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MANUALE/ TEORIA DEL LINGUAGGIO E DELLA COMUNICAZIONE CA

MODULO 1

LA COMUNICAZIONE NON VERBALE

La questione del linguaggio, sia nella sua articolazione attuale sia in quella
tradizionale, include l’analisi del linguaggio non verbale, inteso talvolta anche
come linguaggio animale. Il linguaggio non verbale – va sottolineato – non è
necessariamente da intendersi come la fase che precede linguaggio articolato:
al di fuori della questione delle origini, esso convive sempre con il linguaggio
articolato in una relazione di supporto reciproco. Questa è una delle ragioni per
cui ne valutiamo oggi le proprietà e funzioni per poterne esaminare funzioni e
proprietà indipendentemente dalle relazioni con il linguaggio articolato e in
funzione di una sua giustificazione dal punto di vista delle origini.
D’altra parte va osservato che lo stesso linguaggio articolato non può essere
inteso nella sua assoluta autonomia in quanto molte sono le situazioni in cui
richiede il supporto del linguaggio non verbale. Non c’è pertanto una reale
asimmetria tra i due linguaggi, tra le due comunicazioni sebbene il linguaggio
verbale sia più potente in virtù dell’arbitrarietà e della doppia articolazione.

Per linguaggio o comunicazione non verbale s’intende un’ampia gamma di


azioni che definiscono la costruzione condivisa di significati indipendentemente

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dal linguaggio articolato come accade, come vedremo più avanti, per la
PROSSEMICA e per la MIMICA FACCIALE.

Se il linguaggio verbale si caratterizza per l’arbitrarietà o immotivazione, il


linguaggio non verbale si caratterizza invece per la iconicità e per la
motivazione.

LINGUAGGIO NON VERBALE DAL PUNTO DI VISTA DIACRONICO


Il linguaggio non verbale è stato oggetto di studio di diverse discipline e una
fase alquanto interessante dello studio dello stesso è segnata senz’altro da
L’espressione delle emozioni nell’uomo e nell’animale che Charles Darwin
pubblicò nel 1872.
Darwin affronta il linguaggio non verbale contestualmente ad un confronto tra
uomini ed animali. Conclude stabilendo che i gesti o azioni corporee non si
connotano espressivamente per l’intervento di fattori innati ma che si caricano
semanticamente in virtù di determinate circostanze nel corso del tempo
diventando poi tipiche (VS INNATE) per determinate specie animali, inclusi gli
uomini.
Si tratta di una posizione teorica che ha le sue anticipazioni sin dall’antichità
come si desume dallo stesso Cratilo di Platone dove Cratilo è proprio il
rappresentante della giustificazione naturale del linguaggio comprendendovi a
ragione lo stesso linguaggio non verbale (gesti e imitazione).
Quintiliano rimane un punto di riferimento per l’analisi retorica della gestualità
all’interno del discorso oratorio riportandone tutti i dettagli dei movimenti
coinvolti (movimento della testa, espressione del volto etc).
Nel Novecento si affermano diversi modelli teorici:
approccio antropologico: Birdwhistell (1970) individua le analogie tra
movimenti corporei ed espressioni linguistiche; affine – ma più teso alla
sistemazione della prossemica – è lo studio di Argyle (1975);
approccio sociologico: Goffman mette a fuoco le componenti teatrali o
drammaturgiche dei gesti, funzionali alla comunicazione di una determinata
immagine di sé;

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approccio psicologico clinico: Bateson (1972) studia le funzioni delle
espressioni facciali e dei gesti nella schizofrenia;
approccio cognitivo: Adam Kendon e David McNeill (2005) esplorano la
struttura cognitiva dei gesti.

CLASSIFICAZIONE DEI SEGNI/SEGNALI NON VERBALI

La classificazione dei segni non verbali è sempre più praticata malgrado le


difficolta oggettive che gli studiosi incontrano quando affrontano nello stesso
tempo sia segni non verbali molto diffusi e dotati di elementi omogenei sia
segni non verbali che vanno di volta in volta ricondotti alla spontaneità con cui
vi si ricorre e quindi di più difficile decodifica. Una sintesi è praticabile se si
seguono i seguenti criteri:
1. l’individuazione delle forme dell’espressione corporea o configurazione
fisica;
2. la definizione dell’abbigliamento e della cura corporea.

