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Laura Trotta Dispensa di Anatomia 1

UNIBO – 2015/2016

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ANATOMIA
Organismo
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L’organismo è livello di organizzazione più elevato e complesso. Risulta essere strutturato da tanti apparati
tra loro interconnessi e dipendenti. Ad esempio, l’apparato respiratorio ha la funzione di ossigenare il
sangue. L’ossigeno poi, per essere reso disponibile ai tessuti periferici, richiede la presenza di un apparato
cardiovascolare, con la funzione di distribuzione. Quindi gli apparati sono mutualisticamente dipendenti.
Le varie porzioni di un apparato inoltre cooperano a svolgere la stessa funzione. Ad esempio, le vie aeree
consentono l’ingresso dell’aria, mentre a livello dei polmoni avvengono gli scambi. Ciascun organo risulta
formato da diversi tessuti.

Introduzione e terminologia




Posizione anatomica: uomo teso, frontale, piedi avvicinati, con mani
in supinazione (palmi delle mani verso la posizione ventrale).

Tre piani fondamentali di riferimento:
1. piano sagittale mediano (con altri piani parasagittali paralleli)
rispetto al quale abbiamo una simmetria bilaterale (una simmetria non
proprio perfetta in quanto alcuni organi sono pari, ma esistono anche
organi impari); divide l’organismo in due parti, destra e sinistra
2. piano frontale o coronale: separa la zona ventrale o anteriore
dalla zona dorsale o posteriore. Si incrocia con il piano sagittale
mediano in un asse longitudinale.
3. piano trasversale (perpendicolare agli altri due). Si possono
tracciare infiniti piani trasversali. Divide il corpo in una porzione
superiore e una inferiore.

N.B. Destro e sinistro si riferiscono al paziente, non all’osservatore.



In questa immagine è possibile vedere il piano parasagittale in una tac.



In questa immagine di una testa, invece, è possibile vedere il piano sagittale mediano, in quanto è visibile il setto
nasale (posto in condizioni normali in posizione mediana).
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Questa è una sezione sul piano frontale del torace e di parte dell’addome. Si possono vedere i due polmoni e il
cuore. Nella cavità addominale invece è possibile riconoscere il fegato.






Nella seguente immagine invece è rappresentato un piano trasversale a livello del torace Si possono notare i due
polmoni, il cuore, le due scapole, la colonna vertebrale


Quest’altra sezione trasversale, condotta a livello dell’addome, mostra il profilo del fegato, della milza e dello
stomaco.





Accanto alla descrizione dei piani, è utile definire gli assi:
-asse verticale: dato dall’incontro del piano sagittale con il piano frontale
-asse trasversale: dato dall’incontro tra il piano frontale e il piano trasversale.

Rispetto ai piani utilizziamo quindi dei termini di posizione per indicare le posizioni relative di parti anatomiche:

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-Rispetto al piano sagittale individuiamo una parte mediale (n.b Non mediano, non cade sulla linea mediana,
centrale) più vicina all’asse sagittale mediano, e una parte laterale più distante da esso. Ad esempio, il radio è
laterale rispetto all’ulna che è mediale. Per quanto riguarda soprattutto gli arti individuiamo una parte prossimale
(vicina all’origine, ossia al cingolo) e una parte distale. Se prendo in considerazione la spalla e il gomito, la spalla è
in posizione prossimale, mentre il gomito è in posizione distale rispetto alla spalla. Se invece consideriamo ad
esempio l’avambraccio, il gomito è prossimale rispetto al polso, che risulta essere distale. Considerando infine la
mano, il polso è prossimale mentre le falangi sono in posizione distale. Questo discorso vale anche per l’arto
inferiore. La coscia è il segmento prossimale, la gamba è il segmento distale. Il piede è distale rispetto alla coscia,
che è prossimale, ma anche rispetto alla gamba.
-Rispetto a un piano frontale: anteriore o ventrale (ciò che si trova davanti rispetto al piano) e posteriore o dorsale
(ciò che si trova dietro).
-Rispetto a un piano trasversale: superiore o craniale o cefalico (ciò che si trova al di sopra) e inferiore o caudale
(ciò che vi sta sotto).



Abbiamo anche un piano superficiale (cute, sottocutaneo con adiposo), un piano fasciale intermedio
(connettivale, comprendente quindi anche la muscolatura, presente quasi in tutto il corpo), poi parti molli e solo
infine struttura scheletrica. Quindi si considera profonda una struttura più lontana dalla superficie, mentre è
superficiale una struttura più vicina.

Nelle estremità degli arti (mani e piedi) si individuano:
-nella mano un dorso (immagine a sinistra) e un palmo (immagine a destra). Quindi, nella posizione anatomica, la
superficie dorsale è disposta posteriormente, mentre la superficie palmare è rivolta anteriormente.




-nel piede abbiamo una superficie dorsale (immagine a sinistra) e una plantare (immagine a destra).

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In questa immagine si vedono varie sezioni trasversali di varie regioni corporee:


• una sezione di testa che rende visibile il contenuto della scatola cranica (encefalo). La sezione ha
tagliato anche la cavità sovraorbitaria, quindi si vede l’occhio e parte dei muscoli estrinseci
dell’occhio. Si può vedere in posizione centrale la parte superiore della cavità nasale.
• una sezione trasversale a livello del torace; è possibile descrivere questa sezione secondo la
direzione che va dalla superficie alla profondità. Quindi in ordine si notano cute, sottocute,
muscolatura, piano osseo dato dalla gabbia toracica, e nella cavità toracica troviamo infine polmoni
e cuore.
• nella sezione a livello della cavità addominale è possibile sempre descrivere la direzione dalla
superficie alla profondità. Quindi si trovano cute, sottocute, muscolatura della parete addominale e
infine si ha la cavità addominale. A seconda dell’altezza in cui viene condotta questa sezione, si
possono riconoscere i diversi organi localizzati in quella determinata regione. Si vedono il fegato lo
stomaco, il pancreas, l’aorta addominale e la vena cava inferiore. Si vedono inoltre una sezione di
colon trasverso e la milza.
• sezione trasversale a livello di cavità pelvica: si vede il bacino osseo con la testa del femore accolta
nell’acetabolo; nella cavità pelvica invece si rintracciano la vescica urinaria anteriormente e
l’intestino retto posteriormente.

In questa sezione trasversale più grande si osserva la direzione dalla superficie verso la profondità, quindi
osserviamo cute, sottocute, strato intermedio dato dalla muscolatura e dai vasi che scorrono e portano
nutrimento alla muscolatura, mentre nel piano profondo si rintraccia l’osso, che in questo caso è il femore.

Apparato scheletrico

E’ diviso in due parti:
-scheletro assile (più centrale), che comprende cranio, colonna vertebrale e gabbia toracica. È lo scheletro
portante, sostiene il corpo.
-scheletro appendicolare (connesso al primo tramite i cingoli) che forma le appendici e comprende cingoli
e arti (superiori e inferiori).

Funzioni delle ossa:
1. sostegno di tutte le altre componenti del corpo
2. movimento sia passivo (effettuato da un operatore esterno) che attivo (che si realizza grazie alle
articolazioni, ed è determinato dalla contrazione dei muscoli che permettono di modificare la
posizione relativa delle ossa)
3. protezione di cavità. Ad esempio, il cranio protegge l’encefalo, il canale vertebrale accoglie il
midollo spinale, la gabbia toracica protegge i polmoni, il cuore, il fegato.
4. emopoiesi: le ossa, nella loro componente spugnosa, contengono midollo osseo rosso. Nel corso
dell’età questa possibilità di produrre cellule del sangue scompare progressivamente nella maggior
parte delle ossa, ma rimane a livello dell’osso spugnoso dei corpi vertebrali e dell’osso dell’anca.
5. riserva di minerali.


Tipologia:
-Ossa lunghe: prevale la lunghezza sullo spessore e sulla larghezza, con diafisi (o corpo) interposta tra due epifisi,
una prossimale e una distale, e presentano un canale midollare; si trovano principalmente a livello degli arti. Due
esempi sono l’omero e il femore. A livello delle epifisi si trovano le superfici articolari (es. testa del femore con
acetabolo).
In sezione:
Le epifisi, all’esterno, sono formate da osso compatto. Profondamente ad esso troviamo l’osso spugnoso ricco di
midollo osseo rosso.
A livello di corpo (o diafisi) troviamo sempre osso compatto, osso spugnoso e, internamente, la cavità midollare
in cui prevale il midollo giallo che sostituisce progressivamente il rosso.

-Ossa brevi: blocchetti ossei, ad esempio la vertebra (anche se è un osso definito anche irregolare), ma
grossomodo ha lunghezza, spessore e altezza uguali; un altro esempio sono anche ossa di carpo e tarso; sono
esternamente formate da osso compatto, ma internamente da osso spugnoso.
-Ossa piatte: sottilissime, con lunghezza e larghezza che si equivalgono grossomodo. Ad esempio scapola o le ossa
della volta cranica, ma anche coste perché non hanno il canale midollare; hanno due sottili strati di osso compatto
con all’interno osso spugnoso (indicati come tavolato interno e tavolato esterno i due strati di osso compatto e
diploe lo spugnoso).

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A questa classificazione, si possono aggiungere (di poca importanza):
-Ossa irregolari: forma complessa, superfici corte, appiattite, spigolature o incavate, struttura varia. Ad esempio
alcune del cranio e le vertebre. Più nel dettaglio le vertebre sono formate da un corpo da cui si dipartono una serie
di prolungamenti che delimitano il canale vertebrale. Quel canale vertebrale che va ad accogliere il midollo spinale.
-Ossa sesamoidali: nello spessore dei tendini, segmentini ossificati, variano da individuo a individuo tranne la
rotula (o patella) presente in tutti. La patella inoltre è il più grande osso sesamoidale del corpo. È avvolto nel
tendine del quadricipite femorale.

-Ossa suturali: dette Wormiane, sono ossa piccole, appiattite, irregolari, presenti nelle linee di sutura tra le ossa
piatte del cranio. Si sviluppano a partire da centri di ossificazione distinti e sono considerate ossa piatte.

-Ossa pneumatiche: ossa con piccole cellette contenenti aria, che troviamo nello splancnocranio.

Aggiunta dal Martini
Terminologia di superficie ossa
Condilo: processo articolare liscio e tondeggiante.
Cresta: linea rilevata.
Faccetta: piccola superficie articolare piatta.
Fessura: fenditura allungata.
Forame: foro tondeggiante per passaggio di vasi sanguigni e/o nervi.
Fossa: depressione poco profonda.
Meato: ingresso a un canale che attraversa tutto lo spessore di un osso.
Processo: proiezione o rilievo.
Ramo: parte di un osso che forma un angolo con il resto della struttura.
Seno o antro: camera all’interno di un osso, in genere contenente aria.
Solco: piccola fossa.
Spina: processo appuntito.
Testa: estremità articolare espansa di un’epifisi, separata dalla diafisi da un collo.
Troclea: processo articolare liscio e scanalato.
Troncantere: proiezione voluminosa rugosa.
Tuberosità: proiezione rugosa più piccola.
Tubercolo: piccola proiezione rotondeggiante.




Articolazioni
Le articolazioni sono dispositivi giunzionali tra due ossa in rapporto tra loro.
Sono distinte in base alla capacità di compiere movimento o meno in:
• Sinartrosi= articolazioni immobili o scarsamente mobili (sin = con, in
quanto sono vicine), unite da connettivo. Sono strutture “di continuità” in
quanto i due capi articolari si continuano l’un con l’altro mediante tessuto
connettivo. Se scarsamente mobili vengono generalmente indicate come
anfiartrosi.
• Diartrosi = articolazioni mobili. Sono dette articolazione “per contiguità”
perché tra i due capi articolari si viene a stabilire una cavità nota come
cavità articolare. Le due superfici vengono perciò a contatto ma sono
liberamente mobili, possono scorrere l’una sull’altra.

Sinartrosi
Articolazioni fibrose
Tra le superfici articolari è interposto un tessuto fibroso.
1. Suture (e schindilesi): connessioni fibrose tra segmenti scheletrici con ampie superfici ad incastro, le
superfici ossee vengono a contatto perché il connettivo si riduce (es. quelle tra le ossa del cranio). Il
tessuto fibroso diminuisce con l’età. Si distinguono in :
-Sutura dentata (ad incastro, tipo cerniera);
-Sutura squamosa (tagliato di sbieco);

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-Sutura armonica (es. nasali, margine lineare armonico).
La schindilesi è atipica, si trova nello splancocranio, è quella del vomere con una cavità appuntita
dove si infila la cresta dello sfenoide (simile ad una punta di una freccia che entra in una V).
2. Gonfosi: articolazione del dente (alveoli dentali) con osso mascellare e legamento periodontale di
collagene (come un chiodo che
entra nel legno).
3. Sindesmosi: qui il tessuto fibroso
è particolarmente esteso. Si
trovano a livello di alcune ossa,
ad esempio nell’avambraccio (tra
ulna e radio) e nella gamba (tra
tibia e perone). I due capi ossei
sono uniti dalla membrana
interossea, costituita da
connettivo denso fibroso.
Rientrano nelle sindesmosi anche
i legamenti interossei posteriori
dell’articolazione sacro-iliaca. Le
più comuni sono fibrose e sono
anfiartrosi (poco mobili).

Articolazioni cartilaginee
Tra le articolazioni è interposta una cartilagine.
1. Sincondrosi o primarie (con cartilagine di accrescimento) nelle quali ci sono centri di ossificazione
(es. Tra diafisi ed epifisi ma anche tra sterno e 1a costa) con cartilagine ialina (non articolare) ma che
spesso si trasformano in sinostosi, ossificano, come nell'osso sacro o tra occipitale e sfenoide (a
livello del clivo). A sviluppo completato scompaiono.
2. Sinfisi o secondarie, sono superfici articolari ovalari rivestite di cartilagine ialina e tra queste si
interpone un disco fibrocartilagineo (esempio sinfisi pubica, ma anche i dischi intervertebrali). Non
evolvono di norma in sinostosi. Tra un capo articolare e l’altro sono presenti fasci di connettivo che
uniscono un capo all’altro e attraversano il disco di fibrocartilagine.









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Diartrosi
Dette anche articolazioni sinoviali, permettono ampio range
di movimenti, sono le più complesse e sono mobili. Sono più
distanziati i due capi articolari e sono quelle della massima
parte degli arti.
I capi articolari sono rivestiti da cartilagine articolare, quasi
sempre ialina (talvolta fibrosa, es art. temporomandibolare).
La cartilagine avrà due versanti: uno a contatto con l’osso e da
cui ricava nutrimento e uno a contatto con il liquido sinoviale,
povero di cellule ma ricco di fibre collagene disposte
parallelamente alla superficie. La cartilagine è deformabile,
aumenta la superficie di contatto tra un osso e l’altro
distribuendo in modo armonioso le forze che si stabiliscono
tra i capi articolari. Mancando di pericondrio risulta avascolare, ed è vascolarizzata nel solo strato basale.
Essa è lubrificata dal liquido sinoviale, un filtrato viscoso (simile all'albume) dei sinoviociti (alcuni filtrano,
altri sono macrofagi) prodotto dalla membrana sinoviale ed è formato al 95% da acqua, il restante da GAG,
proteine plasmatiche e sali e serve a ammortizzare, nutrire la cartilagine articolare e lubrificare.
Le due cartilagini sono separate da una cavità articolare (non sono a contatto-> bassissimo coefficiente di
attrito e libero movimento). I due capi ossei sono però uniti da una capsula articolare detta anche manicotto
fibroso (di contenimento). È una struttura resistente, vascolarizzata e innervata, spesso rinforzata da
legamenti.
Tale manicotto è formato da due strati: uno esterno, manicotto fibroso, in continuità con il periostio, e uno
interno, la membrana sinoviale, che tappezza la componente fibrosa (del manicotto fibroso e del periostio
delle superfici non di contatto, non ricopre la cart. articolare). Tale membrana va a formare delle evaginazioni
(piccoli villi) vascolarizzate. Si distinguono uno strato subintimale con vasi sanguigni ed uno intimale (o

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luminale) rivolto verso la cavità in cui si notano due
citotipi: i sinoviociti di tipo A, macrofagi che
intervengono nel riassorbimento di detriti della cavità
articolare e nella produzione di enzimi litici; i sinoviociti
di tipo B che assomigliano a fibroblasti e producono
acido ialuronico e lubricina. Questa molecola è una
glicoproteina che con le due estremità idrofobiche si
comporta da olio, permettendo lo scivolamento delle
due superfici articolari.
All’esterno della capsula fibrosa o nel suo stesso
spessore vi sono legamenti di rinforzo, ispessimenti del
manicotto o elementi distinti che danno stabilità
all’articolazione.

Esiste un’erniazione (oltre il limite di inserzione, tra componenti fibrose) della membrana sinoviale, che è un
cuscinetto ripieno del liquido sinoviale, ed è una borsa sinoviale (borsite, infiammazione). Dunque sono
tasche di connettivo rivestite da membrana sinoviale con liquido. Possono essere connesse o separate dalla
capsula e si trovano dove c'è sfregamento tra tendine o legamento ed altro tessuto. Sono strutture che
permettono lo scorrimento, riducono l'attrito.

Talvolta si riscontrano strutture fibrocartilaginee, mantenute


da legamenti (intrinseci ed estrinseci), che si aggiungono per
rendere più armoniche le superfici osse che entrano
nell’articolazione. È il caso dei menischi e dei dischi
articolari ( es. art. temporo mandibolare). Essi si dispongono
tra un capo articolare e l’altro senza il rivestimento della
membrana sinoviale.
Il menisco ha forma ad anello incompleto e il suo spessore
diminuisce progressivamente spostandosi dalla capsula
articolare verso il centro, sino ad annullarsi. Grazie al
menisco, il piatto tibiale, ad esmpio, acquisisce una concavità maggiore tale da adattarsi alla convessità del
condilo del femore. Oltre a rendere più armoniche le superfici, aumenta la superficie di contatto trai capi ossei
distribuendo le forze di pressione.
Il disco articolare è invece un anello completo che si interpone totalmente tra
i due capi articolari.

Tra le specializzazione esistono anche i labbri glenoidei, come quello che


contorna la superficie articolare della scapola che altrimenti sarebbe piuttosto
pianeggiante rispetto alla superficie articolare dell’omero, al contrario molto
convessa ( segmento di sfera). Il labbro glenoideo (o cercine), non si interpone
tra i due capi articolari ma si inserisce sul contorno esterno della scapola, così
da renderla più concava.

Le diartrosi possono essere classificate in vari modi. La libertà di movimento


dipende dal tipo di articolazione.
Tipi di movimento
Tipo di movimento consentito dalle articolazioni.

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- Rispetto al piano frontale: flessione (allontanamento dal piano frontale, tra braccio e avambraccio si
riduce l’angolo e si avvicinano le ossa) ed estensione (aumento dell'angolo tra i capi, avvicinamento al
piano frontale), oltre i 180 gradi si parla di iperestensione. A livello del piede la dorsiflessione riduce
l’angolo la flessione plantare lo aumenta. Lo spostamento in avanti dal piano frontale prende il nome
proiezione, quello indietro retrazione. Sono movimenti che si attuano sul piano sagittale.
- Rispetto al piano trasversale: innalzamento e abbassamento (es. spalla)
- Rispetto al piano sagittale: allontanamento dal piano sagittale abduzione, avvicinamento adduzione,
inclinazione laterale per il tronco; per il piede eversione (allontanamento) e inversione
(avvicinamento)
- Rispetto al proprio asse: rotazione per gli arti e torsione per tronco (rachide). Un esempio è la rotazione
laterale o esterna detta supinazione, rotazione interna o mediale è la pronazione.
- circonduzione, la somma dei movimenti, descrive una forma a cono avente apice a livello
dell’articolazione che consente il movimento. Es. spalla ed anca, che però ha anche massima instabilità.

Forme dei capi articolari

-Artrodìe, hanno faccette lineari e pianeggianti. Permettono movimenti limitati di scivolamento,


scorrimento. Es. carpo, tarso e vertebre tra faccette articolari, ma anche tra tutte le coste e lo sterno, tranne
la prima (sincondrosi).
-Condilartrosi con superfici ellissoidali (simile a un pallone da rugby), una piena e una concava. Il
movimento avviene lungo i due assi. C’è un diametro limitante tra le due superfici perciò la rotazione non è
consentita. Si può flettere, estendere, addurre e abdurre e fare la circonduzione, ossia la somma di questi
due movimenti. Es. Radio-carpica, atlo-occipitale ma anche temporo-mandibolare.
-Ginglimo angolare, sono grossomodo cilindrici, capi articolari con asse perpendicolare alla lunghezza ossea,
come il cardine di una porta. L’unico movimento possibile è la flesso-estensione solamente. Anche detta
troclea. Es. Omero-ulna.
-Ginglimo laterale, grossomodo cilindrici, a perno, i capi articolari sono paralleli alla lunghezza ossa. Un
cilindro pieno, secondo l’asse longitudinale dell’osso, funge da perno (es. testa del radio) e l’altro cavo, ruota
in un anello, costituito in parte da osso in parte da struttura fibrosa. Es. Radio ed ulna, anche tra Atlante ed
Epistrofeo (chiuso da un legamento). Consentono solo la rotazione. Detto anche trocoide.
-Enartrosi o sferartrosi, con segmenti di sfere, una cava e una piena. Non essendoci diametri limitanti sono
possibili tutti i movimenti, limitati solo dalla componente ossea. Es. femore con l’osso coxale.

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-A sella o pedartrosi, con doppia curvatura nei due capi articolari. Le due superfici ossee presentano una
concavità in un senso e una convessità perpendicolarmente alla prima. movimento lungo i due assi simile
alla condilartrosi. È permessa la flesso-estensione, abdurre e addurre ma non la rotazione. Es. clavicola-
sternale, pollice.

SINARTROSI FIBROSE SUTURE Dentata, squamosa,


Fisse o quasi armonica e schindilesi
GONFOSI Alveoli dentali
SINDESMOSI Connettono margini
interossei con
membrane cartilaginee,
anfiartrosi
CARTILAGINEE SINCONDROSI Con centri di
ossificazione, diventano
sinostosi. Es. 1° costa-
sterno; diafisi-epifisi.
SINFISI Ovalari con cartilagine
ialina e disco
fibrocartilagineo. Es. tra
vertebre
SINOVIALI ARTRODÌE Due superfici piatte, Es. tra coste e sterno, tra
Mobili scorrimento. processi articolari
vertebre.
CONDILARTROSI Due superfici ellissoidali. Es. Mandibola e radio-
carpica.
GINGLIMI ANGOLARI o Troclea Cardine di una porta,
cilindrici. Es. Omero-
ulna
LATERALI o Trocoide Uno perno e l’altro ruota
attorno, paralleli alla
lunghezza. Es. Radio-
ulna, Atlante-Epistrofeo
A SELLA Pedartrosi Doppia curvatura. Es. Clavicola-sterno
ENARTROSI Sfera. Es. Spalla e Anca.

Muscoli
Mettono in moto tali articolazioni. Prendono attacco sulle ossa, sia a monte che a valle, tramite un'estremità
fibrosa: o con un singolo fascetto limitato (tendine) o con lamina fibrosa più estesa (aponeurosi).
N.B. Le aponeurosi possono essere di due tipi: di inserzione (appunto lamine estese, tendini membraniformi per
l’inserzione di muscoli) o di contenzione (avviluppano i muscoli impedendo uno spostamento laterale delle fibre
muscolari).
I muscoli hanno un’origine (meglio detta inserzione prossimale) e un’inserzione (distale).
Per quanto riguarda il movimento, la contrazione determina l’accorciamento del muscolo e ci sono casi in cui
una parte del muscolo rimane fissa, detta punto fisso ed è questa ad esercitare la trazione, ma ci sono casi in cui
è esattamente l’altra parte: quindi in alcuni casi l’inserzione prossimale è il punto fisso, mentre in altri può esserlo
l’inserzione distale e cambia di conseguenza il movimento consentito. Per esempio, considerando un muscolo a riposo
che subisce poi una contrazione con punto fisso all’origine, ci sarà il sollevamento dell’osso. Nel caso in cui il punto fisso
nella trazione sia l’inserzione distale, si avrà la flessione dell’osso che si trova a monte.
Ci sono casi in cui il punto fisso può essere bilanciato tra gli attacchi in modo che il movimento coinvolga
entrambe le ossa.

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Scheletro Assile

Colonna vertebrale – Tav. 153

La colonna vertebrale è un asse di sostegno per tutto il corpo e rappresenta una base ampia per l’appoggio
e la mobilità della testa e le vertebre sono le singole ossa che la compongono. Grazie al loro movimento
reciproco, le permettono di essere al contempo rigida ma anche flessibile.
Ha un ruolo importante nella postura e nella locomozione, in quanto garantisce l’inserzione a vari muscoli;
dà alloggio e protezione al midollo spinale e nervi spinali, permettendo a questi ultimi il passaggio e la loro
fuoriuscita; sorregge il peso di testa, collo e tronco e lo trasmette allo scheletro appendicolare degli arti
inferiori.
In sezione sagittale è ben noto l’andamento peculiare della colonna vertebrale, caratterizzato da una serie di
curvature, non evidenti e visibili in sezione frontale (sia in proiezione anteriore che posteriore).
La colonna vertebrale ha origine dalla notocorda, una struttura flessibile che sostiene il dorso durante i primi
mesi di sviluppo e dalla quale origineranno le vertebre, con una serie di tappe che sembrano ripercorrere
l’evoluzione (secondo Haeckel infatti “l’embriogenesi ricapitola la filogenesi”).
È costituita da vertebre, ossa irregolari che presentano diversi processi; è superiormente articolata con i
condili dell’osso occipitale (tramite C1) e termina con il coccige, segmento appuntito residuo della coda. Si
possono individuare diverse regioni dal punto di vista topografico:
Si possono individuare diverse regioni
topograficamente (detti anche rachidi):
• Regione cervicaleà comprende 7 vertebre superiori dette cervicali che compongono lo scheletro del
collo (da C1 a C7);
• Regione toracica o dorsale à composta da 12 vertebre toraciche (T1 – T12) e si articola con le coste;
• Regione lombare à costituita da 5 vertebre lombari (L1 - L5);
• Regione sacrale à formata dall’osso sacro, osso derivante dalla fusione di 5 vertebre (S1-S5);
• Regione coccigea à formata dal coccige, osso risultante dalla fusione di piccolissime vertebre.

Ogni regione svolge funzioni differenti e di conseguenza le caratteristiche delle vertebre variano da segmento
a segmento; in particolare quelle localizzate nelle zone di passaggio, posseggono alcuni tratti anatomici di
entrambe le regioni, perché le vertebre di un segmento acquisiscono gradualmente le caratteristiche della
regione sottostante.
In generale dall’alto al basso aumentano le dimensioni (in quanto aumenta il peso da sostenere) e la colonna,
lunga in media 71 cm, presenta 4 curvature: due hanno convessità in avanti, o lordosi (curvatura cervicale
dall’Atlante al T2 e curvatura lombare da T12 a L3) e due con concavità anteriore, o cifosi (curvatura toracica
da T2 a T12 e curvatura sacrococcigea o sacrale). Le cifosi sono dette curvature primarie in quanto appaiono
durante gli stadi tardivi dello sviluppo fetale, ma anche curvature di accomodazione, dato che si adattano ai
visceri toracici e addomino-pelvici (forma di C del neonato). Le lordosi sono dette curvature secondarie o di
compensazione, perché appaiono mesi dopo la nascita per sostenere il peso della testa e del corpo, nel
momento in cui viene assunta la posizione eretta, completando il loro sviluppo entro i 10 anni. Tra le due
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lordosi, quella cervicale è la prima a definirsi (contemporaneamente ai primi movimenti della testa), mentre
quella lombare si forma per ultima e su di essa grava il massimo carico.
Queste curvature sul piano sagittale sono fisiologiche; esiste anche un’ulteriore curvatura visibile
frontalmente non fisiologica: la scoliosi, derivante dalla deviazione della colonna e da una rotazione delle
vertebre. Essa può essere causata da diversi fattori, come ad esempio un mancato sviluppo, una scorretta
postura ma anche per causa idiopatica.
In sezione frontale è possibile notare a livello toracico una leggerissima concavità verso sinistra che dà spazio
al cuore.
Questa curvatura può essere però diversa tra mancini e destrorsi.

Vertebre – Tav. 19,155


Hanno delle caratteristiche strutturali comuni. Ogni vertebra presenta:
-Anteriormente un corpo relativamente spesso, ovoidale o sferico, che trasferisce il peso lungo l’asse della
colonna; i corpi sono separati da dischi intervertebrali (sinfisi).
-Dal corpo si estende un arco vertebrale (o arco neurale) che delimita il foro vertebrale che, sommato a
quello delle vertebre vicine, va a dare il canale vertebrale, il quale accoglie una struttura nervosa
estremamente delicata, il midollo spinale. Il midollo è protetto dalle meningi ma è in relazione con i nervi
spinali che si fanno strada passando attraverso dei fori intervertebrali (delimitati dalle incisure vertebrali
inferiori e superiori, sotto e sopra al peduncolo). L’arco ha un pavimento (anteriormente), due pareti (detti
peduncoli, che originano dai margini postero-laterali del corpo) e un tetto (lamine, che si estendono dorso-
medialmente).
-Possiedono vari processi sia per l'attacco dei muscoli che per articolazione con le coste o tra le vertebre
stesse. Dalla fusione delle lamine dell’arco vertebrale origina sulla linea mediana un processo spinoso che si
proietta posteriormente e dorsalmente (palpabili). I processi trasversi si proiettano lateralmente o dorso-
lateralmente ad entrambi i lati, dal punto di unione tra lamine e peduncoli. I processi articolari originano
sempre a tale livello e ve ne sono uno superiore e uno inferiore in entrambi lati; quelli inferiori di una vertebra
si articolano con i superiori dall’altra e ciascuno presenta una faccetta articolare, sono artodìe (quelli
superiori hanno la faccetta inclinata dorsalmente, mentre gli inferiori ventralmente).

Nomenclatura delle vertebre:
-Vertebra C1, detta Atlante, che si articola con l’osso occipitale.
-Vertebra C2 Epistrofeo.

Caratteristiche specifiche:

1) Tratto cervicale, C1 - C7 – Tav 19-20

La prima (C1) appunto è Atlante, l’ultima (C7) più voluminosa delle prime si articolerà con la T1. Le loro
dimensioni sono minori rispetto alle vertebre toraciche e lombari, poiché sopportano un carico minore.
Osservando una vertebra cervicale “tipo”, è possibile notare:

-Il Corpo vertebrale é sviluppato soprattutto orizzontalmente; è caratteristico in quanto non molto spesso,
ma presenta un margine inferiore sporgente che va a sovrapporsi parzialmente al disco intervertebrale. Ci
sono poi degli uncini, sollevamenti del margine superiore detti “a poltroncina”. Dunque, le vertebre sono
particolarmente salde tra loro.
-Forame vertebrale relativamente ampio rispetto alle dimensioni complessive della vertebra e alle
dimensioni del corpo (nel tratto del canale cervicale il midollo presenta un rigonfiamento perché da origine
ai nervi che innevano gli arti superiori).
-Il processo spinoso da C3 a C6 è spesso bifido (non sempre).
- Le faccette articolari superiori, superfici che sono pianeggianti, lineari, quasi completamente orizzontali
-Ci sono i processi trasversi, simmetrici per lato, che non sono due processi singoli, ma sono formati da due
rami, che culminano con due tubercoli (tubercolo anteriore e posteriore), e delimitano un foro, forame

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trasversario (due per vertebra). Tali fori sono occupati da vasi, non piccoli, con un passaggio simmetrico: in
ogni foro un’arteria, una o due vene satelliti: vasi vertebrali.
Osservando la sezione sagittale, troviamo l’arteria vertebrale che origina dalla succlavia che si inserisce a
livello dei fori trasversali di C6, li attraversa tutti salendo verso atlante e vi si appoggia; va poi a perforare
una membrana (detta atlo-occipitale posteriore) e si dirige all’interno del cranio, in quanto assieme alla
carotide interna è uno dei due sistemi di irrorazione dell’encefalo, meningi e strutture interne del cranio.
L’arteria vertebrale può̀ non passare da C6, ma nel 90% dei casi entra a questo livello. Quindi è possibile
trovare una percentuale di varianti, ad esempio, nel 2% dei casi può passare da C7. Dunque, C7 presenta
fori trasversali, ma meno sviluppati e in genere presenta solo le vene.
Le vene vertebrali invece scendono dal cranio verso i sistemi venosi di raccolta (scendono attraverso tutti i
fori).
Particolarità̀:
-La C7 (figura 6) anche detta vertebra prominente, di confine, infatti si articola con T1, palpabile, presenta
solo vasi venosi nei fori trasversali. Le due lamine si uniscono in un processo spinoso unico, molto più
sporgente, prominente e voluminoso rispetto a C1-C6 e non bifido (come spesso da C3 a C6) e già si orienta
verso il basso.


-Nella C6 il tubercolo anteriore è più sporgente, più prominente, e viene chiamato tubercolo carotico
(carotideo) o di Chassaignac, perché si delinea uno spazio lasciato da una arteria detta carotide
(importante punto per comprimere la carotide in emorragia). La carotide, a differenza della vertebrale,
resta fuori, decorre tra processi trasversi e corpi (appunto tra tubercolo carotico e corpo della C6).
-Atlante, così chiamata perché sorregge il peso della testa (fatica di Atlante): manca del corpo vertebrale,
dunque presenta due archi anteriori che vanno a delimitare il foro e al posto del corpo una sporgenza,
tubercolo anteriore (posteriormente a questo tubercolo, nel foro, troviamo una superficie articolare, che
sarà una faccetta articolare, tale da accogliere un processo della C2). Ha un foro vertebrale molto ampio. Le
superfici articolari reniformi, un po’ ad S, per l’articolazione atlo-occipitale con l’osso occipitale. Poi, come
le altre, presenta processi trasversi con i fori trasversali, un arco posteriore con due lamine che si uniscono
in un tubercolo posteriore, che non è un vero e proprio processo spinoso e si trova sulla linea mediana al
culmine dell’arco posteriore. C’è un solco (a lato), sull’arco posteriore, lasciato dall’arteria vertebrale, che
si appoggia per poi proseguire verso il cranio. Tale foro vertebrale è così grande in quanto contiene anche
un processo dell’epistrofeo. Anche inferiormente, ci sono dei processi articolari, che formeranno
l’articolazione con i processi articolari superiori dell’Epistrofeo.
-Epistrofeo o Asse, determinante nel permettere, attraverso l’articolazione con l’Atlante, la rotazione del
capo: ha un corpo, simile alle altre, robusto e voluminoso, il margine inferiore é sempre sporgente,
presenta i fori trasversali sui processi trasversi. Dal processo superiore parte un processo cilindrico che
prende il nome di Processo dontoideo, che funge da corpo dell’Atlante, mobile, e presenta delle superfici
articolari. La parte anteriore del dente sarà a contatto con la superficie articolare interna all’arco anteriore
(dove esternamente troviamo il tubercolo anteriore) dell’atlante (faccette del dente), mentre la parte
posteriore al dente avrà un legamento (legamento trasverso dell’atlante). Particolare tipo di articolazione
a perno, ginglimo laterale, consente movimento di rotazione della testa. Il foro dell’Atlante è ristretto
dunque dal Dente e dall’apparato legamentoso che tiene salda l’articolazione. Anch’esso presenta le
superfici articolari superiori, ovoidali, che vanno a corrispondere alle superfici articolari presenti
inferiormente nell’atlante e le superfici inferiori che andranno a corrispondere alla vertebra C3. La parte
inferiore assume le caratteristiche di una vertebra cervicale tipo, dove ci sono le due lamine e il processo
spinoso bifido.

[Laminectomia = tagliare lungo le lamine, per esporre il midollo]


2) Vertebre toraciche, T1 - T12:
La C7 assomiglia molto alle toraciche. T11 e T12 assomigliano più̀ alle lombari. La curva di cifosi caratterizza
questo tratto della colonna.
-I corpi sono sviluppati anche in altezza, aumentano di dimensioni, i processi spinosi sono via via più̀
sporgenti, non più bifidi e si orientano verso il basso, si impilano l'uno sull'altro. Il foro è ristretto rispetto
alle cervicali e lombari. I processi trasversi non complicati, singoli, rivolti obliquamente in fuori e
lievemente indietro, con le stesse caratteristiche delle vertebre in generali, non presentano più i fori

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trasversari, caratteristica peculiare delle vertebre cervicali.
-Ci sono superfici articolari alcune con faccette ovali complete altre sono superfici articolari aggiuntive
con faccette che formano un ovale a metà, peculiari di questo segmento di colonna vertebrale: partecipano
alla gabbia toracica e si articolano dunque con le 12 paia di coste (n.b. ossa piatte, non lunghe) e che
anteriormente si articolano con l’osso impari sterno. Particolare è l'assetto delle coste: un’arcata inferiore
simmetrica che scende più in basso rispetto allo sterno (alcune si articolano direttamente allo sterno e altre
no) e questo si riflette anche nella modalità̀ di articolazione con le vertebre. Questa articolazione avviene su
due livelli, poiché ogni costa si articola con una vertebra, sia a livello del corpo vertebrale che a livello del
processo trasverso, in corrispondenza delle faccette costali. Tali faccette sono una alla base del corpo, tra il
corpo e il peduncolo (faccetta costale inferiore), una fra corpo e processo trasverso (faccetta costale
superiore) e una sul processo trasverso (faccetta costale trasversaria). Andando verso il basso (le ultime due
paia, dette coste fluttuanti, sono più̀ brevi e non hanno il tubercolo che corrisponde al processo trasverso)
le vertebre non hanno faccette sui processi trasversi (che corrispondono al tubercolo della costa, anche
numericamente).
-Dunque troviamo su T1 una (1) faccetta articolare completa alla base superiore del corpo (che si articola
con la testa della 1° costa) ma, sempre sullo stesso corpo, a livello inferiore, trovo un'altra faccetta, più
piccola, (2) emifaccetta, viene completata da un'altra emifaccetta che si trova su T2 e quindi in mezzo, in
corrispondenza del disco intervertebrale, si posiziona il 2° paio di coste. T1 si articola sia con il primo paio
che con il secondo dunque. Sulla testa della costa ci sono 2 emifaccette che corrispondono a quelle due
sulle vertebre.
Il 10° paio di coste si articola tra T9 e T10 (non sempre), infatti T10 non presenta un’emifaccetta nella parte
inferiore del corpo, l’11° e il 12° (le ultime due paia di coste, fluttuanti, sono atipiche, sono coste brevi e
non hanno il tubercolo per i processi trasversi) si articolano soltanto col la vertebra corrispondente al
proprio livello, rispettivamente nelle vertebre T11 e T12, le quali hanno dunque solo una faccetta articolare
completa. Nei processi traversi fino a T10 è presente una faccetta articolare costale, perché ciascuna costa
si articola con la vertebra anche a livello del processo trasverso in corrispondenza del tubercolo costale, in
questo caso c’è una corrispondenza diretta tra il numero del paio di coste e il numero della vertebra,
mentre la testa si articola con i corpi vertebrali. Invece in T11 e T12 non sono presenti le faccette articolari
costali, poiché le vertebre con le quali si articolano (11° e 12° paio di coste), sono atipiche, fluttuanti e
mancano del tubercolo costali. Tali T11 e T12 inizieranno ad assomigliare alle lombari, possiedono un
processo trasverso meno sviluppato e meno regolare, più breve, più tozzo, ma soprattutto più voluminoso
e più̀ tozzo è il processo spinoso derivante da lamine più sviluppate longitudinalmente. Il processo
articolare inferiore sembra parte del processo spinoso (Netter, tav. 154). Le toraciche si sovrappongono le
une alle altre, mentre quelle lombari no.

3) Vertebre Lombari, L1 - L5, Tav.157:


Vanno fino alla base del sacro, che si articola a sua volta con le ossa coxali. Le vertebre lombari sono cinque
e vanno progressivamente ad aumentare di dimensioni. In particolare, abbiamo un corpo estremamente
voluminoso, quasi cuneiforme, e dei processi a loro volta robusti, proporzionati a quest’ultimo (come lo
saranno anche i dischi intervertebrali che vedremo in seguito). Non sono presenti invece le faccette articolari
per le coste che invece erano presenti sui processi trasversi delle vertebre toraciche. La T12 è una vertebra
di transizione che sta iniziando ad assumere le caratteristiche del tratto lombare.

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In questa immagine si può identificare un rigonfiamento della porzione laterale del processo articolare
superiore, presente su entrambi i lati, che viene definito il processo mammillare. Il processo accessorio invece
è una sporgenza, una sorta di spina, che si trova posteriormente al processo trasverso.


Nell’immagine sottostante si possono vedere posteriormente vertebre lombari articolate fra loro. Inoltre,
guardando il piano sagittale, si riesce a percepire l’andamento del processo spinoso, che è molto più breve
di quello del tratto toracico, e che ha la forma di un’ “ascia”: breve, tozzo e alto, così come le due lamine che
si uniscono a formare il processo spinoso.

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-Corpo più grosso (altezza maggiore). Processo spinoso alto ma più breve, ad ascia.

Questa immagine serve a chiarire la struttura di una tipica vertebra lombare e in particolare dei due processi
tipici delle vertebre lombari: il mammillare e l’accessorio. In questa immagine il processo trasverso è definito
costiforme, perché appunto risulta essere un residuo del passaggio filogenetico delle coste (negli animali
anche nel tratto lombare).

L5 è quella vertebra che si articola con interposizione di un disco intervertebrale con la prima vertebra
sacrale, S1. Inoltre, la curvatura si inverte: infatti la colonna lombare si trova in posizione di lordosi, mente
nella posizione del sacro e del coccige si ritrova la cifosi, già presente a livello toracico.
In sintesi:
-Processo trasverso si porta infuori, più tozzo, detto spesso processo costiforme e dietro ad esso,
medialmente, c’è un piccolo rilievo, detto processo accessorio, che sarà un attacco muscolare e che segna la
faccia postero-inferiore di ogni processo trasverso (tra il trasverso e il mammillare). Il processo costiforme è
un residuo delle coste (nell'uomo presenti solo a livello toracico): a livello cervicale quel tubercolo anteriore
è il residuo delle coste (detto infatti processo costale), nelle lombari il processo costiforme è il residuo della
costa che si è fusa con questa parte laterale e il processo accessorio sarebbe il residuo del processo trasverso
primitivo.
Il processo mammillare invece è una parte più rigonfia e ruvida dei processi articolari superiori delle lombari,
lungo il loro margine postero-laterale. Il mammillare e l’accessorio sono tenuti insieme da un legamento
mammillo-accessorio sotto al quale passa il ramo dorsale del nervo spinale.
La L5 è la più grossa.
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4) Osso sacro, S1 – S5 – tav 157:


andando a scaricare il peso sull’arto inferiore. Si assottiglia nella parte inferiore fino all’ossicino che
sviluppato
ed è un osso unico, considerato a se stante per questa sua particolare conformazione. È molto più
L’osso sacro risulta dalla fusione di 5 vertebre sacrali, sinostosi che avviene quasi attorno ai 20 anni,
all’osso
deriva dalla fusione delle 5 vertebre, che termina appuntito: il coccige.
iliaco
nella
tramite
parte l’articolazione
superiore perché
sacro-iliaca,
riceve il carico
andando
del a
peso
formare
corporeo
il cingolo
prima pelvico,
di trasmetterlo
e infine
Nella parte superiore ritroviamo qualcosa che ci fa ricordare il corpo (base del sacro), opposto all’apice.
Possiamo individuare due facce:

1. la faccia anteriore (pelvica) concava, levigata e liscia, presenta linee orizzontali (o trasversali) di fusione
delle vertebre sacrali (S1 – S5).
Ai lati delle linee trasversali ci sono dei fori simmetrici, fori sacrali anteriori (4 paia).
Si possono riconoscere i corpi vertebrali, in particolare il corpo di S1 dove vediamo il piatto vertebrale -
superficie superiore, che rappresenta la base del sacro- rivestito da uno strato di cartilagine ialina. Su questo
corpo poggia il disco intervertebrale tra L5 e S1. Ai lati troviamo le fusioni di tutti i processi trasversi e nella
parte superiore più voluminosa si parla di due ali, dette appunto ali del sacro (residuo costale a livello sacrale).
Poi si individua un punto, il più sporgente e mediano della base del sacro, detto promontorio sacrale (utile
per ostetricia). Nella faccia anteriore si osservano anche i processi articolari superiori di S1, che rimane la
vertebra sacrale meglio conservata.


2. la faccia posteriore (dorsale) convessa (cifosi sacrale) e accidentata, spiegato dal fatto che nell’anatomia
di una “vertebra tipo” è proprio la parte posteriore, dell’arco e i dei suoi diversi processi, che è
anatomicamente la più complessa.
Posteriormente vediamo su S1 un foro che poi continua anche all’interno degli altri segmenti sacrali, dunque
è un ingresso in un canale sacrale che si estende lungo le prime 4 vertebre sacrali, completato posteriormente
dalle lamine fuse. Fusi anche i processi spinosi rimasti sotto forma di tubercoli che danno origine alla cresta
sacrale mediana. L’ultimo paio di lamine però non si salda, andando a formare un’apertura per il canale
sacrale: lo Hiatus sacrale. L’ingresso del canale sacrale invece si trovava dietro al corpo di S1, tra i processi
articolari superiori. La Spina bifida è la mancata saldatura del tubo neurale, dove abbiamo non solo aperte le
ultime lamine, ma anche l’apertura di lamine sacrali superiori, con la conseguente esposizione di radici
nervose. Le ultime due lamine, che delimitano appunto lo hiatus, non si saldano e presentano dei tubercoli
che, essendo sporgenti, sono detti corni sacrali.
Superiormente ai lati ci sono due processi articolari superiori per l’articolazione con i processi articolari
inferiori di L5.
Dunque a partire dal centro ritroviamo: sulla linea mediana, la cresta sacrale media o mediana (data appunto
dai processi spinosi rimasti sotto forma di tubercoli, fusi tra loro), più scavato ai lati perché c'erano le lamine;
cresta intermedia molto poco accentuata ad entrambi i lati, si trova andando a scendere dai due processi
articolari e deriva dalla saldatura dei processi articolari delle vertebre sacrali; poi troviamo i fori sacrali
posteriori; lateralmente le creste sacrali laterali, che sono simmetriche e derivano dalla saldatura dei

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processi trasversi. La funzione dei fori, anteriori e posteriori, è quella di permettere la fuoriuscita dei rami dei
nervi spinali anteriori e posteriori, rispettivamente.

Lateralmente, in sezione sagittale, ci sono due ampie superficie articolari nella parte superiore, dette anche
faccette auricolari, a forma di padiglione auricolare, che si articolerà con un’analoga superficie articolare
sull’osso iliaco -che forma il cingolo pelvico- per costituire l’articolazione sacro-iliaca. Dietro a queste faccette
si trova una zona molto rugosa e accidentata che darà aggancio a dei legamenti che partecipano
all'articolazione (rendendola quasi immobile) ed è detta tuberosità sacrale.

A destra la porzione superiore del sacro dove c’è la base del sacro, l’ingresso del canale sacrale e la cresta
sacrale media. A sinistra una sezione sagittale. Ben visibili i corni coccigei -sporgenze sulla prima vertebra
coccigea, CO1- che contribuiscono, insieme ai corni sacrali, a fornire un punto di repere per l’accesso allo
hiatus sacrale.

-Il midollo contenuto nel canale vertebrale, non arriva fino in fondo a tutto il canale ma si arresta circa a
livello di L2; tuttavia si prolungano i nervi spinali e proseguono formando una struttura caratteristica, la cauda
equina, posteriormente é aperta la dura madre. I nervi sacrali devono scendere ancora (posteriori e anteriori)
e passano rispettivamente attraverso fori posteriori e anteriori del sacro (nel canale sacrale si sono divisi in
rami anteriori e posteriori).


[L'anestesia epidurale (anestetico che va oltre il sacco della dura madre): l'anestetico è iniettato sempre sotto
le L2 - L3 per non prendere il midollo, ma anche nello hiatus sacrale, appunto nello spazio epidurale. Per la
palpazione servono anche i Corni del sacro, ma anche sporgenze della prima vertebra del coccige (Corni del
coccige) e due processi trasversi rudimentali (coccige per il resto ha solo piccoli segmenti vertebrali fusi).]

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Con il termine "scheletro del torace" si intende considerare le dodici paia di coste, le dodici
vertebre toraciche e lo sterno; esso va a costituire la gabbia toracica, che delimita la cavità
toracica.
E’ importante osservare che, parlando di "cavità" toracica (e di "cavità" intercostale), si vuole far
riferimento alle cavità presenti considerando soltanto lo scheletro, poiché queste cavità sono, in
realtà, occupate dai visceri, dai muscoli, dai vasi sanguigni e dai nervi.

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23
La gabbia toracica è una struttura convessa lateralmente e anteriormente, le cui dimensioni
aumentano progressivamente dall'alto verso il basso; è dotata di una grande resistenza agli urti e alle
compressioni, ma è anche flessibile, per consentire al torace di cambiare forma durante gli atti
respiratori.
Considerata la dimensione ridotta dello sterno rispetto alla cassa toracica, la quale ha un'apertura
inferiore meno regolare, vengono a formarsi due arcate costali ai lati dello sterno.
Quindi si delimitano due aperture della gabbia:
-Un'apertura superiore più stretta, delimitata posteriormente da T1, anteriormente dall'incisura
giugulare dello sterno e lateralmente dal primo paio di coste. Permette il passaggio di strutture
anatomiche tra torace, collo e arto superiore.
-Un'apertura inferiore più ampia, chiamata toracica, perché è parte della gabbia toracica, ma prende
anche rapporto con gli organi addominali.

Coste-Tav. 183, 184


Sono 12 paia di ossa piatte; anche se di forma allungata, si articolano con le vertebre toraciche della
colonna vertebrale posteriormente e anteriormente (ad eccezione delle due ultime paia), e con lo
sterno. Costituiscono la cassa toracica che protegge le strutture della cavità toracica e parte della
cavità addominale.
La cavità toracica è separata da quella addominale tramite un muscolo cupoliforme, il diaframma,
che si inserisce nelle ultime 6 paia di coste.

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Le prime 7 paia sono dette coste vere (*per puntualizzare, secondo la prof non si può parlare di
coste vere o false, ma solo di fluttuanti o non), o pure o sternali, in quanto si articolano
direttamente con lo sterno tramite segmenti cartilaginei indipendenti (cartilagini costali), che
aumentano gradualmente di dimensioni dall'alto verso il basso.
Fino alla sesta o settima costa, aumentano il raggio di curvatura e la lunghezza.
Le coste dalla ottava alla decima sono dette coste false (o vertebro-condrali), perché si articolano
indirettamente allo sterno.
Le porzioni cartilaginee mediali, infatti, si connettono a quelle della costa sovrastante, formando
un'arcata.
La 11 e la 12 sono dette coste fluttuanti, poiché non si articolano con lo sterno e hanno dimensioni
ridotte; possiedono comunque dei segmenti cartilaginei liberi e appuntiti alle estremità anteriori.

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Struttura

Una costa tipica presenta due estremità, una anteriore e una posteriore.
L’estremità posteriore (vertebrale) si compone di una testa, di un collo e di un tubercolo.

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La testa della costa presenta una superficie articolare divisa in due faccette, una superiore e una
inferiore, dalla cresta ossea (la cresta della testa della costa).
Le due faccette si articolano con le faccette corrispondenti del corpo di due vertebre toraciche
contigue; fanno eccezione T11 e T12, che hanno una faccetta intera, e T1, che ha una faccetta per il
primo paio di coste e un'emifaccetta.
Il collo è una porzione ristretta, al quale segue un rilievo tozzo e rugoso, rivolto dorsalmente e
inferiormente, il tubercolo costale o tubercolo della costa.
Sul tubercolo costale è presente una faccia articolare, di forma ovale, che si articola con il processo
trasverso della vertebra corrispondente.

Gran parte dell'estensione della costa è data dal corpo, che è appiattito e presenta un cambiamento
di direzione: inizialmente si dirige posteriormente, poi effettua una curva, l'angolo costale,
portandosi lateralmente, e infine si dirige anteriormente, dove si articola con la cartilagine costale.
Ad eccezione del primo paio di coste, il corpo presenta una faccia esterna convessa e una faccia
interna concava che dà inserzione ai muscoli del cingolo toracico e del tronco.
Le facce sono separate da un margine superiore smusso, uniforme e liscio e da un margine inferiore
affilato.
Nella faccia mediale interna del margine inferiore è presente il solco costale, nel quale passano
arterie, vene e nervi intercostali, avvolti in una guaina comune a formare il fascio vascolo-nervoso
intercostale principale.
Si parla di fascio principale poiché sono presenti altri fasci nel margine superiore, tuttavia, essendo
costituiti da rami collaterali dei rami del fascio principale, sono di dimensioni troppo ridotte per
scavare un solco.
La differenza tra i margini è uno dei due metodi più comuni per capire se si sta osservando una
costa di destra o di sinistra.
Il secondo metodo è trovare la testa: l'altra estremità si articola con la cartilagine costale ed è
ovalare.

Caratteristiche particolari

Le prime due coste sono orizzontali (presentano quindi un margine superiore e uno inferiore) e

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delimitano l'apertura del torace, mentre le altre hanno un andamento via via sempre più obliquo.

La prima costa presenta superiormente due solchi verso l'attacco intercostale: quello anteriore è
lasciato dalla vena succlavia, quello posteriore dall'arteria succlavia.
I due solchi sono separati da un rilievo che dà attacco al tendine del muscolo scaleno anteriore, il
tubercolo dello scaleno.
Appena posteriormente e lateralmente, è presente l'attacco del tendine del muscolo scaleno medio.
La vena e l'arteria succlavia hanno un decorso caratteristico, piegano con concavità verso il basso e
passano sotto la clavicola.
L'arteria succlavia si dirige lateralmente per diventare arteria ascellare e poi arteria brachiale, al
fine di vascolarizzare l'arto superiore. Ha origine dal tronco brachiocefalico.
Dall'arteria succlavia si origina inoltre l'arteria vertebrale, che si dirige posteriormente, si infila nel
foro trasversale di C6, prosegue nel foro dell'atlante ed entra nel cranio.
Dalla vena succlavia si distacca la giugulare interna.
In aggiunta, sulla prima costa passano i tronchi del plesso brachiale.

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La seconda costa dà inserzione al muscolo scaleno posteriore.
Tra le coste non ci sono spazi aperti, bensì dei muscoli (intercostali), che modificano la posizione
delle coste: alcuni le sollevano, altri le abbassano, modificando i volumi della cavità toracica e
intervenendo nella respirazione.

29
30
Formazioni legamentose che fanno parte dei legamenti tra coste e sterno, coste e colonna vertebrale
e muscoli intercostali.

Sterno

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Lo sterno è un osso piatto, impari e mediano.
Si articola con le prime 10 coppie di coste, ma anche con la clavicola e con la scapola, le quali
vanno a formare il cingolo scapolare che rappresenta la comunicazione tra scheletro assile e
scheletro appendicolare.

Lo sterno è formato da tre parti, unite tra loro con una sincondrosi che tende a ossificare:

• La parte cervicale, di forma trapezoidale, prende il nome di manubrio sternale. Presenta sul margine
superiore l'incisura giugulare, impari e mediana, e lateralmente a questa, due incisure clavicolari pari e
simmetriche (articolazione sternoclavicolare). Inferiormente alle incisure clavicolari, sono presenti due
incisure costali (articolazione con la prima costa).

• La parte più estesa in lunghezza, che si proietta verticalmente, prende il nome di corpo, è unita al manubrio
con l'articolazione manubriosternale che generalmente ossifica del tutto dopo i 25 anni.

• La parte appuntita caudale, detta processo xifoideo, è molto variabile (a volte è bifido o lievemente inclinato
su un lato)

Vedendolo sagittalmente, si apprezzano le superfici articolari: l’incisura costale (attacco della prima
costa), l'incisura per la cartilagine della seconda costa tra manubrio e corpo, poi, fino alla 7°, le
incisure lungo il corpo, in quanto 8, 9 e 10 non vi si connettono direttamente.
E' inoltre apprezzabile una convessità ventrale nell'angolo sternale, o angolo del Louis
(sincondrosi), che è il punto di connessione del secondo paio di cartilagini costali, ossia un punto di
repere (di riferimento) per individuare il secondo spazio intercostale per l’auscultazione dei toni
della valvola polmonare e aortica.
L'angolo del Louis corrisponde a T4 sulla colonna vertebrale, anch'esso un punto di repere per la
biforcazione della trachea e il passaggio tra arco aortico e aorta discendente.

*Aggiunta su Membrane
Membrane: epiteli e tessuti connettivi si combinano a formare membrane, formate da un foglietto epiteliale e da uno strato di
connettivo sottostante, che coprono e proteggono altri tessuti e strutture del corpo.
a. Membrane mucose ricoprono i condotti che comunicano con l’esterno, quindi tratti del digerente, urinario, genitale e
respiratorio. Bloccano l’ingresso di patogeni e l’epitelio è continuamente lubrificato dal muco o da secrezioni ghiandolari e da liquidi
come urina e sperma. Il tessuto areolare (connettivo lasso) che fa parte della membrana mucosa si chiama lamina propria, che
fornisce sostegno per i vasi e i nervi che riforniscono l’epitelio. A volte sono rivestite da epiteli semplici con funzioni assorbenti o
secretorie come l’epitelio cilindrico semplice del tubo digerente, ma nella bocca ad esempio abbiamo anche un pavimentoso
stratificato, mentre nelle vie urinarie un epitelio di transizione.
32
b. Membrane sierose ricoprono le suddivisioni della cavità ventrale del corpo e sono tre, tutte costituite da un mesotelio (pavim.
semplice) sostenuto da tessuto areolare. Esse sono la pleura per le cavità pleuriche, il peritoneo per la cavità peritoneale e il pericardio
per il cuore. Sono sottili e strettamente adese alle pareti e all’organo. I foglietti parietale e viscerale sono in stretto contatto e la loro
funzione è ridurre l’attrito. Sono relativamente permeabili e i liquidi tissutali diffondono sulla superficie esposta rendendola umida.
Il liquido sulla superficie della membrana è detto trasudato.
c. Membrana cutanea o cute ricopre l’intera superficie corporea, costituita da un epitelio pavimentoso stratificato cheratinizzato
e da un sottostante strato di tessuto areolare, rinforzato da uno strato di connettivo denso. È spessa, relativamente impermeabile e
asciutta in superficie.
d. Membrane sinoviali sono estese aree di tessuto areolare rivestito da un superficiale strato incompleto di cellule pavimentose
o cubiche. Nelle articolazioni ad esempio vi è contatto tra due ossa ed esse sono avvolte in una capsula fibrosa e contengono una
cavità articolare rivestita da membrana sinoviale. A differenza di altri epiteli, tale membrana, si sviluppa all’interno del connettivo,
non possiede lamina basale o reticolare, è incompleta e le cellule epiteliali derivano da macrofagi e fibroblasti del connettivo, alcune
sono fagocitiche o secretorie; queste ultime producono il liquido sinoviale contenuto nella cavità e che serve a lubrificare le cartilagini,
a dare ossigeno e nutrienti e ad ammortizzare.


Articolazioni Colonna vertebrale (tav.22,23,158,159,183,184; gray da pag 748 a 762)

Le vertebre da C2 a S1 sono articolate per mezzo di articolazioni sinoviali tra i loro processi articolari
(artrodìe), per mezzo di articolazioni cartilaginee secondarie (sinfisi) tra i corpi vertebrali, per mezzo di
articolazioni fibrose (sindesmosi) tra le lamine e i processi spinosi e trasversi. Dalla C3 alla C7 ci sono
articolazioni uncovertebrali o neurocentrali (tra processi uncinati), assenti alla nascita.

-Articolazioni Zigapofisarie (tav 22,159)
Sono articolazioni sinoviali (artrodìe) che si instaurano tra processi articolari superiori e inferiori di vertebre
adiacenti, sono contenute da capsule articolari. Le faccette sono ricoperte da cartilagine ialina e consentono
piccoli movimenti che sommati determinano flessione, estensione, flessione laterale e rotazione della
colonna.
-Sinfisi (pag 749, tav.158,159)
Connessione a livello dei corpi: i due corpi hanno un rivestimento di cartilagine ialina e tra loro si interpone
un disco intervertebrale fibrocartilagineo, che realizza una sinfisi e media il rapporto tra i corpi vertebrali. I
dischi hanno dimensioni in proporzione alle dimensioni del corpo e al tratto in cui si trovano (sono in totale
1/5 della lunghezza della colonna). Sono presenti lungo quasi tutta la colonna, da C2 a S1(assenti tra atlante
ed epistrofeo).
In sezione i dischi intervertebrali non sono omogenei, ma hanno due parti:
-Un anello periferico fibroso come involucro esterno (anello perché le fibre sono disposte in maniera
abbastanza regolare intorno al nucleo polposo), che presenta a sua volta due strati:

1. Strato esterno di lamelle/fibre collagene di tipo I, si incrociano e connettono i margini dei corpi;
1. Internamente anello fibrocartilagineo (collagene di tipo II).

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-Internamente/Dentro
il nucleo polposo, gelatinoso, quasi trasparente, in buona parte dato da acqua (circa 90%),
mucopolisaccaridi (GAG), ed è un residuo della corda dorsale embrionale (notocorda). Già dai 10 anni
inizia a cambiare: l’anello fibroso (e in parte la cartilagine che riveste i corpi vertebrali) lo invade e il
nucleo viene gradualmente sostituito dal tessuto fibroso cartilagineo, in maniera progressiva (collagene
II diventa simile al tipo I e il nucleo è meno idratato).

Il materiale della notocorda (tessuto cordoide) viene sostituito dalla cartilagine ialina che riveste il corpo
vertebrale; è importante ricordare che questi dischi interposti tra i piatti vertebrali (superfici dei corpi
vertebrali) sono in realtà adagiati su quella cartilagine ialina prima citata che riveste il corpo su ambedue
le facce. A livello dei corpi vertebrali si realizza infatti una sinfisi: due superfici rivestite da cartilagine
ialina e interposto un disco fibro-cartilagineo.

In figura è visibile il tessuto spugnoso della vertebra, ricco di vasi sanguigni che si collegano a pori appena
sotto la cartilagine ialina.

Il nucleo polposo è dunque un cuscinetto che va ad ammortizzare/uniformare tutte le pressioni e a


distribuire il peso sulla superficie dei corpi vertebrali delle vertebre contigue. Anteriormente sono più
spessi così contribuiscono alla convessità anteriore, nelle zone cervicale e lombare; mentre la concavità
nella parte toracica è dovuta per lo più ai corpi vertebrali. I dischi aderiscono a strati sottili di cartilagine
sulle superfici dei corpi vertebrali superiori e inferiori: le placche vertebrali, che non raggiungono la
periferia ma restano racchiuse dall'anello apofisario (zona di ancoraggio tra anulus e corpo vertebrale,
tav159, p. 749). Le fibre cartilaginee delle placche con quelle dello strato dell'anulus fibroso formano una
sfera che racchiude il nucleo polposo.

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La colonna può essere sottoposta a:

-Piccole sollecitazioni, di breve durata: nella giornata se il corpo sta molto in posizione eretta, il peso che
grava sul rachide e la pressione sui dischi causa la fuoriuscita di acqua dal nucleo polposo, che va a finire
verso il centro dei pori vertebrali nel piatto vertebrale. Il disco sarà molto meno idratato e questo va a
ridurne lo spessore. Può diminuire fino a 2 cm la lunghezza della colonna. Poi, durante il riposo
(specialmente in posizione di decubito dorsale (steso supino), alleggeriamo il carico e si ha
riassorbimento del liquido dal corpo vertebrale, in particolare da quei piccoli vasi presenti nei pori del
tessuto spugnoso.

-Sollecitazioni di lunga durata (lenta ma prolungata): con il passare degli anni si spiega la perdita di
elasticità, ridotto contenuto di acqua (vedi negli anziani). La mobilità della colonna vertebrale deriva dalla
capacità di adattamento dei dischi intervertebrali. In alcuni casi vi è uno spostamento eccentrico del
nucleo polposo, in altri vi è erniazione (ernia del disco): è la rottura dell'anello fibroso con fuoriuscita del
nucleo polposo causato da traumi; sintomatologia dolorosa in quanto nel canale vertebrale c'è il midollo,
che viene compresso.
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(Nei giovani è più probabile che un trauma causi la frattura della vertebra piuttosto che l’erniazione del
disco)

[Si verifica tra i 20 e 55 anni, in genere L3-L4, L4-L5, L5-S1 o C5-C7, raramente nelle toraciche; lo strappo
acuto o la degenerazione cronica delle lamelle posteriori dell'anulus fibroso permettono l'erniazione e
spesso il disco prolassa lateralmente al legamento longitudinale posteriore e può comprimere uno o due
nervi spinali; più raramente è a livello della linea mediana].

N.B. C'è miglior corrispondenza a livello delle vertebre cervicali ("poltroncina") e questo limita il
movimento del disco.

Ci sono altri due dispositivi che favoriscono la sinfisi: ci sono due lamine continue in senso longitudinale,
sia anteriormente che posteriormente ai corpi, che si chiamano legamenti longitudinali anteriore e
posteriore(tav.158,159, pag 752) che assicurano il mantenimento in posizione dei dischi intervertebrali:
il primo va da occipitale (il più mediano della la membrana occipito-atlantoidea anteriore), fino all’osso
sacro, correndo anteriormente ai corpi; il posteriore invece corre nel canale vertebrale dietro ai corpi,
parte da Epistrofeo (continuando la membrana tectoria che arriva fino all’ osso occipitale a livello del
clivus), fino alla superficie anteriore del canale sacrale e immette delle fibre anche nell’anello cartilagineo
fibroso (anulus).

-Sindesmosi tra archi vertebrali

Si realizzano grazie a diversi legamenti:


- i legamenti gialli (formati da materiale/fibre elastico giallastro, tav.22,158,159, pag.748) che uniscono
le lamine vertebrali di vertebre adiacenti e si uniscono parzialmente dove tali lamine si incontrano nel
processo spinoso, ma restano comunque dei passaggi per vasi e nervi;

grazie alla loro flessibilità, durante il movimento della colonna aiutano il ritorno in posizione eretta.
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Oltre al punto di repere tra i corni sacrali e coccigei, per accedere allo hiatus come sito di inoculo per
l’anestetico, è possibile perforare anche i legamenti gialli e accedere al canale vertebrale, dove prelevare
il liquido cefalo-rachidiano (liquido che si trova tra pia madre e aracnoide sia a livello cefalico che
midollare con funzione di attutire gli urti), per diagnosi di potenziali infezioni del SNC o per un eventuale
anestesia

- legamenti intratrasversali (tav 184, p.972) collegano i processi trasversi, ma nelle lombari uniscono il
processo mammillare con il processo costiforme con sottostante (leg. mammillo-accesorio);

- legamenti interspinosi (tav.22,159), uniscono i margini di processi spinosi vicini;

- legamento sovraspinoso (tav.159) dalla C7, dove continua dalla membrana nucale, e corre
posteriormente sui processi spinosi (ne unisce gli apici); Il legamento sovraspinoso, percorre dal basso
verso l’alto, raggiunta la C7 prosegue mantenendo il suo asse e, dal momento che da C6 a C1 i processi
spinosi sono molti corti e che a livello cervicale è presente una lordosi, perde il contatto con i processi
spinosi e si “trasforma” nel legamento nucale (tav. 22)

- il legamento nucale appunto è composto di due lamine fibro-elastiche dalla protuberanza occipitale
esterna al processo spinoso della C7, continuandosi nel legamento sovraspinoso e collegando i vari
processi spinosi delle vertebre cervicali. Questo legamento è molto più ampio per la distanza con gli apici
dei processi spinosi.

-Articolazione occipito-atlantoidea (tav 22)

L'Atlante si articola con l'occipitale tramite due sinoviali, le ossa sono collegate da capsule articolari e
dalle membrane occipito-atlantoidee anteriore e posteriore. Ritenuta condiloidea.

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Ogni articolazione ha due superfici curve supplementari, una sul condilo occipitale e una sulla massa
laterale dell'atlante (che ha faccette concave e inclinate medialmente). I legamenti sono la membrana
occipito-atlantoidea anteriore e posteriore: la prima collega il margine anteriore del grande foro al
margine superioredell'arco anteriore dell'atlante, medialmente è rafforzata dal legamento longitudinale
anteriore che si allunga tra la parte basilare dell'occipitale e il tubercolo anteriore dell'Atlante; quella
posteriore è ampia e sottile e collega il margine posteriore del foro al margine superiore dell'arco
posteriore dell'atlante e forma il pavimento del triangolo suboccipitale.

-Articolazioni atlanto-epistrofiche (pag.752,753; tav.23)


Ci sono tre articolazioni sinoviali tra le prime due vertebre: una a livello del dente, medialmente, e due
laterali (tipica artrodìa, cioè tra i capi articolari, zigapofisarie).

Quelle laterali sono generalmente abbastanza piatte, quella del dente invece presenta una faccetta
ovoidale verticale anteriormente sul dente e una sulla faccia posteriore dell'arco anteriore dell'Atlante.
Anteriormente i corpi sono legati dal legamento longitudinale anteriore; posteriormente gli archi sono
collegati dai legamenti gialli (membrana perforata dal secondo paio di nervi cervicali).

Il legamento trasverso dell'Atlante è una lamina ampia e robusta che si inarca sull'anello dell'Atlante
dietro al dente, circa lunga 20 mm e si inserisce nel tubercolo sul lato mediale di ognuna delle masse
laterali dell'Atlante, mantenendo in posizione il dente. Dunque, ha andamento orizzontale tra le due
estremità dell'Atlante. Si forma un anello con cavità sinoviale, davanti osseo (arco anteriore atlante) e
posteriormente fibroso e qui, in mezzo, si inserisce il dente (cilindro sporgente dal C2, convesso),
formando un ginglimo laterale.

Dal margine di questo legamento superiormente emerge una lamina longitudinale mediana che si
inserisce nella parte basilare dell'occipitale a livello del clivus, tra il legamento apicale del dente
(anteriore) e la membrana tectoria (posteriore); dalla superficie inferiore invece parte una lamina più
debole e lassa che decorre fino alla superficie posteriore del corpo dell’epistrofeo. Insieme componenti
orizzontali e verticali costituiscono una croce che è il legamento crociato. Dietro al legamento crociato,
data dall’espansione del trasverso, c’è la membrana tectoria, ovvero la prosecuzione del legamento
longitudinale. Sezionando la membrana tectoria troviamo il legamento cociato.

L'occipitale e l'Epistrofeo sono collegati dalla membrana tectoria, dai due legamenti alari, dal legamento
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apicale mediano e dalle componenti longitudinali del crociato.

-La membrana tectoria si trova dentro il canale vertebrale, è un’ampia e forte lamina che è la
continuazione superiore del legamento longitudinale posteriore. Le sue (2) lamine si inseriscono nella
parte posteriore dell'epistrofeo. La lamina superficiale si espande e si inserisce presso il grande foro
occipitale (si mescola alla dura madre cranica); la lamina profonda ha una parte che sale fino al foro e
due fasce laterali che passano per le capsule delle articolazioni occipito-atlantoidee e poi raggiungono il
foro. È separata dall'atlante dal legamento crociato.

-I legamenti alari sono cordoni robusti che decorrono orizzontalmente e lateralmente dalla parte postero
(secondo gray) /antero (secondo netter) laterale dell'apice del dente, fino alle regioni ruvide sul lato
mediale dei condili occipitali. Si trovano davanti al legamento crociato con la funzione di mantenere il
dente in posizione.

-Il legamento apicale del dente si conforma a ventaglio dall'apice del dente (estremità sup centrale) fino
al margine anteriore del grande foro occipitale, tra i legamenti alari.

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[Posteriormente
dobbiamo proteggere midollo e meningi ed evitare la lussazione del dente dell’epistrofeo. Se il
legamento trasverso è leso, il dente esce dalla posizione e può ledere il midollo e dare tetraplegia.

Se vi è compromissione del bulbo, allora c'è la morte. Si può verificare anche una frattura a livello dei
peduncoli della C2, chiamata frattura “dell’impiccato”, causata da un’estensione della testa sul collo]

Il legamento crociato è posteriore al legamento dell‘apice del dente, ancora posteriormente la


membrana tectoria e dietro ulteriormente si trova il midollo con la dura madre come rivestimento.
Questa serie di legamenti contribuisce all’articolazione atlanto-epistrofica mediana che è un ginglimo
laterale e come tale consente unicamente il movimento di rotazione.

La presenza di tutte queste strutture riduce in maniera significativa lo spazio del foro vertebrale.

La colonna oltre al movimento di rotazione può realizzare l’inclinazione, flessione (avvicinamento corpi
vertebrali), estensione (allontana corpi vertebrali, mettendo in tensione il legamento longitudinale
anteriore). La mobilità della colonna deriva principalmente dall’elasticità dei dischi intervertebrali. Quello
che determinata l’ampiezza dei movimenti, oltre i dischi, sono la forma, l’orientamento delle articolazioni
tra i processi articolari, lo stato di tensione di queste capsule articolari, la resistenza dei legamenti, i
muscoli del dorso, il vincolo con la gabbia toracica.

Legamenti Colonna Riepilogo

Lungo tutta la colonna anteriormente e posteriormente troveremo due legamenti:

-Legamento longitudinale anteriore: e' una banda, una lamina, un legamento unico. Si va ad inserire nel cranio
(porzione basilare dell'occipitale), poi scende e caudalmente si inserisce nel promontorio sacrale. In parte le fibre
del disco intervertebrale si fondono anche con il legamento, che scende fino alle prime vertebre sacrali.

-Legamento longitudinale posteriore: si trova dietro ai corpi, nel canale vertebrale. Ha aspetto festonato, sifonde
con la parte posteriore dei dischi. Va da C2 al sacro e in alto si continua con la membrana tectoria. La Membrana
tectoria è l'estremità superiore del legamento longitudinale posteriore, che si salda all’osso occipitale (Clivo).

-Legamenti gialli: collegano le lamine vertebrali di vertebre adiacenti nel canale vertebrale. Si estendono dalle
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capsule delle faccette articolari al punto in cui le lamine si fondono per dare i processi spinosi e qui i loro margini si
incontrano e in parte si uniscono (non si saldano). Sono bande rettangolari e sono sempre disegnati in giallo per
l'alto contenuto di fibre elastiche. Impediscono l'eccessiva separazione delle lamine nella flessione e facilitano
recupero posizione eretta.

-Legamenti interspinosi: tra i margini dei processi spinosi consecutivi e si estendono ventralmente fino allegamento
giallo e dorsalmente fino al sovraspinato. Sono in genere coppie che si separano solo medialmente grazie a una
fessura stretta o virtuale.

-Legamento sovraspinato: forte cordone fibroso che connette le estremità dei processi spinosi da C7 a L3 o L4.
Gran parte è formato da tendini di inserzione di muscoli (le parti profonde). Sotto al L4 è sostituito dalle fibre del
grande dorsale. Cefalicamente continua fino alla protuberanza occipitale esterna dando il Legamento nucale.

-Legamento nucale: Troviamo poi una banda che continua e non va solo nel tratto cervicale ad unire gli apicidei
processi spinosi (più corti ricordiamo, rispetto a quelli toracici), ma resta allineata con gli apici dei processi spinosi
toracici e si salda sull’osso occipitale, quindi si crea una lamina anche oltre i processi spinosi cervicali. Nei
quadrupedi è molto più sviluppato, sostiene il cranio, altamente elastico.

-I legamenti intertrasversari: decorrono tra i processi trasversi adiacenti e a livello cervicale sono rimpiazzatedai
muscoli intertrasversari.

-Legamento trasverso che forma il legamento crociato (a livello di atlante ed epistrofeo) insieme alle fibre
longitudinali superiori e inferiori); legamento dell'apice e legamenti alari. [Da dentro il canale verso la parte
anteriore ritroviamo Membrana tectoria, legamento crociato e poi alari e apicale].


-Articolazione manubrio-sternale (tav.184)
Si stabilisce tra manubrio e corpo dello sterno ed è una sinfisi in genere (tessuto fibrocartilagineo può
ossificare negli anziani) ma a volte viene riassorbito il centro del disco e appare sinoviale. Presenta una
membrana fibrosa che avvolge interamente il tessuto osseo. Solo in età avanzata ossifica del tutto (sinostosi).
Consente movimenti modesti tra l'asse longitudinale del manubrio e il corpo dello sterno e un limitato
spostamento antero-posteriore.
Anche tra processo xifoideo e corpo dello sterno vi è una sinfisi che va incontro ad ossificazione dai 40 anni.

-Articolazione sterno-clavicolare (tav 404; pag829)


E' una sinoviale a sella che permette un movimento dall’alto al basso e dall’avanti indietro e rappresenta
l'unica articolazione scheletrica tra arto superiore e scheletro assile. Le superfici sono l'estremità sternale
della clavicola e l'incisura clavicolare dello sterno, assieme alla superficie superiore della prima cartilagine
costale (per dei legamenti).
Un disco articolare occupa lo spazio tra i due capi, in quanto le superfici non sono del tutto congruenti.
C’è una particolarità in questa articolazione dal momento che i due capi articolari sono rivestiti da una
cartilagine articolare che non è ialina, ma fibrosa.
E' completata da:
- legamenti sterno-clavicolari anteriore e posteriore: dalla superficie antero/postero-superiore
dell’estremità sternale della clavicola alla antero/postero-superiore del manubrio sternale, estendendosi
fino alla prima cartilagine costale;
- legamenti inter-clavicolari: inserito sul margine superiore del manubrio (incisura giugulare), collegano le
facce superiori delle estremità sternali di entrambe le clavicole;
- legamenti costo-clavicolari: cono invertito, corto e appiattito. Unisce la cartilagine e una piccola parte
della prima costa e con la superficie infero-mediale della clavicola (impressione del legamento costo-
clavicolare). È costituita da una lamina anteriore, che risale lateralmente, e una posteriore, che risale
medialmente. Esse ci congiungono lateralmente e sono in stretta relazione con l’ inserzione del succlavio.

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-Articolazioni sterno-costali (pag974, tav 184))
Le cartilagini costali si articolano con le piccole concavità presenti sui margini laterali sternali (articolazioni
condro-sternali). La prima articolazione è insolita: è una variante di sinartrosi (sincondrosi). Dalla seconda
alla settima invece sono artodìe sinoviali. Infine la settima può essere una sinoviale o sinfisi.
Le cartilagini costali dalla sesta alla nona si articolano mediante faccette allungate: articolazioni inter-
condrali, sinoviali.
Sono rinforzate da legamenti raggiati sterno-costali.

-Articolazione costo-vertebrali (pag972,tav184)


Le teste delle coste si articolano con i corpi vertebrali (artrodìe) con le così dette articolazioni costo-
somatiche con i legamenti raggiati, che collegano la parte anteriore della testa di ogni costa ai corpi di due
vertebre contigue e al disco intervertebrale tra esse interposto; i colli e tubercoli si articolano con i processi
trasversi, articolazioni costo-trasversarie.
Le teste dunque si articolano con le faccette presenti sui margini dei corpi delle vertebre toraciche e con i
dischi interposti. La prima costa e dalla 10 alla 12 si articolano con una sola vertebra con una semplice
sinoviale; nelle altre invece un legamento intra-articolare (no img) divide l'articolazione producendo un
doppio comparto sinoviale. La capsula articolare è coperta anteriormente dai legamenti raggiati, postero-
medialmente dal legamento costo-trasversario, postero-lateralmente dal legamento costo-trasversario
laterale e superiormente dai legamento costo-trasversario superiore.
La faccetta di un tubercolo, invece, si articola con il processo trasverso della vertebra numericamente
corrispondente, tranne che per le ultime due che non presentano tale articolazione.

Cingoli
Lo scheletro assile, costituito da cranio, colonna vertebrale, coste e sterno, si connette alle ossa
degli arti (superiori e inferiori) tramite alcune ossa che formano superiormente cingolo scapolare
o pettorale (scapola e clavicola) e inferiormente cingolo pelvico (ossa coxali o iliache che si
articolano tra loro anteriormente e posteriormente con il sacro).
Lo scheletro appendicolare è quindi costituito da cingoli (scapolare e pelvico)

Gli arti invece si dividono in segmenti: segmento prossimale (che si articola nel cingolo), segmento
intermedio e segmento distale.

Cingolo scapolare o pettorale (tav.404,405,406; gray 820-825)

È formato da Clavicola e Scapola. Queste si articolano tra loro e si connettono allo scheletro assile
solo anteriormente, in corrispondenza dello sterno (articolazione sterno clavicolare).
Posteriormente invece, il cingolo scapolare risulta incompleto, diversamente da quanto accade per
il cingolo pelvico in cui le ossa coxali formano con il sacro un anello completo e rigido.

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CLAVICOLA
La Clavicola è un osso piatto (nonostante infatti sia allungata, manca un vero e proprio canale
midollare all’interno), pari e simmetrico, esteso trasversalmente tra manubrio dello sterno con il
quale si articola medialmente mediante l’incisura clavicolare e scapola che risulta posizionata
posteriormente alla gabbia toracica (circa a livello 2®-7® coste). È assimilabile a una sorta di puntello
che mantiene l’arto superiore distanziato dal tronco e trasmette il peso dello stesso arto superiore
allo scheletro assile, inoltre permette all’arto di oscillare liberamente.

Forma della clavicola: doppia S, doppia curvatura. Quella mediale è convessa anteriormente mentre
quella laterale ha la convessità posteriormente.

Possiede due facce (superiore e inferiore), due estremità (sternale e acromiale) e due margini
(anteriore e posteriore).

ESTREMITÀ
• Sternale (mediale). Più voluminosa, con forma piramidale. Culmina con una superficie
articolare per l’articolazione sterno-clavicolare (articolazione sinoviale a sella) con l’incisura
clavicolare dello sterno. La faccetta articolare presenta infatti una doppia curvatura.
• Acromiale (postero-laterale). È piatta. Troviamo la superficie articolare ovoidale per
l’articolazione con l’acromion (porzione della scapola): articolazione acromio-clavicolare
(artrodìa)
FACCE
1. Faccia superiore È liscia, levigata.
Posteriormente: medialmente origina lo sternocleidomastoideo (1) e si inserisce lateralmente
il muscolo trapezio (4).
Anteriormente:, medialmente origina il grande pettorale (3) lateralmente il m. deltoide (6)

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Veduta superiore della clavicola sinistra 1. Sternocleidomastoideo (capo clavicolare). 2.Estremità sternale. 3.Grande
pettorale. 4.Trapezio. 5. Estremità

2. Faccia inferiore: è accidentata (tenere conto di queste differenze per orientarla), rugosa;
• posteriormente: lateralmente il tubercolo conoide dai cui diparte il corrispettivo legamento
conoide (del leg. caroco-clavicolare) (11) , medialmente origina il m. sterno-ioideo (5);
• centralmente: lateralmente il legamento trapezoide (9) (che completa il leg. coraco-
clavicolare), centralmente (nel terzo medio) vi è un solco per l’inserzione del muscolo
succlavio (6), medialmente il legamento costo-clavicolare (2);
• anteriormente: lateralmente orgina il deltoide (7) , medialmente il grande pettorale (1) (le
origini sono in comune tra le facce superiori ed inferiori).

Veduta inferiore della clavicola di sinistra.


1. Grande pettorale. 2. Attacco per il legamento costoclavicolare. 3. Attacco per la prima cartilagine costale. 4.
Attacco per lo sterno. 5. Sternojoideo. 6. Succlavio. 7. Deltoide. 8. Attacco per l’acromion. 9. Linea trapezoide. 10.
Trapezio. 11. Tubercolo conoide.

Legamento trapezoide e legamento conoide costituiscono nel complesso il legamento


coracoclavicolare (tra processo coracoideo della scapola e superficie posteriore della clavicola).

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Prestare attenzione: in questo caso si tratta della clavicola di destra. L’immagine risulta speculare
alle precedenti.

Sotto la clavicola, tra il primo paio di coste ed essa, c’è un muscolo succlavio, situato tra prima costa
e i vasi succlavi e lascia l’impronta nella clavicola. L’arteria (più esterna) e la vena succlavie piegano
con un arco e si portano sotto la clavicola, sopra la 1° costa, divise dal muscolo scaleno anteriore
(sulla 1° costa).

SCAPOLA

Osso piatto, pari e simmetrico, situato posteriormente alla gabbia toracica (nel quadrupede si
trova invece lateralmente). Forma un angolo di 60° con la clavicola e di 30° con il piano frontale.
“Articolazione scapolo-toracica”
Anteriormente la scapola prende rapporto con la cassa toracica a livello di T2-T7, tuttavia non
troviamo una vera e propria articolazione tra scapola e torace. Quella che viene infatti definita
“articolazione scapolo-toracica” è di fatto un insieme di fasce connettivali di rivestimento dei
muscoli (m.sottoscapolare e dentato anteriore) che creano un piano di scivolamento tra le due
strutture. Questo scorrimento è fondamentale per garantire un ampio range di movimento del
braccio: se la scapola non fosse capace di muoversi il braccio su flettere solo a 90° con il piano
frontale perché l’omero toccherebbe l’acromion.

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La scapola possiede una caratteristica forma triangolare con apice in basso e base in alto.
Troveremo quindi due facce (anteriore e posteriore) e tre margini (vertebrale o mediale, laterale o
ascellare, superiore o base della scapola).
FACCE

• La faccia anteriore o costale è concava (anteriormente) ed è infatti definita fossa
sottoscapolare, occupata dal muscolo sottoscapolare (origine). A livello del margine
mediale (vertebrale) si inserisce il muscolo dentato anteriore.
• La faccia posteriore è lievemente convessa (posteriormente) e accidentata. Immaginando
di dividerla in terzi, tra il terzo superiore e terzo medio ritroviamo un processo osseo, è la
spina della scapola, che diviene più sporgente man mano che si porta lateralmente e in
alto, è disposto in direzione medio-laterale, fino a culminare nell’acromion.[1] L'acromion sovrasta
anche il margine superiore della scapola e ha una faccetta articolare per la clavicola. La spina suddivide la faccia dorsale in due
porzioni: la fossa[2] sovraspinata e sottospinata (o infraspinata), divise appunto da tale spina,

occupate dagli omonimi muscoli (sovraspinato e sottospinato), ma che sono collegate


lateralmente da un incisura sotto-acromiale. La spina inoltre presenta un labbro superiore
su cui si inserisce l’inserzione del trapezio (che continua sulla clavicola appunto) e uno
inferiore per l’origine del deltoide.
[1] dal gr. ἀκρώμιον, comp. di ἄκρος «estremo» (v. acro-) e ὦμος «spalla»
[2] “fossa” non tanto per indicare una superficie concava ma piuttosto una porzione molto estesa

ATTACCHI MUSCOLARI[1]

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Scapola e Omero destro, norma anteriore Scapola e Omero destro, norma posteriore

[1] Vedi anche “muscoli dell’arto superiore”

MARGINI:

1. Mediale, MARGINE VERTEBRALE. Dà inserzione anteriormente al muscolo dentato
anteriore, mentre posteriormente, dall’alto verso il basso, all’elevatore della scapola, al
piccolo romboide e al grande romboide.

2. Laterale, detto MARGINE ASCELLARE (rivolto verso il cavo ascellare). Presenta
superiormente la cavità glenoidea, superficie lievemente concava, non tanto profonda,
articolare, ovalare per l’articolazione gleno-omerale (con la testa dell’omero). Presenta
superiormente il tubecolo o tuberosità sovraglenoidea per il capo lungo del bicipite
brachiale; inferiormente un tubercolo o tuberosità sottoglenoidea (o infraglenoidea) per
l’origine del capo lungo del tricipite brachiale. Sulla faccia posteriore, dall’alto vero il basso,
prendono origine il muscolo piccolo rotondo e il grande rotondo e sull’angolo inferiore il
grande dorsale (angolo inferiore)
3. Il Margine superiore è LA BASE DELLA SCAPOLA, ha una parte mediale più sporgente detto
angolo superiore, poi scende lateralmente, fino l’incisura soprascapolare (poi trasformata
in foro grazie al legamento trasverso superiore della scapola permettendo il passaggio
all’interno del nervo soprascapolare. L’arteria omonima paserà sopra il legamento.)
Supero-medialmente a tale incisura vi è l’origine del muscolo omo-ioideo. Il margine
termina con processo rugoso pieno che sporge in avanti, detto processo coracoideo[1]
che si estende lateralmente come un becco di un corvo. Da questo hanno origine: il
muscolo coracobrachiale e il capo breve del bicipite brachiale dalla punta, mentre sulla
parete mediale si inserisce piccolo pettorale. Il processo coracoideo è in relazione con
l’acromion grazie al leg. coraco-acromiale, che funge da tetto all’articolazione gleno-
omerale.

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[1] dal gr. κόραξ «corvo»


-Articolazione acromio-clavicolare (tav.408, gray 831)
E' un'articolazione sinoviale piana (artodia), con cartilagine fibrosa e spesso un disco che completa i due
capi articolari. Le superfici articolari sono l'estremità acromiale della clavicola e il margine mediale
dell'acromion. E' completata da legamenti:
- legamento acromio-clavicolare: è quadrilatero e si estende dalla superficie superiore dell'estremità
laterale della clavicola all'adiacente acromion.
- legamento coraco-clavicolare: connette la clavicola con il processo coracoideo della scapola,
permettendo il mantenimento della giusta apposizione dell’acromion alla clavicola; formato dal
- legamento conoide, più mediale e posteriore, a forma di cono (concavità laterale), segue
l’andamento della radice del procosso coracoideo (sembra quasi torcersi)
- legamento trapezoide, più laterale e anteriore, a forma di quadrilatero, le fibre risalgono
lateralmente e leggermente indietro.

Cranio (non chiede le singole ossa, ma il cranio nella sua interezza)

Porzione di scheletro che ha subito più modificazioni nel corso del tempo, dello sviluppo, adeguandosi alle funzioni
che deve svolgere; le ossa del cranio contengono alcuni organi di senso e contornano le aperture dell’apparato
respiratorio (il naso), dell’apparato digerente (la bocca) e gli occhi; ha ruolo principalmente di protezione. Gli
elementi ossei sono prevalentemente piatti per contornare il sistema nervoso centrale. Una struttura così rigida
come il cranio è funzionale a diversi fattori: forze di trazione (esercitata dalla potente muscolatura inserita a livello

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dell’occipitale) e di pressione (da parte della mandibola quando si contraggono i masticatori) che si scaricano sul
cranio.
Norma significa faccia, veduta (norma anteriore, norma laterale ecc..). (riferimenti a slide mostrate durante la
lezione nds.)
-Norma anteriore: sono ben distinguibili osso frontale (in azzurro), osso sfenoide (in giallo), osso zigomatico (in
arancio), mascellare (in verde) e mandibola (in marroncino);
-Norma superiore: percepiamo le ossa nasali (anteriormente) e l’osso occipitale (posteriormente). Osserviamo
anche le ossa parietali. Notiamo che le ossa del cranio possono essere impari (se uniche) o pari (se presente
l’osso di dx e quello di sx).
-Norma posteriore: riconosciamo le due ossa parietali e, posteriormente, un osso impari che è quello occipitale
che chiude posteriormente, ed inferiormente, la scatola cranica.
-Norma laterale: evidenzia l’osso temporale e, anteriormente ad esso, parte dell’osso sfenoide, che è un osso
impari. Un altro osso impari visibile è la mandibola.
-Norma inferiore: ritroviamo posteriormente l’occipitale; di lato (sx e dx) la superficie inferiore del temporale;
(in giallo) lo sfenoide; anteriormente il mascellare. A seconda poi dell’altezza alla quale conduciamo il piano di
taglio potremo ottenere una veduta inferiore della calotta cranica o della base cranica.
E’ diviso in due parti (ben visibili in norma laterale):
-Neurocranio formato da quelle ossa che contornano la scatola cranica contenente IL SNC, si sono
sviluppate in un secondo tempo (filogeneticamente parlando sono le più giovani);
-Splancnocranio, che comprende l’inizio della via digerente e respiratoria (contorna quindi lo
stomodeo dell’intestino primitivo) e gran parte delle cavità orbitarie, non è altro che il massiccio
facciale.
Quelle al confine giocano su entrambi i fronti. La faccia superiore comprende la calotta cranica.
Si vedono le suture (rimando a slide 4 per classificazione suture) che sono di vario tipo:
Suture dentellate, tipiche:
a. La prima si realizza tra Osso frontale e parietali, detta Sutura coronale;
b. Tra le due parietali, Sutura sagittale;
c. Posteriormente, invece, tra parietali e l’occipitale, Sutura lambdoidea;
Sutura squamosa:
d. La norma laterale mostra tra Osso temporale e il parietale una classica Sutura squamosa, non
sono affrontate le due superfici con una dentellatura, ma sono tagliate di sbieco, a spese del
tavolato superficiale e profondo.
Sutura armonica:
e. La norma inferiore mostra il palato duro con una sutura con margini lisci, detta Sutura palatina
mediana.

Facendo un taglio orizzontale leggermente obliquo si scalotta (rimuove la calotta) e si può visualizzare la base
endocranica (su cui si adagia SNC).

Neurocranio
(descrizione in direzione antero-posteriore)

Osso Frontale (gray 463,tav 4, ana 105)

Delimita supero-anteriormente la scatola cranica, è impari e mediano e delimita le cavità orbitali ma anche
una piccola porzione di cavità nasale. Ha suture medio-lateralmente con l’osso nasale(non è però a
contatto con le cavità nasali), con il processo frontale dell’osso mascellare, con lacrimale, etmoide(è al di
sopra), sfenoide (è anteriore) e osso zigomatico. Presenta una faccia endocranica e una esocranica.
Veduta anteriore
L’osso frontale si trova anteriormente, è impari, mediano e va a costituire la parte anteriore della scatola
cranica, ma anche la volta delle cavità orbitali e una piccola porzione di cavità nasale. La porzione piatta,
ovvero la squama, forma la parte anteriore della scatola cranica. Inoltre, è superiore rispetto all’osso etmoide
e all’osso nasale.

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Veduta endocranica
Grazie a questa veduta, si può chiaramente notare come l’osso frontale costituisca la parte anteriore della
scatola cranica e come questo è posto anteriormente all’osso etmoide, all’osso sfenoide e in minima parte
all’osso parietale.

Ingrandimento della superficie anteriore con linea azzurra ad indicare il piano sagittale mediano.
In primo piano è inquadrata la cavità orbitaria. L’osso frontale, con il suo margine inferiore, si articola in
sequenza, in direzione medio-laterale, con osso nasale, osso mascellare, osso lacrimale, lamina papiracea
dell’osso etmoide, osso sfenoide, osso zigomatico.

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Proiezione laterale [Netter tav. 13]
Il marine inferiore dell’osso frontale continua anche lateralmente, entrando in contatto anche con la grande
ala dello sfenoide.
Faccia esocranica (esterna)

E’ costituita da due parti:


-Una porzione verticale o Squama (visibile dalla norma anteriore), convessa in avanti, la più grande,
liscia, che forma la fronte; in posizione mediale presenta la Sutura metopica (ci indica che l'osso era formato
da due parti poi fuse). In basso a livello della porzione nasale è presente una superficie quadrangolare
sporgente, detta Glabella (eminenza mediana liscia tra le due sopracciglia che unisce le bozze frontali),
ancora inferiormente troviamo una Spina nasale dentellata (vedi dopo).
Sopra e ai lati sono presenti le bozze frontali (più accentutate nelle donne), tuberosità arrotondate poste
circa 3 cm sopra al punto di mezzo del margine sopraorbitario. Ai lati appunto le arcate sopracciliari e i
Margini sopraorbitari che formano i bordi superiori delle cavità orbitarie. Tale margine medialmente è
smusso e è arrotondato (sotto vi è la fossa trocleare), mentre più lateralmente è più tagliente (sotto vi è la
fossa lacrimale). Abbiamo la presenza di un foro che appare in alto (foro sovraorbitario); è un foro, o solo
un'incisura nel margine sopraorbitario, unisce la parte smussa e quella appuntita e da' passaggio a nervo e
arteria sopraorbitari. Il margine sopraorbitario termina lateralmente nel processo zigomatico, che si
protende verso il basso e che si articola con l’osso zigomatico. Dal processo zigomatico diparte una linea
curva postero-superiormente detta linea temporale che poi si divide (nel parietale) nelle linee temporali
superiore e inferiore. La parte sottostante e retrostante le linee temporali vi è la superficie temporale e forma
la parte anteriore della fossa temporale.
[Gray, pag 372. La regione temporale è divisa nella fossa temporale superiore e quella infratemporale, divise
dall'arcata zigomatica. La fossa temporale è delimitata superiormente e posteriormente dalle linee
temporali. Le linee temporali si presentano spesso anteriormente come sporgenze distinte ma diventano
meno prominenti quando curvano in corrispondenza del parietale. La superiore dà attacco alla fascia
temporale. L'inferiore, curva verso la squama del temporale, e dà attacco al muscolo temporale].

Anteriormente (norma anteriore del cranio) vediamo che il margine inferiore è articolato con le ossa nasali
medialmente, con il processo frontale dell’osso mascellare, con il lacrimale più lateralmente, con la lamina
papiracea dell’etmoide, con lo sfenoide e con l’osso zigomatico. Lateralmente invece con lo zigomatico, con
la grande ala dello sfenoide e posteriormente, tramite la sutura coronale, con le parietali (margine smusso,
grosso, dentellato).

-Una superficie orizzontale (visibile dalla norma inferiore), più ridotta e forma la parte superiore
delle cavità orbitali). Ci sono due porzioni concave (cavità orbitarie appunto).

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Dal mezzo presenta una profonda incisura etmoidale, i margini sono molto discontinui, al centro c’è la
prominenza della Spina nasale, che sporge antero-inferiormente dietro le nasali e forma parte del tetto della
cavità nasale (si articola davanti con le ossa nasali, indietro con la lamina del Etmoide). Ai due lati rispetto
alla spina, ci son o due aperture: orifizi di sbocco ai Seni frontali. La gran parte delle ossa sono dotate di
cavità, nel cranio, che prendono il nome di Seni (paranasali) e sono ripiene di aria, permettono scambi a
livello delle cavità nasali con cui comunicano e rendono l’osso piuttosto leggero. Sono cavità irregolari
(dimensioni molto variabili tra i diversi individui) che salgono in direzione postero-laterale e sono separati da
un sottile setto. I seni frontali si trovano posteriormente alle arcate sopracciliari, hanno le aperture
anteriormente all’incisura etmoidale e lateralmente alla spina nasale, comunicano con il meato medio della
cavità nasale attraverso l’infundibolo etmoidale. Si sviluppano maggiormente post nascita, ma si
ingrandiscono nell’anziano con il riassorbimento osseo. Se si infiammano, abbiamo sinusite.

Posteriormente sui margini dell'incisura Etmoidale a U, e sono Incisura Etmoidale Anteriore e Posteriore
(solchi), disposti trasversalmente, sono due docciature, cilindri tagliati a metà. Sono completati dall’etmoide
a dare i fori etmoidali anteriore e posteriore, per il passaggio di vasi (es. art. etmoidale anteriore)

La parte nasale si trova tra i margini sopraorbitari, con incisura dentellata che si articola con le ossa nasali,
lacrimali e mascellari.

Il frontale costituisce la faccia anteriore dell’orbita, con una faccia orbitale. Le lamine orbitarie sono formate solo
da osso compatto (il resto ha un tessuto trabecolare tra due lamine di compatto) e sono separate dall’incisura
etmoidale. Possono andare incontro a riassorbimento in vecchiaia. Dentro tale concavità alloggia antero-
lateralmente, nella fossa lacrimale poco profonda, la ghiandola lacrimale, lievemente più accentuata (sotto il
margine appuntito). Sotto e indietro all’estremità mediale del margine sopraorbitario (smusso), a metà tra incisura
sopraorbitaria e la sutura fronto-lacrimale si trova una superficie pianeggiante detta fossa trocleare, che da
inserzione alla troclea fibrocartilaginea (nel quale passa tendine del muscolo obliquo superiore).

Faccia endocranica

E’ concava e va ad accogliere i poli frontali dei due emisferi cerebrali.


Può essere diviso in ¾ supeiori, concavi, e ¼ inferiore, convesso (corrisponde alla concavità orbitali).
Ci sono sempre le due porzioni: verticale e orizzontale. La parte orizzontale ha una convessità.

-Verticale: medialmente troviamo un solco verticale delimitato da due labbri, il Solco del seno
sagittale superiore. In basso i labbri vanno avvicinandosi fino a formare la Cresta frontale, sporgente, che
termina alla base in un foro cieco (non fora l’osso, solo una fossetta, completata dall’etmoide; di solito è
chiuso, altrimenti vi passa una vena nasale). Rilievi dolci nelle due concavità, l'osso non è liscio, a causa delle
impronte lasciate dalle circonvoluzioni telencefaliche. In posizione mediale c’era l’incisura etmoidale a forma
di U, tale incisura viene colmata dall’etmoide.

-Orizzontale: il margine posteriore della superficie orizzontale si articola con lo sfenoide.

OSSO FRONTALE: MARGINI


Margine anteriore
Dato dall’incontro tra la faccia verticale e anteriore del frontale e della superficie orizzontale. Seguendo il
piano mediano si nota la spina nasale, la porzione che si articola con il processo frontale dell’osso
mascellare, il margine superiore della cavità orbitaria, sul quale è possibile notare un solco che rappresenta
l’incisura sopraorbitaria (o foro sopraorbitario a seconda dell’individuabilità).

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Margine anteriore

Margine superiore
Si articola con le due ossa parietali a formare la sutura coronale.




Margine superiore
Margine posteriore o sfenoidale con veduta endocranica (immagine: vedi sopra, pg 26)
Posteriormente il margine si articola con l’osso etmoide in posizione mediana e lateralmente con l’osso
sfenoide. Per la precisione questa parte dello sfenoide prende il nome di piccola ala dello sfenoide.
All’incontro tra la faccia verticale del frontale e quella orizzontale, lo spessore dell’osso frontale è maggiore
e, a questo livello, è possibile trovare due cavità, ovvero i seni frontali, che possono essere diversi da un
individuo all’altro. L’osso frontale, un osso pneumatico, ricco, quindi, di cavità, connesse con le cavità
nasali.
Con questa sezione sagittale, ma non condotta sul piano mediale, mostra la parete laterale delle cavità nasali.
Il seno frontale indirettamente si apre a livello delle cavità nasali, rivestite dalla mucosa dei seni paranasali.

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VISIONE DI VIDEO SU OSSO FRONTALE E SENO FRONTALE tratti dall’ Atlante interattivo Acland; gli stessi
video si possono reperire su Youtube.

Domande:
1. In base a cosa divido le ossa in terzi o quarti?
Se prendiamo in considerazione la veduta frontale di un seno frontale, questo è circa 6 cm. Posso
suddividere quindi il seno frontale in sesti di 1 cm ciascuno, uguali fra loro. In questo caso la divisione in
sesti è utile per individuare la metà che infatti corrisponde al punto d’incontro fra i tre sesti mediali e i tre
sesti laterali. In sostanza, la divisione di un osso in parti uguale varia in base all’osso/organo e in base al
punto preciso che voglio mettere in evidenza.
2. Delucidazioni sulla divisione in neurocranio e splancnocranio e sulla separazione del cranio in volta cranica e
base cranica.
Il neurocranio costituisce la scatola cranica che avvolge e protegge tutto l’encefalo. Lo splancnocranio,
invece, è costituito da tutte quelle ossa che contornano le cavità orbitarie, le cavità nasali e la cavità orale.
Le ossa al confine tra splancnocranio e neurocranio partecipano alla formazione di entrambe le parti del
cranio. L’osso frontale, infatti, svolge una duplice funzione: forma la parte anteriore, sia di base che di
callotta, della scatola cranica e contemporaneamente delimita il tetto delle cavità orbitarie. Altre ossa come
l’occipitale, il parietale o il temporale sono esclusive del neurocranio.
3. Qual è la funzione dei fori?
I fori della base cranica o anche quelli etmoidali anteriori e posteriori servono sempre per il passaggio di
strutture, in genere strutture vasculo-nervose che presentano una componente vascolare (arteria + vena) e
una componente nervosa (un nervo), le quali si distribuiranno alle superfici mucose, cutanee o ad altre
strutture. I fori della base cranica lasciano passare prevalentemente nervi che collegano l’encefalo (SNC)
con l’esterno. I tendini invece si attaccano su superficie ossea (non passano attraverso i fori).









Naso, interno (vedi app. respiratorio)

L'interno è delimitato:

-In alto dal tetto o volta (corrispondente alla base cranica), è orizzontale al centro e si inclina in basso avanti
e dietro.

*Anteriormente dato dalla spina nasale del frontale e dalle ossa nasali;

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*Centralmente dalla lamina cribrosa dell'etmoide con fori per filuzzi olfattivi e nervo etmoidale;
*Posteriormente si inclina in basso ed è data dalla faccia anteriore del corpo dello sfenoide con orifizio dei
seni sfenoidali.

-In basso dal tetto della cavità orale. Il pavimento è liscio, concavo e leggermente inclinato in alto. La maggior
parte è formata dai processi palatini delle ossa mascellari che si articolano posteriormente con le lamine
orizzontali delle palatine (sutura palato-mascellare). Anteriormente vicino al setto, c'è un orifizio
infundibolare che conduce nei canali incisivi.

-E' divisa da un setto nasale osteocartilagineo circa medialmente (parete mediale delle cavità nasali):
*Porzione ossea posteriore data dal vomere (che si estende dallo sfenoide al palato duro), mentre
antero-superiormente troviamo la lamina perpendicolare dell'etmoide. Antero-superiormente
partecipano in minima parte anche la spina nasale, ossa nasali, rostro o cresta dello sfenoide postero-
superiormente e le creste nasali delle palatine e del mascellare inferiormente.

*Anteriormente abbiamo la porzione cartilaginea. [per dettagli Gray, pag 516]

-Nelle pareti laterali della cavità nasale si apriranno i seni paranasali. Presenta tre cornetti, laminette
ossee, dette anche conche o turbinati, che delimitano 3 meati sono costituite da:

*Antero-inferiormente osso mascellare; *Posteriormente lamina perpendicolare osso palatino;


*Superiormente labirinto osso etmoide;

-Si apre nel rinofaringe attraverso due coane o aperture nasali posteriori:

*Medialmente divise in due dal margine posteriore del vomere;

*Superiormente delimitate dal processo vaginale della lamina mediale del processo pterigoideo dello
sfenoide;

*Lateralmente dalla lamina perpendicolare del palatino e dalla mediale del processo pterigoideo;
*Inferiormente dalla lamina orizzontale del palatino.

Osso Etmoide (prom. 40)



INTRODUZIONE
Veduta anteriore. L’osso occupa una posizione centrale. Si trova posizionato posteriormente all’osso
frontale, anteriormente all’osso sfenoide (colorato in verde) e in parte anche davanti all’osso palatino
(colorato in rosso) che fa sempre parte dello splancnocranio.

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Veduta endocranica [vedi pg 26]. Anche qui è visibile la sua posizione: mediale rispetto all’osso frontale
(giallo/ocra), anteriore rispetto all’osso sfenoide (grigio).



L’OSSO ETMOIDE E LA SUA POSIZIONE
L’osso etmoide, in quanto osso di confine, partecipa alla formazione del neurocranio completando la
superficie anteriore della base cranica e contemporaneamente partecipa alla delimitazione delle fosse nasali e
delle cavità orbitarie. Quindi questo osso costituisce tre strutture diverse: cavità endocranica (neurocranio),
cavità nasale e cavità orbitaria (splancnocranio).


DESCRIZIONE
Osso impari, in posizione mediana, é l’osso pneumatico per eccellenza; ha tantissime piccole cavità delimitate
da parete sottili, si frantuma con le basi (durante la preparazione). Partecipa alla scatola cranica, alla cavità
orbitaria e cavità nasale (dalla norma anteriore risulta quasi totalmente nascosto). Ha forma grossomodo
cuboidale.

E’ formato da due lamine perpendicolari nella porzione centrale e ai lati due parallelepipedi (labirinti
etmoidali):

-Lamina verticale (perpendicolare), struttura impari, è intersecata all’orizzontale, la quale permette di


individuare un parte superiore e una inferiore della verticale.
*La parte superiore prende il nome di Crista galli (a cresta di gallo), sporge nella cavità cranica, proprio sul
piano mediano, subito dietro la cresta frontale (alla cui base c’è il foro ceco, nascosto proprio dalla crista galli,
che lo completa). Tale crista si articola con l’osso frontale (margine anteriore); ha versanti laterali più o meno
lisci e su ogni lato della cresta, vi è un solco occupato dalla dura madre (falce cerebrale, nel margine
posteriore).

*La restante parte, quella inferiore, detta lamina perpendicolare, la troviamo a livello della cavità nasale
a formare parte del setto nasale (la volta della cavità nasale, che assicura la parete mediale). È più estesa e
si articola con la spina nasale dell’osso frontale e con le creste delle ossa nasali, mentre il margine posteriore
con la cresta dello sfenoide superiormente e con il vomere inferiormente. Sul margine inferiore si inserisce
la cartilagine nasale del setto.
E’ liscia, tranne che nella parte vicino alla lamina cribrosa, dove passano i filamenti dei nervi olfattivi.

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-Lamina orizzontale (disposta orizzontalmente) più piccolina. Vedendola superiormente la lamina orizzontale

1. tutta perforata da piccoli forellini, quindi si chiama anche lamina Cribrosa dell’etmoide (fori mettono in
comunicazione esterno con cavità cranica, permettono il passaggio dei filuzzi olfattivi del bulbo olfattivo e
delle meningi per portasi dentro a dare il primo nervo cranico, olfattivo). Si inserisce nell’incisura etmoidale
dell’osso frontale. Al centro percepiamo la Crista galli, che la divide a metà. Si può quindi considerare la
lamina cribrosa una struttura pari. Tale lamina Cribrosa la possiamo osservare anche nel versante inferiore,
nella volta delle cavità nasali; essa dunque mette in comunicazione volta della cavità nasale e cavità
endocranica.

Bulbo olfattivo andrà ad adagiarsi sulla faccia superiore della lamina cribrosa dell’etmoide con una direzione
specifica, dal davanti all’indietro.

-Lateralmente troviamo dei parallelepipedi, i

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labirinti. Si tratta di formazioni pari.

Eseguendo un taglio lungo un piano frontale dell’etmoide, è possibile riconoscere sei superfici del labirinto
etmoidale di destra e di sinistra.

Partecipano alla cavità orbitaria con la loro superficie laterale, alle cavità nasali con la mediale.

*La loro superficie superiore presenta tanti orifizi, che comunicano con cavità che ritroviamo nello
spessore di questo parallelepipedo: cellule o cellette etmoidali, tali cavità sono separate da laminette
sottilissime (sono i seni etmoidali). I labirinti si articolano con l’incisura etmoidale del frontale, il quale
chiude e forma il tetto di alcune di tali cellette (Endocranicamente non vediamo fori). Il canale
dell’infundibulo permette l’arpertura dei seni frontali nella cavità nasale.

*La superficie laterale (o orbitaria) va a formare parte della parete mediale della cavità orbitaria. E’
detta Lamina papiracea in quanto è una lamina sottilissima, delicatissima. Completa le cellule medie e
posteriori. Tali lamine lisce e allungate si articolano con il processo orbitario del frontale in alto, con
mascellare e processo orbitario del palatino in basso, col lacrimale in avanti e con lo sfenoide indietro. Nella
faccia laterale inoltre sono presenti due forellini che si immettono in due incisure descritte prima nel margine
etmoidale dell’osso frontale, formando in questo modo il canalicolo etmoidale anteriore e il canalicolo
etmoidale posteriore. Attraverso questi canalicoli passano i vasi etmoidali anteriore e posteriore e i nervi
etmoidali anteriore e posteriore

*La Superficie anteriore si articola con l’osso lacrimale.

*La Superficie posteriore si articola con il corpo dell’osso Sfenoide (sfenoide e processo orbitario del palatino
completano le cellule aperte posteriormente).

*La Superficie mediale è la parete laterale della cavità nasale. Mentre, abbiamo già visto, la parete mediale
della cavità nasale è data dal setto nasale e la volta è data dalla superficie inferiore della lamina cribrosa.

Sporgono, aggettano da questa laminette ossee dette cornetto superiore (piccolino, difficile vederlo, si
estende posteriormente) e cornetto medio (più esteso, occupa tutta la superficie mediale dal davanti al
dietro), detti anche conche o turbinati. I cornetti si dirigono verso il basso suddividendo parzialmente la
cavità nasale. (vedi immagine sottostante)

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*La superficie inferiore ha un altro
processo importante, il Processo uncinato, che ad uncino va postero-caudalmente e che ha l’estremità
superiore in corrispondenza del limite mediale dello hiatus semilunare (vedi dopo) del meato medio. Il
Processo uncinato risulta visibile se si toglie una porzione di cornetto medio.

