati al di là del linguaggio verbale.
La psicologia culturale ha trovato un ottimo campo di applicazione in ambito educativo; essa sostiene
l’approccio interattivo (intersoggettivo) anche all’interno della classe: non è l’insegnante il detentore
del sapere da trasmettere ma è nello scambio collaborativo e cooperativo tra tutti, alunni e insegnanti
che si crea l’apprendimento.
Bruner nel suo testo La cultura dell’educazione propone una panoramica dei modelli educativi e di
apprendimento nella realtà scolastica evidenziandone i diversi aspetti; volendo fare una sintesi si
possono individuare due linee teoriche principali: una basata sul rapporto esternalizzazione-
internalizzazione, ossia l’indagine spazia dalla modalità tradizionale di trasmettere insegnamenti
dall’esterno a quella che parte dal presupposto di verificare la prospettiva del bambino, agendo
dall’interno per capire che cosa può o vuole fare.
L’altra considera la dimensione oggettività intersoggettività che pone l’insegnante su un piano
totalmente distaccato dall’alunno nel primo caso o lo rende esso stesso partecipe delle teorie insegnate
nel secondo caso.
Bruner si ispira a quattro idee fondamentali:
L’esempio più celebre con cui Vygotskij illustrava il concetto di stimolo-mezzo è quello del
fazzoletto: se una persona deve ricordarsi di svolgere una mansione, può fare un nodo su un
fazzoletto; il nodo è uno stimolo-mezzo, che media il rapporto tra il dovere di compiere una mansione
e l’azione-risposta. Ad esempio, potremmo dire una sveglia. L’uomo programma la sveglia, un
oggetto esterno a cui affida il compito di svegliarlo. Questo oggetto creato e programmato dall’uomo
agisce sull’uomo stesso dando a questi una capacità di programmazione del sonno che egli
naturalmente non ha. Nessun essere umano può decidere il minuto preciso in cui svegliarsi.
Ad esempio, l’essere umano non è dotato in modo naturale di un sistema di regolazione del sonno ma
tramite la sveglia può auto-programmarsi. Ricorriamo più spesso di quello che crediamo a questi
oggetti esterni per poter gestire meglio ed amplificare le nostre capacità cognitive. Un agenda
telefonica o una rubrica del cellulare, non sono altro che estensioni della memoria umana,
amplificano la memoria umana. Certo un essere umano conosce molti numeri di telefono a
memoria ma non può conoscerli oltre un certo numero, una memoria digitale è quasi infinita.
Un essere umano ha una voce, questa voce è anche abbastanza forte può raggiungere
un’ascoltatore a diversi metri, ma non a centinaia di metri. Per fare questo deve amplificare la
propria voce tramite sistemi tecnologici.
Il comportamento umano è quindi mediato da stimoli-mezzo, i quali possono essere strumenti esterni
(il nodo del fazzoletto), ma anche strumenti acquisiti dall’ambiente sociale e interiorizzati.
1. – amplificatori delle capacità motorie umane: grande varietà di arnesi, ma anche bicicletta, auto, che
permettono all’uomo di muoversi di più più a lungo o più velocemente, o di afferrare più oggetti o
tramite una gru di di alzare grossi pesi – l’idea di fondo è che la Tecnica sia uno strumento per
potenziare le capacità fisiche umane
2. – amplificatori delle capacità sensorie: mezzi di comunicazione – la televisione o lo schermo l’occhio,
la radio l’orecchio, etc.
3. – amplificatori delle capacità raziocinative umane: linguaggio, mito, teoria, spiegazione – connesse
come abbiamo visto al pensiero narrativo
AUSUBEL
Gli “organizzatori” di Ausbel a cui deve ricorre l’insegnante nel processo di
apprendimento
Per agevolare l’appropriazione significativa di un contenuto da parte dello studente, l’insegnante
deve ricorrere ⇒ a degli “organizzatori”, che egli chiama organizers o ad advance organizers.
Domanda uscita alle preselettive cn la traduzione italiana: “organizzatori” didattici o anche
come “anticipatori”.
Gli organizzatori sono: esempi, problemi, in generale materiali che strutturano idee rilevanti e
significative, le quali fungono da base di riferimento a cui agganciare il nuovo
contenuto. Organizzatori didattici.
Gli organizzatori possono avere “funzione espositiva”, quando dotano lo studente di una base
concettuale più generale a lui nota, o “di confronto”, quando suggeriscono idee familiari con cui le
nuove possano essere comparate e integrate o differenziate. Per Ausubel:
In generale le operazioni cognitive che si verificano durante il processo di apprendimento sono:
1) la progressiva differenziazione e specificazione a partire da idee più generali;
2) la concettualizzazione a un livello superiore, con la conseguenza di un’estensione della matrice
di apprendimento del soggetto.
Esempi, problemi, materiali collegati alle esperienze e conoscenze del discente fanno sì che anche
l’apprendimento per ricezione possa essere significativo. Ausubel ci tiene a sfatare una credenza
diffusa, quella in base a cui solo l’apprendimento per scoperta è significativo. A suo avviso entrambe
le tipologie di acquisizione di informazione possono dar luogo a un apprendimento o meccanico o
significativo.
D’altra parte l’apprendimento ricettivo, che passa essenzialmente per il canale verbale e che per
Ausubel è quello privilegiato a scuola, implica la capacità di astrazione da parte dell’alunno proprio
perché non prevede la scoperta. A fare la differenza tra apprendimento meccanico e significativo è la
motivazione del discente e la capacità dell’insegnante a promuovere un’assimilazione attiva e
autocritica, delineando ad esempio le somiglianze e le differenze tra concetti collegati, chiedendo agli
alunni di riformulare nuove proposizioni con parole loro, ecc.
L’apprendimento è dunque determinato sia da variabili intrapsichiche (cognitivo e
motivazionali), che situazionali (di contesto, di classe e di ambiente di apprendimento).
Bruner chiarisce ciò che va considerato innato e acquisito nei fattori che intervengono nei
processi cognitivi.
