895 Solidi, vuoti, perforazioni: con la sua semplicità plastica, l’architettura de

Solids, voids, perforations: the architecture of SANAA’s Zollverein Sc

Periodico mensile/Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in Legge 27/02/2004 n. 46) Art. 1, Comma 1, DCB - Milano

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 895 Solidi, vuoti, perforazioni: con la sua semplicità plastica, l’architettura della Zollverein School di SANAA è un contrappunto al drammatico contesto post-industriale che la circonda.
Solids, voids, perforations: the architecture of SANAA’s Zollverein School is a sober yet playful counterpoint to the dramatic postindustrial landscape that surrounds it.
Periodico mensile/Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in Legge 27/02/2004 n. 46) Art. 1, Comma 1, DCB - Milano

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L
’antropologia culturale, al suo debutto, utilizzava la
nozione di “tratto culturale”. Il tratto culturale poteva
consistere in un’invenzione materiale (un modo di
cuocere, una tecnica di cattura del pesce o della selvaggina,
un ornamento del corpo) oppure immateriale (un rito, un
dio, un’istituzione). La circolazione e la diffusione di questi
tratti erano considerate una delle spiegazioni del
cambiamento all’interno dei gruppi umani di tutto il
mondo. Il punto era sempre sapere quali erano le parti da
attribuire in questo processo rispettivamente alla
‘diffusione’ e all’evoluzione.
Nel mondo contemporaneo i termini della questione sono
cambiati radicalmente. Dopo la colonizzazione non c’è più
alcuna possibilità di riuscire a osservare l’evoluzione
autonoma di qualunque gruppo umano. Volente o nolente
l’umanità è diventata oggettivamente solidale. L’esistenza
del mercato accelera la circolazione e lo scambio dei beni di
ogni genere. L’appartenenza alla rete planetaria è
condizione necessaria alla prosperità economica e alla
dignità politica. Da questo punto di vista la richiesta di cui
sono attualmente oggetto i grandi architetti mondiali
(americani, italiani, francesi, norvegesi o altro) da parte di
numerose città in ogni continente, oppure la pretesa dei
paesi emergenti di controllare la tecnologia nucleare
nascono dalla stessa logica.
Contemporaneamente diventa ogni giorno più difficile
distinguere tra l’interno e l’esterno, l’altrove e il qui. Paul
Virilio ha teorizzato questo aspetto della situazione cercando
di caratterizzare il sistema della globalizzazione a partire da
un’analisi della strategia del Pentagono americano. Con la
globalizzazione, afferma in sostanza, il rapporto tra interno
ed esterno si rovescia: l’interno è il globale, cioè il sistema e
più precisamente le reti economiche ed elettroniche che ne
costituiscono il fondamento concreto; l’esterno,
reciprocamente, è il locale, nella misura in cui pretende di
sfuggire alla logica del sistema. Si tratta di un’esternità
provvisoria, nella prospettiva del sistema, sia che il locale a
un certo momento si trovi condannato ad assumere i colori
del globale collegandosi alla logica del mercato e alla rete
della comunicazione, sia che la sua rivendicazione di
esternità venga sottoposta progressivamente alle pressioni
del sistema e perfino eventualmente all’esercizio della forza
(come riassume l’espressione “diritto d’ingerenza”).
Se le cose stanno così, si comprende come la questione
dell’outsourcing possa rivelarsi più complessa di quanto non
sembri: si tratta di un nuovo rapporto con gli altri e con la
diversità del mondo o di una nuova forma di omologazione,
cioè di dominazione? Per cercare di rispondere a questa
domanda certamente occorre riformulare la domanda del
qui e dell’altrove. Una delle grandi divisioni del mondo
attuale è quella tra ricchezza e povertà, che non si riduce alla
contrapposizione tra mondo sviluppato e mondo
sottosviluppato, nel senso che esistono aree sottosviluppate
nei paesi ricchi e settori sviluppati in certi paesi poveri. Ciò
non toglie che la nostra epoca sia segnata da tutti gli sforzi
dispiegati da numerosi individui provenienti dai paesi del
Sud per accedere alla terra promessa del Nord. La questione
dei diversi prestiti cui possono far ricorso i creativi dei settori
dell’architettura, del design, della moda o della gastronomia
è chiaramente una questione “di lusso” che si pone
essenzialmente nella parte più sviluppata del mondo.
È sempre stato così. Nel Cinquecento il Rinascimento –
italiano prima, francese poi – ha sperimentato un ritorno
all’Antichità greco-romana che ha rivivificato la tradizione
cristiana, anche attraverso apporti lontani (America, Africa,
Cina) nei quali Lévi-Strauss ha potuto vedere la fonte della
vitalità e del dinamismo europei di quell’epoca. Il ‘qui’, in
questa prospettiva, era chiaramente l’Europa, e l’‘altrove’ il
resto del mondo. Le cose sono davvero cambiate? Sì, nel
senso che c’è sempre un centro del mondo, ma che esso si è
demoltiplicato e in qualche misura deterritorializzato.
La métacité virtuelle di cui parla Paul Virilio è fatta
contemporaneamente dalle megalopoli del mondo (le più
influenti delle quali si trovano principalmente, ma non
esclusivamente, in America, in Giappone e in Europa) e dalle
reti di scambio, di comunicazione e di informazione che le
e il qui
collegano. D’altronde oggi, in vari campi, si parla più
volentieri delle città che dei paesi in cui si trovano.
È quindi importante distinguere una situazione dall’altra.
In un senso tutto circola, e si trova tutto dappertutto. Così in
Brasile etnie ritenute scomparse sono riapparse perché il
governo brasiliano ha adottato una politica di concessione
delle terre ai gruppi etnici socialmente costituiti. Individui
meticci, dispersi e isolati, si sono riuniti e hanno reinventato,
sulla base di ricordi e di improvvisazioni, regole comuni e
rituali. Per le loro cerimonie spesso hanno fatto ricorso a
oggetti circolanti sul mercato, il più delle volte di origine
asiatica: e si tratta in questo caso proprio di una diffusione di
‘tratti’ materiali al servizio di una reinvenzione culturale.
Il ritorno alle fonti si alimenta a fonti esterne. Senza dubbio
qui non c’è nulla di veramente inedito e si può immaginare
che i gruppi e i culti si siano sempre costituiti sulla base di un
bricolage di questo genere. Il fatto nuovo è il carattere anche
molto distante delle fonti: testimonia di una nuova
organizzazione del pianeta.
Nel campo dell’architettura, dell’arte o del design (settori che
si intersecano e in parte si sovrappongono) il gioco con le
forme e gli oggetti distanti non è sottoposto ai medesimi
vincoli. Procede da una scelta deliberata e acquista senso in
ambienti privilegiati e coscienti delle immense possibilità
offerte teoricamente e concettualmente dall’apertura del
pianeta sotto ogni aspetto. Nasce da un eclettismo ispirato di
vocazione umanistica, che si contrappone ai monopoli
culturali e all’etnocentrismo. La difficoltà che incontrano i
difensori di questo eclettismo, come tutti gli artisti d’oggi, è
l’estrema elasticità del sistema globale, straordinariamente
efficiente nel recuperare ogni dichiarazione di indipendenza e
ogni ricerca di originalità. Appena formulate, le
rivendicazioni di pluralismo, di diversità, di ricomposizione,
di ridefinizione dei criteri, di apertura alle culture differenti
vengono accettate, proclamate, banalizzate e messe in scena
dal sistema, cioè, in concreto, dai media, dall’immagine,
dalle istanze politiche e d’altro genere. La difficoltà dell’arte,
nel senso più lato, è sempre stata prendere le distanze da una
situazione sociale che tuttavia deve esprimere, se vuole essere
compresa dagli uomini e dalle donne cui si rivolge. L’arte
deve esprimere la società (cioè, oggi, il mondo) ma deve farlo
espressamente. Non può essere semplicemente
un’espressione passiva, un aspetto della situazione. Deve
essere espressiva e riflessiva, se vuole mostrarci qualcosa di
diverso da ciò che abbiamo sotto gli occhi ogni giorno, per
esempio nei supermercati o in televisione. Le condizioni
attuali rendono contemporaneamente più necessario e più
difficile questo scarto tra espressione e riflessione, che
riguarda chiaramente in primo luogo l’eclettismo
paradossale del ricorso all’esterno in un mondo dove non
esiste più un altrove.
Concluderò queste note con un esempio tratto dall’attualità
più recente. Il Musée du quai Branly, appena nato a Parigi,
attrae prima di tutto per il nome del suo architetto, come il
museo di Bilbao. Fa appello alle tecniche più raffinate e alle
mode più recenti (la parete vegetale). La decorazione delle
sale dell’Oceania è stata affidata ad artisti aborigeni,
associati così all’architettura degli interni; alcuni degli
oggetti che vi sono esposti raggiungono cifre astronomiche
nelle sale d’asta occidentali; altri sono d’uso quotidiano nei
luoghi da cui provengono e possiedono solo un valore
etnografico. Il problema, se mai, è che, grazie a questa
mescolanza ricercata ed estetizzante dei generi e delle origini,
il museo stesso diventa nella sua essenza un oggetto
etnografico emblematico della nostra epoca.
Marc Augé è stato presidente della Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales
dal 1985 al 1995. Responsabile della ricerca all’ORSTOM (Office de la recherche
scientifique et technique outre-mer) fino al 1970, poi direttore scientifico presso
l’EHESS, ha condotto numerose missioni in Africa, soprattutto in Costa d’Avorio e Togo.
Dalla metà degli anni Ottanta ha diversificato i suoi campi di indagine,
in particolare soggiornando a più riprese in America Latina e cercando di osservare
le realtà del mondo contemporaneo nell’ambiente a lui più immediatamente
prossimo (Parigi, la Francia).
Da questo numero Marc Augé inizia una collaborazione con Domus.
Marc Augé
The elsewhere and
C
ultural anthropology in its early days adopted the
notion of “cultural traits”. These cultural traits could
have been a material invention (a manner of cooking,
a technique of catching fish or game, a body ornament)
or an immaterial one (a rite, a god, an institution).
The circulation and diffusion of those traits were regarded
as one of the explanations for change within human groups
across the world. The question was always to find out
what were the respective parts of “diffusion” and of
evolution in that process.
In the contemporary world, however, the terms of the
question have radically changed. Since colonisation, there
has been no further chance to observe the autonomous
evolution of any human group. Like it or not, humanity has
become objectively interdependent. The existence of
markets accelerates the circulation and exchange of goods
of all sorts. Economic prosperity and political dignity
necessitate the condition of belonging to the planetary
network. From this point of view, the projects for which
leading world architects (American, Italian, French,
Norwegian or others) are today so much in demand by
numerous cities across the globe, or the demand by
emerging countries to control nuclear technology, are
governed by the same logic.
Likewise it is getting more difficult as each day passes to
distinguish between exterior and interior, the elsewhere and
the here. Paul Virilio has theorised this aspect of things by
trying to characterise the system of globalisation on the
basis of an analysis of the U.S. Pentagon’s strategy.
Essentially he tells us that with globalisation the relationship
between interior and exterior is reversed: the interior is the
global, meaning that the system is more precisely the
economic and electronic networks that constitute its
concrete basis; while, reciprocally, the exterior is the local,
insofar as it claims to escape the logic of the system. This is a
provisional exteriority, in the perspective of the system,
regardless of whether the local may ultimately find itself
obliged to assume global colours by adhering to the logic of
the market and of the communications network, or whether
its claim to exteriority is steadily subjected to pressure from
the system and even eventually to the exercise of force (as
summed up in the expression “right to interfere”).
If that is so, the question of outsourcing can clearly prove
more complex than it may seem: does it mean a new
relationship to others and to the diversity of the world, or a
new form of uniformity, in other words domination?
To attempt to answer this question, it is undoubtedly
necessary once again to raise the issue of the here and the
elsewhere. One of the main divisions of today’s world is
between rich and poor, which does not boil down to the
contrast between the developed world and the
underdeveloped one, in the sense that there are
underdeveloped zones in the rich nations and developed
sectors in certain poorer ones. This in turn does not prevent
our time from being conspicuous for all the efforts by
numerous nationals from countries in the South to gain
access to the promised land of the North. The question of
the different loans on which creators in the fields of
architecture, design, fashion or gastronomy can rely is
clearly one of “luxury”, arising essentially in the more
developed part of the world.
It has always been like that. In the 16th century, the
Renaissance, Italian first and French later, went through a
return to Graeco-Roman antiquity, which redirected the
Christian tradition, and also through more remote
connections (America, Africa, China). In these Lévi-Strauss
saw the source of European vitality and dynamism in that
period. The “here”, in this perspective, was clearly Europe,
and the “elsewhere” the rest of the world. Now have things
really changed since? Yes, in the sense that there is still a
centre of the world, but that it has been geared down and in
some measure de-territorialised. The métacité virtuelle
which Paul Virilio talks about consists both of the world’s
megapoles (the most influential of which are mainly
situated, but not exclusively, in America, Japan and Europe)
and of the networks of trade, communication and
information that join them together. Moreover people are
inclined to talk today, in numerous spheres, more readily of
cities than of the countries in which they are located.
So it is important to distinguish situations. In a sense,
everything circulates and everything can be found
everywhere. Thus, in Brazil, ethnic groups which people
believed had disappeared have reappeared, because the
Brazilian government has pursued a policy of allocating
land to socially constituted ethnic groups. Half-caste,
scattered and isolated individuals have reunited and
reinvented, on the basis of memories and improvisations,
common rules and rituals. For their ceremonies they have
often turned to objects to be found on the market, of Asian
origin in most cases. Here is a clear instance of material
“traits” at the service of a cultural reinvention. The return to
sources borrows from outside ones. Of course there is
nothing really unprecedented about that, and it can be
imagined that groups and cults have always formed on the
basis of a “bricolage” of this sort. What is new, though, is
the possibly very remote character of those sources,
testifying to a new organisation of the planet.
In architecture, art or design (which partly intersect and
overlap), the play of remote forms or objects does not ensue
from the same restraints. It stems from a deliberate choice,
and makes sense within the privileged, conscious
framework of immense possibilities theoretically and ideally
offered by the opening of the planet to everybody’s gaze.
It has to do with an eclecticism inspired by a humanist
vocation, opposed to cultural monopolies and to
ethnocentrism. The difficulty which the defenders of an
eclecticism of this kind are up against, like all artists today, is
the extreme suppleness of the global system, extraordinarily
adept at taking over all declarations of independence and
every search for originality. Barely even formulated, the
claims to pluralism, diversity, recomposition, redefinition of
criteria and openings to different cultures are accepted,
proclaimed, trivialised and displayed by the system, that is
to say, concretely, by the media, the image, political and
other instances. The difficulty of art, in the widest sense, has
always been to keep its distance from a state of society
which it has to express, however, if it is to be understood by
the men and women to whom it is addressed. Art must
express society (which today means the world). But it has to
do so specially. It cannot just be a passive expression, an
aspect of the situation. If it is to show us something other
than what we see every day, for example at the supermarket
or on television, it must be expressive and reflexive. Present
conditions make it both necessary and more difficult to
separate expression from reflection, which clearly concerns
primarily the paradoxical eclecticism of a recourse to the
exterior, in a world in which there is no longer an elsewhere.
I shall conclude these few remarks with an example
borrowed from recent news. The quai Branly museum,
which has just been opened in Paris, is attractive because of
its architect, as was the Bilbao. It harnesses the most
sophisticated techniques and the most recent fashions (its
vegetal wall). The decoration of its Oceanian rooms is
entrusted to Aboriginal artists, thus associated with its
interior architecture; certain objects exhibited there fetch
astronomical prices at western auction houses; others are in
everyday use in their places of origin and are only of
ethnographic value. The problem, if any, is that as a result
of this smoothly aestheticised mixture of genres and
origins, the museum itself becomes essentially an
emblematic object of our time.
Marc Augé was the president of the Ecole des Hautes Etudes en Sciences
Sociales from 1985 to 1995. Director of research at ORSTOM until 1970, then
director of studies at EHESS, he carried out a number of trips to Africa, mainly
on the Ivory Coast and Togo. During the mid 1980s, his fields of observation
diversified and he made many more trips to Latin America and became an
observer of realities in the contemporary world in his more immediate
environment (Paris, France).
Starting from this issue, Marc Augé begins his collaboration with Domus.
Marc Augé
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 Rex Electrolux: freddo su misura
Un frigocongelatore di grande capacità
pensato per l’incasso e un apparecchio
cantina per la corretta conservazione
dei vini: sono due delle più recenti
proposte di Rex Electrolux nel campo
del freddo. Il primo apparecchio,
Quattroporte nella nuova estetica
Quadro acciaio, largo 90 cm, è
costituito da un grande vano frigo da
342 litri e da un congelatore da 128 litri
con tecnologia No Frost; la temperatura
è gestita e controllata
elettronicamente, a garanzia di una
miglior qualità di conservazione e di
un funzionamento che evita inutili
sprechi di energia. I due display digitali
evidenziano sempre la temperatura
presente all’interno del frigo e del
congelatore. Il vano frigo è dotato di
MiniDAC, un innovativo sistema di
ventilazione interna che migliora e
prolunga la conservazione dei cibi
freschi. Una speciale ventola, la stessa
utilizzata nei computer di ultima
generazione, spinge forzatamente
l’aria verso il basso, lungo la parete
dell’evaporatore, raffreddandola più
rapidamente e con maggior efficacia.
La temperatura si mantiene uniforme
in tutte le zone della cella e dopo
l’apertura e chiusura della porta la
temperatura impostata viene
ristabilita più rapidamente. Il vano
congelatore del Quattroporte è dotato
di tecnologia No Frost: non essendoci
formazione di brina, gli alimenti non si
attaccano fra loro, occupano meno
spazio e sono perfettamente visibili.
Cantina WI 33IXV è invece un
apparecchio estremamente capiente
con due zone indipendenti: un’ampia
zona inferiore con una temperatura tra
i 12 e 18 °C ideale per la media e lunga
conservazione dei vini e una zona
superiore fresca con una temperatura
tra i 6 e gli 11 °C per il consumo di vini
bianchi, brut e champagne. Il controllo
elettronico della temperatura,
l’umidità costante intorno al 70%, il
doppio vetro contro i raggi UV, la
struttura stabile antivibrazioni
garantiscono le condizioni ideali per la
conservazione dei vini, proprio come in
una vera cantina. La cella interna ha
sei ripiani in acciaio e un ripiano
separatore.

Quattroporte di Rex Electrolux, largo 90 ■ Quattroporte (four doors) from Rex

cm, è costituito da un grande vano frigo
da 342 litri e da un congelatore da 128
litri con tecnologia No Frost; la
temperatura è gestita e controllata
elettronicamente. Il vano frigo è dotato
di MiniDAC, un sistema di ventilazione
interna che migliora e prolunga la
conservazione dei cibi freschi. Una
speciale ventola spinge forzatamente
l’aria verso il basso, lungo la parete
dell’evaporatore, raffreddandola più
rapidamente e con maggior efficacia
Electrolux, 90 cm wide, is made up of a
large, 342-litre refrigerator
compartment and a 128-litre freezer
with No Frost technology; temperature is
controlled electronically. The refrigerator
Rex Electrolux
compartment is fitted with MiniDAC, an
Corso Lino Zanussi 26
internal ventilation system that
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improves and extends the conservation
of fresh foods. A special fan forces air www.rexbuilt-in.it
downwards along the evaporator wall Pronto Rex 0434558500
for quicker and more efficient cooling

Informazione aziendale / Manufacturer’s information Informazione aziendale / Manufacturer’s information

 Rex Electrolux: cold made to measure
■ A large capacity built-in fridge-
freezer and a wine chiller for
keeping wine at the correct
temperature are two of the most
recent proposals from Rex Electrolux
in the refrigerating sector.
The first of these, Quattroporte (four
doors), in the new Quadro steel look,
is 90 cm wide and consists of a large,
342-litre refrigerator compartment
and a 128-litre freezer with No Frost
technology; the temperature is
controlled electronically
guaranteeing better conservation
and a function that stops energy
being wasted. The two digital
displays indicate the temperature
inside the fridge and the freezer.
The fridge compartment is equipped
with MiniDAC, an innovative internal
ventilation system that improves and
extends the conservation of fresh
foods. A special fan, similar to those
used in the latest computers,
forces air downwards along the
evaporator wall for quicker and more
efficient cooling.
The temperature is kept constant in
all areas of the refrigerator and after
opening and closing the door the
set temperature is re-established
more quickly.
The freezer compartment of
Quattroporte features No Frost
technology: as frost does not form,
foods take up less space, are
perfectly visible and do not stick
together. Meanwhile, the WI 33IXV
wine chiller is an extremely
capacious fitting with two separate
areas: a large lower area with a
temperature between 12 and 18° C
ideal for medium- and long-term
storage of wines and an upper cooler
area with a temperature between 6
and 11° C for white wines, brut and
champagne.
The electronic control of the
temperature and humidity, kept
constant at around 70%, the UV ray
resistant double glazing and the
anti-vibration stable structure
ensure ideal conditions for storing
wines, just like in a real wine cellar.
The internal compartment has six
steel shelves and a separating shelf.

Cantina WI 33IXV di Rex Electrolux ha
un’ampia zona inferiore con una
temperatura tra i 12 e 18° C ideale per la
media e lunga conservazione dei vini e
una zona superiore fresca con una
temperatura tra i 6 e gli 11 °C per il
consumo di vini bianchi, brut e
champagne. La cella interna è in
estetica silver, una finitura argento
brillante che caratterizza anche il
frigorifero FI 331 VA+ ed il congelatore
CI 331 NFA+ qui accanto, proposti in
versione side by side
■ The WI 33IXV wine chiller from Rex
Electrolux has a large lower area with
a temperature between 12 and 18° C
that is ideal for medium- and long-
term storage of wine and a cooler
upper section with a temperature
Rex Electrolux
between 6 and 11° C for storing white
Corso Lino Zanussi, 26
wines, brut and champagne. The inside
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has a bright silver finish that also
features in the FI 331 VA+ refrigerator www.rexbuilt-in.it
and the CI 331 NFA+ freezer also shown, Pronto Rex 0434558500
in the side by side version

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 Digitalprint Abet: la nuova frontiera decorativa
La vocazione internazionale e la
curiosità di cercare costantemente
nuovi mercati per il laminato hanno
marciato di pari passo con la volontà
di Abet Laminati di rinnovare il
proprio prodotto. Se la bomboletta di
vernice spray ha segnato
indelebilmente la skyline cromatica
di New York con la scia multicolore
dei graffiti nella metropolitana, la
stessa bomboletta, nelle mani di
Keith Haring, ha dato origine ad una
nuova iconografia artistica. Lo stesso
avviene oggi con il computer, uno
strumento che ha consentito un
nuovo percorso progettuale ad Abet
Laminati, che della ricerca
iconografica ha fatto la propria
ragione d’essere. Da una parte c’è
l’uomo, dall’altra il computer.
Magica alchimia dialettica, origine e
genesi del percorso che ha portato, a
partire dal 2000, al Digitalprint, la
stampa digitale di Abet Laminati
apre nuove strade ai progettisti. Le
possibilità espressive si ampliano, la
tecnica di stampa non condiziona
più il risultato visivo: la qualità è
infatti molto raffinata e permette di
1 3
4 Barcelona. Design: Minos Digenis
ottenere texture finissime e
eccezionali sfumature. Il processo di
creazione dei decori ha un fascino
raro: è imprevedibile, sfugge al
controllo ultimo, nasce all’insegna
dell’istinto e talvolta sembra
regolato dal caso. Anche
un’immagine classica può essere
reinterpretata e modificata a
piacimento. È avvenuto in una delle
recenti collaborazioni con gli
architetti GianVittorio Plazzogna e
Alessandra Genovese dell’omonimo
Studio che ha sede a Silea (Treviso).
L’immagine della Corsa del Carro del
Sole del Tiepolo è stata adattata ad
un interessantissimo schema
progettuale utilizzato nello stand
Abet Laminati in occasione
dell’edizione del Saiedue di Bologna
del 2005. La rappresentazione del
Tiepolo utilizzata per rivestire la
parete esterna, contrapposta al
minimalismo della parete metallica
interna, ha creato un effetto
particolarmente apprezzato dai
numerosi progettisti e visitatori,
offrendo interessanti spunti
applicativi per future progettazioni.
Digitalprint Abet: the new frontier of decoration
■ An international vocation and
the curiosity to continually seek out
new markets for laminate have
always run alongside Abet
Laminati’s desire to update their
product. If the aerosol can of paint
has indelibly marked the coloured
landscape of New York with the
multicoloured graffiti in the
subways, the same can, in the
hands of Keith Haring, gave rise to
a new artistic iconography. The
same happened with the
computer, a tool that has opened
up new design directions for Abet
Laminati, who have made
iconographic research into a raison
d’être. On one side is man, on the
other the computer. A magical
dialectic alchemy, origin and
genesis of the path that has led,
since 2000, to Digitalprint, Abet
Laminati’s digital printing that
opens up new avenues for
designers. Expressive possibilities
are extended, the printing
technique no longer conditions the
visual result, the quality is very
refined and enables fine textures
1,2,3. Un’opera del Tiepolo riprodotta
su laminato Print HPL. Saiedue 2005,
Bologna. Progetto: GianVittorio
Plazzogna e Alessandra Genovese.
4. Decorazione su laminato Diafos
opalescente applicato a soffitto e
illuminato con luci policrome, Caffè
Keik, Barcellona. Progetto Minos Digenis
1,2,3. A work by Tiepolo reproduced on
Print HPL laminate. Saiedue 2005,
Bologna. Design: GianVittorio Plazzogna
and Alessandra Genovese.
4. Decoration on Diafos opalescent
laminate applied to the ceiling and lit
with polychromatic lights, Caffè Keik,
Informazione aziendale / Manufacturer’s information
and exceptional graduations to be
obtained. The process of creating
decorations has a rare fascination:
it is unpredictable, it escapes
ultimate control, it is born from
instinct and sometimes seems
regulated at random. Even a classic
image can be reinterpreted and
modified as desired. This was the
case in one of the recent
collaborations with architects
GianVittorio Plazzogna and
Alessandra Genovese whose
practice of the same name is based
in Silea (Treviso). The image of the
Corsa del Carro del Sole by Tiepolo
was adapted to an interesting
design scheme for the Abet
Laminati stand at the Saiedue
building trade fair in Bologna in
2005. The representation of the
Tiepolo used to cover the outer
wall, juxtaposed with the
minimalism of the internal metal
wall, created an effect that was
particularly appreciated by the
numerous designers and visitors,
offering interesting applicative
suggestions for future designs.
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IX LEUCOS S.P.A.
X MIZAR S.R.L.
XI PHILIPS S.P.A.
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light
XII RUGGIU S.R.L.
XIII STATUS S.R.L.
XIV TARGETTI SANKEY S.P.A.
 C oncentrare, indirizzare, in
Ogni cosa
qualche modo controllare
la luce contenendone l’energia
entro predeterminate
traiettorie, fasci, coni è
probabilmente la funzione, di
più, il compito di maggior
fascino e carico simbolico ed
evocativo che possa essere
è illuminata
affidato a un oggetto. Ma non
solo. È anche una condizione
che ribalta un fondamento
naturale del progetto di spazi,
luoghi e cose. Modellatrice
incessante di forme, la luce
ha da sempre operato
dall’esterno dei corpi,
Everything is
piovendo dall’alto sulle
superfici plasmate dalla natura
e dall’arte, inondando
paesaggi e città, tracciando
solchi di differenza tra luoghi e
situazioni: dentro e fuori,
visibile ed invisibile (per
esteso), noto e ignoto. La
grande rivoluzione moderna
illuminated
ha però operato un vero e
proprio ribaltamento di tale
condizione, catturando una
dopo l’altra le entità
energetiche e veicolandone gli
attributi entro fasci e fibre
intrecciate. Da ciò la nuova
condizione operativa
del nostro strumento: non più
pioggia che cade sulla pelle
delle cose ma fluido vitale che
deve scorrere entro le loro
vene e che agisce dall’interno
sulla massa degli oggetti e sul
loro aspetto finale. Ma la luce
veicolata ha operato una
seconda rivoluzione
copernicana, tanto negli spazi
dell’agire quotidiano che nello
sguardo con cui guardiamo il
Giacomo Balla, Lampada ad arco
olio su tela/oil on canvas, 1910.
The Museum of Modern Art, New York
mondo: la moltiplicazione dei
punti di irradiamento, essenza
metaforica e reale di quella
tendenza alla pluralità e alla
molteplicità di cui la nostra
epoca si è fatta manifesto.
Volgendo l’attenzione alle
vicende del design (ma anche,
in parallelo, all’architettura) e
alle sue evoluzioni moderne
possiamo distinguere due
approcci antecedenti, e forse
generatori, rispetto all’attuale.
Se, in una prima fase della
modernità (quella delle “forme
pure sotto la luce”),
paradossalmente gli aspetti di
canalizzazione della luce sono
stati, se non negati,
quantomeno posti in secondo
piano, nel corso del tempo si è
passati a una centralità della
luce veicolata (più spesso
detta ‘artificiale’) sempre più
essenziale spettro di
rivelazione della “realtà
globale” (in cui l’immagine di
città coincide con il puntinato
luminoso su fondo blu
fotografato dalla rete
satellitare). In sintesi la
rivoluzione luminosa ha visto la
trasmutazione delle cose
illuminate da oggetti depositari
di una forma propria a
dispositivi di rivelazione di altre
forme, da enti a fonti. E forse
l’età di oggi (in cui, per citare il
titolo del bel libro di J. Safran
Foer, Everything is illuminated)
si apre con un interrogativo:
a quale sfera appartengono
le luci?
Guido Musante
C oncentrate, direct, to in
some way control light,
containing its energy within
predetermined trajectories,
beams and cones is probably
the function, what is more, the
task, with the greatest
fascination and symbolic
charge that can be entrusted
to an object. But not only this,
it is also a condition that
overturns a natural foundation
in the design of spaces, places
and things. Incessant modeller
of forms, light has always
worked from the outside of
bodies, raining from on high
onto surfaces shaped by
nature and by art, inundating
landscapes and cities, tracing
differentiating furrows
between places and
situations: inside and out,
visible and invisible (in full),
seen and ignored. The great
modern revolution has
however brought about a real
turnaround in this condition,
capturing energetic entities
one after the other and
transmitting their attributes
into strips and woven fibres.
Giving rise to a new operative
condition in this instrument, no
longer rain that falls on the skin
of things but a vital fluid that
has to run within their veins
and that acts from inside on
the mass of objects and their
final aspect. But transmitted
light has undergone a second
Copernican revolution, as
much in the spaces of daily
action as in the eye with which
we look at the world: the
multiplication of points of
irradiation, metaphoric and
real essence of that tendency
to plurality and multiplicity that
our epoch is manifesting.
Turning our attention to events
in design (and in parallel, also
in architecture) and its more
modern evolution we can
distinguish two approaches
which came before and
perhaps generated the current
situation. If in an initial phase of
modernity (that of the “pure
forms under the light”)
paradoxically, the aspects
regarding the channelling of
light were, if not denied,
somewhat placed in the
background, over the course
of time things have moved to
focus on the light transmitted
(more often described as
“artificial”), increasingly
essential spectre of revelation
of “global reality” (in which the
image of the city coincides
with one of bright dots on a
blue background
photographed by the satellite
network). Summing up, the
lighting revolution has seen the
transmutation of illuminated
things from depositary objects
with their own form to devices
that reveal other forms, bodies
and sources. And perhaps the
age of today (in which, to
quote the title of the excellent
book by J. Safran Foer,
Everything is illuminated)
opens with a question: to what
sphere do the lights belong?
Guido Musante
III
Schede
 L’accensione della lampada (a destra) viene The lamp is switched on (right) using a
comandata da un sofisticato sistema a sophisticated touch-simmer system that has

