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POETICA DIONISIACA E PROLOGHI EURIPIDEI

FAUSTO MONTANA

1. Rhesis espositiva nei prologhi di Euripide


Un terreno d’indagine molto promettente per l’approfondimento dei riconosciuti
risvolti metatragici della poetica di Euripide è la sezione iniziale dei drammi conservati di
questo autore, in particolare per gli aspetti inerenti il rapporto fra il prologo espositivo (o la
sua componente espositiva) e l’ingresso del coro o l’inizio dell’azione.
In un numero significativo di casi, distribuiti lungo tutto l’arco cronologico della
produzione euripidea conservatasi integra, la separatezza della rhesis espositiva iniziale
rispetto a ciò che segue è marcata segnatamente dal punto di vista drammaturgico, mediante il
passaggio più o meno accentuato a mezzi e modalità esecutivi nettamente distinti dal
monologo recitato. In altri termini, questa tecnica della separazione della componente
espositiva si combina con la disponibilità e l’interesse di Euripide nei confronti di soluzioni
innovative sul piano della struttura e dell’esecuzione, ottenute accostando variamente e più
liberamente che per il passato recitazione, ‘recitativo’ e canto monodico o corale.
Vediamo un esempio. Nel crescendo e nella graduale commistione di modalità
performative e di spazi scenici della parte iniziale della Medea (monologo recitato della
Nutrice, in scena; dialogo recitato della Nutrice con il Pedagogo, in scena; dialogo in anapesti
recitativi della Nutrice, in scena, e anapesti lirici di Medea, dal retroscena; ingresso del coro
nell’orchestra, con danza e canto corale alternato ad anapesti recitativi della Nutrice in scena
e ad anapesti lirici di Medea dal retroscena), la separatezza della parte espositiva rispetto al
resto prende corpo, per contrasto, dalle sue stesse caratteristiche esecutive basiche, di “grado
zero” (recitazione monologica dalla scena).
Un esempio simile è offerto dall’Ecuba, dove la funzione espositiva e metatragica
della rhesis del fantasma di Polidoro (fornire le informazioni che innalzano la competenza del
pubblico intorno alla vicenda futura al di sopra di quella della protagonista) è rimarcata e
potenziata dal rapporto di contiguità – precoce generatore di pathos – con la monodia di
Ecuba che prelude alla parodo anapestica eseguita dal coro in parakataloge. E, nelle Fenicie,
il lungo monologo iniziale recitato da Giocasta vede accentuata la propria separatezza rispetto
al successivo dialogo fra il Pedagogo e Antigone anche dal fatto che questo è in forma lirico-
epirrematica.

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2. Prologhi divini monoscenici e funzione metatragica
Ragionando in astratto, da un punto di vista strettamente funzionalistico, la
soluzione drammaturgica più rispondente all’intenzione metatragica è da individuare nel
prologo espositivo di tipo monologico recitato da un personaggio di statuto divino, dotato
quindi di intrinseca onniscienza. Ci occuperemo dei prologhi euripidei di questo tipo
consistenti in un’unica scena, nei quali dunque è massimamente operante l’effetto di
separatezza dal resto del dramma. L’analisi potrebbe estendersi ai prologhi articolati in più
scene (Alcesti, Troiane).
Nelle tragedie conservate di Euripide il prologo divino monoscenico ricorre tre
volte: nell’Ippolito (428 a.C.), nello Ione (413/410 a.C.?) e nelle Baccanti (407/406 a.C.).
Non si tratta tuttavia di casi perfettamente analoghi dal punto di vista dei meccanismi
drammaturgici. Le differenze emergono opportunamente se si osservano i tre prologhi
combinando due distinti punti di osservazione, e cioè il coinvolgimento diretto o meno del
personaggio divino nella vicenda rappresentata e la sua presenza o meno in scena nel corso
dell’azione, prologo escluso. Ci si può attendere legittimamente che il grado di
metatragicità del prologo divino sia superiore nel caso in cui il dio che recita la rhesis
espositiva sia implicato nell’intreccio secondo entrambe le prospettive: una condizione che,
come risulta evidente dallo schema, si verifica soltanto nel caso del personaggio di Dioniso
nelle Baccanti:

personaggio divino partecipe della vicenda non partecipe della vicenda


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interno all’azione Dioniso (Baccanti) –
__________________________________________________________________
esterno all’azione Afrodite (Ippolito) Hermes (Ione)
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Nella produzione euripidea conservata non si dà il caso di un prologo recitato da


un dio privo di legami con la vicenda tragica ma parte attiva di essa come personaggio: le
ragioni di questa assenza sono autoevidenti, trattandosi di una possibilità scarsamente
sostenibile sul piano logico e drammaturgico. Si deve però osservare che questa funzione in
sé non è del tutto assente dall’orizzonte teatrale greco, ma che la si può eventualmente
riconoscere operante negli epiloghi nei quali la soluzione dell’intreccio è affidata
all’intervento di un deus ex machina.
La presenza di Hermes nel prologo dello Ione si giustifica per due motivi: in
termini generali, per la sua funzione di mediatore tra sfera umana e divina e di messaggero
celeste (Ione 4 daimo/ n wn la/t r i n ); e, sul piano contingente, in quanto partecipe
dell’antefatto come esecutore della richiesta rivoltagli a suo tempo dal fratello Apollo di

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trasportare dall’Attica a Delfi la cesta con il neonato abbandonato da Creusa (Ione 28-40). La
figura del dio è pertanto sostanzialmente esterna alla vicenda che va a iniziare, sotto ogni
punto di vista; una estraneità che trova un riflesso testuale e scenico nella posizione di
spettatore che nel finale del prologo il dio dichiara di assumere e che comporta l’ammissione
implicita dei limiti della propria onniscienza rispetto agli sviluppi futuri (Ione 76-77 a)ll' e)j
dafnw/dh gu/ala bh/somai ta/de, to\ kranqe\n w(j a)\n e)kma/qw paido\j pe/ri).
Afrodite è parte fortemente in causa nell’Ippolito, ma è tolta dalla scena subito
dopo che ha recitato il prologo, con il plausibile pretesto che la dea voglia evitare lo sguardo
di esseri umani (Ippolito 51-53). La sua ‘presenza’ opera dunque unicamente sullo sfondo
dell’intreccio, come potenza divina (o forza della natura) che si è dichiarata in limine
responsabile di condizionare il destino degli uomini e, nello specifico, il destino di Ippolito.
Questa dimensione metatragica di Afrodite, che si manifesta onnisciente e onnipotente in
rapporto alla vicenda del protagonista, si arresta dunque sulla soglia del dramma,
mantenendosi entro i limiti della funzione espositiva, sia pure secondo i parametri
ampiamente anticipatori dello sviluppo dell’intreccio caratteristici della drammaturgia
euripidea.

3. Il caso delle Baccanti


Diversamente dai due casi precedenti, il dio che recita il prologo nelle Baccanti è
non soltanto coinvolto personalmente nella vicenda rappresentata, in quanto artefice del
destino tragico di Penteo, ma ricopre anche (in veste antropomorfica) il ruolo drammatico di
coprotagonista a fianco del re tebano. La duplice scelta del drammaturgo di ricorrere al tipo di
prologo strutturalmente più idoneo a introdurre elementi metateatrali e di farlo recitare al
coprotagonista divino della vicenda, che nello specifico è il dio del teatro operante sulla
vicenda stessa con il proprio potere di fascinazione e manipolazione dei personaggi, è in linea
con la peculiare “poetica dionisiaca” sottesa alle Baccanti (si veda in particolare lo studio di
Ch. Segal citato in Bibliografia).
Un’ulteriore differenza drammaturgica significativa tra il prologo delle Baccanti e
gli altri due prologhi divini monoscenici risiede nel fatto che nell’Ippolito e nello Ione la
rhesis della divinità non è seguita immediatamente dalla parodo, ma da un raccordo che
sfrutta il ricordato espediente euripideo della graduale messa in campo di mezzi esecutivi
diversi e crescenti nella parte iniziale del dramma. Nell’Ippolito, alla rhesis di Afrodite segue
l’entrata in scena di Ippolito e del coro di cacciatori, che eseguono un breve canto corale;
nello Ione, al prologo espositivo affidato a Hermes succede l’inno ad Apollo cantato da Ione.
Quest’ultimo caso ha struttura e caratteristiche drammaturgiche comparabili con quelle
dell’inizio dell’Ecuba, per l’analogia funzionale dell’ombra di Polidoro con un personaggio
di natura divina (il fantasma è onnisciente rispetto alla vicenda che sarà rappresentata).

