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Parte prima
INTRODUZIONE
Capitolo primo
IL DIRITTO PRIVATO
Il diritto
Un ordinamento giuridico è un insieme di regole, le quali “regolano” i rapporti fra gli individui di
una data comunità. Ogni ordinamento, infatti, deve essere concepito quale un sistema di regole, che
disciplinano i comportamenti umani, cercando di uniformarli, evitando la violenza. È cosa nota la
teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici: sebbene, infatti, l’ordinamento giuridico statale
cerchi di imporsi quale sovrano sul diritto emanato da organi diversi e plurimi, tuttavia, giunge
indispensabile considerare come la modernizzazione abbia condotto alla nascita di associazioni e
organizzazioni, le quali, indipendentemente, hanno creato un diritto proprio. Ciononostante, è
palese il fatto che per grandi aree geografiche il diritto sia piuttosto simile, pur trattandosi, magari,
di Paesi diversi. Stando ai canoni del costituzionalismo moderno, il potere legislativo, esecutivo -
amministrativo e quello giurisdizionale devono risiedere in organi qualificati separati tra loro.
Infatti, Locke e Montesquieu ipotizzarono come, qualora i tre poteri risiedano nelle mani di un
organo monocratico, si potrebbe assistere a un regresso allo stato assoluto seicentesco. Nel nostro
Paese il potere legislativo è detenuto da organi nazionali (parlamento e governo), da organi
sovranazionali (CEE) e da enti locali (regioni e province). Nei Paesi di common law, invece, il
potere legislativo spetta al giudice, il quale crea il diritto, che diverrà poi vincolante pro futuro. Se
in passato la struttura del diritto era piuttosto semplice, oggigiorno, al contrario, il diritto ha una
struttura piuttosto complessa, dettata dalla pluralità degli ordinamenti giuridici, dalle molteplici
fonti del diritto, dalle innumerevoli regole giuridiche. Spetterà al giudice applicare il diritto astratto
al caso concreto e contingente. È opportuno, a questo punto, differenziare le regole giuridiche dalle
regole non giuridiche. Il positivista per eccellenza Kelsen mirò a costruire una teoria del diritto del
tutto scevro da qualsiasi tipo di condizionamento morale e religioso: talvolta le regole del diritto
coincidono con quelle del campo religioso e morale; talaltra, invece, no. La differenza fra regole
giuridiche e regole non giuridiche risiede nell’esistenza o meno del carattere della coercibilità: il
trasgressore a livello giuridico sarà punito con una sanzione; con una punizione ultraterrena,
qualora abbia violato i comandamenti religiosi. La legittimazione del diritto risiede, dal punto di
vista formale, nella sua struttura qualificata e, dal punto di vista sostanziale, nella sua accettazione
dalla maggioranza dei consociati di una comunità.
La norma giuridica
Ogni ordinamento giuridico è dato da un insieme di norme le quali sono generali (rivolte a una
pluralità indistinta d’individui) e astratte (è possibile ripeterle nel tempo e non riguardano singoli
fatti concreti, ma un’ipotetica serie di fatti). Le norme giuridiche possono essere definite quali
proposizioni prescrittive. A tal proposito è opportuno distinguere il linguaggio prescrittivo (mondo
del dover essere) dal linguaggio descrittivo o espressivo. È, tuttavia, possibile che alcune norme
giuridiche contengano delle definizioni giuridiche, le quali hanno comunque valore precettivo. Le
norme devono essere precostituite, ossia non possono essere create quando il conflitto è già insorto.
“Nessuno può essere giudicato se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto
commesso”. Art. 25.2 Cost. La certezza del diritto, infatti, è data dal fatto che il soggetto possa
conoscere anticipatamente le leggi e possa conoscerne le eventuali sanzioni. Spetterà poi al giudice,
mediante le sentenze (provvedimento), applicare il diritto alle varie controversie. Per le norme,
specialmente per quelle penali, è fatto esplicito divieto di efficacia retroattiva. La consuetudine è,
nei Paesi di common law, fonte del diritto primaria e diretta, mentre, in quelli di civil law, è
secondaria e indiretta. Le norme consuetudinarie sono comunemente definite di diritto generale o
di diritto comune; esistono, tuttavia, norme di diritto speciale, le quali delimitano esclusivamente la
serie di soggetti ai quali si riferiscono (lex specialis derogat generali).
Capitolo secondo
LE FONTI DEL DIRITTO PRIVATO
I modelli di codificazione: dalla separazione fra codice civile e codice di commercio al codice
civile unificato
Il codice di diritto civile italiano è entrato in vigore nel 1942 e ha soppiantato l’antica separazione
tra codice civile e codice di commercio, dando vita a un sistema normativo unitario. Il codice di
diritto civile appare quale opera sapientemente elaborata da un’elite di esperti, i quali, abolita ogni
possibilità di scontro politico, si dedicarono alla realizzazione di un codice in grado di trasformare
la società italiana. Il codice civile consta di 2969 articoli, buona parte dei quali è stata soppressa e ai
quali si sono aggiunti altri articoli come bis, ter, ecc. Gli articoli sono suddivisi in sei libri: 1° libro:
PERSONE E FAMIGLIA; 2° libro: SUCCESSIONI MORTIS CAUSA; 3° libro: PROPRIETA’; 4°
libro: OBBLIGAZIONI E CONTRATTI; 5° libro: IMPRESE E SOCIETA’; 6° libro: TUTELA DEI
DIRITTI. Sebbene l’unificazione del codice civile e del codice di commercio abbia comportato la
dilatazione del quarto libro, tuttavia, è necessario evidenziare come se i due codici fossero rimasti
separati, essi avrebbero annoverato più articoli, sommando la medesima trattazione normativa
intorno ai contratti e alle obbligazioni. Il c.c. è preceduto dalle preleggi ed è seguito da disposizioni
transitorie e di attuazione: le prime avevano il compito di regolare i rapporti pendenti alla data di
entrata in vigore del c.c.; le seconde, invece, hanno il compito di disciplinare in maniera analitica
alcuni dei contenuti presenti nel codice stesso. L’ancora presente distinzione fra codice civile e
codice di commercio è solo una semplificazione a livello scolastico nello studio del diritto privato.
Capitolo quarto
I SOGGETTI DI DIRITTO
Condizione giuridica della persona: la capacità giuridica, il nome, la sede, la morte presunta
Per il diritto l’uomo è una persona, o soggetto di diritto. La prima derivazione è utilizzata dallo
stesso codice nel libro primo, la seconda è di uso dottrinale, ma entrambe fanno riferimento a quella
definizione giuridica di uomo come centro di imputazione di diritti e doveri. Ogni uomo è in quanto
tale una persona ed acquisisce tale diritto al momento della nascita. Sempre dalla nascita (art. 1
comma I), intesa come inizio della respirazione polmonare, inizia la titolarità della capacità
giuridica (o soggettività giuridica o personalità giuridica), cioè l’attitudine ad essere titolare di
diritti e doveri, questa perdura sino al momento della morte, con la cessazione irreversibile cioè di
tutte le funzioni cerebrali. L’acquisizione della personalità giuridica è un fatto subordinato
all’evento della nascita, quindi il concepito non ha tale diritto. La nascita è dichiarata da uno dei
genitori o da un loro procuratore o da una persona qualsiasi che abbia assistito al parto. La
dichiarazione deve essere resa entro dieci giorni all’ufficiale dello stato civile dalla madre nel
Parte seconda
LA PROPRIETA’
Capitolo quinto
I BENI E LA PROPRIETA’
La proprietà fondiaria
1) costruzioni
le costruzioni su fondi confinanti, se non sono unite o in aderenza tra loro, devono essere tenute a
una distanza minima di tre metri, salvo diversa disposizione da parte degli enti locali per una
distanza maggiore (art. 873). Tale distanza è ritenuta idonea perché costruzioni vicine non si
tolgano aria e luce e non pregiudichino la reciproca sicurezza. Risulta favorito il proprietario che
costruisce per primo, in quanto egli può costruire a meno di un metro e mezzo dal confine o sul
confine stesso, costringendo l’altro o ad indietreggiare con l’edificio, o a costruire in appoggio al
suo muro, che diventa di comproprietà, o in aderenza al suo muro, costringendo l’altro a pagare il
suolo occupato (art. 874-877). Nel caso il secondo non rispetti le minime distanze, il primo può
costringerlo alla riduzione in pristino, cioè alla demolizione (art. 872). Il secondo non ha diritto
all’indennizzo per il suolo rimasto in edificabile. Spesso i regolamenti regionali impongono una
distanza minima dal confine, in questo modo perde ogni privilegio anche colui che edifica per
primo. Oltre a ciò i regolamenti possono stabilire anche limiti massimi di altezza e volume degli
edifici in relazione alla destinazione stabilita per il territorio, il proprietario leso da violazioni di
questi regolamenti può esigere solo il risarcimento del danno che prova d’aver subito (art. 872).
2) Pozzi e fossi
Pozzi, cisterne e tubi devono essere collocati ad una distanza di almeno due metri dal confine, i
fossi ad una distanza uguale alla loro profondità (art. 892).
3) Piantagioni
Gli alberi ad alto fusto, che si ramificano dopo che il tronco raggiunge i 3m, debbono essere posti
ad una distanza minima di tre metri dal confine, salvo diversi regolamenti o usi locali, gli altri alberi
ad un metro e mezzo, le viti e le siepi a mezzo metro (art. 892). Il vicino può recidere le radici o
chiedere al proprietario di potare i rami sporgenti (art. 896).
Per ciò che riguarda la ricezione di aria e luce, l’ordinamento risolve i conflitti distinguendo tra luci
e vedute. Sono luci le aperture che non consentono di affacciarsi sul fondo del vicino, contrario
concetto sono le vedute. Per le luci che si aprono sul fondo del vicino non vi sono distanze minime
dal confine ma devono recare inferriate e grate fisse per assicurare la sicurezza del confinante, e
debbono essere collocate ad una distanza, prevista dalla legge, che assicuri la privacy del vicino. Le
vedute devono essere aperte ad una distanza minima di un metro e mezzo dal confine, colui il quale
abbia diritto di edificare in aderenza o appoggiandosi al vicino può oscurare solo le luci di
quest’ultimo e non le vedute.
Capitolo sesto
IL POSSESSO
Concetto di possesso
Proprietà e possesso sono, giuridicamente, due situazioni diverse. La prima è la situazione di diritto
descritta dall’art. 832, il secondo è una situazione di fatto definita all’art. 1140 come il potere sulla
cosa che si manifesta in una attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà. La
differenza sta appunto fra titolarità ed esercizio del diritto di proprietà, fra l’essere proprietari e il
comportarsi da proprietario della cosa.
Di norma il proprietario è implicitamente anche possessore, ma non è raro il caso in cui colui che ha
la cosa, non sia proprietario ma possessore. Il potere di quest’ultimo sulla cosa ha una protezione
giuridica autonoma, separata dalla tutela dalla proprietà.
Le azioni possessorie
La protezione giuridica di cui si avvale il possesso permette una reintegrazione giudiziale della
situazione e un ordine di cessazione delle molestie, più rapida rispetto al diritto di proprietà. Tale
protezione giurisdizionale è riconosciuta al possesso in quanto tale: è irrilevante che il possessore
sia o meno proprietario, o che non possa provare di essere proprietario del bene, e anche irrilevante
se l’oggetto sia idoneo o meno a formare oggetto di proprietà privata (tale riconoscimento è fatto
anche nei con fronti del possessore di bene demaniale).
A difesa del possesso vi sono le azioni possessorie:
a) azione di reintegrazione o di spoglio (art. 1168): spetta al possessore violentemente od
occultamente spossessato del bene, mobile o immobile, cioè di nascosto e con l’uso di forza
o minacce. Esercitatile entro un anno dallo spoglio, o se clandestino, dalla sua scoperta;
consente al possessore spogliato di ottenere, sulla semplice notorietà dell’atto dello spoglio,
la reintegrazione del possesso, tramite ordine del giudice rivolto all’autore dello spoglio o
a chi abbia acquisito il bene, pur consapevole dello spoglio. Trascorso l’anno dallo spoglio,
il possesso si consolida nelle mani dell’autore dello spoglio stesso, la reintegrazione può
avvenire solo tramite azione di rivendicazione da parte di chi porti prova del diritto di
proprietà.
b) azione di manutenzione (art. 1170): riguarda i beni immobili e le universalità di beni mobili,
ha un duplice campo d’applicazione: spetta al possessore che sia molestato nel godimento
della cosa e al possessore che abbia subito uno spoglio non violento o clandestino. Può
essere utilizzata entro un anno dallo spoglio e dalle turbative e mira nel primo caso
all’ottenimento di un ordine di cessazione delle turbative, nel secondo caso alla restituzione
della cosa.
L’ azione di reintegrazione, in quanto basata sull’altrui atto violento o clandestino, è data a qualsiasi
possessore, e al detentore che detenga nel proprio interesse, indipendentemente dalla durata del
possesso e dal modo con il quale egli se lo era procurato.