Introduce la nozione di modello: in quanto sistema psichico di riferimento sia delle modalità
della rappresentazione che dell’inferenza percettiva e concettuale (è personale, del
soggetto quando conosce) e sostiene che i fondamenti di simili modelli appartengono al
patrimonio innato e sono:
– l’idea di causa e effetto, come struttura di connessione tra dati
– l’idea di identità, come fondamento del riconoscimento percettivo
– il principio di gerarchia, come struttura di ordinamento per classi
– modalità strutturali del linguaggio o universali linguistici
Questi 4 modelli si sviluppano in funzione degli usi della cultura e in seguito vengono adattati
agli usi individuali.
Innatismo: i fattori invarianti della conoscenza (i principi della sua organizzazione) risultano
connessi alla trasformazione dei modelli rappresentativi, in funzione degli usi sociali e della
cultura –> l’essere umano è portatore di qualcosa di universale che lo accomuna ad ogni
altro essere umano, ma nello stesso tempo ha tratti distintivi di natura individuale; questi
tratti vincolano le nostre attività percettive e concettuali.
E’ importante anche l’evoluzione che gli esseri umani conoscono grazie alla loro esperienza
sociale –> fondamentale è l’uso degli oggetti (vedi TEORIA DEGLI OGGETTI) come
amplificatori:
– amplificatori delle capacità motorie umane: grande varietà di arnesi
– amplificatori delle capacità sensorie: mezzi di comunicazione
– amplificatori delle capacità raziocinative umane: linguaggio, mito, teoria, spiegazione
La cultura diventa lo strumento principale per garantire l’adattamento con le sue tecniche di
trasmissione. Una pedagogia dell’adeguamento alla natura del bambino non è più
proponibile perché:
– il bambino è il prodotto di un’evoluzione biologica e sociale
– l’adattamento ad una società in trasformazione e caratterizzata da un’informazione
altamente simbolica richiede abilità naturali sempre più specializzate, sostenute dalla
rappresentazione simbolica.
Se il ritmo evolutivo è quello che va dall’azione all’immagine al simbolo, all’istruzione della
civiltà contemporanea è un’adeguata accelerazione dei ritmi di sviluppo. Per dare forza alla
sua tesi Bruner riporta ai termini estremi le forme dei processi di apprendimento nelle società
primitive:
– fra gli adulti e i bambini le sfere sociali sono differenziate solo secondo le relative capacità;
– fin dall’inizio il bambino è orientato verso la stessa realtà degli adulti.
L’apprendimento nelle società tecnologiche per Bruner è diverso da quello delle società
semplici o primitive.
Al contrario in una civiltà tecnologicamente avanzata:
– il processo di apprendimento perde il suo carattere di continuità con la vita adulta;
– l’apprendimento si svolge al di fuori del contesto dell’azione e lontano dalla percezione
diretta della realtà;
– prevale la comunicazione simbolica;
– la conoscenza e l’abilità diventano sempre più smisurate e così anche i limiti di queste
che tutti possono raggiungere;
– si sviluppa una netta distinzione tra il mondo degli adulti e quello dei bambini;
– si sviluppa una nuova tecnica per istruire i giovani fondata soprattutto sul conoscere e
sul sapere anziché sul fare;
– il mondo dell’apprendimento del fanciullo a scuola si distacca dalla vita, dal contesto
immediato dell’azione sociale.
Bruner prende atto della crisi irreversibile della scuola attiva di Dewey:
occorre prendere atto che la società è sempre più formalizzata, quindi la scuola deve
rapidamente superare i momenti dell’azione e dell’immaginazione per introdurre gli alunni
nel mondo dei simboli; occorre anche lasciare spazio alle emozioni, alla metafora, al mito,
all’invenzione e alla creatività; richiama l’attenzione sui tratti reali della società di oggi per
permettere la sopravvivenza e l’evoluzione degli esseri umani; il fine formativo dell’uomo del
presente-futuro è l’eccellenza o l’ideale della perfezione.
Il soggetto è protagonista e occorre che vada al di là dell’informazione data.
Il processo cognitivo secondo Bruner è diviso in 2 fasi:
1. salto dai dati dei sensi ad un’ipotesi di prima approssimazione derivante dal rapporto tra
l’informazione in arrivo e un modello formatosi internamente e basato sull’esperienza passata.
2. ricerca di conferma in cui l’ipotesi iniziale viene messa alla prova di dati ulteriori (se c’è concordanza
l’ipotesi viene mantenuta, altrimenti viene modificata fino alla soluzione).
Al contrario dell’uomo del comportamentismo (trattenuto da relazioni meccaniche),
dell’uomo della psicanalisi (che agisce sulla base di impulsi), dell’uomo attivo di Dewey (che
necessita dell’azione come movente del suo pensiero), l’uomo di Bruner è visto come un
elaboratore di informazioni all’interno di un processo cognitivo nel quale i dati della
situazione ambientale e di esperienza sono superati dall’inferenza o dalla creatività in
relazione alle capacità cognitive dei singoli e dei loro atti di conoscenza, rifacendosi in tal
senso ad un modello cognitivista-strutturalista.
Il soggetto va sempre al di là dell’informazione data attraverso:
– l’inferenza –> gli esseri umani riescono a risalire da pochi spunti o indizi ad una classe si
identità o equivalenza (grande economia di processi adattivi all’ambiente).
– invenzione o atto intuitivo o creatività –> uno schema viene trasferito a dei dati
precedentemente giudicati eterogenei rispetto ad esso (inscrizione di dati entro un nuovo
sistema di codificazione).
L’inferenza intuitiva non è una sequenza per prove ed errori (comportamentismo), né
un’ipotesi da mettere alla prova mediante le conseguenze dell’azione (Dewey), ma è un atto
autonomo di conoscenza, tanto più produttivo quanto più ricco è l’insieme dei modelli già
posseduti dal soggetto. Intuizione e creatività non nascono dal vuoto ma dal patrimonio
conoscitivo del soggetto e dalla sua abilità di utilizzare i propri modelli. Ricordare è riflettere
o ricostruire sulla base di un principio una serie di dati.
APPROFONDIMENTO
Un brano di BRUNER evoluzione umana ed evoluzione del cervello, dalle società primitive,
alle società moderne….
