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JACK BIRNER, RUDY VAN ZIJP (eds.), Hayek. Coordination
and Evolution. His Legacy in Philosophy, Politics, Economics
and the History of Ideas, London-New York, Routledge, 1993.
assieme a Oskar Morgenstern.
Le prime opere sul ciclo economico, Teoria monetaria e
teoria della congiuntura (1929), C’è un “controsenso del
risparmio”? (1929), colpirono l’attenzione di molti studiosi
europei, tra cui Lionel Robbins, il direttore del dipartimento
di Economia della London School of Economics, che lo
volle proprio alfiere nella battaglia delle idee che intendeva
condurre contro l’emergente teoria keynesiana in auge nella
scuola economica di Cambridge. Dopo alcuni anni di
collaborazioni seminariali, nel 1933, Hayek entra
nell’organico con la cattedra di economia politica 2. La
querelle tra Hayek e Keynes, condotta con rispetto
reciproco, si era accesa con le critiche del Trattato sulla
moneta e le controrepliche sulla rivista Economica della
LSE 3.
Presso la London School of Economics, Hayek fu
incaricato, nel 1934, curare la riedizione delle opere di Carl
Menger, al cui studio si era già dedicato con Von Mises, e
fa la conoscenza del concittadino Karl Popper, i cui studi gli
2
RAIMONDO CUBEDDU, F. A. Von Hayek, Roma, Borla, 1995.
3
FRIEDRICH A. HAYEK , Reflections on the Pure Theory of
Money of Mr. J.M. Keynes, in «Economica», XI, 33, 1931; ID.,
The Pure Theory of Money. A Rejoinder, in «Economica», XI,
34, 1931; JOHN M. K EYNES, The Pure Theory of Money. A Reply
to Dr. Hayek, in «Economica», XI, 1931, 34; FRIEDRICH A.
HAYEK , Reflections on the Pure Theory of Money of Mr. J.M.
Keynes. Part II, in «Economica», XII, 35, 1932. Quasi
contestuale fu il confronto con l’italiano Pietro Sraffa, critico della
teoria hayekiana dei cicli di commercio e poi conquistato dalla
keynesiana The General Theory of Employment, Interest and
Money (1936): PIETRO SRAFFA, Dr. Hayek on Money and
Capital, in «Economic Journal», XLII, 165, 1932; FRIEDRICH A.
HAYEK , Money and Capital: A Reply, in «Economic Journal»,
XLII, 166, 1932; PIETRO SRAFFA, A Rejoinder, in «Economic
Journal», XLII, 166, 1932.
confermano i motivi dell’adesione all’individualismo
metodologico nel campo delle scienze politiche e sociali.
Negli anni Trenta e Quaranta, la London School of
Economics era un’importante fucina di teorie e ricerche,
non solo di matrice liberale, con la presenza di Hayek e
Popper, ma anche di matrice socialdemocratica, grazie ad
Harold J. Laski, Richard H. Tawney, Graham Wallas e alla
direzione generale di William Beveridge, tra il 1919 e il
1937, i cui “Rapporti” (1942-44) saranno il fondamento della
moderna concezione delle politiche Welfare State.
In questo clima intellettuale, sullo sfondo dei grandi
eventi che segnano la storia europea tra le due guerre, Von
Hayek opera un graduale passaggio verso gli studi politici,
dedicandosi alla rifondazione dei presupposti di una
filosofia sociale ispirata al liberalismo e, per converso, alla
critica serrata delle dottrine socialiste e fasciste, accomunate
nell’idolatria della pianificazione politica statale.
La pubblicazione de La via della schiavitù4, nel 1944, è il
momento più rilevante di questo programma politico-cul-
turale. Le vicende del libro sono quanto mai travagliate.
Riguardo all’elaborazione, il testo fu scritto tra il 1940 e il
1943, a partire dalla rielaborazione di un memorandum per
William Beveridge, apparso, con il titolato Libertà e sistema
economico, come articolo nella Contemporary Review
nell’aprile 1938, e ripubblicato, l’anno successivo, in
versione ampliata come uno dei Public Policy Pamphlets,
curati da Harry G. Gideonse per la University Chicago Press.
