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Roma 1911: il trionfo di Zuloaga, Anglada e dei Pittori spagnoli* Eugenia Querci Alle soglie del Novecento la pittura spagnola Protagonista in Italia di una forte rinascita, una rea 2ione all’ubriacanura “preziosista” perpetrata per decenni da tanti seguaci di Mariano Fortuny. Ar- tisti come il basco Ignacio Zuloaga e il catalano ‘Hermen Anglada, in particolare, propongono il su- Peramento della linga vague impressionista, co- nosciuta a Parigi negli anni della formazione. ‘Superamenti che avviene attraverso un nuovo pro- tagonismo della figura, ilrifiuto dell’en plein ai, un utilizzo artficioso e teatrale della luce (d’in- temo, nottumna), il recupero di valor pittorici elo contenutistici tradizionali. E si tracciano un per- corso parallelo, alternativo ma non necessaria- ‘mente in conflitto a quello delle avanguardie, E la Biennale di Venezia del 1903 a rivelare al pubblico italiano Zuloaga, presente con una per- sonale di quattordici opere (Fic. 15); un successo, segnato da animate discussioni, confermato alla Biennale del 1905 e sugellato da fondamentaliin- terventi critici come quello di Vittorio Pica su Emporium! La sua pittura wenergica, rude, vio- lent? daalcuni gi conosciua atrayero lame, fiazione parigina, genera un ampio fenomeno di bernie vision sac polemizzeranno molt critic’. Mazzini Beduschi metteva gia in guardia + q1presente testo costtuisce parte della mis ipittorispagnlt ea in parte, areca fornia critica del art eA Pricato sulla rivista spagnola Gov «ami pare gid di veder circolare per le Esposizioni «Italia certi colli tori, certe facce patibolari, con- gestionate, grigie, vinose, color terra, color cioc- colatt, inferraiolate, sbracate, con santi, madonne dalle aureole d’ oro schietto, sopra fondi che sono bruttifondali da palcoscenico, in certeatmosfere senz’aria, senza luce, senza Sole».* Due anni ‘dopo, Arturo Jahn Rusconi affermava risoluto che imitazione di Zuloaga costituiva una delle «pia- ghe» della Biennale del 1905,% mentre Diego An- geli sottolineava come fosse “assurdo” imitare la sua pittura in quanto profondamente radicata nella tradizione nazionale ed ancorata, pur nella ten- denza modemizzatrice, alla specificita etnica spa- gnola, dunque diversa ed irripetibile in altri contest nazionali* Zuloaga irrompe a gamba tesa nel panorama artistico italiano e la sua arte, anche ‘quando non gradita, esprime una energia difficile da ignorare. Anselmo Bucci, suo profondo am- miratore e amico, avrebbe pit tardi definito I'ar- tista «um fulmine nero e bianco che guizd sulle lagune, svegliandole di soprassalton,? mentre Or- tega y Gasset, in Meditaciones del Quijote (1914) ~ avrebbe affermato che in ceti suoi dipinti passa soffiando fieramente un vento iresistibile, terrificante, barbaro; un alit dottorato dal titolo Tra Parigi, Venezia e Roma: ‘Zuloaga, Mia in via di discussione pessoI'Univeridad Complutense di Madrid, Inuna versions dente con la presente il testo &conflitonell'atcolo a quattro mani Roma T9//, ‘scritto con Ana Ara Fernandez dell’ Universita di Sara, ‘ cottobre-dicembre 2009, pp. 342-351, 180728 pub- 173 Escaneado con CamScanner 174 scendesse dai ghiacciai. In tutti i modi una corrente di qualcosa, di un qualcosa cosi vigoroso, cosi so- stanziale, cosi evidente ¢ necessario che, opprimendo nella tela cid che é dipinto, lo rapprende, lo stringe su se stesso, gli da peso esistenziale, soliditd, necessiti.