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Indice

Frontespizio
Copyright
Mappa del Giappone
Introduzione
Il Giappone in breve
TERRITORIO E POPOLAZIONE
Posizione
Territorio
Il clima e le stagioni
I terremoti
Il riso e il pesce
Collegamenti con la terraferma
Il popolo giapponese: note storiche
VALORI E ATTEGGIAMENTI
L’“io” e il “noi”
L’etica professionale
La faccia
Honne e Tatemai
Giri
Haragei
Riservatezza e spazio personale
“Interno” ed “esterno”
I ringraziamenti
L’etichetta
Il rapporto con gli stranieri
RELIGIONE, COSTUMI E TRADIZIONI
Lo scintoismo
Il buddismo
I nuovi movimenti religiosi
Religione e cerimonie
Aspetti della cultura tradizionale
LA CASA GIAPPONESE
Un invito in una casa giapponese
Il bagno giapponese
Il declino della famiglia estesa
I figli e la vita familiare
IL TEMPO LIBERO
Il piacere di divertirsi
La vita sociale
La geisha e l’arte dell’intrattenimento
Lavoro e divertimento
La cultura
Gli sport
Mangiare e bere in Giappone
I trasporti pubblici
I turisti e la polizia
I REGALI
Prima della partenza
I CIBI E LE BEVANDE
Il rito del tè
La presentazione del cibo
Piatti di pesce
Come utilizzare i bastoncini
Il sakè
Gli ingredienti base della cucina giapponese
Al ristorante… frasi utili
VIVERE IN GIAPPONE
“Dov’è quel maledetto posto?”
“In Giappone non cambia mai niente”
Documenti per il soggiorno e visti
Alcune informazioni pratiche
La vita quotidiana
IL MONDO DEL LAVORO
L’economia Giapponese
Le formalità
Aspetti della comunicazione
Le donne d’affari
Interpretare un “no”
Interpretare un “sì”
Raggiungere un accordo
LINGUA & COMUNICAZIONE
La struttura della lingua
Parole “importate”
Parole utili
Conclusioni
© 2003 Kuperard
Titolo originale: Japan

© 2007-2012 Morellini Editore

via Cavalcanti 9
20127 Milano
tel. 02/28970820
fax 02/2893997
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Polo tecnologico di Navacchio


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56023 Navacchio, Pisa
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ISBN 978-88-6298-252-8

Traduzione: Federica Sabella

Umbrella, Honshu Island. Travel Ink/Frances Balam


Mappa del Giappone
Introduzione

Sul finire del tredicesimo secolo, Marco Polo, osservando dalla Cina il paese che chiamò
“Cipangu”, ne descriveva gli abitanti come un popolo di “… idolatri che non si lascia
subordinare da nessun altro”, a significare che era un popolo strano, isolato ed estremamente
diverso dagli altri. Verso la fine del ventesimo secolo l’economista G.C. Allen osservava come
spesso gli europei che trattano affari con i giapponesi ne rimangano disorientati e qualche volta
persino esasperati. Pur riconoscendo l’indiscussa preminenza del Giappone tra i paesi più
industrializzati al mondo, aggiungeva: “tuttavia, il modo di agire e le motivazioni che spingono
le persone appaiono spesso incomprensibili agli occhi di uomini di cultura occidentale”.
L’intento di questa guida è quello di presentarvi in maniera completa e sintetica questo paese
unico, la sua gente, i modi di vivere e di agire, tentando di mettere in luce quegli aspetti e
atteggiamenti che continuano a disorientare il “mondo esterno” - come i giapponesi erano soliti
definirlo fino a poco tempo fa. Allo stesso tempo, desideriamo offrirvi una guida per “l’ospite
perfetto”, completa di consigli utili su cosa aspettarvi dal vostro soggiorno in Giappone, su come
comportarvi nelle diverse situazioni sociali che vi troverete ad affrontare, corredata di esempi ad
hoc.
Esploreremo la scena culturale giapponese, a partire dagli atteggiamenti e dai valori radicati nella
società e nei singoli, fino al mondo degli affari, ne individueremo i segni di cambiamento e
sottolineeremo quelle abitudini e tradizioni che costituiscono ancora un elemento fondamentale
nella vita quotidiana dei giapponesi. Accanto alla straordinaria architettura delle città, ai sistemi
di comunicazione e di trasporto ultra moderni e alla presenza dei giovani vestiti secondo le mode
occidentali, nel Hibya Park, a Tokyo, il tradizionalismo giapponese può sembrare un vero
paradosso. Ma il paradosso esiste ed è reale ed è bene sapere fin dall’inizio che si può presentare
sotto forme diverse.
Nonostante le sfide economiche e strutturali che si è trovato ad affrontare all’inizio del
ventesimo secolo, il Giappone resta al secondo posto tra le potenze economiche mondiali, pur
avendo un debito pubblico tra i più alti al mondo.
Il Giappone della collana “Altre culture” si propone di ampliare la vostra percezione e
comprensione del popolo giapponese, vuole offrirvi gli strumenti più appropriati per evitare i
“tranelli” causati dalle incomprensioni culturali e fare in modo che la vostra visita a questa
società dinamica e creativa diventi un’esperienza arricchente per entrambe le parti.
Il Giappone in breve

Nome ufficiale
Nippon (Nippon)

Capitale
Tokyo (Popolazione, incl. sobborghi: 28 milioni)

Città principali
Osaka, Nagoya, Kobe, Yokohama, Fukuoka, Sapporo

Popolazione
126 milioni

Superficie
372,079 kmq. Il Giappone usa il sistema metrico decimale

Clima
Umido-temperato

Moneta
Yen. Banconote: Yen10,000, 5000,1000, e 500. Monete: Yen 500, 100,50,10, 5, and 1.

Composizione etnica
99% giapponesi, 1% altre etnie. Altre principali nazionalità: coreani, cinesi, brasiliani.

Composizione familiare
La famiglia media è di 2.8 persone. Crescita: 1.3. Secondo i sondaggi, l’80% dei giapponesi si definiscono “borghesi”.

Religione
Non c’è religione di stato. La maggior parte dei giapponesi è scintoista e buddista. L’1.5% sono cristiani. C’è un interesse crescente per nuovi movimenti
religiosi.

Governo
Il Giappone è una monarchia costituzionale. Ha il suffragio universale (con diritto di voto a 20 anni), è regolato da una costituzione ed è una democrazia
parlamentare formata da una camera bassa (o dei Rappresentanti, costituita da 511 membri) e da una camera alta (o dei Consiglieri, costituita da 252 membri). Il
parlamento è denominato anche Dieta Nazionale. Secondo la Costituzione del 1946, l’Imperatore è il “simbolo dello stato e dell’unità del popolo”. Il Giappone è
diviso in 47 prefetture; i governatori delle prefetture, così come i sindaci delle città e dei paesi, vengono eletti direttamente dai cittadini.

Mezzi di comunicazione
Yen. Banconote: Yen10,000, 5000,1000, e 500. Monete: Yen 500, 100,50,10, 5, and 1.

Composizione etnica
L’azienda televisiva pubblica giapponese è la NHK. Esistono più di 100 quotidiani diretti da Yomiuri, Asahi, Mainichi, Nihon Keizai, e Sankei.

Mezzi di comunicazione in inglese


Tra i quotidiani in lingua inglese: Japan Times, Asahi Evening News, Daily Yomiuri.

Elettricità
100 e 200 volt (50 cicli nel Giappone orientale compreso Tokyo; 60 cicli nel Giappone occidentale comprese Nagoya, Kyoto e Osaka). Le spine hanno due
estremità piatte. È necessario munirsi di adattatori.

Video/TV
Sistema NTSC 525. Non compatibile con il sistema europeo.

Telefono
Il prefisso internazionale del Giappone è 81. Il codice per le telefonate internazionali dipende dalla compagnia telefonica: 001 per KDD, 0041 per ITJ, 0061 per
IDC.
capitolo uno

TERRITORIO E POPOLAZIONE

POSIZIONE

L’arcipelago giapponese, situato nel Pacifico settentrionale ad est della Corea, è composto da
quattro isole principali – Hokkaido, Honshu (la più estesa, che copre il 60% della superficie
totale del paese), Shikoku (la minore) e Kyushu – che insieme compongono il 98% del territorio.
Il rimanente 2% è costituito da una serie di piccole isole, tra cui le Ryukus (di cui fa parte
Okinawa) che si estendono trasversalmente nel Pacifico tra Kagoshima (Kyushu meridionale) e
Taiwan. Altre 3.000 isolette si estendono a sud lungo la zona costiera.
Nel complesso il Giappone è leggermente più piccolo della Francia o della Spagna, e poco più
largo dell’Italia o delle Isole Britanniche e costituisce lo 0,3% della superficie terrestre. L’arco
del suo arcipelago si estende tra i 30° N (Kyushu meridionale) ed i 45° N (Hokkaido
settentrionale), una latitudine paragonabile alla distanza che separa Venezia dal Cairo. Se si
include anche la striscia delle isole del sud, che raggiungono la latitudine 20, l’ampiezza totale
dell’arco è pari a 3.800 km.
La Striscia di Tsushima (chiamata in Corea Striscia di Kayko), che separa il Giappone dalla
Corea, è larga 180 km; 800 km di mare aperto separano il sud-ovest del Giappone dal punto più
vicino della costa cinese.

TERRITORIO

Lei sei irte catene montuose che percorrono la parte centrale del Giappone conferiscono al
paese un paesaggio di rara bellezza. Tra i numerosi vulcani presenti, 77 sono considerati “attivi”
(anche se pochi lo sono realmente), in particolare il Bandai e l’Asama al centro dell’isola di
Honshu e l’Aso ed il Sakurajima nell’isola di Kyushu. Il vulcano principale è il Fuji (detto Fuji-
san), 3.776 metri di altezza, che nonostante abbia eruttato l’ultima volta nel 1707, è ancora nella
lista dei vulcani attivi. Foreste di querce, faggi ed aceri ricoprono i pendii del Giappone centrale,
fino a 1.800 m di altitudine.
A causa della scarsità di terreno sfruttabile, in particolar modo durante il periodo di grande
crescita economica della seconda metà del ventesimo secolo, sono stati fatti numerosi sforzi nel
tentativo di recuperare alcune aree da destinare all’edilizia e all’agricoltura. Questo processo
estremamente costoso e faticoso è tuttora in atto in molte parti del paese e continua ad
aggiungere superficie edificabile ai 372.070 kmq già presenti. Tra le aree in questione sono da
annoverare i dintorni delle moderne città industriali di Tokyo e Osaka e la creazione di Port
Island e di altre tre isole adiacenti al porto di Kobe, sorte dal trasferimento di milioni di
tonnellate di terra e rocce trasportate dalle montagne vicine.
Il tipo di soluzione prescelta sottolinea l’approccio pragmatico adottato dai giapponesi nei
confronti della vita e delle sue sfide. D’altro canto, tutta la zona costiera del Giappone è a rischio
(il Mare Interno lo è in maniera minore) di danni causati dalle tempeste e dagli tsunami – le onde
giganti generate dai terremoti.

IL CLIMA E LE STAGIONI

Molti trovano paradossale il fatto che le raffinate forme artistiche e l’eleganza culturale del
Giappone (così come pure la bellezza squisita dei giardini) abbiano avuto origine in un gruppo di
isole a rischio posizionate su una delle più instabili aree tettoniche del mondo tra quattro grandi
placche: la Nord Americana, la Pacifica, la Eurasiatica e quella delle Filippine. Il clima del
Giappone è il risultato di due sistemi climatici contrastanti, quello dall’Asia Continentale e
quello del Pacifico, che possono causare profondi sconvolgimenti climatici, come intense
nevicate a bassissime temperature o tifoni devastanti con livelli di umidità insopportabile. Queste
componenti fisiche aumentano l’interesse per la “conquista giapponese” attraverso la storia.
I giapponesi stessi considerano questa “conquista” labile e molto fragile e la paragonano – così
come la vita – alla fugace immagine della fioritura dei ciliegi (sakura) in primavera. Questo
fenomeno naturale viene festeggiato con eventi pubblici, “contemplazioni” private e festival di
poesia. Dai primi tepori della stagione, la fioritura si estende per sei settimane, iniziando i primi
di marzo dall’isola meridionale di Kyushu, attraverso le isole di Shikoku e Honshu fino al nord
di Hokkaido, in un viaggio lungo 1.800 km.
I mutamenti stagionali sono ben caratterizzati e variano considerevolmente da est ad ovest e dalle
montagne alla pianura. A Tokyo, che si estende nella Pianura di Kanto, la più grande pianura
costiera, la temperatura media si aggira sui 4° C in inverno e sui 25° C in estate. I mesi più umidi
sono giugno e settembre. La primavera (da marzo a maggio) e l’autunno (da metà settembre a
novembre) sono considerati i mesi migliori dell’anno, poiché le giornate sono generalmente
limpide e soleggiate. L’autunno si tinge del rosso-dorato delle foglie degli alberi, in particolare
aceri, i cui colori vengono accolti e festeggiati con festival ed escursioni all’aria aperta, come per
la fioritura dei ciliegi.
Stagioni a parte, è bene tenere presente che il Giappone è spesso “umido” ed occorre ricordare di
portare sempre con sé un ombrello. Se lo dimenticate, non vi preoccupate, ne potrete trovare
ovunque in vendita: in alberghi, uffici, ristoranti, templi…

I TERREMOTI

Chi si reca in viaggio in Giappone deve sapere che i terremoti sono un fenomeno frequente e
diffuso e, sebbene la maggior parte di essi siano lievi e quasi impercettibili, la minaccia di una
catastrofe è sempre presente. Tokyo, con i suoi 12 milioni di abitanti circa, fu colpita duramente
l’ultima volta nel 1923. Nel marzo 2011 un terremoto e un maremoto devastanti (9.0 magnitudo)
hanno colpito il Giappone settentrionale provocando oltre 30 mila vittime. I sismologi
giapponesi prevedono l’avverarsi di un evento consistente, in teoria, ogni settanta anni.
Ogni volta che si verificano scosse di una certa entità, cessa automaticamente l’erogazione del
gas in tutta la città, e questo non fu fatto a Kobe, per questo le dimensioni della tragedia in
quell’occasione furono devastanti) e tutti i modelli di stufe che sono sul mercato hanno
meccanismi di spegnimento automatico. Ogni prefettura organizza esercitazioni antisismiche ad
intervalli regolari e ogni abitazione deve essere provvista di un kit di sopravvivenza (disponibile
nei supermercati). Anche negli alberghi, le cui strutture devono rispondere a rigide norme di
sicurezza, si devono effettuare le esercitazioni antisismiche previste dalla legge.

IL RISO E IL PESCE

Le piogge frequenti e le estati calde permettono di coltivare facilmente il riso, alimento base
della dieta giapponese, in particolare nelle pianure settentrionali dell’isola di Hokkaido (famosa
anche per le colture di patate e per il festival delle sculture di ghiaccio), che ne è una delle
maggiori produttrici. Tuttavia, essendo oltre il 70% del territorio coperto da foreste, restando
quindi meno di un quarto di territorio sufficientemente pianeggiante per gli insediamenti umani e
l’agricoltura, nel corso dei secoli i giapponesi si sono ingegnati nella costruzione delle risaie a
terrazzo. Nel sud del Giappone le risaie a terrazzo si innalzano dai pendii delle montagne e
dall’alto sembrano nastri che si intrecciano sinuosi.
Il riso ha svariati vantaggi, non da ultimo il fatto che può essere coltivato nello stesso campo
anno dopo anno. Inoltre esso ha un basso contenuto di colesterolo. A partire dall’ottavo secolo,
fino alla Restaurazione Meiji del 1868, quando il Giappone fu diviso in 68 distretti
amministrativi – o province – dal Principe Shotoku, il riso ha costituito moneta di scambio. La
reputazione ed il benessere delle province dipendeva dalla quantità di riso che riuscivano a
produrre ed esse venivano tassate in proporzione (in riso ovviamente). Non deve sorprendere il
fatto che, per mantenere lo status quo e lo stile di vita giapponese. il governo continui a
proteggere e favorire i produttori di riso. L’altro alimento base della dieta giapponese è il pesce,
che fornisce il 50% della razione giornaliera di proteine, anche se il consumo di carne e di
carboidrati è aumentato notevolmente negli ultimi anni. I giapponesi adorano i calamari, i
gamberetti, i granchi e molti altri frutti di mare che provengono dalle zone costiere delle isole. A
questo tipo di pesca si aggiunge quella del tonno in mare aperto e la controversa caccia alla
balena (utilizzata come cibo solamente da un numero ristretto di comunità). La carcassa della
balena veniva un tempo utilizzata quasi interamente per diversi fini, comprese le acconciature
femminili. Il largo consumo di carne di balena è relativamente recente e si deve essenzialmente
ai progressi tecnologici compiuti nell’industria ittica.
Tra le prelibatezze a base di pesce della cucina giapponese sono da menzionare il sashimi –
fettine di pesce crudo condite con salsa di soia e rafano (daikon) – ed il sushi – rotolini di pesce
crudo avvolti in riso e alghe essiccate – ora molto diffusi anche in Occidente.

La pesca tradizionale, unitamente all’allevamento di svariate qualità di pesce, ostriche, cozze e


gamberi e la coltura di alghe ad uso alimentare, occupa una posizione di rilievo nell’economia.

COLLEGAMENTI CON LA TERRAFERMA


Le necessità dettate dalla vita moderna e dagli interessi politici hanno richiesto un collegamento
facile e rapido tra le quattro isole principali. I risultati sono visibili nelle mirabili imprese di
architettura ingegneristica tra cui annoveriamo il Tunnel di Seikan, che, aperto nel 1988 dopo
venti anni di lavori, connette Honshu a Hokkaido. Esso è lungo in totale 54 km ed è composto da
una serie di tre gruppi di ponti sospesi, tra cui il più lungo ponte del mondo, il Ponte di Akashi,
che misura 3.911 metri ed ha sei corsie.

IL POPOLO GIAPPONESE: NOTE STORICHE


Origini
Sebbene gli studiosi si perdano in interminabili discussioni sull’origine dei giapponesi, è
comunemente accettato che essi appartengano ad un sottogruppo del popolo mongolo, che abita
gran parte dell’Asia e del Nuovo Mondo. Ne sono prova il colore della pelle tra il pallido ed il
marrone chiaro, i capelli neri e lisci, la scarsa peluria sul corpo ed anche alcuni tratti particolari
del viso come l’assenza della piega nella palpebra superiore. Ciononostante, i giapponesi si
differenziano, così come avviene in ogni altro popolo, da individuo a individuo nei tratti somatici
e nel fisico.
Si è d’accordo nell’affermare inoltre, che, sebbene il Giappone possa essere definito
culturalmente come un “figlio della Cina”, i giapponesi sono un popolo ben distinto dai cinesi. I
primi abitanti hanno raggiunto il Giappone attuale attraverso una varietà di paesi tra cui la Corea,
dando origine alla composizione etnica che si presenta al giorno d’oggi, attorno al VII e l’VIII
secolo. Questa mescolanza di razze comprende i discendenti dei popoli Yamato e Yayoi, che
descriveremo più sotto. Sfortunatamente non ci sono pervenuti molti resti archeologici che
possano confermare questa o altre tesi. Vengono frequentemente alla luce nuovi reperti – alcuni
dei quali si rivelano dei falsi – e gli studiosi stanno attendendo con impazienza il completamento
degli scavi di antiche tombe funerarie vicino a Osaka risalenti al quinto secolo, tra cui anche
quella dell’Imperatore Nintoku.
Già 1200 anni fa una minoranza etnica ben distinta, gli Ainu (un gruppo caucasico proveniente
con probabilità dalla Siberia centrale), si era stanziata nel Giappone settentrionale. Oggi essi
vivono principalmente nell’isola di Hokkaido, dove la loro lingua e la loro cultura sono protette
dal governo.
I recenti ritrovamenti archeologici hanno confermato che il sud del Giappone, in particolare il
nord dell’isola di Kyushu ed il Mare Interno, sin dall’Età della pietra, erano abitati da cacciatori
esperti e da raccoglitori. Questa epoca storica è denominata Periodo Jomon (letteralmente
“decorazione a corda”), per la produzione caratteristica di vasi in ceramica decorati con forme
intrecciate. Alcuni oggetti sono stati datati con il metodo del carbonio ad oltre 10.000 anni fa: è
la ceramica più antica al mondo.
Gli studiosi non riconducono i giapponesi di oggi al popolo del periodo Jomon, ma piuttosto agli
Ainu del nord. Gli scavi archeologici condotti all’interno delle tombe funerarie che contengono
resti di tonni, balene e pesci delle zone costiere, indicano stanziamenti di un popolo piuttosto
sofisticato e ben adattato a vivere sull’oceano.
Un dato che può non avere un significato particolare per il turista, ma è estremamente rilevante
per il giapponese, che in questa immagine rivendica l’unicità del proprio popolo.
Al Periodo Jomon (10.000 – 300 a.C.) seguì la fase Yayoi (300 a.C. – 300 d.C.), così detta per la
produzione di ceramica al tornio, che fu particolarmente significativa per l’introduzione della
coltura del riso, importato dal continente. In questo periodo si verificò lo stanziamento di alcune
popolazioni nella ristretta area pianeggiante, che si estende tra le montagne ed il mare. Nel corso
dei secoli la scarsità del terreno indusse le popolazioni ad utilizzare lo spazio disponibile nelle
modalità che avrebbero poi modellato l’attuale stile di vita.
L’agricoltura e l’introduzione del bronzo e del ferro portarono alla nascita di stati bellicosi e,
verso fine del V secolo, il Giappone era diviso in numerosi clan tra i quali il più grande e potente
fu quello degli Yamato (300 – 593 d.C.), che si stanziarono nell’area corrispondente all’odierna
Prefettura di Nara.
A questo punto possiamo dire che la religione indigena scintoista, basata sul culto della natura,
aveva preso forma e che si era ufficialmente stabilita la dinastia imperiale giapponese.
L’impatto della cultura cinese
Tra il VI e l’VIII secolo lo stile di vita giapponese venne profondamente modificato dalle
influenze culturali e politiche provenienti dalla vicina Cina. Queste influenze includevano il
Buddismo, la scrittura cinese, nuovi sistemi di organizzazione e amministrazione del territorio. In
un secondo momento fu importato anche il Confucianesimo. Le prime città furono organizzate
sul modello della Cina della Dinastia T’ang e furono costruite le attuali Nara (710 d.C.) e Kyoto
(794 d.C.) – Kyoto rimase la sede della corte imperiale fino al 1868, anno della Restaurazione
Meiji.
Il governatore più famoso di questo periodo fu il Principe Shotoku (573 – 620 d.C.), il quale
introdusse la Costituzione dei diciassette articoli: essa si basava sul sistema di governo cinese,
conteneva il concetto di stato e sanciva il Buddismo come religione di stato. A Nara (poco
lontano da Kyoto) sotto la sua direzione furono costruiti numerosi templi – tra cui quello di
Horyuji – molti dei quali sono ancor oggi esistenti. Alla fine del IX secolo si concluse l’ultima
missione diplomatica giapponese alla corte imperiale cinese ed il processo di
“giapponesizzazione” del paese era ormai iniziato. Fu durante questo periodo, ad esempio, che
furono inventati i due alfabeti fonetici (kana), caratteristici esclusivamente della lingua
giapponese.
La “Pax Tokugawa”
L’adozione di un governo burocratico centralizzato basato sul cosiddetto “sistema cinese” ebbe
vita relativamente breve. A partire dal XII secolo, in un clima di guerre tra clan, il potere politico
fu usurpato dagli aristocratici militari ed il paese venne governato nel nome dell’imperatore dai
guerrieri shogun (comandanti in capo). Nonostante questo, per lunghi periodi continuarono a
susseguirsi guerre civili tra gruppi rivali. Questo stato di anarchia ebbe termine nell’ottobre 1600
con la battaglia di Sekigahara, quando Tokugawa Ieyasu disperse la maggior parte degli
oppositori e si dichiarò comandante militare di fatto di tutto il Giappone (venne poi riconfermato
con la battaglia del Castello di Osaka del 1614-15, quando furono eliminati anche gli oppositori
del Giappone occidentale). Nel 1603 Ieyasu fu dichiarato formalmente Shogun e stabilì il suo
shogunato a Edo.
Il periodo Tokugawa o Edo (1603 -1868) fu un’epoca straordinaria in cui regnò la pace per oltre
due secoli e mezzo e che si concluse nel 1866-67, dopo una breve guerra civile. L’anno seguente,
nel 1868, la funzione dell’imperatore fu riportata al suo ruolo storico di capo esecutivo del paese
e la capitale del paese fu spostata da Kyoto a Edo, l’attuale Tokyo. Il Periodo Edo fu un’epoca
sia di prosperità economica che di sviluppo culturale per cui in tutto il paese si assistette ad un
fiorire di attività artistiche e letterarie senza pari.
Durante questo periodo la società era rigidamente stratificata e gestita da un’aristocrazia militare
(i signori feudali o daimyo ed i loro seguaci, i samurai), che non corrispondeva però esattamente
alle strutture feudali dell’Europa medievale. Nonostante il paese fosse tagliato fuori del resto del
continente, fiorirono le arti letterarie, l’istruzione, l’amore per il sapere, parallelamente ai
progressi tecnologici – ad esempio, nel campo dell’edilizia, nella produzione delle spade e della
polvere da sparo. In seguito alla Restaurazione Meiji del 1868, quando il Giappone entrò in una
fase di rapida modernizzazione, le infrastrutture e le risorse umane furono essenzialmente pronte
a sviluppare in trent’anni il progresso che la Gran Bretagna aveva raggiunto in centocinquanta.
Infatti, durante questo periodo, il Giappone sconfisse in due grandi guerre sia la Cina (1894-95)
che la Russia (1904-05) e festeggiò il suo nuovo status di “potenza imperiale” a livello mondiale
quando strinse con la Gran Bretagna l’Alleanza anglo-giapponese (1902-22).