Configurazione fisica
Forme corporee e lineamenti fissi del volto (diversi dalla mimica facciale) che
rientrano nella pseudo-scienza della FISIOGNOMICA i cui aspetti risalgono
anche ad alcune valutazioni di Aristotele ma che attualmente non sono affatto
suscettibili di analisi scientifica; a renderli interessanti è però la loro diffusione
nei contesti sociali e nei giudizi che talvolta si formulano a partire da criteri
fisiognomici privi di valore scientifico ma comunque adottati.
Abbigliamento e cura corporea
L’abbigliamento e la cura corporea realizzata mediante determinate
acconciature, trucco e piercing costituiscono la fonte di segnali non verbali che
si giustificano nelle diverse situazioni sociali. Il ricorso agli espedienti dell’uno e
dell’altro è alla base della definizione dei ruoli sociali e dell’identità

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LA PROSSEMICA
La prossemica è lo studio del linguaggio non verbale in relazione alla
percezione e all’organizzazione della distanza tra due persone; giustifica
soprattutto ruoli e relazioni sociali definendo eventuali simmetrie o asimmetrie.
La distanza tra due soggetti è rilevata non in base al confine del corpo bensì
del suo prolungamento verso uno “spazio personale”. Le distanze rilevabili
rientrano tra le seguenti:
distanza intima: rapporti tra intimi o familiari dello stesso nucleo; è possibile
sentire l’odore e il calore dell’altro;
distanza personale: relazioni amicali senza più far riferimento agli elementi
olfattivi;
distanza sociale: relazioni formali e impersonali; il contatto fisico si limita alla
vista e all’udito;
distanza pubblica: distanza delle situazioni pubbliche (lezioni o conferenze);
il contatto fisico può essere determinato dall’amplificazione tecnologica della
vista e dell’udito.
Situazioni anomale sono quelle in cui (mezzi di trasporto) la distanza minima
determinata dall’affollamento è compensata da una “distanza simbolica” che
piò realizzarsi mediante l’evitamento dello sguardo. Macroscopicamente,
questa tipologia della distanza concorre alla definizione di “culture della
distanza” (paesi nordici) e “culture della vicinanza” (paesi del Mediterraneo).

L’APTICA
L’aptica ha come suo oggetto d’indagine le azioni di contatto corporeo. Il
contatto può essere paritario e reciproco oppure non paritario, inclusa qualche
gradazione intermedia. Quando c’è qualche asimmetria sociale, il contatto
corporeo non è paritario come nel caso in cui un superiore poggi la mano sulla
spalla di un dipendente senza che possa verificarsi il contrario.

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IL SISTEMA DEI GESTI
Birdwhistell (1970) ha studiato nel dettaglio la struttura semiotica dei
movimenti corporei (mani, busto, gambe) inaugurando così la cosiddetta
CINESICA; i cinéma sono invece le singole unità di comportamento motorio
(circa 60 cinémi!)
Si tratta di movimenti o gesti la cui funzione può prescindere dal linguaggio
verbale ma spesso se ne rileva la funzione di supporto per lo stesso,
soprattutto nelle situazioni comunicative e discorsive. Essendo movimenti
fortemente contestualizzati e sempre aderenti a pratiche culturali, non è
possibile individuarne tratti strutturali universali. Possono comunque essere
individuate delle funzioni, come quelle relative alla gestione
dell’informazione.

Tipologia di informazione:
idiosincratica: il rapporto tra gesto e interpretazione/significato è chiaro
soltanto all’interno di una relazione molto stretta (madre e figlio); pertanto,
non è accessibile a coloro che sono esterni a quella relazione;
condivisa: il rapporto menzionato è accessibile alla comunità di appartenenza
perché è al suo interno che si delinea e stabilizza.

Tipologia di atto gestuale (rif. agli atti linguistici):


Informativo: l’individuazione del contenuto di riferimento dipende
dall’osservatore/ricevente in quanto l’intenzione dell’emittente non è affatto un
prerequisito necessario;
Comunicativo: l’emittente mostra l’intenzione di trasmettere un determinato
contenuto/significato ma non sempre il ricevente lo coglie;

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Interattivo: l’emittente modifica o influenza il comportamento del ricevente:
ad esempio, se scuoto la testa esprimendo dissenso induco il ricevente a
modificare il comportamento.