® A questo primo impatto con il realismo sogget- tivo ¢ terrificante dell’artista basco, il cui ef- fetto, diri Ojetti nel 1905, «® ancora nella ‘memoria di tutti come una ossessione»,? fara sc- guito poco pid tardi la scoperta delle fantasma- gorie cromatico-luminose di Hermen Anglada che espone ben dicci dipinti alla Biennale del 1905 organizzata per la sezione spagnola pro- prio da Zuloaga. Pur senza ottenere la stessa ri- percussione del collega basco, Anglada aveva £218 presentato due dipinti alla Biennale del 1903 (Fic, 7): in quell’occasione Beduschi ne aveva celebrato Iestro creativo, espresso nel turbinio ei colori cangianti e nelle armonie ardite, senza tralasciare la malia delle sue scene di caffé-con- certo, dominate da ferine cocottes a caccia di prede notturne. All’epoca della Biennale del 1905 @ Vittorio Pica a dedicare al catalano uno dei suoi incisivi articoli monografici su Empo- rium, contribuendo a cementame la fama.!° Un «impressionista» e un «fantasistan, lo definisce Pica, dotato di un bagaglio pittorico attento a Watteau, Toulouse-Lautrec, Monticelli, Goya, ‘ma profondamente personale nella composi- zione del proprio vocabolario stilistico. Anglada studia «la forma dei corpi e degli oggetti come appaiono in lontananzan, la loro metamorfosi nell'immersione nella luce e nel!'aria. Sotto gli effetti bizzarri delle luci artificial le sue donne somigliano a dei fontémes suggestifs,"' forme tremolanti che si fondono con I'atmosfera, ar- chitetture di colore che fermentano, sul punto di sciogliersi e sparire. Sull’osservazione anali- tica del vero fiorisce, come una pianta esotica, il potere trasfigurante dell'immaginazione. La percezione di Anglada da parte della critica oscilla tra un’interpretazione concentrata sulla natura equivoca de suo soggeti una letur di stetico-formale, canner mag Ane che, sull’onda di suggestioni zuloaghiane calla luce di una lettura sociologica, coglie nei suoi «fantocci macabrin lespressione perfetta del vizio modemo, colta laddove «palpita, agonizza delira, I'anima della vita parigina»."? Dall’al- tro Ia visione pit distaccata di un Ojetti che, piuttosto che farsi distogliere da seduzioni pru- riginose ed assonanze baudelairiane, ammira la « retina squisita» del catalano, misterioso al- chimista in grado di cogliere «accord erapporti d'una sottigliczza rara di sfumature ignote ad occhi normalin.!? A questo doppio passaggio veneziano, costel- lato di innumerevoli articoli tra cui i fonda- ‘mentali interventi di Vittorio Pica su Emporium, si ancora la travolgente affermazione della cop- pia Zuloaga-Anglada alla mostra romana del Cinquantenario del 1911. Roma 1911: dentro e fuori il padiglione spagnolo «A Valle Giulia c’8 un padiglione spagnuolo senza artiste ci sono due artisti spagnuoli senza padiglione e senza patria» sentenziava malizio- lettuale dell’ epoca all’ apertura della mostra."* Ignacio Zuloaga e Hermen An- glada erano infatti stati invitat a titolo personale dal Comitato di selezione, esponendo separata- ‘mente dai propri compatrioti nella sezione inter- nazionale organizzata dal comitato italiano. La personale di Zuloaga era allestita con 25 dipinti nella XVI sala, mentre Anglada raccoglieva 19 opere, ta olii e disegni, all'intemo della XXIV sala.'5 Questa scelta aveva generato dure pole- miche, ravvivando antiche tensioni che, all’epoca dell’ esposizione universale di Parigi del 1900, avevano contrapposto Zuloaga e Anglada agli ambienti spagnoli ufficiali."