L’intervento occidentale
Nel periodo tra il 1500 ed il 1800, si verificarono due eventi chiave determinanti per il rapporto
del Giappone con l’Occidente. Il primo evento fu rappresentato dall’introduzione del
Cristianesimo in Giappone, tra il 1549 ed il 1551, ad opera del missionario gesuita portoghese
San Francesco Saverio. Lui e i suoi seguaci riuscirono a convertire al Cristianesimo molte
persone di tutte le classi sociali, compresi anche alcuni daimyo. Sulla scia dei missionari, i
portoghesi introdussero nel paese il commercio e a loro volta furono imitati dai mercanti olandesi
e da quelli inglesi. Attorno al 1590 giunsero anche i missionari francescani spagnoli, che ben
presto entrarono in contrasto con i portoghesi.
Questi conflitti inopportuni giocarono a favore dei governanti politici giapponesi, i quali
vedevano nella Cristianità una seria minaccia per lo status quo della società. Il risultato era
prevedibile: lo shogun Hideyoshi, che era riuscito ad unificare il Giappone nel 1590, ordinò
l’esecuzione di nove preti europei e di nove giapponesi convertiti e bandì il Cristianesimo dal
paese. La fine della presenza del Cristianesimo fu segnata nel 1637–38, quando 37.000 contadini
cristiani furono sterminati vicino a Nagasaki, in seguito ad una ribellione causata dall’incessante
oppressione economica e religiosa.
Il secondo evento chiave fu essenzialmente il ritiro del Giappone in un isolazionismo totale. Tra
il luglio 1853 ed il febbraio 1854 il Commodoro Matthew C. Perry della Marina degli Stati Uniti
e le sue corazzate – le “navi nere”, come le chiamavano i giapponesi – “si recò in visita” in
Giappone, con un mandato del Presidente degli Stati Uniti, per chiedere la sottoscrizione di un
trattato. A luglio Perry aveva fatto capire che sarebbe tornato molto presto con una flotta ancora
più potente e avrebbe aspettato fino ad ottenere i documenti firmati. Ritornò nella Baia di Edo
(Tokyo) il febbraio seguente. I giapponesi furono costretti ad arrendersi alla potenza americana e
all’Occidente intero e accettarono le richieste avanzate. Fu stabilito che i due porti di Shimoda a
sud e Hakodate a nord sarebbero stati utilizzati dalle navi americane come punto di appoggio per
fare rifornimento. La “porta chiusa” era stata infine sfondata. Nell’arco di due anni il governo fu
costretto a firmare con Inghilterra, Russia e Olanda trattati che portarono ben presto all’apertura
di altri porti. Nel 1858 Townsend Harris, il primo console americano, negoziò un trattato
commerciale che sanciva il potere extraterritoriale americano (il diritto di stabilire propri
tribunali) sul Giappone. Seguirono presto l’esempio anche altri paesi occidentali.
Durante il corso del XX secolo, i tentativi del Giappone – qualcuno direbbe i desideri – di essere
considerato uno “stato occidentalizzato” (non sentiva di fatto di appartenere al “mondo asiatico”)
– furono compromessi, se non rifiutati, dal modo in cui fu trattato nello scenario internazionale.
Durante la Conferenza sul disarmo navale che si tenne a Londra nel 1930, al Giappone fu
intimato di adeguare la propria flotta alle limitazioni internazionali stabilite, in tal modo esso
vide ridotta la propria potenza. L’isolamento fu accentuato quando nel 1933 il Giappone dovette
uscire dalla Lega delle Nazioni, poiché si era rifiutato di rinunciare ai propri progetti di
espansionismo in Cina (specialmente in Manciuria, paese che aveva occupato nel 1931
istituendovi lo stato fantoccio di Manchukuo).
Questi eventi portarono il Giappone a ridimensionare geograficamente la propria potenza e alla
nascita dell’idea di un “Commonwealth asiatico”. Basata sul principio di garantire sicurezza e
prosperità all’area, questa struttura avrebbe permesso al Giappone di accedere ai mercati ed ai
materiali di cui aveva disperatamente bisogno, in un mondo sempre più protezionista. Nel 1940
fu annunciata la nascita della “Sfera della comune prosperità della Grande Asia Orientale”.
Non abbiamo qui lo spazio sufficiente per approfondire tale momento storico in modo adeguato,
ma è importante capire lo stato in cui il Giappone, carico delle speranze di raggiungere lo status
di “grande potenza occidentale”, entrò in guerra nel dicembre 1941. Sebbene l’esercito imperiale
giapponese avesse rivestito un ruolo dominante per tutti gli anni ’30 e durante la Guerra e fosse
fautore di gran parte degli eventi che ebbero luogo in Asia e nel Pacifico (l’attacco della Marina
a Pearl Harbour fu effettuato con una certa riluttanza), bisogna ammettere che l’orgoglio
nazionale, sentito profondamente a livello governativo, economico e amministrativo, aveva
ricevuto un brutto colpo quando il Giappone era stato rifiutato come partner nel mondo
occidentale. Non deve sorprendere, allora, se il Giappone volle cogliere l’occasione di assumere
il potere sull’Asia intera.
Nel periodo intercorso tra la sconfitta ad opera delle potenze alleate nell’agosto 1945 e la firma
del Trattato di pace di San Francisco del settembre 1951, il Giappone venne amministrato dalle
forze di occupazione degli Stati Uniti. Furono attuate molte riforme liberali e democratiche e
sotto la nuova costituzione di “pace” il potere dell’imperatore venne ridotto, la sovranità venne
attribuita formalmente al popolo e il Giappone dovette rinunciare al diritto ad entrare in guerra
(Art. 9).
Ricostruzione e sviluppo
Il programma di ricostruzione e le nuove tecnologie che gli Stati Uniti esportarono subito dopo la
fine della Guerra, unitamente al boom economico che accompagnò la Guerra di Corea (1950-53),
gettarono le basi per uno straordinario periodo di sviluppo industriale. Alla fine degli anni ’60 il
Giappone era diventato la terza potenza industriale dopo Stati Uniti e Russia e nei primi anni ’80
era passato al secondo posto.
La forza industriale del Giappone si basava su investimenti ingenti, sull’adozione di tecnologie
moderne e sull’impiego di una forza lavoro efficiente ed altamente qualificata. Allo stesso
tempo, il successo economico era dovuto anche all’utilizzo di minerali e combustibili importati
dall’estero. Il Giappone infatti è estremamente carente di risorse e dipende per l’80% del
fabbisogno energetico dalle importazioni di petrolio grezzo e gas liquido (GPL). Il 30% del
fabbisogno elettrico è prodotto dalle risorse nucleari, mentre il restante proviene dalle centrali
idriche e da quelle alimentate a petrolio.
Le conseguenze dell’intervento atomico
Nonostante abbia accettato stoicamente le conseguenze delle enormi perdite causate dalla bomba
atomica e dai bombardamenti delle città principali, può sorprendere il fatto che il Giappone sia
diventato la prima nazione industrializzata del dopoguerra a sviluppare un movimento
ambientalista.
Già alla fine del XIX secolo erano sorti vari movimenti, guidati da Tanaka Shozo, che volevano
combattere l’inquinamento causato dalle miniere di rame nel nord dell’isola di Honshu. Il
rinascere di questi movimenti alla fine degli anni ’60 non combatteva l’era del nucleare, bensì
l’inquinamento industriale del paese.
L’inquinamento dell’aria, della terra, dei laghi e dei fiumi era il risultato della disperata corsa
allo sviluppo verificatasi nel dopoguerra. Le immagini delle maschere antismog e delle inquinate
Tokyo e Osaka, che apparvero sulle pagine dei quotidiani principali, furono un brutto colpo per il
Giappone di fronte all’opinione pubblica mondiale. L’inquinamento causò gravi malattie, tra le
quali il “morbo di Minamata” e “l’asma di Yokkaichi”.
Vista la dipendenza del paese dalle importazioni di risorse energetiche, il governo non poté che
iniziare una produzione di energia nucleare in larga scala (a partire dalla metà degli anni ’50) e lo
fece con l’aiuto di altre potenze nucleari quali la Gran Bretagna. Naturalmente esiste nel paese
una forte preoccupazione per la sicurezza ambientale. Il Giappone conta ora 49 centrali nucleari
che coprono il 30% del fabbisogno elettrico ed ha in previsione di arrivare a coprirne il 42%*
entro il 2010.
All’interno del paese esistono anche fazioni che preferiscono conferire al Giappone l’immagine
di unica “vittima” di un disastro nucleare. Nella maggior parte dei casi, i giapponesi si
considerano un popolo che ha subito le dure conseguenze di un attacco e vogliono assumere su di
sé il ruolo di catalizzatore dei movimenti di pace a livello mondiale. Il Giappone è anche tra i
principali paesi donatori di aiuti umanitari ai paesi del terzo mondo.
La “bolla” che scoppia
Lo scoppio della cosiddetta “bolla economica” agli inizi degli anni ’90 continua ad avere un
impatto considerevole sulle economie del sud-est asiatico e degli Stati Uniti, il più grande partner
commerciale del Giappone. Il valore dei terreni che va alle stelle, il numero elevato di prestiti
emessi dalle banche, l’alto grado di corruzione all’interno di vari ambiti quali le assicurazioni,
l’industria dei servizi bancari e degli investimenti, assieme alla penetrazione della criminalità
organizzata nel sistema e ad un livello di occupazione insostenibile, sono tutti fattori che hanno
contributo all’ “implosione” dell’economia giapponese.
Il governo giapponese, diviso dal frazionamento politico e ostacolato dagli interessi personali
frapposti dai politici, dalle varie fazioni economiche e dalle maglie della burocrazia (il cosiddetto
“triangolo di ferro”), non è ancora riuscito a raggiungere un consenso per le riforme da mettere in
atto. Si è concordi comunque nell’affermare che il processo di risanamento deve partire prima di
tutto dal settore dei servizi bancari, garantendo procedure contabili più trasparenti, atte a
riacquistare la fiducia dei propri clienti. Ma poiché il paese è in mano alle banche ed esse stesse
sono strettamente collegate alle fazioni economiche, sarà molto difficile raggiungere un accordo
in questo settore.
HIROSHIMA E NAGASAKI

L a Germania si arrese alle potenze alleate nel maggio 1945. Tuttavia l’esercito militare giapponese continuò a combattere nel Pacifico, con
conseguenti perdite di vite umane, specialmente durante la battaglia per l’isola di Okinawa (aprile-giugno 1945), che registrò 200.000 morti giapponesi,
di cui 110.000 militari e 75.000 civili e migliaia di feriti americani. Okinawa era un punto strategico utilizzato dagli Alleati ed i giapponesi lo sapevano.
Uno dopo l’altro vennero effettuati numerosi attacchi di kamikaze (il cosiddetto “vento divino” o bombe suicide) sulla flotta americana, in quella che i
giapponesi consideravano una lotta contro la morte. Nel frattempo il governo giapponese sapeva di essere ormai militarmente sconfitto e, non riuscendo a
trovare un accordo interno sul da farsi, rimandò e rifiutò più volte la Dichiarazione di Potsdam che voleva la resa incondizionata.
Di conseguenza, il 6 agosto 1954 una bomba atomica fu sganciata da un B–29 ed esplose a circa 600 m sul centro della città di Hiroshima, polverizzando
all’istante tutto ciò che c’era sotto. L’unico edificio a rimanere in piedi fu il Promotion of Industry Building, da poco costruito in cemento armato, ora
sede dell’Hiroshima Peace Park and Museum. giappone 11-05-2005 17:43 Pagina 30 31 territorio e popolazione.
Non ci fu risposta significativa da parte del Governo giapponese, quindi il 9 agosto fu sganciata una seconda bomba sull’antica città di Nagasaki. Visto il
collegamento storico che la città rappresentava con la tradizione cristiana giapponese, alcuni giapponesi considerarono questo attacco, sferrato proprio da
un popolo di cultura cristiana, perverso e grottesco.
A Hiroshima morirono circa 200.000 persone e 140.000 a Nagasaki, per l’esplosione e gli effetti delle radiazioni. Il 14 agosto, attraverso un comunicato
radio, l’imperatore Hirohito chiese al suo popolo di “sopportare l’insopportabile”. Il giorno dopo il Giappone accettò ufficialmente la resa incondizionata
e firmò la Dichiarazione di Potsdam. Il 2 settembre 1945, a bordo della nave statunitense Missouri, ormeggiata nella Baia di Tokyo, i giapponesi si
arresero formalmente al Generale MacArthur. Cominciava così un’occupazione da parte degli alleati che durò sei anni.

CRONOLOGIA
c. 10,000–300 A.C. Periodo Jomon
Caratterizzato dalla ceramica con decorazioni a corda 660 A.C. Data leggendaria dell’ascesa del primo Imperatore Jimmu Tenno
c. 300 A.C.–300 D.C. Periodo Yayoi
Produzione di ceramica elaborata, con decorazioni geometriche e campane di bronzo decorate con incisioni
c. 300–645 D.C. Periodo Yamato
c. 400 Il clan Yamato unifica il Giappone centrale c. 550 Introduzione del Buddismo proveniente dalla Corea 593-622 Regno del Principe Shotoku 607 Prima
missione diplomatica in Cina
710–794 Periodo Nara
Sculture religiose e ritratti in bronzo o argilla 752 Consacrazione del Grande Budda (Daibutsu) di Todaiji, Nara
794-1192 Periodo Heian 794
Heian, chiamata in seguito Kyoto, diventa la capitale dell’impero 805 Introduzione della setta buddista Tendai 806 Introduzione della setta buddista Shingon 838
Dodicesima ed ultima missione diplomatica in Cina 858 Il clan Fujiwara riduce la figura dell’imperatore ad un “fantoccio”; il governo centrale indebolito; il
potere reale nelle mani dei grandi signori feudali (daimyo) c.1002–1019 Murasaki Shikibu compone la Genji Monogatari (“La favola di Genji”)
1192–1338 Periodo Kamakura
1185 Il clan Minamoto prende il potere con Yorimoto, che stabilisce un regime militare. – 1192 L’imperatore conferisce a Yorimoto il titolo di shogun
(comandante in capo); lo shogun governa il paese nel nome dell’imperatore. – 1274/81 Kublai Khan invade Kyushu; la sua flotta viene ripetutamente distrutta da
un uragano “mandato dal cielo”, da qui il nome Kamikaze
1338–1573 Periodo Muromachi
1336 Lo shogunato di Minamoto viene sconfitto da Takauji Ashikaga, il cui shogunato viene riconosciuto dall’imperatore nel 1338. – 1467–77 Guerra di Onin,
seguita da un periodo di cento anni di guerre civili. – 1542/3 Marinai portoghesi approdano a Tanegashima, nell’isola di Kyushu, seguiti da commercianti
spagnoli, olandesi e inglesi; introduzione delle armi da fuoco occidentali. – 1549 San Francesco Saverio arriva in Giappone e inizia a predicare la fede cattolica
1573–1603 Periodo Azuchi-Momoyama
1586 Costruzione del Castello di Osaka ad opera di Toyotomi Hideyoshi. – 1590 Supremazia di Hideyoshi in Giappone. – 1592 Prima invasione di Hideyoshi in
Corea. – 1598 Morte di Hideyoshi e ritiro dalla Corea. – 1600 Vittoria di Tokugawa Ieyasu nella Battaglia di Sekigahara
1603–1868 Periodo Edo
Ieyasu riceve il titolo di shogun Presa del Castello di Osaka, ultimo rifugio degli eredi di Hideyoshi Grandi persecuzioni cristiane Espulsione degli spagnoli
Insurrezione di Shimabara Promulgazione dell’ordine di sakoku-rei (isolamento). é negato l’accesso a tutti i viaggiatori e gli stranieri vengono espulsi, con
qualche rara eccezione Espulsione dei portoghesi Una fabbrica olandese viene spostata nell’isola di Deshima sul porto di Nagasaki Apertura dell’emporio di
Echigoya a Edo (oggi il Mitsukoshi Department Store) Cattura del Capitano russo Goldwin ad Hokkaido Prima visita del Commodoro Perry nel porto di Uraga,
nella Baia di Edo Seconda visita del Commodoro Perry e firma del Trattato di Kanagawa Ratifica imperiale dei trattati con le potenze imperiali Yoshinobu
diventa quindicesimo e ultimo shogun Rivolta di nobili isolazionisti destituisce lo shogunato di Kanagawa Insediamento di Musuhito (Imperatore Meiji)
1868–1912 Era Meiji
1869 3 gennaio: Restaurazione dei poteri esecutivi all’imperatore Promulgazione della Costituzione Riforma imperiale sull’educazione Guerra sino–giapponese.
Il Giappone espelle la Cina dalla Corea Revisione dei Trattati con le potenze straniere Prima Alleanza anglo-giapponese (rinnovata nel 1906 e nel. – 1911) Guerra
russo-giapponese. Il Giappone scaccia la Russia da Manciuria e Corea Annessione della Corea
1912–1926 Era Taisho
1914 Il Giappone entra nella Prima Guerra Mondiale a fianco degli Alleati; occupa i possedimenti tedeschi nel Medio Oriente. – 1915 Le “Ventuno domande”
poste alla Cina. – 1921–22 Conferenza di Washington. – 1925 Suffragio universale agli uomini
1926–1989 Era Showa
1927 Crisi economica. – 1929 Crollo di Wall Street. – 1930 Firma del Trattato navale di Londra. – 1931 “Incidente in Manciuria”. Il Giappone invade la
provincia cinese di Manciuria e crea il governo fantoccio di Manchukuo, regolato dal governo giapponese e controllato dai militari e dai nazionalisti di estrema
destra.. – 1933 Il Giappone lascia la Lega delle Nazioni. – 1937 Riprende la guerra con la Cina. – 1940 Alleanza tripartita con Germania e Italia. Dopo la caduta
della Francia, il Giappone occupa l’Indocina Francese. – 1941 7 dicembre. Attacco alla flotta statunitense a Pearl Harbour. Stati Uniti e Gran Bretagna dichiarano
guerra al Giappone. – 1942 Il Giappone conquista Thailandia, Birmania, Malesia, Indie Orientali Olandesi, Filippine e Nuova Guinea settentrionale. – 1945 6
agosto, bomba atomica su Hiroshima; 9 agosto, bomba atomica di Nagasaki. Il 14 agosto l’imperatore Hirohito manda un messaggio alla nazione e annuncia la
resa incondizionata (Dichiarazione di Postdam). Occupazione del Giappone guidata dal Generale Douglas MacArhtur, Comandante Supremo delle Forze Alleate.
– 1946 Formulazione della Costituzione di pace. – 1951 Conferenza di pace di San Francisco. – 1952 Termina l’occupazione del Giappone. Il Giappone torna ad
essere uno stato libero. – 1956 Il Giappone entra nelle Nazioni Unite. – 1964 Olimpiadi in Giappone e inaugurazione dello Shinkansen - il treno ad alta velocità
che collega Tokyo ad Osaka. – 1972 Il Giappone rientra in possesso di Okinawa (sotto l’amministrazione USA). – 1975 Il Giappone diventa membro dei G7.
1985 Plaza Accord rivaluta lo yen. 1989– Era Heisei (Ascesa dell’Imperatore Akihito)
capitolo due

VALORI E ATTEGGIAMENTI

I giapponesi si considerano una nazione a sé stante. In effetti la lingua giapponese stessa è


un’esclusiva del Giappone, così come la religione, lo Scintoismo. Senza dubbio, l’isolamento dal
resto del mondo cui è stato soggetto il paese per più di 200 anni, ha senz’altro contributo a creare
il suo senso di “diversità” dal resto del mondo. Ma elemento ancora più importante è il fatto che
durante tale periodo il popolo giapponese fu sistematicamente costretto entro una cultura
rigidamente conformista, da una delle oligarchie più affermate ed estremamente strutturate della
storia: lo Shogunato Tokugawa.

In Giappone troverete una naturale inclinazione alla ricerca di un accordo comune, unita ad un
desiderio di evitare ogni tipo di contrasto, in particolare in quegli aspetti della vita che richiedono
una presa di posizione. A sottolineare questo fenomeno è l’ideale giapponese di armonia o wa.
Storicamente lo sforzo comune che richiedeva la semina del riso, la pianificazione, la
cooperazione e l’esecuzione stessa di tutto il processo sembrano essere l’elemento chiave per
capire la wa.
Non deve sorprendere, quindi, che in Giappone coesistano sia la cultura della “vergogna” che la
cultura della “facciata”, due lati di una stessa medaglia che si ritrovano anche in Cina ed altre
società asiatiche. I giapponesi hanno sviluppato una procedura per tutto, dagli affari alla vita di
tutti i giorni: è l’olio che fa girare gli ingranaggi che regolano i rapporti interpersonali e permette
di non “perdere la faccia” in certe situazioni. Eccone alcuni esempi.

L’“IO” E IL “NOI”

Poiché la voce del gruppo – affari, famiglia, scuola, gruppi sociali – è più importante di quella
del singolo individuo, il Giappone può considerarsi una cultura pluralistica. Negli affari i
giapponesi si presentano innanzitutto e prima di tutto con il nome dell’azienda, seguito dal nome
del dipartimento, dal ruolo personale ricoperto ed infine dal nome proprio.
Se un individuo parla del proprio paese, userà spesso la frase ware ware nihonjin, “noi
giapponesi”, prendendo le distanze dal punto di vista personale ed esprimendo quindi il punto di
vista del gruppo, cioè, dell’intero popolo giapponese o della nazione in generale.

L’ETICA PROFESSIONALE

Uno spiccato senso del valore e dell’importanza del lavoro, uniti ad un ambiente professionale
orientato al raggiungimento degli obiettivi, sono ormai diventati storicamente un luogo comune
giapponese. È possibile che nel corso del tempo la coltura del riso ed il Confucianesimo abbiano
giocato un ruolo determinante nel favorire questo tipo di atteggiamento; raggiungere obiettivi
prefissati è innanzitutto un vantaggio per la propria azienda (istituzione o paese) e permette di
non “perdere la faccia” di fronte ai propri colleghi di lavoro.

LA FACCIA

Perdere la faccia – cioè la dignità personale, il rispetto per se stessi, il prestigio – in qualsiasi
circostanza ci si trovi, non è un’opzione in Giappone. Bisogna assolutamente evitare di creare
situazioni che possano portare a perdere la faccia o farla perdere ad altri. Per un giapponese
sarebbe non solo imbarazzante, ma anche motivo di vergogna.
Vi è poi la questione dell’onore e dell’integrità personale. Non si tratta di commettere azioni
considerate “sbagliate”, ma del fatto stesso di essere scoperti: la moralità nel senso occidentale
del termine diventa qui discutibile ed è piuttosto la vergogna a scatenare il senso di colpa.
Salvarsi la faccia

U n sindaco danese andò in visita ufficiale a Tokyo accompagnato dalla moglie e fu invitato, insieme alla consorte, a giocare a golf; divenne ben
presto evidente che sua moglie era molto più abile di lui. Dopo un po’ di tempo, alla coppia parve piuttosto strano il fatto che la palla, che il sindaco
mandava immancabilmente fuori campo, riapparisse al margine del campo. Poiché i tiri della moglie erano più potenti di quelli del marito, le venne
chiesto se non le fosse dispiaciuto piazzare i suoi tiri dal tee degli uomini piuttosto che da quello delle donne, “perché sarebbe stato più conveniente”.
Piuttosto che l’ospite perdesse la faccia per il fatto che non era un buon giocatore di golf, i giapponesi preferivano assicurarsi che la palla del sindaco
fosse sempre al bordo del campo e che la moglie non andasse troppo in vantaggio.