L’azione di manutenzione invece è concessa solo al possesso duraturo, continuato ed ininterrotto, da
oltre una anno, non conseguito in modo violento o clandestino, oppure se conseguito in tal modo, è
Le azioni di nunciazione
Sono azioni che spettano al possessore, indipendentemente dalla prova di proprietà, sia al
possessore non proprietario sia al titolare di un altro diritto reale, con la funzione di prevenire un da
nno che minaccia la cosa.
a) denuncia di nuova opera: è la denuncia all’autorità giudiziaria di nuova opera intrapresa da
altri, dalla quale si teme un danno futuro alla cosa di cui si è possessori, proprietari o titolari
di un altro diritto reale. L’azione è esperibile fino a quando l’opera non sia stata completata
e purché non sia trascorso un anno dall’inizio dei lavori.
b) Denuncia di danno temuto: è la denuncia di danno grave ed imminente, all’autorità
giudiziaria, che si teme possa derivare alla cosa di cui si è possessori o proprietari o titolari
di un altro diritto reale dall’edificio o da cosa altrui.
Il giudizio che si svolge con tali azioni si divide in due fasi:
1) l’autorità giudiziaria, cosciente di una sommaria conoscenza dei fatti, emette provvedimenti
provvisori ed urgenti, con i quali può vietare la continuazione dei lavori o sottoporre la
continuazione dell’opera a particolari cautele, che escludano la possibilità del danno.
l’autorità giudiziaria può ordinare demolizioni riparazioni urgenti ecc…
2) giudizio di merito: decisione conclusiva circa l’esistenza o meno del pericolo di danno ed
illiceità del comportamento del denunciato.
Tali azioni sono esperibili anche contro la P.A., relativamente alle modalità di esecuzione
dell’opera, contro le violazioni delle regole poste dalla prudenza e dalla tecnica a salvaguardia degli
altrui diritti.
Occupazione ed invenzione
L’occupazione è il modo di acquisto delle res nullius, delle cose mobili di nessuno (art. 923),
richiede un elemento materiale, l’impossessamento della cosa, ed un elemento psicologico
consistente nella volontà di fare propria la cosa. Possono essere oggetto di occupazione solo le cose
mobili, gli immobili non appartenenti a nessuno, sono di proprietà dello stato o delle regioni a
statuto speciale se sono situati in quest’ultime (art. 827).
Vi sono due categorie di cose mobili che il codice civile riconosce come suscettibili d’occupazione.
Prime fra tutte le cose abbandonate o derelitte dal precedente proprietario, il quale si è liberato del
possesso con l’intenzione di rinunciare alla proprietà. Poi vi sono gli animali che formano oggetto
di caccia o pesca, cioè la selvaggina ed i pesci. La caccia e la pesca sono le forme tramite cui
avviene l’impossessamento e con questo, l’acquisto della proprietà per occupazione. La legge n.
968 del 1977 e la n. 157 del 1992, a tutela della natura hanno cambiato la condizione giuridica della
selvaggina selvatica, considerata oggi come patrimonio indisponibile dello stato.
Si può parlare di occupazione anche in riferimento ad un’altra categoria di cose mobili, quelle altrui
occupate con espresso o tacito consenso del proprietario. E’ il caso non di cose di nessuno, ma di
frutti naturali, spesso spontanei, del fondo, della foresta o del corso d’acqua, e appartengono o al
proprietario privato del fondo (art. 821)oppure allo stato per ciò che concerne foreste e corsi
d’acqua (art. 822). Il consenso del proprietario rende queste cose suscettibili di occupazione. Il
consenso si desume secondo diversi criteri, è vietata la raccolta dei frutti del fondo, laddove il
proprietario privato ponga un visibile cartello che lo impedisca, mentre è sempre possibile sul suolo
statale, anche la selvaggina rientra oggi in tale categoria in un certo modo, in quanto la caccia è
permessa solo in determinati periodi dell’anno, e non su tutti i fondi. La caccia nei periodi non
previsti dalla legge è considerata furto, il cacciatore occupa la selvaggina quando oltre al periodo
previsto dalla legge concorre anche il consenso del proprietario del fondo. È dello stato la
selvaggina accidentalmente uccisa.
Dalle cose abbandonate si distinguono le cose smarrite, di cui cioè il proprietario ha perso il
possesso ma non la volontà di avere la proprietà sul bene. Di queste si può diventare proprietari per
invenzione. Il ritrovatore infatti è si tenuto a presentare la cosa all’ufficio oggetti smarriti del
Usucapione
L’usucapione è l’acquisto della proprietà a titolo originario, mediante il possesso prolungato nel
tempo, per cui, al protrarsi di una situazione di possesso da parte di un non proprietario, accade che
il proprietario non possessore perde il suo diritto di proprietà, e il possessore non proprietario
acquisisce il diritto. È irrilevante per l’usucapione, il fattore della buona o mala fede, che influisce
solo per il fattore della durata, più lungo per l’usucapione in mala fede. Occorre però che il
possesso della cosa sia goduto alla luce del sole, quindi in caso di possesso in mala fede, come nel
caso del ladro, il tempo utile per l’usucapione comincia decorrere dal momento in cui cessa la
violenza o la clandestinità (art. 1163). L’art. 1153 stabilisce che compiuta l’usucapione , i diritti
sulla cosa eventualmente costituiti dall’antico proprietario, non sono più opponibili anche se
trascritti. Se diritti vengono costituiti dall’antico proprietario in pendenza dell’altrui possesso
occorrerà distinguere: se il possessore ha posseduto la cosa come libera, non saranno a lui
opponibili, se la cosa è stata posseduta come gravata dal diritto altrui, questo sopravvive
all’usucapione.
Il fondamento dell’usucapione è una esigenza di ordine generale che è quella di eliminare le
situazioni di incertezza circa l’appartenenza dei beni, assicurando la certezza dei diritti sulle cose,
eliminando una possibile remora alla circolazione della ricchezza.
L’usucapione vale a semplificare la prova in giudizio del diritto di proprietà. La prova sarebbe
difficile soprattutto per gli immobili, in quanto bisognerebbe provare a ritroso ogni trasferimento a
titolo derivativo che il bene ha subito. L’usucapione rende necessaria la prova solo per il tempo
necessario per acquistare la proprietà a titolo originario, e se si possiede da tempo minore si può
sommare il proprio tempo con quello del dante causa.
Il tempo necessario per usucapire una cosa varia a seconda del tipo di bene: di regola servono venti
anni per gli immobili e per le universalità di beni (artt. 1158-1160), dieci anni per i beni mobili
registrati (art. 1162). Quando un immobile sia stato acquistato in buona fede da non proprietario,
con titolo idoneo al trasferimento e debitamente trascritto, in buona fede, bastano dieci anni dalla
data della trascrizione, in questi casi per i beni mobili registrati bastano tre anni dalla trascrizione.
Per le cose mobili non registrate, se conseguite in buona fede ma senza titolo, si acquista la
proprietà dopo dieci anni, se il possesso è stato conseguito in mala fede, ne sono richiesti venti di
anni (art. 1161).
Oltre che il diritto di proprietà, si acquistano per usucapione anche degli altri diritti reali, anche gli
altri diritti reali su beni mobili ed immobili (superficie, usufrutto, servitù). La durata del possesso di
tali diritti è la stessa richiesta per usucapire la proprietà.
Il diritto di superficie
È il diritto di edificare o mantenere sul suolo o sottosuolo altrui una propria costruzione (artt. 952
comma I, 955). Il contratto intervenuto tra proprietario del suolo e superficiario, che determina la
costituzione del diritto di superficie, vale a sospendere il principio di accessione. Il superficiario è
proprietario della costruzione ed inoltre possiede il diritto di superficie sul suolo altrui, il secondo
L’usufrutto
È un diritto costituibile su bene mobile, immobile e su universalità di beni altrui, ed ha un contenuto
molto vasto.
a) facoltà di godere della cosa, ossia di utilizzarla per il proprio vantaggio, con le eventuali
accessioni, nel rispetto della destinazione economica impressa dal proprietario (art. 981)
b) Facoltà di fare propri i frutti, naturali come i frutti del raccolto(art. 984) o come i parti della
mandria (art. 994) o civili, come i proventi ottenuti da l’usufrutto di un capitale o di una
azienda (art. 2561).
L’usufruttuario non raggiunge la pienezza delle facoltà del proprietario perché egli non ha potere
sulla destinazione economica della cosa, potere che resta al proprietario, che eventualmente può
vendere la cosa.
Le spese e le imposte relative alla cosa sono ripartite tra proprietario ed usufruttuario. Al
proprietario spettano le spese di straordinaria amministrazione e le imposte che gravano sulla
proprietà (artt. 1005-1009), all’usufruttuario spettano le spese per la manutenzione ordinaria e le
imposte che incombono sul reddito (artt. 1004-1008).
L’usufrutto perdura finché è in vita l’usufruttuario, non è trasmissibile agli eredi, se questi è persona
fisica, oppure si estingue dopo trenta anni se titolare è una persona giuridica (art. 979).
L’usufruttuario può cedere il suo diritto con atto tra vivi, ma il diritto del nuovo usufruttuario
sopravvive fino alla morte del precedente titolare.
L’usufrutto può essere costituito per atto volontario, contratto o testamento, oppure può trattarsi di
usufrutto legale, imposto cioè dalla volontà della legge. Può acquistarsi ovviamente anche per
usucapione.
Al termine dell’usufrutto, l’usufruttuario dovrà restituire la cosa al proprietario (art. 1001 comma I),
così come l’ha ricevuta, salvo deterioramenti determinati dall’uso (art. 996), giudicando
l’amministrazione della cosa dal punto di vista del criterio del buon padre di famiglia, ossia
dell’uomo medio (art. 1001 comma II). Nel caso delle universalità di beni al momento della
restituzione,queste dovranno essere reintegrate delle cose perite.
Oggetto di usufrutto possono essere anche cose consumabili o cose fungibili, è il caso del quasi
usufrutto, in cui l’usufruttuario deve restituire, al termine del suo diritto, un equivalente di quanto
ricevuto in qualità e quantità (art. 995)
Abitazione
Il diritto reale di abitazione è ancora più circoscritto di uso e usufrutto. Ha per oggetto una casa e
consiste nel diritto di abitare la casa limitatamente ai bisogni della famiglia del titolare del diritto
(art. 1022). Non è ammessa né la cessione del diritto ne la possibilità di dare in locazione la cosa
(art. 1024).
Enfiteusi
È fra i diritti reali minori quello di contenuto più esteso, infatti all’enfiteusi viene riconosciuto un
dominio utile, per l’enfiteuta, ed un dominio diretto, per il nudo proprietario. Con le leggi n. 607 del
1966 e n. 1138 del 1970, l’enfiteusi incontra uno sfavore legislativo, che recentemente ha ridotto
l’uso di questo diritto.
L’enfiteusi è un diritto perpetuo, o se stabilito un termine, questo non deve essere inferiore a venti
anni (art. 958), e può essere trasmesso agli eredi (art. 965).
Ha per oggetto generalmente fondi rustici, ma è applicabile anche a fondi urbani. Sul fondo
l’enfiteuta ha le stesse facoltà di godimento del proprietario (art. 959), ma con due specifici
obblighi:
1) migliorare il fondo
2) corrispondere al nudo proprietario o al c.d. concedente, un canone periodico (art. 960)
l’obbligo del miglioramento del fondo risponde alla funzione economica dell’enfiteusi, in quanto
questa è un diritto che permette ai proprietari terrieri di percepire una rendita dai fondi incolti o
comunque scarsamente produttivi, disinteressandosene.
Dall’altro lato, l’enfiteusi permette all’enfiteuta di acquistare, tramite la sua rendita, il fondo, grazie
all’affrancazione. L’enfiteuta ha infatti la facoltà di acquistare il fondo, pagando al concedente, che
non può opporsi, un prezzo equivalente oggi alla capitalizzazione del canone annuo, moltiplicando
cioè il valore del canone per quindici (prima era per venti). Il concedente perde la proprietà del
fondo, ma percepisce a sua volta una rendita.
Al concedente spetta il diritto di domandare al giudice la devoluzione del fondo, quando l’enfiteuta
non adempie all’obbligo di miglioramento o non paga il canone per due anni (art. 972).
Le servitù prediali
La tradizione le definisce come un peso imposto sopra un fondo, per l’utilità di un altro fondo
appartenente a diverso proprietario (art. 1027). Il peso consiste in una limitazione della facoltà di
godimento di un immobile, detto fondo servente, alla quale corrisponde un diritto del proprietario di
un altro fondo detto dominante.
I due fondi, come nel caso della servitù di acquedotto, non devono essere necessariamente contigui,
l’utilità del fondo può essere anche inerente alla sua destinazione industriale (art. 1028), ma è
necessario che alla servitù equivalga l’utilità di un fondo, e non l’utilità personale del proprietario
del fondo.