Con la sua estremità si articola ad un’altra laminetta ossea a sé stante (non ha nulla a che fare con l’Etmoide),
il Cornetto inferiore. [tav 44 Netter]

60
Si nota una sporgenza, nascosta in genere dal cornetto medio, una celletta etmoidale particolarmente grande
e si chiama Bolla etmoidale. Essendo quest’ultima una delle più grandi cavità pneumatiche dell’etmoide,
funge da punto di riferimento per le operazioni degli otorino, insieme al processo uncinato. Il chirurgo può
vedere la bolla spostando medialmente il cornetto medio, che solitamente la nasconde, ed inoltre
riconoscere sia il processo uncinato che lo iatus.

(tav 37) In sezione sagittale del labirinto vediamo le bolle, separate da sottilissime lamine, sono cavità ripiene
d’aria, appartengono a seni paranasali e comunicano con le cavità nasali.



Nell’immagine: U:
processo uncinato. B: Bolla MT: Turbinato medio. Il termine turbinato è un altro modo per indicare i
cornetti, insieme al termine “conche nasali”.

Vi è un passaggio che consente al seno frontale di comunicare con le cavità nasali ed è il già citato infundibolo
dell’etmoide che si apre nello spazio semilunare delimitato dal processo uncinato e dalla bolla, hiatus semilunare,
con concavità rivolta verso indietro e verso l’alto.

Costituzione interna dei labirinti: I labirinti etmoidali sono occupati da tante piccole cellette, delimitate da osso
sottilissimo, connesse con le cavità nasali: le cellette etmoidali

61

Come già detto le cellule etmoidali si dividono in anteriori (circa 11), medie (3) e posteriori (6): le posteriori si
aprono tra cornetto superiore e medio (ovvero meato superiore); nello iatus si aprono quelle anteriori; quelle
medie (che determinano la sporgenza della bolla etmoidale) sotto il cornetto medio (meato medio), perciò tutte
le cellette in qualche modo hanno uno sbocco nelle cavità nasali e sono piene d’aria come tutte le cavità
paranasali.

Inoltre le cellule sono completate dall’incisura etmoidale superiormente, posteriormente dallo sfenoide e
dall’orbitario del palatino. Quelle medie e posteriori poi dalle lamine orbitarie (papiracee) e quelle anteriori dal
lacrimale e dal processo frontale del mascellare.

Le cellule etmoidali anteriori comunicano tramite un infundibolo ricurvo e nel 50% dei casi si continua con il
condotto nasofrontale per comprendere il punto di drenaggio del seno frontale.

[Vedi imm. A pg 29] Nell’immagine, le frecce verdi indicano gli sbocchi delle cellule etmoidali, al di sotto del
cornetto superiore e del cornetto medio. La freccia gialla, che corrisponde all’apertura del seno frontale nella
cavità nasale, raggiunge attraverso il labirinto etmoidale lo hiatus semilunare.

Sfenoide (prom 38, gray pag 525, tav 11,38,6)


Partecipa alla costituzione della cavità nasale, orbitaria, di parte della cavità cranica sia anteriore che media
(neurocranio), ma anche sulla superficie laterale del cranio, visibile dalla norma inferiore. Partecipa anche a
delimitare la fossa temporale e infratemporale. Impari e mediano. E’ formato da una parte centrale, il
Corpo; da questo si distaccano 3 coppie di processi pari: verticali verso il basso (pterigoidei), piccole ali dello
sfenoide e grandi ali dello sfenoide verso l’alto.
Si pone posteriormente all’osso frontale ed etmoide, anteriormente all’occipitale, in posizione mediale
rispetto alle due ossa temporali ed infine, sempre medialmente, si articola in piccola parte con le due ossa
parietali. Questo è visibile tramite la veduta endocranica, ma esso possiede anche una superficie esocranica
inferiore. Osservandolo da questa norma infatti, di nuovo si nota il suo legame con osso occipitale e ossa
temporali, in più è posteriore alle due ossa palatine, di destra e di sinistra.
1) Corpo, paragonabile grossomodo ad un cubo modificato, perché la superficie superiore è a sella.

-Superficie superiore (in posizione centrale nella base cranica in veduta endocranica) forgiata a sella, Sella
turcica, la vediamo osservando la base cranica. Anteriormente si articola con la lamina cribrosa
dell'etmoide. La sella ha diverse parti: una prima parte, liscia, giogo sfenoidale, che presenta ai lati della
linea mediana due docce, disposte in senso saggittale, da avanti verso indietro, sulle quali si adagiano i
tratti olfattivi (bulbo oflattivo). Queste due docce sono in continuità con le docce olfattive ai lati della
crista galli dell’etmoide. Più indietro fa seguito una doccia disposta trasversalmente, il solco del chiasma
ottico che si continua lateralmente nei fori ottici; posteriormente un piccolo tubercolo, tubercolo della
sella (che termina con i due processi clinoidei medi) e delimita anteriormente la sella turcica. Fa seguito
poi la profonda cavità detta fossetta ipofisaria (dove si situa l’ipofisi, raggiungibile per via endonasale)
e poi posteriormente è delimitata dal Dorso della sella. Le estremità del dorso si prolungano a dare i
Processi clinoidei posteriori (destro e sinistro). In basso e lateralmente il dorso si articola con l'apice
della porzione petrosa del temporale. Posteriormente al dorso, il corpo assume la direzione della
porzione basilare dell'occipitale con il quale si articola, formando il Clivus.

-Superfici laterali, endocraniche, quindi le osservate nella base cranica. Daranno impianto alle piccole ali
supero-anteriormente e alle grandi ali postero-inferiormente. E’ presente un’impronta che decorre da

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dietro in avanti (tra corpo e grande ala) detta solco carotico, lasciata dall’arteria carotide interna (ma
anche da nervi cranici e dal seno cavernoso venoso) dopo essere penetrata nella scatola cranica.

Le superifici laterali del corpo vedono anche l'inserirsi delle lamine mediali dei processi pterigoidei.

-Superficie inferiore, si ritrova esocranicamente. In posizione mediana c’è una cresta sfenoidale (rostro
sfenoidale è la parte più sporgente della cresta, partecipa in minima parte al setto nasale). Articola con
il vomere, che partecipa alla formazione del setto. Dal basso dunque la laminetta del vomere si divide
in due ali (ali del vomere) e nella loro concavità angolata si incastra la cresta sfenoidale, con una
sinartrosi (schindilesi, articolazione molto particolare, in sezione a forma di V, che si trova solo in questo
punto del corpo). C'è la presenza di due docce in senso sagittale, completate dall’articolazione di un
altro Osso (palatino) per formare i due canali faringei.

-Superficie anteriore: sempre esocranicamente, in posizione mediana presenta la cresta sfenoidale, continua
nella superficie inferiore, formando il rostro sfenoidale (in analogia al becco dei rapaci), e anteriormente
si articola con la lamina perpendicolare dell'etmoide. Lateralmente piccole concavità che corrispondono
all'articolazione con il labirinto etmoidale. A lato ancora due orifizi, aperture del seno sfenoidale, perciò
anche questa parte dello sfenoide costituisce un osso pneumatico. Ancora più a lato, il margine laterale
è accidentato. Questa superficie, essendo in continuità con l’etmoide, formerà la parete posteriore delle
cavità nasali.

-Superficie posteriore: si articola con la porzione basilare dell’osso occipitale con una sinostosi, che

si sviluppa con l’accrescimento. Non vediamo il limite.

Internamente il corpo dello sfenoide presenta delle cavità, in genere due, seni sfenoidali, separati da un setto
non mediale. La superficie anteriore presenta i due orifizi di sbocco, che si aprono nelle cavità nasali in una
posizione molto alta: nel Recesso sfeno-etmoidale proprio perché delimitato dalle varie parti dell’etmoide.

Grazie al seno sfenoidale il neurochirurgo può accedere all’ipofisi dalla cavità nasale.

2) Processi pterigoidei, dipartentisi dalla superficie inferiore del corpo dello sfenoide.

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Sono esclusivamente esocranici, li vediamo solo osservando la base cranica dalla norma inferiore o anteriore.
Hanno origine da due radici, che per un primo tratto sono fuse tra loro salvo poi separarsi a distanza
maggiore dal corpo dello sfenoide:

-Una radice laterale più ampia e cospicua che emerge dalla porzione inferiore della
grande ala;

-Una radice mediale più sottile che emerge dalla porzione infero-laterale del corpo
dello sfenoide.

Queste due radici permettono la delimitazione di un canale pterigoideo a livello della base dei processi (cioè
delle loro radici): tale canale si muove tra processo pterigoideo e corpo dello sfenoide, muovendosi in sensi
antero-posteriore à si muove orizzontalmente e perfora lo spessore dei processi dal davanti all’indietro
(apertura posteriore parzialmente ricoperta dalla lingula del temporale).

Il processo pterigoideo, in realtà, lo dobbiamo studiare considerandolo diviso in 2 lamine, mediale e


laterale, che si distinguono nella regione più distale rispetto al corpo dello sfenoide (prima sono fuse tra
loro):

-La lamina mediale è grossomodo verticale, più piccola, sottile; supero-lateralemente presenta una fossetta
grossomodo triangolare, fossetta scafoidea, dentro la fossa pterigoidea (vedi dopo), e a questo livello si
inserirà un muscolo del palato molle (parte del muscolo tensore del velo palatino).

Il margine inferiore della lamina mediale si prolunga assottigliandosi e incurvandosi, andando a formare
l’uncino pterigoideo.

Nel processo mediale è possibile individuare 2 facce:

La superficie mediale è rivolta verso l’interno, affacciandosi nelle cavità nasali a livello di rinofaringe.
Superiormente si prolunga sulla superficie inferiore del corpo dello sfenoide con una laminetta detta
processo vaginale, visibile dalla norma posteriore (vedi sopra, il processo vaginale collabora nel saldare l’ala
del vomere al rostro sfenoidale nella schindilesi).

La superficie laterale forma la parte mediale della fossa pterigoidea.

Il margine posteriore della lamina mediale è aguzzo, tagliente, termina inferiormente con l’uncino
pterigoideo, molto assottigliato (anulus), che si piega lateralmente, per il rafe (solco di demarcazione,
confluenza di due parti asimmetriche) pterigo-mandibolare. Raggiunge la parte posteriore del palato duro.

Il margine anteriore si articola con il margine posteriore della lamina perpendicolare del palatino.


-La lamina laterale, obliqua, più ampia, grossomodo rettangolare, concava verso l'esterno.

La superficie laterale forma parte della parete mediale della fossa infratemporale e dà inserzione al capo
inferiore del muscolo pterigoideo laterale (un masticatore). E' in continuità con la grande ala (zona
orizzontale) e la vediamo se osserviamo il cranio lateralmente.

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La superficie mediale è la parte laterale della fossa pterigoidea, sulla quale si inserisce la maggior parte del
muscolo pterigoideo mediale.

Il margine anteriore si articola inferiormente con il palatino.


Il margine posteriore è libero.

Abbiamo visto che la porzione mediale della lamina laterale e la porzione laterale della lamina mediale
formano, insieme, la fossa pterigoidea. Nel termine della fossa pterigoidea è possibile identificare
un’incisura (incisura pterigoidea) a forma di V. Questa sarà ripienata dal processo piramidale dell’osso
palatino.

3) Piccole ali, antero-lateralmente. Si staccano dalla porzione antero-superiore della faccia laterale del corpo,
ognuna si stacca attraverso due radici: una superiore ed una più in basso. Quella superiore è una lametta
ossea più sottile, mentre, l’altra più robusta. Prima di unirsi a formare le ali, formano un canale, il Canale
ottico.
*Superficie superiore, endocranica, liscia.
*L’altro margine delle piccole ali, posteriore, è concavo posteriormente, libero, tagliente, sottile. Esso si
*Il margine anteriore si articola con l’osso frontale e medialmente con la lamina cribrosa dell’Etmoide.
incunea all’interno della scissura laterale dell’encefalo. L'estremità posteriore del margine libero si
oftalmica, i quali penetrati all’interno si adagiano nel solco del chiasma ottico
triangolare e spessa), che immette appunto nel canale ottico, darà passaggio ai nervi ottici e all’arteria
si identifica il foro ottico (delimitato da due radici, una anteriore, sottile e appiattita, e una posteriore,
prolunga medialmente a dare i due processi clinoidei anteriori. A livello del chiasma ottico, alle stremità
Talvolta è possibile trovare anche i processi clinoidei medi: sempre a partire dalla superficie laterale del
corpo dello sfenoide. I clinoidei medi e quelli anteriori possono unirsi a delimitare un canale,
attraversato dall’arteria carotide interna. Questa possibilità è un altro esempio della variabilità
individuale.

*La superficie inferiore delle ali è molto sottile, piccolina, visibile dalla norma inferiore. Nel cranio articolato
la cerchiamo a livello della cavità orbitaria, di cui forma parte della porzione posteriore e superiore. Forma
il confine superiore della Fessura orbitaria superiore.

4) Grandi ali, costituite da tre porzioni; si staccano dalle due facce latero-inferiori del corpo e si dirigono
lateralmente e superiormente. La parte posteriore (spina angolare) si incastra nell'angolo compreso tra
porzioni petrosa e squamosa dell'osso temporale (sutura sfeno-squamosa).

- La prima porzione (infratemporale) è


- orizzontale.
Seconda porzione verticale (temporale).
- Terza Porzione orbitale o orbitaria, non proprio frontalmente, un po’ obliqua, unita alla porzione
verticale, spostata in avanti. Forma un margine con la verticale, molto prominente e robusto.

Le grandi ali possono essere considerate come costituite da 3 piani: un piano orizzontale che si allontana da
esse, un piano verticale che si attacca alla fine di quello orizzontale (e nel punto di incontro tra questi 2 piani

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si avrà una formazione detta spina angolare, e un piano verticale, anch’esso, ma posto perpendicolarmente
agli altri 2 in zona anteriore, che andrà a costituire parte abbondante del fondo della cavità orbitaria.

Sarà quindi possibile individuare 1 superficie endocranica e 2 superfici esocraniche.

-Superficie endocranica: fortemente concava ed irregolare, va a formare gran parte della fossa cranica media
in cui viene accolto l’encefalo. La superficie è alquanto discontinua a causa di fossi e avvallamenti lasciati dal
lobo temporale dell’encefalo.
A livello del margine mediale, ci sono tre fori: foro rotondo (antero-mediale, dà passaggio al nervo
mascellare), foro ovale un po’ più indietro e lateralmente (nervo mandibolare, arteria meningea
accessoria e a volte nervo piccolo petroso), ultimo foro spinoso a livello della spina angolare (arteria
meningea media e ramo meningeo del nervo mandibolare).
-Superfice esocranica:

1. Faccia orbitaria: la ritroviamo postero-lateralmente nella cavità oculare, ha forma grossomodo


quadrangolare ed è appiattita. Questa superficie va a comporre parte abbondante del fondo (parete
posteriore) della cavità orbitaria.

Il suo margine superiore è dentellato e si articola con l'osso frontale, il margine laterale si articola in modo
robusto con l'osso zigomatico, il margine libero più mediale forma il margine infero-laterale della fessura
orbitaria superiore (che si costituisce insieme alla piccola ala) mentre il margine libero inferiore
rappresenta il margine superiore della fessura orbitaria inferiore.

2. Faccia esterna: l’altra superficie esocranica è quella costituita dai due piani orizzontale e verticale,
spostandosi in senso medio-laterale (vedi sopra). Per una sua corretta visualizzazione, è necessaria la
norma inferiore. All’incontro tra piano orizzontale e piano verticale si forma la cresta infratemporale: essa
delimita, di fatto, la fossa infratemporale.

CHIARIMENTO dal Netter (Cap. 24): La fossa infratemporale è situata medialmente al ramo della mandibola.
Comunica superiormente con la fossa temporale (profondamente rispetto all’arcata zigomatica),
anteriormente con la cavità orbitaria mediante la fessura orbitaria inferiore e medialmente con la fossa
pterigopalatina tramite la fessura pterigomascellare. Comunica inoltre con la fossa cranica mediante i fori
ovale e spinoso.

Accoglie in sé i muscoli pterigoidei laterale e mediale (muscoli della masticazione), la branca mandibolare del
nervo trigemino, la corda del timpano (ramo del nervo faciale), il ganglio otico del parasimpatico, l’arteria
mascellare interna e il plesso venoso pterigoideo.

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Il margine laterale della grande ala esocranicamente lo vediamo in articolazione con osso parietale e
temporale. Si rapporta all’osso tramite una sutura squamosa (sutura sfeno-temporale). Tale sutura è a taglio
sbieco a spese del tavolato esterno della grande ala dello sfenoide.

Il margine mediale, invece, è prima frastagliato (più lateralmente) dove prende rapporto con l’osso frontale,
e poi è libero e smusso (più medialmente) andando a delimitare il margine inferiore della fessura orbitaria
superiore.

In veduta inferiore si nota che nel punto di incontro tra margine laterale e margine mediale si ha la
formazione di una protrusione a forma triangolare e robusta, che prende il nome di spina angolare della
grande ala dello sfenoide. Quest’ultima, nel cranio articolato, prende rapporto con l’osso temporale,
andando ad inserirsi nell’angolo che si forma tra la squama del temporale (più laterale) e la piramide del
temporale (più mediale). Si noti che tra margine mediale dello sfenoide, piramide dell’osso temporale e
porzione basilare dell’osso occipitale si viene a delimitare un foro dal margine molto seghettato che per
questo prende il nome di foro lacero. Nell’organismo vivente, nonostante il foro lacero abbia un diametro di
circa 1 cm, nessuna struttura di rilievo lo attraversa (di solito): esso è infatti occupato quasi completamente
da cartilagine.

Osso Occipitale (ana 11, tav 10-13, prom 39 )


Osso impari che forma la parete postero-inferiore della scatola cranica.
Posteriormente vediamo che si trova dietro rispetto alle parietali e allo sfenoide, in particolare osservando
dall’immagine la superficie esocranica della base cranica si riconoscono i processi pterigoidei dello sfenoide.
Inoltre si trova medialmente e posteriormente rispetto ad un altro osso pari, descritto in seguito, ossia il
temporale. Se esaminato, invece, endocranicamente lo troviamo posto dietro il corpo dello sfenoide e,
nuovamente, posteriormente alle due ossa temporali.

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La veduta esocranica dell’osso occipitale ci mostra la presenza di un grande foro di forma grossomodo
ellittica (35mm di diametro antero posteriore e 30mm in senso trasversale) chiamato Grande foro
(Foramen magno) occipitale, attraverso il quale passa il midollo allungato per diventare midollo spinale
(continuità’ tra cavità cranica e canale vertebrale). La presenza di questo foro ci permette di dividere l’osso
occipitale in 4 porzioni: posta anteriormente al grande foro c’è la porzione basilare, ai due lati abbiamo i
condili occipitali (coinvolti nell’articolazione atlanto-occipitale), posteriormente troviamo la squama, la
zona più espansa e sottile.
Segue una descrizione più approfondita delle due vedute oggetto d’esame, una esocranica e una
endocranica.
Faccia esocranica:
-Porzione basilare è posta anteriormente rispetto al grande foro. Si ricordi che è in continuità con lo
sfenoide. Esocranicamente va ricordata solo una struttura in posizione mediana, una prominenza sottile e
appuntita detta Tubercolo faringeo nel quale si inserisce la faringe.
-Nella Porzione laterale ( o condilare) abbiamo una superficie ruvida per l’inserzione i muscoli anteriori del
collo che permettono la flessione.
Antero-lateralmente ai lati del foro sono degni di nota i due condili di forma ovoidale, reniforme, con
direzione da dietro in avanti, i cui assi convergono latero-medialmente, per cui le estremità anteriori
sembrano convergere ma senza unirsi. Sono superfici convesse coinvolte nell’articolazione con l’atlante, la
prima vertebra cervicale. (Ricorda: Dove ci sono superfici deputate a formare articolazioni mobili, queste
appaiono completamente lisce perché presentano la cartilagine articolare (diartrosi)). Antero-lateralmente
al condilo si osserva il Canale dell’ipoglosso (che continua fino alla superficie endocranica), mentre
posteriormente osserviamo la presenza di due fori, Canali condiloidei. Non sono sempre presenti e può
essere che attraversino lo spessore dell’osso o che invece restino fori ciechi o possono addirittura mancare
completamente. Se è presente, al suo interno passa una vena emissaria, che collega la superficie esocranica
con un seno venoso interno della scatola cranica.
-la Squama esocranicamente è convessa e si nota una Protuberanza occipitale esterna in posizione
mediana, da cui si diparte la Cresta occipitale esterna, che si dirige inferiormente per raggiungere il grande
foro. Trasversalmente, sempre dalla protuberanza, da un lato e dall’altro si diparte orizzontalmente la Linea
nucale Superiore. Talvolta sopra di essa ve n’è una più sottile e piccola, meno evidente, ossia la Linea
nucale suprema. Nel punto medio della cresta si diparte un'altra linea, Linea nucale inferiore. Dunque
abbiamo due linee costanti (superiore la più rilevata e inferiore parallela più in basso) e talvolta la suprema.
Tutta la superficie esocranica è estremamente ruvida (soprattutto inferiormente rispetto alle linee nucali) e
questo rende ragione del fatto che qui si inseriscono potentissimi muscoli per mantenere eretto il capo
(trapezio, sternocleido-mastoideo lateralmente, splenio, semispinale della testa, l’insieme dei
suboccipitali).

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(Da notare che dalla
porzione basilare sporge
il tubercolo faringeo.)
Faccia endocranica:
-Porzione basilare
anteriormente al foro,
presenta una doccia che
nell’insieme prende il
nome di Clivo, scavata
dall’alto verso il basso,
dal davanti al dietro, a
cui partecipa anche una
porzione dello sfenoide
(corpo) con il quale si
fonde e si realizza
dunque una sinostosi,
quindi non ci sono
discontinuità tra l’osso
occipitale e il corpo dello
sfenoide. Sul clivo si
adagia la superficie
ventrale (anteriore) del
tronco encefalico.
-Porzione laterale ha
un’eminenza giugulare
(o tubercolo giugulare), corrispondente alla parte endocranica dei condili, e inferiormente ad esso c’è un
canale, pari, canale del nervo ipoglosso che taglia trasversalmente il condilo (ha un’apertura esocranica ed
endocranica). Lateralmente, tra porzione laterale e basilare vi è il solco del seno petroso inferiore e più
indietro, tra porzione laterale e squamosa, il solco del seno sigmoideo. Anteriormente a quest’ultimo si
proiettano in avanti e lateralmente il processo giugulare.
-Porzione della squama è concava endocranicamente; centralmente presenta un'altra protuberanza, la
Protuberanza occipitale interna dell’occipitale (può chiamarsi eminenza crociata, confluenza dei seni
oppure Torcolare di Erofilo). È un punto di arrivo per molte strutture. Da questa verso il basso si diparte una
cresta, la Cresta occipitale interna, che raggiunge il grande foro occipitale e separa parte destra e sinistra.
In alto ad essa vi è un solco, già visto nascere frontalmente, solco del seno sagittale superiore, che, verso il
basso, passa la protuberanza occipitale interna diventando solco del seno occipitale, il quale si viene a
trovare quindi nella cresta occipitale interna. Trasversalmente alla protuberanza ci sono altri due solchi:
solco dei seni trasversi di destra e di sinistra, che formano una sorta di croce.

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La croce permette di suddividere
la cavità in 4 concavità:
superiormente le due fosse
cerebrali, dove sono accolti i lobi
occipitali degli emisferi
telencefalici; inferiormente
rispetto ai solchi trasversi, fosse
cerebellari. Tutta la superficie
presenta avvallamenti e
discontinuità, lasciate dalle
circonvoluzioni.
Annotazione riguardo ai margini:
-Si articola il margine superiore
(margini lamboidei) su entrambi i
lati con le parietali, con una
sutura lambdoidea (si ricordi la
sutura con le Parietali)
- Latero-inferiormente si articola
con l’osso temporale (l’occipitale
ha infatti l’incisura mastoidea) e
medialmente in tale margine
temporale (margine mastoideo)
ritroviamo un’incisura, delimitata
posteriormente dal processo
giugulare, è l’incisura giugulare.
E' una doccia ampia che, con la
giustapposizione dell’analoga incisura del temporale, forma un grosso foro, Foro giugulare che si trova al
fondo fossa giugulare del temporale. In tale foro passano il seno petroso inferiore, nervo IX, X, XI, seno
sigmoideo e arteria meningea posteriore.
- Nel margine temporale (mastoideo) dell’occipitale, nei lati, è presente un Processo giugulare che si porta
lateralmente e delimita anteriormente l’incisura. Per il resto si articola con una sutura con il temporale.

Ossa Parietali (tav.4-15, grey 462)


Chiudono in alto e lateralmente la scatola cranica; sono due ossa piatte, semplici, senza nessuna struttura di
rilievo, convesse esocranicamente e concave endocranicamente. Forma irregolarmente quadrangolare.

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Faccia Esocranica
Superficie liscia, con una tuberosità o Bozza parietale. Le linee temporali superiore e inferiore formano archi
convessi. Vicino al margine sagittale, posteriormente, si trova un foro incostante, Foro parietale, che da
passaggio a una vena proveniente dal seno sagittale superiore e a volte a un ramo dell'arteria occipitale.

Faccia Endocranica
Superficie segnata dalle impronte delle circonvoluzioni cerebrali e dai solchi dei vasi meningei medi (impronte
vascolari lasciate dall'arteria meningea media). Lungo il margine sagittale (superiore) si riscontra un solco per
il seno sagittale superiore, completato dal solco del parietale controlaterale. Una volta che rimettiamo
insieme le ossa che compongono la calotta: frontale, parietale e occipitale, vediamo la presenza del solco del
seno sagittale superiore che decorre lungo tutta la calotta. La falce cerebrale si inserisce ai margini di questo
solco. Ai lati di questo solco si trovano fossette granulari, più pronunciate negli anziani, che accolgono le
granulazioni del Pacchioni (o aracnoidali) che ritroveremo studiando neuroanatomia (servono per il

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riassorbimento del Liquot). Margine anteriore (o. frontale), superiore (o.parietale), inferiore (o.temporale),
posteriore (o.occipitale).

Ossa Temporali (ana 113,114, tav.4-16,gray 625,636)


Chiudono il cranio infero-lateralmente. Sono pari e sono complesse perché nel loro spessore abbiamo gli
organi stato-acustici (coclea per l’udito, canali semicircolari, utricolo e saculo per l’apparato vestibolare) e i
2 canali: meato acustico esterno (visibile sulla superficie laterale) che trasporta le onde e quello interno
(sulla mediale) che trasporta nervi o vasi.

Si pone dietro la grande ala dello sfenoide,


inferiormente al parietale, frontalmente
all'occipitale. Dalla veduta esocranica si pone
(tonalità di verde) dietro e lateralmente allo
sfenoide, anteriormente e lateralmente
all'occipitale. Dalla veduta endocranica
(guardare il verde) si osserva che è posto
posteriormente alla grande ala e lateralmente
rispetto al corpo dello sfenoide e
all’occipitale.

Ha origine da 4 abbozzi (nella foto se ne vedono tre) che nello sviluppo si uniscono, talvolta si fondono,
talvolta restano solo articolati: squamosa (più appiattita) da cui sporge il processo zigomatico,
petromastoidea (più spessa, all'interno sono accolti i canali), timpanica (a forma di anello ma che poi si

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estenderà durante lo sviluppo) e processo stiloideo (in questa fase è presente solo una depressione ma che
poi verrà completata)

Osservate la porzione petro-mastoidea paragonabile ad una piramide quadrangolare con la base disposta di
lato e posteriormente, l'apice è invece rivolto in avanti e medialmente. L'asse quindi è diretto da dietro ad
avanti e latero-mediale. Notare che la superficie superiore con la laminetta ossea si estende di lato e
prende il nome di Tegmen Tympori. È stato anche attaccato il processo stiloideo diretto in basso e avanti
(schema 1). A questa porzione petro-mastoidea va aggiunta la porzione timpanica (con l'osso che si
espande in avanti e medialmente) che inizialmente era un anello incompleto ed poi diventa una sorta di
docciatura concava (visibile solo a livello di superficie esocranica, non partecipa all'endocranica)(schema 2).
L'ultima porzione è quella Squamosa: osso sottile, presenta una parte verticale, a completare la superficie
verticale della scatola cranica, e una orizzontale(schema 3). A questo punto l'osso è completo (schema 4). Si
procede quindi ad una descrizione più dettagliata delle singole parti. Prima si noti l'osso rappresentato nella
sua completezza e in particolar modo l'espansione del petromastoideo che si unisce con la porzione
squamosa nella sua parte mastoidea. Notate inoltre la porzione timpanica che avvolge il meato acustico
esterno delimitato nella sua parte anteriore, inferiore, e parzialmente posteriore dall'osso timpanico. Dalla
superficie inferiore dell'osso si evince la porzione mastoidea che si spinge lateralmente e posteriormente; la
porzione della piramide (rocca petrosa) che si dirige in avanti e medialmente

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Osservando la superficie endocranica è possibile notare solo parte della piramide e la squama del
temporale (ovviamente la porzione endocranica).

N.B. È importante orientarsi tendendo conto del fatto che il processo zigomatico si rivolge sempre in avanti.

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1. Porzione squamosa: Porzione più sottile, espansa, piatta, chiude lateralmente la scatola cranica.
Giace antero-superiormente ed è sottile.
Ha una porzione verticale e una orizzontale e presenta un processo zigomatico e una fossa mandibolare,
associata all'articolazione temporo-mandibolare

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Superficie esocranica

E' liscia, convessa e forma parte della fossa temporale. [Superiormente al meato acustico esterno è solcata
verticalmente dall'arteria temporale media (origina sul processo zigomatico dall’arteria temporale
superficiale, attraversa il muscolo temporale). La cresta sopramastoidea (vedi dopo) piega indietro e verso
l'alto e dà attacco alla fascia temporale (aponeurosi che ricopre il temporale). Si connette alla porzione
mastoidea poco sotto tale cresta con una sutura squamomastoidea.]

-La porzione verticale non presenta nulla di particolare se non solchi vascolari e qui vediamo attaccarsi il
muscolo temporale (origina dalla fossa temporale e medialmente al processo zigomatico e si inserisce nel processo
coronoideo mandibolare; è innervato dal trigemino). Postero-inferiormente vi è la cresta sopramastoidea (o
temporale) [continuo delle linee temporali] che si prolunga e darà origine al processo zigomatico. Nella porzione
esocranica della parte verticale della squama abbiamo una grande apertura posteriore e laterale che è il Meato
acustico esterno. Postero-superiormente al meato acustico vi è un rilievo, una piccola spina detta Spina
soprameatale (soprameatum), un punto di repere. La cresta del temporale forma il tetto del meato; è anche
un punto di repere per il chirurgo, dato che internamente c’è l’antro mastoideo (o timpanico, utilizzato per
operazione in caso di mastoidite, ana 115), cavità in comunicazione con la cavità timpanica. La superficie
verticale partecipa alla Fossa temporale.

-La porzione orizzontale, in avanti rispetto alla piramide. E' visibile esocranicamente, da cui parte il
processo zigomatico. Anteriormente, a separarla da quella verticale c’è la Cresta infratemporale dello
sfenoide, che separava la porzione verticale dall’orizzontale della grande ala dello sfenoide. Posteriormente
allo sfenoide c’è il temporale e questa cresta si continua con la temporale (si continuano l’una nell’altra) e di
conseguenza questa superficie anteriore parteciperà alla Fossa infratemporale.
Nella parte più posteriore del processo zigomatico, inferiormente, vi è (anteriormente rispetto alla fossa
mandibolare), un rilievo trasversale che si chiama Tubercolo articolare ed è una superficie convessa antero-
posteriormente ben evidente che parteciperà all’articolazione temporo-mandibolare (unica art. Mobile del
cranio) e sporge lateralmente nel Tubercolo zigomatico. Al tubercolo articolare fa seguito (dietro) una

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profonda concavità detta Fossa mandibolare che contiene il condilo della mandibola e interviene anch’essa
nell’articolazione temporo-mandibolare. Questa fossa delimita, insieme alla porzione timpanica, una fessura
detta Fessura di Glaser o petro-timpanica (detta anche scissura), situata posteriormente alla fossa
mandibolare e che permette il passaggio dell’arteria timpanica e di un nervo.

Fossa mandibolare

Delimitata anteriormente dal tubercolo articolare del processo zigomatico. Ha un’area anteriore articolare
(liscia, ovale e concava e prende contatto con il disco articolare dell'articolazione temporo-mandibolare) e
una posteriore non articolare (vedi oltre).

Processo zigomatico: appartiene alla squama e si tende in avanti a partire dalla parte inferiore della squama.
Ha un’ampia base che poi si prolunga lateralmente (ha una porzione superiore e inferiore) e poi gira antero-
medialmente (e le due superfici diventano mediale e laterale).

Ha origine dall’unione di due radici:

(1) Radice longitudinale che corrisponde alla cresta temporale (che si prolunga in avanti a dare tale
radice);
(2) Radice trasversa che corrisponde al tubercolo articolare.
Dalle unioni di tali radici prende origine e si stacca il processo zigomatico che si porta in avanti e presenta
anteriormente un margine dentellato (inclinato postero inferiormente) che si articola con il processo
temporale dell’osso zigomatico, formando l'arcata zigomatica.

Presenta anche una superficie esterna a contatto con la cute, molto superficiale, e una mediale che vedremo
dare inserzione a muscoli.

E’ presente il Tubercolo zigomatico che corrisponde alla porzione sporgente lateralmente del tubercolo
articolare. Sul margine superiore del processo zigomatico, anteriormente, si attacca la fascia temporale.
(Mentre dal margine inferiore hanno origine fibre del massetere.)

Superficie endocranica

Non presenta particolari di rilievo, risentirà di quella conformazione lasciata dalle circonvoluzioni, ma anche
solchi vascolari dell’arteria meningea media [origina dalla arteria mascellare interna ed entra nella cavità
cranica attraverso il foro spinoso e decorre nel solco sulla parte antero-laterale della squamosa del
temporale, dividendosi in branca frontale e parietale: il primo va allo sfenoide, il secondo si porta
posteriormente; suoi rami collaterali sono: ramo meningeo accessorio che penetra attraverso il foro ovale,
ramo petroso, arteria timpanica superiore]. E' legata con il margine inferiore alla parte anteriore della parte
petrosa (nell'adulto appaiono tracce sella sutura petro-squamosa). Il margine superiore è sottile e
internamente smussato e si sovrappone all'inferiore del parietale (sutura squamosa). Forma un angolo
posteriormente con l'elemento mastoideo (incisura parietale). Il margine antero-inferiore incontra la grande
ala dello sfenoide.


2. Porzione petromastoidea

La porzione petrosa ospita l'apparato uditivo ed è formata da osso compatto; quella mastoidea invece è
trabecolare e irregolarmente pneumatica.

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Il nome dell'osso è dovuto alla forma di piramide quadrangolare, detta anche Rocca petrosa, apice con
direzione postero-anteriore, latero-mediale. L’apice è rivolto antero-medialmente, la base postero-
lateralmente e la osserviamo esocranicamente.

Viene divisa in due parti: mastoidea, che è la regione posteriore del temporale, e petrosa.

-Parte mastoidea: ha una superficie esterna ruvida (per attacco di muscoli) e frequentemente vicino
al suo margine posteriore presenta un foro mastoideo attraversato da una vena emissaria (del seno
sigmoideo), che dal cuoio capelluto va ai seni della dura madre che convogliano il sangue refluo per portarlo
esocranicamente, e una piccola branca durale dell'arteria occipitale. Il foro può trovarsi sia a livello dell’osso
occipitale, sia della sutura occipito-temporale, sia parasuturale oppure può mancare. Antero-inferiormente
si sviluppa come Processo mastoideo, conico. Sulla sua superficie laterale si attaccano lo
sternocleidomastoideo, splenio della testa, lunghissimo della testa. Postero-medialmente al processo
mastoideo vi è l’ incisura mastoidea, piuttosto profonda, che presenta lateralmente il solco digastrico, in cui
si inserisce il ventre posteriore del digastrico, e medialmente all'incisura il solco occipitale superficiale per
l'arteria occipitale. Il suo margine superiore si articola con il parietale (angolo mastoideo), mentre il
posteriore con l'inferiore dell'occipitale. Non dimentichiamo le cellule mastoidee, concavità, piccole, scavate
nel processo mastoideo e rivestite da mucosa, che comunicano con orecchio medio attraverso l’antro (ana
115). Tale porzione fa da cassa di risonanza.

-Parte petrosa: zona tra sfenoide e occipitale (a livello della base cranica) che accoglie il labirinto
acustico. Ha la base (considera la piramide st--esa, quindi di fatto la sua faccia inferiore corrisponde a la faccia
laterale di una piramide vista in piedi) sulla base cranica, l'apice smusso fa angolo con il margine posteriore
della grande ala dello sfenoide e la parte basilare dell'occipitale, e limita il foro lacero posterolateralmente.

La piramide (la parte petrosa) presenta quattro facce: due endocraniche e due esocraniche.

Le due endocraniche sono la faccia superiore e la faccia posteriore:

-La superficie superiore (tav.11) è parte del pavimento della fossa cranica media, si continua con la
superficie della squama endocranica.
L’apice si vede dall’interno e vedo dall’avanti al dietro (dorsalmente all'apice) un avvallamento, che é l’impronta
del Ganglio di Gasser o Semilunare, del nervo Trigemino. Lateralmente si trovano due solchi (che prendono il
nome dei nervi), che si trasformano in canale (entrano nella piramide), e accolgono due nervi: solco del grande e
piccolo nervo petroso supercficiale, rispettivamente mediale e laterale.
Postero-lateralmente troviamo una porzione sporgente detta Eminenza arcuata, che nasconde al suo interno il
canale semicircolare anteriore (o superiore), organo dell’apparato stato-acustico che sporge e solleva la faccia
superiore. Lateralmente e indietro, a contatto con la porzione squamosa, troviamo il Tegmen tympani (tetto della
cavità timpanica), che non è altro che un prolungamento laterale (in direzione mediale) della superficie
superiore della Piramide.
Sul margine posteriore, quasi al punto medio della lunghezza della piramide, a contatto con la sua faccia
posteriore, vi è un solco ristretto per il seno petroso superiore.

-La Faccia posteriore, quasi verticale verso il basso forma un angolo di circa 90° con la superficie
superiore, partecipa alla fossa cranica posteriore.

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C’è un grande orifizio antero-inferiormente all’eminenza arcuata (nella parte centrale della faccia
posteriore), il meato acustico interno, (*piuttosto ampio, immette in un canale, in fondo al quale ci sono dei
piccoli fori separati che permettono il passaggio del nervo acustico, facciale e vestibolare) che in realtà è
formato da diverse aperture (si osservano la base della coclea, porzioni vestibolari e ingresso di un altro nervo
cranico). Posteriormente vi è una piccola fessura, che è l'apertura dell'acquedotto del vestibolo, che contiene
il sacco e il dotto endolinfatico, nonché una piccola arteria e una vena. Ancora più indietro e lateralmente si
nota la presenza di un solco molto profondo con forma ad S, detto solco del seno sigmoideo. Talvolta sul
fondo c’è un foro mastoideo nella parte mastoidea, (canale) per vena emissaria. Il solco del seno trasverso
(osso occipitale) si prolunga e si continua nel seno sigmoideo, portandosi lateralmente (uno prosegue
nell’altro, formando una specie di C).


Le due esocraniche:

-Faccia laterale: c’è poco da identificare. Per posizionarlo ci aiutiamo con la piramide e con il processo
zigomatico. Ne vediamo solo una piccola porzione esocranicamente.

La superficie laterale la ritroviamo a delimitare l’orecchio medio, la cavità timpanica. È nascosta dalla
porzione timpanica (*nella veduta laterale esocranica) (laminetta a doccia) e per vederla andiamo all’interno
della cavità timpanica. Esocranicamente, nel cranio articolato, si intravede una sottilissima (e unica) porzione
di petrosa (una lamina ossea), tra la squamosa e timpanica anteriore(?), che separa due semicanali, i quali
conducono alla cavità timpanica: il superiore porta dentro il muscolo tensore del timpano, l’altro è quello
della tuba uditiva (Gray 632).
La tuba si aprirà a livello del rinofaringe (l’orecchio medio è pieno di aria e ogni volta che deglutiamo
compensa la pressione che c’è nella membrana del timpano e l’aria viene convogliata attraverso questa
formazione osteocartilaginea che è la tuba uditiva).

80
-Faccia inferiore, si osserva guardando la base cranica dalla norma inferiore ed è quella che si può
osservare meglio. L’apice della piramide presenta un foro, Foro carotico interno, tagliato di sbieco, a becco
di flauto, e permetterà alla carotide interna di penetrare la cavità cranica. Spostandosi indietro-lateralmente
vi è una superficie ruvida per l’attacco di un muscolo (m. elevatore del velo palatino); mentre postero-
medialmente vi è una parte utilizzata per l’articolazione con l’occipitale.

Indietro ancora troviamo un orifizio tondeggiante, grande, Foro carotico esterno. I due fori sono collegati da
un canale intrapiramidale per l’arteria carotide interna. Questa si porta inizialmente verso l’alto, poi piega
orizzontalmente, si porta secondo la lunghezza della piramide e va verso l’apice, per uscire
endocranicamente dal foro interno; poi si adagia (l’arteria) sulla superficie laterale del corpo dello sfenoide
per portarsi in avanti.

Dalla mancata articolazione tra sfenoide, porzione basilare occipitale e apice della piramide si forma l’ampio
foro lacero, chiuso da cartilagine nel vivente. Quindi dal carotico interno l’arteria passa sopra (perché il
carotico interno è posto latero-superiormente al foro lacero) la cartilagine che chiude il foro lacero (non lo
attraversa) e si trova già nella scatola cranica.
Più indietro ancora, posteriormente al f. carotico esterno, c’è una profonda fossa, una concavità piuttosto
ampia, disposta trasversalmente, la Fossa giugulare, in cui si adagia la porzione superiore dilatata della vena
giugulare interna, porzione detta bulbo della giugulare. Le fosse giugulari hanno dimensioni variabili nei due
lati nello stesso individuo e ovviamente anche tra individui diversi.
Lateralmente alla fossa si proietta il Processo stiloideo, che si porta appuntito in avanti e verso il basso. Dietro
al processo, tra questo e la parte mastoidea, c’è il Foro stilo-mastoideo, che consente la fuoriuscita del nervo
facciale.
La base, posta lateralmente e posteriormente, della piramide (considerata in piedi) corrisponde alla porzione
mastoidea. Più lateralmente si individua il processo mastoideo visibile in proiezione laterale e sporge verso
il basso, qui vi si inserisce lo sternocleidomastoideo che forma la porzione laterale del collo (ben palpabile
dietro al padiglione auricolare).
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Dalla faccia inferiore vedremmo il processo mastoideo esteso verticalmente e, medialmente rispetto a tale
processo, ci sono due solchi: il primo, più laterale, solco digastrico (solco mastoideo), più profondo, in cui si
inserisce il muscolo digastrico, e il secondo medialmente il solco lasciato dall’arteria occipitale.
(In trasparenza, dall’alto, nella porzione petromastoidea, troviamo tante concamerazioni che chiameremo
Cellule mastoidee che comunicano con l’orecchio medio attraverso l’antro. Anteriormente all’orecchio
medio, la cavità timpanica si connette al rinofaringe attraverso la tuba uditiva. Nello spessore della
piramide troviamo gli organi stato-acustici, il canale della carotide e altri canali che danno passaggio a nervi
come quello faciale. La conformazione della porzione petromastoidea interna è anch’essa ripiena d’aria e
complessa.)

Margini
-Sempre a livello della porzione petromastoidea, tra le due superfici endocraniche, superiore e posteriore, si
stabilisce il margine superiore e presenterà un sottile solco (*docciatura) in cui troviamo un seno della dura
madre (solco del seno petroso superiore);
- Margine anteriore si articola lateralmente con la parte squamosa dell’osso temporale (a livello della sutura
petrosquamosa), medialmente con la grande ala (spina) dello sfenoide.

-Più importante è il margine posteriore: medialmente, tra faccia posteriore e inferiore, subito dietro al f.
carotico esterno, va a completare il solco del seno petroso inferiore dell’occipitale formandone il canale.
Posteriormente e lateralmente a questo vi è la fossa giugulare, che con l’incisura giugulare del temporale e
dell’occipitale delimitano il foro giugulare (al fondo della fossa) che si vede sia endo (postero-inferiormente
rispetto al meato acustico interno) che esocranicamente (posizionato posteriormente rispetto al canale
carotico esterno). Vi passano il nervo IX, X, XI e il bulbo superiore della vena giugulare interna. La
circolazione reflua dall’encefalo, drenata dai seni venosi, raggiunge tramite il seno sigmoideo il foro giugulare
ed esocranicamente da lì in poi non parliamo più di seni venosi della dura madre ma di vena giugulare
interna. La porzione dilatata è appunto accolta a livello della fossa, che vediamo solo nel cranio articolato
perché formata dall’affrontarsi delle due incisure.
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3) Porzione timpanica: ha forma di doccia, emicanale (anello incompleto supero-anterioremnte e sottile, le cui
estremità sono fuse alla porzione squamosa) e va a delimitare gran parte del meato acustico esterno. La sua
superficie posteriore concava forma la parete anteriore, il pavimento e, penetrando e ruotando, parte della
posteriore del meato acustico esterno; mentre la parte anteriore concava e quadrilatera è la parte posteriore della
fossa mandibolare. Su quel margine dentellato si inserisce la cartilagine del padiglione auricolare. Si inserisce tra
squama (inferiormente e posteriormente), porzione petrosa (lateralmente, fuse internamente) e al processo
mastoideo (posteriormente), con il quale foma la fessura timpano-mastoidea. La porzione timpanica
inferiormente si dirige medialmente e va a contornare la base del processo stiloideo.
Si vede il Processo vaginale, è la porzione di timpanico che, estendendosi medialmente, avvolge la base del
processo stiloideo, per questo anche detto guaina del processo stiloideo. La porzione timpanica si
riconosce per aspetto ruvido.

4) Processo stiloideo: sorta di zanna rivolta verso il basso (antero-inferiormente), processo acuminato. Dà
inserzione al gruppo dei muscoli stiloidei (stilofaringeo, stiloglosso, stiloioideo) e due legamenti
(stilomandibolare e stiloioideo).

Splancnocranio
Ossa che si sono evolute a contornare le aperture delle cavità nasali e della cavità orale (non partecipano alla
scatola cranica).
6 ossa pari e 2 impari: nasale, lacrimale, mascellare, zigomatico, cornetto inferiore e il palatino; vomere e
mandibola.

Mascellare (ana 117, tav 4,6,8,10,14,15,16,36,37; gray 268,269)


Osso pari, si pone a costituire la maggior parte della porzione anteriore dello splancnocranio (e del massiccio
facciale). Viene descritto come formato dalla porzione centrale detta corpo e 4 processi: in alto il processo
frontale, lateralmente lo zigomatico, inferiormente l'alveolare e medialmente (orizzontale) ci sarà il processo
palatino.
Articolandosi, le due mascellari, vanno a delimitare la gran parte dell’apertura piriforme, con forma a pera,
che è l'apertura delle cavità nasali (infero-medialmente presenta la spina nasale anteriore). Il processo
inferiore (alveolare), articolandosi con il controlaterale, forma l’arcata alveolare superiore (dentale).

Superficie laterale
Divisa in una parte anterolaterale e una posterolaterale:
-Superficie anteriore: sopra gli incisivi vi è la fossa incisiva, a livello del processo alveolare si trovano
a sporgere i gioghi alveolari, soprattutto quello che accoglie la radice del canino, la più lunga. Lateralmente
(e poco posteriormente) a tale eminenza, abbiamo una fossa, fossa canina.
Superiormente troviamo un foro, foro infraorbitario (sotto il margine della cavità orbitaria). Verso l’alto
troviamo che si stacca il robusto processo frontale che si articola a lato della spina nasale con il frontale e
lateralmente viene diviso dalla cresta lacrimale anteriore. Si prolunga anche quello che dopo sarà il processo
zigomatico, lateralmente.
-Superficie posteriore (o infratemporale): non presenta un margine preciso, ma , posteriormente al
processo zigomatico (che separa le due superfici), ha un margine arrotondato che prende il nome di
tuberosità del mascellare, rivolta indietro e presenta molti forellini, detti fori alveolari, in quelli più grandi
penetrano i rami del nervo alveolare superiore posteriore, che porta innervazione alla parte posteriore
dell’arcata dentaria (quindi in questi forellini passano sia vasi che nervi). Partecipa alla fossa intratemporale
Il processo zigomatico, è il primo che sporge e diparte lateralmente. E’ paragonabile a una piramide
triangolare, il cui lato anteriore è in diretta continuità con la superficie anteriore del mascellare, mentre la
faccia posteriore è in continuità con la tuberosità del mascellare; la parte superiore (superificie orbitaria) si
porta medialmente a costituire il pavimento della cavità orbitaria. Qui, posteriormente, abbiamo un solco
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che poi intramuralizza e diventa canale infraorbitario, con direzione postero-anteriore e poi scompare
perché intramuralizza, entra dentro lo spessore osseo e trova la sua apertura, anteriormente, nel foro
infraorbitario (sopra descritto).

La superficie laterale del mascellare ha un margine inferiore che va a formare una sorta di arcata concava
verso il basso e lateralmente, continuandosi con la superficie del corpo del mascellare. Il margine antero-
supero-mediale concorre a formare il margine della cavità orbitaria. Il margine posteriore è smusso, libero,
non si articola con nulla, si continua inferiormente con la tuberosità del mascellare(la quale, medialmente, si
articola con la superficie mediale della lamina verticale del palatino) e, insieme alla porzione libera del
margine mediale della grande ala dello sfenoide, delimita la fessura orbitaria inferiore. La f.o. superiore è
connessa con la scatola cranica, l'inferiore invece con la fossa infratemporale, attraverso la fossa pterigo-
palatina.

Superficie mediale(nasale)
Si notano il processo frontale in alto e l’alveolare in basso, il processo palatino che si dirige medialmente.
Suddividiamo l’altezza della faccia mediale in 3 (4) parti e all'incontro tra terzo (quarto) inferiore e due (3) terzi
(quarti) superiori si stacca il processo palatino, orizzontalmente. Posteriormente si vede la parte arrotondata,
tuberosità. Era un'unica apertura e il processo palatino la divide in due cavità (ha una faccia superiore e una
inferiore dunque). Se lo osserviamo dall’alto ha la superficie liscia che costituisce il pavimento della cavità
nasale, mentre nell'estremità mediale si solleva in una cresta, cresta nasale mascellare. Visto dal basso , invece,
corrisponde a parte del palato duro, dunque forma il tetto della cavità orale, dove i due processi palatini si
articolano con una sutura armonica (sutura palatina mediana). Il mascellare costituisce due terzi anteriori del
palato duro. La superficie inferiore appare poi come percorsa da forellini ciechi, che andranno ad accogliere le
salivari minori a livello della volta. Il margine mediale si articola con il mascellare (pr.palatino) controlaterale;
anteriormente i due margini hanno un'incisura che affrontandosi dà un foro, foro incisivo. Questo si porta a
livello della cavità nasale come canale incisivo e si divide in due, uno di destra e uno di sinistra e fa dunque da
connessione tra cavità orale e nasale (poiché c’è un setto che divide le due cavità nasali, quell’unico foro del
palato deve sdoppiarsi a livello del pavimento delle nasali). Qui si realizzerà un anastòmosi dal punto di vista
vascolare (tra a. palatina maggiore e a. sfenopalatina) e passeranno anche nervi. Posteriormente il processo
palatino si articola con lamina orizzontale dell’o. palatino, completando il palato duro.
-La porzione superiore della faccia mediale del mascellare ha un robusto processo frontale che si
stacca verticalmente verso l'alto e si va ad articolare ai lati della spina nasale del frontale; nella
porzione superiore vi è la cresta etmoidale del mascellare (in cui si articola la conca nasale media
dell’etmoide), mentre nella porzione inferiore di tale processo c'è una piccola cresta detta cresta
concale (anteriore), che servirà ad articolare con il cornetto (o conca) nasale inferiore. Dietro al
processo c’è un solco naso-lacrimale, che poi diventa un vero e proprio canale naso-lacrimale con
l’osso lacrimale e consente la connessione tra cavità orbitaria (antero-medialmente) e cavità nasali.
Qui passerà il condotto naso-lacrimale che drena le lacrime (che vengono raccolte sul pavimento
nasale) [si apre sempre a livello di iatus semilunare, vedi tav.36].
Ancora più posteriormente e inferiormente osserviamo un grosso hiatus, apertura grande del seno
mascellare (tutto il mascellare è in realtà scavato e presenta un'enorme cavità pneumatica, il più
grande seno paranasale). Tale seno si apre nelle cavità nasali. Si ingrandisce nel corso della vita e la
lamina d'osso si riduce di spessore (in questa lamina corrono vasi e nervi, che nell'anziano possono
risultare liberi perché l'osso è stato riassorbito). L'orifizio di sbocco nell'osso isolato lo vediamo
come hiatus ma, articolato con le altre ossa, viene ridotto dal lacrimale, dal processo uncinato, dal
cornetto inferiore, dalla tonaca mucosa e si riduce a un piccolo orifizio posto nello hiatus
semilunare, a livello di estremità inferiore.
Posteriormente, in basso rispetto allo iatus, abbiamo il sito di articolazione del cornetto inferiore,
sito detto cresta concale (posteriore). Posteriormente (sempre sulla superficie mediale) si articola
con la lamina verticale dell’osso palatino.

Margini del mascellare:

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- Margine superiore: medialmente si articola con l’osso forntale, postero-medialmente con l’o. lacrimale
e dietro ad esso con la lamina papiracea dell’ o. etmoide; posteriormente con il processo orbitale dell’o.
palatino (e con il margine mediale della grande ala dello sfenoide concorre a formare la fesura orbitaria
inferiore).
- Margine laterale: si articola con l’o. zigomatico.
- Margine mediale: si articola dall’alto verso il basso con etmoide, lacrimale, conca nasale inferiore e più
posteriormente con la lamina perpendicolare del palatino.
- Margine inferiore (alveolare) corrisponde all’emiarcata superire della bocca, si hanno le cavità alveolari
che andranno ad accogliere le radici dei denti.

-La parte sottopalatina riguarda solo il processo alveolare.

Dunque il processo frontale si articola con il frontale, lo zigomatico con lo zigomatico, il palatino con il
controlaterale e con il palatino (posteriormente) e l'alveolare è libero (con denti).

Osso Zigomatico (ana 118, tav 4,6,10,12,14,15; gray 468)


Robusto osso, pari, con al suo interno solo due canalini, senza cavità (è un osso compatto), un robusto ponte
osseo che connette anteriormente frontale (con processo frontale) e mascellare e posteriormente si articola
con le grandi ali dello sfenoide e con il temporale attraverso il suo processo temporale (completa il massiccio
facciale lateralmente), completando l'arcata zigomatica.
-Faccia laterale, convessa, affinaco al suo margine orbitario presenta il foro zigomatico-faciale; tale
superficie si può toccare essendo solo coperta dalla cute e da inserzione ad alcuni muscoli mimici.
-Superficie mediale concava, rivolta posteriormente verso il processo coronoideo della mandibola concorre
a delimitare la fossa infratemporale. Alla base del processo frontale è presenta il foro zigomaticotemporale.
Quindi vi sono due forellini, uno posto anteriormente e uno posteriormente, che danno passaggio a
due piccoli nervi sensitivi del trigemino.

Margini:
-Anteriore forma gran parte del margine latero-inferiore della cavità orbitaria (infero-antero-medialemente
si articola con il processo zigomatico del mascellare, supero-lateralmente con il processo zigomatico del
frontale);
-Il margine postero-superiore forma il limite antero-inferiore dell’altra ampia fossa, fossa temporale;
-Il margine postero-inferiore prosegue nel margine inferiore dell'arcata zigomatica, piuttosto sottile, il quale
darà origine a uno dei muscoli masticatori e concorrerà all'inserzione del massetere.

Ossa Palatine (ana 120, tav. 6,8,10,12,16; gray 469,471)


Piccolo ossicino, pari e simmetrico, che si trova posteriormente rispetto al mascellare e anteriormente alla
porzione inferiore dello sfenoide (i processi pterigoidei). Ha una forma ad L. Dunque descriviamo due lamine:
una verticale laterale e una orizzontale che si porta medialmente. All'unione dei due bracci si nota la
sporgenza del processo piramidale, che va a colmare l'incisura tra le due lamine (mediale e laterale) dei
processi pterigoidei dello sfenoide, completando la fossa pterigoidea.
-Lamina verticale: è leggermente obliqua, concorrerà a formare la parete laterale delle cavità nasali,
mentre anteriormente abbiamo il mascellare e l'etmoide. La lamina si articola anteriormente con il margine
posteriore-mediale del mascellare. Ha due superfici, nasale (o mediale) e mascellare. Sulla superficie mediale
troviamo la prosecuzione sia della cresta etmoidale che della concale del mascellare, ovvero le creste
etmoidale e concale del palatino, quindi i cornetto medio e inferiore si articolano anche a questo livello. La
superficie laterale, esternamente, la ritroviamo postero-medialmente alla tuberosità del mascellare (con essa
articolata) e la percepiamo sul fondo della fessura tra processo pterigoideo dello sfenoide e mascellare, la
fossa pterigopalatina (tav. 6,16), di cui forma la parete mediale liscia. Il margine superiore presenta
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anteriormente il processo orbitario, visibile nella cavità orbitaria, e posteriormente una profonda incisura
sfeno-palatina che, andandosi ad articolare con il corpo dello sfenoide dà un foro, foro sfeno-palatino, che
permette l'ingresso nelle cavità nasali dell'arteria sfenopalatina.

-Lamina orizzontale: va medialmente, la troviamo dietro al processo palatino dell’osso mascellare. E'
quadrangolare e ha 4 margini e due superfici. Il suo margine superiore si solleva nella parte posteriore della
cresta nasale (la continua nella parte posteriore), che si articola superiormente con il vomere. Nella spina
nasale posteriore, situata nel margine posteriore, medialmente, si inserisce l'ugola. Andrà a comporre la
parte posteriore del palato duro dalla veduta inferiore e la porzione posteriore del pavimento delle cavità
nasali dal versante superiore.
Le due lamine si articolano medialmente nella sutura armonica. Il margine anteriore si articola con il processo
palatino del mascellare, mentre il margine posteriore molto sottile, con concavità indietro, è un margine
libero e darà attacco al palato molle. Articolandosi con il pr. palatino mascellare (anteriormente con la sutura
palatina trasversa) si delimitano due fori (visibili sulla superficie inferiore): foro palatino maggiore e, più
posteriormente, minore. In questo modo posteriormente si descrive la fossa pterigo-palatina (tav. 6,16),
contenuta nella fessura pterigo-mascellare (che si prolunga inferiormente in un canale che si aprirà
attraverso questi due fori).

[Possiede anche altri due processi: orbitario e sfenoidale, approfondimento Gray p. 471
Il processo orbitario è diretto supero-lateralmente e si articola con il mascellare anteriormente, posteromedialmente
con lo sfenoide, la superficie mediale con il labirinto dell'etmoide. Delle superfici non articolari invece la superiore
triangolare è orbitaria, forma parte del pavimento posteriore orbitario. Può presentare un solco per il nervo mascellare.
All'interno di tale processo vi è un seno (aero).
Il processo sfenoidale invece è diretto supero-medialmente, è più piccolo. Si articola con il processo pterigoideo. Forma
parte del tetto e della parete laterale del naso. La sua regione anteriore, liscia, forma parte della parete mediale della
fossa pterigo palatina. L'incisura sfenopalatina, con l'articolazione con il corpo dello sfenoide, forma il foro
sfenopalatino. Si articola medialmente con l'ala del vomere].

Osso nasale (tav. 4,6,8,14)


Sono piccole ossa con dimensioni variabile comprese tra i processi frontali delle mascellari. Formano il ponte
o dorso nasale e presentano 2 superfici e 4 margini.
La superficie esterna (anteriore) è concava in senso discendente e convessa in senso trasverso, è ricoperta
da muscoli ed è perforata da un foro per una vena; la superficie interna (posteriore), concava in senso
trasverso ha un solco longitudinale per il nervo etmoidale anteriore.
Il margine superiore dentellato si articola con la parte nasale del frontale; il margine inferiore è in continuità
con la cartilagine nasale laterale; il margine mediale si articola con la controlaterale e si estende indietro in
una cresta che forma parte del setto nasale verticalmente; il margine laterale si articola con il processo
frontale del mascellare. Endocranicamente dall'alto al basso articola con la spina nasale del frontale, lamina
perpendicolare dell’etmoide e con la cartilagine settale.

Osso lacrimale (tav. 4,6,8,12,14 boo)


Le più piccole e fragili ossa craniche e si trovano anteriormente nella parete mediale delle orbite. Hanno due
superfici e 4 margini. La superficie laterale è orbitaria e presenta la cresta lacrimale posteriore (quella
anteriore è sul processo frontale del mascellare) e anteriormente un solco, anteriormente al quale si articola
con il margine posteriore del processo frontale del mascellare per completare loggia per il sacco lacrimale.
Sulla parte mediale termina con un uncino che si articola con l'osso mascellare; la parte anteroinferiore è
parte del meato medio. Postero-superiormente si congiunge all'etmoide e completa alcune celle etmoidali.
Il margine anteriore si articola con il processo frontale del mascellare, quello superiore con l'osso frontale, il
margine posteriore con la lamina papiracea (orbitaria) dell’ etmoide e l'inferiore con la superficie orbitaria
del mascellare.

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Cornetto inferiore (tav.8)
Sono due lamine ricurve orizzontali nella parete laterale del naso. La superficie laterale è concava
partecipando a delimitare il meato inferiore. Il margine superiore si articola con cresta concale del mascellare
anteriormente e con la cresta concale della lamina verticale del palatino posteriormente.

Vomere (tav 8)
Osso impari mediano, che concorre a formare il setto nasale: superiormente il setto è formato dalla lamina
perpendicolare dell'etmoide, postero-inferioremente dal vomere che superiormente si articola con la cresta
sfenoidale attraverso un'articolazione per schindilesi; tutta la restante parte che anteriormente completa il setto
è di natura cartilaginea. Inferiormente si articolerà con la cresta nasale che si forma dall'articolazione dei due
processi palatini delle mascellari e delle due lamine orizzontali delle palatine dietro, mentre posteriormente
il margine libero del vomere concorre a delimitare l’apertura posteriore delle cavità nasali, separandole.
Presenta solchi per vasi e nervi sulle superfici, è trapezoidale.

Mandibola (tav. 4,6,15,17; gray 528,529)
Osso impari formato da una porzione anteriore chiamata corpo della mandibola, che forma un ferro di
cavallo aperto posteriormente, quindi con convessità anteriore. Al corpo fanno seguito, tramite l’angolo
mandibolare, due porzioni laterali che si dirigono ed estendono in alto e posteriormente a formare i rami
della mandibola, uno destro e uno sinistro.

Corpo
-Superficie anterolaterale
Medialmente c’è un rilievo molto visibile, protuberanza mentale o sinfisi mandibolare (ha avuto ordine da
due abbozzi che poi si sono fusi) ai cui lati si trovano due fori (uno per lato), foro mentale, a livello del secondo
dente premolare. Sotto la sinfisi ti trova, invece, il tubercolo mentale. Poi troviamo una linea molto sottile,
linea obliqua esterna che obliquamente raggiunge, andando posteriormente e supero-lateralmente, il
margine anteriore del ramo (da cui dunque si diparte obliquamente davanti e in basso).
-Il margine superiore del corpo corrisponde al processo alveolare, e porta l'arcata dentale inferiore,
mentre il margine inferiore è molto robusto e arrotondato.
-Superficie posteromediale: medialmente e in basso sono presenti 4 piccole sporgenze, anche unite in
un'unica a volte, e sono le Apofisi geni (se sono quattro, 2 superiori e 2 inferiori) o Spine mentali (o
mandibolari, considerandole nella totalità). Danno inserzione a muscoli della cavità orale (quelli superiori ai
m. genioglossi e quelli inferiori ai m. genioioidei).
Sopra, più lateralmente, troviamo una linea molto sottile, la linea milo-ioidea, che separa una regione
superiore-mediale da una inferiore-laterale. Superiormente a tale linea, medialmente, troviamo una fossa
sottolinguale destra e sinistra, dove si alloggiano le due ghiandole sottolinguali. Vi sono altre 2 fosse (una
per lato), sotto la linea e più lateralmente, dette fosse sottomandibolari (oppure sottomascellare ), dove
alloggiano le ghiandole sottomandibolari (o sottomascellari).
-Margine inferiore (base): E' arrotondato e, ai lati della linea mediana, posteriormente soprattutto,
ci sono 2 piccoli avvallamenti, che sono le fossette digastriche, che danno inserzione al ventre
anteriore del muscolo digastrico di destra e di sinistra. Dunque notiamo che il muscolo digastrico si
inserisce a livello dell'incisura digastrica, medialmente al processo mastoideo (con il ventre
posteriore), e l'altra estremità a livello di margine inferiore del corpo mandibolare (con il ventre
anteriore).

Ramo
E' quasi rettangolare, si dirige verso l’alto e un po' posteriormente. Abbiamo per ogni ramo due superfici:
-Superficie laterale, che appare ruvida con una rugosità più evidente, soprattutto a livello di angolo
della mandibola, che prende il nome di tuberosità masseterina, e in questa si inserirà il muscolo massetere.

87
- Superficie mediale, interna, presenta grossomodo al centro un foro mandibolare, che immette in un canale
mandibolare che decorre lungo tutto il corpo della mandibola e darà passaggio ai vasi e nervi per l’arcata dentale
inferiore. Anterio-medialmente al foro, nascondendolo dal davanti, si stacca una spicola ossea, detta lingula
o spina dello spix (quindi non vediamo il foro in veduta anteriore), che è un importante punto di repere per
l'odontoiatra per l'anestesia (per l'arcata inferiore) e dunque per il blocco del nervo alveolare inferiore.
Sempre a questo livello abbiamo il solco milo-joideo, che diparte obliquamente verso il basso e l’avanti dal
foro mandibolare (latero-inferiormente rispetto alla linea milo-joidea),
-Angolo della mandibola: Medialmente presenta un altro rilievo, la tuberosità pterigoidea, per inserzione di
un muscolo (fuori massetere e dentro muscolo pterigoideo interno).
-Margine anteriore: è sottile e si divide a circoscrivere i processi alveolari, tramite la fossa
retromolare e il solco buccinatorio.
-Margine superiore: presenta due strutture molto sporgenti. Una anteriore a forma triangolare,
acuminata, è il processo coronoideo, mentre posteriormente si stacca il robusto processo condiloideo, che
superiormente ha una faccetta articolare, che è il condilo della mandibola che interviene nell'articolazione
temporo-mandibolare (posizionato obliquamente, con direzione latero-mediale e anterioro-posteriore). I
due processi sono separati da un'incisura mandibolare e a livello del collo del processo condiloideo, antero
medialmente, c'e la fossetta pterigoidea, dove si inserisce un altro muscolo masticatore (pterigoideo
esterno).

Studio del cranio articolato (tav. 4-16)


Esocranicamente
1
-Volta cranica superiormente (tav 9)
Visibili andando dal davanti posteriormente, l’osso frontale, la sutura coronale, le due ossa parietali collegate
dalla sutura sagittale (il punto tra s.coronale e s.sagittale è definito bregma) i fori parietali lateralmente ad
essa (per una vena emissaria e a volte ramo dell’arteria occipitale), la sutura lamboidea e l’osso occipitale (il
punto tra s.lamboidea e o.occipitale è definito lambda) ; talvolta vi è anche un osso suturale (wormiano).
Nelle ossa parietali abbiamo una bozza parietale, liscia appunto.

-Lateralmente (tav 6)
Ritroviamo l’osso frontale anteriormente e
superiormente, con la glabella e l’incisura sovraorbitale
(nervo e arteria sopraorbitari); con il processo zigomatico
si articola con l’osso zigomatico, che presenta il foro
zigomatico-faciale, e che prosegue nel processo
temporale che, assieme al processo zigomatico del
temporale, forma l’arcata zigomatica. L’osso mascellare
anteriormente presenta i gioghi alveolari nel margine
inferiore (e la fossa canina), la spina nasale anteriore
anteriormente, il foro infraorbitale superiormente e,
posteriormente (considerando la visione laterale), si
articola con l’osso zigomatico. Dal mascellare si stacca un
processo frontale verso l’alto che si articola con
l’o.frontale superiormente, con le ossa nasali
anteriormente e con il lacrimale posteriormente, dando la fossa del sacco lacrimale (delimitata dalle creste
lacrimali anteriore e posteriore). Forma parte del pavimento della cavità orbitaria e quindi è anche in
rapporto con l’etmoide (la sua lamina papiracea). All’interno troveremo il condotto naso-lacrimale (tra osso
mascellare e lacrimale).
La mandibola presenta il corpo con il foro mentale e superiormente l’arcata dentale inferiore; vediamo poi
la linea obliqua e il ramo, a partire dalla tuberosità masseterina, che termina con l’incisura che va a dividere
il processo coronoideo e il condilo.
88
Postero-superiormente è possibile notare la fossa temporale, delimitata dalla linea temporale (superiore e
inferiore) che parte dal processo zigomatico del frontale, prosegue per il parietale e si continua nella cresta
sopramastoidea (o temporale) del temporale, fino a dare il processo zigomatico del temporale e il margine
postero superiore dello zigomatico.
Il pavimento della fossa temporale è formato superiormente da parte del frontale e del parietale e
inferiormente dalla porzione squamosa del temporale e dalla parte verticale della grande ala dello sfenoide.
Questa fossa accoglie l’omonimo muscolo temporale.
Profondamente all’arcata zigomatica la fossa
temporale è in diretta comunicazione con la
fossa infratemporale, subito sotto: è
delimitata tra la faccia mediale del ramo della
mandibola e una parete costituita da
tuberosità dell’osso mascellare, processo
pterigoideo nella sua lamina laterale,
superficie infratemporale della grande ala,
disposta orizzontalmente e separata da quella
verticale mediante la cresta infratemporale che prosegue a livello di squama del temporale. Come limite
anteriore si ha la tuberosità del mascellare e posteriormente il processo stiloideo del temporale. È totalmente
occupata da due muscoli pterigoidei, arteria mascellare, ramo mandibolare del nervo trigemino, plesso
venoso pterigoideo e comunica con la fossa pterigo-palatina, molto più ridotta di dimensioni, da cui si accede
attraverso la fessura pterigomascellare.
Tale fossa è delimitata medialmente dalla superficie laterale
della lamina verticale del palatino, anteriormente dalla
tuberosità mascellare, posteriormente dalla radice anteriore
del processo pterigoideo dove ancora non sono separate le
due lamine, lateralmente è aperta a causa della fessura
pterigo-mascellare; inferiormente, dove la fossa tra
mascellare, processo pterigoideo e palatino si restringe si
viene a delimitare il canale pterigo-palatino che si apre
inferiormente a livello di palato duro dividendosi nei due fori
palatini, maggiore e minore.
In questa fossa pterigopalatina c’è un ampio transito di strutture. Essa ha forma conica, ampia e ben visibile
superiormente fino a ridursi progressivamente nel canale pterigo-palatino (il quale si apre in due orifizi a
livello del palato duro posteriormente, il canale palatino maggiore e minore).
Nella sua parete mediale presenta il foro sfeno-palatino, dato dall’incisura del margine superiore dell’osso
palatino e dalla faccia inferiore dell’osso dello sfenoide, che permette la comunicazione con le cavità nasali.
Supero-posteriormente si apre il foro rotondo e, poco più in basso, il canale pterigoideo (che “taglia”
orizzontalmente lo sfenoide), superiormente a questi il canale faringeo. La fossa pterigopalatina comunica
supero-anteriormente con la fessura orbitaria inferiore (e quindi con la cavità orbitaria).

Oltre a queste fosse sono visibili la squama del temporale appunto, solcata dall’arteria temporale media,
infero-posteriormente la cresta sopramastoidea che da attacco alla fascia temporale e nella porzione
verticale si attacca il muscolo temporale. Inferiormente alla cresta vi è il meato acustico esterno,
superiormente e posteriormente la spina soprameatale. Anteriormente al meato acustico esterno, vi è la
fossa mandibolare, che contiene il condilo mandibolare, e, ancora più avanti, il tubercolo articolare ben
evidente e partecipa alla articolazione temporo-mandibolare. Vi è la fessura di Glaser o petro-timpanica
posteriormente alla fossa mandibolare per il passaggio di un nervo e dell’arteria timpanica.
Dal processo zigomatico del temporale avrà origine il massetere.

89
Infero-posteriormente il processo mastoideo si stacca verso il basso e anteriormente, qui si attaccheranno
lo sternocleidomastoideo e altri muscoli, mentre medialmente vi è un’incisura mastoidea profonda che
contiene latero-medialmente il solco per il digastico e il solco per l’arteria occipitale.
Nell’occipitale ritroviamo posteriormente la protuberanza occipitale esterna e le linee nucali.
Extra: la regione suturale tra il frontale, lo sfenoide, il parietale e il temporale prende il nome di pterion.

Massiccio facciale frontalmente (Tav 4)


Ritroviamo l’osso frontale, con la glabella, le bozze frontali nella sua parte verticale, i fori sovraorbitari che
danno il passaggio a nervo e arteria sovraorbitari. Inferiormente attraverso l’incisura etmoidale andrà ad
articolarsi con l’etmoide (formando da due incisure i canali etmoidali anteriore e posteriore sulla parete
mediale della cavità orbitaria), con la spina nasale mediale si articolerà con le ossa nasali antero-medialmente
e con le mascellari (processo frontale) più lateralmente e posteriormente con le lacrimali.
Scendendo lateralmente ritroviamo l’osso zigomatico, con il processo frontale in verticale e il temporale in
orizzontale che si unirà al temporale per l’arcata zigomatica.
Scendendo medialmente ancora troveremo la mascella con lateralmente il processo zigomatico articolato
con l’osso zigomatico, centralmente (al mascellare) il foro infraorbitale (nervo infraorbitario, ramo del
mascellare), inferiormente il processo alveolare e medialmente la spina nasale anteriore (la posteriore si
forma medialmente e posteriormente nel vomere).
Infine la mandibola con il corpo medialmente, che presenta la protuberanza mentale (inferiormente) e più
lateralmente i fori mentali (nervo mentale e vasi omonimi), poi i due rami che salgono in direzione postero-
latero-superiore.

La cavità orbitaria è composta


superiormente dal frontale
(faccia orbitale che fa da tetto),
che possiede il margine
sopraorbitario, più smusso
medialmente e più tagliente
verso l’esterno. Supero-antero-
lateralmente avremo una fossa
poco profonda per la ghiandola
lacrimale, sotto il margine appuntito; mentre più medialmente si trova una fossa trocleare pianeggiante che
dà inserzione alla troclea (anello cartilagineo sull’osso frontale lungo il margine superiore della rima orbitaria.
Agisce come una puleggia per il tendine dell’obliquo superiore), ancora più medialmente la fossa del sacco
lacrimale.
Medialmente ritroviamo poi il processo frontale del mascellare appunto (che è articolato posteriormente
con l’osso lacrimale e qui è presente una fossa del sacco lacrimale), posteriormente ad esso le ossa lacrimali
e ancora più dietro la lamina papiracea dell’etmoide, con cui il fontale decorre a delimitare i fori etmoidali
anteriore e posteriore. Del mascellare abbiamo anche la faccia orbitale, che forma il pavimento mediale della
cavità orbitaria e presenta il solco infraorbitale che poi intramuralizza e sfocia anteriormente nel foro
infraorbitale. Lateralmente troviamo l’osso zigomatico, anch’esso con una faccia orbitale che forma la parete
laterale e il pavimento laterale della cavità orbitaria.
La parte più centrale e posteriore della cavità è composta però dallo sfenoide: la porzione orbitaria della
grande ala, leggermente obliqua, che rappresenta il limite inferiore-laterale della fessura orbitaria superiore
(connessione tra scatola cranica e cavità orbitaria, nervi cranici III, IV e VI, vena oftalmica e prima branca del
trigemino ovvero il nervo oftalmico), completata superiormente e più medialmente dalla superficie inferiore
della piccola ala. La fessura orbitaria inferiore, invece, è delimitata superiormente dalla grande ala,
inferiormente dall’osso mascellare (vi decorre il nervo infraorbitario, nervo zigomatico e arteria
infraorbitaria).
L’ultimo foro presente, quello più superiore e mediale, è il foro ottico (per nervo ottico e arteria oftalmica)
dello sfenoide.

90
Si intravede anche un piccolo processo orbitale dell’osso palatino, che prende rapporto posteriormente con
il corpo dello sfenoide, antero-lateralmente/inferiormente con la faccia orbitaria del mascellare e antero-
medialmente/superiormente con la lamina papiracea dell’etmoide.

Base cranica dalla norma inferiore (tav 10,12)


Medialmente, subito dietro all’arcata
dentale superiore, ritroviamo il foro incisivo
(nervo naso-palatino, vasi sfeno-palatini),
formato dall’addossarsi dei due
controlaterali processi palatini del
mascellare, e che è unico nella volta della
cavità orale, si sdoppia nel pavimento della
cavità nasale. Si vedono poi posteriormente i
processi palatini dell’osso mascellare,
affrontati grazie a una sutura palatina
mediana (armonica). Grazie a una sutura
palatina trasversa poi i processi palatini si
articolano con le lamine orizzontali dell’osso
palatino, che formano il terzo finale del
palato duro e hanno il margine posteriore
libero (è possibile osservare le coane, cavità
nasali posteriori che mettono in
comunicazione le narici e la parte alta della
faringe, detta rinofaringe)). Lateralmente
sono poi visibili i fori palatini, maggiore (per
il nervo e i vasi palatini maggiori) e minore
(nervo e vasi palatini minori), grazie
all’articolazione con il mascellare; si
apriranno poi nella fossa pterigo-palatina.
Lateralmente si staccano i processi piramidali delle ossa palatine che completano l’incisura pterigoidea
anteriormente mentre postero-medialmente la spina nasale posteriore.
Lateralmente nel cranio troviamo il processo zigomatico del mascellare, articolato con l’osso zigomatico.
Sempre medialmente, troviamo del vomere che divide le due coane e con le due ali si articola per schindilesi
con la cresta sfenoidale.
Dello sfenoide sono visibili i processi pterigoidei ai lati del margine posteriore del vomere, con l’uncino della
lamina mediale visibile. Nella lamina mediale, lateralmente, troviamo la fossa scafoidea dove si inserisce
parte del muscolo tensore del velo palatino. La lamina laterale darà attacco esternamente al muscolo
pterigoideo esterno, mentre internamente al pterigoideo interno.
Sono visibili le grandi ali dello sfenoide, la superficie orizzontale e poi quella verticale, che si porta alla fossa
infratemporale. Le due superfici sono divise dalla cresta infratemporale. Posteriormente alle grandi ali
troviamo gli ultimi due dei 3 fori: il foro ovale (nervo piccolo petroso superficiale, nervo mandibolare V,
arteria meningea accessoria) e il foro spinoso (ramo meningeo del nervo mandibolare V, vasi meningei
medi) posteriormente e in fondo all’ala la spina dello sfenoide.
Posteriormente al foro ovale, tra sfenoide e temporale si delimita il solco per la tuba uditiva, di Eustachio,
mentre più medialmente si delimita grazie a occipitale, sfenoide e temporale, il foro lacero (Nervo grande
petroso superficiale).
Medialmente, posteriormente troviamo l’occipitale, la parte basilare e centralmente il tubercolo faringeo.
Posteriormente invece il grande foro occipitale (midollo allungato, arterie e plessi venosi vertebrali, radici
spinali dei nervi accessori) e successivamente, sempre medialmente, la cresta occipitale, da cui dipartono

91
lateralmente linea nucale inferiore e superiore fino alla protuberanza occipitale esterna (oltre, a volte, vi è la
suprema). Antero-lateralmente al foro occipitale abbiamo, invece, i due condili per l’articolazione con atlante
e, dietro, la fossa e il canale condiloidei (non sempre presenti). Ancora latero-anteriormente al condilo
troviamo il canale dell’ipoglosso (Nervo ipoglosso) che lo attraversa trasversalmente.
Lateralmente ai processi pterigoidei ritroviamo la superficie infratemporale della grande ala dello sfenoide.
Ancor più lateralmente si nota la cresta infratemporale che prosegue con la squama del temporale. La
piramide del temporale è orientata con il suo apice verso il foro lacero, nel vivente chiuso da fibrocartilagine.
Le superfici rugose della piramide danno inserzione al muscolo elevatore del palato molle. Nell’articolazione
con l’occipitale, si forma la fossa giugulare (dove si adagia il bulbo superiore della vena giugulare interna, il
nervo glosso-faringeo IX, nervo vago X, nervo accessorio XI) con il foro giugulare (vi passano il nervo IX, X, XI
e il bulbo superiore della vena giugulare interna) al suo fondo posteriore (non è visibile a meno chè non si
inclini il cranio posteriormente dalla norma inferiore) e posteriormente, nella porzione mastoidea (o tra
questa e l’occipitale), il foro mastoideo (vena mastoidea emissaria del seno sigmoideo e una branca durale
dell’arteria occipitale ovvero arteria meningea posteriore). Anteriormente ad esso ritroviamo medialmente
il solco dell’arteria occipitale e, più lateralmente, il solco per il muscolo digastrico. Ancora più anteriormente
vi è processo mastoideo, a cui si inseriranno lateralmente lo sternocleidomastoideo e altri due muscoli,
mentre inferiormente il digastrico appunto. Alla sua base, medialmente troviamo il foro stilo-mastoideo
(nervo faciale) alla base del processo stiloideo, posto antero-medialmente.
Lateralmente (anteriormente al pr.mastoideo) intravediamo il meato acustico esterno, mentre medialmente,
anteriormente alla fossa giugulare, troviamo il canale carotico esterno (arteria carotide interna, plesso
carotico interno). All’apice della piramide, tagliata di sbieco, ritroviamo il canale carotico interno (più visibile
endocranicamente). Tra i due fori è presente un canale per la arteria carotide interna che percorre la piramide
verso l’apice, emergendo a quel punto nel cranio e non attraversa il foro lacero, ci passa sopra (è chiuso da
cartilagine nel vivente ed è a un livello inferiore rispetto al f.c.e.), poi si adagia nel solco carotideo del corpo
dello sfenoide.
Lateralmente infine troviamo la fossa mandibolare, con posteriormente la fessura petrotimpanica (con
corda del timpano del nervo faciale intermedio VIII) e anteriormente il tubercolo articolare e il processo
zigomatico, che articolandosi con il pr. temporale del mascellare formerà l’arcata zigomatica.

Endocranicamente (tav 9,11,13)


-Volta cranica
Si nota la cresta frontale anteriormente da cui diparte il solco del seno sagittale superiore. Vi sono le suture
coronale, sagittale e lamboidea, le fossette granulari (o granulazioni di Pacchioni) e i solchi dei rami dei vasi
meningei medi sulla superficie del parietale.

-Base cranica
Suddivisa in 3 fosse che vanno cranialmente postero-anteriormente dal basso verso l’alto:

1. Fossa cranica anteriore


Il limite anteriore dipende dal punto in cui è stata tagliata e rimossa la volta, ma dovrebbe partire dalla
glabella (e il taglio prosegue fino alla protuberanza occipitale esterna); il limite posteriore corrisponde al
limite anteriore della media ed è dato da (partendo medialmente): solco chiasma ottico, processo clinoideo
anteriore (margine posteriore libero delle piccole ali dello sfenoide).
Nella fossa anteriore, come nella posteriore, la parte destra e sinistra comunicano.
Le ossa che compongono la fossa cranica anteriore sono medio-lateralmente e antero-posteriormente: solco
del seno sagittale superiore (visibilità dipendente dal taglio della calotta) e cresta frontale, che termina con
il foro cieco (vena emissaria del seno sagittale superiore), non visibile perché coperto dalla crista galli,
delimitata lateralmente dalla lamina cribrosa (orizzontale) dell’etmoide (che presenta il foro etmoidale
posteriore e anteriore per vasi e nervo omonimi e i fori della lamina cribrosa per i fascetti del nervo olfattivo
I); lateralmente il solco dei vasi meningei anteriori, la porzione orizzontale del frontale, che corrisponde alla
faccia superiore della parte orbitale, quindi covessa superiormente; postero-medialmente la porzione
92
anteriore del corpo dello sfenoide (con il giogo, con i leggeri solchi olfattivi sui quali si poggiano i bulbi olfattivi
e continuano sulla lamina cribrosa) e una porzione delle piccole ali. Ai due lati del corpo sfenoidale ritroviamo
i due fori ottici (Nervo ottico II, Arteria oftalmica).
La fossa anteriore accoglie i lobi frontali dell’encefalo.

2. Fossa cranica media


Il limite anteriore è dato dal lkmite posteriore della fossa cranica anteriore (vedi su), mentre il posteriore è
dato dal dorso della sella (corpo sfenoide) e dal margine posteriore della superficie superiore della piramide
temporale. Le parti destra e sinistra sono separata a causa del corpo dello sfenoide.
Le ossa che la compongono sono medio-lateralmente: il corpo, pocesso clinoideo anteriore della piccola ala e la
grande ala dello sfenoide, la faccia superiore della piramide del temporale e parte della sua squama.
Da evidenziare, medialmente, la sella turcica composta antero-posteriormente da: tubercolo della sella,
fossa ipofisaria, dorso della sella con processi clinoidei posteriori. Lateralmente al corpo ritroviamo il solco
lasciato dall’arteria carotide interna. Lateralmente, troviamo, sotto il processo clinoideo anteriore, la
fessura orbitale superiore che permette il passaggio al nervo oculomotore III, nervo trocleare IV, rami del
lacrimale, del frontale, naso ciliare e del nervo oftalmico, il nervo abducente VI e la vena oftalmica
superiore e connette cavità orbitaria e cavità cranica; è delimitata tale fessura superiormente dalle piccole
ali (margine inferiore libero), inferiormente dalle grandi ali (margine mediale della faccia orbitaria).
Lateralmente, nella grande ala, ritroviamo il solco lasciato da vasi meningei medi e, più medialmente e
posteriormente, i fori: foro rotondo per il nervo mascellare V2; foro ovale per il nervo mandibolare V3,
l’arteria meningea accessoria, il nervo piccolo petroso superficiale a volte; foro spinoso per arteria e vena
meningee medie, nervo spinoso del nervo mandibolare V3.
Latero-posteriormente ancora abbiamo la piramide del temporale che presenta il solco (che parte da un
orifizio) del nervo piccolo petroso superficiale e del grande petroso superficiale che si portano antero-
medialmente verso l’apice, dove troviamo il canale carotico interno (arteria carotide interna e plesso
carotideo interno) e successivamente il foro lacero per il passaggio del nervo grande petroso superficiale.
Subito dietro al canale carotico l’impronta del ganglio semilunare del trigemino. Ancora più latero-
posteriormente si trova l’eminenza arcuata, ancora più lateralmente il tegmen tympani (laminetta ossea
sporgente) e infine più lateralmente (e superiormente) la squama del temporale.
All’estremità laterale vi è una porzione (2/3) del parietale con i solchi dei vasi meningei medi.
La fossa media accoglie lobi temporali dell’encefalo.

3. Fossa cranica posteriore


Il limite anteriore della fossa cranica corrisponde al limite posteriore della fossa media (dorso della sella),
mentre come limite posteriore il taglio convenzionale che permette di separare la calotta cranica dalla base
(comunemente la protuberanza occipitale interna o il solco del seno sagittale).
Le ossa che la compongono sono in senso antero-posteriore: lateralmente la piramide del temporale e 1/3
del parietale; e per la massima parte, medialmente l’osso occipitale.
Medialmente troviamo il clivo (doccia ampia e leggermente concava supero-posteriormente), composto da
sfenoide e occipitale, e, posteriormente alla parte basilare, il foro occipitale. Lateralmente ritroviamo il solco
del seno petroso inferiore e ancora più posteriormente (sulla squama) il solco dei vasi meningei posteriori.
Lateralmente ritroviamo sul margine posteriore della superficie superiore della piramide (centralmente) il
solco del seno petroso superiore e sulla superficie posteriore il solco del seno sigmoideo, il quale si continua
latero-posteriormente con il solco del seno trasverso formando una specie di C e medilamente sull’omonimo
solco dell’occipitale, che poi porterà esocranicamente attraverso il foro giugulare (anteriormente), detto
anche foro lacero posteriore. Visibile anche il meato acustico interno (inferiore al seno petroso superiore),
per il passaggio di nervo faciale VII, nervo acustico VIII, arteria uditiva interna o labirintica; subito dietro,
parzialmente nascosto da una spicola, vi è l’apertura dell’acquedotto del vestibolo (con un condotto
endolinfatico). Postero-lateralmente alla piramide vi è il foro mastoideo nel proc. mastoideo, incostante e
permette il passaggio di una vena emissaria e di un ramo occasionale dell’arteria occipitale. Tra temporale e

93
occipitale ritroviamo il foro giugulare, posteriormente all’eminenza giugilare il canale condiloideo, anch’esso
incostante, per una vena emissaria, e medialmente il canale dell’ipoglosso.
Lateralmente ancora ritroviamo il parietale, con angolo mastoideo per articolazione con occipitale e temporale, e
il solco dei vasi meningei medi. La parte posteriore infine è formata solo dall’occipitale, che presenta il solco del
seno occipitale medialmente fino alla cresta occipitale interna (divisa nel momento in cui è presente il solco del
seno occipitale esterno), da cui poi diparte lateralmente il solco del seno trasverso. Andando verso la calotta
cranica troviamo la protuberanza occipitale interna (o confluente dei seni o torcolare di Erofilo) e a seguire il solco
del seno sagittale superiore.
Grazie al solco del seno trasverso si dividono gli emisferi in cerebellari (quelli in basso) e più in alto quelli
cerebrali, in particolare di questi ultimi i lobi occipitali.

Articolazione temporo-mandibolare (tav. 18)


L’articolazione temporo-mandibolare è l’unica articolazione
mobile nel cranio. Viene definita un’articolazione condiloidea
doppia: interposto tra le due superfici articolari, costituite dal
temporale superiormente e dal condilo della mandibola
inferiormente, si trova un disco articolare che va a suddividere
la cavità articolare in due. Si parla dunque di un’articolazione
temporo-discale e una condilo-discale, quindi non c’è un
diretto contatto tra il condilo e il temporale, poiché tra di loro
è interposto il disco fibrocartilagineo. Le due superfici
articolari sono:
- La fossa mandibolare del temporale, che fa seguito al
tubercolo articolare che risulta essere convesso in senso
antero-posteriore. In sequenza a livello di osso temporale
sono riscontrabili antero-posteriormente prima una
convessità (il tubercolo), seguita da una concavità (la fossa
mandibolare).
- L’altra superficie articolare è quella portata dal condilo della mandibola; con convessità antero-
posteriore e trasversale, meno accentuata, che si incontrano sulla sommità del condilo.

94
Le due superfici non sono armoniche, per questo motivo vi è il disco fibrocartilagineo, il quale ha la superficie
superiore, in avanti, concava, poiché si deve adattare alla convessità del tubercolo articolare del temporale;
posteriormente la superficie del disco appare convessa, perché si deve adattare alla concavità della fossa. La
superficie inferiore è invece sempre concava, poiché si deve adattare alla convessità del condilo. Quindi la
forma che assume il disco rende armoniche le due superfici articolari, il disco
viene ad essere fissato da una capsula articolare che va ad unire a manicotto
le due superfici articolari.
Perciò la capsula si fisserà superiormente sul temporale, davanti al
tubercolo articolare, medialmente sulla spina angolare dello
sfenoide(tav.10), posteriormente si fisserà invece sul labbro anteriore della
scissura petro-timpanica di Glaser, la quale rimane al di fuori
dell’articolazione, infine lateralmente si fissa sul tubercolo.
A livello di condilo la capsula si dispone tutt’attorno al collo del condilo, nella porzione ristretta. Il margine
esterno del disco è strettamente aderente alla capsula; ciò giustifica la denominazione di articolazione
condiloidea doppia.
La porzione di capsula tra disco e condilo presenta fibre corte e più robuste, mentre tra disco e temporale
presenta fibre più lunghe ed elastiche. Per questo motivo il disco si muove assieme al condilo, sono solidali
tra loro.
Come tutte le articolazioni mobili, anche questa, oltre alla capsula, presenta dei legamenti di rinforzo.
Legamento temporo-mandibolare (laterale): proprio della capsula, è un robusto addensamento fibroso; si
diparte dal margine inferiore dell’arcata zigomatica e si porta all’indietro per fissarsi sulla superficie
posteriore (e laterale) del processo condiloideo.
Due sono invece i legamenti a distanza:
Legamento sfeno-mandibolare (mediale): teso dalla superficie esocranica della spina angolare dello
sfenoide fino a raggiungere la spina dello spix o lingula; quindi una volta raggiunta la lingula si divide in due
tratti per lasciar passare una struttura vascolo-nervosa (ramo milo-joideo dell’arteria alveolare inferiore e
nervo milo-joideo) che decorre nel solco milo-ioideo. La gran parte dell’arteria alveolare inferiore e la gran
parte del nervo alveolare inferiore penetrano nel foro mandibolare che risulta nascosto [nel vivente] e poco
prima di entrare cedono due piccoli rami che decorrono inferiormente, per cui il legamento sfeno-
mandibolare non è completo, lascia un piccolo passaggio per questi rami.
Legamento stilo-mandibolare(laterale): si porta dal processo stiloideo fino a raggiunge la porzione supero-
posteriore dell’angolo del ramo della mandibola; è un legamento piuttosto lungo, quindi più sottile. Non è
infatti un vero elemento di rinforzo, ma impedisce una esagerata ampiezza dei movimenti.

Un'altra struttura fibrosa di stabilità dell’articolazione è il rafe pterigo-mandibolare (banda tendinea; il rafe
è un incrocio di fibre) che si tende dall’uncino pterigoideo fino all’estremità posteriore-superiore della linea
milo-ioidea). [Netter, tavola 49,15]

95
In condizione di riposo il condilo della mandibola è accolto all’interno della fossa mandibolare.

[Ricordiamo il decorso di:


-Arteria mascellare interna, ramo della carotide esterna, e penetra nella fossa pterigo-palatina. Cede dei
rami: arteria meningea media che sale e va alla dura madre, arteria alveolare inferiore che entra nel foro
mandibolare, arteria sfenopalatina, arteria infraorbitaria (attraverso la fessura orbitaria inferiore), arteria
masseterina e molte altre.
-Arteria meningea media, che è un ramo collaterale della mascellare che si stacca proprio medialmente
all’articolazione temporo-mandibolare, risale lungo la faccia del muscolo pterigoideo esterno medialmente,
penetra nella fossa cranica media grazie al foro spinoso e decorre nella parte squamosa del temporale,
dividendosi.]


Muscoli Masticatori (tav.48,49; gray 537)

96
I muscoli masticatori sono 4 (coppie) e hanno la funzione non solo di permettere l’innalzamento e
l’abbassamento della mandibola, ma anche i movimenti di triturazione del cibo.

1. Muscolo massetere
Muscolo in assoluto più potente di tutto il corpo; è costituito da due fasci, uno
superficiale esterno e uno più profondo. Il fascio superficiale ha origine dal
margine inferiore dell’osso zigomatico e si continua con il margine inferiore
dell’arcata zigomatica. Le fibre si dirigono in basso e leggermente indietro
andando a inserirsi a livello della tuberosità masseterina situata all’angolo della
mandibola. Il fascio interno ha origine dalla superficie mediale interna (quella
rivolta verso la fossa) in parte dell’osso zigomatico, poi lungo l’arcata,
prolungandosi più indietro rispetto al primo e solamente una piccola porzione di
esso sbuca, mentre la restante rimane sulla superficie mediale.; si dirige
anch’esso verticalmente verso il basso e si ferma a livello della superficie laterale del ramo, più in alto rispetto
al superficiale, il quale quindi copre il profondo.
La funzione di muscolo è serrare ed innalzare la mandibola.

2. Muscolo temporale
È un ampio muscolo che si espande a ventaglio, va ad occupare tutta la fossa
temporale, originando dalla linea temporale superiore. Le sue fibre vanno
gradualmente riunendosi inferiormente a formare un tendine di dimensioni
molto più piccole che passa profondamente rispetto all’arcata zigomatica (si
poggia sul margine mediale della fossa zigomatica, più profondamente rispetto
al massetere) e va a fissarsi sul margine anteriore, margine superiore, posteriore
e anche mediale del processo coronoideo della mandibola. Le fibre della
porzione anteriore del muscolo temporale hanno una direzione piuttosto
verticale, quelle posteriori hanno una direzione obliqua, nel complesso ha un aspetto a ventaglio.
Le fibre verticali quando si contraggono coadiuvano l’azione del massetere, quindi l’innalzamento; quelle più
oblique riporteranno all’interno della fossa mandibolare il condilo e partecipano quindi alla retrusione della
mandibola. (“antagonista” del m. pterigoideo esterno)

3. Muscolo pterigoideo interno (o mediale) (si vede bene dalla norma posteriore, cranio sezionato)
Primo dei due muscoli pterigoidei. Ha origine da tutta la fossa pterigoidea (lateralmente al muscolo tensore
palatino che si diparte dalla fossa scafoidea) e da una piccola parte dell’estremità inferiore della tuberosità
del mascellare (e in parte anche dal processo piramidale dell’osso
palatino); è formato da un fascio di fibre che si dirigono
obliquamente verso il basso e vanno a terminare sulla tuberosità
pterigoidea della superficie mediale del ramo della mandibola
(medialmente fino al foro mandibolare e quasi fino al solco milo-

joideo, inferiormente fino all’angolo


(interno) del ramo mandibolare).
Quindi internamente vi è il muscolo
pterigoideo, esternamente il muscolo
massetere; si viene a creare una sorta di
cintura, perciò, quando entrambi i muscoli
97
si contraggono, innalzano la mandibola (non sempre i muscoli si contraggono contemporaneamente,
possono avere contrazioni alternate).

4. Il muscolo pterigoideo esterno (o laterale)


Detto anche laterale, ha origine da due
superfici diverse: presenta due capi che
all’origine sono separati. Si parla di un capo
superiore ed uno inferiore, i quali convergono
in un tendine unico.
Il capo superiore ha origine dalla superficie
orizzontale della grande ala dello sfenoide,
inferiormente alla cresta infra-temporale.
L’altro capo, il capo inferiore, ha origine subito
più in basso, ovvero dalla superficie laterale
della lamina laterale del processo pterigoideo.
Tra i due muscoli si viene a creare un sottile spazio. I due ventri muscolari hanno una direzione orizzontale,
dall’avanti all’indietro, e il tendine di questo muscolo pterigoideo esterno si va a fissare sulla fossetta
pterigoidea del mandibolare, anteriormente alla superficie del condilo, e anche alla capsula articolare; di
conseguenza il tendine si fisserà indirettamente, tramite la capsula, al disco.
Quando questo muscolo si contrae, non solo trascina in avanti il condilo, ma anche il disco, poiché i due sono
solidali tra loro. La disposizione delle fibre non fa altro che far fuoriuscire il condilo dalla fossa, portandolo al
di sotto del tubercolo articolare e ciò permette una maggiore apertura della bocca e la protrusione della
mandibola.
I muscoli che permettono l’apertura della cavità orale non sono i
muscoli masticatori (il pterigoideo esterno o laterale contribuisce,
spostando in avanti e leggermente in basso il condilo della mandibola,
ma è principalmente dovuta al digastrico e geniojoideo). I due condili
della mandibola sono all’interno delle fosse articolari a bocca chiusa;
se viene aperta di circa 15° i condili semplicemente ruotano
all’interno della fossa, nel momento in cui c’è necessità di aprire di
più la bocca, il condilo insieme al disco vengono trascinati sotto al
tubercolo articolare, dove non vi è alcuna superficie ossea che
ostacoli l’apertura totale della bocca.
Questo movimento di scivolamento in avanti si realizza anche quando
l’arcata inferiore della mandibola viene fatta scivolare in avanti
rispetto all’arcata superiore, movimento di protrusione.
Per chiudere la bocca interverranno sia il massetere, sia le fibre
verticali del m. temporale, sia le fibre posteriori/oblique del m.
temporale che tirano indietro il condilo assieme al disco, e di
conseguenza il condilo torna di nuovo all’interno della fossa. Lo
slittamento in avanti è permesso dal muscolo pterigoideo esterno,
l’unico che ha le fibre disposte orizzontalmente.

98
Testa 7. Ossa craniche

1.17 Biomeccanica dell'articolazione


temporomandibolare

I movimenti di lateralità che consentono la ,


asse trasversale attraverso
la testa del condilo
(asse di rotazione)
f retrazione

·····
triturazione sono movimenti alternati, quindi ·. .. ..· (\
v ... .. . <±; . .. .. . . ...../.......
anche la contrazione dei muscoli è alternata, · ....... ··•·••
1so•
l( ..........-.. - - testa del
m'dllo

dove un condilo resta alloggiato all’interno della


A
fossa mandibolare, ruota solo leggermente, f-.

mentre l’altro condilo viene trascinato al di sotto


del tubercolo articolare. Quindi, mentre il
a
muscolo pterigoideo esterno tira in avanti un
b
+ protrusione

condilo, il muscolo pterigoideo interno dall’altro asse di


rotazione
asse di
rotazione

lato tiene fermo l’altro condilo nella fossa. Infine ·······


··-...

per riportare indietro il condilo sotto al tubercolo processo

interverrà il muscolo temporale. processo


condiloideo
condiloideo
sinistro

destro

lato bilanciante lato lavorante

lato lavorante lato bilanciante


: -P

angolo di Bennet d

A Possibilità di movimento dell'articolazione temporomandi· b Movimento di proiezione anteriore e posteriore (traslatorio).


bolare, mandibola Durante tale movimento la mandibola viene spinta in avanti e tirata
Visione dall'alto. La maggior parte dei movimenti nell'articolazione indietro (protrusione e retrazione). Gli ossi di movimento decorrono
N.B. 1 - Per trovare i muscoli, in sala settoria, si deve incidere la cute, il tessuto sottocutaneo, il tessuto adiposo, trovare i nervi e i
temporomandibolare sono combinati e si possono ricondurre a tre
tipi fondamentali:
parallelamente all'asse mediano e attraversano la testo del con-
dilo.

vasi superficiali, incidere la fascia profonda (fascia deltoidea, la fascia


• movimento di elevazione
-
brachiale, antibrachiale, la fascia profonda della mano…).
ed abbassamento·
c Movimento di lateralità (di triturazione) verso sinistra. Durante tale
movimento il condilo verso il quale avviene il movimento (lato lavo-
• movimento di proiezione anteriore e
Questa fascia manda verso l’interno, dunque verso l’osso, dei setti che ci permettono di individuare le logge muscolari, le quali sono
• movimento di lateralitò (movimento di triturazione).
rante) effettua una rotazione intorno a un asse pressoché perpen-
dicolare che passa attraverso la sua testa; diversamente, il condilo

abbastanza ben definite dalla componente connettivale e nelle quali sono distinguibili nervi e vasi.
a Movimento d i elevazione ed abbassamento (rotatorio). Durante dal lato opposto si muove in avanti e verso l'interno in un movi-
tale movimento, l'asse di movimento dell'articolazione attraversa mento traslatorio (/alo bilanciante). L'ampiezza del movimento di
lateralitò della mandibola viene misurata in g radi e defin ita a ngolo
N.B. 2 - Oltre ai muscoli masticatori, l’altro tipo di muscoli intrinseci del cranio sono i muscoli mimici, finalizzati alla comunicazione.
i condili della mandibola. l due assi d i movimento si intersecano
a formare un angolo, variabile da individuo a individuo, di circa di Benne!.
d Movimento di lateralità (di triturazio ne) verso destra . In questo
Nominiamo il Buccinatore, che diparte dai processi pterigoidei e dai processi alveolari, decorrendo orizzontalmente (medialmente al
150° (range l l 0-180°). Un movimento rota torio vero e proprio
avviene negli individui perlopiù solo durante il sonno, a bocca caso l'articolazione temporomandibolare destra è il lato verso cui
leggermente aperta (angolo di apertura fino a circa 15°, vedere avviene il movimento: il condilo destro ruota intorno ad un asse di

rafe pterigo-mandibolare) e che ha un ruolo nella masticazione, anche se è considerato un muscolo minimo.
Bb). In qualsiasi altra posizione con la bocca aperta a formare un
angolo superiore a l SO, il movimento rotatorio è combi nato con un
rotazione pressoché perpendicolare (loto lavorante), mentre il con-
dilo sinistro si muove in avanti e verso l'interno (loto bilanciante) .
movimento traslatorio.

34

99
Muscoli toracici

Il torace si disseziona effettuando un taglio della cute; sollevando il tessuto sottocutaneo si arriva alla vista di
una fascia chiara-biancastra sotto la quale intravediamo i fasci muscolari: è una sorta di guaina che riveste
esternamente i muscoli. In alcuni testi è chiamata fascia profonda (la fascia superficiale sarebbe costituita da
cute e tessuto sottocutaneo). Essa cambia nome a seconda delle diverse regioni, prendendo il nome dai
muscoli che ricopre o da determinate strutture su cui si va ad inserire (es. Fascia pettorale, riveste il grande
pettorale che occupa gran parte della componente muscolare anteriore del torace; in questa zona più
profondamente vi è un’altra fascia detta Clavi-pettorale che riveste il piccolo pettorale e si salda alla clavicola;
esiste poi la Fascia Deltoidea, il cui nome deriva dal muscolo deltoide presente nella spalla, più in basso ci
saranno le fasce addominali). La fascia profonda si va poi a fondere con il muscolo stesso e con la fascia
sottocutanea (bisogna quindi essere molto cauti e precisi per isolarla).

Classificazione Muscolatura Toracica

La muscolatura toracica si divide in:

-Intrinseca: comprende muscoli che prendono attacchi solo su parti scheletriche del torace, sono intrinseci al
torace.

-Estrinseca: comprende muscoli che prendono attacco anche su parti scheletriche non toraciche.

Gli estrinseci si dividono poi in:

*Toraco-appendicolari, ad esempio il grande pettorale, che sono muscoli tesi dal torace all’arto superiore;

*Spino-appendicolari, che si trovano sul versante posteriore tra le ossa del torace e della colonna
vertebrale e l’arto superiore.


Muscoli Intrinseci del Torace


La muscolatura intrinseca del torace va a formare una sorta di barriera che riveste la gabbia toracica la quale a sua
volta non è più “gabbia”, in quanto non presenta più spazi vuoti. Ci sono molti fascetti muscolari brevi (diversi dagli
altri muscoli più larghi che si trovano più superficialmente e che sono estrinseci).

Muscoli intercostali (tav. 173, 185,186,187,188, pag 974,975,976,977)

100
Troviamo questi muscoli a tutti i livelli tra le coste, osservando delle immagini più schematiche si vedono tre
strati che sono classificati a seconda del piano su cui si collocano in:

-Intercostali esterni: hanno origine in corrispondenza del tubercolo costale (estremità posteriore
della costa) e sono fascetti che hanno una direzione dall'alto al basso e postero-anteriormente. Dal tubercolo
arrivano in corrispondenza delle articolazioni tra la parte costale ossea e quella cartilaginea. Sono separati
dallo sterno da una membrana che prende il nome di membrana intercostale esterna. Esso è contenuto,
quindi, tra il margine inferiore della costa superiore e il margine superiore della costa inferiore.
Questi intercostali naturalmente si accorciano con la contrazione; sono muscoli che formano una parete
elastica e sono considerati muscoli inspiratori ( o elevatori delle coste), anche se non propriamente. La loro
azione è più un’azione di mantenimento dell’elasticità del torace.

-Intercostali interni: vanno dallo sterno all’angolo costale e non partono dal tubercolo (non arrivano
all’estremità posteriore della costa); questo spazio vuoto viene colmato da un’aponeurosi chiamata
membrana intercostale interna (o posteriore). Vanno a interdigitarsi con una direzione opposta a quella degli
esterni: dal basso verso l’alto e postero-anteriormente. Si può ben riconoscere, in un solco posto
inferiormente alla costa superiore, un fascio vascolo-nervoso, composto dall’arteria, dalla vena e dal nervo
intercostali, che quindi poggiano sugli interni.
Sono considerati muscoli che coadiuvano l’espirazione, in particolar modo quella forzata in quanto il punto
fisso è sulla costa inferiore ed essi contraendosi abbassano la costa superiore, anche se in realtà hanno come
principale funzione quella di creare una parete elastica.

101

-Molto spesso gli intercostali sono considerati su tre piani differenti con un ulteriore piano di intercostali
ancora più interno rispetto agli interni. Il piano più interno prende il nome di piano degli intercostali intimi
o profondi, che sono appunto disposti in maniera analoga agli interni: hanno lo stesso orientamento, e
dunque la stessa azione.

Dall'esterno all'interno si hanno così gli intercostali esterni, interni e intimi (il termine 'intimi' viene usato nei
testi anglosassoni mentre nei testi italiani prendono il nome rispettivamente di esterni, medi e interni).
Gli intimi in realtà sono la componente più interna delle fibre degli intercostali interni che vanno a posizionarsi
più profondamente rispetto ai vasi intercostali che decorrono orizzontalmente nel solco costale.
Sono internamente connessi alla fascia endotoracica e alla pleura parietale.

Muscoli sottocostali (tav 204)

Questi muscoli sono delle lamine che si sviluppano esclusivamente nella porzione inferiore del torace (circa le
ultime 5 paia di coste) ed uniscono coste di due livelli differenti (seconda o terza costa sottostante); si trovano
ancora più all’interno rispetto agli intercostali intimi e sono paralleli ad essi.
Costituiscono un rinforzo, delle bande sottili che in alcune regioni si fondono proprio con gli intercostali intimi
e si localizzano, come gli intimi, tra i vasi, nervi e la pleura. Abbassano le coste.

Muscolo Trasverso del Torace (p.975,tav.187,188)


E’ detto anche triangolare dello sterno o sterno costale. Si arriva ad osservare questo muscolo rimuovendo il
cosiddetto piastrone sterno-costale che comprende lo sterno e la parte antero-laterale delle coste (è posteriore
allo sterno). Esso presenta una serie di fasce muscolari che dal margine laterale dello sterno (corpo e processo
xifoideo) si inseriscono, con delle singole digitazioni, nelle cartilagini delle coste dalla 2 alla 6.
Le fasce superiori procedono verso l’alto con andamento obliquo (per raggiungere le coste poste più in alto), le più
inferiori decorrono quasi orizzontalmente.
In alcune sezioni di torace è possibile vedere intatta la fascia endotoracica, che riveste internamente anche il
muscolo trasverso del torace; essa è un rivestimento continuo che spesso si fonde con la pleura parietale. Anche
tale muscolo divide i nervi dalla pleura, come intimi e sottocostali.
Il punto fisso di questo muscolo è quello che si inserisce sul margine laterale dello sterno e in questo modo
coadiuva l’espirazione determinando l’abbassamento delle coste su cui si va ad inserire.

Muscoli Elevatori delle Coste (tav.173)
Sono muscoli molto brevi, sono 12, tesi tra le vertebre e la parte posteriore della costa; hanno l’origine nei
processi trasversi (da C7 a T11) e si portano obliquamente in basso e in fuori andandosi ad inserire sulla costa
sottostante tra tubercolo e angolo costale. Decorrono obliquamente, parallelamente ai margini posteriori

102
degli intercostali esterni. A volte sono considerati come brevi quelli che coprono un solo spazio intercostale e
lunghi quelli che si connettono con coste di livelli inferiori.

Il loro punto fisso è sulla colonna vertebrale ed hanno una funzione simile agli intercostali esterni: sarebbero
quindi muscoli elevatori (per l’orientamento) ma in realtà hanno ruolo minimo e sono più che altro un rinforzo
per i muscoli del rachide e che dunque coadiuvano la rotazione e torsione del busto e la flessione laterale
della colonna.


Muscolo dentato postero-superiore (muscolo intrinseco, ma fa parte dei muscoli del dorso)
(pag976,tav172)
Origina dal tratto inferiore del legamento nucale, dai processi spinosi da C7 a T3 e dai loro legamenti
sovraspinosi, si inserisce dalla 2° alla 5° costa tramite 4 interdigitazioni (direzione latero-inferiore). Vista la
posizione potrebbe elevare le coste, ma nell’uomo il suo ruolo è incerto. È innervato dai nervi intercostali (da
T1-T4) e un ramo del plesso brachiale (C5).

Muscolo dentato postero-inferiore (pag976,tav172)


Origina dai processi spinosi di T11-L3 (inteso da fino a) e dal legamento sovraspinoso attraverso una sottile
aponeurosi che si fonde con la parte lombare della fascia toraco-lombare (o toraco-dorsale). Si inserisce nella
faccia esterna delle ultime 4 coste tramite 4 digitazioni (direzione latero-superiore). Contraendosi abbassa le
costole (può essere considerato quindi come un muscolo espiratorio), ma non ai fini della meccanica
respiratoria: estende e inclina lateralmente il tronco (il tratto dorsale inferiore). È innervato dal ramo del
nervo toracodorsale (C6-C8) e dai rami dei nervi intercostali (T9-T12).

