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Hugo Friedrich 'La struttura

della lirica moderna'


Letteratura Francese
Università degli Studi di Urbino Carlo Bo
8 pag.

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HUGO FRIEDRICH ‘LA STRUTTURA DELLA LIRICA MODERA’ ( un capitolo su Baudelaire)

BAUDELAIRE
Il poeta della modernità

Con Baudelaire la lirica francese divenne un fatto europeo. In Francia risulto’ che più da Baudelaire che dai romantici
derivavano correnti di carattere diverso. Lo stesso Mallarmé riconobbe di aver cominciato dal punto dove Baudelaire
dovette cessare. In molti giudizi analoghi si parla di poeta della “modernità”.

Baudelaire stesso è stato uno dei creatori di questa parola che uso’ nel 1859, scusandosi per la sua novità; ma è
necessaria per per esprimere la particolarità dell’artista moderno: la capacità di vedere nel deserto della metropoli
non solo la decadenza dell’uomo, ma anche di avvertire una misteriosa bellezza fino allora non scoperta.

Il problema di Baudelaire è come sia possibile la poesia nella società commercializzata e tecnicizzata: la sua poesia
mostra la via mentre la sua prosa la media teoricamente. Questa via conduce a un distacco più grande possibile dalla
banalità del reale, fino a una zona del misterioso, tuttavia in modo tale che l’eccitante materia di civiltà della realtà
venga inserita in questa zona e resa poeticamente vibrante. E’ questo il la per la poesia moderna.

Egli unisce in sé genio poetico e intelligenza critica. Le sue idee hanno avuto sul’epoca successiva un’influenza
maggiore che non la sua lirica. Esse sono esposte nelle raccolte di saggi Curiosités esthétiques e L’Art romantique
(ambedue apparse postume nel 1868). Questi saggi si allargano anche e sempre in analisi della coscienza dell’epoca,
insomma della modernità, poiché Baudelaire concepisce la poesia e l’arte come elaborazione creativa del destino di
un’epoca. Già si delinea il passo che Mallarmé compirà, il passo a una poesia ontologica (studio dell’essere in quanto
tale) e a una teoria poetica ontologicamente fondata.

Spersonalizzazione

Les Fleurs du Mal (1857) non sono una lirica di confessione personale, nonostante siano inserite le sofferenze di un
uomo isolato, infelice e malato. Infatti Baudelaire non ha datato nessuna delle sue poesie, contrariamente a come
fece Victor Hugo. Nessun fatto biografico è individuabile nella sua singolare tematica. Con Baudelaire inizia la
spersonalizzazione della lirica moderna, la parola lirica non scaturisce più dall’unità di poesia e persona empirica (tipo
di ricerca che basa le conclusioni sull'osservazione diretta o indiretta dei fatti, basata sull’esperienza), come si erano
sforzati di fare i romantici. E tra l’altro il fatto che le sue asserzioni si rifacciano ad asserzioni analoghe di E.A Poe, non
ne sminuisce il valore, ma piuttosto le riporta sulla linea giusta.

Poe, infatti, fuori di Francia è stato colui che ha separato nel modo più netto l’una dall’altra la lirica e il cuore.
Eccitazione entusiastica come soggetto della lirica , che non ha pero’ nulla a che fare con la passione personale né con
“the intoxication of the heart” (l’ebbrezza del cuore). Egli la chiama anima, ma non cuore.

Baudelaire ripete un simile concetto alla lettere e lo varia con proprie formulazioni.

Egli pretende che si prescinda da ogni sentimentalità personale a favore di una fantasia chiaroveggente. Il poeta
assume un “compito extraumano”, Baudelaire parla di “voluta impersonalità delle mie poesie” , col che si intende che
esse sono in grado di esprimere ogni possibile stato di coscienza dell’uomo, preferibilmente gli stati più estremi.
Lacrime che “non vengono dal cuore”. La poesia viene proprio giustificata come la capacità di neutralizzare il cuore
personale. In lui è già presente quella spersonalizzazione che più tardi verrà spiegata da T.S Eliot e da altri come
presupposto dell’esattezza e della validità del poetare.