HONNE E TATEMAI

Collegata all’idea di “faccia” è la distinzione che i giapponesi fanno di ciò che può essere
definito “faccia pubblica” (tatemai) e “faccia privata” (honne). In particolare tatemai corrisponde
al concetto di facciata o bella parvenza che si vuole attribuire ad un’idea o ad un pensiero per
nascondere le vere intenzioni, mentre honne si riferisce alle reali e sincere intenzioni della
persona (pensate alla parola “onesto”). Arrivare a capire questo schema mentale quasi
schizofrenico può essere di importanza vitale per gli stranieri che abbiano rapporti continui e
prolungati con i giapponesi, sia a livello personale che professionale.

GIRI

Indica il tipico senso del “dover ricambiare” che pervade la vita di ogni giorno e che non può
essere ignorato. Si riferisce per esempio all’offrire regali o agli svaghi: un invito a cena va
ricambiato con un invito in un ristorante di pari livello. Nel dare del denaro a persone ricoverate
in ospedale, come contributo per le spese da sostenere, i giapponesi si aspettano che la persona,
ritornata a casa, spenda fino alla metà della cifra ricevuta per un regalo di ringraziamento.

HARAGEI

A volte detto anche “linguaggio dello stomaco” (traduzione letterale), questo termine indica la
sensazione istintiva che si ha verso una persona, un fatto, una proposta. Tale sensazione viene
spesso utilizzata negli affari per contratti o affiliazioni che vengono percepiti come “giusti” o
“sbagliati”. Si dice a volte che i giapponesi non fanno affari con persone che reputano
“sbagliate”, anche se la proposta a prima vista può sembrare allettante.

RISERVATEZZA E SPAZIO PERSONALE

Il Giappone è stato descritto come una cultura dalle tinte color pastello, più che dalle tinte forti,
in cui concetti e idee tendono a fondersi gli uni nelle altre e il cui modo più appropriato per
rapportarsi con l’esterno sembra essere invariabilmente quello indiretto, composto e pacato
(talvolta “silenzioso”). I giapponesi non sono per natura un popolo rumoroso o tendente al
confronto. Molte cose non vengono esternate, ma solo percepite internamente (vedi haragei) e
particolarmente sentito è il concetto di spazio personale e privato.
Pertanto, trovandovi in Giappone, cercate di evitare manifestazioni di affetto in pubblico, eccetto
nei confronti dei bambini, ed evitate il contatto fisico in qualsiasi situazione – come ad esempio
dare uno schiaffo o tenere le persone sottobraccio – fatta eccezione per i momenti di svago o
mentre vi trovate a bere qualcosa in un gruppo di soli uomini. Anche se oggi i giovani sono
molto più aperti nei rapporti sociali e nella maniera di esprimersi in pubblico, i giapponesi
tendono a mantenere le distanze e ad evitare il contatto visivo. Anche se questo vi potrà fare
sentire a disagio, non avvicinatevi troppo ai vostri interlocutori quando parlate. Indicare oggetti e
persone è considerato offensivo. Si può invece attirare l’attenzione della persona muovendo tutta
la mano con il palmo rivolto verso l’alto, ma sempre senza indicare.
Nel presentarsi tra di loro i giapponesi si inchinano, ma ai gaijin (gli stranieri), normalmente
stringono la mano e tentano di combinare la stretta di mano con un accenno di inchino. La stretta
di mano potrà essere debole o leggera ed accompagnata da uno sguardo sfuggente, che non va
interpretato come un segno di personalità debole o di scaltrezza. Se non vi viene data la mano,
imitate l’inchino alla stessa maniera del vostro interlocutore e con la stessa frequenza,
abbassando il busto e mantenendo le braccia dritte con i palmi delle mani lungo i fianchi.

“INTERNO” ED “ESTERNO”

Uno dei paradossi dell’“omogeneità” e del “consenso” apparenti è il modo in cui comunità
grandi e piccole sono costrette in comportamenti che rivelino un senso di fedeltà al gruppo, in
riferimento a vincoli gerarchici ben definiti. Questo senso di appartenenza in ambito sociale crea
una serie di circoli chiusi uno dentro l’altro: a seconda della posizione ricoperta o del proprio
status una persona si troverà sempre e comunque all’interno o all’esterno di un gruppo. Lo stesso
accade in politica e nel mondo degli affari. Un individuo è membro di una particolare azienda e
al contempo membro di un particolare dipartimento, che può – come accade spesso – essere in
agguerrita competizione con altri dipartimenti.
Un’analogia che può aiutare a capire questo fenomeno può essere la differenza tra ambiente
“esterno” ed ambiente “interno” della casa.
Ciò che è “esterno” alla casa, così come all’individuo, è considerato estraneo e non interessa più
di tanto, mentre ciò che si trova all’interno è “accogliente” e “intimo” e richiede un
atteggiamento differente. In casa si viene accolti con frasi di saluto standardizzate (a cui si
risponde con frasi standardizzate); nell’atrio (genkan) si cambiano le scarpe e si indossano le
pantofole prima di entrare in casa. All’interno, i divisori sono sottili, spesso mobili e non
coprono i rumori provenienti dalle stanze adiacenti. I bambini giapponesi crescono quindi
imparando a convivere in uno spazio ridotto, a “girare lo sguardo” o a “non ascoltare” quando
necessario.
Uno degli aspetti più evidenti del comportamento “interno” ed “esterno” agli occhi di chi visita il
Giappone per la prima volta è l’uso, o meglio, l’abuso dei trasporti pubblici. La confusione che
trovate su treni e aerei al termine di un viaggio è un segno chiaro del fatto che il treno o l’aereo
rappresentano un spazio “esterno” e sono utilizzati di conseguenza.

I RINGRAZIAMENTI

In Giappone è normale ringraziare profusamente anche per richieste di aiuto o questioni di poco
conto. È bene, quindi, esprimere la propria gratitudine più spesso di quanto non fareste a casa.
Incontrando nuovamente la persona in questione, rafforzate il vostro apprezzamento con una
frase del tipo “Grazie per la tua gentilezza/ l’aiuto/l’appoggio che mi hai dato l’altro giorno”.
Non ha importanza se si tratta di una cosa banale.

L’ETICHETTA

Ricordatevi che nella società giapponese l’etichetta, nelle sue molteplici forme e gradi, è l’olio
che fa girare gli ingranaggi che regolano i rapporti interpersonali. In altre parole, c’è un modo
accettabile e uno non accettabile di fare ogni cosa e di comportarsi all’interno della cerchia di
persone in cui si è conosciuti. Venendo dal “mondo esterno”, non ci si aspetterà che voi siate a
conoscenza delle particolarità che contraddistinguono il comportamento e le relazioni
interpersonali, ma per lo meno che mostriate attenzione, rispetto e deferenza (se necessario) e
una propensione ad apprenderne le regole.
Attenzione. Alcuni gesti occidentali, come fare l’occhiolino o stringere le spalle, non sono
conosciuti in Giappone e potrebbero essere male interpretati.

IL RAPPORTO CON GLI STRANIERI

Si sentono spesso commenti esagerati sulla “cultura monoliticamente omogenea” del Giappone,
sulla lingua, sulla religione, sui costumi e sul sistema dei valori, sull’immagine di unicità che
esso vuole trasmettere al mondo esterno. Ciononostante, paragonata a quella di altri paesi
industrializzati, bisogna ammettere che la popolazione giapponese, che conta 126 milioni di
abitanti, è effettivamente piuttosto omogenea e non c’è dubbio che in generale i giapponesi
abbiano un sentimento di identità nazionale molto forte. Ma a parte questo aspetto, comune
anche ai cittadini di molte nazioni europee e al popolo americano, il Giappone continua a
rimanere un paese a sé stante.
Nelle città vive un numero considerevole di coreani e cinesi, comunità composte rispettivamente
da 650.000 e 230.000 individui, che vengono registrati separatamente dalle autorità rispetto ai
giapponesi. Nell’industria del divertimento lavorano molte donne thailandesi birmane, filippine e
iraniane, mentre molti uomini arabi, pakistani e asiatici hanno lavori precari o sono impiegati
nell’edilizia – si tratta spesso di attività illegali su cui il governo chiude un occhio.
La forte distinzione che i giapponesi fanno tra “interno” ed “esterno” si riflette anche sui
gaikokuijin, letteralmente “persone provenienti dall’esterno”, parola solitamente abbreviata con
gaijin. In passato il termine indicava anche coloro che provenivano da un’altra provincia, oggi si
riferisce essenzialmente a coloro che non sono giapponesi – coloro che provengono, appunto, dal
“mondo esterno”.
Avendo una cultura fortemente gerarchica, i giapponesi tendono a classificare gli stranieri per
importanza ponendo gli individui bianchi con gli occhi azzurri, americani, europei e australiani
in cima, e i coreani generalmente all’ultimo posto. Ai visitatori europei, americani, australiani e
neozelandesi è garantito il massimo riguardo, specialmente se parlano (e magari insegnano)
inglese, considerata la “lingua universale”.
Tuttavia, come vi confermeranno molti stranieri che conoscono bene il Giappone, non riuscirete
a dimenticare neanche per un momento di non essere giapponesi.
GLI EMARGINATI

L a classe sociale che per secoli è stata oggetto di discriminazioni (oggi conta l’1% della popolazione, corrispondente a 1,4 milioni) è quella dei
burakumin o eta: la casta degli “impuri”, associati alla produzione del pellame e di altre attività legate al sangue, come la gestione di un macello.
L’esistenza di questa casta fu resa ufficialmente nota solo recentemente, quando la questione buraku fu menzionata sui libri di scuola, per la prima volta
nel 1972. Il governo ha effettuato una serie di iniziative atte a rispondere alle esigenze di questa parte emarginata della popolazione e ai problemi di
discriminazione per quanto riguarda gli alloggi, la scuola ed il lavoro.
Tuttavia, la stampa giapponese non parla della questione buraku per paura di ritorsioni; mentre esiste un’efficace industria “non ufficiale” di
“investigatori privati”, con il compito ingrato di indagare che non esista sangue buraku (nel caso ci fosse qualche dubbio) nel partner che si intende
sposare. Anche alcuni datori di lavoro effettuano tali controlli, ed esistono guide illegali per coloro che vogliono cambiare casa, per localizzare ed evitare
le comunità buraku. Se un bambino a scuola è riconosciuto come burakumin possono verificarsi episodi di intolleranza. È uno degli argomenti “tabù”.
capitolo tre

RELIGIONE, COSTUMI E TRADIZIONI

LO SCINTOISMO
Lo Scintoismo è un’antica forma di culto della natura che in Giappone precede di gran lunga
l’introduzione del Buddismo. Gli fu dato questo nome, che significa “la Via degli Dei”, per
distinguerlo dal suo successivo rivale proveniente dalla Cina. Il principio su cui si basa lo
Scintoismo è la ricerca di un rapporto armonioso con la natura. I molti riti, le feste, le usanze
popolari sono espressione del bisogno, del sentimento di gratitudine e del desiderio di propiziarsi
la natura. La dea del sole Amaterasu (che viene adorata nel grande Santuario di Ise, il luogo più
sacro di tutto il Giappone, assieme agli altri dei ed antenati) fa parte del culto di venerazione per
il potente e misterioso mondo della natura.
Per lo Scintoismo ogni fenomeno può racchiudere in sé un’energia spirituale o forza vitale. Una
cascata, un dirupo di montagna, un vecchio albero, una pietra dalla forma strana, un uccello o un
animale possono suscitare un sentimento di riverenza e di stupore. Gli oggetti fonte di culto e
ispirazione venivano chiamati kami, termine spesso tradotto come spirito, deità o “dio”, ma non
hanno relazione alcuna con il concetto giudaico-cristiano di Dio. È importante tenere questo a
mente nel cercare di capire il cosiddetto processo di “deificazione” dell’imperatore, o il
fenomeno dei soldati che si sono uccisi per la patria. Capire lo Scintoismo significa capire il
Giappone.

Nello Scintoismo non esiste un reale contenuto etico, anche se l’accento viene posto sui rituali di
purificazione, che si possono riflettere nel piacere dei giapponesi per il bagno e nella cura
dell’igiene personale. Prima di entrare in un tempio scintoista, ad esempio, è necessario lavarsi
mani e viso. Non vi è niente di scritto, a parte le invocazioni, i cerimoniali e una serie di miti e
leggende. Rimane tuttavia nel calendario una ricca serie di festività e di cerimonie collegate in
particolar modo ad attività agricole come la semina, il raccolto e la fertilità del terreno, che si
tengono con cadenza annuale in tutto il paese. Una serie innumerevole di santuari scintoisti,
ognuno con il proprio portale torii, adornano le montagne e il paesaggio.
Pratiche sciamaniche

S u alcune colline e montagne del paese esistono ancora oggi alcuni sciamani, che mantengono vive le antiche credenze e pratiche associate all’aldilà.
Si tratta di un sistema di credenze che combina luce ed ombra, paradiso e mondo sotterraneo ed è legato all’intervento dei kami, cui viene chiesto di
guarire dalle malattie o di salvare spiriti in pena, attraverso riti, danze o stati di trance.

Il Torii—Il portale del tempio scintoista

Il portale torii di un tempio scintoista è composto da due sostegni verticali inclinati e da due
travi orizzontali ed è di solito dipinto di colore vermiglio. Le strutture originali erano in legno,
attualmente per le ristrutturazioni si usano elementi in cemento. Uno dei torii più spettacolari è
quello del Tempio di Itsukushima, che si erge dalle acque del Mare Interno. I negozi giapponesi
e le attività a conduzione familiare, così come anche le fabbriche moderne e le grandi aziende
giapponesi, hanno piccoli templi dedicati agli dei, perché proteggano gli affari. La divinità Inari
è quella più comunemente venerata. Tradizionalmente associato alla fertilità del raccolto del riso,
Inari è ora considerato il dio della buona sorte per gli affari. Nelle case giapponesi si possono
trovare vari talismani e simboli scintoisti collocati sul kamidana, un altare o una mensola dove si
collocano i kami a protezione della casa.
LE PRINCIPALI FESTE RELIGIOSE (MATSURI)
Ogni anno si tengono in Giappone decine di feste religiose, molte delle quali hanno antiche origini scintoiste
Shogatsu
Capodanno
Setsubun
3 o 4 febbraio. Tradizionale primo giorno di primavera
Hina matsuri
3 marzo. Festa delle bambole (per le bambine)
Tanabata
7 luglio o 7 agosto. Si scrivono i propri desideri su strisce di carta che si attaccano ai rami degli alberi o alle canne di bambù
O-bon
15 luglio. La gente torna ai paesi natali per onorare i propri morti.Si accendono lanterne per guidare le anime dei morti verso casa; spesso si fanno galleggiare
lungo i fiumi.
Gion
17 luglio. Si festeggia a Kyoto e famosi sono i suoi 32 carri mascherati
Shichigosan
15 novembre. Letteralmente “sette, cinque, tre”: le bambine di 3 o 7 anni ed i bambini di 5 o 7 anni vengono portati nel tempio scintoista locale con indosso il
kimono tradizionale per pregare per la propria salute.

Ema
Se ne possono trovare in tutti i tempi scintoisti. Sono tavolette votive in legno dipinto usate per
chiedere intercessione presso gli dei. Normalmente esse vengono legate agli alberi, affinché
siano notate più facilmente dagli dei e sono soprattutto usate dagli studenti per chiedere ai kami
di ottenere buoni risultati negli esami. La parola deriva da e, che significa immagine, e ma, che
significa cavallo, poiché secondo un’ antica convinzione questo animale era un intermediario tra
gli uomini e gli dei.
I rituali scintoisti
I rituali sono guidati nella maggior parte dei casi da sacerdoti scintoisti, coadiuvati dalle donne
che si prendono cura del tempio (miko). La cerimonia si compone di 4 momenti essenziali:
purificazione, offerta e adorazione, supplica e preghiera, comunione o festa. Tutto il processo ha
la funzione di preparare i partecipanti a comunicare con il kami, alle procedure per la
presentazione delle richieste e preghiere al kami, a concludere le celebrazioni con una festa
generale. Altro elemento che accompagna i rituali è la danza tradizionale che viene eseguita dalle
donne del tempio e ha lo scopo di intrattenere il kami.
Durante gli ultimi 1500 anni il rituale scintoista è stato alla base della proclamazione del nuovo
imperatore, la cui discendenza mitica si fa risalire a Ameratsu. La figura dell’imperatore riflette
il rapporto tra il kami, il popolo e la terra stessa. La cerimonia si svolge nel complesso del
Santuario di Ise, sulla costa dell’isola di Honshu vicino a Nagoya. Nel 1989, alla morte
dell’Imperatore Hirohito (Era Showa), sul trono da più di sessant’anni, si svolse l’incoronazione
del nuovo Imperatore Akihito (Era Heisei). Dopo generazioni il popolo giapponese, i media e gli
studiosi ebbero l’opportunità di riesaminare e discutere la natura della consacrazione e del rituale
dell’incoronazione (Daijosai). Sebbene la cerimonia sia chiusa al pubblico, il momento
culminante del rituale sembra essere una specie di pasto in “comune” consumato su una struttura
simile ad un letto chiamata Shinza.
Al centro della cultura giapponese c’è, quindi, la partecipazione dell’uomo alla natura – un
rapporto che è profondamente diverso dalla nostra percezione occidentale. Le tradizioni religiose
occidentali vedono la natura come un riflesso del Divino, mentre i giapponesi vedono nella
natura la personificazione dell’Assoluto.
IL TEMPIO MEIJI

E retto nel 1912 dopo la morte dell’Imperatore Meiji per custodire il suo spirito come un kami, il Tempio Meiji si trova nel centro di Tokyo ed è uno
dei più grandi e più visitati tempi scintoisti, specialmente durante le celebrazioni del Capodanno. I Meiji ascesero al trono nel 1868 e contribuirono alla
trasformazione del Giappone in uno stato moderno.

IL BUDDISMO

Il Buddismo, che fu introdotto in Giappone attraverso la Corea, fu un importante veicolo per la


diffusione della cultura cinese a partire dal VI secolo, quando fu adottato dalla corte Yamato. In
seguito alla promulgazione della “Costituzione dei diciassette articoli”, emanata ad opera del
Principe Shotoku nel 604 d.C., che racchiudeva una serie di precetti basati sul Buddismo e su
concetti appartenenti alla politica e all’etica del Confucianesimo, il Buddismo esercitò un
impatto enorme sul Giappone. Aiutò il paese ad uscire dalle nebbie della preistoria e lo trasformò
in una società informata, illuminata e civilizzata.
In principio, il Buddismo veniva considerato dallo stato come una fonte di potere sia religioso
che terreno. Come accadde dodici secoli dopo, prima e dopo la Restaurazione Meiji del 1868, i
governanti del tempo sceglievano, per le missioni diplomatiche in Cina, giovani promettenti
perché studiassero le fonti del sapere in tutte le sue forme.
Con il Buddismo furono introdotti in Giappone anche l’arte e i prodotti artigianali della Cina. I
templi buddisti che venivano costruiti in Giappone erano degli incredibili capolavori di
architettura (vedi per es. il Tempio di Horyuji a Nara) e ospitavano statue in bronzo o legno
raffiguranti bellissime divinità buddiste, superbi dipinti religiosi e opere d’arte di altro genere.
Alcuni di questi oggetti provenivano dalla Cina, ma molti venivano sempre più prodotti
direttamente in Giappone.

Il richiamo del Buddismo risiedeva non solo nei suoi insegnamenti, nei modi di raggiungere la
trascendenza spirituale, l’illuminazione o la possibilità di salvezza. Risiedeva anche nelle
raffigurazioni dette buddha e bodhisattvas – esseri illuminati e compassionevoli – che si diceva
potessero dare un aiuto ed un supporto concreto alla vita del credente. Fu il richiamo di queste
immagini con i loro presunti poteri magici – forse visti come più potenti dei kami della tradizione
scintoista – a determinare il successo dell’introduzione del Buddismo in Giappone.
Il Buddismo si concentrava sul culto del Buddha Amida e sul suo regno trascendentale, detto
Terra Pura. Coloro che rinascevano nella Terra Pura avrebbero ricevuto senz’altro
l’illuminazione. Nel IX secolo sorsero due scuole buddiste: la scuola esoterica della “Parola della
Verità” di Shingon, fondata da Kukai, e la scuola sincretica di Tendai, fondata dal monaco
Saichi, che prendeva il nome da una montagna sacra al Buddismo in Cina. Entrambe le scuole
accoglievano in sé la tradizione scintoista locale e ponevano l’accento su formule magiche,
elaborate rappresentazioni pittoriche e cerimoniali straordinari. Di tutto questo godeva
l’aristocrazia, ma la gente comune non ne ricavava utilità.

Nel 1175 si assistette ad una svolta quando il monaco Honen lasciò la tradizione Tendai per
abbracciare gli insegnamenti della Terra Pura. Egli iniziò a predicare una filosofia che
richiamava al concetto popolare di salvezza attraverso la fede, unitamente alla recita di alcuni
mantra. Essa prese il nome di Jodoshu – jodo significa “terra pura” e shu “scuola” o “setta”. I
suoi discepoli predicavano il suo messaggio attraverso tutti gli strati della società. Tra questi si
può menzionare Shinran (1173-1262), che successivamente diede vita al Buddismo Shin (che
significa “vero”) nella Jodo-shin-shu, la “Scuola della Terra Pura”. Quest’ultimo era un
movimento laico basato sull’insegnamento di “una sola fede”, con molti aspetti comuni al
Cristianesimo. Non deve sorprendere se questo movimento ha trovato aderenze anche al di fuori
del Giappone.
Il Buddismo Shin crebbe a tal punto da dominare tutte le altre forme di Buddismo in Giappone
(compreso lo Zen, che era una setta minore ma con un’influenza notevole presso gli alti strati
della società) ed è tuttora il movimento buddista più seguito. Esistono dieci sette Shin minori, la
più grande e la più antica delle quali è la Nishi Honganji, che fa risalire il suo alto sacerdote a
Shinran stresso. Non deve sorprendere, perciò, che il sacerdozio tramandato di generazione in
generazione sia una tradizione particolarmente sentita nel Buddismo Shin.

I NUOVI MOVIMENTI RELIGIOSI

La religione giapponese mostra la stessa capacità di ridefinire o interpretare “grandi verità”


come fanno altri credi nel resto del mondo. Spesso nuovi “guru” richiamano un gruppo di
seguaci e attraggono un seguito sempre più numeroso.
Tra questi movimenti c’è la Soka Gakkai (“Società dei valori”), che predica la forma di
“Buddismo fondamentale” annunciata dal monaco Tendai Nichiren Daishonin (1222-82),
secondo cui tutta l’umanità può raggiungere la pace eterna attraverso il rinnovamento,
l’impegno, la dedizione spirituale, credendo ai poteri del gohonzon (l’oggetto di culto). Si tratta
di un’iscrizione del mantra “Prendo rifugio nella meravigliosa pratica del Sutra del Loto” incisa
su legno.
Altro movimento religioso è il Tenrikyo (“religione della divina sapienza”) che ha sede nella
città di Tenri: esso crede in un Dio “che ha creato gli esseri umani per poterne condividere le
gioie nel vederli vivere una vita gioiosa”. Le sette Mahikari, Seichono-Ie ed Rissho Kosei-kai
sono altri movimenti presenti in Giappone.
La Aum Shinrikyo, la setta che ha organizzato l’attacco di gas sarino nella metropolitana di
Tokyo nel 1993, applicava queste idee di rinnovamento e purificazione in modo perverso e
orribile. La setta è tuttora perseguita dalle autorità.

RELIGIONE E CERIMONIE

Si dice che in Giappone si nasce scintoisti e si muore buddisti. Questo perché gli eventi positivi
della vita, compresi la nascita, l’infanzia ed il matrimonio, sono accompagnati da cerimonie
scintoiste, mentre i momenti più sobri, come la preghiera per guarire da una malattia o dalla
morte stessa, sono accompagnati da cerimonie di tradizione buddista.
Le abitazioni tradizionali hanno un altare (butsudan) contenente un’immagine del Buddha e
tavolette commemorative dei familiari defunti.
Tra le feste religiose (matsuri) e gli eventi commemorativi più importanti, si celebra il giorno in
cui i neonati vengono presentati al tempio per la prima volta (hatsumiyamairi) e il shichigosan
(letteralmente 7-5-3), cioè il giorno in cui bambini di 5 e 7 anni e bambine di 3 e 7 anni vengono
portati al tempio vestiti con il kimono tradizionale. I “nuovi inizi” sono particolarmente cari al
mondo scintoista e spesso ci si raccomanda al kami perché benedicano il nuovo anno, l’inizio del
ciclo delle attività agricole, la semina, l’apertura di una nuova azienda, un nuovo edificio, un
nuovo anno scolastico.
IL GION MATSURI

L a festa più importante che si celebra in Giappone è il Gion matsuri, famosa per i suoi carri mascherati. Il momento centrale dei festeggiamenti è il 17
luglio e ricorda l’869, quando il paese fu sconvolto da una terribile epidemia di peste. Il Gion è una delle feste estive associate alla vittoria sulle epidemie
causate dal clima caldo e umido.

