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Dispensa del libro di: Il

mondo è cambiato
DICHIARAZIONE DI PRINCIPIO:
«AVENDO PRIMARIAMENTE A CUORE UNA FORMAZIONE QUANTO MIGLIORE
POSSIBILE PER LA COMUNITÀ DEGLI STUDENTI DELL’ATENEO FEDERICIANO,
L’ASSOCIAZIONE STUDENTI UNIVERSITARI A.S.U. SCIENZE POLITICHE, PER L’ATTIVITÀ
DI STUDIO, CONSIGLIA SEMPRE L’UTILIZZO DEI MANUALI E DEI TESTI UFFICIALI,
SICCOME ESSI HANNO L’ESCLUSIVO VANTAGGIO DI ESSERE DI PRECISA QUALITÀ
ACCADEMICA E DI FORNIRE, PERTANTO, IL NECESSARIO APPORTO CONTENUTISTICO E
LINGUISTICO RISPETTO ALLA MATERIA TRATTATA; QUALITÀ, QUESTA, CHE NON PUÒ
ESSERE COMPLETAMENTE SODDISFATTA CON LE COSIDDETTE ‘DISPENSE’ O CON I
‘RIASSUNTI’.
TUTTAVIA, AVENDO COSCIENZA DELLE DIVERSE ESIGENZE DIDATTICHE,
EVENTUALMENTE SCATURENTI DA ALCUNI STUDENTI, SOVENTE PER MOTIVI “DI TEMPO”
O SEMPLICEMENTE “PER SCELTA”, LA STESSA ASSOCIAZIONE CI TIENE A METTERE A
DISPOSIZIONE DI COSTORO DEL ‘MATERIALE DIDATTICO INFORMALE’, MA COMUNQUE 1
DI UNA CERTA RELATIVA CURA.
ASU CI TIENE A RENDERE NOTO A COLORO I QUALI SI SERVONO DELLE SUE
DISPENSE, RIASSUNTI E MATERIALE DIDATTICO INFORMALE, MESSI A DISPOSIZIONE,
CHE IL LORO UTILIZZO NON È E NON PUÒ ESSERE ASSOLUTAMENTE SOSTITUTIVO DEI
MANUALI E TESTI UFFICIALI. L’ASSOCIAZIONE STUDENTESCA, PERTANTO, SI SPOGLIA DI
OGNI RESPONSABILITÀ DIDATTICA, SIA NEI CONFRONTI DEGLI STUDENTI CHE NEI
CONFRONTI DEI DOCENTI.

IL DIRITTO ALLO STUDIO UNIVERSITARIO CI STA A CUORE».


Capitolo 1: su alcune conseguenze sociali delle dinamiche di
globalizzazione

Globalizzazione: dimensioni, ambivalenze e paradossi

Non si può non riconoscere che la globalizzazione è un “processo irreversibile, che coinvolge tutti
“, è un processo che genera effetti rilevanti, sia negativi, sia positivi. La globalizzazione crea spazi
e legami sociali transazionale, rivaluta le culture locali e stimola le culture terze. Gli Stati nazionali
Non spariscono né le singole culture, come molti erroneamente credono. Il mondo globalizzato si
presenta come una fitta rete di relazioni reciproche sempre più globali. Allo stesso tempo anche
gli avvenimenti, le catastrofi, le scoperte non si legano più ad un unico territorio ma al mondo intero.
La dinamica economica, gli effetti generali sul mondo produttivo e sul mondo del lavoro risultano
ormai evidenti. Si parla di globalizzazione ecologica, culturale, economica, politica, civile,
tecnologico-comunicativa etc.
La figura concettuale che Anthony Smith chiama “nazionalismo metodologico “e cioè, la
convinzione che i confini della società fossero completamente sovrapponibile a quello dello Stato
nazionale, è messa in crisi dalla globalizzazione. Inevitabilmente lo sviluppo della società
mondiale produce effetti sulle culture, l’identità e gli stili di vita (Macdonaldizzazione).
Roland Robertson sostiene invece il contrario. Da un lato, nessuna impresa può produrre
globalmente senza sviluppare legami locali e, dall’altro, anche i simboli commerciabili globalmente
devono essere filtrati. Il locale deve essere compreso come un aspetto del globale, da qui il
termine Glocalizzazione (esistono culture senza territori).

