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SHAKESPEARE E IL TEATRO DEL RICONOSCIMENTO

CAP 1: L’orizzonte pedagogico dell’umanesimo e la formazione dell’uomo shakespeariano

1,1 Il pedagogico in Shakespeare: il tema umanistico-rinascimentale della Dignitas Homini,


tra Pico della Mirandola e Montaigne

L'universo poetico di Shakespeare ci appare come uno specchio della natura umana, nella sua
integralità di aspetti; attraverso la rappresentazione dei caratteri umani, ci restituisce una visione
dell'umano in cui virtù e vizi si intrecciano, rappresentandone le contraddizioni più intime ma anche
le possibili metamorfosi ed in questo modo ci proietta all'interno del pensiero pedagogico. La sua
poetica nasce da contrastanti visioni dell'uomo e del mondo, accogliendo la concezione
dell'ideologia Tutor (di matrice medievale), basata sul principio gerarchico di autorità, ma al
contempo appoggia la presenza di codici culturali nuovi, facendo affiorare un antropocentrismo
(proprio della tradizione umanistica). Dal forte senso di instabilità ontologica dell'uomo si
comprende l'istanza di ordine pedagogico-educativo, riconoscendo a quest'ultimo la plasmabilità, e
dunque la mobilità e possibilità di trasformazione. Per far ciò egli utilizza il linguaggio
drammatico e affronta temi sull'educabilità e plasticità dell'uomo. Nelle sue commedie, ma
soprattutto tragedie, S. descrive le SITUAZIONI-LIMITE, tra umano e non umano, umanità e
animalità, mostrandoci in maniera sottile le possibili derive dell'uomo e dunque il venir meno di
quella DIGNITA' che è suo prerequisito. Ciò lo si vede nello SHYLOCK de IL MERCANTE DI
VENEZIA, figura torva di usuraio, privo di scrupoli, ma che nonostante ciò riesce a suscitare in noi
empatia ed interesse. A costui la comunità non attribuisce alcun grado di umanità, anzi di dignità
umana; egli viene annullato come persona, imponendogli una conversione forzata al cristianesimo
sotto il ricatto della rovina economica. Lo stesso Shylock adegua questa visione e considerazione al
suo prossimo, esprimendo disprezzo per l'altrui considerazione. Ciò accade anche nel RE LEAR,
nel quale viene descritto il processo di spoliazione della regalità, che conduce il vecchio sovrano
ad una progressiva degradazione di sé, tale da annullare la sua esistenza e a far sorgere in lui una
profonda meditazione sul valore dell'uomo all'interno dell'ordine della natura. Secondo Re Lear,
l'uomo spogliato da ogni dignità si avvicina alla condizione di animalità.
Montaigne aveva avvicinato sempre di più i confini dell'umano e dell'animalità. Nell'opera DES
CANNIBALES, egli individua ciò che rende peculiare l'essere umano, riconoscendolo nella sua
capacità di soffrire, provare dolore e morire. L'uomo è tale non solo in virtù della sua ragione ed
intelletto, ma anche in virtù del suo SENTIRE. S. mette in crisi le tradizionali forme di
identificazione (rango, nobiltà di sangue e regalità), poiché appaiono incapaci di offrire stabili
garanzie al riconoscimento di sé e della propria dignità e umanità. L'uomo è proiettato entro un
orizzonte di precarietà, di instabilità ontologica. Ogni uomo, suddito o potente che sia, è perciò
inserito in un contesto che prevede la possibile METAMORFOSI, generando una visione
antropologica immanentistica inserita nella dimensione naturale. Un altro autore, che ci offre una
visione inerente alla naturalizzazione dell'umano è Machiavelli (rinascimento), la sua visione è
priva di qualsiasi fondamento teologico, che aveva tradizionalmente giustificato il senso e l'ordine.
La dimensione dell'animalità costituisce una costante possibilità per l'essere umano e nella sua
concezione vi è una sorta di rovesciamento tra umanità ed animalità. Ne IL PRINCIPE, egli
suggerisce di adottare un paradigma di azione politica ispirato alla metafora della golpe e del
lione. L'animalità è un nuovo modello, pensata in termini di pura efficacia. S. si avvicina al tema
della perfettibilità dell'uomo, partendo dalla problematizzazione della dignità umana. Come già
detto S. tende maggiormente a sottolineare i limiti di tale dignità, come lo si evince dalle parole di
