You are on page 1of 6

La visita canonica1

Indicazioni di metodo e linee programmatiche


di Pier Luigi Nava

Premessa

La «visita canonica» classica era un evento che, fino agli anni immediatamente post-conciliari,
riceveva nella mentalità e prassi della vita consacrata una indubbia considerazione disturbata
anche da una certa apprensione: non poche volte, in quell’occasione, si ponevano le premesse di
futuri trasferimenti. Successivamente è sorto un certo imbarazzo anche nell’utilizzo lessicale
dell’attribuzione «canonica». Tende quasi a scomparire. Si coniano nuove varianti: da «visita
fraterna» a «visita pastorale» [sic!] o più semplicemente subentra la diffusa parola «verifica» i cui
contorni rimangono indefiniti quanto la rispettiva finalità e le modalità di realizzazione. Questa
incertezza segna ancor oggi la prassi di non pochi istituti maschili e femminili. In particolare chi
non può vantare una tradizione secolare. Gli Ordini dei Mendicanti e dei Chierici Regolari hanno
prodotto una normativa che ne definiva con rigore anche le più minute procedure. Si tratta,
dunque, di recuperare il valore che tradizionalmente ha espresso questa antica disciplina regolare
e ri-significarlo nell’attuale contesto della situazione socio-ecclesiale della Vita Consacrata.
Si presentano, dunque, alcune indicazioni di metodo - senza pretesa di potersi contestualizzare
per ogni situazione - ma rivolte in particolare a istituti centralizzati con «struttura a rete» delle
comunità a livello nazionale o regionale. Dopo aver richiamato brevemente la legislazione
codiciale (can. 628 §1), si puntualizzano gli obiettivi istituzionali ed ecclesiali della visita canonica.
Infine si suggeriscono alcune linee programmatiche per dare senso e un minimo di efficacia a una
prassi che investe la responsabilità di governo dei Superiori Maggiori.

Indicazioni di metodo

«I Superiori […] visitino con la frequenza stabilita le case e i religiosi loro affidati, attenendosi alle
norme dello stesso diritto proprio». La portata del can. 628 § 1 consiste nel ricordare l’obbligo di
questa visita ("visitent") . Il diritto proprio (Costituzioni-Direttorio o analoghi) "deve prevedere
visite periodiche determinate ("statis temporibus") 2. Visite che aprono un dialogo personale e
comunitario. Fatta salva la libertà di ognuna di esprimersi o meno con la Superiora. Tuttavia è
indubbio il diritto della medesima di informarsi - secondo prudenza e discrezione - delle
situazioni personali e comunitarie. La Superiora «ha il diritto di conoscere, e i religiosi hanno il
dovere di manifestare, tutto ciò che riguarda la vita e la disciplina religiosa tanto nell’insieme
quanto per ciò che si riferisce ai singoli religiosi, particolarmente ai superiori, secondo lo spirito e
la natura di ciascun istituto. Per esempio, non sono legittime, e i religiosi non sono tenuti a
rispondere, le domande riguardanti il foro interno o la vita strettamente intima sia propria o degli
altri, oppure le faccende di parenti"3. Non viene imposto ai singoli religiosi l’obbligo di presentarsi
alla Superiora, "però l’obbligo nasce se il visitatore lo impone» 4.
Dopo aver accennato alla normativa codiciale sulla visita canonica prendiamo spunto da un passo
di D. Bonhoeffer per esplicitare quello che ho convenuto chiamare obiettivo istituzionale ed
ecclesiale della visita canonica: «[...] i carismi, dati ai singoli dallo Spirito santo, sono
rigorosamente disciplinati dalla diaconia alla comunità, poiché Dio non è Dio del disordine, ma
della pace (1Cor 14,32ss.). Lo Spirito santo si rende visibile [n.s.] (phanér?sis 1Cor 12,7) appunto
che tutto si compie per il vantaggio della comunità […] Così la comunità è senz’altro libera nel dar

1 Consacrazione e Servizio n. 5 / maggio 2002 Premessa. http://www.usminazionale.it/5-2002/nava.htm


2 V. Del Paolis. La vita consacrata nella CHiesa. EDB, Bologna 1992, p 222.
3 A, Calabrese, Istituti di Vita consacrata e Società di vita apsotolica, LEV; Città del Caticano 1997, p 136.
4 A. Calabrese, op. cit., p. 135.