Esistono ampie elaborazioni teoriche che spiegano la globalizzazione:


Nella dimensione ecologica il focus è sulla proliferazione dei rischi, caratterizzati sempre più
dall’attributo della globalità. Ma il problema nasce buona parte dai rischi ambientali e la 2
localizzazione della produzione della ricchezza. Dunque, tutta l’umanità paga per la ricchezza che
solo una modesta porzione di essa genera e consuma. I paesi avanzati si stanno dotando, di
dispositivi fisici e normativi, per contrastare gli effetti della contaminazione, mentre i paesi in via di
sviluppo non possono. Il risultato sarà una divergenza tra paesi.
In ambito politico-economico, le imprese che operano globalmente hanno acquisito un ruolo
chiave. Il loro potere si lega ad una serie di elementi: la possibilità di esportare il lavoro, abbassare
i costi e le condizioni per l’impiego sono più convenienti, possono dividere i prodotti in diversi posti
del mondo, con evidenti inganni del consumatore sulla provenienza. Di fronte a tale scenario lo
Stato entro in crisi, l’economia globale sgretola i confini dell’economia nazionale. Ormai, sono i
mercati finanziari globali a imporre le proprie leggi le proprie regole all’interno del pianeta; ecco
perché si parla di Stati minimali, Stati che riducono fortemente il loro ruolo, che svolgono il minimo
indispensabile.

In movimento divisi. Le conseguenze della globalizzazione sulle persone

La globalizzazione investe ogni campo della vita umana producendo una molteplicità di
effetti non omogenei.
-Stazio tempo e relazioni: Al tal proposito il fenomeno ampiamente conosciuto come
“compressione del tempo e dello spazio “o anche “annullamento delle distanze spazio-temporali
“consente di sintetizzare le multiformi trasformazioni: lo spazio che ci circonda è sempre meno in
grado di conferire senso alla vita individuale, di creare una cornice in cui elaborare linguaggio e
azioni collettive, ogni esperienza individuale tende ad essere sempre più singola e unica.
Secondo Ulrich Beck, le persone che vivono nello stesso luogo condividono sempre meno ricordi;
ciascuno mediante le “biografie spazio-temporali “è in grado di ritagliarsi riferimenti propri; le
relazioni sociali avvengono su una scala spaziale sempre più ampia.

-Mobilità: ci muoviamo anche se fisicamente siamo fermi, attraverso lo schermo possiamo


connetterci con il mondo. L’immobilità non è contemplata, sicché la mobilità diventa uno dei valori
più importanti, fonte di prestigio e di stratificazione sociale. Si assiste alla liquidazione della
società, dove la velocità e la rapidità tendono a sgretolare ogni relazione, ogni legame. Il tempo
è nemico e la relazione richiede “il fermarsi all’ascolto dell’altro”.

-Élite: Non tutti riescono a correre e non tutti lo fanno alla stessa velocità, si crea così una
sempre più marcata polarizzazione tra chi diventa globale e chi resti inchiodato alla propria
località. Si crea l’Élite predominante, che potrà ricoprire in futuro anche cariche molto
importanti.

-Sorveglianza e visibilità: Essere globali significa, anche, maggior sorveglianza, e maggior


visibilità. Tuttavia, tale sorveglianza non va intesa come ostacolo alla mobilità, anzi, l’aumento di
informazioni rende più globali. Però lo spazio pubblico si allarga, a tal punto che la sfera privata
perde il suo diritto alla segretezza.

-Consumo: nella sfera del consumo il godimento deve essere pronto e rapidamente esauribile. Il
consumatore attuale è alla continua ricerca di un pagamento immediato. Questa logica produce
due conseguenze: in primo luogo, l’enorme massa di rifiuti che ci circonda. In secondo luogo, il
rischio ontologico per l’uomo di uno sfaldamento della sua identità: compra compulsivamente per
sfuggire alla morte e butta via sempre più rapidamente ciò che compra per sfuggire
all’insignificanza.

