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KANT
KANT
1. Ragione e libertà.
Il pensiero politico di Kant esprime le istanze più vive del razionalismo e del giusnaturalismo e intende
indicare i principi e valori ai quali informare l’opera di riforma delle monarchie tedesche fondate su un
ordinamento aristocratico-feudale.
Lo scritto nel quale Kant svolge una esposizione sistematica del suo pensiero politico è la Metafisica dei
costumi redatta alla luce delle conclusioni cui era pervenuto nelle sue tre opere filosofiche, Critica della
ragion pura, Critica della ragion pratica e Critica del giudizio.
La filosofia indica in Kant le premesse e i principi che ci consentono di conoscere la politica, cioè di
concepire i comportamenti degli individui.
La politica è intrinsecamente connessa alla ragione, non ne può essere scissa.
La conoscenza si fonda indubbiamente sull’esperienza empirica (come aveva precisato Hume) ma le
sensazioni sono un materiale grezzo che viene plasmato e ordinato dalla ragione.
L’analisi kantiana dimostra che sussistono forme a priori dell’intuizione sensibile, concetti e idee
dell’intelletto e della ragione che non si possono ricavare dall’esperienza empirica ma sono connesse con il
processo mediante cui si realizza la conoscenza e sono le uniche condizioni che rendono intellegibile
l’esperienza. Queste forme a priori dell’intuizione sensibile non ci consentono di conoscere ciò che è al di
fuori dell’esperienza: essi hanno un valore trascendentale e non trascendente, che si riferisce ad una realtà
metafisica. Gli oggetti della conoscenza, i fenomeni, sono i prodotti della nostra facoltà razionale: è la
ragione che crea gli oggetti nella loro dimensione fenomenica, la sola che può essere conosciuta.
La filosofia ha il compito di precisare poteri e limiti della ragione: essa si presenta come una critica, cioè
come una revisione sistematica del fondamento della ragione, assumendo un posizione dichiaratamente
polemica nei confronti del dogmatismo, cioè di quelle concezioni filosofiche che si rifanno a “concetti”. La
conoscenza scientifica fondata sui giudizi sintetici a priori è possibile a patto che la ragione non registri
passivamente i dati che riceve dall’esperienza empirica. In tal caso, la ragione sarebbe in tutto e per tutto
determinata dalla serie di sensazioni, di fenomeni, quali si susseguono in natura; la ragione sarebbe essa
stessa un fenomeno della natura, caratterizzata da una continua ripetizione di quanto accade secondo la serie
ciclica dei fenomeni naturali.
La ragione si toglie dal determinismo della natura ed è costitutivamente libera: l’atto del conoscere è libertà.
La libertà in quanto fenomeno teorico della ragione deve trovare un riscontro sul piano politico come diritto
di discussione e critica riconosciuto a tutti.
La legge morale conferisce all’individuo la personalità cioè lo rende autonomo e indipendente dal
meccanismo della natura.
La caratteristica principale che Kant attribuisce alla legge morale è la sua “purezza”, dato che nella sua
determinazione non può intervenire alcun elemento che appartenga al mondo della sensibilità. La legge
morale non può essere assunta in vista del perseguimento di alcun interesse e quindi non deve avere alcun
rapporto con i nostri impulsi, desideri, sentimenti. L’unico sentimento che corrisponde alla legge morale è
quello del dovere che ci innalza al di sopra di tutto il mondo sensibile e ci libera dal meccanismo della
natura: perciò l’uomo deve rispettare in se stesso e negli altri la sua umanità e non deve considerare sé o gli
altri come mezzi ma solamente come fini.
3. Morale e diritto.
La legge morale è il fondamento dell’agire pratico, ciò che lo rende intellegibile come un tutto coerente e
sistematico e funge da premessa delle considerazioni che attengono al comportamento dell’individuo volto a
conseguire la felicità. Egli distingue il bene morale dalla felicità e il primo deve avere l’assoluto primato
sulla seconda.
La felicità è il godimento durevole delle vere gioie della vita. Quello che dobbiamo fare per conseguire la
felicità ci viene indicato solo dalla personale esperienza e non può essere determinato a priori.
I precetti di prudenza che sono finalizzati al conseguimento della felicità sono ricavati dall’esperienza ed
hanno un valore di regola generale ma non di principi universali e quindi consentono eccezioni.
I precetti si riferiscono al comportamento degli individui volti al conseguimento della felicità, ai costumi
intesi come maniera e modo di vivere. La metafisica dei costumi è quella disciplina che, sulla base dei
principi della legge morale studia i rapporti che intercorrono tra la morale e il diritto in quanto regola le
azioni esterne degli individui. La distinzione tra la morale e il diritto si fonda sul principio che la prima si
riferisce alla determinazione interiore mentre il secondo riguarda la disciplina dell’azione esterna.
Nella legge sussistono due elementi: il primo è l’obbligo, in quanto si presenta come dovere, il secondo è
l’impulso, che determina l’individuo a compiere il dovere. Quando l’impulso si identifica con il dovere ci
troviamo di fronte alla legge morale, quando scaturisce da un principio diverso dal dovere abbiamo una legge
giuridica.
Alla morale e il diritto corrispondono la volontà e il libero arbitrio. La volontà è la determinazione che si
riferisce al principio che regola l’azione, mentre l’arbitrio alla possibilità di attuare l’azione. La volontà è
libera in quanto si adegua al principio secondo cui deve determinarsi. La volontà dinnanzi alla legge morale
non ha possibilità di scelta: deve seguire la legge morale. L’arbitrio invece può essere detto libero in quanto
si riferisce alla possibilità di compiere o non compiere l’azione ad opera delle vere e proprie scelte.
L’arbitrio è la facoltà che corrisponde alla legislazione esterna, al diritto, e deve essere considerato libero.