1
forma ai propri ordinamenti secondo la necessità; ma se il suo ordinamento viene intaccato
dall’esterno, allora si intacca la forma visibile dello stesso corpo di Cristo» 5.
In altri termini si può configurare l’obiettivo di una visita canonica in due dimensioni strettamente
complementari:
• una verifica della visibilità del quadro valoriale (Regola) della comunità ("forma visibile
dello stesso corpo" = obiettivo istituzionale)
• e se quest’ultima interagisce ecclesialmente secondo un progetto d’Istituto ("diaconia alla
comunità" = obiettivo ecclesiale).

Presentiamo, ora, alcuni spunti di riflessione inerenti ai suddetti obiettivi.

1.1. Obiettivo Istituzionale: visibilità della Regola

L’efficacia di norme e regolamenti richiama di riflesso l’effettiva conformità alle nostre regole di
vita. In periodi di crisi delle regole si invocano e si pretendono regole. Tutti venerano le regole e
chiedono comunque che tutti, cioè gli altri, le rispettino. Si parla di regole soprattutto quando le
esistenti sono incerte o insoddisfacenti per molti, quando si avverte l’esigenza di nuove. E’ difficile
sostenere la centralità delle regole nell’attuale panorama della Vita Consacrata. Ciò dicendo non si
vuol sminuire la loro indubbia rilevanza per l’identità istituzionale ecclesiale di una famiglia
religiosa e anche per lo stesso orientamento vocazionale alla vita consacrata. Per secoli, infatti, vita
regolare è stata sinonimo di vita religiosa. Si tratta di prendere atto con umiltà e lucidità che
l’autocomprensione del gruppo - intesa come interpretazione condivisa dei valori di una identità
consacrata - sembra non avere più nelle regole il suo riferimento d’obbligo. Non è qui il caso di
aprire una riflessione su di una problematica assai complessa.
Si vuol semplicemente recuperare - attraverso la modalità della visita canonica - un esercizio di ri-
coesione della comunità a un quadro valoriale assunto tradizionalmente dalla Regola nella
consapevolezza che la conformità alle regole non è vissuta da noi perché ciascuno si aspetta che
tutti gli altri si conformino6. Se la personale adesione si fondasse sull’aspettativa di una conformità
quasi universale, significa che si preferisce osservare una norma a condizione che quasi tutti la
osservino. La conformità di cui si vuol discorrere è in stretta connessione all’interpretazione delle
regole come risorsa di coesione (spirituale, istituzionale, ecclesiale e disciplinare…) a disposizione
della comunità per una verifica di coerenza su due aspetti strettamente complementari:
- di analisi della rilevanza delle regole per determinati problemi legati all’interazione
comunitaria;
- e se le regole facilitano la soluzione di problemi per accrescere il benessere di tutti i
componenti della comunità.

Per estrema sintesi: se le regole continuano a ricevere senso dalla condivisione comunitaria o,
forse caso più frequente, se alimentano un conformismo di routine che rischia di renderle carenti
di senso. «Le regole ci incoraggiano a considerare noi stessi come fondamentalmente simili agli
altri, anziché come fondamentalmente diversi. Ognuno di noi è una collezione unica di particolari,
e l’unicità è un concetto centrale dell’individualismo. Nella misura in cui un metodo per pensare o

5 D. Bonhoeffer, Sequela, (trad. dal tedesco di M.C. Laurenzi), Queriniana, Brescia 1997, p. 234.
6 "Immaginiamo una comunità che si attenga a una rigida norma di veridicità. Un estraneo che, entrando nella
comunità, menta e violi quindi sistematicamente questa norma, quand’anche non venga apertamente emarginato,
verrà sicuramente fatto oggetto di ostilità. Supponiamo ora che un gruppo numeroso di bugiardi riesca a infiltrarsi in
questa piccola comunità. Con il tempo, le persone smetterebbero di aspettarsi sincerità da parte degli altri, e non
troverebbero più alcun motivo per continuare a essere sinceri in un mondo sopraffatto dalla menzogna.
Probabilmente la norma che prescriveva di dire la verità cesserebbe di esistere, poiché la forza di una norma risiede
nell’essere rispettata da quasi tutti i membri del gruppo" (C. Bicchieri, Azione collettiva e razionalità sociale,
Feltrinelli, Milano 1998, p. 244).