103
Muscoli Interspinali (dorsali) (tav 173)
Muscoli tesi tra processi spinosi di vertebre. Possono estendersi per più di due vertebre, si trovano
maggiormente nelle regioni cervicali e lombari.

Muscoli Scaleni (p.430,tav29,30,185,186)


Tesi tra vertebre e coste, detti scaleni perché ricordano le scale dei vigili del fuoco.

Sono tre: anteriore, medio e posteriore.

• Anteriore: generalmente origina dai tubercoli anteriori dei processi trasversi delle vertebre cervicali
dalla C3 alla C6 e si inserisce con un tendine unico sulla prima costa nel tubercolo dello scaleno.
Posteriormente all’inserzione troviamo l’arteria succlavia (ancora più posteriormente vi è il plesso
brachiale); anteriormente, invece, la vena succlavia. E’ più profondo rispetto allo
sternocleidomastoideo.

• Medio: si inserisce sempre nella prima costa ed origina dalle lamelle costali da C2 a C7 (o da C4 a
C7, come per l’anteriore), posteriormente rispetto alle origini dell’anteriore (tra tubercolo anteriore
e posteriore), e sopra al processo trasverso dell’Epistrofeo. Le origini sono delle digitazioni, cioè da
ogni tubercolo parte un fascetto che in seguito si unisce agli altri vari fascetti nel tendine che si
attacca sulla prima costa, dietro al solco dell’arteria succlavia e al plesso brachiale.

• Posteriore: si origina dai tubercoli posteriori dei processi trasversi delle vertebre da C4 a C7, dai
quali partono digitazioni che si uniscono in un tendine inserito sulla seconda costa.

Se il punto fisso è nell’origine (quindi sulle vertebre) la trazione si esercita andando a coadiuvare
l’innalzamento delle prime due coste e quindi l’inspirazione, al contrario, se il punto fisso è a livello
dell’attacco costale questi muscoli contribuiscono all’inclinazione del collo.


Diaframma (tav.191,192; Gray 1008)
Il diaframma è una lamina muscolofibrosa cupoliforme che separa due spazi: superiormente vi è la
cavità toracica, inferiormente la cavità addominale, chiamata addomino-pelvica, perché si
continua nella cavità pelvica inferiormente. Esiste un diaframma chiamato diaframma pelvico che
ha un orientamento opposto al diaframma toracico e chiude inferiormente la cavità pelvica, dando
supporto e sostegno agli organi pelvici.
La posizione è variabile in base alla struttura corporea e alla fase di ventilazione (più alto nelle
persone basse e obese, più basso negli alti e magri). La sua contrazione consente l’ampliamento del
torace. Su di esso si adagiano superiormente il cuore ed i polmoni. Ha una concavità rivolta verso il
basso e due convessità ai lati, dette cupole. Sembrerebbe che la cupola di destra sia posta
lievemente più in alto di quella di sinistra (per far spazio al cuore), infatti, generalmente, quella di
destra è a livello del 5° spazio intercostale, mentre quella di sinistra a livello del 6°.
La morfologia di questo muscolo è atipica rispetto a quella dei muscoli scheletrici.

104
Generalità sui muscoli scheletrici
Presentano una porzione carnosa, più sviluppata, interposta tra parti tendinee, le quali possono
avere l’aspetto di un filamento piuttosto sottile, o di una lamina più slargata e ampia (aponeurosi),
e rappresentano l’ancoraggio di un muscolo alle porzioni scheletriche. La conseguenza della
contrazione muscolare è quella di permettere il movimento di articolazioni che si realizzano fra
capi articolari di ossa contigue.
Per ogni muscolo si può considerare una parte fissa e una mobile, che possono cambiare in base al
tipo di movimento. Normalmente il punto fisso è quello che si trova più saldamente ancorato
all’osso e rappresenta l’origine del muscolo.

105





Nella composizione del diaframma si distingue una parte carnosa (rossa) che è disposta attorno ad
una parte centrale fibrosa, detta centro frenico o centro tendineo, caratteristicamente bianca
(punto di convergenza dei fasci muscolari del diaframma).
La forma è sempre paragonata a un trifoglio, infatti non è perfettamente un ovoide; si distinguono
delle espansioni, dette foglie: una anteriore, una destra e una sinistra. Si nota poi il sacco
pericardico, localizzato sopra al centro frenico, su cui si adagia la faccia diaframmatica del cuore.
Tra la foglia anteriore e quella di destra del diaframma, a livello del centro frenico, è presente un
orifizio, lo iato venoso, circondato da fasci tendinei (è importante perché, se fosse circondato da
muscoli, una loro contrazione potrebbe ridurre il diametro dello iatus): è un punto di passaggio
dall’addome al torace per la vena cava inferiore a livello di T8, ma anche del nervo frenico di
destra (che può passare anche accanto)il quale porta l’innervazione motoria al muscolo
diaframma; il ramo sinistro, invece, si fa strada fra i fasci carnosi.

L’origine è a livello della circonferenza obliqua dell’apertura inferiore del torace (più in alto
anteriormente). Ha numerosi attacchi alle ossa tramite espansioni tendinee.
I fasci muscolari possono essere divisi in tre porzioni: sternale, costale e lombare:

106
- La parte sternale origina con due fasci carnosi in corrispondenza della faccia posteriore del processo
xifoideo (non sempre presente). E’ la porzione più esigua. Fasci brevi e orizzontali (perpendicolari al
processo xifoideo).
- La parte costale origina dalla superficie interna delle ultime 6 cartilagini costali e dalle loro adiacenti
coste. Ha interdigitazioni con il trasverso dell’addome. Fasci lunghi, inizialmente verticali, che poi si
incurvano verso il centro frenico, come quelli dei legamenti arcuati.
Tra parte costale e sternale si trova un interstizio, il trigono sterno-costale, mentre, tra parte costale
e lombare, si trova il trigono lombo-costale (o iato costo-diaframmatico), uno per lato per entrambi.
-La parte lombare (la più complicata), secondo una classificazione storica, prevede tre espansioni
fibrose: pilastro mediale, laterale e intermedio; un’altra classificazione considera un solo pilastro
(mediale e intermedio insieme) e due ordini di arcate. Consideriamo la seconda.
Origina, lateralmente, da due arcate aponeurotiche, i legamenti arcuati mediale e laterale (detti
arcate lombocostali) e, medialmente, dalle vertebre lombari, mediante due pilastri (ovvero un fascio
tendineo): uno destro e uno sinistro.
,
Il legamento arcuato laterale è un tratto ispessito della fascia, che ricopre il muscolo quadrato dei
lombi, e forma un arco, che si fissa sul margine inferiore dell’ultima costa, passa anteriormente a
tale muscolo e si inserisce medialmente sulla parte anteriore del processo trasverso (o costiforme)
di L1.
Il legamento arcuato mediale, invece, è un’arcata tendinea della fascia che riveste il grande psoas,
medialmente è in continuità con il margine tendineo laterale del pilastro corrispondente e si
inserisce sulla superficie laterale della L1 o L2. Lateralmente si fissa alla faccia anteriore del processo
trasverso della L1.
I pilastri si uniscono entrambi al legamento longitudinale anteriore della colonna.
Il pilastro destro è al lato destro della linea mediana del corpo vertebrale sul versante anteriore e
arriva in genere fino a L4, mentre il sinistro, più breve, fino a L3. Essi risalgono e convergono
formando un’arcata, detta legamento arcuato mediano, sopra L1; questi due pilastri delimitano un
punto di passaggio per l’arteria aorta che, quindi, non attraversa il muscolo come la vena cava
inferiore: l’arteria passa, posteriormente al diaframma, in un canale incorniciato dai due pilastri
appena descritti, anche se spesso si utilizzano le diciture iatus o orifizio aortico, a livello di T12. Nel
passaggio, l’aorta diventa da toracica ad addominale e, anche in questo caso, il vaso è circondato da
una componente tendinea (per evitare che le contrazioni alterino il suo diametro). Un altro vaso
passa in questa posizione, il dotto toracico, che va in direzione opposta all’aorta, rispetto alla quale
è posto a destra.
I fasci dei legamenti arcuati hanno andamento simile a quello dei fasci costali; quelli dei pilastri,
invece, divergono man mano e si portano verso l’alto. Quelli più laterali dei pilastri vanno in alto e
lateralmente verso il centro frenico. Dal pilastro destro (alcuni libri sostengono da entrambi i pilastri)
si originano fasci muscolari che vanno verso l’alto con andamento a spirale descrivendo un orifizio
(un occhiello), cioè un punto di passaggio per l’esofago (a livello di T10), condotto del canale
digerente il quale, attraversato il torace, ha un breve decorso nell’addome, per poi continuarsi con
lo stomaco. La muscolatura diaframmatica intorno all’esofago va a costituire lo iatus e collabora alla
peristalsi; inoltre può essere considerato come uno sfintere “fisiologico”, grazie al quale viene
impedito il reflusso esofageo o l’erniazione di visceri addominali. Lateralmente ai pilastri mediali
(parti mediali dell’intero pilastro), passano due vene: una a destra, la vena azygos, ed una a sinistra,
la vena emiazygos.
[Il pilastro intermedio si inserisce con una componente tendinea a lato del corpo vertebrale (L2 L3).
Il pilastro laterale si origina a lato di questa componente intermedia e si ancora sul processo

107
costiforme di L1 per poi formare un altro arco teso alla dodicesima costa. Da queste arcate tendinee
originano fasci carnosi.]

Ci sono, come già accennato, luoghi più delicati dove i fasci muscolari (sullo stesso piano) non sono
a stretto contatto, nei punti di passaggio tra una regione e l’altra, per il passaggio di vasi. In queste
zone la resistenza del diaframma è minore (locus minoris resistentiae; siti di erniazione, trigoni).
Dal diaframma passano anche i nervi del plesso cervicale, detti nervi frenici, che portano
innervazione motoria a tale muscolo. Il nervo di destra passa attraverso la componente tendinea (se
non proprio all’interno dello iato venoso), quello di sinistra attraverso quella carnosa.

Possibili erniazioni:
1. TRIGONO STERNO-COSTALE: tra porzione costale (estremità anteriore) e porzione sternale. Dà
passaggio alle arterie epigastriche superiori (dall’arteria mammaria) e ai vasi linfatici provenienti
dalla parete addominale e dalla faccia superiore del fegato.
2. TRIGONO LOMBO-COSTALE (o iato costo-diaframmatico o vertebro-costale).

Meccanismo d’azione del diaframma


Il diaframma è il principale muscolo inspiratorio, responsabile di circa i due terzi della respirazione
tranquilla in soggetti sani. La sua azione causa infatti un aumento del diametro verticale, trasversale

108
e anteroposteriore del torace, determinando un
incremento volumetrico dello spazio pleurico, seguito
da una diminuzione della pressione intrapleurica che
richiama l’aria nei polmoni.
L’inspirazione avviene in due momenti:

1. I fasci carnosi si contraggono tenendo come
punto fisso i loro siti di inserzione, costali e lombari in
particolare, e in questo modo richiamano il centro
frenico verso il basso con spinta sui visceri addominali.
Questo comporta l’ampliamento diametro verticale
(della gabbia).
2. Il centro tendineo, il cui movimento verso il
basso è arrestato dai visceri addominali, diventa poi un
punto fisso a partire dal quale le fibre del diaframma continuano a contrarsi. Questo
comporta:
• Inizialmente l’innalzamento delle ultime sei coste [7°-12°] (sulle quali i fasci muscolari si
inseriscono) facendo ampliare il diametro orizzontale (trasverso). [movimento “a manico di
secchio”]
• Conseguentemente il sollevamento delle prime sei coste [1°-6°], ampliando anche il diametro
anteroposteriore (ovvero la distanza fra sterno e colonna vertebrale). [movimento “a pompa
di bicicletta”]

Attraverso questi due momenti si ampliano quindi tutti e tre i diametri del torace: verticale,
orizzontale e anteroposteriore, e ciò consente l’aumento del volume dei polmoni durante la fase di
inspirazione.

Trucco per ricordare a che livello le strutture attraversano il diaframma:
• I Ate = Vena cava inferiore T8
• Ten Eggs = Esofago T10
• At Twelwe = Aorta T12

109


Muscoli Estrinseci del Torace (tav 185,186, cap 40)

Sono connessi a parti scheletriche dell’arto superiore e a parti scheletriche del torace e colonna vertebrale.
Quelli più superficiali quando si effettua una dissezione subito sotto cute e sottocutaneo sono divisi in:
muscoli spino-appendicolari (del dorso) e toraco-appendicolari.

-Muscoli toraco-appendicolari:

Muscolo grande pettorale (tav. 185; cap 40)


E’ un’ampia lamina che origina con la sua base dai 2/3 mediali della clavicola, da tutto il margine laterale dello
sterno, fissandosi sulle cartilagini costali (inserzione con larga aponeurosi) fino a portarsi con i suoi fasci carnosi in
fuori con diversi orientamenti (spiralizzazione) a seconda della loro origine: i superiori vanno verso il basso e gli
inferiori vanno verso l’alto, per inserirsi in corrispondenza della cresta laterale (del grande tubercolo) del solco
bicipitale dell’omero con un tendine d’attacco caratteristico che ha un andamento spiralizzato. I suoi fasci più
prossimali (superiori) si vanno ad inseire nella parte più distale della cresta, mentre gli inferiori risalgono e si
inseriscono nella parte più prossimale della cresta, dietro a quelli superiori. (un andamento simile si ritrova anche
nel tendine del grande dorsale). Il tendine però si despiralizza quando l’arto viene sollevato, sviluppando forza
per il sollevamento del tronco anche in caso di massima tensione (agendo sinergicamente a muscoli del
dorso, il trapezio e il grande dorsale) [movimenti di arrampicamento].
Con la sua contrazione produce una potente adduzione dell’arto ed una intrarotazione dell’omero in sinergia
con il grande rotondo e il sottoscapolare.

110
È avvolto dalla fascia pettorale sia sull’esterno che all’interno, contorna il suo margine inferiore e quindi si
insinua nella parte più profonda.
Si prolunga anche nella regione ascellare formando con il suo margine inferiore il pilastro anteriore del cavo
ascellare. Nel grande pettorale sezionato vediamo che la fascia che lo avvolge diventa fascia ascellare. (N.B.
nella dissezione del muscolo grande pettorale solitamente si va a incidere o a livello mediale toracico oppure
si va a scollare il tendine inserito sull’omero).
Tra i fasci superiori del grande pettorale e i fasci mediali del deltoide si forma uno spazio triangolare chiamato
triangolo deltoideo-pettorale, per il bassaggio della vena cefalica. Il deltoide copre l’inserzione sull’omero
del grande pettorale perché si porta più in basso fino alla tuberosità del deltoide.

Muscolo piccolo pettorale (tav.186)


Si trova posteriormente (più in profondità) del grande pettorale, procedendo con una dissezione a livello
clavicolare e sternale con ribaltamento della fascia pettorale.
Origina con fasci individuali detti “digitazioni” dalla superficie anteriore dalla 3° alla 5° costa a livello
dell’articolazione costo-condrale; i fasci si portano con un tendine fino al processo coracoideo della scapola
(è il terzo muscolo con inserzione al processo coracoideo oltre al coracobrachiale e al capo breve del bicipite).
Ha funzione stabilizzatrice nei confronti della scapola e coadiuva il sollevamento delle coste nell’inspirazione
forzata inserendosi sulle coste. È un muscolo importante topograficamente in quanto è possibile identificare
tre porzioni dell’arteria ascellare in base al rapporto che questa ha lungo il suo decorso con le varie porzioni
del tendine del muscolo piccolo pettorale.

Muscolo succlavio (tav 186)


È posto tra la parte inferiore della clavicola e la prima costa. Stabilizza la clavicola, l’articolazione sterno-
clavicolare e l’articolazione costo-clavicolare. Secondariamente fa da tetto alle strutture vascolari e nervose
che passano a questo livello (plesso brachiale, arteria, scaleno anteriore e vena succlavia).

Muscolo dentato anteriore (tav 413, 186, pag 840)


Visibile in sezione sagittale. Origina con digitazioni singole dalla superficie esterna delle prime 8/9 coste; con
i fasci carnosi raggiunge il margine vertebrale della scapola. Costituisce la parete mediale del cavo ascellare.
Contraendosi abduce la scapola (la allontana dalla colonna vertebrale).

-Muscoli spino-appendicolari (del dorso) (tav 171, 409, 410, pag 841)
Sono muscoli degli strati superficiale ed intermedio del dorso che sostengono la colonna vertebrale
inserendosi sui processi spinosi e trasversi; controllano i movimenti degli arti ed influiscono su quelli
respiratori. Essi sono avvolti da una fascia (composta da una sottile lamina cellulare) che prende il nome del
muscolo che ricopre.
I muscoli intrinseci del dorso, invece, si trovano generalmente in profondità, determinano il movimento della
colonna vertebrale per la postura. Sono circondati da una fascia profonda (diversa dal resto delle fasce che
invece sono superficiali e continue tra loro) chiamata fascia lombo-dorsale o toraco-lombare.

Muscolo trapezio
Dalla protuberanza occipitale esterna e linea nucale superiore si estende inserendosi su tutti i processi spinosi delle
vertebre fino a T12, con una lunga aponeurosi di attacco. L’inserzione laterale dei fasci superiori é orizzontale
mentre quella dei fasci inferiori procede con andamento ascendente e, fondendosi, vanno ad inserirsi sulla spina
della scapola, sull’ acromion e alcuni fasci anche sul versante posteriore del terzo laterale della clavicola.
È un muscolo di importanza statica e di stabilizzazione del cingolo scapolare.

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La parte superiore, avendo come punto fisso l’attacco all’ osso occipitale e rachide cervicale, esercita una trazione
per determinare l’innalzamento della spalla e per l’inclinazione omolaterale del capo, nel caso di una contrazione
unilaterale; se invece la contrazione avviene da entrambi i lati favorisce l’estensione del capo.
La parte intermedia (punto fisso sui processi spinosi) contraendosi porta indietro le spalle ed avvicina le scapole.
La parte inferiore, con fasci ascendenti, porta in basso e medialmente la scapola (aduttore scapolare).
Quando il punto fisso si trova a livello scapolare a parte intermedia ed inferiore, contraendosi, avvicinano la
scapola al tronco per il sollevamento del tronco in sinergia con il muscolo grande pettorale , che può
sviluppare massima forza anche quando il muscolo è in trazione, e il grande dorsale.

Muscolo grande dorsale


Per vederlo nella sua interezza bisogna sezionare la parte inferiore del trapezio che nasconde la lamina del
grande dorsale. Origina dal processo spinoso di T7 (il trapezio arriva a T12) continuando su tutti i processi
spinosi delle vertebre toraciche e lombari fino alla cresta sacrale media e alla fascia toraco-lombare (più
interna perché avvolge quei muscoli profondi intrinseci della colonna).
I fasci si portano tutti lateralmente, i primi con un andamento quasi orizzontale e gli ultimi con andamento
ascendente; risolvono in un tendine che si fissa cresta del piccolo tubercolo, subito davanti (anteriormente)
all’ inserzione del grande rotondo.
Il tendine è spiralizzato con i fasci più alti che si inseriscono più distalmente, mentre i fasci più bassi si portano
più “anteriormente” e hanno inserzione più alta.
[Rispetto al solco bicipitale hanno inserzione i tre muscoli “grandi”: laterale il grande pettorale, mediale il
grande dorsale e grande rotondo.]
Ha funzioni di muscolo adduttore, intrarotatore ed estensore dell’omero ed insieme al grande pettorale di
sollevamento del tronco.

Piano intermedio:
Muscolo elevatore della scapola
Sottile muscolo, inserito (origina) sui processi trasversi dell’Atlante e sui tubercoli posteriori dei processi
trasversi della C3 e C4, discende poi diagonalmente per inserirsi sul margine mediale della scapola, tra il suo
angolo superiore e l’estremità mediale della spina. E’ molto variabile.
L’elevatore, con i romboidi, aiuta i muscoli della scapola a controllare la posizione e il movimento della
scapola. Con punto fisso sulla colonna, aiuta il trapezio ad elevare la scapola o sostenere pesi; con punto fisso
sulla spalla, inclina il collo omolateralmente.

Muscoli romboidi
Costituiro da due muscoli paralleli, uno superiore e uno inferiore:
- Piccolo romboide: il più superiore, origina dal legamento nucale e dai processi spinosi di C7 e T1 e
si inserisce sul margine vertebrale della scapola.
- Grande romboide: il più inferiore, origina dai processi spinosi (e dai rispettivo legamenti spinosi)
da T2 a T5 e si inserisce sul margine vertebrale della scapola, al di sotto dell’inserzione del piccolo
romboide).
Insieme al m. elevatore della scapola hanno una funzione stabilizzatrice della scapola.
I romboidi con il trapezio retraggono, mentre con l’elevatore e il piccolo pettorale abbassano la spalla.

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ORGANIZZAZIONE GENERALE DEGLI ARTI

Sequenza di piani che incontriamo effettuando una dissezione anatomica
Ritroviamo dall’esterno all’interno:
3. PIANO SUPERFICIALE
• Cute
• Sottocute. In alcune zone tale strato è costituito quasi esclusivamente da tessuto adiposo,
in altre invece vi è anche uno strato fasciale di tessuto connettivo sottocutaneo (ad
esempio la superficie anteriore dell’addome). Chiaramente saranno presenti anche
strutture vascolari e nervose.
4. FASCIA PROPRIA. Involucro di connettivo continuo che riveste tutto l’organismo e avvolge
le strutture profonde. Assume poi una terminologia specifica in base alla regione considerata
(es: fascia brachiale nel braccio, antibrachiale nell’avambraccio, pettorale, deltoidea).
5. STRATO SOTTOFASCIALE. Strato profondo di muscoli, vasi e nervi in cui possono crearsi dei
compartimenti individuati da espansioni che partono dalla fascia propria e si portano in
profondità, andando poi a fissarsi sull’osso. Negli arti ad esempio, i vari gruppi di muscoli con
funzione agonista saranno localizzati all’interno della stessa loggia.

Se immaginiamo di tracciare una serie di linee orizzontali attraverso le articolazioni degli arti
superiori e inferiori individuiamo fra questi un’organizzazione analoga:

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1. Segmento prossimale:
• Arto superiore: braccio. Unico osso: omero
• Arto inferiore: coscia. Unico osso: femore
2. Segmento intermedio:
• Arto superiore: avambraccio. Due ossa: radio, ulna
• Arto inferiore: gamba. Due ossa: perone, tibia
3. Segmento distale:
• Mano
• Piede

Ogni segmento presenta nel complesso tre regioni:

1. Regione ANTERIORE – formata da parti molli. Termina sul piano scheletrico
2. Regione INTERMEDIA – scheletro dell’arto
3. Regione POSTERIORE – formata da parti molli. Limitata dal piano scheletrico

Arto Superiore
L’arto superiore fa parte dello scheletro appendicolare e ne rappresenta la parte più mobile. A partire
dalla spalla si divide in:
• segmento prossimale, corrispondente al braccio (omero);

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• segmento intermedio, corrispondente all'avambraccio (radio e ulna);
• segmento distale, corrispondente al polso e alla mano (carpo, metacarpo e falangi).
Si tratta della parte più mobile e con minor stabilità (sono presenti articolazioni come quella gleno-omerale,
la quale consente un ampio grado di motilità in tutte le direzioni).
In posizione anatomica il braccio è disposto lungo il tronco e l'avambraccio è in extra-rotazione. Inoltre, il
palmo della mano è rivolto verso l’osservatore.
Omero (tav.405,406,422; Gray 625,863)

È l’unico osso del braccio; è un osso lungo e si caratterizza per la presenza di due epifisi, una
prossimale e una distale, e una diafisi. Presenta un corpo nel quale si possono individuare una superficie
anteriore e una superficie posteriore.
Epifisi prossimale. È articolata con la cavità glenoidea, nel margine ascellare della scapola. La sua porzione
prossimale e superiore è un segmento di sfera, detta testa dell’omero. Sul margine inferiore della testa vi è
un restringimento, detto collo anatomico; questo presenta antero-inferiormente due rilievi: uno molto
evidente, in alto e lateralmente, che prende il nome di tubercolo maggiore o laterale dell’omero o grande
tuberosità (tanto grande da essere visibile anche dalla veduta posteriore); l’altro si colloca medio-
inferiormente e prende il nome di piccola tuberosità o tubercolo minore. Tra di essi è presente un solco, il
solco inter-tubercolare, comunemente detto solco bicipitale, in quanto accoglie il tendine del capo lungo del
bicipite brachiale.
I tubercoli continuano inferiormente, lungo la diafisi, sotto forma di due creste (e il solco quindi
continua tra di esse): la cresta della grande tuberosità o laterale e la cresta della piccola tuberosità o mediale
(queste creste sono punto di inserzione di tendini muscolari piuttosto significativi).
Il collo chirurgico è il punto di passaggio tra epifisi e diafisi ed è una zona spesso sede di frattura (ecco perché
è denominato chirurgico).
Diafisi. Sul versante dorsale è presente un foro nutritizio. Il solco tra le due creste prosegue lungo la diafisi.
In posizione laterale si trova la tuberosità deltoidea, una rugosità che corrisponde all’inserzione
distale del muscolo deltoide. Posteriormente, con andamento obliquo dall’alto verso il basso e da medio a
lato, si trova un piccolo solco, poco evidente, lasciato dal passaggio di un nervo del plesso brachiale, il nervo
radiale; questo corre lungo la parte posteriore della diafisi del corpo e permette di individuare l’origine di due
dei tre capi del tricipite brachiale (supero-lateralmente il capo laterale e medio-inferiormente il capo
mediale). La diafisi si allarga poi assumendo una forma triangolare.
Epifisi distale. All’estremità, alla base, ci sono i capi articolari, per l’articolazione con due ossa, medialmente
l’ulna e lateralmente il radio, che vanno a costituire l’articolazione del gomito.

Visione anteriore: lateralmente abbiamo una struttura ellissoidale piena, convessa e sporgente, detta condilo omerale,
corrispondente a una fossetta sul radio (formano una condilartrosi). Sopra al condilo è presente la fossetta radiale, che
accoglie il capitello del radio nel movimento di flessione dell’avambraccio. Medialmente, in continuità, abbiamo una
superficie particolare, una sorta di tronchetto, una clessidra, detta troclea omerale, con la quale si realizza l'articolazione
con l’ulna (ginglimo angolare). Sopra la troclea vi è la fossetta coronoidea, corrispondente al processo coronoideo
dell’ulna, il quale si posiziona lì durante il movimento di flessione.

Visione posteriore: sopra la troclea omerale – il cui aspetto a clessidra risulta più evidente da questa
veduta – è presente una fossa più grande e centrale, la fossa olecranica, che ospita, in estensione, il robusto
processo presente sull’ulna, l’olecrano, e ne impedisce l’iperestensione eccessiva.

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Le parti più sporgenti e laterali dell’epifisi distale dell’omero, visibili da entrambe le visioni, sono parti
ossee che sormontano i capi articolari e vengono chiamate epicondili, in quanto sormontano il condilo, ed
epitroclea, la quale sormonta la troclea. Talvolta vengono chiamati epicondili laterali (epicondilo) e mediali
(epitroclea), nonostante questa definizione non sia completamente corretta.

L’epicondilo e l’epitroclea, insieme alle creste presenti sopra tali sporgenze, la cresta
sopracondiloidea laterale e mediale, danno attacco a parte della muscolatura dell’avambraccio.
Tra l’estremità mediale della troclea e l’epitroclea vi è il solco del nervo ulnare, il nervo più mediale
del plesso brachiale. Questo passa posteriormente all’epitroclea, delineando il solco (ndr: “si tratta di quel
nervo che provoca una scossa elettrica se si sbatte il gomito contro una superficie rigida”).

Ulna (tav.425; gray 864-868)


L’ulna è posta in posizione mediale rispetto al radio. L’epifisi prossimale è molto più ampia di quella
distale e di entrambe le epifisi del radio. Presenta due articolazioni radio-ulnari, una prossimale e una distale,
e si articola con l’omero tramite la troclea.
Epifisi prossimale. Presenta una superficie che mostra una concavità anteriore, l’incisura semilunare o
trocleare, che è interposta tra un’estremità antero-inferiore, chiamata processo coronoideo, e una postero-
superiore molto sviluppata e rugosa, chiamata olecrano, meglio visibile posteriormente. Questo va a
posizionarsi durante l’estensione del gomito all’interno della fossa olecranica. A questo punto si realizzerà
un’articolazione a cerniera (ginglimo angolare) per cui la troclea verrà agganciata da questa incisura
semilunare, consentendo così la flessione e l’estensione dell’avambraccio. Verso il radio è rivolta una
superficie, l’incisura radiale dell’ulna, per l’articolazione radio-ulnare prossimale (ginglimo laterale).

Nel passaggio tra l’epifisi e la diafisi, sul versante anteriore dell’ulna prenderà attacco il muscolo
brachiale sulla tuberosità dell’ulna, subito sotto il processo coronoideo.
Tra l’incisura radiale dell’ulna e la tuberosità dell’ulna parte una corda fibrosa, detta corda obliqua, che
termina al di sotto della tuberosità del radio, “completando” la membrana interossea.
Diafisi. La diafisi presenta un margine laterale, chiamato cresta interossea, una cresta tagliente che dà
attacco alla membrana interossea tra le diafisi di radio e ulna (sindesmosi).
Epifisi distale. L’epifisi distale, detta testa o capitello dell’ulna, è molto ristretta rispetto alla prossimale e
presenta un’estremità ellittica, un capitello convesso e sporgente, la cui estremità fungerà da superficie
articolare. Nella parte posteriore-mediale presenta un processo appuntito, definito processo stiloideo
dell’ulna.


Radio (tav.425; gray 864-868)
Si tratta di un osso particolarmente regolare.
Epifisi prossimale. È una struttura cilindrica e regolare, chiamata testa del radio o capitello radiale. La parte
superiore è lievemente scavata ed andrà ad articolarsi con il condilo omerale. Nel movimento di pronazione
la testa del radio ruoterà sull’incisura dell’ulna.

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Nel passaggio tra epifisi e diafisi, antero-medialmente, è presente anche qui una rugosità, la tuberosità

radiale, che darà attacco all’inserzione distale del bicipite brachiale.


Diafisi. Presenta un margine mediale tagliente, la cresta interossea, da cui si ha la sindesmosi con l’ulna.
Epifisi distale. L’epifisi distale si appiattisce e si allarga e culmina lateralmente con un processo stiloideo
appuntito. Medialmente presenta una superficie articolare per il capitello dell’ulna, l’incisura ulnare del radio,
a formare l’articolazione radio-ulnare distale (ginglimo laterale). La base di tale epifisi presenta inferiormente
una fossa ovoidale e concava che diventa superficie articolare per l’articolazione radio-carpica, una
condiloartrosi con le ossa della prima fila del carpo a livello del polso (lateralmente l’osso scafoide e
medialmente l’osso semilunare).
L’ulna non partecipa direttamente a tale articolazione, ma tramite un disco articolare completa la
superficie articolare ellittica. Per questo motivo si parla di articolazione radio-carpica.
Nella parte posteriore dell’epifisi distale si riconoscono in direzione latero-mediale: l’area per il
muscolo estensore breve e abduttore del pollice, il solco per i muscoli estensori radiali lungo e breve del
carpo, il tubercolo dorsale di Lister, il solco per il muscolo estensore lungo del pollice, il solco per i muscoli
estensori delle dita ed estensore del pollice.

Mano (tav 439,440)


La mano è organizzata in tre segmenti: prossimale, intermedio e distale.
Prossimale. Corrisponde al carpo. Questo è costituito da due file di ossa brevi: la prima, più prossimale, si
articola nel suo insieme col radio, la seconda, più distale, si articola con il metacarpo.
In senso latero-mediale, consideriamo la posizione e i nomi delle ossa del carpo.

La prima fila è costituita in ordine da: l’osso scafoide o navicolare, in quanto assomiglia ad una
navicella, si articola con l’osso semilunare, che, a sua volta, si articola con l’osso piramidale, sormontato da
una piccola sfera ossea, l’osso pisiforme, ben visibile sul versante palmare della mano.
Questa sequenza di ossa, escludendo l’osso pisiforme, va a costituire una superficie articolare elissoidale,
convessa e sporgente cha va a corrispondere con quella concavità che abbiamo osservato sulla superficie
articolare distale del radio.
La seconda fila del carpo è invece costituita da: trapezio, articolato con il trapezoide, avente dimensioni
lievemente più piccole del trapezio, articolato a sua volta con l’osso capitato o grande osso, articolato poi
con l’osso uncinato, il quale presenta un processo che si proietta verso l’interno del palmo sul versante
palmare.
Intermedio. Corrisponde al metacarpo. Questo è costituito da cinque ossa lunghe, dette metacarpali, che, a
loro volta, si articolano con le falangi. Sono denominate e numerate da 1 a 5 in senso latero-mediale.
Distale. Corrispondente alle falangi. Queste sono ossa lunghe, due nel pollice (prossimale e distale) e tre in
tutte le altre dita (prossimale, intermedia e distale). Sono presenti delle piccole ossa, ossa sesamoidi, le quali
danno attacco a molte articolazioni.

Spalla
In direzione prossimo-distale nella regione della spalla si hanno 3 regioni.

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La prima è la regione ascellare o cavo ascellare, la quale ha una forma piramidale se immaginiamo l’arto
abdotto; è una regione di passaggio per le strutture vascolari, linfatiche, nervose che transitano tra la regione
del collo e l’arto superiore. Comprende tutte le formazioni anteriori o mediali all’articolazione scapolo-
omerale.
La seconda regione, la regione deltoidea, costituisce la parte intermedia. È una porzione convessa e la più
prominente, data dal rilievo del muscolo deltoide. È anche chiamata moncone della spalla.
La terza regione è la regione scapolare, estesa fino al piano dorsale della scapola; è la parte posteriore.

Rivestimento fasciale: sotto i tessuti più superficiali c’è una fascia aponeurotica, riveste l’epimisio dei muscoli.
La fascia è continua ma assume nomi differenti a seconda della regione in cui si trova: pettorale, deltoidea,
brachiale e anti-brachiale. Queste fasce muscolari originano in certi punti anche per le espansioni tendinee e
prendono inserzione sugli arti: una parte delle fibre tendinee si inseriscono sull’osso per ancorare il muscolo,
una parte delle fibre tendinee, invece, si porta a costituire le fasce.


Articolazioni del cingolo toracico

All’interno dell’articolazione della spalla è opportuno comprendere l’articolazione gleno-omerale. Si


parla di articolazioni del cingolo toracico, le quali comprendono:
• l’articolazione steno-clavicolare
• l’articolazione acromio-clavicolare
• l’articolazione gleno-omerale
• l’articolazione scapolo-toracica è uno spazio, che rappresenta un piano di svincolo; spesso non viene definita
come un’articolazione propriamente detta poiché non vi sono dei veri e propri capi articolari ma, nella fossa
sotto-scapolare rivolta verso la superficie posteriore del torace, c’è un connettivo lasso che permette
movimento della scapola.
Caratteristiche morfologiche delle articolazioni
Articolazione sterno-clavicolare. È l’unica articolazione tra scheletro assile e l’arto superiore. Si realizza tra
l’estremità sternale della clavicola e l’incisura clavicolare dello sterno, che si trova al lato dell’incisura
giugulare del manubrio sternale. Le superfici non sono molto congruenti, la corrispondenza ossea è pressoché
nulla, sono dunque i legamenti e il disco articolare interposto tra le superfici articolari a dare forza e stabilità.
La forma è una doppia curvatura invertita sui 2 capi articolari. Sul lato destro vi sono:
• i fasci della capsula, in questa zona i capi articolari sono rivestiti di cartilagine fibrosa;
• un disco cartilagineo che divide la cavità articolare e si fissa alla capsula e alla cartilagine costale;
• un rinforzo da parte dei legamenti sterno-clavicolari.
I due capi articolari vengono mantenuti in posizione dal legamento, il quale è teso tra una rugosità sulla
clavicola ed una costa.
L’articolazione acromio-clavicolare. Posta tra la superficie acromiale della clavicola e la faccetta clavicolare
del processo acromiale della scapola. Sono delle artrodie, quindi il movimento è di lieve scivolamento.
È presente un disco fibro-cartilagineo tra le due superfici articolari, il quale viene raffigurato incompleto
perché i processi degenerativi, dovuti all’invecchiamento, lo forano.
Si hanno dei legamenti acromio-clavicolari, che sono dei legamenti di rinforzo della capsula. Il legamento a
distanza, il legamento coraco-clavicolare, è costituito da due fasci: uno più anteriore, che per la forma prende
il nome di trapezioide, ed uno mediale, con fibre spiralizzate, noto come legamento conoide, che allinea il
processo coracoideo con la clavicola.

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L’articolazione gleno-omerale (tav 408, gray 831-837). È costituita dalla cavità glenoidea della scapola e dalla
testa dell’omero.

Si tratta di una enartrosi nella quale manca una corrispondenza precisa tra i due elementi costituitivi
ma che è comunque caratterizzata da grande mobilità. Consente movimenti di flessione, estensione,
adduzione, abduzione, rotazione e circonduzione.

I capi articolari sono costituiti dalla testa dell’omero che è una sfera regolare e dalla cavità
glenoidea che ha una forma ovoidale; quest’ultima non possiede una concavità tale da accogliere la convessità
del segmento di sfera presente sulla testa dell’omero. Per ovviare a questa incongruenza sul contorno della
cavità glenoidea si inserisce una formazione fibro-cartilaginea che prende il nome di labbro glenoideo: è un
“dispositivo” che aumenta lievemente la concavità di questa superficie.
I due capi articolari sono uniti da una capsula fibrosa (rivestita di membrane sinoviali) che si inserisce sulla
scapola e sul contorno del labbro glenoideo e sull’omero dove si inserisce posteriormente sul collo anatomico
(la grande tuberosità resta libera in quanto qui troveranno attacco dei muscoli), e anteriormente si dirige
obliquamente in senso medio-laterale, passando a ponte sopra il solco bicipitale. Tale capsula non è tesa,
specie inferiormente, dalla scapola all’omero, anzi è molto lassa, tanto che si parla di recesso ascellare: i capi
articolari all’interno non sono saldamente articolati ma possono arrivare a distanziarsi anche di qualche
centimetro (fino a 2-3); ciò aumenta la possibilità di movimento, diminuisce la stabilità e aumenta la
possibilità di lussazione (ndr: le borse vedile dai muscoli).
Tendini e legamenti della spalla
Anteriormente la capsula fibrosa viene rinforzata da ulteriori fasci, ossia i legamenti gleno-omerali
(trasversali, a forma di “amaca”): uno superiore, uno medio e uno inferiore.
Vi è uno spazio tra l’uno e l’altro poiché, normalmente, è presente un’apertura tra il superiore ed il medio.
Ciò consente alla membrana sinoviale di poter fuoriuscire (erniazione), andando a posizionarsi davanti alla
capsula articolare, ma dietro al tendine del muscolo sottoscapolare. Questa erniazione forma un cuscinetto
proveniente dall’interno: la borsa del muscolo sottoscapolare (ndr: tali borse saranno spesso incontrate nel
corso), che permette lo scorrimento di due superfici (capsula dietro e tendine davanti) che altrimenti
creerebbero attrito.
Superiormente al legamento gleno-omerale superiore vi è il tendine del sovraspinato. Dal tubercolo
sopraglenoideo si allunga, nel solco bicipitale, il tendine di un lembo del bicipite brachiale, il quale deve
decorrere, all’interno dell’articolazione gleno-omerale, passando sopra la testa dell’omero, fino ad arrivare a
posizionarsi nel solco bicipitale, per poi decorrere lungo la diafisi con la porzione carnale. Tale tendine è
circondato a manicotto dalla membrana sinoviale che lo accompagna fino al solco bicipitale. Si parla quindi di
un tendine intra-capsulare ed extra-articolare (perché non è libero/nudo nell’articolazione).
Anche il legamento coraco-omerale, presente supero-anteriormente al legamento gleno-omerale, è fissato
tra il processo coracoideo e testa omerale (fuso con la capsula e il legamento gleno-omerale). Tale legamento
successivamente si separa in due fasci per far passare (al di sotto) il capo lungo del tendine del bicipite
brachiale. A livello di solco bicipitale, inferiormente ai legamenti capsulari, il tendine di tale muscolo è
ricoperto trasversalmente dal legamento trasverso dell’omero, che contribuisce al suo mantenimento della
posizione.
A formare il tetto dell’articolazione, creato da un ponte connettivale, vi è il legamento coraco-acromiale, che
unisce l’acromion con il margine laterale del processo coracoideo.

119

I tendini formano un manicotto robusto che prende il nome di cuffia; i muscoli della cuffia dei rotatori sono i
responsabili della rotazione della spalla; i legamenti rafforzano la capsula anteriormente.

I muscoli dell’arto superiore


La muscolatura è sviluppata posteriormente. La muscolatura può essere intrinseca (tutti e due gli attacchi,
cioè le inserzioni prossimali e distali sono sull’arto superiore) o estrinseca (un capo si inserisce su parti di ossa
che non fanno parte dell’arto superiore).
Si suddividono in muscoli del braccio, dell'avambraccio e della spalla.


Muscoli dell’arto superiore

Intriseci della spalla (tav.408-415)

Deltoide
Così chiamato per la sua forma a Delta maiuscolo, ha una base di attacco molto ampia mentre l’estremità è
ristretta. Si estende dal terzo laterale (inferiore) della clavicola, all’acromion, a una buona parte della spina
della scapola, descrivendo una concavità rivolta medialmente che va in senso anteroposteriore. I fasci si
portano in basso per inserirsi sulla tuberosità deltoidea dell’omero. Tra l’estremità inferiore del deltoide e
l’estremità laterale-superiore del grande pettorale è presente un piccolo spazio triangolare a livello della
clavicola, chiamato triangolo deltoideo-pettorale. Questo accoglie la vena cefalica.
Esso è costituito da fasci anteriori, laterali e posteriori e, quindi, movimenti consentiti da questo muscolo
sono diversi: la rotazione e l’abduzione, ma interviene anche nella flessione, nella estensione e nella
extrarotazione del braccio se coadiuvato.
Esso impedisce la lussazione della testa dell’omero nel momento in cui si sollevano oggetti pesanti e fa da
contorno a una serie di altri muscoli, considerati i muscoli della cuffia dei rotatori.
Tra deltoide e testa dell’omero vi è una borsa articolare sottodeltoidea.

Muscoli della cuffia dei rotatori


Rinforzano l’articolazione della spalla:

- Sottoscapolare, muscolo anteriore, occupa tutta la fossa sottoscapolare, si riunisce in un tendine che va a
fissarsi al tubercolo minore dell’omero. Questo muscolo passa davanti al versante anteriore della capsula
e ha bisogno della borsa sinoviale sottoscapolare per lo scorrimento. Il movimento consentito da tale
muscolo è l’intrarotazione dell’omero;

- Sovraspinato, muscolo posteriore, origina dalla fossa sovraspinata, passa sotto l’acromion e si porta fino
alla grande tuberosità arrivando all’omero orizzontalmente, passando dietro alla parte posteriore della
capsula. I movimenti consentiti da tale muscolo sono l’abduzione (avvia i primi 15° di abduzione) e in parte
l’extrarotazione; tra sovraspinato e testa dell’omero vi è una borsa articolare.
- Sottospinato (o infraspinato), muscolo posteriore, origina dalla fossa sottospinata e si fissa col tendine

120
subito inferiormente all’inserzione del sovraspinato. Tale muscolo consente l’extrarotazione;

-Piccolo rotondo, muscolo posteriore originato dal margine ascellare della scapola (inferiormente al
sottospinato e leggermente più profondo), si porta verso l’alto obliquamente e si inserisce inferiormente
all’inserzione del sottospinato, completando la cuffia. Tale muscolo consente l’extrarotazione;
Gli extrarotatori sono rivestiti posteriormente dalla fascia infraspinata.

Grande rotondo
Muscolo posteriore non annoverato tra quelli della cuffia in quanto il proprio tendine non partecipa alla
formazione del manicotto, sebbene come quelli della cuffia sia un muscolo rotatore. Esso ha origine dal
margine ascellare (sotto il piccolo rotondo) e dall’angolo inferiore della scapola, si porta obliquamente verso
l’alto e in avanti, passa davanti all’omero e va ad inserirsi in corrispondenza della cresta mediale del solco
bicipitale, dietro all’inserzione del grande dorsale. Si occupa dell’intrarotazione.

Extra: tra i ventri più laterali del piccolo rotondo (che è sopra e più posteriore) e il grande rotondo (che è sotto
e più antetiore (si fa riferimento ai ventri laterali)) vi è quasi ortogonalmente il capo lungo del tricipite.

Gomito (tav.424, gray 870)


Il gomito è un’articolazione complessa, perché in realtà per gomito intendiamo tre articolazioni:

-Omero-radiale, che ha come capi articolari il condilo omerale e la fossetta del capitello radiale; è una
condiloartrosi;

-Omero-ulnare, che ha come capi articolari la troclea omerale e sull’ulna, completata dalla troclea, l’incisura
semilunare dell’ulna, che funge da cerniera. Si può pertanto classificare come ginglimo angolare, che consente
unicamente il movimento di flesso-estensione, che porta con sé anche il movimento dell’articolazione omero-
radiale (ellissoidale), proprio perché queste articolazioni sono tutte contenute in un’unica capsula articolare.

-Radio-ulnare prossimale, che si realizza tra capitello del radio e l’incisura radiale dell’ulna. Tale
articolazione è un ginglimo laterale, o trocoide.

Tutte queste tre articolazioni sono avvolte da un’unica capsula articolare:
Sul versante anteriore abbiamo il capo articolare e i fasci fibrosi che si inseriscono sull’omero
coprendo/circondando la fossa radiale, sopra il condilo, e coronoidea, sopra la troclea. Quindi la capsula va
oltre i limiti delle due fossette. Essa non si inserisce seguendo una linea regolare orizzontale, ma scende
obliquamente passando sotto i due epicondili (o epicondilo ed epitroclea) che rimangono liberi, non avvolti
dal manicotto della capsula. Scendendo ancora la capsula continua oltre i capi articolari fino a inserirsi
inferiormente al capitello del radio e al processo coronoideo dell‘ulna.
Sul versante posteriore i fasci, analogamente a quelli anteriori, coprono la fossa olecranica e scendono
obliquamente sotto i due epicondili. Inferiormente arriva fin sotto il capitello radiale, mentre sull’ulna
contorna l’olecrano lasciandolo libero: qui si inserirà il tendine del muscolo tricipite brachiale. Inoltre dagli
epicondili originano i due legamenti che rinforzano l’articolazione e alcuni tendini dei muscoli
dell’avambraccio, che sono numerosi e si inseriscono in una superficie non molto lunga; quindi si sono
formati questi rilievi per dare attacco alla parte prossimale di tali muscoli.
Dalla norma anteriore si notano due fasci, detti legamenti collaterale radiale e ulnare, che partono dalle
parti inferiori degli epicondili rispettivamente laterale e mediale: osservandoli anteriormente sembra che
siano due bande di rinforzo laterale alla capsula (come si vedrà nel ginocchio, dove ci sono i due legamenti

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collaterali che semplicemente scendono verticalmente). In realtà osservandoli sul versante laterale e mediale,
soprattutto in flessione, si vede che ognuno ha origine dall’epicondilo e poi si sfiocca in 2 fasci nel legamento
collaterale radiale e 3 fasci nell’ulnare; in quest’ultimo si portano a rinforzare la capsula anteriormente verso
il radio e posteriormente verso l’olecrano. Lo stesso comportamento ma si ha nel radiale.
È da sottolineare anche l’andamento della membrana sinoviale, che tappezza internamente la capsula: la
membrana scende lungo la linea di inserzione della capsula. Davanti, sopra le due fossette, lascia liberi gli
epicondili; dietro contorna la fossa olecranica, scende fino al capitello radiale e all’interno di un’ulteriore
legamento, poco visibile dall’avanti perché fuso con la capsula fibrosa, che si prolunga sotto il capitello, ma
che ha una forma caratteristica ad anello.
Tale anello, che prende il nome di legamento anulare del radio, si fonde con il fascio più mediale (quello
diretto all’ulna) del leg. collaterale radiale e si inserisce sui margini dell’incisura radiale dell’ulna (la membrana
sinoviale è all’interno): quindi all’interno dell’anello si crea la cavità articolare necessaria al contorno della
circonferenza del capitello radiale per il movimento di rotazione sull’ulna (ginglimo laterale).
Così come nell’articolazione atlo-epistrofeica mediana, dove c’è un cilindro che è l’epistrofeo che ruota
all’interno della capsula in parte ossea, in parte fibrosa, formata dai legamenti trasverso e crociato,
nell’articolazione radioulnare c’è il radio che può ruotare all’interno dell’anello nel movimento di pronazione,
o rotazione interna, dove scavalca l’ulna nella sua parte inferiore. Con il movimento di supinazione, o
extrarotazione, ritorna nella posizione originaria.
A rinforzare ulteriormente l’articolazione vi è il legamento quadrato, un fascio fibroso che connette il collo
del radio all’incisura radiale dell’ulna.
L’articolazione radio-ulnare prossimale ha quindi come capi articolari il capitello radiale e l’incisura radiale
dell’ulna, ed è completata dal legamento anulare, visibile esternamente alla capsula fibrosa che contiene la
membrana sinoviale.

Soprattutto nei bambini, in questa zona si possono facilmente subire lussazioni (quando vengono sollevati dai
polsi o dalle mani), quando la testa del radio esce dal suo normale assetto nel legamento anulare e solo con
dei movimenti ben precisi di rotazione si può reinserire in posizione corretta.

Movimenti del gomito:
- Flesso-estensione, reso possibile dall’articolazione ginglimo angolare omero-ulnare. La flessione è limitata
dalle parti molli (muscoli, la flessione passiva ha qualche grado in più rispetto a quella attiva) mentre
l’estensione viene limitata dal posizionamento dell’olecrano nella fossa olecranica (controllo iperestensione).
-Pronazione e supinazione, dati dalla rotazione mediale e laterale grazie all’articolazione radio-ulnare
prossimale in cui il radio scavalca l’ulna (c’è anche la radio-ulnare distale, dove il radio scavalca l’ulna
mantenendosi in rapporto continuo con essa grazie alla membrana interossea; si mantiene la corrispondenza
tra le due epifisi).

Posteriormente, anteriormente e lateralmente all’articolazione passano dei fasci carnosi, classificabili come
muscolatura intrinseca dell’arto superiore: muscoli della spalla (vedi sopra), del braccio, dell’avambraccio,
della mano.
Bisogna tenere sempre presente la correlazione tra articolazione e muscolatura corrispondente, la quale ha
un ruolo importantissimo nella stabilità articolare.

Muscoli del braccio (tav. 401 fasce, gray 843-849 via dicendo nel capitolo)
Divisi in due compartimenti: anteriore, o dei muscoli flessori, e posteriore, o dei muscoli estensori.
C’è una logica dal punto di vista topografico: sono localizzati nel segmento di arto superiore detto braccio. Però ce
ne sono altri che non sono del braccio perché localizzati nell’avambraccio, e agiscono mettendo in moto

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l’articolazione del gomito. Avremo quindi una classificazione classica con muscoli che appartengono propriamente
al segmento del braccio ai quali si aggiungeranno i muscoli flessori ed estensori che intervengono nell’articolazione
del gomito ma che appartengono al segmento dell’avambraccio.
Ricordiamo che la fascia pettorale che copre il muscolo grande pettorale del torace e la fascia deltoidea che copre
il muscolo deltoide si continuano nella fascia brachiale nel momento in cui iniziano i muscoli del braccio, ed è
continua con la fascia antibrachiale che riveste i muscoli dell’avambraccio. Al di sopra del piano fasciale sono
visibili vasi e nervi superficiali. All’interno della fascia brachiale si collocano le strutture dei muscoli e dei vasi e
nervi profondi che prendono rapporto diretto con i muscoli.
I muscoli sono divisibili in compartimenti, o logge, anteriore e posteriore. Questo è possibile perché dalla fascia
partono dei setti intermuscolari (mediale e laterale) che si congiungono allo scheletro (omero). I muscoli davanti
l’omero sono nella loggia anteriore, quelli dietro nella posteriore. Anteriormente si trova più di un muscolo,
posteriormente uno solo.

Muscoli loggia anteriore – Flessori (tav. 417)

Bicipite Brachiale
È Il primo che si incontra eseguendo una dissezione superficiale, visibile superficialmente quando si esegue
movimento di flessione. È detto bicipite perché presenta due capi di origine.
Il capo lungo ha un andamento particolare: parte dalla tuberosità sopraglenoidea della scapola, passa sopra
la testa dell’omero, quindi si torva all’interno della capsula dell’articolazione gleno-omerale avvolto
completamente dalla membrana sinoviale, che lo accompagna fino all’uscita nel solco bicipitale.
Il capo breve origina dal processo coracoideo della scapola.
Inferiormente originano le parti carnose che si uniscono ed emettono un unico tendine che si inserisce sulla
tuberosità radiale, scavalcando il gomito.
Osservando attentamente si vede che le fibre più superficiali di questo tendine formano una sorta di lamina,
detta aponeurosi bicipitale o lacerto fibroso, che va a fondersi e a rinforzare la fascia antibrachiale.
È un muscolo che interviene nella flessione sia del braccio che dell’avambraccio, di cui è il più potente flessore,
nonché della supinazione dell’avambraccio.


Coracobrachiale
Mediale e più profondo rispetto al bicipite, ha origine dal processo coracoideo (come dice il nome stesso) e
si ferma circa a metà della diafisi omerale, su cui si inserisce direttamente in posizione anteromediale. È un
flessore e aduttore del braccio, dato che non scavalca il gomito; quindi agisce sull’articolazione gleno-
omerale, pur non essendo classificato tra i muscoli della spalla.

Brachiale
Più profondo rispetto al bicipite, origina direttamente dall’omero sul versante anteriore subito sotto
l’inserzione del deltoide nella tuberosità deltoidea. Il muscolo brachiale scavalca il gomito e mediante un
tendine si inserisce sulla tuberosità ulnare. È un flessore dell’avambraccio.

Brachioradiale (tav. 431,432)


Fa parte dei muscoli dell’avambraccio, dove è collocato sul versante laterale. Parte dal braccio, precisamente
dalla cresta sopracondiloidea laterale, scende sul versante antero-laterale dell’avambraccio e si fissa sul
processo stiloideo del radio. È un’eccezione (anche per quanto riguarda la sua innervazione) perché parte a
monte dell’articolazione del gomito e arriva al radio senza oltrepassare l’articolazione del polso, quindi è un
flessore dell’avambraccio stesso e non del polso (classificazione mista). Il tendine che si inserisce sul processo
stiloideo è palpabile in superficie.

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Muscoli loggia posteriore – Estensori (tav. 418)

Tricipite Brachiale
Presenta tre capi: lungo, laterale, mediale.
Il capo lungo origina dal tubercolo sottoglenoideo della scapola e si sviluppa in una porzione carnosa che si unisce
con un’altra porzione carnosa che ha origine dal capo laterale.
Il capo laterale (o breve) origina direttamente dalla superficie posteriore della diafisi omerale, poco al di sotto del
tubercolo maggiore e supero-lateralmente al solco del nervo radile (è il primo che si trova eseguendo una
dissezione). Si uniscono in un unico tendine molto teso e voluminoso che si inserisce sull’olecrano.
Sul tendine si inserisce anche il terzo capo, il mediale, che è il più profondo, si trova a contatto con il piano osseo
ed è visibile solamente tagliando uno degli altri due capi; ha origine direttamente dalla diafisi dell’omero,
medialmente al solco del nervo radiale. Il muscolo è un potente estensore dell’avambraccio, solo il capo lungo è
anche estensore del braccio.

Anconeo
È un muscolo molto meno esteso del tricipite e coadiuva il movimento di estensione dell’avambraccio. Si
trova nella sua parte posteriore. Ha attacco sul versante posteriore del corpo dell’ulna e partendo
dall’olecrano si dirige postero-lateralmente fissandosi all’estremità posteriore dell’epicondilo laterale.

Articolazione del polso (tav 442)


Nella stessa capsula articolare sono presenti sia questa articolazione sia quella radio-carpica.

- Spostandosi sul compartimento distale dell’avambraccio è presente l’articolazione radio-ulnare distale, che
consente (insieme alla prossimale) la rotazione (movimento di prono-supinazione). Questo movimento è
permesso dalla morfologia delle superfici articolari: l’ulna si stringe in una sorta di testa convessa chiamata
impropriamente capitello che precessa postero-lateralmente il processo stiloideo; il radio, invece, si allarga
e presenta inferiormente una superficie articolare ovalare concava. Dalla sezione frontale si osserva la
presenza di una cavità articolare tra l’ulna ed il disco fibro-cartilagineo, il quale va a riempire lo spazio che
esiste tra capitello dell’ulna e margine inferiore del radio (essendo le due diafisi non allineate).
La presenza di questo disco completa la superficie articolare per l’articolazione radio-carpica; sul versante
superiore del capitalle ulnare, quindi, c’è una cavità articolare che continua con quella dell’articolazione
radio-ulnare distale, con una sorta di “L” ovviamente tappezzata dalla membrana sinoviale.
L’articolazione radio-ulnare distale, quindi, risulta diversa come composizione (sebbene sia sempre un
ginglimo laterale) dalla radio-ulnare prossimale in quanto quest'ultima è contenuta nella capsula del gomito
e non possiede il disco articolare.

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- Inferiormente si vede l’altro versante dell’articolazione del polso, ovvero l’articolazione radio-carpica.
Le superfici articolari si trovano da un lato sul radio e sul disco articolare, dall’altro lato sulla fila prossimale
del carpo, con la partecipazione in particolare dell’osso scafoide, semilunare e piramidale (il pisiforme non
contribuisce di suo a formare la cavità articolare), che nell’insieme formano una superficie convessa.
L’articolazione radio-carpica, che non si realizza direttamente tra due ossa, può essere classificata come
condiloidea poiché presenta come capi articolari un’ellissi concava (prossimalmente) ed una convessa
(distalmente).
I movimenti consentiti sono l, quindi, di flesso-estensione (più ampi) e adduzione-abduzione (ridotti).


Muscoli Avambraccio (gray 874 e cosi via nel capitolo)
Le articolazioni radioulnare e radiocarpica vengono scavalcate dai tendini dei muscoli dell’avambraccio, che
sono più numerosi rispetto a quelli del braccio.
Ricordiamo che i muscoli sono collocati nella fascia antibrachiale, al cui interno ci sono le due ossa, ulna
e radio, collegate dalla membrana interossea. Si ha un compartimento anteriore e uno posteriore. Bisogna
inoltre tener conto che c’è una parte dell’avambraccio, la metà prossimale, più sviluppata di quella distale.
Rimuovendo la fascia si capisce che è così perché la parte carnosa dei vari muscoli dell’avambraccio è
confinata nella metà superiore, mentre la parte inferiore è occupata dai tendini che scendono in posizione
molto ravvicinata e passano attraverso spazi molto ristretti quali il polso, la mano e altri compartimenti
all’interno della mano. Per permettere lo scorrimento dei tendini ci sono molte guaine o borse sinoviali.
Questi tendini diventano punti di repere poiché in questa regione insieme ad essi decorrono vasi e nervi; ad
esempio il tendine del flessore radiale individua l’arteria radiale nella parte laterale del polso e il tendine del
flessore ulnare è un punto di repere per l’arteria ulnare.
Rispetto alle ossa e alla membrana interossea si può individuare una serie di compartimenti anteriori (flessori
e pronatori), in cui si hanno quattro strati. Nel compartimento posteriore invece si hanno solo due piani, uno
superficiale e uno profondo (estensori e un supinatore).

Generalmente dall’epicondili originano i muscoli estensori, dall’epitroclea i muscoli flessori.

Muscoli del compartimento anteriore (4 piani progressivi da superficie verso osso)

1. Brachioradiale (tav 432)


Appena sotto le fasce brachiale e antibrachiale, scende dall’epicondilo laterale, si porta anteriormente e con
un lungo tendine arriva al processo stiloideo del radio. Forma il rilievo anterolaterale dell’avambraccio che
determina un incavo a forma di “V”, la fossa cubitale (completata dal muscolo flessore radiale del carpo)

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corrispondente alla parte anteriore del gomito, qui distinguiamo anche il bicipite brachiale col tendine che si
sta approfondando per inserirsi sulla tuberosità del radio.

Procedendo in senso latero-mediale si trova una serie di muscoli flessori superficiali che originano con un
tendine comune dall’epicondilo mediale dell’omero, dove c’è il legamento collaterale ulnare:

Pronatore Rotondo (tav 426,432)


Si incontra nello strato superficiale, non è molto sviluppato. Ha origine dall’epitroclea e dalla superficie
antero-mediale della metafisi prossimale dell’ulna. Il tendine scende obliquamente in fuori e in profondità
fino a fissarsi al margine laterale del radio (distalmente è nascosto dal brachioradiale), permettendo il
movimento di intrarotazione del polso (pronazione). Forma il pavimento della fossa cubitale.

Flessore radiale del carpo (tav 432)


Molto più sviluppato rispetto al pronatore rotondo. Il tendine segue lo stesso andamento del tendine del
pronatore, prende rapporti con il radio, ma si inserisce alla base del 2° metacarpale. Forma la parete mediale
della fossa cubitale.

Palmare lungo (tav 432)


Si trova compreso tra i due flessori (radiale e ulnare). Ha una piccola parte carnosa e un lunghissimo tendine
visibile in superficie quando si uniscono il pollice e mignolo. Esso non si fissa sull’osso, ma si continua con una
parte della fascia della mano detta aponeurosi palmare; mantiene teso questo rivestimento fasciale.
Interviene come flessore del polso.

Flessore ulnare del carpo (tav 432)
Rimane sul versante più mediale dell’avambraccio e si inserisce alla base delle ossa metacarpali mediali,
permettendo la flessione e l’adduzione del polso.

Rimuovendo questi muscoli superficiali si individuano:



1. Muscolo flessore superficiale delle dita (tav 429,433)
Ha origine dall’epicondilo mediale e dal margine anteriore del radio, sotto si troverà un altro flessore. Dalla
parte carnosa originano tendini per le falangi intermedie delle ultime quattro dita.

2. Muscolo flessore profondo delle dita (tav 429,434)


Si trova al di sotto del flessore superficiale. Ha origine dalla membrana interossea e dall’ulna mediale e
continua con quattro tendini delle falangi distali delle ultime quattro dita.

Flessore lungo del pollice (tav 429, 434)


Il pollice ha un muscolo proprio, il quale è allineato lateralmente al flessore profondo delle dita; origina dal
margine mediale del radio e dalla membrana interossea e da questo muscolo parte un tendine che raggiunge
la falange distale del pollice medialmente.

3. Muscolo pronatore quadrato (tav 426)


Al di sotto di questi muscoli, nella regione che precede le due epifisi distali dell’articolazione del polso, si ha
questo muscolo a forma di rombo, che si estende dal margine mediale dell’ulna al margine anterolaterale del

126
radio. Coadiuva il pronatore rotondo nel movimento di intraotazione (da l’avvio alla rotazione) del radio
agendo sull’articolazione radio-ulnare distale.

Muscoli del compartimento posteriore (tutto tav 427)


Il compartimento posteriore ha solo due piani di muscoli, uno superficiale ed uno profondo.

1. Estensori radiali del carpo (tav 430)
Posteriormente rispetto al brachioradiale si trovano questi muscoli, antagonisti rispetto ai muscoli anteriori,
si trovano sul versante laterale e posteriore dell’avambraccio, in corrispondenza del radio; si inseriscono alla
base delle ossa metacarpali, senza portarsi alle falangi, passando con i tendini sotto i ventri e i tendini del m.
abduttore del pollice (diventano profondi). Questi muscoli sono:
-Muscolo estensore radiale lungo del carpo: ha origine subito sotto all’origine del brachioradiale dalla
parte distale della cresta sopracondiloidea laterale, inserendosi al 2° osso metacarpale.
-Muscolo estensore radiale breve del carpo: origina direttamente dall’epicondilo laterale e si inserisce
al 3° osso metacarpale.
Sono flessori e abduttori del polso. Tra le fibre delle due origini passa il tendine dell’anconeo.

Muscolo estensore delle dita


Subito medialmente all’estensore radiale breve del carpo troviamo l’estensore delle dita. Origina
dall’epicondilo laterale e si porta fino alle falangi distali delle ultime quattro dita.

Muscolo estensore del mignolo


Ancora più mediale, origina dell’epicondilo e si porta fino alla falange distale del quinto dito.

Muscolo estensore ulnare del carpo
Muscolo mediale. Dall’epicondilo laterale si inserisce alla base del quinto metacarpale.
Medialmente si riesce a visualizzare anche la faccia posteriore del flessore ulnare, muscolo anteromediale.

2. Piano profondo
Dall’estremità laterale dell’estensore delle dita si fanno strada dei piccoli muscoli che in parte si trovano
nello strato profondo, ma che si portano superiormente originando tendini che raggiungono le prime due
dita. Questi muscoli formano, oltre al muscolo supinatore, la gran parte dello strato profondo.

Muscolo supinatore (tav 426)


Origina dall’epicondilo laterale e dal margine postero-laterale superiore dell’ulna. Questo circonda il terzo
prossimale del radio e va a fissarsi in corrispondenza della diafisi laterale del radio. Con la contrazione
determina l’extrarotazione del radio dopo la contrazione dei muscoli pronatori, per la supinazione
dell’avambraccio in sinergia con il tendine del bicipite.

Sempre nello strato profondo si hanno quattro piccoli muscoli: tre diretti al pollice ed uno all’indice. I tre
diretti al pollice originano dall’ulna laterale e dalla membrana interossea portandosi obliquamente in basso e
lateralmente; latero-medialmente rispetto alle inserzioni sono: (tav 427)

127
- Muscolo abduttore lungo del pollice: si inserisce sul 1° osso metacarpale, per abduzione del pollice, con
allontanamento dalle altre quattro dita, e in parte del polso
- Muscolo estensore breve del pollice: termina alla falange prossimale;
- Muscolo estensore lungo del pollice: continua fino alla falange distale.
Questi due muscoli sono responsabili dell’estensione del pollice agendo sulle articolazioni interfalangea e
metacarpo-falangea. I tendini dei muscoli estensori del pollice non decorrono affiancati ma creano una fossa a
forma di triangolo chiamata tabacchiera anatomica punto di repere per un tratto del decorso dell’arteria radiale.
La tabacchiera è visibile sul margine laterale del polso nel movimento di abduzione del pollice.
- Muscolo estensore dell’indice: è posto più inferiormente. Si congiunge al tendine dell’estensore delle
dita.

(tav 431,432) I tendini di tutti questi muscoli decorrono con una distanza ravvicinata e devono scavalcare
l’articolazione del polso dove si trovano strutture di rinforzo della fascia antibrachiale.
Sulla parte dorsale, superficialmente, questa fascia di contenimento si inspessisce e prende il nome di
retinacolo degli estensori, sotto questa passano i tendini avvolti in una propria guaina sinoviale (per ridurre
l’attrito tra essi).
Anteriormente non vi è un vero e proprio sistema di contenimento, ma il retinacolo continua e diventa
legamento palmare del carpo. Qui troviamo il tendine del muscolo palmare lungo che passa superficialmente
per mantenere tesa l’aponeurosi palmare fungendo da rinforzo della fascia profonda anteriore
dell’avambraccio.

(tav. 446,447) Osservando il palmo della mano si notano due rilievi: uno laterale in continuità con il pollice
chiamata eminenza tenar, ed uno mediale, in continuità con il mignolo chiamata eminenza ipotenar, dati da
muscolatura ononima (ipotenar costituita anche da muscolo palmare breve). Tra i due sollevamenti si ha un
incavo in cui, più profondamente all’aponeurosi palmare e al legamento palmare del carpo, si ha una porzione
più ristretta in cui tendini, con le rispettive guaine sinoviali, devono incunearsi. In questo piano ristretto è
presente il legamento trasverso del carpo, una banda orizzontale tesa tra pisiforme e uncino dell’osso
uncinato medialmente, mentre lateralmente al tubercolo del trapezio. Questo legamento trasverso
rappresenta il retinacolo dei muscoli flessori al di sotto del quale passano i tendini dei muscoli flessori (ad
eccezione del tendine del flessore ulnare che si arresta prima); questo spazio ristretto prende il nome di
tunnel o canale carpale.
Questi tendini nel loro passaggio sono disposti su tre strati, sono circondati dalle rispettive guaine e
concorrono al passaggio di un nervo del plesso brachiale, il nervo mediano (il responsabile della sindrome del
tunnel carpale per una sua compressione causata dall’ infiammazione delle guaine sinoviali dei tendini dei
flessori con parestesie a carico del quarto dito), mentre il nervo ulnare rimane più mediale e superficiale
passando sotto il legamento palmare e dividendosi nei rami superficiali e profondi (passante nel canale di
Guyon).

128








Plesso Brachiale (tav 416-420, 459-466, cap. 38)

Introduzione

Il plesso brachiale (P.B.) è una struttura complessa che fa parte del Sistema Nervoso Periferico (SNP).
Esso è responsabile dell’innervazione della muscolatura del cingolo toracico e di tutto l’arto superiore
(l’innervazione è la distribuzione dei nervi in un dato organo, apparato o regione anatomica).

Alcune premesse:
Il Midollo Spinale è racchiuso nel canale vertebrale, rappresenta la porzione extracranica del Sistema Nervoso
Centrale (SNC) e costituisce la connessione fra il SNP e l’encefalo, del quale rappresenta il prolungamento.
Come l’encefalo è formato da sostanza bianca e sostanza grigia ma a differenza di quest’ultimo, la sostanza
grigia è interna a costituire una regione a forma di H, mentre la sostanza bianca è esterna.

Per NEUROMERO si intende una delle porzioni in cui può essere diviso il midollo spinale in direzione cranio-
caudale, ciascun neuromero è inoltre collegato ad un determinato territorio corporeo da una coppia di nervi
spinali (sempre presenti in numero pari, uno destro e uno sinistro).

I nervi spinali sono formati ciascuno da una componente motoria (radice motoria o radice anteriore o radice
ventrale) e una sensitiva (radice sensitiva o radice posteriore o radice dorsale), riferita alla sensibilità, ai rami
sensitivi che si distribuiscono alla cute.
Tali radici dipartono dal midollo spinale come assoni periferici, inizialmente rivestiti da meningi.
Ciascuno dei due nervi spinali si porta all’esterno passando per il foro intervertebrale o foro di coniugazione
(dove un’ernia del nucleo polposo del disco può comprimere le radici).

Quando si considera il SN è fondamentale considerare la direzionalità dell’impulso nervoso. La radice
anteriore (motoria) comprende fibre nervose dirette dal midollo spinale alla periferia (fibre nervose
efferenti), mentre la radice posteriore (sensitiva) comprende fibre dirette dalla periferia al midollo spinale
(fibre nervose afferenti).
La componente sensitiva porta informazioni di tipo tattile, mentre la componente motoria determina la
contrazione del muscolo.


La componente sensitiva si distribuisce alla cute ed ha una distribuzione particolare, infatti si possono
individuare delle “fettine” di cute denominate dermatomeri.
Per DERMATOMERO si intende le la regione innervata da un nervo spinale (non proprio tutti i nervi spinali
presentano una componente che si riferisce alla cute!).

129
I dermatomeri seguono i neuromeri, quindi vi sono: dermatomeri cervicali, toracici.…
A livello di torace e dorso è ben evidente la distribuzione a regioni parallele dei dermatomeri, invece per
quanto riguarda l’arto superiore e inferiore questo pattern è riscontrabile considerando l’individuo in
posizione quadrupede.




Si può notare inoltre come ciascuna radice possieda una componente somatica o volontaria (sotto il controllo
della volontà) e una componente viscerale o involontaria (indipendente dal controllo della volontà). La
seguente tabella di approfondimento vuole rappresentare vari esempi funzionali di tutte le possibili
combinazioni (rappresentate nel giusto ordine anatomico, procedendo in direzione postero-anteriore).

130
ESEMPI FUNZIONALI

Percezione del dolore, percezione termica, vibratoria, pressoria, percezione dei vari organi di senso,

percezione della pressione arteriosa, della temperatura tissutale, del livello d’ossigenazione del sangue, del
pH, dello stato energetico dei tessuti,

Controllo sul tessuto muscolare liscio e sul tessuto muscolare cardiaco (frequenza cardiaca, sistema
ghiandolare, contrattilità apparato digerente, etc.)

Tutti i movimenti volontari e i riflessi motori (muscoli striati scheletrici), compresi i muscoli respiratori.





Radice posteriore e radice anteriore si uniscono insieme a formare il nervo spinale. Si tratta di nervi misti.

Osservando una qualsiasi sezione trasversale della coppia di nervi spinali che dipartono dal midollo spinale,
s’osserva che nel momento in cui ogni singolo nervo fuoriesce dal foro intervertebrale, cede 3 strutture,
rispettivamente:

1. Un piccolo ramo (meningeo) (che non viene considerato ai fini della trattazione del P.B.);


2. Un ramo posteriore (dorsali) (che si dirige posteriormente ed andrà a costituire l’innervazione della
muscolatura profonda dei muscoli del dorso e alla cute sovrastante, anche questo non interessa ai fini della
descrizione del P.B.)
3. Un ramo anteriore (ventrale) (molto più grande di quello posteriore) che andrà a costituire la muscolatura
anteriore della colonna e la muscolatura laterale e anteriore, oltre a formare insieme a diversi nervi spinali, il
P.B. A volte nei testi viene anche indicato come radice del plesso.

Il Plesso Brachiale dunque rappresenta la complessa rete nervosa preposta all’innervazione, sia sensitiva che
motoria, dell’arto superiore.

Esso è formato dall’unione dei rami anteriori (a volte nei testi indicati come: Radici del plesso) dei quattro
nervi cervicali inferiori (C5 – C6 – C7 – C8) e del ramo maggiore ventrale del 1° nervo toracico (T1).
N.B. Nomenclatura dei nervi: prendono il nome dalla vertebra corrispondente, ma tra C0 (occipitale) e C1
(atlante) fuoriesce il primo paio di nervi spinali (il quale andrà a formare il Plesso Cervicale insieme ai nervi di
C2, C3, C4). La coppia di nervi spinali C8 è compresa quindi tra lo spazio intervertebrale che separa C7 da T1.

131
I muscoli dell’arto superiore sono plurisegmentari, cioè questi
muscoli sono innervati e ricevono il contributo dai nervi spinali di più neuromeri e dunque i nervi spinali si
anastomizzano tra loro (assoni di diversi nervi spinali si riuniscono) per portare poi alla formazione di un ramo
terminale, il quale andrà a distribuirsi ad un determinato muscolo: ecco il motivo di una rete tanto complessa.

Il Plesso Brachiale consiste nell’anastomosi di più rami, al fine di raggiungere un determinato distretto di
muscoli.

I rami ventrali che rappresentano le radici del P.B. sono strutture di dimensioni pressoché uguali in tutti gli
individui ma sono variabili nel contrarre anastomosi: il contributo al Plesso di C4 e T2 è infatti variabile e si
modifica in questo modo l’ordine classico del P.B. (non varia assolutamente alcuna funzione nervosa):
-P.B. pre-fissato: quando l’apporto di fibre nervose da C4 è cospicuo, le fibre che derivano da T1 sono scarse
o assenti. Nella formazione del Plesso viene quindi a mancare T1 [C4 – C5 – C6 – C7 – C8]. Il Plesso è quindi
scalato verso l’alto di una posizione.

-P.B. post-fissato: quando l’apporto di fibre nervose da T2 è cospicuo, le fibre che derivano da C5 sono scarse
o assenti. Nella formazione del Plesso viene quindi a mancare C5 [C6 – C7 – C8 – T1 – T2]. Il Plesso è quindi
scalato verso il basso di una posizione.


Struttura del Plesso Brachiale (tav. 416, pag 801)
Muovendosi dalla colonna vertebrale verso arto:

132

Tronchi

C5 e C6 con il loro ramo anteriore convergono e formano il tronco primario superiore.

C7 con il suo ramo anteriore non si fonde con nessuno e porta alla formazione del tronco primario medio.

C8 e T1 uniscono il loro ramo anteriore nel tronco primario inferiore.

La dicitura dei tronchi (superiore – medio – inferiore) viene basata utilizzando come riferimento l’arteria
succlavia, che si trova inferiormente al tronco inferiore (come logicamente viene da pensare facendo
riferimento alla disposizione dei nervi spinali) e che diventa ascellare al margine della prima costa.
Il tronco superiore e medio sono nettamente superiori all’arteria, mentre il tronco inferiore a volte si trova
dietro all’arteria.

I tronchi passano nello spazio interscalenico (tra scaleno medio e anteriore) e piegano poi latero-
inferiormente.

N.B. Latero-medialmente nello spazio interscalenico ritroviamo: Tronchi del plesso brachiale, Arteria e, oltre
lo scaleno anteriore, la Vena succlavia (NAV).

Corde

133
Ogni tronco (superiore – medio – inferiore) si divide in una componente anteriore e una componente
posteriore, divisione che avviene sotto la clavicola.

Da tutti i tronchi le componenti posteriori convergono insieme portando alla formazione della corda
posteriore.

Da tronco superiore e tronco medio le componenti anteriori convergono a formare la corda laterale.

Dal tronco inferiore la componente anteriore prosegue in solitario andando a strutturare la corda mediale.
La dicitura delle corde (laterale – posteriore – mediale) viene basata utilizzando come riferimento l’arteria
ascellare: il P.B. (le corde) si dispone attorno all’arteria ascellare. Quindi, la corda posteriore sarà posteriore
in riferimento all’arteria ascellare (non si vede, è coperta dall'arteria), la corda mediale sarà mediale rispetto
all’arteria ascellare e la corda laterale sarà laterale rispetto all’arteria ascellare.


DOMANDA:
Ogni tronco e ogni corda contengono sia fibre motorie che sensitive?
Sì, certo, perché i nervi spinali sono misti.
Le radici (motoria e sensitiva) si trovano a livello di midollo e successivamente si uniscono a formare il nervo
spinale che esce dal foro intervertebrale. Ciascun nervo spinale poi cede i 3 rami descritti precedentemente e
in particolare il P.B. è formato dai rami anteriori.
C5, C6, C7, C8 e T1, nello schema della professoressa, rappresentano i rami anteriori misti dei rispettivi nervi
spinali.
I tronchi sono le prime formazioni considerate come punti di anastomosi dei diversi rami anteriori, e
presentano sia fibre sensitive che motorie, come le corde.

Rami terminali
A questo punto le corde si dividono nei rami terminali del PB.
Dalla corda laterale si distacca il nervo muscolo-cutaneo (nervo cutaneo laterale dell'avambraccio e una
componente motrice che innerva il bicipite brachiale, il coracobrachiale e il brachiale) e una componente
che si va ad unire con un contributo che origina dalla corda mediale, andando a formare il nervo mediano.

La parte restante della corda mediale prosegue a formare il nervo ulnare (flessore ulnare del carpo e flessore
profondo delle dita, ipotenar e muscolatura profonda mano).

134
Considerando infine la corda
posteriore, essa cede il nervo ascellare (ramo piccolo e posteriore per il piccolo rotondo, che cede il nervo cutaneo
laterale superiore del braccio, e un ramo grande e anteriore per il deltoide) e prosegue a formare il nervo radiale (la
parte più cospicua delle due diramazioni, che cede prima di portarsi posteriormente il nervo cutaneo posteriore del
braccio, mentre dal solco posteriore dell'omero cede il nervo cutaneo posteriore dell'avambraccio e il nervo cutaneo
laterale inferiore del braccio; innerva dunque tricipite brachiale, il brachioradiale e gli estensori radiale breve e lungo
del carpo; successivamente si divide in ramo anteriore sensitivo e posteriore per la loggia posteriore dei muscoli
dell'avambraccio).


Generalizzazione effettuata dalla professoressa:
Le divisioni anteriori dei tronchi vanno ad innervare tramite i nervi muscolocutaneo, mediano e ulnare, la
muscolatura flessoria, ovvero quella che va ad occupare le logge anteriori di braccio, avambraccio e mano.
I nervi che hanno origine dalle divisioni posteriori dei tronchi e quindi corda posteriore, andranno a
innervare quella muscolatura delle logge posteriori, la muscolatura estensoria.

Questa generalizzazione può essere utile al fine di costruire uno schema mentale, ma si può osservare come
non sia una definizione assoluta, in quanto l’ascellare va a innervare il deltoide che non presenta solo una
componente estensoria.

135
Rami che si staccano precocemente (tav 416)

Vi sono però dei rami che si staccano prima dei nervi terminali: la muscolatura che non è propria dell’arto
viene innervata da questi rami che si staccano precocemente dal plesso.

Nel classificare questi ulteriori rami, si fa riferimento alla loro origine rispetto alla clavicola: si andrà così ad
identificare rami sovraclavicolari e rami sottoclavicolari.

Sovraclavicolari (tav 415, 465, 416,413)


Rami che si staccano dai rami anteriori dei nervi spinali (radici sulla slide) e dai tronchi (in particolare solo da
quello superiore).

Nervo dorsale scapolare: Da C5, prima che si unisca a C6 (siamo ancora a livello di ramo anteriore quindi
e non di tronco), si viene a staccare un piccolo nervo che prende il nome di nervo dorsale scapolare. Il nervo
dorsale della scapola non emerge dallo spazio interscalenico ma normalmente perfora lo scaleno medio e
talvolta è anche più indietro (difficile da rintracciare): si porta subito posteriormente perché deve andare a
portarsi al margine mediale (vertebrale) della scapola (siamo a livello di quella muscolatura più superficiale
del dorso). Si va a distribuire come innervazione puramente motoria ai tre muscoli che si staccano dalla
scapola: l’elevatore della scapola e ai due romboidi (piccolo e grande romboide).

Nervo toracico lungo: Sempre dai rami anteriori (quando ancora non si sono formati i tronchi), da un
contributo di C5, C6 e C7 si viene a formare il nervo toracico lungo.
Il nervo toracico lungo (nervo puramente motorio) normalmente emerge anch’esso perforando il
muscolo scaleno medio o addirittura dietro (nello spazio tra scaleno medio e scaleno posteriore) e si va ad
adagiare sulla parete mediale dell’ascella (che corrisponde alla superficie laterale del torace), decorrendo

136
verso il basso ed andando ad adagiarsi sui fasci muscolari dentato anteriore, provvedendo alla sua
innervazione.

Vi sono poi due nervi che si staccano dal tronco superiore: uno piccolo che prende il nome di nervo
succlavio ed un secondo nervo più grande che prende il nome di nervo sovrascapolare

- nervo succlavio: (nervo puramente motorio) si distribuisce al muscolo succlavio che è teso tra faccia
inferiore della clavicola e prima costa;
- nervo sovrascapolare: si dirige lateralmente e indietro perché deve raggiungere il margine superiore
della scapola (che presenta un’incisura sovrascapolare, chiusa dal legamento trasverso), passando attraverso
il foro sovrascapolare (a differenza dell’arteria sovrascapolare che generalmente passa al di sopra del
legamento trasverso). Una volta attraversato questo foro, il nervo sovrascapolare si trova nella fossa
sovraspinata (sempre a contatto con l’osso), dove prende rapporto con il muscolo sovraspinato,
innervandolo. Ma il nervo sovrascapolare non innerva solo il muscolo sovraspinato: circumnaviga
lateralmente l’acromion e raggiunge in questo modo tutta la fossa infraspinata, dove si sfiocca in un ramo
motorio per il muscolo infraspinato e un ramo sensitivo per l’articolazione gleno-omerale.

Sottoclavicolari (tav. 416, 415, 410)

Si considerino i rami collaterali sottoclavicolari, i quali si distaccano dalle corde del P.B.

• Dalla corda laterale si stacca il nervo pettorale laterale (perfora la fascia clavipettorale e innerva il

muscolo grande pettorale).

• Dalla corda mediale si va a staccare il nervo pettorale mediale (piccolo pettorale, lo perfora e arriva
al grande pettorale).

[Da sottolineare che talvolta tra il nervo pettorale laterale e il nervo pettorale mediale vi sono dei rami
anastomotici che uniscono le due fibre nervose (è una situazione abbastanza frequente)].

Inoltre, sempre dalla corda mediale, si vanno a staccare altri due rami puramente sensitivi che si vanno
a distribuire alla cute: il primo è il nervo cutaneo mediale del braccio (zona anteriore e posteriore mediale,
rivolta verso l'ascella) e il secondo è il nervo cutaneo mediale dell’avambraccio (zona più estesa e laterale,
anteriormente e posteriormente fino al polso).




• Dalla corda posteriore, si dipartono tre rami collaterali che si distribuiscono alla muscolatura posteriore: il
primo, il nervo sottoscapolare superiore (si distribuisce al muscolo sottoscapolare); il secondo, il nervo
toracodorsale (o sottoscapolare medio; fino alla faccia profonda del muscolo grande dorsale, pilastro
posteriore dell'ascella); infine il nervo sottoscapolare inferiore (parzialmente al sottoscapolare ma
prevalentemente al grande rotondo).

137
Corda laterale e mediale – nervi pettorali (quelli di sopra + 412)

Questi due rami (che si staccano dalle corde laterale e mediale) sono puramente motori.
Prendendo una sezione sagittale di ascella, si notano i muscoli (piccolo e grande pettorale, sovra e
sottospinato, sottoscapolare e trapezio), la scapola e i vasi (arteria e vena ascellari) e viene definita la
posizione della corda laterale, della corda posteriore e della corda mediale.

138
Nervo pettorale laterale: emerge dalla corda laterale e si dirige in avanti perforando la fascia clavi-
pettorale, andando a distribuirsi al muscolo grande pettorale.
La Fascia clavi-pettorale è una robusta lamina di tessuto connettivo situata tra i muscoli succlavio e piccolo
pettorale, che penetra fino al muscolo grande pettorale e si attacca medialmente alla prima costa e
lateralmente al processo coracoideo della scapola (in quest’ultimo tratto infatti viene chiamata anche
legamento o membrana costo-coracoidea). Superiormente si divide attorno al muscolo succlavio per
attaccarsi alla clavicola e, inferiormente, si divide attorno al piccolo pettorale per riunirsi al di sotto di questo
e continuare inferiormente, fondendosi con la fascia ascellare. Sopra il piccolo pettorale, è perforata dai vasi
linfatici, dalla vena cefalica, dal nervo pettorale laterale e dai vasi toraco-acromiali.

Nervo pettorale mediale: che si stacca dalla corda mediale, si porta anch’esso in avanti, si distribuisce
al piccolo pettorale (dal punto di vista motorio) ma non si ferma qui: lo perfora per poi distribuirsi al grande
pettorale.

Quindi, le due corde laterale e mediale provvedono entrambe ad innervare il grande pettorale mentre il muscolo piccolo
pettorale è innervato solo dal ramo proveniente dalla corda mediale.

Corda mediale – nervi cutanei (quelli di sopra + 401)

Sempre dalla corda mediale abbiamo visto si staccano anche due rami puramente sensitivi cutanei (che si
andranno a distribuire a regioni della cute):

Nervo cutaneo mediale del braccio: si stacca dalla corda mediale e si dirige subito superficialmente,
perfora la fascia brachiale e qui si distribuisce alla cute della regione antero-mediale ma anche postero-
mediale del braccio.

Nervo cutaneo mediale dell’avambraccio (origina e si inoltra più verso il basso), si dirige verso il
basso, cede rami superficiali che perforano la fascia brachiale a livello dell’uscita del n. cutaneo mediale del
braccio innervando la parte anteriore-intermedia del braccio. Poi va perforare la fascia brachiale nel punto in
cui entra la vena basilica (la vena si porta profondamente, per aprirsi a livello di vena ascellare). Dopo
l’emergenza da questo punto, il nervo cutaneo mediale dell’avambraccio si porta inferiormente cedendo rami
alla superficie antero-mediale e postero-mediale a tutta la regione del gomito unitamente a tutta la regione
mediale dell’avambraccio.


Riassumendo: Le aree anteriore e posteriore mediali del braccio (nella zona ascellare) è innervata dal nervo cutaneo
mediale del braccio (oltre che dai nervi intercosto-brachiali).
L’area anteriore-intermedia del braccio e le aree anteriore e posteriore mediali del gomito e dell’avambraccio e sono
innervate dal nervo cutaneo mediale dell’avambraccio (regione che si interrompe poco prima del polso). (tav 400)

139
Corda posteriore – descrizione (quelli di prima + 410+413)

Dunque, la fossa sottoscapolare accoglie il muscolo sottoscapolare, sul quale si adagia la corda posteriore.
Da questa si staccano in ordine:

Nervo sottoscapolare superiore: che si distribuisce al muscolo sottoscapolare (la parte mediale).

Nervo toraco-dorsale: (è più lungo), decorre verso il basso, sempre adagiato sul muscolo
sottoscapolare (la parte intermedia) e quando termina la scapola si viene a ritrovare adagiato su quello che è
il pilastro posteriore dell’ascella, formato dal muscolo grande dorsale, del quale costituisce il sistema
d’innervazione.

Nervo sottoscapolare inferiore: esso decorre verso il basso, innerva parzialmente il muscolo
sottoscapolare (la parte laterale) ma prevalentemente si va a distribuire ad un muscolo la cui inserzione
sull’omero è più profonda rispetto al tendine del grande dorsale (si inserisce più posteriormente): è il muscolo
grande rotondo.

Notiamo che la corda posteriore innerva la muscolatura posteriore (e superiore) del tronco.

.

140
NERVO ASCELLARE
Il primo ramo terminale derivato dalla corda posteriore è quindi il nervo ascellare, che si dirige inferiormente
e lateralmente per raggiungere la muscolatura posteriore attraversando uno spazio quadrangolare che
prende il nome di quadrilatero di Velpeau. Il Quadrilatero di Velpeau è delimitato superiormente ed
inferiormente dai muscoli piccolo e grande rotondo, posteriormente (medialmente) dal capo lungo del
tricipite brachiale e (lateralmente) dal collo chirurgico dell’omero.
Quindi, attraverso questo spazio, il nervo ascellare dall’avanti si porta indietro, insieme all’arteria circonflessa
dell’omero, abbracciando il collo chirurgico dell’omero, passando dal dietro al davanti. Nel momento in cui
passa attraverso questo quadrilatero, si divide a sua volta in due rami: un ramo più piccolo posteriore (che si
distribuisce al muscolo piccolo rotondo) ed un ramo più grande anteriore innerva il muscolo deltoide.
Il nervo ascellare possiede anche una componente sensitiva, distribuita in una regione della spalla superiore
al deltoide, che prende il nome di nervo cutaneo laterale superiore del braccio. Questo ramo cutaneo va
quindi ad innervare dal punto di vista sensitivo la regione del braccio superiore, laterale ma anche in parte
anteriore, che grossomodo corrisponde alla regione del deltoide.

NERVO RADIALE
Consideriamo ora il nervo radiale: prosegue il suo decorso verso il basso, nascosto dall’arteria ascellare che
è diventata brachiale (sempre anteriore rispetto al nervo); per raggiungere la regione posteriore del braccio,
sfrutta un passaggio triangolare, detto spazio omotricipitale, delimitato superiormente dal margine inferiore
del grande rotondo (base del triangolo), medialmente dal capo lungo del tricipite (loggia posteriore del
braccio, il capo lungo è esterno all’omero) e lateralmente dal capo mediale del tricipite (che delimitano i due
lati superiori del triangolo virtuale). Prima però di attraversare questo spazio, a livello dell’ascella, il radiale
cede medialmente un nervo cutaneo che prende il nome di nervo cutaneo posteriore del braccio, per il resto
il nervo radiale si trova adagiato sulla superficie posteriore dell’omero, dove è presente il solco del nervo
radiale, il quale delimita le origini del capo mediale e capo laterale del tricipite.
Il nervo radiale si sviluppa in direzione medio-laterale, incrociando la diafisi omerale, passando tra i due capi
del tricipite. Durante questo decorso cede altri due nervi cutanei: nervo cutaneo laterale inferiore del braccio
e nervo cutaneo posteriore dell’avambraccio (che si porta superficialmente verso il basso).

141
Le logge muscolari anteriore e posteriore sono separate da setti (setto intermuscolare mediale e setto
intermuscolare laterale che separa la loggia posteriore dalla loggia anteriore).













Il nervo radiale, giunto a livello del setto inferiore, va a perforare il setto intermuscolare laterale: da dietro che era
si porta così nella loggia anteriore. Si viene quindi a trovare nascosto tra il muscolo brachioradiale e il brachiale.
Giunto alla piega del gomito (nella fossa cubitale) si divide in due rami: (tav.433,466)

142
-Il ramo superficiale cutaneo (sensitivo) continua a decorrere verso il basso nell’avambraccio nascosto
dal muscolo brachioradiale incrociando lateralmente il tendine del brachioradiale. Dopo di che si fa sempre
più superficiale perfora la fascia antibrachiale e si divide in rami cutanei che andranno ad innervare la metà
laterale della superficie dorsale della mano, la faccia posteriore-dorsale del primo dito (pollice), del secondo
dito e la porzione laterale del terzo dito, senza arrivare alle falangi terminali.


-Si osservi ora il decorso del ramo profondo (detto anche nervo interosseo posteriore) del nervo radiale
(diretto posteriormente). Attraversa i due capi d’origine del muscolo supinatore (una sull’ulna e una sull’omero),
decorre quindi in questo canale supinatorio per poi raggiungere la loggia posteriore dell’avambraccio
innervandola. Si adagia poi sulla membrana interossea. Non ha una componente sensitiva.

Riassumendo:

Dal punto di vista motorio a livello del braccio, il radiale innerva:


• Dorsalmente il tricipite e l’anconeo;
• Anteriormente il brachioradiale e l’estensore radiale lungo del carpo
A livello dell’avambraccio si ha solo il ramo profondo che innerva tutto lo strato superficiale della loggia
posteriore, ma anche muscoli più profondi che hanno origine dalla membrana interossea quali l’abduttore
lungo del pollice e l’estensore breve del pollice, l’estensore lungo del pollice e l’estensore lungo dell’indice.

Dal punto di vista sensitivo: prima di passare attraverso lo spazio triangolare, il nervo radiale ha ceduto il
nervo cutaneo posteriore del braccio, che non passa attraverso lo spazio triangolare ma avvolge il capo lungo
del tricipite. Inoltre, mentre il nervo radiale attraversa il solco del nervo radiale sull’omero, cede altri nervi
sensitivi il nervo cutaneo posteriore dell’avambraccio ed il nervo cutaneo laterale inferiore del braccio. La
parte sensitiva si conclude con il ramo terminale superficiale del nervo radiale (il ramo profondo non ha
componente sensitiva).

Nervo ascellare à Quadrilatero V à Ramo posteriore à Ramo per piccolo rotondo

àN. cutaneo laterale sup. del braccio (zona deltoide)

1. Ramo anteriore (rami per il deltoide)

Nervo radiale à N. cutaneo posteriore del braccio (avvolge capo lungo del tricipite)


1. Triangolo à Solco omero à N. cutaneo laterale inferiore braccio


1. N. cutaneo posteriore avambraccio


2. Tricipite, estensore radiale lungo e breve del carpo, anconeo

143
Si porta poi nella loggia anteriore (Rompendo il setto intermuscolare laterale)

Tra brachioradiale e brachiale à Piega del gomito à Ramo superficiale: corre sotto
brachiorad. e si porta

Indietro e termina innervando à dorso pollice (f.d)

à dorso dito 2 (f.d.)

à lato dito 3 (f.d)

à dorso later. mano

Ramo profondo: decorre tra i 2 capi supinatore

Innerva i muscoli loggia posteriore avamb..

Dalla corda laterale (tav 460,461,462)

144
145
Il nervo
muscolo-cutaneo, chiamato anche nervo perforante di Casserio, è il primo ramo che si
stacca dalla corda laterale. Questo nervo, disposto lateralmente rispetto all’arteria
ascellare, decorre e prende direzione verso il davanti andando a perforare il muscolo
coraco-brachiale dall’indietro al davanti, passandogli quindi attraverso. Di conseguenza
questo nervo si trova a decorrere verso il basso e lateralmente nella loggia anteriore dei
muscoli del braccio, dove si andrà a disporre tra bicipite brachiale e coraco-brachiale prima
e tra bicipite brachiale e brachiale successivamente, seguendo sempre una direzione
laterale.

Oltre alla componente motoria appena descritta vi è anche quella sensitiva: il muscolo-
cutaneo, incrocia il tendine del bicipite brachiale ed emerge a livello della piega del gomito
diventando il nervo cutaneo laterale dell’avambraccio, che perfora la fascia antibrachiale
per distribuirsi sulla superficie laterale dell’avambraccio che, quindi, innerva
sensitivamente, arrestandosi all’altezza del polso.

(Una piccola parte della regione laterale del muscolo brachiale può essere innervata dal
nervo radiale)

Muscolo-cutaneo à perfora il coraco-brachiale, si adagia su brachiale, bicipite à n.


cutaneo laterale avamb.

Dalla corda mediale (tav. 460,464; tav. 460-463)

146
147

Il nervo ulnare è il secondo ramo che si stacca dalla corda mediale. Questo nervo segue il
decorso dell’arteria e rispetto ad essa è disposto in posizione mediale, trovandosi con essa
adagiato sul setto intermuscolare mediale (loggia anteriore del braccio); decorre in questa
loggia anteriore fino a circa 12 cm dal gomito, dove va a perforare il setto intermuscolare
mediale e si viene a trovare sul versante opposto del setto (versante posteriore).
Successivamente prosegue verso il basso (sempre adagiato sul setto intermuscolare
mediale dal lato del versante posteriore) e si porta a raggiungere il solco ulnare compreso
tra olecrano ed epicondilo mediale del gomito (solco facile da ricordare perché è il punto in
cui si “prende la scossa” picchiando il gomito sul tavolo ed andando, quindi, a comprimere il
nervo ulnare). Questo nervo si riporta in avanti sfruttando il passaggio dato dallo spazio
sottostante l’origine del muscolo flessore ulnare del carpo. Lo ritroviamo, quindi, nella
loggia anteriore dell’avambraccio, nascosto dal flessore ulnare del carpo, subito adiacente
al flessore profondo delle dita (si trova tra questi due muscoli). Prosegue poi verso il polso e
prima di esso cede due rami sensitivi, il ramo cutaneo palmare, che si distribuisce alla parte
del 5° e alla metà mediale del 4° dito, e il ramo cutaneo dorsale (nel terzo intermedio
dell’avambraccio), che innerva il 5° dito, il 4° dito (no falange distale laterale) e la porzione
mediale del 3° dito (no falange distale).

Raggiunto il polso il nervo ulnare decorre inferiormente al legamento trasverso del carpo,
ma al di sopra del retinacolo dei flessori, per passare attraverso il canale di Guyon, situato
tra l’osso pisiforme e l’apofisi unciniforme dell'uncinato (all'interno del quale decorre anche
l’arteria ulnare).

Attraversata la regione del polso, l'ulnare si ritrova nella regione della mano dove si divide
in due rami terminali: uno più profondo ed uno superficiale.

-Il ramo superficiale si va a distribuire ai muscoli della mano medialmente.

148

-Il ramo profondo si porta a livello di muscoli profondi della mano innervandone la gran
parte.

Riassumendo: Nel braccio il nervo ulnare non cede rami e la loggia anteriore dei muscoli del
braccio è innervata solo dal nervo muscolo cutaneo, nell’avambraccio innerva dal punto di
vista motorio il muscolo flessore ulnare del carpo e la porzione mediale del muscolo
flessore profondo delle dita. A livello della mano, il ramo superficiale innerva i muscoli
dell’eminenza ipotenar (abbiamo il muscolo palmare breve e i muscoli funzionali al
movimento del mignolo: l’abduttore, il flessore breve e l’opponente), il ramo profondo si
distribuisce a tutta la muscolatura profonda della mano (muscoli interossei e muscoli terzo
e quarto lombricali, l’adduttore del pollice, capo profondo del flessore breve del pollice).

a livello d’innervazione cutanea sensitiva il ramo superficiale si distribuisce alla parte


mediale della mano e in parte del polso: si limita, sul versante palmare, al 5° dito ed alla
metà mediale del 4° dito, mentre, sul versante dorsale, comprende anche parte dell’area
mediale del terzo dito.

Nervo Ulnare à decorre sul setto intermuscolare mediale e lo perfora, passa


posteriormente, passa nel solco tra olecrano ed epicondilo e si riporta anteriormente
passando tra la fessura dei capi del flessore ulnare del carpo, medialmente al flessore
profondo delle dita, corre medialmente (tra i due muscoli appena citati), a 5cm dal polso
cede:


1. Ramo sensitivo per dorso e palmo mediali mano: 5 e metà 4 dito palmo, 5, 4 dito (laterale fal.
distale) e metà mediale 3 dito (dist.) dorso.

Poi passa sotto al legamento palmare nel canale di Guyon e cede:


2. Ramo superficiale per i muscoli mano


3. Ramo profondo muscoli profondi mano

NERVO MEDIANO

149
150
Il nervo mediano si
origina dalla metà inferiore della corda laterale e dalla metà superiore della corda mediale. Dalla
fusione di queste due parti si viene a formare la forchetta del nervo mediano, davanti all’arteria
ascellare.

Il Nervo Mediano decorre anch’esso nella loggia anteriore dei muscoli del braccio dapprima
lateralmente all’arteria brachiale e poi medialmente andandola ad incrociare. Arrivato alla piega
del gomito il nervo decorre al di sotto dell’aponeurosi bicipitale (profondamente rispetto ad essa) e,
a questo punto, lo ritroviamo a decorrere tra secondo e terzo strato della muscolatura
dell’avambraccio.

Nella veduta anteriore intatta dell’avambraccio il nervo mediano non è visibile, occorre andare in un
piano più profondo in quanto passa tra il capo omerale e radiale del muscolo pronatore rotondo e
subito sotto i due capi d’origine del muscolo flessore superficiale delle dita, in questo modo il nervo
si adagia sul piano del flessore profondo delle dita. Subito prima di impegnarsi tra i due capi del
pronatore il nervo mediano cede un piccolo nervo interosseo anteriore, il quale si pone in un piano
ancora più profondo andando ad adagiarsi al livello di membrana interossea nel versante anteriore,
decorre poi verso il basso per raggiungere il pronatore quadrato e il flessore lungo del pollice. Il
resto del nervo mediano decorre verso il polso, passa nel tunnel carpale sotto al retinacolo dei
flessori (insieme ai tendini dei flessori). Una volta emerso dal legamento trasverso del carpo si
divide nei rami terminali motori ricorrenti per l’eminenza tenar e rami cutanei palmari, per la metà
laterale del 4° dito e tutto il 3°, 2° e 1° dito, e dorsali, per la falange distale di 1°, 2°, 3° e,
lateralmente,4° dito.

Riassumendo: Come l’ulnare, dunque, non cede nulla nel braccio, nell’avambraccio cede dei rami
motori che innervano tutti i piani muscolari dell’avambraccio, quindi: pronatore rotondo, flessore
radiale del carpo, palmare lungo e flessore superficiale delle dita, ad eccezione della porzione
mediale del muscolo flessore profondo delle dita e flessore ulnare del carpo che è innervato dal
nervo ulnare.

151
A livello della mano la gran parte della muscolatura profonda è innervata dal nervo ulnare, nella
parte restante troviamo il ramo ricorrente per l’eminenza

A livello di mano si divide in rami motori che vanno all’eminenza tenar (cioè all’ abduttore breve, al
flessore breve e all’opponente del pollice e primi due lombricali) e in rami sensitivi cutanei, che si
distribuiscono invece nella porzione palmare, corrispondente alla metà del primo dito, e nella parte
dorsale innerva l’ultima falange (distale) di 1°,2°,3° e la metà laterale del 4° dito.

Chiarimento per una domanda in chat: L’ulnare passa indietro per passare tra olecrano ed
epicondilo, poi si riporta in avanti sfruttando le due origini del muscolo flessore ulnare del carpo.
Cede poi il ramo cutaneo dorsale che si riporta indietro per la superficie dorsale della mano e
quinto, quarto e parte del terzo dito. La restante parte continua a decorrere anteriormente nel
canale di Guyon.

Nervo mediano à lateralmente all’arteria brachiale (poi la scavalca), sotto l’aponeurosi brachiale


1. Nervo interosseo anteriore fino al pronatore quadrato


2. Passa tra i due capi del pronatore rotondo, si trova sotto il flessore superficiale delle dita e sopra il
flessore profondo delle dita, innerva tutti i muscoli anteriori dell’avambraccio (parete mediale del
flessore profondo delle dita e tutto il flessore ulnare)
3. decorre verso il polso, passa nel tunnel carpale e cede rami

à motori: tenar

àsensitivi: metà laterale dito 4, tutto il 3, 2 e 1 sul palmo; 1,2,3 e metà lat. 4 falange distale sul dorso

152
Cingolo pelvico

Il cingolo pelvico è il collegamento fra
l’arto inferiore, facente parte dello
scheletro appendicolare, e lo scheletro
assile. Il cingolo è composto dal
bacino, formato dalle due ossa coxali;
posteriormente sono articolate con
l’osso sacro, anteriormente con il
controlaterale a formare una cintura
pelvica completa. Lateralmente si
articolano con il femore, segmento
prossimale dell’arto inferiore. Sono
ossa incapaci di eseguire movimenti
indipendenti, tranne nella donna
durante il parto. Ha funzione di
sostegno, protettiva, funge da
inserzione di muscoli e sorregge il
peso corporeo. L’arto inferiore ha una struttura più stabile rispetto all’arto superiore nonostante le analogie
morfologiche, a scapito della mobilità. La muscolatura dell’arto inferiore, ricoperta dalla fascia
aponeurotica, con la propria contrazione (che permette la deambulazione) aiuta il reflusso venoso verso il
cuore.

Osso coxale (tav. 473, 474, 333, 334, 332. Gray: 1415-1424)

È un osso largo, irregolare, che risulta dalla fusione di tre ossa: ileo superiormente (parte superiore
dell'acetabolo e l'area espansa sovrastante), ischio inferiormente e posteriormente (parte inferiore
acetabolo e parte ossea posteroinferiore) e pube infero-anteriormente (parte anteriore dell'acetabolo e
separa gli altri due). La fusione delle ossa inizia a 14-15 anni si ha la completa ossificazione verso i 22-25
anni.

Visione laterale/esterna

- Superiormente si trova la superficie glutea: definita Ala dell'ileo a causa della sua ampiezza; corrisponde
all’osso ileo e si porta anche posteriormente. Presenta esternamente rugosità definite linee glutee
posteriore, anteriore e inferiore, siti di inserzione dei muscoli glutei (grande, medio e piccolo gluteo).
L’estremità accidentata superiore è la cresta iliaca, di cui si notano il labbro esterno e il labbro interno o
mediale, nonché la presenza di un tubercolo tra terzo medio e terzo anteriore. Questa cresta è interposta
tra due estremità simmetriche: spina iliaca antero-superiore (palpabile con anatomia di superficie) e spina
iliaca postero-superiore. Inferiormente alla spina iliaca antero-superiore, vi è un’incisura e nuovamente una
sporgenza, la spina iliaca antero-inferiore, posta poco al di sopra dell’acetabolo. Posteriormente,
inferiormente alla spina iliaca postero-superiore troviamo la spina iliaca postero-inferiore; al di sotto di
questa si trova un’incisura, la grande incisura ischiatica, dove si realizza il passaggio tra l’osso iliaco e l’osso
ischiatico, che termina con un rilievo appuntito: la spina ischiatica.
- Sull’esterno dell'osso coxale non articolato si trova una sfera cava: l'acetabolo. Questo rappresenta la
cavità articolare che accoglie la testa del femore (sfera piena). L’acetabolo è diviso in:
• Superficie semilunare, che è il contorno incompleto della cavità, ricoperta di cartilagine ialina e
coinvolta nell’articolazione coxo-femorale;

153
• Fossa dell’acetabolo, che è la parte centrale, inferiore e rugosa, occupata principalmente da
tessuto adiposo e fibrocellulare lasso; non partecipa all’articolazione.



L’incisura acetabolare (parte aperta tra i due apici semilunari) dà inserzione ai muscoli otturatori (retto del
femore sopra all’acetabolo, quadrato del femore inferiormente).

- La parte postero-inferiore è la
parte ischiatica e qui vi è la piccola
incisura ischiatica, la cui porzione
più sporgente e rugosa è la
tuberosità ischiatica. Da questa
avranno origine tutti i muscoli
posteriori della coscia e una parte
del muscolo grande adduttore.
Questo rilievo delimita il margine
inferiore del corpo dell'Ischio,
mentre il corpo ischiatico si
prolunga in avanti con il ramo
ischiatico, che si articola con il
ramo inferiore del pube.

- Antero-inferiormente vi è la componente pubica, collegata alla linea pettinea attraverso una cresta
otturatoria, culminante anteriormente in un tubercolo pubico.

- Verso il lato infero-anteriore si trova un ampio foro: foro o forame otturatorio, che è quasi
completamente chiuso da una membrana otturatoria la quale, insieme al solco otturatorio presente
superiormente all’interno del foro, consente la formazione del canale otturatorio di comunicazione tra
pelvi e coscia per vasi e nervo otturatore. È localizzato antero-inferiormente all'acetabolo ed è delimitato
superiormente dal ramo superiore del pube (cresta otturatoria), antero-medialmente dal corpo (ramo
inferiore) del pube, inferiormente dal ramo dell'ischio e postero-lateralmente dal margine anteriore del
corpo dell'ischio. Attorno al contorno del foro s’inseriscono i muscoli otturatori, esterni ed interni.

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Visione mediale/interna

- La cresta iliaca culmina con un rilievo che presenta i margini palpabili: spina iliaca antero-superiore
(palpabile), una meno sporgente antero-inferiore. In seguito, vi è una parte più liscia che si apre e tende a
disporsi orizzontalmente e forma l’ala o fossa iliaca, occupata da una componente del muscolo ileopsoas
(unione muscolo iliaco e grande psoas). Il passaggio di orientamento (dalla fossa iliaca superiore orizzontale
alla parte dell’osso coxale più verticale posto inferiormente) è individuato dalla Linea arcuata; questa ha
inizio dalla faccetta auricolare per il sacro, posta posteriormente e culmina nel tubercolo pubico.
Superiormente alla faccetta vi è anche una regione particolarmente rugosa, occupata da legamenti per
l’articolazione sacroiliaca, detta Tuberosità iliaca. Scendendo lungo la linea arcuata si palpa un rilievo,
l’eminenza ileo-pettinea (o ileo-pubica), che corrisponde al tetto dell'acetabolo, che stabilisce il passaggio
tra ileo e pube. Questa è situata
tra la linea arcuata e la cresta
pettinea.

La linea/cresta pettinea è la
continuazione della linea arcuata
e forma un rilievo lungo il ramo
pubico superiore. Essa termina
con il tubercolo pubico sulla
superfice esterna, il quale
presenta medialmente la faccetta
della sinfisi, di forma ovalare, per
l’articolazione della sinfisi con il
pube controlaterale; le superfici
articolari sono coperte da
cartilagine ialina e fra loro è
interposto un disco
fibrocartilagineo.

- Subito al di sotto e
anteriormente alla faccetta
auricolare, con la Grande incisura ischiatica si passa dall'osso iliaco alla porzione ischiatica, che culmina
infero-posteriormente con un rilievo detto spina ischiatica, per poi prosegue con una piccola incisura
ischiatica e la tuberosità ischiatica. Le incisure, grazie ai legamenti fibrosi (legamenti sacro-spinoso e sacro-
tuberoso), sono completate posteriormente e si tramutano in fori: grande foro ischiatico (tra leg. sacro-
iliaco anteriore e leg. sacro-spinoso) e piccolo foro ischiatico(tra leg. sacro-spinoso e leg. sacro-tuberoso).

Bacino (tav. 330)

Il bacino è formato dalle due ossa coxali, articolate tra loro anteriormente nella sinfisi pubica e col il sacro
posteriormente; esso delimita una cavità pelvica. Il limite superiore, lo stretto pelvico superiore, è una
circonferenza che parte posteriormente dal promontorio del sacro e prosegue lungo le ali del sacro,
passando poi per l'articolazione sacro-iliaca, le due linee arcuate, l'eminenza ileo-pubica, linea pettinea,
tubercolo pubico, fino alla sinfisi pubica, dove vedono inserzione il muscolo iliaco nell’ala e il muscolo
pettineo vicino alla sinfisi. Il contorno dello stretto pelvico inferiore è più irregolare ed è compreso tra apice
del coccige, tuberosità ischiatiche e margine inferiore della sinfisi pubica; ad esso si agganceranno alcuni
muscoli.

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La Grande pelvi (parte della cavità addominale) è la zona sopra lo stretto pelvico superiore, ciò che sta sotto
è detta Piccola pelvi. Quest’ultima è delimitata dal sacro posteriormente e dalla parte più verticali delle
ossa coxali ed è la vera e propria cavità pelvica, che contiene alcuni visceri (digerente e uro-genitale). Non
c’è interruzione tra le due cavità, spesso è descritta come un’unica cavità addomino-pelvica.

Il pavimento pelvico è formato da un insieme di muscoli scheletrici definito anche diaframma pelvico
(concavo verso l’alto); vi troviamo un ulteriore strato cutaneo detto perineo. Questo insieme muscolare è
attraversato dai condotti che si aprono all’esterno come intestino retto, uretra, vagina.