Quasi tutte le poesie dei Fleurs du Mal parlano muovendo dall’Io, Baudelaire è un uomo completamente ripiegato su
se stesso. Eppure quando compone poesie guarda appena al suo Io empirico. Egli parla di stesso nella misura in cui ha
coscienza di essere il sofferente della modernità, spesso dice che il suo soffrire non è solo il suo. E’ significativo che i
frammenti del contenuto della sua vita personale, quando ancora restano attaccati alle sue poesie, non trovino che

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un’espressione inesatta. Misura in se stesso tutte le fasi che scaturiscono sotto la spinta della modernità: l’angoscia, la
mancanza di vie d’uscita, il crollare di fronte all’ ardente idealità voluta ma che si ritrae nel vuoto.

Parla delle sua sessione di addossarsi quel destino. ‘Ossessione’ e ‘destino’ sono due sue formule fisse. Altre sono
‘concentrazione’ con accanto ‘centralizzazione dell’Io’ a cui si oppongono ‘dissoluzione’ e ‘prostituzione’. Sono questi i
sintomi della civiltà moderna, di fronte ai quali Baudelaire vuole premunirsi.

Concentrazione e consapevolezza della forma; lirica e matematica

Les Fleurs du Mal sono attraversate da una venatura tematica che le rende un organismo concentrato. Si potrebbe
addirittura parlare di un sistema, tanto più che i saggi, i diari e anche alcune lettere, provvedono a fornire la mediata
intelaiatura dei temi. I temi in realtà non sono molti, ma questi pochi si possono intendere come veicoli, varianti,
metamorfosi di una tensione fondamentale che possiamo brevemente definire come tensione fra satanismo e
idealità. Questa tensione non si risolve (tema anche ripreso da Rimbaud dove si accentuerà, mentre in Mallarmé
acuirà questa tensione trasferendola in altri temi) , ma essa ha nel suo complesso quell’ordine e quella
consequenzialità che ogni poesia ha nel particolare.

Con la concentrata tematica della sua poesia Baudelaire soddisfa quel suo principio di non abbandonarsi all’ “ebbrezza
del cuore”. Questa puo’ comparire nella poesia, ma è solo materiale. Baudelaire vuole richiamare l’attenzione sul fatto
che la sua opera sia costruita su un principio organico. Contenutisticamente, Les Fleurs du Mal presentano perplessità,
paralisi, febbrile slancio nell’irreale, desiderio di morte ed eccitanti giochi morbosi. Ma tali contenuti negativi possono
essere racchiusi da una mediata composizione. Infatti tutto cio’ che è stato aggiunto dopo la prima pubblicazione,
viene disposto in modo che si accordi al quadro che già aveva abbozzato nella prima edizione. In quell’edizione aveva
avuto addirittura la sua importanza l’antica usanza della composizione numerata. Essa comprendeva 100 poesie
distinte in cinque gruppi: altro segno di quella volontà di costruzione formale.

Nelle edizione successive Baudelaire ha abbandonato l’ordine numerico, ma ha rafforzato l’ordine interno.

Sei sono le sezioni dell’opera:

1- Spleen et Idéal (1-85), dopo una poesia iniziale che introduce l’opera il primo gruppo di poesie presenta il
contrasto tra lo slancio e la caduta. Presa di coscienza dell’Ennui nel mondo reale, oscillazione costante tra
l’aspirazione verso l’idéal (attraverso l’amore e la poesia) e la ricaduta nello spleen.
2- Tableaux Parisiens (86-103 aggiunto dalla seconda edizione), mostra il tentativo di un’evasione nel mondo
esterno della metropoli. Si descrive la città moderna e le sofferenze della gente e Baudelaire prova per loro
una profonda compassione, infatti lui soffre più di loro.
3- Le Vin (104-108), la tentata evasione nel paradiso dell’arte, ma neppure questo porta alla serenità. Si cerca
l’evasione nell’ubriacatura (ivresse) che provoca l’oubli (oblio).
4- Les Fleurs du Mal (109-117), ne consegue l’abbandonarsi alla fascinazione del distruttivo, da qui evasione nei
paradisi artificiali (come la droga).
5- Révolte (118-120), la conseguenza di tutto cio’ è la sarcastica ribellione contro Dio. Baudelaire si rivolta contro
Dieu e invoca Satan.
6- La Mort (121-126), come ultimo tentativo non resta che cercare la pace nella morte, nell’assolutamente
Ignoto. La morte viene vista come ultima possibilità per raggiungere l’idéal.

Si tratta quindi di un tessuto ordinativo numerato e che nel corso complessivo descrive una parabola dall’alto verso il
basso. La fine è il punto più profondo. Esso si chiama “abisso”, poiché solo nell’abisso c’è ancora speranza di vedere il
“nuovo”. Ma quale nuovo? La speranza dell’abisso non trova per questo nessuna parola.