Date queste premesse, il diritto si riferisce alle azioni esterne degli individui e tra gli stessi individui e
consente la coesistenza di più individui. Il diritto è l’insieme delle condizioni per mezzo delle quali l’arbitrio
di uno può accordarsi con l’arbitrio di un altro secondo una legge universale di libertà.
Il principio di libertà consente di individuare l’altro elemento fondamentale del diritto, cioè la coazione che
si presenta come l’uso della forza, della costrizione, per impedire la libertà esterna che non si accordi con la
legge universale di libertà. Il diritto stretto, cioè quello che si riferisce alle azioni esterne, si fonda
sulla possibilità di costrizione esterna che possa coesistere con la libertà di ognuno secondo leggi generali.
La grande divisione del diritto, in quanto venga considerata come scienze sistematica, è quella tra diritto
naturale (che riposa su principi a priori) e diritto positivo (che promana dalla volontà del legislatore). Il
diritto naturale è uno solo, la libertà dalla quale deriva l’uguaglianza (io posso essere costretto a fare solo ciò
che a mia volta posso costringere l’altro a fare).
Il potere legislativo promana dalla volontà collettiva del popolo dato che solo in questo caso vengono
garantite la libertà, l’uguaglianza, l’indipendenza dei singoli che concorrono con il loro consenso alla
formazione della legge. La partecipazione degli individui al potere legislativo avviene tramite un organo
rappresentativo alle cui elezioni sono ammessi solo i cittadini attivi cioè che non si trovano sottoposti a chi
può influire sulle loro scelte politiche.
Le forme di governo per Kant sono tre: autocrazia, aristocrazia e democrazia. Queste sono caratterizzate
rispettivamente dal comando di uno su tutti, di alcuni su tutti e di tutti su tutti. La forma più semplice è la
prima, la più complessa è l’ultima in quanto implica la volontà di tutti per formare un popolo, la volontà del
popolo per dar vita a una repubblica e la volontà collettiva per attribuire il potere sovrano a un determinato
corpo politico.
Si noti che Kant preferisce autocrazia al termine monarchia, in quanto la monarchia non detiene il proprio
potere sovrano, ma deve essere invece considerata rappresentante dello stesso potere politico.
7. Stato e rivoluzione.
Kant aderisce agli ideali di rinnovamento culturale e politico della rivoluzione francese. Nonostante tutti gli
errori e dolori che sono connessi con avvenimenti del genere, la rivoluzione ha suscitato nei popoli
entusiasmo e fiducia nella possibilità del progresso dell’umanità. Ma il principio sul quale si fonda la
rivoluzione, il diritto di resistenza attiva al governo, a chi rappresenta lo Stato, non può essere accolto in uno
stato di diritto, se lo fosse scardinerebbe tutta l’organizzazione politica. Il popolo non può ergersi a giudice
del suo sovrano, né può usare forza contro di lui in quanto automaticamente distruggerebbe l’autorità
sovrana riportando la società civile alla società di natura e annullandosi come popolo, cioè come entità
fondata sul diritto.
Ciò non significa affermare il principio della immodificabilità della costituzione ma che le riforme possono
essere promosse solo dal sovrano. Può essere ammessa una sola forma di resistenza, quella che può
esercitarsi nei confronti del potere esecutivo e non contro quello legislativo. Alla luce di questo principio, il
passaggio da una forma di governo all’altra, dalla monarchia alla repubblica, può anche essere legittimato, in
quanto nel caso specifico il monarca deve essere considerato destituito, ridotto al rango di privato cittadino,
per un atto del popolo che ha avocato a sé la suprema autorità, a motivo di uno stato di necessità. Il monarca,
però, non può essere processato o condannato per atti che riguardano la sua passata amministrazione, e
conserva intatta la sua libertà di azione, per quanto riguarda un eventuale tentativo di riconquista il suo
regno.
La storia del genere umano si rende intellegibile solamente se riconosciamo come termine finale il
perfezionamento della società civile, cioè una società di ragione, in cui le relazioni sono fondate sul diritto.
Tale perfezione non richiede una trasformazione radicale della natura dell’uomo che lo rende un ente di pura
ragione (solo dovere): diventerebbe una società di angeli. Le osservazioni devono tener conto che l’uomo è
“un animale che, se vive fra gli esseri della sua specie, ha bisogno di un padrone che pieghi la sua volontà e
lo obblighi ad obbedire ad una volontà universalmente valevole, sotto la quale ognuno possa essere libero.
Dalla politica di potenza e di dominio degli Stati moderni scaturiranno le nuove condizioni politiche che
renderanno necessario, secondo Kant, la fondazione del diritto cosmopolitico, che consentirà di dirimere le
controversie fra gli Stati senza ricorrere alla guerra, che è un ritorno alla società di natura. La fine della
guerra tradizionale non dipenderà dalla buona volontà degli uomini, ma esclusivamente dalla necessità: le
guerre moderne implicano un costo sempre più crescente che non potrà più essere sopportato dalla
collettività. I popoli finiranno per entrare in una federazione di popoli. La forma politica dello Stato
corrisponde ad una determinata fase del progresso civile e giuridico: la società deve essere integrata
dall’accordo stabile e permanente dei popoli, che sia il presupposto di una confederazione di Stati.
Kant precisa che non si tratta di fondare uno Stato federale o cosmopolitico, in cui tutti i popoli ne
formerebbero uno solo. L’associazione dei popoli deve essere considerata come la base del diritto
cosmopolitico: il moltiplicarsi delle relazioni fra i popoli e la sempre maggiore reciproca conoscenza
tenderanno a creare una comunità internazionale. Il diritto cosmopolitico sarà il logico e storico coronamento
del diritto pubblico interno e del diritto internazionale.