-Lavoro: il concetto di mobilità invade anche la sfera del lavoro, dove l’idea del posto fisso tramonta
per far spazio al concetto di flessibilità. La flessibilità spinta, se è applicata ad un mercato del lavoro
povero, come quello del mezzogiorno d’Italia, è un grave rischio di sconvolgimento del normale
sviluppo Psico-sociale degli individui. Ciò concorre ad innescare una spirale verso l’alienazione.
In tale contesto non solo i lavoratori sono di passaggio ma le stesse imprese (le imprese migratrici,
alla ricerca di incentivi fiscali). 3

Nel mondo globalizzato diseguaglianze crescono

La differenza di ricchezza tra Nord e sud del mondo era di 30:1 nel 1965, nel 2000 è diventata
di 70:1. Crescono le distanze tra le retribuzioni dei top manager e quella dell’impiegato medio.
Polarizzazione e disuguaglianze sono evidenti anche nell’uso del territorio in termini densità
abitativa (come è il caso della città di Bombay, dove ricchi hanno il 90% del territorio mentre i
poveri il restante 10%). In Italia con dati al 2007, vivono 2,5 milioni di persone in povertà assoluta.
Polarizzazione mondiale tra ricchi e poveri è un trend che può essere corretto, attenuato ma
non interrotto.
Secondo alcuni autori tale conseguenza è dovuta alla crescente integrazione economica con i
paesi in via di sviluppo a bassi salari. Di maggior rilievo è la tesi esposta da Dani Rodrik, che
vede nell’aumento dell’elasticità della domanda di lavoro la principale conseguenza della
globalizzazione sul mondo del lavoro.
Sono comparse nuove forme di disuguaglianza. Esempio eclatante è rappresentato dai lavoratori
poveri che pur avendo un lavoro stabile, percepiscono un reddito al di sotto della soglia di povertà
assoluta. La riflessione più interessante riguarda l’elevata eterogeneità interna, ad esempio, la
disuguaglianza tra lavoratori appartenenti allo stesso settore o aventi lo stesso livello di istruzione.
I mutamenti di questa situazione si otterranno solo con una rappresentazione collettiva della
stessa situazione, infatti, è aumentato nuovamente il numero di coloro che si definiscono membri
dello strato inferiore. Però vi è un ancora un elemento da considerare le disuguaglianze sono
considerate eque sia dagli strati che più ne beneficiano, sia da quelli intermedi. Tale condizione
si lega alla generica convinzione che l’appartenenza ad uno strato dipenda dal merito.
L’espropriazione dello Stato-nazione

Il denaro, l’economia si muove sempre più rapidamente tanto da non consentire ad alcune entità
politica di controllarne moto e direzione. È lo Stato-nazione ad essere messo in crisi dai recenti
fenomeni.
Territorialità e sovranità stanno subendo un avere propria erosione. Habermas dice che “il
principio di sovranità non coincide più con il principio di territorialità “. Sono almeno quattro gli
ambiti ove l’autorità dello Stato nazione traballa: ambito fiscale-finanziario, ambito del principio
di razionalità, ambito della comunicazione e informazione, ambito del monopolio della forza.
Secondo Bauman la crisi dello Stato nazione non può essere risoluta con alcuna soluzione;
secondo Giplin sono poche le dinamiche che possono essere sotto controllo dei singoli governi;
Secondo Beck, senza risoluzioni né mutamenti legislativi o costituzionali le imprese si sono
trovate nelle condizioni di poter spostare in piena libertà lavoro, capitale e produzioni.

È ovvio che dal momento che le imprese possono scegliere dove produrre, dove pagare le tasse
dove richiedere i contributi statali il controllo dello Stato diventa fittizio, anzi esso si trova costretto
ad offrire un sistema fiscale attraente. Un altro aspetto critico è l’aumento del flusso di capitale in
uno spazio virtuale, le transazioni finanziarie valutarie puramente speculative raggiungono il
volume di 1,3 miliardi di dollari al giorno. Secondo alcuni studiosi come Beck, in questo fenomeno
si vedono le trasformazioni da un modello nazionale ad un modello transazionale. La visione
nazionalista e sostituita dal cosmopolitismo: un modello ibrido, che trasforma i principi di sovranità
e territorialità, che riconosce la cooperazione tra Stati glocali.
Tutto ciò passa attraverso l’abbandono della sovranità esclusiva a favore di una sovranità inclusiva.
Anche Anthony Giddens riconosce una trasformazione che egli chiama “democrazia
democratizzante “. La globalizzazione ha fatto sì che mutamenti tecnologici, rischi ecologici,
fluttuazioni economiche superassero i confini nazionali, la politica democratica di conseguenza non
può costituire continuare a restare ingabbiato. La soluzione proposta Giddens si avvicina molto a 4
quella di Beck, nell’indicare una terza via:
-la democrazia diventa transazionale;
-non sarà universale, ma assumerà forme diverse a seconda delle caratteristiche dei paesi;
-può costruire istituzioni democratiche laddove siano deboli;