Il fatto che Baudelaire abbia dato a Les Fleurs du Mal una costruzione architettonica, domostra il suo distacco dal
Romanticismo, in cui i libri lirici sono semplici raccolte e anche formalmente ripetono nella disposizione non
premeditata la casualità dell’ispirazione.

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Come la poesia si è separata dal cuore, cosi la forma si separa dal contenuto. La sua è solo una salvazione del
linguaggio, mentre il contenuto viene abbandonato nella sua insolutezza. Baudelaire ha spesso espresso il concetto di
salvazione mediante forma. Il pensiero in esso espresso sarà ripetuto da Mallarmé e Valéry, perché appoggia la prassi
preferita da alcuni moderni, una prassi in cui le convenzioni della rima, del numero delle sillabe del verso, della
costruzione strofica, vengono maneggiate come strumenti che incidono nella lingua e la eccitano a reazioni a cui la
trama contenutistica della poesia non sarebbe giunta.

Le poesie baudelairiane fondono mortalità e precisione e sono anche in questo preludio della poesia moderna.

“La bellezza è il prodotto di ragione e calcolo” (concetto già visto in Novalis e Poe). Anche l’ispirazione ha per lui il
valore di qualcosa di semplicemente naturale. Come unico impulso del poetare, essa conduce all’inesatto cosi come
l’ebbrezza del cuore. Baudelaire paragona anche lo stile ai “prodigi della matematica”. La metafora acquista il valore di
“esattezza matematica”. Tutto cio’ avviene rifacendosi a Poe e avrà i suoi effetti, tramite Mallarmé, fin sulla poetica
dei nostri giorni.

Tempo finale e modernità

La svolta con cui Baudelaire si allontana dal Romanticismo, si puo’ avvertire anche nella tematica. Quello che egli
ha ereditato dal Romanticismo – ed è molto – lo trasforma in una dura esperienza al punto che, in confronto a lui, i
romantici appaiono frivoli. Essi avevano perfezionato l’interpretazione escatologica della storia che dal tardo
Illuminismo di nuovo andava prendendo piede, secondo cui la propria epoca viene definita Tempo finale. Anche
Baudelaire situa se stesso e la sua epoca nel Tempo finale. Ma cio’ avviene con altre immagini e altri stimoli.

Egli sa che una poesia appropriata al desino della propria epoca puo’ essere conseguita solo affermando il notturno e
l’anormale (es. in Le coucherdu soleil romantique): questi restano l’unico luogo in cui l’anima che si estranea a se
stessa puo’ ancora poetare e sfuggire alla trivialità del “progresso” in cui si traveste il Tempo finale. In maniera
conseguente egli chiama i suoi Fleurs su Mal “un prodotto stonato delle Muse del Tempo finale”.

Egli ha mediato il concetto di modernità in una misura ben diversa dai Romantici. Il progresso viene definito da lui
“progressivo decadimento dell’anima, progressivo predominio della materia”; un’altra volta lo definisce “atrofia dello
spirito”. Ma il concetto di modernità di Baudelaire è dissonante, fa del negativo direttamente un fascinoso. Il misero, il
decadente, cattivo, notturno, artificiale, offre materie stimolanti che vogliono essere afferrate poeticamente. Tutto
cio’ porta a nuove vie. Il poeta fiuta un mistero nelle immondizie della metropoli ed a questo si aggiunge che egli
approva ogni cosa che esclude la natura, per fondare il regno assoluto dell’artificiale. Poiché la città è senza natura,
essa appartiene, sebbene formi il luogo del Male, alla libertà dello spirito. Di questa asserzione non resterà nei poeti
posteriori che qualche residuo, ma la lirica del ventesimo secolo pone ancora sulle metropoli quel misterioso
fosforeggiare che è stato scoperto da Baudelaire.

Il ripugnante si sposa alla nobiltà dell’accento e riceve quel “brivido galvanico” che egli loda in Poe.

Estetica del brutto

Baudelaire ha spesso parlato della bellezza. Ma nella sua lirica essa si è ritirata nella struttura formale e nel vibrare del
linguaggio. Si serve di integrazioni stravaganti, paradossali, per dotare la bellezza di uno stimolo aggressivo, dell’
“aroma del sorprendente”. “Puro e bizzarro”, suona una sua definizione del bello. Ma disinvoltamente egli ha
desiderato anche la bruttezza come punto di rottura per l’ascesa all’idealità. “Dal brutto il lirico desta un nuovo
incanto”. Il deforme produce sorpresa, e quest’ultima l’ “attacco inatteso”. La nuova bellezza, che puo’ coincidere col
brutto, acquista la sua inquietudine mediante l’assunzione del banale, con contemporanea deformazione in bizzarro, e
mediante la “fusione dello spaventoso col pazzesco”, come è detto in una lettera.