Non esiste una sola classificazione di servitù:
a) servitù positive e negative. Le prime consistono in una diretta utilizzazione da parte del
proprietario del fondo dominante, del fondo servente, il proprietario di quest’ultimo a sua
volta è obbligato semplicemente a sopportare, le altrui attività oggetto del diritto. Le
seconde consistono in un obbligo di non fare, da parte del proprietario del fondo servente.
b) Servitù continue e discontinue. Per l’esercizio delle prime non è necessaria alcuna attività
umana, per le seconde è invece necessario un comportamento attivo da parte del titolare
della servitù.
concetto di comunione
la comunione è la situazione per la quale la proprietà o altro diritto reale spetta in comune a più
persone (art. 1100), sulla medesima cosa esistono diritti di più persone, con uguale contenuto.
Può costituirsi in tre ipotesi:
a) comunione volontaria: dipende dalla volontà dei partecipanti alla comunione, quando ad
esempio più persone comperano lo stesso bene, diventandone comproprietarie.
b) Comunione incidentale: non dipende dalla volontà dei partecipanti, come ad esempio nei
lasciti ereditari di una cosa a più persone.
c) Comunione forzosa: è una fattispecie alla quale non ci si può sottrarre, come ad esempio per
chi voglia abitare in un condominio.
La comunione incidentale differisce da quella forzosa per il fatto che sorge senza che i partecipanti
l’abbiano voluta, ma può sciogliersi per volontà di questi ultimi, la seconda invece è totalmente
sottratta dalla volontà dei partecipanti.
La coesistenza dell’uguale diritto sulla medesima cosa, di più persone si realizza mediante una
ideale divisione in quote della cosa. Materialmente tutti hanno stessi diritti reali sulla cosa, in egual
misura, senza possibilità di separazione delle parti che spettano all’uno o all’altro. Idealmente la
cosa invece viene scomposta in tante quote quanti sono i partecipanti, la quota è una frazione ideale
calcolata aritmeticamente, essa è la proporzione secondo cui ciascun partecipante concorre nei
vantaggi e negli oneri inerenti alla cosa comune (art. 1101 comma II).
In linea di principio le quote sono uguali, ma per volontà delle parti o per legge possono essere
anche disuguali. La presunzione di uguaglianza tra le quota opera invece, laddove più persone
comprano una cosa con quote diverse, se le parti non stabiliscono diversamente, ciascuna avrà sul
bene una quota uguale.
Le facoltà di godimento e amministrazione della cosa comune, spettano ai partecipanti per certi
aspetti in modo individuale, per altri in modo collettivo.
a) uso della cosa comune: in linea di principio spetta separatamente a ciascun partecipante, il
quale non deve alterare la destinazione economica, comportandosi in modo tale da non
impedire l’altrui uso (art. 1102). Non sempre tuttavia la natura del bene consente l’uso
individuale della cosa comune.
b) Amministrazione della cosa comune: spetta collettivamente ai partecipanti che deliberano a
maggioranza di quote (art. 1105). Per le innovazioni e per gli atti di straordinaria
amministrazione occorre la maggioranza del numero di partecipanti, che rappresentino
almeno i due terzi del valore della cosa (art. 1108 commi I e II). Le deliberazioni possono
essere impugnate dai dissenzienti, dinnanzi all’autorità giudiziaria, che le può annullare se
pregiudizievoli per la cosa comune o per gli interessi dei singoli partecipanti.
c) Atti di disposizione della propria quota: ogni partecipante, senza l’altrui consenso, può
costituire altrui diritti sulla sua quota o alienarla (art. 1103).
d) Atti di disposizione dell’intera cosa comune: richiedono il consenso unanime dei
partecipanti (art. 1108 comma II).
Lo stato di comunione è guardato con sfavore dal legislatore, per gli ostacoli che oppone al
mutamento di destinazione dei beni e per la loro circolazione, pregiudicando le possibilità di
maggiore sfruttamento delle ricchezze. L’art. 1111 prevede che ogni partecipante può chiedere in
qualsiasi momento, la divisione della cosa comune, salvo che gli effetti della divisione farebbero
cessare la destinazione della cosa. Il patto di comunione non può eccedere la durata di dieci anni.
La divisione può avvenire in natura, trasformando le quote in entità fisiche, laddove la divisione è
impossibile, si procede o alla sua assegnazione in solitaria ad uno dei partecipanti, che indennizza
gli altri delle loro quote, o si passa alla vendita del bene, con divisione dei proventi proporzionale
alle quote.
Parte terza
LE OBBLIGAZIONI
Capito decimo
L’OBBLIGAZIONE
Il rapporto obbligatorio
Nella sua struttura più elementare l’obbligazione si presenta come un rapporto o un vincolo, che
lega un soggetto ad un altro per l’esecuzione di una data prestazione. All’interno del rapporto si
distinguono:
1) il creditore: soggetto attivo, cui spetta il diritto di esigere una data prestazione.
2) Debitore: soggetto passivo, il quale è tenuto ad adempiere la prestazione
3) Oggetto: prestazione dovuta dal debitore al creditore.
I soggetti coinvolti nel rapporto possono essere, su entrambi i lati, più di uno, ma devono essere, al
sorgere del rapporto obbligatorio, soggetti determinati o quantomeno determinabili.
L’oggetto dell’obbligazione deve avere carattere patrimoniale, ossia deve essere suscettibile di
valutazione economica (art. 1174). L’interesse del creditore, alla prestazione, invece può anche non
essere di carattere economico o patrimoniale.
Il carattere patrimoniale della prestazione presenta un carattere analogo al valore economico dei
beni oggetto di diritti reali. In questo si identifica una analogia tra diritti reali e diritti di credito,
compongono nel loro insieme la categoria dei diritti patrimoniali, quali diritti su una cosa o ad una
prestazione, avente valore economico.
Tale categoria di diritti serve soprattutto a distinguere i diritti reali da altri diritti assoluti non
patrimoniali, come quelli della personalità, e a distinguere i diritti di obbligazione da altri diritti
relativi che però mancano del carattere della patrimonialità.
Il patrimonio dunque non è altro che l’insieme di tutti i diritti patrimoniali, reali e di credito, che
appartengono ad una medesima persona. Si parla di patrimonio lordo quando si fa riferimento alla
totalità del patrimonio, è patrimonio netto invece l’ammontare del patrimonio di una persona
detratto dai debiti.
La prestazione può consistere in:
a) dare o consegnare: può consistere nel pagamento di una somma di denaro o nella consegna
di un bene. Una sottospecie è la prestazione di restituzione, particolare in alcuni contratti in
cui è prevista la restituzione dell’oggetto al termine del rapporto.
La prestazione di dare o consegnare può dar vita ad obbligazioni di genere o ad obbligazioni di
specie, a seconda che la cosa sia generica o di specie. Le prime consistono nella consegna di una
cosa specificata solo nel genere, le seconde nella consegna di una cosa determinata nella sua
identità. Per le prestazioni di genere vale la regola per cui il debitore deve prestare cose di qualità
non inferiori alla media (art. 1178). Per le prestazioni di specie vale il principio per cui
l’obbligazione che ha per oggetto un determinata cosa, include una prestazione di fare, quella di
custodirla fino alla consegna (art. 1177).
b) Fare: può determinare due tipi di obbligazione, di mezzi e di risultato. La prima ipotesi
ricorre quando il debitore svolge una determinata attività, senza però garantire al creditore il
risultato, cosa che invece accade nelle obbligazioni di risultato appunto. Esiste una diversa
distribuzione dei rischi nelle due ipotesi, nelle obbligazioni di mezzi questi si riversano tutti
sul creditore, nelle obbligazioni di risultato si riversano sul lato del debitore.
c) Non fare: il debitore si obbliga a non assumere una determinata condotta nei confronti del
creditore.
Capitolo undicesimo
L’ADEMPIMENTO E L’INADEMPIMENTO
Le obbligazioni pecuniarie
Il denaro, anche chiamato moneta o valuta, è un bene mobile idoneo ad acquistare altri beni o per
procurarsi le altrui prestazioni.
Sono obbligazioni pecuniarie o debiti di valuta quelle che hanno per oggetto la consegna di una
data somma di denaro. Esse si adempiono con la moneta avente corso legale nel paese in cui
avviene il pagamento (art. 1277), se dal momento in cui il debito è sorto e il pagamento la moneta
legale è cambiata, il pagamento avverrà nella nuova moneta ragguagliata al valore della prima. Se
nell’obbligazione è stata dedotta una moneta estera il debitore potrà pagare l’ammontare del suo
debito sia nella moneta estera sia nel suo equivalente in moneta nazionale. Se viene apposta la
clausola effettivo, il pagamento potrà avvenire solo in valuta estera.
Per ciò che riguarda il valore della moneta vale il c.d. principio nominalistico. Per cui la moneta,
agli effetti dell’adempimento, è presa in considerazione per il suo valore nominale non per il suo
potere d’acquisto. Esistono clausole contrattuali grazie alle quali il creditore può prevenire la
svalutazione della moneta, come la clausola Istat, per cui la restituzione del denaro deve tener conto
degli indici di svalutazione stilati dall’Istat, la clausola oro, per cui si fa riferimento ad una data
quantità di oro che si poteva comperare in passato con un determinato capitale, la clausola valuta
pregiata e la clausola merci, per cui si fa riferimento a merci ritenute significative del più generale
livello dei prezzi. L’adempimento di obbligazione pecuniaria si ritiene esatto solo se eseguito con
moneta, il creditore può rifiutare il pagamento in assegno o circolare (datio in solutum), non può
rifiutare se il suo atto è considerato contrario alla buona fede.
Capitolo dodicesimo
IL CONTRATTO
b)La causa
Altro requisito essenziale per la validità del contratto e dell’atto unilaterale (visto il richiamo all’art
1324) è la causa (art. 1325). La causa è la funzione economica-sociale dell’atto di volontà, o come
la definisce la relazione che accompagna il codice civile, la giustificazione dell’autonomia privata.
Il bene o il diritto in generale, non si trasferisce e l’obbligazione non sorge, se manca una causa,
una giustificazione economico-sociale dell’atto di autonomia contrattuale. Così la causa della
vendita (art. 1470), è lo scambio di cosa contro prezzo, la cosa dunque non passa solo in virtù del
fattore soggettivo che è la volontà, ma in funzione della ulteriore ragione oggettiva, che al
trasferimento del bene dal venditore al compratore, corrisponde l’obbligazione di quest’ultimo di
pagare il prezzo. Le reciproche obbligazioni dei contraenti, diventano una la giustificazione
dell’altra.
Per i contratti che non siano onerosi, cioè che non consistono in scambio di prestazioni (contratti a
titolo gratuito), come la donazione, la giustificazione di una prestazione unilaterale, risiede nello
spirito di liberalità della parte che compie la prestazione, la quale per generosità, per affetto ecc…
arricchisce la controparte. La giustificazione è dunque in questi casi la liberalità del donante, come
tale accettata dal donatario.
I contratti tipici, proprio perché disciplinati dalla legge, hanno tutti una causa, la c.d. causa tipica, e
per essi non si pone il problema, già positivamente risolto dalla legge, di accertare la ricorrenza o
no di una funzione economico-sociale. Per ciascuno di questi modelli contrattuali, il trasferimento
del diritto e l’assunzione dell’obbligazione sono direttamente giustificati dalla legge.
Al di là comunque del modello astratto c’è sempre da considerare la concreta realizzabilità del
modello. Un esempio è il contratto di vendita di chi voglia acquistare una cosa già propria, il
modello scelto è astrattamente idoneo al conseguimento dell’obbiettivo, ma non è concretamente
c)L’oggetto
Dal contenuto del contratto, che è l’insieme delle clausole, apposte per legge o dalle parti, si
distingue l’oggetto, che è la cosa o più in generale, il diritto, reale o di credito, che la una parte
trasferisce all’altra, oppure la prestazione che una parte si obbliga ad eseguire in favore dell’altra.
Di regola, il contratto ha più di un oggetto, come la compravendita, dove oggetto sono la cosa da
d)La forma
Principio generale del moderno sistema dei contratti è la libertà delle forme. I contratti possono, per
regola generale, risultare da dichiarazione espressa o tacita
e i contratti espressi possono a loro volta essere contratti verbali ( o orali) e contratti scritti. È
sufficiente perché il contratto sia valido e produttivo di effetti, che la volontà delle parti sia
manifestata, qualunque sia il modo o la forma della sua manifestazione.
Al generale principio della libertà delle forme fanno eccezione i contratti immobiliari: i contratti
che trasferiscono la proprietà o altri diritti reali sugli immobili o che costituiscono o modificano o
estinguono diritti reali su questi beni, nonché i le locazioni di immobili con durata superiore a nove
anni, devono essere conclusi per atto scritto, pena la nullità del contratto (art. 1350). La legge
comunque impone la forma scritta anche per contratti che non abbiano ad oggetto un immobile, ma
sono solo quelli espressamente voluti dal legislatore (art. 1350 n. 13).
La forma scritta può consistere in atto pubblico o scrittura privata. Il primo consiste nel documento
redatto da notaio a da altro ufficiale giudiziario autorizzato, il quale attesta con le dovute formalità
richieste dalla legge notarile, le volontà dichiarate in sua presenza dalle parti (art. 2699). Il secondo
è il documento redatto e scritto dalle stesse parti, senza la partecipazione di un pubblico ufficiale
alla sua redazione. La scrittura privata può essere autenticata dal notaio, il quale attesta che le parti
hanno sottoscritto il documento alla sua presenza, e perciò che le firme sono autentiche (art. 2703).
