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Shakespeare e Il Teatro Del Riconoscimento
Shakespeare e Il Teatro Del Riconoscimento
L'universo poetico di Shakespeare ci appare come uno specchio della natura umana, nella sua
integralità di aspetti; attraverso la rappresentazione dei caratteri umani, ci restituisce una visione
dell'umano in cui virtù e vizi si intrecciano, rappresentandone le contraddizioni più intime ma anche
le possibili metamorfosi ed in questo modo ci proietta all'interno del pensiero pedagogico. La sua
poetica nasce da contrastanti visioni dell'uomo e del mondo, accogliendo la concezione
dell'ideologia Tutor (di matrice medievale), basata sul principio gerarchico di autorità, ma al
contempo appoggia la presenza di codici culturali nuovi, facendo affiorare un antropocentrismo
(proprio della tradizione umanistica). Dal forte senso di instabilità ontologica dell'uomo si
comprende l'istanza di ordine pedagogico-educativo, riconoscendo a quest'ultimo la plasmabilità, e
dunque la mobilità e possibilità di trasformazione. Per far ciò egli utilizza il linguaggio
drammatico e affronta temi sull'educabilità e plasticità dell'uomo. Nelle sue commedie, ma
soprattutto tragedie, S. descrive le SITUAZIONI-LIMITE, tra umano e non umano, umanità e
animalità, mostrandoci in maniera sottile le possibili derive dell'uomo e dunque il venir meno di
quella DIGNITA' che è suo prerequisito. Ciò lo si vede nello SHYLOCK de IL MERCANTE DI
VENEZIA, figura torva di usuraio, privo di scrupoli, ma che nonostante ciò riesce a suscitare in noi
empatia ed interesse. A costui la comunità non attribuisce alcun grado di umanità, anzi di dignità
umana; egli viene annullato come persona, imponendogli una conversione forzata al cristianesimo
sotto il ricatto della rovina economica. Lo stesso Shylock adegua questa visione e considerazione al
suo prossimo, esprimendo disprezzo per l'altrui considerazione. Ciò accade anche nel RE LEAR,
nel quale viene descritto il processo di spoliazione della regalità, che conduce il vecchio sovrano
ad una progressiva degradazione di sé, tale da annullare la sua esistenza e a far sorgere in lui una
profonda meditazione sul valore dell'uomo all'interno dell'ordine della natura. Secondo Re Lear,
l'uomo spogliato da ogni dignità si avvicina alla condizione di animalità.
Montaigne aveva avvicinato sempre di più i confini dell'umano e dell'animalità. Nell'opera DES
CANNIBALES, egli individua ciò che rende peculiare l'essere umano, riconoscendolo nella sua
capacità di soffrire, provare dolore e morire. L'uomo è tale non solo in virtù della sua ragione ed
intelletto, ma anche in virtù del suo SENTIRE. S. mette in crisi le tradizionali forme di
identificazione (rango, nobiltà di sangue e regalità), poiché appaiono incapaci di offrire stabili
garanzie al riconoscimento di sé e della propria dignità e umanità. L'uomo è proiettato entro un
orizzonte di precarietà, di instabilità ontologica. Ogni uomo, suddito o potente che sia, è perciò
inserito in un contesto che prevede la possibile METAMORFOSI, generando una visione
antropologica immanentistica inserita nella dimensione naturale. Un altro autore, che ci offre una
visione inerente alla naturalizzazione dell'umano è Machiavelli (rinascimento), la sua visione è
priva di qualsiasi fondamento teologico, che aveva tradizionalmente giustificato il senso e l'ordine.
La dimensione dell'animalità costituisce una costante possibilità per l'essere umano e nella sua
concezione vi è una sorta di rovesciamento tra umanità ed animalità. Ne IL PRINCIPE, egli
suggerisce di adottare un paradigma di azione politica ispirato alla metafora della golpe e del
lione. L'animalità è un nuovo modello, pensata in termini di pura efficacia. S. si avvicina al tema
della perfettibilità dell'uomo, partendo dalla problematizzazione della dignità umana. Come già
detto S. tende maggiormente a sottolineare i limiti di tale dignità, come lo si evince dalle parole di
AMLETO (“Eppure co'sè -riferendosi all'uomo- agli occhi miei questa quintessenza di polvere?”).