Per distinguere bacino femminile e maschile si fa riferimento a:

-Spessori ossei più demarcati, processi e sporgenze più pronunciate, da cui originano muscoli più robusti,
presumibilmente rimandabili a una corporatura possente e, quindi, maschile.

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- Il prevalere delle lunghezze verticali (maschio), dunque i diametri verticali, o di quelli orizzontali
(femmina, dove lo stretto superiore è ovale e le misure interne delle cavità sono maggiori). Importante nella
donna il diametro tra promontorio e sinfisi, dove si posiziona la testa del feto (la sinfisi permette di
guadagnare qualche mm durante il parto grazie a una sua maggiore lassità dovuta agli ormoni).

- L'angolo formato dal pube (angolo sottopubico) è minore nell'uomo e maggiore nella donna.


Arto Inferiore

Si può individuare una successione di segmenti prossimale, intermedio e distale come per l’arto superiore,
che prendono il nome di coscia, gamba e
piede.
Si trovano delle articolazioni mobili sinoviali
mirate soprattutto alla stabilità e
all’appoggio.

[L’evoluzione ha portato alle variazioni dello
scheletro dell’arto inferiore grazie a due
modificazioni rispetto alla scimmia: il
passaggio dalla stazione quadrupede a
bipede e l’encefalizzazione, cioè lo sviluppo
dell’encefalo, che determinano particolari
adattamenti come bacino ristretto e un
cranio molto ampio in proporzione, mentre
nella scimmia è l’opposto: cranio più piccolo
e distretto superiore molto ampio. Oggi si
effettuano molti cesarei, uno dei prezzi da
pagare per queste modificazioni a carico
dello scheletro].

Nella parte scheletro-appendicolare mobile abbiamo un unico osso nella parte prossimale (femore), due
ossa nella parte intermedia (tibia e perone) e un piede organizzato in segmento prossimale (tarso),
intermedio (metatarso) e distale (falangi).

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Femore (tav 476)

Osso lungo e voluminoso, ha una diafisi obliqua, leggermente convessa in avanti se vista in sezione
sagittale; può ricordare l’omero nonostante non siano paragonabili. Le epifisi sono molto voluminose: la
prossimale si articolerà con l’acetabolo, che accoglie molto meglio la testa del femore rispetto alla cavità
glenoidea, la distale con le superfici articolari della tibia.


L’epifisi prossimale è molto voluminosa ed è disposta in maniera tale da formare un angolo tra il collo del
femore e l’asse maggiore della diafisi di circa 120° (nell’omero non si riscontra); tale angolo consente
all’arto inferiore di oscillare liberamente grazie ai capi articolari dell’articolazione coxo-femorale.

[Tale angolo può variare in condizioni
patologiche e formare:
• coxa vara, se si riduce e forma un angolo di
circa 115°
• coxa valga, se si amplia fino a formare un
angolo di circa 140°]

La porzione regolare e convessa è la testa del
femore, una sfera piuttosto riconoscibile
all’estremità della quale si trova una fossetta,
detta fossetta della testa o fovea capitis, da
cui partirà il legamento rotondo del
femore che si ritroverà all’interno
dell’articolazione coxo-femorale accolto nella
fossa acetabolare.

158
Al di sotto della testa è presente un restringimento, il collo del femore (non c’è distinzione tra collo
anatomico e chirurgico); nel punto di passaggio tra epifisi e diafisi sono presenti due rilievi detti trocanteri: il
grande trocantere, superiormente e lateralmente, e il piccolo trocantere disposto medialmente e
inferiormente, ben visibile dalla veduta posteriore.
Anteriormente, la distanza tra i due trocanteri è marcata da un rilievo detto linea intertrocanterica, mentre
posteriormente si trova un sollevamento, una cresta evidente detta cresta intertrocanterica.
Alla base del grande trocantere, posteriormente, si riconosce una fossa con la concavità rivolta verso il
collo, detta fossa trocanterica, sito di inserzione di tendini muscolari.

La diafisi, inclinata rispetto al collo e convessa, ha una superficie anteriore regolare e levigata, mentre la
faccia posteriore presenta un rilievo longitudinale detto linea aspra, costituita in realtà da due creste
parallele dette labbro mediale e labbro laterale.
Questi due labbri decorrono paralleli per la maggiore parte della diafisi, ma poi si dividono sia verso l’alto
che verso il basso.
• Verso l’alto, cioè verso la regione trocanterica:
Il labbro laterale termina con una rugosità chiamata tuberosità glutea, inserzione del muscolo grande
gluteo
Il labbro mediale forma la linea pettinea, inserzione del muscolo pettineo.
• Verso il basso, cioè verso l’epifisi distale:
Si dividono in due, nella linea sopracondiloidea laterale e mediale, andando a delimitare una
superficie triangolare detta piano popliteo, la cui base è l’epifisi distale. Posteriormente al ginocchio,
infatti, si trova una regione romboidale detta cavo popliteo o losanga poplitea, scomponibile in due
triangoli di cui il superiore è il piano popliteo stesso e l’inferiore sarà costituito dall’epifisi prossimale
posteriore della tibia.

L’inclinazione della diafisi femorale porta all’avvicinamento delle due ginocchia, dalle quali poi i segmenti
ossei scendono verticalmente. Questo porta alla restrizione della base che, da un lato, riduce la stabilità del
corpo, dall’altra favorisce i movimenti in avanti alternati su uno solo dei due arti.

L’epifisi distale è costituita da due processi molto robusti di forma ellissoidale, pieni e convessi, detti condili
femorali mediale e laterale; quello laterale risulta meno prominente del mediale ma più tozzo e robusto
perché, in linea con la diafisi, facilita lo scarico del peso sulla tibia.

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Tra i due condili, anteriormente, c’è un’incisura con superficie levigata, detta superficie patellare, dove si
posizionerà e si articolerà la rotula, posteriormente si crea una fossa profonda detta fossa
intercondiloidea.
Le parti più sporgenti al di sopra dei condili prendono il nome di epicondili mediale e laterale, sito
d’inserzione per legamenti e tendini.
L’epicondilo mediale è sormontato da un altro piccolo processo, un tubercolino detto tubercolo del
muscolo grande adduttore (o tubercolo adduttorio), dove il muscolo adduttore grande ha alcuni fasci che si
inseriscono qui con un significato topografico importante.
Alla convessità del condilo del femore non corrisponde una concavità pronunciata della tibia, con la quale si
articola. Non si articola con il perone.

Rotula


Si tratta di un osso sesamoide che si sviluppa nella compagine del tendine comune del quadricipite
femorale (muscolo anteriore della coscia costituito da 4 capi e il cui tendine continua e si fissa sulla tibia
come legamento patellare); ha forma triangolare, con l’apice rivolto in basso e presenta una faccia esterna
anteriore molto rugosa. La faccia interna posteriore ha invece un apice rugoso (dove si localizza la massa
adiposa del ginocchio) ma il resto della faccia è liscia e levigata perché è una superficie articolare sollevata al
centro, ai lati presenta due infossature che corrispondono alla superficie patellare presente in
corrispondenza dello spazio intercondiloideo anteriore del femore.

L’articolazione tra femore e rotula sarà un’articolazione a sella.
Avendo le due ossa della gamba dimensioni differenti, l’articolazione del ginocchio si realizzerà tra femore e
tibia, più voluminoso della sottile fibula (o perone), che non parteciperà direttamente all’articolazione del
ginocchio, ma vi conferirà stabilità. Il perone, inoltre, ha la funzione di dare attacco ad una serie di muscoli.
Le due ossa sono unite da una membrana interossea, ma a differenza dell’arto superiore (ossa

160
dell’avambraccio) non è possibile un movimento reciproco tra le due, che restano in una posizione stabile; è
consentito solo un lievissimo scivolamento di un osso sull’altro.

Tibia (tav 500)

Presenta un’epifisi prossimale dove sono presenti due parti voluminose dette condili tibiali (così chiamati
nonostante la superficie non sia ellissoidale ma piatta) mediale e laterale, visibili meglio sul versante
posteriore. A differenza dei condili femorali, due masse distinte e individuali separate da una fossa, si
continuano l’uno con l’altro, costituendo un’unica formazione piena nella quale si riconoscono
le superfici articolari a cui corrisponderanno i condili femorali. Tale corrispondenza è relativa, poiché i
condili sono poco concavi: sono chiamati più propriamente piatti tibiali (mediale e laterale). Sui piatti si
trovano dispositivi fibrocartilaginei, i menischi, che vanno ad ampliare la concavità di queste superfici.
La superficie non è tutta articolare ma una porzione rugosa, sia anteriormente che posteriormente, si
affossa tra le superfici articolari e viene detta area intercondiloidea anteriore e area intercondiloidea
posteriore. Queste parti intercondiloidee, al centro, si sollevano dando un rilievo che sormonta tutta la
superficie superiore della tibia chiamato eminenza intercondiloidea, costituito da
un tubercolo intercondiloideo mediale e uno laterale, con una piccola incisura tra di essi. Sulle aree
intercondiloidee si inseriranno, invece, i legamenti crociati del ginocchio.
In corrispondenza del condilo laterale, infero-lateralmente è presente una superficie articolare per la testa
della fibula.
A livello del condilo laterale, è presente un piccolo tubercolo detto Tubercolo del Gerdy dove si inserirà un
ispessimento della fascia di contenimento dei muscoli della coscia detto tratto ileo-tibiale.

161


Il passaggio tra epifisi prossimale e diafisi presenta, anteriormente, un rilievo estremamente rugoso
detto tuberosità tibiale, dove si inserirà la prosecuzione del tendine del quadricipite, nel quale si sviluppa la
rotula e che diventa legamento patellare o rotuleo andandosi a fissare in quel punto.
In corrispondenza della tuberosità tibiale, posteriormente si ha una superficie liscia.
Nel passare verso la parte posteriore tra epifisi e terzo medio della diafisi troviamo un rilievo obliquo che va
dall’alto al basso in senso latero mediale, detto linea poplitea (o linea del soleo). Da tale linea poplitea
origina il muscolo soleo, parte più profonda del tricipite surale (muscolo del polpaccio formato dai gemelli e
dal soleo). Posteriormente al ginocchio, si delinea una struttura romboidale, formata dall’epifisi prossimale
della tibia sotto e quella distale del femore sopra, chiamata losanga poplitea.
Anche la superficie anteriore della diafisi ha un
margine facilmente palpabile, separa infatti
medialmente una faccia non coperta da muscolo, che
risulta sottocutanea, lateralmente una superficie
coperta dal m. tibiale anteriore. Sul margine laterale,
rivolto verso il perone, si inserisce la membrana
interossea.

L’epifisi distale si slarga in senso orizzontale, è
levigata ma infero-medialmente si trova un altro
processo palpabile (nella caviglia), detto malleolo
mediale, che presenta internamente (lateralmente)
la superficie articolare del malleolo mediale.
Lateralmente presenta l’incisura fibulare per
l’articolazione distale tra tibia e perone.
Posteriormente, nella porzione inferiore, è possibile
notare anche dei solchi per i tendini dei muscoli
tibiale posteriore e flessore lungo delle
dita. Inferiormente alla epifisi ci sarà una superficie
articolare inferiore che realizzerà l’articolazione tibio-
tarsica stabilizzata dai due malleoli (mediale della tibia e laterale del perone).

Perone o Fibula (tav 500)

Osso estremamente sottile, presenta margini abbastanza taglienti, soprattutto quello mediale interosseo.
È difficile distinguere epifisi prossimale e distale:

162
- la parte prossimale è più regolare, detta testa della fibula; presenta sull’interno (supero-medialmente) la
faccetta articolare per la tibia e non presenta la faccetta per l’articolazione con il femore.
- l’epifisi distale sporge più in basso rispetto alla tibia, termina con una porzione voluminosa nell’insieme
detta malleolo laterale, più sporgente, rugoso e accidentato del mediale. Presenta medialmente due
superfici articolari: una più superiore per l’ articolazione tibio-fibulare distale (incisura fibulare) e un’altra
che completa la cavità dell’articolazione tibio-tarsica (a troclea).
Si crea quindi una cavità articolare che ha due limiti, il malleolo laterale e il malleolo mediale. In questa
articolazione, il perone ha un ruolo indiretto. Ciò che può aiutare nel riconoscimento, nel caso in cui l’osso
sia ben conservato, è vedere le faccette articolari: una per l’epifisi prossimale, due per quella distale.


Piede (tav 511,512)

La cavità articolare di tibia e perone si posiziona a realizzare l’articolazione
con il tarso in un ginglimo angolare. I due malleoli, mediale e laterale,
stabilizzano l’articolazione tibio-tarsica che permette la flesso-estensione
del piede.
Anche in questo caso, così come nella mano, le ossa del piede sono
organizzate in tre regioni: tarso, metatarso e falangi.
Sono presenti una serie di ossa (meno numerose rispetto alla mano che
deve compiere più articolazioni):
- Tarso (senso medio-laterale):
• linea prossimale: il calcagno, osso voluminoso nella parte
prossimale del tarso su cui (sulla tuberosità calcaneare posta
posteriormente) si fissa il tendine del tricipite surale ovvero
il tendine d’Achille; il calcagno è sormontato nella parte mediale da
un altro osso, ovvero l’astragalo (o talo), che presenta una
superficie a rocchetto detta troclea dell’astragalo, che si
articolerà superiormente con la tibia tra i due malleoli.
• linea intermedia: anteriormente all’astragalo, medialmente, c’è
l’osso scafoide, più lateralmente il calcagno si articola con l’osso cuboide, che si
articola anteriormente direttamente con le ultime due ossa metatarsali.
• linea distale: medialmente ci sono altre 3 ossa dette cuneiformi (1°, 2°, 3° osso cuneiforme)
che riempiono lo spazio tra scafoide e le prime tre ossa metatarsali, con le quali sono articolate.
- Metatarso: 5 ossa lunghe nominate da 1 a 5 in senso medio-laterale che mediano il contatto tra tarso e
falangi.

163
- Falangi: nominate da 1 a 5 in senso medio-laterale, costituite da falangi prossimali, medie e distali, ad
eccezione del primo dito che non contiene la falange media.

Articolazione sacro-iliaca (tav 333,334)

Attraverso la giunzione sacro-iliaca avviene il passaggio del peso alle ossa coxali.
Viene classificata come amfiartrosi, oppure artrodìa atipica. È intermedia tra sinartrosi e diartrosi: sinoviale
come le diartrosi e pressoché immobile come le sinartrosi.

Le faccette auricolari hanno una forma ad S che ne limita lo scorrimento; combaciano perfettamente.
Posteriormente alle faccette, le due tuberosità che si corrispondono (del sacro e quelle dell'ileo), saranno
occupate da legamenti.
La capsula fibrosa viene rinforzata da fasci di legamenti. Anteriormente dai Legamenti sacro-iliaci anteriori,
posteriormente dai legamenti sacro-iliaci interossei e posteriori che connettono la parte superiore del
sacro all’ileo.
Posteriormente, i fasci più profondi sono chiamati interossei, si trovano all’interno dell'articolazione, tesi tra
la tuberosità iliaca e la tuberosità sacrale, a riempire quelle rugosità che rendevano quella parte così
accidentata; vengono considerati sindesmosi. I legamenti sacro-iliaci posteriori, invece, rappresentano la
parte più superficiale e si tendono ben oltre la superficie articolare.
Al di sopra di essi, a rinforzare
l’articolazione, vi sono anche i legamenti
ileo-lombari, che dai processi costiformi di
L4 ed L5 si portano lateralmente nella
prima parte della fossa iliaca,
anteriormente ai leg. sacro-iliaci.
Il legamento sacro-tuberoso origina dalle
due spine iliache posteriori, si continua
medialmente fino alla parte inferiore del
sacro e la base del coccige e scende
obliquamente fino alla tuberosità
ischiatica.
Il legamento sacro-spinoso, con
andamento orizzontale, dal sacro (e
coccige in parte, medialmente al leg.
sacro-tuberoso) alla spina ischiatica si
trova anteriormente al sacro-tuberoso.
A causa dell’andamento dei due legamenti
sacro-tuberoso e sacro-spinoso, si
ottengono due fori a partire dalla grande e piccola incisura ischiatica. Questi legamenti non sono di rinforzo
della capsula, come i sacro iliaci, ma sono legamenti a distanza che contribuiscono a mantenere l’assetto
topografico. I due fori prendono il nome di:
• Grande forame ischiatico, superiormente al sacro-spinoso
• Piccolo forame ischiatico, inferiormente al sacro-spinoso
Posteriormente vi è anche il legamento sovraspinoso delle vertebre che si continua nei legamenti sacro-
coccigeo posteriore superficiale. Più in profondità (se visto da dietro, quindi anteriormente se visto davanti)
a quest’ultimo, a contatto con l’osso, c’è il legamento sacro-coccigeo posteriore profondo.
Anteriormente vi sono i legamenti sacro-coccigei anteriori con un tipico aspetto a V.
Lateralmente, invece, tra sacro e coccige vi è il legamento sacro-coccigeo laterale.

164

Unico movimento consentito: lievissimo movimento ad altalena del sacro detto di Nutazione (base del
sacro in avanti e in basso, apice del sacro in alto e indietro), e Contronutazione (ritorno alla posizione) in
particolare in gravidanza (dove si ha maggior lascito dei legamenti e del disco). Nel momento del parto,
durante il movimento di nutazione, l’unico diametro che non si modifica è quello della coniugata vera
(ovvero la distanza tra il promontorio del sacro e la porzione interna più sporgente della sinfisi pubica).



Articolazione coxo-femorale (tav.477; gray.1455)

165

È un’articolazione molto stabile, una enartrosi multiassiale disposta tra la superficie semilunare
dell’acetabolo e la testa del femore, che permette di connettere la porzione mobile dell’arto inferiore allo
scheletro assile. La sua forte stabilità è dovuta sia alla forma sferica dei due capi articolari, sia alla presenza
di una capsula molto robusta rinforzata da legamenti e da una serie di muscoli che la circondano, ma anche a
un cuscinetto di cellule adipose coperto dalla membrana sinoviale nella fossa acetibolare.
Molto importante è il legamento trasverso dell’acetabolo che unisce i limiti della superficie semilunare
(“ottura” l’incisura semilunare), creando una superficie articolare circolare completa.
La corrispondenza non è perfetta poiché sul contorno dell’acetabolo è presente l’inserzione di un labbro
fibrocartilagineo, detto labbro acetabolare (analogo al labbro glenoideo a livello scapolare), che amplia la
concavità della cavità acetabolare del 10% circa. La massima corrispondenza tra i due capi articolari si ha in
posizione quadrupede, quando la coscia è flessa di 90°, con l’arto lievemente extraruotato e abdotto
(evidenza dell’evoluzione).

I capi articolari sono uniti da una capsula fibrosa che si inserisce sul versante dell’anca nel contorno
acetabolare (oltre il labbro acetabolare); sul femore arriva ad inserirsi anteriormente fino alla linea
intertrocanterica coprendo il collo, posteriormente, invece, non arriva a fissarsi alla cresta intertrocanterica,
ma buona parte del collo è lasciato libero, e si inserisce, dunque, sul terzo prossimale superiore del collo. Tale
capsula ha fasci longitudinali, circolari e spiralizzati.

Da questa immagine si può percepire una caratteristica propria sia dei fasci che formano la capsula sia dei
legamenti che la rinforzano, ovvero che questi fasci si portano dall’acetabolo verso il femore con un
andamento che può essere definito spiralizzato (dall’alto verso il basso e da dietro verso avanti: situazione
durante la stazione eretta). La spiralizzazione si riduce quando il femore assume la posizione di flessione:
l’andamento dei fasci varia, infatti, in base al movimento del femore.

Si può parlare anche di una zona orbicolare, termine che indica la disposizione di alcune fibre più profonde
della capsula articolare caratterizzate da un andamento circolare. Tali fasci circolari circondano la testa del
femore e vanno a chiudere la membrana sinoviale che sta all’interno della capsula.

La capsula è rinforzata da 4 legamenti: l’ileo-femorale, il pubo-femorale, l’ischio-femorale e il rotondo del
femore.

166
• Legamento ileo-femorale: è il legamento più robusto del corpo umano che sopporta una trazione di
circa 300 kg e origina alla base della spina iliaca antero-inferiore; i fasci si portano lateralmente
verso la parte anteriore del femore rimanendo divisi in due fasci principali tant’è che viene detto
legamento a Y o del Bigelow. Si biforca, quindi, in due fasci che si inseriscono sulla linea
intertrocanterica con andamento spiralizzato. È un legamento che va a contrastare l’iperestensione.

• Legamento pubo-femorale: origina dalla linea pettinea del pube e si porta orizzontalmente in fuori,
ma non è visibile il punto di inserzione poiché i fasci si confondono con quelli più profondi della
capsula e del legamento ileo-femorale. I movimenti che lo mettono in tensione sono l’estensione e
l’adduzione della coscia.

A livello coxale, tra i due legamenti sopracitati, vi è una borsa ileo-pettinea che consente il libero scorrimento
dei tendini dei muscoli sovrastanti (m. ileo-psoas).
• Legamento ischio-femorale: è il legamento più debole dei tre, ma con un andamento spiralizzato, in
avanti, più evidente. Situato sul versante posteriore, origina dal contorno ischiatico dell’acetabolo e,
sempre con andamento a spirale, si porta in avanti e si inserisce alla base del grande trocantere.
Contrasta l’iperestensione.

Da questa immagine si può osservare che, sul versante acetabolare, dal legamento trasverso, situato ai
margini della cartilagine che riveste la superficie semilunare, origina il legamento rotondo del femore (o della
testa del femore) che si fissa sulla fovea capitis, posta sulla regione superiore della testa del femore. È dotato
di una propria vascolarizzazione tramite l’arteriola del legamento rotondo, la quale consente l’irrorazione
arteriosa all’interno dell’articolazione. La membrana sinoviale, che tappezza la capsula internamente, forma
un manicotto attorno al legamento rotondo (come per l’articolazione gleno-omerale dove il tendine del capo
lungo del bicipite è intracapsulare, ma è isolato dalla membrana sinoviale). Si tratta quindi di un legamento
situato internamente alla capsula, tuttavia viene definito extra-articolare perché non è libero all’interno della
cavità, bensì è avvolto dalla membrana sinoviale.
Tale legamento è messo in tensione in adduzione ed extrarotazione della testa del femore e della coscia.

Muscoli dell'anca
I muscoli, in sinergia con i legamenti, conferiscono un’elevata stabilità all’articolazione. Vi sono analogie con
la muscolatura della spalla, tuttavia, essendo l’anca una struttura più complessa (le due ossa coxali si
articolano tra di loro e, posteriormente, con il sacro e delimitano la cavità pelvica costituendo il bacino) risulta
più efficace e meglio comprensibile distinguere la muscolatura di questo distretto, non più in intrinseca ed
estrinseca, ma interna ed esterna.

Mm. interni:
Sono rappresentati da un unico grande muscolo, il muscolo ileopsoas, che risulta dall’unione di due grossi
capi e di un terzo di dimensioni minori (non sempre presente).
- Muscolo ileopsoas: grande psoas e iliaco;
- Muscolo piccolo psoas: (incostante: presente nel 50% della popolazione);

Mm. esterni e posteriori:


Sono disposti su due piani, uno più superficiale e uno più profondo.

- Piano superficiale: grande, medio e piccolo gluteo (rivestiti dalla fascia glutea) e muscolo tensore della fascia
lata.

167
- Piano profondo: piriforme, gemello superiore, otturatore interno ed otturatore esterno, gemello inferiore e
quadrato femorale.

Muscoli interni


Muscolo ileopsoas (tav.482,486)
Muscolo molto esteso e situato in una posizione estremamente profonda. Risulta dall’unione di due capi,
caratterizzati da origini differenti, ma che condividono lo stesso punto d’inserzione: il piccolo troncatetere del
femore. Questi sono:

-Muscolo grande psoas

Muscolo piuttosto articolato. Ha origine con una serie di digitazioni autonome, che prendono attacco
individuale al livello di T12 e delle cinque vertebre lombari (da L1 a L5), portandosi verso il basso. Questi fasci
prendono attacco sia dalla superficie laterale dei corpi vertebrali (fasci superficiali) che dai processi trasversi,
o costiformi, (fasci profondi del muscolo), delle vertebre da L1 a L5.
Questi fasci vanno a formare la componente carnosa e mediale rispetto alla colonna e continuano scendendo
obliquamente, verso il basso e in fuori fino al punto di incontro con il muscolo iliaco.

-Muscolo iliaco

Muscolo che invece origina dal cordone (labbro) interno della cresta iliaca e si adagia sulla fossa iliaca.

168
Muscolo grande psoas e muscolo iliaco si uniscono, passano al di sotto del legamento inguinale (inizia al
livello della spina iliaca antero-superiore e termina sul tubercolo pubico), scavalcano l’articolazione coxo-
femorale sul versante anteriore, decorrono nella parte più laterale di questo spazio sottostante al
legamento e confluiscono in un unico tendine che si inserisce sul piccolo trocantere del femore, in posizione
postero-mediale, generando, così, un capo molto robusto. Ne seguiamo poi il passaggio davanti al
legamento ileofemorale del Bigelow a Y, con una delle tante borse, per permettere lo scorrimento
dell'ileopsoas sul legamento e sulla parte anteriore della capsula.
Una lamina del legamento inguinale (benderella ileo-pettinea) si porta all'interno determinando due
compartimenti di cui il più laterale corrisponde alla lacuna dei muscoli che è attraversata dal muscolo ileo-
psoas, nonché dal nervo femorale che si porta tra muscolo iliaco e grande psoas.

Questo muscolo prende attacco a livello della colonna vertebrale, dell’ileo e del femore, per cui gioca un ruolo
molto importante per la postura, dato che l'alterazione e/o il mancato sviluppo, nonché l’insufficienza
unilaterale o la contrazione spastica di una parte dei suoi capi possono essere alla base di una patologia
conosciuta come scoliosi (deviazione laterale della colonna).

Il muscolo ileo-psoas agisce anche a livello di numerose articolazioni: sull’articolazione coxo-femorale e sulle
articolazioni intervertebrali tramite le digitazioni del muscolo grande psoas che, contraendosi, collabora
all'inclinazione laterale del busto. L’azione principale svolta da questo muscolo, in virtù della sua inserzione
con il piccolo trocantere, è quella di flettere la coscia, ma anche di extraruotarla. Inoltre, nel caso in cui agisca
con il punto fisso sul piccolo trocantere, l’azione è quella di determinare la flessione del tronco in avanti.


Muscolo piccolo psoas
È presente nel 50% della popolazione circa ed è rappresentato da una sottile fascia che origina con una singola
digitazione dalla T12 e si risolve precocemente in un lungo tendine che si fissa su una lamina, la benderella
ileopettinea, che separa lo spazio sottostante al legamento inguinale in due compartimenti.
Il muscolo ileopsoas, pur essendo interno all'osso coxale, possiede una fascia di rivestimento, che è molto più
visibile esternamente.

Muscoli esterni (posteriori)



Fasce

Nella gamba, come nel braccio, si ha una fascia continua che cambia denominazione a seconda della regione
considerata. Per quanto riguarda torace e arto superiore si definisce la fascia del grande pettorale che riveste
l'omonimo muscolo e che internamente si sdoppia a rivestire il piccolo pettorale. Questa fascia continua in
quella ascellare, deltoidea, brachiale, antibrachiale, fascia profonda della mano e infine con gli ispessimenti
del retinacolo degli estensori e del legamento palmare.
Al livello dell'anca si verifica una situazione analoga. I muscoli esterni/posteriori dell'anca sono disposti su
due piani: un piano superficiale, più voluminoso, rivestito dalla fascia glutea che, come suggerisce il nome,
riveste i muscoli grande, medio e piccolo gluteo. La fascia prosegue sulla coscia, dove prende il nome di fascia
lata e continua a livello della gamba come fascia crurale.

Strato superficiale

Grande gluteo (tav.484,485; gray 1435)

È il muscolo più superficiale; copre la gran parte degli altri muscoli esterni dell'anca e possiede una ampia
base di attacco. Per questo è anche detto gluteus maximus.

169
È caratterizzato da numerosi punti di origine. Origina: dalla linea glutea posteriore dell’osso iliaco,
dall’aponeurosi del muscolo erettore della colonna, dalla superficie dorsale della parte inferiore del sacro e
dal lato del coccige, dal legamento sacro-tuberoso (che è uno dei legamenti a distanza dell'articolazione
sacro-iliaca) e dalla fascia (aponeurosi glutea) che copre il muscolo medio gluteo. Vi possono essere delle
strisce aggiuntive dall’aponeurosi lombare o dalla tuberosità ischiatica.

Da questo attacco i fasci si dirigono con un andamento caratteristico lateralmente, quasi orizzontalmente nel
caso delle fibre inferiori e obliquamente (dall’alto verso il basso in senso medio-laterale) per quanto riguarda
le fibre superiori.

I fasci più profondi del muscolo si fissano sulla tuberosità glutea; quelli più superficiali, invece, si dirigono in
fuori, lateralmente e confluiscono in una lamina fibrosa che ispessisce lateralmente la fascia lata della coscia.
Questa lamina prende il nome di tratto ileo-tibiale, rappresenta il tendine d’inserzione comune al grande
gluteo e al tensore della fascia lata e si inserisce su un tubercolino (tubercolo di Gerdy) situato sul condilo
laterale della tibia. Superiormente il tratto ileo-tibiale si congiunge alla fascia glutea che ricopre il medio
gluteo.

Per determinare la funzione del grande gluteo si possono considerare due ipotesi di punto fisso:

-Se si considera come punto fisso la pelvi, il muscolo in questione è un estensore (il più potente) ed
extrarotatore del femore.

-Se si considera come punto fisso il femore, il muscolo permette il sollevamento del busto da una posizione
di flessione (ad esempio quando ci si alza da seduti o si salgono le scale).

Le fibre che ispessiscono la fascia lata, formando il tratto ileo-tibiale, partecipano alla abduzione della coscia,
quelle che vanno a linea glutea partecipano alla adduzione, anche se i muscoli adduttori più importanti sono
quelli del compartimento mediale della coscia e diretti dall'avanti all'indietro.

Muscolo tensore della fascia lata (tav.484)

(Generalmente è considerato un muscolo antero-laterale della coscia).

Una veduta sagittale permette di osservare il muscolo tensore della fascia lata che ha origine dal margine
laterale della spina iliaca antero-superiore e si dirige verticalmente verso il basso per un breve tratto finché
non si unisce al tratto ileo-tibiale.
Il tensore della fascia lata, oltre a supportare la fascia lata come dice il nome stesso, interviene anche per il
mantenimento della posizione eretta e della testa del femore all'interno della cavità acetabolare. Gioca un
ruolo importante anche nella stabilizzazione dell’articolazione del ginocchio poiché il tratto ileo-tibiale si
inserisce direttamente sulla tibia, sul tubercolo del Gerdy.

Medio gluteo (gray.1436, tav. 485)

Possiede una forma a ventaglio, è rivestito dalla (fascia glutea) e per osservarlo meglio si deve
necessariamente sezionare o rimuovere del tutto il grande gluteo.
L'inserzione prossimale si trova tra la linea glutea anteriore e posteriore.
Da questa base i fasci si dirigono verso il basso e lateralmente e si fissano in un unico tendine sulla sommità
posteriore del grande trocantere del femore (anche in questo caso si può fare un parallelismo con la
muscolatura di rinforzo della spalla, in particolare con il muscolo sovraspinato della cuffia dei rotatori).
Permette l’abduzione del femore.

Piccolo gluteo (gray 1436, tav.485)

170
Solo rimuovendo il medio gluteo è possibile intravedere il piccolo gluteo. Origina dallo spazio tra la linea
glutea anteriore e quella inferiore, che si trova sopra l'acetabolo. Sia la forma che l'andamento dei fasci sono
simili a quelli del medio gluteo. I fasci a ventaglio si inseriscono sul margine anteriore del grande trocantere
tramite un tendine unico.

Questi due muscoli, medio e piccolo gluteo, che si portano dall'alto al basso e in fuori hanno una funzione
simile a quella del deltoide, muscolo della spalla.
Sono, infatti, addetti all'abduzione della coscia (funzione primaria).
Inoltre, una contrazione prevalente dei fasci anteriori (piccolo gluteo) determina l'intrarotazione della coscia,
la contrazione dei posteriori (medio gluteo), invece, ne provoca l'extrarotazione.


Strato profondo

Si riesce ad osservare rimuovendo il grande gluteo, il medio gluteo e in parte anche il piccolo gluteo (ma la
rimozione di quest’ultimo non è necessaria). I muscoli dello strato profondo sono muscoli posturali e svolgono
la funzione di:
• abduzione, quando la coscia è flessa;
• extrarotazione, quando la coscia è in estensione.

Muscolo piriforme (tav 485)

Il suo aspetto è grosso modo triangolare (la base del triangolo si trova internamente) ed è posto al di sotto
del margine inferiore del piccolo gluteo.
Origina dalla faccia antero-laterale del sacro in corrispondenza del secondo, terzo e quarto foro sacrale e si
porta in fuori passando dal grande foro ischiatico fino ad inserirsi sulla sommità mediale del grande
trocantere, tra l'inserzione del medio e del piccolo gluteo.
Aderisce alla parte più interna del perineo; è un muscolo che si va a cercare subito quando bisogna
individuare il nervo sciatico (o ischiatico) che gli scorre inferiormente nel canale sottopiriforme (tra
piriforme e gemello superiore).

Gemello superiore (tav 485)

Sotto il piriforme troviamo un muscolo molto sottile che prende il nome di gemello superiore.
Questo muscolo origina dalla spina ischiatica e si porta alla base della superficie mediale del grande
trocantere (nella fossa trocanterica).
Si chiama gemello superiore perché esiste un muscolo molto simile ad esso per estensione e decorso: il
gemello inferiore.

Muscolo otturatore interno (posteriore) (tav 485)

Muscolo otturatore esterno (anteriore) (tav 483)

Origina dalla porzione esterna della membrana otturatoria, all'interno del foro, e si porta in alto, indietro e
lateralmente senza piegare di 90° come l’otturatore interno, decorrendo profondamente ai muscoli adduttori
(non è visibile osservando i muscoli posteriori dell'anca sui quali ci stiamo soffermando, ma da quelli mediali
profondi). Si inserisce con un tendine nella fossa trocanterica del femore. Questo muscolo è visibile dalla
veduta anteriore; nasconde il quadrato del femore che è presente posteriormente ad esso.

171
Gemello inferiore (tav 485)

Origina dal margine supero-laterale della tuberosità ischiatica e si inserisce sulla fossa trocanterica (vicino al
gemello superiore).
È parallelo al gemello superiore, presenta lo stesso orientamento dei fasci e lo stesso spessore.

Quadrato femorale (tav 485)

Il quadrato femorale (una sorta di rombo) si trova sotto il gemello inferiore e origina dal margine laterale della
tuberosità ischiatica per terminare sulla cresta intertrocanterica. Completa inferiormente la sequenza dei
muscoli extrarotatori.

Questi muscoli (dal piriforme al quadrato femorale) ricordano la cuffia dei rotatori.
La loro funzione consiste nell'extrarotazione del femore (quando la coscia è estesa) e nella stabilizzazione
dell'anca. Coadiuvano i muscoli glutei nell’abduzione della coscia solo quando questa è flessa.

MUSCOLI DELLA COSCIA



Volendo fare delle analogie con l’arto superiore, occorre ricordare che l’arto inferiore non si trova nella
stessa posizione (che è una posizione anatomica) in cui si va a descrivere l’arto superiore: quindi, se
nell’arto superiore i muscoli flessori si trovano genericamente nella loggia anteriore e quelli estensori nella
loggia posteriore, nell’arto inferiore accade esattamente l’opposto (muscoli flessori soni situati
posteriormente e quelli estensori anteriormente).

Sull'articolazione coxo-femorale non agiscono solo i muscoli dell'anca, ma anche alcuni muscoli della coscia.

La fascia glutea (fascia aponeurotica che riveste i muscoli posteriori dell'anca) continua con la fascia lata
nella regione della coscia, rinforzata lateralmente dal tratto ileo-tibiale.
In sezione trasversale è possibile osservare (descrivendoli dallo strato superficiale a quello intimo), come per
l'arto superiore, un piano cutaneo e uno sottocutaneo con vasi e nervi superficiali esterni alla fascia
aponeurotica, poi la fascia stessa che riveste la muscolatura, infine il femore.
I setti intermuscolari laterale e mediale formati dalla fascia lata che si dirigono verso il femore permettono la
suddivisione dei muscoli in logge.

Tipicamente, nella descrizione dei muscoli della coscia si faceva riferimento a muscoli anterolaterali e a
muscoli posteromediali. Tuttavia, noi utilizzeremo una dicitura più moderna, semplice, ma comunque
corretta:
• loggia anteriore, composta dai muscoli anteriori;
• loggia posteriore, composta da muscoli mediali e da muscoli posteriori.


Loggia anteriore

Muscoli anteriori

Tensore della fascia lata, già trattato come muscolo esterno dell'anca.

172
Muscolo Sartorio

È un muscolo sottile, ha origine dalla spina iliaca antero-superiore e si porta verso il basso e medialmente
andando a scavalcare il quadricipite aggiungendosi, quindi, alla regione mediale della coscia e in posizione
superficiale a contatto con la fascia lata che riveste il compartimento muscolare mediale; costeggia, quindi,
la coscia medialmente.
Esso si inserisce sulla superficie mediale della tibia, oltre il ginocchio, subito al di sotto del condilo mediale,
con un tendine che corrisponde al primo dei tre che si inseriscono in questo punto (gli altri due, muscolo
gracile e semitendinoso, si inseriscono dietro al sartorio) andando a formare la cosiddetta zampa d'oca.
Il muscolo sartorio scavalca due articolazioni: coxofemorale e ginocchio.
Raggiunge il massimo grado di contrazione quando si vuole accavallare la gamba da seduti: permette la
flessione della gamba e della coscia (movimento del sarto quando flette la gamba per tenere il tessuto da
cucire, da cui “sartorio”).
Ricordiamo anche la extrarotazione e abduzione della coscia, anche se li consideriamo poco in quanto il
muscolo è molto sottile.

Quadricipite femorale
È un grande muscolo che costituisce la parte anteriore della coscia.

Il quadricipite è formato da quattro capi: muscolo retto femorale e tre muscoli vasti (laterale, mediale e
intermedio).

Il muscolo retto è il più superficiale ed è disposto al centro. Ha andamento regolare e scende verticalmente
sulla parte anteriore della coscia.
È l'unico capo biarticolare del muscolo e ha origine a monte dell’articolazione coxo-femorale: parte dalla spina
iliaca antero-inferiore e dal tetto dell'acetabolo (dove i fasci del tendine in parte si fissano con quelli della
capsula), in corrispondenza dell'articolazione coxo-femorale, e scende verticalmente al centro della coscia,
terminando con il tendine comune del quadricipite (sul quale confluiscono anche i tendini degli altri tre capi),
che si fissa a livello della tuberosità tibiale.
All'interno del tendine comune, il quale è allineato con l'andamento del retto femorale, si sviluppa la rotula,
la quale è, infatti, un osso sesamoide.

Il vasto mediale e il vasto laterale sono due masse voluminose che sporgono ai lati della metà inferiore
del retto (si vedono parzialmente se non rimuoviamo quest’ultimo) e originano entrambi dal femore,
rispettivamente dal lato mediale della linea aspra (post.) e della linea intertrocanterica (ant.) e dal lato laterale
della linea aspra (post.) e della linea intertrocanterica (ant.)
Il vasto intermedio prende attacco sulla superficie antero-laterale della diafisi (in parte anche dalla linea
aspra). È posto tra vasto mediale e laterale e sotto il retto femorale. È il più profondo, per vederlo è necessario
sezionare gli altri tre capi del quadricipite.
Spesso l’estensione più profonda del vasto intermedio viene definita muscolo articolare del ginocchio che,
durante l’estensione della gamba, tende superiormente la membrana sinoviale, mantenendola stirata per
impedire la formazione di pieghe della stessa al di sopra della rotula, e inferiormente la borsa sovrapatellare
(cfr. ginocchio)

Alla fine, tutti i quattro capi del quadricipite confluiscono in un tendine unico, cioè nel tendine comune del
quadricipite che si slarga a formare un retinacolo e si porta sulla faccia esterna della rotula, continuando oltre
l'apice per poi finire sulla tuberosità tibiale con un legamento patellare, o rotuleo, che può essere considerato
come la prosecuzione del tendine sopracitato.

Il retto è l'unico capo biarticolare e contribuisce alla flessione della coscia, mettendo in moto anche
l’articolazione dell’anca; è quindi importante nell'atto della camminata e della corsa. Insieme ai vasti è
funzionale all'estensione della gamba. Il quadricipite è, nel suo complesso, il principale estensore della
gamba.

173
Loggia posteriore

Muscoli mediali

Il vasto mediale del quadricipite è sviluppato nella metà inferiore della coscia perché superiormente vediamo
altri muscoli confinati nel compartimento mediale: gli adduttori della coscia. I muscoli mediali della coscia,
nella loro parte più superiore, si trovano anteriormente all’otturatore esterno.
Questo gruppo di muscoli può essere suddiviso per agevolare lo studio su tre piani. I muscoli mediali della
coscia sono importanti anche per l'individuazione di piani di interesse per il passaggio di vasi e nervi.

1. Primo piano (superficiale)


Costituito dai muscoli più anteriori e superficiali di questo compartimento mediale.


Muscolo pettineo

È il muscolo posizionato più in alto nel compartimento mediale della coscia ed è parzialmente coperto
lateralmente dall’ileo-psoas; si porta lateralmente e verso il basso dalla cresta pettinea dell'osso coxale fino
alla linea pettinea sulla superficie posteriore del femore (la linea pettina è la prosecuzione del labbro mediale
della linea aspra).

Adduttore Lungo
Si trova medialmente rispetto al muscolo pettineo. Possiede un’origine non troppo estesa tra tubercolo e
sinfisi pubica e si porta in basso e in fuori fino a giungere sulla linea aspra del femore (2/3 della linea aspra,
parte inferiore) con inserzione molto più ampia rispetto a quella del muscolo pettineo.

Gracile

In realtà del gracile vediamo solo l'estremità anteriore. Per vederlo dovremmo vedere un'immagine in sezione
sagittale ma con visione mediale. Infatti, esso origina dalla branca pubica (porzione anteriore del ramo ischio-
pubico) medialmente rispetto all’adduttore lungo e si dirige verticalmente verso il basso passando
medialmente alla coscia e superando il ginocchio. Va a formare il secondo tendine della zampa d'oca,
inserendosi medialmente e posteriormente all’inserzione del tendine del sartorio sulla faccia mediale della
tibia (è il più mediale della zampa d’oca).
L'azione del gracile consiste anche nella flessione e rotazione interna della gamba e non solo nell'adduzione
della coscia.

2. Secondo piano (intermedio)


Se andiamo a rimuovere i muscoli del primo piano possiamo osservare il muscolo adduttore breve che
altrimenti possiamo solo intravedere.

Adduttore Breve

Ha la stessa origine dell'adduttore lungo, ma più in profondità.


L'inserzione si trova nei pressi della linea aspra del femore (parte superiore), superiormente all’adduttore
lungo ma con estensione minore, motivo a cui deve il nome.

3. Terzo piano (più profondo e posteriore)

Otturatore esterno (descritto nei muscoli dell’anca)


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Grande adduttore

Può essere anche chiamato Adduttore Grande ed è il più sviluppato degli adduttori; non è ben visibile in una
in veduta anteriore. Possiede un’inserzione molto ampia che si porta dalla tuberosità ischiatica (componente
posteriore) alla branca ischiatica (componente anteriore).
Per questo motivo il muscolo possiede una componente adduttoria propriamente detta (fasci anteriori) e
una componente posteriore che invece è estensoria. Tale muscolo possiede una doppia innervazione: nella
parte anteriore è innervato dal nervo otturatore mentre nella parte posteriore dal nervo ischiatico.
[Ci sono anche altri muscoli posteriori della coscia che partono sempre dalla tuberosità ischiatica e che sono
funzionali all'estensione della coscia.]

Il grande adduttore si inserisce al livello femorale con un’ampia inserzione sulla linea aspra, profondamente
all'inserzione dell'adduttore lungo e breve, e sull’ estesa aponeurosi adduttoria , in cui ci sono forellini che
rappresentano punti di passaggio per le arteriole (chiamate perforanti) che derivano dall'arteria femorale
profonda.
Alcune fibre però non si inseriscono sull’aponeurosi, ma si prolungano verso il basso tramite un tendine sottile
che si fissa sul tubercolo adduttorio, sopra l’epicondilo mediale del femore.
L’attacco delle fibre inferiori del grande adduttore sul tubercolo adduttorio determina la formazione di un
canale ovalare, sul margine femorale inferiore e mediale, detto iatus adduttorio (o anello del grande
adduttore), perché vi è una distanza tra le fibre che traggono inserzione con l’aponeurosi e quelle che
decorrono verticalmente. Lo iatus adduttorio è un sito cruciale per il passaggio di vasi femorali (arteria e vena
femorale).


L'arteria femorale che arriva dal cuore attraversa l'anello e si porta così nella parte posteriore del
ginocchio, nella regione della losanga poplìtea, dove prende il nome di arteria poplìtea. Vale la stessa cosa
per la vena , ma in direzione opposta, la vena poplìtea proviene dalla regione omonima e attraversando lo
iatus adduttorio diventa vena femorale.

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L'adduttore minimo, che spesso si trovo indicato nei libri, in realtà corrisponde ai fasci superiori del grande
adduttore.

Ripasso generale e stilizzato dei muscoli postero-mediali

L’azione principale dei muscoli adduttori della coscia è quella di determinare la flessione della gamba. Inoltre,
prendendo come punto fisso il pube, tali muscoli permettono anche una extrarotazione del femore, invece
prendendo come punto fisso l’inserzione femorale, permettono la flessione del bacino sulla coscia.
Naturalmente sono fondamentali per stabilizzare e permettere la posizione eretta e sono maggiormente
sollecitati quando è necessario dare forza sulla parte mediale del piede (es. calciare un pallone).


Immagini di dissezione:

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Dissezione molto complicata in quanto profonda.


È possibile riconoscere:

• il legamento inguinale (con punto di origine spina illiaca antero-superiore);
• il muscolo pettineo (sollevato);
• il muscolo ileo-psoas;
• i muscoli che originano dalla spina illiaca antero-superiore (m. sartorio, m.tensore della fascia
lata, m. retto e vasto mediale, m. adduttori: breve e grande);
• il gracile (che andrà ad affiancarsi al sartorio per trarre inserzione a livello tibiale)



Dissezione meno profonda.

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È possibile riconoscere gli altri capi del quadricipite (ad eccezione del vasto intermedio).
È possibile notare la regione topografica che si trova all’origine della porzione prossimale della coscia:
Triangolo Femorale

Spazi topografici

Triangolo femorale (tav. 487,488)


Il triangolo femorale è un grosso spazio di forma triangolare detto anche Triangolo dello Scarpa. Questa
regione si trova alla radice della coscia e al suo interno troviamo strutture molto importanti che non risultano
coperte da piani muscolari, tuttavia è presente la fascia lata che funge da “tetto”. Si tratta infatti di una
regione molto delicata e allo stesso tempo molto accessibile (pertanto risulta facile avere compromissioni in
tale zona es. corrida).

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La base di questo triangolo (che si trova in alto) è costituita dal legamento inguinale; il lato che si trova
sull’esterno (lato laterale) e che si dirige verso l’altro lato (in basso e medialmente) è costituito dal muscolo
sartorio e infine il lato più interno (quello mediale) è rappresentato dall’adduttore lungo. Il “pavimento” del
triangolo femorale è costituito da due muscoli: lateralmente il muscolo ileopsoas (che si dirige verso il piccolo
trocantere) e più medialmente il muscolo pettineo.

Su tutti i libri questo triangolo è rappresentato come uno spazio a cui ci si può accedere incidendo la cute e
tagliando la fascia lata; in questo modo vengono esposte strutture che sono molto delicate: in sequenza
latero-mediale troviamo il nervo femorale , l ’ arteria femorale e la vena femorale. In realtà tale struttura
non è così accessibile: non è chiusa da un rivestimento muscolare, non si trova in profondità come altre
strutture che vedremo, ma in ogni caso quando facciamo l’incisura longitudinale a livello del triangolo
femorale per accedere all’arteria femorale, vi è una quantità abbondante di tessuto adiposo e cellulare lasso
che riempie e protegge questa sorta di fossa interponendosi tra la fascia lata e il compartimento più profondo.


Il nervo femorale decorre lateralmente, sotto il legamento inguinale; nello spazio dove decorre anche il
muscolo ileo-psoas , infatti si dice che decorre nella lacuna dei muscoli (o lacuna muscolorum).
L’ arteria femorale e la vena femorale decorrono invece medialmente , nella lacuna dei vasi (o lacuna
vasorum).

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Molti libri inducono a ricordare le tre strutture (nervo, arteria, vena) e la loro sequenza nel triangolo con la
sigla NAV; in realtà: il nervo passa lateralmente, l’arteria medialmente, la vena si trova in profondità, dietro
l’arteria femorale.

È importante ricordare che l’arteria femorale non è altro che la continuazione di una grossa arteria detta
iliaca esterna, la quale proviene delle pelvi e passando proprio sotto al legamento inguinale, cambia nome
diventando arteria femorale. Nel triangolo l’arteria femorale emette a sua volta un ramo collaterale molto
importante chiamato arteria femorale profonda che provvederà alla vascolarizzazione della coscia e dei suoi
muscoli. Il destino dell’arteria femorale superficiale (che non va a vascolarizzare la coscia, di questo si occupa
la femorale profonda) è quello di dirigersi senza particolari interruzioni verso la gamba, attraversare lo iato
adduttorio e diventare posteriore prendendo il nome di arteria poplitea e lì emettere rami per il ginocchio e
successivamente per la gamba.

L’ arteria femorale è importante dal punto di vista diagnostico per praticare una coronarografia (tecnica per
visualizzare le arterie coronarie) ma è da tenere in considerazione anche per l’Embalming del cadavere
(avviene con miscela fissativa a base di formaldeide, etanolo, fenolo e glicerolo).


Il percorso inverso viene fatto dalla vena, la quale in un primo momento irrora la losanga poplitea e viene
chiamata vena poplitea posteriore; poi attraversando lo iatus diventa vena femorale che risale fino al

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triangolo dello scarpa e, una volta attraversato il legamento inguinale, entra nella pelvi e diventa vena illiaca
esterna.
Se si rimane sul piano più superficiale, vediamo una vena sul versante mediale della coscia detta vena grande
safena (tav 472) che in questa posizione si immette nella vena femorale (superficiale), perforando la fascia
lata che per via di tutti questi passaggi viene chiamata fascia cribrosa.




Canale degli adduttori (tav 487, 488, 492)

Topograficamente è la zona di raccordo tra il triangolo femorale e lo iato adduttorio: è un canale chiamato
canale degli adduttori o canale di Hunter (dall’anatomico inglese che per primo lo mise in evidenza). Per
osservarlo è necessario rimuovere il sartorio (il tetto del canale) e al di sotto di esso decorrono i vasi (insieme
al nervo safeno, derivato dalla biforcazione del nervo femorale), che proseguono per raggiungere la regione
poplitea. Questo canale degli adduttori è infatti uno spazio in cui si vanno ad incuneare i vasi.
Esso è delimitato medialmente dal muscolo adduttore lungo e lateralmente, avendo rimosso il sartorio, dal
vasto mediale del quadricipite. L’espansione che passa sopra i vasi femorali accolti nel canale e che unisce la
fascia del vasto mediale a quella del grande adduttore viene detta aponeurosi vasto-adduttoria.
In questo canale (la loggia allungata delimitata dall’adduttore lungo e dal vasto-mediale, coperta dal sartorio)
scorrono: l’arteria, che attraversando lo iato adduttorio da femorale diventa poplitea; la vena che, al
contrario, da poplitea diventa femorale e il nervo safeno, diventato tale dal femorale.

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Nel piano più profondo del canale adduttorio, sotto all’adduttore lungo ( lasciando perdere il breve che è
confinato in alto), c’è il grande adduttore che si inserisce con la maggior parte delle sue fibre, tramite una
lamina chiamata aponeurosi adduttoria, alla linea aspra. Su questa lamina sono presenti dei forellini in
quanto essa viene attraversata da arteriole perforanti che provengono dalla femorale profonda (che si stacca
nella parte alta del triangolo e decorre su un piano più profondo rispetto a quello della femorale, che invece
sta nel canale degli adduttori). Quindi tra muscolo adduttore lungo e grande adduttore decorre la femorale
profonda che manda in profondità piccole arteriole cha vanno a perforare la membrana adduttoria.

È possibile osservare le arteriole che vanno a perforare l’aponeurosi del grande adduttore.

Osservando questa immagine è possibile notare:


• La fascia lata
• Il tratto ileo tibiale

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• Il compartimento muscolare del quadricipite
• Nello spazio mediale (muscoli adduttori : m. sartorio, m. gracile, e canale degli adduttori)
• Canale degli adduttori :
• parte superficiale: compreso tra vasto mediale e adduttore lungo (con vena, arteria e nervo
safeno)
• piano più pronfondo (più piccolo): vena e arteria femorali profondi (add. breve e grande
adduttore)


Domande:

• Adesso che sostanza viene utilizzata al posto della formaldeide? (a proposito dell’embalming)
Vi sono molte diverse composizioni, quella utilizzata nella nostra sala settoria è una miscela a basso tenore di
formaldeide 40% (il più basso presente sul mercato, per via della sua cancerogenicità) in cui sono presenti in
maggiore concentrazione etanolo (che fissa secondo modalità differenti), fenolo in basse concentrazioni e
glicerolo (che ovvia alla disidratazione indotta dall'etanolo).
[risposta della prof.ssa Orsini]

• Le due lacune (muscoli e vasi) sono separate da qualche struttura fibrosa?
C’è un’espansione inferiore al legamento inguinale che si chiama benderella ileo-pettinea. È come una riflessione
verso il basso che va ad individuare i due compartimenti, attraverso cui passano lateralmente il muscolo
ileopsoas e il nervo femorale, e medialmente i vasi femorali.

• La porzione del grande adduttore che ha inserzione sulla linea aspra è quella posteriore che estende e
invece quella che ha inserzione sul tubercolo è quella anteriore che adduce? O è il contrario?
Le due componenti che vi ho descritto come adduttoria (anteriore) ed estensoria (posteriore) non sono riferite
alle due modalità di inserzione distale delle fibre: è un muscolo molto robusto e ciò vuol dire che ha uno spessore
notevole, che dall’avanti si porta indietro. Quindi ad entrambe le modalità di inserzione partecipano fibre di
entrambe le componenti.
Qui noi lo vediamo sul versante posteriore, e questa è già la quota che poi sarà innervata dal nervo ischiatico,
quindi possiamo chiamarla componente estensoria. Però in questo punto vanno a confluire anche fibre che si
trovano anteriormente a queste, sia sull’aponeurosi che sul tendine. Dunque la suddivisione è tra le fibre
anteriori e le fibre più posteriori del grande adduttore.

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Loggia posteriore: muscoli posteriori propriamente detti (descrizione latero-mediale)
(tav 482; gray 1444)

I muscoli posteriori della coscia, detti anche ischio-crurali, sono muscoli che emergono oltre il limite inferiore
del grande gluteo. Sono ricoperti dalla fascia lata, mentre il grande gluteo è coperto dalla fascia glutea.
Se andiamo a rimuovere la fascia lata, vediamo che questi muscoli hanno un andamento che è riconoscibile
per buona parte del loro decorso. Infatti siamo abituati a vederli negli atleti in uno stato ipertrofico.

Sono tre ed hanno la stessa origine:

-Sul piano superficiale si trova lateralmente il capo lungo del bicipite femorale e medialmente il
semitendinoso.

-Sul piano profondo si trova: lateralmente il capo breve del bicipite femorale, medialmente il
semimembranoso.

Originano tutti e tre dalla tuberosità ischiatica, spesso da un unico tendine. I due muscoli più superficiali
(bicipite femorale e semitendinoso) scendono affiancati lungo la coscia, per poi divergere in corrispondenza
del piano popliteo. Questi, una volta diventati divergenti, descrivono il triangolo superiore della losanga
poplitea.

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Bicipite femorale
Ha due capi: quello lungo origina dalla tuberosità ischiatica, quello breve è più profondo ed origina dal labbro
laterale della linea aspra del femore (sotto l’inserzione del grande gluteo).
I due capi si riuniscono in un unico tendine che si dirige all’esterno, lateralmente fino ad inserirsi sulla testa
della fibula.

Semitendinoso
E’ il più superficiale.
Scende dalla tuberosità ischiatica sul versante mediale e si risolve in un tendine molto lungo, che va ad
inserirsi sulla faccia mediale della tibia, posteriormente sulla zampa d’oca, così come il muscolo sartorio (il
più anteriore) e il muscolo gracile (il più mediale).
La zampa d’oca è formata da tre tendini, appartenenti ai tre muscoli che si inseriscono sul condilo mediale
della tibia: sartorio, gracile e semitendinoso (in sequenza antero-posteriore). Si chiama così, poiché la parte
carnosa è molto esigua rispetto al tendine, che è lungo e ben riconoscibile.


Semimembranoso
E’ il più profondo.
Ha un aspetto di una lamina appiattita, origina sempre dalla tuberosità ischiatica e discende verticalmente
verso il basso e il suo tendine d’inserzione si divide in 3 tendini: due si portano rispettivamente medialmente
e posteriormente al condilo mediale della tibia. Il terzo, che si chiama tendine ricorrente, va a rinforzare
posteriormente la capsula articolare del ginocchio e prenderà il nome di legamento popliteo obliquo.

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Con una dissezione molto superficiale, dove intravediamo appena il m. semimembranoso, abbiamo
assecondato con il decorso di questi due muscoli quell’andamento triangolare del terzo inferiore della diafisi
femorale, in cui avevamo visto la linea aspra aprirsi in creste che descrivevano una superficie triangolare. Lo
vediamo molto meglio in quest’altra immagine, dove osserviamo il bicipite. In questa dissezione il capo lungo
è stato sezionato.
Vediamo benissimo anche l’origine del capo breve, che dalla tuberosità ischiatica, con un tendine comune
con il semitendinoso e con fibre che si confondono con il legamento sacro-tuberoso, si porta in basso
verticalmente, per poi portarsi in fuori fino alla testa della fibula. I due capi, poi si uniscono e risolvono in un
tendine unico.

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(tav 482) Va ricordato anche un breve muscolo chiamato popliteo, che si trova appunto nella regione poplitea
e va dal condilo laterale del femore (sul menisco laterale del ginocchio) al labbro superiore della linea del soleo
(o obliqua) della tibia (per dimensioni ricorda un po’ il muscolo anconeo).

La sua funzione principale è quella di esercitare una trazione posteriore sul menisco laterale, ma anche di
ruotare internamente la gamba e coadiuvare la flessione della gamba (una flessione non potente).

Tutti i muscoli posteriori della coscia appena descritti (tranne popliteo) partono dall’osso coxale, dalla
tuberosità ischiatica, si inseriscono oltre il ginocchio, quindi sono muscoli biarticolari e con la loro contrazione
provocano l’estensione della coscia (agiscono sull’anca) e flessione della gamba.


Molto vicino al compartimento mediale dei posteriori c’è il grande adduttore che ha un’innervazione doppia
perché è un muscolo molto esteso: arriva infatti con alcune fibre a prendere origine dalla tuberosità ischiatica
così come i posteriori. Questa componente è chiamata estensoria come i muscoli posteriori che sono
estensori della coscia.

Articolazione ginocchio (tav 493-498; gray 1462-1477)
Questa è un’articolazione molto complessa ma debole, che comprende:

• 2 condiloartrosi: i due condili femorali, sul versante prossimale, che vanno a corrispondere alle
superfici condiloidee della tibia (piatti tibiali), sul versante distale;

• 1 articolazione a sella: tra la superficie patellare del femore e la faccia posteriore della rotula.

I due condili femorali hanno una spiccata convessità al centro, dove si trova la fossa intercondiloidea e
vengono paragonati alle ruotine del carrello dell’aereo. Il movimento che si realizzerà a livello
dell’articolazione femore-tibiale, è una sorta di scorrimento di queste due superfici ellissoidali piene e
convesse sui due piatti tibiali moderatamente scavati e lievemente concavi.

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Davanti, la patella completa l’assetto articolare: questa superficie posteriore ha la parte centrale elevata e va
ad incunearsi sulla superficie patellare del femore realizzando un’articolazione a sella.

Il movimento del ginocchio che possiamo compiere è quello di flesso-estensione; dal punto di vista funzionale
è un’articolazione che agisce come fosse un ginglimo angolare (non è un’articolazione a cerniera come quella
nell’avambraccio dove la troclea dell’omero è accolta nell’incisura semilunare dell’ulna) ma è uno scorrimento
di due superfici convesse su due superfici pianeggianti.
Quindi non c’è una corrispondenza, i capi articolari sono incongruenti e vengono rinforzati da legamenti e da
muscoli robusti (come il quadricipite e il bicipite femorale) oltre ai tendini che scendono sui due lati.
Infatti, in caso di lesione ai legamenti è importante aver un buon allenamento muscolare in particolare del
quadricipite per permettere un discreto recupero della stabilità dell’articolazione.

L’altro osso della gamba, ovvero la fibula, lateralmente alla tibia, non partecipa in maniera attiva
all’articolazione, in quanto essa prende rapporti esclusivamente con la tibia e non con il femore.
A questo livello c’è una superficie articolare pianeggiante che realizza un’articolazione praticamente
immobile, ma completa la cavità articolare e conferisce stabilità.

Quindi il ginocchio si può classificare:
-Anatomicamente per i rapporti articolari che si stabiliscono tra femore e tibia, come condilartrosi, e per quelli
tra femore e patella, invece, come articolazione a sella.

-Nel complesso però l’articolazione permette i movimenti di flesso-estensione (la patella ostacola
un’eccessiva iperestensione; es. olecrano), per cui funzionalmente agisce come ginglimo angolare.

I menischi

Le superfici dell’articolazione femoro-tibiale sono piuttosto incongruenti. Infatti, i condili del femore hanno
superfici ellissoidali piene molto convesse che scorrono sui due piatti tibiali, i quali invece sono solo
lievemente scavati. I piatti tibiali non sono tutta la superficie superiore: c’è un’area intercondiloidea anteriore
e una posteriore oltre a un’area rilevata al centro tra i due che è chiamata eminenza intercondiloidea.


Ad aumentare la concavità di queste superfici condiloidee tibiali intervengono due dischi fibrocartilaginei,
definiti menischi.
I menischi si trovano su ciascuno dei piatti tibiali: menisco mediale e menisco laterale.
Non hanno la forma di un cerchio completo, ma entrambi presentano due estremità, corno anteriore e corno
posteriore, che vanno a fissarsi su un’area rugosa, l’area intercondiloidea.
Hanno una sezione triangolare(tav 498): uno spessore maggiore all’esterno che si assottiglia via via verso
l’interno, al centro diventa un margine quasi tagliente, che continua fino ai punti di attacco posti sopra ai
piatti tibiali.

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Il menisco mediale (o interno) ha una forma di una “C” e i due corni restano più distanziati, in cui il corno
anteriore si fissa sull’area intercondiloidea anteriore, davanti al legamento crociato anteriore. Il corno
posteriore dietro al legamento crociato posteriore.
Il menisco laterale (o esterno) a forma di “O” ha i due corni più riavvicinati: il corno anteriore si trova sull’area
intercondiloidea anteriore, dietro al legamento crociato anteriore. Il corno posteriore si trova davanti al
legamento crociato posteriore.
[ICOE (Interno C – O Esterno) – per i legamenti citati sopra, vedere giù].

[Netter, Tav. 496] È presente un’espansione, un legamento trasverso che va a connettere le due parti anteriori
dei due menischi e si va a fissare direttamente sulla tibia, il legamento trasverso del ginocchio; anche sul
versante posteriore possiamo osservare dal menisco laterale un’espansione che va a fondersi e ad accollarsi
con l’estremità posteriore (e superiore) del legamento crociato posteriore, il legamento menisco-femorale
posteriore.

Funzioni: stabilizza l’articolazione, amplia la concavità dei piatti tibiali, agisce da cuscinetto favorendo lo
scorrimento dei condili del femore sui condili tibiali.

Ci sono poi diversi legamenti a stabilizzare l’articolazione femoro-tibiale.
I capi articolari del ginocchio sono tenuti insieme da una capsula articolare.


Anteriormente essa parte dal femore, poco sopra la superficie patellare, scende passando però al di sotto
degli epicondili (che sono liberi quindi, per dare attacco a legamenti e muscoli) a ricoprire la rotula e va a
seguire il contorno dei piatti tibiali.
La capsula articolare è costituita da un apparato legamentoso, che in ortopedia è chiamato “apparato
estensore” (estensore perché è dato dal tendine comune del quadricipite, che determina l’estensione della
gamba), composto dal tendine del quadricipite (sul versante prossimale) nel cui spessore si trova la rotula
stessa.
Questo tendine prosegue sul versante distale, quindi dopo l’apice della rotula, prendendo il nome di
legamento rotuleo (o patellare), che si inserisce sulla tuberosità tibiale.

Altri componenti di questo apparato sono delle espansioni del muscolo vasto laterale e vasto mediale, che in
corrispondenza del ginocchio mandano delle lamine, chiamate retinacoli della patella, orientate sia
verticalmente che obliquamente, in maniera tale da rafforzare e completare questo assetto anche ai lati della
patella (sono costituite da fasci longitudinali, che si fissano sulla tibia, e fasci trasversali, ossia quelli più
profondi).

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Posteriormente la capsula va a riunirsi dietro i condili, li ricopre (si parla di gusci dei condili, poiché è robusta
e spessa; gray 1471) e si insinua superiormente nella fossa intercondiloidea, mentre sulla tibia inferiormente.
È rinforzata dal legamento popliteo obliquo, che ricopre la capsula sul versante posteriore, si stacca dal
tendine d’inserzione del muscolo semimembranoso, arriva sul condilo mediale della tibia, risale e va a
rinforzare in questa posizione la capsula fibrosa fino al condilo laterale del femore.
Latero-inferiormente la capsula è rinforzata dal legamento popliteo arcuato, che parte dalla testa della fibula
e arriva postero-inferiormente al condilo laterale del femore e ricopre il muscolo popliteo (tav 498).

I legamenti collaterali, mediale (o tibiale, o interno) e laterale (o fibulare, o esterno), sono due fasci di fibre
che originano inferiormente ai rispettivi epicondili femorali, scendono lungo i propri versanti portandosi al di
sotto dell’articolazione del ginocchio ed arrivando:
a) sulla faccia mediale della porzione superiore del corpo della tibia (il collaterale mediale)
b) sulla testa della fibula (il collaterale laterale).
Questi rappresentano una ulteriore connessione tra l’epifisi distale del femore e quella prossimale della tibia.

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Il legamento collaterale mediale o tibiale è il più robusto, consiste in un fascio di fibre laminare che scende
verticalmente sul versante mediale del ginocchio e si inserisce al di sotto del condilo mediale della tibia. È
formato da fibre con andamento verticale – definite fibre parallele – e da fibre con andamento obliquo –
definite fibre oblique.
Prende rapporto con:
• La capsula articolare e con fibre più esterne del menisco mediale, con i quali ha una connessione
molto stretta. Infatti, a metà del suo decorso verso il basso, si accolla aderendo alla capsula articolare,
fondendosi a questa con un’espansione del menisco mediale.
• I tendini dei muscoli della zampa d’oca (m. Sartorio, m. Gracile e m. Semitendinoso);
• La borsa Anserina, un cuscinetto sinoviale, che favorisce lo scorrimento delle strutture fibrose l’una
sull’altra, separando inferiormente i tendini dei muscoli della zampa d’oca dal legamento collaterale
mediale stesso.
• Le fibre del vasto mediale e il retinacolo patellare mediale, ovvero la sua “espansione” che va a
stabilizzare la patella medialmente.

Il legamento fibulare laterale è una lamina fibrosa che scende verticalmente. Prende rapporti anatomici più
semplici rispetto al mediale, che sono con:
• La capsula articolare, attraverso l’interposizione di una borsa, rimanendo di fatto distanziato dalla
capsula (ndr: a differenza del legamento collaterale mediale);
• Il tendine del muscolo bicipite femorale (che si inserisce sulla testa della fibula) e la sua borsa;
• Il tratto ileo-tibiale, che si inserisce sul condilo laterale della tibia, sul tubercolo del Gerdy.


Modifiche dell’anatomia dei menischi durante l’estensione (a) e la flessione (b) del ginocchio

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In estensione (c) ed in flessione (d) il menisco mediale rimane
pressoché nella propria posizione sul piatto tibiale senza possibilità di scorrimento, avendo uno stretto
rapporto con il legamento collaterale mediale.
Il menisco laterale, invece, durante la flessione (d) si sposta posteriormente a causa della contrazione
del muscolo popliteo, che va dalla tibia (sopra la linea del soleo) al condilo laterale del femore, al menisco
laterale e alla capsula.
Ciò è favorito dal fatto che il legamento collaterale laterale non prende contatto diretto con il menisco
laterale.
Tali rapporti anatomici rendono ragione alle frequenti lesioni a carico del menisco mediale che si trova, a
differenza del menisco laterale, che segue l’andamento della flessione del ginocchio (è infatti dotato di una
maggiore libertà di movimento), pressoché fisso sul piatto tibiale. I traumi meccanici possono provocare vari
tipi di lacerazione ai menischi.

I legamenti crociati sono due bande legamentose così definite in virtù del loro orientamento, dal momento
che si incrociano tra loro su piano diversi, e fungono da perno tra i capi articolari di tibia e femore.
Il legamento crociato anteriore si estende dall’area intercondiloidea anteriore della tibia (dietro
l’attacco del corno del menisco mediale) fino al versante interno del condilo laterale del femore; i fasci sono
quindi diretti dalla tibia verso l’alto, obliquamente in senso laterale. Si trova al davanti del legamento
crociato posteriore.
Il legamento crociato posteriore origina dall’area intercondiloidea posteriore della tibia (dietro
all’attacco dei corni dei menischi laterale e mediale), le fibre si dirigono obliquamente, verso l’alto e
medialmente, fino all’interno del condilo mediale del femore.
Il legamento menisco-femorale posteriore è un’espansione del menisco laterale che si dispone
posteriormente al legamento crociato posteriore, fondendosi parzialmente con esso e attaccandosi
all’interno del condilo mediale del femore.

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Modifiche dell’anatomia dei legamenti crociati durante i movimenti del ginocchio
I legamenti crociati sono in tensione in tutte le posizioni – cioè sia in estensione che in flessione – a
differenza dei legamenti collaterali che sono tesi solo in estensione (dato che sono fasci ad andamento
verticale).

Tale tensione in tutte le posizioni concede solo un minimo grado di intrarotazione, con un’ampiezza di
movimento di massimo 10°, infatti i legamenti si avvolgono l’uno intorno all’altro, dato che si tendono. Per
l’extrarotazione, invece, c’è un margine maggiore, con un’ampiezza di movimento di 60°, in quanto essi
sono portati a distanziarsi.
La “unhappy triad” è un trauma severo all’articolazione del ginocchio con un danno a carico del legamento
crociato anteriore, del menisco mediale e del legamento collaterale mediale.
Nel cosiddetto “segno del cassetto” il medico pone il ginocchio del paziente in flessione con il piede
appoggiato, provocando una mobilizzazione del ginocchio, ed apprezza lo scivolamento della tibia in avanti
nel caso di rottura del legamento crociato anteriore; viceversa, lo scivolamento della tibia indietro è indice
di rottura del legamento crociato posteriore.

legamento collaterale mediale/laterale
anche da una eccessiva abduzione/adduzione della gamba, che tra l’altro può portare anche alla rottura del
con conseguente spostamento in avanti della tibia e indietro del femore. Questi fenomeni sono provocati
Con una eccessiva intrarotazione della gamba si può avere una rottura del legamento crociato anteriore,
La membrana sinoviale del ginocchio è più complessa rispetto alle altre membrane sinoviali affrontate finora.
La membrana sinoviale all’interno di una capsula articolare ha il ruolo di rivestire tutto ciò che non è
cartilagineo.

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Questa si può descrivere dopo la rimozione della capsula
fibrosa (anche se anteriormente è presente il legamento patellare che fa parte dell’apparato estensore che,
come detto, sostituisce anteriormente la capsula fibrosa).
A livello femorale segue, lateralmente, la linea superiore della capsula, passando inferiormente agli epicondili.
Inferiormente e posteriormente, ernia nel recesso o borsa sottopoplitea. Inferiormente si interrompe in
corrispondenza del margine superiore di ogni menisco, per poi iniziare nuovamente in corrispondenza dei
margini inferiori dei menischi, arrivando fino all’inserzione distale della capsula fibrosa sulla tibia.
Anteriormente è separata dal legamento patellare ad opera di un abbondante tessuto adiposo o cuscinetto
adiposo infrapatellare o corpo adiposo di Hoffa. Nel rivestire la parete posteriore di tale tessuto adiposo, la
membrana sinoviale forma due pliche, o frange, dette pliche alari, mentre la zona centrale tra queste pliche
forma una piega, detta piega infrapatellare, la quale andrà a portarsi posteriormente, fino ad arrivare alla
fossa intercondiloidea del femore (fig. 11, 12 ma meglio 14); può essere più o meno spessa. Inoltre, più in
alto, la membrana sinoviale si inserisce lateralmente alla rotula.
La caratteristica che rende peculiare la membrana sinoviale del ginocchio è che essa va a circondare sul
versante posteriore i due condili e rientra nella fossa intercondiloidea, portandosi ai due lati dei legamenti
crociati, in maniera tale da riunirsi davanti al crociato anteriore. In questo modo i due crociati si trovano
entrambi esclusi dalla sinoviale, che passa loro ai lati e davanti: per tale motivo i legamenti crociati sono
legamenti intra-articolari ed extra-sinoviali. [Netter, Tav. 495,494,498]. Tuttavia, andando ad osservare il
comportamento della membrana sinoviale rispetto ai due legamenti crociati, si può vedere come l’unica
porzione che viene rivestita dalla membrana sia la superficie anteriore del legamento crociato anteriore. Al
contrario, la porzione posteriore del crociato anteriore e tutto il crociato posteriore sono extra-sinoviali,
essendo posteriori alla membrana sinoviale.

194
[Confronto con altri legamenti che passano all’interno di cavità articolari o capsule:
Spalla: il tendine lungo del bicipite b. passa sopra la testa dell’omero, avvolto però da una sua guaina
• Anca: legamento rotondo della testa del femore avvolto a manicotto da un rivestimento sinoviale.]
sinoviale
Superiormente, la membrana sinoviale ernia verso l’alto, al di sopra dell’inserzione della capsula, anche oltre
la superficie patellare del femore, formando una borsa sinoviale molto imponente chiamata borsa
sovrapatellare. Questa è così estesa da rendere necessaria la presenza di un muscolo che, durante
l’estensione della gamba (stazione eretta), mantenga distesa la borsa sinoviale. Tale muscolo è il muscolo
articolare del ginocchio, considerato come l’estensione più profonda del vasto intermedio del quadricipite.


Inoltre, la membrana sinoviale forma altri recessi:
• La borsa infrapatellare profonda: cuscinetto sinoviale che si trova inferiormente al corpo adiposo di
Hoffa, subito dietro il legamento patellare
patellare.
ripetuto sulla rotula e sulla parte legamentosa anteriore
lavandaia”, in quanto ella si inginocchiava per lavare i panni andando ad esercitare un movimento
La
infiammata,
posizione in ginocchio venga mantenuta a lungo.
borsa
borsa sottocutanea
Questa,
sottocutanea
veniva in definita
caso
prepatellare:
infrapatellare,
di come
infiammazione,
“ginocchio
davanti
superficialmente
alla
veniva
del superficie
prete”,
un tempo
in al
anteriore
quanto
legamento
definita
sollecitata
della
come
patellare.
rotula
il nel
“ginocchio
e caso
al Questa,
legamento
in cui
della
se
la



MOVIMENTI DELL’ARTICOLAZIONE DEL GINOCCHIO
Il ginocchio ha tre tipi di movimenti:
• Rotazione: rotazione mediale di 10° (medialmente la rotazione è minore perché i crociati si avvolgono
Flessione
Estensione
l’uno rispetto all’altro); rotazione laterale fino a 60° in flessione.

195

Nell’articolazione del gomito, durante il movimento di estensione, l’olecrano (il processo sporgente che
completa posteriormente l’epifisi distale dell’ulna) va a posizionarsi all’interno della fossa olecranica
limitando il movimento di iperestensione. Per fare un parallelismo, anche se la gamba rispetto alla coscia non
è nella stessa condizione anatomica di supinazione dell’avambraccio rispetto al braccio (infatti gli estensori
sono anteriori), anche in questa articolazione c’è qualcosa che blocca l’iperestensione della gamba sulla
coscia. Questa è la patella, la quale, grazie alla morfologia a sella, va a corrispondere alla superficie patellare
del femore, bloccando in avanti l’articolazione e limitandone l’iperestensione.

Muscoli che determinano il movimento del ginocchio:
Flessori (posteriori):
• Semimembranoso
Bicipite femorale
Semitendinoso
(coadiuvati da Gracile, Sartorio e Popliteo; con piede immobile anche Gastrocnemio e Plantare)

Estensori:
• Quadricipite femorale (coadiuvato dal Tensore della fascia lata)

Rotazione mediale della gamba flessa:
• Semimembranoso
Popliteo
Semitendinoso
(coadiuvati da Sartorio e Gracile)

Rotazione laterale della gamba flessa:
• Bicipite femorale

Articolazioni tibio-fibulare:

La fibula non partecipa al complesso articolare del ginocchio, ma lo stabilizza con legamenti. Essa è
strettamente legata alla tibia.
L’articolazione tibio-fibulare prossimale è sinoviale, classificata come amfiartrosi (così come l’articolazione
sacro-iliaca che, dal punto di vista anatomico, presenta le caratteristiche di una diartrosi, ma è quasi
completamente immobile), è possibile anche definirla artrodìa (le superfici articolari sono faccette
pianeggianti), poiché è pressoché immobile.
L’articolazione distale, invece, non è sinoviale ma sono presenti legamenti che mantengono unite le due
ossa, è quindi definita come una classica sindesmosi. È presente un’erniazione di membrana sinoviale
dell’articolazione tibio-tarsica della caviglia.
Sia a livello prossimale che distale non c’è una capsula articolare, bensì una connessione fibrosa tra le due
ossa. Vi sono dei legamenti interfibulari sia sul compartimento anteriore che su quello posteriore:

196
prossimalmente i legamenti tibio-fibulari anteriore e posteriore della testa della fibula e distalmente quelli
tibio-fibulari anteriore e posteriore.
Va ricordato che tra i margini interossei vi è la membrana interossea (sindesmosi).

Articolazione tibio-tarsica

La superficie articolare per la sinoviale della caviglia è al livello inferiore dell’epifisi distale della tibia ed è
stabilizzata, sui due lati, dalle superfici interne dei malleoli tibiale e fibulare. Il versante del piede è formato
dalla troclea dell’astragalo. L’articolazione che si va a formare ha una forma caratteristica con una gola
centrale (a “mortaio”): è una troclea (o ginglimo angolare o cerniera). Il movimento fondamentale è quello
di flesso-estensione (è da considerare come estensione la flessione dorsale, durante la quale si ha la
corrispondenza maggiore, mentre la flessione è quella plantare).
La disposizione dei legamenti di rinforzo della capsula articolare è piuttosto complessa, vista anche l’anatomia
altrettanto articolata delle ossa che prendono parte all’articolazione in questione o che sono
immediatamente limitrofe ad essa. Sul versante posteriore sono presenti i leg. collaterali. La superficie interna
del malleolo laterale della fibula è quella che partecipa alla formazione dell’articolazione tibio-tarsica: sotto
al malleolo laterale diparte il leg. calcaneo-fibulare, medialmente il leg. fibulo-talare anteriore, questi
rappresentano un rinforzo laterale all’articolazione. Dalla superficie infero-laterale del malleolo mediale
(della tibia) parte il leg. deltoideo (mediale) della caviglia, rappresentato da un’espansione posteriore tibio-
talare (dalla tibia all’astragalo), una tibio-calcaneale, una tibio-navicolare (scafoide), che si porta ancora più
anteriormente, e infine quella tibio-tarsica (o tibio-talare) anteriore. Nell’insieme, tali fasci formano una sorta
di delta che funge da rinforzo sul versante mediale della caviglia.








Muscoli delle gambe

Le articolazioni su cui vanno ad agire i muscoli della gamba e del piede sono quella tibio-tarsica e le diverse
articolazioni che si realizzano tra le ossa dei vari segmenti del piede.
Adesso si andranno ad esaminare i muscoli che, agendo su questa articolazione, determinano la flessione e
l’estensione, gli unici movimenti consentiti dall’articolazione a troclea, oltre a lievi movimenti di adduzione e
abduzione. La gamba però non si trova in posizione anatomica, cioè non è in posizione di supinazione come
si era, invece, visto per l’avambraccio.
Anteriormente alla gamba si trova il compartimento dei muscoli estensori, posteriormente quello dei muscoli
flessori.
Molto spesso, però, l’estensione viene chiamata flessione dorsale (facendo riferimento al dorso del piede) e
la flessione plantare è la comune flessione.

197

I muscoli rivestiti da una fascia, che è la prosecuzione della fascia lata e si chiama, a livello della gamba, fascia
crurale. Essa continua anteriormente e posteriormente per poi proseguire lungo il piede, sia sul versante
dorsale sia su quello palmare.
(tav 510) Se si seziona la fascia crurale, si riconoscono le due ossa unite dalla membrana interossea.

Vengono distinti, rispetto alla membrana interossea, grazie ai setti intermuscolari anteriore, posteriore e
trasverso, tre compartimenti di muscoli:


- Compartimento o loggia anteriore con i muscoli tibiale anteriore e gli estensori lunghi delle dita e
dell'alluce.
- Compartimento o loggia laterale, tra i due setti intermuscolari, qui vi sono i due muscoli peronei (lungo e
breve).
- Compartimento o loggia posteriore, molto più voluminoso di quello anteriore (tanto da essere visibile se ci
si posiziona davanti ad uno specchio o percepibile palpando minimamente la gamba). Viene distinto un
compartimento profondo, che ha come limite anteriore la membrana interossea, formato da tre muscoli:
tibiale posteriore, flessore lungo delle dita e dell'alluce; nel compartimento superficiale, invece è presente il
muscolo tricipite surale, formato da tre capi: muscolo soleo e muscoli gemelli (che formano il gastrocnemio).



In sezione trasversale si vedono le logge muscolari sui diversi piani, tra i quali decorrono vasi e nervi. (tav 510)

198

Loggia anteriore (tav 507, 508)

Si trovano tre muscoli che scendono scavalcando l'articolazione tibio-tarsica per andare
a realizzare l’estensione del piede (o flessione dorsale) e l’estensione delle dita.
Originano rispettivamente da tibia, membrana interossea e fibula. Scendono occupando tutto il
compartimento anteriore (e il versante anteriore della tibia), portandosi sul versante antero-laterale.
I tendini hanno una propria guaina sinoviale e passano tutti sotto a delle lamine (bande che ispessiscono la
fascia, definiti retinacoli) che li tengono in posizione e sono dette retinacoli degli estensori: uno superiore a

199
livello della caviglia, tra margine laterale del perone e margine mediale della tibia, e uno inferiore, situato
nella parte più distale della caviglia e più prossimale del dorso del piede. Quest’ultimo è una prosecuzione del
retinacolo inferiore dei muscoli peronei (che prende attacco sul margine antero-laterale del calcagno),
circonda ad arco la metà laterale del dorso del piede e nella metà mediale si divide in un fascio superiore che
prende attacco sul malleolo mediale (tibia) e uno inferiore che giunge al margine laterale dello scafoide.

Tibiale anteriore
Il più superficiale. Nella tibia è presente un margine anteriore tagliente dove si percepisce una parte libera,
non coperta dal muscolo tibiale anteriore. Quest’ultimo si trova, infatti, sul versante laterale del corpo della
tibia, origina direttamente da essa, dal suo condilo laterale e dalla membrana interossea più mediale e si va
ad inserire con un tendine sul versante mediale del piede, arrivando fino al 1° osso metatarsale.

Determina la flessione dorsale e, arrivando medialmente, interviene anche nella adduzione e nella
supinazione (sollevamento della parte mediale) del piede.

Estensore lungo dell’alluce
I due estensori si trovano un po’ più profondamente e lateralmente. Per vedere la loro origine (soprattutto
dell’estensore dell’alluce) occorre sezionare il muscolo tibiale anteriore. L’estensore lungo dell’alluce origina
più in basso rispetto all’estensore lungo delle dita, dalla faccia mediale del perone e dalla membrana
interossea più laterale. Il suo tendine arriva fino alle due falangi dell’alluce. Determina l’estensione dell’alluce
e partecipa alla flessione dorsale del piede.

Estensore lungo delle dita
Origina in parte dal condilo laterale della tibia e in parte dal margine interosseo della fibula e dalla membrana
interossea più laterale (superiormente all’estensore lungo dell’alluce). Esso si porta lateralmente, scende e si
risolve con quattro tendini che vanno a dirigersi verso le ultime quattro dita, fino alle falangi, sia intermedie
che distali. Estende le ultime 4 dita ed è un flessore dorsale della caviglia.


Loggia laterale (tav 506)

200
I muscoli peronei (o peronieri) lungo e breve sono chiamati così perché
scendono parallelamente al perone. Per vederli bene bisogna osservare una sezione sagittale laterale.

Come gli estensori, sono tenuti in posizione, insieme alle relative guaine sinoviali, dai retinacoli dei muscoli
peronei, delle sorte di legamenti che li riportano nei punti di passaggio dietro al malleolo laterale: retinacolo
superiore, tra calcagno e malleolo laterale, e inferiore, tra calcagno e calcagno più medialmente (si continua
poi con il retinacolo inferiore degli estensori).
Vi è inoltre la presenza di un muscolo incostante (non presente in tutti gli individui), chiamato peroneo terzo
o Peroneo anteriore.

Peroneo lungo
Il più superficiale, origina interamente dalla porzione superiore della diafisi del perone: dal margine laterale
superiormente, si continua sulla faccia posteriore inferiormente, scendendo verticalmente. Ha un’inserzione
molto caratteristica: un lungo tendine che si porta posteriormente al malleolo laterale e anziché fissarsi subito
sul 5° osso metatarsale, arriva sulla pianta del piede, la attraversa in senso latero-mediale e prende attacco
sul 1° metatarsale e sull’osso cuneiforme mediale (1°). (tav 515)

Partecipa all’abduzione (come fa il peroneo breve) e all’extrarotazione del piede, inoltre collabora con i
flessori plantari che si trovano nel compartimento posteriore.

Peroneo breve
Origina lateralmente sul perone, dalla porzione intermedia della diafisi, più in profondità e inferiormente
rispetto al p. lungo. Scende andando sul dorso del piede e si inserisce sul 5° osso metatarsale. Rimane
confinato al versante laterale, dove assume ruolo di abduttore ed extrarotatore del piede.

201

Peroneo terzo o anteriore (non ci sono img, tav 506,507 del tendine)
Come gli altri due, origina dalla fibula (ecco perché viene chiamato anch’esso peroneo), nella sua porzione
inferiore, più precisamente sul versante anteriore (appena sotto l’origine dell’estensore lungo delle dita). Si
porta poi in avanti avendo, infatti, una porzione di fasci originanti dalla membrana interossea. Scende
anteriormente per andare a fissarsi al 5° osso metatarsale.
Viene detto terzo in quanto preceduto dal lungo e dal breve, ma è corretto chiamarlo anche peroneo
anteriore perché decorre anteriormente, passando al di sotto dei retinacoli degli estensori e va ad inserirsi
sul 5° metatarsale, sul versante dorsale.
È un muscolo poco potente e agisce insieme agli altri muscoli anteriori, i quali sono flessori dorsali o estensori.
Quando presente, è molto spesso fuso con le fibre più profonde dell’estensore lungo delle dita, con cui
condivide una parte del decorso, tuttavia il peroneo terzo si ferma prima: l’estensore delle dita ha tendini che
arrivano alle falangi intermedie e distali, mentre il peroneo terzo giunge alla tuberosità del 5° osso
metatarsale.


Loggia posteriore

(tav. 505) Anche i tendini di questi muscoli (tranne il tricipite surale) passano al di sotto dei retinacolo dei
flessori, che va dal malleolo mediale al margine mediale (e posteriore) del calcagno. La loggia è molto
sviluppata, tanto da essere divisa in un compartimento profondo e uno superficiale, quest’ultimo è a sua volta
scomponibile in due strati.

- Compartimento profondo (tav 505)
Ha come limite anteriore la membrana interossea ed è costituito da tre muscoli che ricordano un po’ quelli
della loggia anteriore, infatti troviamo il tibiale posteriore, il flessore lungo delle dita e il flessore lungo
dell’alluce (il più posteriore). Tutti e tre i tendini di questi muscoli passano dietro al malleolo mediale.

202

Tibiale posteriore
Il più profondo, si trova dietro alla membrana interossea. Origina dalla membrana interossea e dalle superfici
di tibia (faccia posteriore fino alla linea del soleo) e fibula rivolte verso di essa. In maniera analoga al muscolo
tibiale anteriore, il tibiale posteriore scende verticalmente lungo tutto l’assetto della gamba, continuandosi
in un tendine che passa dietro al malleolo mediale. Ha un andamento caratteristico perché, anziché avere un
unico punto di inserzione, si allarga a ventaglio per inserirsi non soltanto sulle ossa scafoide e cuneiformi, ma
anche sulle ossa metatarsali (dal 2° al 4°), in un’ampia base di inserzione sulla pianta del piede. Questo
muscolo, quindi, dà flessione plantare e, arrivando sul versante mediale, partecipa all’adduzione e alla
rotazione interna del piede.

Flessore lungo delle dita
Al contrario delle aspettative, il muscolo si trova medialmente rispetto al flessore lungo dell’alluce, origina
dalla faccia posteriore della tibia, appena sotto la linea obliqua per il soleo. Scende sul versante mediale e
risolve con un tendine che va al versante plantare, passando dietro al malleolo mediale e al tendine del tibiale
posteriore, fino alle falangi intermedie e distali delle ultime quattro dita. Determina flessione plantare del
piede e flessione delle ultime 4 dita.

Flessore lungo dell’alluce
Origina da i 2/3 inferiori della faccia posteriore e del margine laterale della fibula e dalla mem-brana
interossea. Decorre con andamento verticale sul versante laterale della gamba, scendendo si porta poi
medialmente e risolve in un tendine che passa dietro al malleolo mediale (e a tutti gli altri tendini che passano
dietro a questo), incrocia il tendine del flessore lungo delle dita e raggiunge sulla pianta la falange distale
dell’alluce. È un flessore plantare del piede e dell’alluce.

203

Popliteo
(già considerato nei muscoli della coscia) Si trova, appunto, nella regione poplitea e va dal condilo laterale del
femore alla porzione superiore della linea obliqua (margine mediale al di sotto del condilo mediale) della tibia.
Per dimensioni ricorda un po’ il muscolo anconeo. La sua funzione è la intrarotazione della gamba e la
coadiuvazione nella flessione della gamba.


-Compartimento superficiale (tav 503,504)
Occupa la parte più voluminosa del cosiddetto polpaccio e consiste in un muscolo flessore della pianta che
nell’insieme si chiama tricipite surale (o tricipite della sura), in quanto è formato da tre grossi capi. Quello più
profondo è il muscolo soleo (va a coprire tutti i posteriori profondi) e poi vi sono due muscoli molto simili tra
loro, che scendono simmetricamente: sono i muscoli gemelli, mediale e laterale, che nell’insieme formano il
muscolo gastrocnemio.
Talvolta è presente il muscolo plantare.
Agisce nella flessione plantare e in quella del ginocchio. Il tricipite surale è il muscolo più potente nella
flessione plantare, quello che si mette in movimento tutte le volte che si salta, si danza, si è in punta di piedi,
si corre ed è importantissimo pure nel camminamento.


Muscolo soleo
È simile a una lamina appiattita che origina, lateralmente e più in alto, dalla superficie posteriore della testa
del perone e da 1/3 della diafisi sottostante e, medialmente, dall’arcata del soleo (attraverso questa linea di
inserzione del muscolo ci sarà un punto di passaggio per le formazioni vascolari e nervose) della tibia. È una
lamina che scende lungo la gamba, più in profondità rispetto al gastrocnemio, ma risolve poi nel tendine
(calcaneale), molto robusto e voluminoso, su cui vanno a confluire anche due capi più superficiali che
costituiscono il muscolo gastrocnemio, inserito sulla tuberosità calcaneale.

204

Muscolo gastrocnemio

È più superficiale e costituito nel suo insieme da due muscoli gemelli (chiamati così perché scendono paralleli
e hanno esattamente la stessa morfologia), uno mediale e uno laterale. Essi originano al di sopra dei due
epicondili femorali, cioè a monte dell’articolazione del ginocchio (da qui l’azione di flessore del ginocchio).
La parte superiore dei muscoli gemelli costituisce i due lati del triangolo inferiore della losanga poplitea.
I due muscoli scendono paralleli, poi la parte carnosa (confinata nella metà superiore della gamba) si risolve,
tra il terzo medio e inferiore, in un tendine estremamente robusto chiamato tendine calcaneale o tendine di
Achille che va ad inserirsi alla tuberosità del calcagno.


Muscolo plantare
È un muscolo incostante. Origina, insieme al gemello laterale, sopra all'epicondilo laterale. Ha una breve parte
carnosa che termina circa all’origine del soleo (è tra soleo e gemello), ma un lunghissimo tendine che si fissa
sempre alla tuberosità calcaneale.
Losanga poplitea
È uno spazio situato posteriormente al ginocchio, a forma di trapezio o losanga. Può essere pensata come
scomposta in due triangoli.
I due lati superiori sono rappresentati dai muscoli superiori della coscia: sul versante laterale il bicipite
femorale, su quello mediale il semitendinoso (più superficialmente) e semimembranoso (ad un livello più
profondo). Sul versante inferiore sono presenti i due muscoli gemelli che formano il gastrocnemio, lo strato
più superficiale del tricipite surale. Si trova, ad un livello più interno, il guscio del condilo mediale, già nel
compartimento posteriore della capsula articolare del ginocchio, insieme al legamento popliteo.
Nella profondità della fossa sono presenti particolari strutture vascolari e nervose, disposte su piani diversi.
Tra quelle vascolari troviamo vasi che, una volta oltrepassato lo hiatus adduttorio, diventeranno vasi
poplitei (arteria e vena), con la piccola safena che si getta nella vena poplitea. Tra le nervose, il nervo
ischiatico, destinato a diventare nervo tibiale. I vasi, provenienti da o destinati ad arrivare al compartimento
anteriore, si trovano in una posizione molto più profonda rispetto al nervo.

Lezione di anatomia del 28/04/2020


Sbobinatori: Giulia Marzo, Tiziana Maruzzella

205
Revisore: Marianna Negri
Docente: Anna Maria Billi
Argomenti: plesso lombare, plesso sacrale
PLESSI LOMBARE E SACRALE

Il plesso lombare e il plesso sacrale


vengono considerati separatamente
per facilità descrittiva (anche se
spesso sono considerati un tutt’uno,
dunque plesso lombo-sacrale).
Questi ultimi hanno origine dalla
divisione anteriore dei nervi spinali e
si vanno a creare per poi distribuirsi
a tutta la componente dell’anca e
dell’arto inferiore.
Come accade nel plesso brachiale,
anche i nervi periferici, che si
distribuiscono ai vari muscoli
dell’arto inferiore, sono pluri-
segmentali: ciò significa che ciascun
muscolo è innervato da contributi di
più neuromeri, adiacenti fra loro.
(Ciascun neuromero fuoriesce come nervo spinale dal proprio foro
intervertebrale).
Ad esempio, il sartorio viene innervato da un contributo di L1, L2 ed L3.

Nell’immagine è possibile osservare i due plessi:


nella porzione destra è illustrato il plesso lombare
che vede coinvolte le divisioni anteriori dei nervi
spinali di L1, L2, L3 e gran parte di L4. I primi
quattro nervi spinali costituiscono il plesso
lombare.
Nella porzione sinistra vi è il plesso sacrale, che
risulta essere formato dalla restante parte di L4
(porzione minore), L5, S1, S2 e S3.
I rami terminali del plesso lombare si portano
verso il basso e verso l’avanti.
Per il plesso sacrale si portano verticalmente verso
il basso.

Il punto di demarcazione fra i due plessi è il rapporto con


l’articolazione dell’anca. Tramite la veduta laterale dell’arto inferiore destro si distinguono i rami terminali del
plesso lombare, che passano tutti davanti all’articolazione dell’anca (quelli che raggiungono l’arto inferiore, in
quanto ci sono dei rami terminali più corti che non raggiungono l’arto). I rami terminali del plesso sacrale, al
contrario, decorrono verticalmente verso il basso disponendosi posteriormente rispetto all’articolazione
dell’anca.
Già da tale immagine è possibile constatare che i rami terminali del plesso lombare che raggiungono l’arto
inferiore, dal punto di vista motorio, si fermano alla coscia; dal punto di vista sensitivo solo un ramo si prolunga
fino alla gamba. Tutta la restante parte della coscia, della gamba e del piede, dal punto di vista motorio, è
innervato dai rami terminali del plesso sacrale.

206
PLESSO LOMBARE
Sono coinvolti L1, L2, L3 e gran parte di
L4. Come è possibile notare,
superiormente è stato aggiunto anche il
nervo spinale T12, anche detto
sottocostale, in quanto decorre nel solco a
livello della dodicesima costa. Essendo
quest’ultima molto breve,
successivamente il nervo risulta libero.
T12 è aggiunto in quanto, spesso, lascia un
contributo per L1.
L1 si divide in un ramo superiore e un
ramo inferiore. A sua volta il ramo
superiore si suddivide nel nervo ileo-
ipogastrico e nel nervo ileo-inguinale.
L2 cede un piccolo contributo che si
unisce al ramo inferiore di L1 a formare il
nervo genito-femorale.
La gran parte di L2, L3 e la gran parte di
L4 (L4 cederà poi un contributo al livello
del plesso sacrale) si suddividono posteriormente (in giallo) e
anteriormente (in verde). Dalla divisione posteriore di L2 ed L3
si staccano due rami che formano il nervo cutaneo laterale della
coscia (o del femore). Dalle restanti suddivisioni posteriori di L2
ed L3 (che sono le più cospicue) e da tutta la suddivisione
posteriore di L4 si ha la formazione del nervo femorale. Le
suddivisioni anteriori di L2, L3 ed L4 convergono andando a
formare il nervo otturatore.

207
Osservando la parete addominale posteriore, è riconoscibile a sinistra il muscolo grande psoas, a lato di esso il
quadrato dei lombi e ancora più a lato la muscolatura larga della parete addominale (costituita da tre muscoli
detti larghi per la loro estensione, ma anche molto sottili; essi sono dal profondo al superficiale: muscolo
trasverso dell’addome, muscolo obliquo interno e muscolo obliquo esterno).
Il plesso lombare si forma nello spessore del muscolo grande psoas. Solo rimuovendo tale muscolo è possibile
vedere l’emergenza delle divisioni anteriori dei vari nervi spinali coinvolti in questo plesso; ciò accade in
quanto il muscolo grande psoas ha una doppia origine:
- la parte anteriore ha origine sulla superficie laterale dei corpi vertebrali e dei dischi intervertebrali;
- la componente posteriore origina a livello dei processi trasversi.
Tra queste due regioni di origine sono presenti i fori intervertebrali attraverso i quali decorrono i nervi spinali
coinvolti nel plesso lombare.
Con la parete addominale posteriore intatta è possibile notare l’emergenza dei nervi terminali dal muscolo
grande psoas. La gran parte dei nervi del plesso lombare emerge dal versante laterale del muscolo grande psoas
(nervo ileo-ipogastrico, ileo- inguinale, cutaneo inguinale della coscia, nervo femorale) sul lato mediale emerge
solo il nervo otturatore. Il nervo genito-femorale passa invece anteriormente e percorre il muscolo.

208
NERVO ILEO-IPOGASTRICO
Emerge dal margine laterale del grande psoas, si adagia sul
muscolo quadrato dei lombi, e successivamente si adagia
portandosi lateralmente e in avanti sul muscolo più profondo
della parete addominale laterale. Per un breve tratto il nervo si
adagia sul muscolo trasverso dell’addome, poi lo perfora
passando tra i muscoli trasverso e obliquo interno. Il nervo,
mentre attraversa il trasverso e si pone fra trasverso ed obliquo
interno, provvede all’innervazione motoria di tali muscoli.
Successivamente, in prossimità della spina iliaca antero-
superiore, il nervo si divide in due rami:
- un ramo cutaneo laterale che decorre verticalmente verso il
basso che va dunque a perforare il muscolo obliquo esterno e
perfora anche la fascia di rivestimento (fascia lata). Si va a
distribuire nella piccola regione supero-laterale della coscia
dando origine ad un’innervazione di tipo sensitivo.
- Un ramo cutaneo anteriore decorre parallelo e superiormente
al legamento inguinale. Perfora anch’esso il muscolo obliquo
esterno diventando superficiale e distribuendosi alla cute della
regione anteriore al di sopra del legamento inguinale.

Ileo-Ipogastrico à Quadrato dei lombi e muscolo trasverso, lo perfora e lo innerva,

si trova tra trasverso e obliquo int. e arrivato alla cresta iliaca perfora e innerva questo.
Si trova tra obliquo int. ed est. e giunto alla spina iliaca ant.-sup. cede due rami cutanei

• Cutaneo laterale per regione sup-laterale coscia


 
• Cutaneo anteriore per parte antero-inferiore parete addominale.

NERVO ILEO-INGUINALE
Il decorso di tale nervo è parallelo al precedente, ma si viene a
trovare ad un centimetro o un centimetro e mezzo di distanza
dall’ileo-ipogastrico (sottostante a quest’ultimo). Anche il nervo
ileo-inguinale emerge dal versante laterale del grande psoas, si
adagia sul muscolo quadrato dei lombi, successivamente si porta sul
muscolo trasverso e qui lo perfora, ponendosi tra i due muscoli
trasverso e obliquo interno; infine, portandosi in avanti e
lateralmente, va a decorrere nel canale inguinale. Il canale
inguinale è un passaggio che consente al funicolo spermatico, nel
maschio, e al legamento rotondo dell’utero, nella femmina, di
portarsi esternamente alla parete addominale anteriore, è dunque
una sorta di tunnel. Al di sotto ed esternamente del funicolo
spermatico decorre il nervo ileo-inguinale. Esso, una volta
raggiunto l’orifizio inguinale superficiale (che permette al funicolo
spermatico di emergere dalla parete), emerge e si divide in due rami
terminali sensitivi, distribuendosi alla cute di due regioni: porzione
supero-mediale della coscia e piccola porzione dello scroto negli
uomini o delle grandi labbra nella donna. Questi due rami sono cutanei, dunque puramente sensitivi;
l’innervazione motoria è stata esaurita attraversando la parete addominale anteriore e dunque innervando i
muscoli trasverso, obliquo interno e in parte anche obliquo esterno. I nervi ileo-ipogastrico e ileo-inguinale
hanno dimensioni molto variabili. Quando uno è prevalente, l’altro ha dimensioni più contenute, dunque uno
compensa l’altro. I muscoli addominali non sono innervati esclusivamente da tali due nervi.
Nervo à quadrato dei lombi, trasverso e obliquo interno, passa attraverso il canale inguinale e poi esce

209
nell’orifizio cutaneo superficiale del canale inguinale e si divide in due rami sensitivi per la superficie

supero-mediale coscia e anteriore dello scroto/delle grandi labbra e monte di venere.

NERVO GENITO-FEMORALE
Tale nervo è formato dal contributo di L1 e L2. Emerge dalla superficie
anteriore del muscolo grande psoas, lo perfora e vi decorre adagiato sopra.
Si porta in avanti e in basso adagiato a quest’ultimo. Giunto in prossimità
della parete addominale anteriore si divide nelle due componenti: ramo
genitale e ramo femorale.
- Ramo femorale: continua ad avere un rapporto con il muscolo
che è divenuto ileo-psoas. Il ramo femorale si porta a passare
sotto al legamento inguinale (teso tra spina iliaca antero-superiore
e tubercolo pubico). Nell’immagine è ben visibile la benderella
ileo-pettinea che, dalla superficie inferiore del legamento
inguinale, giunge all’eminenza ileo-pettinea. Questa benderella
separa la lacuna dei muscoli, posta lateralmente, dalla lacuna dei
vasi, posta medialmente. Il ramo femorale del nervo
genito-femorale attraversa la lacuna dei vasi insieme
all’arteria femorale, alla vena femorale e a tutti i linfonodi
presenti in questa zona. Il ramo femorale si porta all’arto
inferiore passando attraverso la lacuna dei vasi, arriva
nella zona del triangolo femorale (o dello scarpa) e qui
perfora la fascia lata e si distribuisce superficialmente alla
cute corrispondente a tale regione. Questo ramo terminale
è dunque puramente sensitivo.
-
- Ramo genitale: raggiunge la superficie interna della
parete addominale laterale e penetra nel canale inguinale
all’interno del funicolo spermatico. Mentre il nervo l’ileo-spermatico decorre nel canale inguinale fuori
dal funicolo spermatico, il ramo genitale del nervo genito-femorale, penetra all’interno del canale
inguinale attraverso l’orifizio inguinale profondo insieme al dotto deferente, arteria testicolare, vena
testicolare e a tutti i restanti componenti del funicolo spermatico. Dopo di che emerge dall’orifizio
inguinale superficiale andando a distribuirsi alla cute dello scroto nel maschio e alle grandi labbra nella
femmina. Nel maschio, all’interno del funicolo spermatico, il ramo genitale provvede ad innervare il
muscolo cremastere. Esso non è presente nella donna e dunque il ramo genitale segue semplicemente
il legamento rotondo dell’utero fuoriuscendo dall’anello inguinale superficiale e distribuendosi alla
cute delle grandi labbra. Dunque, si conclude che nel maschio il ramo genitale ha una componente
motoria per il muscolo cremastere e sensitiva per lo scroto, nella femmina ha solo componente sensitiva
per le grandi labbra.
Nervo genito-femoraleà perfora grande psoas, si divide in

• Ramo genitale che passa nel canale inguinale e innerva cremastere


 
• Ramo femorale che passa nella lacuna dei vasi ed è cutaneo per la zona del
triangolo femorale

210
NERVO CUTANEO LATERALE DELLA COSCIA
È Formato dall’unione dei contributi delle divisioni posteriori di L2 ed L3.
Come dice il nome è un nervo puramente sensitivo Ed è posto più in basso
rispetto al nervo ileo-inguinale. Emerge dal margine laterale del muscolo
grande psoas, si adagia sul muscolo iliaco, si porta in avanti e perfora la
fascia lata circa due centimetri o 2 centimetri e mezzo al di sotto del
legamento inguinale; passa nell’estremità laterale della lacuna dei muscoli,
divenendo superficiale per andare a distribuirsi alla regione laterale della
coscia fino alla parte superiore del ginocchio.

NERVO OTTURATORE
È l’unico nervo che emerge dal versante mediale del muscolo grande psoas.
Decorre verso il basso, entra nella cavità pelvica e si porta in avanti,
adagiato sulla parete laterale della pelvi per impegnarsi nel canale
otturatorio, insieme ai vasi (c’è il foro otturatorio coperto dal muscolo
otturatore interno, esternamente ci sarà il muscolo otturatore esterno), portandosi esternamente alla piccola
pelvi. Così facendo raggiunge la superficie mediale della coscia.
Quando è ancora nel canale otturatorio (o sul punto di uscire) si divide in due rami (anteriore e posteriore
rispetto al muscolo adduttore breve):
- ramo anteriore del nervo otturatore: si porta a decorrere davanti al muscolo adduttore breve e dietro
al muscolo adduttore lungo. (tra adduttore breve e adduttore lungo) cede ad essi rami motori durante il
suo decorso. Si porta verso il basso e ancora più medialmente e raggiunge il muscolo gracile. Lo perfora
e lo innerva, infine perfora la fascia lata in alto rispetto al ginocchio e termina come ramo cutaneo
distribuendosi nella regione mediale della coscia di forma ovalare.
- ramo posteriore del nervo otturatore: perfora (e perciò innerva) il muscolo otturatore esterno, dopo
di che vi decorre adagiato. Successivamente decorre verso il basso dietro il muscolo adduttore breve,
si posiziona per un breve tratto tra muscolo adduttore breve e muscolo grande adduttore. Tale nervo va
a distribuirsi dal punto di vista motorio alla parte anteriore del muscolo grande adduttore. Il muscolo
grande adduttore ha una lunga origine dal ramo ischio-pubico alla tuberosità ischiatica. Questa
componente di muscolo che ha origine dal
ramo ischio-pubico viene innervata dal ramo
posteriore del nervo otturatore. In seguito,
questo ramo si porta verso il basso, passa
nello iato adduttorio e si distribuisce
posteriormente all’articolazione del ginocchio
(i rami che passano accanto le articolazioni
cedono dei rami sensitivi per le articolazioni).

Otturatore à parete laterale della piccola


pelvi, canale otturatorio, si divide in:

• Ramo anteriore per: adduttore


breve, gracile, adduttore lungo.

Ramo cutaneo per superficie ovalare inf mediale coscia

211
• Ramo posteriore: perfora otturatore esterno, si adagia grande
adduttore e articolaz ginocchio posteriormente

NERVO FEMORALE
È il nervo più grande del plesso lombare. Ha origine dalle divisioni
posteriori che non sono state coinvolte dal nervo laterale della
coscia di L2 ed L3 e da tutta la divisione posteriore di L4. Questo
nervo decorre all’interno del grande psoas provvedendo ad
innervarlo, ed emerge dal margine laterale di tale muscolo. Si
adagia nel solco fra muscolo iliaco e grande psoas e cede i rami
motori per il muscolo iliaco. Nel suo decorso verso la coscia
decorre pertanto nella lacuna dei muscoli. Si ritrova avvolto dalla
componente del muscolo grande psoas ed è posto lateralmente
rispetto ai vasi che decorrono nella lacuna dei vasi. Il nervo
femorale, infatti, dopo essere passato al di sotto del legamento
inguinale, passa nella lacuna dei muscoli insieme all’ileo-psoas e
si viene a trovare adagiato nel triangolo femorale. Quest’ultimo
ha come pavimento il muscolo ileo-psoas lateralmente e il
muscolo pettineo medialmente. Nella parte superiore del triangolo
femorale, il nervo femorale ha la caratteristica di dividersi
immediatamente nei suoi numerosi rami terminali. Alcuni sono
motori (la gran parte), altri sono sensitivi:
- Un Nervo muscolocutaneo, ovvero un ramo
anteriore che si porta appunto in avanti andando a perforare il muscolo sartorio, innervandolo (il più
superficiale della loggia anteriore della coscia). Quello che resta del ramo anteriore andrà a
rappresentare il nervo cutaneo, il quale si biforca a sua volta in
una componente anteriore e mediale (puramente sensitivi).

- L’unico ramo più esteso che si forma a livello di pavimento del triangolo femorale è il nervo safeno,
che è un nervo puramente sensitivo. Esso decorre nel canale adduttorio insieme ai vasi femorali, ma a
differenza di questi ultimi perfora in basso la fascia vasto-adduttoria, perfora anche la fascia lata e a
livello della superficie mediale del ginocchio si divide nei suoi rami terminali:
§ Infrapatellare che si distribuisce con i suoi rami terminali alla porzione inferiore del
ginocchio cedendo anche rami articolari;

§ Tibiale (cutaneo mediale), più lungo, decorre sulla superficie mediale della gamba
per raggiungere l’arco plantare, quindi pianta del piede).

- Nervo del muscolo quadricipite: è ciò che resta del femorale e che si sfiocca inferiormente per andare
ad innervare, con una componente motoria, i restanti muscoli della faccia anteriore della coscia (i capi
del quadricipite: vasto laterale, intermedio, mediale e muscolo retto femorale).

- Uno dei rami che si dividono a livello del pavimento del triangolo si distribuisce al muscolo pettineo
(non sempre accade ciò; il muscolo pettineo può avere innervazione o esclusivamente dal nervo
femorale o talvolta vi è la partecipazione anche del nervo otturatore).
La divisione anteriore è pertanto mista e ha sia componente sensitiva che motoria (che innerva il sartorio). I
rami cutanei anteriori si distribuiscono alla regione anteriore della coscia, completandone l’innervazione
anteriore.
Nervo à tra psoas ed iliaco, lacuna dei muscoli, anteriormente al pettineo
àRamo per articolazione coxo-femorale

àMuscolocutaneo anteriore per sartorio e cutaneo anteriore e mediale

212
àNervo del quadricipite

• Safeno, canale adduttori, nel ginocchio perfora la membr. Vasto-adduttoria e si


divide
 
o Infrapatellare per porzione inferiore ginocchio
 
o Tibiale per gamba mediale e margine mediale della pianta piede.