Il contratto preliminare
È un contratto con il quale le parti reciprocamente si obbligano reciprocamente, a concludere un
futuro contratto, del quale predeterminano il contenuto essenziale.
Per legge la forma del contratto preliminare deve essere la stessa del contratto definitivo (art. 1351).
Il codice prevede l’evenienza che una delle parti si rifiuti di adempiere al contratto preliminare,
l’altra parte può rivolgendosi al giudice, ottenere, se il contratto preliminare non lo esclude,
l’esecuzione forzata dell’obbligazione di contrattare: il giudice emetterà una sentenza che produce
gli effetti del contratto non concluso (art. 2932). Viene usato tale contratto soprattutto quando le
parti intendono reciprocamente riservarsi l’altrui prestazione, ma si riservano alcuni accertamenti
tecnici.
Una categoria di contratti che prende lo stesso il nome di contratti preliminari, ha una diversa
funzione. Sono contratti definitivi, cioè che hanno già prodotto, in teoria effetti, ma mancanti
ancora dei requisiti necessari ai fini della trascrizione, le parti concludono il contratto, ma si
impegnano reciprocamente a ritrovarsi in un secondo momento per riprodurre il contratto già
definitivo, in un documento avente forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata.
Con questi contratti, le parti hanno azione diretta nei confronti della controparte, in quanto il
Capitolo tredicesimo
VALIDITA’ E INVALIDITA’ DEL CONTRATTO
Il contratto illecito
Il contratto inoltre è nullo per illiceità della causa, per illiceità dell’oggetto, per illiceità dei motivi
(art. 1418 comma II). Qui assume rilievo la contrarietà a norme imperative del risultato che, con il
contratto le parti si propongono di realizzare, sotto il triplice aspetto dell’oggetto che esse hanno
dedotto in contratto, della causa del contratto dei motivi del contratto.
Secondo una formula che l’art. 1343 utilizza per la causa illecita, l’oggetto, i motivi e la causa sono
illeciti se contrari a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume. Tale formula
legislativa esprime l’esigenza di difesa dei valori fondamentali della società, in difesa dei valori di
natura collettiva, che attengono alla pacifica e civile convivenza fra gli uomini e al loro progresso
economico e sociale, in difesa anche dei valori individuali, relativi alla libertà, sicurezza e dignità
dei singoli. L’atto di autonomia contrattuale che leda questi valori è illecito, e quindi nullo.
La difesa di questi valori è generalmente realizzata con l’espressa formulazione legislativa di norme
imperative che vietano determinati atti o attività. Non è necessaria comunque, in campo civile, una
espressa dichiarazione legislativa di divieto, per la dichiarazione di nullità del contratto per illiceità.
Questo è illecito anche se contrario all’ordine pubblico o al buon costume.
L’ordine pubblico è costituto da quelle norme, anch’esse imperative che salvaguardano i valori
fondamentali della comunità e del singolo, che tuttavia non sono espressamente formulate dalla
legge, ma che per implicito si ricavano dal sistema legislativo: codici e altre leggi ordinarie, e dalla
costituzione.
Con riguardo ad esempio, ai valori collettivi, non esiste un contratto d’assicurazione contro i rischi
di essere scoperto e condannato per i reati che si commetteranno, sarebbe questo un incentivo a
delinquere, attenuando dunque l’efficacia delle norme penali. È la stessa necessità di difesa della
società che rende illecito un contratto del genere. Un esempio invece di difesa dei valori individuali
è rappresentata dal divieto al contratto di boicottaggio, divenuta più energica con l’intervento della
legge anti-trust del 10 ottobre 1990. con il contratto di boicottaggio più imprenditori si
obbligherebbero a non contrattare con determinati terzi o con determinate categorie di terzi. Il
Capitolo quattordicesimo
EFFICACIA E INEFFICACIA DEL CONTRATTO
Capitolo quindicesimo
LA RAPPRESENTANZA
Rappresentanza e ambasceria
Il rappresentante agisce per procura del rappresentato, ciò spiega perché la capacità legale di agire,
richiesta per la conclusione del contratto, debba essere presente nel rappresentato, in quanto è questi
e non il rappresentante, a disporre dei propri diritti, e quindi deve essere legalmente capace di
disporre (art. 1389 comma II). Se la procura è stata conferita da persona legalmente incapace di
agire, il contratto sarà annullabile, anche se concluso da rappresentante pienamente capace di agire.
Per ciò che riguarda il rappresentante, visto che egli non dispone dei propri diritti nella sua
funzione, a questi è sufficiente la capacità naturale di agire, avuto riguardo per il contenuto del
contratto (art. 1389 comma I).
La procura investe il rappresentante di determinare il contenuto del contratto da concludere. Se la
procura non pone limiti a questo potere, questo comprende ogni elemento del contratto. Il
rappresentante dichiara, a nome altrui, la propria volontà, ciò significa che i vizi del consenso
renderanno annullabile il contratto, solo se si tratta di vizi della volontà del rappresentante (art.
1390). Allo stesso modo gli stati soggettivi, di buona e mala fede, devono essere considerati con
riguardo alla persona del rappresentante (art. 1391).
Può comunque accadere che alcuni degli elementi del contratto siano predeterminati nella procura,
ed in questo caso a determinare il contenuto del contratto concorrono la volontà del rappresentante
e quella del rappresentato, che ha definito i termini della procura. Il rappresentante dichiara dunque
solo in parte la sua volontà, e da ciò deriva una importante conseguenza: i vizi del consenso che
riguardano clausole predeterminate dal rappresentato, renderanno annullabile il contratto solo se
risulta viziata la volontà del rappresentato (art. 1390). Stessa cosa vale per gli elementi soggettivi
del contratto, in quanto, nei casi inerenti gli elementi predeterminati dal rappresentato, ciò che
rileva e la buona o la mala fede di quest’ultimo.
Si parla invece di ambasceria, quando tutto il contenuto del contratto viene stabilito dal
rappresentato, e il rappresentante ha funzione di semplice portavoce della volontà dell’altro. Anche
qui i vizi della volontà e gli elementi soggettivi che rilevano, sono quelli del rappresentato. Può
rilevare però l’errore ostativo del rappresentante nella comunicazione della altrui volontà, in questo
caso il contratto è annullabile se l’errore era conoscibile dal terzo contraente (art. 1433).
Differisce dal portavoce la figura della persona o dell’ufficio incaricato di trasmettere la volontà del
contraente, questi non partecipano attivamente al contratto ma costituiscono solo il mezzo di
comunicazione, mediante il quale una parte conclude il contratto.
Capitolo sedicesimo
GLI EFFETTI DEL CONTRATTO
Contratti con effetti obbligatori e con effetti reali, contratti consensuali e contratti reali
Per ciò che riguarda propriamente gli effetti del contratto, si possono distinguere due tipi di effetti,
l’effetto obbligatorio e l’effetto reale del contratto. Sono effetti obbligatori, le obbligazioni che dal
contratto derivano: così nella vendita l’obbligo del venditore di consegnare la cosa, e del
compratore di pagare il prezzo stabilito, sono effetti obbligatori di questo contratto. Sono effetti
reali invece, gli effetti prodotti al momento stesso della formazione dell’accordo delle parti: così il
trasferimento della proprietà dal venditore al compratore, nella vendita, è un effetto che si produce
all’atto stesso della conclusione del contratto di vendita.
Sono contratti con effetti obbligatori, quelli che sono solo fonte di obbligazione tra le parti, di una
di esse o di entrambe. Sono poi, contratti con effetti reali, quelli che producono l’effetto di trasferire
la proprietà o altri diritti, oltre ad essere, al tempo stesso, fonte di obbligazione.
In materia di contratti con effetto reale, vige il c.d. effetto con sensualistico, espresso all’art. 1376:
nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento di proprietà, o di una cosa determinata, o il
trasferimento di un diritto reale o di un altro diritto, la proprietà o il diritto si trasmettono per effetto
del consenso delle parti legittimamente manifestato.
La legge comunque protegge l’alienante non pagato, in caso di vendita: nelle alienazioni di beni
immobili con pagamento del prezzo posticipato, o di beni mobili iscritti ai pubblici registri, il
venditore può iscrivere ipoteca legale sul bene venduto, a garanzia delle obbligazioni che derivano
dal contratto (artt. 2817 n. 1-2810 commi II e III). Per gli altri beni mobili, manca una analoga
garanzia, ma le parti possono utilizzare la vendita con riserva di proprietà, per cui il compratore
acquista la proprietà della cosa solo con il pagamento dell’ultima rata del prezzo (art. 1523).
Il principio con sensualistico opera con efficacia, solo nel trasferimento di cose determinate (art.
1376), nel caso di cose identificate solo nel genere, la proprietà passerà solo in seguito
all’individuazione, fatta d’accordo tra le parti o nei modi da queste stabiliti (art. 1378). Se oggetto
è una massa di cose la proprietà passa secondo il principio con sensualistico, e non occorre
l’individuazione delle singole cose, anche se a determinati effetti, come per determinare il prezzo,
le cose debbano essere numerate, pesate o misurate (art. 1377).
Quando l’oggetto del contratto sono cose da trasportare da un luogo ad un altro, l’individuazione, e
quindi il passaggio di proprietà, avviene al momento della consegna al vettore o allo spedizioniere
(art. 1378).
Stabilire il momento in cui la proprietà passa è importante, in quanto il rischio del perimento della
cosa incombe su chi ne è proprietario: sul venditore se ne è ancora proprietario, sul compratore se
ne è già proprietario.
Il contratto si perfeziona con l’accordo delle parti, da quel momento esso produce tutti i suoi effetti
siano essi reali oppure obbligatori. In linea generale, il semplice accordo tra le parti è sufficiente a
perfezionare il contratto, in alcuni casi però, oltre all’accordo è necessaria la consegna della cosa,
che forma oggetto del contratto. I contratti che si perfezionano con il semplice accordo tra le parti,
sono detti contratti consensuali, quelli che necessitano anche della consegna della cosa, sono i
contratti reali, e si perfezionano solo al momento della consegna. Sono reali il contratto di mutuo, di
deposito, di comodato e il contratto costitutivo di pegno. Nei contratti consensuali, la consegna
della cosa dedotta in oggetto, è adempimento di un obbligo già sorto al momento dell’accordo.
La consegna della cosa può svolgere anche una specifica funzione nei contratti consensuali. Se con
successivi contratti, una parte concede ai diversi contraenti un diritto personale di godimento sulla
medesima cosa, prevale tra essi il primo che ha conseguito il godimento della cosa (art. 1380).
Capitolo diciassettesimo
RISOLUZIONE E RESCISSIONE DEL CONTRATTO
Capitolo diciottesimo
CRITERI DI COMPORTAMEN. DEI CONTRAENTI E DI INTERPRETAZ. DEL CONTRATTO
Capitolo diciannovesimo
I FATTI ILLECITI
La responsabilità indiretta
Per regola generale, la responsabilità di risarcire il danno spetta a colui il quale lo ha cagionato (art.
2043). A questa regola generale, tuttavia, sono apportate numerose ed importanti eccezioni, e sono
ipotesi in cui è responsabile del danno un soggetto diverso da colui che l’ha cagionato. Sono le
ipotesi della responsabilità indiretta.
1) Responsabilità dei padroni e dei committenti. Se il danno è provocato da un lavoratore
dipendente, nell’esercizio delle mansioni a lui affidate, del danno risponde, oltre che il
dipendente che ha commesso il fatto, anche il suo datore di lavoro (art. 2049). Questo
principio ha una antica origine, quando cioè si pensava che i padroni, abbienti, fossero gli
unici che potessero risarcire il danno cagionato dai loro dipendenti. Oggi la giustificazione
di questo principio va ricercato nello stesso contratto di lavoro: il dipendente mette a
disposizione del datore di lavoro le sue energie lavorative, mentre il rischio del lavoro
incombe sul datore di lavoro stesso, il quale fa proprio il risultato del lavoro altrui.
La responsabilità oggettiva
Per l’art. 2043 il fatto illecito deve presentare, per principio generale, l’elemento soggettivo del
dolo o della colpa. Ma è lo stesso codice civile a fornire una serie di eccezioni a questo principio
generale, eccezioni tali da diventare nella pratica la regola, e facendo diventare lo stesso principio
generale, l’eccezione. Sono le ipotesi del fatto produttivo di danno senza colpa e senza dolo,
classificate come responsabilità oggettive.
La responsabilità si basa sulla sola esistenza di un rapporto di causalità tra il fatto e il danno, e ci si
libera dalla responsabilità, presentando la prova dell’assenza del rapporto di causalità, provando
cioè che il danno non è diretta ed immediata conseguenza del fatto commesso.