Queste parole sono un eco del manifesto dell'umanesimo europeo, così come nell' ORATIO DE
DIGNITATE HOMINIS, di Pico della Mirandola. Quì parlando dell'uomo, coglie in lui una
varietà di semi, che gli conferiscono una potenzialità peculiare: quella di inserirsi in una specifica
posizione all'interno dell'universo ---> la germinazione degli spiriti bestiali ed angelici è del tutto
libera e ciò rende unico l'uomo, ovvero la facoltà della libera scelta (essa reca in sé anche il male).
Il tema dell'esaltazione della grandezza dell'uomo, non è limitato esclusivamente all'Umanesimo ed
al Rinascimento, ma ha radici assai antiche, basti pensare all'ANTIGONE di Sofocle o al mito di
Prometeo di Eschilo. La superiorità dell'uomo è evidente anche nella GENESI ed in altri luoghi del
Vecchio Testamento, da qui si deve l'idea dell'uomo nella sua condizione di creatura creata e
formata a immagine di Dio, un Dio fattosi uomo in Cristo, attraverso il mistero dell'Incarnazione.
Nella visione cristiana vi sono però anche visioni orientate al pessimismo antropologico, come
accade nell'ultimo Agostino, attraverso l'accentuazione della corrotta natura dell'uomo. Pensatori
neoplatonici quali Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, definiscono tale dignità nei termini del
posto occupato dall'uomo all'interno dell'universo; metafisica dell'universo. Ficino assegna all'uomo
una posizione fissa, posta al centro dell'universo, mentre Pico assegna a quest'ultimo una natura
assai più mobile (vedi su). Pico valorizza in termini pedagogici la capacità dell'uomo di essere
educato a realizzarsi perseguendo quelle possibilità e virtù in grado di promuovere in lui quella
piena valorizzazione della dignità umana. La visione dell'uomo che emerge dai drammi di S., è
legata maggiormente ad uno scetticismo, rispetto allo spirito umanistico-rinascimentale di Pico;
proprio per questo vi sono numerose analogie piuttosto con Montaigne. M. afferma che la
presunzione dell'uomo è una sua malattia originaria e naturale e costui è la creatura più fragile e
calamitosa, ma la più orgogliosa (Legame tra pensiero di M. e S. nell'Amleto). S. sceglie di
rappresentare le sue opere in una condizione di particolare criticità, dove i suoi personaggi sono
esposti al conflitto fra bene e male, segnati da sofferenze e dolori. Il dolore evidenzia l'umana
dignità dell'individuo, caduto in una situazione di disperazione. Si tratta di persone che hanno avuto
condotte e comportamenti riprovevoli, ma che trovano attraverso il dolore, un modo di affermare la
propria dignità. La valorizzazione della dignità umana si accompagna al riconoscimento della
natura imperfetta dell'uomo e dei suoi limiti. E' presente una vera e propria DINAMICA
DELLE PASSIONI IN COSTANTE AMBIGUITA'. Un esempio è quello del personaggio Bruto
nel JULIUS CAESAR, egli trova dignità nel finale del dramma, quando prende coscienza di avere
una fatale colpa sia morale, che politica, nell'aver ucciso Giulio Cesare, egli si toglie la vita
accettando di riconoscersi sconfitto sia dalla Storia, che dal proprio fallimento etico-morale. La
stessa cosa avviene al re Lear, che rinnega la sua figlia più amata così come fece il suo ministro
(Gloucester). G. subirà un accecamento di ambo gli occhi, e Lear sarà in preda di una cecità mentale
molto profonda. Tramite l'annichilimento di sé, riescono a riconoscere l'altro da sé e a comprendere
cos'è l'amore, ritrovando la propria dignità. Anche la figura tragica di RICCARDO II, ci fa
comprendere ciò; egli, personaggio vile, colpevole di aver tramato l'omicidio dello zio, per
impossessarsi della corona, ma che subisce un brusco declino. La detronizzazione della sua persona
sacra di re è un vero e proprio dramma, egli riscoprirà la propria dignità durante la sua prigionia,
prima di essere assassinato da un vicario; tale dignità deriva dal coraggio che trarrà dalla coscienza
della vanità del potere e del vuoto che si annida nel simbolo della corona.
2.1 La pedagogia dell'umanesimo inglese del XVI secolo e le fonti del linguaggio
shakespeariano
Gli umanisti inglesi hanno abbracciato sia:
-la tradizione classica di pensiero greco-latino
-alcuni temi portanti del neoplatonismo, grazie a pensatori quali: Erasmo da Rotterdam e Thomas
More
fecero propria l'idea di una INTRINSECA PERFETTIBILITÀ DELL'UOMO, intendendo la sua
capacità di plasmarsi e rimodellarsi in continuazione, in rapporto alla società e cultura presente.