Una volta ultimato, il libro fu dapprima rifiutato da molti
editori, con varie motivazioni di carattere economico o
4
FRIEDRICH A. V ON HAYEK , The Road to Serfdom, London,
Routledge & Kegan Paul, 1944; Chicago, The University of
Chicago Press, 19722; trad. it. Remo Costanzi, Verso la schiavitù,
Milano, Rizzoli, 1948; nuova trad. di Dario Antiseri e Raffaele De
Mucci, La via della schiavitù, Milano, Rusconi, 1995.
politico, per un best-seller in Inghilterra e, sopratutto, lo
stesso anno, negli Stati Uniti, facendo assurgere l’Autore a
intellettuale di fama internazionale, con traduzioni del libro
in innumerevoli lingue, recensioni su giornali a vasta
tiratura come il New York Times, compendi sul Reader’s
Digest e commenti di molti studiosi eminenti, da
Schumpeter a Pigou. Il favore dell’opinione pubblica
coincise, però, con l’ostilità degli ambienti accademici
europei, in cui dominava la fama di Keynes, scomparso
prematuramente nel 1946. Le ragioni del diffuso dissenso
verso lo studioso austriaco sono note. Il libro è originato dal
timore che la Gran Bretagna seguisse la parabola percorsa
dalla Germania di Weimer, con la crisi delle istituzionali
liberali, la diffusione del socialismo in campo economico,
la deflagrazione delle contraddizioni interne al sistema
pianificato e la via di uscita politica attraverso un regime
totalitario di tipo fascista. Von Hayek non dubitava della
buona fede degli “amici e colleghi inclini a simpatizzare
con la sinistra”, riguardo alle loro idee sul nesso tra il
benessere e la giustizia di interventi statali. E, come
ricorderà in seguito, nella dedica del libro – «Ai socialisti
di tutti i partiti» – non vi era «alcun intendimento ironico
sociale e la necessità di programmare piani»5. Tuttavia, il
“totale fraintendimento” dei circoli progressisti della natura
dei regimi nazi-fascisti e il loro rapporto con la
pianificazione, a giudizio di Von Hayek, esponeva anche la
civile Inghilterra ai gravi ed incombenti pericoli.
Le critiche non furono accolte bene dai colleghi, tra i
Laski, con cui Hayek si frequentava e condivideva la
passione per il collezionismo di libri, era certamente uno
dei più cari. La pubblicazione del libro incrinò
irrimediabilmente i loro rapporti, visto che Laski si
5
FRIEDRICH A. V ON HAYEK , La via della schiavitù, cit., 13.
convinse che le critiche del collega erano rivolte
principalmente a lui. In un clima intellettuale e scientifico
intriso di cultura interventista ed ostile al liberalismo, molti
altri studiosi, allora, rivolsero all’opera di Von Hayek
manifestazioni di scherno. Come ricorda Antonio Martino,
«Nel 1944 il liberalismo classico costituiva una sorta di
curiosità storica e il numero di cultori era irrisorio. [...]
Quando nel 1947 Hayek decise di fondare la Mont Pèlerin
Society con lo scopo di riunire «un gruppo di persone che
siano d’accordo sui princìpi fondamentali» di una società
libera, la sua valutazione sul numero di liberali era
pessimistica: «il numero di coloro che in un dato paese
sono d’accordo su quelli che a me sembrano i principi
liberali è piccolo». [...] Gli faceva eco Schumpeter che, nel
1949, commentando l’efficacia delle riunioni della Mont
Pèlerin Society, scriveva: «Credo che ci sia una montagna in
Svizzera dove si sono tenuti congressi di economisti che
disapprovano quasi tutte queste politiche socialiste. Ma
questi anatemi non hanno nemmeno suscitato critiche»6.
Questo commento ben documenta la distanza tra l’in-
terpretazione dominante negli ambienti scientifici e politici
anglosassoni, sempre meno ostili al socialismo, e la
ricostruzione che Von Hayek proponeva della storia europea,
avvertendo i colleghi e i lettori dei rischi incombenti. Certo,
egli non poteva dimostrare le proprie previsioni
scientificamente. E, del resto, nella concezione hayekiana del
sapere, gli eventi storici dischiudono sempre «terre
sconosciute» e, nel tempo presente, «solo raramente
possiamo percepire qualche barlume di quanto giace nel
futuro»7. La storia non si ripete mai e nessuno sarà mai in
grado di prevedere con precisione il corso inevitabile degli
6
A NTONIO M ARTINO, Introduzione all’ edizione italiana, in
FRIEDRICH A. V ON HAYEK , La via della schiavitù, cit., pp. 6-7.