In epoca anteriore alle codificazioni, valeva il principio, morale anziché giuridico, per cui non vi
era alcuna responsabilità senza colpa. L’espansione dell’area della responsabilità oggettiva si
ricollega ai caratteri dell’odierna società industriale, basata sull’impiego di mezzi di produzione e di
vita che sono di per se stessi pericolosi, per persone e cose, ma è un tipo di pericolo ormai accettato,
a livello sociale, come componente ineliminabile della nostra civiltà. L’enorme aumento delle
occasioni di danno dunque, ha posto l’esigenza di un diverso sistema di responsabilità per danni,
per cui chi ha subito un danno è giusto che riceva risarcimento, indipendentemente dal dolo o dalla
colpa del suo autore. D’altro canto chi ha intrapreso una attività produttiva, che può essere di per se
pericolosa, deve accettare il rischio e l’eventualità di poter arrecare danni ad altri, e quindi di
doverli risarcire, anche se li ha cagionati senza colpa.
Se poi ci si assicura contro il rischio della responsabilità civile, sarà l’assicurazione a risarcire i
danni provocati, a questo modo il sistema assicurativo serve a ripartire, per piccole quote, il rischio
di risarcire un danno provocato, tra tutti coloro che usano mezzi pericolosi.
I casi più importanti di responsabilità oggettiva sono:
1) esercizio di attività pericolose. Chi cagiona danno ad altri nello svolgimento di una attività
pericolosa, per sua natura o per i mezzi adoperati,
è tenuto al risarcimento, a meno che non provi di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare
il danno (art. 2050). Vale, soprattutto, per le imprese che svolgono attività industriali di per sé
suscettibili di recare danno alle persone, come le imprese chimiche, che possono inquinare
l’ambiente o mettere in pericolo la salute o la stessa vita degli uomini. Chi ha cagionato il
danno, ne risponde indipendentemente da ogni sua colpa, anche se al momento del fatto ha
usato diligenza, prudenza e perizia. Per liberarsi dalla responsabilità bisogna dimostrare di aver
adottato tutte le misure idonee a evitare il danno, e la prova liberatoria verte sulle modalità di
organizzazione dell’attività pericolosa, che devono apparire idonee a prevenire l’eventualità di
eventi dannosi. Se l’evento dannoso, benché siano state adottate tutte le misure di sicurezza
offerte dalla tecnica, si verifica lo stesso, esso apparirà un evento inevitabile, e perciò non in
rapporto di causalità con lo svolgimento dell’attività pericolosa.
2) Animali o cose in custodia. In questo caso , se un animale di proprietà di un soggetto, o una
cosa in custodia (gasolio dell’impianto di riscaldamento), cagionano ad altri un danno, ci si
potrà liberare dalla responsabilità solo con la dimostrazione del caso fortuito, ad esempio il
Capitolo ventesimo
ALTRI ATTI O FATTI FONTE DI OBBLIGAZIONE
Capitolo ventunesimo
RESPONSABILITA’ DEL DEBITORE E GARANZIA DEL CREDITORE
La responsabilità patrimoniale
Il debito è il dovere del debitore di eseguire una data prestazione avente valore economico, sia essa
una prestazione di dare o di fare, dall’altro lato, il credito, equivale al diritto del creditore di esigere
quella determinata prestazione, cui il debitore è tenuto ad adempiere. La correlazione tra debito e
diritto di credito dei contraenti, costituisce appunto il rapporto obbligatorio, questo, per sua natura,
è destinato ad estinguersi con l’adempimento, in modo tale che il creditore realizzi il suo diritto e il
debitore consegua la propria liberazione dal vincolo.
Bisogna però sottolineare che la fonte che genera il rapporto obbligatorio, determina a carico del
debitore, una più generale conseguenza che investe il suo intero patrimonio, si tratta del c.d.
principio della responsabilità patrimoniale del debitore. Il debitore infatti, risponde
dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri (art. 2740). Il debitore
dunque risponde non solo con i beni ch’egli possedeva alla conclusione del contratto, ma anche con
quelli acquistati successivamente, che di fatto vanno a formare una generale garanzia a favore del
creditore.
Da debito si deve comunque distinguere la responsabilità, il primo consiste nella prestazione
specifica dovuta dal debitore al creditore, la seconda ha invece per oggetto l’intero patrimonio del
debitore. Allo stesso modo, dalla parte del creditore, si distingue tra credito e garanzia, con credito
si identifica il diritto ad esigere una prestazione dedotta in obbligazione, con garanzia si indica,
l’intero patrimonio del debitore.
Al II comma dell’art. 2740, viene espresso che le limitazioni della responsabilità sono ammesse
solo nei casi stabiliti dalla legge, ma per regola generale, la responsabilità del debitore è illimitata,
investendo ogni suo bene, presente o futuro. Esempi di limitazione sono ad esempio la
responsabilità dell’armatore e quella di cui godono i membri della comunione fra i coniugi.
Il rapporto tra debito e responsabilità, e conseguentemente tra credito e garanzia, si manifesta in
varie fasi del rapporto obbligatorio.
Capitolo ventiduesimo
CIRCOLAZIONE ED ALTRE VICENDE DEL CREDITO E DEL CONTRATTO
Parte quinta
I SINGOLI CONTRATTI
Capitolo ventottesimo
I CONTRATTI PER LA CIRCOLAZIONE DEI BENI
La vendita e la permuta
La vendita è il più importante dei contratti mediante i quali si attua la circolazione della ricchezza,
intesa, la circolazione, nel senso più ampio. Il contratto di vendita può avere infatti ad oggetto, oltre
che il trasferimento della proprietà di beni mobili o immobili (art. 1470), il trasferimento di diritti,
che siano diritti reali oppure diritti di credito (cessione del credito), ma la stessa espressione “altri
diritti”, comprende anche il caso di trasferimento di contratto, che non è traslativo propriamente di
diritti, ma del più complesso rapporto tra contraenti o di parte di un contratto.
La vendita è un contratto a titolo oneroso, in quanto attua il trasferimento di un diritto dietro un
corrispettivo in denaro, detto prezzo, e la sua causa è appunto lo scambio tra un diritto e una somma
di denaro. La vendita dunque assolve ad una duplice funzione economica, da un lato permette la
circolazione dei beni, e più ampiamente la circolazione dei diritti, dall’altro permette la circolazione
del denaro.
Il prezzo in denaro è il carattere che distingue la vendita dalla permuta, qui infatti il trasferimento di
un diritto avviene contro il trasferimento di un altro diritto (art. 1552). La causa della permuta è
infatti lo scambio di cosa contro cosa, o di cosa contro diritto, o di diritto contro diritto.
La vendita obbligatoria
Si parla, comunemente, di vendita obbligatoria, quando il trasferimento della proprietà della cosa
venduta non è effetto diretto ed immediato del contratto, e quindi sul debitore incombe l’obbligo di
fare acquistare la proprietà della cosa al compratore (art. 1476 n. 2). L’effetto traslativo della
proprietà, in questi casi, rimane sempre un effetto reale della vendita, con la differenza che, invece
che prodursi immediatamente, alla conclusione del contratto, si produce in un momento successivo
(e può anche non prodursi affatto).
Quale sia il momento successivo di acquisto della proprietà, e in cosa consista la specifica
obbligazione di trasferire la proprietà al compratore, da parte del venditore, si può dire solo in
relazione ai singoli casi di vendita obbligatoria, che sono:
1. la vendita di cose determinate nel genere. La proprietà passa solo al momento di
individuazione delle cose. L’obbligazione di far acquistare la proprietà, del venditore, al
compratore consiste nel prestarsi all’individuazione della cosa, nei modi della legge o del
contratto.
2. vendita di cose future. Le cose future sono cose che ancora non esistono al momento della
conclusione del contratto, ma che si spera vengano ad esistenza. Due esempi sono la vendita
del futuro raccolto e la vendita dell’edificio da costruire. La proprietà passa solo quando la
cosa o le cose vengono ad esistenza (art. 1472). La costruzione può dirsi venuta ad esistenza
quando esistano muri perimetrali e copertura (art. 2645 bis, comma VI), per i prodotti del
suolo, si ritengono venuti ad esistenza al momento della loro separazione dal terreno o dalla
pianta madre.
La vendita della cosa futura può essere vendita della “speranza” (emptio spei), oppure vendita della
cosa sperata (emptio rei speratae). Il primo è un contratto aleatorio, il compratore dovrà pagare il
prezzo e, se lo ha già pagato, non potrà chiederne la restituzione se la cosa sperata non verrà ad
esistenza. Il secondo è un contratto commutativo, nullo, o meglio inefficace, se la cosa non viene ad
esistenza (art. 1472 comma II). In entrambi i casi, l’obbligazione del venditore di far acquistare la
proprietà al compratore ha per oggetto i comportamenti che, nei diversi casi, appaiono necessari per
far sì che la cosa venga ad esistenza: così ad esempio chi ha venduto il futuro raccolto del proprio
terreno agricolo, non sarà libero di astenersi dal coltivare il fondo, o di destinarlo ad una
coltivazione diversa da quella determinata nel contratto.
3. vendita di cosa altrui. Per vendere un bene non occorre esserne proprietario, è infatti valida,
la vendita di cose che, al momento del contratto, non appartengono al venditore.
Il contratto estimatorio
L’acquisto di un bene da parte consumatore finale, nella maggior parte dei casi, è solo
un’operazione di trasferimento che è stata preceduta da una più intensa circolazione del bene, il
quale, dal produttore, è passato lungo una estesa catena di intermediari, fino ad arrivare al
dettagliante che vende al consumatore finale. In questo modo in questo modo il produttore, e tutti
gli intermediari successivi fino al dettagliante, trasferiscono oneri e rischi inerenti la distribuzione
del bene.
È però possibile utilizzare, per la distribuzione, una diversa figura contrattuale: il contratto
estimatorio, che consente di addossare al produttore il rischio dell’invenduto, esonerando il
venditore.
Nella pratica si parla di conto di deposito, frequente nei rapporti tra editore e giornalaio, o tra
produttori di gioielli e i loro rivenditori. È il contratto mediante il quale una parte (il produttore),
consegna all’altra (il rivenditore), una o più cose mobili, e l’altra parte può, nel termine pattuito, o
pagare il prezzo delle cose, o restituirle (art. 1556).
Chi ha consegnato le cose ne resta proprietario, ma non può disporne ossia venderle ad altri (art.
1558 comma II), chi le ha ricevute, pur non essendone proprietario, può disporne, vendendole (art.
La somministrazione
La somministrazione è un contratto che si inserisce nello schema della vendita obbligatoria,
assumendo i caratteri del contratto ad esecuzione periodica o continuata. È il contratto con il quale
una parte si obbliga, verso il corrispettivo di un prezzo, ad eseguire a favore dell’altra prestazioni
periodiche o continuative di cose (art. 1559).
Se l’entità della somministrazione non è indicata nel contratto, varrà la regola per cui il
somministrante fornirà quantità di beni corrispondenti al fabbisogno normale del somministrato
(art. 1560 comma I). quando è stabilito, nel contratto, un limite minimo o massimo della
somministrazione, spetta al somministrato stabilire quanto dovutogli (art. 1560 comma II).
Il prezzo, se non è stabilito dal contratto, si determina secondo le norme sulla vendita; è corrisposto
all’atto delle singole prestazioni ed in proporzione ad esse, se si tratta di somministrazione
periodica, oppure alle scadenze d’uso, se si tratta di somministrazione a carattere continuativo (art.
1562).
Concessione di vendita
È un contratto nascente dalla somministrazione tra produttore e rivenditore. In questo caso il
produttore concedente si impegna si impegna somministrare al rivenditore concessionario, la
quantità di prodotti che questi gli richiede. Il rivenditore si obbliga ad ordinare una quantità minima
del prodotto, contrattualmente pattuita, e ad eseguirne la vendita in una zona determinata, dando
assistenza ai clienti prima e dopo la vendita. Differisce dalla ordinaria somministrazione, per i
caratteri di contratto atipico, per le interne regole di organizzazione dell’impresa (es.
organizzazione dei locali), imposte al rivenditore, che prescrivono le modalità di vendita (il
produttore predispone solitamente le condizioni generali di contratto) e riservano al concedente di
stabilire il prezzo di vendita da praticare ai consumatori.
Capitolo ventinovesimo
I CONTRATTI PER IL GODIMENTO DEI BENI
L’affitto
La locazione che ha per oggetto una cosa produttiva, prende il nome di affitto (art. 1615). È
necessario, perché non si abbia una normale locazione, che la cosa sia di per sé produttiva di frutti,
come un fondo rustico o un’azienda (art. 2562), non si tratta di affitto se la cosa locata è uno
strumento produttivo.
L’affittuario ha l’ulteriore obbligo di curare la gestione della cosa produttiva, secondo la sua
destinazione economica (art. 1615), al contrario del semplice conduttore che può anche astenersi
dall’uso. E ciò detto va sia a favore del locatore, la cui azienda se sfruttata in modo adeguato non
perde valore economico, sia a favore della produzione nazionale.
Sul piano dell’affittuario invece, egli ha il diritto di fare propri i frutti, che dalla cosa produttiva
derivano (art. 1615).