Il concetto di formazione ed autoformazione indica sia l'azione transitiva di educare, che l'idea del
farsi, dell'autocrearsi formando il proprio IO. Ci troviamo di fronte ad un orientamento
pedagogico denominato: REINASSANCE SELF-FASHIONING. La tesi tipica dell'educazione
umanistica implicava che l'educazione integrale dell'uomo potesse essere attinta mediante il libero
svolgersi di tutte le potenzialità dell'uomo, sia fisiche che mentali, avendo come modello quello di
HUMANITAS (concetto della tradizione filo. Greca ad opera dello stoicismo). Cicerone, fu colui,
che contribuì più di chiunque altro allo sviluppo di tale nozione. Tale concetto indica:
⁃ quel principio morale oggettivo proprio dell'uomo contrapposto all'utile personale, dal quale
scaturisce il dovere
⁃ la natura umana universale, che va riconosciuta a ciascun uomo in quanto tale.
In questo senso si parla di communis humanitas, la naturale solidarietà degli uomini con altri
uomini. Accanto alla nozione di humatias, l'altro elemento che l'umanesimo inglese assimilerà
dall'umanesimo italiano, sarà quello di STUDIA HUMANITATIS, indicando le discipline della
grammatica, retorica, poesia, storia, e pian piano anche la filo. Morale. Erasmo e Thomas More,
innestarono gli studia humanitatis nella configurazione propria della società italiana del '400. Tutto
ciò, a cominciare dal linguaggio e dal buon uso della parola, era necessario ai fini di una formazione
umana completa. Ci fu una riscoperta di quelle che nel Medioevo erano le materie che costituivano
il trivio: grammatica, retorica, logica. La retorica, nello specifico, diventa tra XV e XVII secolo,
parte integrante di un ampio processo di elaborazione del sapere, esprimendolo attraverso l'arte del
discorso. La retorica per questo motivo faceva uso sia della grammatica, che della dialettica,
utilizzando la prima per lo studio della sintassi e la seconda per l'uso delle forme linguistiche
(sillogismi, massime e analogie), strumenti di persuasione. Tale istanza pedagogica, esigeva di
un'istruzione umanistica, che portò alla nascita nel XV secolo delle Grammar Schools (dai 12 anni
in su) Anche ad Oxford e Cambridge si iniziò ad insegnare retorica e grammatica; Dopo aver
studiato gli EXEMPLA dei classici, gli allievi dovevano dimostrare di saper creare qualcosa di
loro. Ci fu una vera e propria riscoperta della lingua latina, recuperando la valenza critica e la
filologia, distaccandosi dall'uso acritico fattone durante il Medioevo; questo sviluppo e crescita,
arricchirono il vocabolario della lingua inglese. L'idea di base che animava tali scuole era che: tra i
contenuti filosofici, storici e morali dei testi classici e la loro forma letteraria vi fosse un nesso e
quindi tramite l'apprendimento delle strutture retoriche, ling. E grammaticali, fosse possibile
assimilare meglio gli ideali di saggezza riposti. All'interno di questi percorsi di formazione era
centrale l'apprendimento dell'Arte di scrivere le epistole, il cui modello di base era il MODUS
CONSCRIBENDI EPISTULAS, di Erasmo. Si tratta di lettere-modello, da ricopiare, grazie alle
quali era possibile sviluppare la capacità di scrittura. Di particolare rilevanza sono le orazioni tratte
da Cicerone e Quintiliano. I loci proverbiales, rappresentano secondo Erasmo una condensazione
di sapere filo, popolare e tradizionale, moralità e persuasione, valenza pedagogica e didascalica. La
dimensione dell'eloquenza, reca in sé una cura dell'anima, che prevale in due ambiti:
⁃ l'educazione della parola, che richiama alla propria interiorità, è nel profondo di essa che
l'individuo può trovare Dio (in senso agostiniano), essa è colloquio con se stessi, ma non
chiusura al mondo.
⁃ La parola intesa come SERMO, ci introduce nella sfera sociale, della comunicazione con l'altro,
della vita civile.