Baudelaire accetta il titolo di Poe Tales of the Grotesque and the Arabesque (“Poiché il grottesco e l’arabesco
ricacciano indietro il volto umano”). In Baudelaire il grottesco non ha più nulla a che fare col giocoso, egli vede in esso
lo scontrarsi dell’idealità col diabolico e allarga questa al concetto di “assurdo”. Le sue personali esperienze e quelle

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dell’uomo vengono dedotte dalla “legge dell’assurdo”, che occorre agli uomini per “esprimere il dolore col riso”.
L’assurdo diventa quindi la prospettiva aperta su quella irrealtà in cui Baudelaire e i suoi successori vogliono penetrare
per sfuggire all’oppressione del reale.

“L’aristocratico gusto di disgustare”

Lo stacco iniziatosi con Rousseau tra autore e pubblico, aveva condotto nel Romanticismo al tema favorito del
Poeta solitario. Baudelaire lo riprende con accenti più acuti. Gli dona quella aggressiva drammaticità che da allora in
poi doveva contraddistinguere la poesia e l’arte europea. Egli ci parla dell’ ”aristocratico gusto di disgustare”, chiama
la sua opera “gusto appassionato di opposizione” e “prodotto dell’odio”; esalta il fatto che la poesia produca uno
“choc nervoso”. Tutto cio’ è assai più che imitazione di atteggiamenti romantici. Le dissonanze interiori della poesia
sono conseguentemente diventate anche dissonanze tra l’opera e il lettore. Tra l’altro una poesia che ha bisogno di
tali concetti per la sua giustificazione, o provoca il lettore o gli sfugge.

Cristianesimo in rovina

La fissità dei temi baudelairiani, pochi ma intensi, permette di dedurre i loro punti focali da parole che ricorrono più di
frequente. Sono parole-chiave che si distinguono in due gruppi opposti. Da una parte stanno: oscurità, abisso,
angoscia, desolazione, deserto, prigionia, freddo, nero, putrido..; dall’altra: slancio, azzurro, cielo, ideale, luce,
purezza.. Questa esasperata antitesi corre attraverso quasi ogni poesia. Questo accostamento di cio’ che è
normalmente inconciliabile, si chiama oxymoron ed in Baudelaire colpisce per il suo strabocchevole impiego.

E’ la figura chiave della dissonanza fondamentale. Fu una felice idea quando Babou, con il quale aveva stretto amicizia,
la innalzo’ a titolo “Les Fleurs du Mal”.

Dietro questi gruppi di parole si celano residui del Cristianesimo. Non si puo’ concepire Baudelaire senza di esso,
nonostante egli non sia più un cristiano. Questo fatto non viene contraddetto dal suo “satanismo”, tanto spesso
descritto: chi sa di essere dominato da Satana, porta certo stimmate cristiane; ma si tratta di qualcosa di diverso dalla
fede cristiana nella redenzione. Se è possibile esprimerlo cosi concisamente, il satanismo di Baudelaire è il
superamento del Male semplicemente animale (e quindi del banale) mediante il Male concepito dall’intelligenza, al
fine di ricavare da tale somma misura di Male lo slancio verso l’Idealità.

Di qui le perversità e le crudeltà nei Fleurs du Mal. La natura, il riso, l’amore vengono degradati a diabolico, per
trovarvi il punto di slancio verso il “nuovo”. Secondo un’altra formula, l’uomo è “iperbolico”, sempre teso verso l’alto
in una febbre spirituale. Ma si tratta di un uomo essenzialmente spezzato, homo duplex, che deve soddisfare il suo
polo satanico per rintracciare quello celeste. Ricorrono in questo schema forme del Cristianesimo. Tuttavia questo
ricorso non lo si puo’ spiegare come semplice influenza.