I matrimoni
La cerimonia è in stile scintoista e viene celebrata da un sacerdote, il quale impugna un bastone
nero (shaku) e veste abiti ispirati alla nobiltà Heian, quali il kimono, la hakama (gonna-pantalone
spesso ricoperta da una tunica) e un imponente copricapo. Il sacerdote pronuncia alcune
preghiere e compie riti purificatori, facendo con la sua bacchetta (haraigushii) dei gesti sul capo
della coppia atti a scacciare gli spiriti maligni e la malasorte. Per sigillare l’unione, poi, la coppia
beve un sorso di saké. Gli ospiti sono quindi invitati ad un pasto sontuoso seguito dai brindisi
tradizionali.
È tradizione che gli ospiti offrano agli sposi come regalo di nozze banconote fresche di stampa
incartate in una bella confezione. In Giappone le cerimonie sono molto costose: l’affitto di un
locale adeguato – spesso vengono scelti i migliori hotel – può incidere notevolmente sulla
situazione economica della famiglia della sposa.

Sempre più frequentemente le coppie optano per una seconda cerimonia in “stile occidentale”,
con luna di miele annessa, spesso celebrata in una chiesa cristiana o in una cappella giapponese,
o ancor meglio, in paradisi esotici quali le Hawaii (la destinazione numero uno) o l’Australia.
L’influenza occidentale ha anche portato all’aumento dei “matrimoni per amore”, che stanno
sostituendo i tradizionali matrimoni combinati. Ciononostante, negli anni ’90 più del 50% dei
matrimoni celebrati in Giappone erano ancora combinati.

ASPETTI DELLA CULTURA TRADIZIONALE

Il visitatore può rimanere stupito da quanto il passato influenzi ancora notevolmente il presente.
Questo aspetto riguarda soprattutto attività culturali tradizionali come l’ikebana (l’arte della
composizione floreale) o l’arte della scrittura, le arti della tradizione teatrale, quali il noh ed il
kabuki o l’artigianato in ceramica e smalto, la tessitura e colorazione dei tessuti o le arti marziali.
Non possiamo poi non menzionare tra le attività di intrattenimento il sumo e le tradizioni
letterarie poetiche come l’haiku e l’haibun.

La cultura è stata un punto di riferimento talmente importante per i giapponesi, specialmente


durante la rapida ed altamente tecnologica ricostruzione del dopoguerra, che nel 1950 il governo
ha approvato una legge per le politiche di protezione del patrimonio culturale. Tra le altre cose
questa legge attribuisce agli artigiani esperti in vari tipi di discipline il titolo di “tesoro nazionale
vivente”. Ogni anno nuovi nominativi vengono aggiunti alla lista e agli artigiani che vi
compaiono viene dato uno stipendio annuale, perché possano migliorare la loro tecnica e formare
nuovi apprendisti.
Una delle grandi “sottoculture” del Giappone ha affascinato tutto l’Occidente in modo
particolare: il mondo dei Samurai, romanticamente chiamato bushido, la “via del guerriero”. Da
qui si sono diffuse numerose arti marziali quali il kendo (la scherma), il kyudu (il tiro con l’arco),
lo judo, l’aikido e il karate (tutte forme di autodifesa senza l’uso delle armi).
capitolo quattro

LA CASA GIAPPONESE

In Giappone circa il 60% delle abitazioni sono di proprietà. Il 34% approssimativamente sono
affittate da privati, mentre il resto sono di proprietà di aziende o autorità locali ad uso dei propri
dipendenti. La percentuale di appartamenti in affitto aumenta nelle aree metropolitane principali.
In Giappone acquistare una casa è un sogno che hanno in molti (cioè tutti coloro che hanno un
lavoro), ma sta diventando sempre più difficile da raggiungere a causa dei costi sempre crescenti
del mercato immobiliare. La maggior parte di coloro che lavorano nelle grandi città abitano in
appartamenti o condomini (danchi). Chi vive in periferia deve affrontare viaggi anche di un’ora a
tratta per recarsi al lavoro.
Le case tradizionali giapponesi erano costruite in legno e paglia, con porte di carta e finestre con
persiane scorrevoli e tetti sporgenti per difendersi dalla pioggia, dalla neve e dal caldo. Il mobilio
era sobrio: c’erano solamente alcuni tansu (bellissimi bauli portatili), ma niente letti o sedie. Il
pavimento della stanza principale era ricoperto da tatami (stuoie di riso), ci si sedeva su cuscini,
attorno a tavolini bassi. Per dormire la notte, si stendevano sul pavimento materassi spessi
(futon) e lenzuola che durante il giorno venivano tenuti in armadi a muro. Sostanzialmente una
sola stanza fungeva, oltre che da sala da pranzo, anche da salotto e camera da letto.
La casa moderna si estende su due piani ed è ancora costruita in pannelli di legno (su cui viene
applicato un leggero strato di intonaco), sia come misura di sicurezza contro i terremoti, che per
motivi economici. I tetti di tegole hanno sostituito la paglia. La maggior parte delle famiglie,
anche quelle che abitano in condominio, hanno creato un ambiente chiamato stanza tatami, che
ha la funzione di mantenere ben vivo il legame con la tradizione. Questa stanza ha porte
scorrevoli e un tokonoma (letteralmente “posto della bellezza”): una nicchia in cui sono deposti
un tronchetto o sezione d’albero senza corteccia che si eleva dal pavimento al soffitto, un rotolo
di carta di riso con un’immagine appesa e infine, un ikebana (composizione floreale) sistemato
appositamente sul pavimento.
Nel pavimento di alcune stanze arredate in stile antico, sotto al tavolino, c’è una rientranza che
serve per appoggiare le gambe, dove in inverno viene posto uno scaldino (kotatsu), che in
passato era alimentato con carbone – spesso causa di incendi – mentre oggi si utilizza quello
elettrico. A volte i cuscini hanno la forma di braccioli, così che ci si può rilassare come se si
fosse in poltrona.
Tutte le altre stanze, invece, sono normalmente arredate in stile occidentale, con una serie di
elettrodomestici dalla tecnologia avanzatissima, un bollitore per il riso e i modelli più sofisticati e
moderni di videogiochi, computer e sistemi di home entertainment.

UN INVITO IN UNA CASA GIAPPONESE

È molto raro che gli uomini d’affari vengano invitati nella casa del proprio cliente. Le case
giapponesi normalmente hanno dimensioni molto più ridotte rispetto a quelle occidentali e
raramente vengono aperte a persone non di famiglia. Quando trascorrono momenti di svago con
la propria famiglia, normalmente i giapponesi preferiscono uscire, più che rimanere in casa.
Inoltre, la moglie del vostro ospite sarà costantemente preoccupata di non poter partecipare alla
conversazione, poiché il suo inglese è pressoché inesistente. Un’altra ragione da menzionare è
che gli stranieri non sono pratici dei costumi giapponesi, come ad esempio sedersi su un tatami,
usare la toilette “turca” o mangiare il cibo giapponese. Poiché la casa del vostro ospite si troverà
probabilmente in periferia, sarebbe complicato rientrare in hotel alla sera.
Tuttavia, è possibile visitare una casa giapponese, contattando le numerose organizzazioni di
“homestay”. Potete chiedere dettagli al Centro Informazioni Turistiche. Vale anche la pena
contattare l’Ambasciata Giapponese prima della partenza, poiché sempre più famiglie si offrono
come “host families”.

IL BAGNO GIAPPONESE

L’o-furo o bagno (non si trova mai nella stessa stanza del W.C.) è una delle esperienze
giapponesi più intense che consigliamo di non perdere. Innanzitutto, il bagno non si fa allo scopo
di lavarsi, come facciamo in Occidente; questo viene fatto fuori dalla vasca. In secondo luogo -
come ci si potrebbe aspettare - la vasca è piccola e compatta, ma molto profonda. Terzo, l’acqua
è bollente: deve essere sufficientemente calda, infatti, per permettere a tutta la famiglia di
immergersi a turno. Una famiglia media è composta da due genitori e due figli. In passato,
questo “rituale” era riservato a tutta la famiglia allargata.
L’ospite sarà il primo ad avere il piacere di entrare nella vasca, poiché l’acqua è più calda. Il
processo di entrare nella vasca e scivolarvi dentro molto lentamente per arrivare a sedersi sul
fondo è complicato, ma bisogna provarlo. Così come si deve provare l’esperienza di entrare in
uno dei tanti centri termali che si trovano nel paese, in cui il rituale del bagno si svolge allo
stesso modo.
Se sarete invitati in una casa giapponese, ricordate:

P rima di entrare in casa toglietevi le scarpe e lasciatele nel corridoio (genkan). Nel genkan troverete un paio di pantofole da indossare, che però
potrebbero essere un po’ piccole per i vostri piedi.
Prima di entrare in una stanza il cui pavimento è coperto da tatami, toglietevi le pantofole e camminate a piedi scalzi. Vista la finezza e la fragilità del
materiale, apparirà chiaro che non è una buona idea camminare in casa con le scarpe. Si consiglia inoltre di indossare sempre calzini puliti, nel caso
dobbiate entrare in una stanza tatami…
La posizione tradizionale di rilassamento che assumono i giapponesi, seduti su una gamba, può diventare estremamente dolorosa per chi non vi è abituato
(compresi molti giovani giapponesi). In alternativa, gli uomini possono sedersi a gambe incrociate, mentre le donne (a meno che non indossino jeans o
pantaloni) dovrebbero sedersi di traverso sulle proprie gambe.
• Entrando nella stanza da bagno, cercate le pantofole speciali
– spesso marcate con le lettere W e C. E non dimenticatevi di indossare nuovamente le vostre pantofole una volta usciti!

Come usare i bagni giapponesi


Svestitevi nell’antibagno e mettete i vestiti in uno dei cesti a disposizione. Prendete un piccolo
asciugamano e se altre persone sono presenti, utilizzatelo per coprire le vostre parti intime.
Prendete una bacinella e del sapone, quindi prendete un po’ d’acqua dalla vasca da bagno,
insaponatevi e lavatevi aiutandovi con il piccolo asciugamano. Poi sciacquatevi con cura,
cercando di non fare andare il sapone nella vasca da bagno. I giapponesi tendono a dedicare più
tempo alla pulizia personale rispetto a noi occidentali.
Come usare il W.C.
Il W.C. in stile giapponese si utilizza mettendosi accovacciati. Per molti occidentali non
rappresenta una posizione particolarmente comoda, ma è igienico. Da notare che la cassetta dello
scarico dell’acqua è dotata, per lavarsi le mani, di un rubinetto la cui acqua viene riconvogliata
nella cisterna. La levetta a lato può essere girata a sinistra o a destra, a seconda della quantità
d’acqua necessaria. La stanza del W.C. è dotata di carta igienica.
In qualche caso non sarà possibile chiudersi a chiave. Per verificare se il bagno è occupato o
meno, i giapponesi bussano leggermente alla porta e attendono il toc-toc di risposta. Alcuni
occidentali, una volta dentro, per garantire la propria privacy tengono una mano contro la porta.
Il problema è che la persona all’esterno, potrebbe pensare che la porta è bloccata e…
O-FURO: UN’ESPERIENZA UNICA

O vviamente non è un rituale obbligatorio, ma se volete provare, ecco alcuni suggerimenti essenziali:
1) Innanzitutto, tentate di rinfrescarvi un po’ bagnandovi la testa con una spugna o un piccolo asciugamano che avrete passato sotto il rubinetto dell’acqua
fredda.
2) Poi entrate nella vasca, immergetevi rapidamente fino al collo, e rimanete fermi.
3) Dopo qualche momento di atroce sofferenza, inizierete a sentire diminuire il dolore.
4) È essenziale rimanere completamente immobili. Se manterrete questa posizione per un certo tempo, potrete persino iniziare a provare piacere.
5) Mettetevi comodi e non abbiate fretta di uscire. I giapponesi fanno il bagno sia per riscaldarsi che per rilassarsi completamente.
6) Una volta usciti dalla vasca, strizzate il vostro asciugamano e usatelo per asciugarvi: sentirete che piacere! Se è a disposizione, sopra la biancheria
intima indossate lo yukata (una sorta di vestaglia) di cotone
Nota. Assicuratevi di allacciare la parte destra sulla sinistra, indipendentemente se siete uomo o donna. Viene fatto indossare allacciato nel verso
contrario ai defunti. Lo yukata si allaccia con una cintura (obi) e vi sarà messo a disposizione dall’hotel.

IL DECLINO DELLA FAMIGLIA ESTESA

Un tempo era normale che i figli una volta sposati rimanessero a vivere nella stessa casa con
genitori, o per lo meno ad una distanza tale che “la minestra non si raffreddasse”. Questo al
giorno d’oggi succede sempre meno, a causa delle dimensioni più ridotte degli appartamenti, dei
trasferimenti sempre più frequenti per motivi di lavoro o perché i giovani tendono ad essere più
indipendenti dalla famiglia.
Questo fenomeno si ripercuote in particolar modo sul problema dell’invecchiamento della
popolazione, conseguente al boom delle nascite del dopoguerra. Poiché l’età media delle persone
è in aumento - 84 anni per le donne e 76 per gli uomini (la più alta tra i paesi industrializzati) e il
numero delle nascite è il più basso registrato sinora (1,6 bambini per ogni coppia sposata), il
problema dell’invecchiamento del paese diventa sempre più consistente. Si calcola che nel 2015
il 20% della popolazione avrà più di 65 anni, il che porrà al paese il problema dell’assistenza agli
anziani e della gestione dell’economia, poiché la percentuale della popolazione produttiva
crollerà al 60% (contro il 68% della fine degli anni ’70).

I FIGLI E LA VITA FAMILIARE

Il cambiamento dello stile di vita, l’indebolimento del modello tradizionale della famiglia e del
sistema dei valori (causato anche dall’impatto del consumismo) sono alla base dei problemi
comportamentali nell’età giovanile, che si manifestano in maniera sempre più crescente sia tra la
mura domestiche, che in pubblico, che in ambito scolastico. I problemi del Giappone, comunque,
non sono dissimili da quelli di altre società la cui economia si è sviluppata essenzialmente nel
secondo dopoguerra, quando le nuove tecnologie e un aumento crescente del reddito disponibile
hanno prodotto la cultura della “gratificazione immediata”.
Il Giappone, inoltre, non si è ancora trovato ad affrontare le conseguenze di una serie di
fenomeni sociali quali l’aumento del numero dei divorzi cui si sta assistendo anche in Occidente,
l’impatto sociale delle famiglie divise o il fenomeno delle “famiglie allargate”. Anche lo “spirito
di gruppo” tipico della società giapponese, fondato su un sentimento di accettazione stoica della
realtà in favore del “bene comune superiore”, viene oggi messo in crisi dalle giovani generazioni.
Mai prima d’ora la ricerca dell’individualità e della soddisfazione personale avevano trovato
espressione concreta nei discorsi e nelle azioni di ogni giorno, così come nelle arti.
Le madri giapponesi continuano a rappresentare l’elemento dominante nell’educazione dei figli e
a detenere piena responsabilità dell’economia familiare. Nonostante l’impatto della recessione
della fine del XX secolo e il fatto che alcune delle grandi aziende abbiano abbandonato la
“politica dell’assunzione permanente”, il padre di famiglia continua a passare molto poco tempo
a casa.
La settimana lavorativa si compone di 5 giorni, ma il sabato è spesso dedicato a praticare attività
sportive con i colleghi o ad altri incontri d’affari, così che è realmente riservata alla famiglia solo
la domenica, a volte chiamata appunto “giorno del servizio alla famiglia”.
capitolo cinque

IL TEMPO LIBERO

IL PIACERE DI DIVERTIRSI

Fino a non molto tempo fa – almeno fino alla metà degli anni ’80 – il concetto di
“divertimento” era riservato ai benestanti o alle celebrità ed era pressoché sconosciuto alla
maggioranza ei giapponesi. Giocare a golf, a pachinko (una specie di flipper), andare al cinema,
mangiare al ristorante o fare jogging non era considerato divertimento puro, ma attività di svago
atte a migliorare la propria forma fisica e mentale.

Tuttavia, a vent’anni di distanza, il divertimento è oggi parte integrante della vita di tutti i giorni
molto più che in tanti altri paesi industrializzati. Se si considera il numero limitato di giorni di
ferie all’anno, i giapponesi considerano questa attività con più “dedizione” rispetto a noi
occidentali, per la tendenza che hanno ad affrontare ogni cosa in modo sistematico ed
estremamente organizzato. Sembra inoltre che i giapponesi abbiano una passione innata per tutto
ciò che è moderno o ha il sapore di novità, non importa se si tratta della cultura cinese del VII
secolo o della cultura americana contemporanea.
Come ci si può aspettare – ogni cosa che può essere documentata in Giappone viene monitorata e
studiata – esiste un Centro nazionale di sviluppo del divertimento. Secondo un’indagine il 1995
ha segnato un anno di svolta in quanto un grande numero di intervistati (35%) ha dichiarato che
il divertimento era più importante del lavoro (34%). Occorre qui sottolineare che le indagini
sull’opinione pubblica dei cittadini non sono notoriamente attendibili, poiché in Giappone
l’intervistato tende a dare la risposta che ci si aspetta di sentire.
La stessa indagine ha rivelato che i modi in cui l’intervistato trascorreva il tempo libero erano in
ordine di preferenza: il turismo nazionale, mangiare al ristorante, fare gite in auto, il turismo
internazionale. Per quanto riguarda il turismo internazionale, un record è stato raggiunto nel
1994, quando 11,3 milioni di giapponesi si sono recati in vacanza all’estero. Tale cifra è andata
via via declinando a causa della svalutazione dello yen e della recessione della fine degli anni
’90.

LA VITA SOCIALE

Le dimensioni medie della casa giapponese, generalmente piuttosto ridotte, insieme alla cultura
giapponese, sempre pronta ad accogliere ogni esigenza, si sono dimostrate elementi rilevanti nel
favorire la creazione di una serie di infrastrutture atte ad offrire diverse modalità di svago. Non
deve sorprendere che fino a pochi anni fa Tokyo fosse la città con il maggior numero di
caffetterie al mondo. Non deve sorprendere neanche che i giapponesi non trascorrano il loro
tempo libero in casa, ma piuttosto fuori casa, in locali dall’atmosfera più o meno intima a cui i
giapponesi sono particolarmente affezionati. Nei centri delle metropoli giapponesi troverete un
enorme numero di ristorantini ed una grande quantità di bar dove mama-san – la proprietaria o
chi gestisce il locale – cura la propria clientela con uno straordinario savoir-faire, una particolare
destrezza nel trattare le persone ed un’impeccabile disinvoltura professionale.
È piuttosto comune che i giapponesi esagerino con l’alcool, specialmente durante le cene tra
colleghi. Essendo il metabolismo dei giapponesi differente da quello di noi occidentali, per
oltrepassare il limite è sufficiente una quantità di alcool relativamente contenuta. È per questo
che per tradizione, ai bambini, agli ubriachi ed agli stranieri vengono perdonate certe
trasgressioni sociali. La famiglia giapponese normalmente consuma il pranzo domenicale in uno
dei tanti ristoranti a conduzione familiare che si trovano nel paese, oppure facendo un picnic
all’aria aperta.
Le basi dell’industria dell’intrattenimento e dei servizi sono rese sufficientemente salde grazie ai
fondi che il mondo dell’industria giapponese destina a questo settore.

LA GEISHA E L’ARTE DELL’INTRATTENIMENTO

Storicamente l’arte della geisha, o “professionista dell’intrattenimento”, consisteva nel ballare,


cantare ed eseguire semplici giochi di abilità e non aveva nulla a che fare col sesso, a meno che
non si trattasse di clienti abituali. Tale arte era riservata a coloro che avevano le tasche
sufficientemente profonde da potersi permettere lo spettacolo e da sempre è stata una pratica
male interpretata dagli stranieri. In parte, il fraintendimento è dovuto al fatto che è molto raro –
in passato quasi impossibile – che uno straniero venga invitato ad uno spettacolo, in parte perché
uno straniero non saprebbe come comportarsi in tale occasione. Rappresenta inoltre uno degli
aspetti che contribuiscono a fare del Giappone un “mondo a parte”, e ai giapponesi piace
continuare ad essere considerati in questa maniera. Sono sempre state messe in giro dicerie
infondate di orge che avvenivano durante gli spettacoli, ma sarebbero tutt’altro che veritiere.
Le storiche case di geishe si trovano nel quartiere di Gion nella antica città imperiale di Kyoto.
Come le tradizionali forme di apprendistato, il percorso che deve compiere una maiko per
diventare una geisha a pieno titolo è lungo e difficoltoso e richiede anni di completa dedizione.
Il sesso veniva tradizionalmente praticato nello yoshiwara, o “quartiere dei piaceri”. Oggi
esistono diverse aree denominate “soapland”* – “centri del sapone” (così chiamati dalla pratica
di usare il sapone per fare i massaggi) – ed esistono anche bar e club dove si trovano donne il cui
compito è intrattenere i clienti in conversazioni frivole e coprirli di attenzioni e lusinghe, atte a
gonfiare il loro ego e sgonfiare il loro portafoglio. Qui vengono spesso offerti anche altri tipi di
“servizi”.
In questo contesto, occorre sottolineare che il concetto del nudo differisce notevolmente dall’idea
che abbiamo in Occidente. L’essere nudo non è motivo di vergogna – cosa che sperimenterete
immediatamente alla prima esperienza in un bagno pubblico o in un centro termale. Non essendo
stati influenzati dalla visione morale giudaico-cristiana del mondo, i giapponesi hanno una
disposizione verso il sesso e la sessualità allo stesso tempo più semplice e concreta della nostra.
Il visitatore deve sapere che il sesso è sempre stato ed è essenzialmente legato
all’intrattenimento. Inoltre la cultura dalle tinte “pastello”, di cui si è parlato in precedenza,
genera una specie di “indulgente elisione” laddove gli orientamenti sessuali sembrano spesso
incontrarsi. L’essere gay o lesbica non ha una connotazione negativa ma positiva, allusioni e
immagini provocatorie sono usate comunemente nella pubblicità (riviste, televisione, cartelloni
pubblicitari).
In questo e in altri aspetti della cultura giapponese si riscontrano elementi paradossalmente in
contrasto. Nel mondo dei mezzi di comunicazione ritroviamo i manga, cartoni animati utilizzati
anche per raccontare storie a sfondo religioso e per comunicare informazioni (vengono impiegati
tuttora da alcuni ministri per emettere alcune direttive). Esiste una vasta serie di fumetti per
bambini. Ma esistono anche manga violenti o a sfondo esplicitamente erotico che il pendolare
spesso compra alla stazione di partenza e cestina nella stazione di arrivo. Sarebbe impensabile
portare in casa un giornalino con tali oscenità! D’altro canto, le riviste pornografiche importate
dall’Europa o dagli Stati Uniti prima di essere immesse in circolazione vengono “ripassate” per
ricoprire accuratamente con un evidenziatore nero indelebile tutte le immagini che mostrano le
parti intime.