L’evoluzione touch-dimmer a tre posizioni nascosto nella

base. Fornita da una lampadina alogena, la
luce scaturisce da un diffusore in
policarbonato bianco.
three positions, hidden in the base.
Supplied by a halogen bulb, light is emitted
from the white polycarbonate diffuser.

della luce
The evolution
of light
La coesistenza in un unico oggetto degli attributi “semplice” e “complesso” è uno dei
miti, ma anche degli essenziali fattori propulsivi, che, da sempre, agiscono sull’incedere (an-
ch’esso spesso semplice e complesso) dei creatori di forme, spazi e significati.
La speciale tensione di tali opposti principi caratterizza le qualità morfologiche, espressive e
funzionali di Cloud, recente progetto di Jozeph Forakis per Foscarini e in assoluto prima lam-
pada da scrivania mai messa in produzione dall’azienda, nota nel segmento delle lampade
di design per le sue proposte innovative, dalla forte personalità e carica emozionale, capaci
di connotare ogni ambiente con rigore e raffinatezza stilistica. Presentata a Euroluce 2005 e
distribuita a partire dall’anno in corso, Cloud si compone di tre parti — una base dalla pian-
ta a impronta tonda, un sottile stelo cilindrico (realizzato, come la base, in alluminio) e un cor-
po diffusore dalla sezione para-ellittica (in policarbonato bianco ad alta resistenza)— che, pur
diverse per caratteristiche formali e funzionali, sembrano compenetrare le une nelle altre ar-
monicamente e senza soluzione di continuità. Esito di tale processo generativo la figura di
Cloud ci appare nel suo complesso come spiccatamente unitaria e lineare, dotata di un’e-
leganza “istintiva” che potrebbe dirsi quasi naturale. Nello stesso tempo la conformazione di
tutte le componenti della lampada è regolata da un principio di non-enfatizzazione delle loro
proprietà meccaniche tecnologiche ma piuttosto, più che di occultamento, di lieve rivelazio-
ne delle stesse. È forse allora osservando più da vicino il rapporto tra le parti, gli snodi e la
gestione dei movimenti, che si può cogliere l’essenza più profonda del progetto. Il movimento
controllato del braccio, in particolare, è ottenuto grazie a un sistema formato da due cilindri
concentrici – quello più interno di lunghezza fissa e quello esterno dalla lunghezza variabile
garantita da una speciale molla piatta – che, regolati dall’attrito con un particolare bulbo a se-
zione ellittica posto sulla base, agiscono tra loro c0ome un sistema osso-muscolo. Lo stes-
so movimento controllato di rotazione agisce all’altra estremità dello stelo sulla calotta del dif-
fusore, al cui interno si nasconde uno schermo proiettore che concentra il fascio luminoso
sul piano e fornisce una luce morbida e diffusa.
The coexistence in a single object of “simple” and “complex” attributes is one of the
myths, as well as essential propulsive factors that has always affected the progress (also
in itself often simple as well as complex) of creators of forms, spaces and meanings.
The special tension of such opposing principles characterises the morphological, expres-
sive and functional qualities of Cloud, a recent design by Jozeph Forakis for Foscarini and
absolutely the first desk lamp ever to be produced by the company, famous in the designer
lighting sector for its innovative products with a strong character and emotional charge that
bring both rigour and stylish sophistication to all kinds of settings. Presented at Euroluce
2005 and launched on the market this year, Cloud is made up of three parts – a rounded
base, a slender cylindrical stem (made from aluminium, as is the base) and a diffusing el-
ement with a para-eliptical section (in highly resistant white polycarbonate) – that, despite
being different in terms of form and function, seem to come together harmoniously with-
out interruption. The outcome of this generative process, the figure of Cloud appears over-
all decidedly unitary and linear, with an “instinctive” elegance that could be described as
almost natural. At the same time the conformation of all the components of the lamp is reg-
ulated by a principal of non-emphasisation of their technological and mechanical proper-
ties but rather than concealing, slightly reveals them. It is perhaps then observing closer
up the relationship between the parts, the joints and the control of the movements, that
one can capture the deeper essence of the design. The controlled movement of the arm
in particular is achieved thanks to a system formed from two concentric cylinders – the in-
ner one is of fixed length whilst the outer one can be varied in length with a special flat
spring – that, regulated by friction with a special bulb with an elliptical section placed on
the base, acts between them as a kind of bone-muscle system. The same controlled ro-
tational movement acts at the other end of the stem on the shade, inside of which is hid-
den a projecting screen that concentrates the light beam on the work surface and pro-
vides a soft and diffused light.

Disegnata da Jozeph Forakis, Cloud è
connotata da una figura di grande leggerezza
che la rende adatta ad inserirsi con facilità nei
diversi ambienti domestici o di lavoro. Il
movimento del braccio è ottenuto grazie al
semplice sfruttamento del principio delle
forze contrapposte, mentre la particolare
conformazione della base consente di ridurre
Designed by Jozeph Forakis, Cloud appears
as a figure of great lightness that makes
it easy to place in various settings either in the
home or workplace. The movement
of the arm is obtained by a simple system of
counterweights whilst the particular formation
of the base reduces the visual impact of
the mechanical components to a minimum.
Cloud è disponibile a catalogo in tre versioni: Cloud is available in three versions: desk
da scrivania (larghezza cm 72, altezza cm 38- (width 72 cm, height 38-68 cm), wall FOSCARINI S.r.l.
68; da parete (larghezza cm 22, profondità (width 22 cm, depth 10 cm, height 22 cm) via delle Industrie 27 IV
cm 10, altezza cm 22) e infine da terra and floor (32 cm wide, 138 cm high). 30020 Marcon (VE)
(larghezza cm 32, altezza cm 138). Image above left, floor version; above right, T + 39 041 5953811
Immagine sopra a sinistra: ambientazione desk version, movement of the arm. F +39 041 5953820
della versione a terra; immagine sopra a foscarini@foscarini.com
destra: versione da scrivania, i movimenti
www.foscarini.com

Schede
al minimo l’impatto formale e visivo dei del braccio.
componenti meccanici.
 1, 2, 3 Briss (pagina precedente) più essere 1, 2, 3 Briss (preceding page) can be
installato in tre differenti configurazioni: con installed in three different configurations: as a

Forme pure plafoniera fissata a parete, su palo a luce

singola oppure su palo due luci (con
orientamento contrapposto). Il palo è alto
3,159 m, le ottiche sono in grado di emettere
fixed wall light, a pole with a single light or a
pole with two lights (facing different ways).
The pole is 3.159m high, the optics can emit
70W (with a distance of 14 m between each

sopra la luce potenze da 70W (con un’interdistanza dei

singoli elementi di 14 m), oppure da 150W
(con un’interdistanza di 17 m). Disponibile in
classe II il sistema rispetta la normativa anti-
element) or 150W (with a distance of 17 m).
Available in class II the system respects anti
light pollution regulations.

Pure forms inquinamento luminoso.

above the light 1 4

La purezza della forma è, nel progetto di design, obiettivo di primaria importanza e di
complesso raggiungimento, specie nel caso in cui gli oggetti al centro della riflessione e
della progettazione contengano elementi tecnologici e funzionali complessi e, conse-
guentemente, debbano essere in grado di fornire adeguate prestazioni in termini di dura-
ta e di efficienza complessiva. La conquista di tale meta accomuna due recenti novità pro-
poste dal ricco catalogo di casa Ghidini: Atia e Bliss. Disegnato da Margarita Kroucharska,
Atia è un proiettore a parete di impronta cilindrica, adatto tanto all’illuminazione di grandi
strutture architettoniche che di abitazioni private di dimensioni più contenute. Oltre che per
la grande pulizia e precisione nell’erogazione dei fasci luminosi, Atia si caratterizza per l’e-
strema facilità di installazione: grazie a un rivoluzionario sistema di montaggio a baionetta
con aggancio/sgancio rapido, il proiettore può infatti essere facilmente installato da una
sola persona. Il collocamento a parete, unito alla possibilità di gestione di uno o due fasci
di luce con diverse ampiezze, ed al movimento a basculante della parabola (controllato da
un fermo meccanico) garantisce risultati d’illuminazione di sicuro effetto. Briss (design:
Margarita Kroucharska e Gianni Forcolini) è un palo da arredo urbano che si segnala per
il profilo sinuoso e accattivante e per la capacità di emettere ampie parabole di luce, par-
ticolarmente adatte all’illuminazione di luoghi pubblici e privati, piazze o percorsi pedona-
li, oppure di vasti spazi verdi, parchi o giardini. Costruito in alluminio pressofuso con una
forma che ricorda il linguaggio organico del mondo naturale (per esempio lo stelo di un gio-
vane arbusto flesso dal vento), Briss si segnala per il particolare incastro “morbido” tra i
due elementi principali – palo e corpo illuminante – che restituisce un’immagine di grande
leggerezza, quasi di assenza di peso.
Purity of form is, in a design project, an objective of primary importance that is com-
plex to achieve, especially in the case in which the objects under consideration contain
complex technological and functional elements and, as a result, have to be able to pro-
vide adequate performance in terms of durability and overall efficiency. The reaching of this
goal is a common trait in two recent new products put forward by Ghidini, Atia and Briss.
Designed by Margarita Kroucharska, Atia is a triangular shaped wall projector, suitable
both for lighting large architectural structures as well as smaller, private dwellings. As well
as projecting of the beams of light with great cleanness and precision, Atia is also ex-
tremely easy to install, thanks to a revolutionary bayonet fitting for fast attachment/de-
tachment, the projector can be easily installed by one person. Its position on the wall
combined with the possibility of controlling one or two beams of light of different widths
and the up and down movement of the parabola (controlled by a mechanical stop) en-
sures lighting of assured effect. Briss (design: Margarita Kroucharska and Gianni Forcolini)
is a streetlight that stands out for its sinuous attractive shape and its capacity to emit wide
parabolas of light that enable poles to be placed at a distance of more than 4 times their
height with more that 20 lux average on the ground, fully respecting the regional regula-
tions against light pollution. Suitable for lighting public and private places, piazzas and
pedestrian walkways as well as large open spaces, parks and gardens. Made from
diecast aluminium with a shape that recalls the organic language of the natural world (for
example the stem of a shrub deflected by the wind), Briss also features an unusual “soft”
joint between its two main elements – pole and light fitting – that gives it a appearance of
great lightness, almost weightlessness.

5 6

4, 5, 6 Atia è realizzato in alluminio pressofuso 4, 5, 6 Atia is made from diecast extruded

ed estruso ad alta resistenza all’ossidazione
(IP 65), il diffusore è in vetro temprato
resistente agli urti. Disponibile in più versioni:
a led, a soffitto o a parete (standard a 1 o 2
luci oppure corto a 1 luce), il proiettore può
essere dotato di filtri colorati (rosso, giallo,
verde, blu), schermo anti-abbagliamento,
aluminium, high oxidation resistance (IP 65), GHIDINI ILLUMINAZIONE S.r.l.
the diffuser is in toughened glass, resistant to Via Monsuello 211 V
blows. Available in two versions, LED, ceiling 25065 Lumezzane (BS)
or wall (standard with 1 or 2 lights or short T +39 030 8925625
with 1 light), the projector can be fitted with F +39 030 8925626
coloured filters (red, yellow, green, blue), anti info@ghidini.it
glare screen, ellipsoid lens.
www.ghidini.it

Schede
lente elissoidale.

2 3
 Oltre lo specchio, Spazi punteggiati
dentro la forma di luce
Beyond the mirror, Spaces punctuated
within the form by light 1

La parola illuminare può assumere sfumature di senso differenti dal puro “dare luce”:
per esempio può significare svelare un lato nascosto delle cose, oppure dare corpo ad un
concetto astratto ed impalpabile.
Sono forse questi due aspetti – la rivelazione di una immagine non visibile e la concretiz-
zazione di un’idea altrimenti evanescente – gli incipit dominanti i progetti di Riflessioni e
Convivio, tra le più innovative proposte di casa Cini&Nils. La prima è una lampada da pa-
rete caratterizzata dal gioco ottico (per appunto di riflessione) creato da una lastra di ac-
ciaio lucidata a specchio da cui fuoriescono due bracci portanti. L’immagine che ne sca-
turisce è quella di una lampada a quattro bracci dall’aspetto quasi classico che pare ma-
gicamente fluttuare nel vuoto. Convivio è invece una lampada sopratavolo (disponibile an-
che a parete) che si presenta come una piccola sfera del diametro di 11 cm, composta
per la metà inferiore da una lente, studiata per una ottimizzazione del cono luminoso, e per
la restante metà da una calotta portante in metallo cromato o nichel satinato, fuse in un
oggetto unico, di raffinata precisione formale.
The word illuminate can assume shades of meaning aside from the mere “giving
light”: for example it can mean revealing a hidden side to things, or else give substance to
an abstract and impalpable concept. It is perhaps these two aspects – the revealing of an
image not visible and the making tangible of an idea just as evanescent – that are the dom-
inating features in the design of Riflessioni and Convivio, amongst the most innovative pro-
posals from Cini&Nils. The first is a wall light characterised by an optical device (using re-
flection) created by a sheet of mirror polished steel from which emerge two supporting
arms. The image that is created is that of a lamp with four arms with an almost classical
appearance that seems to magically float in midair. Meanwhile Concicio is a table lamp (al-
so available in a wall version) that appears as a small sphere 11 cm in diameter, made up
of a lower part that is a lens, studied to optimise the light cone and a supporting shade for
the upper part in chrome or satined nickel plated metal, combined into a single object with
a refined and precise form.
Talvolta le proprietà più profonde dei luoghi, i tratti somatici dei paesaggi che abi-
tiamo o che attraversiamo quotidianamente, ci appaiono in una nuova evidenza, in una di-
versa luce, grazie all'azione di particolari oggetti rivelatori. Esempio di tale oggetto, I-Lux di
Goccia è una lampada da giardino dalla figura stilizzata e armonica, adatta ad evidenziare
i caratteri degli ambienti e degli spazi aperti più disparati. in due versioni – con coppa opa-
le in policarbonato, ideale per diffondere uniformemente la luce, oppure con coppa in po-
licarbonato trasparente e frangiluce interno direzionabile, pensato per orientare la luce se-
condo i criteri desiderati – I-Lux è in grado di ospitare lampade da 11W a risparmio ener-
getico, che garantiscono un notevole risparmio in termini di gestione. Innovativo il metodo
di assemblaggio, formato da un’esclusiva unione a tenuta stagna che fonde le coppe dei
diffusori e la scatola di cablaggio in un unico elemento, facilmente accoppiabile agli ap-
positi pali scanalati, o anche, in alternativa, ai bracci a muro (predisposti per una o due
lampade) oppure ai più comuni pali standard da 60 mm di diametro.
Sometimes the underlying properties of places, the somatic features of the
landscapes that we inhabit or move through daily, appear to us in a new way, in a different
light, thanks to the action of certain revealing objects. An example of such an object, I-Lux
by Goccia is a garden light with a stylised and harmonious form suitable for highlighting the
character of all kinds of environments and open spaces. In two versions – with an oval
shade in polycarbonate, ideal for diffusing light uniformly, or with a transparent outer shade
and internal adjustable shade for directing the light according to desired criteria – I-Lux can
hold a 11W energy saving bulb that guarantees a notable saving in terms of maintenance.
An innovative assembly method formed by an exclusive watertight connection that joins the
shades and the cable box into a single element, easy to fit to the special grooved poles or
alternatively a wall bracket (to take one or two lamps) or standard 60 mm diameter poles.

1 2

2 4 5

1 Disegnata (analogamente a Riflessioni) da 1 Designed (like Riflessioni) by Luta Bettonica 1, 4 Dettagli di I-Lux nelle versione in 1, 4 Details of I-Lux in the brushed AISI 316
CINI&NILS S.r.l. Luta Bettonica e Mario Melocchi, la forma di and Mario Melocchi, the shape of Convivio acciaio inox AISI 316 spazzolato (imm 1) e stainless steel version (picture 1) and GOCCIA ILLUMINAZIONE
VI Viale Certosa 138 Convivio è studiata per illuminare con luce has been studied to provide a uniform and Via E. Fermi 59/65 VII
alluminio con finitura verniciata in graffite. Di painted aluminium. The unusual polygon
20156 Milano uniforme e vivace tanto un grande tavolo da vivacious light either for a large dining table or particolare rilievo il particolare della sezione section detail is obtained through a special 25020 Poncarale (BS)
T +39 023343071 pranzo che un piccolo tavolo da bar, senza small bar table without dazzling those sitting poligonale, ottenuta mediante una speciale production process. T +39 030 2640761
F +39 02 38011010 ® abbagliare chi le sta intorno. around it. F +39 030 2640271
lavorazione a trafila. 2, 3 The light in a setting. Special poles
info@cinienils.com 2 Il gioco ottico di Riflessioni. 2 The optical trick of Riflessioni. The arms are info@goccia.it
2, 3 Ambientazione della lampada. I pali de- (available in three different sizes) guarantee
www.cinienils.com I bracci sono cromati o nichel satinati, le chrome or satined nickel plated, the lamps www.goccia.it
dicati (disponibili in tre differenti misure) ga- high resistance to weather and use,
Schede

Schede
lampade sono schermate da un diffusore di are shaded by a diffuser in profiled enamelled
Numero verde 800 218731 ® rantiscono grande resistenza al tempo e al- even in conditions of major exposure to
vetro sagomato e smaltato. Due le misure glass. Available in two sizes: 28x28 cm (9
disponibili: 28x28 cm (profondità 9) e 21x21 deep) and 21x21 cm (7 deep). l’usura, anche in condizioni di forte esposi- corrosive agents.
cm (profondità 7). zione ad agenti corrosivi.
 Luce tra mito
e natura
Light, between
myth and nature
La tendenza all’organicità, all’attribuzione di vita alle forme, è da considerarsi via pri-
vilegiata per il conseguimento della bellezza e dell’armonia plastica degli oggetti.
Questo forse l’incipit principale che può essere rintracciato nel progetto e nella realizza-
zione delle due originali lampade a sospensione Medusa e Planet proposte da La murri-
na, vere e proprie “creature di luce”, entità viventi nate per l’illuminazione degli ambienti do-
mestici, ma anche per i luoghi d’incontro o di lavoro.
Nome e forma di Medusa traggono comune ispirazione dalla antica simbologia – nella mito-
logia greca fu una donna bellissima trasformata da Atena in un mostro con serpi al posto dei
capelli – generando una figura organica in vetro che potrebbe forse ricordare un anemone,
fluttuante nel vuoto invece che nelle acque del mare. Anche l’aspetto di Planet può ricorda-
re vagamente quello di una creatura marina, o forse quello della corolla di un fiore di monta-
gna, il cui profilo a sfera è tracciato da una miriade di moduli in vetro modellato a mano che si
dispiegano nello spazio circostante, generando una poliedricità di riflessi al proprio intorno.
The trend towards organic shapes, to attributing life to forms, is considered a pow-
erful way to bringing beauty and sculptural consonance to objects.
This is perhaps the notion that has guided the design and realisation of two original hang-
ing lamps Medusa and Planet proposed by La Murrina, real “creatures of light”, living en-
tities born to light domestic environments, or even meeting and work places. The name
and shape of Medusa both take inspiration from ancient symbology – in Greek mythology
she was a beautiful woman transformed by Athena into a monster with snakes for hair –
to generate an organic figure in glass that could perhaps recall an anemone, floating in
midair instead of in the sea. Planet’s appearance could also vaguely resemble a marine
creature, or perhaps the corolla of a mountain flower, whose spherical profile is outlined
by a myriad of glass modules sculpted by hand that unfurl in the surrounding space gen-
erating an array of multifaceted reflections around it.
Trasmutazione
di forme
Trasmutation
of forms
Incastri, trasformazioni, osmosi di materiale: la forma, di per sé libera, attraver-
so il progetto di design deve essere catturata con operazioni di mutazione e riscrittura del-
la materia. È quanto accade nelle lampade delle nuove collezioni di Leucos. Art U’ (desi-
gn Danilo De Rossi) è un modello da appoggio mobile il cui profilo armonicamente curvili-
neo, in vetro soffiato bianco lucido, si incastra elegantemene con la struttura metallica, in
nichel spazzolato, e con l’asta portante. Pensata da Tobia Scarpa, Fiola si presenta come
una organica bolla di luce in vetro (sfumato bianco con polveri di bronzo o sfumato bian-
co con sabbia di silice) sospesa da una struttura cromata sulla base laccata nero lucido.
Con la collezione Katerina (design Thomas Sandell) il vetro soffiato e ondulato (in bianco
lucido o verde lime lucido) rievoca il profilo plissettato delle classiche lampade in stoffa,
con un effetto di trasmutazione decisamente contemporaneo. Similmente la mano di
Defne Koz traccia con Marlowe una forma ellittica (in vetro soffiato bianco lucido) sospe-
sa tra l’oggi e la memoria delle tradizionali lampade da tavolo.
Connections, transformations, material osmosis: form, free in itself, in a piece
of design has be captured through mutation and the rewriting of matter.
This much occurs in the lamps from the new Leucos collection. Art U’ (designed by Danilo
De Rossi) is a table top model with a harmonious curved profile, in gloss white blown glass
that connects elegantly to the metal structure in brushed nickel and supporting stem. Fiola,
by Tobia Scarpa appears as an organic bubble of light in glass (soft white with bronze dust
or soft white with silicon sand) hanging from a chrome plated structure on a gloss black
lacquered base. In the Katerina collection (designed by Thomas Sandell), the blown and
curved glass (in glossy white or glossy lime green) evokes the pleated profile of the clas-
sic fabric lamp, with a transmuted effect that is decidedly contemporary. In a similar way
the hand of Defne Koz has drawn an eliptical form for Marlowe (in glossy white blown glass)
suspended between the present and the memory of the traditional table lamp.