Tipologia di codifica:
Gesti codificati arbitrariamente: sono gesti che non si giustificano in base
ad eventuali riferimenti all’esterno; sono privi di motivazione e/o
rassomiglianza rispetto a qualcosa. Esempio: apertura/chiusura della mano in
segno di saluto;
Gesti codificati iconicamente: presentano un rapporto di somiglianza con
qualcosa. Esempio: raggruppo le dita di una mano muovendola verso la bocca
per significare “mangiare”;
Gesti codificati intrinsecamente: eseguendoli imito una parte del
contenuto. Esempio: se muovo l’indice della mano per simulare la pressione
sul grilletto della pistola mi riferisco, simulandolo, all’atto di sparare.

Categoria del gesto:


Emblema o gesto simbolico:
esempio: agitare la mano in segno di partenza; gesti che spesso
accompagnano parole o enunciati
Illustratori (e articolazione interna):
illustrano e marcano il discorso. Se sono usati al di fuori del discorso sono
autonomi; così sotto-articolati:
a) Ideografi:
movimenti che indicano un’ideale direzione del discorso, sono gesti
utilizzati quasi sempre inconsapevolmente
b) Deittici:
gesti con cui indichiamo determinati oggetti o persone
c) Movimenti spaziali:
indicano una relazione spaziale tra persone o oggetti. Esempio: mettere le
mani vicine per significare intimità
d) Cinetografi:

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gesti che indicano un’azione del corpo come quella del “tagliare la gola”;
riproduce l’atto effettivo
e) Movimenti pittografi:
quei gesti che tracciano un’immagine dei loro referenti
GESTI REGOLATORI

Sono gesti funzionali a regolare lo scambio di ruolo tra parlante e suo


interlocutore
Tra le principali funzioni quella di:
• Andare avanti;
• Affrettarsi;
• Arrestarsi.
Sono regolatori anche i gesti che hanno la funzione di indicare il calo o
l’aumento di interesse:
Esempio: il cenno di capo o il protendersi in avanti o il movimento delle
sopracciglia per annuire

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LE LINGUE DEI SEGNI
Contestualmente alla comunicazione non verbale va affrontata la questione
delle lingue dei segni.
Le lingue dei segni sono ormai oggetto di interesse teorico e di attenzione
scientifica: non sono più relegate ai margini delle lingue vocali; anzi, sono
riconosciute ufficialmente e legalmente e sono insegnate ai sordo-muti nella
consapevolezza della loro sistematicità e della non subalternità ai sistemi
linguistici di riferimento. Non sono più oggetto di pregiudizio: la possibilità di
“ridurle” a meri linguaggi gestuali dotati di scarse risorse utilizzabili peraltro in
limitate e circoscritte cerchie di persone ha perso qualsiasi legittimazione.
Le lingue dei segni sono sistematiche in quanto sono dotate di diversi livelli
interni e di un sistema di regole di riferimento. Da questo punto di vista non
sono equiparabili alla comunicazione non verbale finora esaminata, mentre
molti sono gli aspetti in comune con le lingue propriamente dette dalle quali
vanno tuttavia distinte in virtù della loro autonomia malgrado siano
riscontrabili elementi di raccordo o di supporto.
Le lingue dei segni non rientrano nemmeno in un sistema universale e la prova
di ciò è fornita dal fatto che in ogni area culturale o paese si sono definite
lingue dei segni locali come l’American Sign Language (ASL) negli Stati Uniti
oppure la Lingua Italiana dei Segni (LIS) in Italia o la britannica BSL o la
francese LSF.
I rapporti e le parentele di famiglia non sono gli stessi che si trovano tra le
lingue vocali. Ad esempio, la lingua dei segni americana, l’ASL, è più vicina alla
LSF, la lingua dei segni francese, che alla BSL, la lingua dei segni britannica. La
giustificazione è la seguente: nella fase della sua elaborazione, il suo

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teorico/fondatore, Thomas Gallauder, si avvalse della collaborazione di un
insegnante sordo francese.