La porzione sensitiva della coscia è, quindi, soddisfatta, ad eccezione della poster. (gray 1338; tav 525-527)
-il femorale andrà a cedere i rami cutanei alla regione antero-mediale di essa (e tutta la regione mediale
della gamba);
-il nervo safeno innerva la porzione antero-mediale del ginocchio (ramo infrapatellare);
-il cutaneo laterale della coscia la innerva lateralmente;
-il ramo femorale del genito-femorale la restante parte supero-antero-mediale;
-l'ileo-inguinale la porzione supero-mediale della coscia.
- la pizzola porzione ovalare mediale della coscia è innervata dal ramo anteriore (cutaneo) del nervo
otturatore.

213
Plesso Sacrale (tav 484-490, 503-508¸gray 1445,1446,1396,1397)
Il plesso sacrale è costituito da quella piccola parte di L4 che non è stata coinvolta nel plesso lombare, da L5,
S1, S2 ed S3. I suoi rami passano posteriormente rispetto all’articolazione dell’anca e andranno a distribuirsi
a tutta la regione posteriore della coscia (in parte anche ad una regione mediale della coscia), a tutta la
gamba e a tutto il piede.
Il ramo minore di L4 e tutto il ramo di L5 hanno una direzione verticale verso il basso e formano insieme il
tronco lombo-sacrale, che si dirige verso S1, S2 ed S3 (le due componenti rimangono separate, anche se
normalmente si considerano unite perché destinate al plesso sacrale). Ad eccezione di S3 tutti i nervi si
suddividono in una componente anteriore e una posteriore.

(Le divisioni posteriori sono colorate in
giallo, quelle anteriori in verde.) Le
divisioni anteriori di L4, L5, S1, S2 e tutto
S3 si uniscono per formare il nervo
tibiale. Le
divisioni posteriori di L4, L5, S1 ed S2 si
uniscono per formare il nervo peroneo.
Nervo tibiale e nervo peroneo si
avvicinano tra loro, vengono avvolti da
una guaina comune e vanno a costituire
nell’ insieme il nervo ischiatico.Dalle
divisioni posteriori di L4, L5 e un
contributo di S1, si viene a formare il
nervo gluteo superiore.Da un contributo
di L5, S1, S2( sempre come suddivisione
posteriore) si forma il nervo gluteo
inferiore. Da nervo gluteo superiore a
inferiore si scala semplicemente di una
radice. Ci sono anche altri rami terminali
del plesso sacrale che non sono
rappresentati.



Nell’immagine sottostante si osserva la pelvi di destra in sezione sagittale. Notiamo che il ramo di L4 e tutto
L5 si dirigono verticalmente verso il basso a formare il tronco lombo-sacrale. Essi raggiungono la pelvi
scavalcando l’ala dell’osso sacro e incontrano S1,S2,S3, che emergono dai rispettivi fori sacrali anteriori.

214


Il muscolo su cui le divisioni anteriori di
questi nervi spinali si adagiano, è il muscolo
piriforme, che ha origine sulla superficie
anteriore del sacro, a lato dei fori sacrali. Il
plesso sacrale, quindi, è adagiato sul muscolo
piriforme. Questo muscolo attraversa il
grande foro ischiatico per portarsi
all’estremità mediale del grande trocantere e
suddivide il foro in due parti, uno spazio
sovrapiriforme e uno spazio sottopiriforme,
più ampio. Nello spazio sovrapiriforme
emergerà il nervo gluteo superiore, nello
spazio sottopiriforme emergeranno tutti gli
altri nervi del plesso sacrale che si
distribuiscono all’arto inferiore. Siamo
sempre in posizione posteriore rispetto
all’articolazione dell’anca, sia che si passi dal
sovrapiriforme, sia dal sottopiriforme.

NERVO GLUTEO SUPERIORE (tav 489, 490)
Si forma dal contributo dei rami posteriori di L4, L5, S1 ed è l’unico che emerge al di sopra del muscolo
piriforme. Per osservarlo rimuoviamo il muscolo grande e medio gluteo. Questo nervo decorre nello spazio
sovrapiriforme e si porta tra il piccolo e medio gluteo, dirigendosi lateralmente. Innerva piccolo, medio
gluteo, e l’ estremità laterale del nervo raggiunge il muscolo tensore della fascia lata, che troviamo

215
lateralmente in alto a partire dalla cresta iliaca, fino al
tratto ileo-tibiale. Il nervo gluteo superiore innerva,
quindi, il piccolo e il medio gluteo e il tensore.


NERVO GLUTEO INFERIORE (tav 489,490)
Si forma dall’unione dei contributi delle porzioni
posteriori di L5, S1, S2. Emerge al di sotto del muscolo
piriforme, subito medialmente al nervo. Il nervo
gluteo inferiore si porta superficialmente dirigendosi
indietro andando a penetrare il grande gluteo,
innervandolo.
I muscoli piriforme, gemello superiore, otturatore
interno, gemello inferiore, quadrato del femore sono
tutti innervati da rami che si staccano dal plesso
sacrale (è necessario sapere questo)
NERVO CUTANEO POSTERIORE DELLA COSCIA (tav. 489,490,471)
Si forma dal contributo delle porzioni posteriori di S1-S2 e anteriori di S2 ed S3. E’ un nervo puramente
sensitivo. Passa nello spazio sottopiriforme adagiandosi sul gluteo inferiore, prosegue poi verticalmente
verso il basso adagiandosi sui muscoli extrarotatori citati prima, infine si porta al margine inferiore del
grande gluteo e qui emerge. Cede rami per la regione cutanea della natica e prosegue come nervo cutaneo
posteriore della coscia perforando la fascia lata. Cede rami cutanei anche per la regione inferiore della
coscia, compresa la superficie cutanea della loggia poplitea.

NERVO ISCHIATICO (tav 489,490,527)
E’ il nervo più grande del corpo (misura 2 cm di larghezza e 0,5 di spessore). Emerge dalla porzione
sottopiriforme e si adagia sui muscoli gemello superiore, obliquo interno, gemello inferiore, quadrato del
femore, e corre in parallelo al nervo cutaneo posteriore della coscia. Prosegue verticale verso il basso e lo
andiamo a ritrovare sulla superficie posteriore della coscia, coperto esclusivamente dal capo lungo del
bicipite femorale, quindi è un nervo molto superficiale (la sua compressione nella posizione seduta genera
formicolio).
Decorre tra il capo lungo del bicipite e il muscolo grande adduttore. In questa regione della coscia cede i
rami per i muscoli della loggia posteriore, che hanno origine nella tuberosità ischiatica (ischio-crurali):
semitendinoso, semimebranoso, capo lungo del bicipite, capo breve del bicipite e parte del grande
adduttore(la parte che ha origine sulla tuberosità ischiatica)

216
Il muscolo grande adduttore ha
dunque una doppia innervazione:
la parte anteriore del muscolo è
innervata dal ramo posteriore
dell’otturatore, la parte posteriore
è invece innervata da rami
provenienti dal nervo ischiatico
[ricordiamo che il grande adduttore
origina dal ramo ischio-pubico alla
tuberosità ischiatica, un’origine
molto estesa sia in senso medio-
laterale che antero-posteriore]. La
porzione ischio-pubica è innervata
dal nervo otturatore, la porzione
(più grande) che origina dalla
tuberosità ischiatica e arriva al
tubercolo adduttorio, posto sopra
l’epicondilo mediale del femore,
invece dal nervo ischiatico.
Il nervo ischiatico si trova in
seguito nella loggia poplitea, che è
individuata da semitendinoso e
semimembranoso medialmente,
bicipite femorale lateralmente e
dai due gastrocnemi inferiormente.
Il nervo ischiatico si divide nelle sue componenti d’origine, nervo tibiale e nervo peroneo, il più delle volte
all’apice della losanga poplitea, ma questa suddivisione è molto variabile, infatti può dividersi anche più in
alto oppure addirittura le due origini rimangono divise già nella cavità pelvica.
Il nervo tibiale decorre verticalmente verso il basso (prosegue la direzione del nervo ischiatico), il nervo
peroneo comune diverge lateralmente.




-NERVO TIBIALE (TAV 528)

E’ un nervo superficiale che si trova nella loggia poplitea. Decorrere verticalmente e superficialmente,
attraversando tutta la loggia poplitea, e cedendo, sempre nella losanga, un ramo cutaneo mediale del
polpaccio (o cutaneo mediale della sura), il quale decorre insieme alla vena piccola safena portandosi
superficialmente e perforando la fascia crurale . Il nervo tibiale decorre tra i due gastrocnemi, si porta poi
verso il basso, dove si adagia sul muscolo popliteo e passa profondamente all’arcata tendinea del soleo. Si
viene a trovare tra i due compartimenti della muscolatura posteriore della gamba, separata dal setto
intermuscolare, per cui superficialmente c’è il tricipite della sura e profondamente il tibiale posteriore, il
flessore lungo dell’alluce e flessore lungo delle dita. Profondamente al setto intermuscolare decorre il nervo
tibiale, adagiato su questi muscoli profondi della gamba. Decorre verso il basso, si porta medialmente,

217
seguendo i tendini di questi muscoli flessori, si porta dietro al
malleolo mediale e giunto ala pianta del piede, si divide nei suoi
due rami terminali: ramo plantare mediale e ramo plantare
laterale.

L’innervazione motoria va a tutti i muscoli posteriori della


gamba, sia il piano superficiale (2 gastrocnemi, m. plantare,
popliteo, soleo) che il piano profondo (flessore lungo delle dita,
tibiale posteriore, flessore lungo dell’alluce) in quanto passa tra i
due piani.
Il nervo plantare laterale si può paragonare al nervo ulnare,
infatti si distribuisce a tutta la regione laterale della pianta del
piede (quinto dito) e innerva la muscolatura profonda del piede.
Il ramo mediale può essere paragonato al nervo mediano, infatti
innerva la muscolatura della pianta del piede relativa al primo
dito (abduttore dell’alluce e flessore breve).
Innervazione sensitiva: all’inizio il nervo
tibiale cede subito il ramo surale, il quale
perfora la fascia crurale. All’estremità
inferiore della losanga poplitea si fa
superficiale, decorre tra i due gastrocnemi
insieme alla vena piccola safena e si porta
verso il basso, dove andrà a terminare nella
regione laterale del piede. Questo nervo
cutaneo farà un’anastomosi (si unirà) con
un nervo proveniente dal nervo peroneo
comune. Il ramo laterale del nervo tibiale
innerva la parte laterale della pianta del
piede, il nervo plantare mediale invece ha
una maggiore estensione.



NERVO PERONEO COMUNE (tav 527, 529, 497, 508, 506)

218
Origina dalle divisioni posteriori di L4, L5, S1, S2.
Decorre lateralmente, seguendo il margine
inferiore del muscolo bicipite femorale per
raggiungere la testa della fibula dove cede il
ramo cutaneo laterale della sura. Questo
perfora la fascia crurale e si porta
superficialmente, innervando la porzione
antero-supero e postero-mediale della
gamba. I rami surali, sia del tibiale che del
peroneo comune (ricordiamo: cutaneo
mediale della sura e cutaneo laterale della
sura) effettuano un’anastomosi formando il
nervo surale, deputato all’innervazione della
regione postero-laterale della gamba.
Il nervo peroneo comune si porta di lato a
circondare il collo della fibula. A livello della
testa della fibula ha inserzione il muscolo
peroneo lungo, che viene perforato dal nervo
peroneo comune, il quale si viene a trovare
nella loggia laterale dei muscoli della gamba. Nello spessore del muscolo peroneo lungo, il nervo peroneo
comune si divide nei suoi due rami terminali: nervo peroneo superficiale, che resta nella loggia laterale, e
nervo peroneo profondo, che perfora il setto intermuscolare per raggiungere la loggia anteriore dei muscoli
della gamba.

-Il nervo peroneo profondo, nella loggia anteriore decorre adagiato sulla membrana interossea e ne
innerva la muscolatura (tibiale anteriore, estensore lungo dell’alluce, estensore comune delle dita),
compreso il muscolo peroneo terzo (flessore).In seguito passa al di sotto del retinacolo degli estensori, sia
quello superiore, sia quello inferiore e si divide in due rami: uno si dispone lateralmente per innervare
l’estensore breve delle dita, l’altro si porta più superficialmente e si divide in due rami per innervare la
superficie cutanea corrispondente alla superficie laterale del primo dito e alla superficie mediale del secondo
dito (infradito).

219






-Il ramo superficiale, nella loggia laterale innerva
il peroneo lungo e peroneo breve, emerge
anteriormente perforando la fascia crurale e
termina come nervo cutaneo. Il nervo cutaneo si
porta sul dorso del piede e si divide in un ramo
intermedio e un ramo mediale per innervare tutta
la regione del dorso del piede, ad esclusione di
quella piccola regione innervata dal ramo
profondo.









N ervo Origine Perco rso M uscolo C ute
Peroneo com une Divisione post. tronco Si u n isce q u asi su b ito R am o p ro fo n d o : tib iale Ram o cutaneo laterale
lo m bo sacrale al tibiale, passa anterio re, estenso re polpaccio o della sura,
(p o sterio re L4-L5) e esternamente alla lungo delle dita, anastomotici con quelli
divisione post S1 e S2 p icco la p elvi. estensore lungo del tibiale per zona
D iverge lat. d alla dell’alluce, estensore p o sterio re e laterale
lo sanga seguendo breve dita e dell’alluce. gam b a.
m argin e in f-m ed d el Ramo superficiale: R am o p rofon d o sfiocca
bicipite, gira attorno peroneo lungo e breve. in due cutanei:
alla testa fibula, in N o piede. cutaneo laterale
avanti, nella lo ggia lat indice, cutaneo
gam b a d ivid e in ram o m ed iale allu ce.
profondo (si porta ant, Ram o superficiale da:
passa so tto i 2 ram o cu tan eo d o rsale
retin aco li) e su p erf (al mediale del piede,
terzo inf. gam ba dorsale intermedio del
perfora fascia crurale) piede.
Si d istrib u isce q u in d i
alla parte della cute
ant-lat d ella gam ba e
alla superficie dorsale
d el p ied e.
Tib iale Divisione ant. tronco C o ntinua a deco rrere Tutti i muscoli R am o cu tan eo m ed iale
lo m bo sacrale (ant L4- superf dalla loggia posteriori gamba: della sura (vicino vena
L5) e d ivisio n i an t. S1, po p litea ed em ette u n gastro cn em i, p o p liteo , piccola safena).
S2 e tutto S3 ramo cutaneo che so leo e plan tare, R am i cu tan ei d iretti
p erfo ra fascia cru rale. flesso re lungo delle m ed ialm en te a livello
Decorre tra i due dita, tibiale posteriore, di articolazione tibio-
gastrocnemi e il flesso re lungo tarsica.
plan tare, p assa p ro f al dell’allu ce. Ramo cutaneo per il
ten d in e d el so leo . Plantare m ed iale p er i calcagn o .

220
Passa po i tra il flesso re m u sco li su p erficiali, Ramo plantare mediale
lungo dita e il tibiale p lantare laterale per d ita 1, 2, 3, e
post. Termina tutti i muscoli profondi medialmente il 4.
passando il retinacolo piede. Ramo plantare laterale
estensori, nella faccia per dito 5.
m ed iale p ied e.
D u e ram i term in ali:
p lan tare m ed e lat.

C ut. Po st. C o scia C o ntributo po rzio ni So tto p irifo rm e, segu e U n ram o per cute
ant e po st S1, S2, S3 ischiatico verso il b asso natica, uno per parte
e superficialmente, posteriore coscia e
p erfo ra fascia lata. lo ggia po plitea.

G luteo Superio re Po rzio n e p o st. L4, L5, U nico so vrapirifo rm e, Piccolo G luteo
S1 tra p icco lo e m ed io Medio Glutero
gluteo Ten so re fascia lata
G luteo Inferio re Po rzio n e p o st. L5, S1, So tto p irifo rm e, Grande Gluteo
S2 medialmente
all’ischiatico, penetra
grande gluteo
Ischiatico Convergenza di tibiale So tto p irifo rm e, va in Po rz. Po st. dalla
e peroneo b asso e fo rm a u n an sa, tuberosità ischiatica
p o sterio rm en te alla del G ran de add u tto re
co scia e p o i si d ivid e Tutti i muscoli
n elle co m p o n en ti posteriori coscia: capo
iniziali. lungo bicipite,
sem itend in o so ,
sem im em brano so ,
Tabella di riassunto muscoli
(Ordine cranio-caudale)

M u sco lo Origine In se rzio n e In n e rv a zio n e Azioni Topografia


A rite n o id e o tra sv e Cartilagine Cartilagine N e rv o la rin g e o Chiude la porzione L a rin g e o
o b liq u o a rite n o id e a a rite n o id e a o p p o sta rico rre n te in te rc a rtila g in e a d e lla rim a
della glottide
C rico -a rite n o id e o Arco della cartilagine Processo muscolare N e rv o la rin g e o A d d u c e le c o rd e v o c a li L a rin g e o
laterale crico id e a d e lla a rtite n o id e a rico rre n te
C rico -a rite n o id e o S u p e rficie p o ste rio re Processo muscolare N e rv o la rin g e o A b d u c e le c o rd e v o c a li L a rin g e o
posteriore della lamina della della aritenoidea rico rre n te
crico id e a
C rico -tiro id e o Cartilagine cricoide M a rg in e in fe rio re Ramo esterno Allunga e tende i legamenti L a rin g e o
anteriore d e lla tiro id e a e su o d e l la rin g e o vocali
corno inferiore su p e rio re
Tireo-aritenoideo A sp e tto p o ste rio re Processo muscolare N e rv o la rin g e o A c c o rc ia e rila ssa le c o rd e L a rin g e o
della tiroidea della aritenoidea rico rre n te vocali
Vocale P ro c e sso v o c a le d e lla L e g a m e n to v o c a le N e rv o la rin g e o T e n d e il le g a m e n to v o c a le L a rin g e o
a rite n o id e a rico rre n te a n te rio re , rila ssa il p o ste rio re
Tireo-ioideo L in e a o b liq u a la m in a Margine inferiore del Nervo A b b a ssa la la rin g e e lo io id e , In fra io id e o
della tiroidea corpo e grande corno ip o g lo sso so lle v a la tiro id e a
dello ioide
D ig a strico Ventre anteriore T e n d in e in te rm e d io A lza l’o sso io id e e la b a se d e lla S o p ra io id e o
(fossa digastrica attaccato al corpo lin g u a , sta b ilizza lo io id e , a p re
m a n d ib o la re ) e dello ioide la bocca abbassando la
p o ste rio re (in c isu ra mandibola
mastoidea
temporale)
Buccinatore Porz. Post del A n g o lo d e lla b o c c a Rami buccali C o m p rim e g u a n c e , e sp e lle Espressione
processo alveolare d e l n e rvo a ria , c o n trib u isc e a lla fa c ia le
m a sc e lla e c a v ità fa c ia le masticazione
m a n d ib o la ri o p p o ste
d e l m o la re , m a rg in e
a n t d e l ra fe
p te rig o id e o

221
O m o io id e o V e n tre in fe rio re L’inferiore termina al S ta b ilizza e a b b a ssa lo io id e In fra jo id e o
(margine superiore tendine intermedio, il
scapola e legamento su p e rio re a l c o rp o
so p ra sca p o la re ) e dell’osso ioide
superiore (tendine
so tto lo ste rn o c le id o )

222
S a lp in g o -fa rin g e o T u b a fa rin g o - Lato della parete N e rv o v a g o Solleva la faringe e laringe F a rin g e o
timpanica o di faringea durante la deglutizione e la
E u sta ch io fo n a zio n e
M a sse te re Arco zigomatico Ramo della Nervo S o lle v a e p ro tru d e la M a stic a to re
m a n d ib o la , p ro c e sso mandibolare, m a n d ib o la , le fib re p ro fo n d e
c o ro n o id e o via nervo la p o ste rio rizza n o .
m a sse te rin o
P te rig o id e o la te ra le C a p o su p e rio re F o ssa p te rig o id e a , Nervo Protrude la mandibola M a stic a to re
(superficie c a p su la a rtic o la zio n e mandibolare b ila te ra lm e n te ,
infratemporale della te m p o ro -m a n d e u n ila te ra lm e n te e
grande ala sfenoide) d isco a rtico la re a lte rn a tiv a m e n te p ro d u c e
e in fe rio re (la m in a sp o sta m e n to d a u n la to
pterigoidea laterale) all’altro
Pterigoideo mediale P ro c e sso p ira m id a le S u p e rfic ie m e d ia le Nervo Bilateralmente protrude e M a stic a to re
dell’osso palatino, del ramo e angolo mandibolare solleva, unilateralmente e
tu b e ro sità mandibola, sotto al a lte rn a tiv a m e n te p ro d u c e
mascellare, superficie forame mandibolare movimenti di lateralità
la t d e lla la m in a la t
d e lla p la cca
p te rig o id e a
T e m p o ra le T e tto d e lla fo ssa P ro c e sso c o ro n o id e o Nervo S o lle v a la m a n d ib o la e le fib re Masticazione
temporale, fascia e ra m o m a n d ib o la m a n d ib o la re e posteriori protrudono la
te m p o ra le p ro fo n d a n e rvi mandibola
temporali
p ro fo n d i
T e n so re d e l tim p a n o C a rtila g in e tu b a M a n ic o d e l m a rte llo Trigemino, O re c c h io
fa rin g o tim p a n ic a ra m o medio
mandibolare
Palatoglosso A p o n e u ro si p a la tin a A sp e tto la te ra le d e lla Solleva la lingua Palatale
del palato molle lin gu a posteriormente e abbassa il
palato
Tensore del velo Fossa scafoidea della A p o n e u ro si p a la tin a Nervo Tende il palato molle, apre la Palatale
p a la tin o placca mediale mandibolare tuba uditiva durante
p te rig o id e a , tu b a deglutizione e sbadiglio
fa rin g o u d itiv a
S c a le n o a n te rio re Tubercoli anteriori T u b e rc o lo sc a le n o R am o Solleva 1° costa (se punto fisso P a ra v e te b ra le
dei processi trasversi sulla 1° costa a n te rio re n e rv i c o ste , in sp ira zio n e ) e c u rv a il
C 3 -C 6 cervicali C5-C8 collo (se punto fisso è la
colonna)
Scaleno medio T u b p o ste rio ri d e i S u p e rfic ie su p e rio re R am o Solleva la 1° costa (se punto P a ra v e rte b ra le
processi trasversi di 1 ° c o sta d ie tro il so lc o a n te rio re d i fisso c o ste , in sp ira zio n e ) e
C 2 -C 7 su ccla v io C 3 -C 7 c u rv a il c o llo (se p u n to fisso è
la colonna)
Scaleno posteriore T u b p o ste rio ri d e i S u p e rfic ie e ste rn a 2 ° R am o Solleva la 2° costa (se punto P a ra v e rte b ra le
processi trasversi di costa dietro l’attacco a n te rio re d e i 4 fisso c o ste , in sp ira zio n e ) e
C 4 -C 6 d e l d e n ta to a n te rio re ce rv ica li c u rv a il c o llo (se p u n to fisso è
inferiori la colonna)

Stilo-faringeo V e rsa n te m e d ia le Parete faringea


processo stiloideo
Stilo-ioideo Margine posteriore Corpo dell’osso ioide
processo stiloideo
Stilo-glosso Processo stiloideo e V e rsa n te la te ra le e
legamento stilo- in fe rio re lin g u a
ioideo
Sternocleidomastoideo Capo sternale Superficie laterale Nervo B ila te ra lm e n te fle tte la te sta e C o llo
(superficie anteriore p ro c e sso m a sto id e o , accessorio alza il torace, unilateralmente
m a n u b rio ) e metà laterale linea g ira la fa c c ia v e rso il la to
clavicolare (superficie nucale superiore opposto
su p d l te rzo m e d ia le d e ll’o c c ip ita le .
clavicola)
In te rc o sta li e ste rn i M a rg in e in fe rio re M a rg in e su p . co sta Nervi Sostiene gli spazi nella Intrinseci del
c o sta (tu b e rc o lo so tto sta n te (tra p a rte in te rco sta li re sp ira zio n e e so lle v a c o ste T o ra c e
co sta le ) ossea e cartil.)
Membr intercost
esterna
Intercostali interni M a rg in e in fe rio re M a rg in e c o sta e Nervi A b b a ssa c o ste e sp ira zio n e In trin se c i
co sta cartilagini costali in te rco sta li forzata T o ra c e
F in o a ll’a n g o lo
c o sta le . M e m b r
in te rco s in te rn a
In te rc o sta li in tim i M a rg in e in fe rio re C o m e in te rn i In te rco sta li C o m e in te rn i In tr. T o ra ce

223
S i tro v a n o tra
vasi/nervi e pleura
S o tto co sta li S u p . in te rn a u ltim e 5 Margine superiore 2° In te rco sta li A b b a ssa n o le c o ste In trin se c i
coste vicino o 3° costa T o ra c e
a ll’a n g o lo so tto sta n te . S o n o
d e n tro g li in te rc o st.
In te rn i
T ra v a si/n e rv i e
pleura
T ra sv e rso T o ra c e S u p . in te rn a d e lle F a c c ia p o ste rio re e Nervi A b b a ssa c o ste e c a rtila g in i In trin se c i
c a rtila g in i c o st 2 -6 m a rg in e la te ra le In te rco sta li costali T o ra c e
ste rn o c o rp o e
p ro c e sso x ifo id e o
E le v a to re c o ste Processi trasversi C7- Costa sottostante tra Solleva le coste In trin se c i
T11 tu b e rc o lo e a n g o lo T o ra c e
In te rsp in a li P ro ce sso sp in o so P ro ce sso sp in o so Aiuta nell’estensione colonna Intriseci
adiacente T o ra c e
(S e g m e n ta le )
D ia fra m m a P ro c e sso x ifo id e o , Centro frenico N e rv o fre n ico S p in g e c e n tro fre n ic o in b a sso Intrinseco
ultime 6 cartilagini e in avanti nell’inspirazione T o ra c e
costali e vertebre L1-
L3
G ra n d e P e tto ra le M e tà ste rn a le L a b b ro la te ra le d e l Nervo A d d u c e e ru o ta m e d ia lm e n te Estrinseci
clavicola, sterno e so lc o b ic ip ita le p e tto ra le l’o m e ro T o ra c e
prime 7 cartilagini, omero (tendine la te ra le Toraco-
aponeurosi spiralizzato). appendic.
d e ll’o b liq u o e ste rn o Forma il pilastro
a n te rio re d e l c a v o
ascellare.
Piccolo Pettorale Superficie esterna Processo coracoideo Nervo A b b a ssa la sc a p o la , p o rta in Toraco-
co ste 3 -5 p e tto ra le avanti la spalla appendic.
m e d ia le
Succlavio P a rte in fe rio re P rim a c o sta Stabilizza clavicola, sterno- Toraco-
cla vico la c o sta le e c o sto -c la v ic o la re e fa appendic.
da tetto a vasi
Dentato Anteriore Superficie esterna S u p e rfic ie c o sta le d e l Nervo toracico Ruota la scapola o solleva le Toraco-
costa 8° e 9° margine vertebrale lu n g o co ste appendic.
scapola
Dentato Postero- P ro ce sso sp in o so F a c c ia in fe rio re c o ste Deprime le coste (abbassa) D o rso
In fe rio re T1 1 -L2 9-12 in te rm e d io
Dentato Postero- Le g a m e n to n u ca le , Faccia superiore E le v a le c o ste (so lle v a , q u a n d o D o rso
Superiore processo spinoso C7- co ste 2 -4 la scapola è fissa) in te rm e d io
T3
E le v a to re d e lla sc a p o la Tubercolo posteriore B o rd o m e d ia le Nervo dorsale E le v a la sc a p o la m e d ia lm e n te , D o rso
processi trasversi C1- scapola, sopra la base sc a p o la re e ru o ta in fe rio rm e n te la c a v ità su p e rficia le
C4 della spina C 3 -C 4 glenoidea
Grande dorsale P ro ce sso sp in o so T 7 - O m e ro , so lc o Nervo Toraco E ste n d e , a d d u c e e ru o ta D o rso
T12 in te rtu b e rc o la re d o rsa le medialmente l’omero su p e rficia le
Grande romboide P ro ce sso sp in o so T 2 - B o rd o m e d ia le Nervo dorsale F issa la sc a p o la a lla p a re te D o rso
T5 scapola sca p o la toracica, la ritrae e la ruota su p e rficia le
p e r d e p rim e re la c a v ità
glenoidea
P icco lo ro m b o id e Le g a m e n to n u ca le , M a rg in e m e d ia le Nervo dorsale F issa la sc a p o la a lla p a re te D o rso
processo spinoso C7- sp in a sca p o la sca p o la to ra c ic a e la ritra e e ru o ta p e r su p e rficia le
T1 d e p rim e re la c a v ità g le n o id e a
Trapezio Linea nucale Terzo laterale Nervo Eleva, ritrae e ruota la scapola, D o rso
su p e rio re , clavicola, acromion, accessorio le fibre inferiori deprimono la su p e rficia le
protuberanza sp in a sca p o la scapola
o ccip ita le e ste rn a ,
legamento nucale,
processo spinoso C7-
T12
In te rsp in o si P ro ce sso sp in o so P ro ce sso sp in o so Aiuta nell’estensione colonna S e g m e n ta le
adiacente
In te rtra v e rsa rio Tra processi trasversi A ssiste n e lla fle ssio n e la te ra le S e g m e n ta le
laterale dei lombi a d ia ce n ti colonna
O b liq u o e ste rn o Superfici esterne L in e a a lb a , tu b e rc o lo Comprime e sostiene i visceri P a re te
d e lle c o ste 5 -1 2 pubico, metà addominali, flette e ruota il addominale
anteriore cresta iliaca tronco dal proprio lato se a n te rio re
c o n tra zio n e m o n o la te ra le

224
Obliquo interno F a sc ia to ra c o - M a rg in e in fe rio re V e d i l’e ste rn o Parete
lombare 2/3 anteriori c o ste 1 0 -1 2 , lin e a addominale
d e lla cre sta ilia ca , alba, cresta pubica, anteriore
m e tà la te ra le d e l c re sta p e ttin e a p u b e
legamento inguinale p e r m e zzo d e l
te n d in e co n g iu n to
R e tto d e ll’a d d o m e F le tte il tro n c o , c o m p rim e i Parete
visceri addominali addominale
anteriore
Trasverso dell’addome Comprime e sostiene i visceri Parete
addominali addominale
anteriore
Q u a d ra to d e i lo m b i M e tà m e d ia le d e l Legamento ileo- Estende il tronco e fissa la 12° Parete
margine inferiore lo m b a re , la b b ro costa durante l’inspirazione addominale
della 12° costa, apici interno cresta iliaca (contrazione bilaterale), posteriore
processi trasversi in c lin a la te ra lm e n te la c o lo n n a
d e lle v e rte b re (monolaterale)
lo m b a ri
Deltoide Terzo laterale T u b e ro sità d e lto id e a Nervo Parte clavicolare flette e ruota Spalla
cla v ico la a n te rio re , o m e ro a sce lla re m e d ia lm e n te b ra c c io , p a rte
a c ro m io n la te ra le , acromiale adduce il braccio
bordo inferiore spina o ltre il 1 5 g ra d i (so p ra sp in a to )
scapola e la sp in a le e ste n d e e ru o ta
lateralmente il braccio
G ra n d e ro to n d o S u p e rficie p o ste rio re L a b b ro m e d ia le so lc o Nervo A d d u c e e ru o ta m e d ia lm e n te Spalla
d e ll’a n g o lo in fe rio re in te rtu b e rc o la re so tto sc a p o la re il b ra c c io
scapola o m e ro in fe rio re
P ic c o lo ro to n d o 2 /3 su p e rio ri d e lla F a c c e tta in fe rio re d e l Nervo R u o ta la te ra lm e n te il b ra c c io Spalla
su p e rficie p o st d e l tubercolo maggiore a sce lla re
bordo laterale o m e ro
scapola
Sopraspinato Fossa sopraspinosa Faccetta superiore Nervo In izia l’a b d u zio n e d e l b ra c c io , Spalla
scapola e fascia d e l tu b e rc o lo soprascapolare a g isc e a ssie m e a lla lo g g ia d e i
profonda m a g g io re o m e ro ro ta to ri
Infraspinato F o ssa in fra sp in o sa F a cce tta m e d ia Nervo R o ta zio n e la te ra le b ra c c io c o n Spalla
scapola e fascia tubercolo maggiore soprascapolare il piccolo rotondo
profonda o m e ro
S o tto sca p o la re F o ssa so tto sca p o la re Tubercolo minore Nervi R u o ta m e d ia lm e n te il b ra c c io Spalla
o m e ro sottoscapolari e lo adduce, aiuta a mantere
superiore e la testa dell’omero articolata
in fe rio re
Succlavio 1 ° co sta a ll’a lte zza S u p e rfic ie in fe rio re N e rv o p e r il A n c o ra e d e p rim e la c la v ic o la Spalla
della giunzione con la del terzo medio della succlavio
ca rtila g in e cla vico la
Anconeo S u p e rficie p o ste rio re Superficie laterale Nervo radiale A ssiste il tric ip ite Braccio
epicondilo laterale o le c ra n o e u ln a nell’estensione del gomito,
o m e ro prossimale posteriore a b d u c e l’u ln a n e lla p ro n a zio n e
Bicipite brachiale Capo lungo Tuberosità radiale, Nervo muscolo Flette e supina l’avambraccio Braccio
(tu b e rco lo fa sc ia a v a m b ra c c io cu ta n e o
sopraglenoideo c o n l’a p o n e u ro si
sc a p o la ) e b re v e b icip ita le
(apice del processo
coracoideo)
B ra c h ia le Metà distale della P ro c e sso c o ro n o id e o Nervo muscolo F le tte l’a v a m b ra ccio Braccio
superfice anteriore e tu b e ro sità u ln a c u ta n e o e
o m e ro ra d ia le
C o ra c o -b ra c h ia le Apice del processo Terzo medio della Nervo muscolo F le tte e a d d u c e il b ra c c io Braccio
coracoideo scapola su p e rficie m e d ia le cu ta n e o
o m e ro
T ric ip ite b ra c h ia le Capo lungo Superficie posteriore Nervo radiale Estende l’avambraccio, il capo Braccio
(tu b e rco lo processo olecranico lu n g o sta b ilizza la te sta
in fra g le n o id e o u ln a d e ll’o m e ro a b d o tto e d
sc a p o la ), la te ra le estende e adduce il braccio.
(metà superiore
o m e ro p o ste rio re ) e
mediale (2/3 distali
o m e ro m e d ia le e
posteriore)
Abduttore lungo S u p e rficie p o ste rio re B a se 1 ° m e ta c a rp o Nervo radiale, A b d u c e e d e ste n d e il p o llic e Avambraccio
p o llice ulna, radio e in te ro sse o posteriore
m e m b ra n a in te ro sse a posteriore

225
Brachio-radiale 2 /3 p ro ssim a li cre sta P a rte la te ra le Nervo radiale Debole flessione avambraccio Avambraccio
so p ra co n d ilo id e a estremità distale quando è semipronato posteriore
la te ra le d e ll’o m e ro radio
E ste n so re b re v e d e l S u p e rficie p o ste rio re Dorso base falange Nervo radiale, Estende la falange prossimale Avambraccio
p o llice del radio e prossimale pollice in te ro sse o p o llice posteriore
m e m b ra n a in te ro sse a posteriore
Estensore lungo del S u p e rficie p o ste rio re Base dorsale falange Nervo radiale, Estende la falange distale Avambraccio
p o llice te rzo m e d io d e ll’u ln a distale pollice in te ro sse o p o llice posteriore
e m e m b ra n a posteriore
in te ro sse a
E ste n so re d e l m ig n o lo Epicondilo laterale Espansione Nervo radiale, Estende il mignolo Avambraccio
o m e ro dell’estensore del 5° in te ro sse o posteriore
dito posteriore
E ste n so re in d ic e S u p e rficie p o ste rio re Espansione Nervo radiale, Estende l’indice e aiuta a Avambraccio
u ln a e m e m b ra n a dell’estensore del 2° in te ro sse o estendere la mano posteriore
in te ro sse a dito posteriore
E ste n so re d e lle d ita Epicondilo laterale Espansioni Nervo radiale, E ste n d e le 4 d ita m e d ia li, Avambraccio
d e ll’o m e ro d e ll’e ste n so re d e lle 4 in te ro sse o assiste nell’estensione del posteriore
dita mediali posteriore p o lso
E ste n so re ra d ia le Epicondilo laterale B a se d o rsa le 3 ° Nervo radiale, E ste n d e e a b d u c e la m a n o Avambraccio
b re v e d e l ca rp o o m e ro m e ta c a rp o e b ra n c a ra m o posteriore
per 2° metacarpo p ro fo n d o
E ste n so re ra d ia le Terzo distale della B a se d o rsa le d i 2 ° e Nervo radiale E ste n d e e a b d u c e la m a n o Avambraccio
lu n g o d e l c a rp o cresta 3° metacarpo posteriore
so p ra co n d ilo id e a
o m e ro
E ste n so re u ln a re d e l Epicondilo laterale B a se d o rsa le 5 ° Nervo radiale, E ste n d e e a d d u c e la m a n o Avambraccio
ca rp o omero e bordo m e ta c a rp o in te ro sse o posteriore
p o ste rio re u ln a posteriore
Supinatore Epicondilo laterale Superficie laterale, Nervo radiale, Supina l’avambraccio Avambraccio
o m e ro , c re sta d e l p o ste rio re e ra m o posteriore
su p in a to re u ln a re anteriore del terzo p ro fo n d o
prossimale del radio
F le sso re lu n g o d e l Superficie anteriore B a se p a lm a re fa la n g e Nervo F le tte le fa la n g i p o llic e Avambraccio
p o llice del radio e distale pollice m e d ia n o , anteriore
m e m b ra n a in te ro sse a in te ro sse o
a n te rio re
F le sso re p ro fo n d o S u p e rficie m e d ia le e B a se p a lm a re fa la n g i N e rv o u ln a re e Flette le falangi distali delle 4 Avambraccio
d e lle d ita a n te rio re ¾ d ista li 4 d ita m e d ia li m e d ia n o dita e assiste nella flessione anteriore
prossimali ulna e d e lla m a n o
m e m b ra n a in te ro sse a
F le sso re su p e rfic ia le C a p o o m e ro -u ln a re Corpi delle falangi Nervo Flette le falangi media e Avambraccio
d e lle d ita (epicondilo mediale m e d ie d e lle 4 d ita m e d ia n o p ro ssim a le d e lle 4 d ita anteriore
omero e processo mediali m e d ia li, fle tte la m a n o
c o ro n o id e o u ln a ) e
ra d ia le (m e tà
su p e rio re ra d io
anteriore)
Palmare lungo E p ico n d ilo m e d ia le Metà distale del Nervo F le tte la m a n o e te n d e Avambraccio
o m e ro fle sso re d e l m e d ia n o l’a p o n e u ro si p a lm a re anteriore
retinacolo e
a p o n e u ro si p a lm a re
Flessore radiale del E p ico n d ilo m e d ia le B a se 2 ° m e ta c a rp o Nervo F le tte e a b d u c e la m a n o Avambraccio
ca rp o o m e ro m e d ia n o anteriore
F le sso re u ln a re d e l C a p o o m e ra le Osso pisiforme, N e rv o u ln a re F le tte e a d d u c e la m a n o Avambraccio
ca rp o (epicondilo mediale u n c in o , b a se d e l 5 ° anteriore
omero) e ulnare m e ta c a rp o
(olecrano e bordo
posteriore ulna)
P ro n a to re q u a d ra to Quarto distale ulna Q u a rto d ista le ra d io Nervo P ro n a l’a v a m b ra c c io Avambraccio
anteriore anteriore m e d ia n o , anteriore
in te ro sse o
a n te rio re
P ro n a to re ro to n d o D u e ca p i: e p ico n d ilo A m e tà stra d a lu n g o Nervo P ro n a l’a v a m b ra c c io e a ssiste Avambraccio
m e d ia le o m e ro e la superficie laterale m e d ia n o n a lla fle ssio n e anteriore
processo coronoideo radio
ulna
1 ° e 2 ° lo m b ric a le Nervo E ste n d e d ita e fle tte le Mano
m e d ia n o a rtic o la zio n i m e ta c a rp o -
falangee

226
3 ° e 4 ° lo m b ric a le N e rv o u ln a re , C o m e g li a ltri d u e M ano
ra m o
p ro fo n d o
Abduttore breve del Flessore del Lateralmente alla Nervo A b d u ce p o llice M ano
p o llice re tin a co lo , tu b e rco li base falange m e d ia n o ,
dello scafoide e prossimale pollice ra m o
trapezio rico rre n te
Abduttore mignolo Osso pisiforme e M e d ia lm e n te fa la n g e N e rv o u ln a re , Abduce il mignolo M ano
tendine del flessore p ro ssim a le m ig n o lo ra m o
u ln a re c a rp o p ro fo n d o
A d d u tto re p o llice N e rv o u ln a re , A d d u c e il p o llic e M ano
ra m o
p ro fo n d o
Flessore breve del N e rv o u ln a re , F le tte fa la n g e p ro ssim a le M ano
m ig n o lo p ro fo n d o mignolo
Flessore breve del Nervo F le tte la fa la n g e p ro ssim a le M ano
p o llice m e d ia n o , p o llice
ra m o
ric c o rre n te
Interossei dorsale e N e rv o u ln a re , A b d u c o n o e a d d u c o n o le d ita M ano
palmare p ro fo n d o
Opponente dito N e rv o u ln a re M ano
m ig n o lo e d e l p o llic e p ro fo n d o e
m e d ia n o
rico rre n te
P a lm a re b re v e Ramo palmare R e n d e p iù p ro fo n d o il c a v o M ano
superficiale della mano, assiste nella presa
d e ll’u ln a re
P ic c o lo p so a s T12 Riflessione del Solo nel 50% individui A n c a , in te rn i
legamento inguinale
Ile o p so a s Ile o d a lla c re sta ilia c a P ic c o lo tro c a n te re F le ssio n e c o sc ia e A n c a , in te rn i
in te rn o ; fe m o re e x tra ro ta zio n e c o n p u n to fisso
Grande psoas da T12- su ra c h id e e c re sta ; fle ssio n e
L5 co rp i e p ro c. busto se sul femore. Collabora
tra sve rsi per inclinazione laterale.
Grande Gluteo Le g a m e n to sa cro T u b e rc o lo g lu te o E xtra ro ta zio n e Anca, esterni
tuberoso, Fascia Estensore più potente su p e rfic ia li
lombosacrale, sacro e Sollevamento busto da seduti
cresta iliaca A d d u tto re -A b d u tto re
posteriorm.
Tensore della fascia Spina iliaca antero- Tratto ileo-tibiale Sostiene fascia lata, posizione Anca, esterni
la ta su p e rio re eretta, mantiene il femore su p e rfic ia li
n e ll’a c e ta b o lo
Medio Gluteo Tra linea ant. e post. Grande trocantere F u n zio n e a n a lo g a a l d e lto id e , Anca, esterni
d e lla su p e rfic ie g lu te a fe m o re v e d i p ic c o lo g lu te o su p e rfic ia li
d e ll’o sse o ilia c o
Piccolo Gluteo Tra linea ant. e inf Grande trocantere, A b d u zio n e c o sc ia Anca, esterni
sotto medio gluteo Ma anche intrarotazione fasci su p e rfic ia li
a n te rio ri, e x tra ro ta zio n e fa sc i
p o ste rio ri
P irifo rm e F a c c ia a n te rio re sa c ro Grande trocantere Nervi sacrali D a l p irifo rm e a l q u a d ra to Anca, esterni
al 2°, 3°, 4° foro so tto m e d io e p ic c o lo superiori, rami femorale analoghi a cuffia dei p ro fo n d i
sacrale gluteo ve n tra li ro ta to ri.
E x tra ro ta zio n e fe m o re e
stabilizzazione anca
G e m e llo su p e rio re S p in a isch ia tica Base grande Anca, esterni
trocantere p ro fo n d i
G e m e llo in fe rio re Tuberosità ischiatica F o ssa tro c a n te ric a Anca, esterni
p ro fo n d i
Otturatore interno P a rte in t. d e lla F o ssa tro c a n te ric a R u o ta la te ra lm e n te la c o sc ia Anca, esterni
m e m b ra n a e ste rn a , a d d u c e la c o sc ia p ro fo n d i
o ttu ra to ria flessa all’anca
Otturatore esterno P a rte e st. D e lla F o ssa tro c a n te ric a Anca, esterni
m e m b ra n a p ro fo n d i
o ttu ra to ria
Q u a d ra to fe m o ra le Tuberosità ischiatica Cresta Anca, esterni
in te rtro c a n te ric a p ro fo n d i
S a rto rio Spina iliaca antero- S u p e rfic ie m e d ia le F le ssio n e g a m b a e c o sc ia Coscia,
su p e rio re tibia, sotto il condilo E x tra ro ta zio n e e a b d u zio n e antero-lat
m e d ia le , Z a m p a d ’o c a

227
Quadricipite fem. Tendine comune che Coscia,
d iv e n ta le g a m e n to antero-lat
patellare
-Retto del quad S p in a ilia ca a n te ro Tendine comune del B ia rtico la re
in fe rio re e te tto q u a d ric ip ite fe m o ra le Flessione coscia e estensione
acetabolo gam ba
-Vasto mediale L a to m e d ia le lin e a Tendine comune E ste n sio n e g a m b a
aspra e mediale linea q u a d ric ip ite fe m o ra le
in te rtro c a n te ric a
-Vasto laterale Lato laterale linea Tendine comune E ste n sio n e g a m b a
a sp ra e la t lin e a q u a d ric ip ite fe m o ra le
in te rtro c a n te ric a
-Vasto intermedio S e g m e n to c e n tra le Tendine comune E ste n sio n e g a m b a
lin ea q u a d ric ip ite fe m o ra le
in te rtro c a n te ric a
Pettineo C re sta p e ttin e a d e l Linea pettinea (linea A d d u tto re c o sc ia Coscia,
coxale asp ra p o ste ro -m e d
su p e ro m e d ia lm ) Superficiali
Adduttore lungo Tubercolo e sinfisi Linea aspra del A d d u tto re c o sc ia Coscia,
p u b ica fe m o re p o ste ro -m e d
Superficiali
Gracile B ra n ca p u b ica Secondo tendine Flessione gamba Coscia,
(porzione ant ramo della Zampa d’oca A d d u zio n e c o sc ia p o ste ro -m e d
isc h io p u b ic o ) Superficiali
Adduttore breve Tubercolo e sinfisi Linea aspra femore Coscia,
p u b ica p o ste ro -m e d
In te rm e d io
G ra n d e a d d u tto re B ra n ca isch ia tica e Linea aspra C o m p o n e n te a n t a d d u tto ria Coscia,
tu b e ro sità isc h ia tic a Tubercolo del Componente post estensoria p o ste ro -m e d
muscolo grande P ro fo n d o
adduttore
B icip ite F e m o ra le Tuberosità ischiatica Unico tendine sulla C a p o lu n g o su p e rfic ia le , c a p o Coscia, post
c a p o lu n g o ; c a p o testa fibula breve profondo proprm detti
b re v e lin e a a sp ra E ste n so re co scia
Flessore gamba
S e m ite n d in o so Tuberosità ischiatica Z a m p a d ’o c a te rzo E ste n so re co scia Coscia, post
m u sco lo Flessore gamba proprm detti
Superf med.
Semimebranoso Tuberosità Ischiatica Condilo mediale tibia Manda legamento polpiteo Coscia, post
o b liq u o p e r a rtic o la zio n e proprm detti
E ste n so re co scia Prof lat
Flessione gamba
P o p lite o C o n d ilo la te ra le L in e a o b liq u a tib ia Simile all’anconeo G a m b a , lo g g ia
fe m o re E ste n so re c o sc ia e fle ss g a m b a p o st. P ro fo n d i
Tibiale anteriore V e rsa n te la te ra le V e rsa n te m e d ia le Estensione (flessione dorsale) G a m b a , lo g g ia
corpo tibia, condilo e p ie d e , 1 ° o sso A b d u zio n e e su p in a zio n e ant.
m e m b ra n a in te ro sse a m e ta ta rsa le . p ie d e
Retinacolo estensori
E ste n so re lu n g o d ita Tibia, perone e Quattro tendini per le E ste n so re p ie d e G a m b a , lo g g ia
m e m b r in te ro sse a u ltim e 4 d ita ant.
E st. L u n g o a llu c e P iù in b a sso d e l e st F a la n g e d ista le a llu c e E ste n so re p ie d e G a m b a , lo g g ia
lungo delle dita, ant.
faccia med perone e
m e m b r in te ro sse a
Peroneo lungo P e ro n e L u n g o te n d in e d ie tro Abduzione piede G a m b a , lo g g ia
malleolo laterale, Collabora con flessori la te r.
p ia n ta p ie d e fin o a l 1 ° p o ste rio ri
m e ta ta rs
Peroneo breve P e ro n e 5° metatasale Abduzione piede G a m b a , lo g g ia
la te r.
P e ro n e o te rzo P e ro n e , n o n se m p re 5 ° m e ta ta rsa le C o lla b o ra c o n g li e ste n so ri G a m b a , lo g g ia
p re se n te , v e rsa n te a n te rio rm e n te a n te rio ri. S p e sso fu so c o n la te r.
laterale estensore lungo dita
T ib ia le p o ste rio re Tibia, perone, membr Dietro malleolo F le ssio n e p la n ta re G a m b a , lo g g ia
in te ro sse a mediale, ventaglio Adduzione p o st. P ro fo n d i
per ossa cuneiformi e R o ta zio n e in te rn a p ie d e
m e ta ta rsa li su lla
pianta del piede
F le sso re lu n g o d ita Porzione mediale Tendine plantare alle Flessore plantare G a m b a , lo g g ia
faccia posteriore tibia fa la n g i in te rm e d ie e p o st. P ro fo n d i
distali ultime 4 dita

228
F le ss. lu n g o a llu ce L a te ra le risp e tto a l Dietro malleolo Flessore plantare G a m b a , lo g g ia
tibiale anteriore m e d ia le e fin o a lla p o st. P ro fo n d i
fa la n g e d ista le a llu c e
Soleo P e ro n e so tto la te sta T e n d in e d i A ch ille F le sso re p la n ta re (tric ip ite G a m b a , lo g g ia
e linea del soleo su lla tu b e ro sità su ra le ) p o st.
calcagno Superficiali
Gastrocnemio S o p ra i d u e e p ico n d ili T e n d in e d i A ch ille F le sso re p la n ta re (tric ip ite G a m b a , lo g g ia
su lla tu b e ro sità su ra le ) p o st.
calcagno Superficiali
P la n ta re Epicondilo laterale L u n g h issim o te n d in e Flessore plantare
fin o a l T e n d in e d i
A ch ille

I nervi cranici
I – Nervo olfattivo (NC I)
II – Nervo ottico (NC II)
III – Nervo oculomotore (NC III)
IV – Nervo trocleare (NC IV)
V – Nervo trigemino (NC V) che cede:
V1 – Nervo oftalmico (fessura orbitaria superiore)
V2 – Nervo mascellare (foro rotondo)
V3 – Nervo mandibolare (foro ovale)
VI – Nervo abducente (NC VI)
VII – Nervo intermedio-faciale (NC VII)
VIII – Nervo vestibolo-cocleare (NC VIII)
IX – Nervo glosso faringeo (NC IX)
X – Nervo vago (NC X)
XI – Nervo accessorio (NC XI)
XII – Nervo ipoglosso (NC XII)

Verde = misto
Arancio = motore
Viola = olfattivo

229
Apparato cardiovascolare
Il cuore è l'organo motore centrale dell’apparato cardio-circolatorio (o cardio-vascolare) che comprende anche
una serie di altre strutture e di condotti cavi che sono i vasi sanguigni: le arterie trasportano sangue lontano dal
cuore e le vene lo riportano al cuore; i capillari sono piccoli vasi a parete sottile che connettono arterie e vene di
piccolo calibro e son definiti vasi di scambio.
Il cuore è una pompa aspirante e premente, rispetto al quale si organizzano due sistemi di vasi che costituiscono i
due sistemi circolatori principali:
-Il Grande circolo (o circolo sistemico) che trasporta sangue ricco di ossigeno (sangue arterioso) alla
periferia e riporta sangue ricco di anidride (venoso) al cuore.
-Il Piccolo circolo (o circolo polmonare) che conduce sangue ricco di anidride carbonica (venoso) dal
cuore ai polmoni e riporta sangue ricco di ossigeno (arterioso) al cuore.

Premessa: differenza tra organi cavi e pieni


Gli organi cavi hanno una cavità o più, o un lume attorno ai quali si organizza una parete che spesso è composta da più
strati. Il cuore è un organo cavo, come i vasi sanguigni e gli organi dell’apparato digerente. Sono cavi tutti gli organi
che si sviluppano da un tubo primitivo.

Gli organi pieni non presentano un lume ben strutturato o cavità; hanno una capsula di rivestimento fibrosa che riveste
un tessuto principale, il parenchima, che può essere suddiviso in più parti (lobi e/o lobuli) da setti (stroma) che si
diramano dalla capsula periferica; altra caratteristica è quella di possedere un punto di entrata e uscita per vasi e
nervi (ilo). Un ilo sulla faccia mediale si potrà vedere nel polmone, un organo pieno che comunque richiede delle
precisazioni perché comprende anche una serie di cavità. Il fegato è un organo pieno, come il rene e il muscolo.

Il Cuore
Il cuore batte 100 mila volte al giorno e pompa 7,5 milioni di litri di sangue all’anno. La quantità di sangue pompata varia notevolmente
e le prestazioni del cuore sono controllate e regolate dal sistema nervoso.

Localizzazione e posizionamento (tav 213, 241, 227, 228)


Lo collochiamo nel torace in posizione centrale rispetto ai polmoni (invisibili ai raggi x perché contenenti aria).
Si adagia sul centro frenico del diaframma (i cui pilastri mediali si allungano e convergono a dare il legamento
arcuato mediano) e si trova in uno spazio detto mediastino.
Il mediastino si estende in senso antero-posteriore dallo sterno alla colonna vertebrale, in senso latero-
laterale comprende tutte le strutture che troviamo medialmente ai polmoni e in senso cranio-caudale dalla
base del collo al centro frenico. Una buona parte di questa cavità mediastinica è occupata dal cuore che si
trova anteriormente (è anteriore rispetto alla biforcazione tracheale, ai bronchi, all'esofago che si dirige a
passare attraverso il diaframma [vedi occhiello], all'aorta che invece passa il diaframma posteriormente (non
come la vena cava inferiore che ci passa attraverso)). Dunque nel mediastino posteriore passano
medialmente aorta (a sinistra) e dotto toracico (a destra), dietro cui ci sono rispettivamente vena emiazygos
e azygos.
E' relativamente accessibile rispetto ad altre strutture che occupano il mediastino (esofago, trachea, aorta
toracica), ma è in buona parte mascherato dai margini anteriori dei polmoni e dalle pleure (rivestimento
sieroso). E' in rapporto con la parete anteriore del torace (solo una parte del ventricolo destro lo è
direttamente attraverso il solo pericardio), anteriormente si trova lo sterno e posteriormente la colonna.

230
Dunque i rapporti sono (tav 203, 208)
Anteriormente (faccia sterno-costale cosiddetta, principalmente atrio e ventricolo di destra):
-Sterno
-Cavità toracica (si estende dalla 2° alla 6° cartilagine costale);
-Margini anteriori-mediali dei polmoni con pleura.
Posteriormente (base del cuore formata dall’atrio di sinistra e da una piccola porzione di quello di destra):
-Si proietta sul rachide toracico da T5 a T8 (o da T6 a T9).
-E’ in rapporto con esofago, nervo vago di sinistra, mentre a distanza con aorta, dotto toracico,
nervo vago di destra.
Inferiormente:
-Centro frenico del diaframma (attraverso questo prende rapporto con fegato e stomaco); faccia
diaframmatica cosiddetta formata dal ventricolo sinistro principalmente.
Superiormente:
-Con il timo.
Lateralmente:
-Il margine ottuso è in rapporto con la fossa cardiaca del polmone sinistro, attraverso il mediastino.
-La base del cuore ha rapporto con il margine mediale del polmone destro

-Aprire il torace significa sezionare il piastrone sterno-costale: sezionando lateralmente le coste e sollevandolo, vediamo l'interno
della parete anteriore del torace ovvero la fascia endotoracica, qualche fascetto del muscolo trasverso del torace e i muscoli
intercostali, vasi mammari. Viene imossa anche la pleura.
-Nel mediastino anteriore, dove è posizionato il cuore, vi è molto tessuto adiposo che va a infarcire anche il pericardio.
-Da destra a sinistra troviamo posteriormente al cuore: vena azygos, dotto toracico, esofago, aorta.
-Da dietro al davanti invece troviamo: azygos, bronchi ed esofago, arterie polmonari e vene polmonari.
[Netter, Tav. 227 sezione sagittale, 241 e 213 sezione trasversale]
-Sezione trasversale: partendo dallo sterno, sono visibili il mediastino anteriore, il cuore (ventricolo destro e atrio destro, parte del
ventricolo sinistro e dell’atrio sinistro); dal ventricolo destro emerge il tronco polmonare dal quale si diramano l’arteria polmonare
sinistra e destra. Dall’atrio destro sporge la vena cava superiore e al centro l’arco aortico (emergente dal ventricolo destro).
Inferiormente sono visibili la vena polmonare destra e sinistra. Anteriormente il mediastino posteriore contiene l’esofago, l’aorta e la
spina dorsale.

(tav 209) Il cuore è leggermente spostato a sinistra rispetto alla linea mediana e forma un angolo con l’asse
longitudinale del corpo ed è lievemente ruotato verso il lato sinistro. Ha una forma circa piramidale e la
grandezza di un pugno di una persona adulta e robusta. E’ adagiato sul diaframma. Rimosso il pericardio
riconosciamo un’apice e una base, che non è in tal caso il punto di appoggio. L’appoggio è una faccia
(diaframmatica) continua con la base e si adagia sul diaframma.
La base cardiaca comprende sia le emergenze dei grossi vasi che gli atri ed è collocata circa a livello della 3°
cartilagine costale, spostata di circa 1,2 cm verso sinistra ed è in alto a destra.
L’apice corrisponde all’estremità arrotondata ed è diretta lateralmente e obliquamente, in basso e verso
sinistra, e raggiunge il 5° spazio intercostale circa a 7,5 cm dalla linea mediana. E’ il punto dove auscultiamo
il battito.
La base forma il margine superiore del cuore, l’atrio destro il margine destro, mentre il margine sinistro è
formato dal ventricolo sinistro e parte di atrio sinistro, infine il margine inferiore è composta principalmente
dal ventricolo destro.
Riconosciamo poi due facce: una faccia sterno-costale parallela allo sterno e, in continuità, inferiormente (e
poco poesterioremnte), una diaframmatica (perché appunto si adagia sul diaframma).
Infine vi sono due margini: il margine destro è detto margine acuto, percepibile parzialmente; il sinistro è
detto ottuso.

231
Possiamo vedere tutto ciò solo se apriamo il pericardio con un taglio a "T" e se esponiamo il cuore. Così ci
appare la superficie sterno-costale.

Il cuore è un organo cavo. Durante l’organogenesi era un tubo unico, con un lume centrale, poi sviluppandosi
diventa una struttura complessa e dal lume iniziale si generano 4 cavità interne: 2 atri posti posteriormente
e in alto e 2 ventricoli posti anteriormente e in basso.

Esterno del cuore


Dall’esterno di queste formazioni si può individuare qualche solco che può aiutare nell’esaminare il cuore.

Faccia sterno-costale (tav 209)


La parte ventricolare si trova in avanti rispetto a quella atriale. Ciò che può aiutare a individuare il limite tra
le due porzioni è un solco che è ben visibile solo sul lato destro: solco atrio-ventricolare o solco coronario,
che è il punto in cui sono accolti i vasi della circolazione coronarica. Questo solco atrio-ventricolare sul lato
sinistro è molto meno visibile e al centro è mascherato completamente da un grossissimo vaso: l’arteria
polmonare o tronco polmonare, che non ci permette più di trovare questo punto di demarcazione tra la
porzione atriale, dietro e in alto, e la ventricolare, in avanti e in basso.
Ciò che sta indietro e lievemente più in alto rispetto a questo solco, è la parte atriale. Quello che sta davanti
e orientato verso sinistra è la parte ventricolare.
Nella parte ventricolare è presente un altro solco disposto longitudinalmente che viene chiamato solco
longitudinale anteriore o solco inter-ventricolare anteriore. Questo solco ci permette di individuare sulla
destra la parte del ventricolo destro, e sulla sinistra il ventricolo sinistro. Possiamo, quindi, individuare una
demarcazione evidente tra i due ventricoli anche dall’osservazione esterna del cuore.
A livello di solchi inter-ventricolari e coronario l’epicardio contiene un abbondante quota di tessuto adiposo.
Il ventricolo destro è disposto in gran parte sul versante sterno-costale e presenta una convessità nella
porzione superiore che sembra continuare e terminare con il tronco polmonare; questa parte così sporgente
viene chiamata cono arterioso. Sembra esserci dall'esterno una continuità tra ventricolo e arteria polmonare,
infatti il tronco polmonare origina proprio dal ventricolo destro.
Sembra esserci sulla faccia sterno-costale una superficie molto voluminosa occupata dal ventricolo destro e
una più ridotta occupata dal ventricolo sinistro. Questo è vero per un discorso di topografia cardiaca: il cuore
deve essere visualizzato come una struttura a forma di pugno adagiata sul diaframma, con una torsione in
avanti e a sinistra per cui noi principalmente nella faccia sterno costale vediamo il ventricolo destro; il sinistro
si vedrà maggiormente sulla faccia diaframmatica.
Dietro e sopra al solco atrio-ventricolare sul lato destro, riconosco un recesso che viene chiamato auricola
destra per la forma simile al padiglione auricolare. Questa è la parete antero-laterale dell’atrio destro.
Vediamo meno dell’auricola di sinistra osservando la faccia sterno-costale, a causa della torsione,
riuscendone però a vedere l’estremità anteriore che, analogamente a destra, rappresenta il limite antero-
laterale dell’atrio sinistro. Questa auricola ha una forma diversa dalla destra, è più sinuosa e allungata.
Oltre ai vasi e alle strutture precedentemente citate, possiamo vedere un altro vaso che sebbeme appaia alla
destra dell’arteria polmonare non è possibile collegare sulla superficie esterna in quanto ha un’origine più
profonda: l’arteria aorta.

Faccia diaframmatica (tav211)


Sollevando il cuore dal centro frenico del diaframma possiamo vedere benissimo il solco atrio-ventricolare
(o coronario), un solco longitudinale riconoscibilissimo. Abbiamo ancora la divisione di atri e ventricoli,
davanti abbiamo la parte ventricolare e dietro la parte atriale, corrispondente alla base del cuore.

232
È possibile riconoscere sul versante sinistro del solco coronario un vaso venoso: seno coronario, il vaso più
voluminoso del ritorno venoso dei seni coronarici.
Molto ben riconoscibile è la porzione ventricolare, anche qui c’è un solco inter-ventricolare posteriore che ci
permette di individuare il limite tra i due ventricoli.
Ci aspettiamo i due terzi occupati dal ventricolo sinistro e un terzo dal destro. Più difficile da visualizzare è la
parte atriale, quella della base del cuore.
Risalendo dal solco inter-ventricolare, c'è un altro solco perpendicolare a quello coronarico, il solco inter-
atriale che va verso l’alto e ci permette di riconoscere il limite tra i due atri: a sinistra del si trova l’atrio
sinistro, a destra l’atrio destro.
Subito alla destra del solco inter-atriale, nell’atrio destro, troviamo una superficie di atrio che si sviluppa
verticalmente in modo rettangolare, chiamata il seno delle vene cave perché è una superficie atriale
interposta tra lo sbocco delle due vene cave (superiore e inferiore).
Sulla destra del seno delle vene cave si trova il solco terminale, oltre il quale troviamo la porzione atriale
propriamente detta che si porta in avanti e verso l’alto culminano con la auricola di destra.
Anche a sinistra c’è qualcosa di simile: subito a sinistra del solco inter-atriale si trovano due condotti e poi
una parte di atrio disposta orizzontalmente oltre la quale sul versante sinistro troviamo altri due condotti;
abbiamo quindi 4 vasi che sboccano nell’atrio sinistro. Questi vasi sono le vene polmonari (superiori e
inferiori), 2 subito a sinistra del solco (vene polmonari di destra), e 2 più a sinistra che sono disposte verso la
parte laterale dell’atrio sinistro (veni polmonari di sinistra). Questa porzione atriale poi continua con la parte
atriale propriamente detta, formata dall’auricola sinistra.

Riassumendo: a destra abbiamo un seno delle vene cave, una parete di atrio destro interposta tra gli sbocchi delle vece
cave. Atrio sinistro: anche in questo caso, riceve gli sbocchi di altre vene, le 4 vene polmonari. E poi si ha la parte dei due
atri propriamente detta, formata dalle auricole che si proiettano anteriormente.

Gli atri ricevono lo sbocco dei principali vasi del ritorno venoso dei due circoli: a destra le vene cave per il
circolo sistemico, a sinistra le vene polmonari per il circolo polmonare. Gli atri sono, quindi, serbatoi di sbocco
del circolo venoso.

Cavità cardiache
Esternamente vi sono dei solchi: inter-atriale, inter-ventricolare, atrio-ventricolare. Dobbiamo aspettarci che,
profondamente, laddove abbiamo posizionato i solchi inter-ventricolari e inter-atriali, ci siano dei setti. I due atri
e i due ventricoli non sono in comunicazione tra loro nella vita post natale. È presente una demarcazione e
separazione tra atrio destro e sinistro e tra ventricolo destro e sinistro, non è presente una separazione tra atrio e
corrispondente ventricolo, ciò significa che è presente un orifizio atrio-ventricolare, che rappresenta un punto di
passaggio del sangue tra atrio e ventricolo, in cui è impiantata una valvola. Per questo il cuore viene considerato
suddiviso in due metà.
I cardiologi parlano di cuore destro e cuore sinistro: ogni metà comprende un atrio e un ventricolo.

Cuore destro (tav 217)


Atrio destro
Aprendo la parete antero-laterale dell’atrio destro e ribaltandola si può vedere la cavità atriale destra.
[Sui libri gli atri sono descritti di forma cubica e le 6 facce vengono differenziate, noi ci limitiamo a capire
l'organizzazione e quali sono le strutture fondamentali per capire il funzionamento] Si può notare che non
tutte le pareti atriali hanno lo stesso aspetto.
-La parete mediale, che può essere chiamata inter-atriale, corrisponde all’omonimo setto. Vediamo che è
una parete liscia e particolarmente sottile. È inoltre presente una parte, ben palpabile e qui ben visibile, di

233
forma ovalare che è ancora più sottile, quasi impercettibile, del resto della parete: questa prende il nome di
fossa ovale, per la forma e perché si riconosce come infossatura. Questa fossa ovale rappresenta un punto di
comunicazione reale ed esistente nella vita fetale tra i due atri; durante la vita fetale non si ha una semplice
impronta, ma si ha un foro (un foro complesso, dato da due setti che si affiancano e lasciano un'interruzione),
il foro ovale, che nella vita post natale è sostituito da una parete estremamente sottile. (vedi dopo)
-La parete posteriore é estremamente sottile, liscia e levigata e corrisponde esternamente al seno delle
vene cave. È la parte di atrio interposta tra gli sbocchi delle vene cave. La vena cava superiore arriva alla parte
superiore dell’atrio, la vena cava inferiore arriva inferiormente dopo aver attraversato il diaframma. Un
particolare differenzia gli sbocchi di queste vene cave: la vena cava inferiore presenta al suo sbocco nell’atrio
una sorta di tasca connettivale, un lembo, che si proietta verso la parete mediale, inter-atriale. Questa è una
valvola che non è presente nella vena cava superiore. In questo caso è presente perché molto spesso le vene
che riportano verso il cuore il sangue che proviene dalle regioni sotto diaframmatiche vanno contro la forza
di gravità, inoltre raccolgono il sangue dalle vene capillari dove la pressione è bassissima, per cui questo
sangue tenderebbe a refluire se non ci fossero questi dispositivi valvolari che impediscono il reflusso. Questa
valvola, chiamata anche valvola di Eustachio, funziona solo nella vita fetale ed è disposta in maniera tale da
orientare il sangue (che arriva all'atrio destro tramite la vena cava inferiore) verso la parete inter-atriale, cioè
verso la comunicazione permessa dal foro ovale. Per cui questo sangue nella vita fetale veniva deviato
dall'atrio destro verso l'atrio sinistro. Nella vita adulta la valvola non funziona e il foro ovale è chiuso. La vena
cava superiore riporta il sangue da distretti posti superiormente al cuore (arto superiore, collo, testa), quindi,
non ha bisogno di valvole: sbocca direttamente nell'atrio destro.
È possibile vedere un altro sbocco nell’atrio destro, antero-medialmente rispetto allo sbocco della vena cava
inferiore. Qui troviamo un'altra valvola, detta valvola di Tebesio, che impedisce il reflusso del sangue in un
vaso che si chiama seno coronario: quello che esternamente occupa il solco atrio-ventricolare a sinistra. È
una grossa vena che sbocca nell’atrio destro. Vi sono, inoltre, altri piccolissimi sbocchi di vene del circolo
coronarico che però non confluiscono nel seno coronarico.
L’atrio destro rappresenta, quindi, il serbatoio di sangue venoso proveniente dal circolo sistemico,
raccogliendo il sangue delle vene cave, a cui si aggiungono altri piccoli vasi (non li abbiamo nominati) e il seno
coronario, che raccoglie il sangue venoso dal circolo cardiaco, raccolto dalle pareti del miocardio.
-La parete antero-laterale (ribaltata) presenta dei rilievi muscolari molto ordinati, chiamati muscoli
pettinati a causa del loro grande ordine parallelo nelle fibre. Questi muscoli pettinati occupano
principalmente la parete dell’auricola e determinano, contraendosi, il completamento del passaggio del
sangue dall’atrio destro verso il ventricolo destro.
In effetti qui intravediamo l’orifizio atrio-ventricolare destro.
Il punto di passaggio tra seno delle vene cave e parte di atrio propriamente detto (il solco terminale) è visibile
anche dall’interno grazie alla presenza di una cresta data dal prolungamento della muscolatura, che prende
il nome di cresta terminale.
In corrispondenza della giunzione atrio-ventricolare, troviamo una struttura che va ad inserirsi su questo
orifizio atrio ventricolare regolando il passaggio di sangue. Questa struttura è una valvola morfologicamente
più complessa di quelle viste precedentemente (due taschine individuate allo sbocco della vena cava inferiore
e del solco coronario) e prende il nome di valvola tricuspide, per la conformazione a tre lembi, che si
inseriscono sull’orifizio, come una sorta di paracadute. È bianco perché di natura connettivale. Si nota che ha
delle connessioni con la muscolatura ventricolare.

Ventricolo destro
Il ventricolo destro ha una forma grossomodo piramidale. Qui andiamo a riconoscere, seguendo la direzione
del sangue, una porzione che rappresenta la continuazione dell’atrio (cono di afflusso), limitata
posteriormente dall’orifizio atrio-ventriolare. Esternamente, sulla faccia sterno-costale vedevamo bene il

234
cono arterioso, un sollevamento in corrispondenza del tronco polmonare. In profondità rispetto al cono
arterioso, superiormente, c'è una porzione ventricolare in continuità con l’arteria polmonare e che prende il
nome di cono di efflusso. Grazie alla contrazione della parete muscolare ventricolare, il sangue viene
pompato e fatto uscire dalla arteria polmonare. I due orifizi, atrio-ventricolare e arterioso, non si trovano
sullo stesso piano, ma su due piani diversi: il polmonare si trova disposto anteriormente e superiormente
rispetto all'orifizio atrio-ventricolare.
Andando ad esaminare la parete ventricolare, notiamo che la muscolatura ventricolare è molto più sviluppata
di quella atriale, per una questione funzionale. La parete ventricolare presenta, quindi, rilievi muscolari più
evidenti dei muscoli pettinati.
-La parete mediale, inter-ventricolare, è quella che visualizziamo di meno. È il versante destro di un setto
molto robusto, il setto inter-ventricolare, convesso e spostato leggermente verso destra, che rappresenta la
parte mediale dei due ventricoli.
-La parete sterno costale (ribaltata) presenta una muscolatura ben apprezzabile, le trabecole carnee:
• Alcune trabecole sono completamente aderenti alla parete del ventricolo (trabecole di 3° ordine);
• Altre sono aderenti con le estremità, ma con la parte centrale libera (2° ordine); tra queste la più
importante è il fascio moderatore (trabecola setto-marginale, vedi dopo);
• Altre presentano una estremità aderente alla parete ventricole, ma con l'altra, l’apice, sono proiettate
nella cavità atriale, dove sporgono. Queste trabecole prendono il nome di muscoli papillari
(o trabecole di 1° ordine).
A destra sono 3: anteriore (struttura complessa formata da una base di attacco e che presenta più
apici che sporgono all’interno del ventricolo), posteriore (sulla parete postero-inferiore) e mediale
(sulla parete inter-ventricolare).
Nel ventricolo di sinistra invece sono soltanto 2.
L’estremità libera di questi muscoli papillari è determinante perché dà l’attacco a filamenti che sono
in continuità con l’apparato valvolare tricuspide (e mitrale o bicuspide nel ventricolo sinistro): le corde
tendinee, che sono sottili ed estremamente resistenti.

Grazie alla presenza di queste trabecole nel ventricolo destro è possibile identificare dei rilievi che segnano
la demarcazione tra la porzione di afflusso e la porzione di efflusso; ciò non è possibile nel ventricolo sinistro.
Verso la base del cuore e medialmente nel ventricolo destro si ha un rilievo, chiamato cresta sopra-
ventricolare, che è un po’ sollevato rispetto al resto della muscolatura e che culmina con una trabecola,
chiamata anche fascio moderatore o trabecola setto-marginale o trabecola di Leonardo da Vinci. Si crea così
una sorta di muscolatura semicircolare con la concavità verso il cono di afflusso. Questo fascio moderatore è
come un ponticello che, con un’estremità è in continuità con questa parte rilevata del ventricolo destro, e
con l’altra estremità va a continuare con il muscolo papillare anteriore. È importante perché qui all’interno
passeranno delle fibre del sistema di conduzione, che è quello che permette la contrazione ordinata prima
degli atri e poi dei ventricoli.
Si ha, quindi, il cono di efflusso, una parte che diventa liscia, che diventa parete arteriosa, dove sembra esserci
un dispositivo valvolare anti reflusso molto diverso da quello della tricuspide. Prende il nome di valvola
polmonare, perché si trova all'origine dell'arteria polmonare. Permette anche in questo caso, una volta che
la muscolatura del ventricolo destro si è contratta e ha permesso l’eiezione del sangue verso l'arteria o tronco
polmonare, che non ci sia reflusso. Non ci sono dei dispositivi muscolari connessi a questo tipo di valvola.

Cuore sinistro (tav 218)


La struttura del cuore sinistro è molto simile alla struttura del cuore destro: sono presenti due camere, un
atrio e un ventricolo, che comunicano attraverso una giunzione atrio-ventricolare dove sarà presente un
dispositivo valvolare, la valvola mitrale.

235
Atrio sinistro
Per quanto riguarda l'atrio sinistro, si ha lo sbocco venoso delle quattro vene polmonari.
-La parete posteriore è liscia, anche in questo caso.
-La parete mediale è liscia anch'essa ed è l'altro versante del setto inter-atriale che abbiamo visto bene
sul versante destro. Troviamo questa volta l’impronta della valvola del forame ovale.
-La parete antero-laterale, corrispondente esternamente all’auricola, presenta anche in questo caso i
muscoli pettinati, quindi si ha una struttura speculare rispetto all’atrio destro.
La giunzione atrio-ventricolare sinistra presenta la valvola mitrale.

Ventricolo sinistro
Se andiamo a vedere la cavità del ventricolo sinistro troviamo conferma delle osservazioni esterne. Anche in
questo caso troviamo un cono di afflusso e un cono di efflusso. Ancora una volta la contrazione della parete
del ventricolo sinistro, permette l’eiezione del sangue all'interno dell’arteria aorta, che questa volta origina
più in profondità e presenta una valvola aortica, valvola semilunare.
È presente una muscolatura molto più sviluppata di quella del ventricolo destro, di 3 volte: se a destra è circa
0,5 cm a sinistra è 1,5 cm di spessore. Infatti il ventricolo sinistro origina l’arteria aorta, l’arteria principale
che deve portare il sangue al circolo sistemico: le resistenze da vincere sono enormemente superiori rispetto
a quelle che devono vincere le arterie polmonari, che devono portare il sangue ai polmoni, organi molto
ravvicinati rispetto all'arteria e al cuore. La forza necessaria al ventricolo sinistro per pompare il sangue
nell’arteria aorta deve essere molto maggiore di quella necessaria al ventricolo destro.
Troviamo sempre delle trabecole chiamate muscoli papillari che in questo caso sono 2 ma molto più
sviluppati, con più apici. Sono definiti uno anteriore e uno posteriore e danno attaccano alle corte tendinee
della valvola mitrale.
L’organizzazione è analoga al ventricolo destro, ma qui non abbiamo una netta demarcazione tra i due coni
(di afflusso e di efflusso), come si è visto nel destro; qui i due coni sono molto ravvicinati, di fatto c’è il lembo
anteriore della valvola mitrale che fa un po' da demarcazione tra le due parti del ventricolo sinistro.
Nel ventricolo di destra i due orifizi (atrio-ventricolare e arterioso o polmonare) non sono allineati sullo
stesso piano, ma quello polmonare è sul piano anteriore e superiore (come si vede osservando il cuore
dall’esterno). Nel sinistro, invece, i due orifizi (atrio-ventricolare con la valvola mitrale e aortico) si trovano
sullo stesso piano orizzontale, tuttavia quello aortico si trova più in profondità e, infatti, non si riesce a vedere
l’origine dell’aorta osservando il cuore dall’esterno.
La faccia mediale del cuore corrisponde al setto inter-ventricolare. Questo setto è molto spesso e sporge
nel ventricolo sinistro, il quale è costituito per la gran parte della sua estensione da muscolatura, fatta
eccezione per una zona superiore, nei pressi della valvola aortica, in cui questa parete muscolare diventa di
natura fibrosa e prende il nome di pars membranacea (o parte membranacea) del setto inter-ventricolare.
La pars membranacea è interposta tra il ventricolo sinistro e il ventricolo destro; tuttavia, essendo il cuore
disposto in maniera tale che la parte destra si trovi spostata in avanti, vi è una parte alta di setto membranoso,
che, nell’estremità superiore, si interpone tra ventricolo sinistro e atrio destro (tav 221,217). Quest’ultimo
infatti, portandosi più in avanti e più in basso rispetto all’atrio sinistro, si trova allineato in parte con il
ventricolo sinistro, nella parte immediatamente precedente la giunzione atrio-ventricolare. Il setto risulta
essere più sottile nella parte superiore in quanto membranoso e non più muscolare. Sul piano funzionale il
cuore viene spesso rappresentato schematicamente come costituito da due metà, fino ad un certo punto,
indipendenti, separate da questo setto intraventricolare che si continua con il setto interatriale.

236
Struttura del miocardio (no img, più o meno 213, prom. 115,116)
Le quattro cavità del cuore sono separate da una parete cardiaca costituita da diversi strati. Tralasciando il
rivestimento pericardico, la maggior parte della parete è costituita da tessuto muscolare cardiaco con
caratteristiche intermedie tra muscolatura liscia e muscolatura striata: è di fatto un muscolo striato la cui
contrazione però è involontaria ed è munito di strie intercalari che svolgono un ruolo fondamentale nella
trasmissione dell’impulso contrattile. Muscoli pettinati e muscoli papillari appartengono a questo tipo di
muscolatura.
La porzione interna delle cavità ha la caratteristica di essere una superficie molto liscia, poiché tappezzata da
una sierosa, l’endocardio, ovvero un endotelio che poggia su uno strato di connettivo lasso, necessario ad
eliminare ogni attrito che potrebbe opporsi alla progressione del sangue.
Anche il versante esterno del miocardio, la superficie appena successiva al sacco pericardico, ha un
rivestimento sieroso che prende il nome di epicardio (o pericardio viscerale), una sorta di pellicola che dà al
cuore l’aspetto di una struttura molto omogenea, insinuandosi anche nei solchi che caratterizzano la
superficie.
Questa pellicola entrerà nella costituzione del rivestimento pericardico assieme alla componente fibrosa.

Per capire meglio quali sono i momenti funzionali a cui è stato fatto riferimento e per capire gli apparati
valvolari (vedi dopo) è fondamentale analizzare un aspetto istologico del miocardio.
Si tratta di un tessuto muscolare striato a contrazione involontaria, con un’importante presenza di dischi
intercalari. Questi sono complessi di giunzione che hanno la capacità di provvedere alla propagazione rapidissima
dell’impulso contrattile, che arriva a una fibrocellula muscolare, in maniera praticamente simultanea, attraverso
le strie intercalari, e si propaga alla fibrocellula limitrofa. Il miocardio è, dunque, un sincizio funzionale, una
struttura unitaria. Questo sincizio ha delle strutture particolari (che sono sempre strutture muscolari, ma con una
morfologia assolutamente atipica) che regola e disciplina soprattutto l’insorgenza dell’impulso contrattile (che è
un qualcosa non sotto il controllo volontario) e la propagazione attraverso le cavità del cuore. Ci sarà quindi
un’innervazione, come tutti i visceri hanno, da parte del sistema nervoso autonomo, o involontario, vegetativo,
che però non è quello che determina l’inizio della contrazione ma si limita a modularlo.

A livello degli atri la muscolatura è più sviluppata nell’auricola, dove vi sono i muscoli pettinati.
Inoltre i miocardiociti atriali sono in grado di produrre un ormone polipeptidico che si chiama fattore
natriuretico atriale che viene secreto con un meccanismo riflesso, perché, quando aumenta la pressione
all’interno degli atri, si verifica uno stiramento della parete muscolare, quindi i miocardiociti degli atri in
risposta secernono questo fattore. Questo va a stimolare la diuresi e l’eliminazione di sodio, e determina il
rilasciamento della muscolatura liscia delle arteriole (stimolato da una forte pressione ne induce un
abbassamento).
La muscolatura ventricolare è molto più sviluppata e più robusta rispetto a quella atriale, e, il ventricolo
sinistro ha ancora uno spessore molto maggiore rispetto al destro.
Agli sbocchi dei vasi si costituiscono dei fasci circolari che vanno a costituire degli orifizi, delle sorte di anelli
intorno ai ritorni venosi degli atri e poi alla parte più sviluppata, i muscoli pettinati.

Ci sono fasci muscolari comuni entrambi ai ventricoli /atri e fasci propri di ciascun ventricolo/atrio.
Inoltre, fatto che contraddice la gran parte dei libri, questi muscoli non prendono attacco sullo scheletro
fibroso, sebbene i fasci muscolari di atri e ventricoli siano nettamente separati grazie anelli fibrosi (vedi dopo).
Solo le valvole cuspidi (indirettamente per le semilunari e come struttura unica per le atrio-ventricolari)
prendono inserzione ancorate sulle strutture fibrose: il miocardio sia degli atri che dei ventricoli ha una
propria autonomia tridimensionale e non ha bisogno di inserirsi sullo scheletro fibroso.

237

Il cuore comincia a battere al 22° giorno, al 24° comincia la circolzione (nozione random)

Approfondimento su miocardiociti:
-I miocardiociti sono quasi totalmente dipendenti dalla respirazione aerobica per la sintesi di ATP.
-I corti tubuli a T dei miocardiociti non formano triadi con il reticolo sarcoplasmatico.
-L’apporto vascolare del miocardio è superiore anche a quello delle fibre muscolari scheletriche rosse.
-La contrazione miocardica è indipendente dallo stimolo nervoso.
-I miocardiociti sono uniti tramite giunzioni specializzate detti dischi intercalari.

Dischi intercalari
Dette anche strie scalariformi, hanno aspetto dentellato dovuto all’interdigitazione tra sarcolemma di due miocardiociti. In un disco
le membrane cellulari sono unite da desmosomi che contribuiscono a stabilizzare la posizione e a mantenere la struttura 3D del
tessuto; i dischi possiedono giunzioni aderenti specializzate chiamate fasce aderenti (le miofibrille dei miocardiociti ancorano
strettamente il sarcolemma alla fascia aderente nei dischi, così si legano miofibrille di cellule adiacenti e così si contraggono
simultaneamente); i miocardiociti a livello del disco sono connessi anche con giunzioni comunicanti che consentono la diffusione di
ioni da una cellula all’altra così il potenziale si propaga da un miocardiocita all’altro.
Ecco perché è considerato un sincizio funzionale il muscolo cardiaco, come se fosse un'unica enorme cellula.

Ricapitolazione morfo-funzionale del cuore


Dal punto di vista funzionale, bisogna pensare al cuore come diviso in due metà funzionalmente distinte
(tant’è che i cardiochirurghi parlano di “cuore destro” e “cuore sinistro”): in ogni metà si trovano una camera
atriale e una camera ventricolare, separate da un orifizio atrio-ventricolare internamente e dal solco atrio-
ventricolare (coronale) esternamente. Sull’orifizio atrio-ventricolare s’impianta un apparato valvolare che, in
base al numero delle cuspidi, verrà individuato come “valvola tricuspide” (DX) o “valvola bicuspide/mitrale”
(SX). Gli atrî altro non sono che dei serbatoî di sangue, il quale vi viene veicolato tramite dei sistemi venosi:
nell’atrio destro, il sangue arriva dalle vene cave superiore e inferiore (dal circolo sistemico); nell’atrio
sinistro, il sangue arriva dalle due vene polmonari di destra e dalle due vene polmonari di sinistra (dal circolo
polmonare). Per ciascuna parte del cuore, oltre che a una regione di afflusso (venosa), vi è anche una regione
di efflusso del sangue (arteriosa): per il ventricolo destro questa è rappresentata dal tronco polmonare; per
il ventricolo sinistro è rappresentata dall’arteria aorta (posta più in profondità). Anche in corrispondenza del
punto di sbocco di queste due arterie (polmonare e aorta) vi si trova un dispositivo valvolare, (più semplice
rispetto a quello degli orifizî atrio-ventricolari), costituito da valvole semilunari.


Valvole cardiache e scheletro fibroso (tav. 219,220)

Per trattare le valvole cardiache bisogna considerare lo scheletro fibroso del cuore: esso è un’impalcatura
che si trova all’interno del muscolo cardiaco, che segue l’andamento e la posizione delle valvole (partendo
dal basso a destra: valvola tricuspide, valvola mitrale, valvola aortica e, su un piano differente posto antero-
superiormente, la valvola polmonare). Questo scheletro, situato sostanzialmente alla base dei ventricoli e in
corrispondenza del punto d’inserzione delle valvole, è un insieme di fibre collagene che formano delle
strutture chiamate anelli fibrosi sui quali, per l’appunto, s’inseriscono i lembi valvolari. Nei punti in cui gli
anelli - su cui le valvole tricuspide, mitrale e aortica s’inseriranno - vengono in contatto, si forma un ammasso
fibroso centrale: è una parte più densa che ha una forma grossomodo triangolare, in cui è presente un orifizio,
situato in una zona chiamata appunto trigono fibroso destro (tra le due valvole atrio-ventricolari e quella
aortica); questo orifizio permetterà il passaggio dell’unica struttura di connessione tra la muscolatura atriale

238
e quella ventricolare: il fascio di His, un importante fascio nervoso da cui dipenderà la meccanica cardiaca.
Tra le due valvole semilunari c’è poi un’espansione (alquanto breve), detta tendine del cono/tendine
dell’infundibolo, che lega l’anello fibroso aortico a quello polmonare. Tra valvola mitrale e aortica ci sarà poi,
lateralmente, il trigono fibroso sinistro. Gli anelli che costituiscono il punto di attacco alle valvole non sono
del tutto uniformi: quelli delle valvole atrio-ventricolari sono più spessi, mentre quelli delle valvole semilunari
presentano un inspessimento nel punto di attacco di ogni semiluna. Le valvole sono aperte o chiuse a seconda
del momento funzionale: durante la diastole (rilassamento ventricolare) saranno aperte le atrio-ventricolari
e chiuse le due semilunari, perché i due ventricoli stanno ricevendo il sangue dagli atrî; si avrà l’opposto
durante la sistole (contrazione ventricolare), perché i ventricoli spingono il sangue all’interno delle arterie.

Funzioni dello scheletro fibroso:

• Dare attacco alle valvole [la muscolatura del miocardio non s’impianta sullo scheletro fibroso];

• Mantenerle aperte nel rispettivo momento funzionale;

• Resistere alla spinta della pressione del sangue;
- Creare uno sbarramento/isolamento elettrico tra atrî e ventricoli, regolando la propagazione dell’impulso
(per questo c’è bisogno del fascio di His).

Il tessuto connettivo del cuore è formato in gran parte dai tre tipi di fibre. Ogni miocardiocito è avvolto da un rivestimento resistente
ed elastico e le cellule adiacenti sono unite per mezzo di legami crociati fibrosi. Ogni strato muscolare ha un rivestimento fibroso e
guaine fibrose separano gli strati muscolari superficiali da quelli profondi. Questi strati di connettivo sono in continuità con le bande
di tessuto fibroelastico che circondano le origini del tronco polmonare e dell’aorta e costituiscono la base di impianto per le valvole
cardiache. Serve a stabilizzare la posizione di cellule e valvole, ma anche assicurare sostegno alle cellule a vasi e nervi, a distribuire le
forze di contrazione, rinforzare le valvole e impedire eccessiva espansione del cuore, fornire elasticità per recuperare la forma iniziale,
isolare le fibre muscolari atriali da quelle ventricolari.


Valvole atrio-ventricolari (tav. 219,220)

L’etimologia di tricuspide deriva dai “tre lembi”, mentre mitrale si rifà alla mitra papale.
[MitraLeft/TricuspiDestra]

Le valvole s’impiantano a partire dall’anello fibroso dello scheletro fibroso del cuore: sono delle lamine di
connettivo rivestite da endocardio.
L’impianto delle valvole avviene con un unico lembo sul quale poi si trovano delle incisure che partono dal
margine libero e vanno a delineare tre lembi a destra nella tricuspide (uno anteriore, uno posteriore e uno
mediale/settale) e due a sinistra nella mitrale (anteriore e posteriore, detta quindi bicuspide).
Dal margine libero si staccano dei filamenti robusti, che (per analogia con i tendini) vengono chiamate corde
tendinee, i quali, in parte, vanno a continuarsi con la parete ventricolare (non molto efficaci funzionalmente)
e in parte, quelli più significativi, prendono attacco sugli apici dei muscoli papillari.

239
Valvole semilunari/a nido di rondine (tav. 219,220)

Non hanno nessuna connessione con la muscolatura; sono costituite da tre tasche, tre cuspidi (semilune), che
prendono attacco indipendente sull’anello fibroso. La parte convessa delle tasche è rivolta verso il ventricolo,
mentre la parte concava è rivolta verso l’interno del vaso, che si presenta dilatato nella zona dell’inserzione
delle cuspidi. Queste dilatazioni prendono il nome di seni e molto visibili sono quelle presenti sull’aorta
ascendente, chiamati seni del Valsalva (formano il bulbo aortico). Il tronco polmonare, invece, presenta seni
meno marcati, anche perché esso si scinderà subito in arteria polmonare destra e sinistra.

Il margine libero di ogni taschina di ogni cuspide prevede al centro un ispessimento chiamato nodulo, che è
leggermente sollevato, perché le due parti del corpo delle tasche che si trovano ai lati di questo nodulo
formano una sorta di incisure, le quali prendono il nome di lunule.

I noduli sono uguali nelle due valvole semilunari, cambia solo il nome dello scopritore: Nodulo di Aranzio
nella valvola aortica e Nodulo di Morgagni nella valvola polmonare. I due noduli, soprattutto negli anziani,
tendono a calcificare, portando a problemi di ostruzione.

Si riescono a distinguere tra loro le due valvole nei seguenti modi: nella valvola aortica vi è la presenza, in
corrispondenza di due cuspidi (una di sinistra e una di destra), di due orifizi che rappresentano lo sbocco delle
due arterie coronarie (la cuspide che presenta l’orifizio della coronaria destra viene chiamata anche cuspide
coronarica destra; allo stesso modo l’altra si chiamerà cuspide coronarica sinistra; mentre quella posteriore,
che non presenta orifizi, prende il nome di cuspide non coronarica); lo spessore della parete ventricolare
sinistra è maggiore; parte del cono di efflusso del ventricolo sinistro è delimitato da una cuspide della valvola
mitrale.
L’adesione dei noduli permette la perfetta chiusura delle tre cuspidi che si riflette sulla parete esterna della
arteria con i seni, i rigonfiamenti. Nel momento della sistole (contrazione ventricolare), le cuspidi sono libere
di muoversi e quasi aderenti alle pareti del vaso; nel momento della diastole ventricolare, invece, i lembi si
avvicinano occludendo il passaggio e impedendo il reflusso di sangue: i tre noduli, dunque, risultano uniti in
unico punto. Ciò avviene proprio per effetto della forte pressione sanguigna nell’aorta (e in minima parte
della gravità), che spinge il sangue verso il lato e il basso del vaso riempendo le tasche (le cuspidi), per poi
passare nei condotti delle arterie coronarie.
Invece nella valvola polmonare si distinguono, semplicemente rispetto alla posizione, una cuspide semilunare
destra, una anteriore e una sinistra.

240
Parete cardiaca (tav 212)
La maggior parte dello spessore delle pareti degli altri e dei ventricoli è costituita da tessuto muscolare
cardiaco, rivestito sull’interno e sull’esterno da una membrana sierosa (mesotelio) che conferisce al cuore un
aspetto levigato e lucente. La membrana sierosa che tappezza la superficie interna delle quattro camere e i
lembi valvolari si chiama endocardio, quella che tappezza la superficie esterna del miocardio si chiama
epicardio o pericardio viscerale. Quest’ultima è parte di un rivestimento più complesso che circonda il cuore
e prende il nome di pericardio, formato dall’interno all’esterno dal pericardio viscerale, dal pericardio
parietale e dal sacco fibroso. I primi due costituiscono la componente sierosa del pericardio, mentre il sacco
fibroso costituisce la componente fibrosa.



Aprendo per la prima volta un torace o osservando delle immagini relative a un torace aperto con polmoni
divaricati appare un’immagine molto differente rispetto quella alla quale si è abituati a conoscere e
interpretare: l’immagine è quella di un organo biancastro perché è contenuto all’interno di un involucro,
chiamato pericardio, costituito da una componente fibrosa, chiamata sacco fibroso, e da un rivestimento
sieroso che lo tappezza internamente. Il sacco fibroso del pericardio si fonde con il centro frenico del
diaframma inferiormente, e alla base del cuore si continua con lo strato più esterno di rivestimento della
parete dei grossi vasi (la tonaca avventizia); è un rivestimento robusto e resistente e media tutti i rapporti del
cuore con le strutture limitrofe, ovvero i due polmoni, le formazioni del mediastino posteriore, i grandi vasi,
l’esofago e anteriormente lo sterno. La base del pericardio è adagiata quindi sul diaframma, ma essa non
corrisponde alla base del cuore.


Rimuovendo il piastrone esterno costale, senza intervenire sui polmoni è possibile vedere soltanto un’area
limitata del pericardio: essa è chiamata area libera (o nuda) del pericardio, ed è compresa sostanzialmente
tra terza e quinta/sesta articolazione tra costa e sterno di sinistra, il resto è coperto dai margini dei due
polmoni con la relativa sierosa pleurica.

241
Dal sacco fibroso partono delle espansioni che si proiettano anteriormente verso lo sterno e posteriormente
verso la colonna vertebrale. Queste espansioni vengono chiamate anche legamenti sterno-pericardici e
vertebro-pericardici.

E’ importante inoltre sottolineare il rapporto ravvicinato del pericardio con i nervi frenici, che decorrono sui
suoi due lati. Essi sono parte del plesso cervicale e vanno a distribuirsi al muscolo diaframma, innervandolo.
Ciò significa che negli interventi, quando si mette mano al pericardio, bisogna fare attenzione alle strutture
che hanno un decorso molto ravvicinato perché una lesione del nervo frenico ha come conseguenza la paralisi
del diaframma.



Il miocardio è tappezzato dunque da uno rivestimento sieroso che si ribalta andando a rivestire il sacco
fibroso. Questi due strati sierosi sono infatti in continuità l’uno con l’altro, e lo strato che riveste esternamente
il miocardio, chiamato epicardio, può essere anche definito pericardio viscerale o foglietto viscerale (perché
è quello più aderente al viscero); quello che invece tappezza internamente il sacco fibroso è chiamato anche
pericardio parietale o foglietto parietale. La riflessione dei due foglietti avviene in corrispondenza della base
del cuore, sia posteriormente che anteriormente.
Il fatto di trovare due foglietti in continuità che si riflettono (si piegano) l’uno nell’altro, uno viscerale
(intimamente ai visceri), e un altro parietale (in contatto con la parete di rivestimento o addirittura con la
parete corporea) sarà una caratteristica di tutte e tre le sierose del nostro organismo (pericardio, pleura e
peritoneo).

Tutto intorno al cuore, compresa fra i due foglietti, vi è una cavità virtuale, la cavità pericardica, dove vi è un
liquor sieroso, il liquido pericardico, che consente al cuore di contrarsi in un ambiente in cui l’attrito è ridotto.
Questo, in caso di infiammazione (pericardite) o a causa di versamento di un trasudato o sangue, può
aumentare di volume.

Per comprendere la formazione del pericardio, si può paragonare il cuore a un pugno e il pericardio a un
palloncino. Esercitando la pressione, il polo superiore si invagina e man mano che scendiamo con il pugno, a
livello del polso (che corrisponde alla regione della base cardiaca) si ha la riflessione dei due foglietti. La parte
aderente al pugno corrisponde al foglietto viscerale, mentre quella periferica, in continuità con quella
aderente, corrisponde al foglietto parietale; tra le due è inoltre presente una cavità (la cavità pericardica).
All’esterno del foglietto parietale è presente il sacco fibroso.





Cenni di organogenesi e seni pericardici (tav 212)
È degno di nota il fatto che la disposizione della sierosa pericardica risenta fortemente di quella serie di tappe
attraverso le quali si realizza lo sviluppo organogenetico del cuore: ciò che era inizialmente il tubo cardiaco
deve diventare una struttura complessa con dei setti e quattro cavità ben evidenti e con una propria
indipendenza.

242
Nell’organogenesi del cuore inizialmente si osserva una formazione cilindrica, il tubo cardiaco, con due
estremità, una arteriosa e una venosa. Questo tubo si accresce, si allarga e si ripiega in modo da tale che la
parte ventricolare e arteriosa si trovi sul davanti e la parte atriale e venosa posteriormente.
A ciò corrisponde anche una protrusione del tubo cardiaco all’interno di una cavità, la cavità celomatica
(destinata a diventare cavità pericardica). Spingendo nella cavità celomatica (si ricordi il pugno nel palloncino)
si determina la riflessione dell’epicardio (o pericardio viscerale) nel pericardio parietale che andrà a
tappezzare sull’interno il sacco fibroso, con formazione in mezzo della cavità pericardica, contenente il liquor
pericardico.
In particolare, andando a considerare le due linee di riflessione:
• La linea di riflessione anteriore si ha davanti all’aorta e all’arteria polmonare, qui il pericardio poi si
confonderà con la tonaca avventizia che riveste le arterie;
• La linea di riflessione posteriore si trova dietro all’atrio sinistro tra gli sbocchi delle 4 vene polmonari.



Durante il ripiegamento del tubo cardiaco, la cavità pericardica si modifica e le riflessioni dei due foglietti
vanno a formare dei recessi definiti seni del pericardio: si tratta del seno trasverso e del seno obliquo del
pericardio, che in realtà hanno un significato molto diverso l’uno dall’altro. Infatti, mentre il seno obliquo del
pericardio ha a che fare con la riflessione del pericardio viscerale nel parietale, il seno trasverso ha un’origine
diversa. Il seno trasverso è uno spazio orizzontale compreso tra le due grosse arterie e la parte atriale della
base del cuore. Inizialmente, per collegare il tubo cardiaco con l’embrione è presente una struttura sierosa, il
mesocardio dorsale, che a un certo punto si vacuolizza fino a degenerare completamente, per cui quando il
tubo si piega (per far sì che l’estremità venosa si trovi posteriormente rispetto a quella arteriosa) viene meno
questa connessione posteriore e si crea uno spazio reale. È infatti possibile mettervi un dito o uno strumento
chirurgico, tramite il quale si può intervenire sulle arterie.




Ricordando le linee di riflessione dei due foglietti (viscerale e parietale), quella posteriore si trova dietro
all’atrio sinistro, tra gli sbocchi delle quattro vene polmonari: in questa posizione è presente una sorta di
recesso detto seno obliquo che non ha nessun significato clinico, ma è un dettaglio anatomico. Il nome
obliquo indica la sua disposizione longitudinale. Viene anche detto seno di Haller o diverticolo di Haller e in
sua corrispondenza si vede molto bene il rapporto che l’atrio sinistro contrae con l’esofago, e l’impronta
esofagea tra i ritorni venosi di sinistra.
Quindi, si ricordi che mentre il seno trasverso è uno spazio reale dietro alle arterie lasciato dalla scomparsa
del mesocardio dosale quando il tubo cardiaco si ripiega, il seno obliquo è il punto di riflessione del pericardio
viscerale nel pericardio parietale dietro all’atrio sinistro, tra gli sbocchi delle quattro vene polmonari.

243












Funzioni del pericardio:
-Mantiene il cuore in posizione stabile all’interno del mediastino (adeso al centro frenico; vincolato allo sterno
e alla colonna vertebrale);
- la parte più esterna media i rapporti con altre strutture contigue;
- rappresenta una barriera contro infiammazioni provenienti da strutture limitrofe;
- protegge e sostiene le parti meno robuste del miocardio;
- il liquor pericardico che riempe la cavità pericardica, non solo favorisce lo scorrimento dei due foglietti, ma
contribuisce anche a rendere uniformi le forze di gravità che si esercitano sulla superficie del miocardio;
inoltre, riduce l’attrito durante i movimenti che si verificano nelle fasi funzionali di contrazione e rilassamento,
quindi sistole e diastole.
L’infiammazione del pericardio è chiamata pericardite e provoca un forte dolore toracico causando attrito nel
movimento del cuore. In condizioni normali, la quantità di liquor presente nella cavità pericardica è molto
scarsa, si può però verificare un versamento di liquido dai capillari pericardici che in condizioni estreme può
causare compressione cardiaca (tamponamento cardiaco).

Ricapitolazione morfo-funzionale del cuore
Dal punto di vista funzionale, bisogna pensare al cuore come diviso in due metà funzionalmente distinte
(tant’è che i cardiochirurghi parlano di “cuore destro” e “cuore sinistro”): in ogni metà si trovano una camera
atriale e una camera ventricolare, separate da un orifizio atrio-ventricolare internamente e dal solco atrio-
ventricolare (coronale) esternamente. Sull’orifizio atrio-ventricolare s’impianta un apparato valvolare che, in
base al numero delle cuspidi, verrà individuato come “valvola tricuspide” (DX) o “valvola bicuspide/mitrale”
(SX). Gli atrî altro non sono che dei serbatoî di sangue, il quale vi viene veicolato tramite dei sistemi venosi:
nell’atrio destro, il sangue arriva dalle vene cave superiore e inferiore (dal circolo sistemico); nell’atrio
sinistro, il sangue arriva dalle due vene polmonari di destra e dalle due vene polmonari di sinistra (dal circolo
polmonare). Per ciascuna parte del cuore, oltre che a una regione di afflusso (venosa), vi è anche una regione
di efflusso del sangue (arteriosa): per il ventricolo destro questa è rappresentata dal tronco polmonare; per
il ventricolo sinistro è rappresentata dall’arteria aorta (posta più in profondità). Anche in corrispondenza del
punto di sbocco di queste due arterie (polmonare e aorta) vi si trova un dispositivo valvolare, (più semplice
rispetto a quello degli orifizî atrio-ventricolari), costituito da valvole semilunari.

244
Valvole cardiache e scheletro fibroso (tav. 219,220)

Per trattare le valvole cardiache bisogna considerare lo scheletro fibroso del cuore: esso è un’impalcatura
che si trova all’interno del muscolo cardiaco, che segue l’andamento e la posizione delle valvole (partendo
dal basso a destra: valvola tricuspide, valvola mitrale, valvola aortica e, su un piano differente posto antero-
superiormente, la valvola polmonare). Questo scheletro, situato sostanzialmente alla base dei ventricoli e in
corrispondenza del punto d’inserzione delle valvole, è un insieme di fibre collagene che formano delle
strutture chiamate anelli fibrosi sui quali, per l’appunto, s’inseriscono i lembi valvolari. Nei punti in cui gli
anelli - su cui le valvole tricuspide, mitrale e aortica s’inseriranno - vengono in contatto, si forma un ammasso
fibroso centrale: è una parte più densa che ha una forma grossomodo triangolare, in cui è presente un orifizio,
situato in una zona chiamata appunto trigono fibroso destro (tra le due valvole atrio-ventricolari e quella
aortica); questo orifizio permetterà il passaggio dell’unica struttura di connessione tra la muscolatura atriale
e quella ventricolare: il fascio di His, un importante fascio nervoso da cui dipenderà la meccanica cardiaca.
Tra le due valvole semilunari c’è poi un’espansione (alquanto breve), detta tendine del cono/tendine
dell’infundibolo, che lega l’anello fibroso aortico a quello polmonare. Tra valvola mitrale e aortica ci sarà poi,
lateralmente, il trigono fibroso sinistro. Gli anelli che costituiscono il punto di attacco alle valvole non sono
del tutto uniformi: quelli delle valvole atrio-ventricolari sono più spessi, mentre quelli delle valvole semilunari
presentano un inspessimento nel punto di attacco di ogni semiluna. Le valvole sono aperte o chiuse a seconda
del momento funzionale: durante la diastole (rilassamento ventricolare) saranno aperte le atrio-ventricolari
e chiuse le due semilunari, perché i due ventricoli stanno ricevendo il sangue dagli atrî; si avrà l’opposto
durante la sistole (contrazione ventricolare), perché i ventricoli spingono il sangue all’interno delle arterie.

Funzioni dello scheletro fibroso:

• Dare attacco alle valvole [la muscolatura del miocardio non s’impianta sullo scheletro fibroso];

• Mantenerle aperte nel rispettivo momento funzionale;

• Resistere alla spinta della pressione del sangue;
- Creare uno sbarramento/isolamento elettrico tra atrî e ventricoli, regolando la propagazione dell’impulso
(per questo c’è bisogno del fascio di His).

Il tessuto connettivo del cuore è formato in gran parte dai tre tipi di fibre. Ogni miocardiocito è avvolto da un rivestimento resistente
ed elastico e le cellule adiacenti sono unite per mezzo di legami crociati fibrosi. Ogni strato muscolare ha un rivestimento fibroso e
guaine fibrose separano gli strati muscolari superficiali da quelli profondi. Questi strati di connettivo sono in continuità con le bande
di tessuto fibroelastico che circondano le origini del tronco polmonare e dell’aorta e costituiscono la base di impianto per le valvole
cardiache. Serve a stabilizzare la posizione di cellule e valvole, ma anche assicurare sostegno alle cellule a vasi e nervi, a distribuire le
forze di contrazione, rinforzare le valvole e impedire eccessiva espansione del cuore, fornire elasticità per recuperare la forma iniziale,
isolare le fibre muscolari atriali da quelle ventricolari.

Valvole atrio-ventricolari (tav. 219,220)

L’etimologia di tricuspide deriva dai “tre lembi”, mentre mitrale si rifà alla mitra papale.
[MitraLeft/TricuspiDestra]

245
Le valvole s’impiantano a partire dall’anello fibroso dello scheletro fibroso del cuore: sono delle lamine di
connettivo rivestite da endocardio.
L’impianto delle valvole avviene con un unico lembo sul quale poi si trovano delle incisure che partono dal
margine libero e vanno a delineare tre lembi a destra nella tricuspide (uno anteriore, uno posteriore e uno
mediale/settale) e due a sinistra nella mitrale (anteriore e posteriore, detta quindi bicuspide).
Dal margine libero si staccano dei filamenti robusti, che (per analogia con i tendini) vengono chiamate corde
tendinee, i quali, in parte, vanno a continuarsi con la parete ventricolare (non molto efficaci funzionalmente)
e in parte, quelli più significativi, prendono attacco sugli apici dei muscoli papillari.

Valvole semilunari/a nido di rondine (tav. 219,220)

Non hanno nessuna connessione con la muscolatura; sono costituite da tre tasche, tre cuspidi (semilune), che
prendono attacco indipendente sull’anello fibroso. La parte convessa delle tasche è rivolta verso il ventricolo,
mentre la parte concava è rivolta verso l’interno del vaso, che si presenta dilatato nella zona dell’inserzione
delle cuspidi. Queste dilatazioni prendono il nome di seni e molto visibili sono quelle presenti sull’aorta
ascendente, chiamati seni del Valsalva (formano il bulbo aortico). Il tronco polmonare, invece, presenta seni
meno marcati, anche perché esso si scinderà subito in arteria polmonare destra e sinistra.

Il margine libero di ogni taschina di ogni cuspide prevede al centro un ispessimento chiamato nodulo, che è
leggermente sollevato, perché le due parti del corpo delle tasche che si trovano ai lati di questo nodulo
formano una sorta di incisure, le quali prendono il nome di lunule.

I noduli sono uguali nelle due valvole semilunari, cambia solo il nome dello scopritore: Nodulo di Aranzio
nella valvola aortica e Nodulo di Morgagni nella valvola polmonare. I due noduli, soprattutto negli anziani,
tendono a calcificare, portando a problemi di ostruzione.

246
Si riescono a distinguere tra loro le due valvole nei seguenti modi: nella valvola aortica vi è la presenza, in
corrispondenza di due cuspidi (una di sinistra e una di destra), di due orifizi che rappresentano lo sbocco delle
due arterie coronarie (la cuspide che presenta l’orifizio della coronaria destra viene chiamata anche cuspide
coronarica destra; allo stesso modo l’altra si chiamerà cuspide coronarica sinistra; mentre quella posteriore,
che non presenta orifizi, prende il nome di cuspide non coronarica); lo spessore della parete ventricolare
sinistra è maggiore; parte del cono di efflusso del ventricolo sinistro è delimitato da una cuspide della valvola
mitrale.
L’adesione dei noduli permette la perfetta chiusura delle tre cuspidi che si riflette sulla parete esterna della
arteria con i seni, i rigonfiamenti. Nel momento della sistole (contrazione ventricolare), le cuspidi sono libere
di muoversi e quasi aderenti alle pareti del vaso; nel momento della diastole ventricolare, invece, i lembi si
avvicinano occludendo il passaggio e impedendo il reflusso di sangue: i tre noduli, dunque, risultano uniti in
unico punto. Ciò avviene proprio per effetto della forte pressione sanguigna nell’aorta (e in minima parte
della gravità), che spinge il sangue verso il lato e il basso del vaso riempendo le tasche (le cuspidi), per poi
passare nei condotti delle arterie coronarie.
Invece nella valvola polmonare si distinguono, semplicemente rispetto alla posizione, una cuspide semilunare
destra, una anteriore e una sinistra.

Parete cardiaca (tav 212)

247
La maggior parte dello spessore delle pareti degli altri e dei ventricoli è costituita da tessuto muscolare
cardiaco, rivestito sull’interno e sull’esterno da una membrana sierosa (mesotelio) che conferisce al cuore un
aspetto levigato e lucente. La membrana sierosa che tappezza la superficie interna delle quattro camere e i
lembi valvolari si chiama endocardio, quella che tappezza la superficie esterna del miocardio si chiama
epicardio o pericardio viscerale. Quest’ultima è parte di un rivestimento più complesso che circonda il cuore
e prende il nome di pericardio, formato dall’interno all’esterno dal pericardio viscerale, dal pericardio
parietale e dal sacco fibroso. I primi due costituiscono la componente sierosa del pericardio, mentre il sacco
fibroso costituisce la componente fibrosa.

Aprendo per la prima volta un torace o osservando delle immagini relative a un torace aperto con polmoni
divaricati appare un’immagine molto differente rispetto quella alla quale si è abituati a conoscere e
interpretare: l’immagine è quella di un organo biancastro perché è contenuto all’interno di un involucro,
chiamato pericardio, costituito da una componente fibrosa, chiamata sacco fibroso, e da un rivestimento
sieroso che lo tappezza internamente. Il sacco fibroso del pericardio si fonde con il centro frenico del
diaframma inferiormente, e alla base del cuore si continua con lo strato più esterno di rivestimento della
parete dei grossi vasi (la tonaca avventizia); è un rivestimento robusto e resistente e media tutti i rapporti del
cuore con le strutture limitrofe, ovvero i due polmoni, le formazioni del mediastino posteriore, i grandi vasi,
l’esofago e anteriormente lo sterno. La base del pericardio è adagiata quindi sul diaframma, ma essa non
corrisponde alla base del cuore.