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Al contrario, dal punto di vista strutturale e delle caratteristiche performative, le
Baccanti segnano un radicale cambiamento nel modo euripideo di trattare la sezione iniziale
del dramma. Al prologo recitato, rigorosamente monoscenico e relativamente breve (63
versi), segue subito la parodo, annunciata da Dioniso (Baccanti 55-63) mentre si accinge a
lasciare la scena (dove ritornerà, nel secondo episodio, sotto spoglie umane). Fra le lucide
parole introduttive del dio e lo straniante inno dionisiaco, eseguito dalle Baccanti al suono dei
timpani e degli altri strumenti rituali (cfr. Baccanti 58-61), corre una cesura, il cui effetto è di
porre in più netto rilievo il carattere separato e metateatrale della rhesis divina.

Bibliografia essenziale
W. Nestle, Die Struktur des Eingangs in der attischen Tragödie, Stuttgart 1930
H. Erbse, Studien zum Prolog der euripideischen Tragödie, Berlin-New York 1984, pp. 103-
118
Ch. Segal, Dionysiac poetics and Euripides «Bacchae», Princeton 19972

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Euripide, Medea 1-130
(trad. di Luigi Galasso e Fausto Montana, Milano 2004)

PROLOGO

NUTRICE
Magari la nave Argo non avesse attraversato a volo
le Simplegadi cerulee diretta in Colchide!
Magari il pino reciso mai si fosse abbattuto
nelle valli del Pelio, né avesse armato di remi le braccia
di eroi partiti in cerca del vello d’oro 5
per Pelia. Perché la mia padrona, Medea,
non sarebbe approdata ai bastioni di Iolco,
ferita nel cuore dall’amore di Giasone;
non avrebbe convinto le figlie di Pelia a uccidere
il padre e non risiederebbe qui a Corinto 10
con il marito e i figli, nell’esilio
riscuotendo la simpatia dei cittadini alla cui terra è giunta,
per parte sua in tutto compiacendo Giasone.
È una grandissima fortuna,
quando la donna non sia in dissidio con il suo uomo. 15
Ora c’è odio soltanto, sono ammalati gli affetti più cari.
Dopo aver tradito i propri figli e la mia padrona,
Giasone celebra nozze nuove e regali:
ha sposato la figlia di Creonte, re di questa terra.
Medea, l’infelice, privata dell’onore dovuto, 20
grida i giuramenti, invoca il pegno supremo
della stretta di mano e chiama a testimoni gli dèi
di quale contraccambio riceve da Giasone.
Se ne sta digiuna: abbandona il suo corpo al dolore,
consuma nelle lacrime tutto il suo tempo 25
da quando ha capito che le ha fatto torto lo sposo.
Non solleva gli occhi né stacca da terra
lo sguardo: come una roccia o un’onda
marina dà ascolto ai consigli dei cari;
solo a momenti, volgendo indietro il candido collo, 30

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rimpiange fra sé e sé il caro padre,
la patria e la casa, che ha tradito per andarsene
con un uomo che adesso l’ha ridotta al disonore.
Ora sa, la poveretta, per sventurata esperienza,
che cosa voglia dire non lasciare la patria terra. 35
Detesta i figli e non prova gioia a vederli.
Non vorrei che concepisse qualche strana idea,
perché ha un animo violento e non sopporterà
di subire un torto: io la conosco bene e temo
che con una spada affilata si trapassi il fegato, 40
[dopo essersi introdotta in silenzio nella casa, dove è disteso il letto,]
o che uccida i sovrani e lo sposo
e poi si procuri qualche sventura maggiore.
Lei è terribile: chi contraesse inimicizia con lei,
è difficile che levi il canto di vittoria. 45
Ma ecco i bambini: hanno appena finito di correre
e vengono qui, completamente ignari dei mali
della madre. Giovane mente non ama il soffrire.