“Sembrerebbe ora … che la grande dimensione del cervello di alcuni ominidi sia uno
sviluppo relativamente tardo e che il cervello si sia evoluto in forza della nuova pressione
selettiva successiva al bipedalismo e conseguente all’uso degli arnesi. L’uso degli arnesi, la
vita sul suolo, la vita di caccia crearono il grande cervello umano e non fu l’uomo dal grande
cervello a scoprire certi nuovi modi di vita. Crediamo che questa conclusione sia il piú
importante risultato delle recenti scoperte degli ominidi fossili e sia una conclusione ricca
delle piú ampie implicazioni per l’interpretazione del comportamento umano e delle sue
origini… L’importante è che la grandezza del cervello, per quanto può essere misurato in
base alle capacità delle scatole craniche si è accresciuta quasi di tre volte in seguito all’uso
ed alla costruzione degli arnesi… L’unicità dell’uomo moderno è vista come il risultato di
una vita tecnico-sociale che triplicò la grandezza del cervello, ridusse la faccia e modificò
molte altre strutture del corpo”.
Questa tesi implica che il principale cambiamento dell’uomo in un lungo periodo di anni
(forse cinquecentomila) sia stato alloplastico piuttosto che autoplastico. Cioè egli si è
trasformato, vincolandosi a nuovi ed esterni sistemi di attrezzature, anziché mediante un
notevole cambiamento di morfologia: “evoluzione-per-protesi”, come la chiama Weston La
Barre. I sistemi di attrezzature sembra siano stati di tre tipi generali: 1) amplificatori delle
capacità motorie umane che vanno dall’arnese per tagliare, passano per la leva e la ruota e
giungono alla grande varietà degli arnesi moderni; – 2) amplificatori delle capacità sensorie,
che includono gli artifici primitivi come le segnalazioni col fumo e quelli moderni come
l’ingrandimento ed il radar, ma anche probabilmente includono quei “software” come i
riduttori percettivi convenzionalizzati che possono essere applicati ad un ambiente
sensoriamente ridondante; – infine, 3) amplificatori delle capacità raziocinative
umane infinitamente vari, che vanno dal linguaggio al mito, alla teoria ed alla spiegazione.
Tutte queste forme di amplificazione sono piú o meno convenzionalizzate e trasmesse
mediante la cultura; l’ultima di esse è probabilmente la piú notevole, dal momento che gli
amplificatori raziocinativi implicano sistemi di simboli governati da regole, che bisogna
condividere, per poterli usare.
Ogni sistema di attrezzature, per essere efficace, deve produrre un’adeguata contropartita
interna, un’abilità appropriata, necessaria all’organizzazione degli atti sensomotori, per
organizzare i percetti e i nostri pensieri in un modo che li renda adeguati alle esigenze dei
sistemi di strumenti. Queste abilità interne rappresentate geneticamente come capacità,
vengono lentamente selezionate nell’evoluzione. Nel senso piú profondo, perciò, l’uomo può
essere descritto come una specie che acquista specializzazione attraverso l’uso di strumenti
tecnologici. La sua selezione e la sua sopravvivenza sono dipese da una morfologia e da
un insieme di capacità, che potevano essere legate ad artifici alloplastici, che hanno reso
possibile la sua successiva evoluzione. Noi ci muoviamo, percepiamo e pensiamo in una
maniera che dipende dalle tecniche piuttosto che da collegamenti presenti nel nostro
sistema nervoso.
Secondo Bruner il pensiero narrativo è uno dei due modi principali di pensiero con cui gli esseri
umani organizzano e gestiscono la loro conoscenza del mondo, anzi strutturano la loro stessa
esperienza immediata.
Il lavoro di Bruner approfondisce infatti gli aspetti della memoria autobiografica e del pensiero
narrativo ( a cui poi nel Novecento si ispirerà anche Duccio Demetrio). Oggi diremmo l’uomo è un
animale coinvolto in un processo continuo di storytelling di racconto continuo di storie.
Esistono due tipi di pensiero:
1) paradigmatico, tipico della verità scientifica e quello narrativo, basato sul criterio della
verosimiglianza e che presenta le caratteristiche del racconto, tramite il quale è possibile ricondurre
a unitarietà e dare senso alle vicende personali . Il procedimento logico-scientifico, l’altro modo con
cui gli esseri umani organizzano e gestiscono la loro conoscenza del mondo, ha come obiettivo quello
di chiarire, di togliere le ambiguità.
2) narrativo, tipico delle storie e dei racconti ha come sua natura la proprietà di esprimere più
significati, e questa polisemia del racconto significa apertura al possibile: il racconto diventa una via
di trasmissione aperta di un sapere che non può essere limitato agli enunciati dimostrativi della
scienza, ma veicolato da un processo che fa riferimento al voler conoscere, al saper ascoltare, al saper
scegliere, al saper fare.
Due aspetti fondamentali del pensiero narrativo.
Bruner individua due punti fondamentali da cui partire: la conoscenza che ogni bambino deve avere
relativamente alle fiabe e ai racconti tipici della propria tradizione culturale e la convinzione che il
raccontare storie sviluppa la capacità immaginativa, offrendo così strumenti adeguati per costruire
con più sicurezza gli scenari della propria vita.
Altra componente del pensiero narrativo è l’intersoggettività del linguaggio non verbale, ossia la
«capacità di capire attraverso il linguaggio e i gesti o con altri mezzi, cosa hanno in mente gli altri»,
e di relazionare tutto quanto ad un contesto che ne specifica il significato.
In virtù di questa capacità, gli uomini riescono a negoziare i significati al di là del linguaggio verbale.
La psicologia culturale ha trovato un ottimo campo di applicazione in ambito educativo; essa sostiene
l’approccio interattivo (intersoggettivo) anche all’interno della classe: non è l’insegnante il detentore
del sapere da trasmettere ma è nello scambio collaborativo e cooperativo tra tutti, alunni e insegnanti
che si crea l’apprendimento.
Bruner nel suo testo La cultura dell’educazione propone una panoramica dei modelli educativi e di
apprendimento nella realtà scolastica evidenziandone i diversi aspetti; volendo fare una sintesi si
possono individuare due linee teoriche principali: una basata sul rapporto esternalizzazione-
internalizzazione, ossia l’indagine spazia dalla modalità tradizionale di trasmettere insegnamenti
dall’esterno a quella che parte dal presupposto di verificare la prospettiva del bambino, agendo
dall’interno per capire che cosa può o vuole fare.