7
FRIEDRICH A. V ON HAYEK , La via della schiavitù, cit., p. 45.
eventi. Ciononostante, l’interpretazione delle situazioni
passate, alla luce delle condizioni storiche e degli sviluppi
che si sono prodotti a partire da quelle, può insegnarci molto.
Tanto più che si tratta di una comparazione ravvicinata nel
tempo tra ciò che è accaduto nella Germania degli anni
Venti e Trenta, che l’Autore ha vissuto in prima persona, e
quello potrebbe accadere, a distanza di due decenni, in paesi
pur più evoluti, economicamente e politicamente, come
l’Inghilterra e gli Stati Uniti d’America:
12
Ivi, pp. 59-60.
netto di inevitabili limiti, agli individui dovrebbe essere
permesso di seguire i loro propri valori e interessi piuttosto
che quelli imposti da una qualche autorità esterna. Tutte le
limitazioni alla loro sovranità devono trovare il loro
fondamento in finalità sociali che essi stessi hanno deciso di
perseguire attivando forme di collaborazione:
13
Ivi, pp. 109-110.
Questa idea della libertà individuale e della tolleranza tra
persone che cercano, ciascuna a modo proprio, di foggiare la
loro esistenza scegliendo tra diverse condotte personali e
forme associate, è strettamente collegata allo sviluppo del
commercio. Dalle città dell’Italia del Nord, la nuova
concezione di vita si diffuse, al crescere dei traffici,
attraverso la Francia e la Germania sud-occidentale, fino ai
Paesi Bassi e alla Gran Bretagna, potendo beneficiare qui
dell’assenza di un potere dispotico che la soffocasse e
finendo per diventare la base della vita sociale e politica.
Ancora da qui, sul finire del XVIII secolo e per tutto
l’Ottocento l’individualismo si diffuse, in una forma più
matura, verso il Nuovo Mondo e il continente europeo, in cui
l’oppressione politica l’aveva parzialmente distrutto. Le tre
grandi rivoluzioni dell’epoca moderna, quella scientifica,
quella industriale e quella liberale, sono strettamente
connesse tra loro dal legame all’individualismo. Il
liberalismo ha esteso a tutte le classi la coscienza della
libertà e dei benefici personali e collettivi del suo uso,
creando quindi le condizioni culturali per uno sviluppo
economico e sociale che elevò il benessere, la sicurezza e
l’indipendenza, per un numero sempre più crescente di
soggetti, a livelli inimmaginabili nei secoli precedenti. La
fede nelle possibilità di migliorare la propria sorte era
testimoniata dal successo già ottenuto da altri individui. E la
storia del genere umano ci insegna, in effetti, che i migliori
progressi materiali e spirituali sono stati possibili perché vi
è stata una riduzione della sfera in cui le azioni individuali
erano disciplinate da regole stabilite per imperio.
Il principio organizzativo che ha coordinato
intenzionalmente l’insieme interdipendente di relazioni tra i
soggetti singoli e associati è stata la concorrenza in un
mercato soggetto il meno possibile alla coercizione politica.
Fu questa libertà in campo economico che accrebbe gli
spazi di libertà personale e politica come mai in passato. A
favore della libera concorrenza intervenne, infatti, la
constatazione che la pianificazione pregiudicava l’attesa
generalizzata di un progresso verso il meglio e lo stimolo per
il miglioramento futuro in termini benessere e libertà. Von
Hayek ritiene, infatti, che se «l’innalzarsi del livello di vita
portò subito a scoprire nella società difetti molto gravi,
difetti che gli uomini non erano più disposti a tollerare
ancora, non ci fu probabilmente nessuna classe che non
traesse sostanziali benefici dal progresso generale»14.