PEDAGOGO
Tu che da lungo tempo servi la casa della mia padrona,
perché sei qui tutta sola in piedi davanti alla porta, 50
fra te e te lamentando disgrazie?
Come mai Medea vuole che tu la lasci sola?
Nutrice O vecchio tutore dei figli di Giasone,
per i bravi schiavi è una sciagura il cattivo esito
delle vicende dei padroni, e prende l’anima. 55
Infatti la mia angoscia è arrivata a un livello tale
che in me è nato il desiderio di uscire di casa
e di dire alla terra e al cielo le sventure della mia padrona.
Pedagogo La poveretta non ha ancora smesso di piangere?
Nutrice Figurati, il male è all’inizio, non è ancora a metà. 60
Pedagogo Pazza! – se è lecito dire così dei padroni –
non sa ancora niente della nuova sciagura.
Nutrice Che cosa intendi, vecchio? Su, parla.
Pedagogo Niente. Sono già pentito del poco che ho detto.
Nutrice Ti supplico, non essere reticente con la tua compagna di schiavitù: 65
se necessario, stenderò un velo di silenzio sulle tue parole.

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Pedagogo Mi trovavo dove giocano ai dadi e i vecchi
stanno seduti, presso la sacra sorgente Pirene,
e, senza dare l’impressione di ascoltare, ho udito un tale che diceva
come il sovrano di questo paese, Creonte, intenda 70
esiliare da Corinto i bambini e la madre.
Non so se questa diceria sia vera.
Vorrei che non lo fosse.
Nutrice E Giasone tollererà che i figli subiscano
questo, per quanto egli sia in dissidio con la madre? 75
Pedagogo L’antica parentela cede il passo alla nuova
e lui non ha più a cuore questa casa.
Nutrice È la rovina, se aggiungeremo
un nuovo male a quello vecchio, prima di averlo superato.
Pedagogo Ma tu contròllati – non è proprio il momento 80
che la padrona lo sappia – e non parlare.
Nutrice O figli, udite come si comporta con voi vostro padre!
Augurargli la morte, no: perché è il mio padrone.
Ma si fa sorprendere malvagio verso i suoi cari.
Pedagogo Quale essere umano non lo è? Solo adesso capisci 85
che ama ognuno se stesso più del suo prossimo,
[chi a ragione e chi per vantaggio,]
se ora il padre non ama più costoro a causa di una donna?
Nutrice Entrate in casa, bambini: sarà meglio.
E tu tienili lontani il più possibile 90
e non avvicinarli alla madre sconvolta.
L’ho già vista posare su di loro uno sguardo,
simile a quello di un toro, come per fare qualcosa; e non smetterà
di essere adirata, lo so bene, prima di essere piombata su qualcuno.
Almeno facesse qualcosa contro i nemici, non contro i cari! 95

SEZIONE ANAPESTICA

MEDEA (da dentro)


Ah, povera me, sventurata per le mie pene,
ahimè, come potrei morire?
Nutrice Ecco di che cosa parlavo, cari bambini: vostra madre
eccita il cuore, eccita l’ira.

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Più in fretta, entrate in casa 100
e non accostatevi al suo sguardo,
non andatele incontro: state attenti
alla sua indole selvaggia e alla terribile natura
del suo animo altero.
Su, andate dentro svelti svelti. 105
È chiaro, la nube di lamento che sta sorgendo
ben presto lei la farà balenare
di collera maggiore. Che cosa mai farà
un animo fiero e implacabile,
morso dai mali? 110
Medea Ah, ho sofferto, me infelice, ho sofferto pene
degne di grandi pianti! Maledetti
figli di una madre odiosa, possiate morire
con vostro padre, e tutta la casa sparisca!
Nutrice Ah, ahimè infelice! 115
Perché per te i figli partecipano della colpa
del padre? Perché li odii? Ahimè,
figli, come sono angosciata che vi capiti qualcosa!
Terribile è la volontà dei sovrani
e, poiché sono avvezzi a ubbidire poco e a comandare molto, 120
difficilmente sono disposti a deporre l’ira.
È meglio essere abituati a vivere
in regime di uguaglianza: possa io dunque
invecchiare non in mezzo a grandi cose, in sicurezza.
Pronunciare il nome della moderazione 125
è fonte di successo e il praticarla è di gran lunga
la cosa migliore per gli uomini; l’eccesso
non garantisce alcuna opportunità ai mortali,
ma suole apportare sventure peggiori,
qualora un dio si adiri con la casa. 130