AMLETO (“Eppure co'sè -riferendosi all'uomo- agli occhi miei questa quintessenza di polvere?”).
Queste parole sono un eco del manifesto dell'umanesimo europeo, così come nell' ORATIO DE
DIGNITATE HOMINIS, di Pico della Mirandola. Quì parlando dell'uomo, coglie in lui una
varietà di semi, che gli conferiscono una potenzialità peculiare: quella di inserirsi in una specifica
posizione all'interno dell'universo ---> la germinazione degli spiriti bestiali ed angelici è del tutto
libera e ciò rende unico l'uomo, ovvero la facoltà della libera scelta (essa reca in sé anche il male).
Il tema dell'esaltazione della grandezza dell'uomo, non è limitato esclusivamente all'Umanesimo ed
al Rinascimento, ma ha radici assai antiche, basti pensare all'ANTIGONE di Sofocle o al mito di
Prometeo di Eschilo. La superiorità dell'uomo è evidente anche nella GENESI ed in altri luoghi del
Vecchio Testamento, da qui si deve l'idea dell'uomo nella sua condizione di creatura creata e
formata a immagine di Dio, un Dio fattosi uomo in Cristo, attraverso il mistero dell'Incarnazione.
Nella visione cristiana vi sono però anche visioni orientate al pessimismo antropologico, come
accade nell'ultimo Agostino, attraverso l'accentuazione della corrotta natura dell'uomo. Pensatori
neoplatonici quali Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, definiscono tale dignità nei termini del
posto occupato dall'uomo all'interno dell'universo; metafisica dell'universo. Ficino assegna all'uomo
una posizione fissa, posta al centro dell'universo, mentre Pico assegna a quest'ultimo una natura
assai più mobile (vedi su). Pico valorizza in termini pedagogici la capacità dell'uomo di essere
educato a realizzarsi perseguendo quelle possibilità e virtù in grado di promuovere in lui quella
piena valorizzazione della dignità umana. La visione dell'uomo che emerge dai drammi di S., è
legata maggiormente ad uno scetticismo, rispetto allo spirito umanistico-rinascimentale di Pico;
proprio per questo vi sono numerose analogie piuttosto con Montaigne. M. afferma che la
presunzione dell'uomo è una sua malattia originaria e naturale e costui è la creatura più fragile e
calamitosa, ma la più orgogliosa (Legame tra pensiero di M. e S. nell'Amleto). S. sceglie di
rappresentare le sue opere in una condizione di particolare criticità, dove i suoi personaggi sono
esposti al conflitto fra bene e male, segnati da sofferenze e dolori. Il dolore evidenzia l'umana
dignità dell'individuo, caduto in una situazione di disperazione. Si tratta di persone che hanno avuto
condotte e comportamenti riprovevoli, ma che trovano attraverso il dolore, un modo di affermare la
propria dignità. La valorizzazione della dignità umana si accompagna al riconoscimento della
natura imperfetta dell'uomo e dei suoi limiti. E' presente una vera e propria DINAMICA
DELLE PASSIONI IN COSTANTE AMBIGUITA'. Un esempio è quello del personaggio Bruto
nel JULIUS CAESAR, egli trova dignità nel finale del dramma, quando prende coscienza di avere
una fatale colpa sia morale, che politica, nell'aver ucciso Giulio Cesare, egli si toglie la vita
accettando di riconoscersi sconfitto sia dalla Storia, che dal proprio fallimento etico-morale. La
stessa cosa avviene al re Lear, che rinnega la sua figlia più amata così come fece il suo ministro
(Gloucester). G. subirà un accecamento di ambo gli occhi, e Lear sarà in preda di una cecità mentale
molto profonda. Tramite l'annichilimento di sé, riescono a riconoscere l'altro da sé e a comprendere
cos'è l'amore, ritrovando la propria dignità. Anche la figura tragica di RICCARDO II, ci fa
comprendere ciò; egli, personaggio vile, colpevole di aver tramato l'omicidio dello zio, per
impossessarsi della corona, ma che subisce un brusco declino. La detronizzazione della sua persona
sacra di re è un vero e proprio dramma, egli riscoprirà la propria dignità durante la sua prigionia,
prima di essere assassinato da un vicario; tale dignità deriva dal coraggio che trarrà dalla coscienza
della vanità del potere e del vuoto che si annida nel simbolo della corona.