1 2

1 2 3 4

1 Medusa (diametro 70 cm circa). 1 Medusa (approx 70 cm diameter). Steel 1 Art U’: l’asta ha un finale in vetro rosso, 1 Art U’: the stem has an end in red, green or
LA MURRINA S.p.A. La montatura è in acciaio; i moduli in vetro frame, hand made glass modules can be in a verde o bluino; il varialuce è a sfioro blue glass; the touch dimmer has a fade LEUCOS S.p.A.
VIII Via Isonzo 15 modellato a mano sono a scelta in bianco, nero choice of white, black or red. Available con dissolvenza. Realizzata in vetro artistico, out feature. Made in artistic glass using a Via Miglianese 29/31 IX
22078 Turate (CO) o rosso. Disponibile a catalogo in varie misure, in various sizes and in different wall and con tecnica a soffio libero. freeform blowing technique. 30037 Scorzè (VE)
T +39 02 969751 e con diversi modelli di plafoniere e applique. ceiling mounted versions. 2 Fiola è dotata di un varialuce a sfioro, con 2 Fiola has a touch dimmer with fade out T +39 041 5859111
F +39 02 96975211 2 Planet (diametro 60 cm circa nella versione 2 Planet (approx 60 cm diameter in the basic dissolvenza nella versione a tavolo. feature in the table version. F +39 041 447598
Numero verde: 800 307101 base ma a disponibile anche in altre misure) version but also available in other sizes) 3 Disponibile nelle versioni: a sospensione 3 Available in various versions: hanging (in info@leucos.it
è composto da una montatura in acciaio e da consists of a steel frame and a series of glass (in due dimensioni), tavolo o parete, two sizes), table or wall, Katerina has a
lamurrina@lamurrina.com www.leucos.it
Schede

una serie di moduli in vetro. La lampada
www.lamurrina.com
è disponibile in diversi colori: cristallo-bianco,
topazio, cristallo e può essere
completata da diverse plafoniere e applique.
modules. The lamp is available in different
colours, crystal white, topaz, crystal and also
be wall and ceiling mounted.
Katerina possiede una struttura in metallo
bianco e nickel spazzolato.
4 Marlowe ha struttura e base, a scelta,
in bianco o titanio.
Schede
structure in white metal and brushed nickel.
4 Marlowe has a structure and
base in a choice of white or titanium.
 Stato di
sospensione
Suspended
state
Esistono alcuni corpi solidi che non si possono misurare con le sole tradizionali
direttive x,y,z ma che si collocano con naturalezza in una specie di stato di sospensione, sor-
ta di “quarta dimensione” della forma. Questa la considerazione, quasi metafisica, che in-
duce a prima vista l’apparire del profilo di Bird, sistema di illuminazione modulare a sospen-
sione pensato da David Lewis per Mizar. Malgrado l’esile eleganza della struttura (soli 55mm
di spessore e 295mm di larghezza) Bird si caratterizza per la capacità di ospitare (attraverso
alloggiamenti dedicati integrati nella parte superiore ed ai lati della struttura dotati di propria
ottica e proprie lampade) ben quattro lampade T5 che gli permettono di essere considera-
to a tutti gli effetti come un apparecchio biemissione. Tale soluzione innovativa, ottenuta sen-
za fessurazioni o tagli nella struttura, consente di gestire singolarmente le accensioni, usu-
fruendo della biemissione solo nel caso in cui la stessa sia realmente necessaria, con gran-
de risparmio energetico e, insieme, massimo rendimento della lampada.
Certain solid bodies exist that cannot be measured with just the traditional x,y,z ax-
es but sit naturally in a kind of suspended state, a kind of “fourth dimension” of form.
This is the almost metaphysical consideration that at first glance seems to have lead to the
appearance of the profile of Bird, a modular hanging light system devised by David Lewis
for Mizar. Despite the slender elegance of the structure (just 55 mm think and 295 mm
wide) Bird is characterised by its capacity to hold (in special holders in the upper part and
at the sides of the structure equipped with their own optics and lamps) four T5 bulbs that
allow it to be considered to all intents and purposes as a double emission fitting. This in-
novative solution, obtained without making any cuts or slits in the structure, allows ele-
ments to be switched singly, using the double emission only when actually necessary,
meaning major energy savings and a longer life for the light bulb.
Atmosfere
contemporanee
Contemporary
moods
Interpretare lo spazio, dilatarlo o renderlo vivo ed emozionante è obiettivo primario di
un uso contemporaneo della luce, sempre più spesso elemento essenziale nella creazio-
ne della giusta atmosfera di luoghi, ambienti, situazioni.
Esplorando nuovi linguaggi espressivi e formali, giocando con gli spazi e i colori, le nuove
proposte di Philips Lighting (LED module, Origami, Spot LED) riescono a proporre inediti
effetti cromatici, coniugando (grazie ad un’avanzata tecnologia LED) il controllo delle sceno-
grafie luminose con notevoli risparmi sui costi di gestione. Se il modello LED module si met-
te in evidenza per la flessibilità delle molteplici ottiche, colorazioni e composizioni, con
Origami – un pannello dal design minimal e dalla luminosità straordinariamente uniforme – il
Led rende possibile poliedriche trasformazioni delle superfici architettoniche in piani di luce.
Tra le altre proposte Philips nel settore dei LED, Spot LED, una linea di apparecchi ad alta
potenza con intensità luminosa senza precedenti e completamente priva di radiazioni UV/IR.
Interpret space, expand it or make it lively and moving is the primary objective in the
contemporary use of light, increasingly seen as an essential element in the creation of the
right mood for places, settings, situations.
Exploring new languages of expression and form, playing with space and colour, the new
products from Philips Lighting (LED module, Origami, Spot LED) manage to come up with
new chromatic effects, combining (thanks to advanced LED technology) the control of at-
mospheric lighting with notable savings. Whereas LED module highlights the flexibility of
the various optics, colours and compositions, with Origami – a panel with a minimalist ap-
pearance and an extraordinarily uniform luminosity – the LED that makes possible polyhe-
dral transformations of architectural surfaces into levels of light. Amongst the other pro-
posals from Philips in the LED sector is Spot LED, high power fittings with unprecedented
luminosity completely without UV/IR radiation.

2 3 4

Bird: il corpo lampada è costituito da estrusi Bird: the main body of the lamp is made from 1 Immagini del Lounge bar del PSV ad 1 Images of the PSV Lounge bar at
MIZAR Sr.l. in alluminio, finitura anodizzata o verniciata extruded aluminium with an anodised or Eindhoven, realizzato con LED e sistemi di Eindhoven, realised with LED and systems PHILIPS LIGHTING S.p.A.
X Via Bosco 1 bianca, con particolari colorati verniciati white painted finish, with fine metallic controllo della luce e del colore. for controlling light and colour. Via Casati 23 XI
31050 Badoere di Morgano (TV) metallizzato fine. Disponibili diversi tipi di coloured painted details. Available with 2 Origami consente di comporre disparate 2 Origami enables various lighting effects 20052 Monza (MI)
T +39 0422 8393 ottiche: dark light, diffusore opalino different kinds of optics: dark light, opal scenografie luminose: pareti di luce, inserti to be produced, walls of light, decorative T +039 2031
F +39 0422 839 432 diffondente o prismatico trasparente. diffuser or transparent prismatic. decorativi, effetti cromatici. inserts, colour effects. F +039 2036119
info@mizarlighting.com Utilizzabile come singola sospensione, come Can be used as a single hanging light, 3 Realizzato con ottiche dal design 3 Made from optics with a simple and info.lampade@philips.com
sistema o nella versione tuttaluce, uno stesso system or in an all-light version, one essenziale e robusto, LED Module garantisce robust design, LED Module offers
www.mizarlighting.com · www.illuminazione.philips.it
Schede

modulo di Bird può ospitare fino a 4 lampade
T5 con potenze 28W, 35W, 49W, 54W e
possibilità di gestione separata delle singole
accensioni.
module of Bird can hold up to 4, 28W, 35W,
49W, 54W T5 bulbs that can be switched
separately.
una durata praticamente illimitata.
4 Spot LED (anche nell’immagine in alto a
destra, a fianco al titolo) è disponibile a
plafone, a incasso, a parete o su binario
Schede
practically unlimited life.
4 Spot LED (also in the image top right,
alongside title) is available as a ceiling fitting,
recessed fitting wall fitting or track fitting.
 Luce per colorare, Raggi di luce
colore per emozionare Rays of light
Light for colour,
colour for emotion 1

L’idea dello spazio come viaggio, o meglio, come “revolving” (ovvero: non siamo noi
a viaggiare ma è il mondo che ruota mentre noi rimaniamo fermi) fotografa una importan-
te porzione della ricerca artistica contemporanea.
Tale approccio non sembra discostarsi molto da alcuni esiti della produzione industriale
più avanzata. Impegnata da anni nella progettazione di innovativi sistemi di illuminazione,
Ruggiu realizza prodotti in grado di restituire, grazie all’emissione di una specifica quantità
di lux, determinate intensità e tonalità della luce, variabili a seconda delle specifiche esi-
genze o dei diversi ambiti: dai luoghi di benessere e (cromo)terapia agli spazi commercia-
li, dalle abitazioni private agli uffici, gli alberghi, i lounge bar... Ne è un valido esempio il si-
stema modulare Led Emotion. Grazie a una sofisticata centralina elettronica, Led Emotion
può controllare fino a sedici apparecchi e giocare con una molteplicità variabile di emis-
sioni cromatiche – dal rosso al verde, dal blu all’arancione – trasformando totalmente l’at-
mosfera dell’ambiente illuminato.
The notion of space as a journey, or better, as “revolving” (in other words it is not us
that travel but the world that turns around us whilst we remain fixed) captures an important
area of contemporary artistic research.
Such an approach does not seem far away from some of the most advanced results in in-
dustrial manufacturing. Working for many years on the design of innovative lighting sys-
tems, Ruggiu makes products that can offer, thanks to the emission of a specific quantity
of lux, light of a set intensity and colour, that can be varied to suit specific needs or differ-
ent spheres: from places dedicated to wellbeing and (chromo)therapy to shops, private
dwellings, offices, hotels, lounge bars… A valid example of this is the Led Emotion mod-
ular system. Thanks to a sophisticated electronic device, Led Emotion can control up to
sixteen fittings and play with a variable range of colour emissions – from red to green, blue
to orange – totally transforming the atmosphere of the lighted area.
Tra le proprietà degli oggetti ne esiste una, di non immediata comprensione, che ci
induce istintivamente a legarne la forma a quella di un determinato movimento, a una oscil-
lazione di cui visualizziamo la traccia già dalla prima occhiata.
Questa la sensazione primaria che scaturisce alla vista di X-Ray (design Gabriele Contin
2003), elegante ed essenziale lampada da terra (ma disponibile anche nelle versioni a pa-
rete o a soffitto) proposta da Status, che sembra nata per disegnare nello spazio lame di lu-
ce nette e taglienti. Quasi memoria di un’antica katana samurai (o della spada di Guerre
Stellari), X-Ray si caratterizza per una figura esile e allungata, la cui struttura cilindrica è com-
posta per circa un quarto della lunghezza da un supporto in acciaio cromato e per la restante
parte da un diffusore in policarbonato satinato orientabile. Il corpo della lampada, fisso nella
versione a parete è invece in quelle da terra e a soffitto articolato, mediante un giunto scor-
revole, con una sottile asta telescopica regolabile, anch’essa in acciaio cromato.
Amongst the properties of objects one exists, not immediately understandable, that
induces us instinctively to link its form to a certain movement, an oscillation whose path
we visualise already at first glance.
This is the primary sensation that arises on seeing X-Ray (designed by Gabriele Contin,
2003), an elegant and simple floor lamp (also available in a wall and ceiling version) pro-
duced by Status, that seems to have been conceived to draw in space blades of sharp
cutting light. Almost a memory of an ancient katana samurai (or the sword in Star Wars),
X-Ray is characterised by its slender elongated form, whose cylindrical structure is made
up of for about a quarter of its length by a chrome plated steel support and for the rest an
adjustable diffuser in satin finished polycarbonate. The body of the lamp, is fixed in the wall
version and moving in the floor and ceiling version via a sliding joint, with a slender ad-
justable telescopic rod, also in chrome plated steel.

2 3

Componibile a moduli fino ad un massimo di Modules can be assembled to a maximum of 1, 3 X-Ray a soffitto (in alto a destra) e a pa- 1, 3 X-Ray ceiling version (top right) and
RUGGIU S.r.l. 16 apparecchi, Led Emotion utilizza sorgenti 16 fittings, Led Emotion uses low luminosity rete. La tensione di alimentazione è di 230V wall version. 230 V 50 Hz supply, maximum STATUS S.r.l.
XII Via Taliercio 22 a Led a bassa luminosità per un totale di 75 LEDs for a total of 75 LEDs of 5 mm 10mA for Via Vittorio Veneto 23 XIII
50Hz, la potenza massima é 1x28W (fluore- wattage 1x28W (linear fluorescent FH), level
31059 Zero BRANCO (TV) Led da 5mm 10 mA per ciascun elemento each modular element (corrispondine scente lineare FH) il grado di protezione IP of protection IP 40, insulation Class 1. 200101 Bernate Ticino (MI)
T +39 0422 485200 modulare (corrispondente a circa 1.5W per to around 1.5W per fittine). Led Emotion T +39 029759911
40; isolamento Classe 1. 2 X-Ray F floor standing version, maximum
T +39 0422 487742 apparecchio). Led Emotion gestisce più controls a number of functions: F +39 0297599130
2 X-Ray F nella versione da terra,la potenza wattage 1x54W (linear fluorescent FH),
info@ruggiu.com funzioni: luce fissa, dimmerabile (a luce fixed light, dimmable, rotation of colours (fast status@status.it
regolabile nell'intensità), in rotazione di colori or slow frequency), musical (adjustable massima é 1x54W (fluorescente lineare FH)
www.ruggiu.com www.status.it
Schede

(a frequenza lenta o veloce), musicale
(regolabile secondo il ritmo). I colori selezionabili
sono: rosso, arancione, giallo, verde, blu,
indaco, violetto, bianco caldo, bianco ghiaccio.
Schede
according to rhythm). Colours available are
red, orange, yellow, green, blue, indigo,
violet, warm white, cold white.
 Bozza di studio dell’Info Light Box all’ingresso Study sketch of the Info Light Box at the
dei Giardini. La partnership con la Biennale entrance to the Giardini. The partnership with

Luci sulla città rientra in una politica di promozione e

valorizzazione della cultura progettuale,
perseguita da oltre un decennio da Targetti
anche attraverso la Fondazione omonima. Le
the Biennale is part of a policy for promoting
and underlying the value of design that
Targetti has adopted for over ten years with its
foundation of the same name. The

Lights on the city attività della Fondazione comprendono un

programma di formazione per i professionisti
interessati a utilizzare la luce come strumento
costitutivo dell’architettura (la Lighting
Academy) e cicli di incontri con i più
significativi esponenti del pensiero e della
prassi architettonica contemporanea
(l’Osservatorio sull’Architettura).
Foundation’s activities include an educational
programme for professionals interested in
using light as a tool in architecture (the
Lighting Academy) and a series of seminars
featuring leading exponents in the field of
contemporary architectural theory and
practice (the Osservatorio sull’Architettura).

Il profondo e inestricabile legame tra l’architettura e la luce affonda le proprie radici
nella notte dei tempi, ben prima che la modernità ne trasferisse alcuni contenuti in efficaci
slogan comunicativi, non di rado destinati al mondo della produzione industriale. A testimo-
nianza dell’imprescindibile legame esistente tra il mondo della progettazione architettonica e
quello della pratica illuminotecnica, Targetti, azienda fiorentina con quasi ottanta anni di espe-
rienza nel campo dell’illuminazione, è stata coinvolta strutturalmente nel processo di defini-
zione degli spazi e delle atmosfere della 10. Mostra Internazionale di Architettura di Venezia.
Una delle tappe più significative del nuovo “percorso di luce” – che comprenderà il Padiglione
Italia, le Corderie, le Artiglierie, le Tese e la sezione espositiva palermitana – troverà colloca-
zione a ridosso della biglietteria, subito dopo l’ingresso ai Giardini. Qui i visitatori saranno ac-
colti dall’Info Light Box, un grande cubo luminoso in policarbonato rivestito da 80.000 LED
a luce dinamica e colorata sui quali scorreranno immagini, testi informativi e video relativi ai
principali contenuti della manifestazione. La struttura cangiante dell’installazione si collegherà
idealmente al tema della prossima edizione della Biennale (dedicata a Città, Architettura e
Società), evocando immagini di indefinibilità e continua mutazione della metropoli contem-
poranea e rappresentando il tema dell’architettura e delle nuove tecnologie con un taglio che
privilegia gli aspetti relazionali e comunicativi. L’Info Light Box verrà realizzato grazie al debutto
applicativo di 10 pannelli SmartsLab, brevetto sperimentale di Targetti e novità assoluta nel-
l’ambito del lighting design e della comunicazione digitale. La carica innovativa di SmartsLab
è garantita dall’utilizzo della tecnologia “hexel™” a pixel esagonali che consente un’ottima
percezione delle immagini a notevole distanza e un’elevata luminosità rispetto agli schermi
tradizionali. La possibilità di connettere senza alcuna giunzione visibile un numero potenzial-
mente illimitato di pannelli modulari rende SmartsLab uno strumento particolarmente indica-
to all’accentuazione delle proprietà architettoniche e multimediali della luce.
The deep and inextricable link between architecture and light has its roots in the
mists of time, well before modernity transferred it into in effective communication slogans,
often destined to the world of industrial production.
Bearing witness to the undeniable existing link between the world of architectural design
and that of the practice of lighting design, Targetti, a Florence based company with almost
eighty years of experience in the field of lighting, has been structurally involved in the
process of defining spaces and moods for the 10th International Architecture Exhibition in
Venice. One of the most significant elements in the new “path of light” – that will make up
the Padiglione Italia, the Corderie, the Artiglierie, the Tese and the Palermo exhibition sec-
tion of the exhibition – will be placed near the ticket office, immediately after the entrance
to the Giardini. Here visitors will be able to enter into the Info Light Box, a large luminous
cube in polycarbonate covered in 80,000 LEDs with dynamic and coloured light on which
images, information and videos with be shown relating to the event. The glowing structure
of the installation connects to the idea behind the forthcoming edition of the Biennale (ded-
icated to City, Architecture and Society), evoking images of undefinedness and continual
change of the contemporary city and representing the theme of architecture and new tech-
nology with an approach that emphasises communication and relationships. The Info Light
Box will be built thanks to the applicative debut of 10 SmartsLab panels, an experimental
patent from Targetti and something absolutely new in the field of lighting design and digi-
tal communication. The innovative nature of SmartsLab is in its use of “hexel™” technolo-
gy, hexagonal pixels that allow optimal perception of images at a notable distance and
higher luminosity with respect to traditional screens. The possibility of connecting without
visible junctions a potentially unlimited number of modular panels makes SmartsLab a par-
ticularly good tool for accentuating the architectural and multimedia properties of light,

Dettaglio di un pannello SmartsLab. La
tecnologia “hexel™” del pannello consente
un’ottima percezione delle immagini anche
da notevole distanza e garantisce nel
contempo, nonostante l’utilizzo di un minor
numero di pixel, una luminosità maggiore
rispetto a quella degli schermi tradizionali.
Detail of a SmartsLab panel. The panel’s SmartsLab rappresenta l’apertura di una SmartsLab represents the opening of a new
“hexel™” technology enables optimal nuova frontiera nell’ambito dell’interattività e frontier in the field of interactivity and lighting TARGETTI SANKEY S.p.A.
perception of the image also from a notable del lihgting design. Assemblabili liberamente design. Assembled freely in self supporting Via Pratese 164 XIV
distance and at the same time offers greater in strutture auto-portanti, i moduli possono structures, the modules can be controlled 50145 Firenze
luminosity with respect to traditional screens, essere comandati a distanza da un unico from a distance by a single software, T +39 055 37911
despite the use of less pixels. software, compatibile con tutti i più diffusi compatible with all the most widespread F +39 055 3791266
programmi di grafica. graphics programmes. targetti@targetti.it
www.targetti.com

Schede
 domus 895 - Progettare la luce/Designing light Servizio gratuito lettori
Free enquiry service

901 FOSCARINI S.R.L. Per ricevere ulteriori informazione sugli

inserzionisti inserire il loro numero di codice,
902 GHIDINI ILLUMINAZIONE S.R.L. barrare la casella desiderata e spedire la
cartolina alla Editoriale Domus presso l’indirizzo
903 CINI&NILS S.R.L. indicato sotto. Tutte le richieste saranno evase
se spedite entro otto mesi dalla data della
904 GOCCIA ILLUMINAZIONE rivista.

905 LA MURRINA S.P.A. ■ To receive further information on advertisers,

insert their code number, check the
906 LEUCOS S.P.A. appropriate boxes and mail the form to the
address below. All requests will be fulfilled if
907 MIZAR S.R.L. sent within eight months of this issue.

908 PHILIPS S.P.A. Direzione Pubblicità Servizio gratuito

lettori P.O. Box 13080
909 RUGGIU S.R.L. 20130 Milano (Italia)

910 STATUS S.R.L.

911 TARGETTI SANKEY S.P.A.

Numero di codice Documentazione Indirizzo Distribuzione Punti vendita Richiesta di Ai sensi della Legge 675/96 sulla Privacy, la
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sicurezza essi verranno trasmessi alle Aziende
da lei indicate le quali provvederanno a inviarle
il proprio materiale pubblicitario. Tuttavia, in
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via Gianni Mazzocchi 1/3
20089 Rozzano (MI).

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Via Gianni Mazzocchi 1/3,
20089 Rozzano (Milan).k
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XV
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Professione/Profession
 895
ph:j.b.mondino

Settembre/September 2006. Sommario/Contents:

Copertina Cover SANAA. Zollverein School of Management & Design, Essen. Fotografia di/Photograph by Thomas Mayer
Editoriale Editorial Marc Augé. L’altrove e il qui The elsewhere and the here Una prima riflessione sull’outsourcing An initial
consideration on outsourcing
01 Almanac Notizie e appuntamenti News and events. A cura di/Edited by Elena Sommariva [http://news.domusweb.it ]
16 Ettore Sottsass. Foto dal finestrino Pictures from a window
18 Jean Nouvel. Musée du quai Branly Dopo l’Institut du Monde Arabe e la Fondation Cartier, Jean Nouvel torna a Parigi: con un museo
ibrido, teatrale ed esotico After the Institut du Monde Arabe and the Fondation Cartier, Jean Nouvel returns to Paris with a hybrid,
theatrical and exotic museum. Testo di/Text by Frédéric Edelmann. Intervista a/Interview with Gilles Clément di/by Manuel Orazi.
Fotografia di/Photography by Paolo Rosselli. A cura di/Edited by Rita Capezzuto
36 Giovanna Silva. Bogotá set La capitale colombiana nelle immagini di Giovanna Silva Bogotá photographed by Giovanna Silva
44 Bogotá: Ciclorutas e/and Ciclovías Le nuove piste ciclabili di Bogotá, in mostra alla Biennale di Architettura di Venezia, sono uno dei
progetti di riqualificazione dello spazio pubblico nella capitale colombiana Shown at the Venice Architecture Biennale, Bogotá’s new
bicycle paths are part of an extensive redevelopment plan for the Colombian capital’s public areas. Testo di/Text by Enrique Peñalosa.
A cura di/Edited by Rita Capezzuto
48 Lea Vergine. Capri 2006: Pas de angoisse Dai dandy ai tamarri: come sono cambiati i visitatori dell’isola From dandies to oafs: how
the island’s visitors have changed
50 Barbara Agnoletto - Laura Mascino. Progettare il committente Designing the client Due giovani progettiste italiane costruiscono a
Kobe, Giappone, una piazza dalla pelle ceramica Two young Italian architects construct a square with a ceramic skin in Kobe, Japan.
A cura di/Edited by Laura Bossi. Fotografia di/Photography by Koizumi Sangyo, Sohei Yoshitake
54 Bless. Stylefree Usando il linguaggio dell’abbigliamento, il gruppo Bless legge lo spazio, gli arredi, gli abiti, nel loro legame strettissimo
con la persona Using the language of clothing, the Bless group reads space, furniture and clothes in their very close link to people.
A cura di/Edited by Francesca Picchi. Testo di/Text by Mario Piazza. Fotografia di/Photography by Bless
62 Enzo Mari. Mischiare identità Mixing identities Le regole di un gioco per afferrare l’imprevedibilità della vita quotidiana. Domus offre ai
suoi lettori la riproduzione delle carte da gioco sull’abitare disegnate negli anni Settanta da Enzo Mari e Paolo Gallerani per Danese
The rules of a game for making the most of the unexpected in everyday life. Domus offers its readers a reproduction of the card game about
living, designed in the 1970s by Enzo Mari and Paolo Gallerani for Danese. Testo di/Text by Francesco Librizzi. Fotografia di/Photography by
Cecilia Pirovano. A cura di/Edited by Francesca Picchi, Salvatore Porcaro
76 SANAA. Zollverein School Il primo edificio in Europa degli architetti giapponesi SANAA unisce la semplicità plastica all’alta tecnologia
impiantistica Sculptural simplicity and advanced engineering come together in the first building to be completed in Europe by Japanese
architects SANAA. Fotografia di/Photography by Thomas Mayer. A cura di/Edited by Joseph Grima, Kayoko Ota
86 Marco Belpoliti. Design emozionale Emotional design È il design italiano? What lies behind the success of Italian design?
88 Kazuyo Sejima. Spazio pubblico di cristallo Crystal-clear public space Con il suo progetto per un edificio polifunzionale sulle colline di
Onishimachi, Kazuyo Sejima usa la trasparenza per giocare sulla percezione delle distanze Kazuyo Sejima’s design for a multipurpose

taccia design by achille and pier giacomo castiglioni

building in the hills of Onishimachi uses transparency to play on the perception of distances. Testo di/Text by Taro Igarashi. Fotografia
di/Photography by Yoshiko Seino. A cura di/Edited by Joseph Grima, Kayoko Ota
96 Pier Vittorio Aureli. Il mestiere di vivere The craft of living Riflessioni sull’opera di Aldo Rossi Reflections on the work of Aldo Rossi
98 Gli enzimi dell’architettura The enzymes of architecture Milano, aprile 2006: epistolario a margine dell’ultimo libro di Vittorio
Gregotti Milan, April 2006: an epistolary apropos of the latest book by Vittorio Gregotti. Testi di/Texts by Stefano Boeri, Vittorio Gregotti.
A cura di/Edited by Laura Bossi
104 Sverre Fehn. L’orizzonte norvegese dell’archeologia Norwegian archaeological horizons A Hamar, in Norvegia, Sverre Fehn aveva
realizzato negli anni Settanta la prima sede del Museo archeologico. È tornato ora sullo stesso sito per disegnare due addizioni
In Norway, Sverre Fehn designed the initial building for the Archaeological Museum in the 1970s. He has now returned to the same site to
design two extensions. Testo di/Text by Yehuda Safran. Fotografia di/Photography by Studio Sverre Fehn. A cura di/Edited by Rita Capezzuto
110 Manuel DeLanda. Anomalie cruciali Crucial Eccentricities Imparare dalle anomalie Learning from eccentricities
112 Édouard Glissant Hans Ulrich Obrist intervista lo scrittore, poeta e critico francese che ha sviluppato il concetto di antillanità e
creolizzazione Hans Ulrich Obrist interviews Édouard Glissant, the French writer, poet and critic who developed the concept of
Caribbeanness and creolisation. A cura di/Edited by Thomas Boutoux, Loredana Mascheroni
120 Tarzan&Jane: Doug Aitken - Tacita Dean. Illusioni Illusions Due artisti rispondono alle stesse domande. Tarzan&Jane è un progetto per
Domus prodotto da Wrong Gallery An encounter between two artists. Tarzan&Jane is a project made for Domus by Wrong Gallery
124 Libri Books A cura di/Edited by Gianmario Andreani
132 Rassegna: Mobili Furniture A cura di/Edited by Maria Cristina Tommasini
154 Panorama A cura di/Edited by Francesca Cogni
Material World: Dispositivi aptici Haptic devices A cura di/Edited by Emanuele Ricci
Hyper Domus: http://hyperdomus.domusweb.it
 Foto/Photo © Steve Marcus/Reuters
rivista fondata nel 1928 da Gio Ponti/review founded in 1928 by Gio Ponti