E' chiaro dunque, che il linguaggio è stato posto al centro dell'educazione umanistico-rinascimentale
e che tramite il suo utilizzo, l'uomo, animale sociale, dialoga con i suoi simili e tramite ciò
costituisce leggi, arti, scienze, filosofie. E' necessario che egli sviluppi la padronanza della parola,
ma che allo stesso tempo si nutra di contenuti, affinché non vi sia una vuota esibizione di abilità
oratorie. Si pone dunque il rapporto tra retorica ed altre scienze, filo. Morale per prima. Nella civiltà
rinascimentale e tardo rinascimentale, si colloca l'ideale dell'homo loquens, colui che deve stabilire
una relazione tra conoscenza e virtù, utilizzando una vera e propria capacità discorsiva e persuasiva.
Appare molto forte il richiamo a Cicerone e alla fiducia riposta nella forza persuasiva della parola
( diretta relazione con la dimensione della saggezza). E' soprattutto la filosofia morale a costituire
l'ambito privilegiato per l'esercizio del discorso, per il suo procedere e cogliere vizi e virtù, non
solo quindi la sua capacità persuasiva, ma anche la possibilità di educare le passioni.
Saggezza ed eloquenza rappresentano le qualità peculiari dell'oratore, il cui fine non è tanto
conoscere il bene, ma è spingere gli altri al bene. Saggezza è: autoconoscenza, moderazione,
razionalità, controllo. Al centro dell’educazione e della cultura umanistico-elisabettiana vi è
dunque la padronanza della parola come segno di padronanza di sé come sogg. Morale in
relazione alla saggezza. L’eloquenza spinge al bene.
Cap 2: Il julius Caesar e la funzione pedagogica della storia: teatro della politica e teatro delle
passioni
1.L’educazione del principe e il valore ped. Della Storia come fonte di exempla
L’umanesimo inglese sviluppò una tradizione filosofico-letteraria: quella dello speculum principis
all’interno della quale venivano discussi l’educazione dei governanti e gli elementi necessari ai fini
della realizzazione di un governo fondato sulla virtù. Il concetto di “specchi” (speculum) consiste
nel presentare ai principi un ‘immagine moralmente ideale, spronandoli a riflettere su essa. E’ cosi
che nell’educazione del principe assumono sempre più importanza lo studio delle atri
liberali( retorica,grammatica,storia ecc) intese come requisiti essenziali per coloro chiamati ad
amministrare. Cicerone individua le 4 virtù cardinali: giustizia, sapienza, fortezza, temperanza.
Violenza e frode sono da evitare. Come si è già visto M. invece rovescia la posizione di C. Come
sostiene Erasmo: non puoi essere un principe se non sei un fil. Un altro grande tema è quello del
rapporto esistente tra virtù personali e pubbliche. Il principe è nato per lo Stato.
2.Il valore ped. Della Storia romana nel teatro shakespeariano Ad entrare in crisi però è anche
la stessa concezione unitaria della natura umana, che determineranno una metamorfosi nel modo di
concepire il rapporto tra individuo e società politica, tra politica e morale, tra sfera privata e
dimensione pubblica. I drammi storici di S. possono essere interpretati aventi in sé una costante
riflessione in merito alla natura del potere politico e dei suoi effetti. All’interno di tali drammi
trovano un ruolo particolare i cosiddetti “ roman plays” ossia le opere che trattano temi della storia
di Roma. Il rapporto con le classicità antica è un’occasione di porre al centro della sua scrittura
questioni cruciali di carattere etico-politico,storico ma anche pedagogico-educativo distaccandosi
dalla sua realtà attuale della Storia dell’Inghilterra, che vive un periodo travagliato tra XIV e XVI
sec. Vuole proiettare il tema entro una prospettiva universale, valida in un lontano passato come nel
presente.
3. L’inghilterra elisabettiana e il mondo classico l’interesse per il mondo classico e soprattutto
per la storia di Roma risultava gia consolidato per 2 ragioni:
- L’idea di una presunta identificazione delle origini dell’Inghilterra con il mito della derivazione di
Roma dalla antica troia
-La centralità che aveva nella educazione e nella formazione culturale della società inglese lo studio
della lingua latina e il culto della “romanità”. Gli studiosi inglesi del 500 inoltre leggevano la storia
romana come fonte di modelli di strategie militari, nonché forme di governo ideali e come recante
in sé veri e propri esempi di virtù etico-politiche. Lo studio del greco invece non aveva lo stesso
valore del latino. Lo stesso S. tende a rappresentare i personaggi della storia greca sotto una luce più
“fosca” . La Roma repubblicana rappresentava per gli inglesi un modello di virtù politica ed etico-
morale da perseguire ma messo in crisi dalla crescente discordia nascente nella repubblica di Roma.
E’ dunque evidente l’elemento di natura ped. Nell’uso dell’Antico.