LAVORO E DIVERTIMENTO

Il numero di giorni di vacanza dei giapponesi è mediamente due settimane all’anno, ma accade
raramente che un lavoratore prenda più di una settimana di vacanza. L’etica professionale e lo
spirito di gruppo, assieme all’attesa della promozione, continuano ad influenzare le decisioni
delle persone sulla quantità di tempo da trascorrere lontano dal luogo di lavoro.
Nell’ambiente di lavoro lo spirito di gruppo è un dato di fatto che viene continuamente ribadito
con strumenti quali la determinazione di obiettivi, l’inno dell’azienda, le uscite con i colleghi
dopo il lavoro, le varie attività organizzate dall’azienda.
Non è un caso che il karaoke sia stato inventato in Giappone negli anni ’80 e continui tuttora a
furoreggiare, specie durante le serate di lavoro con uomini d’affari in visita. Il termine deriva da
kara, “vuoto” e oke, che significa “vasca” o “secchio”, ma come si sia giunti a questa
combinazione è un mistero. Quel che è certo, è che oke non è l’abbreviazione di “orchestra”.
Ovviamente, ciò che conta non sono le capacità canore dell’individuo, ma la determinazione nel
prendere in mano un microfono e fare finta di essere un grande cantante. D’altra parte,
l’importante è partecipare e farsi una risata!
Una volta che ognuno si è esibito in questo rituale, che ha lo scopo di rompere il ghiaccio, la
festa continua con un’atmosfera più rilassata. Alcune delle apparecchiature sono così sofisticate
che potranno persino migliorare la vostra esecuzione! Agli esordienti consigliamo di arrivare
preparati e rinfrescarsi la memoria con qualche classico come O sole mio o Volare.
Le vacanze: il galateo dice che…

G li impiegati giapponesi che lavoravano in un paese occidentale nella filiale di una società giapponese rimasero sbigottiti quando Sandra, in partenza
per una vacanza di due settimane, salutò i colleghi dicendo: “Grazie a Dio non dovrò vedere questo ufficio per due settimane!”. Furono ancora più
sorpresi quando ricevettero la sua cartolina:“Mi sto divertendo un mondo e sono felice di non essere lì tra voi!!!!” Il culmine fu quando, nel riprendere
possesso della sua scrivania, Sandra esclamò: “Se sono contenta di essere tornata? È una tragedia!”.
Un collega giapponese allora offrì la sua riflessione sull’accaduto: “Nel nostro paese, quando andiamo in vacanza, ringraziamo i colleghi per svolgere il
lavoro al posto nostro e ci scusiamo con loro per il disturbo che questo arrecherà loro. Quando rientriamo, li ringraziamo e portiamo loro un pensierino. A
volte magari rientriamo un po’ prima dalle vacanze per rimetterci in pari con il nostro lavoro”.

LA CULTURA

Sembra strano che un paese come il Giappone, che alla fine del XIX secolo ha anelato con tanto
vigore a una modernizzazione della propria cultura (in certi casi si può parlare di
“occidentalizzazione”), si fondi su un patrimonio culturale estremamente solido e radicato. Come
abbiamo già visto, le tradizioni scintoista e buddista, assieme alla tradizione storica di quella che
si può definire la “vocazione familiare”, costituiscono la base di questa continuità culturale. Nel
corso dei secoli, particolari attività di artigianato quali la produzione di bambole, spade, o la
colorazione delle stoffe avvenivano a livello familiare ed erano tramandate da una generazione
all’altra. Lo stesso accadeva nelle arti, quali il kabuli (una forma teatrale popolare), il noh (una
forma teatrale in cui si utilizzano maschere stilizzate), il bunraku (spettacolo di marionette) o il
kyogen (dramma comico collegato al noh).
Il concorso nazionale dell’arte della scrittura tradizionale giapponese attrae ogni anno migliaia di
partecipanti; un numero ancora maggiore di persone si trova ad esprimere le proprie doti
letterarie durante il festival dell’haiku, la forma poetica composta da 17 sillabe. Un successo
crescente poi sembra riscuotere il sumo, sport la cui nascita risale a duemila anni fa. Gran parte
della popolazione segue avidamente i sei tornei principali, che si svolgono a Tokyo ed in altre
città e durano 15 giorni ciascuno. Tra gli altri sport antichi e ancora molto praticati ci sono lo
judo, il kendo e il kyudo.

GLI SPORT

A partire soprattutto dal dopoguerra hanno iniziato a diffondersi vari sport moderni. Il baseball,
introdotto per la prima volta nel 1936, è diventato lo sport nazionale. Viene praticato in tutto il
paese in due serie distinte, la Central League e la Pacific League, ciascuna composta da 6
squadre. I due eventi culmine della stagione sportiva sono i tornei nazionali tra le scuole
superiori che si tengono in primavera e in autunno nello Hanshin Koshien Stadium a Kyushu.
Durante il decennio che ha preceduto la Coppa del mondo del 2002 ha iniziato a diffondersi
anche il calcio, e nel 1992 è stata creata la J. League, composta da ben 16 squadre.
Il Golf
Il golf è considerato uno sport a sé stante. È considerato senza dubbio il “re degli sport”, l’alfa e
l’omega nelle aspirazioni di ogni giapponese e il passatempo prediletto del mondo degli affari. Il
Giappone è il paese dove praticare il golf costa di più al mondo – l’iscrizione a un club, per i
pochi che se lo possono permettere, può costare fino a mezzo milione di dollari e le spese annuali
pare che si aggirino attorno ai 50.000 dollari. Vista la limitata superficie di territorio abitabile,
non deve sorprendere che giocare a golf abbia costi così astronomici! Quando le statistiche
confermano che circa 18 milioni di giapponesi giocano a golf, dobbiamo immaginare che la
maggior parte di questi non l’abbia mai praticato altro che su uno delle centinaia di campi a più
livelli che si trovano in tutto il paese.
Un altro sport molto seguito, particolarmente tra le donne, è la pallavolo, motivo di grande
prestigio per i partecipanti.
Il Giappone ospita inoltre un gran numero di eventi a livello internazionale, come le maratone di
Tokyo e di Osaka, e ha ospitato le Universiadi per diversi anni.

MANGIARE E BERE IN GIAPPONE


Il rito del tè
Uno dei lussi che si concedono i giapponesi, così come gli inglesi, è quello tè (o-cha), che viene
consumato di continuo in tutto l’arco della giornata. Il tè viene servito durante gli incontri
d’affari e consumato per tutto lo svolgimento della riunione. Il tè giapponese è verde, viene
servito bollente, senza zucchero, limone o latte, in una tazza senza manici. Ai principianti
occorre un po’ di pratica per portare la tazza alle labbra senza ustionarsi o farla cadere. Si
suggerisce di testare cautamente la temperatura prima di iniziare a sorseggiare il vostro tè.
Tale bevanda è stata per secoli un elemento centrale nella cultura giapponese. La “Via del tè”
(chanoyu) e le formalità della cosiddetta “Cerimonia del tè” hanno origini antichissime. Sebbene
le discipline del Buddismo Zen ne abbiano definito i canoni, la tradizione del tè si era già da
lungo tempo diffusa tra le classi sociali al potere. Il più grande “maestro del tè” di tutti i tempi fu
il monaco Rikyu (1522-91), che annoverava il “rito del tè” tra gli elementi essenziali della
dinamica politica.
Mangiare al ristorante
È probabile che se vi avventurate in città da soli senza essere accompagnati, vi sia rifiutata
l’entrata in alcuni locali. Come si è detto sopra, in Giappone ci sono molti locali privati cui si
accede esclusivamente dietro presentazione dei frequentatori regolari. Il fatto che condiziona i
giapponesi nei confronti degli stranieri è la costante preoccupazione che i visitatori non
conoscano a sufficienza né il cibo, né la maniera in cui deve essere consumato. Tuttavia, se siete
in compagnia di qualcuno che è ben conosciuto nel locale, sarete accolti dallo chef, dal
proprietario o dal cameriere con un sincero “I-r-a-ssh-ai!” – “Benvenuto!”.
Troverete comunque svariati ristoranti e locali aperti agli stranieri, molti dei quali, per nostro
sollievo, hanno in mostra delle riproduzioni plastiche estremamente realistiche delle diverse
portate e dei relativi prezzi. Male che vada, potete sempre indicare al cameriere il piatto che
desiderate!
Se sarete invitati al ristorante, è buona educazione dire che non avete preferenze particolari
riguardo al cibo (a meno che non abbiate allergie specifiche, che sarà opportuno comunicare),
poiché il vostro ospite sarà incaricato dell’ordinazione. Nella cultura occidentale ogni invitato
ordina qualcosa di diverso dal menù come segno di raffinatezza, spesso con interminabili
tentennamenti o scelte azzardate. In Giappone invece, tutti i commensali tendono a seguire la
scelta della persona che invita.
Ovviamente, se vi saranno serviti tipi di cibo che assolutamente non gradite, limitatevi a
concentrarvi sugli altri. Se sarete invitati in un ristorante giapponese tradizionale, tentate di
ovviare alla mancanza di conoscenze degli usi del posto osservando e imitando le mosse di chi
avete a fianco. Se siete l’ospite d’onore, vi sarà probabilmente chiesto di iniziare per primo,
dopodiché seguite gli esperti! Se invece sceglierete di non avventurarvi sul cibo tradizionale
giapponese, nell’area metropolitana delle grandi città troverete una grande varietà di ristoranti
che offrono una cucina internazionale, compresi alcuni dei migliori ristoranti cinesi al di fuori
della Cina.
Normalmente si inizia a mangiare dopo che tutti i commensali si sono inchinati leggermente e
hanno detto “itadakimasu” (letteralmente “riceverò”), piuttosto che “buon appetito”. Nel
Capitolo 7 parleremo del cibo e del vino giapponesi e di come usare i bastoncini.
O-SHIBORI — LA SALVIETTA CALDA

I n molti locali, prima della pietanza, vi sarà data una salvietta di stoffa bianca ripiegata (o-shibori), calda in inverno e calda o fresca in estate. Forse
avete già potuto approfittare di questa piacevole consuetudine durante il viaggio aereo verso il Giappone.
Togliete la salvietta dalla bustina e apritela. Gli uomini possono passarsela sul viso (cosa incredibilmente rinfrescante), prima di utilizzarla per mani e
braccia.
Le donne normalmente la utilizzano per sciacquarsi soltanto le mani.
È possibile ripiegare l’o-shibori e riutilizzarlo in seguito durante il pasto per passarlo tra le dita.

I TRASPORTI PUBBLICI
Rispetto ad altri paesi, il sistema dei trasporti pubblici giapponese dipende largamente dalla rete
ferroviaria: il rapporto passeggeri per km è il 30%, rispetto al 20% degli Stati Uniti e al 10%
della maggior parte dell’Europa Occidentale. D’altro canto, in Giappone solo il 70% delle strade
sono asfaltate, contro quasi il 100% dell’ Europa. Fino al 1987, il sistema ferroviario era gestito
dalla Japan National Railways (Ferrovie Nazionali Giapponesi), poi un programma di
privatizzazione ha riorganizzato l’azienda in sei diverse compagnie regionali e una compagnia di
trasporti sotto il nome di Japan Railways Group (Gruppo delle Ferrovie Giapponesi). Esistono
inoltre molte altre aziende di trasporto che operano a livello regionale. Tokyo e altre otto città,
tra cui Osaka e Nagoya, sono dotate di una metropolitana.
Vista l’importanza mondiale che il Giappone ricopre in qualità di paese industrializzato, il
sistema ferroviario giapponese gioca una parte piuttosto rilevante e deve svilupparsi in sintonia
con le esigenze stesse del paese. Per illustrare l’approccio sistematico tipico dei giapponesi non
c’è esempio più calzante della rete ferroviaria ad uso dei pendolari: sul binario viene segnalato
perfino il punto esatto in cui si fermano le porte dei treni! La logica che vi sta dietro è che i
passeggeri sanno esattamente dove attendere e una volta arrivato il treno possono salire in
maniera rapida ed efficiente. Questo avviene in maniera estremamente tranquilla e dignitosa,
anche sui percorsi intercity e regionali.
Nei treni della metropolitana e delle linee suburbane, durante l’ora di punta il personale di
assistenza ha il preciso compito di spingere i passeggeri a bordo prima che si chiudano le porte.
Vi capiterà di assistere a scene di passeggeri che, nell’intento di salire sul treno, si buttano nella
mischia come in un incontro di rugby. Viste le premesse, non aspettatevi di vedere giovani
cedere il posto a persone anziane e a donne incinte.
La distanza ravvicinata tra i passeggeri ha creato diversi problemi, non ultimo il fenomeno della
“mano morta” di cui vengono fatte oggetto alcune donne. Nonostante i controlli compiuti dalle
autorità, gli sforzi della polizia si sono rivelati quasi inutili per combattere questa “pratica”.
Quando l’autobus o la carrozza ferroviaria sono pieni, l’unica cosa da fare è aggrapparsi a una
delle cinghie e cercare di appisolarsi, visto che spesso non c’è neppure lo spazio per leggere un
libro o un giornale! Messaggi frequenti annunciano il nome delle singole stazioni e persino da
quale lato della vettura si trova il binario. Gli annunci sono tutti in lingua giapponese, eccetto
sullo Shinkansen* (il “treno lampo”, letteralmente la “linea nuova”), in cui sono anche in inglese.
Poiché il tempo di fermata è breve, si consiglia di farsi strada per tempo tra i passeggeri per
raggiungere l’uscita. È buona educazione tendere leggermente un braccio con il palmo verticale e
muoverlo su e giù, leggermente inchinati, dicendo “sumimasen” (“permesso”) o “shitsurei
shimasu” (“scusate il disturbo”).
I treni a lunga distanza sono provvisti di un buon servizio di ristorazione, mentre nei treni per i
pendolari mangiare e bere non è visto di buon occhio per ovvii motivi. È vietato fumare sui
binari, ma esistono alcune aree riservate ai fumatori (kitsuen-kona).
“Una spalla in prestito”

S ui treni notturni può capitare spesso di vedere un passeggero seduto che finisce per addormentarsi (lo schiacciare un pisolino è una caratteristica dei
giapponesi che riscontrerete di frequente e in vari contesti, non da ultimo durante le riunioni di lavoro). È facile che la sua testa scivoli poi da un lato e,
nel caso ci sia qualcuno di fianco, finisca per appoggiarsi sulla spalla del passeggero vicino. Sembra che i giapponesi, tutto sommato, tollerino questo
comportamento che trovano divertente, ma che per gli stranieri può essere considerato un gesto estremamente maleducato.

I TURISTI E LA POLIZIA
Nelle città esistono numerose centrali di polizia (koban) attive 24 ore su 24, i cui uomini
conoscono perfettamente la zona e sono sempre a disposizione per darvi indicazioni precise sul
luogo che dovete raggiungere, il cui indirizzo è spesso poco chiaro. Gli stranieri non hanno
motivo di temere la polizia, eccetto nel caso in cui tentino di introdurre nel paese droghe
(marijuana compresa) o materiale pornografico. Si consiglia comunque di non lasciare mai il
passaporto nella camera d’albergo o nel proprio alloggio, ma di portarlo sempre con sé.
Il Giappone può ancora essere considerato uno dei paesi più sicuri al mondo, sia di giorno che di
notte, anche se negli ultimi anni è nata una certa diffidenza nelle persone, a causa del numero
crescente dei “senza fissa dimora” (causato dalla crisi economica che sta attraversando il
Giappone) e dei giovani bulletti che si possono incontrare nei parchi e negli spazi pubblici. La
microcriminalità è pressoché inesistente: in Giappone è più facile che qualcuno vi renda qualcosa
che avete perso, piuttosto che qualcosa vi venga sottratto!
Gli Yakuza
Gli yakuza fanno storicamente parte della struttura sociale del Giappone: sono malviventi
estremamente addestrati, noti per avere la pelle completamente tatuata, perché si muovono in
appariscenti limousine e per la mancanza della falange superiore del mignolo quale segno di
distinzione.
La loro rete sofisticata controlla il racket delle estorsioni, della prostituzione e del traffico di
droga. Sono inoltre coinvolti nell’industria delle costruzioni e gestiscono il mondo delle sale
giochi di pachinko. Le numerose azioni intraprese dal governo nell’intento di porre fine alle loro
attività si sono rivelate assolutamente vane. Amano fare parlare di sé, vestono spesso alla moda
occidentale e guidano costose automobili occidentali. La polizia giapponese si limita ad accettare
la loro presenza e agisce soltanto nel caso si verifichino incidenti “seri”.
Fortunatamente di rado molestano turisti o uomini d’affari stranieri e difficilmente vi accadrà di
incontrarli. Ad ogni modo, evitate di trovarvi nel loro raggio d’azione.
Argomenti Tabù

S e non volete inimicarvi i giapponesi, in una conversazione non nominate mai gli yakuza: ufficialmente non esistono! Evitate anche argomenti quali il
sistema meritocratico, il sistema imperialista o ancora gli emarginati (i burakumin) e la Seconda guerra mondiale (il Giappone si considera una vittima
della guerra). La maggior parte dei giapponesi è molto sensibile alle critiche, particolarmente quando hanno un fondamento. Meglio quindi evitare
divergenze non necessarie!
capitolo sei

I REGALI

In Giappone più che in ogni altro paese è consigliabile apprendere le abitudini del luogo poiché,
come sottolinea la graziosa eroina del romanzo di James Clavell Shogun1, qui esistono solo modi
di fare giapponesi. C’è da dire comunque che i giapponesi sono coscienti di quanto a volte le loro
abitudini siano complesse e articolate e sono per questo sempre pronti a venire incontro ai
tentativi incerti e goffi che compiono gli stranieri nel tentare di osservarle.

Questo riguarda in particolar modo il rituale dello scambio dei regali, che più di ogni altro è
causa di profondi mal di testa e stress da viaggio. Non dovrebbe tuttavia creare tanta angoscia.
Un regalo in Giappone è un o-miyage, un “omaggio onorevole” (il prefisso “o” significa
onorevole) e il vostro gesto, qualunque esso sia, sarà comunque estremamente gradito.
In Giappone lo scambio dei regali rappresenta essenzialmente un lubrificante sociale che serve a
rendere più distesa l’interazione e a rafforzare i rapporti preesistenti. Tutto ciò ha infine a che
fare con l’importanza di mantenere e sostenere lo status quo ed il senso di benessere all’interno
di un’azienda, un’organizzazione, nell’ambito della famiglia o nei riguardi del vicinato. Per
questo motivo un giapponese non si aspetta che uno straniero conosca questo modo di essere o
sia realmente parte di questo processo. I regali degli ospiti stranieri sono comunque
profondamente apprezzati e ricambiati.
Al di fuori dei rapporti personali o familiari, i regali hanno la funzione di elemento equilibratore
del radicato senso dell’obbligo dei giapponesi e stanno a ricordare l’importanza dei rapporti
sociali.
Nel ricevere un regalo, qualcuno vi potrà dare in cambio un omaggio di poco valore. Non
preoccupatevi: non ha nulla a che fare con il fatto che siete stranieri. È una specie di “ricevuta”,
il vero regalo vi sarà dato in seguito. I giapponesi fanno anche regali materiali in cambio di
favori ricevuti. Se necessario, chiedete aiuto per sapere se interpretare un regalo come gesto per
ricambiare un favore o meno.
Che i regali vengano “riciclati” è un fatto: circolano varie barzellette su persone che per vie
traverse finiscono per ricevere un regalo che a loro volta avevano dato ad un’altra persona. Il
fatto è che negozi e supermercati agevolano la tradizione dello scambio dei regali producendo
confezioni standardizzate, a tal punto che può capitare di sapere esattamente cosa contiene una
scatola senza doverla aprire, cosa che darà la possibilità di utilizzare nuovamente il regalo per un
altro rito di scambio. Vista la quantità di regali che i giapponesi si scambiano in un anno, molto
saggiamente sono soliti tenere una lista di quelli ricevuti e offerti, così da evitare spiacevoli
doppioni.
CONSIGLI SU COME OFFRIRE UN REGALO

I ncartatelo sempre. La presentazione di un regalo, come per molte altre cose quali il cibo e le cerimonie, è profondamente importante. Non deve
sorprendere che l’incartare regali sia considerata un’arte molto diffusa e praticata. Chiedete ad un amico giapponese di incartare il regalo che volete
offrire o comprate del nastro e una bella carta da regalo in cartoleria e fatelo voi stessi. Se comprate un oggetto direttamente in Giappone, la commessa
sarà lieta di incartare il regalo per voi.
Un regalo non può essere rifiutato, a meno che non sia strumentale alla richiesta di favori in cambio. In questo caso si consiglia di respingerlo
immediatamente.
I giapponesi normalmente tendono a sminuire il valore dei regali che offrono. Colui che “indegnamente” riceve il regalo, a sua volta dovrebbe mostrarsi
inizialmente esitante nell’accettare. Il risultato finale di questa cerimonia rituale è comunque invariabilmente l’accettazione.
Poiché siete stranieri, non sarà necessario sminuire il vostro regalo alla stessa stregua dei giapponesi, ma non dovreste neanche decantarlo troppo o
sottolineare quanto vi sia costato o le difficoltà cui siete andati incontro, neanche se vi sarà chiesto esplicitamente. Sarebbe mancanza di tatto.
Siate cauti nel valorizzare troppo un regalo: ci si aspetterà in cambio un oggetto di valore equivalente! Questo processo di scambio potrebbe protrarsi per
un lungo periodo e rivelarsi piuttosto oneroso per entrambe le parti.
È tradizione che gli amici ed i vicini di casa si scambino regali in particolare in due occasioni: per la festa di o-bon, in luglio, e alla fine dell’anno per o-
seibo. Quest’ultima festività sta sempre più imitando l’usanza occidentale dello scambio dei regali per il Natale.
Se siete invitati in una casa privata, è usanza offrire un regalo, ma nel congedarvi, non all’arrivo, come si usa in Occidente. Scusatevi sempre e comunque
per il vostro regalo “da poco” e non aspettatevi più di un semplice ringraziamento. In queste occasioni, meglio evitare eccessivi commenti emotivi. Per
evitare eventuali spiacevoli imbarazzi, il vostro regalo verrà aperto dopo che avrete lasciato la casa.
I giapponesi non aprono mai un regalo in presenza della persona che lo ha portato. Questo eviterà a colui che riceve o offre di “perdere la faccia”, se il
regalo sarà più (o meno) costoso di quanto doveva essere o non adeguato alla circostanza. Occasionalmente, vi verrà chiesto di aprire il regalo: sarà buona
norma scartarlo con delicatezza.

Ovviamente, ci sono occasioni in cui i regali non vengono ricambiati, poiché rappresentano un
gesto di pura riconoscenza verso una persona. Sono ad esempio i regali fatti dagli alunni agli
insegnanti, dai negozianti ai clienti, da una fabbrica di auto ai propri visitatori o da una
compagnia aerea ai passeggeri…
Visitando il Giappone per affari, vi capiterà poi di ricevere dei regali senza che abbiate
l’occasione di ricambiare. Non dovete preoccuparvi eccessivamente: non partite senza avere
ottenuto l’indirizzo della persona. Sarà particolarmente apprezzato un bel biglietto di
ringraziamento, che magari accompagnerete con una fotografia che avrete scattato in occasione
dell’incontro.
DA EVITARE..

E vitate di regalare delle serie di oggetti (per esempio sottobicchieri, tovagliette, confezioni di liquori mignon) in numero di 4 o 9: questi numeri
simboleggiano la morte o la malasorte! Ricordate inoltre che i regali in segno di congratulazioni devono essere incartati con carte di colore rosso e
bianco; i regali in segno di condoglianze devono essere incartati con carte di colore nero, blu, verde o bianco.
PRIMA DELLA PARTENZA

Comprate alcuni regali di diverso valore e tipologia. Piccoli omaggi, ad esempio cartoline con
immagini della vostra città, saranno un omaggio estremamente gradito ai vostri ospiti in segno
della gentilezza mostrata.
Se provenite da una città storica o famosa per prodotti particolari, comprate qualcosa di tipico:
sarà sempre ben accetto! Ricordate di accompagnare ai regali una spiegazione rapida e concisa
sul relativo contesto storico o culturale.
In cima alla lista potete mettere della grappa o del buon vino; comprate magari delle confezioni
regalo (attualmente la quantità massima che è consentito importare è tre bottiglie). Molto
apprezzate sono inoltre le confezioni di marmellate o cioccolatini assortiti, specialmente dalle
mogli degli uomini d’affari, che avrete eventualmente occasione di incontrare. Se poi finirete le
scorte, potrete sempre rivolgervi ai negozi e ai grandi magazzini del luogo, seppure a prezzi
considerevolmente elevati. Altre idee regalo possono essere cravatte o sciarpe, monete
commemorative o serie di francobolli, libri d’arte o di automobili corredati di immagini. Sono da
evitare i gemelli o i fermacravatta, perché poco utilizzati dai giapponesi, ma una buona
alternativa possono essere delle t-shirt. Vista la passione dei giapponesi per il golf, si può
considerare qualche articolo sportivo, sebbene i costi non permettano un’ampia scelta. Nei duty-
free degli aeroporti collegati al Giappone troverete vari prodotti in confezione regalo. Evitate di
fare acquisti di alcolici sui voli, perché le bottiglie sono di plastica e mai in confezione regalo.
I giapponesi sono i migliori fotografi al mondo. È praticamente impossibile che accada qualche
evento di particolare importanza senza che sia immortalato in una fotografia! L’immagine
classica che viene in mente è quella delle foto di gruppo dei turisti giapponesi in vacanza
all’estero. Al vostro ospite farà sicuramente piacere ricevere una fotografia di un momento
particolare, che avrete fatto incorniciare al vostro ritorno.
Non abbiatevene a male, tuttavia, se non riceverete una parola di ringraziamento…
E RICORDATE…

N on soffermatevi eccessivamente ad ammirare opere d’arte o altri oggetti nella casa del vostro ospite: potrà essere interpretato come un desiderio di
averli per sé e lui si potrebbe sentire in dovere di regalarveli!