* AA diffuso criticismo per il sapore personalistico della presenza di Zuloaga e Anglada alla mostra del Cinquantenaro, si sarebbero poco dopo sont. ‘mate le polemiche causate dalla volontaria eschy- sione del padiglione spagnolo dal concorso della mostra; i aro ma complessa vicenda nella quale non & —_ bile addentrarsi e per cui si rimanda al- attenta ricostruzione di M. Bazan de Huerta" in Escaneado con CamScanner un articolo di alcuni anni fa, Certo & che le ragioni ‘non del tutto chiare che portarono il Ministro del- Vistruzione Publica spagnolo a questa impopo- lare decisione, cosi come la polemica che ne segul sui giomali grazic all'attivismo di Ricardo Baroja, evidenziarono la contraddittorieta che agitava ambiente artistico spagnolo, dilaniato da ragioni Politiche e di gestione del potere prima ancora che da conflittualita estetico-crtiche, Le polemiche si ‘erano infatti concentrate sul “clan” Benlliure, in Particolare sullo scultore Mariano ¢ sul fratello pittore José avvicendatisi alla guida della romana Accademia di Spagna (1902-1903; 1904-1912). Con loro, la condanna investiva tuto I'entourage accademico romano e spagnolo, simbolo di un at- taccamento al potere e di un immobilismo arti- stico ostinatamente anti-modemi. ‘Ad ogni modo, c’é da dire che vivaci polemiche solevano accompagnare tanto le mostre di Anglada ‘quanto quelle di Zuloaga, e Roma non faceva certo eccezione. Entrambi gli artisti crano reduci, per altro, dalla grande Exposicién Internacional del Centenario di Buenos Aires (1910), che aveva cer- tamente contribuito ad alimentare ulteriommente la generale aspettativa verso la loro opera, Il padiglione spagnolo: Sorolla, Rusifiol, Benlliure Nel generale trionfo degli stilistorici- salvo rile- -vanti eccezioni quail padiglione austriaco -l'edi- ficio che ospitava la Spagna era costruito in stile ‘moresco secondo il progetto di Eladio Laredo, ela- borato su modello del Palazzo di Monterrey a Sa- lamanca. Secondo Michele De Benedetti,"* interno dell'edificio era uno dei pid sontuosi e raffinati della mostra, incluso il patio con le pareti tivestite dei tipici «azulejos« verdi e blu. 11 padiglione era dominato dall'assoluto protago- ‘nismo di Joaquin Sorolla, presente con una per- ‘onale di ben 85 opere allestta nella Salad’ Onore (Fics. 1-4). Laisa, che d'altro canto parteci- pava fuori concorso, er stato invitato alla mostra Fel Cinquantenario poco prima della sua partenza per gli Stati Uniti, dove si reca nel gennaio 1911 per esporre alla Hispanic Society di New York, poi a Chicago e Saint Louis in un tour trionfale."” Lapittura di Sorolla, che il pubblico italiano co- nosceva ancor prima di quella di Zuloaga e An- glada, grazie ancora una volta alla sua presenza alla Biennale veneziana® ¢ alla penna di Pica! suscita ammirazione per la fluidita della penne!- lata ¢ la naturalezza con cui riesce a rendere gli effetti di luce, le variazioni atmosferiche,l'ario- sitd del paesaggio, tanto da far esclamare ad An- tonio Mancini di fronte alle sue opere: «si direbbe che giuoca quando dipingey. Anche Lancellottiafferma che I'artista possiede «come pochissimi il senso del colore, la larghezza del disegno, il gusto della vasta composizione» e, se si mostra meno attratto dal ritrato, si sofferma a Iungo sulle opere che cantano la Spagna pittore- sca, in cui gli accordi cromatici prediletti dal- artista vibrano con maggiore efficacia” Quell’aria libera, assente nelle opere di Zuloaga ¢ Anglada trionfa nei quadri di Sorolla, fruto di ‘una visione della natura mutevole ¢ serena.