L’altra considera la dimensione oggettività intersoggettività che pone l’insegnante su un piano
totalmente distaccato dall’alunno nel primo caso o lo rende esso stesso partecipe delle teorie insegnate
nel secondo caso.
Bruner si ispira a quattro idee fondamentali:
L’esempio più celebre con cui Vygotskij illustrava il concetto di stimolo-mezzo è quello del
fazzoletto: se una persona deve ricordarsi di svolgere una mansione, può fare un nodo su un
fazzoletto; il nodo è uno stimolo-mezzo, che media il rapporto tra il dovere di compiere una mansione
e l’azione-risposta. Ad esempio, potremmo dire una sveglia. L’uomo programma la sveglia, un
oggetto esterno a cui affida il compito di svegliarlo. Questo oggetto creato e programmato dall’uomo
agisce sull’uomo stesso dando a questi una capacità di programmazione del sonno che egli
naturalmente non ha. Nessun essere umano può decidere il minuto preciso in cui svegliarsi.
Ad esempio, l’essere umano non è dotato in modo naturale di un sistema di regolazione del sonno ma
tramite la sveglia può auto-programmarsi. Ricorriamo più spesso di quello che crediamo a questi
oggetti esterni per poter gestire meglio ed amplificare le nostre capacità cognitive. Un agenda
telefonica o una rubrica del cellulare, non sono altro che estensioni della memoria umana,
amplificano la memoria umana. Certo un essere umano conosce molti numeri di telefono a
memoria ma non può conoscerli oltre un certo numero, una memoria digitale è quasi infinita.
Un essere umano ha una voce, questa voce è anche abbastanza forte può raggiungere
un’ascoltatore a diversi metri, ma non a centinaia di metri. Per fare questo deve amplificare la
propria voce tramite sistemi tecnologici.
Il comportamento umano è quindi mediato da stimoli-mezzo, i quali possono essere strumenti esterni
(il nodo del fazzoletto), ma anche strumenti acquisiti dall’ambiente sociale e interiorizzati.
1. – amplificatori delle capacità motorie umane: grande varietà di arnesi, ma anche bicicletta,
auto, che permettono all’uomo di muoversi di più più a lungo o più velocemente, o di afferrare
più oggetti o tramite una gru di di alzare grossi pesi – l’idea di fondo è che la Tecnica sia uno
strumento per potenziare le capacità fisiche umane
2. – amplificatori delle capacità sensorie: mezzi di comunicazione – la televisione o lo schermo
l’occhio, la radio l’orecchio, etc.
3. – amplificatori delle capacità raziocinative umane: linguaggio, mito, teoria, spiegazione –
connesse come abbiamo visto al pensiero narrativo
Teoria dell’apprendimento e modello protesico della cultura di Bruner
Teoria dell’apprendimento di Bruner ed il tema del rapporto tra natura umana e cultura
Ricordiamo i tre principi fondamentali di Bruner:
Un quaderno di appunti è una protesi della memoria umana, oppure un libro, gli oggetti culturali
permettono all’uomo di vincere e superare i suoi limiti cognitivi. Per questo si dice anche che Bruner
aveva un approccio prosetico alla cultura.
La cultura, infatti, per Bruner, col suo carattere protesico di protesi dell’umano, è fondamentale
perché permette di trasmettere ed ampliare la conoscenza tra le diverse generazioni attraverso
numerosi dispositivi, amplificatori della capacità motoria, comunicativa e cognitiva. Bruner nel suo
testo La cultura dell’educazione propone una panoramica dei modelli educativi e di apprendimento
nella realtà scolastica evidenziandone i diversi aspetti.
–> un apprendimento efficace per tanto richiede:
1. – un atteggiamento che guidi la persona a procedere in modo non meccanico ma con una
conoscenza che si costruisce il soggetto nella relazione con il docente – la conoscenza è qualcosa
che si costruisce ogni volta da capo nella situazione, non è la mera trasmissione di dati o
informazioni o concetti o contenuti disciplinare (non è riempire una testa nuova, ma mirare ad
una testa ben fatta! (Morin)
2. – che la comprensione sia considerata un fattore più importante dell’esercizio
3. – apre la mente alla generalizzazione e al transfert
4. – postula la necessità di una motivazione da parte del soggetto che apprende
5. – sollecita strategie inventive e creative in funzione della costruzione di modelli formali (creatività ed
originalità).
6. – la creazione di sistemi di codifica generalizzanti che consentano di andare oltre i dati, verso nuove
e fruttuose previsioni .
3) Costruttivisti
George Kelly
George Alexander Kelly (Perth, 28 aprile 1905 – Waltham, 6 marzo 1967) è stato
uno psicologo statunitense, ideatore della Teoria dei Costrutti Personali, antesignana
del Costruttivismo.
Le persone differiscono l’una dall’altra nella loro costruzione degli eventi. Nella prospettiva di
Kelly, una persona è diversa dall’altra non solo perché ha vissuto esperienze o ha affrontato eventi
diversi, ma, soprattutto, perché attribuisce un diverso significato alle stesse esperienze e agli stessi
eventi.
Costruttivismo personale
Kelly parla di costruttivismo personale in quanto l’approccio alla costruzione della realtà è guidato
in primis dalle funzioni psicologiche del singolo individuo; solo in una fase successiva possono
entrare in gioco le interazioni con gli individui.
I principi fondamentali del suo costruttivismo radicale sono proposti in quattro punti:
1. la conoscenza non viene ricevuta passivamente né attraverso i sensi né grazie alla
comunicazione;
2. la conoscenza viene attivamente costruita dal soggetto “conoscente”;
3. la funzione della conoscenza è adattiva, nel senso biologico del termine, e tende verso l’adattezza
o la “viabilità”;
4. la conoscenza serve all’organizzazione del mondo esperienziale del soggetto, non alla scoperta di
una realtà ontologicamente oggettiva.