Questo progresso, tuttavia, fu inevitabilmente lento e le
aspettative che lo stesso liberalismo aveva generato gli si
ritorsero contro. Oramai le classi subalterne non erano più
disposte a tollerare le diseguaglianze e discriminazioni né
ad aspettare che il ciclo economico di produzione e
distribuzione della ricchezza facesse il proprio corso. Per di
più, come riconosce lo stesso Von Hayek, montava una
“giusta indignazione” contro quanti usavano la fraseologia
liberale in difesa di privilegi antisociali pregressi. Quando
divenne chiaro che la posizione sociale non era determinata
da “forze impersonali” – la provvidenza, la natura, il
mercato, etc. – ma da decisioni deliberate delle istituzioni
politiche, cominciò l’assalto al loro potere15.
Fu così che, sul volgere del XIX secolo, la fede nei
princìpi del liberalismo fu progressivamente abbandonata a
favore di dottrine e politiche di orientamento socialista, che
la maggior parte dell’intellighenzia abbracciò quali eredi
legittime e completamento della tradizione liberale. Per
contro, a giudizio di Von Hayek, il socialismo rappresenta
una “rottura” non solo rispetto al liberalismo ottocentesco
bensì all’intera evoluzione della civiltà occidentale.
Rievocando gli ammonimenti di Tocqueville e Lord Acton,
14
Ivi, p. 62.
15
Ivi, p. 160.
egli ritiene che il socialismo è “schiavitù” 16. Del resto, sin
dalle formulazioni della tradizione francese, il socialismo
moderno fu “chiaramente autoritario” e incompatibile con
le basi individualiste della democrazia:
Gli scrittori francesi che posero del socialismo moderno
non avevano alcun dubbio loro idee potevano venir
messe in pratica soltanto da un forte governo dittatoriale.
Per loro, il socialismo significava un tentativo di
«portare a termine la rivoluzione» per mezzo di una
intenzionale riorganizzazione della società progettata su
basi gerarchiche e ad opera dell’imposizione di un
«potere spirituale» coercitivo. Per quel che concerneva
la libertà, i fondatori del socialismo non nascosero
affatto le loro intenzioni 17.
16
Ivi, p. 58.
17
Ivi, p. 70.
18
Ivi, p. 73.
generazioni” –, non soltanto è inattuabile ma che lo sforzo
di raggiungerlo produce esiti completamenti opposti alla
crescita del benessere, della pace e della libertà, essendo la
premessa per il passaggio a regimi totalitari.
2.3. Il socialismo e la pianificazione “inevitabile”
19
Ivi, p. 77.
20
Ivi, p. 81.
ragione che vogliono organizzare la società nella sua
interezza e tutte le sue risorse in vista di questo fine
unitario, e per la ragione che si rifiutano di riconoscere
sfere autonome nelle quali i fini degli individui sono
sovrani. In breve, essi sono totalitari nel vero senso di
questo nuovo termine 21.
21
Ivi, pp. 106-107.
22
Ivi, p. 82.
23
Ibidem.
schierano a favore del dirigismo centralista dell’economica,
non tanto perché lo ritengano desiderabile bensì perché
ritengono di non avere oramai alcuna possibilità di scelta.
Vi è, infatti, una tesi diffusa che egli intende contestare,
secondo cui circostanze al di là del nostro controllo
impongono di sostituire la pianificazione alla competizione:
24
Ivi, pp. 91-92.
25
Tra i fautori dello sviluppo inevitabile dei monopoli Von
Hayek cita in particolar modo da Werner Sombart, mentre per la tesi
della necessità di politiche di pianificazione fa riferimento a Karl
Mannheim.
valutazione completamente sbagliata del suo funzionamento.