4. Il Julius Caesar come teatro delle passioni Entro tale contesto storico-culturale va,dunque ,
collocato il Julius Caesar. E’ indubbio che S. si trovò ad affrontare una tematica già fortemente
mitizzata. Pochi personaggi storici infatti possiedono una cosi complessa rilevanza simbolica e
politica, certamente la sua morte, ma ancora di più le sue gesta, hanno assunto un significato di
vasta portata diventando un evento quasi mitico. Un evento destinato a essere letto come
“uccisione” del tiranno mentre ora al contrario come puro atto di violenza politica oppure da un
sentimento di invidia nei confronti di una figura cosi carismatica. Ancora, tale gesto ha revocato in
dubbio e lasciato aperta la questione della legittimità del potere politico di “uno solo”. Cesare e
Bruto(ma anche Antonio) sono diventati veri modelli della politica e della storia. Si può affermare
che al centro del Giulio Cesare si ponga il tema del potere del suo esercizio e delle sue
conseguenze per le vite degli uomini. Ma anche la metamorfosi dell’io all’interno dell’intreccio
problematico tra il piano morale e quello politico. Cesare incarna il “potere” infatti l’idea della
politica come “recita del potere” è alla base del teatro Elisabettiano. S. modellerà il suo Cesare e gli
altri personaggi del dramma secondo l’immagine de un “teatro delle passioni” più che di
ricostruzione fedele di eventi storico-politici. Ne accentua alcuni tratti di debolezza e di crisi
dell’uomo cesare (come il suo egocentrismo) e lo fa suggerendo che cesare incarna le
contraddizioni che scaturiscono da un periodo di crisi che esso vive. La dimensione dell’eroismo e
della gloria viene costantemente ricondotta alle passioni meno “nobili” (ambizione,invidia).
Appare,in tal senso, significativa la separazione che S. attua tra l’uomo Cesare, affetto dalle
debolezze fisiche e morali, e il suo ruolo come condottiero e principe. E in effetti anche quando
Cesare muore il suo ruolo, il suo spirito continuano a dominare la scena. Dissocia quindi l’uomo e
il simbolo. Attua una separazione del significante (il nome Cesare) dalla persona di riferimento
prendendo cosi un’emblematicità simbolica del potere sovrano. Un corpo (naturale e mistico=
politico)quello di Cesare che resta in scena a lungo, un corpo dilaniato e sanguinante sul quale
Antonio terrà la sua celebre orazione di fronte al popolo romano. E di contro a tale materialità
risalta l’idealità e la presunta purezza delle ragioni che muovono Bruto e i suoi compagni
all’omicidio colpendo non il corpo ma lo spirito del principe romano. In effetti la figura di
Cesare hai loro occhi sembra rappresentare una minaccia all’integrità e alla salvezza della
tradizione repubblicana additato come tiranno che tende, sempre di più, a concentrare il potere nelle
sue mani. Bruto agisce secondo l’onore e afferma con fermezza che tale delitto sarà compiuto per il
bene comune.
5. Il teatro della parola e del riconoscimento questo dramma Shakespeariano sembra avere al
centro in tema della conoscenza dell’animo, delle passioni che muovono o muoveranno le azioni di
uomini politicamente significativi. E’ la tragedia del “riconoscimento” della capacità di
comprendere interpretare e leggere il comportamento e il pensiero dell’altro da sé. E’ nella sfera
del giudizio che si gioca l’esito e il destino delle vicende descritte. Un dramma che si esplicita su
piano del linguaggio, del discorso, della parola, tutto si incentra nel capire l’altro. Il valore e
l’identità di un uomo si rivelano attraverso le sue azioni, buone o malvagie, ma ora in un’ età in
crisi la sfera dell’interiorità dell’individuo sembra sempre più non poter coincidere con i suoi stessi
atti. S., nel Julius Caesar opera una doppia lettura della retorica: Da un lato intende restituirci
l’emblema della cultura latina nella quale l’arte della persuasione occupava un posto centrale,
dall’altra intende rappresentare una situazione etica e politica a lui contemporanea in cui la parola
tende a manifestarsi come strumento. Cassio persuade Bruto nel compiere quell’azione. Egli fa da
specchio all’animo e alla mente di Bruto al fine di provocarne una sorta di presa di coscienza
riguardo al delitto da commettere. La stessa persuasione è fatta da Decio (un congiurato) che porta
Cesare a leggere il sogno premonitore di sua moglie in chiave ottimistica.