2
per prendere decisioni sottolinea e dà rilievo a questa unicità, a ciò che ci rende diversi da altri, a
ciò che vogliamo, al perché il mio caso è speciale, questo stesso metodo opera come filtro e
impedisce di vedere l’agente individuale come parte di un gruppo. Distogliendo la nostra
attenzione dall’unicità e dalla diversità, le regole possono incoraggiarci a vedere il nostro
benessere come inestricabilmente legato e dipendente da quello del gruppo e ci scoraggiano
dall’invocare l’unicità di una situazione o pretendere l’unicità di trattamento. Le regole possono
quindi svolgere un ruolo centrale nel funzionamento di ogni azione di gruppo concepita secondo
linee fortemente comunitarie. Esse giocano un ruolo persino nelle attività comunitarie che
coinvolgono membri egoisti di un gruppo concepito egoisticamente: più specificamente, è
importante fare un’analisi della rilevanza delle regole per un certo numero di problemi legati
all’azione collettiva, e vedere se facilitano la soluzione dei quei problemi e quindi accrescono il
benessere di tutti i membri del gruppo che seguono le regole»7.
Si accennava sopra che la visita canonica può essere l’occasione propizia per un esercizio di ri-
coesione della comunità. Il motivo si contestualizza nel fenomeno di quello che Z. Bauman ha
configurato come crisi delle «fondamenta epistemologiche dell’esperienza della comunità». La
crisi investe in modo particolare le società industrializzate. «Si sarebbe tentati di dire - osserva il
noto studioso - ‘di una comunità coesa’, se questa espressione così spesso usata non fosse
pleonastica: nessuna aggregazione di essere umani viene vissuta come una ‘comunità’ a meno che
non sia resa ‘coesa’ da profili saldati da una lunga storia e da una ancor più lunga aspettativa di
frequente e intensa interazione. E’ questa esperienza che oggi viene a mancare, ed è la sua assenza
che viene interpretata come ‘declino’, ‘scomparsa’ o ‘eclissi’ della comunità» 8. La Regola appartiene
alle «fondamenta epistemologiche dell’esperienza della comunità» nella Vita Consacrata e
s’intesse nella comune narrazione di un istituto e di una comunità. L’evento della visita canonica
dovrebbe verificare - nella struttura a rete delle nostre comunità - se la visibilità della regola è
vissuta come risorsa di coesione che dà coerenza alla comune narrazione 9.

1.2. Obiettivo ecclesiale: progetto d’istituto

Il secondo obiettivo - complementare al precedente - è la verifica della condivisione di un progetto


d’Istituto. Il senso di una progettazione - all’interno dell’esperienza storico-ecclesiale della Vita
Consacrata - si coglie dentro un processo di discernimento istituzionale ed ecclesiale avviato a
partire da criteri derivati dal carisma fondazionale 10. Progettazione che inscrive una necessaria
premessa: la consapevolezza che l’unico disegno adeguato sulla realtà e sulla propria comunità è
quello di Dio. Esso si manifesta concretamente attraverso le circostanze e i segni dei tempi. La
forza del carisma particolare, in nesso costitutivo con la Chiesa, consiste nel saper leggere e
cogliere questi ‘segni’ come momento favorevole per l’edificazione di tutta la realtà ecclesiale.
L’adesione a un progetto d’Istituto diventa significativo per una comunità - e per i singoli - nella
misura in cui esso diventa segno concreto della rinuncia a progettarsi la vita da se stessi; rinuncia
originata da una chiamata alla libertà che si riconosce nella adesione al disegno di Dio,
misteriosamente comunicatoci nella persona di Cristo, morto e risorto e datore dello Spirito senza
misura. Aderire a quanto viene indicato autorevolmente - mediante un progetto - come atto di
libertà, diviene manifestazione (= visibilità) di una appartenenza a una comunità concreta, a sua
7 F. Schauer, Le regole del gioco. Un’analisi filosofica delle decisioni prese secondo le regole del diritto e nella vita
quotidiana, trad. ital., Il Mulino, Bologna 2000, p. 253.
8 Z. Bauman, Voglia di comunità, Laterza, Roma-Bari 2001, pp. 47-48.
9 Per le implicazioni inerenti all’ episteme degli Istituti di vita consacrata cf. P.L. Nava, Il custode del ponte.
Variazioni sulla distinzione delle istituzioni di vita consacrata : "Vita Consacrata" 37 (2001) 13-26.
10 «Il discernimento può essere definito, in primissima approssimazione, come la qualità dell’animo che consente di
riconoscere in ogni circostanza quello che conviene fare; e consente, prima ancora, di scorgere in ogni circostanza
che conviene fare qualcosa, che si può e si deve prendere una decisione, che insomma le diverse situazioni in cui
veniamo via via a trovare ci riguardano, ci interpellano, ci invitano a prendere parte, non ci respingono invece nella
situazione troppo comoda (ma anche, sotto altro profilo, troppo scomoda) di coloro che sono sempre e soltanto
spettatori» (G. Angelini, Le ragioni della scelta, Qiqajon, Magnano 1997, pp. 9-11).