2.1 La pedagogia dell'umanesimo inglese del XVI secolo e le fonti del linguaggio
shakespeariano
Gli umanisti inglesi hanno abbracciato sia:
-la tradizione classica di pensiero greco-latino
-alcuni temi portanti del neoplatonismo, grazie a pensatori quali: Erasmo da Rotterdam e Thomas
More
fecero propria l'idea di una INTRINSECA PERFETTIBILITÀ DELL'UOMO, intendendo la sua
capacità di plasmarsi e rimodellarsi in continuazione, in rapporto alla società e cultura presente.
Il concetto di formazione ed autoformazione indica sia l'azione transitiva di educare, che l'idea del
farsi, dell'autocrearsi formando il proprio IO. Ci troviamo di fronte ad un orientamento
pedagogico denominato: REINASSANCE SELF-FASHIONING. La tesi tipica dell'educazione
umanistica implicava che l'educazione integrale dell'uomo potesse essere attinta mediante il libero
svolgersi di tutte le potenzialità dell'uomo, sia fisiche che mentali, avendo come modello quello di
HUMANITAS (concetto della tradizione filo. Greca ad opera dello stoicismo). Cicerone, fu colui,
che contribuì più di chiunque altro allo sviluppo di tale nozione. Tale concetto indica:
⁃ quel principio morale oggettivo proprio dell'uomo contrapposto all'utile personale, dal quale
scaturisce il dovere
⁃ la natura umana universale, che va riconosciuta a ciascun uomo in quanto tale.
In questo senso si parla di communis humanitas, la naturale solidarietà degli uomini con altri
uomini. Accanto alla nozione di humatias, l'altro elemento che l'umanesimo inglese assimilerà
dall'umanesimo italiano, sarà quello di STUDIA HUMANITATIS, indicando le discipline della
grammatica, retorica, poesia, storia, e pian piano anche la filo. Morale. Erasmo e Thomas More,
innestarono gli studia humanitatis nella configurazione propria della società italiana del '400. Tutto
ciò, a cominciare dal linguaggio e dal buon uso della parola, era necessario ai fini di una formazione
umana completa. Ci fu una riscoperta di quelle che nel Medioevo erano le materie che costituivano
il trivio: grammatica, retorica, logica. La retorica, nello specifico, diventa tra XV e XVII secolo,
parte integrante di un ampio processo di elaborazione del sapere, esprimendolo attraverso l'arte del
discorso. La retorica per questo motivo faceva uso sia della grammatica, che della dialettica,
utilizzando la prima per lo studio della sintassi e la seconda per l'uso delle forme linguistiche
(sillogismi, massime e analogie), strumenti di persuasione. Tale istanza pedagogica, esigeva di
un'istruzione umanistica, che portò alla nascita nel XV secolo delle Grammar Schools (dai 12 anni
in su) Anche ad Oxford e Cambridge si iniziò ad insegnare retorica e grammatica; Dopo aver
studiato gli EXEMPLA dei classici, gli allievi dovevano dimostrare di saper creare qualcosa di
loro. Ci fu una vera e propria riscoperta della lingua latina, recuperando la valenza critica e la
filologia, distaccandosi dall'uso acritico fattone durante il Medioevo; questo sviluppo e crescita,
arricchirono il vocabolario della lingua inglese. L'idea di base che animava tali scuole era che: tra i
contenuti filosofici, storici e morali dei testi classici e la loro forma letteraria vi fosse un nesso e
quindi tramite l'apprendimento delle strutture retoriche, ling. E grammaticali, fosse possibile
assimilare meglio gli ideali di saggezza riposti. All'interno di questi percorsi di formazione era
centrale l'apprendimento dell'Arte di scrivere le epistole, il cui modello di base era il MODUS
CONSCRIBENDI EPISTULAS, di Erasmo. Si tratta di lettere-modello, da ricopiare, grazie alle
quali era possibile sviluppare la capacità di scrittura. Di particolare rilevanza sono le orazioni tratte
da Cicerone e Quintiliano. I loci proverbiales, rappresentano secondo Erasmo una condensazione
di sapere filo, popolare e tradizionale, moralità e persuasione, valenza pedagogica e didascalica. La
dimensione dell'eloquenza, reca in sé una cura dell'anima, che prevale in due ambiti:
⁃ l'educazione della parola, che richiama alla propria interiorità, è nel profondo di essa che
l'individuo può trovare Dio (in senso agostiniano), essa è colloquio con se stessi, ma non
chiusura al mondo.
⁃ La parola intesa come SERMO, ci introduce nella sfera sociale, della comunicazione con l'altro,
della vita civile.
E' chiaro dunque, che il linguaggio è stato posto al centro dell'educazione umanistico-rinascimentale
e che tramite il suo utilizzo, l'uomo, animale sociale, dialoga con i suoi simili e tramite ciò
costituisce leggi, arti, scienze, filosofie. E' necessario che egli sviluppi la padronanza della parola,
ma che allo stesso tempo si nutra di contenuti, affinché non vi sia una vuota esibizione di abilità
oratorie. Si pone dunque il rapporto tra retorica ed altre scienze, filo. Morale per prima. Nella civiltà
rinascimentale e tardo rinascimentale, si colloca l'ideale dell'homo loquens, colui che deve stabilire
una relazione tra conoscenza e virtù, utilizzando una vera e propria capacità discorsiva e persuasiva.
Appare molto forte il richiamo a Cicerone e alla fiducia riposta nella forza persuasiva della parola
( diretta relazione con la dimensione della saggezza). E' soprattutto la filosofia morale a costituire
l'ambito privilegiato per l'esercizio del discorso, per il suo procedere e cogliere vizi e virtù, non
solo quindi la sua capacità persuasiva, ma anche la possibilità di educare le passioni.
Saggezza ed eloquenza rappresentano le qualità peculiari dell'oratore, il cui fine non è tanto
conoscere il bene, ma è spingere gli altri al bene. Saggezza è: autoconoscenza, moderazione,
razionalità, controllo. Al centro dell’educazione e della cultura umanistico-elisabettiana vi è
dunque la padronanza della parola come segno di padronanza di sé come sogg. Morale in
relazione alla saggezza. L’eloquenza spinge al bene.

