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Racconti Romani
Racconti Romani
usciti gli anni precedenti sul “Corriere della Sera”. L’idea nasce dal successo del romanzo La
romana del 1947, che inaugura la tendenza neorealista dell’autore. Si tratta di settanta
racconti riguardanti la vita a Roma e che ritraggono diversi strati sociali della città – i
protagonisti, infatti, provengono sia dal proletariato sia dalla piccola borghesia. I personaggi
narrano in prima persona le vicende “nel loro affanno continuo e ‘amorale’ per la
sopravvivenza, nella trama fitta della loro quotidianità” (Pasquale Voza, Moravia, Palumbo,
1997). Si evidenzia, quindi, l’intento neorealista di Moravia nella decisione di rappresentare
gli abitanti di Roma, tanto che lo stesso autore dichiara che i racconti nascono dalla volontà
di attualizzare i sonetti di Giuseppe Gioacchino Belli, poeta romanesco del XIX secolo, che
nei suoi componimenti in dialetto ritrasse al meglio il mondo della plebe urbana. Si nota,
dunque, anche nei Racconti romani “la presenza costante di una certa patina dialettale”
(Voza), in base alla realtà sociale dei protagonisti, nel tentativo di presentare al meglio gli
abitanti della capitale.
Nei suoi racconti Moravia voleva dimostrare la società italiana piuttosto romana
nella seconda seconda metà del ventesimo secolo. Se parliamo di tutti racconti in generale,
possiamo trovare i punti in comune, il leitmotiv - l'incomunicabilità tra gli uomini, l’alienazione
insita nella società. In tutti i racconti in qualche modo vediamo una tematica dei soldi come
un simbolo del valore umano. Non impedisce all'autore di parlare sulle tematiche importanti il
carattere spesso umoristico dei racconti. Anche la cosa che unisce gli racconti è la loro città,
i luoghi dove le storie si svolgono. Ogni racconto propone spesso una storia personale dove
la città di Roma svolge un ruolo significativo. Ogni spazio corrisponde ad uno dei
personaggi, lo aiuta a capire la sua verità esistenziale.
Anche le storie dimostrano l’età attuale della gente. Essendo turbati, gli eroi
vedono un’altra Roma. Ancora un esempio di questo fenomeno vediamo nel racconto
Sciupone. Il protagonista è un piccolo commerciante e non ha un sacco di soldi. Sua moglie
gli chiede i soldi regolarmente e non capisce che lui non è sciupone ma un uomo che sa
gestire i soldi, un uomo che è parsimonioso. Quando si libera finalmente nella sua mente dei
dolori che sua moglia gli fa subire dicendo regolarmente che era sciupone, vede un’altra
Roma anche: Mi trovavo sul lungotevere, dalle parti di Ripetta, con un sole di primavera che
scaldava, dolce, senza bruciare.
Comunque nei racconti dei personaggi che nella maggior parte non sono ricchi,
vediamo questa aspirazione alla vita ricca e come credono sempre i poveri – spensierata.
Nel Il Mediatore la vità della principessa e la sua Roma sono veramente diverse:
Effettivamente la vista era bella (dal suo appartamento): da quel balcone si scopriva tutta
Roma; con tanti tetti, cupole e campanili. Era una giornata serena e, in fondo al cielo
azzurro, tra un tetto e l’altro, si poteva vedere anche la palla di San Pietro.
Tornando alla tematica dei soldi nei Racconti Romani e ai rapporti tra i ricchi e
poveri, vorrei sottolineare ancora una volta questo gap tra di loro, che vediamo bene nel
racconto Il pupo. A quella buona signora che veniva a portarci gli aiuti del Soccorso di
Roma e ci domandava, anche lei, perché mettessimo al mondo tanti figli, mia moglie, che
quel giorno aveva le paturne, gliela disse la veritа: "Se avessimo i soldi, la sera ce ne
andremmo al cinema... invece, siccome i soldi non ci sono, ce ne andiamo a letto, e così
nascono i figli." La signora, a questa frase, ci rimase male e se ne andò senza aprir bocca. E
io rimproverai mia moglie perché la veritа non è sempre bene dirla; e prima di dirla, bisogna
sapere con chi si ha a che fare. Quando ero giovane e non ero ancora sposato, spesso mi
divertivo a leggere nel giornale la cronaca di Roma, dove sono raccontate tutte le disgrazie
che possono capitare alla gente, come dire furti, omicidi, suicidi, incidenti stradali. E tra tutte
queste disgrazie, la sola che mi sembrava proprio impossibile che potesse capitarmi era di
diventare quello che il giornale chiamava un "caso pietoso"; ossia una persona tanto
disgraziata da fare compassione senza bisogno di alcuna particolare disgrazia, così, per il
solo fatto di esistere. Ero giovane, come ho detto, e non sapevo ancora che cosa voglia dire
mantenere una famiglia numerosa. Ma oggi, con stupore, vedo che pian piano mi sono
trasformato proprio in un "caso pietoso". Leggevo, per esempio: vivono nella più nera
miseria. Ebbene oggi vivo nella più nera miseria. Oppure: abitano in una casa che di casa
non ha che il nome. Ebbene, io vivo a Tormarancio, con mia moglie e sei figli, in una stanza
che è tutta una distesa di materassi e, quando piove, l'acqua ci va e viene come sulle
banchine di Ripetta. Oppure ancora: la sciagurata, saputo che era incinta, prese una
decisione criminale: disfarsi del frutto del suo amore. Ebbene questa decisione la
prendemmo di comune accordo, mia moglie ed io, allorché scoprimmo che era incinta per la
settima volta. Decidemmo, insomma, appena la stagione l'avesse permesso, di
abbandonare la creatura in una chiesa, affidandola alla caritа di chi l'avesse trovata per
primo.
Impressionante – vedere come le attività della gente, la sua vità tutta dipende
dalla questione dei soldi, quando la necessità diventa un lusso, quando le cose basilari della
vità che tutti devono avere dalla nascita sono inaccessibili. Moravia dimostra molto bene
questo gap sociale romana attraverso i suoi personaggi e racconta che ad ognuno c’è una
sua propria Roma – ogni personaggio vede in questa città qualcosa che è nascosto nel suo
mondo inferiore. Il cammino che percorriamo al di fuori ci fa sempre fare un viaggio
all’interno. E viceversa.