248
Rimuovendo il piastrone esterno costale, senza intervenire sui polmoni è possibile vedere soltanto un’area
limitata del pericardio: essa è chiamata area libera (o nuda) del pericardio, ed è compresa sostanzialmente
tra terza e quinta/sesta articolazione tra costa e sterno di sinistra, il resto è coperto dai margini dei due
polmoni con la relativa sierosa pleurica.
Dal sacco fibroso partono delle espansioni che si proiettano anteriormente verso lo sterno e posteriormente
verso la colonna vertebrale. Queste espansioni vengono chiamate anche legamenti sterno-pericardici e
vertebro-pericardici.

E’ importante inoltre sottolineare il rapporto ravvicinato del pericardio con i nervi frenici, che decorrono sui
suoi due lati. Essi sono parte del plesso cervicale e vanno a distribuirsi al muscolo diaframma, innervandolo.
Ciò significa che negli interventi, quando si mette mano al pericardio, bisogna fare attenzione alle strutture
che hanno un decorso molto ravvicinato perché una lesione del nervo frenico ha come conseguenza la paralisi
del diaframma.

Il miocardio è tappezzato dunque da uno rivestimento sieroso che si ribalta andando a rivestire il sacco
fibroso. Questi due strati sierosi sono infatti in continuità l’uno con l’altro, e lo strato che riveste esternamente
il miocardio, chiamato epicardio, può essere anche definito pericardio viscerale o foglietto viscerale (perché
è quello più aderente al viscero); quello che invece tappezza internamente il sacco fibroso è chiamato anche
pericardio parietale o foglietto parietale. La riflessione dei due foglietti avviene in corrispondenza della base
del cuore, sia posteriormente che anteriormente.

249
Il fatto di trovare due foglietti in continuità che si riflettono (si piegano) l’uno nell’altro, uno viscerale
(intimamente ai visceri), e un altro parietale (in contatto con la parete di rivestimento o addirittura con la
parete corporea) sarà una caratteristica di tutte e tre le sierose del nostro organismo (pericardio, pleura e
peritoneo).

Tutto intorno al cuore, compresa fra i due foglietti, vi è una cavità virtuale, la cavità pericardica, dove vi è un
liquor sieroso, il liquido pericardico, che consente al cuore di contrarsi in un ambiente in cui l’attrito è ridotto.
Questo, in caso di infiammazione (pericardite) o a causa di versamento di un trasudato o sangue, può
aumentare di volume.

Per comprendere la formazione del pericardio, si può paragonare il cuore a un pugno e il pericardio a un
palloncino. Esercitando la pressione, il polo superiore si invagina e man mano che scendiamo con il pugno, a
livello del polso (che corrisponde alla regione della base cardiaca) si ha la riflessione dei due foglietti. La parte
aderente al pugno corrisponde al foglietto viscerale, mentre quella periferica, in continuità con quella
aderente, corrisponde al foglietto parietale; tra le due è inoltre presente una cavità (la cavità pericardica).
All’esterno del foglietto parietale è presente il sacco fibroso.

Cenni di organogenesi e seni pericardici (tav 212)


È degno di nota il fatto che la disposizione della sierosa pericardica risenta fortemente di quella serie di tappe
attraverso le quali si realizza lo sviluppo organogenetico del cuore: ciò che era inizialmente il tubo cardiaco
deve diventare una struttura complessa con dei setti e quattro cavità ben evidenti e con una propria
indipendenza.
Nell’organogenesi del cuore inizialmente si osserva una formazione cilindrica, il tubo cardiaco, con due
estremità, una arteriosa e una venosa. Questo tubo si accresce, si allarga e si ripiega in modo da tale che la
parte ventricolare e arteriosa si trovi sul davanti e la parte atriale e venosa posteriormente.
A ciò corrisponde anche una protrusione del tubo cardiaco all’interno di una cavità, la cavità celomatica
(destinata a diventare cavità pericardica). Spingendo nella cavità celomatica (si ricordi il pugno nel palloncino)
si determina la riflessione dell’epicardio (o pericardio viscerale) nel pericardio parietale che andrà a
tappezzare sull’interno il sacco fibroso, con formazione in mezzo della cavità pericardica, contenente il liquor
pericardico.
In particolare, andando a considerare le due linee di riflessione:
• La linea di riflessione anteriore si ha davanti all’aorta e all’arteria polmonare, qui il pericardio poi si
confonderà con la tonaca avventizia che riveste le arterie;
• La linea di riflessione posteriore si trova dietro all’atrio sinistro tra gli sbocchi delle 4 vene
polmonari.

250
Durante il ripiegamento del tubo cardiaco, la cavità pericardica si modifica e le riflessioni dei due foglietti
vanno a formare dei recessi definiti seni del pericardio: si tratta del seno trasverso e del seno obliquo del
pericardio, che in realtà hanno un significato molto diverso l’uno dall’altro. Infatti, mentre il seno obliquo del
pericardio ha a che fare con la riflessione del pericardio viscerale nel parietale, il seno trasverso ha un’origine
diversa. Il seno trasverso è uno spazio orizzontale compreso tra le due grosse arterie e la parte atriale della
base del cuore. Inizialmente, per collegare il tubo cardiaco con l’embrione è presente una struttura sierosa, il
mesocardio dorsale, che a un certo punto si vacuolizza fino a degenerare completamente, per cui quando il
tubo si piega (per far sì che l’estremità venosa si trovi posteriormente rispetto a quella arteriosa) viene meno
questa connessione posteriore e si crea uno spazio reale. È infatti possibile mettervi un dito o uno strumento
chirurgico, tramite il quale si può intervenire sulle arterie.

Ricordando le linee di riflessione dei due foglietti (viscerale e parietale), quella posteriore si trova dietro
all’atrio sinistro, tra gli sbocchi delle quattro vene polmonari: in questa posizione è presente una sorta di
recesso detto seno obliquo che non ha nessun significato clinico, ma è un dettaglio anatomico. Il nome
obliquo indica la sua disposizione longitudinale. Viene anche detto seno di Haller o diverticolo di Haller e in
sua corrispondenza si vede molto bene il rapporto che l’atrio sinistro contrae con l’esofago, e l’impronta
esofagea tra i ritorni venosi di sinistra.
Quindi, si ricordi che mentre il seno trasverso è uno spazio reale dietro alle arterie lasciato dalla scomparsa
del mesocardio dosale quando il tubo cardiaco si ripiega, il seno obliquo è il punto di riflessione del pericardio
viscerale nel pericardio parietale dietro all’atrio sinistro, tra gli sbocchi delle quattro vene polmonari.

251
Funzioni del pericardio:
-Mantiene il cuore in posizione stabile all’interno del mediastino (adeso al centro frenico; vincolato allo sterno
e alla colonna vertebrale);
- la parte più esterna media i rapporti con altre strutture contigue;
- rappresenta una barriera contro infiammazioni provenienti da strutture limitrofe;
- protegge e sostiene le parti meno robuste del miocardio;
- il liquor pericardico che riempe la cavità pericardica, non solo favorisce lo scorrimento dei due foglietti, ma
contribuisce anche a rendere uniformi le forze di gravità che si esercitano sulla superficie del miocardio;
inoltre, riduce l’attrito durante i movimenti che si verificano nelle fasi funzionali di contrazione e rilassamento,
quindi sistole e diastole.
L’infiammazione del pericardio è chiamata pericardite e provoca un forte dolore toracico causando attrito nel
movimento del cuore. In condizioni normali, la quantità di liquor presente nella cavità pericardica è molto
scarsa, si può però verificare un versamento di liquido dai capillari pericardici che in condizioni estreme può
causare compressione cardiaca (tamponamento cardiaco).



Struttura del miocardio

Il tessuto muscolare cardiaco ha caratteristiche intermedie tra muscolatura liscia e muscolatura striata: è di
fatto un muscolo striato la cui contrazione è però involontaria. La sua caratteristica fondamentale è la
presenza di strie o dischi intercalari. Questi sono complessi di giunzione che hanno la capacità di provvedere
alla propagazione rapidissima dell’impulso contrattile da una fibrocellula muscolare all’altra. Il miocardio può
dunque essere considerato un sincizio funzionale. Questo sincizio ha delle strutture specializzate
nell’insorgenza e nella propagazione dell’impulso. Ci sarà quindi un’innervazione, da parte del sistema
nervoso autonomo o involontario che però non è quello che determina l’inizio della contrazione ma si limita
a modularlo. Il miocardio può essere distinto in un miocardio di lavoro o comune e un miocardio specifico. Il
miocardio comune forma le parete di atri e ventricoli; mentre quello specifico è quello che ha perso la capacità
contrattile, ma ha acquisito caratteristiche peculiari e forma il sistema di conduzione.

252

Nelle precedenti lezioni si è studiata la disposizione


interna del cuore, caratterizzata da due metà, ciascuna costituita di due camere. Inoltre abbiamo osservato
la struttura della parete: procedendo dall’esterno verso l’interno, essa mostra il pericardio con la sua
componente fibrosa (sacco pericardico) seguita da quella sierosa, rappresentata dal foglietto parietale che si
riflette in quello viscerale (epicardio). Nell’immagine a lato, è possibile apprezzare la quantità di tessuto
adiposo, il quale si insinua sotto l’epicardio e sopra il miocardio. Internamente a quest’ultimo si osserva un
altro rivestimento sieroso, l’endocardio, che segue anche i lembi valvolari (sia delle valvole semilunari che di
quelle atrio-ventricolari).

Miocardio comune
Il miocardio comune, detto anche “di lavoro”, poiché contraendosi compie un lavoro, è il tessuto muscolare
che forma le pareti degli atri e dei ventricoli.


A livello atriale vi è una parte in cui esso è molto meno sviluppato ed evidente, corrispondente
all’incorporazione del seno venoso, ove sboccano le due vene cave, e alla parte interatriale. Si sviluppa in
corrispondenza dell’auricola e si inspessisce con fasci disposti circolarmente intorno agli sbocchi delle vene.

253
Caratteristica precipua dei miocardiociti atriali è di presentare dei granuli che contengono un ormone, noto
come fattore natriuretico atriale (ANF), il quale stimola la diuresi e l’eliminazione del sodio. Si tratta di un
ormone antagonista all’ADH e all’ agiotensina II, che permette il rilasciamento della muscolatura liscia delle
arteriole. Quando la pressione all’interno degli atri aumenta oltre la norma, i miocardiociti, soggetti ad una
sollecitazione da stiramento (riflesso da stiramento), rispondono con secrezione di ANF, il quale determina
un rilasciamento della muscolatura liscia e, in conseguenza, una riduzione pressoria.

La muscolatura ventricolare, come già osservato, è molto più sviluppata di quella atriale, la cui funzione è lo
svuotamento degli atri. Invece la contrazione della muscolatura dei ventricoli deve determinare l’eiezione di
sangue verso le arterie, con significati diversi nei due circoli in termini di resistenze e pressione necessaria
sviluppata.

Nell’immagine a lato è rappresentata la muscolatura cardiaca dopo


la rimozione dell’epicardio, il quale conferiva il tipico aspetto lucente, andando ad aderire al miocardio
seguendo l’andamento di tutti i solchi superficiali. Si noti il rinforzo del miocardio comune intorno agli orifizi
venosi e la disposizione su due piani della muscolatura con andamento a spirale. Per sviluppare la massima
forza contrattile è infatti necessaria una strutturazione dei fasci molto particolare; si formano due sacche di
muscolatura (una per ciascun ventricolo), con vortici che si creano in corrispondenza degli apici dei ventricoli,
e una serie di fasci comuni.


Contrazione cardiaca (tav 222)

È stata già anticipata la presenza di un’innervazione da


parte del sistema nervoso viscerale, in grado unicamente di modulare la contrazione, aumentando ad

254
esempio il ritmo, la frequenza o l’intensità della contrazione. Tuttavia essa non è preposta in alcun modo alla
generazione del battito.
La genesi e la conduzione ad alta velocità dello stimolo elettrico, che serve a far contrarre il miocardio
comune, sono determinate dalla presenza di alcuni miocardiociti specializzati, organizzati in strutture ben
definite, che, nell’insieme, formano il cosiddetto tessuto o sistema di conduzione, spesso chiamato anche
miocardio specifico, in opposizione a quello comune. Esso coordina il ciclo cardiaco, ovvero l’alternanza di
sistole e diastole, generando in modo autonomo questo fenomeno elettrico.
In realtà tutti i miocardiociti, anche quelli isolati, hanno un ritmo miogenico intrinseco. Ciò vuol dire che la
loro membrana plasmatica è in grado di depolarizzarsi e ripolarizzarsi ritmicamente, ed essendo il cuore un
sincizio funzionale, l’onda viene trasmessa anche al miocardiocita limitrofo grazie alle strie intercalari.
Ciò che cambia è la frequenza di questi cicli di depolarizzazione e ripolarizzazione:
- il miocardio ventricolare ha frequenza bassa;
- il miocardio atriale ha frequenza intermedia;
- il nodo senoatriale ha frequenza massima – 70 battiti/min (qui i miocardiociti prevalgono sulle cellule
generatrici di ritmi più lenti).

Nodo senoatriale
Il nodo senoatriale è un agglomerato di cellule, una masserella ovalare, considerata il generatore del ritmo, il
pacemaker di tutto il sistema di conduzione del miocardio specifico. Si trova a destra dello sbocco della vena
cava superiore, esternamente in corrispondenza del solco terminale e internamente nello spessore della
cresta terminale. Perciò il termine indica il punto di incontro tra il seno delle vene cave e l’atrio destro
propriamente detto.
Le cellule nodali sono note come cellule P, in riferimento al fatto che sono primitive, pallide (poiché
presentano accumuli di glicogeno) e pacemaker, poiché quivi si genera l’impulso contrattile. Le cellule P si
dispongono tutt’intorno a una piccola arteriola (un ramo collaterale di una delle due arterie coronarie, più
frequentemente di quella destra), presentano dunque una propria vascolarizzazione indipendente. Queste
cellule sono meno abbondanti nella parte periferica del nodo, che va a prendere rapporto diretto con il
miocardio comune (nel quale il nodo è immerso).
Nel passaggio tra miocardio comune e nodo seno-atriale vi sono cellule di transizione, più allungate e simili
ai miocardiociti comuni; esse sono preposte a mediare la propagazione dell’impulso che si genera nel nodo
verso il miocardio atriale.
Essendo il tutto un sincizio, dal nodo senoatriale l’impulso si propaga alla muscolatura di entrambi gli atri.
Spesso si parla di fasci o tratti internodali (o di Bachmann) come responsabili della propagazione
dell’impulso, sebbene in realtà conferiscano soltanto ordine alla propagazione del segnale. Il loro ruolo è
tutt’oggi dibattuto, poiché, se non fossero presenti, l’impulso si propagherebbe lo stesso, in quanto il nodo
seno-atriale è immerso nel miocardio comune, il quale possiede strie intercalari che non oppongono
resistenza elettrica. L’impulso passa non solo ai miocardiociti dell’atrio destro (nel quale si trova il nodo) ma
anche a quelli dell’atrio sinistro, in virtù della continuità tra la muscolatura dei due atri.

Nodo atrioventricolare
L’impulso, propagatosi ad entrambi gli atri, giunge ad un’ulteriore masserella, sempre sita nell’atrio destro, a
livello della giunzione atrioventricolare e pertanto chiamata nodo atrioventricolare.
Più precisamente esso occupa l’apice di una superficie triangolare detta triangolo di Koch, importante punto
di repere per l’individuazione del nodo stesso. Tale triangolo è delimitato indietro dall'orifizio del seno
coronario, che ne costituisce la base, in basso dal lembo mediale della valvola tricuspide, che forma il lato
inferiore, e in alto dal tendine di Todaro, che costituisce il lato superiore. Il tendine di Todaro è una sottile

255
lamina fibrosa, una sorta di sollevamento della parete, che rappresenta il prolungamento della valvola di
Eustachio e di quella di Tebesio (le quali hanno medesima origine embriologica).
Anche questo nodo possiede una vascolarizzazione propria indipendente, ricevendo un’arteriola dalla
coronaria dominante (vedi dopo). Il citotipo è nuovamente di cellule P che si dispongono anch’esse attorno
all’arteriola, circondate da cellule di transizione. Quest’ultime rivestono un ruolo centrale nella funzionalità
del sistema di conduzione, contribuendo ad un lieve ritardo di conduzione (0,10-0,12 sec): nell’attraversare il
nodo atrioventricolare, l’impulso contrattile rallenta. Il rallentamento è necessario perché corrisponde alla
sfasatura tra contrazione degli atri e contrazione dei ventricoli, o meglio al tempo che i ventricoli impiegano
prima di riempirsi (è infatti anche detto tempo di riempimento ventricolare).

Questo sistema si basa sul principio secondo il quale lo scheletro fibroso, oltre a servire da attacco per le
valvole (non per la muscolatura), isola elettricamente il miocardio degli atri da quello dei ventricoli; non vi è
pertanto continuità anatomica tra le fibre miocardiche atriali e quelle ventricolari. Se così non fosse, e sarebbe
un’inefficienza della meccanica cardiaca, basterebbe il nodo atrioventricolare per propagare l’impulso ad
entrambi i ventricoli. Invece c’è necessità che gli atri si contraggano in maniera non simultanea ai ventricoli,
perché la contrazione degli atri spinge il sangue nei ventricoli fino al completo svuotamento, ragion per cui,
prima della sua contrazione, il ventricolo dovrà essersi completamente riempito. Se vi fosse continuità
anatomica tra le fibre atriali e quelle ventricolari, la contrazione dell’atrio, quando esso ancora pompa sangue
nel ventricolo, continuerebbe mentre il ventricolo sta già pompando sangue nelle arterie. Questo
meccanismo non sarebbe efficace ai fini della sistole ventricolare.

Fascio di His

L’unica struttura in grado di oltrepassare lo scheletro


fibroso, facendosi strada attraverso il trigono fibroso destro alla base dei ventricoli, è un fascetto brevissimo
(1 cm) chiamato fascio atrioventricolare comune o fascio di His. Il suo significato è di raccogliere l’impulso
dal nodo atrioventricolare e trasmetterlo alla muscolatura ventricolare.

Il fascio di His è ancora costituito da cellule P, che decorrono parallele e, portandosi distalmente, cambiano
la loro morfologia per assumere l’aspetto delle tipiche cellule giganti del Purkinje. È importante sottolineare
la presenza di un involucro connettivale che mantiene il fascio isolato, permettendo la propagazione lungo
una direttiva molto ordinata e con una sequenza temporale precisa.

256



Il fascio atrioventricolare comune è destinato a dividersi, biforcandosi in due rami detti branca destra e
branca sinistra, che decorrono rispettivamente sui versanti destro e sinistro del setto interventricolare. Sono
entrambe costituite da cellule del Purkinje, di grandi dimensioni, sempre pallide per i granuli di glicogeno, con
scarsi microfilamenti e con dischi intercalari atipici. Come il fascio di His, possiedono un involucro connettivale
che li isola dal miocardio circostante. Queste branche, che inizialmente costituiscono una struttura unica a
destra e a sinistra, due grandi fasci, progressivamente si ramificano e anastomizzano in una serie di rami
collaterali.

Seguendo la branca destra, essa decorre lungo quei rilievi muscolari che segnano la demarcazione tra cono
di afflusso e cono di efflusso, quindi lungo la cresta sopra-ventricolare, la trabecola setto-marginale (fascio
moderatore o fascio di Leonardo), per evolvere in una rete altamente ramificata sotto l’endocardio (rete
subendocardica). La direttiva è quindi lungo il setto interventricolare, fascio moderatore e muscolo papillare
anteriore. Tramite la rete subendocardica del Purkinje, l’impulso prosegue dall’apice verso la base del
ventricolo, raggiungendo prima i muscoli papillari e poi il resto della muscolatura. Questo fa si che la
contrazione dei papillari, i cui apici danno attacco alle corde tendinee, permetta il mantenimento della
chiusura della valvola tricuspide, dall’inizio per tutta la durata della sistole. Si osserva la medesima situazione
a sinistra.

L’efficienza cardiaca dipende da una precisa sequenza temporale che presupponga una asincronia tra la fine
della contrazione atriale e l’inizio della contrazione ventricolare (cruciale è qui l’attraversamento del nodo
atrio-ventricolare); la direzione dell’impulso all’interno del ventricolo procede secondo un ordine molto
preciso, dato prima dalle branche e dalle sue collaterali e poi dalla rete del Purkinje che ha un ruolo
importante nella chiusura delle valvole.
L’ultimo è il passaggio (eiezione) del sangue nelle camere cardiache, più precisamente dall’atrio al
ventricolo corrispondente e poi dal ventricolo all’arteria.

257

In sintesi: L’impulso, generato dal seno, viene


simultaneamente trasmesso alla muscolatura atriale, che si contrae. Quindi, l’onda di depolarizzazione passa
dalle cellule del nodo ai miocardiociti atriali contraendo gli atri. Immerso nell'atrio c’è il nodo
atrioventricolare, la cui presenza è fondamentale, in quanto, grazie alla distribuzione delle sue cellule attorno
all’arteriola, esso determina quel lieve rallentamento dell’impulso. Quindi, questo attraversa le cellule nodali
e, successivamente, prende la via del fascio atrioventricolare, che è in grado di attraversare lo scheletro
fibroso, esattamente in corrispondenza del trigono fibroso destro nel corpo fibroso centrale, per poi dividersi
nelle 2 branche di destra e di sinistra, che decorrono sui 2 versanti del setto interventricolare ancora isolati.
Pertanto, si verifica una trasmissione in via preferenziale dell’impulso, che si propaga alla muscolatura
ventricolare solo in un secondo momento. Giunto poi ai ventricoli, l’impulso viene prima trasmesso ai muscoli
papillari, che sono in contatto con le valvole atrio ventricolari tramite le corde tendinee, permettendo quindi
la chiusura delle due valvole, la tricuspide e la mitrale. In seguito, risale dai papillari verso la base dei ventricoli.
Infine, è necessaria la forza contrattile della muscolatura ventricolare per pompare il sangue nelle due arterie.

Questo sistema non è alternativo di un sistema nervoso periferico autonomo al cuore: esiste sia
un’innervazione del simpatico che del parasimpatico, deputate però alla modulazione della frequenza e
dell’intensità dell’impulso.

258

Elettrocardiogramma (ECG)
L’elettrocardiogramma, è un tracciato grafico dei fenomeni elettrici che avvengono (in successione) nei
miocardiociti, e che riporta il ritmo sinusale, imposto dal nodo seno-atriale (pacemaker).
L’elettrocardiogramma registra degli eventi elettrici con il posizionamento di alcuni elettrodi sulla superficie
corporea.

L’elettrocardiogramma registra degli eventi elettrici con il


posizionamento di alcuni elettrodi sulla superficie corporea.

Nella sequenza viene evidenziata una prima onda P, non molto


ampia, che rappresenta la depolarizzazione atriale, nella quale gli atri si contraggono; si possono poi notare
un plateau (platò), che rappresenta il rallentamento a livello del nodo atrioventricolare (tempo tra
contrazione atriale e ventricolare) ed il complesso QRS. Quest’ultimo, molto articolato e talvolta variabile,
rappresenta la propagazione prima al fascio di His, poi dalle due branche e dalla rete subendocardica del
Purkinje. L’onda T, successiva al complesso QRS, rappresenta la ripolarizzazione ventricolare, a cui farà
seguito un periodo di refrattarietà, in cui il miocardio non potrà essere eccitato. Questa successione di eventi
è definita come ciclo cardiaco.







Ciclo cardiaco

259
Ogni minuto si susseguono mediamente 70 cicli cardiaci; tutti coloro che hanno, invece, un numero minore
di battiti (e quindi di cicli cardiaci), presentano una maggior resistenza sotto sforzo. Un ciclo è una alternanza
di sistole e diastole ventricolari, responsabili dell’espulsione del sangue nelle arterie, che si trasmette in
parallelo a destra e a sinistra.

Diastole ventricolare:
A. Nella prima fase, è possibile osservare il ventricolo in diastole (rilassato) e nessuna camera contratta;
simultaneamente si sta riempiendo l’atrio, la cui pressione diventa positiva (segno +) e risulta
maggiore di quella del ventricolo, che si è appena svuotato (segno -). Dal momento che il sangue va
sempre secondo gradiente di pressione, man mano che l’atrio si riempie, il sangue defluisce verso il
ventricolo: infatti le valvole mitrale e tricuspide sono aperte e le loro corde tendinee rilasciate. Alla
fine della diastole, l’atrio è pieno.
Nell’arteria la pressione è molto alta (+): infatti il gradiente va dall’arteria verso il cono di efflusso del
ventricolo (-), e il sangue tenta di refluire, riempiendo le tasche delle valvole semilunari, e determinando
la chiusura di queste ultime.

B. Nella seconda fase, in seguito alla trasmissione


dell’impulso dal nodo senoatriale alla muscolatura atriale, la parete dell’atrio si contrae in maniera
attiva, in modo da svuotarsi completamente e determinare il passaggio del sangue nel ventricolo. La
pressione ventricolare aumenta (+) e i lembi delle valvole atrioventricolari vengono sollevati dal
sangue, che va accumulandosi nella camera ventricolare.
Nel cono di efflusso la situazione rimane invariata, infatti la pressione ventricolare è sempre minore di
quella arteriosa, nonostante quest’ultima si sia ridotta poiché il sangue si dirige verso l’albero arterioso.
Quindi, le valvole semilunari risultano ancora chiuse.

260

Sistole ventricolare:
C. Nella terza fase, l’atrio risulta vuoto, grazie anche alla contrazione muscolare della seconda fase;
l’impulso, dagli atri, dopo il rallentamento del nodo atrioventricolare, si trasmette al fascio di His, alle
branche, alle cellule del Purkinje ed infine al miocardio ventricolare. Quest’ultimo, quando si contrae,
si accorcia, e la pressione ventricolare risulta molto maggiore (+) rispetto a quella atriale (-). Il sangue
tende quindi a refluire dal ventricolo verso l’atrio, sollevando i lembi delle valvole atrioventricolari.
Tuttavia, i muscoli papillari, che vengono raggiunti per primi dall’impulso e rimangono contratti per
tutta la sistole, esercitano una forza uguale e contraria rispetto a quella esercitata dal flusso
sanguigno che refluisce, determinando e garantendo la chiusura delle valvole stesse. Contraendosi,
essi stirano infatti le corde tendinee delle valvole atrioventricolari verso il basso. Laddove ci sia
un’insufficienza valvolare, la valvola tende a ribaltarsi e il sangue passa nell’atrio.

Inoltre, la pressione ventricolare è ora maggiore di quella


arteriosa, quindi il sangue viene pompato (gittata sistolica) verso il cono di efflusso, prendendo la via
dell’arteria, e l’alta pressione schiaccia contro le pareti i lembi delle valvole semilunari, aprendole.
D. Nella quarta fase, la pressione arteriosa, crescente rispetto al cono di efflusso ventricolare, crea il
reflusso del sangue, il quale va a chiudere le valvole semilunari, riempiendone le tasche. Le valvole
sono quindi di fondamentale importanza, in quanto attuano uno sbarramento e non permettono al
sangue di tornare indietro.
Successivamente ci sarà un periodo di non eccitabilità del miocardio, seguito da una nuova diastole,
durante la quale l’atrio si riempirà, con conseguente aumento di pressione (+), rispetto al ventricolo ormai
vuoto (-).
Dalla dispensa originale
Quindi in definitiva:
-Stimolo parte dal SA e raggiunge il AV, in 50 msec;
-Al livello di AV vi è un ritardo di 100 msec e inizia la contrazione atriale;
-L’impulso viaggia lungo il setto attraverso il fascio di AV e i rami del fascio verso le fibre di Purkinje e passa attraverso
la banda moderatrice per chiudere le valvole atrioventricolari, 175 msec dall’inizio;
-L’impulso è distribuito dalle fibre di Purkinje e trasmesso ai ventricoli, la contrazione atriale viene completata e inizia
quindi quella ventricolare, 225 msec dall’inizio.

Toni cardiaci
Ascoltando il battito cardiaco si sentono due toni o rumori cardiaci:
• Il primo è la chiusura delle valvole atrioventricolari, che si verifica nel momento di sistole ventricolare;
Al primo tono segue una piccola pausa;
• Il secondo è la chiusura delle valvole semilunari, nel momento dell’inizio della diastole ventricolare.

261
Al secondo tono segue una grande pausa, prima della nuova sistole ventricolare; durante tale pausa,
nei soggetti giovani e molto magri, c’è la possibilità di sentire un terzo tono, causato dalla vibrazione
della muscolatura ventricolare che si verifica con l’ingresso del sangue durante la diastole. In casi
patologici, è possibile udire il quarto tono, che si configura come uno sdoppiamento con il primo, e
rappresenta la contrazione della muscolatura atriale, che normalmente non è percepibile.
Le anomalie nel ritmo cardiaco vengono chiamate aritmie.
I toni e i soffi (rumori patologici) sono apprezzabili mediante auscultazione eseguita sui cosiddetti focolai
d’auscultazione, i quali non corrispondono alla sede topografica di proiezione delle valvole (focolai
anatomici), bensì alle sedi nelle quali il flusso sanguigno corrispondente si avvicina maggiormente alla parete
toracica.
I focolai d’auscultazione sono così distinti:
• Valvola polmonare: secondo spazio intercostale sinistro in vicinanza dello sterno
• Valvola aortica: secondo spazio intercostale destro in vicinanza dello sterno
• Valvola atrioventricolare destra: faccia anteriore dello sterno in corrispondenza del quarto spazio
intercostale (talvolta anche più in basso fino al processo xifoideo)
• Valvola atrioventricolare sinistra: sede dell’itto della punta (apice del cuore)

Le aree di
auscultazione, più ampie rispetto ai focolai stessi, in quanto i rumori cardiaci si diffondono seguendo
particolari linee di propagazione anche in zone più distanti dal cuore, delimitano sulla parete anteriore del
torace l’aia cardiaca.




Circolazione sanguigna
1. Piccolo circolo (circolo polmonare)

262
Il circolo polmonare ha inizio dall’arteria omonima, che,
trasportando sangue non ossigenato, si diparte dal cuore a livello del ventricolo destro (cono di efflusso
destro) e, allontanandosi da esso, si ramifica.
Le ramificazioni dell’arteria polmonare danno origine ad un albero arterioso, che culmina con dei piccoli vasi
capillari all’interno delle superfici di scambio polmonari, gli alveoli, dove avviene l’ossigenazione del sangue.
Successivamente, il sangue viene riportato all’atrio sinistro del cuore, tramite un sistema di vene che fa capo
alle quattro vene polmonari: una volta raggiunto, attraverso la valvola atrioventricolare mitrale, il ventricolo
sinistro (cono di efflusso sinistro), il sangue viene pompato nell’arteria Aorta. Questo è il vaso principale del
circolo sistemico, detto anche grande circolo.

2. Grande circolo (circolo sistemico)
Il grande circolo prende avvio dal tronco iniziale dell’arteria aorta, chiamato bulbo aortico, il quale si diparte
dal ventricolo sinistro (cono di efflusso): il sangue, nel momento sopra definito come gittata sistolica, viene
indirizzato in un complesso sistema vascolare, un albero arterioso, che lo trasporta in modo centrifugo sino
alla periferia (testa, collo, tronco e arti), a qualunque livello di profondità. Le arterie che compongono l'albero
arterioso diminuiscono le loro dimensioni man mano che si allontanano dall'aorta e culminano poi in arteriole
ed arteriole pre-capillari: queste ultime convogliano il sangue in reti di vasi capillari, i quali sono
estremamente numerosi, sottili ed altamente anastomizzati, ovvero in continuità e comunicazione gli uni con
gli altri.
Grazie alle ridotte dimensioni delle loro pareti e alla bassa pressione con cui scorre il sangue (la massima
pressione la ritroviamo invece a livello aortico) in essi, i capillari diventano sede di scambio di ossigeno,
anidride carbonica ed altri metaboliti.
Dai vasi capillari ha inizio anche il ritorno venoso, costituito da vene, via via di calibro maggiore, sino ad
arrivare a due grandi sistemi di raccolta, costituti dalla vena Cava Superiore e dalla vena Cava Inferiore. Le
vene, che a differenza delle arterie originano in periferia e raccolgono sangue non più ossigenato da un
sistema a bassa pressione, riportano il sangue in modo centripeto verso il cuore.

Caratteristiche dei vasi


In generale, i vasi possono essere descritti come una parete disposta attorno ad un lume.
La parete risulta costituita da una tonaca intima (un endotelio che poggia su membrana basale), una tonaca
media (a prevalenza di fibre muscolari, elastiche e connettivali) ed una tonaca avventizia (fibrosa, che media
i rapporti del vaso con l'esterno).
Le caratteristiche strutturali della robusta parete delle arterie rispondono all’elevato regime pressorio che
vige al loro interno, contrariamente alle vene.

Approfondimento – Ripasso sui vasi


Le pareti delle arterie e delle vene sono formate da tre strati:

263
1. Tonaca intima: strato più interno, include rivestimento endoteliale e un connettivo di fibre elastiche.
Nelle arterie, il versante esterno della tonaca intima contiene uno spesso strato di fibre elastiche, detto membrana
elastica interna.
2. Tonaca media: contiene fasci concentrici di muscolatura liscia, immersi in una rete di connettivo lasso.

A seguito di una stimolazione simpatica avviene la


vasocostrizione, e quindi tali cellule muscolari lisce si contraggono; a seguito di una stimolazione parasimpatica avviene
la vasodilatazione e le cellule muscolari si rilassano.
Le fibre collagene connettono la tonaca media alle altre due tonache.
Tra le tonache media e avventizia delle arterie si trova un sottile strato di fibre elastiche, la membrana elastica esterna.
3. Tonaca avventizia: strato esterno, costituito da una spessa stratificazione di fibre collagene, con fascetti dispersi
di fibre elastiche; va quindi a formare una guaina connettivale attorno al vaso. Le fibre di tale guaina si disperdono nei
tessuti adiacenti, così da fissare e ancorare maggiormente i vasi.
Essendo le pareti dei vasi maggiori troppo spesse per permettere scambi tra le cellule delle pareti stesse e il sangue,
queste ricevono piccole arterie e vene, dette vasa vasorum, che irrorano le fibrocellule muscolari lisce, i fibroblasti e i
fibrociti delle tonache media e avventizia.
Inoltre, in condizioni di minore quantità sanguigna trasportata, le arterie restringono il calibro contraendosi (l’endotelio
intimo, non potendo contrarsi, si solleva in pieghe), mentre le vene tendono a collabire, ovvero ad afflosciarsi, fino a
che due estremità di parete opposte non giungono a contatto.

Arterie
Dal cuore verso i capillari periferici ritroviamo:
-Arterie elastiche o arterie di conduzione: sopra i 2,5 cm di diametro; sono rappresentate dai tronchi polmonari, i tronchi
aortici e i rispettivi rami principali (arterie polmonari e le carotidi, succlavie e iliache).
Presentano pareti molto resistenti, date dalle molte fibre elastiche (a scapito delle muscolari), in grado di sopportare
forti variazioni di pressione.
Non si contraggono con lo stimolo simpatico.
Aumentano di diametro durante la sistole e tornano alle dimensioni originali nella diastole, ammortizzando i
cambiamenti di pressione.
-Arterie muscolari o arterie di distribuzione: di medio calibro, con un diametro di circa 0,4 cm; sono rappresentate dalle
carotidi esterne del collo, le brachiali delle braccia, le femorali e le mesenteriche dell’addome.
Distribuiscono sangue ai muscoli scheletrici e agli organi interni.
Presentano una spessa tonaca media, che predilige le cellule muscolari alle elastiche.
Sono controllate dal SNA.
-Arteriole: diametro di 30 micrometri circa

264
Presentano una tonaca avventizia scarsamente definita, e una tonaca media con cellule muscolari lisce che non formano
uno strato completo.
Modificano il diametro, come le muscolari, sotto lo stimolo del simpatico o del parasimpatico.

Vene
La pressione, inferiore rispetto a quella nelle arterie, fa sì che le pareti delle vene siano sono più sottili, tuttavia esse
presentano un diametro maggiore delle arterie corrispondenti.
Nelle venule e nelle vene medie degli arti, essendo la pressione sanguigna troppo bassa per opporsi alla forza di gravità,
sono presenti delle valvole unidirezionali, dette valvole venose (o a nido di rondine). Esse sono formate da pieghe della
tonaca intima e hanno come scopo la prevenzione del reflusso sanguigno e la suddivisione della massa emetica nei vari
compartimenti.
Inoltre, ogni movimento dei muscoli scheletrici circostanti preme il sangue verso il cuore, con un meccanismo definito
pompa muscolare scheletrica, che coadiuva l’azione delle valvole.
Vene grosse come le vene cave non presentano valvole, ma sono i cambiamenti di pressione nella cavità toracica ad
assicurare il direzionamento del sangue al cuore.
Dal cuore verso i capillari periferici ritroviamo:
-Vene di grosso calibro: sono rappresentate dalle vene cave superiore e inferiore e i principali affluenti.
-Vene di medio calibro: diametro da 2 a 9 mm.
Presentano una tonaca media sottile e con una piccola quota di fibre muscolari lisce; esternamente alla media, la
avventizia, con fasci longitudinali di fibre elastiche e collagene.
-Venule: sono le più piccole.
Raccolgono il sangue dal letto capillare.
Le venule minori mancano della tonaca media, mentre le maggiori hanno una tonaca media sottile e dominata da
connettivo, a volte contenete fibrocellule muscolari lisce sparse.

Capillari
Essi sono gli unici vasi che permettono lo scambio tra sangue e fluidi interstiziali. Essendo la distanza di diffusione
limitata, gli scambi avvengono velocemente, per diffusione, oppure attraverso pori tra cellule endoteliali adiacenti.

Questi vasi sono costituiti da cilindri endoteliali, contornati da una sottile lamina
basale; hanno un diametro di 8 micron.
Si distinguono:
-I capillari continui, a parete continua, hanno un unico strato, sul quale non presentano aperture: infatti, le interazioni
tra esterno e interno, laddove ci siano, avvengono senza aperture.
Presentano un endotelio completo, con cellule endoteliali connesse da giunzioni strette e desmosomi.
Sono tipicamente presenti nel tessuto nervoso o negli alveoli polmonari, dove i gas diffondono attraverso la parete.
-I capillari fenestrati con parete con pori, di solito chiusi da un diaframma: tale costituzione consente loro, in caso di
necessità, di comunicare con l'esterno.

265
Sono tipicamente presenti nell'intestino, nel pancreas o in ghiandole esocrine; nel rene (glomerulo renale) i capillari
sono fenestrati ma senza diaframma, il cui compito è svolto da altre strutture: il loro endotelio è dunque incompleto o
perforato.
-I capillari sinusoidali assomigliano ai fenestrati, ma con pori più grandi, diaframma assente, e una lamina basale più
sottile; sono appiattiti, irregolari e seguono i contorni interni di organi complessi, permettendo un ampio scambio, tra
sangue ed esterno, di fluidi e di grandi soluti, come proteine in sospensione. Pertanto, l'endotelio e la membrana basale
sono discontinui.
Lungo i sinusoidi, il sangue scorre lentamente, prolungando al massimo il tempo a disposizione per l’assorbimento e la
secrezione attraverso le pareti dei vasi stessi.
Sono tipicamente presenti nel fegato, nei quali manca la lamina basale, nel midollo osseo e nei surreni. Essi si adattano
alla struttura dell'organo, disponendosi, ad esempio, tra le lamine di epatociti.
Le modalità di scambio attraverso le pareti di capillari e sinusoidi sono:
-Diffusione attraverso le cellule endoteliali dei capillari (gas, acqua, materiali liposolubili);
-Diffusione attraverso aperture presenti tra le cellule endoteliali (acqua, soluti piccoli, soluti grandi nei sinusoidi);
-Diffusione attraverso i pori dei capillari fenestrati (acqua e soluti);
-Trasporto vescicolare mediante cellule endoteliali (endocitosi sul versante luminale, esocitosi sul versante basale).

Letti capillari
I capillari non funzionano come entità isolate, ma come parte di una rete interconnessa, detta plesso capillare o letto
capillare. Una singola arteriola dà origine a dozzine di capillari. Prima di trasformarsi in capillare, l’arteriola acquisisce
caratteristiche intermedie tra arterie e capillari, presentando inoltre un’abbondanza di cellule muscolari lisce, in grado
di modificarne il diametro: tale regione arteriolare è detta metarteriola. A quest’ultima segue un anello di tessuto
muscolare liscio, detto sfintere precapillare, che, contraendosi, riduce l’afflusso ematico e viceversa (rilassandosi
aumenta l’ingresso di sangue). Gli sfinteri si aprono all’aumentare dei livelli di CO2. La restante parte del canale
possiede caratteristiche analoghe a un capillare ed è detto canale preferenziale.
Ogni sfintere si chiude e si apre circa una dozzina di volte al minuto, rendendo intermittente il flusso ematico di ogni
capillare.
Il sangue raggiunge le venule ora con un percorso ora con un altro, processo detto autoregolazione capillare.
Spesso le reti di capillari sono irrorate da più arterie, dette collaterali, che non si diramano in arteriole, ma si fondono
tra loro in un’anastomosi arteriosa (presenti in cuore, testa, stomaco e altri organi). Le anastomosi arteriovenose sono
invece dei collegamenti diretti tra arteriole e venule.


Arterie coronarie (cenni, in vista della prossima
lezione)
Le arterie coronarie destra e sinistra sono i vasi che
irrorano il cuore, costituendo il circolo coronarico. Esse,
insieme alle loro ramificazioni, decorrono sulla superficie
esterna del cuore, coperte dall’epicardio, accolte nel
solco coronario e nei solchi interventricolari anteriore e
posteriore.
Data la loro posizione, sono addette alla vascolarizzazione
di epicardio (internamente) e miocardio; l’endocardio non
necessita di un’irrorazione vasale, in quanto
continuamente soggetto a contatto con il sangue delle
cavità atriali e ventricolari.
Le arterie coronarie originano dal primissimo tratto
dell’aorta ascendente, in corrispondenza dei seni aortici,

266
posti al di sopra delle valvole semilunari destra e sinistra della valvola aortica.
Entrambi i vasi emettono numerosissime gemmazioni, i rami collaterali, che provvedono a vascolarizzare
regolarmente e approfonditamente l’intero cuore; caratteristica importante delle ramificazioni coronariche
è la tendenza ad anastomizzarsi, ovvero a collegarsi reciprocamente. L’instaurazione di tali circoli coronarici
consente al sangue, in caso di ostruzione di una via vasale, potenzialmente fatale, di supplire ugualmente la
quota di tessuto che è rimasta ischemica, mediante la modulazione del suo stesso calibro.


Circolazione sanguigna (no img)

Il cuore destro tramite il cono di efflusso é in continuità con l’arteria polmonare (con sangue venoso),
dalla quale ha inizio circolo polmonare. L’arteria polmonare si allontana dal cuore e si ramifica andando a
costituire un albero arterioso che culmina con dei piccoli vasi capillari all’interno delle superfici di scambio
polmonari, gli alveoli, dove avviene l’ossigenazione del sangue. Successivamente il sangue viene riportato
tramite un sistema di vene che fa capo alle quattro vene polmonari (con sangue arterioso), all’atrio sinistro,
passa attraverso la valvola mitrale e dal ventricolo sinistro (comunicazione atrio-ventricolare sinistro) viene
pompato, attraverso il cono di efflusso, nell’arteria aorta (sangue arterioso); questo è il vaso principale del
circolo sistemico, detto anche grande circolo. Il sangue che si trova nel cuore sinistro è quindi ossigenato.
Dall’aorta generano vasi con calibro sempre minore, fino a culminare nei capillari in tutta la periferia del
corpo, qui avvengono gli scambi gassosi e metabolici. Il sangue, arricchitosi con cataboliti e anidride
carbonica, viene riportato verso il cuore attraverso un sistema venoso più complesso rispetto a quello
arterioso, che fa capo alle due vene cave (con sangue venoso) che si immettono nell’atrio destro.
Successivamente il flusso passa attraverso la valvola tricuspide, il ventricolo destro e riprende nuovamente il
circolo polmonare.

Distribuzione del sangue


Il 30-35% è contenuto in arterie, vene e capillari; il resto del sangue è contenuto nel cuore. Dopo
un’emorragia, le cellule muscolari lisce si contraggono nella vasocostrizione, riducendo il volume del sistema
venoso e il sangue presente nei distretti epatico, midollare e cutaneo viene dirottato nella circolazione
generale. La riduzione del volume ematico nel distretto venoso permette di mantenere a livello del distretto
arterioso livelli vicini alla norma; il distretto venoso agisce anche come riserva ematica e i cambiamenti del
volume costituiscono la riserva venosa.
La distribuzione periferica di arterie e vene è quasi identica nelle metà destra (arteriosa) e sinistra (venosa).

Circolo arterioso
Aorta (tav 233,259)
L'Aorta ha decorso piuttosto articolato: la prima porzione è ascendente, dal bulbo aortico (costituito dai tre
seni del Valsalva) risale e si porta verso l'alto e verso destra, poi segue un arco reale, arco aortico, in cui
l'arteria si piega e si sposta dall'avanti all'indietro e da destra verso sinistra a scavalcare il bronco sinistro;
successivamente discende verticalmente e diviene aorta discendente (il punto di passaggio tra arco e a-
discendente è definito istmo aortico), che passerà dietro-a lato sinistro dell’esofago e poi dietro il legamento
arcuato mediano del diaframma; nell'ambito dell'aorta discendente ci sarà quindi una parte che decorre nel
torace, l'aorta toracica ed una parte che, superato il diaframma, diviene aorta addominale, che si biforcherà
in due arterie iliache comuni in corrispondenza di L4, mentre verso il basso continua scorrendo sul sacro il
ramo terminale sacrale mediano.

267
L'Aorta ascendente ha solamente due rami collaterali: l'Arteria coronaria destra e l'Arteria coronaria
sinistra, che originano in corrispondenza dei due orifizi di fronte alle due cuspidi semilunari destra e sinistra
della valvola aortica. Le coronarie irrorano, con le loro ramificazioni, l’epicardio e il miocardio.
L’endocardio, invece, riesce ad essere irrorato dalla quota di sangue che scorre a diretto contatto con esso.
Sono chiamate coronarie perchè il decorso dei loro vasi principali ricorda una corona rovesciata verso il basso.



Arterie Coronarie (tav 215,216)
Nell’ultima parte della lezione precedente erano state
introdotte le arterie coronarie destra e sinistra, definite
come i vasi che irrorano il cuore e costituiscono il circolo
coronarico. Queste arterie, dotate di molteplici
ramificazioni, decorrono sulla superficie esterna
dell’organo e vengono accolte dal solco coronario e dai
solchi interventricolari anteriori e posteriori.
Vascolarizzano il miocardio e internamente l’epicardio
(che le ricopre). L’endocardio non necessita di una
irrorazione vasale poiché è continuamente in contatto
con il sangue all’interno delle cavità cardiache.

Le arterie coronarie costituiscono i due rami collaterali dell’aorta ascendente, il primo tratto dell’aorta.
Originano in corrispondenza di due delle tre cuspidi della valvola semilunare aortica e si dirigono a
vascolarizzare il miocardio e l’epicardio.

I vasi collaterali principali, diramandosi, assumono l’aspetto di una corona rovesciata (da qui il nome di arterie
coronarie).

L’arteria coronaria destra è accolta nel solco
coronario (o solco atrioventricolare destro). L’arteria
ha un andamento pressappoco orizzontale, perché si
porta verso il margine destro (o margine acuto) e lo
fa emettendo una serie di rami collaterali sempre più
piccoli che si distribuiscono all’atrio e al ventricolo
destro (faccia sterno-costale), e che culminano in
arteriole pre-capillari e poi capillari. Questi ultimi si
continuano nel sistema venoso.

L’arteria coronaria di destra emette una serie di rami.
In corrispondenza del margine destro emette un
ramo un po’ più voluminoso rispetto agli altri, che
viene chiamato ramo marginale o arteria del
margine acuto destro. Dalla coronaria destra nel 55%
dei casi viene emessa anche l'arteriola per il nodo
seno-atriale (le cellule del nodo SA sono disposte
attorno a questa arteriola), nel restante dei casi viene
emessa da un ramo della coronaria sinistra.

268
Oltre il margine destro, l’arteria
marginale continua all’interno
del solco coronario sulla faccia
diaframmatica e, nella grande
maggioranza dei casi (con una
probabilità che ricade tra 70 e il
90 %), una volta arrivata nel
punto in cui è possibile
individuare la confluenza del
solco inter-ventricolare
posteriore, del solco atrio-
ventricolare e del solco inter-atriale (regione chiamata crux cordis, cioè croce del cuore), emette un ramo per
il solco interventricolare posteriore (ramo del solco interventricolare posteriore o arteria discendente
posteriore). Continua poi per un tratto del solco coronario, sul ventricolo sinistro, emettendo rami per la
superficie ventricolare della faccia diaframmatica. In questo caso la coronaria destra è detta dominante, nel
restante 10-15% è la sinistra ad essere dominante.

Veduta dall’alto della base del cuore. Sono ben visibili il bulbo aortico,
i tre seni aortici del Valsalva e l’origine delle arterie coronarie (non
solo dei due rami principali ma anche di alcuni rami collaterali). La
destra, che è già nel solco coronario, piega verso la faccia
diaframmatica, dove continuerà fino a giungere alla crux cordis.



L’arteria coronaria sinistra origina dall’orifizio coronarico
sinistro della valvola aortica e si dirige verso il solco coronario
sinistro. Ha un breve tratto comune e in seguito si biforca
(raramente si triforca) in due rami con diversa direzione.

Un tronco scende verso il solco interventricolare anteriore
ed è chiamato RIVA (ramo interventricolare anteriore): esso
emette rami collaterali per l’atrio e il ventricolo sinistro (alcuni
con andamento caratteristico diagonale, obliquo) e alcuni per
il ventricolo destro. Vascolarizza una grossa porzione di
miocardio. Il RIVA continua sulla destra rispetto all’apice, si
porta fino all’incisura cardiaca e arriva a vascolarizzare una
piccola quota della faccia diaframmatica. È anche detta arteria
discendente perché ha un andamento discendente verso l’apice.

L’altro ramo di biforcazione, che rappresenta la continuazione del tronco principale della coronaria
sinistra, è l’arteria circonflessa. Ha una direzione molto diversa rispetto alla discendente anteriore (o
interventricolare anteriore). Rimane infatti nel suo decorso nel solco atrio-ventricolare ed emette una serie
di rami per il ventricolo sinistro e l’atrio sinistro (sulla faccia sterno-costale), un ramo marginale sinistro (o
ottuso) e poi, nel caso di dominanza destra, dopo aver superato il margine ottuso, termina emettendo una
serie di rami per ventricoli ed atrio sinistro sulla faccia diaframmatica.

269
Osservando la faccia diaframmatica del cuore di
diversi soggetti è possibile notare
alternativamente una preponderanza
dell’arteria coronaria destra o della sinistra. Si
parla quindi di dominanza destra o di
dominanza sinistra. La situazione più comune è
la dominanza destra. Viene definita dominante
l’arteria che vascolarizza il solco
interventricolare posteriore e la gran parte
della faccia diaframmatica.

Nella dominanza sinistra, l’arteria circonflessa
non termina sulla faccia diaframmatica appena
dopo aver superato il margine sinistro, ma
continua nel solco atrioventricolare fino alla crux cordis, dove emette il ramo interventricolare posteriore e
va a vascolarizzare il solco interventricolare posteriore.
Una situazione estremamente rara è quella della dominanza bilanciata: sulla faccia diaframmatica non arriva
un ramo unico di una o dell’altra arteria ma giungono più rami provenienti da entrambe le arterie.

La provenienza dell’arteriola del nodo senoatriale è pressoché bilanciata tra arteria coronaria destra e sinistra
(nei vari individui può provenire da entrambi i lati con una probabilità all’incirca del 50%). L’arteriola del nodo
atrioventricolare è un ramo dell’arteria che risulta essere dominante nel soggetto in questione (quella che
irrora il triangolo di Koch).


Le coronarie risentono, come il miocardio, dell’innervazione del sistema nervoso autonomo. Quest’ultimo,
con la sua componente simpatica, provoca un aumento della frequenza cardiaca. Il sistema nervoso simpatico
è quello che prepara alla fuga e al combattimento in situazioni di emergenza o stress. L’effetto sulla
muscolatura delle parenti delle arterie coronarie è invece rilassante: ciò consente un maggiore afflusso di
sangue al miocardio in situazioni di aumentata attività.
L’effetto del parasimpatico (del nervo vago) è quello di una diminuzione della frequenza cardiaca e di una
condizione di costrizione della muscolatura coronarica che si traduce in un risparmio energetico negli
intervalli tra i periodi di aumentata richiesta.

Tutte le arterie si riempiono durante la sistole
ventricolare. Le coronarie si riempiono invece
durante la diastole, perché il sangue tende a
dirigersi secondo gradiente pressorio. L’arteria, che
ha ricevuto sangue in sistole, presenta un alto
gradiente pressorio; durante la sistole il sangue
pompato ad alta pressione dal ventricolo schiaccia
il lembo valvolare ed il sangue non può infilarsi
nell'orifizio coranico. Il ventricolo, che si è
svuotato, ha sangue con pressione praticamente
nulla. Le frecce nell’immagine a lato indicano che il
sangue tende a refluire e a riempire le tasche della
valvola semilunare aortica. Da lì il sangue può prendere finalmente la via delle due arterie coronarie di destra
e sinistra).

270
Un altro motivo, fondamentale, che spiega il comportamento di queste arterie è che al momento della sistole
il miocardio si accorcia, si contrae e non è nella condizione ideale per ricevere il sangue. In realtà, durante la
sistole, una piccola quota di sangue entra nel cuore destro (che sviluppa una forza contrattile inferiore), ma
non è presente il gradiente pressorio ottimale che rende la diastole il momento ideale per il passaggio del
sangue nelle arterie coronarie.

A livello arterioso abbiamo dei distretti irrorati unicamente da un ramo principale con i propri rami collaterali,
per alcune arterie si parla quindi di circoli terminali: ciò significa che in un determinato distretto un’arteria
rappresenta l’unica sorgente vascolare, quindi in caso di occlusione non è possibile che le arterie circostanti
vadano a supplire alla mancanza di sangue a valle creando un circolo, perché non stabiliscono delle
anastomosi con il vaso occluso. Il circolo coronario non è un circolo terminale in senso stretto dal punto di
vista anatomico perché sono state dimostrate connessioni (anastomosi) fra rami terminali (ad esempio fra
rami atriali destri e sinistri, anastomosi di Kugel), ma funzionalmente viene definito come tale perché le
anastomosi presenti sono tra vasi collaterali di piccolo calibro, non sufficienti ad evitare una necrosi
ischemica, dovuta alla mancanza di irrorazione.

L’immagine a lato mette a confronto il lume pervio di un’arteria coronaria sana con il lume
ristretto di una coronaria che presenta una placca ateromasica.

L’ostruzione del vaso non consente la
corretta vascolarizzazione del miocardio
e può provocare a valle la necrosi
ischemica del tessuto. La soluzione a
questo problema è l’angioplastica. Prima
di intervenire è necessaria una
coronarografia atta ad individuare la
stenosi. L’angioplastica si attua praticando un accesso femorale o brachiale e introducendo un catetere
all’interno del quale si trova il palloncino, che viene portato fino alla sede della lesione e gonfiato ad alta
pressione in modo da ripristinare il lume all’interno del vaso e lasciare uno stent (una struttura rigida che
mantiene dilatato il vaso).

Se non è possibile ripristinare con un’angioplastica la
pervietà del vaso si pratica un bypass aorto-coronarico,
creando una rivascolarizzazione del miocardio. Una
condizione frequente riguarda l’occlusione di una parte del
RIVA. Il bypass viene realizzato deviando un’arteria che
deriva dall’arteria succlavia sinistra (la mammaria interna
sinistra), che viene così collegata alla coronaria sinistra in
modo tale da scavalcare l’ostruzione e rivascolarizzare il
territorio miocardico a valle. Si dice che l’arteria viene
“scheletrizzata”.
La rivascolarizzazione può anche consistere nel prelievo di
rami di vene superficiali (come della vena safena) utilizzati
per creare un collegamento venoso tra aorta e la porzione
del miocardio rimasta priva di ossigenazione. I bypass venosi circa nella metà dei casi tendono a chiudersi
dopo una decina di anni, perciò è preferibile il bypass arterioso. Nelle situazioni in cui è necessario effettuare
un duplice o triplice bypass si utilizzano anche rami venosi.

271
VENE CARDIACHE
Il ritorno venoso inizia sul versante opposto rispetto a quello arterioso. Si parla di ritorno perché, nel circolo
sistemico, le vene recuperano il sangue ricco di anidride carbonica e cataboliti e lo riportano all’atrio destro.
Viene in gran parte raccolto dal seno coronario, nel quale confluiscono tre vene principali (che ricevono
sangue da una serie di vene di calibro minore): la grande vena cardiaca (o vena cardiaca magna) che
accompagna l’arteria interventricolare anteriore all’interno del solco interventricolare anteriore; la vena
cardiaca media che accompagna l’arteria interventricolare posteriore all’interno del solco interventricolare
posteriore (faccia diaframmatica); la vena cardiaca parva che dal margine acuto (destro) accompagna la
coronaria destra sulla faccia diaframmatica fino alla crux cordis. Il seno coronario, vaso in cui confluiscono le
tre vene cardiache principali occupa il solco coronarico sulla
faccia diaframmatica e va a sboccare nell’atrio destro (è un vaso
dotato di una piccola valvola antireflusso).

La vena cardiaca magna, che risale dal solco interventricolare
anteriore, ha per un certo tratto un decorso parallelo a quello
dell’arteria circonflessa ( che può esaurirsi sul miocardio o
arrivare alla crux cordis nel caso in cui sia dominante). La vena
magna si continua nel seno coronario.

Prestando molta attenzione, è possibile notare nell’immagine a
lato la presenza di piccoli forellini ad opera delle vene cardiache
minime all’interno dell’atrio destro (i foramina di Tebesio) che
stanno ad indicare che esiste una piccolissima quota di vene che
non fa capo al seno coronario ma ritorna direttamente all’atrio.
Per la verità qualche piccolissima venula sbocca anche nell’atrio
sinistro ma in quota assolutamente irrilevante.

272
Domande:
“Il RIVA si porta fino all’incisura cardiaca e arriva fino alla faccia diaframmatica?”
Prof: “Sì, il RIVA si porta fino all’incisura cardiaca, oltrepassa l’apice tenendosi sulla destra e vascolarizza una
piccola quota della faccia diaframmatica riportandosi verso l’alto.”

“Le coronarie si trovano tra miocardio ed epicardio?”
Prof: “Tutti i vasi di maggiore calibro sono in posizione sub-epicardica. Per questo motivo, osservando il cuore
estratto dal sacco fibroso del pericardio, quindi rivestito dal foglietto viscerale (epicardio), i rami principali si
troveranno subito sotto, poi andranno incontro a ramificazioni successive andando ad approfondirsi nel
miocardio con le reti capillari che continuano con le venule. Anche i rami di principale calibro del sistema
venoso si troveranno poi in posizione sub-epicardica come le arterie.”

“In caso di Bypass il sangue non giungerebbe al cuore in sistole?”
Prof: “In questo caso ciò che controlla il flusso di sangue è la resistenza periferica, ovviamente quindi una
piccola quota può arrivare in sistole ma la situazione in cui il ventricolo si prepara a ricevere un’adeguata
quota di sangue è il momento della diastole. Ovviamente l’Arteria Mammaria si riempie in sistole, segue una
sequenza velocissima di eventi e dopo, con la diastole ventricolare, si attira questa quota di sangue nel
ventricolo.”

Aorta (tav 233,259)


La professoressa fa un’iniziale parentesi sul modo in cui procedere nello studio di un organo (fa riferimento
al rene). Ciò viene fatto individuando:
§ La posizione di tale organo.
§ I rapporti con gli organi circostanti.
§ Le caratteristiche macroscopiche con la configurazione esterna.
§ Le caratteristiche istologiche.
§ Studiarne la vascolarizzazione.

L'Aorta ha un decorso piuttosto articolato: la prima porzione è ascendente, dal bulbo aortico (costituito dai
tre seni del Valsalva) risale e si porta verso l'alto e verso destra, poi segue un arco, arco aortico, in cui l'arteria
si piega e si sposta dall'avanti all'indietro e da destra verso sinistra, scavalca l’esofago posizionandosi
posteriormente rispetto a questo. In questo modo decorre prima nel mediastino posteriore e
successivamente discende verticalmente divenendo aorta
discendente (il punto di passaggio tra arco e a. discendente
è definito istmo aortico), passando dietro al diaframma,
incorniciata dal legamento arcuato mediano. Il limite
dell’arco aortico sarà posteriormente la biforcazione
tracheale (trachea che si divide nei due bronchi principali)
che se proiettato sulla colonna vertebrale, si troverà tra T4-
T5. Nell'ambito dell'aorta discendente ci sarà quindi una
parte che decorre nel torace, l'aorta toracica ed una parte
che, superato il diaframma, diviene aorta addominale,
scende verticalmente sul lato sinistro della colonna
vertebrale e si biforcherà in due arterie iliache comuni in

273
corrispondenza di L4, mentre verso il basso si stacca posteriormente
l’arteria sacrale mediana, ramo terminale che decorre sulla linea
mediana, scorrendo anteriormente al sacro.

L'Aorta ascendente ha solamente due rami collaterali: l'Arteria


coronaria destra e l'Arteria coronaria sinistra, che originano in
corrispondenza dei due orifizi di fronte alle due cuspidi semilunari
destra e sinistra della valvola aortica. Le coronarie irrorano, con le loro
ramificazioni, l’epicardio e il miocardio.
L’endocardio, invece, riesce ad essere irrorato dalla quota di sangue che
scorre a diretto contatto con esso. Sono chiamate coronarie perchè il
decorso dei loro vasi principali ricorda una corona rovesciata verso il
basso.

Dall’arco aortico si diramano:


- Il tronco brachio-cefalico (o arteria anonima) dal quale si
diramano:
• Succlavia destra che diventa ascellare destra e brachiale e vertebrale;
• Carotide comune di destra;
- La carotide comune di sinistra;
- La succlavia sinistra che va a dare:
• L’ascellare sinistra;
• La brachiale sinistra.
Le succlavie dunque danno il sangue agli arti superiori e alla parete toracica, spalle, dorso, encefalo e midollo
spinale.

L’aorta toracica dunque si dirama


verso destra :
• Bronchiali;
• Pericardiche;
• Esofagee;
• Mediastiniche (tutte impari).
verso sinistra:
• Intercostali;
• Freniche superiori per il diaframma.

L’aorta addominale da
verso destra:
• Tronco celiaco (gastrica sinistra, epatica comune e splenica);
• Mesenterica superiore e inferiore;
• Iliaca comune destra
verso sinistra:
• Freniche inferiori;
• Surrenali;
• Renali;
• Genitali;
• Lombari;
• Iliaca comune sinistra.

274
Arco aortico (tav 209,229)
Nell’arteriografia sono osservabili
l’andamento dell’arco aortico (concavità
rivolta verso il basso e indietro),
unitamente ai tre rami collaterali
fondamentali dell'arco aortico. In realtà,
sono comuni le varianti anatomiche,
soprattutto nei vasi, al punto che in certi
distretti sono quasi la regola. In ogni
caso è importante ricordare che variante
non significa patologia: spesso ci sono
variazioni a cui non si associano
ripercussioni delle alterazioni funzionali.
Dalla convessità dell’arco aortico
dipartono tre rami, procedendo in
direzione antero-posteriore e da destra
verso sinistra:
1. Tronco brachiocefalico o arteria anonima o arteria anteriore; l’arteria anonima che decorre verso
l’alto e verso destra, incrociando la trachea, è destinata a dividersi posteriormente in due rami:
l’arteria carotide comune destra (verso l’alto) e l’arteria succlavia destra (prosecuzione dell’a.
anonima). Quindi dall’arco aortico originano il Sistema dell’Arteria Carotide e il Sistema dell’Arteria
Succlavia, simmetrici a destra e a sinistra. Però mentre a sinistra originano direttamente dall’arco
aortico, a destra originano tramite il tronco comune Brachiocefalico.
2. Arteria carotide comune sinistra: decorre verso l’alto e posteriormente; C6 presenta il tubercolo
carotideo, definito anche tubercolo di Chassaignac: è il punto in cui l’arteria carotide comune può
essere compressa contro la prominenza del processo trasverso della sesta vertebra cervicale.
3. Arteria succlavia sinistra: decorre lateralmente e posteriormente.

275
L'arteria carotide comune
(sono sempre due,
ricordiamolo, ma parliamo al
singolare; il termine comune
indica anche che poi ci sarà
una biforcazione)
Risale verticalmente a lato del
collo (anteriormente al
tubercolo carotico di C6) per
poi dividersi a livello del
margine superiore della
laringe [cartilagine tiroidea
della laringe, a livello di
giunzione C3-C4]. Nel collo, è
racchiusa da una guaina
comune, il fascio vascolo-
nervoso del collo, dove sono
anche presenti una vena
chiamata giugulare interna, la
quale poi scenderà e porterà il sangue in direzione opposta, ed il nervo vago posteriormente (10° paio dei
nervi cranici).
Viene definita arteria carotide comune perché poi si biforca nell'arteria carotide interna e nell’arteria
carotide esterna.
In una dissezione della regione laterale del collo è possibile vedere bene la carotide comune e il punto di
biforcazione, dove ci saranno dei sistemi recettoriali (glomo carotico) di controllo dell’ossigenazione del
sangue, della sua pressione e della sua composizione, prima che raggiunga l'interno del cranio, più in
particolare l'encefalo (sarà argomento del prossimo semestre). La carotide interna è destinata a contribuire
alla vascolarizzazione dell’encefalo.
Nel punto di biforcazione è possibile riconoscere i due vasi sia perché uno è più mediale e “superficiale”
mentre l’altro è più laterale e in profondità, sia perché seguendo il decorso notiamo che il territorio di
distribuzione è diverso, considerando che, mentre la carotide interna prosegue come un tronco unico fino al
foro carotico della faccia esocranica del temporale, la carotide esterna emette ramificazioni appena dopo
l’origine.

Perciò dalla carotide esterna, dipartiranno una serie di rami collaterali che si distribuiscono allo
splancnocranio e a tutte le cavità (nasali, orale, parte dell’orbitaria, fosse). Questi rami sono classificati sulla
base della topografia della loro origine in rami anteriori, rami posteriori, rami profondi. Essi presentano una
nomenclatura che sottolinea la loro successiva distribuzione (ad esempio: linguale, occipitale, faringea
ascendente), fino ai due rami terminali che rappresentano l'ultima divisione della carotide esterna: temporale
superficiale e mascellare interna (complessa struttura poiché, da sola, emette 14 rami collaterali). La
laringea superiore (per la laringe) è un ramo della tiroidea superiore che ovviamente si distribuirà alla tiroide
che origina dalla carotide esterna (la prof dice che questo argomento verrà approfondito la prossima
settimana). Lo stesso sistema avviene per la lingua che con un rapporto caratteristico con la mandibola andrà
a formare un'anastomosi con l’arteria carotide interna.

276





Inizialmente la carotide interna è
laterale ma poi diventa più profonda: essa è
destinata a salire attraverso il foro carotico
dell'osso temporale (parte esocranica).
Salendo lungo il suo tragitto verticale non
emette rami collaterali. Tale arteria sale
come vaso singolo unitario sino ad entrare
nel foro carotico, dove decorre nella rocca
petrosa dell’osso temporale, da lì il suo
decorso diventa molto complesso. Procede
nella cavità cranica e curva in direzione
anteriore per attraversare il seno
cavernoso, una particolare struttura dove
sono presenti lacune di sangue venoso,
decorrendo nel solco carotideo posto
lateralmente al corpo dell’osso sfenoide. Si
distribuisce infine all'encefalo e alle meningi, andando a costituire il sistema anteriore di vascolarizzazione
celebrare, l’altro sistema di vascolarizzazione dell’encefalo è dato posteriormente dall’arteria vertebrale.
(Questa parte non è in programma, si deve conoscere solo la trattazione dei rami principali e non la
vascolarizzazione dell’encefalo).

277
L’arteria succlavia
È posizionata sotto alla clavicola, si appoggia sulla
prima costa formando un arco con concavità
inferiore, lasciando un solco dietro al tubercolo
dello scaleno. È possibile individuare tre diverse
porzioni sulla base del rapporto che contrae con
il muscolo scaleno anteriore (che si va ad inserire
sul tubercolo dello scaleno, anteriormente e tra i
rami dell'arteria):
1. Pre-scalenica: dalla sua origine al
margine mediale del muscolo scaleno anteriore.

2.
(Retro) Scalenica: dietro a tale muscolo.
3. Post-scalenica: dal margine laterale del
muscolo scaleno al margine esterno della prima
costa.
Il decorso della succlavia prevede che continui lateralmente, portandosi esternamente, decorrendo sotto alla
clavicola e cambiando nome in arteria ascellare prima ed arteria brachiale successivamente. Quindi, tale
vaso provvede alla vascolarizzazione dell'arto superiore tramite alcuni rami collaterali con andamento
differente a seconda che si stacchino dalla convessità o dalla concavità, ma non solo, poiché ci sono anche
rami collaterali emessi dalla porzione pre-scalenica, che non sono unicamente diretti all’arto superiore.



Arteria vertebrale (tav 137)
Si stacca dalla prima porzione, dalla convessità
dell’arteria succlavia, e si porta indietro in
profondità per risalire all'interno dei fori
trasversali di tutte le vertebre cervicali ad
eccezione della settima. Dopodiché perfora la
membrana atlo-occipitale, entra nel cranio, si
unisce alla controlaterale diventando arteria
Basilare e va a costituire il sistema posteriore di
vascolarizzazione dell'encefalo. Quindi, il
sistema anteriore è vascolarizzato dalla carotide
interna mentre il sistema posteriore è
vascolarizzato dal' arteria Basilare che origina
dalla succlavia: tra le due si instaura
un’anastomosi.

278

Tronco tireo-cervicale (tav 414,
137)

È un’arteria breve e grossa che origina


dalla convessità, quindi dal primo
tratto dell’arteria succlavia, accanto
al margine mediale del muscolo
scaleno anteriore. Tale arteria è
molto spesso soggetta a variazione,
ad esempio il tronco può staccarsi
prima o dopo l’arteria vertebrale.

Come è possibile comprendere dal
nome tale tronco non rappresenta un
ramo unico. Infatti il termine tireo è
indicativo del fatto che tale arteria
vascolarizza la tiroide, completando
con la tiroidea inferiore il circolo
anastomotico con la tiroidea
superiore che diparte dall’arteria carotide esterna, mentre il termine cervicale è dovuto alla presenza
dell’arteria cervicale ascendente, che risale lungo lo scaleno anteriore e va a vascolarizzare parte del trapezio,
oltre ai muscoli paravertebrali più profondi, staccando infine alcuni rami anteriori che alla muscolatura del
collo e alla muscolatura della spalla. Altri rami importanti sono l’arteria trasversa del collo e l’arteria
soprascapolare (questa può anche essere un ramo diretto della succlavia sebbene sia meno comune come
variabile).






La prof commentando la diapositiva a
fianco, fa notare come in questo caso
l’arteria dorsale della scapola sia un
ramo diretto della succlavia,
sottolineando la grande variabilità
nell’origine di questi vasi. Questo non
varia il decorso e il territorio di
distribuzione.










279
Arteria trasversa del collo (tav 414)
L’arteria trasversa del collo, o arteria scapolare
posteriore, origina nel tronco tireo-cervicale, è
posizionata davanti al muscolo scaleno medio e si
porta indietro dividendosi in due rami. Il ramo che
resta in superficie va a vascolarizzare il muscolo
trapezio, la lamina superficiale del dorso, mentre il
ramo che si porta più in profondità e va a
costeggiare il margine vertebrale della scapola, è
l’arteria dorsale della scapola, che decorre fino
all’angolo inferiore della scapola. Questa arteria
(che può originare anche direttamente dalla
succlavia) decorre vicino al nervo dorsale della
scapola e va a vascolarizzare i muscoli elevatore
della scapola e i muscoli romboidi. Inoltre, da
questa arteria originano dei rami collaterali che
partecipano ad una anastomosi che si realizza tra
diverse arterie a livello della faccia dorsale della scapola, a cui partecipa anche l’arteria soprascapolare.



Arteria soprascapolare (tav 414,413)
L’arteria soprascapolare si porta
posteriormente ed in alcune tavole viene
nominata come ramo del tronco tireo-
cervicale, ma può avere un'origine
autonoma dall’arteria succlavia. Tale
arteria rimane al di sopra del legamento
trasverso della scapola (mentre il nervo e
vena soprascapolare passano al di sotto),
e si distribuisce ai muscoli della cuffia
(escluso il piccolo rotondo, vascolarizzato
dall’arteria ascellare), arrivando al
muscolo sopraspinato e, con un ramo che
passa tra spina e acromion, al
sottospinato. Dopodiché formerà
un’anastomosi a cui partecipano diversi
vasi provenienti da arterie di sistemi
differenti, per esempio dalla dorsale della scapola, dalla trasversa del collo e circonflessa della scapola (vedi
dopo) (connessione tra i rami collaterali di questi vasi).

280
Arteria toracica interna o arteria
mammaria interna (tav 187,188,251)
L’arteria toracica interna si stacca dalla
concavità della succlavia, presentando un
decorso molto caratteristico che va verso
l'interno del torace e verso il basso.
Queste due arterie simmetriche, una a
destra e una a sinistra, scendono
simmetricamente ai lati dello sterno fino
al 6° spazio intercostale (ben visibili nelle
dissezioni). Dopo tale spazio si dividono
nei 2 rami terminali: le arterie muscolo-
freniche lateralmente ed arterie
epigastrica superiori medialmente.
Inoltre durante il suo decorso l’arteria
toracica interna emette dei rami
collaterali che si staccano quasi ad angolo
retto, con decorso orizzontale, in maniera
abbastanza simmetrica: le arterie
intercostali anteriori (che lasciano l’impronta sul solco costale) per i primi 6 spazi intercostali, che lungo il
loro decorso in direzione antero-posteriore formano un’arcata anastomotica con le arterie intercostali
posteriori, rami diretti dell'aorta toracica, che decorrono insieme alle vene e nervi omonimi nel fascio
vasculo-nervoso intercostale. Le arterie intercostali anteriori per gli ultimi 6 spazi intercostali saranno cedute
dalle arterie muscolo-freniche. [Quindi le intercostali anteriori sono date dall’arteria mammaria fino al 6°
spazio e poi dalla muscolo-frenica]. Una dissezione profonda può scollare le arterie mammarie che sono ben
visibili sulla superficie anteriore del polmone del cuore.
L'epigastrica superiore è un'arteria che
riprenderemo nel prossimo semestre
studiando la parete addominale, dove si
formerà un’anastomosi con le epigastriche
inferiori sul sistema dell’iliaca esterna.
L’arteria mammaria presenta un decorso
semplice al lato dello sterno: essa è
accompagnata solitamente da due vene
satelliti che decorrono formando una guaina
unica. C’è un altro ramo per il sacco fibroso
del pericardio che non è spesso
rappresentato: la pericardio-frenica.
Quest’ultima è sempre un ramo della
mammaria, si distribuisce anche al muscolo
del diaframma, così come le muscolo-
freniche una volta esaurite le emissioni dei
rami collaterali delle intercostali anteriori.





281
Il decorso semplice dell’arteria mammaria,
che scende al lato dello sterno, è
estremamente comodo per l’operazione di
by pass aorto-coronarico. Infatti, è facile
creare una deviazione per andare a
bypassare l'ostacolo in uno dei primi
principali rami delle arterie coronarie
ostruite. Bisognerà chiudere con delle clip le
arterie intercostali anteriori che sono
emesse dall’arteria mammaria, poi gli spazi
intercostali saranno vascolarizzati grazie a
un circolo collaterale che si crea in virtù
dell’anastomosi esistente tra due ordini di
arterie intercostali: le anteriori dall’arteria
mammaria e poi dall’arteria muscolo-
frenica, e le posteriori dalle aorta
discendente.


Tronco costo-cervicale (tav 137)
Il tronco costo-cervicale è l'ultimo ramo
che si stacca dalla succlavia, destinato a
biforcarsi. Si divide in due rami:
1. Arteria cervicale profonda
profondamente, per la muscolatura
profonda del collo, va verso l'alto.

2. Arteria intercostale suprema: si
porta verso il basso, posteriormente,
all'interno del torace. Il nome deriva dal
fatto che è destinata a fornire come rami
collaterali le prime due arterie intercostali
posteriori per i primi due spazi
intercostali.


A questo punto, avendo già superato il margine antero-inferiore della clavicola, l’arteria succlavia assume il
nome di arteria ascellare, poiché si porta in fuori e verso il basso, decorrendo nella regione ascellare. Oltre
l’inserzione del tendine del muscolo grande rotondo prende il nome di arteria brachiale.

Arteria ascellare (tav 414,415)


L'arteria ascellare, proseguimento dell’arteria succlavia, si porta in fuori nel cavo ascellare e poi oltre il limite
inferiore del muscolo grande rotondo, dove è possibile trovare vari punti di repere tra cui il grande pettorale
oppure il grande rotondo; successivamente il nome cambia e diventa arteria brachiale, la quale sarà destinata
ulteriormente a dividersi in arteria radiale e arteria ulnare, provvedendo alla vascolarizzazione dell'arto
superiore. In sala settoria, l'arteria ascellare, la forchetta del mediano e anche altri vasi come l’ulnare sono
facilmente riconoscibili e palpabili perché hanno una parete robusta.
L’arteria ascellare emette una serie di rami collaterali che provvedono alla vascolarizzazione sia della parete
toracica che della regione della spalla.

282
Così come nelle raffigurazioni
della succlavia viene messo in
rilievo lo scaleno anteriore, lo
stesso vale per l’arteria ascellare.
Un muscolo importante
topograficamente è il piccolo
pettorale, sotto al quale decorre.
Nelle dissezioni, per mostrare tale
arteria, che origina come
succlavia, è necessario il sacrificio
della clavicola, mentre la vena è
sacrificata per vedere i rami
terminali del plesso. Tutto ciò
rende possibile individuare la
presenza di vari rami collaterali dall'arteria ascellare ed è addirittura possibile suddividerla in tre porzioni
sulla base del rapporto che contrae con il muscolo piccolo pettorale (1a prima, 2a sotto, 3a dopo tale muscolo).
Anche in questo caso è estremamente variabile l'origine di tali rami, possono originare direttamente
dall'arteria oppure avere un tronco comune dall'arteria per poi suddividersi successivamente.
Tra i vari rami collaterali vi sono:


- 1a porzione:
Arteria toracica superiore
La prima che va a distribuirsi nei primi muscoli
intercostali sul versante esterno antero-laterale del
torace, i fasci superiori del muscolo dentato
anteriore ed emette anche qualche ramo per i
muscoli pettorali.

- 2a porzione:
Arteria toraco-acromiale
Presenta la maggior frequenza di variazione. Il caso
più comune prevede che tale ramo si stacchi come
un tronco unico e che poi si divida in quattro rami:
1. Ramo pettorale: si porta verso l'avanti e
medialmente irrorando i muscoli pettorali.

2.
Ramo clavicolare: sale verso la clavicola.
3. Ramo acromiale: passa sopra il processo
coracoideo per distribuirsi all'acromion, dove è presente un’anastomosi acromiale (con il ramo ascendente
della circonflessa posteriore).

4. Ramo deltoideo: va al muscolo deltoide.
Clavicolare e acromiale vengono detti ricorrenti in quanto decorrono verso l’alto.

Arteria toracica laterale
Origina dalla parte interna dell’arteria ascellare e si porta fino al 7° spazio intercostale scendendo verso il
basso. Irrora i linfonodi ascellari, la porzione inferiore del muscolo dentato anteriore e i muscoli intercostali.
Discende poi in verticale lungo il torace, parallelamente ad un’altra arteria detta sottoscapolare, con la quale
si anastomizza e oltre a questa con la toracica interna, le intercostali e con il ramo pettorale della toraco-
acromiale.

283
- 3a porzione:
Arteria sottoscapolare
L’arteria sottoscapolare è il ramo più
grande dell’arteria ascellare. Irrora il
sottoscapolare portandosi nella faccia
anteriore della scapola e a circa 4 cm di
distanza dalla sua origine si divide
nell’arteria toraco-dorsale e
nell’arteria circonflessa della scapola:
la prima irrora il grande dorsale e il
grande rotondo, mentre la seconda ha
un andamento caratteristico che la
porta ad avvolgere il margine ascellare
della scapola in senso antero-posteriore
emettendo rami per questa regione.
L’arteria circonflessa della scapola, per
arrivare nella faccia posteriore, decorre tra i muscoli piccolo e grande rotondo e il capo lungo del tricipite
brachiale.
A livello della scapola sono dunque visibili oltre a queste arterie una serie di circoli collaterali anastomotici,
fondamentali in chirurgia per “clampare” le arterie (chiudere temporaneamente un vaso usando una clamp).

(Tav 418) È visibile la presenza di questi


due sistemi, il sistema della succlavia e
il sistema dell'ascellare. Sono quindi
visibili: la terza parte dell'arteria
ascellare che cede la sottoscapolare e
quindi la circonflessa della scapola, che
si anastomizza sia con sovrascapolare
che con la dorsale della scapola dalla
trasversa del collo. L’anastomosi
coinvolge anche il ramo acromiale della
toraco-acromiale e le due circonflesse
dell'omero.
Quindi una rete estremamente
anastomizzata a livello della scapola.












284

Arterie circonflesse
Le due arterie circonflesse dell’omero, una anteriore e una posteriore, sono due rami che nascono dall’arteria
ascellare e presentano un andamento caratteristico. Spesso originano autonomamente, ma in diversi casi
possono originare anche come un tronco unico che poi si divide. L’arteria circonflessa anteriore avvolge la
superficie anteriore dell’omero e incontra la circonflessa posteriore con cui formano un anello attorno al collo
chirurgico dell’omero. L’arteria circonflessa posteriore attraversa la regione del quadrilatero del Velpeau
(muscolo piccolo rotondo, muscolo grande rotondo, capo lungo del tricipite brachiale e collo chirurgico
dell’omero) assieme al nervo ascellare proveniente dalla corda posteriore del plesso brachiale. Andrà a
distribuirsi anche alla muscolatura (al deltoide principalmente) e realizzerà anche una piccola anastomosi
laterale posteriore con un piccolo ramo collaterale della brachiale. Sono sempre presenti varie anastomosi.
Ad esempio, il ramo acromiale della toraco-acromiale, che si stacca dall’ascellare, si anastomizza con un ramo
che risale dalla circonflessa posteriore (anche la soprascapolare manda dei piccoli rami a livello
dell’acromion). Quindi nella faccia dorsale della scapola, a livello dell’acromion, si realizza una
vascolarizzazione abbondante con circoli anastomotici che provengono da arteria succlavia e ascellare.

Arteria brachiale o omerale (tav 420,419)


Dopodiché (dal margine inferiore del grande rotondo) l'arteria ascellare diventa arteria brachiale e presenta
un decorso abbastanza semplice, nel quale sono presenti numerosi muscoli.
Nella prima porzione della parte prossimale decorre nello spazio presente tra il bicipite e il coracobrachiale,
poi si porta in superficie scendendo verso il gomito e nella fossa cubitale, proprio al di sotto dell'aponeurosi
bicipitale e successivamente va a dividersi in due arterie: arteria radiale ed arteria ulnare.
Prima della suddivisione in arterie ulnare e radiale, l’arteria brachiale emette a partire dalla prima porzione
nella parte prossimale una serie di rami collaterali, che hanno la funzione di provvedere alla vascolarizzazione
del braccio, che comprende una serie di logge muscolari:

285
L’arteria brachiale profonda del braccio, che decorrendo con il nervo radiale (Tav. 418) passa nel triangolo
omotricipitale al di sotto del grande rotondo, tra il capo lungo del tricipite e la diafisi omerale.

N.B.
- Il Quadrilatero di Velpeau o spazio omerotricipitale o spazio quadrangolare, è compreso tra piccolo
rotondo, grande rotondo, capo lungo del tricipite e collo chirurgico dell’omero, e vi passano l’arteria
circonflessa posteriore dell’omero e il nervo ascellare.
- Spazio triangolare laterale: è compreso tra muscolo grande rotondo, capo lungo tricipite e capo
laterale del tricipite e vi passano il nervo radiale e l’arteria brachiale profonda.
- Spazio triangolare mediale o triangolo omotricipitale: delimitato lateralmente dal capo lungo del
tricipite brachiale, superomedialmente dal piccolo rotondo e inferomedialmente dal grande rotondo.
In vivo dà passaggio all'arteria circonflessa della scapola.

Anastomosi: tra l’arteria profonda del braccio e tra le circonflesse posteriori ci sono dei collaterali, oltre ad
alcuni rami che vanno ad anastomizzarsi con rami che risalgono dalle arterie ulnare e radiale.

È possibile osservare il punto di biforcazione che darà origine alle arterie radiale e ulnare rimuovendo il
muscolo pronatore rotondo.

Arteria radiale (tav 435,433)


Dalla biforcazione della arteria brachiale segue anteriormente il decorso del radio. Segna il limite tra loggia
anteriore e posteriore. Nella parte terminale si porta lateralmente e passa nella tabacchiera anatomica. E’
accompagnata dalla vena omonima.

Arteria ulnare (tav 435, 433,434)


Dalla biforcazione stacca medialmente, passa sotto i muscoli epitrocleari (flessori), incrociando il nervo
mediano e poi corre sul margine mediale assieme al nervo ulnare. In prossimità del polso si superficializza
(possibile sentire al tatto il polso arterioso), passa lateralmente all’osso piriforme, nel canale di Guyon, e si
anastomizza con il radiale.
All’inizio della biforcazione stacca l’arteria interossea comune, che poi si divide in anteriore e posteriore.

A livello della mano si creano delle complesse reti anastomotiche che provengono da entrambe le arterie.

Aorta discendente
L’Aorta discendente da T4 scende fino a L4, con un tratto toracico ed un tratto addominale. Sia per l'aorta
toracica che per quella addominale vengono individuati dei rami definiti da un lato parietali, dall'altro
viscerali. I rami parietali saranno quelli che si distribuiscono alla parete prima del torace e poi dell'addome,
mentre i rami viscerali sono diretti a vascolarizzare gli organi contenuti all'interno di queste cavità.

Aorta toracica (tav 204)
Rami viscerali: Sono visibili l’arteria bronchiale superiore sinistra, l’arteria bronchiale inferiore sinistra (con
ramo esofageo), l’arteria bronchiale dx, l’arteria esofagea, per la parte del decorso dell'esofago fino
all'attraversamento del diaframma, e le arterie pericardiche

Rami parietali: I rami parietali vascolarizzano la parete del torace, costituita sostanzialmente dagli spazi
intercostali in cui sono presenti le arterie intercostali posteriori: le prime 2 sono fornite dall’intercostale
suprema del tronco costo-cervicale, le altre sono rami diretti dell'aorta toracica, come succedeva

286
anteriormente per la mammaria. Quindi i vasi dipartono praticamente ad angolo retto dall'aorta e gli
intercostali posteriori si anastomizzano con gli intercostali anteriori a pieno canale.
Quindi è completato il quadro delle arcate anastomotiche intercostali: arteria mammaria e in basso l’arteria
muscolo-frenica come sistema anteriore ed aorta toracica con l'eccezione delle prime due intercostali
supreme posteriormente.

Aorta addominale(tav 259, 264,268)


L’aorta addominale origina in corrispondenza dell’orifizio aortico mediano del diaframma, davanti al margine
inferiore della T12 e del disco intervertebrale toraco-lombare. Termina in corrispondenza del margine inferiore
della L4 con l’arteria sacrale mediana e prima dividendosi nelle due arterie iliache comuni. I rami dell’aorta sono
distinguibili in anteriori, laterali e dorsali. I rami anteriori e laterali si distribuiscono ai visceri, mentre i rami dorsali
irrorano le formazioni parietali della colonna vertebrale, il canale vertebrale ed il suo contenuto.
Questa regione è estremamente complessa per quel che riguarda i rami viscerali.

Infatti, i parietali sono molto semplici e ridotti a due arterie che si staccano subito al di sotto del legamento
arcuato mediano e sono nominate arterie freniche inferiori, che si distribuiscono al diaframma. Sono inoltre
presenti una serie di arterie con un andamento molto ordinato, segmentato come le intercostali del torace,
chiamate arterie lombari. Normalmente ci sono quattro paia di arterie lombari di destra e di sinistra che si staccano
ad angolo retto per l’irrorazione della parete muscolare che contiene il muscolo grande psoas, il muscolo quadrato
dei lombi ed il trasverso dell'addome. Per cui risulta molto semplice la descrizione dei rami parietali.

I rami viscerali, invece, richiedono uno studio approfondito per poterne comprendere sia il significato,
sia il decorso. Iniziando ad elencarne alcuni, il primo ramo viscerale si stacca subito dopo le arterie freniche,
quindi nella porzione superiore ed è chiamato:

Tronco celiaco o trìpode celiaco, perché destinato a dividersi subito dopo 1 cm in tre rami:
1. Arteria epatica comune che si dirige verso destra verso il fegato;
2. Arteria lienale o splenica che si dirige verso l’ileo della milza;
3. Arteria gastrica sinistra che ha un decorso estremamente tortuoso diretta verso lo stomaco. La
gastrica sinistra risale per inclinarsi in una piega peritoneale arrivando fino alla curvatura dello
stomaco, dove incontrerà la gastrica destra che deriva dal sistema dell’arteria epatica che si
distribuisce al fegato.
Quindi tale vascolarizzazione ha un aspetto complicato in quanto complessa l'anatomia degli organi
addominali che possiedono un’organogenesi articolata. Quest'ultima prevede l'ingresso dell'intestino
primitivo all'interno di una sierosa. Infatti, questi visceri rimangono all'interno di tale sierosa, alcuni
totalmente avvolti, altri parzialmente. Anche i vasi hanno rapporto con la sierosa, chiamata peritoneo.

Arteria surrenale media


Scendendo ancora, dall'aorta addominale prendono origine queste due arterie simmetriche (destra e
sinistra) che si dirigono al surrene, chiamate arteria surrenale media. In realtà, molto spesso si stacca anche
una surrenale superiore. Quest’ultima può originare autonomamente oppure, a volte, genera dal tronco
comune o dell’arteria frenica inferiore.

Arterie renali
Le arterie renali si dirigono entrambe verso l'ilo del proprio rene e da esse si staccano le arterie surrenali
inferiori.

Mesenterica superiore

287
Praticamente alla stessa altezza delle renali, circa a L1, c'è un ramo unico, impari, che si stacca dalla porzione
anteriore dell'aorta, chiamato arteria mesenterica superiore. Tale arteria si occupa della vascolarizzazione di
una grande parte dell'intestino tenue ma anche parte del crasso.

Arterie gonadiche
Sotto alla mesenterica superiore ci sono le due arterie gonadiche o genitali chiamate: ovarica nella femmina
e testicolare nel maschio. Normalmente, quella di sinistra si stacca leggermente più in alto rispetto a quella
di destra, quindi non hanno un'origine simmetrica come accade per le renali o le surrenali medie. Le arterie
gonadiche scendono schiacciate alla parete addominale posteriore e si portano obliquamente verso il basso
per raggiungere le gonadi, testicolo e ovaio, all'interno della cavità pelvica e all'interno della cavità scrotale,
superato il canale inguinale.
Come mai staccano così in alto? Perché durante lo sviluppo le gonadi erano contenute nella cavità
addominale.

Mesenterica inferiore
Un altro vaso viscerale da sottolineare è (un'altra mesenterica sempre dalla parte anterolaterale sulla sinistra)
chiamata mesenterica inferiore che irrora l’altra parte dell’intestino crasso e i muscoli rettali.

Quindi in ordine: tronco celiaco, surrenale media, renali, mesenterica superiore, genitali, mesenterica
inferiore e in corrispondenza di L4, oltre a cedere l’arteria sacrale media, la divisione delle due arterie iliache
comuni.
Bisogna comprendere che ognuna di queste arterie ha un comportamento estremamente complesso, in
quanto vascolarizzano prevalentemente gli organi della cavità addominale.
Tutte queste arterie originano come rami diretti dal sistema dell'aorta addominale, ma sono presenti anche
dei rami collaterali che generano da queste arterie principali che non sono originate direttamente dall’aorta.

Arterie iliache comuni


L’aorta addominale si biforca nelle iliache comuni destra e sinistra antero-lateralmente al versante sinistro
del corpo della 4a vertebra lombare. Queste due arterie hanno un destino simile a quello della carotide. Infatti,
anche in questo caso, avremo una divisione in iliaca esterna e interna.

L'iliaca interna (o ipogastrica) è quella che provvede alla vascolarizzazione dei visceri pelvici e delle pareti
pelviche, come è visibile in sezione sagittale dove c'è vescica, utero, vagina, una parte dell'intestino retto ed
è tutto pieno di rami dell’arteria iliaca interna. (tav 380)

L’iliaca esterna ha un destino differente. In dissezione, vista da dietro, vediamo il pavimento pelvico, l'arteria
iliaca interna e l'esterna che si dirige lateralmente alla pelvi per passare sotto il legamento inguinale e così
facendo, portandosi nel triangolo femorale, diventa arteria femorale. Quindi, la vascolarizzazione dell'arto
inferiore dipenderà dal sistema dell'arteria iliaca esterna.

Arteria femorale (tav 499)


Anche in questa porzione corporea, osservando il sistema della femorale, comprendiamo che accade
quello che è successo nell'arto superiore: dove era presente l'arteria brachiale, qui c'è l'iliaca esterna che
continua nella femorale e poi nella poplitea. Una differenza sostanziale consiste nel fatto che l’arteria
femorale non emette (o raramente) vasi per la muscolatura della coscia ed è paragonabile ad un'autostrada
diretta dal triangolo femorale, attraversando il canale adduttorio, alla loggia poplitea.

288
[Limiti del canale adduttorio, o canale di Hunter: antero-medialmente il muscolo vasto mediale,
postero-medialmente il muscolo adduttore lungo e distalmente a quest’ultimo muscolo, il muscolo grande
adduttore. Il confine anteromediale, denominato tetto, è composto dalla fascia sottosartoriale].
Dal canale adduttorio l’arteria femorale ha come destino lo hiatus femorale, che va ad attraversare (diventa
posteriore) e infine si porta nella cavità poplitea dove scende ancora cambiando nome in arteria poplitea.

Se la femorale rappresenta l'autostrada, ci sono inoltre varie strade più piccole che si fermano prima e
provvedono alla muscolatura di questa regione. Queste strade originano principalmente da un ramo
chiamato arteria femorale profonda che l'arteria femorale stacca quando è ancora nel triangolo femorale o
di scarpa, più precisamente nella parte superiore, molto spesso proprio dopo il legamento inguinale.
L'arteria femorale profonda emette una serie di rami collaterali anche per l'articolazione coxo-femorale ed in
particolare ricorda le arterie circonflesse dell'omero emesse dall'ascellare: nell’arto inferiore vi sono due
circonflesse del femore chiamate mediale (posteriore) e laterale (anteriore) che vanno ad anastomizzarsi
formando un anello attorno al collo del femore, oltre ad una serie di rami che vanno alla muscolatura della
coscia e le arteriole perforanti che perforano dall’avanti indietro l'aponeurosi del grande adduttore, poiché
la femorale profonda si trova su un piano più profondo rispetto a quello della femorale, tra adduttore lungo
e grande adduttore
La femorale, giunta nella regione poplitea, cede 4 arterie per il ginocchio dette arterie genicolate: una
mediale superiore, una mediale inferiore, una laterale superiore ed infine una laterale inferiore; esse
daranno vita ad una rete anastomotica, che vede il contirbuto anche della femorale profonda.
Si crea così un'anastomosi patellare a livello della rotula e nella regione poplitea.
Anche a livello puberale si realizza un'altra anastomosi (Tav. 491)

[Per la sua posizione accessibile semplicemente tramite incisione a livello del triangolo femorale, l’arteria
Femorale è spessa prescelta per l’incannulazione ai fini ad esempio di un’arteriografia; tuttavia è facile
confondersi con la femorale profonda per via della sua origine piuttosto alta, ma questa è più profonda e
laterale.]

Arteria poplitea (tav 509, 505)


Anche in questo caso è presente il fascio vascolo-nervoso della gamba (visibile nelle esercitazioni in sala
settoria), composto dal nervo ischiatico, che si trova in superficie, e dai vasi arteria e vena poplitea, più
profondi, quindi più vicini al piano osseo, perché passano e hanno rapporti con il compartimento anteriore
attraverso lo hiatus femorale.
Si trova posteriormente al ginocchio e il destino di tale arteria è quello di dividersi in due arterie: tibiale
anteriore e tibio-peroneale.

-L’arteria tibiale anteriore si porta al limite superiore della membrana interossea, passa al di sopra e si
porta anteriormente alla tibia e si distribuisce alla muscolatura antero-laterale della gamba. Dopodiché
scende sul versante anteriore, molto vicina al margine mediale della membrana interossea, continuando
sul dorso del piede come arteria dorsale del piede o pedidia, formando una sorta di anastomosi.

-Il nome tibio-peroneale è dovuto al fatto che tale arteria si biforca e continua posteriormente sul versante
mediale come arteria tibiale posteriore, che decorre con/medialmente al nervo tibiale, e lateralmente
come arteria peronea o peroniera o fibulare.
Questi due vasi scendono paralleli nella parte posteriore della gamba e vanno ad anastomizzarsi
posteriormente e inferiormente formando una serie di rami calcaneari (anastomosi calcaneare).
La tibiale posteriore poi scende passando al di sotto dei retinacoli dei flessori (malleolo mediale) e continua
a vascolarizzare la regione plantare e la regione calcaneare del piede.

289

Circolo venoso

Il sistema venoso é costituito spesso dalle vene satelliti, di norma due vicino alle arterie, sia macroscopicamente
che a livello di dettaglio microscopico. Vi sono dunque vene che accompagnano le arterie più profonde e protette,
oltre ad un sistema superficiale che si trova all'esterno rispetto la fascia profonda (tessuto sottocutaneo), il quale
sarà molto abbondante soprattutto a livello dell'arto superiore ed inferiore. Oltre alla superficialità un’altra
diferenza è rappresentata dalla differente direzione percorsa dal sangue: circolazione centripeta. Dato che le
arterie sono vasi che risentono della spinta sistolica dovuta alla contrazione attiva della muscolatura dei due
ventricoli, ed in particolare del sinistro, la loro parete ha una muscolatura robusta, in modo da poter resistere a
questo grosso impatto.
Inoltre, le arterie più vicine al cuore, dovendo essere particolarmente distendibili, presentano un’abbondante
componente di tessuto elastico, così da garantire la trasmissione dell’onda che ricevono sotto forma di energia, al
momento della spinta sistolica.

290
Man mano che le arterie danno vita ad arborizzazioni, grazie all’ emissione di rami collaterali (da cui ne originano
altri, fino alla formazione di arteriole di piccolissimo calibro, che precedono il sistema di vasi capillari), la notevole
pressione ricevuta inizialmente, si riduce gradualmente con il ridursi del diametro dell’arteria, fino ad arrivare al
livello dei circoli dei capillari in cui la pressione è particolarmente bassa: dai 120 mmHg in aorta fino ai 5/10 mmHg
a livello capillare.
Si tratta di una condizione necessaria, che, assieme alla caratteristica sottigliezza delle parete capillari (non
paragonabile alle grosse pareti con le tre tonache strutturate delle arterie, ma costituita da un solo strato
endoteliale che poggia su una lamina basale, circondato da tessuto connettivo di rivestimento), favorisce gli
scambi.
Sul versante opposto a quello arterioso dei capillari, ha inizio il ritorno venoso. E’ chiaro, quindi, che le vene
raccolgono il sangue a bassa pressione, contrariamente alle arterie, e che quindi avranno una parete più
sottile, strutturata ancora nelle tre tonache: intima, media e avventizia. Tuttavia, si tratta di una parete che
tende a collassare, essendo estremamente più sottile; è una caratteristica osservabile anche nel paragone
dei grossi vasi, come aorta e vene cave.
Il sistema venoso raccoglie il sangue non più ossigenato dalla estremità venosa dei vasi capillari e lo deve riportare
al cuore, in particolare nell’atrio destro attraverso la vena cava superiore e inferiore.
Il sistema raccoglie il sangue a bassa pressione e spesso deve essere aiutato dalla contrazione della muscolatura
degli arti inferiori nonché da specifiche valvole (a nido di rondine) sprattutto nelle vene che riportano il sangue in
senso antigravitario in quanto tenderebbe a refluire.
Inoltre il circolo venoso non possiede circoli terminali, infatti il reflusso avviene sempre a partire da una rete
venosa. (da ricordare anche la differenza strutturale/istologica tra arterie e vene).
Conosciamo già il loro sbocco: la vena cava superiore arriva verticalmente nell’ atrio destro, senza valvole.
La vena cava inferiore ha la una valvola di Eustachio che, nel circolo fetale, indirizza la corrente del sangue dall’
atrio destro a quello sinistro.
Per esaminare più in dettaglio il sistema delle vene cave si deve andare sempre in periferia a vedere da dove le
vene raccolgono il sangue e, quindi, andare a vedere dalla confluenza di quali vene si formano quelle di calibro
sempre maggiore che ritorneranno verso il cuore.

La vena cava inferiore (tav 260)
Decorre verso l’alto sulla destra della colonna vertebrale passando nel centro frenico del diaframma circa a
T8; si forma in corrispondenza della parte destra dei corpi vertebrali fra L4 e L5, per confluenza di due vene
che sono le due vene iliache comuni. C’è anche una piccola vena che si aggetta in essa e si chiama sacrale
media, che decorre appaiata a quella arteriola che rappresenta il ramo terminale dell’aorta addominale.

Le vene iliache comuni (tav 260)


Sono nate dalla confluenza di altre due vene iliache che sono la vena iliaca interna che raccoglie il sangue
venoso dalle pareti della cavità pelvica e la vena iliaca esterna che chiamiamo così solo dopo il passaggio al di sotto
del legamento inguinale, perché prima, alla radice della coscia, nel triangolo femorale, prende il nome di vena

291
femorale la quale raccoglie il sangue venoso refluo dall’arto inferiore.
Prima ancora che femorale è detta vena poplitea. Quindi la vena iliaca
esterna è quella che raccoglie il sangue venoso dell’arto inferiore.
C’è una corrispondenza fra i vasi arteriosi e i vasi venosi per quel che
riguarda l’arto inferiore.
Ad esempio insieme all’arteria plantare c’è la vena plantare, ci sono
una serie di vene profonde che hanno esattamente gli stessi nomi delle
arterie: vene tibiali anteriori e posteriori, vene peroriere, rete
calcaneare, rami plantari, per il ramo dorsale con la pedidia.
Però la differenza che queste vene sono due, cioè ci sono due vene
satelliti di un’arteria. Lo vediamo bene in una sezione trasversale
(tav 510): le due vene satellite si chiamano nello stesso modo
dell’arteria (due vene tibiali anteriori, l’arteria scavalcava la
membrana interossea e andava sul versante anteriore della gamba).

Iliaca esterna
La vena poplitea raccoglie il sangue delle vene profonde della
gamba; affianca l’arteria poplitea nella losanga che si trova
posteriormente al ginocchio e che avrà come destino quello di
andare ad attraversare lo iatus adduttorio, proseguire nel canale
degli adduttori come vena femorale e poi nel triangolo femorale. Si
trova non tanto medialmente, quanto dietro all’arteria e poi oltre il
legamento inguinale diventa vena iliaca esterna.
Tra gli affluenti della vena femorale c’è anche la vena femorale
profonda che decorre parallelamente all’arteria femorale
profonda, che era il principale vaso per la irrorazione arteriosa della
coscia. Il ritorno venoso della coscia è raccolto dalla vena femorale
profonda che presenta rami affluenti gli stessi nomi dei rami
collaterali dell’arteria omonima, come le vene perforanti.
Riepilogando: per l’arto inferiore il circolo venoso diparte dal piede, da cui risale con i rami dorsali e plantari,
fa capo a quelle vene tibiali anteriori davanti e posteriori e peronee dietro, che poi si congiungono nella vena
poplitea, che attraversa lo hiatus, si porta nel canale adduttorio assieme all’ arteria femorale, diventa vena
femorale, poi iliaca esterna, poi ancora iliaca comune ed infine vena cava inferiore.

(tav 471,472,470) Il sistema si compone anche, molto evidente a livello degli arti, di un ritorno venoso
superficiale, sottocutaneo. Queste vene si trovano al di fuori della fascia lata e della fascia crurale. Il ritorno
venoso superficiale per quanto riguarda l’arto inferiore di fatto è costituito da due vene che drenano il sangue
dalle reti superficiali che sono le vene piccola safena e grande safena:

-La piccola safena risale dietro al malleolo laterale, parallelamente al tendine calcaneare raccogliendo il
sangue portato dalle arcate venose del dorso del piede e risale e si porta via via medialmente e nel polpaccio
va a decorrere in uno spazio che corrisponde alla posizione intermedia tra i due capi del muscolo
gastrocnemio. Dopo perfora la fascia crurale e normalmente a qualche centimetro al di sopra
dell’articolazione del ginocchio va a gettarsi nella vena poplitea.

-La grande safena ha un decorso molto più lungo, origina dal versante mediale del dorso del piede,
passando sopra il malleolo mediale e decorrendo sul versante mediale della gamba e non si arresta a livello
della regione poplitea, ma diventa leggermente posterioro-mediale e ancora più su torna antero-mediale,

292
continua sempre sopra la fascia lata fino a che la perfora a livello del triangolo femorale dove si getta nella
vena femorale.

I vasi superficiali hanno tante anastomosi. La grande safena essendo così lunga, in passato, veniva sfilata
in parte per effettuare il bypass aorto-coronarico. Oggi si preferisce usare la arteria mammaria che si trova
in una posizione molto più comoda.

Iliaca interna (tav 260)


Il ritorno della vena iliaca interna raccoglie sangue dai visceri irrorati dai vasi collaterali dell’arteria iliaca
interna: apparato urinario, genitale, digerente e dalla confluenza di queste due vene si formano le vene iliache
comuni.

Queste vene iliache comuni confluiscono nella vena cava inferiore, subito al di sotto della biforcazione aortica
(tra L4 e L5). La vena cava inferiore poi risale fino ad attraversare il diaframma in un orifizio dedicato scavato
nel centro frenico e subito dopo si getta nell’atrio destro.

La vena cava inferiore presenta dei vasi parietali e viscerali, che dal basso verso l’alto sono:
-Le vene lombari (parietali) che decorrono parallelamente alle arterie lombari e ritornano come affluenti
diretti della vena cava inferiore (alcune vene lombari sono affluenti delle vene iliache comuni).
-Le vene freniche inferiori (parietali).

-La vena genitale destra (viscerale) affluente diretto, si forma sempre da due vasi che si uniscono nella
porzione terminale (la vena genitale sinistra è affluente della vena renale sinistra).
-Le vene renali (viscerali) come affluenti diretti.
-La vena surrenale destra (viscerale) sul lato destro della cava inferiore o può staccarsi dalla renale
destra (così come la surrenale sinistra affluisce nella renale sinistra).
-Le vene sovra epatiche (viscerali) sono delle vene che si immettono poco prima dell’attraversamento
del diaframma, ce sono due o tre a seconda delle varianti.

Rispetto al quadro di aorta addominale sembrano mancare tutti quei vasi che si dirigono agli organi
dell’apparato digerente, alla milza ecc. C’erano infatti tronco celiaco (arteria celiaca che si divideva subito in
tre: gastrica sinistra, lienale, epatica comune), arterie mesenteriche superiore e inferiore. Questi sembrano
mancare come affluenti diretti della vena cava inferiore. Esistono in realtà delle vene che hanno esattamente
il nome delle arterie che abbiamo su citato (ci sarà una vena lienale, vena gastrica sinistra, vena gastrica di
destra, vene mesenteriche superiore e inferiore) che non sboccano direttamente nella vena cava inferiore:
questi sistemi di vene confluiscono in una vena unica detta vena porta.

La vena porta (tav 289, 234)


Generata dalla confluenze di diverse vene:
- La vena lienale decorre verosimilmente in posizione analoga anche se diversa rispetto all’arteria che ha
invece un decorso molto più tortuoso. La vena lineale ha un decorso più o meno rettilineo.
- Una vena mesenterica inferiore si getta nella vena lienale, ma ci possono essere delle varianti.
- La vena mesenterica superiore: si unisce alla lienale, dopo che questa ha raccolto la mesenterica inferiore.
- Le vene gastriche sboccano autonomamente, ma tutte nella vena porta.

Si dirige verso il fegato e ha un decorso atipico. Gli organi pieni hanno un ilo, una rientranza, dove si ha il
punto di entrata e di uscita dei vasi: un’arteria che entra e una vena che esce (esempio rene).

293
Nel fegato, invece, c’è un’arteria che entra, ma c’è anche una vena che entra (vena porta). Tutte le vene sopra
citate (vena lienale, mesenterica inferiore, superiore...) vanno a confluire in una unica vena, la quale prima di
rientrare nella vena cava inferiore, deve fare una deviazione verso un “sistema di controllo”, ovvero entrare
nel fegato in modo tale che il sangue non ossigenato proveniente da tutti questi visceri possa essere depurato
all’interno del circolo portale epatico. Solo dopo questa deviazione potrà essere immesso nella vena cava
inferiore subito prima dell’attraversamento diaframmatico tramite le vene sovra epatiche. Quindi in questo
caso la vena cava non è completamente identica alla aorta addominale, per via della deviazione del circolo
portale.

Vena cava superiore


La vena cava superiore è un vaso impari che convoglia al cuore il sangue refluo dagli organi posti al di sopra
del diaframma. Essa si forma a partire dalla confluenza di due grosse vene dette anonime o brachio-
cefaliche, una di destra e una di sinistra. A sua volta ognuna delle due vene anonime avrà origine dalla
confluenza di due grandi vene: la vena succlavia e la vena giugulare interna.
Il tronco venoso di sinistra ha un decorso più lungo rispetto a quello di destra. Esso, dovendosi occupare
della raccolta del sangue venoso di destra e confluire con il tronco collaterale nella vena cava superiore
nell’atrio destro, è costretto a percorrere un tragitto più lungo, mascherando in parte le diramazioni iniziali
dell’arco aortico. Nell’immagine sottostante è possibile osservare alcuni vasi tributari delle vene anonime:
• Le vene pericardico-freniche (in stretto rapporto con il pericardio, il nervo frenico e l’arteria omonima)
• Le vene vertebrali (Tavola 241 Netter VI edizione)
• Le vene tiroidee inferiori (scendono dalla tiroide e affluiscono nella parte superiore delle vene anonime)
• Le vene mammarie o toraciche interne (generalmente sono due le vene satelliti dell’arteria omonima) che si
immettono nella parte inferiore della vena anonima. Esse originano dalle vene muscolo-frenica ed epigastrica
superiore, ricevendo in seguito le vene intercostali anteriori. Le vene intercostali posteriori d’altro canto
saranno tributarie del sistema azygos.

Vena giugulare interna


La vena giugulare interna è il tronco venoso principale nella regione del collo ed ha un andamento verticale.
Decorre in posizione laterale rispetto all’arteria carotide comune e in profondità tra le 2 vi è il nervo vago
con i quali forma, rivestiti da una guaina connettivale comune, il fascio vasculo-nervoso del collo. Ha come
affluenti alcune vene che decorrono insieme ai rami collaterali dell’arteria carotide esterna: la vena linguale,
facciale, faringea, tiroidea superiore e media. Affluenti della vena giugulare interna sono anche i seni venosi
della dura madre, lacune venose che decorrono all’interno dei solchi scavati nelle ossa craniche (solco del
seno sagittale, solco del seno sigmoideo, …) insieme ai vasi che portano il sangue refluo dalle meningi e
dall’encefalo. L’origine della vena
giugulare interna è nel foro giugulare(tav 105) , dopo aver raccolto tutto il sangue refluo dalle pareti del
cranio, dalle meningi, dall’encefalo. A livello del foro giugulare, nella fossa giugulare dell’osso temporale, è
presente una dilatazione detta bulbo superiore della vena giugulare. Inferiormente, poco prima di confluire
con la vena succlavia, è presente un altro rigonfiamento detto bulbo inferiore della vena giugulare. Il suo
decorso verso il basso diviene visibile sezionando parte dell’omoioideo insieme allo sternocleidomastoideo,
muscolo del collo che si inserisce sullo sterno, sulla clavicola e sulla mastoide dell’osso temporale.
A livello giugulare ci sono diverse anastomosi: superficialmente allo sternocleidomastoideo, si possono
trovare altre vene giugulari e sono in senso latero-mediale: vene giugulari esterne e vene giugulari
anteriori. Nonostante il diverso piano di profondità, esiste una comunicazione tra vena giugulare interna e
vena giugulare esterna a livello dell’angolo della mandibola, mentre la vena giugulare anteriore si va a
gettare o nella giugulare esterna o nella parte iniziale della vena succlavia. Si definisce arco venoso del
giugulo il tronco anastomotico impari e trasversale che, passando sotto la ghiandola tiroide, congiunge le
vene giugulari anteriori dei due lati nel punto in cui da verticali esse si fanno orizzontali. Le vene giugulare

294
anteriore ed esterna hanno un calibro molto ridotto rispetto a quello della giugulare interna e, in una
dissezione anatomica, sono le prime ad essere individuate in quanto poste più superficialmente rispetto
all’alle altre(bisogna sezionare il muscolo sternocleidomastoideo).