3,1 Il valore pedagogico della poesia e del teatro


Tale coscienza pedagogica, necessita di rappresentazioni di sé, attraverso rituali cerimoniali di
corte, creazione poetica, letteraria e drammaturgica. Vi è la centralità della PROSOPOGRAPHIA
e della PROSOPOPEA. La prima rappresenta la personificazione del personaggio storico, la
seconda di un personaggio immaginario. Gli allievi dovevano impersonare ruoli diversi, scambiarsi
le parti. La poesia è un'arte di imitazione poiché anche Aristotele si espresse parlando della
MIMESIS, come una rappresentazione posta dinanzi ai nostri occhi, ha funzione non solo
riproduttiva, ma anche legata alla produzione di sé e all'identificazione del sogg. L'intera cultura
rinascimentale appare contrassegnata da una teatralità, che attraversa anche la politica e la religione.
La mimesis, l'imitazione della realtà si pone al cuore della creazione artistica. Essa ha assunto un
significato produttivo e creativo e nel teatro, soprattutto nella tragedia trova la sua piena
realizzazione. Dunque la poesia drammatica appare in grado di istruire ed educare gli uomini, i
quali attraverso l'imitazione e seguendo gli exempla più significativi moralmente, sono resi
migliori. Non è sufficiente mostrare esempi di virtù agli uomini utilizzando la poesia drammatica, è
necessario farlo anche secondo forme e modalità diverse. Sidney rivendica proprio ciò; riconosce
alla poesia drammatica un valore educativo superiore alla filosofia e alla storia, considerate
separatamente, poiché essa ha la capacità di potenziare il carattere pedagogico dell'exemplum.
Infine possiamo dire che il teatro viene considerata come L'ARTE MIMETICA PER
ECCELLENZA, capace di restituire nel modo più organico e compiuto la rappresentazione delle
umane passioni e virtù, ma allo stesso tempo è molto prossima all'illusione e all'inganno. Lo stesso
periodo rappresenta questa perpetua oscillazione dalla realtà all'illusione.

4,1 La parola e l'azione nel linguaggio drammatico di Shakespeare


Lo spazio drammatico che S. ci offre è attraversato da un insieme di conflitti di interpretazioni,
connessi ai giudizi che ogni personaggio esprime in merito agli altri. La dimensione retorico-
persuasiva appare un elemento peculiare dei caratteri: la parola ed il discorso risultano fondamentali
per:
⁃ modulare l'universo morale delle passioni
⁃ agire in maniera persuasiva
In quest'universo è sempre più importante conoscere se stessi e gli altri. I personaggi di S.
interrogano continuamente gli altri; lo fanno per capire, per capirsi, per ingannare, convincere,
indurre al delitto, al sospetto, o ancora per il semplice piacere del gioco linguistico. Il linguaggio del
teatro si presta a restituire l'immagine di un'epoca attraversata da una crisi antropologica, religiosa e
politica, poiché la sua natura illusoria riflette la realtà sempre più sfuggente ed incomprensibile. La
peculiarità di S. sta nell'uso e nella rielaborazione di tale tradizione retorico-morale, ponendo in
evidenza anche i vuoti della comunicazione, le zone di ambiguità e la ricchezza di senso. (Amleto è
l'es. Per eccellenza). Amleto= blocco dell'azione, la parola sostituisce l'azione, predilige il costante
riflettere e costituisce una ridefinizione di sé tramite la capacità metateatrale di definire la sua
identità attraverso la parola.
L'incapacità di Amleto, di passare dalle parole ai fatti, rappresenta una sorta di rovesciamento
dell'indicazione Aristotelica fornita nella Poetica; all'imitazione dell'azione è riconosciuto un ruolo
principale. La tragedia è infatti imitazione di azioni, non di uomini, si assumono i caratteri a motivo
delle azioni. (Amleto preferisce spostare l'azione sul piano del linguaggio) Alcuni personaggi come
Polonio invece, dimostrano la loro personalità tramite il linguaggio, P. mostra la sua pochezza,
quando vuole dimostrare a Re Claudio e alla Regina Gertrude che A. è pazzo. Nell'Amleto, S. vuole
esplorare l'ambiguità della parola, capace di occultare la verità, nascosta dal nuovo Re, zio di A. e
sposo di G., che aveva ucciso suo padre. Il gioco linguistico diventa sempre più sfuggente ed
ambiguo e non trova ormai più corrispondenza con ciò che è realmente. Anche Bacon evidenzia la
tendenza degli uomini a studiare più le parole che la sostanza, o ancora meglio Montaigne con la
quale S. condivide una visione scetticheggiante della verità. Molto emblematica è la scena in cui
Amleto è chiamato dallo spettro di suo padre a vendicarne l'omicidio; da una parte vi è la questione
della giustizia nel vendicarlo, ma dall'altra vi è la difficoltà di A. di compiere un tale gesto, che
viene definito turpe da suo padre stesso. A. esiterà a lungo prima di agire, l'azione è caratterizzata
da un'escamotage; A. organizza a corte una rappresentazione teatrale, con lo scopo di mettere in
scena la presunta dinamica dell'assassinio; in questo modo il teatro diviene strumento di realtà ed A.
tramite il POTERE MIMETICO DELLA PAROLA, comprende i segni incontrovertibili della
colpa sul volto di suo zio. Il teatro nel teatro è presente in molte opere di S. ed assume il senso di
presa di coscienza indotta nel lettore/spettatore avente carattere pedagogico.