1. è attivo: si interagisce con l’ambiente, si manipolano gli oggetti presenti in quell’ ambiente e
si osserva l’esito dell’azione;
2. è costruttivo: si riflette sulle attività e sulle osservazioni; è intenzionale (goal-directed): si fa
qualcosa per uno scopo;
3. è cooperativo, conversazionale, collaborativo: si negozia socialmente una comune
comprensione;
4. è autentico
5. è complesso e contestuale
Il processo di apprendimento significativo, secondo David Jonassen è caratterizzato da:
Il costruttivismo
Il Costruttivismo, sviluppatosi a partire dagli anni’50 con il lavoro dello psicologo
statunitense George Kelly, mette in discussione la possibilità di una conoscenza “oggettiva”, di un
sapere che rappresenti fedelmente la realtà esterna.
Il sapere non esiste indipendentemente dal soggetto che conosce, non può essere ricevuto in modo
passivo ma risulta dalla relazione fra un soggetto attivo e la realtà.
La conoscenza è una soggettiva costruzione di significato a partire da una complessa
rielaborazione interna di sensazioni, conoscenze, credenze, emozioni. La “costruzione” poggia su
mappe cognitive che servono agli individui per orientarsi e costruire le proprie interpretazioni.
La realtà, in quanto oggetto della nostra conoscenza, sarebbe dunque creata dal nostro continuo “fare
esperienza” di essa, nel corso di processi d’interazione. Nell’incontro di un soggetto con il mondo
non è possibile distinguere osservatore e oggetto osservato, poiché entrambi si definiscono all’interno
del rapporto di osservazione e interazioni reciproche. Ciò significa che le proprietà e relazioni sono
costruite a partire dalla nostra azione organizzante sull’ambiente, non sono cose, proprietà o
relazioni di un mondo che esiste indipendentemente dall’osservatore. L’ambiente in quest’ottica cessa
d’essere luogo denso di informazioni precostituite e diviene luogo di esperienza, che offre diverse
possibilità di costruire informazioni e conoscenze. Questo processo è allo stesso tempo permesso e
condizionato dal linguaggio, culturalmente, socialmente e storicamente contestualizzato. Pertanto, la
conoscenza è individuale e situata.
Il Costruttivismo si contrappone ad una visione positivistica della scienza come visione unica della
realtà e della verità. Il concetto di verità come termine assoluto viene sostituito dal criterio di
adattamento funzionale e di viabilità: i concetti si costruiscono a partire dalle regolarità che si
incontrano nell’esperienza e hanno una funzione predittiva, sono strumentali all’azione e vengono
definiti viabili quando permettono di raggiungere uno scopo pratico. ll Costruttivismo assume quindi
un approccio di carattere pragmatico e non ontologico: la conoscenza serve per adattarsi all’ambiente.
1. è attivo: si interagisce con l’ambiente, si manipolano gli oggetti presenti in quell’ ambiente e
si osserva l’esito dell’azione;
2. è costruttivo: si riflette sulle attività e sulle osservazioni; è intenzionale (goal-directed): si fa
qualcosa per uno scopo;
3. è cooperativo, conversazionale, collaborativo: si negozia socialmente una comune
comprensione;
4. è autentico
5. è complesso e contestuale
Audio-lezione COSTRUTTIVISMO
Il costruttivismo è una teoria dell'apprendimento che ha come sua base di partenza i cognitivisti gli studi sulla
mente e la modalità di sviluppo dei processi cognitivi.
P. V. E Bruner non sono autori costruttivisti, ma studiano come evolve la mente umana in età evolutiva, come
essi apprendono e conoscono. Partendo da loro studi i costruttivisti incominciano a ribaltare il concetto di
apprendimento fino ad arrivare al comportamentismo. L'idea di fondo era che noi trasferiamo dei concetti come
se fossero dei pacchetti da chi sa le cose a chi non le sa e quindi il sapere era un sapere da cattedra
nozionistico tra qualcuno che sapeva (docente) e qualcuno che non sapevo (lo studente) , i Costruttivisti invece
dicono che il processo di costruzione della conoscenza è un processo che deve avere una motivazione
intrinseca cioè i ragazzi devono essere motivati. La motivazione non può essere come dicevano gli studiosi
del comportamentismo data da uno stimolo e da un rinforzo positivo, io vado bene e voglio prendere 8, ma
la motivazione dice vado a scuola per imparare, meglio ancora per imparare ad imparare.
Questo ultimo è lo slogan dei costruttivisti: “costruisco la mia conoscenza in base all'ambiente di
apprendimento, alle risorse didattiche o alle risorse di metodo e del docente che in realtà più che trasmettere
un pacchetto di informazione mette in circolo una doppia dinamica.
La conoscenza è un processo che si costruisce in un processo a due quindi è qualcosa che avviene come
costruzione. La conoscenza non è qualcosa che io prendo in modo mnemonico e in modo matematico soltanto
perché qualcuno me la dà ma sono io che vado a costruirla, vado a manipolare degli indizi, dei dati delle
informazioni, vado a fare delle ricerche, costruisco la mia conoscenza.
Gli studiosi e i pedagogisti sono ormai quasi tutti costruttivisti come potete immaginare gli autori che per primi
hanno parlato in questo termini sono stati George Kelly col concetto di costruttivismo personale poi Ernest von
Glasersfeld che parla di costruttivismo radicale che fondmentalmente esprimono il fatto che noi possediamo
la nostra conoscenza perchè tutto è costruito, che non esiste niente di naturale, non esiste una conoscenza
che arriva dall'alto ma viene costruita al basso. Seymur Papert che parla del famoso progetto LEGO e poi
Jonassen che parla di costruttivismo legato agli ambienti di apprendimento.
Sono questi autori minori, quindi difficilmente riescono ad una preselettiva, però è utile ricordare che fanno
parte di questa corrente di pensiero. Questo autori fondamentalmente pensano chela relatà sia una
costruzione sociale, che noi costruiamo tutto. Gli stessi soldi , il denaro e l’oro sono costruiti socialmente.
(Esempio Indiani d’ America). Tutto quello che noi abbiamo è qualcosa che esiste perchè abbiamo una
conoscenza: se esiste la conoscenza ed è un valore per quel tipo di società significa che è socialmente
costruito.