Un altro aspetto tipico dei giapponesi è l’abitudine di fare regali a persone che si trovano in
momenti di disgrazia, disagio, dolore. Gli amici, i familiari e i vicini di casa sono soliti offrire del
denaro, normalmente posto all’interno di un bel biglietto, ai degenti in ospedale, o alle vittime di
danni causati da incendi, alluvioni, terremoti. L’idea è comunque che, una volta ritornati alla
normalità, la persona utilizzi fino a metà del denaro ricevuto per comprare un regalo di
ringraziamento.
Queste usanze fanno sì che i rapporti interpersonali all’interno della società si rafforzino, ed è
possibile che tali usanze abbiano origine nella tradizione scintoista dell’offrire regali agli dei,
responsabili delle calamità naturali e delle disgrazie accadute alle persone, con l’intento di
placare la loro ira.
SAN VALENTINO

N egli ultimi anni, al calendario delle ricorrenze dedicate allo scambio dei regali, si è aggiunta la versione giapponese del giorno di San Valentino, che
è diventata una specie di “cioccolato-mania” in cui le ragazze regalano ai loro amati del cioccolato fondente di tutte le forme e dimensioni. I ragazzi, a
loro volta, nel “giorno bianco”, un mese più tardi, regalano alle ragazze confezioni di cioccolato bianco. Nelle settimane che precedono questi giorni i
supermercati e i negozi allestiscono vetrine con cioccolato sfuso e confezionato da fare venire l’acquolina in bocca.
1 È basato sulla storia del primo uomo inglese che toccò il suolo giapponese,William Adams, di Gillingham, nel Kent (nel romanzo John Blackthorn), in seguito
ad un naufragio, nel 1600. Sebbene Clarvell compì studi approfonditi del Periodo Edo, il suo non può essere definito un romanzo storico.
capitolo sette

I CIBI E LE BEVANDE

Si dice che tra le maggiori difficoltà che si trovi ad affrontare un giapponese all’estero, al
secondo posto ci sia quella di reperire il genmaicha – l’infuso di tè verde e riso, dal profumo e
dal sapore particolarmente intensi. Non stupirà sapere che la difficoltà principale è invece
rappresentata dall’abbandonare le sicurezze e gli agi della vita in famiglia e dell’ambiente di
lavoro.
La dieta tradizionale giapponese è composta da due elementi essenziali: riso e pesce. Si tratta di
una dieta estremamente differente da quella di ogni altro paese al mondo, soprattutto perché non
è stata influenzata dall’utilizzo delle spezie che fanno i paesi confinanti del sud-est asiatico, in
cui si consuma prevalentemente carne. Gli unici ingredienti usati per dare sapore ai cibi sono la
salsa di soia e quella di rafano giapponese (daikon). È interessante notare che molti visitatori,
abituati nei rispettivi paesi a una dieta ricca di carboidrati e carne, accompagnati da salse e
condimenti vari, nell’adattarsi alle abitudini culinarie del luogo provano una sensazione di
depurazione del sistema digestivo.
Come si è detto in precedenza, durante gli ultimi trent’anni si è assistito ad un processo di
americanizzazione della dieta giapponese, che si è manifestato in particolare nell’aumento del
consumo di carne (specialmente hamburger), pane e patate, attraverso i numerosi fast food
presenti nelle maggiori città. Si possono facilmente prevedere gli effetti che questo fattore ha
scatenato nella vita dei giovani, specialmente per quanto riguarda la concezione del “mangiare” e
del “pasto”. Tuttavia, le modifiche nella dieta tradizionale giapponese hanno avuto effetti
collaterali notevoli sull’altezza e sulla corporatura media dei bambini giapponesi, nell’arco di
poco più di due generazioni. Ad esempio, l’altezza media dei bambini di 12 anni è cresciuta da
136 cm nel 1950 a 153 cm nel 2000, e da 137 cm a 152 cm nelle bambine. Un aumento di più del
12%.
L’aumento della statura media dei giapponesi non è esattamente da attribuirsi al cibo poco sano
dei fast food, quanto piuttosto al consumo di carboidrati e proteine, dovuto all’abitudine
introdotta nel dopoguerra di fare colazione con cereali, latte, pane tostato, pancetta e uova (non
necessariamente tutti insieme). I giapponesi hanno assorbito nella propria tradizione diversi tipi
di cibi importati dall’estero, come successe ad esempio quattro secoli fa quando i portoghesi
introdussero il tempura (pesce e verdure fritte nell’olio) e un tipo di dolce chiamato kastera,
tipico ora della regione di Nagasaki. La dieta giapponese comunque continua a comprendere un
pasto di tradizione giapponese al giorno.
Dopo la Restaurazione Meiji, per incoraggiare i giapponesi a mangiare carne, come facevano gli
occidentali, fu introdotto il sukiyaki, un piatto nuovo fatto di straccetti di bistecca con contorno
di cipolle ed altre verdure cotte in una pentola di ferro a fuoco vivo.
Sebbene la carne sia ormai entrata a far parte della dieta quotidiana, non si può dire che i
giapponesi vadano matti per il manzo, anche perché poche famiglie si possono permettere il
lusso di comprare una buona bistecca. Fino alla fine dell’800, poi, mangiare carne era ritenuto
incompatibile con i valori buddisti. La scarsità di terreni destinati al pascolo e i costi elevati delle
importazioni del bestiame sono le cause principali dei prezzi così spropositati. La carne più
costosa è il manzo di Kobe, famoso per una cerimonia particolare che precede il macello.
L’allevatore getta della birra sul muso degli animali per “calmarli”, cosa che dovrebbe anche
intenerirne la carne. I caseifici per la produzione di latte fresco si trovano vicino ai principali
conglomerati urbani, mentre la principale regione produttrice di latticini si trova nell’isola
settentrionale di Hokkaido, che è anche la più importante produttrice di patate.

IL RITO DEL TÈ

Si dice che parlare della cucina giapponese implichi disquisire anche di estetica, filosofia e di
modi di vivere. Se questo è in parte vero per tutte le culture, lo è in particolare per quella
giapponese. L’incarnazione per eccellenza di questo concetto è rappresentata dall’antichissimo
rito del chanoyu – la cerimonia del tè – che si può descrivere come una pratica tipica del
Giappone e che consiste nel servire e bere in maniera ricercata il matcha, il tè verde in polvere.
Il tè fu importato in Giappone dalla Cina nell’VIII secolo, ma il matcha fu introdotto nel paese
solo nel XII secolo. Nel XIV secolo era diventato la bevanda più alla moda tra la classe al potere:
i samurai, i daimyo, e altri strati alti della società, usavano riunirsi in uno shoin (studio) per
sorseggiare il tè e ammirare dipinti e ceramiche importati dalla Cina.
Le regole collegate alla cerimonia del matcha subirono una graduale evoluzione fino a
consolidarsi, verso la fine del 1500, ad opera del grande monaco zen e maestro del tè Rikyu: egli
diede a questo momento il taglio ascetico e spirituale che sta alla base della pratica odierna.

Avendo così attribuito al chanoyu le sue origini zen, il visitatore dovrà essere cosciente che
dietro a questo rito c’è molto più di una tazza di tè verde servita in maniera ricercata in una “casa
del tè”. Secondo la tradizione zen, bevendo il tè l’anima viene purificata e diventa tutt’uno con la
natura. La casa del tè (soan, o capanna) normalmente piccola, rustica ed isolata, con un’entrata
discreta, serve simbolicamente a rafforzare la propria funzione nell’ambiente e quella dell’uomo
al suo interno. Oggi, così come in passato, i partecipanti a questo rito sono invitati ad ammirare il
paesaggio tutt’intorno, il servizio da tè stesso, rigorosamente fatto a mano, e le opere d’arte
appese alle pareti.
IL MONACO RIKYU DISSE…

S e una persona vive in una casa il cui tetto non lascia penetrare la pioggia e mangia quel tanto che basta a non morire di fame, questo le sia sufficiente.
Questo è l’insegnamento del Buddha ed è lo spirito del chanoyu. Una persona prende l’acqua, raccoglie bastoni per il fuoco, bolle l’acqua, prepara il tè e
lo offre al Buddha. Un’altra lo serve e poi lo beve lei stessa; questa è l’essenza del chanoyu.

LA PRESENTAZIONE DEL CIBO

Il fattore estetico che impregna tutti gli aspetti della cultura giapponese, di cui il chanoyu è la
rappresentazione per eccellenza, è estremamente evidente nel contenuto, nella preparazione e
nella presentazione del cibo. Si pensi che alcuni piatti vengono serviti essenzialmente allo scopo
di dare un tocco artistico al pasto. Nella cucina giapponese potrete trovare vari piatti nutrienti e
gustosi per il palato occidentale, come ad esempio il tempura, in parte forse per le loro origini
occidentali, portoghesi in particolare. Viene usata una certa cura nell’abbinare le forme ed i
colori dei cibi con le forme e i colori dei relativi vassoi e contenitori.
Altri piatti comuni che potranno stuzzicare l’appetito del visitatore sono il sukiyaki (che abbiamo
già nominato), lo yakitori (pollo alla griglia) e il teppanyaki (spezzatino di manzo alla piastra). Ci
sono poi vari piatti di tagliolini in brodo molto gustosi, come l’udon (tagliolini spessi e bianchi) e
il soba (tagliolini marroni fatti con grano saraceno), che vengono serviti caldi o freddi, secondo
la stagione. Per qualche motivo, i giapponesi credono che sorseggiare rumorosamente il brodo
mentre si mangiano i tagliolini ne accentui il sapore: potete quindi unirvi al coro senza timore, se
credete!
Il riso (gohan) è il componente base della cucina giapponese e costituisce spesso l’ingrediente
principale del pasto. Servito in una ciotola fonda (domburi), può essere accompagnato con
anguilla bollita (molto gustosa) o con pollo e uova. Il piatto composto da anguilla e riso si
chiama unagi domburi, e quello composto da pollo e uova o-ya-ko domburi (letteralmente
“genitore e figlio”).
Un piatto poco costoso apprezzato dagli occidentali è l’o-konomi-yaki (letteralmente “ la tua
grigliata preferita”), che consiste in una frittata fatta con pezzetti di manzo, maiale, gamberi o
verdure cotte all’istante su una piastra posta al centro della tavola.
UNO SPUNTO DI RIFLESSIONE

A l profano palato occidentale, molti dei cibi giapponesi sembreranno piuttosto insipidi. Per i giapponesi, non è importante solo il gustare, quanto
l’assaporare intensamente la consistenza del cibo, i grani del riso o le fettine di pesce crudo. Provate per un attimo a mettere da parte le vostre opinioni,
come per altri aspetti della vita giapponese, e insistete! Potrete persino trovare piacevole giudicare il cibo secondo diversi parametri, tanto da arrivare a
farne un’esperienza purificatrice.

PIATTI DI PESCE

Come ci si può aspettare da uno dei più grandi paesi produttori di pesce, in Giappone esistono
una infinità di piatti di pesce e di frutti di mare. Se mangiato bollito o fritto, il pesce potrà avere
un gusto che vi sembrerà piuttosto familiare. Se mangerete pesce crudo (sashimi) per la prima
volta, ad alcuni potrà dare un senso di repulsione, altri lo troveranno simile alla consistenza della
carne cruda – che sia tonno, abramide rosso di mare o salmone – ma, accompagnato con salsa di
soia e di rafano caldo, potrà rappresentare fin dal principio un’esperienza sublime. Un
suggerimento per i principianti è iniziare con il sushi (pezzetti di pesce crudo posti su rotolini di
riso tenuti insieme da alghe marine e insaporiti spesso da mostarda e zenzero), il piatto di pesce
giapponese più famoso. Il sushi è diventato il cibo giapponese più esportato, grazie anche alle
catene di supermercati occidentali, dove viene prodotto localmente. Il sushi di qualità è
comunque piuttosto costoso.

Il più grande mercato del pesce del Giappone, lo Tsukiji, si trova a Tokyo e merita davvero di
essere visitato. La freschezza dei prodotti è di prima categoria, tanto che la ferrovia arriva
direttamente dentro il mercato, così che i treni possono portare il pesce a destinazione in ogni
parte del paese nel minor tempo possibile.
L’ARTE DEL MANGIARE
— Estraete i bastoncini dalla confezione, divideteli e posateli sull’apposito appoggio finché il pasto non è servito. Utilizzate poi i bastoncini per servirvi
direttamente dai diversi piatti da portata, poiché normalmente non vi viene messo davanti un piatto su cui porre i cibi, a parte la ciotola del riso.
— Un pasto tipicamente giapponese include sempre il riso. A seconda dalla complessità del pasto, verrà accompagnato da una o più portate.
— Invece di servire più portate una dopo l’altra, vi verranno serviti più cibi allo stesso tempo.
— L’ospite dovrà assaggiare un po’ di cibo da ogni portata, senza escluderne alcuna.
— Quando vi servite dalle ciotole, prendetele in mano e avvicinatele a voi.
— Non è buona educazione esitare troppo su un piatto. Tuttavia, in quanto stranieri, potrete rifiutare qualsiasi tipo di cibo che non sia di vostro
gradimento.
— Prima di iniziare, togliete il coperchio dalla ciotola del riso e posatelo rivoltato alla vostra sinistra . Fate lo stesso con quello della minestra, ma
posatelo alla vostra destra.
— Per mangiare con più facilità, è consentito portare alla bocca la ciotola del riso con la mano sinistra. E ovviamente, potrete bere il brodo direttamente
dalla ciotola della minestra.
— Se avete terminato il riso, ne potrete chiedere dell’altro. Come per tutte le altre situazioni, quando si dà o si riceve qualcosa, è buona norma utilizzare
entrambe le mani per sollevare la ciotola.
— Lasciare del riso nel fondo della ciotola indica che ne volete dell’altro. Per mostrare che avete finito, prendere i grani uno ad uno con i bastoncini e
mangiateli. In ogni caso, mangiare tutto il riso contenuto nella ciotola è considerato buona educazione.
— Per servirvi dai piatti da cui si servono anche gli altri commensali, utilizzate gli appositi bastoncini o i cucchiai. Nel caso non vengano forniti,
utilizzate i vostri bastoncini servendovi delle altre estremità.
— Una volta terminato, riponete i coperchi sulle ciotole e i bastoncini paralleli sulla ciotola del riso o sull’apposito appoggio in legno o ceramica.
— Nel congedarvi, dite “Go-chiso-sama desh’ta” (“Era davvero delizioso”, o “Molte grazie per il pasto”), inchinandovi leggermente.

COME UTILIZZARE I BASTONCINI

Per usare i bastoncini correttamente occorre un po’ pratica e di destrezza. Per sviluppare la
vostra tecnica personale, provate a seguire queste indicazioni.
Posizionate il bastoncino inferiore nell’incavo della mano, reggendolo tra la base del pollice e la
punta l’anulare. Attenzione: non si deve muovere!

Prendete poi l’altro bastoncino e tenetelo come fosse una penna, tra le punte del pollice,
dell’indice e del dito medio.
Fate un po’ di pratica con un bastoncino alla volta. Prendete poi in mano tutti e due i bastoncini
ed allineate le punte appoggiandole ad una superficie piatta, come il piano del tavolo.
Infine, provate ad afferrare un oggetto (qualcosa di facile, per esempio un pezzo di pane o un
fagiolo) facendo muovere la punta del bastoncino superiore verso l’altro, che deve restare fermo.
Una volta imparato, ricordate di non riporre mai i bastoncini in posizione incrociata e non di non
lasciarli mai infilzati nel riso in posizione verticale: quest’immagine ricorderebbe una tomba!
L’ARTE DEL BERE
— Quando vi viene servita una bevanda alcolica, alzate il bicchiere e bevetene un sorso prima di appoggiarlo. È considerata buona educazione porgere
alla persona che vi serve il vostro bicchiere o la tazza con entrambe le mani.
— Offritevi di servire da bere agli altri commensali che a loro volta vi hanno servito; in generale, non ci si serve mai da bere da soli.
— In segno di stima e amicizia vi si potrà offrire un secondo bicchiere del saké che viene riservato all’ospite. Accettatelo ringraziando e sollevate il
bicchiere perché vi venga riempito. Più tardi (lasciate passare un po’ di tempo) ricambiare il favore offrendo il vostro bicchiere dopo averlo pulito.
— Il corrispondente giapponese del nostro brindisi “alla salute!” è “kampai!” (letteralmente “bicchiere vuoto”)
— Il consumo di birra ha superato quello del sakè, diventando la bevanda più comune durante i pasti. Anche il consumo di vino sta crescendo
notevolmente. A meno che non vi troviate in un ristorante occidentale, quasi certamente potrete scegliere tra birra e saké.
— Lasciare il bicchiere vuoto è segno che desiderate vi sia riempito di nuovo. Se non desiderate altro da bere, lasciate il bicchiere pieno o mezzo vuoto.

IL SAKÈ

Il saké, il tradizionale vino di riso, ha un contenuto alcolico medio di 15 gradi, o anche


superiore, in quanto sottoposto ad un processo di fermentazione simile alla birra. Viene prodotto
in diverse regioni del Giappone e possiede caratteristiche precise a seconda della provenienza. È
possibile scegliere tra saké secchi, medi e dolci, per meglio accompagnare il tipo di cibo che
state assaporando.
Servito normalmente in bicchierini di porcellana con il bordo cosparso di sale, se bevuto da solo
è leggermente caldo (la bottiglia di saké viene tenuta in acqua tiepida) o a temperatura ambiente.
D’estate viene servito anche fresco. Il saké non si conserva tanto a lungo come il vino, per cui
non esistono saké di annate pregiate. Il processo di fermentazione inizia in autunno dopo la
raccolta del riso e viene completato nel febbraio dell’anno seguente. Il prodotto viene poi fatto
riposare durante tutta l’estate e viene messo in vendita ad ottobre, nel momento in cui raggiunge
la piena maturazione.
Si beve saké in occasione di molte feste e situazioni formali, tra cui la cerimonia del san-san-
kudo, o “tre volte tre” (durante la celebrazione del matrimonio la sposa e lo sposo bevono dal
bicchiere del saké tre sorsi per tre volte, nove in totale), ai funerali, quando nasce un bambino,
durante i matsuri e persino durante eventi quali l’apertura di un nuovo ufficio o di un’impresa.
Non deve stupire che in Giappone, come ha detto qualcuno, si produca a mala pena saké a
sufficienza per far fronte al fabbisogno annuale; sarebbe impensabile riuscire farne delle scorte!
In realtà il saké si può conservare, ma dopo un certo periodo di tempo perde il grado alcolico e
diventa una specie di sciroppo dolciastro.
Un consiglio prezioso

M ai mischiare il saké con superalcolici come il cognac o il whisky: può diventare un cocktail letale e causare nausea, senso di malessere e
disidratazione. Se consumato con moderazione, il saké seguito dalla birra è normalmente innocuo.

GLI INGREDIENTI BASE DELLA CUCINA GIAPPONESE

Ecco alcuni degli ingredienti principali della cucina giapponese:


Aji-no-moto. Un condimento aromatico molto diffuso che ha come base il glutammato
monosodico (inventato in Giappone), che esalta il sapore dei cibi.
Katsuobushi (tonno striato essiccato). È l’ingrediente base del brodo giapponese. Il tonno
viene essiccato in modo da poter essere grattugiato direttamente nel brodo.
Miso (pasta di soja). È usata in tutti i tipi di piatti giapponesi. Tradizionalmente si mangia in
brodo per colazione e, con l’aggiunta di zucchero, costituisce l’ingrediente base per molti dolci
giapponesi.
Saké. Utilizzato per insaporire i cibi.
Shoga (zenzero). Grattugiato o a fettine, viene usato per dare sapore alle zuppe o ai condimenti.
Shoyu (salsa di soja). È il condimento più diffuso. Esiste la versione chiara (usukuchi) o scura
(koikuchi). Le salse di soia che si trovano in occidente sono normalmente più forti di quelle
tradizionali giapponesi.
Tofu (formaggio di soja). Tortini di formaggio dal gusto delicato fatti con semi bianchi di soia
ridotti in poltiglia. Vengono molto utilizzati in cucina.
Wasabi (rafano tedesco). Leggermente più forte della variante europea, è usato in polvere o
grattugiato per guarnire il sashimi ed il sushi. Il rafano propriamente detto è chiamato daikon o
“grande radice”.
OBENTO — LA GAVETTA

L ’obento – o “cibo in scatola” – è forse il prodotto giapponese più famoso in tutto il mondo. Disponibile su tutto il territorio giapponese, è consumato
sia dagli studenti che dai lavoratori e si può trovare dappertutto: su navi, aerei, treni, nelle stazioni ferroviarie, nei supermercati, nei negozi “sotto casa”,
nei bar che servono i numerosi uffici del centro città. È il cibo ufficiale del Giappone, per lo più a pranzo. La scatola è fatta di cartone e può contenere
una serie assortita di cibi, dai tagliolini al riso, ai sottaceti, ai dolci.

ANDAR PER GRADI

E siste una serie di sottoprodotti distillati dal riso. Tra questi c’è lo shochu, noto come “liquore bianco giapponese”, che con i suoi 70° si è guadagnato
un posto tra i superalcolici più forti al mondo!

AL RISTORANTE… FRASI UTILI

Come si è detto, molti ristoranti giapponesi espongono in vetrina modelli dei piatti tipici in
plastica o cera e comprensivi di prezzi. Potete quindi entrare in un locale con fare piuttosto sicuro
(anche senza la minima conoscenza della lingua), dire “Sumimasen” (“Mi scusi”) per attrarre
l’attenzione del cameriere o della cameriera e continuare con “Sho-uindo no yo na”, per dire cioè
che vorreste ordinare qualcosa che avete visto nella vetrina.
Mostrate poi al cameriere o alla cameriera il piatto che avete adocchiato dicendo “Are kudasai”
(are significa “quello là”) se ciò che desiderate è lontano da voi, o “Sore kudasai” (“questo qui”)
se è vicino.
Quando verrete serviti, dite “Go-chiso-sama” (“È delizioso!”). Quando avrete terminato,
chiedete il conto dicendo “O-kanjo kudasai”, e nel pagare ripetete “Go-chiso-sama desh’ta”
(“Era davvero delizioso!”).
capitolo otto

VIVERE IN GIAPPONE

La parola “internazionalizzazione” (kokusaika) è diventata di moda fin dai primi anni ’80 e il
governo giapponese ha dato vita, per promuovere il collegamento del paese con il “mondo
esterno”, a numerose iniziative di rilievo. Tuttavia questi sforzi rappresentano solo una piccola
goccia nell’oceano. All’inizio del XXI secolo, nonostante il grande processo di
occidentalizzazione del paese, avvenuto sotto l’influenza americana, soltanto una piccola
percentuale di giapponesi è in grado di parlare inglese; vi sono aree del territorio in cui non
hanno praticamente mai messo piede degli stranieri e la grande maggioranza dei giapponesi non
ha mai lasciato il paese.
Tra i giapponesi che recano all’estero, molti si servono di viaggi organizzati e per periodi molti
brevi: qualche giorno, piuttosto che qualche settimana. Volano con compagnie aeree giapponesi,
soggiornano in alberghi giapponesi e mangiano cibo giapponese durante tutto il soggiorno.
Scattano poi innumerevoli fotografie per avere una vaga idea delle cose che hanno visto e del
loro significato. Non parlano ad una sola persona del luogo e neanche tentano di farlo, perché
non hanno gli strumenti linguistici necessari. I viaggi “all’estero” si svolgono praticamente in un
ambiente giapponese sigillato ermeticamente!
Il concetto di collegamento con l’esterno – o, forse più correttamente, la mancanza di
collegamento – diventa sintomatico se si pensa ai festeggiamenti di bentornato che attendono un
uomo d’affari giapponese quando ritorna a casa dopo un incarico all’estero di due o tre anni. Il
contesto può sembrare simile a quello dei festeggiamenti per il ritorno del figliol prodigo. Non è
strano che colleghi, amici e familiari minimizzino completamente l’esperienza di vita all’estero e
concentrino la festa di benvenuto nell’aggiornare la persona sugli ultimi avvenimenti del “mondo
reale”, cioè il Giappone, che ha potuto riabbracciare ancora una volta.
Il segreto per vivere bene in Giappone, quindi, sta innanzitutto nell’arrivare a comprendere
questo senso di unicità dei giapponesi, dovuto al loro sentirsi diversi e rispettare la regola d’oro
di “osservare le abitudini del luogo”. Le cifre nella tabella successiva mostrano i numeri degli
stranieri (gaijin) che risiedono/lavorano in Giappone.
I GIAPPONESI E L’INGLESE

L ’inglese che si insegna a scuola è essenzialmente un inglese letterario, che tende ad approfondire gli aspetti legati alla grammatica, al vocabolario e
alla comprensione dell’inglese scritto, piuttosto che le competenze legate al parlato ed alle situazioni pratiche. I tentativi che sono stati fatti nel passato
per cambiare questo tipo di orientamento sono risultati praticamente nulli.