5,1 La formazione dell'uomo shakespeariano in un'età di crisi


Il rinascimento non può essere inteso all'insegna di una civiltà organica; molti studiosi hanno notato
gli elementi di continuità col Medioevo. All'interno di questo periodo storico trovano spazio la
Riforma potestante e la Controriforma cattolica, l'umanesimo della tradizione classica-neopagana e
quello cristiano etc. E' il secolo che vede l'affermazione della ragione, il diffondersi di guerre di
religione e persecuzioni, intolleranze. In Inghilterra, coincide con il processo di trasformazione sul
piano politico, sociale e religioso. La vecchia nobiltà feudale lascerà posto alla piccola nobiltà di
provincia che porterà alla nascita di nuovi ceti borghesi. Dallo stato feudale si passa ad una forma di
organizzazione assolutistica e ad uno sviluppo di un'economia capitalistica. Il lungo regno di
Elisabetta Tudor è decisivo per rafforzare la potenza dello stato inglese, fiorisce la cultura
filosofica, poetica e letteraria, culminando nel teatro elisabettiano. L'etica luterana e calvinista apre
molte incertezze riguardo al rapporto uomo-Dio, come pure alla libera iniziativa morale
dell'individuo ai fini del perseguimento della propria salvezza. I personaggi di S. vivono ed
agiscono entro un universo nel quale Dio è assente o percepito come lontano, hanno piuttosto un
forte senso dell'ingnoto. Sul fronte politico ci si separa dalla matrice teologico-cristiana. S. mette a
fuoco i nodi critici della politica intesa come luogo nel quale realizzare (secondo la tradizione
aristotelica) l'essenza comunitaria e sociale dell'uomo. Al contrario nei drammi, esplora i
meccanismi della violenza e della strumentalizzazione, manipolazione degli uomini o delle masse.

Cap 2: Il julius Caesar e la funzione pedagogica della storia: teatro della politica e teatro delle
passioni

1.L’educazione del principe e il valore ped. Della Storia come fonte di exempla
L’umanesimo inglese sviluppò una tradizione filosofico-letteraria: quella dello speculum principis
all’interno della quale venivano discussi l’educazione dei governanti e gli elementi necessari ai fini
della realizzazione di un governo fondato sulla virtù. Il concetto di “specchi” (speculum) consiste
nel presentare ai principi un ‘immagine moralmente ideale, spronandoli a riflettere su essa. E’ cosi
che nell’educazione del principe assumono sempre più importanza lo studio delle atri
liberali( retorica,grammatica,storia ecc) intese come requisiti essenziali per coloro chiamati ad
amministrare. Cicerone individua le 4 virtù cardinali: giustizia, sapienza, fortezza, temperanza.
Violenza e frode sono da evitare. Come si è già visto M. invece rovescia la posizione di C. Come
sostiene Erasmo: non puoi essere un principe se non sei un fil. Un altro grande tema è quello del
rapporto esistente tra virtù personali e pubbliche. Il principe è nato per lo Stato.
2.Il valore ped. Della Storia romana nel teatro shakespeariano Ad entrare in crisi però è anche
la stessa concezione unitaria della natura umana, che determineranno una metamorfosi nel modo di
concepire il rapporto tra individuo e società politica, tra politica e morale, tra sfera privata e
dimensione pubblica. I drammi storici di S. possono essere interpretati aventi in sé una costante
riflessione in merito alla natura del potere politico e dei suoi effetti. All’interno di tali drammi
trovano un ruolo particolare i cosiddetti “ roman plays” ossia le opere che trattano temi della storia
di Roma. Il rapporto con le classicità antica è un’occasione di porre al centro della sua scrittura
questioni cruciali di carattere etico-politico,storico ma anche pedagogico-educativo distaccandosi
dalla sua realtà attuale della Storia dell’Inghilterra, che vive un periodo travagliato tra XIV e XVI
sec. Vuole proiettare il tema entro una prospettiva universale, valida in un lontano passato come nel
presente.
3. L’inghilterra elisabettiana e il mondo classico l’interesse per il mondo classico e soprattutto
per la storia di Roma risultava gia consolidato per 2 ragioni:
- L’idea di una presunta identificazione delle origini dell’Inghilterra con il mito della derivazione di
Roma dalla antica troia
-La centralità che aveva nella educazione e nella formazione culturale della società inglese lo studio
della lingua latina e il culto della “romanità”. Gli studiosi inglesi del 500 inoltre leggevano la storia
romana come fonte di modelli di strategie militari, nonché forme di governo ideali e come recante
in sé veri e propri esempi di virtù etico-politiche. Lo studio del greco invece non aveva lo stesso
valore del latino. Lo stesso S. tende a rappresentare i personaggi della storia greca sotto una luce più