Lingue dei segni tra iconicità ed arbitrarietà

La percentuale degli elementi iconici è di certo molto elevata ma non tale da


attribuire all’iconicità lo status di principio costitutivo delle lingue dei segni. In
effetti, la sistematicità interna sopra accennata è connessa invece
all’arbitrarietà che pone le lingue dei segni sullo stesso piano delle lingue
foniche rendendole così “superiori” alla comunicazione non verbale la cui
struttura cinesica non ha di certo le potenzialità strutturali delle lingue dei
segni. Oltretutto, l’arbitrarietà giustifica la molteplicità delle lingue dei segni e,
pertanto, vanifica qualsiasi tentativo di individuare un livello di realizzazione
universale delle stesse.

Le lingue dei segni e la “doppia articolazione”

La sistematicità e complessità delle lingue dei segni è soprattutto connessa alla


presenza della doppia articolazione, principio intorno a cui ruotano tutte le
lingue vocali o propriamente dette. Si tratta di un principio che è invece
assente nella comunicazione non verbale (cinesica).
Le lingue dei segni si costruiscono intorno alle unità di prima articolazione e
intorno alle unità di seconda articolazione come accade per le lingue vocali. Le
unità di prima articolazione sono definite morfemiche (morfemi, dotati di
significato); quelle di seconda articolazione sono definite CHEREMI e
corrispondono ai fonemi, le unità di seconda articolazione delle lingue vocali.
La combinazione di queste unità non avviene secondo la linearità bensì
secondo la simultaneità. La somiglianza tra cheremi e fonemi è però
apparente: i cheremi possono adempiere anche funzioni semantiche di base da

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cui scaturiscono ulteriori combinazioni che rinviano alle funzioni semantiche di
base in termini più complessi.
Si aggiunge una terza articolazione quella delle unità morfofonemiche: unità
intermedie in cui le funzioni semantiche di base associate ad alcuni CHEREMI
determinano dei veri e propri campi semantici. Ad esempio, la configurazione
della mano aperta con le dita giunte attiva un campo semantico in cui
entrano in relazione reciproca segni corrispondenti a muri, porte, libri, giornali
e anche ad un’automobile ferma in un parcheggio.

4 sono i parametri su cui si costruiscono i cheremi:


1. un luogo in cui avviene l’articolazione;
2. una configurazione della mano;
3. un orientamento (indicato dalla mano);
4. un tipo di movimento.
Le configurazioni della mano si definiscono in base ai criteri interni delle lingue
dei segni che sono sempre localmente determinate: una configurazione della
mano potrebbe assumere diversi significati a seconda della lingua dei segni
presa in considerazione; è questo un’ulteriore prova della funzione ampia
dell’arbitrarietà.

Opacità e trasparenza
Quando è possibile individuare il significato di una configurazione anche in
assenza di familiarità o padronanza della lingua dei segni di riferimento si parla
di “trasparenza”; quando ciò non è possibile si ricorre al termine “opacità”.
La trasparenza può incoraggiare ipotesi di iconicità, l’opacità mette queste in
discussione. Se, da una parte, il confine tra iconicità e arbitrarietà non è così
netto, dall’altra, l’arbitrarietà è di certo il principio che trasforma la lingua dei
segni, ma anche la comunicazione non verbale cinesica, in linguaggi complessi
e non universali.

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L’iconicità è un principio di riferimento ma non totalizzante. A differenza di una
rappresentazione fonico-acustica la rappresentazione gestuale può
indubbiamente condividere più aspetti della realtà circostante sebbene non
copra tutte le situazioni possibili.
Da questo punto di vista è possibile fornire un quadro della sintassi di
riferimento e confrontarla con quella delle lingue vocali. Mentre la sintassi di
una lingua vocale si articola in termini di linearità, quella delle lingue dei segni
risalta per la presenza di un’articolazione simultanea: le due mani possono
essere coinvolte contemporaneamente mettendo in risalto due realtà e le
sottostanti relazioni. Ciò è accentuato dal ricorso/gestione di un maggior
numero di elementi iconici che, nel caso delle lingue dei segni, si configurano
in termini spaziali-visivi, nel caso, invece, delle lingue vocali si configurano in
termini fonico-sonori.