Direttore/Editor Stefano Boeri Creative director Mario Piazza Inviato speciale/Special correspondent Hans Ulrich Obrist
Art director Giuseppe Basile Redazione/Editorial staff Maria Cristina Tommasini (caporedattore), Loredana Mascheroni (vicecaporedattore),
Laura Bossi, Rita Capezzuto, Francesca Picchi Consulente alla direzione/Consultant to the editor Joseph Grima
Libri/Books Gianmario Andreani Website Elena Sommariva, Luigi Spinelli Staff grafico/Graphics Fabio Grazioli, Franco Miragliotta
Segreteria/Administration Valeria Bonafé, Marina Conti, Isabella Di Nunno, Miranda Giardino di Lollo (responsabile)
Consulente editoriale/Editorial consultant Stefano Casciani
Collaboratori/Consultants Karen Marta, Kayoko Ota, Matteo Poli e/and Fabrizio Gallanti
Redazione tel. +39 02 824721, fax +39 02 82472386, e-mail: redazione@domusweb.it – Traduttori/Translations Francesca Acerboni, Antony
Bowden, Francesca Brunetta, Paolo Cecchetto, Barbara Fisher, Annabel Little, Elena Milani, Dario Moretti, Sonia Rocchi, Rodney Stringer, Wendy Wheatley
Si ringraziano/With thanks to: Francesca Cogni, Guido Musante. Un ringraziamento speciale a/With special thanks to Carlotta de Bevilacqua, Danese Milano
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Almanac 09
20/2 - 40137 Bologna, tel. 051 345369-347461 ■ Toscana: Promomedia, via Buonvicini 21 - 50132 Firenze, tel. 055 573968-580455 ■ Marche:
17 Ore Luxor Resort & Casino, Las Vegas
Susanna Sanchioni, via Trento 7 - 60124 Ancona, tel 071 2075396 ■ Lazio, Campania: Interspazi, via Giano Parrasio 23 - 00152 Roma, tel. 06 luglio 23.14 Progetto di/Design by Dan Juba (1993)
2006 Temperatura Un fulmine cade sopra l’hotel/
5806368 ■ Umbria: Zupicich & Associati, via Manfredo Fanti 6 - 06121 Perugia, tel. 0755738714, fax 0755725268 ■ Sicilia: MPM, via Notarbartolo Lightning strikes above the hotel
23°
4 - 90141 Palermo, tel. 091 6252045, fax 091 6254987 ■ Sardegna: Giampiero Apeddu, viale Marconi 81 - 09131 Cagliari, tel. 070 43491
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Napoli – Siza,Fuksas,Rogers,Tagliabue,Perrault,Botta
Le stazioni dell’architettura/Architectural stations
di/by Lucia Tozzi
La metropolitana di Napoli deve la sua
iniziale notorietà alla scelta
dell’amministrazione di commissionare a
grandi artisti opere site-specific per gli spazi
interni ed esterni delle stazioni, in modo da
riuscire in un colpo solo a rendere più
attraente l’uso del mezzo pubblico, a dare
impulso alla riqualificazione di quartieri
degradati e a offrire una sorta di “museo
obbligatorio” a una popolazione che in
precedenza non ha mai avuto molte
occasioni di contatto con l’arte
contemporanea. Il successo di questa
operazione, unito all’aspettativa suscitata
dai progetti di Siza, Fuksas, Rogers,
Tagliabue, Perrault, Botta e altri per le
nuove “stazioni dell’architettura” in corso
di realizzazione, ha avuto però l’effetto di
dirottare l’attenzione sui singoli interventi,
lasciando in ombra l’imponente progetto
della rete infrastrutturale. Quello che sta
avvenendo a Napoli, in effetti, non è il
prolungamento di una linea o la
costruzione di un passante ferroviario, ma
l’attuazione di un rivoluzionario sistema dei
trasporti elaborato a partire dal 1994
nell’ambito di un processo di pianificazione
integrato con l’urbanistica.
l’articolo continua su/the article continues at
http://news.domusweb.it/89501
l’articolo continua su/the article continues at
http://news.domusweb.it/89502
2 domus Settembre September 2006
The undeground railway in Naples owes
its initial fame to the administration’s
decision to commission leading artists
with site-specific works for the internal
and external spaces of the stations. In
doing so, they have managed to make the
public transport system more attractive
and also give some life to decaying
neighbourhoods while offering a kind of
“compulsory museum” to a population
that previously had little contact with
contemporary art. However, the success
of this operation has had the effect of
leaving the impressive design of the
transport network in the shade.
Attention has instead been hijacked by
single interventions and expectation of
the schemes planned by Siza, Fuksas,
Rogers, Tagliabue, Perrault, Botta and
others for the new “architectural
stations” under construction. What is
taking place in Naples, in effect, is not
the extension of a line or the construction
of a rail link but the setting up of a
revolutionary transport system that has
been under development since 1994 as
part of an integrated town-planning
Foto/Photo Paolo De Stefano
process.
altre info su/more info at
www.sutherlandhussey.co.uk
Portree – Sutherland Hussey Architects
Vincere alla lotteria/Winning the lottery
Nel 2005 il ministero della cultura e dello
sport britannico ha istituito, nell’ambito
della Big Lottery, un fondo speciale per i
progetti presentati da comunità locali per
riportare a nuova vita luoghi – naturali o
costruiti – in pericolo di abbandono.
Antico porto dell’isola di Skye, Scozia,
Portree è uno di questi esempi: negli ultimi
duecento anni i suoi abitanti sono
diminuiti del 90%, le fabbriche ittiche
abbandonate. L’economia, quindi, vive
solo di turismo. Il progetto degli scozzesi
Sutherland Hussey parte appunto da questi
presupposti: nel mare erige due scogli
artificiali, geometrie compatte di piani che
confluiscono l’uno nell’altro. Al loro
interno, un museo intitolato alla diaspora
che ha colpito queste zone e una stazione
marittima; un molo d’approdo per navi da
crociera si protende verso il mare aperto. È
un progetto che disegna il paesaggio, ma
senza alterare i rapporti di scala. L.B.
Lacoste – nArchitects
Modellato dal vento/Shaped by the wind
di/by Elena Sommariva
Eric Bunge e Mimi Hoang, dal 1999 alla Eric Bunge and Mimi Hoang, who have
guida dello studio nArchitects di New headed New York practice nArchitects
York, sono gli autori di questo padiglione since 1999, are the designers of this
temporaneo per il campus provenzale del temporary pavilion for the Provencal
Savannah College of Art & Design di campus of the Savannah College of Art &
Lacoste, paesino di 300 abitanti nel sud Design in Lacoste, a village of 300
della Francia. Per realizzare Wind Shape – inhabitants in the south of France.
due strutture alte otto metri che si reggono To build Wind Shape – two eight-metre-
in dinamico equilibrio sulla cima della high structures held in dynamic
fortezza medievale – ci sono voluti
cinquanta chilometri di una speciale corda
equilibrium at the top of a medieval
fortress – fifty kilometres of special Illuminiamo i
in polipropilene, tesa e intrecciata su un
traliccio di tubi in plastica curvati.
polypropylene rope were required,
stretched and woven on a lattice of curved Vostri Ambienti...
Modellati dall’intensità, dalla direzione dei plastic tubes. Shaped by the intensity and
Naturalmente
Foto/Photo Peppe Avallone
venti e dal grado di tensione della corda, gli direction of the wind and the amount of
involucri si gonfiano, oscillano e si tension in the rope, the forms inflate,
increspano dando vita a uno spazio oscillate and ripple to create a dynamic
dinamico. Dallo stesso materiale sono stati space. The same material was used to
ricavati anche sedute e piani di appoggio. make seats and work surfaces.
Wind Shape è formato da due padiglioni,
l’articolo continua su/the article continues at alti otto metri
Sopra,l’opera di Walter De Maria
nella stazione di Piazza Dante http://news.domusweb.it/89503
Wind Shape is made of two tall pavilions,
della linea metropolitana 1. altre info su/more info at up to eight metres high
A sinistra, la barriera www.narchitects.com
infrastrutturale tra gli abitati di
Piscinola e Scampia
Fotografie/Photographs courtesy of nArchitects
Above,a piece of art by Walter
De Maria in the Piazza Dante
underground station of line 1.
Left, infrastructural barrier
between the quarters of
Piscinola and Scampia
La luce naturale è un bisogno fon-
damentale dell'individuo che tende
a stare sempre collegato all'ambi-
ente esterno. Tutti i giorni possi-
amo renderci conto di quanto è
importante la luce solare per il
In 2005, as part of the Big Lottery Fund, the nostro benessere ma lo notiamo
British Minister for culture, media and sport principalmente al crepuscolo quando
set up a special fund reserved for “Living la luce solare ci lascia. Solatube
Landmarks”, projects presented by local Serie Brighten-Up® ha avuto molti
communities to breathe new life into places riconoscimenti come prodotto
– either natural or built-up – in danger of innovativo, è in grado di condurre
abandonment. Portree, the ancient port on
la luce naturale dove serve, cosa che
the island of Skye in Scotland, is one such
example. Over the last two hundred years
i lucernari tradizionali non riescono
a fare. Nessun altro prodotto può
the number of inhabitants has fallen by
90%, and the fishing establishments have
Barcelona – Fundació UPC darvi lo stesso risultato in termini
been abandoned. As a result the economy Turismo di massa/Mass tourism di efficienza ed affidabilità perché
survives only on tourism. The project by la nostra vocazione alla ricerca e
Scottish practice Sutherland Hussey is made Non più dalla campagna verso la città, Movement is no longer from the country to sviluppo ed alla qualità di produzione
up of two artificial rocks erected in the sea, come è stato per tutto il Novecento, ma the city, as it was for most of the 20th costituiscono la differenza.
compact shapes with levels that flow into piuttosto dall’interno verso la costa, dove century, but rather from inland towards the
one other. Inside is a maritime station and a la popolazione cresce ogni anno a un coast, where the population is growing by 1 SPECTRALIGHT®
museum dedicated to the dispersion that has ritmo dell’1%: in tutta Europa è questa la percent per year. All over Europe this is the INFINITY i tubi di
hit these areas; a pier for cruise ships extends traiettoria della nuova ‘urbanizzazione’. new trajectory of “urbanisation”. The estensione hanno
into the sea. This project designs a Dalle città verso il mare viaggia, infatti, economy linked to the tourist sector travels proprietà super riflettenti,
landscape without altering the scale of the l’economia legata al settore turistico, che from the cities towards the sea, creating la maggiore riflettenza
relationships. L.B. sulla costa crea infrastrutture e servizi. transport infrastructures and services on the al mondo e la più
Una grande opportunità di sviluppo, coast. It is therefore a major development elevata brillantezza, la
dunque, che necessita però anche di opportunity that, however, requires effective luce naturale più vera
Courtesy of Sutherland Hussey Architects
Sopra,Vista di Maspalomas, Gran
Canaria, 2004. Sotto, il logo del master
efficaci politiche di gestione del territorio. policies for land management. The study of disponibile oggi.
Lo studio di questo fenomeno – che this phenomenon – which concerns a
Above,View of Maspalomas, Gran coinvolge una popolazione di oltre 450 population of over 450 million people and
Canaria, 2004. Below, the Master’s logo
milioni di persone e interessa i 46.000 km 46,000 km of Mediterranean coast – is the
del litorale mediterraneo – è l’argomento central subject of the Master’s course
centrale del master “Intelligent Coast” “Intelligent Coast” promoted by the DAYLIGHT DIMMER
promosso dalla Universidad Politecnica Technical University of Catalonia and Con Solatube Daylight
de Catalunya e diretto da Manuel Gausa directed by Manuel Gausa Navarro, Silvia Dimmer è facile controllare
Navarro, Silvia Bianchini e Luis Falcón Bianchini and Luis Falcón Martínez de e regolare la quantità di
Martínez de Marañon. E.S. Marañon. E.S. luce naturale desiderata
in qualsiasi ambiente.
Daylight
Perfetto per casa. Dimmer
l’articolo continua su/the article continues at
http://news.domusweb.it/89504 Contattate Infinity Motion per L'italia
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Per distribuzione in altre nazioni visitate
Settembre September 2006 domus 3 il nostro sito www.solatube.com/italia
San Francisco –Yves Béhar
Il tocco umano della luce
A human touch to light
di/by Loredana Mascheroni
A Yves Béhar piacciono le sfide. E quella
di lavorare con l’azienda che ha prodotto
la leggendaria sedia per ufficio Aeron e
tanti dei classici di Charles & Ray Eames
gli deve essere sembrata impagabile.
Tanto da spingerlo a lavorare per quattro
anni alla messa a punto di una lampada da
tavolo: Leaf. Un progetto piccolo,
apparentemente, ma che raccoglie una
sfida tecnologica che guarda al futuro:
usare i Led, risolvendo anche il problema
del loro eccessivo riscaldamento senza
meccanismi complicati e costosi come
ventole o sistemi ad acqua. Per risolvere il
problema e mantenere una forma esile e
slanciata, sono stati praticati dei fori sulla
testa della lampada: piccoli ‘camini’ che
fanno disperdere il calore, convogliato poi
nel ‘canale’ centrale che dalla testa
prosegue lungo il braccio e arriva giù fino
alla base. E poi si è pensato a far
accendere la luce a intermittenza: un
acceso e spento così veloce da non essere
percepito dall’occhio, ma sufficiente a
contribuire a raffreddare la testa, che può
così essere toccata e spostata per
direzionare il fascio di luce.
l’articolo continua su/the article continues at
http://news.domusweb.it/89505
Yves Béhar loves a challenge. And working
with the company who produced the
legendary Aeron office chair and many of
the classic designs of Charles & Ray Eames
must have seemed a chance of a lifetime. So
much so that he has dedicated four years’
work to the development of a table lamp:
Leaf. But this seemingly small project
encompassed a technological challenge
that looks towards the future with the use
of LEDs – highly robust, practically
unlimited durability and low energy
consumption. He also resolved their
problem of excessive overheating without
using complicated and costly mechanisms
such as fans or water-based systems. To
resolve the problem of overheating while
maintaining a slender form, small holes
were made in the lamp head. These small
“chimneys” disperse the heat, which is
taken up in a central “channel” and then
follows the arm from the head down to the
base. It was also decided to switch the light
on and off intermittently, with a frequency
so high as to be imperceptible to the eye but
enough to cool the head, which can be
touched and moved to direct the light.
altre info su/more info at
www.fuseproject.com
Albisola – Biennale della Ceramica
Storie parallele/Parallel stories
di/by Laura Bossi
È una mattina di una domenica di giugno,
anno 1975: quattro amici si incontrano a
Milano, in un cortile di via dell’Orso.
Hanno intenzione di trascorrere la giornata
realizzando oggetti forse inutili che, in
qualche modo, coinvolgano il corpo. Prima
di recarsi sul luogo del delitto, i quattro
congiurati – nella vita architetti, designer e
artisti – fanno incetta in un negozio di
articoli per imballaggio di: tubi, cartoni,
reti, lamiere, corde, insomma tutto quello
di cui, senza ancora saperlo, potrebbero
avere bisogno. Ma gli oggetti si rivelano
funzionali, non nel senso di essere
economicamente appetibili: sono occhiali a
tubo per guardarsi negli occhi, vestiti dotati
di un certo grado di elasticità per
camminare insieme e due coppie di
pantofole in creta “per un confronto
frontale obbligato”. Possiedono un’utilità,
a posteriori certamente preziosa:
costringono le persone a stare insieme, forse
a parlarsi. Se non ci fosse stata
“Indisciplinata”, terza edizione della
Biennale della Ceramica nell’Arte
Contemporanea di Albisola Superiore (ma
anche di Albissola Marina, Savona e Vado
Ligure, le quattro cittadine nelle quali la
manifestazione è articolata), la storia del
primo seminario della Global Tools sarebbe
rimasta confinata nella memoria degli
addetti ai lavori e nelle pagine di un numero
della rivista Casabella. Non si sarebbe mai
saputo, per esempio, che i quattro amici
erano Alessandro Mendini, Davide
Mosconi, Nazareno Noia e Franco Raggi.
Da un cortile di Brera alla passeggiata a
mare di Albisola Superiore, le scarpe sono lì
per tutti: turisti, bambini, chiunque passi è
attratto da tre formelle di terracotta in fila.
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http://news.domusweb.it/89506
altre info su/more info at
www.attese.it
La serie di salvadanai di Ugo La
Pietra ha superfici smaltate,
bianche con disegni in azzurro, o
blu trafitte da piccoli aculei. Con
ironia, Joris Laarman ha
progettato un’elegante antenna
satellitare in ceramica smaltata
bianca, decorata in azzurro
The series of moneyboxes
designed by Ugo La Pietra has
enamelled surfaces: they are
white with blue designs or blue
covered in tiny spines.With
humour, Joris Laarman has
designed a “stylish” satellite dish
in decorated ceramic
It is a Sunday morning in June 1975, and
four friends meet in Milan, in a courtyard in
Via dell’Orso. Their intention is to pass the
day making objects that, although perhaps
useless, in some way involve the body.
Before settling down to work, the four
accomplices – architects, designers and
artists in everyday life – stock up at a nearby
shop selling packaging materials, tubes,
boxes, meshes, sheet metal and string, all
kinds of things that, without knowing quite
how, might just come in handy. The objects
turn out to be functional, but not in the
sense of being appetising economically:
tubular glasses to look each other in the
eyes, clothes equipped with a certain
amount of elasticity for walking together,
and two pairs of clay slippers “for a
compulsory face to face”. In retrospect they
have quite a precious use: they force people
to come together, maybe even to talk to one
another. If it hadn’t been for
“Undisciplined”, the third edition of the
Biennale della Ceramica nell’Arte
Contemporanea at Albisola Superiore (as
well as in Albissola Marina, Savona and
Vado Ligure, the four towns that have
hosted the event), the history of the first
Global Tools seminar would have remained
confined to the memory of those who
worked on it and to the pages of the
magazine Casabella. We would never have
known, for example, that the four friends
were Alessandro Mendini, Davide Mosconi,
Nazareno Noia and Franco Raggi. From a
courtyard in Brera to the seafront at
Albisola Superiore, the shoes are there for
all to see. Tourists, children, anyone passing
by is drawn to the row of three terracotta
forms.
100
giorni
di
bellezza
Foto/Photo Claudio Bracco
Come vivremo
Sulla passeggiata a mare
domani?
di Albisola Superiore sono
riprodotte le scarpe disegnate
da Global Tools nel 1975.
Sotto, in una fotografia
dell’epoca, Sottsass e Raggi con
i piedi nelle scarpe inamovibili
On the seafront at Albisola
Superiore, the shoes designed
by Global Tools in 1975
are repoduced. Below, in an
old picture, Sottsass and Raggi
with their feet in the unm
ovable shoes
Neptunic C Suit: Jeremiah Sullivan, San Diego, USA (2005)
ENTR&2006
Forum internazionale
per design
ed architettura
Fotografie/Photographs Fulvio Rosso. Courtesy Attese Biennale di Ceramica nell’Arte Contemporanea
26 Agosto al
3 Dicembre 2006
Zollverein, Essen
E N T R & 2 0 0 6 è un progetto della
Ausstellungsgesellschaft Zollverein mbH
Zollverein, Pozzo XII / Padiglione 6
Gelsenkirchener Straße 181
D-45309 Essen
Infotelefono: + 49 (0)201 – 8543 – 260
info@entry-2006.com
www.entry-2006.com
Il progetto è finanziato da fondi dell’Unione Europea,
del Land Nordreno-Vestfalia e del comune di Essen.
Settembre September 2006 domus 5
 Welney – Allies and Morrison Architects
Semplice attrazione/A simple attraction
di/by Robert Such
Progettato dallo studio londinese Allies
and Morrison Architects, il nuovo centro
d’accoglienza turistica di Welney si trova
nel cuore della regione dei Fens,
nell’Inghilterra orientale. Il committente, il
Wildfowl & Wetland Trust, da principio
intendeva solo sostituire un ponte d’acciaio
degradato che conduceva i visitatori a un
punto d’osservazione per il bird-watching.
Quando fu bandito il concorso, Allies e
Morrison si unirono alla società di
ingegneria Arup per proporre un progetto
che comprendeva sia un nuovo ponte
pedonale, sia un centro d’accoglienza per i
turisti. Per consentire l’ingresso al ponte
l’edificio, analogo a un fienile, aveva una
struttura a due piani e “doveva essere
sorprendentemente semplice”, dice Paul
Appleton, dello studio Allies and
Morrison. Gli architetti hanno intagliato il
volume dell’edificio in vari punti. L’angolo
sud -est del piano terreno è stato eliminato
per consentire ai bambini del centro
didattico di circolare facilmente dentro e
fuori. Al primo piano l’edificio è stato
tagliato verticalmente per realizzare la
piattaforma d’arrivo del ponte lungo 117
metri. Per creare superfici più lisce dove il
volume è tagliato gli architetti hanno usato
pannelli di legno a incastro.
l’articolo continua su/the article continues at
http://news.domusweb.it/89507
altre info su/more info at
www.alliesandmorrison.co.uk
Foto/Photo Dennis Gilbert
6 domus Settembre September 2006
Tre momenti della caccia al
tesoro tenutasi a Urbino il 24
giugno scorso. Il racconto della
festa (con testi, immagini e i tour
virtuali del fotografo Toni
Garbasso)
è pubblicato su:
Designed by London-based Allies and http://decarlo.domusweb.it
Morrison Architects, the new Welney Three moments from the
Visitor Centre lies in the heart of the Fens, treasure hunt held in Urbino on
in eastern England. The visitor centre 24 June, 2006. A account of the
client, the Wildfowl & Wetland Trust, celebration (with texts, images
initially only planned to replace a and virtual tours by
Foto/Photo Paolo Mini
dilapidated steel bridge that took visitors photographer Toni Garbasso)
can be found at:
across to a bird-watching observatory. At
http://decarlo.domusweb.it
the competition stage, Allies and
Morrison teamed up with engineering
firm Arup to submit a design proposal for
both a new footbridge and a visitor centre.
To enable entry onto the gently curving
bridge, the barn-like building had to be a Urbino – Giancarlo De Carlo
two-storey structure and “it had to be
amazingly simple”, says Allies and
Giorno di festa/Day of celebration
Morrison Architects partner Paul di/by Clelia Tuscano
Appleton. In response to practical
requirements in the client’s brief, the A un anno dalla scomparsa di Giancarlo A year after the death of Giancarlo De
architects cut into the building’s volume at De Carlo, Urbino ha dedicato una Carlo, Urbino dedicated a day to
various points. The southeast corner on giornata a scoprire, leggere e festeggiare discovering, understanding and
the ground floor was removed so that l’architetto che nel corso degli anni ha celebrating the architect who over the
children in the education centre can easily intuito, interpretato e svelato la città. È years perceived, interpreted and
move indoors and outdoors. On the first stato bello ricordare De Carlo uncovered this town. It was beautiful to
Foto/Photo Dennis Gilbert
floor, the building was sliced through to percorrendo le sue architetture e remember De Carlo moving through his
make the landing stage for the 117-metre- frugandole per risolvere gli enigmi di una architecture, searching it to resolve the
long bridge. To create smoother surfaces grande caccia al tesoro, in un clima di riddles in a great treasure hunt, amid an
where the volume is cut away, the festa ed entusiasmo. È stato emozionante atmosphere of enthusiasm and
architects used tongue and groove il concerto la sera, quando la piazza si è celebration. The evening concert was very
boarding. messa a ballare sulle musiche moving, when the whole piazza danced to
contaminate e meticce dell’Orchestra di the contaminated hybrid music of the
Il centro d’accoglienza turistica The Welney Visitor Centre
di Welney ospita una serie di houses a range of facilities, such
Piazza Vittorio. È stato avvincente Piazza Vittorio Orchestra. It was
servizi, tra cui aree per la as interpretation areas, galleries, quando Andrea De Carlo ha letto una spellbinding when Andrea De Carlo read
didattica, spazi espositivi, un caffè a café and a shop, at the gateway selezione di scritti del padre, che a selection of his father’s writings,
e uno shop, all’ingresso di una to the Welney wildlife reserve trasmetteva un’energia più forte del transmitting an energy stronger than
riserva naturale rimpianto. La relazione fra De Carlo e regret. The relationship between De
Urbino è una storia di tenacia, bellezza e Carlo and Urbino is a story of reciprocal
sorprese reciproche, come questa tenacity, beauty and surprises, just like
giornata di festa scintillante e di brillanti this day of scintillating partying and
architetture. brilliant architecture.
altri testi, foto e i tour virtuali di Toni Garbasso su
http://decarlo.domusweb.it
more texts, photos and virtual tours by Toni Garbasso at
http://decarlo.domusweb.it
Foto/Photo Paolo Mini
Settembre September 2006 domus 7
 London – FrancescoVezzoli
Marlene Redux:A True Hollywood Story!
di/by Caroline Corbetta
Londra. In una tiepida serata d’inizio
giugno, mentre i turisti ancora affollavano
le sale della Tate Modern, un selezionato
gruppo di professionisti si accomodava
nell’auditorium del museo per assistere
alla prima di Marlene Redux: A True
Hollywood Story! (Part One) di Francesco
Vezzoli. Ancora una volta l’artista si è
appropriato di un genere televisivo
realizzando un video che, sul modello di
una puntata della famigerata “docu-
fiction” True Hollywood Story! prodotta
da un canale tv americano, ripercorre la
sua carriera dagli albori della sua infanzia
bresciana alla consacrazione allo status di
Berlin – Toyo Ito
Così lontane, così vicine
Faraway, so close!
di/by Niklas Maak
London. A tepid evening at the beginning
of June, while tourists still crowded the Se ci sono due metropoli che a prima vista
galleries at the Tate Modern. A select non hanno proprio niente in comune,
group of professionals made themselves queste sono Berlino e Tokyo. La capitale
comfortable in the museum’s auditorium giapponese conta circa 8,5 milioni di
to watch the premier of Marlene Redux: A abitanti e la sua area metropolitana quasi
True Hollywood Story! (Part One) by 37; la regione è il centro finanziario,
Francesco Vezzoli. Once again the artist industriale, commerciale e culturale del
has appropriated the television genre to Giappone e ha gli affitti più cari del mondo.
make a video that follows the format of Berlino ha appena 3,4 milioni di abitanti,
the notorious “docu-fiction” True gli affitti sono meno cari di quelli delle città
Hollywood Story! produced by an di provincia della Germania Occidentale, la
American TV channel. It describes his città perde abitanti in maniera drammatica
career from the dawn of his childhood in e di soldi se ne guadagnano pochissimi: a
Brescia to his consecration to the status of Berlino ci sono politica e cultura, ma
entrambe vengono finanziate con il denaro
del ricco Ovest. È chiaro quindi che le città
non hanno gli stessi problemi, e tuttavia
nella loro storia si trovano sorprendenti
parallelismi. La storia di Berlino e Tokyo è
la storia dell’attrazione reciproca di due
città che hanno cercato a lungo la propria
identità. Nella mostra curata, 24 capitoli in
ordine cronologico illustrano gli sviluppi
paralleli di Tokyo e Berlino, dalla moda
estetica del giapponismo, passando per il
film espressionista fino al Fluxus del
If there are two big cities which at first sight
have absolutely nothing in common, they
are Berlin and Tokyo. The Japanese capital
has about 8.5 million inhabitants and its
metropolitan area nearly 37. The region is
the financial, industrial, business and
cultural hub of Japan and has the world’s
most expensive rents. Berlin has just 3.4
million inhabitants, and its rents are less
expensive than those of provincial cities in
western Germany. The city is undergoing a
dramatic population drain and there is very
little money to be earned. Berlin has politics
and culture, but both are financed with
money from the rich West. The two cities
clearly do not therefore have the same
problems. Yet there are some surprising
parallels to be drawn from their histories.
The histories of Berlin and Tokyo are those
of a mutual attraction between two cities
that spent a long time searching for their
identities. In this exhibition, 24 chapters in
chronological order illustrate the parallel
developments of Tokyo and Berlin, from the
aesthetic fashion for things Japanese, to
expressionist films right through to the