Egli ha avuto la volontà di preghiera, ha parlato della colpa in modo assolutamente serio, era profondamente pervaso
dal senso di consapevolezza umana. Ma non trovava alcuna via, la sua preghiera si snerva nell’impotenza, e insomma
non è più una preghiera. La sua “iperbolica” tensione sarebbe cristiana solo se aleggiasse su di essa la fede nel mistero
della redenzione, ma è proprio questo che manca. Cristo compare nelle sue poesie soltanto come fugace metafora
oppure come l’Abbandonato da Dio. Dietro la coscienza di essere dannato, si muove il gusto di “godersi la dannazione
voluttuosamente”. Tutto questo non è di certo pensabile senza un’eredità cristiana. Tuttavia quello che ne resta è un
Cristianesimo in rovina. Baudelaire isola il Male facendone una potenza a se. Nella profondità e nella paradossale
complessità di questa potenza, la sua lirica acquista il coraggio di essere anormale. Neppure poeti cristianamente più
severi possono o vogliono sottrarsi all’anormalità (lo si vede in T.S. Eliot).

La vuota idealità

Tuttavia, con questo Cristianesimo in rovina si spiega un’altra singolarità del poetare baudelairiano, importante per
l’epoca successiva. Ci si rifà ai concetti come “ardente spiritualità”, “ideale”, “ascesa”. Ma l’ascesa verso dove? La
risposta la da la poesia Elévation. Contenuto e intonazione indicano lo stato di elevatezza.

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Au-dessus des étangs, au-dessus des vallées,
Des montagnes, des bois, des nuages, des mers,
Par-delà le soleil, par-delà les éthers,
Par-delà les confins des sphères étoilées,

Mon esprit, tu te meus avec agilité,


Et, comme un bon nageur qui se pâme dans l'onde,
Tu sillonnes gaiement l'immensité profonde
Avec une indicible et mâle volupté.

Envole-toi bien loin de ces miasmes morbides;


Va te purifier dans l'air supérieur,
Et bois, comme une pure et divine liqueur,
Le feu clair qui remplit les espaces limpides.

Derrière les ennuis et les vastes chagrins


Qui chargent de leur poids l'existence brumeuse,
Heureux celui qui peut d'une aile vigoureuse
S'élancer vers les champs lumineux et sereins;

Celui dont les pensers, comme des alouettes,


Vers les cieux le matin prennent un libre essor,
Qui plane sur la vie, et comprend sans effort
Le langage des fleurs et des choses muettes!

La poesia si muove in uno schema usuale, di origine platonica e mistico-cristiana. Secondo questo schema, l’anima sale
in una trascendenza che la trasforma al punto che essa, volgendosi indietro, penetra il velo di cio’ che è terreno e ne
riconosce la vera essenza. E’ lo schema di quella che cristianamente è detta ascensio ovvero elevatio. Quest’ultimo è il
titolo della poesia. Ma ci sono da osservare altre concordanze. Tanto secondo la dottrina classica quanto secondo
quella cristiana, la vera trascendenza è il cielo superiore, il cielo del fuoco, l’empireo. In Baudelaire esso si chiama il
“fuoco radioso” (feu clair). E quando poi leggiamo “purificati”, queste espressione ci rimanda alla tradizione mistica
della “purificatio”. Infine la mistica è sempre stata solita articolare l’ascesa in nove gradini, poiché il 9 è il numero
“sacrale”. Questo si ritrova anche in Elévation, proprio nove sono gli strati al di sopra dei quali l’anima deve innalzarsi.
Sorprendente, c’è qui una costrizione, dovuta alla tradizione mistica? Forse, sarebbe una costrizione affine a quella
esercitata su Baudelaire dall’eredità cristiana in generale. Ma quello che ci interessa è piuttosto un altro fatto. Proprio
perché questa poesia si accorda tanto con lo schema mistico, risalta con evidenza quello che le manca per una
condizione piena: cioè l’arrivo dell’ascesa, anzi addirittura la volontà di arrivare. In Baudelaire pero’ l’arrivo è soltanto
una possibilità di cui ha certo coscienza, ma che a lui personalmente non è concessa. Di Dio non si parla; né veniamo a
sapere di che genere dovrebbe essere il linguaggio finalmente compreso “dei fiori e delle cose mute”. La meta
dell’ascesa è non solo lontana, ma anche vuota: una idealità senza contenuto. E’ un semplice polo di tensione,
iperbolicamente bramato, ma non raggiunto.

Cosi è ovunque in Baudelaire. La vuota idealità ha un’origine romantica, ma Baudelaire la dinamizza in una forza di
attrazione che, destando una smisurata tensione verso l’alto, ricaccia verso il basso chi è teso. Di qui l’accostamento e
la parificazione dell’”ideale” e dell’”abisso”, di qui espressioni come “ideale struggente” ecc..