* Qualcosa che lo distingueva anche dal catalano Santiago Rusifol, presente con 12 opere nel pa- diglione spagnolo (Fic. 5). Rusifiol, amico di vveechia data di Zuloaga con cui aveva condiviso un hingo viaggio in Italia, era stato tra Parigi ¢ Sitges (Barcellona) un fondamentale animatore ¢ divulgatore del modemismo catalano. Suoi ‘emi prediletti sono soprattutto angoli di giardini, lussureggianti e solitari, in cui la luce filtra attra~ verso le fronde degli alberi, Notava Giuseppe Antonelli a proposito delle sue opere: Rusifiol dipinge pacsaggi ma non é paesista; per {uj a natura allo stato selvaggio non esiste; un angolo ‘ranquillo di bosco, un gaio pratofiorto, una veta ne- ‘vosa, un'acqua stagnante per lui son cose mute. La sua anima comincia a sentire ¢ a commuoversi din- nanzi alla natura riveduta ¢ corretta dei giandini Ed & lo stesso Rusifiol a spiegame il motivo nel piccolo drammo poetico in un atto, dal sapore autobiografico, 1! giardino abbandonato, pub- blicato da Pica su Ars et Labor nel 1907: i giardini-spiega Rusifol con le parole di Aurora (uno dei personaggi) - sono chiostri delle memorie, Escaneado con CamScanner 15 176 templi sacri che cadono grandiosamente in rovina, monumenti di tempi passati ¢ di mondi interiori, mo- nnasteri sottratti agli affanni della vita ¢ lambiti dalla sottile seduzione della morte. Una poetica romantico-simbolista che poteva trovare pit di un ammiratore nella “Roma Zantina” ammaliata dai paesaggi solitari c ideali di Giuseppe Cellini o Mario de Maria, Del Testo, da oltre vent'anni Enrique Serra dipin- geva a Roma le sue misteriose paludi, ritratte immobili nel funesto incantesimo vespertino 0 nottumo: un cliché in cui I'artista, che ne! 1911 ‘conservava ancora il «ciuffo da sgherro ¢ la pro- nuncia grossa»”” della sua giovinezza, era ormai inesorabilmente imprigionato. Rispetto alle componenti cerebrali di questa pit- tura, Sorolla rappresenta la «civincita del senti- mento coloristico meridional», la quintessenza della solarité mediterranea. Le sue opere comu- nicano spontaneita ¢ immediatezza d’impres- sione. Per la facilita ¢ la fluida larghezza della pennellata, con cui Sorolla restituisce agilmente Ja volumetria dei corpi, Leandro Ozzala propone, come altri commentatori, il paragone tra l'artista € lo svedese Anders Zom, gia trionfatore nelle passate edizioni delle Biennali di Venezia, So- rolla e Zorn condividevano inoltre il protagoni- smo assoluto della luce, anche se intesa ben differentemente: plasticamente costruttiva, di gante e cristallina in Sorolla, carezzevole, vellu- tata ed intrigante in Zor. Appassionato di pittura spagnola, gia nel 1881 Jo svedese aveva viaggiato attraverso la Spagna in compagnia dell’amico pittore Emest Josephson, visitando Madrid, To- ledo e Siviglia e avvicinandosi all’opera di Ve- lizquez, trait d’union di tanti e diversi artisti che nella seconda meta dell’Ottocento elaborano a partire dai principi de! naturalismo una propria personale via alla modemita. E il caso anche di John Sargent al quale Sorolla era spesso acco- stato soprattutto per la maestria ritrattisti «nella spontaneita delle mosse, nella vivacita fi- sionomica e nel carattere de! tipo». Una scioltezza pittorica ¢ una rapiditd esecutiva che Sorolla aveva appreso gid all’epoca del pen- sionato romano, quando in Accademia vigeva Vinflusso di Francisco Pradilla, José Villegas, Luigi Sala, maturando ¢ perfezionando queste in. dicazioni a contatto con il milieu intemazionale e secondo una personale capacita sintetica. Un per- corso accostabile, nella fase formativa, a quello dell'amico José Benlliure,” all'epoca della mo- stra di Roma 1911 direttore dell’ Accademia di Spagna (1904-1912), quale successore di Ma- riano, ¢ sub-commissario del Comitato spagnolo ordinatore. Sorolla aveva esordito alla Biennale del 1895, in cui la sala spagnola era dominata dalla grande tela di José Villegas L 'incoronazione della Dogaressa Foscari, accompagnata da un gran numero di opere di Benlliure, Tusquets, Garnelo, Sénchez Barbudo, tuti nomi legat alla scia fortuniana destinata a divenire definitiva- ‘mente indigesta nel giro di qualche anno. Durante apprendistato romano, Sorolla aveva guardato