Courtesy Collection François Pinault

dopoguerra e alla rappresentazione visiva postwar Fluxus movement, and to the visual
del mondo attraverso l’estetica da gomma representation of the world through the
Al piano superiore della mostra On the upper level of the
americana dei fumetti manga. American rubber aesthetic of manga comics. “Berlin-Tokyo”, ospitata nel exhibition “Berlin-Tokyo”,
rigoroso padiglione di vetro di housed in Mies van der Rohe’s
l’articolo continua su/the article continues at Mies van der Rohe, l’architetto rigorous pavilion, the Japanese
http://news.domusweb.it/89509 giapponese Toyo Ito ha installato architect Toyo Ito has installed an
un ondulato paesaggio lunare undulating artificial lunar
altre info su/more info at
artificiale landscape
www.smb.spk-berlin.de

Courtesy Collection François Pinault

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celebrità grazie al successo clamoroso celebrity as a result of the clamorous
dell’opera A Remake for Gore Vidal’s success of the work A Remake for Gore
Caligola decretato a Venezia e a Los Vidal’s Caligola ordained in Venice and
Angeles da critici e vip. Marlene Redux: A Los Angeles by critics and VIPs. Marlene
True Hollywood Story! (Part One) è Redux: A True Hollywood Story! (Part
intrattenimento puro, esattamente come la One) is sheer entertainment, exactly like its
sua matrice televisiva. E tocca momenti di television counterpart. It touches moments
esilarante ironia auto-referenziale – sia nei of exhilarant self-referencing irony –
confronti dell’artista che del sistema regarding both the artist and the art world.
dell’arte. Grazie ai soldi di François Thanks to money from François Pinault,
Pinault, il magnate-collezionista che ha the magnate-collector who produced the
prodotto l’opera, Vezzoli stavolta, dopo tv work, this time Vezzoli, after TV and
e cinema, punta con spietata precisione lo cinema, points the revealing mirror of
specchio rivelatore della parodia verso il parody with ruthless precision towards the
mondo dell’arte le cui dinamiche ormai world of art whose dynamics reflect those
ricalcano quelle di una società ossessionata of a society obsessed with success and
da celebrità e successo. fame.
l’articolo continua su/the article continues at
http://news.domusweb.it/89508

w w w. z a v a l u c e . i t 8 domus Settembre September 2006

 Paris – Raphaël Thierry
Il libro d’artista, un oggetto del futuro
_living the warm The artist book, an object of the future
di/by Federico Nicolao
Courtesy Raphaël Thierry
In che misura nel contesto dell’arte
attuale è di nuovo possibile avvicinare i
musei con progetti specifici, indirizzando
autonomamente il corso del lavoro, e
sino a che punto in certi casi proporre al
posto di un catalogo la realizzazione di
un libro d’artista risulta una scelta in
controtendenza con le abitudini stabilite?
In alcune circostanze è proprio
rompendo con la logica dei tempi stretti
che le istituzioni concedono per una
pubblicazione che capita di raggiungere
le più grandi soddisfazioni. È assai
stimolante dopo aver lavorato in
solitudine condivisa, per diversi anni, con
singoli artisti a dei progetti di libri farsi
avanti per mostrarne le opere e seguirne
l’esposizione. È un modo piuttosto
anomalo di fare il curatore, ma è
sicuramente quello che riserva a mio
avviso le migliori sorprese. Dopo la
mostra di Raphaël Thierry “Visioni in
polvere”, da me curata nella suggestiva
cornice di Villa Medici a Roma. Si apre
ora dello stesso autore a pochi passi da
Parigi, alla fondazione Royaumont
Goüin-Lang, “Fra i tuoi colori le
ombre”, in cui vengono mostrati, a
partire dal 2 settembre, i lavori
preparatori tratti da un omonimo
volume.
To what extent is it now possible in the
context of contemporary art to approach
museums with specific projects, directing
autonomously the course of the work?
And up to what point does proposing in
certain cases the creation of an artist
book in place of a catalogue turn out to
be a decision that goes against the grain of
established practice? In some
circumstances it is precisely to break with
the logic of tight programmes that
institutions concede to a publication that
succeeds in achieving the greatest
satisfaction. It is very stimulating after
having worked in shared solitude for a
number of years with individual artists on
projects for books to come forward and
show the works and follow them up with
an exhibition. It is a rather anomalous
way of curating, but it is definitely the one
that reserves by far the best surprises as
far as I am concerned. After the
exhibition by Raphaël Thierry “Visions
in dust” that I curated in the evocative
setting of Villa Medici in Rome, a new
exhibition by the same artist, entitled
“Fra i tuoi colori le ombre”, opens on 2
September at the Royaumont Goüin-
Lang foundation just outside Paris that
will show the preparatory works for the
book of the same name.
São Paulo – Triptyque
Samba design
Parigi, École d’Architecture Paris-La-
Seine. È qui che nel 1997 la brasiliana
Carolina Bueno conosce i tre ‘colleghi’
francesi Gregory Bousquet, Olivier
Raffaëlli e Guillaume Sibaud. Insieme
decidono di fondare lo studio Triptyque
e, dopo un primo periodo a Rio de
Janeiro, stabiliscono a San Paolo il
proprio quartier generale.
La loro ultima creazione, la libreria
Treme-Treme (in italiano, tremore) è
stata pensata come un omaggio alla
megalopoli tropicale e come una
celebrazione del disordine creativo dei
suoi più giovani abitanti, che sembrano
vivere a ritmo di samba. Flessibile e
modulare, la libreria può assumere
combinazioni quasi infinite. Montanti e
scaffali si possono inclinare e piegare a
diverse angolazioni, al punto che la
struttura in mdf laccato sembra diventare
quasi elastica, per adattarsi anche agli
spazi più improbabili. I vani possono
essere chiusi o aperti e dimensionati per
riporre libri, oggetti, televisori e
computer. E.S.
Plancia di Frassino spazzolato,
con trattamento Thermo.
Il Frassino
Paris, École d’Architecture Paris-La-
Seine. It was here that in 1997 Carolina
Bueno from Brazil met up with three
French “colleagues” Gregory Bousquet,
Olivier Raffaëlli and Guillaume Sibaud.
Together they decided to set up the
studio Triptyque, and after an initial
come non l'avete
period in Rio de Janeiro they
established their headquarters in São
Paolo. Their latest creation, the Treme-
mai visto.
Treme bookcase (meaning tremble), has
been designed as a homage to the
tropical megalopolis and as a
celebration of the creative disorder
exuded by its younger inhabitants who
seem to live at a samba rhythm. Flexible
and modular, the bookcase can assume
almost infinite combinations. Supports
and shelves can be inclined and folded
at different angles, to the point that the
lacquered MDF structure seems to
become almost elastic, adapting itself to
even the most improbable spaces. The
shelves can be closed or open and sized
to hold books, objects, televisions and
computers. E.S.

l’articolo continua su/the article continues at

_SNAKE
CERSAIE
Bologna 26/30 settembre 2006
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Via Novara, 41 - 28024 Gozzano (NO)
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10 domus Settembre September 2006
Beijing – Opus Productions
Domus parla cinese/Domus speaks Chinese
Dopo essere stata presente in Cina con
una testata semestrale, che dal 1989 e
per diversi anni ha pubblicato una
selezione di contenuti tradotti
dall’edizione italiana, Domus rilancia la
propria presenza in Estremo Oriente con
la prima edizione completamente cinese.
Domus–China, pubblicata da luglio in
collaborazione con la Opus Productions,
avrà cadenza mensile e sarà distribuita in
Cina, Taiwan e Hong Kong. L’edizione
cinese di Domus sarà diretta da Yu Bing,
già direttore di Decoration e World
Architecture Review. Bing e la redazione
di Pechino produrranno parte dei
contenuti di Domus-China, che saranno
focalizzati sulla realtà asiatica. Gli altri
contenuti saranno invece di
responsabilità della redazione
internazionale di Milano, diretta da
Stefano Boeri, insieme al controllo
generale sull’edizione cinese.
altre info su/more info at
http://news.domusweb.it/89511
http://news.domusweb.it/89510
altre info su/more info at
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La libreria Treme-Treme è
disponibile in cinque varianti
dimensionali (S,M,L,XL,XXL)
e in 17 tonalità di colore
The Treme-Treme bookshelf is
available in five sizes (S,M,L,XL,
XXL) and 17 colours
Tutto il fascino e il mistero del
After being present in China with a six
monthly issue that since 1989 has been
fuoco riaffiorano nel tratta-
publishing a selection of articles mento a calore del legno. Le
translated from the Italian edition,
Domus re-establishes its presence in the Plance Pavidea, sottoposte al
Far East with the first completely l’articolo continua su/the article continues at
Chinese edition. Domus-China, which trattamento termico naturale,
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begins publication in July in altre info su/more info at
collaboration with Opus Productions,
acquistano un particolare tono esotico di grande fascino, con totale
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will come out every month and will be uniformità di colore in tutto lo spessore del legno. Tonalità mai viste
distributed in China, Taiwan and Hong
Kong. The Chinese edition of Domus prima, esaltate dalla spazzolatura e protette da olio e cera BioTec.
will be edited by Yu Bing, already editor
of Decoration and World Architecture I prefiniti Pavidea possono essere forniti con
Review. Bing and the editorial team in
Peking will produce part of the contents la base isolante incollata alle doghe: grande isolamen-
of Domus-China that will focus on Asian
reality. The rest of the articles will be the to dal rumore ambientale e dal calpestio fino a 18 dB.
responsibility of the international
editorial team in Milan, lead by Stefano
Boeri, as will the overall control of the Pavidea. Quando il parquet diventa un valore.
Chinese edition.
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Stuttgart – SMAQ
Paesaggi infrastrutturali per l’intrattenimento
Infrastructural landscapes for entertainment
di/by Fabrizio Gallanti
Bad (Bath) è una folie architettonica,
ubicata nel parco della Akademie Schloss
Solitude a Stoccarda, in Germania, dove
sarà visibile ed utilizzabile sino al 24 di
settembre. Il progetto e la realizzazione di
Bad sono a cura di SMAQ, studio
d’architettura con sede a Rotterdam e
Berlino, fondato da Sabine Müller e
Andreas Quednau nel 1998. Oltre 1.000
metri di canna per annaffiare compongono
una scultura abitabile, caratterizzata da una
geometria curvilinea, mantenuta in
posizione attraverso semplici montanti in
legno. Le infinite spire con le quali la canna
si avvolge morbidamente su se stessa e la
moltiplicazione quindi della superficie
esposta al sole, permettono di scaldare in
due ore una quantità d’acqua sufficiente per
bagnarsi confortevolmente. Una trama di
elementi curvilinei in legno lamellare
costituisce la piattaforma dalla quale si
dipana il sistema vascolare di Bad. Una
volta concluso il bagno, l’acqua può essere
utilizzata per irrigare l’erba sottostante.
l’articolo continua su/the article continues at
http://news.domusweb.it/89513
concorsi/competitions
Paris, France
Tribunale/Courthouse (Tolbiac–Halle Freyssinet)
> 16.10.2006
www.competitionparisjustice.com
Kronberg, Germany
BraunPreis 2007
> 31.1.2007
www.braunpreis.de
12 domus Settembre September 2006
Bad (Bath) is an architectural folly
situated in the garden of the Akademie
Schloss Solitude at Stuttgart in Germany,
where it can be viewed and used until 24
September. The design and building of
Bad has been carried out by SMAQ, an
architectural practice based in
Rotterdam and Berlin that was set up by
Sabine Müller and Andreas Quednau in
1998. Over 1,000 metres of hosepipe
have been used to make a habitable
sculpture, characterised by a curvilinear
geometry and held in position with
simple wooden uprights. The infinite
coils in which the pipe wraps softly on
itself and the resulting increase of
surface exposed to the sun mean that in
two hours sufficient water can be heated
to comfortably bathe. A web of curved
elements in laminated timber make up
the platform from which the vascular
system of Bad unravels. Once finished
bathing, the water can be used to irrigate
the surrounding grass.
altre info su/more info at
www.smaq.net
Milano, Italy
ARTZEPT 2006
Designing a snack bowl set
> 25.10.2006
www.artzept.com
Helsinki, Finland
Fennia Prize 2007
> 10.10.2006
www.designforum.fi
NewYork – Heatherwick Studio
Shopping in passerella
Catwalk shopping
Dare vita a un’installazione teatrale,
dall’effetto scenografico garantito per
compensare l’infelice location del
quartier generale di un marchio francese
di accessori di lusso: un edificio storico
con una presenza su strada modesta,
poco spazio al piano terra e ampi locali
soltanto al livello superiore. Nasce così il
lungo e massiccio nastro arancione che
accompagna i visitatori all’interno del
nuovo negozio Longchamp di New
York. L’ultima ‘invenzione’ del designer-
artista londinese Thomas Heatherwick
prende la forma di una sinuosa scultura
in acciaio, che dal terzo piano scende fin
sul marciapiedi, pesa 55 tonnellate e, per
essere realizzata, ha richiesto sei mesi di
lavoro artigianale. E.S.
l’articolo continua su/the article continues at
http://news.domusweb.it/89514
altre info su/more info at
www.thomasheatherwick.com
Bad è una sperimentazione a
piccola scala della stessa logica
che attraversa la ricerca di
SMAQ: rigidezza strutturale e
morbidezza sensuale della
materia si scontrano nello stesso
oggetto
Bad is a small-scale experiment
of the same logic that runs
through the work of SMAQ:
structural rigidity and sensual
softness of the material come
together in the same object
Hannover, Germany
iF Awards 2007
> 30.9.2006
www.ifdesign.de
London, Great Britain
Environmental Tectonics Call for Projects
> 29.9.2006
www.aaschool.ac.uk/clusters/ees.shtm
Knotted Chair by Marcel Wanders for Abitare il Tempo 2006
Set up a dramatic installation with a
theatrical effect guaranteed to
compensate for the unhappy location of
the headquarters of a French brand of
luxury accessories; a historic building
with a modest presence on the street,
little space on the ground floor and large
rooms only on the upper level. This is
how the long thick orange ribbon came
about that accompanies visitors around
the new Longchamp shop in New York.
The latest “invention” by London artist-
designer Thomas Heatherwick takes the
form of a sinuous steel sculpture, that
from the third floor descends down to
the pavement, weighing 55 tonnes and
requiring six months of hand crafting to
make. E.S.
XXI edizione
Verona, 21-25 settembre 2006
L’arredamento d’interni più esclusivo per un pubblico di rivenditori
ed architetti attenti e qualificati. Una superficie espositiva di 80.000
m2 dedicata a 650 espositori selezionati ed internazionali, ed un’area
di 20.000 m2 dedicata alle Mostre di ricerca.
Saranno presenti le migliori firme dell’editoria tessile
internazionale e la XX edizione di Incontri Mostra Internazionale
del Tessuto di Arredamento e del Tappeto d’Autore.
Settori merceologici: mobili, imbottiti, cucine, arredobagno,
illuminazione, tessuti, tappeti e tendaggi, biancheria per la casa,
Il pavimento del negozio è arte della tavola, oggettistica, complementi di arredo, pavimenti e
realizzato su piani sfalsati, rivestimenti, porte, scale, arredamenti d’esterni.
che creano superfici espositive
per ospitare le borse
e gli accessori
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Acropoli srl - C.P. 22 - 40050 Centergross (BO) - tel. +39 051 864310,
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display surfaces to hold bags and
il pubblico è ammesso domenica 24 settembre.
accessories
Prevendita online dei biglietti d’ingresso.
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Settembre September 2006 domus 13
 Essen – Talking Cities Torino – Ikea for Fiat
Micropolitica dello spazio urbano Auto italiana, arredamento scandinavo
The Micropolitics of Urban Space Italian car, Scandinavian furniture
di/by Joseph Grima di/by Francesca Picchi

“Talking Cities” – rassegna trasversale e “Talking Cities”, a transversal, Nel percorso di avvicinamento al cliente, In order to reach more customers, Fiat

multidisciplinare, curata da Francesca
Ferguson e prodotta da Urban Drift, che
unisce design, architettura, arte e progetti
urbani – è una delle esposizioni inaugurali
allestite nel complesso culturale Zeche
Zollverein, da poco ultimato fuori Essen,
in Germania. Fino alla sua dismissione,
Divisione di ARTHERMAGROUP srl - Italy - 20040 Aicurzio (MI) Tel. +39/0396093099 info@arthemagroup.it
multidisciplinary exhibition curated by Fiat si è affidata all’esperienza di Ikea nel has turned to the experience of Ikea in
Francesca Ferguson that brings together campo del retail per ripensare il proprio the field of retailing to address the
design, architecture, art and spatial punto vendita e dare una rinfrescata redesign of their showrooms and give a
intervention, is one of the inaugural all’immagine delle concessionarie. fresh look to their image. The experience
exhibitions to be staged in the newly- L’esperienza dell’acquisto, maturata dal of the purchase, matured by the
completed Zeche Zollverein cultural consumatore nel corso degli anni con consumer over the years with varying
complex outside Essen, Germany. Until diversi gradi di sofisticazione – dal degrees of satisfaction – from the

Foto+Disegno/Photo+Drawing © Atelier Bow-Wow

avvenuta alla fine degli anni Settanta, era
uno dei principali impianti per l’estrazione
e la lavorazione del carbone di tutta la
Germania e, senza dubbio, rimane uno dei
più spettacolari esempi europei di
architettura industriale. Un processo di
trasformazione visionario che comprende
il masterplan di OMA/Rem Koolhaas e
diversi nuovi edifici (come la School of
Management, pubblicata in questo numero
di Domus), oltre a un lavoro sostanziale di
restauro e riconversione delle infrastrutture
industriali, hanno trasformato il sito in
quello che vediamo oggi: un ampio
complesso espositivo, ospitato all’interno
di una struttura che celebra lo splendore
dell’abbandono.
its decommissioning in the late ’70s,
Zeche Zollverein operated as one of
Germany’s primary coal-mining and
coal-processing plants, and is
undoubtedly one of Europe’s most
spectacular examples of industrial
architecture. A visionary process of
transformation involving a masterplan
by OMA/Rem Koolhaas, several new
buildings (such as the School of
Management featured in this issue of
Domus) and substantial restoration and
conversion work on the industrial
infrastructure turned the site into what it
is today: a vast exhibition complex
housed in a functioning celebration of
the magnificence of dereliction.
supermercato ai grandi magazzini, alle
boutique per i beni di lusso e fino
all’acquisto in rete –, ha indotto Fiat a
rivedere la distribuzione dello spazio di
vendita, mutuando quel certo modello di
democraticità ‘intrinsecamente’
scandinava, da sempre parte integrante
della politica del marchio Ikea – in cui
cioè design e costo accessibile si
accoppiano –, per creare un ambiente
concepito all’insegna del “pulito-
semplice-chiaro-senza barriere”.
Sopra/Above, Kaddoko
Restaurant, Pet Architecture
L’intenzione è quella di liberare il
l’articolo continua su/the article continues at di/by Atelier Bow-Wow compratore da ogni inibizione o ansia da
http://news.domusweb.it/89515 shopping epurando l’esperienza
Sotto/Below,“Urban Voids”
altre info su/more info at dell’acquisto dell’auto – che, dopo la casa,
(aree da preservare per la città
www.talkingcities.net futura/areas to be preserved è pur sempre il secondo investimento per
for the future city) di/by IaN+ la famiglia – da ogni carattere elitario.
supermarket to large department stores,
boutiques for luxury goods and buying
online – has induced Fiat to take a new
look at the layout of its showrooms. In
borrowing that particular,
“intrinsically” Scandinavian model of
democracy that has always been an
integral part of Ikea’s policies, where
design goes hand in hand with accessible
prices, Fiat has created an environment
conceived in the name of the “clean-
simple-clear-without barriers”. The
intention is to free the buyer from any
inhibition or shopping anxiety, purging
the experience of buying a car – which
after the home is the second biggest
investment for the family – of any elitist
character.

Rendering/Collage IaN+, Roma

Studio D’Urbino Lomazzi

l’articolo continua su/the article continues at
http://news.domusweb.it/89517
Budapest – Studio Iosa Ghini
Design a cinque stelle

BY
Five-star design

System: DUNE
Dopo il recupero, nel 2001, del New York After the renovation in 2001 of the New
Palace di Budapest, uno dei simboli York Palace in Budapest, one of the
culturali ed artistici della capitale cultural and artistic symbols of the
ungherese trasformato in hotel cinque Hungarian capital converted into a five
stelle, il Gruppo Boscolo ne ha affidato
l’ampliamento allo studio di Massimo Iosa
star hotel, Gruppo Boscolo has asked
Massimo Iosa Ghini to design an
Le fiere del mese
Ghini. A fianco dello storico edificio di extension. Alongside the historic four- Fairs of the month
quattro piani, sorgerà una struttura su storey building, a seven-storey
sette livelli, che oltre alle stanze construction is to be erected that will
dell’albergo ospiterà residenze, un house not only hotel rooms but also London, Great Britain Verona, Italy
auditorium di 500 posti, sale riunioni, residences, a 500-seater auditorium, 100% Design Abitare il tempo
Courtesy of Studio Iosa Ghini

ristorante e una galleria/centro meeting rooms, a restaurant and an 21.9.2006 – 24.9.2006 21.9.2006 – 25.9.2006
commerciale. Per dare vita ad interni arcade/shopping centre. In creating the www.100percentdesign.co.uk www.abitareiltempo.com
prestigiosi, l’architetto bolognese ha prestigious interiors, the architect from
optato per l’utilizzo di materiali sofisticati Bologna has chosen to use sophisticated
e tradizionali, come legno, ceramica e and traditional materials such as wood,
pelle, che impreziosiscono la fluidità ceramic and leather to enrich the fluidity
dell’involucro. E.S. of the building. E.S. Udine, Italy Milano, Italy
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14 domus Settembre September 2006 Settembre September 2006 domus 15

 Questi due signori italiani, belli, sorridenti, sono una madre – Evangelina – e suo
figlio, che tutti chiamano Puni.
Puni a Portofino è un ristorante proprio in vista del piccolo porto – very chic.
E Puni, figlio di Evangelina, da molti anni letteralmente ‘conduce’ il noto sofisticato
ristorante famoso per i piatti della classica cucina popolare ligure.
La cucina popolare ligure, come del resto gran parte dell’antica cucina popolare
italiana, è stata inventata dalle donne, madri, mogli, zitelle, zie. Donne silenziose
che si alzavano alle cinque, sei di mattina per preparare paste sfoglie,
focacce, lasagne, trenette, pesci, carni, brodetti, pesti, marinate e i soffritti che
danno sapore con basilico, prezzemolo, alloro, timo, salvia, rosmarino, aglio,
cipolle, limone, olive, acciughe – droghe povere. Quelle donne si alzavano molto presto
la mattina, quando gli uomini partivano per il mare.
Raccoglievano le erbe profumate nei vasi davanti alla porta di casa, sul davanzale
della finestra o forse anche lontano da casa, sulla collina. Avevano il mare negli occhi
e anche dentro le erbe profumate dai venti marini e cucinavano senza ferire il pianeta.
Forse anzi lo curavano. Preparavano il cibo come sommesso regalo alla vita.
Quelle donne sapevano molto della terra e del mare, sapevano delle albe e dei tramonti,
delle stagioni, dei venti e delle bonacce, sapevano degli spazi, degli odori, dei
colori, del caldo e del freddo, sapevano le misure del tempo. Cucinavano aspettando,
aspettando un giorno dopo l’altro non cucinavano nutrimento, cucinavano un dono.
Non sarebbe bello se anche gli ‘architetti’ avessero qualche sapienza profonda su
quello che c’è di vago, nascosto, consolante, prezioso sul pianeta, su quello che si
muove e vive per donarlo a noi che navighiamo sul mare lontano della vita?

These two good-looking smiling Italians are a mother – Evangelina – and her son, known
to everybody as Puni.
Puni in Portofino is a restaurant right in front of the little harbour – very chic. And
Puni, Evangelina’s son, has for many years literally “conducted” the well-known
sophisticated restaurant famous for its popular traditional Ligurian dishes.
Popular Ligurian cooking, like all traditional Italian popular cooking for that matter,
was invented by women, mothers, wives, spinsters and aunts. Quiet women who rose at f
ive or six in the morning to prepare puff pastry, focaccias, lasagne and trenette, fish,
meat, broths, pestos, marinades and the sautés that add flavour with basil, parsley,
bay laurel, thyme, sage, rosemary, garlic, lemon, olives and anchovies – poor drugs.
Those women got up very early in the morning, when their menfolk went out to sea.
The women gathered perfumed herbs from pots outside their front doors, on windowsills
or perhaps away from home, on the hillside. The sea was in their eyes and even in
the herbs perfumed by the sea winds, and they cooked without hurting the planet. In
fact, they may even have looked after it. They cooked food as a humble gift to life.
Those women knew a lot about land and sea, about dawns and sunsets, the seasons, winds
and calms, they knew about spaces, smells, colours, heat and cold, and they knew
the measures of time. They cooked while they waited; waiting day after day they did not
cook food, they cooked a gift.
Now wouldn’t it be wonderful if “architects”, too, had some of that deep wisdom to be
gained from all that is vague, hidden, consoling and precious about this planet,
about what moves and lives and could pass it on to us who sail the distant sea of life?