“fosca” . La Roma repubblicana rappresentava per gli inglesi un modello di virtù politica ed etico-
morale da perseguire ma messo in crisi dalla crescente discordia nascente nella repubblica di Roma.
E’ dunque evidente l’elemento di natura ped. Nell’uso dell’Antico.
4. Il Julius Caesar come teatro delle passioni Entro tale contesto storico-culturale va,dunque ,
collocato il Julius Caesar. E’ indubbio che S. si trovò ad affrontare una tematica già fortemente
mitizzata. Pochi personaggi storici infatti possiedono una cosi complessa rilevanza simbolica e
politica, certamente la sua morte, ma ancora di più le sue gesta, hanno assunto un significato di
vasta portata diventando un evento quasi mitico. Un evento destinato a essere letto come
“uccisione” del tiranno mentre ora al contrario come puro atto di violenza politica oppure da un
sentimento di invidia nei confronti di una figura cosi carismatica. Ancora, tale gesto ha revocato in
dubbio e lasciato aperta la questione della legittimità del potere politico di “uno solo”. Cesare e
Bruto(ma anche Antonio) sono diventati veri modelli della politica e della storia. Si può affermare
che al centro del Giulio Cesare si ponga il tema del potere del suo esercizio e delle sue
conseguenze per le vite degli uomini. Ma anche la metamorfosi dell’io all’interno dell’intreccio
problematico tra il piano morale e quello politico. Cesare incarna il “potere” infatti l’idea della
politica come “recita del potere” è alla base del teatro Elisabettiano. S. modellerà il suo Cesare e gli
altri personaggi del dramma secondo l’immagine de un “teatro delle passioni” più che di
ricostruzione fedele di eventi storico-politici. Ne accentua alcuni tratti di debolezza e di crisi
dell’uomo cesare (come il suo egocentrismo) e lo fa suggerendo che cesare incarna le
contraddizioni che scaturiscono da un periodo di crisi che esso vive. La dimensione dell’eroismo e
della gloria viene costantemente ricondotta alle passioni meno “nobili” (ambizione,invidia).
Appare,in tal senso, significativa la separazione che S. attua tra l’uomo Cesare, affetto dalle
debolezze fisiche e morali, e il suo ruolo come condottiero e principe. E in effetti anche quando
Cesare muore il suo ruolo, il suo spirito continuano a dominare la scena. Dissocia quindi l’uomo e
il simbolo. Attua una separazione del significante (il nome Cesare) dalla persona di riferimento
prendendo cosi un’emblematicità simbolica del potere sovrano. Un corpo (naturale e mistico=
politico)quello di Cesare che resta in scena a lungo, un corpo dilaniato e sanguinante sul quale
Antonio terrà la sua celebre orazione di fronte al popolo romano. E di contro a tale materialità
risalta l’idealità e la presunta purezza delle ragioni che muovono Bruto e i suoi compagni
all’omicidio colpendo non il corpo ma lo spirito del principe romano. In effetti la figura di
Cesare hai loro occhi sembra rappresentare una minaccia all’integrità e alla salvezza della
tradizione repubblicana additato come tiranno che tende, sempre di più, a concentrare il potere nelle
sue mani. Bruto agisce secondo l’onore e afferma con fermezza che tale delitto sarà compiuto per il
bene comune.
5. Il teatro della parola e del riconoscimento questo dramma Shakespeariano sembra avere al
centro in tema della conoscenza dell’animo, delle passioni che muovono o muoveranno le azioni di
uomini politicamente significativi. E’ la tragedia del “riconoscimento” della capacità di
comprendere interpretare e leggere il comportamento e il pensiero dell’altro da sé. E’ nella sfera
del giudizio che si gioca l’esito e il destino delle vicende descritte. Un dramma che si esplicita su
piano del linguaggio, del discorso, della parola, tutto si incentra nel capire l’altro. Il valore e
l’identità di un uomo si rivelano attraverso le sue azioni, buone o malvagie, ma ora in un’ età in
crisi la sfera dell’interiorità dell’individuo sembra sempre più non poter coincidere con i suoi stessi
atti. S., nel Julius Caesar opera una doppia lettura della retorica: Da un lato intende restituirci
l’emblema della cultura latina nella quale l’arte della persuasione occupava un posto centrale,
dall’altra intende rappresentare una situazione etica e politica a lui contemporanea in cui la parola
tende a manifestarsi come strumento. Cassio persuade Bruto nel compiere quell’azione. Egli fa da
specchio all’animo e alla mente di Bruto al fine di provocarne una sorta di presa di coscienza
riguardo al delitto da commettere. La stessa persuasione è fatta da Decio (un congiurato) che porta
Cesare a leggere il sogno premonitore di sua moglie in chiave ottimistica.