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Euripide, Baccanti 1-63
(trad. di G. Bottonelli, L. Galasso, L. Soverini, F. Montana, Firenze 2001)

PROLOGO

DIONISO
Eccomi giunto a questa terra tebana: io, Dioniso, figlio di Zeus,
generato un giorno dalla figlia di Cadmo, Semele,
ingravidata dal fuoco che suscita il lampo.
Ho cambiato il mio aspetto da dio a uomo
e son qui dove sgorga Dirce e scorre l’Ismeno. 5
E ho davanti agli occhi la stele di mia madre, arsa dal fulmine,
qui, accanto alla reggia, e le rovine del palazzo
fumanti della fiamma ancor viva del fuoco di Zeus,
perenne ingiuria di Era contro mia madre.
Bene ha fatto Cadmo, che ha reso inaccessibile 10
questo terreno, recinto sacro alla figlia. E della vite
tutto intorno io l’ho coperto, con tralci ricchi di grappoli.
Ho lasciato i campi pieni d’oro dei Lidi
e quelli dei Frigi e l’altopiano di Persia battuto dal sole
e le mura della Battriana attraverso la rigida terra 15
dei Medi e l’Arabia felice
e tutta l’Asia, che lungo il mare salato
si estende con città dalle belle torri
dove Greci e Barbari abitano insieme:
e sùbito in questa città giunsi fra i Greci, 20
dopo che là avevo istruito cori e fondato
i misteri, per essere dio manifesto ai mortali.
Per prima Tebe in questa terra di Grecia
ho spinto a gridare, allacciando sul corpo la pelle di cerbiatto
e dando in mano il tirso, giavellotto di edera. 25
Le sorelle di mia madre, infatti, come mai avrebbero dovuto,
andavano dicendo che io Dioniso di Zeus non fossi figlio,
e Semele finita nel letto di un mortale
addossasse a Zeus il disonore del fatto,
mera invenzione di Cadmo, ed era per questo che Zeus, 30

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godevano nel dirlo, l’aveva uccisa, per aver finto le nozze.
Ed è per questo che le ho assillate nella follia,
fuori di casa, e prive di senno abitano il monte;
le costrinsi a tenere i paramenti dei miei misteri
e tutta la stirpe femminile dei Cadmei, quante 35
erano donne, le trassi pazze di casa.
Così tutte insieme con le figlie di Cadmo
all’aperto, sotto verdi abeti, si siedono su rocce.
È giusto che questa città, anche se non vuole, arrivi a comprendere
cosa vuol dire non essere iniziata ai miei riti 40
e che io difenda l’onore di mia madre
apparendo ai mortali come il dio che lei generò da Zeus.
Ora, Cadmo passa il privilegio della tirannide
a Penteo, nato dalla figlia:
questi fa guerra in me al divino e dalle libagioni 45
mi tiene lontano, nelle preghiere non fa mai ricordo di me.
Per questo, dimostrerò di essere stato generato dio
a lui e a tutti i Tebani. Sistemate al meglio le cose di qua,
volgerò il passo a un’altra terra
e si vedrà chi sono; ma se la città dei Tebani 50
furiosamente in armi cerca di cacciare le baccanti
dal monte, a capo della schiera delle menadi darò battaglia.
Per questo ho assunto aspetto mortale
e ho cambiato la mia forma in natura d’uomo.
E voi, voi che lasciaste lo Tmolo, roccaforte di Libia, 55
mio tiaso, voi donne che via da barbare genti
condussi, compagne di viaggio al mio fianco:
prendete i timpani della città dei Frigi,
gli strumenti della Madre Rea e miei,
andate davanti a questa dimora regale 60
di Penteo e fateli risuonare, perché la città di Cadmo veda.
Da parte mia, raggiunte le baccanti
sulle balze del Citerone, mi unirò ad esse nella danza.

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