Portofino, 2000

Ettore Sottsass Foto dal finestrino Pictures from a window

16 domus Settembre September 2006 Settembre September 2006 domus 17
Jean Nouvel
Musée
du quai Branly

Dopo l’Institut du Monde Arabe e

la Fondation Cartier, Jean Nouvel
torna a Parigi: con un museo
ibrido, teatrale ed esotico
After the Institut du Monde Arabe
and the Fondation Cartier,
Jean Nouvel returns to Paris
with a hybrid, theatrical and
exotic museum

Testo di/Text by
Frédéric Edelmann
Intervista a/Interview with Gilles Clément
di/by Manuel Orazi
Fotografia di/Photography by
Paolo Rosselli
A cura di/Edited by
Rita Capezzuto
L’esotismo architettonico al servizio
dell’etnologia e del mercato dell’arte
Frédéric Edelmann
Ultimato assai precipitosamente, il Musée du quai
Branly ha ricevuto un’accoglienza calorosa da parte
del pubblico e dei media francesi; più che
negativa, invece, dalla maggior parte dei giornali
stranieri, specialmente quelli americani, tedeschi e
spagnoli. La stampa francese, impegnata da tempo
in un’operazione di comunicazione senza
precedenti, nel suo complesso si è mostrata assai
felice di potersi conformare ai consensi di
prammatica dei maggiori canali televisivi nei
confronti dei grandi eventi culturali ufficiali.
In un paese tutto sommato stanco e privo di
iniziativa, la nascita del museo è stata accolta con
una benevolenza ben lontana dall’ammirazione
stupefatta che aveva suscitato L’Arche de la
Défense, lo stupore distaccato di fronte alla
Bibliothèque François Mitterrand, il fatalismo
estetico dell’Opéra Bastille, la gioia lirica della Cité
de la Musique o il rispetto compassato concesso al
Grand Louvre.
Le Monde non ha fatto eccezione: al punto che,
senza arrivare a parlare di censura, si può pensare
che sia stata la foga generale a portare i redattori a
cancellare tutto ciò che avrebbe potuto conservare
il tono ironico di quel che resta la matrice del
presente articolo. Così, il titolo che avevo proposto,
“L’esotismo al servizio dell’etnologia” –
relativamente anodino, ma esplicito rispetto
all’aspetto regressivo del progetto nel suo insieme
– è stato sostituito con una sfilza di encomi, che
fanno bella figura sulla carta, ma la cui voluta
vacuità è stata a sua volta mascherata.
Pur nutrendo seri dubbi sul senso del museo,
criticando (severamente) l’impronta ibrida che
ispira la sua architettura, divertito dalla natura
estetizzante di una museografia che sembra
trovare le sue fonti di ispirazione
contemporaneamente nel prototipo etnografico
del Museo delle arti e tradizioni popolari (ora
chiuso), le fiere di antiquariato e il museo Grévin,
mi domando però da dove abbia origine la
virulenza dogmatica di alcuni articoli. Il museo non
era del tutto ultimato, in occasione della
presentazione alla stampa, e non lo era nemmeno
quando è stato inaugurato: ovvero la maggior
parte delle sezioni non era ancora visibile.
L’ambizione intellettuale del progetto non collima
con la tendenza generale ad aderire, fino alla
Pianta del livello -1 con l’auditorium/Plan of level -1 with auditorium
20 domus Settembre September 2006
volgarità, ai colori o addirittura alle forme
dell’haute couture, per lo più senza remore.
E, peggio ancora, alcuni di quei critici si sono
richiamati al “buon gusto”, alle norme
convenzionali, che si sarebbero fossilizzate ancora
una volta, dopo il passaggio ‘liberatorio’ di
Koolhaas, Gehry, Herzog & de Meuron... Una
norma fluttuante, come le forme che da essa
vengono legittimate, ma i cui confini sono
rigidamente definiti dalla distribuzione annuale
del Prizker Price.
Edificio ibrido, composito, colorato, misterioso e
gioioso, l’opera di Jean Nouvel si colloca
effettivamente fuori dal tempo e dai canoni usuali
dell’architettura contemporanea, come per
sottrarsi (la tecnica, anche se superata, ha
funzionato) alle reticenze, o addirittura ai rifiuti,
che così spesso accompagnano le espressioni più
radicali della modernità. L’architetto francese di
maggior fama vuole forse sfuggire alla critica,
diventando il Robert Hossein o il Luc Besson
dell’architettura? I suoi ammiratori si rassicurino:
anche in versione seducente e teatrale, Nouvel
resta sempre Nouvel. Mettendo a frutto però un
duplice movimento: da un lato, il pubblico si è
abituato alla sua gestualità, al suo modo di trattare
ogni progetto con un vocabolario nuovo e non
teme più la radicalità dell’ideatore dell’Opéra di
Lione, sapendo che è anche l’artefice della
limpidezza del Centre d’art di Lucerna; dall’altro
lato, l’architetto si è sbarazzato del suo gusto per la
provocazione, o meglio, nel caso del Musée du quai
Branly, l’ha rivestito di tutto ciò che costituisce il
portato della nostra epoca: l’ecologia, gli spazi
verdi, i giochi di luce, i materiali di volta in volta
grezzi, o hi-tech, e così via. Qui, a Parigi, il suo
disegno finisce col dissolversi nel fascino delle
savane tropicali e nell’atmosfera afosa delle foreste
equatoriali, anche se, da un punto di vista
geografico, l’obiettivo del museo è più ampio. Già
al di là della Senna, il museo sfugge allo sguardo, e
la sua immagine è (o sarà) smorzata dai filari di
alberi del lungofiume e del viale; poi, da un grande
schermo di vetro: una trovata che è piaciuta molto
alla Fondation Cartier di Boulevard Raspail. Una
seconda cortina di alberi, voluta nel giardino dal
paesaggista Gilles Clément, renderà col tempo
sempre più sfocata la vista dell’edificio. L’unica
parte a filo con il viale, abitata già da due anni dai
conservatori del museo e ricoperta da piante
rampicanti, rafforza il potere magico dei vegetali
nel camuffare l’edificio, come fa la vite o il glicine
dell’Europa settentrionale. L’edificio – dobbiamo Alle pagine 18-19: il muro in vetro (lungo 220 metri
rimproverarglielo? – risulta estremamente e alto 12) su quai Branly, analogamente a quello
della Fondation Cartier, protegge l’edificio dai
decorativo, come la scenografia di un teatro, che
rumori e crea un sipario di riflessi.
evoca l’atmosfera di tutta una pièce o di un’opera In questa pagina: il fronte principale del museo,
lirica. Ma, inserito com’è in una volta arborea arretrato rispetto al filo stradale e protetto da una
artificiale, ha anche la qualità paradossale di fascia di giardino, è caratterizzato da una serie
recuperare un’estetica esotica, che evoca di scatole aggettanti, differenziate per dimensione
e colore, create per ospitare particolari oggetti
moltissimo il passato coloniale, e dunque risulta dell’esposizione
gravato da un notevole peso storico, mentre
On pages 18-19: the glass wall (220 metres long, 12
dovrebbe limitarsi a essere il ricettacolo di oggetti
metres high) on the quai Branly, similarly to that
carichi di un loro simbolismo e portatori di certe of the Fondation Cartier, protects the building from
funzioni, al di là delle loro dimensioni formali. noise and erects a curtain of reflections.
Si può comprendere la volontà di riconciliare ( non This page: the main front of the museum, set back
fosse altro perché si è costretti a farlo) i supposti from the road and protected by a strip of garden,
is characterised by a series of jutting boxes.
sostenitori dell’antropologia pura e i supposti Differentiated by their dimensions and colour,
fautori dell’estetica di per se stessa. Ma va their purpose is to house particular exhibits
osservato che l’operazione nasconde (a fatica) gli
aspetti mercantili, classificabili, per quanto
riguarda la storia, nel registro del pittoresco, e
consacrati, attualmente, da una politica di
donazioni variamente consenzienti. Nouvel,
costretto a districarsi tra questi aspetti paradossali,
maneggia, senza ritegno, dal punto di vista
architettonico, ma con brio, dal punto di vista
scenografico, una miriade di tecniche derivate dal
mondo dello spettacolo e del museo
fantasmagorico, che incantano il pubblico:
schermi, riflessi, luci dirette e indirette,
penombre...
Fingendo, così, di lasciare il certo per l’incerto,
Nouvel non è vittima inconsapevole delle sue
scelte: conscio di dover rispondere a una domanda
complessa e geograficamente eterogenea, ci
consegna, sia per quanto riguarda l’interno che per
quel che riguarda l’esterno, un progetto
composito, in cui ogni parte conserva la propria
autonomia visiva, ma che nell’insieme si rivela
fittizio e forzato. Come, per esempio, le vetrate a
nord, appesantite da motivi vegetali e perciò
soggette a passare di moda quanto il motivo
decorativo di una tela cerata. En passant, si dedica
al saccheggio affettuoso del paesaggio parigino,
trafugando pezzi del lungo Senna – Palais de
Chaillot compreso – a uso e consumo dell’immensa
terrazza che costituisce la scelta architettonica del
tetto, e incastrando addirittura l’ectoplasma della
Tour Eiffel in una vetrina virtuale, o, in altre parole,
in una banale finestra.
Frédéric Edelmann, parigino, è il critico di architettura del
quotidiano Le Monde.

Attraverso la maglia metallica di una passerella,
la percezione dei volumi all’interno della corte rende
il complesso più sfuggente. A sinistra, in primo piano,
il volume che accoglie una lunga rampa di ‘iniziazione’
verso gli spazi espositivi; a destra, il parallelepipedo
con la libreria al piano terra e i laboratori del museo
ai piani superiori
Through the metal netting of a walkway, our perception
of the volumes inside the courtyard makes the complex
seem more fleeting. Left foreground, the volume that
incorporates a long ‘initiatory’ ramp towards the exhibition
spaces; right, the parallelepiped with the bookshop
on the ground floor, and the museum laboratories on
the upper floors
Architectural exoticism at the service
of ethnology and trade in art
Frédéric Edelmann
Completed under precipitate conditions, the
Musée du quai Branly was warmly received by
the French public and media, but very coldly
indeed by most of the foreign press, notably
American, German and Spanish. Having
embarked long ago on an unprecedented
communication campaign, the French press
revealed itself to be globally complacent in
rallying to the major televised media consensus
towards official cultural events. In a globally
hackneyed country unfit for the initiative, the
birth of the museum has therefore been received
with a benevolence far removed from the
surprised admiration aroused by the Arche de la
Défense, the icy astonishment elicited by the
François Mitterrand Library, the aesthetic
fatalism engendered by the Opéra Bastille, the
lyrical delight with the Cité de la Musique, or the
dignified respect for the Grand Louvre.
Le Monde was no exception to this trend. Indeed,
without actually stooping to censorship, the
prevailing mood induced its staff, technical or
editorial, to erase anything that might have
preserved the ironic tone of what remains of this
article. Thus I proposed what I thought was a
relatively anodyne, but explicit title, as far as the
regressive aspect of the overall project was
concerned: “Exoticism at the service of
ethnology”. It was removed in favour of a chorus
of praise that looked good in the article, the
voluntary silliness of which, however, was
effaced.
Doubtful about the sense of the museum, critical
(severely so) of its hybrid architecture, amused by
the aesthetic leanings of a museography that
seems to find its sources in the Musée des Arts et
Traditions Populaires (now closed), in antiques
fairs or in the Grévin museum, I nevertheless
found myself wondering about the dogmatic
virulence of certain reviews. The museum was
not really finished either at the time of the press
conferences or even at its inauguration, and
most of its exhibits were still invisible. The
project’s intellectual pretensions are ill suited to
Pianta del livello 1/Plan of level 1
its propensity as a whole to cling, to the point of
vulgarity, to the colours, and even the forms, of
high fashion. And worse still. In these criticisms
there is a call to “good taste”, to conventional
norms that have once again become fossilised
after the “liberating” passage of Koolhaas,
Gehry, Herzog & de Meuron… A wavering norm,
like the forms it authorises, whose limits are
adroitly defined by the annual distribution of
Pritzker prizes.
Hybrid, composite, coloured, mysterious and
joyous, Jean Nouvel’s building has in effect set
itself beyond the usual time and canons of
contemporary architecture, as if to escape (with a
successfull, although outmoded technique) the
reticence, the rejections even, that so often
accompany radical expressions of modernity.
Would the best-known French master avoid
criticism, were he to become the Robert Hossein
or the Luc Besson of architecture? Let his
admirers be assured: no matter how seductive
and theatrical, Nouvel is still Nouvel. But he
benefits from a twofold movement. On one side,
the public has grown accustomed to his tricks
and to his manner of applying a fresh vocabulary
to each new design. No need to fear the
radicalism of the Lyon Opéra any more, knowing
that he can also come up with the limpidity of
the Art Centre in Lucerne, Switzerland. And as for
the architect, he has shed his taste for
provocation, or to be more precise, as in the case
of the quai Branly he has donned all the
trimmings that reflect the taste of the period:
ecology, green space, the play of light,
alternately brut and high tech materials, etc. And
here, in Paris, his work ends up melting into the
lure of tropical savannahs and the steamy heat of
equatorial forests, even if geographically the
museum’s scope is wider. Already, from the
Seine, the museum escapes the eye. Its image is
(or will be) softened by the tree-lined
embankment and avenue, as well as by a large
glass screen – a device that scored a huge success
at the Cartier Foundation in Boulevard Raspail. A
second curtain of trees, planted by the landscape
gardener Gilles Clément, will, with time, further
blur the building’s image. The only part of the
building situated to the right of the avenue,
4
1 Edificio Branly/Branly building
2 Edificio Auvent/Auvent building
3 Edificio Museo/Museum building
4 Edificio Université/Université building
draped with creepers and already for the past
two years inhabited by the museum’s curators,
enhances the magic power of trees to disguise a
building, as Virginia creeper or wisteria do in
northern Europe. The building – and must we
blame him for it? – is formidably decorative,
inasmuch as theatrical décor can conjure up the
atmosphere of a play or opera. But, perched in
an artificial canopy, there is also this paradoxical
virtue of suggesting an exotic aesthetic, highly
evocative of the colonial past. And so it carries
the weight of history, while it is, or should, assert
itself as the receptacle for objects charged with
symbols and bearing functions beyond their
formal dimensions. One can understand the
desire to reconcile (albeit under constraint) the
supposedly pure tenets of anthropology and the
supposedly futile ones of aesthetics. But it has to
be noted that the operation (poorly) disguises
the classifiable mercantile aspects as regards
history in a picturesque mood, and the sanctified
ones when it comes to the present, through a
policy of diversely consenting donations. Obliged
to surf these paradoxes, without restraint in the
architecture, but with brio in its stage designs,
Nouvel handles a myriad of techniques imported
from the world of entertainment and from the
phantasmagoric museums that have so
bewitched the public: with curtains, reflections,
direct and indirect lighting, shadow…
Pretend though he may, Nouvel is not fooled by
his own choices. Aware of having to meet a
complex and geographically heterogeneous
demand, he outwardly and inwardly creates a
composite project. Each part of it retains its visual
autonomy, but as a whole it is feigned and
contrived, after the manner of its north
windows, heavily coloured with vegetal motifs,
and in this respect as outmoded as an oilcloth. In
passing, he fondly loots the Paris landscape and
spirits away the riverside scene, Palais de Chaillot
included, to satisfy the needs of the immense
terrace which “composes” the architecture of the
roof, and frames the ectoplasm of the Eiffel
Tower in a virtual showcase: an ordinary
window.
Frédéric Edelmann, from Paris, is architecture critic of Le Monde.
Settembre September 2006 domus 23
L’ala del corpo principale, elevata su pilotis, si piega verso il
giardino interno aperto al pubblico, disegnato dal
paesaggista Gilles Clément. Anche il ristorante situato sulla
terrazza del museo (a sinistra) è accessibile direttamente
dall’esterno, come omaggio alla città. Il segmento di edificio
che si apre con lamelle metalliche corrisponde alla zona della
mediateca, riservata ai ricercatori
The wing of the main building, raised on pilotis, leans
towards the inner garden, designed by the landscapist Gilles
Clément and open to the public. The restaurant, situated on
the terrace of the museum (left), is also directly accessible
from the outside, as a homage to the city. The segment of
building that opens with metal blades corresponds to the
mediathèque zone reserved for researchers
Una metafora in forma di giardino
Intervista a Gilles Clément di Manuel Orazi
Se c’è un pregio che accomuna i non molti giardini
realizzati da Gilles Clément, è quello di sollevare
domande. In ogni caso e in virtù dell’eterogeneità
a volte contraddittoria che caratterizza parchi
come l’André Citroën a Parigi, l’Île Derborence a
Lille e il Domaine du Royal, Clément teorico e
progettista non è facile da classificare (vedi Domus
n. 890, pp. 56-63). Forse l’aspetto più affascinante
della sua ricerca consiste nell’indagine della
natura secondo principi autenticamente globali, al
pari dei savant illuministi, quali Alexander von
Humboldt – naturalista e viaggiatore come
Clément. Concetti come Giardino planetario o Terzo
paesaggio, attorno ai quali ruotano quasi tutte le
sue opere dell’ultimo decennio, chiamano in
causa l’umanità intera e presuppongono il
movimento, come ha scritto Filippo De Pieri. (M.O.)
Manuel Orazi Qual è stata la ragione che ha spinto
Jean Nouvel a coinvolgerla nel progetto del
giardino del Musée de quai Branly? Se non sbaglio,
in passato lei ha progettato dei parchi, ma mai un
giardino per un edificio in particolare.
Gilles Clément Ho già avuto occasione di lavorare
con Jean Nouvel per il concorso (perso) dell’Opéra
di Pechino. Inoltre abbiamo lo stesso editore
(Tonka) e Jean conosce un po’ il mio lavoro. In
passato, ho avuto occasione di lavorare su dei siti
dove alcuni edifici di prestigio danno risalto allo
spazio. È il caso dei giardini di Valloires, davanti
alla grande abbazia cistercense; o i giardini di Bois,
davanti al castello, o ancora, i giardini davanti
all’Arche de la Défense.
Manuel Orazi Nel progetto di concorso del 1999 era
previsto per il giardino un semplice e piatto campo
di graminacee. Il progetto ha quindi subito
un’evoluzione radicale, sia dal punto di vista
altimetrico, sia da quello della varietà delle specie
vegetali. Può spiegarci perché si è modificato così
vivamente? In particolare che ruolo hanno avuto
Nouvel ed Emma Blanc, responsabile interno della
progettazione del giardino per l’atelier Nouvel?
Disseminati nel giardino, tanti ‘giunchi’ in plexiglas, progettati dall’artista Yann Kersalé, creano di notte un paesaggio di luci
bianche, verdi e blu. Disposti su dei leds, irradiano i loro colori, variandoli a seconda delle condizioni meteorologiche
Scattered across the garden, the numerous Plexiglas‘canes’, designed by the artist Yann Kersalé, create a landscape of white,
green and blue lights by night. Arranged on LEDs, they radiate their colours which vary according to the weather.
26 domus Settembre September 2006
Gilles Clément Né Emma Blanc – una mia ex
studentessa – né Jean Nouvel hanno avuto alcun
ruolo nella concezione del giardino. Ho dovuto
modificare i rilievi, aumentandone le dimensioni,
a causa di un’enorme cassa a tenuta stagna, molto
rialzata, che circondava tutto il giardino ed era
destinata a contenere il locale interrato per la
raccolta delle piene centennali della Senna.
Manuel Orazi I dislivelli del suolo del giardino sono
stati realizzati, oltre che con terreno di riporto,
anche con dei pannelli di polistirolo. Credo che
questa soluzione contrasti con i principi del suo
Manifesto del Terzo Paesaggio. Si è trattato allora
di un compromesso o semplicemente di un
adattamento tecnico?
Gilles Clément Il cantiere di questo giardino, nel
suo complesso, è in totale contraddizione con le
mie idee personali. Ho dovuto accettare le scelte
tecniche proposte per evitare un sovraccarico sulla
soletta dei collettori di raccolta sotterranei.
Manuel Orazi Lungo il lato opposto alla Senna il
suo giardino diventa uno stagno, arrivando a
incorporare alcuni elementi architettonici come la
ringhiera – che somiglia vagamente a un canneto
– e dà l’impressione di non essere una vera
barriera con l’esterno. Questa intenzione di
apertura, se c’è, l’ho trovata invece coerente con i
principi teorici del Manifesto, così come, sul lato
lungo il quai, l’aver piantato le felci secondo una
griglia a maglie larghe, in modo che in futuro vi
possano attecchire piante vagabonde. È così?
Gilles Clément Sì, è esattamente come dice.
Manuel Orazi Nel suo libro Le jardin en mouvement
(Sens & Tonka, 1994) il compito del giardiniere
consiste nell’organizzare un frammento di
qualcosa di più vasto. De Pieri ha notato in
proposito che spesso l’insieme dei paesaggi
possibili sembra bussare alla porta dei suoi
giardini. A quai Branly ritiene di aver realizzato un
frammento di quello che lei stesso chiama
“mescolanza planetaria”?
Gilles Clément Il discorso che tengo a proposito del
giardino del museo del quai Branly si riferisce a un
certo aspetto del Giardino planetario: tema che
avevo già affrontato nell’omonima mostra alla
Villette, nel 1999-2000. Ciò riguarda la diversità
culturale (non soltanto la diversità naturale) che
trova analogamente le sue origini nel meccanismo
d’isolamento geografico delle civiltà, le une in
rapporto alle altre. Ciò che qui mi interessa è poter
avvicinare l’attitudine rispettosa delle civiltà
animiste verso gli esseri naturali, e l’attitudine
moderna dell’ecologia che porta alle stesse
necessità: proteggere il nostro ambiente e ogni
essere che vi si trova. È per questo che ho utilizzato
alcuni simboli – come la tartaruga, molto presente
in tutte le società animiste – in modo tale da far
capire chiaramente che questo giardino si lega al
contenuto stesso del museo. Ho anche inserito nel
terreno degli elementi di vetro, nei quali si
possono intravvedere insetti, piante, conchiglie:
tutti esseri rispettati nelle società animiste,
essendo alcuni considerati elementi sacri, altri
decorazioni per le cerimonie rituali, altri moneta di
scambio.
Manuel Orazi Quanto tempo dovrà passare perché
si possa giudicare compiutamente il suo giardino?
Gilles Clément Dovranno passare circa cinque
anni, perché lo si possa capire; un secolo per
ottenere un bel risultato con le grandi querce.
Manuel Orazi Lei ha viaggiato molto, dal
Sudamerica all’Oceania, ovvero nei vastissimi
territori da cui provengono i manufatti conservati
nel nuovo museo. Pensa che l’impostazione
concettualmente aperta del suo giardino possa
costituire una metafora europea della circolazione
delle culture materiali o artistiche?
Gilles Clément Secondo me, le culture nate dalle
società animiste sono spirituali e non materiali. Il
materialismo, che in Occidente è al suo apogeo,
proviene da società che si sono staccate dalla
natura, l’hanno censita, e poi mercificata. Per un
indiano Yanomani, non si possono vendere l’aria,
l’acqua, l’erba. Questo giardino vuole, quindi,
valorizzare il pensiero animista e non quello di un
Occidente cieco.
Manuel Orazi è uno storico dell’architettura.
A garden metaphor
Interview with Gilles Clément by Manuel Orazi
If there is a quality which unites the not many
gardens designed by Gilles Clément it is that of
raising questions. In any case and by virtue of the
sometimes contradictory heterogeneity of parks
like the André Citroën in Paris, the Île Derborence
in Lille and the Domaine du Royal, Clément is not
easy to place as a theorist and landscape designer
(see Domus no. 890, pp. 56-63). Perhaps the most
fascinating aspect of his work is his scrutiny of na-
ture on the basis of authentically and literally
global criteria and principles, on a par with such
enlightened sages as Alexander von Humboldt,
another naturalist and traveller. Concepts like that
of the Planetary Garden and Third Landscape,
around which almost all his works of the past
decade rotate, call into question the whole of
mankind and presuppose movement, as Filippo De
Pieri has rightly written. (M.O.)
Manuel Orazi Why do you think Jean Nouvel ap-
proached you to design the gardens at the quai de
Branly museum? In the past you have done
projects for parks, but never a garden for such an
important building, right?
Gilles Clément I had already had occasion to work
with Jean Nouvel on the (lost) competition for the
Beijing opera. We also have the same publisher
(Tonka) so Jean knows something about my work.
In the past I have had occasion to work on sites
marked by certain prestigious buildings, such as
the Valloires gardens in front of the big Cistercian
abbey there, as well as the Bois gardens in front of
the chateau, and gardens for the Arch opposite
the Arche de la Défense.
Manuel Orazi In the 1999 competition project for
the garden, a simple flat lawn had been planned.
So the project later underwent a radical evolution,
from the altimetric point of view and in its variety
of vegetal species. Could you explain your reasons
for altering the design in such a major way? In
particular, what role did Jean Nouvel and Emma
Blanc (project director at Nouvel’s office) play?
Il giardino, esteso per 18.000 metri quadri, è un paesaggio con piccoli dislivelli, ricco di specie vegetali diverse
The garden, occupying an area of 18,000 square metres, is a landscape with slight changes of level and a rich diversity of vegetal species
Gilles Clément Emma Blanc (a former student of
mine) and Jean Nouvel played no role at all in the
conception of the garden. I had to alter the reliefs,
and I also had to exaggerate them due to the
creation of an immense and very conspicuous wa-
terproof caisson, which surrounded the whole
garden and served to protect the basement col-
lections against flooding from the river Seine.
Manuel Orazi The slopes were created by embank-
ments but also with polystyrene panels. I believe
this solution is in contradiction to the principles of
your Manifesto of the Third Landscape. Is it a com-
promise or more simply a technical adaptation?
Gilles Clément This garden site as a whole is a to-
tal contradiction to my ideas. I had to accept the
technical propositions in order to avoid putting
too much weight on the paving of the basement
collections.
Manuel Orazi Around the side opposite the Seine
your garden becomes a pond, and even incorpo-
rates certain architectural features, such as the
balustrade which vaguely resembles a wattle fen-
ce while giving the impression of not being an ac-
tual barrier against the exterior. On the other
hand, I found this intended openness very much
in keeping with the theoretical principles of your
manifesto, as is the idea of planting ferns and
bracken along the river embankment according to
the principle of a wide grid that leaves room for
wild plants in the future. Am I right?
Gilles Clément Yes, you are.
Manuel Orazi In your book Le jardin en mouve-
ment, the gardener’s aim is to organise a frag-
ment of something larger. De Pieri remarks that
very often the possible landscapes collectively
seem to come knocking at the door of your gar-
dens. In the case of the quai Branly, would you
say you have created a fragment of what you
yourself call a planetary intermixture?
Gilles Clément My approach to the garden of the
quai Branly museum is tied into a certain aspect
of the Planetary Garden: the one that I had tack-
led in the exhibition under the same name at la
Villette in 1999-2000; and which concerned cultu-
ral (and not only natural) diversity. This, too,
stems from the mechanism of civilisations’ geo-
graphical isolation from one another. What inte-
rests me here is being able to combine the re-
spectful attitude of ancient animist civilisations
towards the natural beings, with the modern at-
titude of ecology and its desire to meet the same
necessities: to protect our environment and all the
beings in it. That is why I have made use of a few
symbols – such as the tortoise, frequently found
in all animist societies – so as to let it be clearly
understood that this garden is linked to the con-
tents of the museum.
I have also let glass surfaces into the ground, in
which insects, plants and shells – beings respec-
ted by animist societies – can be observed. And
some of those creatures are indeed treated as sa-
cred, others as decorations for rituals, and others
still as forms of currency.
Manuel Orazi How much time will have to pass
before your garden can be fully judged?
Gilles Clément In about five years it will be com-
prehensible, and it will take a century to achieve
a pleasant result complete with large oak trees.
Manuel Orazi You have travelled very widely, from
South America to Oceania, across many of the va-
st territories from which the exhibits kept in the
new museum originate. Do you think the open
concept of your garden may constitute a European
metaphor for material or artistic cultures?
Gilles Clément In my view, the cultures relating to
animist societies are spiritual, not materialist.
Materialism, which is at its peak in the West, ori-
ginates from societies that have strayed from na-
ture, having discounted and then marketed it. For
a Yanomani Indian, air, water and herbs are not
for sale. This garden enhances animist thinking
and not that of the blind West.
Manuel Orazi is an architecture historian.
Settembre September 2006 domus 27
L’ambiente espositivo è estremamente composito, sia dal punto di vista spaziale che linguistico.
I livelli si sdoppiano e si articolano con l’inserimento di mezzanini, gallerie sospese, rampe e scale,
che moltiplicano lo spettro delle visuali. Tutto il piano principale del museo è percorso da un
elemento multifunzionale, una sorta di serpentone (252 metri) rivestito in cuoio naturale, che
funge da supporto per la segnaletica e per attrezzature multimediali, e da seduta (al centro della
foto). Sia questo singolare pezzo artigianale, dalle forme irregolari, che tutte le vetrine – ciascuna
realizzata su disegno – sono stati prodotti dall’azienda Unifor
The exhibition area is extremely composite, both from the spatial and the linguistic point of view.
The levels are split and articulated by the insertion of mezzanines, overhead galeries, ramps and
staircases, which multiply the spectrum of views. The whole of the museum’s main floor is marked
by a multifunctional element, a 252-metre-long serpent clad in natural leather. This serves as a
support for signage and multimedia equipment, and as seating (centre of photo). Both this
unusual artisan ‘piece’, with its irregular forms, and all the showcases, each made to special
designs, were produced by the company Unifor