Al contrario, proprio la grande complessità dell’odierna
divisione del lavoro fa sì che il regime di concorrenza sia
l’unico metodo di coordinamento delle azioni umane, e ciò
attraverso i meccanismi di determinazione dei prezzi che
mettono i soggetti economici in grado di adattare
reciprocamente le loro aspettative e condotte:
26
Ivi, p. 98.
disposizioni articolate e concrete il “fine sociale” in
funzione del quale la società deve essere organizzata. Come
ben argomenta Von Hayek, dirigere tutte le nostre attività
secondo un unico piano presuppone che «a ognuno dei nostri
bisogni sia assegnato il suo posto in un ordine di valori che
dev’essere sufficientemente completo da rendere possibile
decidere tra tutte le differenti vie che il pianificatore ha da
scegliere. Presuppone, in poche parole, l’esistenza di un
codice etico completo in cui a tutti i differenti valori umani
sia assegnato il posto ad essi dovuto»27. Ora, chi è davvero
in grado di ricostruire questa enorme mappa dei valori e
degli interessi di tutti gli attori sociali? Inevitabilmente, ci
troveremo alle prese con lacune vistose e, soprattutto,
interpretazioni erronee e capziose.
Per un verso, orientare la pianificazione centralizzata in
base a un codice etico completo non è ragionevolmente
possibile: «Non solo noi non possediamo una simile
onnicomprensiva scala di valori, ma sarebbe impossibile per
qualsiasi mente umana comprendere l’infinità varietà dei
differenti bisogni dei diversi individui che competono per le
risorse disponibili, e attribuire a ciascuno un peso
determinato»28. La coscienza di questo fatto ineludibile
rappresenta il fondamento di tutta la filosofia individualista.
Pur essendo incredibilmente più “rozzo”, “primitivo” e
“limitato nella sua portata”, il metodo della direzione
centralizzata dell’economia continua ad avere un crescente.
Von Hayek si pone, quindi, il problema di capire come mai
un così grande numero di scienziati e tecnici si trovi in prima
linea affianco del partito della pianificazione. Al fondo delle
loro convinzioni vi sarebbe la frustrazione delle loro attese
che li spinge a “rivoltarsi contro l’ordine esistente”. Ogni
persona vorrebbe ottenere, nel breve arco di tempo della
27
Ivi, p. 107.
28
Ivi, p. 109.
propria vita, almeno la maggior quantità di cose che
desidera, non potendo certo averle tutte. La sovrapposizione
del proprio sistema di rilevanze a quello che si forma
spontaneamente nella dinamica sociale, spinge coloro che
più di altri si interessano ai fenomeni di rilevanza pubblica
a parteggiare per la pianificazione, sperando di poter
instillare nei dirigenti politici le loro idee circa il valore di
particolari valori e obiettivi. Ma questa illusione
eminentemente forte nello specialista è un retaggio culturale
presente in molti cittadini, con l’esito di far deflagrare il
conflitto tra partiti contrapposti:
31
Ivi, pp. 112-113, 114.
impotenza politica che lo stesso parlamento ha creato. Per
tale ragione, egli scrive che «Opporsi alla delega in quanto
tale equivale ad opporsi ad un sintomo invece che alla
causa»32.
Questa sottrazione di potere legislativo agli organi
costituzionali elettivi introduce nell’ordinamento statale un
snaturamento del carattere generale della norma giuridica.
Infatti, i problemi in discussione, oggetto della delega, non
possono venir regolati da disposizioni generali, ma tramite
decisioni discrezionali da prendere caso per caso: «la delega
significa che ad una qualche autorità è stato dato il potere di
dare forza di legge a quelle che, sotto ogni aspetto, sono
decisioni arbitrarie (o che di solito vengono descritte con
l’espressione «giudicare il caso nel merito») 33.
La delega di particolari compiti tecnici a specifici
organismi regolarmente costituiti è però il primo passo del
processo con cui una democrazia che sceglie la politica della
pianificazione abbandona progressivamente i suoi poteri.
Infatti, affinché la direzione dell’economia sia efficace è
necessario coordinare gli organismi a cui è stato delegato il
potere di intervento su settori specifici perché «Molti piani
separati non costituiscono una pianificazione unitaria (a
planned whole); e, in effetti, come gli stessi pianificatori
dovrebbero ammettere per primi, avere tanti piani separati
può essere peggio che non averne nessuno»34. Ma è
immaginabile che l’organo legislativo abbandoni del tutto
ogni decisione sugli indirizzi generali a favore di questa
sorta di comitato centrale della pianificazione?
È molto probabile, allora, che il nuovo stallo provochi
nell’elettorato una richiesta sempre più forte e insistente
perché al governo o ad un qualche leader carismatico sia dato
32
Ivi, p. 117.