anche a Domenico Morelli tentando la strada del quadro storico (con il sofferto El entierro de Cri- sto), cedendo alle blandizie della pittura neo- pompeiana, neo-settecentesca e “costumbrista” levantina gradite al mercato, Negli anni Novanta, aveva perd intrapreso un cammino piii consono alle proprie inclinazioni, con una decisa virata, attraverso la mediazione parigina, verso quel rea- lismo (anche sociale) e quelle ricerche luministi- che che, ulteriormente maturate ¢ interpretate “plasticamente”, avrebbero portato alla defini- Zione del suo stile. Se, al di la delle differenti ricerche pittoriche, non esisteva conflitto tra la scuola ufficiale ¢ Sorolla, diverso era il rapporto di questa con Zuloaga, Nell’ambiente romano era, a quanto sembra, cosa nota che la scuola accademica «detestava sinceramente» l'opera del pittore basco, al contrario oggetto di ammirazione per giovani artisti come Giulio Aristide Sartori per lui Zuloaga era il «pittore nazionale di Spa- gna», come tale celebrato quell’anno in un festa organizzata nelle sale del Circolo Artistico In- temazionale di Via Margutta.." Zuloaga, dal canto suo, non taceva la sua insof- ferenza verso la scuola “fortuniana”, assai di moda a Roma a partire dagli anni settanta del XIX secolo, di cui Benlliure per molti anni era Stato uno dei pid brillanti rappresentanti: Carne- Escaneado con CamScanner aS SOS vale a Roma del 1881 ne é l'esempio forse pid celebre. Alla mostra di Roma, Realize een’ tava perd una serie di opere orientate verso ill sog- getto Popolare, tema condiviso, pur con accenti diversi, con Manuel Benedito, Gonzalo Bilbao, Antonio Ortiz Echagiic, José Pinazo Martinez, i fratelli Zubiaurre. L’exalcalde de Rocafort di Benlliure, ad esempio, apparteneva ad una tipo- logia di ritratto, lontana da accenti aneddotici, in cui la figura, attorniata di oggetti composti come natura morta, é affrontata con spiccato realismo, con le rughe profonde del volto poste in risalto dalla luce radente, una luce che si sofferma sugli oggetti c i particolari della stanza facendogli as- sumere un’importanza quasi pari a quella della figura. Una scelta, orientata anche dalla diffu sione delle discipline etnografiche e della fisio- gnomica, analoga a quella di artisti di altri pa come il danese Kristian Zahrtmann con Gio- vanna la pazza 0 lo svizzero Max Buri con I vec- chi, presenti alla mostra del 1911. ‘Temi regionalisti e folclore: un aspetto del primitivismo ‘Specialisti in questo genere - ¢ con un’intona- zione del tutto peculiare - erano perd i fratelli aschi Valentin e Ramén de Zubiaurre. A loro Vittorio Pica - il critico cui pid si deve Ia fama degli spagnoli in Italia- dedica nel 1911 un Tungo articolo su Emporium, in cui sottolinea iliare l"impostazione compositiva degli antichi maestri con Ia «re stica rappresentazione ¢ con I'accentuazione ca~ ratteristica di tipi e figure dell’odierna vita rusticana spagnolan2* Il repertorio dei duc fra- telli — che pure avevano viaggiato attraverso "Europa soggiomando anche a Parigi- attinge soprattutto ai motivi della terra basca, osservata, come rileva Pica, con una «spictata virulenza, ‘con un realismo «rude € vigoroso». Inevitabile il confronto con Zuloaga che d’altro canto si di- stingue, secondo Pica, per una forza dramma- tica e trasfiguratrice che conferisce alle sue ‘opere un sapore letterario.”? Come per molti suoi contemporanei, non solo italian, cid che attrac Pica in questa pitura & la presunta evocazione dei caratteri ancestrali di una “razza",I'anima di un popolorimastaintatta nonostante il trascorrere del tempo e il progres- sivo mutare delle strutture sociali.