Vena succlavia:
La vena succlavia è l’altro grosso vaso che, confluendo con la vena giugulare interna, concorre alla
formazione della vena anonima. Decorre in profondità (è visibile al di sopra della clavicola e lascia
un’impronta sulla prima costa), parallelamente all’arteria omonima, e si occupa della raccolta del sangue
venoso dell’arto superiore.
E’ possibile anche qui, come nell’arto inferiore, distinguere un ritorno venoso profondo e uno superficiale. Il
primo è realizzato complessivamente dalla vena ascellare, continuazione della vena succlavia, che
distalmente si divide innanzitutto in due vene brachiali (od omerali) e in seguito in 2 vene ulnari e 2 vene
radiali, ognuna delle quali decorre congiuntamente all’omonima arteria. Il loro decorso è lineare e giunge
sino alla mano.
Qui, dal dorso della mano, originano le due principali vene deputate alla raccolta del sangue venoso
superficiale: la vena basilica e la vena cefalica. Esse risalgono lungo l’arto superiore, creando una serie di
rapporti anastomotici, particolarmente evidenti a livello della piega cubitale. Qui infatti, generalmente al
centro della fossa cubitale, è possibile osservare il decorso della vena cubitale, derivante dall’anastomosi di
rami staccatisi dalle vene basilica e cefalica. Essendo questa una vena molto superficiale è usata per i
prelievi di sangue venoso.
Vena cefalica (tav 401,402)

Rispetto alla fascia antibrachiale, la vena cefalica decorre per la metà distale dell’avambraccio sul versante
dorsale in posizione laterale. Nella metà prossimale si porta poi anteriormente e continuando sul versante
laterale del braccio si porta, nella sua porzione superiore, profondamente alla fascia brachiale, rimanendo
però visibile per via del suo decorso attraverso il triangolo deltoideo-pettorale. Infine si immette nella vena
ascellare.

Vena basilica

La vena basilica ha un decorso quasi simmetrico alla cefalica. Decorre per la metà distale dell’avambraccio sul
versante dorsale in posizione mediale. Nella metà prossimale si porta poi anteriormente e, continuando sul
versante mediale del braccio, perfora la fascia brachiale andando ad immettersi nella vena ascellare o in
quella più mediale delle due brachiali, a seconda del punto in cui va a perforare l’omonima fascia.

295
I vasi superficiali e profondi si trovano su diversi piani, ma sono in connessione tra di loro attraverso vene

perforanti.

Vena azygos:
Nel considerare il ritorno venoso della vena cava superiore dobbiamo tenere conto della vena azygos. Questa
è una vena che origina dalla cavità addominale e che, posteriormente, attraversa tutto il torace per poi
piegarsi, a livello mediastinico, da dietro in avanti formando un arco sopra al bronco destro, gettandosi infine
nella vena cava superiore.
La vena azygos è quindi un affluente posteriore della vena cava superiore.
“Azygos” in greco significa vedova/solitaria/che non ha un compagno, perché inizialmente fu scoperta solo
sul lato destro. In realtà poi si scoprì che anche a sinistra esisteva un sistema analogo simmetrico (in realtà
non è perfettamente simmetrico perché si getta nel sistema azygos e, quindi, non c’è una vena sinistra che,
al pari della azygos, va a sboccare direttamente nella vena cava superiore).
L’origine è però simmetrica a destra e a sinistra e avviene nell’addome.
La vena azygos è la continuazione verso l’alto della vena lombare ascendente destra, la quale è una vena che
accoglie in sé, mediante anastomosi, alcune delle vene lombari destre. Allo stesso modo l’emiazygos è la
continuazione della vena lombare ascendente sinistra. Alcune vene lombari si gettano direttamente nella
cava inferiore, altre si anastomizzano e diventano vene lombari ascendenti, una a destra e una a sinistra.
Queste vene lombari ascendenti sono destinate ad attraversare il diaframma, generalmente tra il pilastro e
legamento arcuato mediale.
La vena azygos diventa tale nel punto in cui la vena ascendente di destra riceve un ramo venoso che la collega
alla vena cava inferiore. Diverso è il caso della vena emiazygos che, d’altro canto, diventa tale in seguito
all’anastomosi tra la vena lombare superiore sinistra ed un ramo che la collega alla vena renale omolaterale.

296
La vena azygos, superato il diaframma, continua a decorrere lungo tutta la parete posteriore del torace fino
a compiere quell’arco descritto sopra, sboccando, in ultima istanza, nella vena cava superiore. L’arco che si
forma sopra al bronco destro ricorda quello dell’arco aortico che passa sopra al bronco sinistro.
In tale decorso raccoglie il sangue proveniente dalle vene intercostali posteriori e dalle vene che ritornano
dal circolo venoso di alcuni visceri (ad esempio le vene esofagee e bronchiali). Quindi il principale sistema di
drenaggio del torace è la vena azygos.
A sinistra la vena emiazygos attraversa il diaframma e risale la parete toracica posteriore, senza però arrivare
a gettarsi nella cava superiore, raccogliendo nel suo tragitto le vene intercostali posteriori di sinistra, ma,
normalmente, ad un’altezza che può andare da T7 a T10, si dirige verso destra e si immette direttamente nella
vena azygos.
Nell’azygos si immette un’altra vena che raccoglie le vene intercostali degli spazi intercostali posteriori
superiori: la vena emiazygos accessoria. Più sarà in basso il punto in cui la vena emyazygos accessoria si
immette nella vena azygos, più alto sarà il numero di vene intercostali posteriori che riceve. In definitiva tutto
il sistema si sposta a destra in un unico vaso (azygos) che è l’unico affluente della vena cava superiore.
La vena azygos ha un calibro decisamente inferiore rispetto a quello della vena cava superiore.



Organogenesi (vedi le img da carinci, pag 303-329)
Anche nello sviluppo dell’apparato cardiovascolare l’ontogenesi ricapitola la filogenesi e si possono
evidenziare tre fasi. (1-apparato primitivo) Il primo battito risale al giorno 22, quindi terza/quarta settimana:
si forma il tubo cardiaco in connessione con una rete di 3 vasi sanguigni anche essi in formazione; (2-apparato
fetale) il momento critico va dalla quarta alla ottava settimana con lo sviluppo dell’apparato fetale. Il lume
unico del tubo viene diviso in quattro cavità molto complesse da parte di setti e la rete vascolare viene
rimodellata e diventa asimmetrica; molti procedimenti avvengono simultaneamente ed è questo il periodo
più a rischio per la comparsa di eventuali malformazioni congenite. Infine, (3-apparato definitivo) alla nascita

297
viene attivato il circolo polmonare, cioè la respirazione, e con il taglio del cordone ombelicale si forma
l’assetto definitivo.

APPARATO PRIMITIVO (pag 304,: La prima fase (1) si verifica durante la terza/quarta settimana: ammassi
di angioblasti del mesoderma splancnico gemmano e prendono contatto le une con le altre; si formano dei
vasi sanguigni e due cordoni che sono inizialmente pieni, ma poi si cavitano gradualmente e vanno a costituire
i due tubi endocardici simmetrici rispetto all’asse dell’embrione. I vasi primitivi si sviluppano solo se vengono
attraversati dal sangue, altrimenti rimangono piccoli o degenerano. Quelli che aumentano di dimensioni se
partono dal tubo con direzione centrifuga diventeranno arterie, mentre quelle a direzione centripeta
diventeranno vene.
I due tubi iniziali, grazie alle pieghe laterali dell’embrione, si avvicinano e poi si fondono in un unico tubo,
sospeso grazie al mesoderma dorsale nella cavità del celoma embrionale, formando una struttura a ferro di
cavallo che costituirà la cavità pericardica.

Il tubo è in contatto con dei vasi già presenti nelle masse angioblastiche e inizialmente il sistema vascolare
1. simmetrico: c’è il tubo cardiaco e ci sono reti arteriose e venose simmetriche poi tra la 4 e la 6 settimana il
sistema si rimodella e diventa altamente asimmetrico e complesso.

Contemporaneamente, altre masse di tessuto angiogenico si formano simmetricamente ai lati dell’asse


embrionale, vicino ai tubi endocardici, e sono le due aorte dorsali ((pag.307) sangue venoso) in comunicazione
con l’estremità arteriosa o polo arterioso del tubo cardiaco; all’estremità opposta ci sono tre ordini di
vene(pag308): le cardinali che riportano il sangue poco ossigenato dai tessuti embrionali, le vitelline che
riportano sangue poco ossigenato dal sacco vitellino e le ombelicali che portano sangue ben ossigenato dalla
placenta al cuore.

(pag308) I sistemi venosi si uniscono nei due corni, quello di destra e quello di sinistra rappresentando
l’estremità venosa, nonché il punto di arrivo di quelle vene che portano il sangue dall’embrione, dalla placenta
e dal sacco vitellino verso il cuore in formazione. Seguendo la direzione del sangue troviamo:

- il sistema venoso;

- i due corni, che confluiscono nel seno venoso a contatto con

- l’atrio primitivo, la parte del tubo destinata a formare l’atrio;

- il ventricolo primitivo, destinato ad evolvere nella porzione ventricolare e a dare origine ai due ventricoli;

- la zona rigonfia chiamata bulbo in continuità con tronco arterioso che si collega con il sistema arterioso
pari.

Il tubo inizia a crescere ripiegandosi in dietro e verso destra, le parti prima descritte sono ancora riconoscibili; il
tubo continuando ad allungarsi, grazie alla proliferazione dei miociti, entra nella cavità celomatica e si ripiega
in dietro e verso destra.

Struttura tubo cardiaco (pag 304)

Inizialmente consideriamo il tubo come un unico strato di cellule endoteliali che formeranno lo strato più
interno, cioè l’endocardio. Successivamente può essere considerato come un vaso sanguigno (i vasi hanno una
parete costituita da tre tonache, la cui più interna è la tonaca intima con l’endotelio, nel cuore corrispondente
all’endocardio) particolarmente sviluppato: prima abbiamo la formazione dell’endocardio; poi l’epitelio
dell’endocardio induce altre cellule, che a loro volta sono state indotte dal celoma, a formare il miocardio e uno
strato che è una sorta di reticolo che fino a poco tempo fa veniva chiamato gelatina cardiaca, mentre oggi viene
chiamato membrana basale miocardica o matrice extracellulare cardiaca, costituito soprattutto da acido
ialuronico e fibronectina, interposto tra l’endocardio e il miocardio.

Quindi tra l’endocardio, che si forma per primo, e il miocardio, che si forma per induzione delle cellule del
celoma embrionale, c’è una matrice molto importante che permette la proliferazione e la formazione dei setti
che suddividono l’interno del lume cardiaco; nel cuore adulto l’endocardio è a contatto con il miocardio.
Successivamente dal mesoderma splancnico deriverà lo strato più esterno sieroso: l’epicardio.

298
Sistema venoso (pag 308,310, 311)

Gli atri hanno una parte liscia settale, una posteriore strettamente collegata a dei vasi venosi che sboccano
nell’atrio e un’altra laterale trabecolata con muscoli ben riconoscibili soprattutto all’interno dell’auricola.

Il sistema venoso inizialmente ha due corni grandi uguali, uno destro e uno sinistro, che sboccano nel seno
venoso; questo è in continuità con la parte di tubo che diventerà l’atrio.

I tre sistemi di vene (cardinali, vitelline e ombelicali) sboccano ognuno nel suo corno venoso e i due corni si
uniscono nel seno venoso.

APPARATO FETALE: Dalla quinta settimana (fase 2) in avanti avviene il rimodellamento con la
formazione di una rete vascolare asimmetrica. La parte di destra viene potenziata, mentre il corno sinistro
si riduce progressivamente e rimane unicamente il seno coronario, che è un vaso che si trova nel solco
atrio-ventricolare nella metà sinistra.
Il corno destro aumenta di dimensioni e rimane l’unica comunicazione tra quello che inizialmente era un
seno venoso, che raccoglieva tutti e due i corni, e l’atrio primitivo. Grazie alla incorporazione del corno
venoso destro nell’atrio primitivo si forma la parte di atrio denominata seno delle vene cave, infatti il
rimodellamento porta alla formazione delle vene cave che sboccano nell’atrio destro, questo è in
comunicazione con l’atrio primitivo destro che ha la muscolatura formata dai muscoli pettinati. Quindi
l’atrio ha una parte liscia, che ricorda il seno venoso che è in continuità con le due vene cave, e una parte
trabecolata che corrisponde all’atrio primitivo.

A sinistra c’è una parete posteriore collegata a delle vene, ma questa parete posteriore sinistra, che è interposta
tra i ritorni venosi e polmonari, non è l’incorporazione del corpo venoso sinistro, che sparisce andando a
potenziare la parte di destra e lascia solo il seno coronario. Dall’atrio primitivo, che diventerà atrio sinistro, si
va a costituire un diverticolo che si orienta verso quelli che saranno gli abbozzi dei due polmoni; il diverticolo è
la vena polmonare primitiva, questa si divide in due rami ognuno dei quali si biforca ulteriormente. Con lo
sviluppo dell’atrio primitivo, la parete sinistra ingloba una porzione sempre maggiore della vena polmonare,
fino ad inglobarle tutte e quattro, cioè anche le 2 successive ramificazioni; quindi la parete posteriore liscia
deriva dalla incorporazione della primitiva vena polmonare (ramificata).

Formazione dei setti (pag312,315,316)

I setti sono: l’atrio-ventricolare che permette di avere le due aperture tra atri e ventricoli per l’inserzione delle
valvole, la sepimentazione inter-atriale che forma la parete liscia mediale dei due atri dove si trovano la fossa
ovale e il lembo della fossa ovale, il setto inter-ventricolare che è in gran parte muscolare ma presenta anche
una porzione membranacea che si interpone con una piccola porzione dell’atrio destro.

Sulla parte anteriore e posteriore del canale atrio-ventricolare iniziano a proliferare i cuscinetti cardiaci che
formano il septum intermedium.

A livello atriale compare sulla parete posteriore e superiore una struttura falciforme che ha due estremità
che vanno verso l’avanti, verso il basso, verso il septum intermedium (setto atrio-ventricolare). Quindi
l’accrescimento di questa falce andrà a formare un altro setto che prende il nome di septum primum. I due
margini continuano ad accrescersi e si dirigono verso i cuscinetti che formano il setto atrio-ventricolare, ma
lasciano un’apertura che si chiama ostium primum o orifizio primitivo, che mantiene in comunicazione atrio
destro e atrio sinistro. Questa apertura viene chiusa da un’ ulteriore proliferazione, i margini continuano ad
avvicinarsi fino a quando si chiudono e si fondono completamente. Prima che l’ostium si chiuda
completamente compaiono delle aperture nella parte superiore, inizialmente sono piccole e poi confluiscono
per apoptosi andando a formare un altro orifizio: l’ostium secundum.
2.

299
Si è già formata una demarcazione tra atrio destro e atrio sinistro.

Quando la parte destra dell’atrio primitivo si accresce, sempre a forma di falce, inizia a comparire un altro setto
sulla destra del septum primum: il septum secundum. Il septum secundum ha la forma di di falce, le punte
tendono a convergere in basso portandosi indietro ad una distanza molto ravvicinata dall’orifizio di sbocco
della vena cava inferiore; in questo modo i due margini non arrivano mai a chiudersi e rimane un’apertura
ovale che si chiama forame ovale. Il forame ovale si trova sul septum secundum e di fatto non è un orifizio
pervio che separa i due atri. La valvola di Eustachio nella circolazione fetale è orientata in maniera tale da
dirigersi verso la parete inter-atriale, verso quella che noi conosciamo come fossa ovale che non è altro che una
semplice impronta. Quindi il sangue passa attraverso il foro ovale, dopo incontra il septum primum, la cui
apertura è quella dell’ostium secundum più in alto; il sangue procede da destra verso sinistra e in direzione
obliqua dal basso verso l’alto. Ci sono, quindi, due setti affiancati, l’apertura della fossa ovale si trova su un
piano ad una certa altezza sull’atrio destro, l’altro lembo si trova più in alto sull’atrio sinistro dove noi vediamo
il versante del septum primum.

Quando il gradiente si inverte, aumenta la pressione a sinistra e cala la pressione a destra e il sangue tende ad
andare nell’altra direzione. Dal momento che il sangue si muove secondo gradiente e tende ad andare da
sinistra verso destra, permette l’accollamento dei due setti primum e secundum, che molto spesso arrivano a
fondersi completamente; in realtà nel 30/20% dei casi la fusione non è completa e rimane una piccola fessura
obliqua tra i due setti, se questa non è associata ad altre patologie cardiache ed è di dimensioni minime non
permette il passaggio di sangue e la deviazione da sinistra a destra.

Con la sigla DIA viene indicato il difetto


inter-atriale in cui l’apertura è tale da provocare un cortocircuito (shunt sinistro-destro), per cui il sangue che
torna all’atrio sinistro con le vene polmonari, passa attraverso la fessura nell’atrio destro e lo sovraccarica.
Ovviamente si hanno ripercussioni dipendenti anche dalla presenza di altre patologie o anomalie, come il
restringimento dell’arteria polmonare (stenosi polmonare). Nella situazione normale, tuttavia, per i primi tre
mesi i due setti sono spinti l’uno contro l’altro dalla direzione del flusso da sinistra verso destra, poi
collabiscono e se c’è un lieve scollamento tra i due non associato ad ulteriori patologie allora esso non ha
nessuna ripercussione patologica.

La regione della fossa ovale è estremamente sottile poiché in questo punto c’è solo il septum primum.

APPARATO DEFINITIVO: Al momento della nascita (3), con l’espansione dei polmoni (grazie al primo
vagito) che richiamano molto sangue si attiva il circolo polmonare, si ha quindi un ritorno venoso
polmonare e un aumento della pressione a sinistra; mentre a destra si ha una riduzione di pressione data
dal taglio del cordone ombelicale, viene infatti a mancare la spinta del ritorno venoso della vena
ombelicale. Dal momento che il sangue va secondo gradiente e tende ad andare da sinistra a destra,
permette l’accollamento dei due setti primum e secundum, che molto spesso arrivano a fondersi
completamente; in realtà nel 30/20% dei casi la fusione non è completa e rimane una piccola fessura
obliqua tra i due setti, se questa non è associata ad altre patologie cardiache ed è di dimensioni minime
non permette il passaggio di sangue e la deviazione da sinistra a destra.

La sepimentazione dei due ventricoli è garantita dal setto inter-ventricolare o septum inferius. Questo
compare mentre si sta formando il septum primum, inizialmente come una cresta sul versante mediale
della porzione ventricolare; la cresta prolifera andando a suddividere la camera ventricolare in due parti,
ma ad un certo punto si arresta. L’arresto della proliferazione è necessario, infatti il canale atrio-
ventricolare inizialmente era completamente spostato a sinistra ed è necessario che prima questo si
riallinei, altrimenti si avrebbe una comunicazione solo tra atrio e ventricolo sinistro. L’apertura che
rimane a livello del setto inter-ventricolare viene chiamata forame inter-ventricolare, nonostante sia solo

300
una apertura dovuta all’arresto della proliferazione, quindi non è un vero forame. La cresta iniziale
diventa poi un setto muscolare robusto che verrà terminato in un momento successivo dalla pars
membranacea; è infatti necessario attendere l’allineamento del setto intermedio per costruire quest’
ultima parte.
Il ventricolo primitivo è in continuità con l’estremità arteriosa che inizialmente è unica.
Possono esserci dei disturbi inter-ventricolari DIV, se rimane incompleta la formazione o vi è la completa
assenza della pars membranacea, e rimane, quindi, un collegamento tra il ventricolo destro e quello sinistro; ci
può essere un flusso (shunt) di sangue ossigenato dal ventricolo sinistro a quello destro (per gradiente di
pressione). Le conseguenze di questa condizione si verificano col tempo: c’è un sovraccarico del ventricolo
destro, che si ipertrofizza e porta a ipertensione polmonare e, quando la pressione è tale da superare quella del
ventricolo sinistro, si inverte il flusso, con conseguente cianosi e una quota di sangue non ossigenato che va a
finire nel cuore sinsitro. Questa è, quindi, una condizione che va operata chirurgicamente perché è presente
un’apertura reale, mentre nei DIA vi è una comunicazione sottile compensata con un meccanismo a valvola.

La pars membranacea si sviluppa da un lato per la presenza del setto intermedio, dall’altro per un setto che è
necessario a suddividere l’estremità arteriosa in due. Nel cuore adulto ognuno dei due ventricoli ha un cono di
efflusso che culmina con un unico vaso arterioso: è quindi necessaria una ulteriore sepimentazione
dell’estremità arteriosa.

Con un sistema di cuscinetti si vanno a costituire due sporgenze, diverticoli, che crescono in maniera
caratteristica: tendono a convergere e crescono spiralizzandosi come una sorta di elica. (vedi video)

Si forma il septum trunci o setto del tronco arterioso. Questa sepimentazione permette di suddividere
l’estremità arteriosa, che inizialmente è unica, in due arterie: l’aorta e il tronco polmonare, consentendo di
mettere in relazione ciascuna delle due arterie con il ventricolo corrispondente.

L’origine dell’aorta è molto profonda rispetto a quella del tronco polmonare che invece è più superficiale. Alla
formazione della pars membranacea contribuiscono sia il setto atrio-ventricolare sia il setto del tronco arterioso;
infatti i ventricoli sono in continuità con il tronco arterioso, questo si divide in due e i ventricoli si mettono in
comunicazione con il vaso corretto.

[Man mano che questo setto arriva a saldarsi con il setto interventricolare, va a partecipare alla costituizone
della pars membranacea, e ciò avrà anche un altro significato, oltre a quello di creare una comunicazione delle
due arterie: di assicurare la continuità con le arcate arteriose che permettono la comunicazione tra il cuore e le
due aorte. Di fatto è fondamentale che la porzione che diventerà l’arteria aorta sia disposta in modo tale che
prenda rapporto con gli archi aortici terzo e quarto. L’arteria polmonare dovrà invece prendere rapporto con il
sesto paio di archi.

Le aorte dorsali si formano contemporaneamente al tubo e prendono rapporto con il polo arterioso tramite una
serie di archi, gli archi aortici, delle arcate di connessione dei rami arteriosi, che mettono in comunicazione il
tronco arterioso con le aorte dorsali. In realtà gli archi si formano in maniera sequenziale e non rimarranno tutte
e sei queste strutture, ma, con la formazione del sesto, il primo e il secondo scompariranno, rimanendo di fatto
piccolissimi. Fondamentale invece è il setto troncoconico, di collegamento a quella sezione del tronco che
diventerà l’aorta con il terzo e il quarto paio, destinati a dare origine ai vasi che formeranno il sistema
dell’aorta. Il quinto paio degenera completamente, mentre il sesto darà il sistema polmonare, e sarà quindi
molto importante che il tronco polmonare prenda rapporto con il sesto paio.]

(pag 320) In realtà le aorte dorsali sono in comunicazione con il tubo endocardico fin da subito tramite 6 paia
di archi aortici che si sviluppano progressivamente:

- i primi due degenerano e rimangono piccolissimi;

- dal terzo e il quarto paio si sviluppa il sistema dell’aorta;

- il quinto degenera rapidamente senza lasciare derivati vascolari;

- dal sesto si sviluppa il sistema delle arterie polmonari.

Quindi la spiralizzazione del tronco arterioso è fondamentale per mettere i ventricoli in rapporto con il corretto
arco aortico: il sinistro con il terzo e il quarto paio, il destro con il sesto paio.

301
Video 1: https://youtu.be/5DIUk9IXUaI

Video 2: https://www.youtube.com/watch?v=5DIUk9IXUaI&feature=youtu.be

Circolazione fetale

Principali differenze nella circolazione pre-natale


e post-natale:
Nella circolazione fetale non c’è ancora la circolazione polmonare e i polmoni richiamano una piccola percentuale
di sangue. Prima della nascita i polmoni sono ipotrofici, cioè in via di sviluppo.
3. L’orifizio della vena cava superiore è ben allineato con l’orifizio atrio-ventricolare destro, favorendo il
passaggio del sangue dalla vena cava superiore direttamente nel ventricolo destro.
4. Sempre nell’atrio destro, a livello della vena cava inferiore ci sarà la valvola di Eustachio orientata in maniera
tale da indirizzare il sangue verso l’atrio sinistro. È chiaro che ci sarà una quota di sangue che può passare
anche nel ventricolo, ma principalmente verso l’altro atrio. Questo avviene perché esiste una comunicazione a
livello interatriale.
5. Mentre siamo abituati a vedere le arterie del grande circolo colorate in rosso, le vene colorate in blu, in questo
caso a volte viene utilizzato un colore violaceo perché si parla di un sangue misto.

A partire dal ventricolo sinistro parte l’arteria aorta, che diventa aorta ascendente e forma l’arco aortico per diventare aorta
discendente. Questa nella pelvi si divide in due arterie iliache comuni, poi in iliaca esterna ed iliaca interna, dalla quale
origina una arteria ombelicale. Le due arterie ombelicali corrono sui due lati della vescica urinaria, raggiungono
l’ombelico e si avvolgono intorno ad una vena del cordone ombelicale per trasportare il sangue non ossigenato a livello
dei villi coriali placentari. Il sangue ossigenato successivamente viene riportato a livello della vena cava inferiore
attraverso il sistema della vena ombelicale. La vena ombelicale tramite un condotto che si chiama condotto venoso/ dotto
venoso di Aranzio si immette nella vena cava inferiore. Nell’immagine si osserva una diversità di colore tra la buona
parte della cava inferiore che raccoglie il ritorno venoso non ossigenato dagli arti inferiori, e tra quella porzione che riceve
la quota di sangue ossigenato proveniente dalla vena ombelicale: si può notare come il sangue non sia mai o del tutto
ossigenato o del tutto non ossigenato, ma sia un sangue misto. Tuttavia questa vena ombelicale fa una deviazione, non
entra nel circolo epatico, ma va direttamente nella vena cava inferiore nella sua parte più prossimale. Il sangue
prevalentemente ossigenato entra nell’atrio destro in virtù della presenza della valvola di Eustachio e viene indirizzato
verso l’atrio sinistro. Da quest’ultimo passerà verso il ventricolo sinistro, prendendo nuovamente la via dell’aorta.
All’atrio destro arriva anche la vena cava superiore, che trasporta invece un sangue che non è ossigenato.
Dato che l’orifizio della vena cava superiore è ben allineato con l’orifizio atrio-ventricolare dx, il sangue si
dirige direttamente verso il ventricolo dx, anziché prendere la via dell’atrio sinistro (tramite il foro ovale).
Dal ventricolo destro si genera poi l’arteria polmonare, ma essendo i polmoni non ancora funzionanti, la
gran parte di questo sangue viene reimmessa nell’aorta subito al di sotto dell’arco aortico, tramite il
condotto arterioso di Botallo.
Dopo questa confluenza, quindi, nell’aorta discendente scorrerà un sangue meno ossigenato rispetto a
quanto ne scorreva nell’aorta ascendente e che veniva trasportato nelle regioni sopradiaframmatiche. Si
avrà come conseguenza che gli arti superiori e le regioni sopradiaframmatiche saranno più ossigenate e,
quindi, più sviluppate.
Da qui riparte un nuovo circolo.


Al momento della nascita avvengono due eventi fondamentali: respirazione, quindi espansione dei polmoni
dovuta al pianto del neonato, e taglio del cordone ombelicale.
I polmoni che si sono espansi richiamano una grossa quota di sangue, si ha l’attivazione del circolo polmonare
e l’attivazione del ritorno venoso polmonare a carico di 4 vene polmonari che arrivano all’atrio sinistro, in cui
si ha quindi un aumento di pressione. Al taglio del cordone ombelicale viene meno, invece, tutta la spinta
data dalla vena ombelicale portando a un calo di pressione a destra. L’aumento di pressione a sinistra e il calo
di pressione a destra farà si che si inverta il gradiente di pressione e il sangue tenderà, quindi, ad andare da
sinistra a destra. La tendenza a scorrere da sinistra a destra porta il sangue a sbattere sui due setti primum e
secundum, che cosi si affiancano e si fondono, interrompendo la comunicazione tra i due atri. Inizialmente la
chiusura è funzionale, non del tutto anatomica poi nell’arco di qualche mese (normalmente tre) diventa una
chiusura completa.

302
Infine quei vasi anastomotici che erano attraversati dal sangue nella vita fetale, quando dopo la nascita non
lo sono più, diventano dei cordoni fibrosi e rimangono presenti nel corpo sotto forma di legamenti. Esempi
sono:
6. le due arterie ombelicali, che non essendo più attraversate dal sangue si trasformano in due sottili legamenti
ombelicali laterali della vescica (l’immagine a lato è sbagliata in quanto li chiama mediali);
7. la vena ombelicale diventa il legamento rotondo del fegato;
8. il dotto arterioso di Botallo diventa il legamento arterioso di Botallo.

Nella parete interatriale c’è una fossa, una superficie ovalare ben evidente. erché c’è questa superficie?
Perché c’è un foro che si chiude subito dopo la nascita? Dobbiamo fare riferimento al periodo più delicato in
assoluto dello sviluppo del cuore: la formazione dei setti.












Circolo linfatico


Il sistema circolatorio non comprende soltanto il sistema dei vasi sanguigni, ma anche il sistema dei vasi
linfatici. Questo è parte di un sistema molto più ampio che comprende anche gli organi linfatici primari e
secondari (timo, milza, linfonodi, tonsille).
Nell’insieme il sistema linfatico drena il filtrato dei capillari sanguigni, è quindi una funzione
antiedemigena; poi trasporta i grassi tramite vasi linfatici specializzati (vasi chiliferi) e infine è un sistema di
difesa.

Il sistema dei vasi linfatici è un sistema che non ha un organo motore centrale come è per i vasi sanguigni,
ma origina a fondo cieco. I vasi linfatici hanno a che fare con le vene: raccolgono la linfa dai tessuti
periferici e la trasportano al sistema venoso. In quasi tutti i distretti si vedono dei vasi capillari linfatici, che
sono i vasi da cui origina il sistema, in stretto rapporto con i capillari sanguigni. Il tessuto linfoide è dato da
grossi aggregati di linfociti più altri tipi cellulari.
Tutto si basa su questo concetto: la parete del capillare è costituita da uno strato di cellule endoteliali e
consente gli scambi, il passaggio dell’acqua e di piccole molecole verso i tessuti in cui si trova a decorrere.
Non consente il passaggio delle proteine del sangue che lì rimangono molto più concentrate e sono
responsabili di quella pressione oncotica (25 mmHg circa) che si trova sulla estremità venosa del capillare,
quella che precede il ritorno venoso. All’estremità arteriosa c’è una pressione idrostatica che è maggiore
rispetto alla pressione oncotica. Le arterie infatti che risentono della spinta sistolica trasportano un sangue
sottoposto a un alto regime pressorio. Questa pressione idrostatica provoca la fuoriuscita di liquido
attraverso l’endotelio del capillare nello spazio interstiziale e si determina quella fuoriuscita di liquido che si
espande fra i tessuti. All’altra estremità, quella venosa, le grandi proteine plasmatiche non riescono a

303
passare, quindi sono responsabili di un’alta pressione oncotica che richiama per assorbimento il liquido

interstiziale all’interno dei capillari.


Però non c’è un perfetto bilanciamento fra la quota in uscita e in entrata di liquido, poiché una quantità di
circa 3 litri nell’arco delle 24 ore non viene riassorbita dal letto capillare. Quindi questo surplus deve
essere recuperato altrimenti si accumula negli spazi extracellulari e va a provocare il rigonfiamento dei
tessuti, l’edema. Una delle funzioni del circolo linfatico è proprio quella antiedemigena. Questo surplus
viene recuperato dai vasi capillari linfatici che iniziano proprio a fondo cieco nelle regioni in cui si sono i
capillari sanguigni. Tutte le sedi in cui vi sono dei capillari sanguigni vi sono anche i capillari linfatici, dei
vasellini che iniziano a fondo cieco nei tessuti che sono in grado di recuperare dagli spazi interstiziali quella
quota di liquido che non viene recuperata e non viene riportata con il ritorno venoso. I capillari linfatici
formano una rete anastomizzata di vasellini che via via confluiscono in vasi linfatici di calibro sempre
maggiore, fino ad arrivare a dei tronchi linfatici principali.

I capillari linfatici hanno delle caratteristiche intermedie fra i capillari e le venule, perché hanno una parete
estremamente sottile, ma il lume è ampio e le estremità delle cellule endoteliali sono sovrapponibili. Sono
strutturate in maniera tale da consentire l’entrata del liquido interstiziale ma non permetterne l’uscita e farlo
incanalare verso vasi di calibro maggiore. Inoltre, come nelle vene, ci sono una serie di valvole lungo il
percorso della linfa. Inizialmente questi vasi trasportano il liquido interstiziale, lungo il loro percorso
attraversano quelle passerelle linfonodali e si arricchiscono della componente cellulare che si aggiunge alla
istolinfa (componente liquida) recuperata dai capillari a fondo cieco (Linfa propriamente detta è formata da
istolinfa e cellule, che all’80% sono linfociti). I capillari linfatici sono anche nell’osso, mentre nel sistema
nervoso centrale ci sarà un altro sistema di drenaggio che non fa capo al sistema linfatico, ma al liquido cefalo
rachidiano.
I bambini denutriti hanno l’addome rigonfio per via di edema, poiché a causa di digiuno o malnutrizione c’è
un insufficiente apporto proteico, di conseguenza la pressione oncotica si riduce e siccome è quella che
richiama il liquido all’interno del capillare, risulta essere inferiore rispetto a quella idrostatica e ne consegue
un mancato assorbimento di liquido dai capillari e quindi edema à malattie cachetizzanti. Questa situazione
estrema è data anche dalla presenza di vermi a livello dell’intestino e di patologie del fegato come la steatosi.
Stessa cosa nelle elefantiasi per una alterazione/insufficienza/otturazione dei vasi linfatici degli arti inferiori.


Organizzazione del sistema linfatico
Anche nel sistema linfatico c’è un’organizzazione di un sistema più superficiale (epifasciale, al di sopra della
fascia) che drena dalla cute e sottocute, e un sistema profondo (sottofasciale), che drena muscoli,
articolazioni e tendini, e un sistema viscerale che drena gli organi (sistema specifico degli organi).
Tutti i vasi linfatici sono strettamente connessi tra loro e sono presenti anche i linfonodi che tendono ad
essere più numerosi in certe regioni come nella regione inguinale, ascellare, del collo quindi in regioni di
connessione tra scheletro appendicolare e scheletro assile. Ci sono dei sistemi di raccolta prioritari.

304

Dotto toracico (tav 261,295)

Il vaso principale di drenaggio è il dotto toracico o condotto toracico che origina nell’addome a livello di L2.
Origina su L2 con uno slargamento (cisterna del chilo) che accoglie tre tronchi: tronchi lombari destro e
sinistro (ritorno linfatico parietale e dagli arti inferiori), tronco intestinale. Si chiama cisterna del chilo poiché
nell’asse del villo intestinale ci sono i vasi chiliferi che vano a raccoglie i lipidi, assorbono i chilomicroni.
Nell’immagine sopra, nel riquadro a sinistra, il colore verde più intenso sta ad indicare il territorio di drenaggio
della linfa da parte del dotto toracico: drena quindi la regione inferiore del corpo, il cuore sinistro, il torace
sinistro, testa e collo sinistri e arto superiore sinistro. Esso risale passando il più delle volte insieme all’aorta
nel diaframma, dietro e a lato di essa. Risale sul lato destro e, circa al livello dello sbocco di vena cava
superiore, si porta verso sinistra e va a sboccare nel sistema venoso a livello del cosiddetto angolo venoso
sinistro, cioè punto di confluenza fra vena giugulare interna e vena succlavia di sinistra. Strada facendo
raccoglie il ritorno linfatico parietale del torace, raccoglie anche il tronco bronco-mediastinico sinistro
dall’albero bronchiale dai polmoni, tronco succlavio sinistro dall’arto superiore, il giugulare sinistro dal collo
e dalla testa.

Il calibro del dotto toracico, pur essendo il più grande fra i vasi linfatici non è paragonabile a quello dei vasi
sanguigni.

La linfa arricchita di questa quota lipidica ha un aspetto lattescente, biancastra e viene chiamata chilo.
Drena la linfa proveniente da tutta la parte inferiore e dalla parte sinistra superiore del corpo.
Arto superiore destro, torace di destra, metà destra del collo e della testa hanno un drenaggio differente che
fa capo ad un dotto linfatico destro oppure dei tronchi che vanno a sboccare autonomamente.

Dotto linfatico destro

L’altra quota viene drenata in un certo numero di individui (20%) da un unico tronco che si chiama dotto
linfatico destro (che sbocca a livello dell’angolo venoso destro), che in realtà risulta dalla confluenza di questi
tronchi che sono giugulare di destra, succlavio destro e bronco-mediastinico destro. Nella maggioranza degli

305
individui, però, questi tre tronchi vanno a sboccare autonomamente nel sistema venoso senza andare ad
unirsi.


Come già detto, i linfonodi sono presenti maggiormente in alcune regioni. Ci saranno particolari situazioni in cui i
carcinomi (tumori di origine epiteliale) sfruttano la via linfatica per la diffusione metastatica, per cui sarà fondamentale
conoscere la disposizione dei principali linfonodi e il coinvolgimento o meno di gruppi linfonodali per prevedere
l’evoluzione del tumore.

DEFLUSSO LINFATICO DELLA PARETE CARDIACA
C’è una rete subepicardica che raccoglie la linfa dalle altre due reti (rete miocardica e rete endocardica). La
linfa va nella direzione opposta rispetto a quella del sangue. Dai capillari linfatici, in relazione con i capillari
sanguigni, partono dei tronchi di calibro maggiore che poi raggiungono tramite i rispettivi territori di
distribuzione il ritorno venoso.


Apparato respiratorio
Introduzione
L’apparato respiratorio ha la funzione di ossigenare il sangue. Negli organismi più semplici (unicellulari)
l’ossigeno necessario al metabolismo si ottiene per diffusione semplice attraverso il plasmalemma. Nei
pesci, esseri viventi più evoluti, l’ossigenazione avviene attraverso strutture specializzate: le branchie.
Queste sono superfici esposte attraverso le quali transita l’acqua, e sempre per diffusione consentono lo
scambio di CO2 e O2 con l’esterno. Sono strutture sottili e molto estese, il che comporta un’estrema
delicatezza, motivo per cui, nel raggiungimento della vita terrestre, si sono evolute confinate all’interno dei
polmoni (a livello di alveoli polmonari), in un ambiente caldo, umido e protetto.
L’aria, per raggiungere gli alveoli, deve transitare attraverso le vie aeree, per
cui la respirazione avviene in quattro tappe:

1. Ventilazione: movimento dell’aria dall’esterno verso l’interno dei
polmoni;
2. Scambio gassoso: O2 e CO2 diffondono secondo gradiente,
permettendo l’ossigenazione del sangue;
3. Trasporto: il sangue ossigenato trasporta l’ossigeno in tutti i distretti
corporei;
4. Secondo scambio gassoso: a livello dei capillari, gli eritrociti cedono
l’ossigeno ai tessuti.

Le vie aeree si distinguono in vie aeree superiori e inferiori.
Le vie aeree superiori coinvolgono: naso esterno, cavità nasali, rinofaringe e
orofaringe.
Le vie aeree inferiori sono: laringe, trachea, bronchi principali, e tutte le
diramazioni bronchiali. È chiaro che la porzione respiratoria sarà quella che
permetterà gli scambi gassosi, e si trova dunque nella parte più profonda del polmone.




306
Naso esterno (tav. 42)
Partiamo con il naso esterno: ha la forma di una
piramide triangolare che si pone al centro della
faccia, infero-medialmente rispetto alle cavità
orbitarie e al di sopra della cavità orale.
È possibile individuare le parti superficiali del naso
esterno: radice, dorso, punta, columella, ala nasale.
La piramide nasale è costituita da tre superfici:

-Due superfici laterali: queste due superfici
andranno ad unirsi a livello di margine anteriore
con il margine del setto, il che porterà alla
formazione del dorso del naso, dalla forma
estremamente variabile a seconda dell’individuo.
Proseguirà superiormente con la radice del naso
(due ossa nasali). Termina con il lobulo: la punta del naso. I due margini posteriori vanno a continuarsi con gli
abbozzi di ossa dell’apertura piriforme.

-Una faccia posteriore fortemente discontinua che corrisponde all’apertura piriforme, che è circoscritta dai
processi frontali e palatini delle due ossa mascellari e completata in alto dalle due ossa nasali.

La base della piramide è più o meno orizzontale. In veduta dal basso, presenta in posizione mediana il
sottosetto, in corrisponendenza del setto, che divide la cavità nasale in due; nell’etnia caucasica europea è
piuttosto lungo, per cui la piramide nasale risulta sporgente, nell’etnia asiatica il sottosetto è intermedio,
mentre in quella africana è ancora più corto. La lunghezza del sottosetto determina la forma delle narici,
aperture posizionate ai lati del sottosetto. Nell’etnia caucasica le narici hanno forma ovalare e allungata verso
l’avanti e medialmente, in quella asiatica il sottosetto si accorcia e le narici sono di forma più arrotondata e
disposte formando un angolo più acuto rispetto al piano frontale, mentre in quella africana risultano proprio
schiacciate su un piano frontale, molto più sottile, a fessura, con un sottosetto ancor più breve.

Il naso esterno ha una componente ossea (ossa nasali, processo frontale del mascellare, processo
palatino) e una porzione cartilaginea e di tessuto fibro-adiposo. Si riconoscono principalmente due
cartilagini pari e una impari, che corrisponde alla cartilagine del setto:

-Una cartilagine laterale: ha la forma di


un triangolo in cui il suo margine anteriore
va ad articolarsi col margine anteriore della
cartilagine del setto, unendosi alla
controlaterale forma il dorso del naso; il
lato superiore si articola con l’osso nasale e
in parte con il processo frontale del
mascellare, mentre il margine inferiore è
in rapporto con la cartilagine alare
maggiore. Se la cartilagine laterale non
raggiunge direttamente l’osso, si interpone
del tessuto fibroso estremamente robusto
e denso.

307

-Una cartilagine alare maggiore: la cartilagine alare maggiore ha la forma di una U aperta indietro,
apprezzabile soprattutto con una visione dal basso, in cui si descrivono una branca laterale, visibile in
proiezione laterale, e una branca mediale che si andrà ad unire alla controlaterale per concorrere alla
formazione del sottosetto insieme alla cartilagine del setto. La porzione laterale, che è la parte più cospicua,
più grande e più robusta, non raggiunge mai il margine osseo del processo frontale, ma c’è sempre quel
tessuto fibroso, a cui si aggiunge una componente adiposa, che lo connette al margine dell’apertura
piriforme. La branca mediale è più sottile e meno robusta della laterale, e si porta orizzontalmente all’indietro
per circoscrivere gran parte di quella che è la narice, dando anche sostegno al naso esterno.
Toccandosi la punta del naso (lobulo del naso) è possibile verificare l’esistenza di un solco dato
dall’appaiamento controlaterale delle branche mediali.

-Cartilagini alari minori: in alcuni casi si aggiungono altri pezzetti di cartilagine, che vanno a disporsi
nel tessuto fibro-adiposo per completarlo e riempirlo.

- Cartilagine del setto, evidenziata
maggiormente in proiezione sagittale, si
disponde sul piano mediale, andando a
completare con il suo margine superiore il
setto nasale osseo, formato dalla lamina
perpendicolare dell’osso etmoide
superiormente e dal vomere
inferiormente. Il margine anteriore della
cartilagine del setto partecipa con le due
cartilagini laterali a determinare il dorso del
naso e con le alari maggiori a formare il
sottosetto, che anteriormente prende
attacco alla spina nasale anteriore. (Tav.
45)

Domanda: “Qual è il rapporto fra cartilagine laterale e del setto?”
Risposta: “I margini anteriori delle cartilagini laterali si uniscono al margine anteriore della cartilagine del setto,
per cui il dorso del naso è costituito dal margine anteriore della cartilagine laterale, margine anteriore della
cartilagine del setto e controlateramlmente dall’altra cartilagine laterale”.

(Tav. 42, 47, 83) Il naso esterno viene vascolarizzato da un ramo dell’arteria carotide esterna, ma anche col
contributo di rami dalla carotide interna.

Il ramo che vascolarizza il naso esterno è il terzo ramo che l’arteria carotide esterna stacca sul versante
anteriore, ovvero l’arteria faciale. L’arteria faciale scavalca il margine arrotondato della mandibola (palpabile,
è possibile sentirne il polso attuando una leggera pressione), per portarsi sulla superficie esterna e laterale
della faccia avanti al massetere; prosegue poi in avanti, con andamento tortuoso verso l’alto, cede le due
arterie labiali (superiore e inferiore), prosegue come arteria faciale e raggiunge la superficie laterale della
piramide nasale, cedendo rami (e ovviamente la superficie anteriore della faccia). Anche le arterie labiali
cedono dei rami che vascolarizzano il naso esterno entrando dalle narici.

Oltre ai rami dell’arteria faciale, ci sono dei rami che si staccano dall’arteria oftalmica (che a sua volta si
stacca dall’arteria carotide interna passando dal foro ottico; si dispone a livello di superfice mediale della

308
cavità oribtaria, in direzione postero-
anteriore) che partecipano alla
vascolarizzazione del naso esterno.
Questi rami sono:

-L’arteria dorsale del naso: ramo
terminale dell’arteria oftalmica, emerge
a livello di parete mediale della cavità
orbitaria, si porta verso il basso, e
stabilisce una anastomosi con l’arteria
faciale creando l’arteria angolare (è
un’anastomosi a livello di superficie della
faccia tra due un ramo della carotide
interna –l’arteria oftalmica- e un ramo
della carotide esterna –l’arteria faciale).

-L’arteria etmoidale anteriore in
particolare il ramo nasale esterno.
L’arteria etmoidale anteriore, cosi come
la posteriore, passa nel canalino
etmoidale anteriore e raggiunge così la
volta (l’apice) delle cavità nasali, dove si
suddivide in due rami: un ramo settale,
che irrora la parete settale, e un ramo
laterale, il quale che decorre in basso e in
avanti, e a livello dell’unione ossea-
cartilaginea il ramo nasale esterno, che
irrora il dorso del naso fino alla superficie
della punta del naso.


Riassumendo:
La vascolarizzazione del naso esterno è data da
un ramo terminale dell’arteria faciale, che
portandosi verso l’alto si va ad anastomizzare con
l’arteria dorsale del naso (ramo dell’oftalmica)
nell’arteria angolare del naso.
L’altro piccolo ramo che contribuisce alla
vascolarizzazione della superficie esterna nel
naso è il ramo nasale esterno che proviene
dall’arteria etmoidale anteriore, anch’essa ramo
dell’arteria oftalmica.

309
(Tav. 73,87) Il ritorno venoso è satellite alle arterie, per cui la vena angolare del naso drena nella vena
oftalmica superiore, oppure può drenare nella vena faciale anteriore, e quindi aprirsi a livello di vena
giugulare interna.
La vena nasale esterna confluirà nella vena etmoidale anteriore e di conseguenza anche questa nella vena
oftalmica superiore. La vena oftalmica si porterà poi endocranicamente (tramite fessura orbitaria superiore)
per confluire nel seno cavernoso, struttura venosa intracranica (tav. 87,104). Si tratta quindi di vasi che dalla
superficie esterna si portano in cavità cranica.
Determinati fenomeni infettivi e virulenti che si realizzano nella parte superficiale del naso e nella superficie
superiore del labbro, possono diffondere intracranicamente tramite la rete vascolare venosa, provocando
trombosi del seno cavernoso.











Per quanto riguarda l’innervazione basta ricordare che la faccia,
dal punto di vista sensitivo -quindi sensibilità tattile, termica, e
dolorifica- viene innervata dal nervo trigemino, cosi chiamato
perché presenta tre branche: oftalmica, mascellare e
mandibolare. L’innervazione della piramide nasale è in gran parte
di pertinenza della branca oftalmica, anche se una porzione
inferiore dell’ala del naso è di pertinenza della branca mascellare
(Tav. 2,119).


Cavità nasali (tav 36,37,38,39)

Le cavità nasali sono due lunghi condotti che si
dirigono all’indietro. L’apertura anteriore delle
cavità nasali è rappresentata dalle narici, mentre
la posteriore prende il nome di coana. Questi due
lunghi condotti, destro e sinistro divisi dal setto
nasale, costituiscono la via che consentirà all’aria
di essere condizionata, per poter raggiungere i
polmoni riscaldata, umida e purificata.
La cavità nasale propriamente detta è
preceduta dal vestibolo del naso, insieme alla
superficie interna della narice, ovvero il versante
interno, mucoso, del naso esterno.
La superficie laterale del vestibolo è costituita in
basso dalla parte laterale della cartilagine alare

310
maggiore, mentre in alto si crea un rilievo che aggetta internamente che prende il nome di limen nasi. Questa
sporgenza è determinata dalla sovrapposizione della branca laterale della cartilagine alare maggiore con il
margine inferiore della cartilagine laterale.
Per quanto riguarda la superficie mediale del vestibolo, quella relativa al setto, è costituita dal margine
mediale della cartilagine alare maggiore. Vi si nota un altro rilievo (non ha nome), dato dall’unione della
cartilagine alare con la cartilagine del setto.
Nella parte superiore del vestibolo del naso abbiamo, quindi, due rilievi: lateralmente il limen nasi e
medialmente questa prominenza data dal margine inferiore del setto. Nell’insieme si va a formare quella che
è chiamata valvola nasale. Tale valvola rappresenta un restringimento attraverso cui l’aria viene forzata:
quando l’aria supera la valvola essa si ritrova nella cavità nasale propriamente detta, struttura molto più
grande e dilatata. L’aria che prima aveva una direzione rettilinea (e alta pressione) assume ora un moto
turbolento (c’è poca pressione): si formano dei vortici. Se in più aggiungiamo l’architettura della parete
laterale delle cavità, vediamo che l’aria staziona
all’interno. La valvola è, quindi, cruciale per la
determinazione dei moti dell’aria in ingresso. Provando a
inspirare con forza si nota un restringimento delle narici
(valvole).
[Nei neonati, in cui la cartilagine non è ancora pienamente
sviluppata e robusta come quella adulta, in caso di
ispirazione forzata le lamine della valvola collabiscono tra
loro e il neonato non respira; per questo quando piangono
disperatamente diventano paonazzi in volto, perché non
riescono ad inspirare.]



Passiamo alla cavità nasale propriamente detta: vi si distingue un pavimento, una parete mediale e una
laterale e una volta.








-Il pavimento (visto dall’alto) è formato per i tre quarti anteriori dai processi palatini delle ossa mascellari e
per il quarto posteriore dalla lamina orizzontale delle ossa palatine; è leggermente concavo e i margini mediali
delle due ossa si sollevano a formare la cresta nasale. Nella porzione anteriore della cresta nasale, da un lato
e dall’altro, si trovano i due canali che poi convergono nell’unico canale incisivo che abbiamo sul versante
del palato duro.

311
-La volta, assottigliata, è orizzontale nel tratto
intermedio (data dalla lamina cribrosa
dell’etmoide, presenta dei fori per il passaggio dei
filuzzi olfattivi), obliqua verso il basso
anteriormente (corrisponde alle ossa nasali) e
posteriormente (parete anteriore del corpo dello
sfenoide)

-Il setto nasale risulta liscio. È formato
superiormente dalla lamina perpendicolare
dell’etmoide che si va ad articolare con l’osso
vomere. È completato in avanti dalla cartilagine del setto.

-La parete laterale, in direzione antero-
posteriore, è formata: dall’ osso mascellare, dal
piccolo osso lacrimale, dalla parete mediale del
labirinto etmoidale e posteriormente dalla lamina
verticale dell’osso palatino.

La parete laterale rende il moto dell’aria


turbolento.




La parete laterale si solleva a formare i tre cornetti: cornetto superiore e cornetto medio, di pertinenza del
labirinto etmoidale; cornetto inferiore, ossicino a sé stante, il cui margine inferiore si ripiega lateralmente e
verso l’alto. Il margine inferiore di ciascun cornetto, soprattutto inferiore e medio, si ripiega a formare una
sorta di struttura ad uncino.
Tra i cornetti si vengono a delimitare i meati nasali (tav 36,43), che altro non sono che le vie percorse dall’aria
in ingresso: tra cornetti superiore e medio si delimita il meato nasale superiore, tra cornetto medio e inferiore
si delimita il meato medio e infine tra cornetto inferiore e pavimento della cavità nasale si descrive il meato
inferiore (via di transito principale per l’aria). Resta un ultimo spazio, molto piccolo, in alto: il recesso sfeno-
etmoidale, delimitato sopra dalla lamina cribrosa dell’etmoide e sotto dal cornetto superiore. I meati nasali
e il recesso convergono nelle coane, che
immettono nella faringe.

312
Cavità paranasali (tav 36,37,45)

Le cavità paranasali sono cavità scavate all’interno del massiccio facciale. Comprendono: i seni frontali, i seni
mascellari, le cellule etmoidali e il seno sfenoidale. Questi seni si aprono a livello di parete laterale delle cavità
nasali, nei meati nasali.
-Il seno sfenoidale si apre nel recesso sfeno-etmoidale, superiormente al cornetto superiore;
-Le cellule etmoidali posteriori si vanno ad aprire nel meato superiore;
-Le cellule etmoidali medie si vanno ad aprire nel meato medio;
-Le cellule etmoidali anteriori si vanno ad aprire nello iatus semilunare (e quindi meato medio);
(la posizione delle cellule dipende dalla
loro posizione rispetto al meato
superiore)
-Il seno frontale si apre nel meato
medio e precisamente nello iatus
semilunare, attraverso l’infundibolo
etmoidale che lo collega al canale naso-
frontale.
-Il seno mascellare si apre
nell’estremità inferiore dello iatus
semilunare.
Quindi la gran parte di questi seni
paranasali si apre a livello di meato
medio.
Nel meato inferiore l’unica struttura
che si apre è il condotto naso-lacrimale, che drena le lacrime.

Tutte queste cavità non solo alleggeriscono il massiccio facciale, ma servono inoltre come cassa di risonanza
per la voce e partecipano anch’esse al condizionamento dell’aria, perché a questo livello l’aria staziona e
permane.
I seni paranasali si formano per cavitazione dell’osso, e si ampliano con l’avanzare dell’età.

313
La mucosa respiratoria del naso andrà poi a ridurre
enormemente gli orifizi con cui i seni paranasali si
vanno ad aprire a livello di cavità nasale. I seni
paranasali, soprattutto quelli frontale e mascellari,
vanno incontro ad un graduale aumento di
dimensioni con l’avanzare degli anni. A vent’anni il
frontale raggiunge il suo maggiore ingrandimento,
mentre il mascellare continua ad ingrandirsi fino
all’anzianità (sarà ricoperto da una sottile lamina
ossea).
A livello di vestibolo del naso, nel punto di passaggio
della narice, si trova un epitelio pavimentoso
stratificato non corneificato, al contrario del
versante esterno della narice, che invece presenta
squamette cornee. Sul margine interno della narice
si trovano dei lunghi peli che prendono il nome di vibrisse. Il significato funzionale di questi peli è impedire
l’ingresso di particolato eccessivamente grande con l’inspirazione. Questo epitelio pavimentoso stratificato,
a livello di limen nasi, comincia gradualmente a modificarsi, comincia a diventare tonaca mucosa (mucosa
respiratoria), composta dall’epitelio respiratorio classico, ovvero l’epitelio pseudostratificato ciliato. Questo
epitelio è intercalato con cellule mucipare caliciformi. Sotto l’epitelio si trovano una tonaca propria
connettivale e una sottomucosa che accoglie ghiandole siero mucose, con una massiccia presenza di vasi. Il
secreto di queste ghiandole, particolarmente appiccicoso, si stratifica sulle ciglia e l’aria che decorre su questo
epitelio gli cede il particolato. La presenza delle ciglia, che si muovono in modo coordinato nella stessa
direzione, verso l’indietro, fa sì che il secreto prodotto si porti all’indietro per condurre il muco e le particelle
catturate nello stomaco, dopo essere stato deglutito. Si tratta di un transito muco-ciliare veramente
impercettibile, però molto rapido, circa 6 millimetri al
minuto. Il film di muco adagiato sulle ciglia, pertanto, si
rinnova sempre.
La presenza di un’ampia vascolarizzazione (specialmente
venosa), che ritroviamo soprattutto molto efficace ed
estesa nei margini dei cornetti inferiore e medio, va a
costituire quasi un tessuto erettile. Infatti in caso di
raffreddore, di natura anche allergica, il transito dell’aria
viene impedito e si ha la sensazione di avere il naso chiuso
proprio perché questo tessuto si dilata e la via aerea viene
occlusa. Questa ampia vascolarizzazione ha sempre un
significato nel condizionamento dell’aria: se l’appiccicoso
del siero mucoso purifica l’aria dal particolato, questo grosso contributo di vasi rende la superficie mucosa calda e
di conseguenza l’aria viene riscaldata. Il secreto mucoso è anche ricco d’acqua e la cede per umidificare l’aria in
ingresso. Questo condizionamento dell’aria prosegue anche nel resto delle vie aeree, ma certamente a livello
di cavità nasale e seni paranasali l’aria staziona per un tempo maggiore. Anche i seni paranasali, infatti, sono
rivestiti di mucosa respiratoria, anche se molto più sottile; l’epitelio non è pluristratificato, ma cilindrico
semplice, sempre ciliato. Il movimento delle ciglia fa sì che quel secreto sia diretto verso gli orifizi che aprono
nelle cavità nasali, favorendone la fuoriuscita affinché la cavità del seno non si congestioni.


314
Anche se la mucosa respiratoria tappezza gran parte delle cavità nasali, bisogna considerare che esiste anche
la mucosa olfattiva
















La mucosa olfattiva corrisponde alla volta delle
cavità nasali, sia sul setto che sulla parete laterale.
Attraverso la lamina cribrosa dell’etmoide passano
infatti i filuzzi olfattivi (tav 39). La mucosa olfattiva è
la mucosa responsabile della percezione degli odori
ed è diversa dalla mucosa respiratoria. La mucosa
olfattiva, infatti, è composta di cellule sensoriali che
sono veri e propri neuroni bipolari. È un caso unico in
tutto il corpo: sono proprio i dendriti di questi
neuroni, detti anche ciglia olfattive, a funzionare da
recettori, invece che recettori di natura epiteliale. Gli
assoni dei neuroni si uniscono poi a formare i filuzzi
olfattivi che attraversano la lamina cribrosa per poi
portarsi nel bulbo olfattivo all’interno della cavità
cranica. Tra i neuroni della mucosa ci sono poi altre
cellule, dette cellule di sostegno, dotate anche loro
di tanti microvilli. Anche nella lamina propria della
mucosa olfattiva ritroviamo delle ghiandole, le
ghiandole di Bowman, che producono un secreto
che si stratifica sui microvilli e sulle ciglia olfattive
e che ha la funzione di disciogliere le sostanze odorosa per far sì che le ciglia olfattive possano rilevare lo
stimolo.
Quando si vuole percepire con maggiore intensità un odore si inspira profondamente, così da convogliare
più aria verso l’alto, verso la volta della cavità. Normalmente, infatti, l’aria tende a portarsi direttamente
indietro a livello di coana.

315
(tav 51,40) Consideriamo la vascolarizzazione delle cavità nasali.

Si tratta di una vascolarizzazione complessa, composta da:


-Rami provenienti dall’arteria carotide esterna e precisamente dall’arteria mascellare interna –uno dei
due rami terminali di divisione dell’arteria carotide esterna- che decorre nella fossa infratemporale per
raggiungere la fossa pterigo-palatina. Qui l’arteria mascellare interna cede i suoi rami terminali: l’arteria
palatina maggiore (discendente) e, dopo di essa, l’arteria sfeno-palatina (quella che attraversa il foro
sfeno-palatino per raggiungere le cavità nasali, è quella con un territorio di distribuzione più cospicuo,
però ci sono anche altri rami: entomidali anteriore e posteriore, labiale superiore).
L’arteria infraorbitaria e l’arteria alveolare superiore posteriore (rami della mascellare interna) provvedono a
vascolarizzare il seno mascellare e la sua mucosa.
-Rami provenienti dalla carotide interna.
Si vengono a stabilire tre reti vascolari sulla parete laterale delle cavità nasali: una rete profonda a livello del
periostio, una rete media a livello di lamina propria della mucosa e una rete superficiale subito sotto
l’epitelio.
Le sorgenti sono diverse e infatti ci sono ben quattro arterie che contribuiscono a formare queste reti
vascolari:

1. L’arteria etmoidale anteriore e


posteriore, due rami che
appartengono all’arteria oftalmica, che
a sua volta è un ramo della carotide
interna.
L’arteria etmoidale posteriore si dirige
posteriormente a vascolarizzare
prevalentemente la mucosa del seno
sfenoidale e le cellule etmoidali
posteriori; una minima parte raggiunge
la volta delle cavità nasali.
L’arteria etmoidale anteriore si porta a
livello di volta delle cavità nasali e si

316
divide in un ramo laterale e in un ramo settale: il ramo laterale, oltre a dare il ramo nasale esterno
descritto prima, si distribuisce a tutta la porzione anteriore della cavità nasale, compreso il vestibolo
del naso, mentre il ramo settale si va a distribuire alla porzione anteriore del setto.
2. Il maggior contributo è operato dall’arteria
sfeno-palatina, ramo terminale dell’arteria
mascellare interna; giunge nelle cavità nasali
attraverso il foro sfeno-palatino, a livello del
quale si divide anch’essa in un ramo laterale e
un ramo settale: il ramo laterale si va a
dividere in numerosi altri rami che vanno a
vascolarizzare la gran parte della superficie
laterale e i cornetti, mentre il ramo settale
decorre dall’alto verso il basso e verso l’avanti
lungo il setto, vascolarizzandone gran parte. La
terminazione del ramo settale dell’arteria
sfeno-palatina si porta all’interno del canale
incisivo, perché a quel livello avviene
l’anastomosi con l’arteria palatina maggiore,
derivante dalla palatina discendente.
3. L’arteria palatina maggiore (discendente) decorre nel canale pterigo-palatino, che si apre a livello di
palato duro con il foro palatino maggiore, diventando arteria palatina maggiore, da cui esce per
decorrere sul versante orale del palato duro e poi impegnarsi nel canale incisivo, dove si realizza
l’anastomosi con il ramo settale dell’arteria sfeno-palatina.
4. La quarta e ultima sorgente della vascolarizzazione delle cavità nasali è l’arteria labiale superiore,
che proviene dall’esterno. È un ramo dell’arteria faciale, ceduto prima che questa prosegua per
andare a irrorare la parete laterale della piramide, in corrispondenza della rima buccale (insieme
all’arteria labiale inferiore). L’arteria labiale si distribuisce prevalentemente al labbro superiore, per
poi far dipartire un ramo verso l’alto che irrora la narice, la piramide nasale, il vestibolo del naso.

(tav 40) L’area anteriore del setto nasale corrisponde al locus di Valsalva, area in cui si realizza una rete
anastomotica tra etmoidale anteriore, sfenopalatina, palatina maggiore e rami labiali. Quest’area va a costituire il
plesso di Kiesselbach, ovvero quella regione che va più frequentemente incontro ad emorragia, la classica epistassi
che nei bambini è causata dai traumi causati con le dita e che nell’anziano può essere semplicemente spontanea.

317
[La perdita di sangue sembra copiosa, ma è in realtà
praticamente inesistente. Se nel bambino questo
problema si risolve in fretta, nell’anziano può essere
sintomo di una lesione di uno dei quattro vasi e, se
l’epistassi è prolungata, il medico dovrà andare a
legare l’arteria che è origine dell’emorragia, ed è
spesso difficile capire quale delle arterie coinvolte è
quella lesionata. Si tratta di zone così profonde,
soprattutto a livello di sfenopalatina ed etmoidale,
che diventano difficili da controllare.]


(pag 557, tav 73) Seguiamo ora il ritorno venoso, che anche in questo caso è satellite a quello arterioso.
La gran parte della superficie sia laterale che settale converge nelle vene sfeno-palatine, escono dal foro omonimo,
si aggettano del plesso pterigoideo (infratemporale, che vedremo in seguito) il quale porta poi alla vena mascellare
interna.
Più in alto si troveranno le vene etmoidali e soprattutto la vena etmoidale anteriore, che poi drena nella vena
oftalmica superiore e, quindi, nel seno cavernoso.
La regione anteriore segue le vene labiali e di conseguenza si getta nella vena facciale.

(tav 74) Anche il decorso dei vasi linfatici è
abbastanza semplice, perché la parte anteriore della
cavità nasale viene drenata nei linfonodi
sottomandibolari, mentre la porzione posteriore
drena nei linfonodi retrofaringei e, la maggior
parte, nei linfonodi cervicali profondi che sono
distribuiti a livello di vena giugulare interna.








Per quanto riguarda l’innervazione delle cavità nasali, la porzione
anteriore, compreso il vestibolo, ma anche il seno frontale, le cellule
etmoidali e il seno sfenoidale (arteria e vena etmoidale posteriore
scorrono insieme al nervo nel fascio vasculo-nervoso) è veicolata dal
nervo oftalmico (prima branca del nervo trigemino), mentre la gran
parte della parete, sia laterale che del setto, compresa una parte della
rinofaringe, è veicolata dal nervo mascellare.

318



DOMANDE

Identificazione della columella:
è un dettaglio non necessario, comunque si tratta di una porzione molle situata alla base del sottosetto ed è
quella più palpabile, più sporgente all’esterno.

Ritorno venoso delle cavità nasali:
Bisogna tenere in considerazione l’apporto sanguigno dato dalle arterie. L’arteria sfenopalatina è quella che
apporta una maggiore quantità di sangue in quanto si distribuisce a una regione più ampia nella cavità
nasale, dunque è chiaro che il sangue di ritorno, refluo da quella regione, convergerà preferenzialmente a
livello della vena sfenopalatina.
Ricordare anche che come avviene per la rete arteriosa, a maggior ragione la rete venosa presenta molte
connessioni con altre vene di fuoriuscita. Dunque, tutta la regione anteriore e la parete laterale del setto
vengono drenate dalla vena etmoidale anteriore. La vena etmoidale posteriore è invece poco rilevante
perché si limita preferenzialmente ai seni paranasali: frontale, etmoidale e in parte sfenoidale. La vena
etmoidale anteriore è tributaria della vena oftalmica, la quale torna nel circolo intracranico, in quello che è
alla fine il seno cavernoso. È fondamentale la connessione del circolo di ritorno con il sistema venoso
intracranico, in cui non avremo delle vene ma avremo dei seni venosi (verranno ripresi nel prossimo
semestre).
Una piccola quota di sangue refluo, soprattutto a livello di vestibolo del naso, drena all’interno della vena
labiale superiore che sappiamo essere un ramo tributario della vena facciale.

RINOFARINGE
Tutta la porzione posizionata posteriormente alle cavità nasali è la rinofaringe, la prima porzione superiore
di faringe. La faringe è una sorta di doccia, di emicilindro, perché la parete anteriore è in gran parte
inesistente: in alto infatti ci sono le coane, a livello di cavità orale si trova l’istmo delle fauci e a livello di laringe
vediamo lo hiatus laringeo, per cui la parete anteriore della faringe è fortemente incompleta. Ha forma
paragonabile ad un cubo.

Limiti della rinofaringe
Superiore: porzione basilare dell’osso occipitale, completata in avanti dal corpo dello sfenoide; la superficie
superiore, detta anche volta, va ad accogliere a livello mucoso, la tonsilla faringea;
Questa è tessuto linfatico associato alle mucose organizzato e se diventa particolarmente grande prende il
nome di adenoide.

319
Inferiore: faccia superiore del palato molle(molle perché mobile); è una struttura piegata verso il basso e
rappresenta la prosecuzione del pavimento delle cavità nasali, cioè il palato duro.
Il palato duro prosegue infatti nel palato molle, che essendo di natura muscolare può muoversi, rimanere
verticale, oppure sollevarsi per diventare orizzontale nel momento della deglutizione. Si parla di orofaringe
da palato molle al limite inferiore della cavità orale (epiglottide esclusa), più in basso prende il nome
di laringofaringe in quanto è posta dietro all’adito laringeo.

Anteriore: presenta le coane, come aperture posteriori della cavità nasale ed è quindi fortemente
discontinua;

Posteriore: prime vertebre cervicali, in particolare si riconosce l’arco anteriore dell’atlante, quindi si tratta di
una parete sommariamente verticale.
La parete posteriore, verticale verso il basso, e la superficie superiore del palato molle non hanno nessuna
struttura di rilievo.

Laterale: presenza di un orifizio, l’apertura della tuba uditiva. Questa ha una forma triangolare, in cui la
parte posteriore sporge notevolmente e prende il nome di torus tubarius; da esso si prolunga, in modo
quasi verticale verso il basso, una piega mucosa che prende il nome di piega salpingo faringea.
Subito dietro al torus tubarius si trova un profondo recesso, il recesso faringeo, anche detto recesso
di rosenmuller.




Nell’immagine sopra si nota la parete laterale della rinofaringe intatta, rivestita dalla mucosa respiratoria.
Se questa viene rimossa si può vedere chi determina questi sollevamenti e pieghe.
Rimossa la mucosa si può osservare l’apertura della tuba uditiva e la disposizione della porzione cartilaginea
della tuba uditiva. Da notare la forma particolare di questa cartilagine: la prima parte posta antero-
lateralmente prende il nome di lamina laterale della cartilagine della tuba, mentre la porzione più estesa,

320
più sporgente, che provoca il torus tubarius, corrisponde alla lamina mediale della porzione cartilaginea.
Dall’estremità inferiore di questa lamina mediale si tende un piccolo fascio muscolare che è il
muscolo salpingo faringeo che ha decorso verticale. Vedremo nel prossimo semestre che si andrà ad unire
ad un altro muscolo chiamato palatofaringeo.
Il muscolo salpingo faringeo rivestito dalla mucosa porta alla formazione della piega salpingo faringea.










TUBA UDITIVA


Sezione frontale in cui si nota il padiglione auricolare, il canale acustico, la membrana del timpano
parzialmente sezionata e profondamente alla membrana del timpano l’orecchio medio, cioè quello spazio
che si delimita tra membrana del timpano e osso timpanico e parete laterale della piramide del temporale.
Questa cavità dell’orecchio medio comunica proprio attraverso la tuba uditiva con la rinofaringe.
Con il cranio avevamo descritto quel canale osseo della tuba uditiva che però è molto breve, dunque per
giungere alla faringe la tuba deve presentare questa porzione cartilaginea, che delimita al suo interno un
canale vero e proprio: il condotto della tuba uditiva, il quale permette l’ingresso di aria all’interno
dell’orecchio medio.
Posteriormente l’orecchio medio continua nell’antromastoideo e nelle cellule mastoidee, che
rappresentano un osso pneumatico pieno d’aria in continuità con l’orecchio medio.

321
La tuba uditiva si apre per far entrare aria per compensare le pressioni che si stabiliscono tra l’esterno e
l’interno con in mezzo la membrana del timpano. Quando ci sono variazioni pressorie ecco che
deglutire apre la tuba uditiva e permette l’ingresso d’aria in modo da compensare le due pressioni e evitare
lezioni alla membrana del timpano.


Abbiamo visto il canale della tuba uditiva a livello della parete laterale della piramide del temporale, qui si
aggiunge la porzione cartilaginea in una veduta inferiore della base esocranica. Notiamo dunque la tuba
uditiva nella sua porzione cartilaginea che prosegue dal canale osseo.

La cartilagine non è completa, non forma un tubo, bensì presenta una lamina laterale più piccola e una
lamina mediale molto più estesa.
La porzione terminale della cartilagine della tuba uditiva si va ad adagiare sul margine posteriore della
lamina mediale del processo pterigoideo.
Il margine posteriore della lamina mediale del processo pterigoideo va a delimitare una piccola fossetta
che dà inserzione al muscolo tensore del velo palatino, il quale si attacca anche alla lamina laterale della
tuba uditiva.
Sulla lamina mediale della tuba si inserisce invece il muscolo salpingo faringeo.
La tuba a canale viene completata dalla presenza della mucosa respiratoria, che tappezza internamente
questa sorta di docciatura di cartilagine e che si porta a rivestire anche l’interno del canale osseo per
giungere a rivestire anche tutta la cavità interna dell’orecchio medio, antromastoideo e cellule mastoidee.


L’immagine spiega la modalità di


apertura della tuba che consente l’ingresso d’aria nell’orecchio medio. Si nota il canale carotico scavato
nello spessore della piramide del temporale che raggiunge il foro carotico interno all’apice della piramide. Si

322
nota la presenza della cartilagine a forma quasi di uncino. Lateralmente si osserva il muscolo tensore del
velo palatino e dall’altro lato, estremità della lamina mediale, il piccolo muscolo salpingo faringeo.
Al momento della deglutizione si contrae il muscolo tensore del velo palatino e il muscolo salpingo faringeo
che quindi trattiene la cartilagine mediale. In questo modo la contrazione del muscolo tensore del velo
palatino fa sì che la cartilagine laterale venga tirata lateralmente e allontanata dall’altra. In questo modo si
ha l’apertura della tuba uditiva. Solo durante la deglutizione o per un tempo maggiore durante lo sbadiglio la
tuba uditiva viene aperta e transita l’aria. Modalità per compensare le pressioni che si stabiliscono a livello di
membrana del timpano.

Immagine endoscopica mostra il rilievo dato dal torus tubarius con la


lamina mediale tratteggiata, si vede la porzione della piccola lamina laterale, molto più corta. Quando la
tuba non è in fase di deglutizione la cavità è solo virtuale e la tuba risulta chiusa. Nel momento in cui si
contrae il muscolo tensore del velo palatino e quindi inizia la deglutizione potete apprezzare bene che la
tuba uditiva si apre e l’aria può penetrare.



VIE AEREE SUPERIORI

323
Nella volta della rinofaringe la tonsilla faringea a volte quasi sparisce perché come tutto il tessuto linfatico
può andare incontro a involuzione. Perciò qui la osserviamo solo molto ridotta rispetto alle sue dimensioni.
Nel bambino con adenoidi le tonsille faringee diventano così estese da quasi impedire il passaggio dell’aria.
Però il tessuto linfatico associato alle mucose non si limita ad essere particolarmente addensato qui nella
tonsilla faringea a livello di volta.

Osserviamo l’immagine in veduta posteriore, sezione che apre a libro le due pareti laterali della faringe, si
notano le due coane con le estremità posteriore dei due cornetti medio e inferiore.
Si nota il palato molle.
Anteriormente c’è Il torus tubarius e nel bambino è comune che ci sia anche la tonsilla tubarica subito in
prossimità dell’ostio della tuba uditiva. Il tessuto linfatico associato alle mucose lo ritrovate lungo tutta la
superficie laterale e posteriore della faringe proprio perché si tratta di una prima barriera contro i patogeni
che possono entrare attraverso le cavità nasali o la cavità orale.


Nel corso della ventilazione l’aria entra attraverso le cavità nasali, passa nella rinofaringe, il palato molle
non è contratto ma è abbassato e l’aria può quindi proseguire il suo transito nell’orofaringe e verrà poi
immessa nella laringe.
Nel corso della deglutizione invece il palato molle si solleva, sigilla la rinofaringe e il bolo alimentare può
procedere indietro, passa nell’orofaringe, poi nella laringofaringe, struttura che via via si va assottigliando,
fino a continuare nell’esofago.

Si vede bene come il palato molle nel corso della deglutizione si vada a sollevare, diventi orizzontale
sigillando in questo modo la rinofaringe rispetto al tratto successivo che è l’orofaringe.

Deglutizione e inspirazione vanno ad incrociarsi come si vede nell’immagine. L’orofaringe è quindi una via
comune tra il cibo e l’aria.

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Innervazione sensitiva della rinofaringe
La parte superiore della rinofaringe viene innervata dal nervo mascellare del nervo trigemino, la restante
parte e l’orofaringe sono innervate dal nervo glosso-faringeo, il nono nervo cranico.


DOMANDA
L’ugola corrisponde con la parte più posteriore del palato molle?
L’ugola è il prolungamento verticale verso il basso del palato molle, formato dai due muscoli dell’ugola uniti
insieme.

VIE AEREE INFERIORI


La maggior parte delle vie respiratorie inferiori presentano un’impalcatura cartilaginea, che le
renda sufficientemente rigide per mantenere pervio il lume. Al contrario man mano che proseguiamo
inferiormente lungo le vie bronchiali, all’interno della cavità polmonare, questa struttura non
è più rigida bensì elastica in modo da consentire la dilatazione e quindi la possibilità di richiamare aria
dall’esterno.

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Il passaggio dell’aria, la ventilazione, si attua non per un meccanismo di contrazione muscolare, bensì è
attuato da una differente pressione che si realizza tra le cavità polmonari distalmente e l’aria esterna.
Nel corso dell’inspirazione si ha un ampliamento dei diametri del torace, il quale è seguito dalla dilatazione
dei polmoni. I polmoni aumentano di volume e quindi le porzioni terminali di questo albero aereo vanno
incontro ad una dilatazione. Questa dilatazione genera una pressione inferiore nelle cavità polmonari
rispetto a quella atmosferica.
Questa diversa pressione non fa altro che richiamare aria dall’esterno. Questo richiamo di aria però
rischierebbe di far collassare, collabire le vie aere inferiori se queste non fossero dotate di una impalcatura
cartilaginea di sostegno che assicuri la pervietà del lume.


LARINGE

È il primo tratto delle vie aeree inferiori, questa è una porzione estremamente particolare e ha le funzioni
di: far passare l’aria, impedire l’ingresso di corpi estranei (come bolo alimentare e saliva) nelle vie aeree
durante la deglutizione, essere la sede di formazione del suono. È infatti l’organo della fonazione, il suono
verrà amplificato dalle cavità nasali, seni paranasali e grazie agli articolatori (lingua, palato duro, palato molle,
denti e labbra) si passa dal suono ai fonemi.

La laringe è strettamente chiusa durante uno sforzo intenso, soprattutto se lo sforzo è esercitato dagli arti
superiori, come ad esempio il sollevamento di un peso (in particolare nello stacco viene trattenuto il respiro),
durante il parto o durante la defecazione.
La laringe è leggermente mobile: movimento verso l’alto (es. durante la deglutizione).

L’inspirazione si blocca nel corso di uno sforzo enorme.
Il blocco si realizza proprio a livello di laringe.
La laringe ha come funzione principale quella di via di conduzione dell’aria, ma oltre a ciò funziona anche
come valvola per impedire l’ingresso di cibo o materiale all’interno delle vie aeree, ed è per questo che si
chiude nel momento in cui si deglutisce.
La tosse è uno strumento fondamentale che permette la rimozione di un eventuale particolato entrato nelle
vie aere.

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La laringe è aperta nel momento
dell’inspirazione, mentre si chiude parzialmente quando dobbiamo parlare, in quanto la sua posizione è
perfetta come organo che genera il suono. La laringe è l’organo della fonazione, che genere un suono che
verrà successivamente modificato delle regioni sovra laringee come ad esempio nei seni paranasali e nelle
cavità nasali che fungono da cassa di risonanza.
Gli altri articolatori del suono sono ad esempio la lingua, le labbra, il palato duro, il palato molle.
Ciò che permette di formare i fonemi sono proprio queste strutture chiamate articolatori sovra laringei.
Ovviamente però senza la produzione del suono a livello di faringe questi sarebbero inutili.

La laringe è dunque parzialmente chiusa quando genera un suono, mentre è strettamente chiusa quando si
compie uno sforzo.

Nell’immagine vediamo una sezione sagittale che mostra la posizione della laringe.
La laringe nel maschio adulto si trova localizzata a livello del collo, profondamente, tra C3 e il margine
inferiore di C6, nella donna e nel bambino invece è solitamente un po’ più breve e più in alto, mentre nel
lattante viene a trovarsi molto più in alto.
L’estremità è proprio l’apice dell’epiglottide, mentre l’estremità inferiore è la base di un’altra cartilagine: la
cartilagine cricoidea.

Disposizione e rapporti
Rapporti anteriori
Andando a riconoscere le diverse strutture dall’esterno verso l’interno incontriamo: cute, sottocute sottile
con il muscolo platisma (tav 25), la fascia cervicale, il piano muscolare superficiale, costituito dal muscolo
sternocleidomastoideo destro e sinistro. Se rimuoviamo il muscolo sternocleidomastoideo abbiamo i
muscoli sottoioidei che hanno origine dall’osso ioide e che si portano verticalmente verso il basso. Essi sono
quattro, due per lato, due posti su un piano più superficiale (sternoioideo e omoioideo) e due su un piano
più profondo (sternotiroideo e tiroioideo) direttamente a contatto con la laringe (li vedremo in dettaglio nel
prossimo semestre).

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Andando a rimuovere i muscoli sottoioidei troviamo più profondamente, in parte direttamente a contatto
con la laringe, la ghiandola tiroide formata da due lobi laterali e la porzione intermedia che è l’istmo.
.

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329

Rapporti laterali
Lateralmente (sia a destra che a sinistra) la laringe è in rapporto con il fascio vascolo-nervoso del
collo (costituito dall’arteria carotide comune, dalla vena giugulare interna e del nervo vago).


Rapporti posteriori
Posteriormente alla laringe si trova una cavità a forma di doccia che corrisponde alla porzione terminale,
distale, della faringe. Qui abbiamo dunque la laringofaringe o ipofaringe con forma a U. Posteriormente
è quindi in rapporto con la laringofaringe (parte inferiore della faringe).
L’immagine è una sezione trasversale a livello di laringe.

Impalcatura cartilaginea (tav 79, gray 582)
L’impalcatura presenta membrane, legamenti e muscoli, è un’intelaiatura di cartilagini, alcune unite a
strutture esterne alla laringe come la trachea o l’osso ioide, altre unite tra loro da altre membrane, dette
intrinseche, e legamenti.
Quindi una struttura rigida unita da porzioni membranacee e legamentose.

330

È costituita da 9 cartilagini, 3 pari e 3 impari. Dalla vista anteriore si vedono le cartilagini impari che, dal basso
verso l’alto, sono: la cartilagine cricoidea, la cartilagine tiroidea e l’epiglottide. Dalla vista posteriore sono ben
visibili quelle pari: le cartilagini aritenoidee, le cartilagini corniculate e le cartilagini cuneiformi (piccoli
frammenti cartilaginei). Si tratta di cartilagine tutta ialina ad eccezione dell’epiglottide e del processo vocale
delle cartilagini aritenoidee costituite da cartilagine elastica.

Si descrive ora la conformazione, la morfologia delle cartilagini della laringe, così da poter poi identificare le
articolazioni e le membrane che le uniscono.

CARTILAGINE CRICOIDEA
La prima ad essere esaminata, a partire dal basso, è la cartilagine cricoidea.


Dalla cartilagine cricoidea, si articolano le altre cartilagini laringee, disposte superiormente. La cartilagine
cricoidea presenta una caratteristica essenziale: è l’unica cartilagine della laringe a forma di anello. Più
precisamente, si tratta di un anello con castone. Si nota un arco anteriore, che risulta essere di ridotte
dimensioni (se ne valutano diametro e altezza) e posteriormente, una lamina.

331
Nella veduta laterale da sinistra, ben si apprezza l’arco anteriore, che diviene progressivamente più spesso a
formare la lamina.


Nella proiezione laterale (c), è evidente l’incremento in altezza (procedendo dall’arco della cartilagine
cricoidea alla faccetta articolare aritenoidea).
Posteriormente (a) si osserva, invece, la lamina, il cosiddetto castone dell’anello.
Il margine inferiore è orizzontale. Il margine superiore, invece, è orizzontale nel primo tratto, ma prosegue
verso l’alto divenendo sempre più obliquo. Il margine superiore della lamina appare anch’esso orizzontale.
Su di esso, si individuano due faccette articolari, aventi forma ellissoidale. Le due superfici articolari sono
disposte con questa direzione: da dietro leggermente in avanti, da mediale a laterale. Nel punto in cui l’arco
si continua con la lamina, si osservano altre due superfici articolari – nell’immagine laterale (c) ben evidente
è quella di sinistra, nell’immagine (a) si nota anche quella di destra: le superfici articolari per la cartilagine
tiroidea.
Osservando l’immagine (a), si nota una cresta, che si diparte in posizione mediana suddividendo la faccia
posteriore della lamina in due parti, lievemente incavate: appaiono due concavità separate da una cresta
mediana.





CARTILAGINE TIROIDEA

332
Nell’ambito della laringe, è la cartilagine indubbiamente più grande. L’immagine sottostante ne mostra in
sequenza una proiezione anteriore, una proiezione posteriore e una proiezione laterale.

La cartilagine tiroidea ha la forma di uno scudo, ottenuto dalla giustapposizione di due superfici
quadrangolari. I margini anteriori delle due superfici quadrangolari (una di destra e una di sinistra) fondono
nei 2/3 inferiori. Nel terzo superiore, i margini restano separati: in questo modo, si viene a delimitare l’incisura
tiroidea. La fusione dei margini conduce alla formazione dell’angolo della cartilagine tiroidea. Questo è
particolarmente sporgente nella porzione superiore, che - proprio per questo - prende il nome di prominenza
laringea. Quest’angolo è più ristretto (90°) nel maschio, più ampio (raggiungendo circa 120°) nella femmina.
La prominenza laringea, nel maschio più evidente, è comunemente identificata come pomo d’Adamo, che
sporge nella superficie anteriore del collo.
Ai lati, la superficie anteriore non mostra particolari da rilevare e che meritino di essere descritti.
Spostandosi lateralmente, giungendo quasi alla parte posteriore della superficie anteriore, si nota una linea,
la cosiddetta linea obliqua (contrassegnata in rosso) che rappresenta il punto di inserzione di due muscoli
sottoioidei e del muscolo costrittore inferiore della faringe (lo si analizzerà in seguito). La linea obliqua
procede dall’alto verso il basso e in avanti.
Posteriormente, la cartilagine tiroidea presenta due coppie di prolungamenti: quelli rivolti verso l’alto
prendono il nome di corni superiori, strutture pari presenti su ambo i lati; molto più brevi sono i corni
inferiori, sulla cui superficie mediale sono presenti due faccette articolari che affrontano le faccette articolari
poste ai due lati della cartilagine cricoidea.
Riferendosi alla veduta (da dietro) mostrata nell’immagine centrale del riquadro sovrastante, si nota sulla
superficie posteriore della cartilagine tiroidea una depressione, un cosiddetto angolo interno in
corrispondenza della prominenza anteriore.


Nell’angolo interno, si inseriscono legamenti estremamente importanti.

333
Osserviamo una
sezione sagittale in corrispondenza dell’angolo della cartilagine tiroidea: dall’alto verso il basso, prendono
attacco
il legamento tiroepiglottico,
il legamento vestibolare
(indicato con una linea tratteggiata) e, a livello del punto medio esatto dell’angolo interno,
il legamento vocale.
Si deduce, quindi, la particolare importanza dell’angolo interno della cartilagine tiroidea. La restante
superficie della cartilagine è liscia e non presenta alcuna caratteristica che merita di essere descritta.
Si osservi di nuovo l’immagine della pagina precedente: il margine inferiore della cartilagine tiroidea è
piuttosto regolare, orizzontale; si prolunga nei due corni inferiori. Il margine superiore presenta, in posizione
mediana, l’incisura tiroidea; posteriormente, presenta i due corni superiori, marcatamente più estesi in senso
verticale.

334


Esaminiamo le cartilagini successive. Sulla cartilagine cricoidea si dispongono due cartilagini pari: sono le
cartilagini aritenoidee.




CARTILAGINI ARITENOIDEE
Sono piccole cartilagini di forma piramidale. Per meglio dire, si tratta di una piramide triangolare, il cui apice
si rivolge verso l’altro, mentre la base è adagiata sul margine superiore della lamina della cartilagine cricoidea.
Si nota, infatti, che la base presenta una superficie articolare di forma ellittica (la si vede in trasparenza
nell’immagine). Osservando la base, si individua il processo vocale, piuttosto assottigliato e con direzione
mediale anteriore. All’estremità opposta della base, un altro processo si dirige latero-posteriormente:
il processo muscolare, più grande, arrotondato e tozzo.

Da notare che le cartilagini sinora descritte sono tutte costituite da cartilagine ialina. Diversamente, una
porzione del processo vocale è di cartilagine elastica. La restante parte della cartilagine aritenoidea è, come
al solito, cartilagine ialina.
La superficie antero-laterale (parzialmente rivolta in avanti) della piramide triangolare presenta una sottile
cresta che la suddivide in due parti: la porzione superiore prende il nome di fossetta triangolare, in cui si
inserisce il legamento vestibolare; la porzione inferiore è detta, invece, fossetta oblunga, in cui si inserisce il
muscolo vocale.
La superficie antero-mediale (rivolta verso la controlaterale) è liscia, non presenta alcun rilievo.

335
Infine, la superficie posteriore (non visibile nelle proiezioni qui illustrate) è arrotondata e non presenta
caratteristiche di rilievo.

CARTILAGINI CORNICULATE, CUNEIFORMI ED EPIGLOTTIDE
Sull’apice delle cartilagini aritenoidee, si dispongono le cartilagini corniculate. Esse appaiono come piccoli
frammenti che prolungano le cartilagini aritenoidee; i loro apici sono ricurvi medialmente.


Piccole cartilagini cuneiformi, che paiono essere sospese, sono in realtà nello spessore di una piega: la piega
ariepiglottica.
La nona cartilagine è la cartilagine epiglottica.
È molto sottile, la sua forma è assimilabile a una foglia. L’epiglottide è di cartilagine elastica e per questo
estremamente mobile.

336
Si possono descrivere una faccia anteriore, rivolta anteriormente verso il dorso della lingua e una faccia
posteriore, rivolta verso la laringofaringe. La forma è peculiare: la superficie anteriore presenta una concavità
verticale (lungo l’asse longitudinale) ed una convessità trasversale. Trattandosi di una lamina cartilaginea
sottile, all’opposto appare la superficie posteriore: si osserva una convessità in senso verticale rivolta indietro
e una concavità trasversale (suggerimento: è come una Pringles).
L’estremità superiore, rivolta in alto, è piuttosto arrotondata, anche se presenta una piccola incisura in
posizione mediana. L’estremità inferiore, invece, progressivamente si assottiglia in quello che viene
chiamato picciolo dell’epiglottide, proprio per la sua similitudine ad una foglia. È proprio l’estremità inferiore
del picciolo dell’epiglottide che si unisce, tramite il legamento tiroepiglottico, all’angolo interno della
cartilagine tiroidea. L’epiglottide, così, è sospesa attraverso il picciolo alla cartilagine tiroidea.

Consideriamo ora le due articolazioni che si stabiliscono tra questi elementi cartilaginei.
ARTICOLAZIONI CRICO-TIROIDEE


L’articolazione crico-tiroidea si stabilisce tra la faccetta articolare situata al punto di passaggio tra arco e
lamina della cartilagine cricoidea e la superficie articolare del corno inferiore.
Nell’immagine, è raffigurata l’articolazione crico-tiroidea di sinistra; dall’altro lato vi sarà l’articolazione di
destra.
Sono articolazioni mobili: sono articolazioni sinoviali, artrodie. Il movimento si realizza sull’asse trasversale
che unisce, che coglie entrambe le articolazioni. È un movimento di rotazione, grazie al quale l’arco
anteriore della cartilagine cricoidea è spostato verso l’alto. La rotazione è di circa 15°.
Se l’arco anteriore si sposta in alto, la lamina posteriore, inevitabilmente - data la forma ad anello - si sposterà
indietro. Si consideri la visiera di un berretto: questa può essere sollevata o abbassata; allo stesso modo, l’arco
viene sollevato, ma la lamina viene necessariamente spostata indietro.
[vedi filmato]
Tale rotazione trasversale è responsabile del movimento dei processi vocali, spiega la tensione dei legamenti
vocali. Non è correlato alla deglutizione, bensì è indispensabile al processo di fonazione.

337

ARTICOLAZIONI CRICO-ARITENOIDEE
Le articolazioni crico-aritenoidee si stabiliscono tra le superfici articolari esposte dal margine superiore della
lamina e le superfici articolari della base delle due cartilagini aritenoidee.
Nell’immagine, si osservano i due processi vocali delle due cartilagini aritenoidee e, posteriormente e
lateralmente, i due processi muscolari.

Quel
che si percepisce osservando dall’alto è che, grazie a questa articolazione, i processi vocali possono
allontanarsi tra loro (abduzione) o viceversa, avvicinarsi tra loro (adduzione). Osservando dall’alto si potrebbe
supporre che il movimento che si realizza sia, anche in questo caso, una rotazione - questa volta lungo l’asse
longitudinale della cartilagine aritenoidea. In realtà non è così.


Se si osserva la disposizione delle faccette articolari, della lamina e della base della cartilagine aritenoidea, si
coglie che queste sono disposte perpendicolarmente. Si conclude che, per la loro morfologia, una rotazione
è impossibile. Allora, qual è il movimento che si realizza? È una semplice traslazione, uno scivolamento della
cartilagine aritenoidea mediale. Il processo vocale si avvicina al controlaterale, ma si sposta anche in basso.
Nel movimento opposto, il processo vocale si sposta superiormente e di lato, allontanandosi dall’altro. È

338
possibile, tuttavia, anche un movimento di traslazione posteriore, indicato nell’immagine di destra (in basso),
in cui si gioca sulla posizione della faccetta articolare della lamina. Le due cartilagini aritenoidee possono
traslare e avvicinarsi tra loro posteriormente, riducendo la distanza esistente tra le due cartilagini
aritenoidee.
[vedi filmato]
Il movimento è composito. L’articolazione crico-aritenoidea consente o l’avvicinarsi (adduzione) dei processi
vocali o viceversa il loro allontanamento (abduzione).
Procediamo con la descrizione dei legamenti che connettono gli elementi cartilaginei alle strutture circostanti
e le membrane e i legamenti che uniscono questi elementi tra loro.

LEGAMENTI E MEMBRANE ESTRINSECI


Legamenti e membrane estrinseci si tendono con le strutture adiacenti. In alto, si osserva l’osso ioide, situato
all’origine del collo, in corrispondenza circa dell’angolo della mandibola.

339
L’osso ioide è composto da un corpo anteriore al quale si articola il grande corno da un lato, il grande corno
dall’altro; superiormente, si articolano i piccoli corni. La superficie anteriore del corpo dell’osso ioide è
convessa, la superficie posteriore concava.

Dal margine inferiore del grande corno dell’osso ioide e dalla faccia posteriore del corpo dell’osso ioide si
tende la prima membrana: la membrana tiroioidea. La membrana tiroioidea unisce il margine superiore della
cartilagine tiroidea al margine inferiore del grande corno e alla faccia posteriore del corpo dell’osso ioide.
Nell’immagine sottostante, la si osserva in sezione sagittale.

In posizione mediana, la membrana tiroioidea


è particolarmente robusta. Dove si irrobustisce, si parla di legamento tiroioideo mediano.
A dire il vero, la membrana si irrobustisce anche a livello dei margini posteriori, tesi tra l’estremità del corno
superiore della cartilagine tiroidea e il grande corno dell’osso ioide. Le porzioni più robuste alle estremità
laterali costituiscono i due legamenti tiroioidei laterali.
Per il resto, la membrana è continua. Presenta una discontinuità sulla superficie laterale per il passaggio dei
vasi (le strutture vascolari che si portano internamente) e del nervo laringeo superiore.
La prima connessione estrinseca, dunque, è l’estesa membrana tiroioidea.
All’estremità opposta, teso tra il margine inferiore della cartilagine cricoidea e il primo anello tracheale, vi è
il legamento crico-tracheale.
Il terzo e ultimo legamento estrinseco è tra la faccia posteriore del corpo dell’osso ioide e la superficie
anteriore della cartilagine epiglottide: il legamento ioepiglottico.
MEMBRANE ELASTICHE E LEGAMENTI INTRINSECI

340
Si definiscono intrinseci le membrane elastiche e i legamenti all’interno della laringe stessa, che uniscono i
vari tratti cartilaginei che compongono la laringe.

La sezione sagittale in immagine mostra la parte di sinistra della laringe, compresa una metà dell’osso ioide e
la membrana tiroioidea, più esterna e laterale. La membrana elastica che andiamo descrivendo è collocata
più in profondità rispetto alla membrana tiroioidea e rivestita direttamente dalla mucosa, di cui costituisce il
piano profondo. La membrana elastica è tesa tra il margine laterale dell’epiglottide – giungendo
anteriormente a fondersi con il legamento tiroepiglottico e con l’angolo interno della cartilagine tiroidea – e
il margine superiore della cartilagine cricoidea; risalendo, superando il processo vocale, giunge alla superficie
anterolaterale della cartilagine aritenoidea. Questa membrana elastica presenta un’interruzione orizzontale,
a forma di asola. Pertanto, è possibile identificare una prima porzione superiore, chiamata membrana
quadrangolare, distinta dalla porzione inferiore, indicata come cono elastico.
Dalla superficie esterna (immagine in alto a destra), parzialmente recisa, si nota la membrana quadrangolare.
La porzione inferiore è il cono elastico.
La membrana quadrangolare procede lungo il margine laterale della cartilagine epiglottide raggiungendone
inferiormente il picciolo, tutt’uno con il legamento tiroepiglottico. Giunge poi all’angolo interno della
cartilagine tiroide e si interrompe, portandosi indietro per raggiungere la superficie anterolaterale della
fossetta triangolare della cartilagine aritenoidea. Due margini sono adesi, uno alle cartilagini epiglottide e
tiroidea, l’altro alla superficie anterolaterale della cartilagine aritenoidea. Due margini della membrana
quadrangolare sono liberi. Il primo, con decorso obliquo, quasi verticale, diretto dall’alto verso il basso e verso
l’indietro, prende il nome di legamento ariepiglottico (ari- dalla cartilagine aritenoidea). L’altro margine
libero, inferiore, quasi orizzontale (il margine superiore dell’asola) teso dall’angolo interno della cartilagine
tiroidea alla superficie triangolare della cartilagine aritenoidea corrisponde al legamento vestibolare.
Il cono elastico si inserisce lungo tutto il margine superiore della cartilagine cricoidea; giunge sino al processo
vocale e da qui si porta verso l’avanti, raggiungendo il punto medio dell’angolo interno della cartilagine

341
tiroidea; prosegue e fonde con il legamento cricotiroideo. Il cono elastico presenta un solo margine libero, tra
l’apice del processo vocale e l’angolo interno della cartilagine tiroidea nel suo punto di mezzo. Questo margine
libero corrisponde al legamento vocale.

Immagine dall’alto e da dietro; nel lato di destra, la


membrana quadrangolare è stata rimossa. Ben si osserva il cono elastico, il cui unico margine libero (il
margine inferiore dell’asola) raggiunge l’estremità del processo vocale.


L’immagine mostra un’altra proiezione. Si osserva la membrana crico-tiroidea, che ha come origine il margine
superiore della cartilagine tiroidea, ma si estende sino al suo margine inferiore. A livello del piano mediano,
in posizione anteriore, la membrana appare particolarmente robusta e ispessita, a formare il legamento crico-
tiroideo mediano. Si rileva una separazione tra la membrana crico-tiroidea, più esterna rispetto al cono
elastico, profondo. Lo spazio esistente tra cono elastico, cartilagine tiroidea e membrana crico-tiroidea è
ripieno di tessuto fibro-adiposo di riempimento. Anteriormente, lo spazio è molto ridotto; lateralmente, è più
ampio.

Lezione di anatomia del 22/05/2020


Sbobinatori: Matilde Vitali,

342
Revisore:
Argomenti: tonaca mucosa laringea, morfologia interna della laringe

TONACA MUCOSA LARINGEA

La mucosa si adagia sulle strutture, non solo cartilaginee, seguendone perfettamente il contorno. La si
potrebbe paragonare ad un lenzuolo che si adagia sui fili del bucato. La disposizione della mucosa è
continua, non vi è alcuna interruzione.

L a mucosa che costituisce il rivestimento


del dorso della lingua prosegue a rivestire la
parte superiore della faccia anteriore
dell’epiglottide. Nel portarsi a rivestire questa
porzione di epiglottide la mucosa si solleva
formando 3 pieghe, le 3 pieghe glosso-
epiglottiche. Una piega glosso-
epiglottica mediana e due pieghe glosso-
epiglottiche laterali. Le tre pieghe vanno a
delimitare due piccole infossature, due recessi
a fondo cieco, che prendono il nome di
vallecole.

Giunta al margine superiore libero la tonaca mucosa si porta lateralmente e va a rivestire la superficie
posteriore dell’epiglottide, andando a formare due pieghe: le due pieghe faringo-epiglottiche (si portano
lateralmente, verso la faringe). Indietro si vengono a realizzare altre due pieghe: le pieghe ari-epiglottiche,
che seguono il margine superiore della membrana quadrangolare (due pieghe: una a destra e una a
sinistra).
La piega ari-epiglottica raggiunge l’estremità superiore della cartilagine aritenoidea, quella che porta alla
cartilagine corniculata (ricopre il leg. ari-epiglottico). Lo spazio che si viene a formare, delimitato dalle due
cartilagini aritenoidi, è l’incisura inter-aritenoidea. Nello spessore della piega ari-epiglottica vi sono due
porzioni sporgenti, da un lato e dall’altro: più lateralmente abbiamo il tubercolo cuneiforme e più
medialmente il tubercolo cornicolato, segno della presenza, al di sotto della mucosa, delle cartilagini
omonime.

343
La mucosa si
porterà poi a rivestire la laringofaringe (o ipofaringe) e infine proseguirà come esofago: lateralmente e
inferiormente all’ingresso della laringe (aditus laringeo) troviamo i due recessi piriformi, recessi a fondo
cieco che possono essere considerati i due canali alimentari. Essi consentono lo scorrimento del bolo
alimentare lateralmente all’epiglottide durante la deglutizione (il bolo non scavalca l’epiglottide, passa
lateralmente ad essa).

Vediamo l’aditus laringeo, disposto obliquamente dall’alto verso il basso e dall’avanti verso l’indietro. Esso
rappresenta l’ingresso alla laringe, è molto ampio e viene delimitato superiormente dal margine superiore
della cartilagine epiglottica, ai lati dalle pieghe ari-epiglottiche e inferiormente dall’incisura inter-
aritenoidea.

La tonaca mucosa si porta a


rivestire la superficie
posteriore dell’epiglottide e la
superficie interna della
membrana quadrangolare
formando il vestibolo
laringeo. Proseguendo verso il
basso si incontra il margine
libero più inferiore della
suddetta membrana, ovvero il
legamento vestibolare che,
ricoperto dalla tonaca mucosa,
forma la piega vestibolare
(meno correttamente definita
anche corda vocale falsa).

A questo punto la tonaca mucosa si estroflette, portandosi esternamente a delimitare un recesso (pari, sia a
destra che a sinistra) che prende il nome di ventricolo laringeo e corrisponde ad una sorta di erniazione
all’esterno della tonaca mucosa. Questo ventricolo laringeo può presentare un prolungamento che si dirige
anteriormente e verso l’alto a formare il sacculo, anche questo di dimensioni variabili a seconda
dell’individuo. Il sacculo si trova nello spazio compreso tra la superficie esterna della membrana
quadrangolare e la membrana tiroidea, in cui è compreso del tessuto fibroadiposo di riempimento. Sia il
ventricolo laringeo che il sacculo intervengono nel processo di amplificazione del suono.

344
Una volta formato il ventricolo laringeo la tonaca mucosa si riporta a rivestire l’unico margine libero del
cono elastico, il legamento vocale, formando la piega vocale (o corda vocale).

Da qui la tonaca mucosa si porta a rivestire la superficie interna del cono elastico, la superficie interna
anteriormente dell’arco della cartilagine cricoidea e posteriormente della lamina della cartilagine cricoidea,
per poi proseguire, infine, sulla superficie interna della trachea.

MORFOLOGIA DELLA SUPERFICIE INTERNA DELLA LARINGE

L a morfologia della superficie interna della laringe (due


porzioni dilatate e una porzione ristretta) può essere
paragonata ad una clessidra con:

-Una porzione superiore ampia detta piano sovraglottico o


segmento superiore: corrisponde al vestibolo della laringe;

-Una porzione ristretta intermedia che corrisponde al piano


glottico o segmento medio: è formato superiormente dalla
piega vestibolare, inferiormente dalla piega vocale e
corrisponde al ventricolo;

-Un’altra porzione espansa inferiormente a forma di imbuto


capovolto, che corrisponde al cono elastico e alla cartilagine cricoidea: il piano sottoglottico.

La porzione superiore, porzione sovraglottica, corrisponde all’aditus laringeo (che immette in questa
regione sovraglottica) e la restante parte di questa porzione corrisponde alla superficie posteriore
dell’epiglottide e ai lati alla membrana quadrangolare.

345
Il piano glottico, il piano
intermedio, è quello più
importante dal punto di vista
funzionale. È compreso tra le due
coppie di pieghe, comprende in
direzione supero-inferiore le
pieghe vestibolari, il ventricolo
faringeo ed infine le pieghe vocali.
Dall’alto, con uno specchietto o
con un endoscopio, si possono
osservare le due pieghe vestibolari
(rosa) e la distanza tra le due
prende il nome di rima
vestibolare. In posizione inferiore,
ritroviamo le due pieghe vocali
(bianco perlaceo) e la distanza tra
le due prende il nome di rima della
glottide. Il vero e proprio restringimento centrale della clessidra è dato proprio dalla rima della glottide. In
questa veduta dall’alto non si ha la percezione della distanza verticale tra i due tipi di piega e della presenza
del ventricolo laringeo tra esse, ma si vedono le due pieghe schiacciate.

La piega vestibolare è sottile e presenta un colorito roseo, qui ritroviamo un epitelio che non è diverso da
quello della vie aeree (epitelio pseudostratificato ciliato, con intercalate cellule mucipare caliciforme). La
lamina propria presenta ghiandole siero-mucose, il cui secreto si stratifica.

A livello della lamina propria del ventricolo faringeo ritroviamo ghiandole a secrezione esclusivamente
mucosa. Questa secrezione mucosa viene rilasciata e si stratifica sulla piega vocale, con lo scopo di impedire

346
la disidratazione. Il secreto di queste ghiandola bagna il pavimento stratificato della corda vocale vera che
è sottoposta ad uno stress meccanico legato alla vibrazione provocata dall’espulsione forzata dell’aria.

La piega vocale, che in sezione appare come a formare un angolo retto, è molto spessa perché presenta il
legamento vocale e più in profondità un muscolo vocale, che aumenta ulteriormente lo spessore della piega
stessa. La piega vocale è rivestita superficialmente da un epitelio pavimentoso pluristratificato non
cheratinizzato, con la funzione di proteggere dal forte stress meccanico subito durante il processo di
fonazione . Il colorito bianco perlaceo che caratterizza e permette di identificare le pieghe vocali è proprio
dovuto alla presenza di questo epitelio pluristratificato, che non permette di vedere la vascolarizzazione del
piano subepiteliale.

In tutta la laringe la mucosa è connessa lassamente al piano sottostante, ad eccezione dei margini delle
pieghe vocali dove invece vi è una forte adesione tra legamento vocale e lamina propria. A livello della piega
vocale si viene a creare, quindi, uno spazio virtuale (detto spazio di Reinke) chiuso ai lati tra l’epitelio
sovrastante e il legamento vocale. Se dovesse accumularsi dell’essudato in questa zona, esso non potrebbe
diffondersi superiormente o inferiormente (perché appunto vi è forte aderenza), quindi si andrebbe a
formare il cosiddetto edema di Reinke. Quando questa regione diventa edematosa si amplia, provocando
un rigonfiamento a livello della piega vocale e riducendo la via aerea. Se non si interviene questa riduzione
porta a morte per deficit di
ossigenazione.

La rima della glottide può essere


suddivisa in due porzioni: nella parte
anteriore abbiamo le due parti
legamentose della piega vocale,
mentre le due parti posteriori non
sono legamentose ma cartilaginee,
poiché sono formate dalle due
superfici anteromediali delle due
cartilagini aritenoidee.

La porzione che va incontro a vibrazione, quindi a generazione del suono, è quella legamentosa.

347
Osserviamo ora le
dimensioni della rima della
glottide durante la
respirazione.

Nel momento in cui si ha


una respirazione tranquilla
le pieghe vocali sono
separate, la rima della
glottide è aperta. Nel
momento in cui abbiamo
un'inspirazione forzata lo
spazio tra le pieghe vocali
aumenta ulteriormente,
formando un’ampia
dilatazione. Nel momento
della fonazione, invece, le
pieghe vocali si avvicinano.
Nel momento in cui si
compiono sforzi la glottide è
completamente chiusa, non vi sono passaggi d’aria. Quando le pieghe vocali sono vicine, c’è una pressione
infraglottica che permette alle pieghe vocali di separarsi quel tanto da permettere agli sbuffi d’aria di
fuoriuscire. Questo movimento d’aria in uscita genera il suono: tanto più le pieghe vocali sono
tese (e, quindi, la loro distanza è limitata ad una superficie molto piccola), tanto minore sarà la pressione
sottoglottica necessaria a far passare gli sbuffi d’aria, che saranno perciò più rapidi provocando un timbro di
voce acuto. Se invece le pieghe vocali sono spesse (quando si contrae il muscolo vocale - contrazione
isometrica - non c’è avvicinamento ma c’è solo aumento di spessore), è chiaro che le pieghe vocali sono ben
unite e servirà una pressione sottoglottica maggiore per creare sbuffi molto più lenti che daranno un timbro
di voce basso.

Per quanto riguarda la porzione sottoglottica, invece, non abbiamo caratteristiche particolari, se non
appunto il rivestimento del cono elastico e della cartilagine cricoidea.

Fonazione

La laringe è un organo complesso che ha una funzione non solo ventilatoria (il passaggio d'aria in entrata e
in uscita), ma anche fonatoria. Quella fonatoria è la funzione che ovviamente permette la produzione del
suono: richiede una sorgente di energia (l'aria espirata), delle strutture oscillanti (le nostre pieghe vocali), e
una serie di strutture che fungano da apparato risuonatore (cavità nasali, rinofaringe, trachea con cui la
laringe è in continuità, cavità orale...).

Queste strutture sono collegate prettamente alla produzione del suono; l'intensità del suono dipende invece
dall'energia, dalla forza con cui l'aria al momento dell'espirazione mette in vibrazione le pieghe vocali. L'altezza e il

348
timbro dipendono dalla lunghezza, dal grado di tensione e dalle dimensioni delle corde vocali: la laringe è un organo
sessuale secondario (la voce nei bambini in entrambi i generi è acuta, delicata, poi con la pubertà, poiché la laringe
maschile è bersaglio degli ormoni sessuali maschili, cresce in maniera molto più incisiva e rapida di quella femminile e
la voce si abbassa di circa un’ottava).

Prima di arrivare all'articolazione del linguaggio ci sono altre strutture:

-Alcune strutture fisse: palato, alveolo, i denti;

-Altre mobili: prevedono una contrazione della muscolatura (labbra, lingua, la mandibola, le stesse pieghe
vocali, che sono in grado, variando la loro posizione, di modificare il flusso di aria respirata).

Muscolatura della laringe (Gray pag. 593, tav. 91 ecc.)

E' possibile distinguere due classi nella muscolatura:

• La muscolatura estrinseca connette la laringe alle strutture esterne, ed è quella che


consente i movimenti verticali della laringe. La analizzeremo il prossimo semestre.
• La muscolatura intrinseca, invece, è quella che connette tra loro le cartilagini proprie della
laringe, ed è quella che garantisce il movimento delle articolazioni ivi presenti: la crico-
aritenoidea e la crico-tiroidea.

Classifichiamo questi muscoli considerandone la funzione:

1. Muscoli che modificano le dimensioni della rima della glottide (costrittori se la


riducono, dilatatori se la ampliano):

-muscoli crico-aritenoidei posteriori,

-muscoli crico-aritenoidei laterali,

-muscolo aritenoideo trasverso e obliquo.

2. Muscoli che modificano la tensione dei legamenti vocali:

-muscoli crico-tiroidei,

-muscoli tiro-aritenoidei.

3. Muscoli che modificano l'aditus laringeo:

349
-muscolo aritenoideo obliquo,

-muscolo ari-epiglottico.

1. Muscoli che modificano la rima della glottide:

Ci sono due ordini di muscoli pari:

-Muscolo aritenoideo trasverso:

Un muscolo estremamente sottile, molto difficile da isolare, di forma quadrangolare. Si tende tra i
margini esterni, laterali, delle due cartilagini aritenoidee, e dunque le sue fibre si dispongono
orizzontalmente.