In Baudelaire i due poli hanno il senso di tener desta quella eccitazione che rende possibile la fuga dal mondo banale.
E tuttavia la fuga è senza meta, non va al di la dell’eccitazione dissonante. L’ultima poesia, Le Voyaje, che esamina tutti
i tentativi di evasione, termina con il decidersi per la morte. Che cosa la morte porti la poesia non lo sa, ma essa attrae
poiché è la possibilità di condurre nel “nuovo”. E il “nuovo”? E’ indefinibile, il vuoto contrapposto alla desolazione del
reale. Al vertice dell’idealità baudelairiana si pone il concetto, divenuto assolutamente negativo e privo di contenuto,
della morte. Lo sgomento e la confusione di tale modernità è che essa è torturata fino alla nevrosi dall’esigenza di
fuggire dal reale, ma è impotente a credere in una trascendenza di contenuto definito, dotata di un senso, oppure a
crearla.

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Baudelaire ci parla anche spesso del sovrannaturale e del misterioso, che cosa intenda con cio’, lo si comprende solo
se, come fece lui stesso, si rinunzia a riempire queste parole di un contenuto che non sia la stessa misteriosità
assoluta. La vuota idealità, l’indefinito “altro”, che con Rimbaud diverrà ancora più indefinito e con Mallarmé diverrà il
Nulla, e la misteriosità che gira su se stessa, proprio della lirica moderna, si corrispondono.

Magia del linguaggio


Tuttavia Les Fleurs du Mal non sono affatto una lirica oscura, i loro stati di coscienza anormali sono racchiusi in versi
comprensibili. Anche la teoria poetica di Baudelaire è sempre chiara. Tuttavia sviluppa vedute e programmi che,
realizzati solo a tratti nella sua lirica, preparano l’oscuro poetare che subentrerà subito dopo Baudelaire (Simbolismo).
Si tratta qui principalmente dei due concetti di magia del linguaggio e di fantasia. Il lirico diviene il mago del suono.

Il riconoscimento della parentela tra poesia e magia è certo antichissimo. Esso pero’ dovette essere di nuovo
riconquistato, dopo che l’Umanesimo e il classicismo transalpino l’ebbero sotterrato. Mentre poi ritroviamo questi
concetti da Baudelaire fino al presente, ogni volta che i lirici riflettono sulla loro arte.

Baudelaire tradusse Poe; il primo saggio per intero, nel secondo tradusse a sua scelta. Egli ha espressamente fatto
proprie le teorie ivi contenute, le quali possono essere considerate quindi anche le sue.

L’innovazione di Poe consiste nel fatto che egli inverti’ l’ordine di successione degli atti poetici presupposto
dall’estetica antica. Quello che sembra il risultato, la “forma”, è invece l’origine della poesia; quello che sembra
l’origine, il “significato”, è il risultato. Al principio del percorso vi è “un’intonazione senza forma”.

La poesia nasce quindi dall’impulso del linguaggio il quale, obbedendo a sua volta al “tono” prelinguistico, mostra la
via su cui si presentano i contenuti; i contenuti non vengono più ad essere la vera sostanza della poesia, bensi’ sono
veicoli delle forze musicali e delle loro vibrazioni superiori al significato. La poesia stessa è un quadro in sé concluso.
Non comunica né verità né “ebbrezza del cuore”; non comunica assolutamente niente, ma è “the poem per se”. Su
questi pensieri di Poe si fonda quella moderna teoria poetica che più tardi si impernierà sul concetto si poésie pure.

Non importa che Les Fleurs du Mal facciano valere solo in pochi passi una siffatta magia linguistica pura, per esempio
sotto forma di un insolito accumularsi di rime, sotto forma di assonanze a distanza, di volute musicali, di sequenze di
vocali che manovrano il significato e non che sono manovrate dal significato. Nelle sue discussioni teoretiche
Baudelaire va addirittura oltre, esse preannunciano una lirica che sempre più trascura l’ordine oggettivo, logico,
affettivo e anche grammaticale, a favore delle forze sonore magiche.

Una poesia la cui idealità è vuota, sfugge al reale col produrre una misteriosità inafferrabile, e tanto più puo’ trovare
un appoggio nella magia del linguaggio. Giacché grazie all’operare sulle possibilità sonore e associative della parola,
vengono sprigionati altri contenuti di senso oscuro, ma anche misteriosi poteri magici della musica pura.