* Nel suo im- posme: volun, il primo ad illuminare in Italia questa dimenticata pagina della pittura spagnola, M. Lorandi parla appunto di «pittura della reibe- rizzazione», per questo affondare a piene mani nelle dominanti ancestrali ¢ identitarie di un po- polo in funzione modemizzatrice.25 Una ricerca di natura formale oltreché contenu- tistica. Infatti nelle opere dei de Zubiaurre, anche Jo stile richiama I’arte popolare attraverso figure legnose e monumentali, sproporzioni dimensio- nali, disegno elementare, prospettive irrealisti- che. Uno stile che non trascura il riferimento alla tradizione fiamminga, cui attingono artisti di varia nazionalita tra cui i belgi Eugéne Laermans ¢ Gustave van de Woestijne.¥ Proprio nel 1911 Alfredo Melani invocava dalle pagine di Vita d’Arte* il ritomo al folclorismo come una possibile via dell’antiaccademismo che, sulla stessa strada dell’ etnografia dell’ epoca, ricercava un rinnovamento linguistico 4 re- bours, risalendo alle fonti dell’espressivita umana, Una scelta nel soleo del primitivismo che costituiva una reazione, o meglio un’altera- tiva, tanto alla via impressionista quanto all’ere~ dita “fortuniana”, additata al principio del Novecento come la principale causa della deca~ denza artistica spagnola. Un'eredita assai vitale in Italia che Pica, pur riconoscendo il talento straordinario ¢ 'alta qualita della pittura di For- tuny, non manca di stigmatizzare sulle pagine di Emporium e non solo, constatando con sol- fievo, ai primi del secolo, il venir meno della «cromolatria di quei retori della tavolozza che sono glimitatori di Fortuny».* Un giudizio che trovava concordi altri critici, come Michele De Benedetti che, nel suo intervento su Nuova An- tologia, apprezza gli artisti spagnoli per aver ri- dato dignitt a quella pittura di costume interpretata con «superficiale eleganza» dalla scuola di Fortuny.” Scuola che, pur contando trale sue fila grandi talenti, rincorreva ormai un virtuosismo formalista anacronistico, Escaneado con CamScanner 178 ‘Alla mostra del 1911, anche Anglada presentava imponenti pannelli decorativi a motivo folclo- rico-popolare, come Campesinos de Gandia (Va- lencia), Los enamorados de Jaca (Aragona), in cui lattingere alla fonte del costume spagnolo, al dato riconoscibilmente autoctono costitui per sua stessa dichiarazione, un modo per divi colarsi dalle influenze parigine ed alimentare, at- traverso il castizo (tradizionale), una ricerca formale di tipo moderno® (FIGG. 8, 9, 10). Si trattava, dunque, di un nuovo corso della sua pittura, per alcuni anni dominata, come quella de! giovane Picasso, dalla Parigi nottuma dei caffe, tra mondanita, allucinazione e rude espressioni- ‘smo; una pittura, quest’ultima, che aveva attratto Camillo Innocenti il quale, reduce dalla perso- nale alla Biennale di Venezia nel 1909, era stato incaricato dal Comitato Esecutivo della mostra (Sezione Belle Arti), di prendere contatto con Zu- loaga ed Anglada, recandosi a Parigi nel 1910* per trascorrevi alcuni mesi. Camillo Innocenti e Anglada Nei suoi Ricordi d’arte ¢ di vita*® Innocenti rammenta il periodo parigino ¢ Ia sua espe- rienza al fianco di Anglada, singolare bohémien dalla barba nera e foltissima, cosi come ce lo ha tramandato Picasso" (Fic. 6). Era stato proprio ‘Anglada a trascinare Innocenti nella vita not- tura cittadina e a fargli sperimentare nuove condizioni pittoriche (Fico. 11-13): Mi condusse nei pid bizzarti ritrovi notturi offriva sempre degli squisiti sigari Avana di aveva piene le tasche. Fu in quel periodo che dipinsi {i quadro delle donne di sera al Bois de Boulogne. 