3
volta espressiva dell’appartenenza alla Chiesa, in cui la persona è resa a se stessa nella concretezza
della sequela interpretata da un carisma fondazionale11.
Quest’ultimo ‘funziona’ anche a partire dalla sua capacità di fornire uno schema di correttezza
interpretativa (= paradigma) per l’individuazione sia di problemi ‘fuori’ (problemi di annuncio, di
missione, di organizzazione dei servizi, di progettazione pastorale, scolastica, sanitaria, di servizi
sociali) sia di situazioni ‘dentro’ (problemi di regolazione della vita comune, di progettazione
formativa, di gestione delle risorse, ecc.). Il paradigma assunto dal carisma ci pone anzitutto nella
condizione di discernimento comunitario: cioè un pensare e un agire dal punto di vista della
Chiesa e non immediatamente dal ‘nostro’ punto di vista. In questo senso il carisma fondazionale
elabora anzitutto un paradigma ecclesiale e - in stretta correlazione - un paradigma istituzionale.
Si tratta, beninteso, del medesimo paradigma letto nella sua differenziazione relazionale (Chiesa-
Istituto) all’interno della communio Ecclesiarum12.
In quest’ottica il campo d’intervento della visita canonica non è rinchiuso all’interno del ristretto
orizzonte dell’Istituto, ma apre la comunità a una prospettiva di «comunione ecclesiale [che]
promuove un modo di pensare, parlare e agire che fa crescere in profondità e in estensione la
Chiesa» (VC n. 46). «Il discernimento compiuto alla luce della rivelazione - scrive mons. R.
Fisichella - possiede, alla fine, un unico soggetto: la Chiesa. È evidente la presenza e la realtà del
discernimento personale e di uno comunitario a seconda delle diverse situazioni, ma alla fine il
vero discernimento è quello che viene compiuto alla luce dell’ecclesialità [n.s.]. Più, infatti, cresce
la coscienza ecclesiale di ognuno, più ci si sentirà parte di un mistero che, incarnandosi nella
storia, raduna tutti come un unico popolo raccolto intorno alla legge della carità» 13.
Dopo aver abbozzato l’obiettivo istituzionale ed ecclesiale di una visita canonica, si suggeriscono
alcune linee programmatiche intese a coinvolgere direttamente le comunità in questo evento per
non ridurle a ruolo di comparsa lasciando l’onere del protagonista al solo Superiore Maggiore.

2. Linee programatiche

Una discreta percentuale degli Istituti di Vita Consacrata religiosa - a direzione centralizzata -
residenti sul territorio italiano si configurano a marcata composizione regionale o interregionale 14.
Questi Istituti richiedono in via preferenziale un intervento di settore: formazione, scuola,
assistenza, pastorale parrocchiale ecc…; in altri termini l’obiettivo/i della visita canonica investono
primariamente la verifica di un settore-dimensione istituzionale. Diversamente in una situazione
regionalizzata la visita canonica tradizionale non produrrebbe risultati particolarmente
significativi. In concreto la composizione dell’Istituto postula una s-composizione dei settori. Le
istituzioni regionalizzate creano - nel tempo - una rete interdipendente di distribuzione di risorse,
ovvero chi è nel circuito assistenza minori e handicap difficilmente ne esce solo dopo qualche
anno; così pure chi è nel mondo della scuola. Pertanto la visita canonica si sintonizza con il circuito
delle risorse di settore per attivare in simultanea anche la verifica del medesimo.