Esempio di costruzione della realtà sociale: un matrimonio, un’ istituzione costruita con la firma o con il sì
davanti all'altare- Un vero e proprio atto di costruzione sociale, un atto che vale perché la società ha costruito
quel contesto, quel rituale, quella legittimità giuridica che è ben diversi dal pensare al matrimonio come una
convivenza, come un tramonto in un'altra situazione un altro posto... non ne viene riconosciuto il valore, non
si costruisce società, non si costruisce per matrimonio, quindi anche il matrimonio è una costruzione sociale.
Ad esempio un cerchio è più pregnante di uno ovale, e un triangolo equilatero è più pregnante di uno
isoscele.
La legge della pregnanza afferma che le parti di un campo percettivo tendono a costituire delle
Gestalt più pregnanti. Questa legge è stata successivamente ampliata alla memoria e in particolare
alle modificazioni che subisce la traccia mnestica che tende con l’andar del tempo a farsi sempre più
regolare e a cancellare eventuali disarmonie.
Sono anche strutture della mente che possono rappresentare ostacoli alla soluzione dei problemi.
L’individuo tende ad organizzare il campo del problema secondo alcuni principi percettivi che
possono talvolta chiudere prematuramente il processo di soluzione.
Alcuni principi della Gestalt
PRINCIPIO DI CHIUSURA
Legge della chiusura.Tendenza a percepire come uniti bordi che percepire oggetti raggruppati come una
Legge della somiglianza:Tendenza a percepire una forma quando è definito dallo sfasamento delle linee di due
Per quanto riguarda la legge dell’esperienza passata, i gestaltisti ammettevano che l’esperienza fosse
in grado di influenzare i processi di base che portano alla strutturazione del campo fenomenico
imponendo dei vincoli in grado di imporre certe organizzazioni a discapito di altre.
ISOMORFISMO
La teoria tradizionale della Gestalt affermava un isomorfismo tra mondo fenomenico e eventi
cerebrali che però non si traduceva in un parallelismo tra mentale e fisico. Il punto chiave e che il
mondo fenomenico non è il mondo della vita mentale ma ciò che alla vita mentale appare. La vita
mentale, invece, corrisponde allo svolgersi di processi fisiologici, ed è a queste entità che la psicologia
della Gestalt e ha dato il nome di isomorfismo.
Esistono due concezioni diverse di isomorfismo una enunciata da Kohler che è la più popolare e
l’altra enunciata da Wertheimer.
Secondo Kohler l’isomorfismo corrisponde a una identità strutturale tra eventi del campo fenomenico
ed eventi del sistema nervoso centrale.
Per Wertheimer il mondo reale ,al di là di quello fenomenico, non solo aveva una specifica esistenza
ma anche una precisa logica interna, e le sue strutture potevano essere rappresentate
matematicamente. Le attività cognitive del soggetto dovevano allora consistere nel cogliere questa
presentazione, per questo, il mondo fenomenico doveva essere strutturalmente identico e isomorfo al
mondo reale. ed è proprio qui che si osserva l’influenza esercitata da Spinoza.
Ad esempio sapere che manca una persona, non richiede la conoscenza del numero delle persone
presenti poiché il gruppo forma una struttura e l’assenza di una persona emerge in quanto disequilibria
questa struttura. nel campo fenomenico esiste quindi una rappresentazione di tale struttura che è
isomorfa alla struttura del gruppo reale.
IL MODELLO DI CAMPO di Kohler
Questo modello fu approfondito da Kohler secondo il quale il sistema percettivo è un sistema fisico
che tende verso uno stato di equilibrio. il sistema, inoltre, appare come un campo totale un insieme
di forze interagenti in cui ogni oggetto che viene introdotto modifica l’equilibrio delle forze presenti
e agisce su un altro oggetto che è presente nel campo.
Questi effetti oltre a verificarsi nel mondo inorganico della fisica si hanno anche in quello organico
della fisiologia e della psicologia. Per questo motivo la teoria della forma è stesso chiamata teoria del
campo poiché tra il mondo fenomenico studiato dalla psicologia e il mondo psicologico studiato dalla
fisiologia esiste un’ isoformismo dato dalla identità di legge di strutturazione che regolano entrambi
i mondi.
L’INSIGHT di Kohler
Oltre agli studi sulla percezione ci furono altre aree di ricerca costituite dal pensiero e della memoria.
Kohler condusse una serie di esperimenti sulla intelligenza dei primati (scimmie antropoidi).
Gli scimpanzé dovevano trovare una soluzione (unire due canne e salire su delle casse) per
raggiungere uno scopo (una banana) Kohler osservò che gli animali compivano una serie di prove ed
errori ma improvvisamente arrivavano alla soluzione attraverso un processo di pensiero denominato
secondo il termine inglese insight (intuizione, visione).
L’interpretazione fornita da Kohler si opponeva alla teoria della semplice associazione di esperienze
precedenti. L’autore voleva mettere in evidenza che vi era stata una ristrutturazione di tutte le
esperienze passate e delle condizioni presenti che andava al di là della loro semplice somma e che
consentiva una nuova visione del problema. Per questo motivo, insisteva molto sul concetto di
struttura di campo secondo cui gli elementi sparsi nel campo visivo dell’animale assumano grazie all’
insight un significato diverso organizzandosi gli uni con gli altri in una nuova totalità.
Max Wertheimer
Max Wertheimer stato uno dei maggiori psicologi della Gestal.
Per la Gestalt la forma non è data dalla semplice somma dei suoi elementi ma è qualcosa di diverso,
essendo frutto di elaborazione mentale e cognitiva dei dati visibili.
La percezione dunque non dipende dagli elementi ma dalla strutturazione di questi in un “insieme
organizzato”, in una “Gestalt” (generalmente tradotta con “forma”, “struttura”).
La concezione fondamentale alla base della Gestalt è che nella nostra percezione del mondo esterno
noi non cogliamo delle semplici somme di stimoli, i quali si uniscono a dare gli oggetti, ma
percepiamo delle forme, che sono qualcosa di più e di diverso della semplice somma degli stimoli
che la compongono. Tale teoria si opponeva polemicamente a quanto sostenevano gli psicologi
associazionisti ed elementaristi i quali concepivano invece il processo percettivo come una semplice
opera di sommazione degli stimoli e vedevano il lavoro dello psicologo soprattutto come un’opera
di analisi del percepito, in cui era importante separare il momento della “sensazione” da quello della
vera e propria “percezione”.