Il locatore ha un diritto di controllo, anche con accesso in luogo, sull’osservanza da parte
dell’affittuario degli obblighi che gli incombono (art. 1619). Il locatore può chiedere la risoluzione
del contratto, se l’affittuario non destina al servizio della cosa i mezzi necessari per la sua gestione,
se non osserva le regole della buona tecnica o se muta la destinazione economica della cosa (art.
1618). A differenza del semplice conduttore, l’affittuario non può sublocare senza il consenso del
locatore (art. 1624).
L’affitto dei fondi rustici può interessare anche le scorte del fondo: le scorte vive, come il bestiame
da lavoro o da allevamento, e le scorte morte, come macchine, attrezzi e foraggi (art. 1641 – 1640).
Una ulteriore specie di affitto del fondo rustico è l’affitto al coltivatore diretto, caratterizzato dal
fatto che l’affittuario è un piccolo imprenditore agricolo, che coltiva il fondo con il lavoro manuale
prevalentemente proprio e dei componenti della propria famiglia.
La legge n. 203 del 1982, ha introdotto nuove norme per la determinazione dell’equo canone e per
la disciplina dei miglioramenti del fondo, mentre ha fissato a quindici anni la durata minima
dell’affitto a coltivatore diretto. L’affittuario può sempre recedere dal contratto, il locatore può, solo
in caso di inadempimento dell’affittuario, richiedere al giudice la risoluzione.
Capitolo trentesimo
I CONTRATTI PER LA PRODUZIONE DI BENI O L’ESECUZIONE DI SERVIZI
L’appalto
In alcuni settori del sistema produttivo, l’imprenditore non produce in serie, bensì provvede alla
vendita operando su commissione del cliente. È il caso questo degli appaltatori di opere (costruzioni
di edifici) o degli appaltatori di servizi (imprese di pulizie per uffici).
Per l’art. 1655 l’appalto è il contratto mediante il quale, l’appaltatore si obbliga verso il
committente, dietro corrispettivo di denaro, a compiere un’opera o un servizio, con propria
organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio. L’appaltatore inoltre, per
eseguire l’opera o il servizio utilizza propri materiali (art. 1658), ed assume il rischio dell’affare:
Il contratto d’opera
Il contratto d’opera ha la stessa struttura dell’appalto: il prestatore d’opera si obbliga verso il
committente a compiere, dietro corrispettivo, un’opera o un servizio, dall’appaltatore differisce il
prestatore, poiché compie l’opera con lavoro prevalentemente proprio (art. 2222). Perciò se
l’appalto è il contratto del grande o medio imprenditore, il contratto d’opera è quello del piccolo
imprenditore, e in particolare dell’artigiano.
Il lavoro del prestatore d’opera deve essere necessariamente lavoro autonomo, non ci deve essere
cioè un vincolo di subordinazione nei confronti del committente (art. 2222), altrimenti si sarà in
presenza di un contratto di lavoro subordinato. Il criterio di differenziazione dei due contratti,
risiede nella esenzione del prestatore d’opera e nella soggezione del prestatore di lavoro
subordinato all’altrui potere direttivo, circa le modalità di esecuzione della prestazione.
Il criterio invece, per distinguere il contratto d’opera da quello di vendita è qui fornito dall’art.
2223, sta nello stabilire se le parti abbiano in prevalente considerazione l’opera oppure la materia:
è contratto di vendita ad esempio quello con cui si chiede un caffè al bar, è contratto d’opera invece,
quello con cui si commissiona un vestito al sarto.
Il contratto d’opera è il contratto mediante il quale il lavoratore autonomo o l’artigiano si procura
sostentamento, ma il corrispettivo non si calcola in base al lavoro svolto dal lavoratore, bensì,
qualora questo non sia stabilito nel contratto o né esistano tariffe professionali o usi al riguardo, in
relazione al risultato ottenuto e dal lavoro normalmente necessario per ottenerlo.
Il codice civile a questo modo, addossa al prestatore d’opera, e non al committente, il rischio del
lavoro, trattando il lavoratore manuale autonomo alla stessa stregua dell’appaltatore. Il lavoratore
autonomo infatti, se per causa non imputabile ne a lui ne al committente l’esecuzione dell’opera
diventa impossibile, al punto tale da non portare alcun risultato utile al committente, avrà lavorato
Il trasporto
Il trasporto è il contratto il cui servizio consiste nel trasferire persone o cose da un luogo all’altro, il
committente nel trasporto di persone è il viaggiatore, il mittente nel trasporto di cose, e chi si
obbliga, verso corrispettivo, al trasporto è il vettore (art. 1678).
L’obbligazione del vettore è una obbligazione di risultato, che consiste nell’obbligo di portare a
destinazione convenuta le cose o le persone, e si obbliga a portare a destinazione le persone
incolumi e le cose intatte.
Il vettore è inadempiente e risponde del danno:
a) Per la mancata esecuzione del trasporto o il ritardo, salvo provi che il mancato trasporto o il
ritardo sono dovuti a causa a lui non imputabile.
b) Per il sinistro, che durante il trasporto, abbiano subito i passeggeri, e per le perdite o le
avarie delle cose trasportate. La prova liberatoria di questa responsabilità è diversamente
articolata, a seconda che si tratti di trasporto di cose o di persone:
1) Nel trasporto di cose il vettore è responsabile dal momento della consegna da parte del
mittente al momento in cui le porge al destinatario. Si libera dalla responsabilità per perdita
o avaria se dimostra che queste sono state dovute a caso fortuito, oppure da vizi della cosa
trasportata e in genere per fatto del mittente. Deve fornire la prova positiva che identifichi la
specifica causa, a lui non imputabile, della perdita o del danno, con la conseguenza che
sono a suo rischio le cause ignote.
Questa responsabilità può essere mitigata con la presunzione contrattuale di caso fortuito (art.
1694), con la previsione di altre specifiche cause di esonero da responsabilità. È inoltre mitigata
dalla legge n. 450 del 1985, per cui il vettore di trasporti su strada, non può rispondere per somma
superiore a lire 12 mila per Kg di peso lordo perduto o avariato.
2) Nel trasporto di persone la prova è più rigorosa, in quanto il vettore si libera dimostrando di
aver assunto tutte le misure idonee per evitare il danno. È liberato il vettore quindi solo
quando dimostra che il danno era inevitabile, benché egli avesse assunto tutte le misure di
prevenzione adatte. Il viaggiatore risponde anche per i danni cagionati da caso fortuito, e al
viaggiatore basta provare l’esistenza del contratto di trasporto e del danno subito durante il
viaggio. Non sono ammesse nel trasporto di persone clausole che limitino la responsabilità
del vettore (art. 1681 comma II).
Il vettore può anche ad altro titolo essere chiamato a rispondere del sinistro al viaggiatore e del
danno alle sue cose, precisamente a titolo di responsabilità extracontrattuale, dove si applicheranno
gli artt. 2043 e ss., e non l’art. 1681. l’opzione per l’azione extracontrattuale si giustifica per il più
ampio termine di prescrizione, due anni dal fatto (art. 2947 comma II) anziché un anno (art. 2951).
Diverso trattamento è riservato al trasporto ferroviario, dove il vettore si libera dalla responsabilità
dimostrando che il danno è stato cagionato da causa a lui non imputabile (l. n. 754, 1977).
Le disposizioni dell’art. 1681 si applicano anche al trasporto gratuito, che è pur sempre un
contratto, ma non al trasporto di cortesia, come nel caso in cui passeggero sia un autostoppista,
Il deposito
Nel contratto di deposito il servizio dedotto in contratto consiste nella custodia di una cosa mobile,
cui il depositario si obbliga nei confronti del depositante, con l’obbligo del primo di restituirla in
natura (art. 1766), a richiesta del depositante (art. 1771 comma I), e con l’obbligo del depositante di
ritirarla alla scadenza del termine, quando viene previsto, altrimenti a richiesta del depositario (art.
1771 comma II).
Il deposito è contratto reale, si perfeziona cioè con la consegna della cosa, ed è contratto che si
presume gratuito, salvo che il depositario non eserciti professionalmente l’attività dedotta in
contratto (art. 1767). Ma anche quando il deposito è oneroso, non c’è rapporto di corrispettività fra
obbligazione al deposito e obbligazione al compenso, il depositario non può, di fronte al
Capitolo trentunesimo
I CONTRATTI PER IL COMPIMENTO O PER LA PROMOZIONE DI AFFARI
Il mandato
La conclusione degli affari, da parte di qualsiasi soggetto, può essere affidata ad altri, in modo tale
che questi si sostituisca all’interessato, che lo incarica, nella conclusione dei propri contratti,
nell’esecuzione dei propri pagamenti o nella riscossione dei propri crediti. Occorre naturalmente
che colui il quale viene incaricato per svolgere queste mansioni accetti l’incarico, ed il mandato è il
contratto con il quale una parte, il mandatario si obbliga nei confronti dell’altra, il mandante, a
compiere uno o più atti giuridici per conto di quest’ultima (art. 1703).
L’oggetto del mandato è una prestazione di fare, il compimento cioè di un servizio, nel senso più
ampio di questa espressione.
Differisce dal contratto d’opera per la specifica natura del servizio che il mandatario si obbliga a
svolgere, il quale non consiste, come nel contratto d’opera, nello svolgimento di una qualsiasi
attività materiale o intellettuale, ma nel compimento di atti giuridici per conto altrui. E sono atti
giuridici, agli effetti dell’art. 1703, quelli che vengono in considerazione solo per le loro
conseguenze giuridiche, come i contratti che trasferiscono o costituiscono diritti o producono
obbligazioni, o l’esecuzione di pagamenti o la riscossione di crediti.
Il mandatario si obbliga a compiere atti giuridici per conto altrui, non nel proprio interesse, ma
nell’interesse del mandante.
Un mandato può essere con rappresentanza e senza rappresentanza, la prima tipologia differisce
dalla seconda poiché il mandatario, investito da una procura, oltre che in nome, agisce anche per
conto del mandante, così che gli atti giuridici da lui compiuti produrranno effetti diretti nei
confronti del mandante (art. 1704).
Il mandato può essere speciale, e riguardare il compimento di uno o più atti giuridici specifici,
oppure può essere generale ed investire, quindi, globalmente la cura di tutti gli interessi del
mandante, o di tutti gli interessi di un dato tipo o tutti gli interessi relativi ad una data zona. Il
La commissione e la spedizione
Il contratto di commissione è una sottospecie di mandato, in particolare è un mandato a vendere o a
comprare per conto del committente ed in nome del commissionario (art. 1731), mandato
revocabile finché la vendita non sia stata conclusa (art. 1734).
Rispetto al mandato la commissione si caratterizza sotto un duplice aspetto:
a) Gli atti che il commissionario sono in genere contratti di vendita.
b) È un mandato senza rappresentanza (art. 1705), per cui il commissionario acquista o vende
per conto altrui, ma in nome proprio. Alla conclusione della vendita il mandatario dovrà
trasferire al committente le cose acquistate, o il prezzo delle cose vendute in esecuzione del
contratto.
Il commissionario per la vendita, vende le cose del committente, perciò non ha il rischio
dell’invenduto, ma partecipa al rischio della distribuzione, viene infatti retribuito con provvigione
(art. 1733), cioè con una percentuale sul valore dell’affare.
Del resto egli agendo in nome proprio, è personalmente obbligato nei confronti del terzo contraente,
ad esempio per i vizi della cosa venduta, salvo il suo diritto di essere risarcito dal committente (art.
1720 comma II). Non risponde invece, al committente, dell’esecuzione degli affari conclusi, per cui
non risponde dell’inadempimento del terzo contraente. Solo se viene pattuito il c.d. star del credere
(art. 1736), il commissionario garantisce di persona dell’adempimento del terzo.
La spedizione, invece, si distingue come mandato, anche qui per conto altrui ma in nome proprio, a
concludere, dietro provvigione (art. 1740), un contratto di trasporto ed a compiere le operazioni
accessorie (art. 1737), mandato revocabile fino a che il contratto di trasporto non sia stato concluso
(art. 1738).
Capitolo trentaduesimo
I CONTRATTI DI PRESTITO
Il comodato
Il prestito giuridicamente, assume due forme distinte, quella del comodato, che ha per oggetto cose
immobili o cose mobili infungibili, e quella del mutuo, che ha per oggetto somme di denaro o
determinate quantità di cose fungibili.
Il comodato è un contratto reale, che si perfeziona con la consegna di una cosa dal comodante al
comodatario, affinché questi se ne serva per un uso determinato, con l’obbligo di restituire la stessa
cosa ricevuta (art. 1803 comma I). la consegna della cosa è il requisito necessario per la
conclusione del contratto, e la legge protegge solo l’interesse del comodante alla restituzione della
cosa, poiché questa è l’unica obbligazione del contratto.
È un contratto a titolo gratuito (art. 1803 comma II), e la causa è di solito, lo spirito di liberalità, ma
può anche trattarsi di un prestito gratuito giustificato dai rapporti di affari intercorrenti tra le parti.
Se per il comodato sarà pattuito un corrispettivo, per il comodante, non si avrà un comodato ma una
locazione, poiché in questo caso la gratuità funge da discriminante.