Cap 3. “conosci te stesso”: il tema del riconoscimento nel Re Lear di Shakespeare

1. Tradizione pedagogico-morale del nosce te ipsum Il tema del “conosci te stesso” ha


attraversato l’intera tradizione occidentale. sopratutto nell’Apologia di Socrate in cui la conoscenza
di se stessi smaschera coloro che credono di sapere senza sapere realmente, ribadendo il principio
del filosofare come attività incessante, volta a un continuo ricercare, sempre aperto e emblematico.
E il riferimento iniziale che Socrate fa all’Oracolo di Delfi permette a lui di formulare in modo
nuovo il concetto di sapienza e di sapiente. Il precetto di Delfi viene considerato come l’unico vero
rimedio alla ridicola vanità di certi uomini che ritengono se stessi superiori ai loro simili, sotto il
profilo della sapienza. Il motivo del conosci te stesso è stato oggetto di molte interpretazioni da
Socrate sino ai successivi sviluppi del pensiero occidentale e cristiano, ancora durante in periodo
rinascimentale. Ora è stato intesi come monito dell’uomo a non peccare di superbia, ora come
richiamo morale e filosofico alla conoscenza e alla cura della sua anima.
CONOSCI TE STESSO  E’ stato inteso come un avvertimento per l’uomo di non superare i
propri limiti nei confronti della divinità, peccando di hybris (in PROTAGORA DI PLATONE
ALL’OPERA DEI 7 SAPIENTI. ESSA COSTITUIVA UNA SENTENZA INCISA SUL TEMPIO
DI APOLLO A DELFI.. Come richiamo morale e fil. Alla conoscenza e alla cura della parte
essenziale dell’uomo; la sua anima. Con lo stoicismo e nella riflessione cristiana ha acquistato
anche il senso di un ripiegamento sul proprio Io, in opposizione alle altre cose del mondo, come
ideale di SAGGEZZA. Con Agostino il tema assume il desiderio di ricerca di Dio, che l’uomo
trova nella sua coscienza.
2. Il nosce te ipsum tra Erasmo, Lutero e Montaigne all’interno della cultura umanistico-
rinascimentale troviamo in tema del nosce te ipsum (conosci te stesso) che acquista delle nuove
trasformazioni. Soprattutto con Erasmo, Lutero e Montaigne. Lutero ribadisce la totale incapacità
dell’uomo di leggere la volontà di Dio e di salvarsi in virtù delle proprie opere. Calvino sferra un
attacco contro la pretesa di conoscenza di se manifestata dagli umanisti quali Erasmo,
sottolineando, che solo la conoscendo Dio l’uomo è in grado di raggiungere qualche forma di
consapevolezza su se stesso. Erasmo collega costantemente passioni e ragione, volontà e passioni
che possono essere governate mediante l’esercizio di virtù quali: SAGGEZZA E TEMPERANZA.
Mentre in Montaigne questo tema percorre la sua intera riflessione. Nello stesso Lear si può
cogliere la riflessione del filosofo francese, sempre venata al pessimismo di fondo riguardo alla
condizione umana e alla capacità di conoscere se stesso. S. è stato sensibile a tale tema proveniendo
dalle grammar schools come pure dalla cultura fil. E letteraria del tempo.
3. Gli eroi di S. precipitano nella rovina poiché non hanno la capacità di leggere nel proprio e
nell’altrui animo. Essi falliscono proprio in merito alla conoscenza di se e del mondo. La questione
del conosci te stesso in S. è all’insegna di uno scetticismo di fondo, del problema dell’identità
dell’io, sia della natura della realtà. La prima segnata dalla fragilità e dall’insicurezza, la seconda è
accompagnata da una percezione ambigua della realtà.
4. Re Lear: Nosce te ipsum Re Lear è un dramma in cui S. ci fornisce un analisi sulla natura del
potere e dell’amore, ma è anche il dramma del riconoscimento degli esseri umani tra loro e
costituisce una riflessione sul rapporto padre-figli. Ma resta un dramma profondamente politico
proprio per il suo indagare sulla categoria del “politico” quello che genera legami tra esseri umani e
che si intrecciano sentimenti, passioni e impulsi. Sentimenti solo apparentemente politici ma che
entrano profondamente in gioco nel costruirsi stesso di ogni comunità umana:l’eros, l’amore
paterno, l’odio, la paura, l’ambizione,l’orgoglio, e la vergogna. Rappresenta anche una riflessione
sul dolore come strumento di conoscenza e sulla follia. Infatti S. ci mostra il percorso di Lear in
maniera pragmatica, si mostra un educazione sentimentale drammatica che conduce alla perdita di
sé e alla disperata riconquista di una diversa maniera di essere umani. Il rapporto tra padre e figli
acquista un valore su cui misurare il significato universale del legame dell’amore. L’incapacità di
riconoscere gli altri, i loro sentimenti e la loro identità, è correlato alla conoscenza di se stessi,
poiché solo attraverso la relazione con l’altro è possibile costruirsi come persona. La follia di Lear,
per esempio, nasce dalla percezione di non essere riconosciuto come re e come padre, essendo lui
stesso il primo a disconoscere l’amore per Cornelia, rendendo così evidente l’incapacità di
interpretare il suo universo emotivo e relazionale. Solo attraverso il dolore e solo dopo aver
innescato dinamiche di violenza Lear potrà attingere in modo incerto e emblematico ad una forma
di consapevolezza anche se ancora segnata dalla fragilità. Il dolore che porta Lear ad un
cambiamento si può interpretare come una traumatica regressione ad una condizione di estrema
fanciullezza, fragilità e vulnerabilità che a tratti ha il carattere del delirio. E tuttavia questa
regressione è illuminata dall’amore: Lear scopre un sentimento di vero amore dentro si sé e
comincia a percepirlo negli altri. All’inizio del dramma Lear ci appare come un vecchio sovrano
desideroso di adulazione, dominato dall’ira ma via via, attraverso il vacillare di ogni certezza,
comincia a fare esperienza di un universo passionale e affettivo del tutto nuovo e le passioni e l’ira
lasciano il posto all’amore. Egli diventa capace di provare sentimenti che testimoniano un
cambiamento avvenuto in lui.
5. Chi sa dirmi chi sono? L’eclissi della libertà Il dramma inizia con il re che volontariamente