Per gli psicologi della forma, invece, tale analisi non era possibile, essendo le forme stesse le minime
unità d’analisi, ulteriormente inscindibili; essi pensavano inoltre che le forme si costituissero sulla
base di certe leggi percettive sostanzialmente innate, legate alla dinamica del sistema nervoso, mentre
per gli associazionisti i legami fra le sensazioni elementari si costituivano sulla base
dell’esperienza passata dell’individuo. La nascita della Gestalt si ebbe con un famoso esperimento di
Wertheimer, del 1911, sul movimento apparente o stroboscopico: il “fenomeno phi”.
Esso consiste nel fatto che, presentando due luci proiettate su uno schermo a una certa distanza l’una
dall’altra, e separate da un breve intervallo temporale, il soggetto non percepisce due luci immobili,
ma un’unica luce in movimento dalla prima alla seconda posizione. Il fenomeno in quanto tale era
noto già da tempo (e del resto è alla base del movimento cinematografico), ma l’originalità di
Wertheimer consiste nell’interpretazione che ne diede. Il fenomeno phi dimostrava, infatti, come il
fatto percettivo fosse inanalizzabile; il movimento (in questo caso il dato più importante che emergeva
a livello percettivo) sarebbe stato distrutto da un processo di analisi, che avrebbe portato solo a trovare
degli stimoli stazionari.
L’esperimento di Wertheimer dimostrava una cosa fondamentale: che il «tutto – cioè il movimento
percepito – è qualcosa di più e di diverso dalla somma dei singoli componenti». Se la percezione
fosse il risultato diretto di quello che accade nel fenomeno fisico, dovremmo vedere luci che si
accendono una dopo l’altra e non una luce in movimento. Dunque è la nostra mente che interviene
attivamente nella costruzione del fenomeno percettivo e lo coglie nella sua totalità.
La mente, per la psicologia della Gestalt, percepisce il tutto come indivisibile, ovvero come
flusso continuo e questo “tutto” viene anche completato dalla mente stessa. In questo caso,
è bene affermale, che la percezione è una facoltà mentale attiva, perché non si limita a
registrare i fatti ma li ricostruisce rappresentandoseli.
Durante tali prove risultò evidente come la soluzione per prove ed errori, in cui il “pensiero”
procederebbe alla cieca, viene seguita solo in fasi relativamente poco importanti ai fini
dell’apprendimento. Le azioni degli animali tendevano secondo lo psicologo tedesco a una soluzione
ottenuta in seguito a una strategia non casuale: riuscivano infatti ad ottenere il cibo impiegando un
bastone (strumento) per avvicinarlo alla gabbia, evidenziando un atto di intelligenza tale
da ristrutturare il campo cognitivo attraverso un atto di insight.
Nel campo cognitivo della scimmia il bastone è infatti presente già prima che essa riesca a risolvere
il problema, ma quando lo utilizza per trarre il cibo a sé il valore del bastone è mutato, risultando in
quella particolare situazione l’oggetto più funzionale per la risoluzione del problema specifico.
Il contrasto di visioni fra l’impostazione gestaltista, come indicata in Kohler, e quella di tipo
comportamentista, è stata alla base della controversia sulla natura continua o discontinua
dell’apprendimento umano.
Lo studioso introdusse il concetto di insight (intuire nel senso di “vedere dentro”) e con esso quello
di carattere discontinuo dell’apprendimento (Kohler, 1921).
Molti degli psicologi contemporanei di Kohler, quali ad esempio Thorndike, ritenevano che i processi
di apprendimento si attuassero secondo un insieme di tentativi casuali (secondo un modello di tipo
ripetitivo, o di prova ed errore).
I gestaltisti, con la loro idea di insight, propendevano per un apprendimento subitaneo, che quindi ha
caratteristiche di discontinuità.
Questa impostazione ha fatto si che i gestaltisti si dedicassero soprattutto alla soluzione di
problemi (problem solving) e molto meno di apprendimento in generale, campo quest’ultimo che
sembra rispondere invece a un’impostazione che preveda l’accumulo di conoscenze e quindi il ricorso
a una teoria di tipo continuo quale quella comportamentista.
Wundt, infatti, riteneva che il processo di reazione agli stimoli fosse composto di cinque momenti:
I momenti centrali erano della coscienze interna al soggetto sono i processi mentali descrivibili solo
tramite l’introspezione del soggetto dell’esperimento, che pertanto non poteva essere una persona
qualunque, ma doveva essere qualcuno che fosse stato istruito a distinguere quei tre diversi momenti.
Secondo Wundt, se anche ammettessimo che i fenomeni mentali complessi dipendono dal cervello,
lo studio della loro connessione con il sostrato fisiologico non sarebbe comunque in grado di
restituirci quello che è il reale significato di tali fenomeni.
Per questo motivo di solito nel laboratorio di Wundt i soggetti dell’esperimento erano gli stessi
studenti di Wundt. L’esperimento si basava quindi su due pilastri: da un lato la misura oggettiva del
tempo di reazione, ovvero quello trascorso tra il primo e l’ultimo momento; dall’altro il resoconto
introspettivo dei tre momenti centrali, fornito dal soggetto dell’esperimento al termine del processo.
Anche se Wundt è considerato l’iniziatore della psicologia sperimentale e fisiologica, egli non era
convinto che questo approccio potesse essere impiegato per studiare ogni tipo di contenuto psichico.
Wundt distingue infatti i processi mentali più semplici, come le sensazioni, da quelli più complessi,
che dipendono dalle facoltà superiori dell’animo umano. Le sensazioni sono strettamente legate alle
condizioni fisiologiche, come l’attività degli organi di senso, e per questo possono essere indagate
sperimentalmente, tramite opportune stimolazioni fisiologiche. I contenuti mentali complessi hanno
invece bisogno di altri metodi per essere studiati, come ad esempio la “psicologia dei popoli”
(Völkerpsychologie).
Per questo motivo Wundt ritiene che la psicologia sia una disciplina ibrida, che ricade in parte
all’interno delle “scienze naturali” (Naturwissenschaften), nella misura in cui si occupa delle
sensazioni e delle connessioni psicofisiche, e in parte nelle “scienze dello spirito”
(Geisteswissenschaften), nella misura in cui tratta delle funzioni psicologiche superiori
(ragionamento, linguaggio, decisioni morali, creazioni artistiche, etc.).