Al comodatario però può anche essere imposto un onere, come al donatario. Il comodatario può
servirsi della cosa solo per l’uso convenuto, deve custodirla con la diligenza del buon padre di
Il mutuo
Il mutuo è il prestito di determinate quantità di denaro o di altre cose fungibili. La conseguenza del
mutuo è che le cose consegnate dal mutuante al mutuatario, passano in proprietà di quest’ultimo
(art. 1814), il quale è obbligato a restituire al mutuante, altrettante cose della stessa specie e qualità
(art. 1813).
Il mutuo può essere sia un contratto reale sia un contratto consensuale. Nella normalità delle ipotesi
è un contratto reale che si perfeziona con la consegna e il passaggio di proprietà della cosa (art.
1813 – 1814). Il cod. civ. ammette però la promessa di mutuo o contratto di finanziamento, che ha
la specifica funzione di tutelare, non solo l’interesse alla restituzione del mutuante, ma anche
l’interesse del mutuatario a ricevere la cosa. Chi ha promesso di dare un mutuo, può rifiutare
l’adempimento se fra il momento della promessa e quello pattuito per l’esecuzione, le condizioni
patrimoniali del mutuatario sono diventate tali da rendere difficile la restituzione (art. 1822).
L’inadempimento della promessa può dare luogo solo al risarcimento del danno.
Il mutuo è, salvo disposizione contraria delle parti, un contratto generalmente oneroso, e il
corrispettivo che il mutuatario deve corrispondere consiste negli interessi, che sono dovuti secondo
il tasso legale del 10% o secondo il più alto tasso pattuito, che deve essere pattuito per iscritto.
Il mutuatario ha una duplice obbligazione: deve restituire la somma ricevuta a mutuo, il capitale, e
con esso i relativi interessi.
Adempirà entro il termine pattuito, stabilito, di regola, a favore di entrambe le parti (art. 1816), in
mancanza di termine procederà il giudice a stabilirlo.
Può essere prevista la restituzione a rate del capitale con relativi interessi, in tal caso il mancato
pagamento di una rata, provoca la decadenza del mutuatario dal beneficio del termine, e il mutuante
potrà pretendere la restituzione dell’intero (art. 1819).
Il sinallagma praticamente consiste nell’utilizzazione del denaro ricevuto a mutuo e
nell’obbligazione degli interessi.
Capitolo trentaquattresimo
I CONTRATTI DI ASSICURAZIONE E DI RENDITA
Il contratto di assicurazione
Il concetto base dei contratti di assicurazione, è il rischio a cui sono esposti i beni o la vita dei
singoli: nel primo caso, il rischio, in genere, che il patrimonio di un soggetto resti pregiudicato da
avverse circostanze, il rischio, sotto il secondo aspetto, che rende incerta la durata della vita umana.
Il contratto di assicurazione, fondamentalmente, trasferisce il rischio del singolo, l’assicurato,
all’impresa di assicurazione, l’assicuratore; per l’art. 1882 l’assicuratore si obbliga, verso il
pagamento di un corrispettivo, detto premio, a rivalere l’assicurato del danno prodotto da un
avvenimento avverso, detto sinistro, che colpisca i beni o il patrimonio dell’assicurato; oppure si
obbliga a pagare una somma di denaro, una tantum (capitale), o in forma di prestazioni periodiche
(rendita), al verificarsi di un evento attinente alla vita umana.
Lo sviluppo delle assicurazioni, è dovuto in larga misura, ai caratteri della società industriale, nella
quale il prodursi di un sinistro, non è una fatalità, ma è la conseguenza, il più delle volte prevedibile
statisticamente, dell’uso di massa dei ritrovati della tecnica.
La funzione economica derivante dall’operato delle compagnie assicuratrici, che stipulano una
massa consistente di contratti, sta nel ripartire il rischio dei singoli, entro la massa degli assicurati.
Le imprese di assicurazione, formano, con i premi pagati dai clienti, un fondo premi dal quale
Il contratto di rendita
Nei casi di alienazione di un bene e di cessione di un capitale, può accadere che l’acquirente, in
luogo del normale pagamento, corrisponda una rendita periodica all’alienante, per il bene o il
denaro ricevuto.
La rendita può essere perpetua o vitalizia (artt. 1861 – 1872), la prima è dovuta senza limiti di
tempo, anche dopo la morte dell’avente diritto ai suoi eredi, la seconda è dovuta fino alla morte
dell’avente diritto. La prima è un contratto commutativo, la seconda è un contratto aleatorio.
La rendita perpetua può essere costituita solo tramite la cessione di un capitale (rendita semplice) o
l’alienazione di un immobile (rendita fondiaria). In ogni caso la rendita costituisce un semplice
rapporto obbligatorio, non un onere reale sull’immobile, ma il credito del beneficiario deve essere
garantito da una ipoteca, o sull’immobile stesso alienato, nella rendita fondiaria, o su un qualsiasi
altro immobile, nella rendita semplice.
La rendita vitalizia può essere costituita anche con l’alienazione di un bene mobile, con donazione
o con testamento, e inoltre la sua causa può essere anche la liberalità.
È applicazione della rendita vitalizia, il contratto di alimenti, con il quale ci si obbliga a
corrispondere al beneficiario, per tutta la sua vita, una somma periodica necessaria al suo
sostentamento.
La rendita perpetua è redimibile in qualsiasi momento a volontà del debitore, con il riscatto, che è
recesso del contratto di rendita, il debitore si libera pagando una somma paria alla capitalizzazione
della rendita annua al tasso di interesse legale, pari al prodotto della moltiplicazione per venti della
rendita annua.
Capitolo trentacinquesimo
I CONTRATTI NELLE LITI
La transazione
La transazione è un contratto mediante il quale le pari, facendosi reciproche concessioni, pongono
fine ad una controversia giudiziaria già insorta tra loro oppure prevengono l’insorgere di una lite
che fra essi può insorgere (art. 1965). Si ricorre a questa contratto generalmente per eliminare
l’incertezza sull’esito della lite o per non dover attendere la fine del processo.
Parte sesta
LE ORGANIZZAZIONI COLLETTIVE
Capitolo trentaseiesimo
LE ASSOCIAZIONI
Il concetto di associazione
Le associazioni altro non sono che istituzioni o formazioni sociali nelle quali s’instaurano rapporti
fra individui, i quali perseguono scopi superindividuali. È la stessa Costituzione a evidenziare,
all’art. 2, come sia compito della Repubblica tutelare i diritti inviolabili dell’uomo “sia come
singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”. L’associazione nasce come
istituzione data da un contratto: le parti (due o più di due) sono unite da un contratto di associazione
e le nuove adesioni sono disciplinate dallo stesso. Il contratto di associazione si distingue dai
contratti di scambio perché si tratta di un contratto plurilaterale con comunione di scopo: le parti
Capitolo trentasettesimo
LE FONDAZIONI E I COMITATI
Le fondazioni
Le fondazioni sono anch’esse, come le associazioni, istituzioni, ossia organizzazioni collettive che
perseguono scopi superindividuali. Essi si costituiscono mediante un atto di fondazione, per il quale
ha agito un’autonomia privata, data dalla volontà di un soggetto privato di mettere a disposizione
un fondo per scopi culturali, d’assistenza, ecc. Diversamente dal contratto di associazione, che è un
I comitati
Se le fondazioni si costituiscono mediante un atto di fondazione, quale atto unilaterale con scopo
superindividuale, voluto dal fondatore, il quale mette definitivamente e irrevocabilmente a
disposizione suoi beni, è, altresì, possibile che anche persone non dotate della possibilità di mettere
a disposizione della pubblica utilità loro beni privati si facciano promotori di una pubblica
sottoscrizione di raccolta fondi per raggiungere lo scopo da loro desiderato. Il fenomeno è dato
dall’annuncio in pubblico, da parte dei promotori, dello scopo che si vuole raggiungere, invitando la
collettività a partecipare con donazioni; i fondi raccolti, dette oblazioni, sono quindi destinati allo
scopo per il quale erano stati raccolti. Sono i promotori a essere personalmente e solidamente
responsabili dell’amministrazione di tali fondi. Solo qualora i fondi siano insufficienti al
perseguimento dello scopo o questo risulti non più attuabile o ancora, dopo la realizzazione,
avanzino degli utili, spetterà esclusivamente all’autorità giudiziaria stabilirne la destinazione. Sotto
questo punto di vista nulla differisce dalla posizione degli amministratori di una fondazione con
quella dei promotori di un comitato. Infine, è possibile, da parte dei promotori, richiedere il
riconoscimento della personalità giuridica: ottenuto, il comitato si trasformerà in una fondazione,
non richiesto o chiesto e non concesso, i promotori assumeranno su di loro tutte le obbligazioni,
similmente a un’associazione non riconosciuta. Anche il comitato, come le associazioni, può stare
in giudizio nella persona del presidente. In ultima istanza, il comitato può, anche dopo lungo tempo,
richiedere il riconoscimento della personalità giuridica: se concesso si attuerà continuità tra il
Parte settima
LA FAMIGLIA E LE SUCCESSIONI
Capitolo quarantatreesimo
LA FAMIGLIA
La famiglia legittima
L’art. 29.1 Cost. considera come “la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società
naturale fondata sul matrimonio”. La constatazione del concetto di famiglia quale “società naturale”
implica che tale rapporto non può essere assoggettato a generali disegni dello Stato - ordinamento,
ma che quest’ultimo può solo e deve assecondare legislativamente le necessità della famiglia stessa.
Tuttavia, il fatto che si tratti di una società naturale non impedisce l’evolversi della regolazione
normativa: si considerino l’introduzione del divorzio e l’abolizione della potestà maritale. Tra i
compiti – doveri della famiglia sono possibili annoverare quello di mantenere, istruire e educare i
figli o quello di garantire al coniuge assistenza morale e materiale. La Costituzione, tuttavia, non si
limita a garantire diritti e doveri solo nei riguardi della famiglia legittima, ossia quella società
naturale fondata sul matrimonio. La Costituzione disciplina anche la regolazione normativa inerente
ai figli nati al di fuori del matrimonio, garantendo a questi ultimi gli stessi diritti in seno ai figli
legittimi. Tuttavia, sebbene la Cost. all’art. 31 faccia esplicito riferimento alle misure istituzionali
atte ad agevolare la formazione sociale delle famiglie, tuttavia, l’art. 30 Cost. limita i diritti dei
figli naturali in considerazione dei diritti dei figli legittimi. Sotto l’aspetto successorio non sono
poste particolari differenze tra figli legittimi e figli naturali, ad eccezione della “commutazione”,
attraverso la quale i figli legittimi possono soddisfare in denaro o con beni immobili ereditari la
porzione spettante ai figli naturali, sempre che questi acconsentano.
La famiglia di fatto
I rapporti tra conviventi hanno, nel nostro diritto, scarsa rilevanza: gli obblighi dei coniugi non
sono trasferibili ai conviventi. Tuttavia, la morte del convivente, causata da terzi, presuppone che il
responsabile risarcisca il convivente rimasto in vita e, similmente, la legislazione pensionistica
dispone alla convivente del caduto la pensione di guerra. Restano uguali a quelli della famiglia
legittima i rapporti giuridici tra genitori e figli naturali.
Gli alimenti
La famiglia in senso ampio ha, inoltre, il dovere di assistenza nei riguardi di coloro che, all’interno
della cerchia parentale, gravitino in circostanze di bisogno. La famiglia ha l’obbligo, infatti, di
garantire gli alimenti a chi versi in stato di bisogno e non possa provvedere a se stesso. Anche tra
affini vige l’obbligo degli alimenti. L’obbligato può sottrarsi alla prestazione qualora dimostri
impossibilità economiche. Tale obbligo incombe anche nei riguardi del donatario, qualora, in
Capitolo quarantaquattresimo
IL MATRIMONIO
Capitolo quarantacinquesimo
IL RAPPORTO MATRIMONIALE
Capitolo quarantaseiesimo
I RAPPORTI PATRIMONIALI NELLA FAMIGLIA
L’impresa familiare
Parlando d’impresa familiare si va a considerare l’impresa nella quale prestano una continua attività
lavorativa il coniuge dell’imprenditore o i parenti entro il terzo grado o gli affini entro il secondo
grado. Il lavoro del coniuge, dei parenti o degli affini non prevale su quello di lavoratori esterni alla
conduzione familiare. L’impresa familiare è, per certi aspetti, simile al lavoro subordinato, per certi
altri, simile alla società. I familiari hanno diritto di partecipazione alla conduzione dell’impresa
familiare: a) hanno il diritto al mantenimento; b) hanno il diritto di partecipazione agli utili
dell’impresa in relazione alla quantità e alla qualità del lavoro prestato; c) hanno diritti su una quota
dei beni acquistati con gli utili; d) hanno il diritto su una quota degli incrementi dell’impresa. I
familiari, oltre a concorrere alla ripartizione degli utili, partecipano al rischio d’impresa che li vede
coinvolti qualora l’azienda sia in perdita: essi, infatti, dovranno rinunciare allo stipendio e
rinunciare ai loro diritti sui beni aziendali. Solo l’imprenditore, però, risponde con tutto il suo
patrimonio nei confronti dei creditori. La gestione ordinaria spetta al titolare dell’impresa
unitamente al potere direttivo sui lavoratori (compresi i familiari); la gestione straordinaria spetta,
invece, a tutti i familiari partecipanti, i quali decidono a maggioranza. In caso di cessazione
dell’attività lavorativa, liquidata in denaro, il diritto di partecipazione può essere ceduto, su
approvazione unanime dei partecipanti, ad altro membro della famiglia; non può, invece, essere
ceduto a estranei.