11 Cf P.L. Nava, Relazione tra Superiore Maggiore e Provincia. Identità di ruolo e progettazione : "Religiosi in Italia" 6
(2001) 106-114; cf C.I.S.M., Relazione tra Superiore Maggiore e Provincia. Identità di ruolo e progettazione.
Strumento di Lavoro della 41a Assemblea generale (Bussolengo [Vr] 05-10 novembre 2001, Roma 2001, p. 7-8, n.
10.
12 Cf P.L. Nava, Istituti di Vita Consacrata religiosa e progettazione. Linee orientative: Aa.Vv, «Relazione tra Superiore
Maggiore e provincia. Identità di ruolo e progettazione», C.I.S.M. - Il Calamo, Roma 2002, pp. 59-98.
13 R. Fisichella, Discernimento: "Enciclopedia di Pastorale - Fondamenti/1", Piemme, Casale Monferrato 1992, pp.
362-373; qui 373.
14 Gli Istituti femminili a prevalente dimensione regionale o interregionale ammontano almeno a 213 casi (cf USMI,
Le Religiose in Italia, Centro Studi USMI, Roma 2001, p. 406).

4
2.1 La comunità e/o settori

Il campo d’intervento (comunità e/o settore) è evidenziato mediante un incontro comunitario: le


sorelle redigono una griglia di lettura del vissuto
• secondo lo schema delle Costituzioni (identità-missione carismatica, vita fraterna in
comunità, professione comunitaria dei voti, servizio dell’autorità, amministrazione dei beni
ecc.) richiamando anzitutto gli aspetti positivi della situazione e successivamente i
problemi. In quest’ultimo contesto la comunità è chiamata a definire una priorità
d’intervento, ovvero sottolinea un’urgenza (= aspettativa diffusa) di cui viene investita la
responsabilità di discernimento dell’autorità;
• secondo lo schema per es. del "Paradigma progettuale" del Capitolo generale 15 o delle
tradizionali «Delibere e Orientamenti». Nulla vieta che questa soluzione sia componibile
con la precedente. Si tratta di con-venire con la comunità interessata l’opportunità della
suddetta verifica.
Non si tratta di ‘scaricare’ addosso alla Superiora la soluzione di/del problema/i - la visita
canonica non è il pronto intervento di un problem solving - ma di presentare in termini di
correttezza e appropriatezza il quadro di una situazione mediante la quale il gruppo richiede un
supplemento di discernimento. La prospettiva di analisi sopra menzionata ha a cuore che la
comunità si assuma in prima istanza la responsabilità di capire la sua situazione (autodiagnosi)
prima di invocare dall’alto interventi risolutivi che la comunità potrebbe da sola assumerne il
carico. Senza questo previo processo di mentalizzazione il successivo apporto della visita canonica
ne risulterebbe inficiato. Vale a questo proposito il richiamo dell’ex-Maestro Generale dei PP.
Domencani, p. T. Radcliffe: «Una delle ragioni per cui sfuggiamo alla responsabilità è che, benché
chiamati alla libertà, la libertà ci spaventa e la responsabilità è gravosa, perciò siamo tentati di
evitarla. Abbiamo parecchi livelli di responsabilità nell’Ordine, e spesso ci piace immaginarla a un
livello diverso da quello in cui deve essere esercitata. ‘Si deve fare qualcosa’, ma di solito deve farla
qualcun altro, il superiore, o il Capitolo, o addirittura il maestro dell’Ordine". ‘Deve agire la
provincia’, ma cosa è la provincia se non noi stessi? […] dobbiamo identificare la responsabilità che
è propriamente nostra, e farcene carico»16.

2.2 Il supplemento di discernimento: l’apporto della Superiora generale e suo Consiglio

La comunità e/o settore redige per iscritto l’autodiagnosi - un testo sobrio e sintetico - in cui
letteralmente enumera (1.2.3…) le situazioni di possibile intervento della Superiora sottolineando
la priorità condivisa da tutte. E’ superfluo rilevare che anche altri aspetti di urgenza potrebbero
emergere, tuttavia si rimanga nella determinazione di un orientamento supportato dall’unanime
consenso.
Da questa premessa la Superiora Generale e suo Consiglio valutano attentamente il report della
comunità e/o settore e concordano una linea comune d’intervento a partire dalla priorità
condivisa. La direzione generale non si limita a prendere atto di quanto è stato sottoposto alla sua
attenzione, ma individua anche un orientamento di convergenza, ovvero un obiettivo a cui la
comunità è (sarebbe, oggi il condizionale è d’obbligo) invitata a prendere in seria considerazione
per un suo cammino di conversione nel reciproco ascolto. L’orientamento di convergenza è
suggerito dopo la visita personale della Superiora alla comunità ed è il risultato di una
condivisione con il Consiglio.