Educazione linguistica e bilinguismo

Soltanto di recente sono stati fatti maggiori progressi nell’istituzione e


programmazione di attività scolastiche a favore della formazione delle lingue
dei segni.
È aumentato il numero dei discenti sordo-muti che vogliano seguire un iter di
formazione più chiaro e scandito al suo interno. Le classi per sordo-muti sono
una realtà ormai ampiamente diffusa in cui i discenti sordo muti apprendono la
lingua dei segni secondo modalità sempre più formalmente intese, creando
talvolta anche una giusta interazione con alunni soltanto udenti a vantaggio di
una coevoluzione dell’apprendimento della lingua dei segni e della lingua fonica
di riferimento. In tal senso si creano anche le migliori condizioni di vere e
proprie forme di bilinguismo: la lingua dei segni gode di una sistematicità
interna che non ha nulla da invidiare alle lingue foniche.

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Le espressioni del volto e lo sguardo

Contrazioni dei muscoli (più di 20) del volto per esprimere stati d’animo. Il
punto più nevralgico è quello intorno agli occhi; la contrazione si configura in
tal caso come sguardo.
Contrazioni o sguardo come dimostratori di emozioni: felicità, sorpresa,
timore, tristezza, rabbia, disgusto; non tutti teorici concordano nel considerare
l’interesse un dimostratore di emozioni.
Sono movimenti trasversali rispetto alle culture e, quindi, possono presentare
tratti universali. È questo un aspetto che scaturisce proprio dall’esame delle 6
emozioni appena menzionate. Gli osservatori/teorici ritengono che esse siano
riscontrabili tanto nella comunità di appartenenza quanto in altre comunità;
assunto che conferma l’interpretazione delle stesse in termini universali e
culturali.
Sebbene universali, possono subire una regolazione culturale o socio-culturale:
deintensificare;
intensificare;
non dimostrare l’emozione;
dissimulare l’emozione mostrando quella opposta.
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Lo sguardo e il contatto visivo

Lo sguardo può assumere 3 diverse funzioni:


Funzione di captazione: esplorazione dello spazio per cogliere segnali o
informazioni;
Funzione espressiva: trasmissione di indizi emotivi; evitamento dello
sguardo è connesso alle emozioni negative; l’incontro degli sguardi è invece
connesso alle emozioni positive;
Funzione vettrice: attiva l’interazione comunicativa e lo fa anche in nome di
elemento sociali: status, dominanza, uguaglianza, asimmetrie etc

La voce e il sistema vocale:


La voce è parte integrante dell’espressione fonica e, in qualità di materia
fonica, rientra perfettamente nella comunicazione non verbale a prescindere
però dalla configurazione linguistico-verbale. La voce è semanticamente
pertinente anche al di fuori dell’uso sistematico delle parole. Ciò spiega e
legittima l’uso paralinguistico della voce.
Componente vocale prosodica: fattori che accompagnano l’espressione
linguistica attivando sia determinate modalità di pronuncia delle parole sia
determinate intonazioni come quella assertiva o interrogativa;
Vocalizzazione: caratterizzatori vocali, come il pianto o il riso, che intercalano
l’espressione propriamente linguistica
Segregati vocali: suoni come uhm eh che intercalano segmenti del parlato;

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Fattori paralinguistici:
• tono, altezza musicale, la cui variazione determina l’espressività del
discorso;
• intensità che consiste nel volume della voce, un buon dispositivo
mediante il quale i parlanti accentuano e sottolineano determinati
segmenti del parlato;
• durata, tempo utile per pronunciare un discorso;
• velocità dell’eloquio, da mettere in relazione con determinati contesti,
status o fattori sociali
Per fattori extra-linguistici s’intendono tutti quei fattori da connettere alle
caratteristiche fisiche della voce che rinviano alla struttura biologico-fonatoria.
Il silenzio gioca un ruolo importantissimo: è un dispositivo che regola la
modalità strategica della comunicazione. È un fattore comunicativo che può
giustificarsi in base sa fattori sia positivi sia negativi.
Il silenzio rinvia a determinate regole sociali che ne mettono anche in luce le
componenti di simmetria e asimmetria sociale. Ad esempio, spesso il silenzio
connota lo status di parlanti la cui posizione è subalterna per diverse ragioni.

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