Capitolo quarantasettesimo
LA FILIAZIONE
La filiazione legittima
Lo stato del figlio all’interno della famiglia può essere quello di figlio legittimo, di figlio naturale o
di figlio adottivo: nei primi due casi si è avuta una generazione naturale; nel terzo, invece, si è
avuto un rapporto elettivo di filiazione. Il nostro ordinamento giuridico mostra il suo favore
legislativo nei confronti dello Stato di figlio legittimo: figlio legittimo è considerato chi è stato
concepito o è nato in costanza di matrimonio. Il figlio è concepito in costanza di matrimonio se
nasce dopo il 180esimo giorno dopo la celebrazione del matrimonio ed entro il 300esimo giorno
dalla separazione giudiziale o consensuale omologata dei coniugi. È possibile esercitare il
disconoscimento della paternità qualora si dimostri che fra i 300 e i 180 giorni prima della nascita i
coniugi non coabitavano, o il marito era affetto da impotenza o la moglie aveva occultato la sua
gravidanza e il parto al marito. In quest’ultimo caso è necessario procedere per caratteristiche
La filiazione naturale
È considerato figlio naturale il figlio nato al di fuori del matrimonio; pertanto, è figlio naturale il
figlio che sia nato dopo il 300esimo giorno dalla separazione coniugale. Uno dei genitori o
entrambi può riconoscerlo. Il figlio naturale non riconosciuto è registrato nei registri dello stato
civile quale figlio d’ignoti e spetterà all’ufficiale dello stato civile attribuirgli un nome di rispetto. Il
fatto che sia iscritto quale figlio d’ignoti, seppur la madre sia sempre certa, sta a individuare il
favore legislativo nei riguardi della madre che vuole occultare la sua maternità e nei riguardi del
figlio che, magari, vuole nascondere la sua discendenza da donna poco ragguardevole. Il
riconoscimento può essere operato dai genitori al momento della nascita del figlio dinanzi
all’ufficiale di stato civile o anche in momento posteriore dinanzi al giudice tutelare. Una volta
avvenuto il riconoscimento esso è irrevocabile. Possono, altresì, essere riconosciuti i figli premorti,
quelli adulterini o incestuosi. Il figlio naturale può fare ricorso al giudice per chiedere
l’accertamento giudiziale della maternità e della paternità: si tratta di un diritto imprescrittibile in
capo al figlio; se questi è morto, i suoi eredi possono chiedere l’accertamento giudiziale entro due
anni dalla morte. Il figlio naturale riconosciuto o accertato giudizialmente ha gli stessi diritti e
doveri in seno ai figli legittimi. Se non riconosciuto ed impossibile il suo accertamento egli ha,
tuttavia, diritto di essere mantenuto o di ricevere gli alimenti se non abilitato a procacciarseli. Ha,
inoltre, il diritto ad un assegno vitalizio qualora, morti i genitori, essi non abbiano disposto a suo
favore nella successione ereditaria. Il figlio riconosciuto può divenire legittimo per susseguente
matrimonio tra i coniugi o per provvedimento del giudice qualora uno dei genitori sia morto e sia
impossibile il matrimonio.
L’adozione
Diverso dal figlio legittimo (concepito o nato in costanza di matrimonio) e dal figlio naturale (nato
al di fuori del matrimonio) riconosciuto o accertato o legittimato è il caso del figlio adottato, il
quale non è unito ai genitori da vincolo di sangue. Il nostro ordinamento giuridico contempla
l’adozione di persone di maggiore età (a) e di persone di minore età (b):
a) L’adozione di persona di maggiore età può, oggi diversamente dal passato, essere
richiesta anche da chi, coniugato o meno, abbia la possibilità di una discendenza di sangue.
Occorre il consenso dell’adottato, dell’adottante, del coniuge se l’adottante è sposato, dei
discendenti di sangue; l’adottante deve avere compiuto il 35° anno di età e avere almeno 18
anni di più dell’adottato. In tal modo l’adottato mantiene i propri diritti e i propri doveri, ma
aggiunge al proprio il cognome dell’adottante, o del marito se si tratta di coniugi, e ha diritto
alla successione legale verso l’adottante. L’adozione può essere revocata dal giudice su
istanza dell’adottato o dell’adottante o dei discendenti di questo per indegnità;
b) L’adozione di persona minore si verifica quando i minori si trovino in stato di
Capitolo quarantottesimo
LE SUCCESSIONI A CAUSA DI MORTE
Capitolo quarantanovesimo
LA SUCCESSIONE PER LEGGE
La successione legittima
L’eredità si devolve per legge o per testamento: si parla di successione legittima quando la
devoluzione opera in assenza di testamento; di successione necessaria quando disposizioni del
testamento o atti di liberalità abbiano pregiudicato gli interessi dei legittimari. Il fondamento della
successione per legge risiede nel vincolo familiare che unisce l’ereditando e i suoi successori.
Qualora la persona muoia senza aver fatto testamento, si attua la successione legittima:
• Se ci sono figli, legittimi, naturali o adottivi, i beni vanno a questi in parti uguali; al
coniuge, se ancora in vita, va metà del patrimonio oppure un terzo un terzo a seconda che
concorra con uno con più figli;
• Se non ci sono figli, due terzi vanno al coniuge e un terzo a genitori, fratelli e
sorelle;
• Se non ci sono né figli né coniuge superstite, succedono i genitori, i fratelli e le
sorelle legittimi;
• Se nessuno di questi sia vivo, i beni vanno ai parenti sino al sesto grado di parentela.
Ciascun grado esclude il successivo grado di parentela, ad esclusione delle norme sulla
rappresentazione. Qualora non vi siano parenti entro il sesto grado succede lo Stato, il quale
risponde deii debiti solo in relazione al valore del patrimonio ereditato. La Corte Costituzionale ha
introdotto al fianco dei fratelli e delle sorelle legittimi, anche quelli naturali.
Capitolo cinquantesimo
LA SUCCESSIONE TESTAMENTARIA E LA DONAZIONE
Il testamento
L’art. 587 c.c. sancisce come “il testamento è un atto revocabile con il quale taluno dispone, per il
tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o di parte di esse”. Il testamento è,
anzitutto, un atto giuridico unilaterale, dato dalla dichiarazione di volontà di un soggetto, mediante
la quale, quest’ultimo disporrà pro futuro delle proprie sostanze. È un atto personalissimo, che non
può essere ceduto ad alcuno; l’incapace naturale di intendere e di volere non può fare testamento,
né per lui terzi; è necessario il raggiungimento della legale capacità di agire. Peculiarità dell’azione
testamentaria è la sua revocabilità: in ogni momento, sino all’ultimo istante della sua vita, il
Le sostituzioni e l’accrescimento
Qualora la persona istituita erede o legataria non possa o non voglia succedere subentreranno le
norme di rappresentazione, valide sia in caso di successione legittima sia in caso di successione
testamentaria. In quest’ultimo caso, tuttavia, il testatore può prevedere l’ipotesi che alcuni soggetti
non accettino l’eredità e può istituire al loro posto “soggetti sostituiti”, i quali succederanno
direttamente al testatore. Qualora non sia prevista la sostituzione degli eredi o dei legatori e qualora
le norme della rappresentazione non siano applicabili, si procederà per accrescimento: se, infatti, il
testatore con medesimo testamento aveva disposto in parti uguali per più eredi o intorno ad uno
stesso legato per più legatari, la quota non accettata sarà ripartita in quote uguali fra i coeredi e i
collegatari, purché non sia stato escluso nel testamento l’accrescimento. Se il testamento prevede il
divieto di accrescimento o ereditari e legatari con quote diverse o su oggetti molteplici, allora si
dovrà procedere per successione legittima. Fenomeno analogo si ha anche nelle successioni
legittimi, fatti salvi i casi di rappresentazione. La sostituzione fedecommissaria opera quando gli
ascendenti o il coniuge di un interdetto istituiscono questo come erede con l’obbligo di conservare
il patrimonio e di restituirlo alle persone o all’ente che si sono prese cura di lui.
Parte ottava
LA TUTELA DEI DIRITTI
La trascrizione immobiliare
La trascrizione mobiliare
Gli atti che sono oggetto di trascrizione quando hanno per oggetto beni immobili, sono soggetti ad
analoghe forme di pubblicità quando hanno per oggetto beni mobili registrati. Il Pubblico registro
automobilistico, il registro navale e quello per gli aeromobili, assolvono, per i veicoli a motore in
genere, per le navi e i galleggianti in genere sottoposti ad immatricolazione e per gli aeromobili, la
medesima funzione dei registri immobiliari (art. 2683). La tenuta del Pra è regolata dal r.d. n. 436
del 1927, la tenuta degli altri due registri è regolata dal codice della navigazione (artt. 146 ss. 753
ss.). la trascrizione mobiliare ha la medesima funzione di quella immobiliare (artt. 2685 ss.),
rappresenta un onere per le parti interessate, ma un dovere per il notaio rogante, ed anche qui vale il
principio della continuità delle trascrizioni.
Capitolo cinquantaduesimo
LE PROVE
La prova documentale
Le prove documentali o scritte sono :
• Atti pubblico: è un documento redatto, con date formalità, da un pubblico ufficiale
nell'esercizio delle sue funzioni, generalmente da un notaio o dall'ufficiale di stato civile; gli
atti pubblici fanno piena prova fino a querela di falso;
• Scrittura privata: fa piena prova, contro chi l'ha sottoscritta, se questi non la disconosca con
querela di falso o se la sottoscrizione sia autenticata da un notaio. La sottoscrizione deve
essere autografa, cioè di pugno della parte il cui nome risulti dalla sottoscrizione, quale
prova certa della sua paternità. Quando si voglia addurre un documento contro persone
estranee alla sua redazione bisogna che esso abbia data certa. È valida anche la firma
digitale (bancomat), hanno valore anche i telegrammi, le riproduzioni meccaniche e i
documenti informatici.
La prova testimoniale
La prova dei fatti può raggiungersi anche con le dichiarazioni di persone che siano state presenti al
loro verificarsi e che ne abbiano avuto notizia (testimoni).
La confessione
E’ una dichiarazione dei presenti che una parte fa, in giudizio o fuori dal giudizio, della verità di
fatti a sé sfavorevoli e favorevoli alla controparte.
Il giuramento
E’ una confessione pronunciata in giudizio con la formula solenne (giuro di dire la verità): è fatto da
una delle parti su invito dell'altra o dal giudice.
Le presunzioni
Sono mezzi di prova indiretti e consistono nel dedurre da fatti noti, dei fatti ignoti (possono essere
legali o semplici, a seconda che siano dettate dalla legge o siano lasciate alla prudente valutazione
del giudice). Possono essere, inoltre, assolute, se non ammettono prova contraria, relative, se sono
valide sino a prova contraria.
Capitolo cinquantatreesimo
LA PRESCRIZIONE E LA DECADENZA
La prescrizione
La prescrizione è l’estinzione dei diritti a causa del loro mancato esercizio per un tempo prolungato,
determinato dalla legge (art. 2934 comma I). il termine ordinario di prescrizione, che vale per ogni
diritto per il quale non sia stato stabilito un diverso termine, maggiore o minore, dalla legge, è di
La decadenza
Anche la decadenza è l’estinzione di un diritto per mancato esercizio per un dato tempo (art. 2964).
Differisce dalla prescrizione per il fatto che tende a limitare, in un tempo breve o brevissimo, lo
stato di incertezza delle situazioni giuridiche.
Sono sottoposti a termine di decadenza il diritto del compratore di denunciare, entro otto giorni, i
vizi della cosa vendutagli, il diritto del comproprietario dissenziente di impugnare, entro trenta
giorni, le delibere della maggioranza (art. 1109). Termini di decadenza sono poi tutti i termini
perentori previsti per il compimento degli atti processuali.
Per questa sua specifica funzione, la decadenza, non ammette ne sospensione ne interruzioni, a
meno che non siano espressamente previste. Essa può essere impedita solo dal compimento
dell’atto (art. 2966).
La decadenza ha natura eccezionale, per cui quando un diritto non è sottoposto a termine di
decadenza, il diritto dovrà ritenersi sottoposto a termine di prescrizione.
La decadenza può, a contrario della prescrizione che è prevista dalla legge, essere pattuita: il
contratto può sottoporre a termine di decadenza l’esercizio dei diritti da esso derivanti. È nullo il
contratto con termine di decadenza tale, da rendere eccessivamente difficile ad una delle parti,
l’esercizio del diritto (art. 2965).
La decadenza non può essere rilevata d’ufficio dal giudice (art. 2969).