2.3. Visita canonica: ovvero del reciproco ascolto

Una strategia collaudata prevede prima l’ascolto delle singole sorelle. Ciò comporta che i tempi di

15 Cf P.L. Nava, Istituti di Vita Consacrata religiosa e progettazione. Linee orientative, cit., pp. 97-98.
16 T. Radcliffe, Cantate un canto nuovo. La vocazione cristiana, EDB, Bologna 2001, p. 94.

5
programmazione della visita possano essere flessibili. Concretamente si potrebbe concordare con
la comunità e/o settore quale sia il momento del colloquio personale e il successivo incontro
comunitario. Quest’ultimo - ripeto - deve essere preceduto dal colloquio personale ‘in situ’.
Dopo il colloquio personale - gestito con la più ampia libertà da entrambe le parti - la Superiora
redige un suo ‘report’ personale. Il testo rimane riservato. Il Consiglio è informato solo degli esiti a
risvolto comunitario (dinamiche relazionali, comunicative e gestionali). Il contributo fornito dagli
incontri personali della Superiora e l’apporto redatto dalla comunità e/o settore, sono il contesto
dal quale si enucleano criteri di discernimento che orientano il confronto comunitario guidato
dalla medesima Superiora.
In questo contesto s’intendono per criteri di discernimento gli indicatori valoriali - desunti dal
patrimonio fondazionale o dal paradigma progettuale - che in situ rispecchiano la situazione reale
della comunità. Per es., se in un settore si constatasse una problematica relazione interpersonale
che produce riflessi negativi anche a livello di organizzazione dei servizi, gli indicatori valoriali
interpretano il campo d’intervento di cui è investita la responsabilità della Superiora ed in stretta
relazione la corresponsabilità della comunità. Il risultato di quest’incontro dovrebbe produrre
l’orientamento di convergenza successivamente comunicato per iscritto dalla direzione generale
unitamente anche a delle indicazioni pratiche che investono la regolazione-programmazione
comunitaria (orari, servizi, relazioni esterne, impegni pastorali ecc…).

2.4. Percorsi di programmazione

1. La Superiora generale [e suo Consiglio] indicono la visita canonica mediante lettera circolare
in cui viene enucleato l’obiettivo della medesima e il cronogramma programmatico
(calendario visite). La serietà esige che venga rispettato. Solo per casi eccezionali si potrebbe
modificare.
2. I colloqui personali possono avvenire in situ in tempi distanziati, ma non eccessivamente
dilazionati. Se una sorella per motivi personali non se la sentisse di affrontare il colloquio gli
si dia la possibilità di mettere per iscritto quanto vuol comunicare.
3. Il contesto meglio indicato per l’incontro comunitario con la Superiora potrebbe essere la
giornata di ritiro mensile.
4. La scaletta dei criteri di discernimento è presentata alla comunità solo in occasione della
visita e funge anche da o.d.g.
5. Una sorella redige i verbali dell’incontro successivamente letti e approvati dalla comunità e
inviati alla direzione generale. Copia dei medesimi è conservata dalla comunità.
6. La lettera mediante la quale la Superiora comunica gli esiti della visita e formula
l’orientamento di convergenza (oltre alle indicazioni pratiche) è inviata preferibilmente in
simultanea a tutte le comunità e/o settori.
7. Se la direzione generale lo giudica opportuno i risultati globali della verifica-valutazione del
cammino dell’Istituto, desunti dalla visita canonica, possono essere comunicati mediante
lettera circolare in concomitanza ad una particolare festa o solennità propria dell’Istituto.

Conclusione
Rivalutare la funzione della visita canonica non è in ossequio formale a un dettato di legge: «La
comunità, che è separata dal mondo, deve applicare al suo interno la disciplina comunitaria. La
disciplina comunitaria non serve a costituire una comunità di perfetti, ma solo all’edificazione di
una comunità di persone che vivono veramente della misericordia di Dio a caro prezzo» 17. Non
solo. Si tratta di un esercizio, realizzato insieme, di grammatica del consenso sui valori
dell’identità consacrata per elaborare un linguaggio ecclesiale, spirituale e un orientamento
progettuale - in senso ampio - realmente condiviso che dia senso al nostro stare insieme di fronte
al Signore.

17 D. Bonhoffer, Sequela, cit., p. 271.

You might also like