Musée du quai Branly
Il progetto è il risultato di un concorso del 1999, voluto da
Jacques Chirac, per la creazione di un museo dedicato alla
storia delle culture extraeuropee. Il sito individuato è
particolarmente prestigioso: lungo la Senna, ai piedi della
Tour Eiffel, non lontano dal Palais de Tokyo, dal Musée d’Art
Moderne de la Ville de Paris e dalla Cité de l’Architecture et
du Patrimoine
The project is the result of a competition held in 1999, as
requested by Jacques Chirac, for the creation of a museum
devoted to the history of extra-European cultures. The
chosen site is particularly pretigious: along the Seine, at the
foot of the Eiffel Tower, not far from the Palais de Tokyo, the
Planimetria/Site plan Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris and the Cité de
l’Architecture et du Patrimoine
Localizzazione/Location
0 10 20 29-55 quai Branly, 222 rue de l’Université, Paris
m Mawurndjul, Judy Watson, Tommy Watson, Ningura Napurrula,
Committente/Client
Etablissement public du musée du quai Branly
Concessionario parcheggio/Car park licensee
SAEMES
Concessionario ristorazione/Restaurant licensee
ELIANCE
Concessionario libreria/Bookshop licensee
Réunion des Musées Nationaux
Progettazione architettonica/Architectural design
Progetto/Architect
Pianta del piano terra/Ground floor plan
Ateliers Jean Nouvel
Responsabili progetto/Project architects
Fase di concorso/Competition phase: Françoise Raynaud
Fase di studio/Study phase: Françoise Raynaud & Didier Brault
Fase di cantiere/Works phase: Isabelle Guillauic & Didier
Brault
Gruppo di progettazione/Design team
Fase di studio/Study phase: Frédéric Boilevin, Michel Calzada,
Cyril Desroche, Sylvie Erard, Edwin Herkens, Gerd Kaiser, Roland
Pellerin, Afid Rakem, Pierre Truong
Fase di cantiere/Works phase: Jalil Amor, Gian Luca Ferrarini,
Sezione A-A/A-A section
Sezione D-D/D-D section
Prospetto sud/South elevation
Sezione B-B/B-B section Prospetto nord/North elevation
30 domus Settembre September 2006
Consulenti/Consultants
Laure Frachet, Nick Gilliland, Karine Jeannot, Freddy Laun,
Jeremy Lebarillec, Philippe Monteil, Eric Pannetier, Florence Facciate/Facades: Arcora
Rabiet, Sophie Redele, Erwan Saliva, Andrés Souza Blanés y Second Œuvre: GEC ingénierie
Cortés Illuminotecnica museo/Museum lighting : Observatoire N° 1
Museografia/Museography Acustica/Acoustics: Avel acoustique
Fase di studio/Study phase: Reza Azard, Frédéric Casanova, Mia Scenografia/Art direction: Duck’s
Hagg, Eric Nespoulous, Matthias Raash Sicurezza/Security: Casso & Cie
Fase di cantiere/Works phase: Reza Azard, Jérémy LeBarillec Specialisti materie plastiche/Plastics specialists: Alain Bony &
Design e distribuzione/Design and layout Henri Labiole
Fase di studio/Study phase: François Xavier Bourgeois, Jérémy Segnaletica/Signage: Autobus Impérial, Hiroshi Maeda
Lebarillec, Marie Najdovski, Bertrand Voiron
Fase di cantiere/Works phase: Aurélien Barbry, Frédéric Imbert, Altri interventi/Other contributions
Jérémy LeBarillec, Sabrina Letourneur, Eric Nespoulous Organizzazione e coordinamento palificazione/Pilework
Paesaggio/Landscape organisation and coordination: ODM Gemo
Emma Blanc Sicurezza, prevenzione, salute/Health and safety: COSSEC
Grafica e colorimetria/Graphics and colorimetry Controllo tecnico/Technical controls: VERITAS
Natalie Saccu de Franchi
Modelli/Models Interventi artistici/Artwork
Jean Louis Courtois, Etienne Follenfant Artisti australiani nell’edificio ‘Université’/Australian artists in
Rendering concorso/Competition rendering the ‘Université’ building: Paddy Bedford, Michael Riley, John
Artefactory
Direzione lavori/Works supervision Gulumbu Yunupingu, Lena Nyadbi
Didier Brault & Pierre Crochelet: René Bencini, Guillaume Tendaggi,auditorium e area esposizioni temporanee/Drapery,
Besançon, Julien Coeurdevey, Ghazal Sharifi, Marcin auditorium and temporary exhibitions: Naoki Takizawa per/for
Woychechovski Issey Miyake
Estimo/Costing Rampa di accesso al museo/Museum access ramp:
Pierre Crochelet Trinh. T. Minh-Ha
Segreteria/Secretary Vetrata giardino/Glass garden: New Zeland
Cathy Jedonne, Anastasia Kaneva, Catherine Kapzak,
Sabrina Kettani Concorso/Competition
1999
Responsabile associato per la progettazione Costruzione/Construction
paesaggistica/Associate head of landscape design Dicembre/December 2002 - Giugno/June 2006
Acanthe: Gilles Clément Area terreno/Site area
Associato per interventi di scultura/Associate for scultural 25.100 m2
work Superficie lorda/Total area
AIK: Yann Kersalé 76.500 m2
Responsabile associato per il muro vegetale/Associate head Superficie netta/Net area
for the plant wall 40.660 m2
Patrick Blanc Costo costruzione/Building cost
¤ 204,3 milioni/million
Coautori specialistici/Specialist collaborators
Strutture/Structural engineering: Ingerop
Impianti/Services: OTH
Settembre September 2006 domus 31
Secondo le sue parole, Nouvel non ha voluto creare “una
roccaforte improntata alla catalogazione, ma una casa per gli
oggetti, che, con il loro potere emozionale, dialogassero tra
loro e con i visitatori”. Non un museo occidentale, dunque,
ma un “contenitore per ospitare il territorio dell’altro”, un
mondo ben distinto dalla nostra realtà. Nouvel ha chiamato
a collaborare per l’edificio Université anche alcuni artisti
aborigeni australiani
In his words, Nouvel did not want to create “a stronghold
inspired by cataloguing, but a home for objects, which, with
their emotional impact, would establish a dialogue among
themselves and with the visitors”. Not a western museum,
therefore, but a “container to house the territory of others”,
a world clearly distinct from our own. For the UniversIté
building, Nouvel also brought in a number of Australian
Aboriginal artists
Il muro di vegetazione che ricopre l’edificio affacciato su quai
Branly è stato concepito da Patrick Blanc, con 15.000 piante di
150 specie diverse. Tra i rampicanti fanno capolino le finestre
degli uffici (a destra), con serramenti in metallo
The wall of vegetation that covers the building facing the quai
Branly was conceived by Patrick Blanc, with 15,000 plants of 150
different species. Peeping out between the creepers are the
office windows (right) with their metal frames
Giovanna Silva Bogotá set

36 domus Settembre September 2006 Settembre September 2006 domus 37

38 domus Settembre September 2006 Settembre September 2006 domus 39
40 domus Settembre September 2006 Settembre September 2006 domus 41
42 domus Settembre September 2006 Settembre September 2006 domus 43
Mappa delle ciclorutas esistenti al 2005/Map of existing
ciclorutas, 2005
Testo di/Text by
(fonte/source: Instituto de Desarrollo Urbano; Enrique Peñalosa
elaborazione di/graphic modification by Guido Robazza, A cura di/Edited by
Simone Grobberio)
Rita Capezzuto

Ciclorutas
e/and Ciclovías
Le nuove piste ciclabili di Bogotá, in mostra alla Biennale
di Architettura di Venezia, sono uno dei progetti di riqualificazione
dello spazio pubblico nella capitale colombiana
Shown at the Venice Architecture Biennale, Bogotá’s new
bicycle paths are part of an extensive redevelopment plan for
the Colombian capital’s public areas

Mappa delle ciclorutas del Piano di Ordinamento

Territoriale, 2003/Map of ciclorutas in the city’s urban
community renewal programme, 2003
(fonte/source: Departamento Administrativo de Planeación
Distrital; elaborazione di/graphic modification by Guido
Robazza, Simone Grobberio)

Coi suoi quasi sette milioni di abitanti, Bogotá
era la tipica metropoli di un Paese in via di svi-
luppo. Una città afflitta da tutti i problemi legati
alla povertà, questioni con le quali i suoi abitanti
convivevano in un diffuso clima di impotenza. Poi,
qualche anno fa, la città ha adottato – con risul-
tati finora positivi – un modello radicalmente di-
verso: per prima cosa, anziché dar seguito a uno
studio della giapponese Cooperation Agency Tran-
sport, che proponeva la realizzazione di sette su-
perstrade sopraelevate, la capitale colombiana ha
optato per la creazione dell’eccellente sistema Bus
Rapid Transit, restringendo drasticamente, nel
contempo, l’uso delle automobili private durante
le ore di punta. Ha quindi investito i fondi rispar-
miati con la mancata realizzazione delle infra-
strutture viarie in quella che è stata battezzata
una città per la gente piuttosto che per le auto-
mobili: asili, scuole, biblioteche, parchi e pro-
grammi nutrizionali di qualità. Al centro del nuovo
modello è stato posto un radicale incremento
della qualità e quantità delle aree pedonali ur-
bane, quale mezzo per costruire qualità della vita
e inclusione sociale, o qualità dell’equità della
vita. I risultati, in termini di crescita dell’auto-
stima, dell’abbassamento del tasso di criminalità
e della soddisfazione dei cittadini, sono stati no-
tevoli.
Nell’ambito del progetto sono stati creati o re-
cuperati dal totale disfacimento più di cento parchi,
alcuni dei quali hanno comportato delle demoli-
zioni. Molte strade sono state pedonalizzate, rea-
lizzate centinaia di chilometri di marciapiedi di
qualità: rimuovere le auto da quelle banchine, sulle
quali erano state ricavate piazzole di parcheggio il-
legali, non è stato facile; ma alla fine persino i ne-
gozianti hanno ammesso che i nuovi marciapiedi
hanno portato un incremento della sicurezza, delle
vendite e del valore degli immobili.
In luogo di un’autostrada a sei corsie proposta
dallo studio giapponese – che si sarebbe dovuta
costruire attraverso la città lungo il corso di un tor-
rente – è stata realizzata una fascia verde di tren-
tacinque chilometri corredata di pista ciclabile, che
migliaia di persone usano ogni giorno per recarsi al
With nearly 7 million inhabitants, Bogotá
typified large cities of developing countries. It
suffered from all the problems derived from
poverty, including a feeling of hopelessness
among the population. Then, a few years ago,
the city adopted a radically different model
that so far has produced positive results. In-
stead of following Japan’s Cooperation Agency
Transport study, which proposed seven ele-
vated highways over the city, Bogotá opted for
a world-class Bus Rapid Transit system. This
was coupled with severe restrictions on the use
of private cars during peak hours, and funds
allocated to road building were redirected into
what has been called a city for people rather
than cars: quality nurseries, schools, libraries,
parks and nutrition programmes. At the cen-
tre of the new model is a radical expansion
and improvement of the city’s public pedes-
trian spaces, as a means to construct quality of
life and social inclusion, or quality of life
equality. The results in terms of increased self-
esteem, lower crime rates and citizen satisfac-
tion have been remarkable.
More than 100 parks have been created or
recovered from total decay, some requiring de-
molitions. Many streets have been pedestri-
anised, with hundreds of kilometres of newly
built quality sidewalks. It was extremely diffi-
cult to stop cars using the illegal parking bays
carved into the sidewalks, but ultimately even
shop owners admitted that the new sidewalks
improved safety, sales and real-estate values.
In place of the 6-lane highway through the
city proposed by the Japanese study, a 35-kilo-
metre greenway with bicycle paths was built
instead, which is used by thousands of people
who ride to work every morning. Similarly, a
high quality street reserved for pedestrians and
bicycles was built through the city’s poor
southwest neighbourhoods, where streets are
not yet even paved. This 23-kilometre Porvenir
promenade serves the transport needs of tens
of thousands, but it is also a sort of elongated
plaza for community gatherings and a power-

44 domus Settembre September 2006 Settembre September 2006 domus 45

Con il progetto delle Ciclovías, ogni domenica
vengono chiuse al traffico le principali arterie della
città, sulle quali si riversano due milioni di persone in
bicicletta: l'evento di questo tipo più grande al
mondo
lavoro. Attraverso i quartieri poveri a sud-ovest
della città, in zone tuttora prive di strade asfaltate,
è stato realizzato un percorso di ventitré chilome-
tri esclusivamente ciclabile e pedonale. La passeg-
giata del Porvenir non solo consente lo sposta-
mento quotidiano di decine di migliaia di persone,
ma è una specie di piazza allungata, che diventa
un luogo d’incontro per la comunità e un poderoso
simbolo del rispetto della dignità umana.
Fin dal 1982, di domenica Bogotá aveva chiuso
le strade per permettere alla gente di uscire in bi-
cicletta, fare jogging o passeggiare. Questa Ciclovía,
com’è stata ribattezzata, è stata estesa a 120 chi-
lometri di arterie urbane, che ogni domenica ven-
gono chiuse per sette ore. Con un referendum,
inoltre, è stata indetta una giornata senza auto-
mobili, che ogni anno bandisce l’uso delle quat-
tro ruote nel primo giovedì di febbraio. In questo
giorno tutti devono usare i mezzi pubblici, la bici-
cletta o camminare, eppure il 99% della popola-
zione svolge comunque le normali attività quoti-
diane.
Un ingrediente essenziale della nuova Bogotá è
rappresentato dalla rete di oltre quattrocento chi-
46 domus Settembre September 2006
The Ciclovías project calls for the closing of the city’s
main arteries every Sunday, attracting two million
people on bicycles and making it the biggest
phenomenon of its kind in the world
lometri di piste ciclabili fisicamente protette. Prati-
camente inesistente in passato, oggi la percentuale
di gente che si reca al lavoro in bicicletta tocca il
5%, pari a oltre 350.000 persone. Non solo le piste
garantiscono sicurezza ai ciclisti; hanno anche un
forte significato simbolico, perché stanno a indicare
che un cittadino con una bicicletta da trenta dollari
è tanto importante quanto uno con un’auto da
trentamila. In più, la maggior parte dei pendolari in
bicicletta risparmia il 10% del reddito usando le due
ruote anziché i mezzi pubblici.
A tutta prima pare frivolo parlare di spazi pub-
blici in una città nella quale gran parte dei pro-
blemi dei poveri rimane senza risposta. Tuttavia, lo
spazio pubblico può diventare un potente mezzo
per dimostrare il rispetto della dignità umana e per
creare una società più equa. Persone di posizione
socioeconomica diversa hanno relazioni personali
basate su separazioni di tipo gerarchico. Nello spa-
zio pubblico, invece, tutti i cittadini sono uguali.
È nel tempo libero che le differenze di ordine
economico si fanno più evidenti, e ciò risulta an-
cora più visibile nei paesi emergenti. Al lavoro,
tanto il dirigente quanto l’operaio di livello più
basso possono essere ugualmente soddisfatti o fru-
strati; ed è durante il tempo libero che le differenze
più macroscopiche si palesano: i più abbienti di-
spongono di una grande casa con giardino, di
un’auto, della seconda casa, di club, vacanze, ri-
storanti. I poveri, spesso nel mezzo della grande
città, non hanno alternative alla televisione né per
sé né per i figli. In questo senso, lo spazio pubblico
fa la differenza: marciapiedi, parchi, strutture spor-
tive, zone pedonali. Le aree pedonali di qualità
mostrano il rispetto per la dignità umana e contri-
buiscono a costruire equità e qualità di vita.
Enrique Peñalosa ha studiato economia e storia alla Duke
University (Durham, NC), e si è poi specializzato in Management e
Pubblica Amministrazione in Francia. È stato sindaco di Bogotá
dal 1998 al 2001. Durante questa carica ha implementato un
nuovo modello urbano, limitando l’uso delle auto e favorendo lo
sviluppo del sistema del trasporto pubblico e della rete di piste
ciclabili. Ha inoltre incrementato gli investimenti a favore di asili,
scuole, biblioteche e parchi. Negli ultimi cinque anni ha guidato
una piccola NGO, lavorando per migliorare la qualità della vita e
dell’ambiente colombiano. Vive a Bogotá.
Negli ultimi 10 anni è stato costruito un sistema di piste
ciclabili di 297 km, che interessa la maggior parte del tessuto
urbano, unendo il centro metropolitano con le aree di
maggior densità residenziale. Il Plan Maestro de CicloRuta
prevede nei prossimi 10 anni la costruzione di altri 301 km.
Attualmente è la rete più estesa dell’America Latina. Dal 2000
ful symbol of respect for human dignity.
Since 1982, Bogotá has closed its streets to
cars for 7 hours every Sunday. People come out
to ride bicycles, jog or walk along this Ciclovía,
as it is called, which extends for 120 kilometres
around the city’s main arteries. An annual Car
Free Day approved by referendum totally bans
cars from city streets on the first Thursday in
February. Everyone must travel by public
transport, bicycle or foot, and 99 percent of
people go about their daily activities as usual.
An essential ingredient of the new Bogotá
is a 400-kilometre network of physically pro-
tected bicycle paths. From practically nothing,
the number of people who travel to work by
bicycle accounts for 5 percent of trips, or more
than 350,000 people every day. As well as the
protection they offer cyclists, bicycle paths also
have an important symbolic meaning, demon-
strating that a citizen on a 30-dollar bicycle is
just as important as one in a 30,000-dollar car.
Furthermore, most cyclists save over 10 percent
of their income by not using public transport.
It may seem frivolous to talk about public
al 2003 gli utenti in bicicletta sono passati dall’1% al 16,2% neighbourhoods. The Plan Maestro de CicloRuta calls for
della popolazione urbana another 301 kilometres of paths in the coming 10 years. It is
currently the most extensive network of bicycle paths in Latin
Over the last 10 years, 297 kilometres of bicycle paths have America. Between 2000 and 2003, bicycle users grew in
been built throughout most parts of the city, connecting its number from 1% to 16.2% of the city’s total population
centre to the most densely populated residential
space in a city like Bogotá where the poor have Enrique Peñalosa studied economics and history at Duke
so many unmet needs. But public space can be University (Durham, NC), and later did graduate studies in
a powerful means to demonstrate respect for France in Management and Public Administration. He was
mayor of Bogotá from 1998 to 2001. He proposed and imple-
human dignity and create a more egalitarian
mented a new city model which included restrictions to car
society. When people of different socioeco- use and implementation of a quality bus system, bikeways,
nomic standing come into contact they are and investments in children's nurseries, schools, libraries
usually separated by their hierarchies, but in and parks. Over the last five years he has led a small NGO in
public space all citizens meet as equals. Bogotá which promotes more socially and environmentally
Wage differences are felt most acutely dur- sustainable urban models. He lives in Bogotá.
ing leisure time, especially in the developing
world. At work both the high level manager Si ringraziano per la collaborazione/With thanks to
and the lowest worker are equally satisfied, or Oscar Edmundo Diaz, Simone Grobberio,
dissatisfied, but an abysmal difference opens Juan Camilo Macías, Guido Robazza
up outside the working environment. The
higher income person has a large house with a
garden, a car, country houses, vacations, clubs
and restaurants.
For the poor living in the midst of giant
cities, public space is the only leisure time al-
ternative to television: sidewalks, parks, sports
facilities, pedestrian streets. Quality public
pedestrian space shows respect for human
dignity and begins to construct equality in
quality of life.
Settembre September 2006 domus 47
Lea Vergine Capri 2006: Capri 2006:
Pas de angoisse Pas de angoisse
A Ausilia Esposito Veneruso, Demetra caprese To Ausilia Esposito Veneruso, Capri’s Demeter

I T
cinque scrittori di lingua inglese (Nathan Englander, Zadie Smith, Jonathan contribuiscono anche sciami di gabbiani inquietanti perché grossi come aquile e he five English mother-tongue writers (Nathan Englander, Zadie Smith, here. The harmonious 17th-century ramp of the church of Santo Stefano is offended
Franzen, Jeffrey Eugenides e David Foster Wallace), invitati dal critico urlanti come neonati sotto colica. Jonathan Franzen, Jeffrey Eugenides and David Foster Wallace) step out onto and degraded by rows of tawdry geraniums as if it were a humdrum seaside resort
Antonio Monda a Tragara per una serie di incontri col pubblico, avanzano sul the belvedere at the Hotel Cesare Augusto (ex-Villa Bitter and ex-residence of (Mayor, Councillor!).
belvedere dell’Hotel Cesare Augusto (ex Villa Bitter, ex residenza del Principe Certo ognuno ha la sua bête noire preferita ma qui è difficile reggere. L’armoniosa the Russian prince Bulhac). For the past two generations the hotel has been owned
russo Bulhac, da due generazioni rilevata dalla famiglia Signorini che, nella rampa seicentesca della Chiesa di Santo Stefano è offesa e involgarita da file di by the Signorini family and is today run by Paolo, known as “the Prince” (who is Aside from the shapeless and opaque mass of bogus folklore that is by now a
persona di Paolo detto “il Principe”, nonché amico di vela di Massimo D’Alema, dozzinali gerani come fosse Varazze (Sindaco, Assessore!). also a sailing friend of Massimo D’Alema). Invited to Tragara by the critic Antonio universal affliction, one is struck by the enormous number of jewellers here (one out
la sovrintende oggi). I giovani autori di best sellers hanno appena il tempo di Al netto della massa informe e opaca di folklore fasullo che affligge ormai ogni Monda for a series of meetings with the public, the young, best-selling authors of every five shops). Bundles of diamonds, corals and turquoises, so big that one can
abbracciare con lo sguardo la sottostante villa di Tiberio, il mare blu, il cielo luogo c’è da rimarcare il numero enorme di gioiellerie (una su cinque negozi). only suppose they must be glass or plastic (with the sole exception of a shop named
scarcely have time to take in the villa of Tiberius below, the blue sea, the violet sunset
violetto per il tramonto, la punta estrema di Sorrento un po’ più in là, e zacchete! Diamanti, coralli e turchesi a mucchi e a mazzi, così grossi da supporre che siano sky and the tip of Sorrento a bit farther off, before one of the more sensitive among “Nostalgia”). Who buys these stones of a thousand and one nights? The posh right-
qualcuno più sensibile (l’ebreo, la giamaicana, l’irlandese?) ecco che ha bisogno di di vetro o di plastica (unica eccezione la vetrina di “Nostalgia”). Chi comprerà them (the Jew, the Jamaican, the Irishman?) has to cling to the railing and sit down to wing ladies, the transvestites from Rio, or the wives and daughters of the Camorra
reggersi alla ringhiera, di sedere, di bere un bicchiere d’acqua. Gli è (onore al queste pietre da mille e una notte? Le damazze di An, i travestiti di Rio, le spose e drink a glass of water. For here (let us honour maestro Collodi!) the concepts of that has taken hold here too (the islanders say Capri has become a “washing-
maestro Collodi!) che i concetti d’infinito e di assoluto qui, tra cielo e mare, si le figlie di quella Camorra che ha preso piede anche qui (i nativi dicono che Capri infinite and absolute, between sky and sea, are revealed to the point of machine” inasmuch as it launders), albeit with a touch of understatement compared
rivelano in modo fin imbarazzante. è diventata una ‘lavatrice’ in quanto ricicla) sia pure con un certo understatement embarrassment. Capri is an island, but first and foremost it is the Island. It is also a to neighbouring Ischia. All these glossy displays and glittering windows of would-be
rispetto alla vicina Ischia. Tutte queste vetrine e vetrate di luccicanti cafonerie si non-place (remember Thomas More’s Nova Insula Utopia, where the island is elegance are accompanied by branches of Moschino, Dolce e Gabbana, Prada, the
E poi Capri, prima ancora di essere un’isola, è l’Isola. È anche un non-luogo accompagnano alle succursali di Moschino, Dolce e Gabbana, Prada e chi più ne identified with the non-place?) invented by men: it is a form, and this form is a lot; a parody of Shanghai or Abu Dhabi. And to think that up until the 1980s those
(ricordate Nova Insula Utopia di Tommaso Moro che identificava l’isola con il ha più ne metta; una parodia di Shanghai o di Abu Dhabi. Pensare che per quelle closure, an exclusion. The island has its laws, different to those of the continent. The narrow streets were trodden by the creamiest society, eager to buy up the splendid
non-luogo?) inventato dagli uomini: essa è una forma, e questa forma è una stradine, fino agli anni Ottanta, da tutte le parti del mondo correvano le persone idea of an island has something anarchic and monastic about it that suggests handcrafted wares to be had there, from clothes and two-strip sandals to handbags,
clausura e un’esclusione. L’isola ha le sue leggi, diverse da quelle del continente. più raffinate a fare incetta di un artigianato splendido: vestiti, sandali a due exclusion and closure. While it can still even now be experienced as a mosaic of belts, bikinis and “sunsuits”.
C’è un che di anarchico e di monastico, un’esclusione e una clausura nell’idea di strisce, borse, cinture, bikini e ‘prendisole’. ruins, of remains from the Greek and Roman past, it is rarer to find difference and Where the sacred cross-roads of the Hotel Quisisana put a flutter in the heart of
isola. Se anche oggi si può viverla come mosaico di ruderi, di avanzi del passato Laddove il sacro quadrivio dell’Hotel Quisisana faceva battere il cuore di spleen, intolerance and isolation acted out against that backcloth. Cocteau, the island’s most famous inventor of footwear, and where Faruk and
greco e romano, è più raro che su tale sfondo si reciti ancora la diversità, lo spleen, Cocteau, il più famoso inventore di calzature dell’isola, davanti al quale Faruk e Simonetta Colonna di Cesarò once queued in obsequious composure, you will now
l’insofferenza e l’isolamento. Simonetta Colonna di Cesarò facevano la coda in ossequiosa compostezza, ora ci In any case “Ça fait rêver”, to be sure. A dream: but a dream is a dream, not an find only Germanic sandals, just like the ones sold by the orthopaedic stores at Ponte
sono solo i sandali di tipo germanico, gli stessi che si vendono dagli ortopedici di illusion. Prodigious, very beautiful, ghastly, populated by presences, to paraphrase di Legno. Only? Not quite, for also on display are the high-heeled version with
Ad ogni modo “Ça fait rêver”, si sa. Un sogno: ma un sogno è un sogno, non è Ponte di Legno. Solo? Ma no che ci sono anche quelli col tacco a spillo e Henry James on the subject of Capri. The island, however, has certainly not been leather orchids stuffed with strass, ready for the Russians! Ah yes, the Russians: not
un’illusione. “Prodigiosa, bellissima, orrenda, popolata di presenze”, scriveva l’orchidea di pelle farcita di strass pronti per le russe! Già, le russe: altro che Vera spared the cancerous spate of ghastly customs, nor the business of imitations of the Vera Idelson, Asja Lacis, and Katerian P. Peškova Gor’kij of bygone days, but the
Henry James di Capri. Tuttavia Capri non è certo rimasta indenne dal dilagare Idelson, Asja Lacis, e Katerina P. Peškova Gor’kij; queste sono le donne dei imitations that ultimately eats holes even into myths. Of course, one can no longer female hangers-on to shady Ukrainian, Tartar, Kalmuck, trans-Caucasian, Buriat
canceroso di costumi orripilanti né dal business delle imitazioni delle imitazioni faccendieri (o vory y zakone, alla lettera ladri nella legge) ucraini, tatari, expect the chic that enchanted aristocrats and intellectuals until the 1960s. and Baskir wheeler-dealers (o vory y zakone, literally: legal thieves). All the women
che, alla fine, tarla anche i miti. Certo non si può pretendere lo chic che incantava calmucchi, transcaucasici, buriati, baschiri. Tutte le donne di tanti compagni, On the Sirens’ rock, accompanied by the Faraglioni cliffs in one of the of numerous companions, with their high-rise heels for walking on the rocks, and
aristocratici e intellettuali fino agli anni Sessanta. tacchi vertiginosi sugli scogli e tanga e pepli-zanzariere con paillettes per andare al Mediterranean’s most mythic spots, the smarmy oaf who has succeeded in spending their tangas and peplum-mosquito-net flounces complete with paillettes for going
Sullo scoglio delle Sirene, con l’accompagnamento dei Faraglioni, in uno dei ristorante. Ma dove saranno (forse ce ne sono ancora) i grandi eccentrici, i hundreds and hundreds of euros on a pair of designer bathing pants promises his out to the restaurant. But where have the great eccentrics gone (or maybe there are
luoghi più mitici del Mediterraneo, il tamarro che è riuscito a spendere centinaia e dandies radicali, i perversi visitati dalla poesia che trascinavano per le strade e le playgirl (as she twitters into her cell phone and sells property in Nice): “If you keep still a few about)? Where are the radical dandies, the perverse visited by poetry who
centinaia di euro per una mutanda da bagno firmata promette alla sua playgirl dimore dell’isola l’ansia, il disfacimento delle loro vite, coloro che esploravano le your head screwed on, tomorrow I’ll take you to see Amalfi and Rovello”! once dragged the anxiety and ruination of their lives through the streets and houses
(che starnazza col cellulare, vendendo appartamenti a Nizza) “Se non scleri trincee politiche ed estetiche? And so the list of bravazzate, as Gadda would have called them, could continue. of the island, the ones that explored the political and aesthetic trenches?
domani ti porto a vedere Amalfi e Rovello”! Nowadays, at the “Canzone del mare”, the world-famous bathing establishment
Ma si può fare un elenco delle bravazzate (così direbbe Gadda). Alla “Canzone Tra i pochi rifugi, le librerie degli editori “La Conchiglia” (anche loro amici di opened in the late 1940s by the English singer Grace Fields, where Clark Gable and Among the few refuges are the bookshops of the publishers “La Conchiglia” (again
del mare” – il celeberrimo stabilimento aperto sul finire degli anni Quaranta dalla D’Alema), editori appassionati di raffinatezze novecentesche e precedenti su tutta Ava Gardner took great care to behave properly and to cover themselves decently, friends of D’Alema), passionate publishers of 20th-century and earlier refinements
cantante inglese Grace Fields, dove Clark Gable e Ava Gardner stavano molto la letteratura che attraversò l’isola, stampatori di tomi e quisquilie elegantissime e only over-sixty nymphs can be seen. Of every conceivable size and shape, they have from all the literature that crossed the island, printers of tomes and superbly elegant
attenti a comportarsi correttamente e anche a coprirsi giusto – solo ninfe note ormai in tutto il mondo. Capri Odio di Riccardo Esposito, per esempio, è un lips like rubber dinghies and their bodies are sheltered by panties so minimal as to scraps known by now the world over. Capri Odio by Riccardo Esposito, for
spudoratissime dai sessanta in su, di tutte le stazze immaginabili, con le labbra a piccolo manuale di giudizi e descrizioni dell’isola messo insieme con un occhio a make a G-string seem like a pair of shorts. Thrust upon the gaze of all innocents is the example, is a little manual of judgments and descriptions of the island, put together
canotto, riparate da uno slip così minimo da far pensare a un cache-sex come a Conrad, Dickens, Brecht, senza trascurare Gide, La Capria o Arbasino e vision of cross-eyed, slippery, rickety, rugged, stark and precipitous buttocks, plissés with an eye on Conrad, Dickens and Brecht, without neglecting Gide, La Capria or
shorts; e, quindi, alla portata di tutti gli innocenti, la visione di natiche strabiche, rivelando rarità imprevedibili come le impressioni nientepopodimeno del gesuita as in a tableau vivant painted by Bosch in a fit of depression. Further contributing to Arbasino and revealing unforeseeable rarities such as the impressions of a no lesser
sdrucciole, sgangherate, scoscese, sdrucite, dirupate, plissé come in un tableaux Daniello Bartoli (1608-1685) o quelle di Vernon Lee (1856-1935). Per ora, amici, the dismay are swarms of disquieting seagulls as big as eagles squawking like colicky figure than the Jesuit Daniello Bartoli (1608-1685) or those of Vernon Lee (1856-
vivant dipinto da Bosch in un momento di depressione. Allo sbigottimento “Pas de angoisse”. infants. Of course we all have our favourite bête noire. But they can be hard to bear 1935). For the time being, friends, “Pas de angoisse”.