1 costumi per quelle figure li comprai dal Fortuny, il figlio del pittore Mariano che faceva stoffe stampate con disegni strani e bellissimi colori. {...] Anglada dipingeva con certe lampade a luce fredda azmurro- sgnola, Aveva per tavolozza un gran tavolino su cui spremeva non meno di tre o quatro tubi dello stesso colore, Adoperava colori costosissimi fatti nel Bel- gio, ¢ usava assai un certo “Aureolin” il eui prezzo fnche allora faceva girare Ia testa. Fu uno dei primi a riprodurre tinte umide e strane di quei caffé aperto di notte con le figure e gli alberi illuminati dalle luci artificiali.? Innocenti - conferma Charles Giron sul Journal de Geneve - frequentava «i ristoranti notturni del Bois de Boulogne, dove sotto le luci bianche dei globi elettrici trova delle curiosissime specie di lepidotteri nottumi».** Le tele dell'artista romano si popolano, anche su modello di Anglada, ma con esiti differenti, di donne disinvolte e spavalde Titratte sotto luci tremule, incomiciate da granc cappelli piumati e avvolte in abiti dalle preziose stoffe decorate, il tutto ingentilito da un contur- bante tocco belle époque. La ricerca di Innocenti, appassionato dei sog- getti e dei grandi maestri spagnoli da Velazquez a Goya, era passata anche attraverso quei temi popolari, folclorici ed etnografici che lo awvici. nano alle ricerche di Zuloaga: tali i dipinti di soggetto ciociaro e abruzzese dei primi del se- colo e quelli ispirati al viaggio in Sardegna (1908) con cui Innocenti aveva trionfato alla Biennale del 1909. Ma i temi folclorici sono per Innocenti uno straordinario repertorio croma- tico ¢ formale, da trattare secondo una tecnica impressionista-divisionista, pid che il terreno per una analisi sociale, letteraria o etnologica.“” Qualcosa di simile alle ricerche degli spagnoli Eduardo Chicharro Agiiera e Antonio Ortiz Echagiie, pensionati dell” Accademia di Spagna che, nel solco di Sorolla piuttosto che Zuloaga, si erano recati in Sardegna tra il 1901 ¢ il 1909 attratti dai costumi e dalle tradizioni locali.* Il binomio Zuloaga-Anglada Se gid ai primi del secolo Vittorio Pica aveva in- dividuato nella triade Zuloaga, Sorolla ¢ Anglada i rappresentantidell'arte spagnola di maggior sucesso, alla mostra romana del 1911 si conso- lida i binomio Zuloaga-Anglada,” sia per opera dello stesso Pica che verso di loro e verso la pit. tura spagnola manterra sempre un attenzione eo. stant, sia grazie agli interventi di alti eritici Pica definisce Zuloaga un «cerebrale austero ¢ Escaneado con CamScanner pessimista» ed Anglada un «sensitivo raffinato», riflettendo come i due artisti, da tempo residenti buona parte dell’anno a Parigi e spesso presenti alle mostre congiuntamente, abbiano finito per avvicinarsi I’un all’altro.° Emilio Cecchi li de- finisce «due pittori complementarin,$! ¢ Ugo Ojetti li celebra per aver seppellito la moda im- pressionista-divisionista, la pittura en plein air ¢ il culto incondizionato de! sole: Zuloaga nel chiuso del suo studio, Anglada nelle notti ri- schiarate dalle luci clettriche ¢ dai raggi di luna. Per Ojetti, a suo tempo acceso sostenitore di que- sta corrente pittorica, il tramonto dell"impres- sionismo nelle tele di questi due artist riportava al centro dell’opera d’arte la figura umana, co- sicché la luce ritomava ad essere uno strumento nelle mani dell’artista, per esaltare espressione e il carattere del soggetto.* Nella visione del cri- tico, dunque, i due artisti sono accomunati dalla ribellione allo stile dominante e dalla proposta di una visione individuale, basata sulla rielabo- razione, vuoi contenutistica, vuoi formale, della tradizione, Zuloaga si rivolge ai grandi maestri Velazquez e Goya, Anglada alle cromie splen-

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