33
Ibidem.
34
Ivi, pp. 117-118.
il potere di agire in base alla propria responsabilità:
37
Ivi, pp. 119-120.
38
Ivi, p. 120.
39
Ivi, p. 122.
impedisce di essere arbitrario ma la limitazione dello stesso.
Nulla più distingue più chiaramente, a giudizio di Von
Hayek, la situazione di un sistema politico sottoposto a un
governo arbitrario da quello in cui è mantenuta l’osservanza
del principio conosciuto come “sovranità della legge” (rule
of law). Con tale espressione si intende che «il governo in
tutte le sue azioni è vincolato da norme stabilite e
annunciate in anticipo: norme che rendono possibile
prevedere con ragionevole certezza in che modo l’autorità
userà i suoi poteri coercitivi in determinate circostanze, e che
rendono possibile agli individui programmare i propri affari
sulla base di tale conoscenza»40. Le norme astratte e formali
si riferiscono a situazioni tipiche senza riferimenti a tempi, a
luoghi o determinate persone. In un sistema di pianificazione
pubblica, per contro, l’autorità che progetta i piani non può
vincolarsi in anticipo a regole generali e formali che vietino
l’arbitrio poiché essa deve continuamente stabilire
graduatorie valoriali di merito tra le necessità di differenti
persone e assumere corrispondenti decisioni. La
discrezionalità lasciata agli organi esecutivi che detengono
il potere coercitivo determina il fatto che alla fine «sarà
l’idea di qualcuno a decidere quali interessi sono più
importanti; e questa idea dovrà diventare parte della legge
del Paese. Ci troviamo così di fronte ad una nuova
distinzione di rango che viene imposta sulla gente
dall’apparato coercitivo dello Stato»41.
La selezione di ciò che ha valore e ciò che non ne ha e la
misura del riconoscimento ha inevitabilmente una
dimensione etica che trasfigura le funzioni dello stato
liberale. Il governo, infatti, deve, imporre le proprie
valutazioni ai cittadini e, invece di aiutarli nella
realizzazione dei loro particolari fini, deve scegliere per
40
Ivi, p. 123.
41
Ivi, p. 125.
loro i fini legittimi:
42
Ivi, p. 128.
43
Ivi, p. 141.
44
Ivi, p. 141.
equa i bisogni collettivi, i socialisti hanno così aperto la
strada al controllo su ogni aspetto della vita da parte del
totalitarismo.
Non soltanto ogni aspetto deve essere disciplinato ma
non appena lo Stato prende su di sé il compito di pianificare
l’intera vita sociale, il problema della posizione che spetta
in tale ordine ai diversi individui e gruppi finisce
inevitabilmente per diventare il nodo politico centrale. Ogni
questione diviene politica perché chi detiene il potere potrà
far prevalere le proprie idee e interessi su tutti:
Chi pianifica per gli altri?; chi dirige e domina gli altri?
chi assegna alle altre persone il loro posto nella vita?; e
chi è che ha da farsi fissare da altri quel che deve fare?
Questi diventano, di necessità, i problemi centrali che il
potere supremo deve decidere senza interferenze da parte
di nessuno 45.
45
Ivi, p. 162.
stampo46. L’avversione alla libera concorrenza è il comune
denominatore dei “socialisti di sinistra e di destra”, il cui
intendo è quello di organizzare e dirigere centralisticamente
tutte le forze sociali in vista dei rispettivi fini costitutivi.
Un’ulteriore linea di continuità tra il socialismo e il
fascismo è data dalla condivisione delle medesime forme di
indottrinamento e irregimentamento delle masse popolari,
attraverso l’instillazione di una visione del mondo, da cui
discendono idee, valori e norme di condotta, e la creazione di
partiti, associazioni e iniziative volte a reclutare, mobilitare e
controllare gli aderenti e combattere i nemici. Una
pianificazione che abbia successo, infatti, richiede
un’opinione comune favorevole sui fini essenziali e
un’organizzazione che sovraordini alla messa in opera delle
azioni. A tale scopo, i partiti socialisti per primi hanno
dedicato particolari sforzi al proselitismo tra le masse
popolari e all’educazione dei giovani. L’adesione necessaria
per giustificare la pianificazione sociale però non richiede
convinzioni razionali ma l’accettazione di un “credo”. In
quest’opera volta a produrre un movimento politico di
massa sostenuto un’unica visione del mondo e un comune
ordine di valori, i socialisti crearono per primi la maggior
parte degli strumenti pervasivi di indottrinamento e
irregimentamento di cui si avvalsero, in seguito e contro di
essi, i movimenti fascisti in Italia e Germania:
46
Ivi, p. 76.