Fantasia creativa

Baudelaire parla più volte del suo “disgusto per il reale”. Con cio’ vuole colpire la realtà quando essa è banale ovvero
semplicemente naturale. E’ caratteristico che quello che più di tutto lo indispose allorché Les Fleurs du Mal furono
condannate in giudizio, sia stata l’accusa di realismo. La lirica di Baudelaire non aspira invece alla riproduzione fedele,
bensi’ alla trasformazione. Dinamizza in satanico. Sarebbe stolto chiamarlo realista o naturalista. Nei suoi soggetti più
choquants, brucia con estremo vigore la sua “ardente spiritualità” che cerca di sottrarsi a tutto cio’ che è reale.

La precisione dell’espressione oggettiva coglie in prevalenza la realtà spinta in basso fino all’estremo, cioè già
trasformata, mentre, quanto al resto, è evidente la singolare tendenza a non localizzare i contenuti immaginativi.

Parliamo di sogno e fantasia riguardo a questa capacità di trasformare e realizzare. Con maggior decisione de
Rousseau e Diderot, egli innalza in significato di questi termini al rango di una capacità creativa superiore. Certo, il
concetto di sogno viene adoperato talora anche nel suo vecchio significato, come quando Baudelaire chiama “sogno”
le più svariate forme di interiorità, di tempo interiore, di desiderio di evasione: benché anche qui si alluda sempre
sufficientemente alla superiorità del sogno rispetto alla vicinanza reale, al contrasto qualitativo tra vastità del sogno e
ristrettezza del mondo. E’ una capacità produttiva, non percettiva, che non procede affatto confusamente e
arbitrariamente, bensi’ esattamente e consapevolmente.

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In qualunque modo si presenti, la cosa decisiva è sempre che esso produce contenuti irreali. Puo’ essere disposizione
poetica, ma puo’ anche esser lesso in moto da stupefacenti e droghe, ovvero puo’ scaturire da condizioni psicopatiche.
Tutti questi impulsi sono adatti per l’operazione “magica” con cui il sogno pone al di sopra del reale l’irrealtà che ha
creato.

Quando Baudelaire chiama il sogno “perfetto come il cristallo”, non si tratta affatto di una comparazione casuale. Con
questa espressione viene assegnato al sogno un suo posto mediante l’accostamento all’inorganico.

Egli completa il tema del sogno degradando la natura a caos e impurità. Per natura Baudelaire intende cio’ che è
vegetativo, ma anche le banali bassezze dell’uomo. Con le immagini tratte dall’inorganico, il simbolo dello spirito
assoluto viene a tal punto posto al di sopra di esse, che di nuovo ne scaturisce una tensione dissonante.

Agli occhi di Baudelaire l’inorganico assume il significato più alto allorquando è materiale per lavoro artistico. Certo
anche questo è pensato latinamente, ma lo spingere all’estremo l’applicazioni di questo pensiero, è moderno.

Possiamo ritrovare una cosi’ forte parificazione dell’artificioso e dell’inorganico, una cosi’ perentoria esclusione della
realtà al massimo nella letteratura barocca italiana e spagnola.

Ma neppure in quella letteratura era possibile una poesia come il Rève parisien di Baudelaire: non una città reale, ma
una città di sogno; immagini cubiche da cui è bandito tutto cio’ che è vegetale; gigantesche arcate che circondano
l’unico elemento in movimento – eppur morto – : l’acqua; abissi adamantini, volte di gemme; non sole, non stelle;un
nero che risplende di se stesso; il tutto senza uomini, senza luogo, senza tempo, senza suono. Si vede ora cosa significa
la parola “sogno” compresa nel sogno: divenire figurativo di una spiritualità costruttiva, che esprime la sua vittoria
sulla natura e sull’uomo nei simboli del minerale e del metallico, e che proietta le immagini che ha costruito nella
vuota idealità, dalla quale si riflettono indietro, sfavillanti per l’occhio, inquietanti per l’anima.

Decomposizione e deformazione
Il contributo più importante di Baudelaire alla nascita della lirica e dell’arte moderna, è certo rappresentato dalle sue
discussioni sulla fantasia. Essa è per lui – esattamente come il sogno – la capacità creativa per eccellenza, “la regina
delle umane capacità”. Come si comporta la fantasia? Nel 1859 Baudelaire scrive: “La fantasia decompone tutta la
creazione; seguendo leggi che scaturiscono nel più profondo interno dell’anima, raccoglie e articola le parti che cosi’
risultano e ne produce un nuovo mondo”.