Chi va in Giappone deve sapere che per ragioni storiche che risalgono all’annessione della Corea
(1910-45) al paese e al coinvolgimento militare e civile dei coreani nella Seconda guerra
mondiale a molti livelli, questi ultimi vengono considerati in modo differente rispetto agli altri
stranieri, anche perché rappresentano quasi la metà degli stranieri residenti. Ve ne accorgerete al
vostro arrivo in Giappone al controllo passaporti: ai coreani infatti è riservata una corsia
preferenziale. Gli altri passeggeri provenienti dal resto del mondo vengono definiti “non-
giapponesi”.
Al vostro arrivo in Giappone, sarà saggio e sensato rispettare le disposizioni su ciò che è
consentito o meno introdurre nel paese. I funzionari della dogana normalmente sono cordiali,
precisi e severi: se ad esempio portate con voi più della quantità di alcolici consentita (cioè 3
bottiglie da 75 ml ciascuna), è conveniente dichiararlo prima di essere colti sul fatto. In caso
contrario dovrete pagare una penale. Se tenterete di importare droghe o materiale pornografico vi
sarà riservato un benvenuto molto meno cordiale.
L’aeroporto in cui arriverete sarà probabilmente Narita, 60 km fuori Tokyo, nella prefettura di
Chiba. Progettato originariamente negli anni ’60 prima che il Giappone diventasse una potenza a
livello mondiale e prima dell’avvento dei Boeing 747, l’aeroporto fu costruito su un’ampia area
di terreno agricolo, e tale fu l’opposizione da parte dei contadini, che dovettero passare anni
prima che i lavori potessero essere ultimati. Quando infine venne inaugurato nel 1977, alcune
delle aree interne erano coltivate, poiché erano di proprietà di agricoltori che non erano ancora
arrivati ad un accordo con il governo! L’aeroporto di Narita ha solamente una pista, che non è
assolutamente sufficiente al traffico aereo giornaliero. Dopo molti anni di discussioni con gli
ambientalisti, si sono ora avviati i lavori per la costruzione di altre due piste.
Il tragitto per raggiungere Tokyo può durare anche due ore. A meno che non siate accolti dalla
limousine aziendale, il modo più rapido e semplice per raggiungere la città è prendere il Narita
Express, che vi porterà direttamente alla stazione centrale di Tokyo in un’ora.
L’EMARGINAZIONE DI CHI TORNA DALL’ESTERO

I bambini giapponesi che hanno trascorso un periodo all’estero per motivi di lavoro dei genitori incontrano spesso notevoli difficoltà nel reintegrarsi
nella società e nei rapporti con i bambini della loro età. A parte le difficoltà causate dalle differenze nei programmi di studi, il problema nasce dal fatto
che vengono considerati loro stessi in parte “stranieri” o “diversi”, perché hanno trascorso parte della loro vita a contatto con un’altra cultura.
Conseguenza di questo modo di vedere le cose sono episodi di bullismo. Per ovviare a questo fenomeno che si sta diffondendo, per il numero sempre
maggiore di bambini che ha vissuto questo tipo di esperienza, sta crescendo il numero di “scuole di riorientamento”. In futuro questi bambini, con le
capacità che avranno sviluppato, potrebbero divenire una risorsa meravigliosa per le esigenze internazionali del Giappone. Tuttavia, viste le limitazioni
conformistiche della società giapponese, è poco probabile che questa risorsa venga riconosciuta (se non dagli stranieri stessi!).

“DOV’È QUEL MALEDETTO POSTO?”

Il Giappone può apparire come un luogo pieno di contraddizioni ed estremamente irrazionale. È


un dato di fatto che ogni visitatore, da qualunque paese egli provenga, si trova a dover affrontare.
Un esempio lampante sono i nomi delle strade e la loro numerazione, o piuttosto la mancanza di
tali elementi. Forse a causa della scarsa pianificazione edilizia e del conseguente sviluppo
casuale delle città, i nomi delle strade e la numerazione sono o molto confusi o pressoché
inesistenti. Spostarsi da un luogo all’altro all’interno delle metropoli giapponesi può rivelarsi una
delle cose più stimolanti o più frustranti che ci possano essere.
A meno che non sappiate già dove si trova un particolare edificio o la casa in cui vi state
recando, trovare un indirizzo in Giappone rappresenta più un test di resistenza che una banale
ricerca. Vi saranno generalmente date buone indicazioni presso gli alberghi, con tanto di mappa
semplificata per il tassista. Tuttavia, nonostante vi siano state date precise indicazioni con tanto
di punti di riferimento (“la seconda a destra dopo il palazzo della Daiwa…”), facilmente vi
troverete ad implorare aiuto all’ufficio di polizia (koban) più vicino, che dovrete comunque
trovare, e chiedere informazioni al poliziotto in servizio, con il quale condividerete tutti i dati in
vostro possesso. È confortante il fatto che, probabilmente a causa della complessità del sistema
stradale, i giapponesi stessi sono molto disponibili nei confronti delle persone che chiedono
informazioni, se sarete in grado di farvi capire… Chiedete al vostro interlocutore di disegnarvi
una mappa con chiari punti di riferimento: a meno che non conosciate la lingua, sarà impossibile
altrimenti seguire le indicazioni!

“IN GIAPPONE NON CAMBIA MAI NIENTE”

Uno dei luoghi comuni più diffusi è che in Giappone “non cambia mai niente”. In poche parole,
questo significa che il Giappone è stato creato dai e per i giapponesi, e che ogni cambiamento
positivo (specie per gli stranieri), sia che riguardi i rapporti con i padroni di casa, con l’ufficio
tasse, con gli uomini d’affari, o che si tratti di una lamentela nei confronti delle autorità
comunali, è estremamente lento, praticamente impercettibile (o quasi inesistente!).
Come abbiamo cercato di evidenziare in questa guida, nel momento in cui ci si arrende
all’evidenza che in Giappone occorre adattarsi ai modi di vivere propri dei giapponesi, si
possono trarre numerosi vantaggi e benefici. Usare il proprio istinto, portare rispetto, deferenza,
considerazione ed un po’ di umiltà nello sviluppare rapporti interpersonali e nei processi di
risoluzione dei problemi vi sarà di notevole aiuto. Il particolare modo di costruire rapporti
interpersonali e i meccanismi tipici dell’haragei (sensazione istintiva) fanno parte di un processo
molto lento che si costruisce nel tempo. Tuttavia, fa sempre comodo far tesoro dei consigli
pratici di altri uomini che hanno rapporti continuativi con il Giappone.

DOCUMENTI PER IL SOGGIORNO E VISTI

In Giappone il soggiorno inferiore ai 90 giorni non presenta particolari problemi: è sufficiente il


passaporto in corso di validità. In caso di soggiorno per un periodo superiore è invece necessario
munirsi di visto (occorre prendere contatto con la Sezione Consolare dell’Ambasciata
Giapponese in Italia), anche se una volta in Giappone, è possibile prorogare la permanenza di
altri 90 giorni recandosi presso gli Uffici dell’Immigrazione.
Se si intende soggiornare per svolgere attività lavorative retribuite o per motivi di studio, si deve
richiedere, per poter ottenere il visto, il certificato di eleggibilità presso il Ministero di Grazia e
Giustizia. Per ogni informazione o problema, una volta in Giappone ci si può rivolgere agli
Uffici dell’Immigrazione.

ALCUNE INFORMAZIONI PRATICHE


Elettricità La tensione elettrica in Giappone è di 100 volt, anche se le abitazioni di più recente
costruzione dispongono di tensione a 200 volt, per il funzionamento dell’aria condizionata e del
riscaldamento autonomo.
Fuso orario Il Giappone ha una differenza di + 8 ore di fuso orario rispetto all’Italia (GMT + 9);
non esiste l’ora legale.
Il calendario giapponese La data che viene stampata sui documenti ufficiali è utilizzata soltanto
in Giappone e si calcola in base agli anni di governo dell’imperatore in carica. Quando un nuovo
imperatore sale al trono, l’era prende il nome dall’imperatore (al momento ci troviamo nell’Era
Heisei) e il calendario riprende dall’anno 1. La data viene scritta secondo questo ordine:
anno/mese/ giorno e questa modalità viene utilizzata su tutti i documenti ufficiali emessi dalle
banche, dagli uffici postali, dagli uffici comunali, dai centri commerciali.
Misure In Giappone si usa il sistema metrico decimale.
Animali Gli animali sono bene accetti ed è relativamente semplice introdurre nel paese animali
domestici. Per i gatti non occorrono documenti particolari, ma per i cani occorrono due tipi di
documenti differenti da rinnovare annualmente (mai dimenticarsi che il Giappone è il “paese
delle procedure”!).
Alloggi A parte gli appartamenti in “stile occidentale”, che tendono ad essere piuttosto costosi,
quelli che mescolano lo stile occidentale a quello locale sono molto graziosi. Questi ultimi hanno
una stanza tatami ricoperta di stuoie, mentre gli altri hanno il pavimento ricoperto da tappeti o
dal parquet. I bagni sono sempre in stile giapponese e sono dotati di doccia e scaldabagno
indipendente per la vasca – anche il water è in stile giapponese. Ogni appartamento ha un piccolo
ingresso (genkan), che viene utilizzato per togliersi le scarpe prima di entrare.
Dimensioni delle stanze Le dimensioni delle stanze sono rapportate al numero di stuoie tatami
necessarie per coprire il pavimento. Poiché un tatami misura circa 2x1 m, una stanza di 6 stuoie
misura all’incirca 12 mq e una stanza di 4,5 stuoie misura 9 mq.
Raccolta dei rifiuti Nelle aree metropolitane viene effettuata in maniera regolare – a Tokyo anche
quattro volte alla settimana, in giorni e orari specifici per la raccolta. I rifiuti vengono raccolti e
suddivisi in materiali infiammabili e non infiammabili. Viene fatta poi una raccolta differenziata
per oggetti di grandi dimensioni, come ad esempio i mobili, e per la carta.
Assicurazione La copertura offerta da tutte le compagnie di assicurazioni locali e straniere è
strettamente regolata dal Ministero delle Finanze, in modo che la copertura e i prezzi siano
uniformi. Tutti i contratti sono ovviamente in giapponese, tuttavia le principali compagnie di
assicurazione internazionali presenti nel paese sono in grado di rispondere alla maggior parte
delle esigenze dei clienti.
Salute A causa dei costi elevati delle cure mediche, consigliamo caldamente di sottoscrivere
un’assicurazione medica. Molti stranieri si rivolgono a cliniche private, ma è possibile rivolgersi
anche al servizio sanitario nazionale giapponese (Kokumin Kenko Hoken), anche se questo non
copre il 100% delle spese e non viene sempre accettato dalle cliniche private. Non si può dire che
il sistema sanitario pubblico rappresenti un modello esemplare di assistenza statale. In Giappone
è normale che le famiglie dei pazienti assistano il personale ospedaliero nelle cure dei familiari!
Medici e medicinali In Giappone molti dei medici sono specialisti, ci sono anche molti medici
qualificati a disposizione della comunità internazionale. Troverete una lista presso l’Ambasciata
Italiana. Nel caso portiate con voi delle ricette mediche, queste non verranno accettate e vi sarà
necessario farle riscrivere dal medico locale. Comunque sia, in campo medico il Giappone
mantiene livelli di qualità molto alti ed i prodotti farmaceutici sono estremamente efficaci e
affidabili. È possibile acquistare medicinali sia presso gli ospedali che le cliniche dove vengono
effettuate le cure mediche, che presso le farmacie.
La polizia Se risiedete stabilmente in un quartiere, quasi certamente vi “darà il benvenuto” un
poliziotto dell’ufficio di polizia (koban) della zona. Vi chiederà di riempire un modulo con i
vostri dati. Non prendetela come una richiesta da “Grande fratello”, potrebbe rivelarsi una
formalità utile in casi di emergenza.
Cibo e acqua L’acqua è potabile e si possono trovare cibi freschi e di buona qualità praticamente
dappertutto.
LA GUIDA

L e metropoli giapponesi si presentano come un labirinto aggrovigliato di strade, e vi renderete ben presto conto che trovare un parcheggio sulle vie
principali è un’impresa ardua e pressoché impossibile. I concessionari di automobili non hanno il permesso di vendere auto senza la garanzia che
l’acquirente abbia uno spazio dove parcheggiare legalmente! La procedura richiede anche una liberatoria ufficiale che viene rilasciata dalla polizia.
La guida è a sinistra come nel Regno Unito e le autostrade sono a pagamento, in rapporto alla distanza percorsa. Le strade sono numerate, il che rende
relativamente più semplice seguire una direzione senza dover decifrare i caratteri giapponesi sui cartelli. Troverete spesso posti di controllo della polizia:
si consiglia pertanto di portare sempre con sé patente e documenti e di non guidare mai in stato di ebbrezza, poiché le leggi giapponesi in proposito sono
piuttosto rigide. La velocità media nel centro di Tokyo può aggirarsi attorno ai 15 km. I padroni incontrastati della strada sono i tassisti che, sfrecciando
tra le vie più strette e compiendo le manovre più azzardate, sfidano anche i guidatori più esperti.

LA VITA QUOTIDIANA

Uno dei gesti che inizierete a imitare quasi automaticamente, una volta arrivati in Giappone, è
l’inchino. L’inchino è utilizzato dai giapponesi nel presentarsi o salutarsi reciprocamente; ci si
saluta con una stretta di mano soltanto nei contesti in cui sono presenti persone occidentali. Il
personale degli alberghi si inchinerà quando entrerete nell’ascensore, i commessi dei grandi
magazzini si inchineranno quando salirete sulle scale mobili, gli assistenti ferroviari quando il
treno partirà dal binario. Vedrete persino gente che si inchina mentre è al telefono.
Il galateo è molto rigido riguardo al modo di inchinarsi: richiede di rispettare la gerarchia tra
anziani e giovani e tra persone di livello professionale differente, specifica le diverse modalità, la
profondità dell’inchino e quante volte deve essere ripetuto. Vi potrà capitare a volte di vedere
alcuni anziani che si inchinano continuamente. È sorprendente come anche gli stranieri vengano
contagiati da questa abitudine, ma non dovete preoccuparvi troppo di quale è il modo corretto di
inchinarsi. È il gesto che conta.
Un aspetto della vita quotidiana da tenere ben presente, specialmente nelle occasioni “mondane”,
è il ruolo uomo-donna. Le coppie giapponesi, in particolare quelle che hanno figli, normalmente
non escono insieme per cenare fuori o semplicemente per svago. Così, anche se il vostro invito
verrà accettato, è molto probabile che si presenti il marito da solo, poiché la moglie, che
ufficialmente è a casa con il raffreddore, si sente in imbarazzo.
Insistere non porta a nessun risultato, anzi il tentare di modificare tradizioni e strutture mentali
radicate nei secoli potrebbe portare persino a sofferenze e lacrime da entrambe le parti. Si
possono fare le stesse considerazioni per quanto riguarda il concetto occidentale di amicizia. Non
è possibile imporre in un contesto giapponese la maniera con cui noi occidentali ci rapportiamo
con le persone e aspettarsi che gli altri reagiscano con atteggiamenti simili ai nostri -
specialmente per quanto riguarda gli affari di cuore…
Infine, se ricevete un invito in una casa privata, portate un regalo che offrirete al padrone di casa.
Fate in modo che sia ben confezionato (a prescindere dall’occasione, la carta da regalo è sempre
importante!). Un’idea regalo può essere costituita da un dolce, dei biscotti, un mazzo di fiori. E
ricordate: non è usanza dei giapponesi scartare i regali immediatamente.
FARE VISITA A UNA FAMIGLIA GIAPPONESE

C ome si è già detto, è raro venire invitati in una casa privata giapponese, ma se avrete tale onore, al vostro arrivo vi saranno presentati i membri della
famiglia. Poi, dopo che il padrone di casa vi avrà fatto accomodare nel soggiorno (kyakuma o “stanza degli ospiti”) avverranno le presentazioni formali.
Non vi preoccupate se le persone anziane faranno un inchino molto profondo: voi siete l’ospite d’onore. Poiché siete stranieri non sarà necessario che vi
inchiniate allo stesso modo. L’espressione che si usa quando si incontra qualcuno per la prima volta è “Hajimemashite”. Altre espressioni simili sono “Yo
koso irasshaimashita” e “Irasshaimase” (frase ricorrente nei ristoranti). Potete rispondere semplicemente dicendo “Hajimemashite” ed aggiungere poi
“Dozo yoroshiku” (che significa “Sono qui a incontrarla per la prima volta. Ringrazio per la gentilezza offerta.”)
caoitolo nove

IL MONDO DEL LAVORO

L’ECONOMIA GIAPPONESE

In seguito allo scoppio della “grande bolla” alla fine degli anni ‘80, in questi primi anni del XXI
secolo il mondo del lavoro sta affrontando delle sfide importanti. Dopo più di dieci anni di
deflazione e di difficile rapporto con il consumatore, si sta ora discutendo su quale tipo di
riforme sia necessario apportare nel mondo del commercio (qui una serie di restrizioni inibisce la
concorrenza interna) e nell’industria (in un’economia globale estremamente competitiva, si potrà
continuare a fare lo stesso lavoro per tutta la vita?).
Sussistono poi problematiche ancora più consistenti nel settore dei servizi bancari e degli
investimenti - vedi la dubbia integrità di alcuni istituti e dei loro bilanci - e quesiti riguardanti le
riforme del governo (o la quasi mancanza di queste), essenziali per tentare di fare “resuscitare”
l’economia giapponese.
Tra le questioni che necessitano particolare attenzione ci sono l’imponente deficit del governo,
uno spropositato debito pubblico in crescita ed un’industria manifatturiera in continuo declino. È
una situazione imbarazzante per un paese che rappresenta la seconda potenza economica a livello
mondiale.
Tuttavia, nonostante la crisi generale, si stanno verificando dei cambiamenti molto graduali che
alla lunga potrebbero dare risultati positivi, in particolare all’interno della struttura dei keiretsu,
grandi gruppi di controllo che dominano l’economia giapponese e che sono formati dai maggiori
istituti bancari. Questi cambiamenti includono forme di collaborazione impensate prima d’ora.
Ad esempio, delle otto case produttrici di automobili giapponesi ora esistenti, solo tre
appartengono ad un unico proprietario, mentre le altre sono a partecipazione condivisa. Ancora,
gli investimenti stranieri sono aumentati da 3 miliardi di dollari nel 1995 a 26 miliardi nel 2000.
Non intendiamo qui discutere il futuro socio-economico del Giappone, ma solo fare presenti le
enormi difficoltà che si trova ad affrontare oggi il paese. È possibile poi che l’incapacità storica
del Giappone ad adattarsi al cambiamento sia stata male interpretata da molti. Tuttavia, già in
passato stimoli al cambiamento sono stati dettati da eventi esterni, e già allora avevano dato
risultati eccellenti.
Ma ora diamo uno sguardo al mondo del lavoro.

LE FORMALITÀ

Vista l’importanza che rivestono le relazioni sociali per i giapponesi – ciò che conta è “chi sei”
non “cosa fai” – affinché uno nuovo contatto possa essere visto di buon occhio fin dal principio,
occorre la mediazione di un tramite che conosca entrambe le parti. Arrivare puntuali ad un
incontro di lavoro è segno di buona educazione. Arrivare tardi significa “perdere la faccia” e può
perfino creare un certo sdegno nei vostri confronti.
È assolutamente inutile giustificarsi con la scusa del traffico: tutti i partecipanti all’incontro
avranno dovuto affrontare il problema e anche se è la prima volta che vi recate in Giappone,
dovreste essere preparati a questo tipo di inconveniente… Meglio porgere le vostre scuse in
modo semplice e discreto.
Altro fattore fondamentale è l’abbigliamento. Il galateo richiede di vestire in modo elegante, di
indossare la cravatta e di evitare colori sgargianti – è tipico l’abito blu scuro, la camicia bianca e
la cravatta di colore neutro. La parola giapponese per “completo da uomo” è sebiro, che deriva
da “Savile Row”, la quintessenza londinese della sartoria da uomo. Di pari passo
all’abbigliamento va il portamento. Un’andatura eccessivamente rilassata potrà essere
interpretata come una mancanza di rispetto o indice di poco carattere.
In questo contesto sono importanti anche il deodorante o il profumo che usate. Generalmente i
giapponesi non utilizzano profumi, colonie e dopobarba dalle fragranze intense. È consigliabile
pertanto evitare profumi che lascino una scia, soprattutto durante le ore di lavoro. È consigliabile,
inoltre, indossare abiti che non rivelino eventuali tatuaggi o piercing.
I giapponesi hanno uno spirito di gruppo molto marcato, per cui aspettatevi di essere accolti e
salutati alla partenza da uno stuolo di persone2. Negli aeroporti o nelle stazioni ferroviarie vi
potrà capitare di vedere gruppi di persone che si salutano in modo caloroso e perfino
commovente. Nel caso in cui uno dei dirigenti di un’azienda sia trasferito in un’altra sede, è
frequente che i colleghi lo salutino con un “banzai!” (“hip hip urrà!”) gridato tre volte in segno
di affetto, per augurare buona fortuna.
Tutte le volte che si incontrano, i giapponesi si scambiano i biglietti da visita (meishi). Fate in
modo di avere i vostri sempre a portata di mano, magari con una traduzione in giapponese sul
retro. È possibile richiedere questo servizio alla compagnia aerea prima della vostra partenza e se
non fate a tempo, rivolgetevi al vostro albergo. Ricordatevi: senza un biglietto da visita in
Giappone non siete nessuno!
LO SCAMBIO DEI BIGLIETTI DA VISITA (MEISHI)
— Dopo una stretta di mano (molto probabilmente) o un inchino (o entrambi in alcune occasioni), porgerete il vostro biglietto da visita e riceverete
contemporaneamente in cambio quello della persona di fronte. I visitatori generalmente porgono per primi il loro biglietto. Porgetelo in modo che il
vostro nome sia facilmente leggibile.
— Mentre studia il vostro biglietto da visita, il vostro interlocutore potrebbe bisbigliare tra i denti: è segno che vi ritiene una persona di riguardo.
Ricordate: il vostro meishi rappresenta la vostra “faccia” ed è considerato qualcosa di molto personale.
— Osservate attentamente il biglietto che vi è stato dato e se è in giapponese, non sentitevi in imbarazzo nel chiedere la traduzione.
— I giapponesi indicano prima il cognome poi il nome proprio. È raro rivolgersi agli sconosciuti utilizzando i nomi propri; identificate quindi il cognome
e poi aggiungete il suffisso -san, per es. Morita-san.Voi verrete chiamati ad esempio Venturisan, che è l’espressione equivalente a Signor o Signora.
— Quando vi sarete seduti, tenete il biglietto da visita che avete ricevuto ben in vista, sul tavolo o sul bracciolo della sedia.
— Fate infine il gesto di riporre il biglietto nel vostro portafoglio o nel “porta- meishi”, a significare che lo tenete in grande considerazione.
— Alla fine della giornata segnate alcune note sui biglietti per ricordarvi delle persone, ma non fatelo mai in loro presenza e non mettete mai il meishi
nella giacca o nella tasca posteriore dei pantaloni.
— Nelle cartolerie potrete trovare dei raccoglitori di meishi che si possono rivelare molto utili. RICORDATE: In Giappone i biglietti da visita
costituiscono un elemento fondamentale nei rapporti interpersonali. Non perdeteli ed assicuratevi sempre di capire il ruolo professionale che ricopre la
persona (se necessario chiedete informazioni). Durante la vostra permanenza vi si presenteranno numerose occasioni in cui dovrete mostrare ad altri il
vostro biglietto.