Le proprietà fondamentali dei processi psichici superiori non possono infatti essere spiegate tramite
la parallela attività cerebrale. Per questo motivo, Wundt fornisce una interpretazione diversa al
principio del parallelismo psicofisico, che per i contemporanei di Wundt affermava la completa
dipendenza dei processi mentali dal sostrato fisiologico. Per come lo intende Wundt esso implica solo
la simultaneità (dunque una semplice coincidenza temporale, non una dipendenza) tra fenomeni
cerebrali e mentali, oltre all’assunto che vi sono caratteristiche dei processi mentali che non hanno
alcun corrispettivo fisiologico nel cervello.
In particolare, per Wundt le proprietà mentali sono descrivibili in 4 principi.
Il principio di attualità (Actualität), secondo cui “ogni contenuto psichico è un processo (actus)”,
dunque un qualcosa che fluisce ed è continuamente in mutamento, a differenza degli oggetti che fanno
parte della scienza naturale, i quali sono invece un qualcosa di fisso e che han bisogno dell’intervento
di una forza esterna per mutare.
Il principio di sintesi creativa (schöpferische Synthese), in base al quale l’unione di più contenuti
psichici possiede un significato che non era già contenuto nella somma delle sue parti (come dice la
parola, la sintesi, l’unione, crea qualcosa che non c’era prima). In particolare, i contenuti mentali
complessi che risultano dalla sintesi creativa sono dotati di valore. Ad esempio una poesia ha un
significato maggiore della mera somma delle parole che la compongono, e in più il risultato di questa
unione creatrice è qualcosa che per noi ha un valore (artistico, letterario, etc.).
Il principio dell’analisi correlante (beziehende Analyse), che rappresenta per certi versi l’inverso
del precedente, in quanto afferma che quando nell’analisi si separano dei contenuti mentali, le parti
risultanti mantengono il loro significato solo grazie al fatto che rimangono in una connessione con le
altre parti.
Infine il principio del rafforzamento per contrasto (Contrastverstärkung) afferma che quando due
vissuti sono contrapposti tra loro (ad esempio una sensazione di piacere ed una di dolore), il loro
contrasto finisce per renderli più intensi.
Il vaso di Rubin – il volto o il vaso? Illusioni ottiche e Gestalt
Vaso di Rubin (noto anche come il volto Rubin o la figura-sfondo vaso) è una famosa serie
di ambigue figure bidimensionali sviluppate intorno al 1915 dallo psicologo danese Edgar
Rubin.
Rubin raccolse in due volumi alcuni esempi di figure, in lingua danese Synsoplevede
figurer (“Figure visive”); Egli incluse un certo numero di esempi, ma quello che è diventato il
più famoso è certamente quello del vaso.
Nel vaso di Rubin si possono distinguere due profili neri su sfondo bianco, oppure un calice
bianco su sfondo nero. Tutte le figure di questo tipo possono sempre essere interpretate in
due modi: una figura delle due viene focalizzata, l’ altra assume la funzione di sfondo.
Se si focalizza prima una figura piuttosto che un’ altra dipende soggetto a soggetto, è una
cosa psicologica.
Ciò perché la nostra valutazione percettiva ha bisogno di contrasto figura/sfondo e anche quando
questo non c’è si crea lo stesso.
Nella figura qui sopra noi vediamo, o crediamo di vedere due triangoli equilateri bianchi, l’uno
sovrapposto all’altro, uno dei quali possiede il contorno in parte nero.
Ma è solo un’illusione: nessuno dei due triangoli esiste perché non è effettivamente disegnato!
Inoltre, il triangolo totalmente bianco appare più luminoso della zona circostante, mentre
in realtà le due aree hanno la stessa luminosità. Questa illusione dipende dal fatto che il
nostro cervello ha la tendenza a vedere, sullo sfondo, un’immagine che usa per
contrastare quella in primo piano.
Se questa immagine non c’è, semplicemente… la inventa e la reintepreta.
La psicologia sociale
Tali conflitti si producono quando, rispetto a un problema dato, più individui utilizzano approcci
cognitivi diversi e tutti ugualmente insufficienti. Il confronto simultaneo tra vari approcci o soluzioni
individuali nel corso di un’interazione sociale rende necessaria e genera la loro integrazione in una
nuova organizzazione.
Perché possa nascere un conflitto sociocognitivo, i partecipanti a un’interazione devono già disporre
di certi strumenti cognitivi; analogamente, il bambino trae profitto dall’interazione solo se è in grado
di coordinare il proprio approccio con quello degli altri.
Willem Doise presuppone un legame tra le regolazioni sociali e funzionamento cognitivo quale
generatore delle rappresentazioni sociali, puntualizza tre assunzioni principali:
Le rappresentazioni sociali possono essere considerate come principi organizzatori delle relazioni
simboliche fra individui e gruppi, in quanto i diversi membri di un gruppo condividono delle
conoscenze comuni sull’oggetto a cui si riferiscono nel corso delle conversazioni.
Si organizzano delle differenze nelle prese di posizione individuali entro l’ambito della conoscenza
condivisa, in funzione della intensità della loro adesione ai vari aspetti della rappresentazione
sociale.
Tali differenze fra le prese di posizione individuali sono ancorate alle appartenenze a gruppi, alle
realtà simboliche che questi elaborano, ad esperienze sociopsicologiche condivise in diversa misura
dagli individui, alle loro credenze circa la realtà sociale.
Agli individui si pone un problema sociale – come far evolvere le loro relazioni – e insieme un
problema cognitivo: come dare conto delle differenze fra le cognizioni e, eventualmente,
coordinarle o integrarle in una visione comune. Gli aspetti sociali e quelli cognitivi sono
intimamente legati, ma l’analisi della situazione è facilitata quando le due fonti dell’eventuale
perturbazione e del riequilibrio sono prese esplicitamente in considerazione.
Ricerche recenti nel campo dell’apprendimento tra pari (peer groups learning) illustrano la
pertinenza di questa analisi nei termini di una duplice dinamica. (W. Doise, Confini e identità, Il
Mulino, Bologna 2010, pp. 51-53)