La sua modernità consiste nel fatto che con esso, all’inizio dell’atto artistico, viene posta la decomposizione.

Decomporre e scindere nelle sue parti del reale – inteso come il percepibile a livello sensorio, - significa deformalo. Il
concetto di deformazione ricorre spesso in Baudelaire ed è ogni volta inteso in senso positivo. Nel deformare domina
la potenza dello spirito, il cui prodotto è di rango più elevato del deformato.

Bisogna sempre tener presente la tendenza fondamentale: l’allontanamento dall’angusta realtà. La vera acutezza di
quel concetto di fantasia si manifesta là dove esso viene posto in contrapposizione a un procedimento semplicemente
“riproduttivo”. Di qui la protesta di Baudelaire contro la fotografia allora nascente, una protesta che si accorda con la
frase sopra citata. Una volta egli chiama l’opera della fantasia “idealizzazione forzata”. Idealizzazione qui non vuol più
dire, come nella vecchia estetica, abbellimento, bensi’ realizzazione, e sta ad indicare un atto dittatoriale. La condanna
di Baudelaire contro la fotografia sta sullo stesso piano della sua condanna alle scienze naturali. La penetrazione
scientifica dell’universo è avvertita dal senso artistico come limitazione dell’universo stesso e come perdita del
mistero, e ad essa risponde uno spiegamento di forze da parte della fantasia. Due decenni dopo la morte di Baudelaire
la stessa risposta alla perdita del mistero si chiamerà Simbolismo.

Questo procedimento che si svolge in Baudelaire ha avuto un’importanza incalcolabile fino al presente. La definizione
usata da Baudelaire per indicare un’arte scaturita dalla fantasia creativa, suona surnaturalisme (arte che “di
soggettiva” le cose in linee colori, movimenti ecc..) . Da questo termine Apollinaire dedurrà nel 1917 il Surréalisme – a
ragione, poiché cio’ che con questo termine è inteso, non fa che continuare quello che Baudelaire ha voluto.

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Astrazione e arabesco
“Il poeta è l’intelligenza più alta, e la fantasia è la più scientifica di tutte le facoltà”. Il paradosso contenuto in questa
frase non apparirà oggi meno paradossale di allora. Il paradosso è nel fatto che proprio quella poesia che evade
nell’irrealtà dinanzi a un mondo scientificamente decifrato e tecnicizzato, pretenda nella produzione dell’irreale quella
stessa esattezza e intelligenza a causa della quale la realtà è divenuta ristretta e banale. Il ragionamento di Baudelaire
porta necessariamente al concetto di astrazione. In Baudelaire “astratto” vuol dire “intellettuale”, nel senso di “non
naturale”. Linee e movimenti liberi dall’oggetto sono chiamati “arabeschi”, altro concetto che avrà fortuna.
“L’arabesco è il più ideale di tutti i disegni”.

Grottesco ed arabesco erano stati accostati tra loro da Novalis, Poe ed Gautier, ma Baudelaire li accosta ancora di più.
Nel suo sistema estetico, grottesco, arabesco e fantasia sono strettamente connessi: la terza è la capacità di
movimenti astratti, vale a dire liberi dalle cose, dello spirito libero; i primi due sono prodotti di questa capacità.

Il concetto di arabesco si collega anche al concetto del “periodo poetico”. Questo, come scrive Baudelaire in un
abbozzo di prefazione per Les Fleurs du Mal, è una pura sequenza di accenti e di movimenti, puo’ formare linee, e
proprio cosi’ la poesia è in contatto con la musica e la matematica.

Conclusione
Bellezza dissonante, allontanamento del cuore dal soggetto della poesia, stati di coscienza anormali, vuota idealità,
concretizzazione, senso di mistero, prodotti dalle forze magiche del linguaggio e della fantasia assoluta, accostati
alle astrazioni della matematica e alle volute dei movimenti musicali: con cio’ Baudelaire ha impostato le possibilità
che si sarebbero realizzate nella lirica dell’avvenire. Queste possibilità sono preparate da un uomo che porta le
stimmate del Romanticismo. Del gioco romantico egli ha fatto serietà non romantica, con le idee marginali dei suoi
maestri ha costruito un edificio di pensiero la cui facciata volge loro le spalle. Percio’ la lirica dei suoi eredi si puo’
chiamare: romanticismo sromanticizzato.

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