ASPETTI DELLA COMUNICAZIONE

L’inglese è la lingua comunemente utilizzata negli affari, anche se, a seconda del tipo di attività
in cui è impegnata l’azienda, è possibile che si comunichi anche attraverso altre lingue europee.
Molte delle persone che incontrerete nell’ambiente di lavoro saranno state scelte in modo
particolare per interagire con gli stranieri per le loro conoscenze linguistiche. Durante gli incontri
saranno poi presenti altri funzionari di rango più alto che parleranno solo giapponese, ma che
probabilmente sono in grado di capire l’inglese molto meglio di quanto lo parlino.
Non deve sorprendere se agli incontri vi sentirete in minoranza rispetto alla vostra controparte
giapponese. Nelle grandi aziende, così come nell’intera società giapponese, l’età, l’esperienza e
l’anzianità sono elementi tenuti in grande considerazione. Il fatto che molte aziende straniere
commettano l’errore di inviare del personale molto giovane a discutere di questioni importanti di
lavoro non è particolarmente gradito ai giapponesi.

Preparatevi a lunghe traduzioni dei vostri commenti e a dibattiti che seguiranno tra i vostri
interlocutori. Non lasciatevi intimidire da questo tipo di procedure e cercate per quanto possibile
di rimanere calmi e concentrati. Anche se non parlate la lingua del posto, attraverso il linguaggio
corporeo potrete comunicare di stare partecipando attivamente all’incontro.
Parlate il più lentamente e chiaramente possibile, ma non troppo lentamente e senza alzare la
voce, poiché è considerato mancanza di rispetto. Anche in una comunicazione apparentemente
fluida è possibile che si creino fraintendimenti dovuti alle sfumature della lingua, alle diverse
interpretazioni di un concetto o del linguaggio corporeo.
Quando venite accompagnati in una sala, accomodatevi nel posto che vi sarà indicato, che sarà il
posto d’onore (ci sarà sempre qualcuno a segnalarvi dove sedere). Gli altri partecipanti si
siederanno al vostro lato in ordine decrescente di importanza. Questa usanza viene rispettata
anche in casa in presenza di ospiti.
I giapponesi preferiscono discutere di affari nelle hall degli alberghi. Se non è possibile,
suggerite di spostarvi in un bar o in una caffetteria. Ai giapponesi non sembra dare fastidio il
fatto che degli estranei possano sentire i loro discorsi: “sentire” infatti non significa
necessariamente “ascoltare”, così come “guardare” non significa “vedere”.
Vi renderete presto conto dell’importanza della comunicazione quotidiana. I dipartimenti delle
grandi aziende sono continuamente in riunione e sono in contatto costante con coloro che si
trovano all’esterno del proprio dipartimento. Chi è momentaneamente al di fuori della propria
squadra di lavoro per incarichi temporanei in altre sedi o all’estero si mantiene frequentemente in
contatto telefonico o e-mail con la sede centrale, anche se non ha novità di particolare rilievo.
Questo cordone ombelicale è un elemento fondamentale per mantenere rapporti interpersonali
positivi e sereni. A volte si ha la sensazione che le persone siano in contatto continuo 24 ore su
24. Non è un caso se negli anni ’90 il Giappone è diventato uno dei leader nel mercato dei
telefoni cellulari.
Potrebbe essere simpatico prendere spunto da questa consuetudine giapponese e mantenervi in
contatto con il vostro gruppo di lavoro in Giappone inviando fotografie o biglietti di auguri di
Natale.
LE DONNE D’AFFARI

Sebbene alcune donne siano arrivate a ricoprire negli affari e nel governo posizioni di alto
livello, continuano ad essere fortemente discriminate nell’ambiente di lavoro quotidiano.
L’orientamento maschilista della società giapponese è talmente evidente che è difficile
intravedere un cambiamento, se non a passi molto lenti e a lungo termine.
Le donne d’affari occidentali non si aspettino di incontrare molte donne d’affari in Giappone; si
potrebbero sentire quasi una “rarità”, travolte da un ambiente dominato da uomini, sia nel lavoro
che nei momenti di svago.
Come succede per gli uomini, le donne d’affari occidentali all’inizio verranno considerate prima
di tutto una gaijin okyakyu-sama (ospite d’onore straniera), poi si potrebbero verificare episodi di
discriminazione, anche non troppo velati. È possibile che questo a volte sfoci in un
comportamento apertamente ostile da parte dei colleghi giapponesi.
È improbabile che una donna d’affari venga invitata ad andare a bere qualcosa dopo il lavoro.
Non sarà mai invitata a quelle feste riservate in cui sono previsti spettacoli di intrattenimento
femminile ai quali a volte vengono portati gli ospiti importanti dopo una cena formale.
È comunque raro che una donna che esce da sola alla sera subisca delle molestie. Tuttavia, può
capitare che durante le feste i giapponesi si mostrino “eccessivamente affettuosi” nei confronti
delle donne occidentali e incolpino poi i fumi dell’alcool per il loro comportamento. Se la donna
reagisce prontamente, l’uomo si scuserà e non le metterà più le mani addosso.
Poiché generalmente le mogli degli uomini d’affari non vengono coinvolte negli eventi mondani,
normalmente neanche le mogli degli uomini d’affari occidentali vengono invitate.
L’“internazionalizzazione” del mondo degli affari sta gradualmente arrivando ad offrire maggiori
occasioni formali cui possono prendere parte anche le mogli degli ospiti stranieri; tuttavia, se
accettano l’invito, non devono poi aspettarsi di essere intrattenute in brillanti conversazioni, né di
avere il piacere di incontrare (eccetto magari in eventi organizzati dalle ambasciate) le mogli dei
loro ospiti giapponesi.
L’abbigliamento delle donne, come degli uomini, è piuttosto sobrio: indossano completi o abiti
scuri e collant in ogni stagione. Vista la statura media delle donne giapponesi, si consiglia di non
portare i tacchi alti, ma piuttosto scarpe comode. Si richiede un comportamento e un look
formale in ogni situazione e si consiglia di evitare sempre di dare eccessiva confidenza e
dimostrazioni di affetto. Si raccomandano poi un trucco poco appariscente e profumi dalle
fragranze non troppo intense.
L’INCHINO – UN APPROFONDIMENTO

L ’inchino rappresenta la forma più palese di comunicazione non verbale a livello cosciente. L’inchino è considerato un segno di rispetto, poiché evita
il contatto visivo con l’altra persona (noi occidentali invece lo ricerchiamo). Quando ci si inchina si comunica ad un livello profondo.
Il gesto racchiude in sé molteplici messaggi non verbali, quali salutarsi, congedarsi, porgere scuse, trasmettere gratitudine, riconoscenza; indica il grado di
familiarità verso una persona e la differenza di posizione sociale, professionale o la differenza di sesso. Questi messaggi vengono puntualizzati dalla
profondità dell’inchino, dalla posizione delle mani (lungo i fianchi o davanti), dall’iterazione del gesto e da chi “dà il via”.

INTERPRETARE UN “NO”

Per incoraggiare il senso di armonia tra le persone, il modo di conversare dei giapponesi
prevede essenzialmente che i partecipanti vadano d’accordo tra loro. Di conseguenza, si evitano
accuratamente gli argomenti controversi e se è necessario rifiutare una proposta si tende ad usare
espressioni velate ed indirette. Specialmente per gli “esordienti” può risultare particolarmente
complesso interpretare i tentennamenti convulsi, le esitazioni, i movimenti del capo ed
espressioni quali “francamente” (utilizzata di frequente) e “può essere difficile”. La parola “no”
(ii-e) ha un suono duro e viene usata raramente. Abituatevi invece a dire “beh, forse” (kamo
shiremasen) o cimentatevi nell’arte di utilizzare le pause. La pausa è spesso sinonimo di “no”,
così come una mancata risposta. Il non ottenere risposta alla corrispondenza, a fax ed e-mail è
uno degli aspetti più complessi del comportamento giapponese ed è difficile da accettare
specialmente quando vi sono coinvolte persone che si crede di conoscere bene. Insistere più di
tanto diviene controproducente. Allo stesso modo, un “sì” non ha esattamente lo stesso
significato che ha per noi occidentali.
Tenete poi presente che un numero sempre crescente di giapponesi sta prendendo dimestichezza
con i tratti caratteriali degli occidentali in generale e con il nostro modo di relazionarci con le
persone, ad esempio l’approccio di tipo più diretto rispetto agli orientali. Questo potrebbe far
pensare che gli accordi d’affari si stringano secondo canoni più vicini ai nostri. Consigliamo però
di tenere sempre a mente che per quanto sia piacevole avere un bel rapporto con un collega o un
cliente giapponese, questo stesso rapporto potrebbe rappresentare per lui un adeguamento
puramente intellettuale ad un comportamento tipico occidentale. Per quanto sappiate parlare la
lingua giapponese o per quanto conosciate il paese, sarete sempre considerati degli “estranei”,
per il semplice fatto che non siete giapponesi.

INTERPRETARE UN “Sì”

È altrettanto fondamentale interpretare il significato della parola “sì” (hai). Nella maggior parte
dei casi, hai viene intercalato in una conversazione come segno di conferma e significa
semplicemente “Sì, ti ascolto”. Hai, hai, ha una funzione enfatica. È improbabile comunque che
hai venga usato in risposta alla domanda “Allora siamo d’accordo su questo punto?”, a meno che
non sia seguito da una spiegazione esauriente delle condizioni.
IL RUMORE DEL SILENZIO

I giapponesi amano il silenzio e a loro modo comunicano attraverso di esso. Noi occidentali ne fuggiamo e istintivamente cerchiamo di riempirlo in
qualche maniera. Così le pause di silenzio durante gli incontri di lavoro o nella conversazione informale dovrebbero essere rispettate per ciò che
rappresentano: pause per pensare e riflettere o un modo garbato per cambiare argomento. E ricordate: MAI rompere il silenzio con una barzelletta o una
storia divertente!

RAGGIUNGERE UN ACCORDO

Come abbiamo visto, i giapponesi hanno una grande considerazione per l’armonia (wa) e
istintivamente cercano sempre di trovare un accordo tra le parti. Le discussioni per raggiungere
un’intesa (nemawashi) e la ricerca di un accordo fanno parte della routine quotidiana nei vari
strati e contesti sociali, in particolar modo, ovviamente, negli affari e nella politica. Raggiungere
un accordo a livello aziendale su una proposta può richiedere quasi certamente più tempo che nel
mondo occidentale, poiché devono venire coinvolti e consultati vari dipartimenti e persone. Il
processo può avvenire in termini relativamente più rapidi in aziende piccole a gestione familiare.
Tuttavia, sebbene l’arrivare a una decisione possa richiedere del tempo, si è notato che il
processo successivo della messa in atto è sorprendentemente molto più veloce rispetto ai canoni
occidentali. È normale infatti che a un incontro di lavoro o a una visita introduttiva siano presenti
dirigenti di vari dipartimenti e personale specializzato, che saranno poi coinvolti nella messa in
atto delle decisioni scaturite dall’accordo (ringi-sho).
Questo tipo di approccio mostra ovvii svantaggi, specialmente a livello internazionale, ad
esempio nei momenti in cui si richiede il voto riguardo ad una certa mozione, sia che ci si trovi
alle Nazioni Unite o a una conferenza accademica.
LA COMUNICAZIONE: UNA STORIA ESEMPLARE

L a responsabile dell’area marketing per l’Asia alle prime armi telefonò all’agente giapponese per avere un aggiornamento sulla situazione. «Salve
Koji, come vanno le cose?» Koji esitando un po’ disse che andava benone. La donna poi gli chiese cosa pensasse della nuova linea di prodotti. Koji non
rispose. Ci fu una lunga pausa.Messa in imbarazzo dal momento di silenzio, lei gli domandò di nuovo la sua opinione e Koji rispose con una domanda
sulle caratteristiche dei prodotti. La responsabile dell’area marketing allora insisté: «Vorrei sapere cosa ne pensi veramente.» Allora Koji menzionò
timidamente un commento critico che aveva sentito su uno dei prodotti. Al termine della telefonata la donna provò un senso di insoddisfazione e
sconforto per avere gestito male la conversazione.
In generale, i giapponesi preferiscono dare un commento collettivo dopo essersi consultati, piuttosto che dare un’opinione individuale; tendono comunque
a non comunicare mai a stranieri e telefonicamente il loro pensiero diretto. Se richiesto, viene dato un parere dopo che le persone coinvolte hanno
discusso e raggiunto un accordo unanime. È raro che un singolo individuo dia un suo parere personale su due piedi. L’agente giapponese ha avuto
probabilmente la sensazione di “perdere la faccia” - sia per se stesso, perché si è trovato in imbarazzo, sia per la donna, perché lo ha messo in una tale
situazione.
Se la responsabile marketing avesse avuto un po’ più di esperienza, avrebbe potuto:
(1) usare un tono più rispettoso e allo stesso tempo cordiale;
(2) sollecitare una relazione sull’andamento dei nuovi prodotti in Giappone, invece di richiedere all’agente un’opinione immediata;
(3) suggerire che quando Koji-san avesse avuto l’opportunità di valutare i prodotti più dettagliatamente, avrebbe tenuto in gran conto la sua opinione e
quella dei suoi collaboratori.
La responsabile marketing avrebbe sicuramente ottenuto una risposta nell’arco di pochi giorni!

ALTRI SUGGERIMENTI
— Quando parlate usate sempre il “noi” e mai l’“io”. Sentirete spesso la frase “ware ware nihonjin” (“noi giapponesi”). Il Giappone non è una cultura
individualistica ed è bene riconoscerlo fin dal principio.
— Evitate situazioni imbarazzanti che vi possano fare “perdere la faccia”.
— Non rifiutate nessuna offerta di primo acchito. Prendete tempo per riflettere e usate frasi del tipo “Devo rifletterci su”, “Vorrei discuterne più
approfonditamente.”
— Non mettete davanti alle persone decisioni che non sono in grado di prendere; non alteratevi, poiché sarebbe segno di mancanza di rispetto di sé (e
sarebbe come “perdere la faccia”).
— Per quanto possibile, scegliete sempre un approccio indiretto, perché mette i giapponesi più a loro agio.
— I giapponesi sono particolarmente sensibili alle immagini visive: se può aiutarvi nella comunicazione, distribuite informazioni corredate di grafici e
diagrammi.
— Limitate il linguaggio corporeo ed evitate di gesticolare eccessivamente, di toccare le persone (eccetto eventualmente fuori orario di lavoro…)
e di avere scatti d’ira.
— Non cercate il contatto visivo con le persone; come abbiamo visto l’approccio diretto non è apprezzato in Giappone.
— Non aspettatevi di andare in ufficio la mattina dopo un’uscita tra colleghi e di trovarvi a parlare dei momenti più divertenti della serata. Questo proprio
non si fa! Per la mentalità giapponese, che è divisa in compartimenti stagni, tutto ciò che accade “dopo le 6 di sera” non esiste. In ogni caso, i giapponesi
dimenticano tali momenti molto in fretta!
— Non pensate che siccome siete stranieri il regolamento interno della azienda debba essere rispettato solo dai dipendenti giapponesi. Sebbene vengano
fatte delle eccezioni, il vostro conto in banca aumenterà proporzionalmente agli sforzi che compirete nell’integrarvi nell’azienda. Lo stesso vale per i
tentativi che farete per apprendere la lingua locale.
— Non pensate che il rapporto di amicizia che avete costruito con un giapponese che si è recato per lavoro nel vostro paese proseguirà con la stessa
intensità una volta che sarà rientrato in Giappone. Egli dovrà orientarsi ed integrarsi nuovamente nella società, cosa che può risultare particolarmente
difficoltosa. Cercherete di mantenervi in contatto tramite e-mail, posta… ma se non funziona non amareggiatevi troppo. Ora sapete il perché.
2 A causa della considerevole distanza dell’aeroporto di Narita, una possibilità è quella di darsi appuntamento alla stazione Narita Express.
capitolo dieci

LINGUA & COMUNICAZIONE

L’espressione giapponese “Ganbatte kudasai” (“Fai del tuo meglio!”, “Provaci!”) è


particolarmente appropriata quando si parla della lingua giapponese. Il giapponese può essere
considerato una delle lingue più difficili da imparare, specialmente nella forma scritta, ma è
considerata tra le lingue moderne più importanti. È evidente che avere un’infarinatura di
giapponese renderà la vostra visita o il vostro soggiorno più piacevole. Troverete inoltre che i
giapponesi sono molto ben disposti verso coloro che tentano di imparare la loro lingua, anche se
gli sforzi fatti per cercare di imbastire una semplice conversazione non saranno paragonabili ai
risultati effettivi.
È assolutamente possibile vivere nelle metropoli giapponesi senza parlare una parola di
giapponese, ma questo presumerebbe che i vostri ospiti e i colleghi di lavoro capiscano al volo
l’inglese o la vostra lingua.
Vale la pena tenere presente che la lingua giapponese è parlata, oltre che in Giappone (con suoi
125 milioni di abitanti), anche in altre parti del mondo dove i giapponesi sono emigrati - Nord e
Sud America (la comunità più consistente risiede in Brasile) e Hawaii. La lingua giapponese
inoltre è parte integrante del curriculum scolastico di circa 3 milioni di studenti tra i quali in
particolare cinesi, americani, britannici, australiani e neozelandesi.
L’alfabetismo raggiunge il 100%, il più alto al mondo. Quali sono i motivi? I fattori determinanti
sono il rigore del sistema scolastico giapponese in cui l’apprendimento meccanico è ancora uno
strumento d’insegnamento largamente utilizzato e le “Tre ERRE” (leggere, scrivere e far di
conto), che continuano ad essere l’elemento portante del programma di studi. Il fatto stesso poi
di apprendere una lingua così complessa aiuta sicuramente a sviluppare l’intelletto e la memoria.

LA STRUTTURA DELLA LINGUA

La scrittura giapponese è composta da un misto di caratteri cinesi, o ideogrammi (kanji), e da


due sistemi di scrittura fonetica chiamati katakana e hiragana che derivano dal kanji e che
contengono ciascuno 46 simboli. Il katakana viene utilizzato per scrivere nomi stranieri e
vocaboli importati, mentre l’hiragana viene usato per i segnali ferroviari, i menù e indicazioni
simili. In Giappone si usa anche l’alfabeto romano (romanji).
Il numero degli ideogrammi comunemente usati è di circa 2000. Gli studenti devono essere in
grado di impararli durante il ciclo della scuola dell’obbligo, che si conclude a 15 anni – il 95%
degli studenti prosegue poi gli studi superiori per almeno altri 3 anni. A scuola si imparano anche
gli altri due sistemi fonetici ed il sistema numerico arabo (quello utilizzato da noi in Occidente).
Gli studenti devono apprendere anche a scrivere con inchiostro e pennello, il che richiede molto
tempo ed abilità, particolarmente da parte dei bambini delle scuole elementari.
COME LEGGERE I SEGNALI FERROVIARI
N ormalmente i segnali ferroviari indicano il nome della stazione in caratteri differenti, perché tutti quanti riescano a leggere (compresi i più piccoli
che non hanno ancora imparato bene a leggere il kanji e gli stranieri, che non comprendono il giapponese). I caratteri della linea in alto sono kanji,
seguono quelli hiragana ed i romanji. In basso ci sono delle frecce che puntano a sinistra o a destra che indicano il nome della stazione precedente e di
quella successiva in caratteri kanji.

Il giapponese non è facilmente riconducibile a nessuna ramificazione dei ceppi linguistici


conosciuti. Da un lato presenta affinità grammaticali con il coreano e certe lingue dell’Asia
Centrale, dall’altro, nel parlato, assomiglia inverosimilmente ad alcune lingue della Polinesia.
Una delle teorie più provocatorie sull’origine del giapponese è che sia una lingua dell’Asia
Centrale parlata con accento polinesiano - come dire che il francese sia una variante del latino
parlato con accento gallico…
A differenza del cinese, che ha un formidabile assortimento di tonalità, il giapponese non è una
lingua ricca di inflessioni, il che rende la pronuncia dei suoni (vedi oltre) relativamente semplice.
Ogni parola che imparerete sarà a sé stante. Nel giapponese non esistono famiglie di parole o
radici etimologiche come nelle lingua europee. Ma i vostri sforzi saranno ricompensati.
A differenza delle lingue europee, il giapponese si scrive dall’alto verso il basso e da destra verso
sinistra, il che rende facile leggere il titolo di un libro sul ripiano di una libreria senza dovere
girare la testa di 90°.
Non esistono scorciatoie per imparare il giapponese e per arrivare a dominare propriamente la
lingua occorrono anni di studio quotidiano. Tuttavia, a coloro che necessitano di imparare il
“giapponese della sopravvivenza” sarà sufficiente un periodo di apprendimento di sei mesi circa.
Fortunatamente per i principianti i giapponesi amano molto prendere a prestito termini
linguistici, in special modo dalle lingue europee con predominanza dell’inglese (vedi oltre).
Il problema della pronuncia della “L” e della “R”
Come è risaputo, il giapponese non fa distinzione tra i suoni “l” e “r” e per comodità viene scelto
invariabilmente il suono “r”. Il fatto è che il suono “l” non risulta facile da pronunciare, per via
di come si posiziona la lingua nel palato.

PAROLE “IMPORTATE”

Come abbiamo detto in precedenza, per ampliare il vocabolario dei termini moderni e
rispondere alle esigenze della società contemporanea, i giapponesi importano parole provenienti
da altre lingue, in particolare dall’inglese (cosa che avviene in parte anche in italiano). Ecco qui
una selezione di alcune termini che potranno fare sorridere! Ricordate che i giapponesi devono
aggiungere spesso le sillabe “ro” e “ru” per rendere i prestiti linguistici facilmente pronunciabili
nella propria lingua:
arukoru alcol;
asupirin aspirin;
ba bar;
chekku auto check-out;
chokoreto cioccolato;
eakon aria condizionata;
fasuto fudo fast food;
hoteru hotel;
hotto doggu hot dog;
kohii shoppu caffetteria;
meron mellon;
pasupoto passport;
puroguramu programma;
rajio radio;
resutoran ristorante;
tabako sigaretta;
terebi televisione;
uisukii whiskey;
wa puro word processor;
yusu hosuteru ostello della gioventù.

PAROLE UTILI
Buongiorno –ohayo gozaimas’
Buona giornata – konichi wa
Buona sera – konban wa
Buona notte – o-yasumi nasai
Arrivederci – sayonara
Incontrasi per la prima volta – hajimemashite
Benvenuto! – Irasshaimase!
Grazie – domo arigato (oppure domo o arigato)
Grazie molte – domo arigato gozaimashita
È caldo, vero? – atsui des’ ne!
È freddo, vero? – samui des’ ne!
Sì, ti ascolto – hai, hai
Sì, sono d’accordo – hai, so des’
Serviti pure – dozo
Per favore dammi… – o kudasai …
Buon appetito – itadakimas’
Salute! (nel fare un brindisi) – kampai!
Permesso – sumimasen
Mi chiamo… – des’ …
Piacere di conoscerla – dozo yoroshiku
Prego – do itashimash’te
Non capisco – wakarimasen
Non capisco il giapponese – Nihongo ga wakarimasen
Per favore chiami un taxi – takushii o yonde kudasai
A destra – migi
A sinistra – hidari
Dritto – massugu
Stop – tomatte
Qui – koko
Là – asoko
Per attirare l’attenzione – Sumimasen!
Al ristorante – go-chiso sama (delizioso!)
Che bel paesaggio! – kirei desu ne!
Pronto? (al telefono) – Moshi, moshi
Telefonata – o-denwa
I pasti
Colazione – asa-gohan
Pranzo – hiru-gohan
Cena – ban-gohan
I numeri
i-chi uno; ni due; san tre;
shi (yon) quattro; go cinque; roku sei;
shi-chi, na-na sette; ha-chi otto;
ku, kyu nove; ju dieci.
In ufficio
Presidente – shacho
Capo dipartimento – bucho
Capo reparto – kacho
Capo divisione – kakaricho

CONCLUSIONI

Un singolo aspetto di una cultura non è in grado di incapsularne l’essenza più profonda, meno
che meno quella di un paese sofisticato come il Giappone. Abbiamo preso in considerazione il
particolare carattere del Giappone come popolo “a parte”, che si distingue per una lingua e
religione esclusive, uno stile di vita regolato essenzialmente dallo spirito di gruppo, dalla ricerca
dell’accordo e scandito da una serie di protocolli che regolano i rapporti personali e gli scambi
sociali.
Abbiamo gettato uno sguardo sull’inestimabile patrimonio artistico del Giappone e sul modo in
cui il passato convive con il presente su come il mondo naturale è compresente nella vita
moderna.
Un esempio meraviglioso che esprime il rapporto che hanno i giapponesi con il mondo della
natura è l’haiku, una forma poetica giapponese composta da versi di diciassette sillabe. Il più
grande esponente fu il maestro Matsuo Basho, morto nel 1694. L’haiku è una forma d’arte
apprezzata in tutto il Giappone, che viene mantenuta in vita attraverso i numerosi eventi e
concorsi poetici che si tengono annualmente.

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