cominciarono a riunire i fanciulli sin dalla più tenera età
in organizzazioni politiche per assicurarsi che crescessero
da buoni proletari. Non furono i fascisti ma i socialisti che
per primi pensarono di organizzare sport o giochi, partite
di pallone e gite, in circoli di partito in cui i membri non
sarebbero stati infettati dalle idee di altri. Furono i
socialisti ad insistere per primi che i membri del partito si
distinguessero dagli altri per il modo di salutare e
attraverso le formule adoperate nel rivolgersi il discorso.
Furono i socialisti che con l’organizzazione di cellule e
dispositivi per il controllo continuo della vita privata
crearono il prototipo del partito totalitario. Balilla e
Hitlerjugend, Dopo- lavoro e Kraft durch Freude,
uniformi politiche e formazioni militari di partito non
sono nient’altro che imitazioni di istituzioni socialiste
più vecchie 47.
49
Ivi, p. 88.
il fatto che se tali concentrazioni fossero state il risultato
necessario dell’evoluzione del capitalismo, avremmo
dovuto aspettarci la loro comparsa nei Paesi con sistemi
sociali più avanzati invece che in quelle economie
emergenti con fragili istituzioni democratiche50. Ora la
creazione di grandi corporation soggette a controlli pubblici
diretti o indiretti seppur private nel capitale rientrava nella
concezione classista della dottrina socialista. Quest’ultima,
infatti, era basata sull’idea di una divisione della società in
due classi con interessi comuni ma in contrasto sulla
distribuzione della ricchezza prodotta dal settore industriale: i
vecchi capitalisti e la nuova forza lavoro. In tale dottrina non
vi era spazio per altre forze sociali. Le grandi imprese, tanto
più se monopoliste, riuscirono ad assicurarsi l’appoggio
dello Stato persuadendo molti che la loro posizione
dominante fosse nell’interesse di tutti. Anche i sindacati e i
partiti socialisti trovarono conferma a tale mistificazione
negli alti salari che le grandi imprese dominanti erano in
grado di pagare ai loro dipendenti 51.
Il “congelamento” di questa configurazione di interessi
corporativi fu all’origine della nascita di un possente
movimento ostile alla pianificazione socialista e animato non
tanto dai capitalisti, con cui già si era trovato una specie di
accordo, ma dalla nuova classe media – lo sterminato
esercito di impiegati, amministratori e insegnanti,
commercianti e piccoli funzionari –, dagli occupati in lavori
più modesti e dalla massa montante di nullatenenti. Fu
questo il blocco che sconfisse l’avanzata dell’élite dei
lavoratori dell’industria e i loro rappresentanti politici52.
Von Hayek ricorda che, per un certo tempo queste classi,
fornirono molti dei leader del movimento operaio. Ma
50
Ivi, p. 94.
51
Ivi, p. 253.
52
Ivi, p. 170.
allorché si fece chiaro che la loro posizione peggiorava a
favore dei lavoratori dell’industria, queste categorie si
rivolsero ad altri movimenti politici che disprezzavano
egualmente il regime liberale, ma garantivano la difesa dei
loro interessi di classe, sempre più distanti da quelli di un
movimento operaio organizzato che percepivano parte della
classe sfruttatrice piuttosto che di quella sfruttata:
57
Ivi, p. 193.
58
Ivi, p. 194.