divide il regno tra le sue 2 figlie ma che poi precipiterà nella perdita di sé dovuta alla messa in crisi
dell’essere re che si trasforma nella messa in questione della stessa identità, non solo di sovrano, ma
anche di uomo. Anche se ha ceduto il regno alle figlie resta comunque il re, perchè sembra
suggerirci S. un re non sarebbe in grado di fare altro. Egli verrà privato della sua regalità proprio
dalle sue 2 figlie e lo porteranno alla follia. Fool è l’unico che gli parla dicendogli la cruda verità
della sua condizione. S. introduce con ironia questa sua presa di coscienza della perdita della sua
regalità e della sua identità paterna (uomo= animale politico secondo Aristotele). Andava in
frantumi anche l’intera dimensione politica e familiare dell’epoca: i legami fondati sul sangue,
prima che politicamente.
6. Il significato della follia nel Lear Il tema della follia ( è un tema molto antico che affonda le sue
radici all’interno della cultura umanistico-rinascimentale) : due esempi sono L’Aiace di Sofocle e
l’Hercules euripideo. Dal punto di vista fil. Nella tradizione del pensiero occidentale vi è invece
l’idea di Platone  che parlando di follia la collega alla condizione di delirio del poeta, nella
creazione poetica, ispirato dalla divinità. La follia, ricorre spesso nella poetica di S. la condizione di
follia sembra oscillare tra due figure, quella dell’”idiota del villaggio” (ossia folle “naturale”) e
quella del buffone di corte ( che è tale per convenzione) ma esistono anche altre interpretazioni
accomunate però dal fatto di essere privi della loro wit (raziocinio,spirito).
7. S. nelle sue opere ci presenta molteplici facce della follia, incarnate diversamente da una serie di
personaggi. Ma solo nel Lear S. abbia realmente riflettuto sul tema della follia, mostrandone la
complessità e il suo essere intrecciata con la condizione umana. Mai come nel Lear si avverte il
senso di perdita della centralità dell’uomo nell’universo e il senso di quella crisi. E in un tormentato
processo conoscitivo tende a manifestarsi uno sdoppiamento del personaggio di Lear nella figura
del suo fedele buffone, il Fool. I dialoghi tra Lear e il Fool possono essere letti come fasi di un
dialogo socratico in cui il Fool assume il ruolo di educatore e suscitatore di verità. Infatti sarà
proprio il Fool a far riflettere il re sul suo falso giudizio in merito alle proprie figlie. A S. sta a cuore
in particolare la dimensione festiva del linguaggio della follia: l’utilizzo di indovinelli,giochi di
parole, doppi sensi e canzoni. Infatti il Fool va a collocarsi all’interno di un doppio registro
discorsivo: da un lato si muove come personaggio, dall’altro egli appare costantemente fuori e
funge da intermediario tra scena e pubblico. Come se il Fool fosse un alter ego del Lear. Come se
con questo sdoppiamento il personaggio del Lear scopre una verità su se stesso nel tentativo di dare
un senso alla sua disperazione. Il Fool mantiene una funzione di “specchio” del potere mostrando al
sovrano i segni della sua follia.
8. il filosofo statunitense Stanley Cavell ha visto nel Lear la tematica dell’elusione dell’amore
mostrando un ampia parte della condotta di Lear sia contrassegnata dall’incapacità di riconoscere
l’amore delle persone a lui vicine. Il “lessico” famigliare e sentimentale di Lear si è costruito sulla
base del lessico politico della sovranità, attraverso una relazione con l’altro scandita dal suo ruolo di
monarca. Lear rapporta anche il sentimento e il voler bene al potere e quindi quando Cordelia gli
offre il “nulla” manda in crisi il re perché Cornelia sta esprimendo qualcosa di vero e autentico che
egli non è preparato ad accettare. Per Lear l’offerta di beni materiali si intende per dimostrazione
d’amore, poiché quello è il suo metro di valutazione per poter valutare la benevolenza delle proprie
figlie.
9. uno degli elementi focali di Re Lear è la particolare natura tragica della vicenda. S. e altri
drammaturghi elisabettiani violarono molte regole del classicismo.
-Un primo elemento è l’eroe tragico: nella tradizione classica era caratterizzato da tratti di nobiltà,
mentre come vediamo nel Lear il re viene presentato sotto una luce antieroica.
-al centro si pone il tema della sofferenza umana come tale, nella sua universalità, intesa come
condizione ineliminabile dell’esistenza e che nessun Dio è in grado di lenire.
-tutti i legami appaiono spezzati e tutto ciò che veniva chiamato legge divina, legge umana si
corrompe e si sgretola. L’intero ordine sociale, a partire dalla famiglia fino ad arrivare al regno, va
in pezzi.
10. la tragedia è imitazione non di uomini ma di azioni e di modo di vita. Non si agisce per imitare i
caratteri ma si assumono i caratteri a motivo delle azioni. “senza azione non può esserci tragedia,
senza caratteri può esserci”. Ed è il caso di Edipo, uomo considerato sapiente e virtuoso eppure
autore si atti (l’uccisione del proprio padre e l’unione carnale con la madre) che ne evidenziano una
colpa morale. La differenza tra Edipo e il R e Lear risiede in una diversa concezione della colpa.
Nel caso di Edipo la relazione tra carattere, colpa morale e azione risulta meno astringente perchè
nasce da una catena di eventi che trascende dalla sfera individuale e che tocca vicende inerenti alle
colpe dei propri padri. Ma il riconoscimento di Edipo della proprio colpa conclude il dramma
secondo una circolarità temporale che non da vita ad una trasformazione profonda del personaggio,
portatrice di un diverso stato etico- morale. Nel Lear la categoria del riconoscimento assume una
rilevanza più sostanziale, che non si esaurisce con la dinamica del rovesciamento di sorte, ma va ad
agire nel profondo della personalità dissolvendo e disarticolando codici morali e valori di
riferimento (quelli del Lear-re).

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