Quando il muscolo si contrae le cartilagini aritenoidee si avvicinano tra loro andando quindi a
determinare la costrizione della parte posteriore, contribuendo all’adduzione delle corde vocali.
L’incisura aritenoidea che si riconosceva viene ridotta fino ad essere di fatto annullata.

Questo muscolo è rinforzato dal muscolo aritenoideo obliquo (vedi oltre).

-Muscoli aritenoidei obliqui:

I muscoli, pari, dalla faccia posteriore del processo muscolare della cartilagine aritenoidea di un
lato si portano obliquamente verso l'alto per raggiungere l'estremità supero-laterale dell'altra
cartilagine controlaterale; i due muscoli vanno di fatto ad incrociarsi sul piano mediale. Dal punto
di inserzione sulla cartilagine opposta, alcuni dei fascetti muscolari si portano in avanti
raggiungendo il margine laterale della cartilagine epiglottide (costituendo però un altro muscolo,
vedi dopo).

Questi muscoli, contraendosi, restringono l'incisura interaritenoidea e restringono la rima


avvicinando i processi vocali e quindi le corde.

350

-Muscoli crico-aritenoidei posteriori:

Questi muscoli, ben visibili posteriormente, prendono origine sui margini laterali della cresta
mediana della superficie posteriore della lamina cricoide; si muovono poi simmetricamente a
coprire le fosse ai lati della cresta e si dirigono anteriormente e superiormente, andando ad
inserirsi sul processo muscolare aritenoideo, ovvero quella protuberanza più corposa nella faccia
posteriore della cartilagine aritenoidea.

Con la contrazione, i muscoli si accorciano e provocano una trazione sui processi muscolari
causando una “rotazione” laterale delle cartilagini aritenoidee attorno all'asse dell'articolazione
crico-aritenoidea: si determina così l'abduzione delle pieghe, quindi questo è il muscolo dilatatore
della glottide. Di fatto sono muscoli che intervengono al momento dell'inspirazione: quando l'aria
entra, le pieghe sono dilatate e lontane tra loro, la glottide è aperta, proprio grazie a questo
muscolo.

-Muscoli crico-aritenoidei laterali:

Questi muscoli sono riconoscibili osservando lateralmente la laringe, a seguito della rimozione
della cartilagine tiroidea. Le fibre muscolari originano dal margine superiore della cartilagine
cricoidea, e si portano poi posteriormente e superiormente per fissarsi sulla superficie anteriore
del processo muscolare.

L'andamento è opposto rispetto ai precedenti, così come anche la loro azione: contraendosi
portano avanti e in basso il processo muscolare, garantendo una “rotazione” mediale delle
cartilagini aritenoidee: in questo modo si determina l’avvicinamento sul piano mediano dei
processi vocali e dunque l'avvicinamento delle pieghe vocali, l'adduzione delle pieghe vocali. Quindi
questi sono muscoli costrittori della glottide.

Se la loro contrazione avviene dopo quella dei posteriori e questi rimangono contratti, tuttavia,
contribuiscono ad allontanare le cartilagini aritenoidee (le quali avranno già subito una rotazione

351
grazie ai muscoli posteriori provocando un'apertura della rima della glottide) ampliando la rima
della glottide.

La contrazione dei muscoli succitati non è mai singola, ma avviene sempre in maniera finemente
coordinata per garantire la complessità dei suoni della fonazione: è rarissima la contrazione di un
muscolo alla volta. Prendiamo ad esempio il caso dei crico-aritenoidei visti sopra: se si contraggono
in maniera rapidamente sequenziale, il cricoaritenoideo posteriore comporta la dilatazione della
glottide portando indietro i processi muscolari, il cricoaritenoideo laterale spinge invece in basso e
di lato il processo muscolare: il risultato netto è che la cartilagine aritenoidea viene tirata verso
l’esterno, causando un abbondante distanziamento dei processi vocali e quindi un’apertura
maggiore della glottide, aumentando l'incisura aritenoidea.

Riassumendo: il crico-aritenoideo laterale è un adduttore, quindi determina l'avvicinamento delle corde vocali;
l'aritenoideo trasverso non solo contribuisce all'adduzione, ma avvicina le cartilagini aritenoidi. Quindi quando le due
pieghe vocali sono addotte, ma non è contratto il muscolo aritenoideo trasverso, si ha questa situazione: si contrae
solo il crico-aritenoideo laterale e c'è uno spazio fra le cartilagini aritenoidee e l'aria può passare senza andare a
provocare la vibrazione delle pieghe vocali. Questo è quello che succede quando bisbigliamo: non emettiamo il suono
però siamo in grado di fare uscire l'aria e di determinare l'articolazione del parlato ma senza il tono. Quando oltre al
crico-aritenoideo laterale si contrae anche l'aritenoideo trasverso, come anche altri due piccolini che sono fra i
costrittori dell'adito, l'aria nel passare in questo pertugio assolutamente ristretto fa vibrare le pieghe vocali
determinando la fonazione, quindi in questo momento si produce il suono.

Inspirazione profonda: contrazione di quei muscoli abduttori, i due crico-aritenoidei posteriori che
sono dilatatori delle corde vocali.

Bisbiglio: si contraggono solo i crico-aritenoideo laterali, per cui le aritenoidi restano distanziate
ma le pieghe vocali sono addotte, ravvicinate.

352

Fonazione: avvicinamento sia delle pieghe vocali che delle aritenoidi, per la contrazione sia dei
muscoli crico-aritenoidei laterali che degli aritenoidei trasversi.

2. Muscoli che modificano la tensione dei legamenti vocali:

-Muscoli crico-tiroidei:

Questi muscoli, visibili superficialmente dall’esterno, hanno inserzione sull’arco anteriore della
cartilagine cricoidea e si portano obliquamente posteriormente e verso l’alto, per fissarsi nel
margine inferiore della tiroidea e anche nel margine anteriore del corno inferiore di quest’ultima.
L'andamento e la disposizione dei fasci sono molto simili a quelle dei crico-tiroidei laterali. A ben
vedere si riconosceranno in realtà due gruppetti di fasci muscolari: i più anteriori sono quelli che si
fissano sul margine inferiore della tiroidea, i più posteriori sono quelli che si fissano sul corno
inferiore.

La contrazione dei muscoli crico-tiroidei garantisce il movimento verso l’alto dell’arco cricoideo, e
necessariamente in contemporanea determinano anche uno spostamento all’indietro della lamina:
su questa si riconoscono le cartilagini aritenoidee, che saranno spostate indietro con essa,
causando in definitiva un aumento nella tensione delle pieghe vocali aumentando la distanza tra
l'angolo della cartilagine tiroidea e i processi vocali delle cartilagini aritenoidee. La tensione delle
corde vocali assottiglia la porzione di contatto tra le corde vocali, garantendo quasi un contatto
laminare: le corde vocali avranno una resistenza inferiore all'aria, e gli sbuffi d'aria saranno più
veloci, garantendo un timbro acuto nella voce. Questi muscoli cricotiroidei sono quindi muscoli
tensori delle corde vocali.

353

-Muscoli tiro-aritenoidei:

Questi muscoli hanno origine a livello dell'angolo interno della cartilagine tiroidea, subito a fianco
dell’inserzione della membrana elastica, e le fibre si portano posteriormente raggiungendo il
margine laterale della cartilagine aritenoidea del proprio lato. Alcune delle fibre si portano
obliquamente verso l’alto, a raggiungere la piega ari-epiglottica.

Di questo muscolo, il sottile fascetto più profondo, individuabile previa rimozione della gran parte
delle componenti muscolari più superficiali, è il muscolo vocale, posto strettamente a contatto con
il legamento vocale (corda vocale). Questo muscolo si muove in associazione stretta alla piega
vocale, inserendosi poi nella fossetta oblunga della faccia antero-laterale della cricoidea. La sua
porzione anteriore è sottile e non ha rapporto con l’angolo interno della tiroidea; la porzione
posteriore, invece, è spessa poiché le sue fibre si attaccano direttamente alle fibre della corda
vocale (si vede anche nella sezione trasversale al vetrino). Il muscolo vocale rende ragione dello
spessore della piega vocale, anche grazie alla sua azione contrattile.

Il muscolo tiro-aritenoideo, nel contrarsi, riduce la tensione delle corde vocali portando i
processi vocali delle aritenoidee anteriormente. È un distensore delle corde vocali.

Il muscolo vocale, però, non potendo ridurre la distanza tra apice del processo vocale e
l’angolo, compie una contrazione isometrica: non c’è riduzione della lunghezza delle fibre
muscolari, ma il muscolo stesso si ispessisce e di conseguenza anche la piega vocale. La piega
vocale sarà quindi più resistente, e i suoni emessi saranno più gravi.

354

3. Muscoli che modificano l'aditus laringeo

-Muscoli ari-epiglottici:

Questi muscoli sono una diretta prosecuzione dei muscoli aritenoidei obliqui visti nel gruppo dei
muscoli che modificano la rima della glottide. Si trovano su un piano più superficiale e sono dei
sottili nastri muscolari che partono dall’apice della cartilagine aritenoidea portandosi verso l’alto,
per inserirsi nel margine laterale dell’epiglottide. Da alcuni autori i muscoli ari-epiglottici sono
considerati parte integrante del muscolo aritenoideo obliquo.

La contrazione simmetrica di entrambi gli ari-epiglottici consentono un delicato restringimento


dell’aditus laringeo. Il vero contributo di piegamento e chiusura dell’epiglottide è dato dal
sollevamento della laringe, consentito tuttavia da muscoli estrinseci. Per questo, la funzione di
riduzione dell’aditus degli ari-epiglottici è irrisoria rispetto ai muscoli della lingua e della
deglutizione.

Il meccanismo di abbassamento dell’epiglottide ha come scopo l'andare a proteggere la via


respiratoria durante la deglutizione. Questa contrazione avviene per via riflessa: è un riflesso che
viene attivato da liquidi e solidi che stimolano i recettori presenti sulla muscosa del vestibolo
laringeo. Questi recettori reagiscono e attivano la contrazione della muscolatura dall'aditus.

355

-Muscolo tiro-epiglottico:

Questo muscolo, estremamente sottile, ha una funzione opposta a quella dell’ari-epiglottico, ma


egualmente molto limitata. Le fibre del tiro-epiglottico si trovano tese tra l’angolo interno della
cartilagine tiroidea e terminano sulla piega ari-epiglottica.

Con la loro contrazione si avrà una sottile apertura dell’adito faringeo.

Vascolarizzazione della laringe (tav. 87 ecc., Gray 595)

Data la sua posizione alta nel collo, la laringe riceve vascolarizzazione da rami delle due arterie
tiroidee: la superiore, che si stacca dalla carotide interna, e l’inferiore, ramo del tronco
tireocervicale.

Dall’arteria tiroidea superiore, primo ramo della carotide esterna, si stacca l’arteria
laringea superiore. Questa si dividerà in un ramo profondo ed uno più esterno. Il ramo profondo,
associandosi con la vena laringea superiore e il nervo laringeo superiore interno, penetra
attraverso il piccolo foro presente nella membrana tiro-joidea per portarsi internamente; il ramo
esterno prosegue esternamente, e si porta a vascolarizzare la regione esterna della laringe, in
particolare i suoi muscoli più esterni: i muscoli crico-tiroidei.

356
Dall’arteria tiroidea inferiore, ramo del tronco tireo-cervicale della succlavia, si stacca
invece l'arteria laringea inferiore. Risale lungo la trachea assieme al nervo laringeo ricorrente,
penetra nella laringe presso il margine del muscolo costrittore inferiore della laringe e vascolarizza
muscoli e mucosa. Va poi ad anastomizzare sia con la controlaterale, sia con alcuni rami della
laringea superiore. Quindi si crea una anastomosi fra due sistemi di arterie a livello della laringe,
da un lato la carotide esterna dall'altro la succlavia.

Il ritorno venoso è satellite, ed avviene tramite le vene laringee superiore ed inferiore che
decorrono parallelamente alle arterie e sono tributarie delle rispettive vene tiroidee. La vena
tiroidea superiore drenerà nella giugulare interna, mentre la tiroidea inferiore drenerà nella vena
brachiocefalica di sinistra.

Innervazione (tav. 88 ecc.)

Vi sono due rami, il nervo laringeo superiore e nervo laringeo ricorrente, che sono due rami del nervo vago (X nervo
cranico) componente del fascio vascolo-nervoso del collo (arteria carotide, vena giugulare interna e nervo vago).

1. Il nervo vago, decorrendo verso il basso, comincia a cedere rami tra cui il nervo laringeo
superiore che si divide a sua volta in due rami: uno interno e l’altro esterno.

-Il ramo interno segue il passaggio dell’arteria laringea superiore e va a perforare la membrana
tiro-joidea per portarsi all’interno della superficie della laringe, andando quindi ad innervare
dal punto di vista sensitivo tutta la mucosa del piano sopraglottico, la piega vestibolare e il

357
versante superiore del legamento vocale. Questa regione è ricchissima di recettori che
possono innescare alla base il riflesso della tosse, stimolato da eventuali corpi estranei
presenti nella regione.

-Il ramo esterno invece, che decorre adagiato sul muscolo costrittore inferiore della faringe, si
porta ad innervare dal punto di vista motorio il muscolo crico-tiroideo, quello che aziona
l’articolazione crico-tiroidea portando in alto l’arco della cricoide e nello stesso tempo porta
indietro la lamina, tendendo le corde vocali.

2. Il nervo laringeo ricorrente ha un decorso molto particolare e asimmetrico, ed è anch’esso


un ramo del nervo vago; si distribuisce a tutto il resto della muscolatura della laringe. Il
nervo laringeo ricorrente di destra circonda l’arteria succlavia e si riporta in alto; quello di
sinistra si porta ancora più in basso per circondare dall’avanti all’indietro l’arco dell’aorta. A
questo punto, da entrambi i lati, risale ai lati della trachea per arrivare alla laringe, per
innervare tutti gli altri muscoli intrinseci della laringe ad eccezione del crico-tiroideo visto
sopra.

Questo è il principale nervo che consente la fonazione. Una lesione ad un nervo laringeo ricorrente
(es. durante un intervento alla tiroide) provoca una paresi (diminuzione parzale di motilità) a tutti i
muscoli della laringe ad eccezione del crico-tiroideo poiché innervato dal laringeo superiore: quindi
la persona riesce ancora a parlare, ma sussurra poiché ha una corda vocale paralizzata. Nel caso di
un paziente con una corda vocale paralizzata, la corda vocale sana andrà con il tempo a supplire
alla funzionalità della prima, anche se il completo recupero della voce così com'era prima della
lesione non è possibile.

Trachea (tav. 87, 208 ecc.)

358
Il tratto successivo (posto inferiormente) rispetto alla laringe è la trachea, che continua
direttamente dalla cartilagine grazie ad un legamento crico-tracheale. Anche la trachea, come le
altre vie aeree inferiori, presenta una caratteristica impalcatura cartilaginea che contribuisce a
mantenerla pervia: possiede dai 12 ai 15 anelli cartilaginei, incompleti posteriormente per la
presenza di muscolatura tracheale liscia.

La trachea ha una lunghezza di circa 11-12 cm (molto variabile) che si trova tra C6 e T4/T5: si
dispone tra la porzione superiore del collo e la porzione superiore del torace (mediastino). È un
condotto muscolare cartilagineo molto mobile: nel corso della deglutizione, quando la laringe
viene portata in alto anche la trachea sale; viceversa nel caso di un’inspirazione molto profonda la
trachea si abbassa; è anche deformabile lateralmente. Il diametro trasversale di una trachea di
uomo raggiunge i 2cm mentre quella di donna 1/1,5cm.

La trachea può essere divisa in due tratti con caratteristiche leggermente variabilI:

>Porzione cervicale

La porzione cervicale comprende i primi 5-6 anelli tracheali fino alla incisura giugulare. Le strutture
che si pongono in rapporto con la trachea sono, dall'esterno all'interno: cute, sottocute, muscolo
platysma, fascia cervicale superficiale che copre il muscolo sternocleidomastoideo e più
profondamente i muscoli sottojoidei. Ancor più profondamente si riconosce anche la tiroide, a
diretto contatto con la trachea sia nella porzione mediana dell’istmo, sia nei lobi laterali.

-Anteriormente: i primi 3-4 anelli tracheali sono in rapporto diretto con la porzione centrale
della tiroide, l'istmo e nella porzione più inferiore con le vene tiroidee inferiori che vanno
ad aprirsi nella vena brachio-cefaliche.

-Inferiormente: si continua nella porzione mediastinica.

359
-Lateralmente: si rapporta con i lobi laterali della tiroide che si portano ad avvolgere la
trachea, tra la superficie laterale della trachea e questi lobi si pone il nervo laringeo
ricorrente che si porta verso l'alto per raggiungere i muscoli della laringe.

-Posteriormente si rapporta in modo molto stretto con la parte anteriore dell'esofago, che
si adagia sulla porzione membranacea della trachea: molte fibrocellule, quelle più esterne
dell’esofago, si continuano nella muscolatura della trachea (questo rende ragione della
formazione del diverticolo respiratorio dalla porzione dellintestino anteriore). A distanza
prende anche rapporto con il fascio vasculo nervoso del collo.


Porzione Toracica/Mediastinica:
Parte dall'incisura giugulare e termina con la divisione nei bronchi a livello di T4-T5. (Netter tavole 203,204)
-Anteriormente: superiormente la trachea è in rapporto diretto con l'arteria anonima a destra e con
l'arteria carotide comune a sinistra, più superficialmente è presente il manubrio dello sterno.
-Inferiormente (porzione distale della trachea): a sinistra con la vena brachiocefalica sinistra e poco
più in basso con l'arco dell'aorta (rapporto diretto). A destra il rapporto è con la vena brachiocefalica
destra e più in basso con la vena cava superiore (dall’incontro delle due vene brachiocefaliche);
-Lateralmente: a destra si rapporta con l'arco della vena azygos che si immette da dietro in avanti
nella vena cava superiore, con la pleura e indirettamente con il polmone di destra; mentre a sinistra
rimane discostata dal polmone per la presenza dell'arteria succlavia sinistra e per il tessuto adiposo
di riempimento che separa la faccia laterale della trachea dal polmone.
Ai lati ancora è visibile il decorso dei 2 nervi vaghi di destra e di sinistra, anteriormente sono presenti
i 2 nervi frenici.
-Posteriormente: a livello di T4/T5 rapporto posteriore con esofago. (Netter tavole 239,240,241)


OSSERVAZIONE DI DUE SEZIONI TRASVERSALI A LIVELLI DIVERSI (N.B. noi osserviamo le sezioni trasversali in
senso caudo-craniale, come se avessimo il paziente steso sul lettino e lo osservassimo dai piedi):

360
1. Sezione trasversale a livello di T3: l’incisura giugulare dello sterno è a livello di T2, quindi ci troviamo
subito al di sotto. Vediamo dunque lo sterno e la sua articolazione con la clavicola. Posteriormente vi
è la trachea, che contrae rapporti:
• Posteriormente: con l’esofago
• Lateralmente: a destra vediamo l’arteria anonima che si sta portando verso destra; a sinistra
invece l’arteria carotide comune e, più indietro, l’arteria succlavia.
Notiamo che il rapporto con il polmone di destra è più ravvicinato (ricordiamo che i rapporti
con i polmoni sono sempre mediati dalla pleura).

2. Sezione trasversale a livello di T4-T5:
ci troviamo in prossimità della biforcazione tracheale.
• Posteriormente: esofago
• Lateralmente e anteriormente: a destra
abbiamo la vena cava superiore e (più
posteriormente) la vena azygos; a
sinistra invece ritroviamo l’arco
dell’aorta, che si sta dirigendo indietro,
con l’emergenza delle tre arterie.






La vascolarizzazione della trachea:
È a carico prevalentemente di rami provenienti dall’arteria
tiroidea inferiore, che quindi oltre a vascolarizzare la tiroide e a
cedere l’arteria laringea inferiore per la laringe, cede anche rami
alla trachea.
Altri rami giungono anche dalle arterie bronchiali (tav 204), qui
poco visibili perché si staccano dalla superficie posteriore del primo
tratto dell’aorta toracica; esse assicurano un piccolo contributo,
vascolarizzando la porzione distale della trachea.
Il ritorno venoso è a carico delle vene tiroidee inferiori, che sono
in rapporto diretto con la superficie della trachea e si aprono nelle
vene brachio-cefaliche.

361
BIFORCAZIONE TRACHEALE:

A livello di T4/T5 abbiamo la biforcazione
tracheale. Ricordiamo che l’impalcatura della
trachea è formata da anelli di cartilagine
incompleti posteriormente. L’ultimo anello
cartilagineo della trachea (che vediamo
nell’immagine) presenta un tratto di cartilagine
leggermente spostato verso sinistra rispetto alla
linea mediana: si tratta dello sprone (lamina)
tracheale. Esso suddivide un unico condotto in
due, originando quindi il bronco principale destro
e il bronco principale sinistro.
Vi sono differenze tra i due bronchi: il bronco
destro è più largo, ha cioè un calibro maggiore, più breve (2,5cm) e presenta un angolo di circa 20° rispetto
l’asse longitudinale e potremmo quasi dire che il bronco principale destro sembri la diretta continuazione
della trachea (più verticale dell’altro)*; il bronco principale di sinistra, invece, è più lungo (5cm), con un calibro
inferiore e forma un angolo rispetto al piano verticale di 40-50°. Questo avviene a causa della presenza del
cuore; infatti il bronco deve passare dietro e alla sinistra di esso, compiendo quindi un percorso più lungo.

* A causa di queste sue caratteristiche (verticalità, calibro maggiore), il bronco destro è il luogo in cui i medici
vanno a ricercare eventuali oggetti che sono stati ingeriti e che sono passati nelle vie aeree inferiori.


Bronco principale destro (tav 199,203)

Rapporti:
Superiormente esso prende rapporto con la vena azygos che lo sormonta “a cavaliere”, da dietro in avanti,
per aprirsi nella vena cava superiore.
Inoltre c’è il rapporto con l’arteria polmonare destra, che inizialmente si trova davanti al bronco principale
destro. La diramazione dell’arteria seguirà la diramazione del bronco.

DIRAMAZIONE DEL BRONCO:
Il bronco principale destro, dopo circa 2 cm, cede il bronco lobare superiore (verso destra): questa è una
classica diramazione monopodica (nel senso che il bronco destro mantiene comunque la sua indipendenza,
cioè il fatto di essere principale). Il bronco principale destro procede ancora verso il basso e penetra nel
polmone all’altezza di T5, dividendosi negli altri due bronchi: bronco lobare medio e bronco lobare inferiore.
Bronco lobare medio e inferiore penetrano nel polmone e se dovessimo fare una proiezione sulla colonna
vertebrale ci troveremmo a livello di T5/T6.

362
Bronco principale sinistro (tav 199,203)

È più lungo, forma un angolo maggiore con l’asse longitudinale e si
porta verso sinistra.

Stabilisce un rapporto superiore con l’arco dell’aorta, diretto
dall’avanti all’indietro.
Come a sinistra vi è il rapporto del bronco principale con la vena
azygos, così a destra vi è quello con l’arco dell’aorta.

Penetra nel polmone a livello di T6, più in basso rispetto al bronco
principale destro. Esso si divide in modo dicotomico, cioè formando
due rami identici, dando luogo al bronco lobare superiore e inferiore
(entrambi verso sinistra) e a questo punto, proprio quando si divide nei due tronchi lobari, penetrerà nel
polmone di sinistra. Anche i bronchi principali possiedono l’impalcatura cartilaginea tipica della trachea:
possono essere anelli completi o incompleti.



Anatomia microscopica del tratto respiratorio inferiore (laringe, trachea, bronchi fino ai bronchioli
terminali):

Esaminiamo l’anatomia microscopica della regione che va dalla laringe ai bronchi intrapolmonari, dove
termina la conduzione dell’aria. A livello del polmone vi saranno altre superfici, atte alla diffusione e
ossigenazione del sangue.

La struttura della parete è analoga a quella delle vie respiratorie superiori.
Presenta:
• Mucosa respiratoria
Epitelio pseudostratificato ciliato con cellule mucipare
caliciformi intercalate. L’unica eccezione si ha a livello delle
pieghe vocali, dove l’epitelio è pavimentoso.
Nelle vie aeree inferiori il movimento ciliare è rivolto verso
l’alto. In questo modo si crea il cosiddetto ascensore mucoso;
assolve alla funzione di portare il secreto mucoso verso l’alto,
fino alla faringe; lì il secreto verrà deglutito e inattivato nello
stomaco.
Questa caratteristica rappresenta una differenza sostanziale
rispetto alle vie aeree superiori, dove il movimento ciliare è rivolto verso l’indietro (allo scopo di
indirizzare il particolato alla faringe).

L’ascensore mucoso è indispensabile.
Nei fumatori, dove la mucosa tende a perdere le ciglia, questo meccanismo viene meno; la tosse è allora
l’unico modo per rimuovere il secreto delle ghiandole, che comunque si forma.

o La lamina propria connettivale è infiltrata da tessuto linfatico diffuso (IgA) e noduli linfatici.

363
L’epitelio dei bronchi più piccoli e dei bronchioli si solleva in pieghe longitudinali e nei bronchioli si
trasforma prima in cilindrico ciliato e poi cubico.

• Tonaca sottomucosa
Connettivale, accoglie ghiandole con un secreto misto, sierose e mucose (oltre che le mucipare).
Il secreto di queste ghiandole crea un muco appiccicoso, stratificandosi sulle ciglia, che, catturando il
particolato più fine, depura ulteriormente l’aria.
È percorsa da grossi fasci longitudinali di elastina, che aumentano di quantità via via che scendiamo nel tratto
respiratorio inferiore. Tali fasci inoltre si ramificano in corrispondenza delle biforcazioni. Oltre alla
spiralizzazione che avviene nei condotti alveolari, questo traliccio elastico è responsabile della ritrazione del
polmone. Nei bronchioli scompare.

• Cartilagine
Per lo più di tipo ialino, costituisce la struttura di supporto per laringe, trachea e bronchi. Solo nella
laringe abbiamo l’epiglottide e il processo vocale delle cartilagini aritenoidee che sono costituiti da
cartilagine elastica.
Le cartilagini che costituiscono l’impalcatura di sostegno sono unite tra loro da fibrocellule muscolari
lisce, con andamento circolare.
Si parte da cartilagini molto grandi (nella laringe), che diventeranno anelli incompleti (nella trachea) e
che vanno via via riducendosi a placche cartilaginee (nei bronchi segmentali). Nei bronchioli (1mm di
calibro) la cartilagine scompare ed è sostituita da elastina e da fibrocellule muscolari lisce che si
dispongono due strati: andamento elicoidale e incrociato.
La presenza di cartilagine permette di differenziare al microscopio un piccolo bronco da un bronchiolo.

• Tonaca avventizia
Connettivo fibro-elastico presente solo fino ai bronchi lobari.

Domanda: Nel MALT sono presenti solo linfociti T?

No, ci sono anche i linfociti B; infatti essi producono le IgA, una tipologia di immunoglobuline resistente
all’ambiente esterno, che vengono rilasciate a questo livello, cioè su una superficie connessa con un lume.

Domanda: I linfociti B sono organizzati solo in noduli?

Sì, i linfociti B si organizzano sempre in noduli, a differenza dei linfociti T che non hanno una modalità di
organizzarsi tra loro e rimangono sparsi.

364
SEZIONE DI TRACHEA: riscontrabili tutti gli elementi elencati sopra;

1. mucosa respiratoria caratterizzata da epitelio pseudostratificato ciliato con
intercalate cellule mucipare caliciformi;
2. al di sotto della mucosa respiratoria la lamina propria di tipo connettivale, con
vasi;
3. la tonaca sottomucosa che accoglie ghiandole di natura mucosa e sierosa, il cui
secreto si stratifica sulle cellule;
Per distinguere i due tipi di acini è bene non limitarsi a osservare le colorazioni,
(che possono essere poco chiare), ma concentrarsi anche sulla forma del nucleo:
negli acini mucosi è a forma di lente e schiacciato alla base, poiché tutto il
citoplasma è pieno di vescicole; negli acini sierosi, invece, il nucleo è sempre alla
base, ma mantiene la sua forma tondeggiante.
4. ancor più esternamente troviamo l’impalcatura cartilaginea: sezione di un
anello incompleto della trachea, le cui estremità vengono unite da fibrocellule
muscolari lisce (formando così la porzione membranacea della trachea). Tali
fibrocellule sono facilmente scambiate con l’esofago.
5. Per ultima, la tonaca avventizia. Esternamente si ha anche del tessuto
fibroadiposo di riempimento.



In questa immagine:
A sinistra la trachea (posteriormente la cartilagine è incompleta,
colmata dal muscolo tracheale), a destra l’esofago.








Proseguendo nella diramazione delle vie aeree inferiori, la trachea a un certo punto si biforca per dar luogo
ai bronchi, prima i bronchi principali e poi le loro diramazioni. Mano a mano che sono ceduti i bronchi, il
calibro della via diminuisce progressivamente. Il bronco principale si divide nei lobari e il lobare entra
all’interno del polmone: quella struttura cartilaginea che si identificava a livello di trachea sotto forma di
anelli incompleti, mano a mano che si entra nel polmone si trasforma in placche cartilaginee, ossia
addensamenti di cartilagine. A livello di lobari le placche sono molte e notevoli, viceversa, scendendo le
dimensioni e il numero di placche cala gradualmente.
Si arriva a una porzione di albero bronchiale che non è rigida e permetterà il richiamo dell’aria.
Precisamente, arriviamo fino al bronchiolo terminale dove si arresta la via di conduzione dell’aria e inizia, a
livello di bronchiolo respiratorio, la porzione respiratoria: quando si parla di bronchiolo ( circa 1 mm di
calibro) non troviamo più le placche ed è proprio l’assenza delle placche che al microscopio ci permette
distinguere un piccolo bronco da un bronchiolo.

365

Polmone (tav 193, 196,194) (è importante saper disegnare la varie strutture del polmone in realazione alla posizione che occupano nel torace).


Nell’immagine abbiamo i due polmoni in veduta anteriore.
Essi hanno grossomodo la forma di un tronco di cono in cui è stata sezionata la superficie mediale con un piano
quasi sagittale.
Il polmone è un organo che risente moltissimo delle condizioni ambientali (come ad esempio il fumo o
l’inquinamento). Alla nascita presenta un colore rosa chiaro, mentre in un adulto fumatore o che abbia vissuto in
un ambiente inquinato avrà una colorazione grigio scura. Questo è dovuto a dei depositi antracotici: queste
particelle carboniose che inevitabilmente vengono inalate si depositano sulla superficie del polmone; i macrofagi
che vanno a fagocitare queste particelle si portano sulla superficie esterna e lì poi muoiono.

I polmoni sono organi soffici, se manipolati emettono crepitii perché sono ripieni d’aria (proprietà usata per
indagini patologiche: se un cadavere viene trovato in acqua e i polmoni galleggiano, allora la persona è stata uccisa
e poi gettata in acqua, invece se i polmoni sono pieni d’acqua vuol dire che è morta affogata)

Il polmone di destra è più grande del sinistro: pesa circa 620 g contro i 560 g del polmone sinistro. È più grande ma
il suo diametro verticale è minore rispetto a quello di sinistra per cui è chiaro che questa differenza di peso e
dimensione sarà a livello del diametro trasversale. Il polmone ha la forma di un tronco di cono a cui è stata tagliata
la parte della superficie mediale per cui questo tronco di cono avrà una base, un apice, una superficie sterno-
costale e una superficie mediale.



Forma e rapporti del polmone
Il polmone presenta:
• Una base, un apice, una faccia mediale e una faccia laterale;
• Un margine posteriore, un margine anteriore (dall’incontro tra faccia mediale e laterale) e un margine
inferiore.

366
Base
Risulta essere di forma semilunare e concava poiché si adatta
perfettamente alla convessità della cupola diaframmatica.

Rapporti della base del polmone:
A destra abbiamo il lobo destro del fegato (sempre con
l’intermediazione del diaframma e della pleura), che appare
particolarmente sporgente in alto.
La base del polmone di sinistra viene in rapporto con il lobo
sinistro del fegato, con il fondo dello stomaco e la milza.
Queste strutture non sono molto sporgenti.
A causa del suo rapporto così ingombrante con il lobo destro
del fegato, il polmone destro ha un diametro verticale
inferiore (di circa 1/1,5 cm) rispetto al polmone di sinistra. Per
lo stesso motivo, la cupola diaframmatica di destra risulterà
essere più in su rispetto alla sinistra (5° spazio intercostale vs
6°).

Apice
Sporge nettamente dall’apertura del torace.
L’apertura del torace è obliqua, dall’alto verso il basso
e dall’indietro verso l’avanti, per cui secondo una
veduta anteriore il polmone sporge di 3/3.5 cm. Se
aggiungiamo la clavicola (che nell’immagine non è
presente), l’apice del polmone sporge un po’ meno (2
cm).

Rapporti dell’apice: l’apice del polmone si rapporta
anteriormente con l’arteria succlavia da entrambi i
lati, sempre con la mediazione della pleura; più avanti
rispetto all’arteria, separata da essa dal muscolo
scaleno anteriore, vi è poi la vena succlavia. Contrae
inoltre rapporti laterali con il muscolo scaleno medio.
Medialmente si rapporta a destra con l’arteria
anonima, mentre a sinistra con l’arteria carotide
comune di sinistra.
Posteriormente, a livello di apice, comunica con un
ganglio del sistema ortosimpatico chiamato ganglio
stellato (o ganglio cervico-toracico).
Se esso viene compresso, come avviene ad esempio nel carcinoma dell’apice polmonare, causa nel volto i
segni di una mancata innervazione ortosimpatica: palpebra abbassata, pupilla ristretta e anidrosi (perdita
della sudorazione) della regione corrispondente (Sindrome di Bernard-Horner).

Superficie laterale
Risulta essere perfettamente convessa poiché si va ad adattare alla gabbia toracica, ricalcandone
perfettamente la forma. In un preparato molto fresco, essa può presentare le impressioni dei muscoli
intercostali.

367
Superficie mediale
Presenta una superficie posteriore
perfettamente arrotondata e questa
corrisponde al margine posteriore del
polmone con i corpi vertebrali e dischi
intervertebrali della colonna vertebrale.
La porzione anteriore rispetto a questa parte
arrotondata va a costituire la superficie
mediastinica, quella superficie che insieme a
quella dell’altro polmone va a delimitare il
mediastino. All’incontro tra i 2/3 anteriori e il
1/3 posteriore di questa superficie
mediastinica si mette in evidenza l’ilo del
polmone. L’ilo del polmone di destra è quasi
quadrangolare e si prolunga inferiormente con
il legamento polmonare (prolungamento
determinato dalla pleura) e in esso
ritroveremo l’ingresso dell’arteria polmonare, della via aerea e in uscita avremo le vene; invece l’ilo del
polmone di sinistra ha una forma un po’ più allungata chiamata forma a racchetta.
Il polmone di destra è diviso in tre lobi ad opera di due scissure. La prima è la scissura obliqua che va ad
individuare il lobo inferiore. Dalla scissura obliqua si diparte anteriormente la scissura orizzontale che va a
separare il lobo superiore dal lobo medio. Quindi la scissura obliqua è completa, mentre quella orizzontale
diparte dalla obliqua. È utile fare le proiezioni con la gabbia toracica:
- la scissura obliqua diparte a livello del processo spinoso di T4, si porta obliquamente in basso e
lateralmente e la ritroviamo sulla superficie anteriore del polmone ad incrociare il margine inferiore
del polmone a livello della sesta costa dove avviene l’articolazione con la porzione cartilaginea di
questa costa.
- la scissura orizzontale si diparte dalla scissura obliqua e il punto di riferimento è il quarto spazio
intercostale, poi decorre orizzontalmente e va a tagliare il margine anteriore a livello della quarta
costa.
Queste scissure a volte sono complete (arrivano all'ilo) e seguendo i loro decorsi si possono separare i lobi,
ma a volta la scissura orizzontale non è completa ma la suddivisione in lobi avviene ugualmente.
Il lobo superiore è apprezzabile sia anteriormente che posteriormente mentre il lobo medio si vede solo in
una parte della porzione anteriore e in essa vediamo lateralmente anche una piccola parte del lobo inferiore,
che però è molto più visibile nella faccia posteriore del polmone, dalla quale invece è poco visibile il medio.

Superficie mediastinica (tav196,208,229): (quella costale ha poco da descrivere) interessante perché


ritroviamo le impronte degli organi contenuti nel mediastino.
Prende rapporto, sia a destra che a sinistra, con il nervo frenico, che origina dal plesso cervicale, decorre
verticalmente verso il basso nel mediastino anteriore fra pericardio e pleura (anteriormente ai bronchi) fino
a raggiungere il diaframma, innervandolo dal punto di vista motorio.
Ritroviamo una impronta piuttosto accentuata rappresentata dalla fossa cardiaca lasciata dal cuore, che
quindi prende rapporti coi polmoni attraverso intermediazione della pleura e del pericardio. Il margine
antero-inferiore del polmone sx è detto lingula del polmone.

368
-Nel polmone destro la fossa sarà lasciata in gran
parte dall’auricola destra e in minima parte del
ventricolo destro. Superiormente alla fossa (e
anteriormente all’ilo) vediamo un solco lasciato dalla
vena cava superiore che superiormente continua con
il solco per la vena brachio-cefalica destra, mentre
inferiormente alla fossa troviamo quello lasciato dalla
vena cava inferiore. Supero-posteriormente all’ilo sarà
presente l’arco molto visibile lasciato dalla vena
azygos. A livello di apice (faccia anteriore) del polmone
vi è un solco che sarà lasciato dall’arteria succlavia dx
(posta dietro alla vena brachio-cefalica dx). A livello del
mediastino posteriore vi è la presenza dell’esofago (tra la azygos e l’ilo) con il suo solco evidente in alto che
però scompare in basso poiché l’esofago devia verso sinistra.
Nell’ilo di destra, con forma quadrangolare, in senso antero-posteriormente ritroviamo:
-Vena polmonare superiore dx, in posizione inferiore;
-L’arteria polmonare dx superiormente rispetto alle vene, leggermente più in basso rispetto al bronco;
-Bronco, il più superiore, in posizione epi-arteriale, e la vena polmonare inferiore dx, in posizione inferiore
in prossimità del legamento polmonare.
Presenta tre lobi: superiore, medio e inferiore. Posteriormente la fessura obliqua divide lobo superiore e
inferiore; anteriormente la fessura orizzontale dall’ilo divide il lobo superiore e il medio e la fessura obliqua
il medio dall’inferiore.


-Il polmone di sinistra: è diviso in due soli lobi, superiore e
inferiore, da un’unica scissura, la scissura obliqua, analoga a quella di
destra. Vi è una sola differenza: la scissura obliqua di sinistra nella
faccia posteriore parte un pochino più in alto rispetto alla scissura
obliqua di destra, infatti si diparte a livello del processo spinoso di T3.
Poi il decorso è lo stesso.
Nella faccia anteriore del polmone di sinistra vediamo la gran parte
del lobo superiore e una minima parte del lobo inferiore, più
apprezzabile nella faccia posteriore. Qui manca il lobo medio che è
inglobato nel lobo superiore.
La superficie mediastinica presenta una fossa particolarmente
profonda lasciata dall’impronta del cuore, data in minima parte dall’auricola sinistra e in massima parte dal
ventricolo sinistro mentre la parte più anteriore, cioè il margine più sottile, sarà quella che si porterà a coprire
il cono arterioso del ventricolo destro. Vi è poi un profondo solco lasciato da una struttura che va a circondare
il bronco principale: è il solco lasciato dall’arco dell’aorta (postero-superiormente all’ilo) che si continua
inferiormente nell’aorta toracica. A livello della superficie anteriore dell’apice andremo a descrivere
l’impronta lasciata dall’arteria succlavia sx e più anteriormente quello per la vena brachio-cefalica sinistra.
Subito anteriore all’impronta lasciata dall’aorta toracica, quindi sotto l’ilo, vi è quella dell’esofago che si è
portato a sinistra (nella porzione inferiore). Sempre anteriormente possiamo notare la presenza del nervo
frenico.
A livello di ilo del polmone di sinistra, che ha la forma di racchetta, in senso antero-posteriore ritroviamo:
-La vena polmonare superiore sx, al davanti.

369
-L’arteria polmonare sx, intermedia
-Il bronco, sta sotto l’arteria (ipo-arteriale) ma sopra le vene polm. Inf. e dietro le vene polm. supe., e la
vena polmonare inferiore sx, in posizione inferiore.

I linfonodi dell’ilo, da entrambi i lati, sono molto importanti (detti bronco-polmonari)

Margine anteriore
All’incontro tra la superficie mediastinica e quella costale, è sottile così come estremamente sottile è il
margine inferiore, cioè quello all’incontro tra la superficie diaframmatica e la superficie costale, poiché si va
ad incuneare in basso.
Descriviamo il margine anteriore del polmone di destra: decorre verticale verso il basso fino alla 6° cartilagine
costale, e da qui diparte il margine inferiore.
Il margine anteriore del polmone di sinistra inizialmente è verticale verso il basso come l’altro, ma giunto alla
4° cartilagine costale va a delimitare l’incisura cardiaca: si porta lateralmente, decorre verso il basso e torna
un pochino medialmente, fino a raggiungere la 6° cartilagine costale, terminando con la lingula polmonare

Margine inferiore
All’incontro della faccia costale con la base, decorre lungo la 6° costa lateralmente e quando arriviamo alla
linea medioascellare (tesa proprio nel punto medio tra i due pilastri anteriore e posteriore dell’ascella) il
margine inferiore del polmone raggiunge l’8° costa. Se consideriamo questo margine inferiore nella faccia
posteriore vediamo che questo margine raggiunge il processo spinoso di T10 e quindi la 10° costa (non tanto
perché il polmone si porta ancora più inferiormente ma perché le coste si inclinano medio-lateralmente verso
il basso).

Diramazione bronchiale (tav


199,200,201)
Come avviene la diramazione nel
parenchima polmonare?
Il bronco principale destro, come già
detto, è monopodico e cede il bronco
lobare superiore, medio e inferiore. A
sinistra invece abbiamo una divisione
dicotomica: bronco lobare superiore e
inferiore. Ciascun bronco lobare va a
ventilare il proprio lobo. Si ha poi una
diramazione successiva: i bronchi lobari
danno origine ai bronchi segmentali.

Destra:
-Il bronco lobare superiore (3 segmenti)
cede il bronco segmentale apicale, il
bronco segmentale posteriore e il
bronco segmentale anteriore;
-Il bronco lobare medio (2 segmenti) si divide in due bronchi segmentali: il bronco segmentale laterale e
mediale;
-Il bronco lobare inferiore (5 segmenti) cede il bronco segmentale superiore e dopo 4 bronchi segmentali
basali (mediale, anteriore, laterale e posteriore).

370
In totale 10 bronchi segmentali.

Sinistra:
-Il bronco lobare superiore (5 segmenti) si divide in un ramo ascendente e uno discendente:
1. Il ramo ascendente cede il bronco segmentale apicale, il bronco segmentale posteriore e il bronco
segmentale anteriore;
2. Il ramo discendente si divide nel bronco segmentale superiore della lingula e inferiore della lingula.
-Il bronco lobare inferiore (4/5 segmenti) cede immediatamente il bronco segmentale superiore e poi si
divide nei basali. Il più delle volte il basale anteriore e il basale mediale sono uniti.
In totale 9 (o 10) bronchi segmentali.

(tav 197,198) I bronchi segmentali vanno a ventilare aree ben precise di parenchima polmonare, i segmenti
bronco-polmonari, dotate di autonomia anatomica, funzionale e clinica, in quanto presentano un bronco
segmentale, un'arteria segmentale e una rete venosa peri-segmentale. In questo modo può essere asportata
una porzione precisa del polmone senza dover necessariamente asportare l’intero lobo.
I segmenti bronco-polmonari sono, quindi, unità di parenchima anatomico e funzionale.

Successivamente i bronchi segmentali danno origine a bronchi sottosegmentali o interlobulari. Questa


diramazione bronchiale decorre sempre nel connettivo che è presente nel parenchima polmonare. Il
connettivo delimita piccole aree che sono definite lobuli, i quali sono piccole porzioni di parenchima
delimitate da un velo di connettivo, le più piccole strutture osservabili ad occhio nudo. È chiaro che all'interno
di ciascun lobo ci sono centinaia di lobuli. Le diramazioni sotto segmentali o interlobulari sono 5 generazioni
e si realizzano nello spazio interlobulare.
Il piccolo bronco diminuisce il calibro e le dimensioni e il numero delle placche cartilaginee (necessario per
consentire l’entrata dell’aria, in quanto queste strutture rigide di cartilagine ialina permettono al polmone di
non collassare durante l’inspirazione,
creando una differenza di pressione) e il
bronco diventerà bronco lobulare (15
generazioni), perché dal setto si porterà
all’interno del lobulo ventilandolo.
Quando il bronco lobulare penetra nel
lobulo si dirama in delle strutture che
perdono la cartilagine e hanno un calibro
di 1 mm, si parla quindi di bronchioli
intralobulari e alla fine questo diventerà
bronchiolo terminale. (la perdita di
cartilagine a livello dei bronchioli risulta
essere necessaria perché altrimenti la
riduzione della pressione interna non
potrebbe verificarsi)

Il bronchiolo terminale va a ventilare una


porzione più piccola di lobuli che prende il nome di acino polmonare: un lobulo contiene 12-15 acini. Il
bronchiolo terminale si biforca per dare i due bronchioli respiratori e va a ventilare la piccola porzione di
acino, non fa altro che dare origine all'acino che è la porzione respiratoria.
Il bronchiolo terminale si divide all’interno dell’acino in due bronchioli respiratori, dal bronchiolo
respiratorio in poi parliamo di tratto in grado di consentire la diffusione e quindi di tratto respiratorio.
Il bronchiolo respiratorio lungo la sua parete mostra la presenza di qualche alveolo,

371
dove avviene l'ematosi.
Il bronchiolo respiratorio cede in sequenza tanti dotti alveolari, ciascuno di questi termina con le sacche
alveolari. Le sacche alveolari sono solo grappoli di alveoli, questa è la terminazione dell'albero bronchiale.
(Solo la porzione terminale è responsabile degli scambi.)

Sequenza di questa diramazione


dell’albero bronchiale:
- Bronco principale (azzurro):
destro o sinistro);
- Bronco lobare (verde chiaro):
superiore, medio e inferiore a
destra, superiore e inferiore a
sinistra; per i lobi;
- Bronco segmentale (verde
scuro): 10 a dx e 9 a sx per i segmenti
bronco-polmonari; ventila i
segmenti polmonari);
- Bronco interlobulare o
sottosegmentale (arancione): nel
connettivo che separa i lobuli;
- Bronco lobulare (giallo): meno cartilagine, minor calibro, ventila i lobuli;
- Bronchiolo intralobulare (giallo chiaro): 1 mm, no cartilagine, penetra nel lobulo;
- Bronchiolo terminale (fucsia): ventila un acino, dividendosi dicotomicamente in due bronchioli
respiratori;
- Bronchiolo respiratorio (rosa): due per terminale, tratto respiratorio, presenta alveoli;
- Condotto alveolare (rosa chiaro): dai bronchioli respiratori, terminano con sacche alveolari;
- Sacca alveolare (bianco): grappoli di alveoli.
Aree:
- Segmento bronco-polmonare (verde): ventilato da un bronco segmentale; è un’ampia
porzione di parenchima polmonare.
- Lobulo (giallo): porzione molto più ridotta, centinaia di lobuli costituiscono un segmento.
- Acino (rosa): corrisponde alla porzione di parenchima respiratorio (dal bronchiolo
respiratorio in poi), ovvero quello che permette l’ematosi; 12-15 acini formano un lobulo.

Circolo polmonare – circolo funzionale (tav 202)
Il circolo funzionale ha lo scopo di portare il sangue ai polmoni, così che possa essere ossigenato, per poi
riportarlo al cuore. A livello dell’ilo dell’organo penetra l’arteria polmonare per ciascun polmone e qui si
divide. Le arterie polmonari hanno origine dal tronco polmonare quando questo è passato sotto l'arco
aortico.




372
Arterie di destra:
L'arteria polmonare di destra si porta a destra e
rispetto al bronco è al di sotto. Nel polmone di
destra il bronco è epiarteriale (al di sopra) e la
diramazione dell'arteria è identica a quella della
diramazione del bronco e ne segue il percorso:
distribuzione segmentale. Il vaso penetra
nell’organo a livello dell’ilo e qui si divide
immediatamente in un’arteria lobare superiore,
una lobare media e una lobare inferiore. Che
seguiranno sempre la diramazione bronchiale.
L’arteria lobare superiore darà poi origine alle
arterie segmentali superiori (apicale, anteriore e
posteriore), la media alle due segmentali del lobo
medio mentre l’inferiore alle cinque segmentali
del lobo inferiore.

Arterie di sinistra:
A sinistra c'è una variabilità maggiore, l’arteria
segue sempre la diramazione bronchiale, ma
l'origine dei diversi rami può essere variabile.
- Normalmente vi è un primo ramo anteriore che è per il bronco segmentale anteriore del lobo
superiore, che solo successivamente si dirige superiormente e che darà origine ai rami segmentali
apicale e posteriore.
- L'arteria polmonare poi si dirige in basso e cede l’arteria per la lingula, con i due rami segmentali
superiore e inferiore della lingula.
- Ciò che resta dell’arteria polmonare sinistra corrisponde all’arteria lobare inferiore. Che si dividerà
in arteria segmentale superiore del lobo inferiore, nelle due arterie per i due segmenti laterale e
posteriore e quelle per i due segmenti anteriore e mediale, quest’ultime possono presentarsi unite o
separate.

(Non è indispensabile sapere con precisione le varie diramazioni dell’arteria polmonare di sinistra. Cioè che è importante
ricordare è che risulta differente da quella destra e che il suo decorso è variabile)

Anche a sinistra il ramo arterioso è sempre in
prossimità del proprio bronco e lo segue nelle sue
diramazioni. L'arteria polmonare raggiunge il
bronchiolo respiratorio e va a formare la rete
capillare al di sopra dell’alveolo, che lo avvolge.
É grazie a questa rete di capillari sottili e continui
che si può avere lo scambio gassoso.
Dalla rete capillare emergono le venule che si
dispongono nei setti interlobulari, per questo
sono dette vene inter-lobulari. Il ritorno venoso
è ai lati (confini) del lobulo, per cui le vene
vanno a drenare lobuli adiacenti, disponendosi
lontano dal centro del lobulo, dove invece
troviamo i bronchi e le arterie con le loro

373
diramazioni. Le vene inter-lobulari confluiranno in vene inter-segmentali o perisegmentali: distribuzione
inter-segmentale. Per poi portarsi verso l’ilo dove le vene si avvicinano ai bronchi e arterie.

Vene di destra:
Le vene che drenano il lobo superiore destro e il lobo
medio confluiscono a formare la vena polmonare
superiore di destra. Essa si forma dalla convergenza
della vena lobare superiore e lobare media.
Le vene che drenano il lobo inferiore vanno a costituire
la vena polmonare inferiore di destra, che deriva dalla
convergenza delle vene segmentali del lobo inferiore,
perciò corrisponde alla vena lobare inferiore.

Vene di sinistra:
Le vene del lobo superiore, ovvero quelle che derivano
dalle arterie segmentali e dalle due della lingula,
convergono insieme nella vena polmonare superiore
sinistra. Che corrisponde quindi alla vena lobare
superiore.
Quelle del lobo inferiore sinistro convergono nella vena
polmonare inferiore di sinistra, corrispondente alla
vena lobare inferiore. Le vene da cui deriva originano
dalle arterie segmentali del lobo inferiore e le basali, è
quindi
A livello dell’ilo troviamo: vena polmonare inferiore e
vena polmonare superiore. Nell'ilo il bronco a destra si
trova al di sopra dell'arteria, invece a sinistra è inferiore
ovvero ipoarteriale.

374
Circolo bronchiale – circolo nutritizio (tav 204,202)

È' il circolo trofico, nutritizio. Questo circolo
bronchiale serve ad approvvigionare ossigeno e
nutrienti alle pareti dei bronchi.

L'arteria aorta nel tratto toracico cede le arterie
bronchiali: 2 a sinistra e 1 a destra. Talvolta la
arteria bronchiale destra ha origine dalla terza
arteria intercostale.
Queste arterie si accostano sulla parete posteriore
del bronco principale e poi si diramano insieme alla
diramazione dei bronchi e vanno a vascolarizzarne
la parete; si costituisce una rete capillare a livello
della tonaca muscolare della parete e c’è una rete
più profonda a livello sottomucoso (ma sempre
nello spessore del bronco).
Sono difficili da mettere in evidenza a livello dell’ilo del polmone.
Nella fase terminale dell'albero bronchiale la vascolarizzazione bronchiale si arresta a livello di bronchiolo
respiratorio, poiché li già ci sono gli alveoli e quindi non c’è più bisogno di approvvigionare ossigeno.
Alcuni rami dell'arteria bronchiale raggiungono la superficie del polmone con vasi sotto pleurici (drenano
sempre nella vena polmonare).

La rete venosa dopo la rete capillare a livello sottomucoso, sottoepiteliale, darà luogo a piccole venule che
convengono e si aprono nel circolo di ritorno polmonare, dunque a livello di vene polmonari, dunque sono
tributarie delle vene polmonari.
Il ritorno venoso va a contaminare quel sangue al 100% arterioso della vena polmonare, pertanto la pressione
di ossigeno della vena polmonare cala un pochino.
Invece la rete capillare dei tratti superiori in cui i bronchi sono più grandi, confluisce in due sottili vene
bronchiali a destra e due a sinistra: c'è un ritorno venoso vero e proprio a livello della vena azygos a destra,
e a sinistra a livello della vena emiazygos.
Il circolo bronchiale è irrisorio e il suo significato non è chiaro, solo l'1% della gittata cardiaca passa in questo
circolo e nei polmoni trapiantati questo non si riesce a ripristinare (vasi troppo piccoli) ma i polmoni
funzionano comunque, quindi il termine nutritizio è potrebbe risultare un po’ improprio.

Domanda: sarebbe meglio non avere questo circolo nutritizio per non contaminare il sangue di ritorno dagli
alveoli? Teoricamente sì, ma la contaminazione è veramente scarsissima, non compromette la pressione
dell’ossigeno della vena polmonare. Per esempio, anche piccole vene cardiache possono aprirsi nell’atrio
sinistro senza creare problemi.

Drenaggio linfatico (tav205)

Il drenaggio linfatico polmonare è molto importante perché a questo livello si forma molta linfa. Per
semplicità, è opportuno conoscere due reti linfatiche di ritorno. La rete superficiale sottopleurica drena verso
i linfonodi dell’ilo. A livello di parete dei bronchi vi sono reti linfatiche, che originano a fondo cieco: le cellule

375
endoteliali non presentano
giunzioni serrate, ma lasciano fluire
la linfa: vi è quindi una rete di
noduli linfatici superficiali
(sottosierosa) subito al di sotto
della pleura viscerale e convergono
nei linfonodi bronco-polmonari (o
liari) nei pressi dell'ilo.
La rete più cospicua è quella
profonda, responsabile del ritorno
di linfa del parenchima polmonare;
segue le diramazioni bronchiali e
arteriose e drena la maggior
quantità di linfa (ad ogni atto
respiratorio le cellule endoteliali si
aprono ed entra la linfa, che poi va a livello di linfonodi dell’ilo: notevole produzione di liquido interstiziale).
La componente di difesa immunitaria formata da linfonodi e MALT si occupa di rimuovere dall’interstizio la
maggior quantità di linfa possibile).
Nell'atto respiratorio i vasi linfatici drenano la linfa e la riportano nel circolo venoso; hanno quindi una
funzione di filtrazione e di difesa.
Tutti questi vasi linfatici della rete profonda raggiungono sempre i linfonodi posti a livello di ilo polmonare.

Pleure (tav 193,194,195,196 )


A proposito di questo argomento, è bene ricordare il
ruolo dei muscoli inspiratori quali diaframma e muscoli
intercostali esterni; l’espirazione rilassata è passiva,
mentre se l’espirazione vuole essere forzata, entrano in
gioco il retto dell’addome, l’obliquo esterno e gli
intercostali interni. I muscoli della respirazione
permettono l’aumento del diametro toracico sia in
senso longitudinale che trasversale: ciò porta al
richiamo di aria all’interno del polmone, alla sua
espansione. Giocano un ruolo importante in questo
senso le pleure. La dilatazione del polmone si realizza
grazie a scorrimento reciproco tra le pleure: la pleura
parietale, che riveste la superficie interna del torace, e la pleura viscerale, strettamente aderente al polmone.
Ciascun polmone è dotato di un proprio rivestimento sieroso formato dalle pleure: le due logge pleuriche
non comunicano tra loro.
Fra le due pleure c'è uno spazio virtuale in cui vi è il liquido pleurico. Il livello di liquido mantiene aderenti i
due foglietti e li fa scivolare l'uno sull'altro senza mai separarli.

La disposizione delle pleure in modo contiguo (non continuo perché c’è sempre un velo di liquido) è
fondamentale perché possa avvenire la respirazione, infatti i due foglietti seguono la dilatazione della gabbia
toracica: il foglietto viscerale è aderente a quello parietale e questo alla gabbia toracica, ne consegue che
serve una struttura elastica senza impalcatura cartilaginea.

• La pleura viscerale riveste il polmone, seguendolo anche nelle scissure. A livello di ilo c'è il punto di
riflessione fra i due foglietti, dove la pleura si solleva e si continua nella pleura parietale; forma il
legamento polmonare, una piega di forma triangolare che aderisce al diaframma in basso e circonda
l’ilo in alto.

376

• Nella pleura parietale, che riveste la superficie interna della gabbia toracica, a seconda della faccia
coinvolta si parlerà di diverse parti:
o Pleura parietale costo-
vertebrale: riveste
internamente la superficie
costo-vertebrale. Sarà
strettamente aderente alla
fascia endotoracica: fascia
robusta di connettivo che
riveste la superficie interna
della gabbia toracica,
anteriormente, posteriormente
e lateralmente; media i rapporti
della pleura parietale con il
muscolo trasverso del torace,
con i vasi mammari interni, con
la superficie interna delle coste
e con i muscoli intercostali;
post media i rapporti con la catena dell’ortosimpatico. Questa pleura è spessa e ben
riconoscibile.
o Pleura parietale apicale: riveste e tiene sospesa la cosiddetta cupola pleurica nella sua
porzione superiore, tramite un apparato legamentoso sospensore che si tende dai corpi
vertebrali, dallo scaleno anteriore, dalla 1° vertebra e anche dalla 1° costa per sostenere la
cupola pleurica.
o Pleura parietale mediastinica: è tesa dalla faccia posteriore dello sterno alla colonna
vertebrale.
o Pleura parietale diaframmatica: la pleura che si riflette a rivestire la superficie superiore del
diaframma.

Tutte queste facce sono in continuità l’una con l’altra a formare un’unica membrana sierosa che riveste tutto
l'interno formando la loggia pleurica in cui è inserito il polmone.


La pleura parietale va a delimitare degli spazi (seni) che permettono al polmone di espandersi, ma che non
vengono mai riempiti dal polmone neanche nella massima inspirazione:
o Il seno costo-diaframmatico è il più grande e importante. Si trova fra pleura costale e pleura
diaframmatica dove va ad insinuarsi il margine acuto del polmone. Questo spazio si riduce di
dimensioni quando il polmone si espande.
La pleura parte da costa 6, a livello di linea emiclaveare (linea longitudinale che passa per il
punto medio clavicola) arriva alla costa 8, a livello di linea medio-ascellare si porta a livello di
costa 10, posteriormente termina a livello di vertebra toracica T12.
C'è sempre una differenza di 2 con il margine inferiore del polmone che così ha 2 coste per
espandersi.
Circa a livello dell’8/9 spazio intercostale è possibile eseguire il prelievo del liquido pleurico
perché il margine inferiore del polmone termina prima.
o Il seno costo-mediastinico. Nel polmone di destra è molto sottile ed è compreso tra la
superficie costale e quella mediastinica sempre della pleura parietale. Nel polmone di sinistra
il seno è più grande: la pleura parietale segue il margine anteriore del polmone fino alla
quarta costa e va a delimitare questo seno in corrispondenza dell'incisura cardiaca senza
prolungarsi lateralmente come il polmone, ma rimane verticale creando uno spazio ad uso

377
esclusivo del polmone di sinistra. A livello di incisura cardiaca si distanza rispetto al margine
anteriore del polmone di sinistra, di conseguenza è uno spazio più ampio, delimitato in avanti
dalla pleura costale, di lato dalla pleura mediastinica.
Nel momento in cui il contatto fra pleura parietale e viscerale viene interrotto, il polmone
collassa a causa della sua componente elastica (l’aria entra e la pressione aumenta).


Tutte le volte che la pleura parietale è danneggiata, il polmone si ritrae e non respira più.
Oltre a riparare la pleura danneggiata bisogna anche aspirare tutta l’aria o il sangue che sono entrati nella
cavità pleurica.

Extra: la pleura parietale del polmone è molto meno robusta rispetto al pericardio parietale.

Anatomia Microscopica
I preparati si riferiscono solo ai sistemi linfatico e al respiratorio.

Concetti base:

-L’anatomia microscopica è lo studio della struttura degli organi.

-Gli organi sono associazioni di tessuti diversi che si organizzano in complessi morfologici al fine di compiere
una o più funzioni complesse.
-I sistemi comprendono gli organi che presentano analogie strutturali e funzionali ed hanno la stessa origine
embriologica.

-Gli apparati sono associazioni di organi che operano per le stesse funzioni, indipendentemente da origine e
struttura.

378
Per risalire alla reale struttura di un organo nella sua tridimensionalità, è necessario tenere conto del piano
di sezione, che può essere trasversale o longitudinale; i preparati di laboratorio sono sezionati seguendo
questi piani, anche se difficilmente saranno riconoscibili gli esatti piani di taglio. Il più delle volte le sezioni
conterranno l’organo secondo un piano obliquo: in questo caso dobbiamo immaginare il profilo che assume
la struttura, ad esempio una struttura tonda tagliata con piano obliquo apparirà ellissoidale.

Oltre alla sezione di taglio, fondamentale è la classificazione degli organi. Dal punto di vista strutturale si
distinguono:

Organi pieni

- Non presentano cavità interne e sono costituiti da tessuti che si organizzano in strutture compatte.

-Rivestiti da una capsula connettivale, che a seconda del tipo di organo distinguiamo in:
• Fibrosa
• Fibro-elastica
• Fibro-muscolare (fibrocellule muscolari lisce)
Grazie alla capsula di rivestimento possiamo separare l’organo da quelli vicini.

-Dal versante interno della capsula si dipartono, verso l’interno dell’organo, dei setti, più o meno sottili,
che formano lo Stroma, una sorta di impalcatura interna con funzione di:
• Suddividere l’organo in lobi e lobuli;
• Via di transito per i vasi sanguigni e linfatici e per i nervi.
• Conferire sostegno al parenchima

-In quello spazio che si crea con lo stroma è contenuto il parenchima, che è la componente tipica
dell’organo e può essere costituita da uno o più tessuti.

-Le modalità di distribuzione dei vasi sanguigni sono due:
1. Dipendenza capsulare: presenti più vasi, che entrano attraverso
quei setti connettivali che si dipartono dalla capsula e si prolungano
all’interno dell’organo, nel parenchima, attraversando tutti i punti
della superficie dell’organo (ad esempio nel pancreas e nel
digerente).
2. Dipendenza ilare: quando è riconoscibile nell’organo un ilo, cioè
una piccola parte della superficie esterna attraverso la quale
entrano ed escono le strutture tipiche di quell’organo (vasi e le
strutture nervose). Es. rene.

Organi cavi

-Costituiti da una parete che delimita un lume.
-Si distinguono in:

1. Visceri (esofago o uretere, per esempio)
Hanno la parete formata da tonache sovrapposte (dal lume all’esterno):
-Tonaca Mucosa (lamina propria e muscolare mucosa)
Presenta sempre un epitelio di rivestimento che poggia su una sottile lamina basale che a sua volta è
in continuità con la lamina propria, il secondo costituente della tonaca mucosa, al cui interno possono
trovarsi noduli linfatici; il terzo componente della tonaca peculiare del digerente è la muscolaris
mucosae.

379
-Tonaca Sottomucosa: connettivo lasso con vasi di dimensione piuttosto cospicua che darà luogo ad
un plesso capillare subepiteliale a livello di lamina propria , possono essere presenti ghiandole e di
solito un plesso nervoso;
-Tonaca Muscolare; (circolare e longitudinale)
-Tonaca Sierosa (come il pericardio viscerale) o Avventizia (con connettivo più denso) che riveste
esternamente il viscere
Questo vale per qualsiasi viscere, anche se con caratteristiche differenti.
2.
Vasi
Anche qui abbiamo la sovrapposizione di tonache, cambieranno il nome ma il senso è sempre quello, dal lume
verso l’esterno avremo una tonaca intima, una tonaca media e una tonaca avventizia di rivestimento.
Vi sono due tipi di vasi:
-Vasi Sanguigni (arterie e vene);
-Vasi Linfatici.



Esempio di tubo digerente: la muscolatura strato più esterno, si organizza in strati per poter assicurare in
questo caso la peristalsi. La loro contrazione provoca l’avanzamento del contenuto luminale, e per regolare la
loro contrazione anche qui ci sarà un plesso nervoso.



Vasi sanguigni

C’è molta differenza tra un’arteria e una vena (per approfondimento istologico vedi argomento vasi nel
cuore). Lo strato endoteliale è uguale mentre la tonaca media varia (vedi arterie elastiche come l’aorta o
muscolari come la femorale).

380
Anche nei vasi si ha una sovrapposizione di tonache. Infatti nei vasi abbiamo
tonaca più interna chiamata intima costituita da endotelio e lamina basale
sotto-endoteliale. Vi sarà poi una tonaca media particolarmente ricca di
fibre elastiche a seconda del vaso o tonaca media costituita in prevalenza
di fibrocellule muscolari lisce .
Esternamente al tutto c’è una tonaca avventizia piuttosto cospicua.

Le arterie diventano più piccole nel decorso sanguigno fino ad arrivare alla
rete capillare in cui si realizzano scambi di sostanze nutritive e di ossigeno.
Ci sono tre tipi di capillari:

1. Continui, in cui le cellule endoteliali presentano tra loro giunzioni,
non ci sono fenestrature né tra le cellule né a livello di lamina
basale. Questi capillari sono responsabili di un trasporto per
diffusione con fenomeni di pinocitosi in ingresso e transcitosi in
uscita.
2. Fenestrati, in cui all’interno delle cellule endoteliali vi sono
fenestrature; in questo caso la lamina basale sopra-endoteliale è
continua, permettono la filtrazione (capillare tipico del rene).
3. Discontinui o sinusoidi, in cui ci sono ampie discontinuità e la
membrana basale è discontinua; seguono l’andamento dell’organo
e a livello di questi capillari c’è un massiccio flusso di sostanze.

Alla rete capillare fa seguito il ritorno venoso: le venule sono caratterizzate da una parete molto sottile (al
microscopio difficilmente si può riconoscere una venula). Anche le vene sono costituite dalle tre tonache ma,
differentemente dalle arterie, la tonaca media è nettamente più sottile. Le vene possono collabire:
normalmente infatti sono molto meno resistenti rispetto alle arterie, proprio perché la loro tonaca media è
molto più sottile .







Vasi linfatici

I vasi linfatici hanno parete ancora più sottile, tanto che al microscopio non sempre è possibile vederli:
sono rivestiti solamente da un sottile strato di cellule (noi non riusciremo a vederli).

381

Il sistema linfatico è un sistema di vasi, una fitta e intricata rete di vasi che hanno origine a fondo cieco per
poi convergere tra di loro a formare tronchi principali che riportano la linfa al circolo venoso (è un sistema
che drena nel circolo venoso: nel punto di incontro tra la vena giugulare interna e la vena succlavia, vengono
ad aprirsi il dotto linfatico di destra e dotto toracico, quindi il liquido interstiziale ritorna all’interno del circolo
venoso).

I vasi linfatici:
-Hanno origine a fondo cieco intercalati alla rete capillare;
-Sono fortemente discontinui (hanno endoteli discontinui,
membrana basale incompleta e ampi spazi nella parete);
-Al loro interno penetra la linfa, formata da una parte liquida, che
assomiglia al plasma (acqua, sali minerali, colesterolo, proteine,
lipidi), detta istolinfa e una parte corpuscolata costituita da cellule
immunitarie per l’80% (linfociti), ma anche da residui di cellule
fagocitate, patogeni, cellule tumorali.

Le sue funzioni sono di produrre e distribuire i linfociti, mantenere
il volume sanguigno a seguito delle variazioni del fluido interstiziale.
Il circolo linfatico è anche una via alternativa per il trasporto di
ormoni, sostanze nutritive e di scarto.
-L’estremità del capillare linfatico è mantenuta in situ dalla
presenza di fibre che lo vanno ad ancorare, evitandone il collasso.
Chiaramente ci sono delle discontinuità nella parete che
permettono l’ingresso di questo liquido interstiziale e dei
componenti già citati.



Nella seconda foto si vede, in corrispondenza dei puntatori, la valvola che rende unidirezionale il transito della
linfa.


Preparati del sistema linfatico di oggi:
link di riferimento:
http://virtualmicroscopy.patologia-sperimentale.unibo.it
http://histology.medicine.umich.edu/medical-schedule


Organi linfoidi (per immagini vedi slide/sbob/vetrini.pdf/siti, sia stilizzate che vere)

Ci sono organi linfoidi primari (oltre ai vasi), che sono il midollo osseo e il timo, e degli organi linfoidi
secondari, ovvero linfonodi, milza e MALT.

Gli organi primari sono detti tali in quanto sono sede di maturazione dei progenitori emopoietici (linfociti
B nel midollo osseo, linfociti T nascono nel midollo e migrano e maturano nel timo). I secondari sono
quelli in cui i linfociti maturi espletano la loro funzione.



Timo
È un organo linfatico primario (organo pieno).
ORGANOGENESI

382
Bisogna ricordare l’origine embriologica del timo, perché spiega l’organizzazione di questo organo, piuttosto
particolare. Il timo proviene da due abbozzi che si originano dalla terza tasca faringea, talvolta contributo
della quarta. i due abbozzi si vanno a fondere sulla linea mediana Questi due abbozzi convergono, discendono,
si portano nel collo raggiungendo il mediastino anteriore. Proprio grazie all’origine dalle tasche faringee, si
può capire perché quest’organo presenti al suo interno una struttura formata da cellule epiteliali. Durante la
terza settimana si forma questa tasca (una struttura a reticolo, una sorta di spugna) dalla quale si liberano
quelle cellule che andranno, poi, a formare i timociti, i quali sono linfociti T immaturi che maturano a livello
timico e poi migrano, prima dal fegato fetale (durante la 6° settimana) e in seguito dal midollo osseo.

[In questa immagine si possono già vedere queste
caratteristiche: organo pieno, capsula connettivale
esterna che avvolge l’organo. Dalla capsula si dipartono
setti che vanno a suddividere l’organo in lobi e lobuli.
Queste piccole formazioni sono i lobuli timici (anche qui
bisogna ragionare sul tipo di taglio). Già guardando il
preparato si può apprezzare una differenza nettissima di
colore del parenchima interno. C’è una porzione
fortemente colorata posta esternamente, una porzione
interna, invece, molto meno colorata].




















Il timo ha un’organizzazione di tipo lobulare, vi sono tanti
lobuli tra loro interconnessi con la loro parte profonda, vale a dire il parenchima di cui si possono distinguere
dure regioni:
- corticale, la porzione esterna molto colorata e fortemente cellularizzata (con linfociti T fortemente
addensati)
- midollare, molto meno colorata con un numero di cellule molto ridotto (ricca di epiteliali, fibroblasti
e pochi linfociti)
Ad unire i vari lobuli è la porzione midollare.

Qui abbiamo essenzialmente, dominanti, tre tipi cellulari: cellule di natura epiteliale e i linfociti T immaturi,
che nel corso del transito nel timo diventano appunto linfociti T maturi.

383


Essendo un organo pieno si ha una capsula di rivestimento di tipo connettivale e profondamente c’è una
doppia organizzazione. Da una parte ci sono linfociti T (azzurro), dall’altra gli epiteliociti (in verde).
Normalmente dalla capsula connettivale si dipartono setti che formano l’impalcatura, lo stroma connettivale.
Nel caso del timo non c’è un’impalcatura connettivale perché essa è assicurata dagli epiteliociti che originano
dalla terza tasca faringea.
Il reticolo epiteliale è formato da diversi tipi di epiteliociti con funzioni e caratteristiche diverse:

- Sottocapsulari: si vanno a disporre sul lato interno della capsula connettivale, formando un
rivestimento continuo esterno.
- Perivascolari: anch’essi con funzione di rivestimento, si portano ad avvolgere i vasi nel loro percorso
all’interno della corticale. Questi epiteliociti assicurano un sistema di protezione dei vasi: la barriera
emato-timica (questa barriera è necessaria in quanto nella corticale ostacolerebbe la maturazione
dei linfociti T). Nella corticale è molto selettiva, nella midollare sarà meno stringente.
- Cellule nutrici: epiteliociti di grandi dimensioni con prolungamenti che si portano a formare il
reticolo, hanno una funzione trofica nei confronti dei linfociti.
- Epiteliociti responsabili della produzione di ormoni timici: timulina ,timosina, timopoietina, fattore
timico umorale che promuovono la funzionalità del timo, favorendo il differenziamento e la
maturazione dei linfociti T.

Elementi non linfoidi:
- Altri tipi cellulari: macrofagi, che andranno a rimuovere il particolato che si formerà a questo livello,
cellule dendritiche, fibroblasti e qualche cellula mioide;

Linfociti T

384
- Linfociti T fittamente addensati nella corticale conferendo colore marcato esternamente, molto
meno numerosi nella midollare in cui prevalgono le cellule epiteliali, gli epiteliociti. Questi linfociti
vanno a colonizzare il timo. Queste cellule (cellule T) vanno incontro a differenziamento, il quale
avviene dall’esterno (dove sono presenti i timociti mucosi) verso la midollare (linfociti maturi
differenziati). Man mano che ci si approfonda nella corticale, verso la midollare, si realizza tutta quella
selezione che porterà ad individuare un minimo numero di linfociti T a questo livello rispetto a quelli
che erano presenti nella corticale. Avviene quella che è la selezione clonale: da tanti linfociti T
immaturi si arriva a pochi linfociti T maturi.
Solo una piccola parte dei linfociti giunge a maturazione, l’altra va incontro ad apoptosi e viene
eliminata.

A livello di midollare prevalgono gli epiteliociti, sin dal punto di passaggio tra midollare e corticale. Nella
midollare, gli epiteliociti che avvolgono i vasi, soprattutto le venule post capillari, non presentano più
giunzioni così strette: non è più presente infatti la barriera emato-timica.
A questo livello i linfociti T maturi potranno così entrare nel circolo sanguigno, per essere distribuiti a quelli
che sono gli organi linfatici secondari.
Infatti nella porzione midollare prevalgono gli epiteliociti proprio perché i linfociti sono già in parte nel circolo
sanguigno.

Plus: Il timo, pur essendo un organo produttore di linfociti, dipende dal fegato nella vita fetale e dal midollo
osseo nella vita adulta in quanto da questi organi provengono le cellule staminali che infiltrano il reticolo
epiteliale. Le cellule staminali, giunte nel timo, proliferano attivamente e si differenziano in timociti che non
sono ancora cellule immunologicamente competenti. I linfociti T restano inattivi nel timo finché non
prendono parte al circolo sanguigno.

L’attività mitotica linfocitaria nel timo è molto più alta di quella degli organi linfoidi secondari dalla quale si
differenzia anche per essere indipendente dalla stimolazione antigenica.
Altra importante differenza tra gli organi linfoidi centrali e quelli periferici è l’assenza, nei primi, di centri
germinativi. Più del 90% dei timociti muore entro pochi giorni; una piccola parte sopravvive nella zona
midollare e, sotto l’influenza microambientale di fattori od ormoni timici (timosina, timopoietina, fattore
umorale timico, timostimolina), acquista competenza immunitaria -T.

I linfociti T poi abbandonano l’organo, popolando le aree T-dipendenti dei linfonodi e della milza.

Vascolarizzazione:
Vascolarizzazione del timo è di tipo capsulare, i vasi penetrano attraversando la capsula in diversi punti.

385

-Vasi della corticale: rami dell’arteria toracica interna e
tiroidea inferiore entrano nel timo con i setti interlobulari
e si portano alla giunzione cortico-midollare ed entrano in
profondità nella corticale, dove sono avvolti da epiteliociti
di tipo I. Nel punto di passaggio tra corticale e midollare il
ramo timico cede sottili rami per la corticale e altri rami più
grandi si dirigono verso la midollare. La differenza è che i
rami della corticale rimangono avvolti dalla barriera
emato-timica, assicurata dagli epiteliociti vascolari, che
rendono la barriera molto stringente.
I vasi si continuano poi in venule postcapillari con epitelio
cubico. (vd dopo).

-Vasi della midollare: non protetti da epiteliociti,
trasportano i linfociti provenienti dal midollo osseo. I vasi
arteriosi che si prolungano nella midollare presentano una
barriera emato-timica molto meno stringente (cellule ed
epiteliociti sono distanti tra loro).




Alla diramazione arteriosa fa seguito la rete capillare con le venule. Le venule post capillari, dette ad endotelio
alto si trovano nel timo, nella zona di passaggio all’unione corticomidollare, e permettono il transito di
linfociti maturi e il loro ingresso nel circolo sanguigno. Vengono distribuiti al tessuto linfatico associato a
mucose o ad organi linfoidi secondari.














1. Vaso con la barriera ematotimica, capillari continui con barriera.


2. Venula post-capillare in cui le cellule endoteliali sono alte, hanno un epitelio cubico e la barriera non
è più è più cosi stringente, così che il linfocita possa entrare nel circolo sanguigno

386




Difficilmente osservando il mediastino e il pericardio si riesce a rintracciare il timo perché si confonde col
tessuto adiposo. Infatti l’organo va incontro ad un processo di involuzione, evidenziato da due aspetti
caratteristici:
- Il timo a livello della pubertà assume dimensioni maggiori. Già a livello di pubertà iniziano ad esserci
porzioni in cui il parenchima timico viene sostituito da tessuto adiposo. Questo aumenta
notevolmente nella persona adulta e nell’anziano;
- Comincia a presentare sin dalla nascita la formazione di corpuscoli, i corpuscoli di Hassal. Nel timo
fetale non ci sono, nel bambino cominciano a comparire e in un soggetto giovane cominciano ad
essere di notevoli dimensioni. Questi corpuscoli di Hassal non sono altro che cellule epiteliali morte
e che si sono avvolte “a buccia di cipolla”. I corpuscoli di Hassal diventano più grandi man mano che
procede l’involuzione.

Da notate le dimensioni del timo: alla nascita ha dimensioni come quelle della prima fase di vita.
Progressivamente, il tessuto adiposo compare e occupa il parenchima. È per questo motivo che normalmente,
nelle esercitazioni in sala settoria, difficilmente riusciamo a vedere il timo, perché si confonde con il tessuto
adiposo circostante.
Comunque sia i cordoni timici restano presenti e attivi nel corso di tutta la vita.


Immagine di un timo di adulto: parenchima in gran parte sostituito, pochi lobuli timici, enormi corpuscoli di
Hassal.

387







Il preparato a disposizione non sarà quello di un timo adulto, ma un timo di bambino, sarà quindi necessario
cercare con pazienza i corpuscoli di Hassal.

IMG: https://virtualmicroscopy.patologia-
sperimentale.unibo.it/_contenuti/index.php?viewPage=9&bttl=2&lingua=ITA&page=2&cell_id=480


Tessuto linfoide associato a mucose (MALT)

Vi è tessuto linfatico in qualunque tratto connesso con l’esterno, in qualunque mucosa ( nel connettivo della
lamina propria) o nella sottomucosa c’è tessuto linfatico. Si distingue in:

- Diffuso
Comprende le cellule linfatiche che sono disseminate nella lamina propria dei tratti gastrointestinale,
respiratorio e nelle vie urinarie e genitali; principalmente sono linfociti T. Vi sono pochi linfociti B e
plasmacellule: IgA rilasciate nel lume in forma glicosilata; IgG, IgM e IgE secrete nella lamina propria.

- Organizzato
Con linfociti aggregati, è caratterizzato da noduli (isolati nella lamina propria o aggregati) in cui può essere
presente un centro germinativo (zona pallida contenente linfociti B attivati che si dividono). L’epitelio di
rivestimento capta antigeni dal lume e li trasferisce nei follicoli sottostanti; i vasi linfatici drenano ai linfonodi
regionali. Manca la capsula fibrosa e sono presenti venule postcapillari.
Ve ne fanno parte Tonsille e le Placche di Peyer, ma anche l’appendice vermiforme (NON SONO ORGANI).

388



Aggregato linfocitario -> Tratto del digerente: epitelio del
digerente all’esterno, lamina propria e aggregato linfocitario.
I linfociti sono aggregati ma poi si disperdono e raggiungono
il connettivo a livello sottoepiteliale.













Nodulo linfatico: costituito prevalentemente da linfociti di tipo B
che si aggregano in una struttura a forma ovoidale che presenta,
talvolta, al centro il centro germinativo più chiaro. Questa è la
modalità classica con cui si aggregano i linfociti di tipo B. Anche i
noduli linfatici possono essere ritrovati disseminati nella lamina
propria di qualsiasi tratto di organo cavo (digerente, respiratorio,
urinario o vie genitali).





Un altro tipo di tessuto linfatico associato alle mucose, ma organizzato, è quel sistema che costituisce
l’anello di Waldeyer: le tonsille. Le tonsille sono aggregati di tessuto linfoide sempre associati alle mucose,
quindi non si ha una capsula di rivestimento.

Tonsilla Faringea
Si trova a livello del tetto della rinofaringe. La mucosa che tappezza la rinofaringe nella sua volta risulta
addensata a formare la tonsilla faringea.
Caratteristiche fondamentali:
- E’ un tessuto linfatico organizzato;
- Profonde cripte tonsillari (profonde incisioni): sono tutte rivestite dall’epitelio pseudostratificato ciliato;
- Ciascuna tonsilla alla base ha un addensamento connettivale definito “emicapsula”, che la separa dall’osso
occipitale; il tessuto linfoide associato, non è un organo linfatico con capsula di rivestimento, ma è un tessuto
associato alla lamina propria.
[Questa emicapsula sarà importante per l’asportazione della tonsilla, perché è un piano distinto].
- Al di sotto della mucosa (nella lamina propria) vi sono numerosi noduli linfatici formati da linfociti B, attorno
ai quali vi sono agglomerati di linfociti T (siamo nel tessuto linfoide secondario formato da linfociti B e T).
- Epitelio caratteristico delle mucose respiratorie: pseudostratificato ciliato con intercalate cellule mucipare
caliciformi (servirà per poterla riconoscere).

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L’epitelio è molto delicato, infatti spesso si trova frammentato nei vetrini.


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Tonsilla palatina

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Le tonsille palatine sono situate nell’orofaringe, tra i pilastri palatini nella parte posteriore del palato molle (o
velo palatino), cioè in quella porzione di palato con forma concava che separa la cavità orale dalle fosse nasali.
L’organizzazione è identica a quella della tonsilla faringea.
-Profonde cripte tonsillari;
-Presenza dell’emicapsula (addensamento connettivale), che la separa dalla faringe;
-Nella lamina propria presenza dei noduli formati da linfociti B, con intercalati i linfociti T (come la tonsilla
faringea).
La differenza sostanziale risiede nell’epitelio di rivestimento, tipico della mucosa orale: pavimentoso
stratificato non corneificato. Questo epitelio è più robusto rispetto a quello della tonsilla faringea, quindi
nei preparati c’è sempre.
In questo epitelio pavimentoso stratificato, la captazione dell’antigene è possibile perché l’epitelio non è
identico a quello che tappezza tutta la cavità oro-faringea, ma è “reticolare”. Esso è estremamente sottile
(tanto da essere formato da un solo strato cellulare, a volte). Grazie a questa caratteristica, tramite fenomeni
di transcitosi, è possibile captare l’antigene per portarlo profondamente e dar luogo alla risposta immunitaria.

391

IMG: https://virtualmicroscopy.patologia-sperimentale.unibo.it/_contenuti/index.php?viewPage=9&bttl=2&lingua=ITA&page=2&cell_id=482

L’altro tessuto linfatico associato alle mucose è rappresentato dalle Placche di Peyer, tipiche dell’intestino
tenue (sarà programma del prossimo semestre).




Linfonodi

I linfonodi sono piccoli corpi intercalati nelle vie linfatiche che vanno a filtrare e drenare la linfa; normalmente
hanno dimensioni di qualche mm. In caso di risposta immunitaria possono diventare molto grandi. Sono
particolarmente addensati in regioni specifiche, da cui prendono il nome:
-Cervicali, accompagnano la vena giugulare interna (p). Possono essere superficiali o profondi.
-Tracheali;
-Facciali (p);

392
-Profondi, accompagnano l’aorta addominale (np);
-Ascellari (p): sono il maggior numero, si trovano in prossimità dei vasi ascellari;
-Inguinali (p): possono essere superficiali o profondi.

Sono dunque raggruppati in stazioni linfonodali e drenano la linfa di un territorio linfatico.


Ne abbiamo circa 600. In uno stesso territorio vi sono numerose connessioni, mentre tra territori adiacenti
sono rare ( ciò rallenta metastasi ed è importante per la ricerca della causa di una linfoadenopatia).
Le stazioni linfonodali sono divise in palpabili e non palpabili (p = palpabili, np = non palpabili).
Sono organi pieni di forma reniforme, dotati di un rivestimento capsulare, di piccole dimensioni, intercalati
sulle vie linfatiche. I vasi linfatici afferenti perforano la capsula in diversi punti della superficie, viceversa
dall’ilo del linfonodo parte un unico vaso linfatico efferente.
Questa sezione del linfonodo mostra il parenchima, con porzione esterna maggiormente cellularizzata
(corticale) e una interna caratterizzata da grandi spazi (midollare) che prosegue a livello di ilo, dove quindi
non è presente la corticale.

Capsula
Costituita da fibre collagene, riveste
completamente l’organo, dal cui
versante interno si dipartono delle
sottili trabecole, sottili fibre reticolari,
che si portano all’interno. Caratteristico
è lo spazio sottocapsulare o seno
marginale: esso raccoglie la linfa
drenata dai vasi linfatici afferenti.
Inoltre presenta dei macrofagi,
responsabili dell’eliminazione dei primi
detriti cellulari trasportati con la linfa.
Lo spazio sottocapsulare non è quindi
un artefatto, ma uno spazio reale.
Dallo spazio sottocapsulare si dipartono
i seni corticali che diventano poi

393
midollari e convergono nell’ilo nell’unico vaso efferente. La direzione della linfa è quindi dall’esterno verso
l’interno. Nella midollare la linfa percola molto lentamente.


Parenchima

Suddivisibile in corticale e midollare.

La corticale presenta esternamente tanti linfociti B (cellule
fittamente stipate), che si aggregano a formare noduli linfatici con
centro germinativo.
Tra corticale e midollare è presente la zona paracorticale (o inner
cortex), caratterizzata da tante cellule non organizzate, i linfociti T.
Nella midollare, con molte meno cellule rispetto alla corticale, vi
sono invece dei cordoni formati da plasmacellule, differenziate dai
linfociti B, che producono anticorpi: da qui prenderanno la via del
canale linfatico.


Questa è una sezione trasversale che coglie l’ilo. Tuttavia, alcuni
noduli linfatici sembrano essere in prossimità della midollare,
dove ci dovrebbe essere la paracorticale.
[La professoressa invita a riflettere sul motivo di questa
incongruenza. Maggiori chiarimenti verranno forniti durante il
laboratorio. Anticipa che è una sezione di taglio non
perfettamente trasversale, ma obliqua]

Corticale
La linfa si porterà in questa regione attraverso i seni corticali ed entrerà qui in contatto con i linfociti (sia B
che T), che sono organizzati differentemente. Ovviamente oltre ai linfociti ritroveremo anche, come cellule
sparse, macrofagi e cellule presentanti l’antigene, ovvero il corredo che dà il via alla risposta immunitaria.
-Corticale esterna: contiene i linfociti B che si organizzano in noduli linfatici, tra i quali scorrono i seni
corticali. I noduli variano di morfologia e numero a seconda di età, salute e dell’attività difensiva: i follicoli
primari sono ricchi di linfociti B piccoli, non stimolati (neonatali) e quelli secondari hanno centro
germinativo ed esternamente un mantello scuro di linfociti B inattivi.
-Corticale interna o paracorticale: è costituita prevalentemente da linfociti T. Rappresenta un punto di
passaggio alla zona midollare. Presenta le venule postcapillari ad endotelio alto, dove i linfociti possono
rientrare nel circolo sanguigno.

Midollare
Canali molto ampi, i seni midollari, che danno un aspetto molto aperto a questa regione, con intercalati i cordoni
della midollare. Questi sono costituiti da fibroblasti che formano una rete connettivale di sostegno e che danno
alloggio a macrofagi, plasmacellule e linfociti (B). Dalla midollare emergerà l’unico vaso linfatico efferente.

394
Nel migrare attraverso il linfonodo, per la corticale e per la midollare, la linfa viene purificata dando via alla
reazione immunitaria o alla rimozione di detriti cellulari. La linfa che ritroviamo al livello del vaso linfatico
efferente è purificata, pulita.

Dunque ricapitolando vi sono nel linfonodo:


-Linfociti B: nella corticale formano follicoli linfatici con centro germinativo e mantello, nella midollare
formano i cordoni.
-Linfociti T: nella zona paracorticale.
-Macrofagi: in tutti i comparti, specialmente nella midollare per purificare definitivamente la linfa.

Vascolarizzazione
Ogni linfonodo possiede un’arteriola. I vasi entrano a livello dell’ilo, presentano un decorso rettilineo,
giungono alla corticale, dove vi è una rete capillare e venule post capillari ad endotelio alto a livello della zona
paracorticale. Proprio in queste venule i linfociti fuoriescono dal circolo sanguigno (per extravasazione,
diapedesi), ma possono anche rientrarci (è uno scambio). Le venule poi si fonderanno generando una venula
che esce dall’ilo.

IMG: https://virtualmicroscopy.patologia-sperimentale.unibo.it/_contenuti/index.php?viewPage=9&bttl=2&lingua=ITA&page=2&cell_id=486

Funzioni
-Fornire un’intricata rete di canali in cui la linfa filtra lentamente, grazie ai cordoni;
-Permette azione fagocitaria dei macrofagi (vaglio linfa);
-Produrre linfociti in risposta a stimolazione antigenica (attivazione linfociti);
-Permette rientro linfociti nel circolo sanguigno (linfociti attivati);
-Produrre anticorpi (plasmacellule).

Approfondimento – Seminario sul sistema linfatico


Linfonodi di testa e collo: triangolo anteriore (ovvero regione tra triangolo sottomentoniero, sottomandibolare, carotideo) e triangolo
posteriore (occipitale e sopraclaveare). Vi sono 10 raggruppamenti: preauricolari, auricolari posteriori, parotidei, tonsillari, occipitali,
cervicali superficiali e profondi e posteriori, sottomentonieri, sottomandibolari, sopraclavicolari.

395
Linfonodi di ascella e arto superiore: si ricorda che il cavo ascellare è dato dal grande pettorale, piccolo pettorale e succlavio
anteriormente, sottoscapolare, grande rotondo e grande dorsale posteriormente, coracobrachiale, bicipite brachiale (capo breve)
lateralmente, prime 4 coste e muscoli intercostali esterni e dentato anteriore medialmente. I linfonodi sono divisi in gruppo laterale,
anteriore, posteriore, centrale e apicale. Una ulteriore classificazione chirurgica li divide in livelli (I, II e III) in base al rapporto con il
piccolo pettorale (vedi linfonodo sentinella). Infine troviamo le stazioni epitrocleari e infraclavicolari.
Linfonodi splancnici (viscerali): mediastinici (anteriori, tracheobronchiali e posteriori), addominali e pelvici e iliaci (preaortici, aortici
laterali, iliaci interni ed esterni).
Linfonodi inguinali (orizzontali, verticali): si trovano nel triangolo di Scarpa, che è compreso tra legamento inguinale (dalla cresta
iliaca alla sinfisi pubica), muscolo sartorio (dalla spina iliaca antero-superiore alla superficie mediale della tibia), muscolo adduttore
lungo (ramo superiore pube alla linea aspra del femore), prosegue inferiormente con il canale dei vasi femorali, mentre la base è la
lacuna Vasorum, infine dal muscolo ileo-psoas e dal pettineo.
Linfonodi poplitei.

Cause di linfoadenopatia: infettive 80%, miste 14%, neoplastiche 3,3%, iperplasia reattiva 2,3%, connettiviti 0,5%.
Segni di neoplasia: linfonodo duro, non dolente, fisso, persistente, nessuna visione cutanea.
Segni di infezione: linfonodo molle, dolente, mobile, recente, con eritema o fistola cutanea.
Segni di reattività: linfonodo elastico, dolente, mobile, variabile la comparsa, nessuna visione cutanea.
Ispezione e palpazione sono i punti importanti da eseguire. Per esempio nella gola l’anello di waldayer (tonsille palatine, faringea e
tubariche) è infiammato.

Linfonodo sentinella: è il primo ad essere raggiunto da metastasi di tumori maligni a diffusione linfatica. Si usa un tracciante radioattivo
nella zona del tumore e questo indica il linfonodo sentinella. Prelevandolo, posso capire se è già stato luogo di metastasi o meno.

Milza


Organo linfatico secondario. E’ un organo pieno. Se nel linfonodo è la linfa ad essere vagliata e purificata, nella
milza è il sangue (eritrocateresi = eritrociti invecchiati vengono rimossi), infatti è un organo che ha funzione di
mantenimento del ferro e di filtro (rimuove cellule anomale tramite fagocitosi) e dà avvio alla risposta immunitaria.
Rappresenta un serbatoio di cellule del sangue, soprattutto granulociti e piastrine.
E’ estremamente vascolarizzata, riceve il 5% della gittata cardiaca (elevata perfusione giustificata dalla
funzione di “filtro”). Si estende dalla 9° costa alla 11° di sinistra. E’ incuneata tra stomaco, rene sinistro e

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diaframma, la faccia diaframmatica è liscia e convessa, la faccia viscerale mostra le impronte di stomaco e
rene sinistro (area gastrica e area renale).
A livello dell’ilo, posto al confine tra le due aree, vena e arteria splenica sono visibili.
Si presenta al microscopio di colore rosso vivo (se non lavata), in quanto è molto vascolarizzata.

Capsula
Costituita da fibre collagene ed elastiche. Molto cospicua negli animali, in quanto ha anche funzione di
serbatoio, presentando tantissime fibrocellule muscolari lisce che in contrazione rilasciano sangue; nell’uomo
non dovrebbe essere così cospicua, perché in gran parte questa funzione è stata persa. [I nostri preparati
microscopici presentano una capsula di rivestimento ricchissima di fibrocellule muscolari lisce.]
Dalla capsula connettivale si dipartono delle trabecole grosse che si approfondiscono da tutta la superficie
della milza per formare lo stroma. Molto grosse sono quelle trabecole che dipartono dall’ilo, perché la
distribuzione è ilare: avvolgeranno vasi e nervi lienali.

Parenchima
E’ la cosiddetta polpa, sostenuta da una rete tridimensionale di tessuto reticolare (lo stroma) ed è divisa in:
-Polpa Rossa, è la maggior parte ed è costituita da elementi figurati del sangue a dare i cordoni splenici e tra
questi i sinusoidi. E’ un’area di colorito rosso bruno dove avvengono eritrocateresi e eliminazione di
particolato, ad opera dei macrofagi;
-Polpa Bianca, costituita da linfociti (di tipo B e T) ed è dispersa nella polpa rossa; area di colorito più chiaro
dove avviene la risposta immunitaria diretta contro eventuali antigeni e patogeni circolanti.

N.B. questa definizione non si riferisce a quanto si vede sul vetrino, ma a fresco: a causa della lavorazione del
vetrino la polpa bianca è più colorata della rossa (il sangue che riempiva la polpa rossa viene dilavato).

Polpa bianca



Un ramo dell’arteria lienale entra attraverso l’ilo, essa si ritrova avvolta da trabecole provenienti dalla
capsula: viene definita arteria trabecolare (penetra e decorre all’interno della trabecola); ad un certo punto
quest’arteria si libererà della trabecola, si porterà all’interno del parenchima rimanendo avvolta nella polpa

397
bianca. Qui l’arteria detta arteriola centrale rimane avvolta dalla guaina periarteriolare (o PALS) formata da
linfociti T.
Normalmente di lato alla guaina periarteriolare, si aggiunge un nodulo linfatico (alcuni con centro
germinativo), che è territorio dei linfociti B (l’arteriola centrale è in posizione eccentrica).


La polpa bianca di forma ovoidale è formata da PALS strettamente aderente all’arteria e dal nodulo posto
subito affianco; queste formazioni sono dette Corpuscoli lienali del Malpighi.
Da questa arteria si dipartono talvolta dei rami radiali che si portano a confluire alla periferia della polpa
bianca, nel seno della zona marginale (tra polpa bianca e rossa, con linfociti e macrofagi). La zona marginale
è un’importante zona di transito di linfociti che abbandonano il circolo sanguigno per portarsi alle rispettive
aree della polpa bianca (linfociti T al PALS e linfociti B ai corpuscoli di Malpighi) e viceversa (linfociti che
rientrano nel circolo sanguigno). A questo livello avviene il riconoscimento dell’antigene, che porta alla
risposta immunitaria.
Si pensa sia formata da una parte esterna reticolare e una interna a ridosso del PALS, separate da un seno
vascolare rivestito da cellule endoteliali, in cui si aprono le arteriole radiali che si staccano dall’arteriola
centrale.

398







In questa immagine è ben
visibile la zona marginale.


















Polpa rossa

La polpa rossa è costituita essenzialmente da cordoni di Billroth (o splenici/della midollare), che altro non
sono che fibroblasti e fibre reticolari, formanti una rete in cui sono presenti tantissimi macrofagi, cellule
presentanti l’antigene e dendritiche. Si va così a costituire questa trama piuttosto lassa, la cui funzione è
quella di accogliere il sangue circolante, che viene purificato. Vi sono anche seni venosi.
Una volta che l’arteria si è liberata della polpa bianca si ritrova nella polpa rossa e si divide in arteriole
penicillari (ciuffetti, sottili come i peli di un pennello) e poi proseguono nei capillari con guscio, caratterizzati
dall’addensamento di macrofagi (sono capillari ricoperti di macrofagi). Tali capillari sono vasi a lume ampio e
parete sottile. Questi si aprono nella polpa rossa, dove vi sono anche i cordoni della midollare. Relativamente
alla circolazione, vi sono due teorie che coesistono: quella della circolazione aperta e quella della circolazione
chiusa.
Ripercorrendo l’organizzazione della milza, si ha una capsula, poi una trabecola che dà il passaggio all’arteria
trabecolare. Essa si libera dalla trabecola e rimane avvolta dalla polpa bianca. Subito attorno ad avvolgerla
c’è la guaina periarteriolare. Il nodulo linfatico è posto eccentricamente. L’arteria si divide poi nelle arterie
penicillari che si risolvono nei capillari con guscio.

399


I capillari con guscio possono a questo punto intraprendere due strade:
1. Aprirsi nel parenchima della polpa rossa, dando luogo ad una circolazione aperta in cui il sangue viene
disperso e solo in un secondo momento raccolto all’interno di un seno venoso della polpa rossa (90%
del sangue).
2. Continuando direttamente in un seno venoso della polpa rossa, dando luogo ad una circolazione
chiusa (10% del sangue, più veloce).
Nella polpa rossa, infatti, sono presenti anche i seni venosi che hanno caratteristiche peculiari: cellule
endoteliali allungate in senso longitudinale (“a doga di botte”) tenute insieme da fibre anulari (fibre reticolari
perpendicolari). In un normale preparato microscopico non sono visibili queste formazioni a doghe di botte
(sono visibili in microscopia elettronica).

400
Tra le cellule endoteliali, quindi, si formano dei piccoli spazi utilizzati dagli eritrociti, che erano stati
precedentemente liberati nella polpa rossa attraverso la circolazione aperta, per rientrare all’interno del seno
venoso; perciò si effettua una distinzione tra gli eritrociti giovani, capaci di distorcere la propria parete per
rientrare nel seno venoso e quindi nel circolo sanguigno e quelli invecchiati, che invece hanno una parete più
rigida e restano confinati nella polpa rossa dove vengono degradati dai macrofagi (eritrocateresi).
In questi venosi rientrano gli elementi figurati del sangue. Questi seni venosi convergeranno nel formare le
vene trabecolari (decorso satellite alle arterie trabecolari) che uscendo dall’ilo della milza formeranno la vena
lienale.
Nel transitare lentamente nel parenchima della milza il sangue viene purificato e drenato.

IMG1: https://virtualmicroscopy.patologia-sperimentale.unibo.it/_contenuti/index.php?viewPage=9&bttl=2&lingua=ITA&page=2&cell_id=479
IMG2: https://virtualmicroscopy.patologia-sperimentale.unibo.it/_contenuti/index.php?viewPage=9&bttl=2&lingua=ITA&page=2&cell_id=487
(nell’IMG2 i “laghi” rosa sono i sepimenti connettivali)

Domande:
I corpuscoli di Malpighi si vedono?
I corpuscoli di Malpighi vengono riconosciuti come polpa bianca.

Si richiede di ripetere la definizione di zona marginale.
La zona marginale è il luogo in cui transita il seno marginale che raccoglie il sangue dalle arterie radiali,
originate dall’arteria centrale. E’ un’interfaccia tra polpa bianca e rossa ed è sede di migrazione di linfociti,
che possono rientrare o fuoriuscire dal circolo sanguigno.

[All’esame bisognerà riconoscere e descrivere un vetrino online. Probabilmente avverrà prima la parte di
microscopica dell’orale vero e proprio (forse nello stesso giorno)].

Apparato respiratorio

Tratto respiratorio superiore (dalle cavità nasali fino al rinofaringe)


Presenta una superficie ossea rivestita da una tonaca mucosa o mucosa respiratoria, formata da:
-Epitelio cilindrico pseudostratificato ciliato con cellule mucipare caliciformi. Il movimento delle cilia è verso
la faringe.
-Lamina propria connettivale infiltrata da molti linfociti (secernenti IgA) e noduli linfatici isolati. In profondità
accoglie ghiandole sierose e mucose i cui dotti si aprono sull’epitelio e lo rendono umido e viscoso. Il film di
muco si muove grazie alle ciglia alla velocità di 6 mm/min.
N.B. Nelle cavità e nei seni paranasali la mucosa aderisce al periostio.

Tratto respiratorio inferiore (laringe, trachea, bronchi fino ai bronchioli terminali)


Presenta:
-Mucosa respiratoria con epitelio pseudostratificato ciliato che però lentamente cala di altezza dopo i
bronchi segmentari e in questi tratti il movimento ciliare è verso l’alto (al contrario delle vie aeree superiori),
si parla di acensore mucoso che permette di far rilasire il muco per poterlo deglutire. Nei fumatori la mucosa
risponde perdendo le ciglia e ciò provoca una tosse quasi costante.
Comprende cellule mucipare caliciformi che però diminuiscono fino a scomparire.
La lamina propria connettivale è infiltrata da tessuto linfatico diffuso (IgA) e noduli linfatici.
L’epitelio dei bronchi più piccoli e dei bronchioli si solleva in pieghe longitudinali e nei bronchioli si trasforma
prima in cilindrico ciliato e poi cubico.

401
-Tonaca sottomucosa di natura connettivale, accoglie ghiandole sierose e mucose (oltre che le mucipare) che
diminuiscono nell’ultimo tratto. Il secreto di queste ghiandole crea un muco appiccicoso che, catturando il
particolato più fine, depura ulteriormente l’aria. E’ percorsa da grossi fasci longitudinali di elastina che si
ramificano in corrispondenza delle biforcazioni. Oltre alla spiralizzazione che avviene nei condotti alveolari,
questo traliccio elastico è responsabile della ritrazione del polmone. Nei bronchioli scompare.

-Cartilagine di tipo ialino, costituisce la struttura di supporto per laringe, trachea e bronchi. Si parte da
cartilagini molto grandi (nella laringe), che diventeranno anelli incompleti (nella trachea) e che vanno via via
riducendosi a placche cartilaginee (nei bronchi segmentali) unite tra loro a fibrocellule muscolari lisce. Nei
bronchioli (1mm di calibro) la cartilagine scompare ed è sostituita da elastina e da fibrocellule muscolari lisce
che si dispongono due strati: andamento elicoidale e incrociato.
La presenza di cartilagine permette di differenziare al microscopio un piccolo bronco da un bronchiolo.

-Tonaca avventizia connettivo fibro-elastico presente solo fino ai bronchi lobari.

SEZIONE DI TRACHEA: riscontrabili tutti gli elementi elencati sopra, da destra a sinistra;

1. mucosa respiratoria caratterizzata da epitelio pseudostratificato
ciliato con intercalate cellule mucipare caliciformi;
2. al di sotto della mucosa respiratoria ho la lamina propria di tipo
connettivale;
3. la tonaca sottomucosa che accoglie ghiandole di natura mucosa
e sierosa, il cui secreto si stratifica sulle cellule;
4. ancor più esternamente troviamo impalcatura cartilaginea:
sezione di un anello della trachea, che non è completo perché
posteriormente c’è una porzione molle, muscolo tracheale.
5. Per ultima, tonaca avventizia.

In questa immagine:
A sinistra la trachea (posteriormente la cartilagine è
incompleta, colmata dal muscolo tracheale), a destra
l’esofago.








Proseguendo nella diramazione delle vie aeree inferiori, la trachea a un certo punto si biforca per dar luogo
ai bronchi, prima i bronchi principali e poi le loro diramazioni. Mano a mano che sono ceduti i bronchi, il
calibro della via diminuisce progressivamente. Il bronco principale si divide nei lobari e il lobare entra
all’interno del polmone: quella struttura cartilaginea che si identificava a livello di trachea sotto forma di
anelli incompleti, mano a mano che si entra nel polmone si trasforma in placche cartilaginee, ossia
addensamenti di cartilagine. A livello di lobari le placche sono molte e notevoli, viceversa, scendendo le
dimensioni e il numero di placche cala gradualmente.
Si arriva a una porzione di albero bronchiale che non è rigida e permetterà il richiamo dell’aria.
Precisamente, arriviamo fino al bronchiolo terminale dove si arresta la via di conduzione dell’aria e inizia, a
livello di bronchiolo respiratorio, la porzione respiratoria: quando si parla di bronchiolo ( circa 1 mm di

402
calibro) non troviamo più le placche ed è proprio l’assenza delle placche che al microscopio ci permette
distinguere un piccolo bronco da un bronchiolo.

- Sezione di piccolo bronco: il lume comincia ad essere stellato per permettere
la distensione quando c’è dilatazione. La sottomucosa è quasi assente perché
procedendo verso tratti terminali si riduce di dimensione e con essa si
riducono anche il numero di ghiandole accolte all’interno.
Esternamente alla sottomucosa compaiono ben evidenti formazioni
cartilaginee ossia le placche che ci permettono di identificare la struttura
come piccolo bronco. Poi ci saranno anche cellule muscolari lisce e tante fibre
elastiche (non rilevabili nel preparato se non grazie a una colorazione
specifica).


- Sezione di bronchiolo: a questo livello siamo più in basso nell’albero
respiratorio, siamo immersi nel parenchima polmonare. La mucosa si solleva
sempre in piega, ma l’epitelio comincia ad essere solo cilindrico. Apprezzabile
la lamina propria, non ho più tonaca sottomucosa, ed esternamente è
osservabile l’assenza di placche cartilaginee. Al contrario è visibile uno strato
esterno di muscolatura con fibrocellule muscolari lisce.


I bronchioli terminano con i bronchioli terminali, dai quali hanno origine due bronchioli respiratori, a questo
livello cominciano gli scambi. Sulla parete di bronchioli respiratori compaiono piccole formazioni quasi
sferiche corrispondenti agli alveoli polmonari. Questi ultimi sono i veri siti di scambio poiché la parete che
delimita l’alveolo formata dall’epitelio pavimentoso semplice favorisce e ottimizza gli scambi. Più sottile è la
parete maggiore è l’efficienza di scambio.

Parenchima polmonare (bronchioli respiratori, condotti, sacchi alveolari e alveoli)
Nei bronchioli respiratori e nei condotti alveolari abbiamo ancora la mucosa respiratoria, ma questa volta
con delle differenze. L’epitelio è cubico, non più cilindrico, e ha diversi tipi di cellule:
-Cellule ciliate;
-Cellule sierose per la produzione di liquido periciliare a bassa viscosità viscosità che ha la capacità di
intrappolare le particelle più sottili (le più grosse sono state bloccate dalle vie aeree poste in posizione
prossimale;
-Cellule di Clara (presenti già dai bronchioli
terminali) che hanno varie funzioni: producono
componenti di un composto simile al surfactante
alveolare per mantenere pervio il lume,
proliferano e differenziano in qualunque tipo di
cellula del parenchima polmonare, eliminano
sostanze nocive e intervengono nel rilascio di ioni
Cl-.
Inoltre non abbiamo cartilagine e ghiandole
sottomucose, ma solo muscolatura liscia
(organizzata in bottoncini) e fibre elastiche.
Nei bronchioli terminali scompaiono le cellule
mucipare caliciformi. Non vi è più la
sottomucosa.
Nell’immagine, cellule di Clara, cubiche e, subito al di sotto,
fibrocellule muscolari lisce a livello della lamina propria.

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DOMANDA: Le cellule di Clara possono differenziarsi solo in momenti precisi o forniscono un ricambio
continuo della mucosa?
Sicuramente forniscono un ricambio continuo, ma è determinante il fattore a cui quelle sono esposte in
un preciso momento.

Negli alveoli invece abbiamo:
-Epitelio alveolare: pavimentoso semplice (0,05 micron) poggia su un esile lamina basale che si fonde con quella
dei capillari. La barriera di diffusione ha uno spessore totale di 0,2 micron. C’è qui ancora una fortissima
componente di fibre elastiche. Inoltre si compone una rete capillare densa e fitta data dalla capillarizzazione dei
rami arteriosi dell’arteria polmonare: a questo livello infatti il sangue preleva l’ossigeno e rilascia anidride
carbonica. Tale epitelio è formato da:
1. Pneumociti di tipo I: sono le cellule in assoluto più sottili esistenti, hanno citoplasma sottilissimo
delimitato dai due versanti del plasmalemma; attraverso tali cellule si realizza l’ematosi. Sono le
cellule più abbondanti tra le due che delimitano la parete.
2. Pneumociti di tipo II: rotondeggianti e sporgenti nel lume, con citoplasma occupato da corpi
multilamellari che contengono il surfactante, composto da una miscela di lipidi (molto dipalmitoil-
fosfatidilcolina (DPPC)), proteine e carboidrati. Questo si stratifica sulla superficie interna dell’alveolo
riducendone la tensione superficiale: manteniene tesa la parete, creando una sorta di bolla di sapone
che sostiene l’epitelio sottile altrimenti facilmente collassabile.
[La professoressa fa notare come nei preparati sia difficile distinguere i due tipi cellulari]
L’assenza di surfactante pregiudica la respirazione, infatti il bambino deve nascere con un surfactante
maturo; se vi è il possibile rischio di un parto prematuro alla mamma vengono somministrati
determinati farmaci per far sì che il surfactante maturi prima.
Allo stesso modo però il sufractante non deve essere troppo perché impedirebbe il libero scambio di
ossigeno.

- Capillari continui contenenti ACE, enzima di conversione dell’angiotensina, per convertire la I in II.
- Setti inter-alveolari (dotati di pori di Kohn, piccole aperture di diametro 5-10 micron) con macrofagi
alveolari che fagocitano le particelle carboniose più sottili (PM5 e PM10) che sfuggono ai sistemi di
intrappolamento precedenti (l’aspetto nerastro, grigio-antracotico del polmone è dovuto ai
macrofagi che inglobano queste particelle e migrano a livello del connettivo interlobulare, dove
muoiono), fibroblasti (per l’elastina) e mastcellule (mastociti).


Nell’immagine sono rappresentati:
-pneumociti di 1° tipo (in arancione), sottili, in rapporto
diretto con i capillari;
-pneumociti di 2° tipo, più globosi, rilascianti surfactante
(in verde) contenuto nelle vescicole di secrezione
-macrofagi
-capillare continuo, con parete sottile a tal punto da
permettere l’ematosi









IMG1: https://virtualmicroscopy.patologia-sperimentale.unibo.it/_contenuti/index.php?viewPage=9&bttl=2&lingua=ITA&page=2&cell_id=490
IMG2: https://virtualmicroscopy.patologia-sperimentale.unibo.it/_contenuti/index.php?viewPage=9&bttl=2&lingua=ITA&page=2&cell_id=470

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