59
Ivi, pp. 194-195.
essi si pongano al servizio dell’organizzazione perché
credono in quel sistema di valori. Von Hayek sottolinea che
«Se nei Paesi totalitari il senso di oppressione è in generale
assai meno acuto che non nei Paesi liberali, è per via del fatto
che i governi totalitari riescono molto bene a far pensare la
gente come vogliono loro. Il che è ottenuto, in effetti,
attraverso varie forme di propaganda»60. La conseguenza
della propaganda totalitaria, volta tutta a influenzare gli
individui nella stessa direzione politica, è la distruzione
delle convinzioni morali e del rispetto della stesso della
verità su questioni di fatto che impegnano in diverso modo
l’intelligenza degli uomini. Dal momento che c’è un capo
supremo che determina da solo i fini sociali, quelli che sono
i suoi esecutori non devono avere convinzioni morali e
opinioni proprie. La critica pubblica o perfino le espressioni
di dubbio devono essere soppresse perché tendono a
indebolire il sostegno generale. I seguaci devono affidarsi
senza riserve alla persona del capo; ma la cosa più
importante, dopo questa, è che essi siano assolutamente
senza principi e letteralmente capaci di tutto. Per far sì che
un’adesione così poco motivata si tramuti in
un’appartenenza attiva, seppure nella forma della
sottomissione incondizionata al partito, il leader deve,
infine, creare un senso di identità immediato ed escludente:
«Il contrasto sto fra «noi» e «loro», la lotta comune contro
quelli che tanno fuori dal gruppo, sembra essere l’in-
grediente essenziale di ogni dottrina che voglia unificare
strettamente un gruppo in vista di un’azione collettiva»61. Su
questa contrapposizione, tanto più se irresolubile, fanno
leva i movimenti che non ricercano unicamente l’adesione
di simpatizzanti a una data politica bensì la mobilitazione
delle masse per uno “scontro di civiltà”, sia esso condotto a
60
Ivi, p. 208.
61
Ivi, p. 195.
difesa degli interessi superiori di un’etica particolarista di
tipo nazionalista, razzista o classista. La conseguenza
obbligata di queste concezioni è che una persona è degna
solo in virtù della sua appartenenza al gruppo e non
semplicemente per il fatto di essere uomo. Laddove queste
finalità governano l’intera società è inevitabile che la
crudeltà possa diventare un dovere e «siccome ci sarà
bisogno di azioni cattive di per sé, che tutti coloro ancora
influenzati dalla morale tradizionale saranno riluttanti a
compiere, la sollecitudine a fare cose cattive diventa la via
per ottenere promozioni e potere»62.
62
Ivi, pp. 206-207.
capitalistico di libera impresa le opportunità sono
condizionate dalla proprietà privata la cui origine discende
in parte considerevole dall’eredità. Tuttavia quale altra
organizzazione lascia anche al povero la possibilità di
elevare la propria posizione sociale?
63
Ivi, p. 156.
interferenza coercitiva nella vita economica da parte delle
istituzioni politiche, nella misura in cui tali interventi
possono aiutarne il funzionamento:
68
Ivi, p. 181.
69
Ivi, p. 184.
dalla « regolazione » della concorrenza 70.
74
FRIEDRICH A. V ON HAYEK , trad. it. La società libera, Firenze,
Vallecchi, 1969.
75
FRIEDRICH A. V ON HAYEK , trad. it. Legge, legislazione e
libertà, Milano, Il Saggiatore, 1986.
liberalismo classico da minoranza isolata ad un ruolo di
avanguardia nel dibattito politico contemporaneo» 76. Tra i
politici, Margaret Thatcher 77 che, per il suo “servizio agli
studi economici”, lo fece nominare, nel 1984, membro
dell'Order of the Companions of Honour (Ordine dei
Compagni di Onore) di Elisabetta II del Regno Unito. E un
anno prima morte, ottenne dal presidente degli Stati Uniti
George W. Bush la Presidential Medal of Freedom, una delle
maggiori onorificenze civili degli Stati Uniti.
76
A NTONIO M ARTINO, Introduzione all’ edizione italiana, in
FRIEDRICH A. V ON HAYEK , La via della schiavitù, cit., p. 5.
77
Margaret Thatcher dichiarò spesso di considerare Von Hayek
un punto di riferimento importante nella propria visione dei
compiti della politica rispetto alla sfera privata delle relazioni
economiche e sociali. E, sin dal primo incarico nel 1979, la “lady
di ferro” nominò Segretario di Stato per l'industria Keith Joseph, il
presidente dell'Hayekian Centre for Policy Studies.