Un ruolo importante nel supporto allo Stato-nazione è svolto dalla costruzione di accordi ed
alleanze con altri Stati, che consentono di accrescere il controllo sull’ambiente esterno in
continua evoluzione, un esempio è: l’Unione Europea.
Quando si parla di globalizzazione la questione si complica quando l’attenzione si sposta sul
Welfare State.

Il destino del Welfare

Come chiarisce Ferrara, “il nucleo originario fondamentale il Welfare State, ha significato e vigore
solo in riferimento a un ordine territoriale quale, appunto, lo Stato nazione. È dal bilancio dello
Stato che provengono buona parte delle risorse necessarie finanziare le politiche sociali. Se da
un lato la globalizzazione impone ridimensionamento in cambio di una più ampia libertà d’azione,
dall’altro e allo stesso tempo, ne richiede l’espansione per quei problemi sociali che lo stesso
fenomeno ha causato e accentua. Le due esigenze hanno dato origine ai moderni Welfare State
e la loro ragione di esistere: ridurre le disuguaglianze e offrire sicurezza agli individui.
La globalizzazione ha condotto ad un ambiente economico turbolento, condizioni lavorative
precarie e instabili, di un incremento delle disuguaglianze, condizioni che aumentano il bisogno di
Stato di benessere e quindi il suo ampliamento. Però, i problemi finanziari connessi alla grandezza
raggiunta, limitata efficacia, la scarsa efficienza sono le problematiche principali che coinvolgono
buona parte di Welfare State. Spesso, infatti, la globalizzazione è utilizzato dai Policy maker quale
“Capro espiatorio “per giustificare l’inefficienza. Molti sono gli studi condotti per tracciare la
relazione tra la globalizzazione e il Welfare State:
1) la tesi della compensazione: essenzialmente ottimistica, postula che la crescita
dell’instabilità prodotta dalla globalizzazione, obbliga i governi a rispondere incrementando le
politiche sociali.
2) La tesi dell’efficienza, con una visione negativa, i ridimensionamenti dei programmi di
Welfare nel nome della competitività.
3) Una terza posizione sintetizza le due precedenti parlando di effe3 curvi-lineari, ovvero la
globalizzazione inizialmente causa un’espansione degli interventi e successivamente, una
di riduzione.
Una tesi particolare e quella condotta da Franzini e Milone, essi giungono ad affermare che gli
effetti della globalizzazione sulla crescita economica e sulla disuguaglianza dipendono in modo
cruciale dalla grandezza delle strutture di Welfare State. Tuttavia, le loro conclusioni non sono del
tutto pessimistiche, essi credono che misure quali la creazione di capitali e sussidi all’occupazione
potrebbero consentire anche a Welfare grandi e molto strutturati di trarre dei benefici dal fenomeno
di globalizzazione.
Roberta Purger focalizza i suoi studi sul mercato del lavoro. Il ragionamento è che: i paesi di
recente industrializzazione dispongono di una moltitudine di persone che lavorano a basso
costo, l’ampia libertà di movimento mette in crisi la sicurezza del lavoro nei paesi più sviluppati.
Questo causa disoccupazione e bassi redditi che a loro volta aumentano spese pubbliche per
le politiche sociali. Tutto questo è una minaccia alla sopravvivenza del Welfare State.
Anche altre argomentazioni, come quella per cui l’avanzamento tecnologico costringe fuori dal
mercato i lavoratori poco qualificati non regge e può essere valida solo dove la società non
provvede con l’istruzione a ridurre il gap. Elmar Rierger dimostra che le politiche sociali hanno
dimostrato un’alta resistenza alle pressioni esercitate dai mercati globali. È possibile affermare,
quindi, che la globalizzazione e Welfare possono e devono procedere insieme.

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