Personaggi a Capri (da sinistra): Karl Wilhelm Diefenbach con i figli, Claretta ed Edwin Cerio in Piazzetta, la Marchesa Casati Stampa fotografata da Man Ray a un ballo dei Beaumont, cartolina degli anni Venti Clotilde Marghieri con il marito e Curzio Malaparte, Norman Douglas, Theodor Daübler, Benedetta, Fortunato Depero e Gilbert Clavel. Da Capri 1905-1940, a cura di Lea Vergine, Skira, Milano 2003
Eccentrics in Capri (from left): Karl Wilhelm Diefenbach with his children, Claretta and Edwin Cerio in Piazzetta, Marchesa Casati Stampa at a Beaumont’s ball photographed by Man Ray, a 1920s postcard Clotilde Marghieri with her husband and Curzio Malaparte, Norman Douglas, Theodor Daübler, Benedetta, Fortunato Depero and Gilbert Clavel. From Capri 1905-1940, edited by Lea Vergine, Skira, Milan 2003
Fotografia di/Photography by Sohei Yoshitake Fotografia di/Photography by Sohei Yoshitake

Barbara Agnoletto e Laura Mascino costruiscono

Progettare il committente
A cura di/Edited by
a Kobe, Giappone, una piazza dalla pelle ceramica Laura Bossi
Fotografia di/Photography by
Barbara Agnoletto and Laura Mascino construct
a square with a ceramic skin in Kobe, Japan
Koizumi Sangyo, Sohei Yoshitake Designing the client

Fotografia di/Photography by Sohei Yoshitake Fotografia di/Photography by Koizumi Sangyo Fotografia di/Photography by Sohei Yoshitake

50 domus Luglio Agosto July August 2006

 “Committente e progettista entrano in un rapporto
di seduzione reciproca che tende a immedesimarli.
Ma non è detto che ci riescano: per arrivare
all’immedesimazione, all’identità che non
si scioglie, il progettista deve ‘progettare’
il committente e viceversa, in un dialogo di intensi
confronti, il cui ricordo continuerà anche quando
si sono spenti”. Giancarlo De Carlo, Domus n. 873, 2004
Il concorso di architettura, spesso, si cala sopra le
aspettative di chi abita, o fruisce, un certo spazio
come un giudizio inamovibile: prendere o
lasciare. Nel caso di questa piazza in Giappone,
Barbara Agnoletto e Laura Mascino hanno capito
subito che il loro ruolo doveva mutare: prima di
tutto, dovevano “progettare il committente”. Per
diversi motivi: il concorso da loro vinto, grazie al
giudizio di una giuria internazionale di tecnici
‘puri’, era stato preceduto da una serie di
consultazioni popolari, di cui non si poteva non
tenere conto. In secondo luogo, il tema – una
piazza/monumento in memoria delle vittime
del terremoto che nel 1995 aveva colpito Kobe –
esulava dalla tradizione giapponese degli spazi
urbani.
Il comitato di quartiere, a prescindere dalle
autorità locali, è diventato il vero referente, un
committente che si è trasformato in un’entità
quasi privata, motivando dubbi e richieste di
cambiamenti. Come tale, però, doveva essere
avvicinato (e quindi ‘progettato’) all’idea della
piazza come luogo di fruizione collettiva. Il gesto
architettonico è semplice quanto efficace: due
piani, uno appoggiato sopra l’altro; quello
superiore piegato al centro per creare due solette
inclinate; un taglio come ingresso alla piazza. E
poi il colore: il piano inferiore è rivestito con una
pietra chiara, mentre quello superiore, modellato
nella parte più alta come il profilo di un’ala,
accende di un intenso blu cobalto la pelle
ceramica che riveste la sua superficie. Una scelta
che le progettiste, inizialmente dubbiose, hanno
saputo sfruttare come occasione creativa anche
nel disegno della piastrella: una sequenza di
bande parallele, lisce e bucciardate, che si
allargano e si restringono ritmicamente. Grazie
alla posa sfalsata, le lastre ceramiche fanno
vibrare la superficie di luci riflesse.
Sulla necessità di “progettare il committente”, le
progettiste raccontano che la piazza è diventata
un luogo di riferimento, sia di giorno che di notte,
con una fruizione del tutto spontanea. In un certo
senso, Agnoletto e Mascino hanno inoculato nella
metropoli Kobe-Osaka-Kyoto un virus benefico:
aspettiamo che si propaghi.
Fotografia di/Photography by Koizumi Sangyo
52 domus Settembre September 2006
“Client and designer enter a realtionship of
reciprocal seduction that tends to unify them.
But it is not a given that they will succed in
arriving at unification, at the un-melting identity.
The designer has to “design” the client and vice
versa, in a dialogue of intense confrontation,
the memory of which continues even after it has
faded away.” Giancarlo De Carlo, Domus no. 873, 2004
Often, architectural competitions descend on
the expectations of those who live in or use a
certain space as a fixed option: take it or leave
it. In the case of this square in Japan, however,
Barbara Agnoletto and Laura Mascino
immediately realised that their role had to
change. First of all, they had to “mould the
client”, for several reasons: the competition
they won thanks to the ruling of an
international panel of “pure” technicians had
been preceded by a number of public
consultations, which could not be ignored.
Secondly, the theme – a square/monument in
memory of the victims of the earthquake that
struck Kobe in 1995 – fell outside the Japanese
tradition for urban spaces.
Apart from the local authorities, the district
committee became the true referent, a client
that almost turned into a private entity, stating
the reasons for their doubts and requests for
changes. As such, however, they had to be
accustomed (hence the use of “moulded”) to
the concept of the square as a place of collective
fruition. The architectural gesture is as simple as
it is effective: two storeys, one resting on the
other; the upper one bent in the middle to
create two tilting slabs; and a cut serving as the
entrance to the square. Then there is the colour:
the lower floor is clad with light-coloured
stone, the upper one, modelled at the top in the
shape of a wing, enlivens the ceramic skin
covering the surface with a bright cobalt blue.
The designers, initially reluctant, also managed
to exploit this choice as a creative opportunity
in the design of the tile: a sequence of parallel
bands - smooth and pocked - that broaden and
narrow rhythmically. Because of the staggered
laying pattern, the ceramic slabs make the
surface vibrate with reflected light.
As for the need to “mould the client”, the
designers say that the square has become a
point of reference, by day and by night, with a
totally spontaneous use. In one sense,
Agnoletto and Mascino have injected a
beneficial virus into the Kobe-Osaka-Kyoto
metropolis. Let us wait for it to spread.
Canalina di raccolta/
Fotografia di/Photography by Sohei Yoshitake
Membrana impermeabile/
Proofing membrane Water collection
Canale/Channel
Strato di ciottoli di marmo di Carrara/
Carrara marble gravel level
Cisterna/Tank
Sistema di drenaggio dell’acqua, particolare costruttivo/Rainwater drainage system, construction detail
Grazie alla collaborazione con Yoshifumi Inokuchi (docente
presso la Kyoto University of Art and Design e, dopo il terremoto
del 1995, attivamente impegnato nella progettazione urbana
della città giapponese), il progetto di Piazza Italia è stato
sottoposto, in ogni sua fase, al giudizio degli abitanti del
quartiere di Rokkomichi. Hanno così approvato il prototipo
della piastrella (un grès porcellanato prodotto da Ceramica Del
Conca) e richiesto alcune modifiche. Per esempio, hanno
domandato che la piazza non fosse utilizzabile come pista per
skateboard. Le progettiste hanno ovviato tramite il disegno
delle canaline per l’acqua piovana
Thanks to collaboration with Yoshifumi Inokuchi (a professor
at the Kyoto University of Art and Design who has been
actively engaged in the Japanese city’s urban design since the
1995 earthquake), the inhabitants of the Rokkomichi district
were consulted at every stage of the Piazza Italia project. They
approved the prototype tile (porcelain stoneware
manufactured by Ceramica Del Conca) and requested certain
changes. For instance, they requested that the square should Plastico di studio/Study model
not be used for skate-boarding, something the designers
prevented by designing channels for the rainwater Sezione longitudinale/Longitudinal section
Piazza Italia, Kobe
Progetto/Architects
Barbara Agnoletto, Laura Mascino
Progetto esecutivo/Working project
Barbara Agnoletto, Laura Mascino, Heads Co.
Coordinatori/Coordinators
Renata Bizzotto, Yoshifumi Inokuchi
Direzione lavori/Works management
Rokkomichi-Minami Redevelopment
Anno di progetto/Design phase
2002-2004
Costruzione/Construction
2004-2005
Barbara Agnoletto
Nasce nel 1971, vive e lavora a Venezia. Si laurea in
architettura a Venezia nel 1999 con una tesi sulla laguna di
Venezia. Collabora con diversi studi professionali a concorsi
e progetti architettonici.
Born in 1971, Barbara Agnoletto lives and works in Venice.
She graduated in architecture from Venice in 1999 with a
thesis on the Venice lagoon. She works on competitions and
architectural projects with several practices.
Laura Mascino
Nasce nel 1968 a Brunico, vive e lavora tra Venezia e Brunico.
Si laurea in architettura a Venezia nel 1996 con una tesi sulla
città di Tokyo, relatore Bernardo Secchi e correlatore
Hidenobu Jinnai della Hosei University.
Born in 1968 in Brunico, Italy, Laura Mascino lives and works
in Venice and Brunico. She graduated in architecture from
Venice in 1996 with a thesis on the city of Tokyo, supervised
by Bernardo Secchi co-examined by Hidenobu Jinnai of
Hosei University. Planimetria generale/Site plan
Settembre September 2006 domus 53
In questa pagina, BLESS N°22, 2004:
Perpetual Home Motion Machines #3.
Transmitted privacy .
Pagina a fianco, BLESS N°28, 2006:
Climate Confusion Assistance.
Hammock 2 e Fur Signature Pin: Stylefree.
L’amaca di pelliccia è una variazione
sul tema dello stare sospesi:
variante invernale dell’amaca, è sottratta
all’immaginario etnico vacanziero
per inserirsi in un contesto urbano
This page, BLESS N°22, 2004: Perpetual
Home Motion Machines #3.
Transmitted privacy.
Opposite, BLESS N°28, 2006; Climate
Confusion Assistance. Hammock 2
and Stylefree Fur Signature Pin.
The fur hammock is a variation on the
theme of being suspended: it was
important to transfer the convenience
of a hammock into an urban wintery
context and to disconnect it from
a holiday-ethnic image

Usando il linguaggio dell’abbigliamento,

il gruppo Bless legge lo spazio, gli arredi, gli abiti,
nel loro legame strettissimo con la persona
Using the language of clothing, the Bless
group interprets space, furniture and clothes
in their very close link to people

A cura di/Edited by
Francesca Picchi
Testo di/Text by
Mario Piazza
Fotografia di/Photography by
Bless
54 domus Settembre September 2006 Settembre September 2006 domus 55
Una casa appesa
Le Bless possono sembrare a un primo sguardo
i più recenti emuli di un neo-dadaismo
o di un iper Nouveau Réalisme.
Quello che vediamo in questi progetti per un
arredamento domestico (o forse sarebbe meglio
considerarli un allestimento per le nostre case?
O un evento per la quotidianità?) è infatti
un procedimento di accumulo. Accumulo
di moduli compositivi presi a prestito dal corollario
del furniture design (brandelli funzionali per
l’angolo cottura o per la cabina armadio).
Accumulo di oggetti singoli, assemblati con
apparente disordine e con sapiente ricerca
di un asse equilibrante (specchi, piani,
mensole...). Accumulo di funzioni, anzi
sconfinamenti continui, sovrapposizioni audaci,
obliqui straniamenti (dove finisce la cucina e inizia
il living?). Questa, però, è solo un’apparenza,
dovuta allo stereotipo di quel processo dadaista
che ci fa sentire procedura praticata il ri-utilizzo,
il ri-uso, il ri-assemblaggio di cose. Cose senza
significato, cose rigettate, cose dimenticate. Ma
tutte cose vicine del nostro panorama urbano.
Nel profondo Bless vuole invece, a mio avviso,
andare oltre. Certo lo scenario è quello del
nomadismo e della instabilità abitativa, ma
il progetto non si adagia sul déjà-vu etnico.
Il nomadismo è interiore, è un cambiamento
di attitudine, non c’entra nulla con l’esotismo
e il romanticismo dei popoli lontani. È instabilità
programmata, è una necessità anche percettiva
e ambientale. Conseguentemente i progetti
di Bless, con cinica razionalità, dispongono
a un nuovo ordine incerto, costruiscono attorno
a un nucleo equilibrante e pensante non un
accumulo di cose, ma un tentacolare dispositivo
di protesi. Sono estensioni funzionali, sono
strumentazioni per rapidi cambiamenti di senso
dello spazio che avvolge il tempo della nostra
quotidianità. Sono le forme organizzate e visibili
della nostra propensione a un abitare molteplice,
dove gli spazi, piccoli o grandi, sono luoghi estesi,
naturalmente ampi. Sono deserti e praterie
innestati negli interstizi delle nostre metropoli.
Mario Piazza
BLESS N°22, 2004: Perpetual Home Motion Machines.
Transmitted privacy.
A suspended home
Bless may at first glance look like the latest
emulator of a neo-dadaism or hyper Nouveau
Réalisme.
What we see in these projects for a domestic
interior (or would it perhaps be better to treat
them as furniture for our homes, or an event
for everyday life?) is in reality a process
of accumulation. Accumulation of component
modules borrowed from the corollary of furniture
design (functional shreds for the kitchen corner
or for the walk-in wardrobe). Accumulation
of single objects, assembled with apparent
disorder and a skilful search for a balancing
alignment (mirrors, tops, shelves...).
Accumulation of functions, or rather continuous
trespassing, daring superimposition, and oblique
estrangements (where does the kitchen
end and the living room begin?).
This, however, is only an appearance, due to that
stereotyped Dadaist process which makes us aware
of re-utilisation and reuse, the reassembly
of things, as a practised procedure. Things without
meaning, things rejected and things forgotten,
but all of them close to our urban panorama.
In my view, deep down Bless wants to go further.
Of course, the scenario is that of nomadism
and habitative instability. But the project does
not rest on an ethnic déjà vu. Nomadism is inward.
It is a change of attitude, and it has nothing to do
with the exoticism and romanticism of far-away
peoples. It is a programmed instability, a necessity
that is also perceptive and environmental.
Consequently, with cynical rationality Bless’s
projects put forward a new uncertain order.
Around a balancing and thinking nucleus they
construct not an accumulation of things, but
a tentacular prosthetic device. They are functional
extensions, instruments for rapid changes in the
sense of the space that envelops the time of our
daily life. They are the organised and visible forms
of our propensity for a multiple living, where
spaces, large or small, are extended, naturally
wide places. They are deserts and prairies grafted
into the interstices of our metropolises.
Mario Piazza
 Divise tra Berlino e Parigi, dove rispettivamente
risiedono, Desirée Heiss e Ines Kaag (creatrici
di Bless) hanno costruito rapidamente la propria
reputazione da quando il loro primo prodotto (una
parrucca di pelliccia riciclata) è stato scelto da
Martin Margiela per una delle sue collezioni più
celebrate (quella della stagione autunno/inverno
1998). Da allora – la parrucca segna il grado zero
dell’attività del duo e riporta infatti la sigla
Bless N°00 – Heiss e Kaag firmano le proprie
collezioni contrassegnandole con numeri
progressivi: ogni loro progetto è infatti un’edizione
limitata compresa tra 20 e 2.000 esemplari.
Per quanto presentino ogni anno la propria
collezione, l’attività di Bless non è chiaramente
riconducibile ad alcuna definizione disciplinare,
e le stesse Heiss e Kaag, malgrado si siano
incontrate durante gli studi di fashion design, non
BLESS N°26, 2005: Cable Jewellery. Cavi, spine, adattatori, prese multiple, fili per le ricariche dei cellulari sono indispensabili connessioni elettriche vissute come fastidiose interferenze:
impreziosite di perline, cristalli, trine e merletti, bordi di pelliccia, queste appendici indesiderate si tramutano in inusuali oggetti del desiderio si considerano stiliste, né amano rientrare in un
ambito disciplinare definito. Moda, arte, design,
architettura d’interni, fotografia, styling,
manifattura... Bless attraversa territori disciplinari
in genere separati ed è proprio questa capacità di
sottrarsi alle definizioni alla base della loro libertà
di spostarsi, seguendo il mutare dei propri interessi.
Nel caso della serie Design Relativators, la
collezione nasce dall’insofferenza verso la
caricaturizzazione di oggetti funzionali – come
semplici aspirapolvere o assi da stiro – che celano
la pura e semplice funzionalità con travestimenti
grotteschi che irrompono nelle nostre stanze come
una nota stonata. La funzione sembra per Bless una
difesa: il centro su cui costruire un’idea di neutralità
che è in realtà l’espressione di una ricerca che le
porta sempre a costruire un insieme instabile.
Un insieme pronto a cambiare per adattarsi ai
mutamenti del proprio ambiente, ad esserne parte
attiva seguendo ogni sopravvenuta modificazione.
La loro è quasi un’idea di travestimento che si
estende dall’abito all’architettura: come nel caso
di Perpetual Home Motion Machines, in cui i
mobili cambiano in funzione di chi usa i contenitori,
e l’utente è chiamato a usare il guardaroba
(il complesso di abiti e di accessori di cui ciascuno
dispone) quasi ad abbigliare il proprio spazio.
Da una naturale idiosincrasia per le rastrelliere
per vestiti (e, in generale, gli armadi) e dal
bisogno concreto di esporre i propri lavori, è nata
l’idea di creare dei pezzi d’arredo da sospendere
al centro dello spazio, invece che allinearli lungo
i muri. In questo modo anche il semplice atto
di organizzare gli elementi del proprio personale
guardaroba è un modo per costruire nuove
relazioni secondo un ordine nascosto dietro
l’apparente casuale accumulo.
Gli oggetti di Bless, gli abiti o gli accessori, sono
l’espressione di una funzionalità riconoscibile,
per quanto inattesa o insospettabile, di cui fare
uso per mostrare che il potenziale sovversivo,
BLESS N°26, 2005: Cable Jewellery. Cables, plugs, adaptors, multiple sockets and wires for recharging cell phones are indispensable electrical connections experienced as tiresome insito nelle cose, passa anche attraverso la
interferences: enriched with pearls, crystals, lace trimmings and fur edges, these undesired appendices become unexpected objects of desire definizione di un diverso rapporto d’uso.
Gli oggetti di Bless rappresentano infatti
un perfezionamento – o una sovrapposizione –
di elementi utili rispetto agli omologhi esistenti:
una sedia che è anche aspirapolvere, un abito che
è anche un coacervo di tasche... Il linguaggio della
funzione è, infatti, anche quello più immediatamente
comprensibile e condiviso da tutti.
Il punto di partenza di Bless è sempre un bisogno
personale, il che implica rimediare con quello che
si ha a disposizione al bisogno di sovvertire tutto
ciò che ci circonda e non ci piace, o non ci
soddisfa. Così anche le tecniche manuali sono
intese non tanto come il recupero di una
manualità perduta, ma piuttosto come un modo
per opporsi all’impersonalità dello standard, alla
sua facile deriva verso l’omologazione e, quindi,
alla possibilità di costruirsi da sé il proprio
ambiente di vita. F.P.
58 domus Settembre September 2006
Divided between Berlin and Paris respectively,
Desirée Heiss and Ines Kaag (the creators of Bless)
rapidly established their reputation with their first
product (a wig in recycled fur), which was chosen
by Martin Margiela for one of his most celebrated
collections (the 1998 autumn/winter season).
Bearing the name Bless N°00, the wig marked the
zero point of the twosome’s business and since then
Heiss and Kaag have signed their own collections
with progressive numbers. Each of their models
is in fact a limited edition of between 20 and
2,000 pieces.
Although they present a collection each year, Bless’s
business cannot be clearly traced to any particular
discipline. Indeed, even though they met during
their fashion design studies, Heiss and Kaag do not
think of themselves as fashion designers. Nor do
they like to be labelled under any particular field
(fashion, art, design, interior design, photography,
styling, manufacturing, etc.). Bless intersects
disciplinary territories that are generally separated,
and this capacity to escape labels forms the basis
of their freedom of movement. Meanwhile they
follow their changing interests and freely develop
starting points gained from encounters and from
the natural evolution of their work.
In the case of the Design Relativators series,
the collection springs from a dislike of caricaturing
functional objects – such as ordinary vacuum
cleaners or ironing boards – which hide their pure
and simple functionality under grotesque disguises
that burst inharmoniously into our rooms. Function
for Bless seems to be a defence: the core around
which to build an idea of neutrality. In reality
this is the expression of a search that always leads
them to construct an unstable whole. A whole ready
to change and adapt to changes in its environment,
to be an active part of it while following every
modification of the space. Theirs is almost an idea
of disguise, spanning from clothes to architecture
as in the case of Perpetual Home Motion Machines.
Here the furniture changes according to the user,
who is expected to use the wardrobe (the
assortment of dresses and other garments that each
person possesses) to clothe their spaces.
The idea of creating furniture to be suspended
at the centre of the space rather than lining
the walls sprang from a natural idiosyncrasy
for clothes racks (and for cupboards in general)
and from the real need to display their works.
This idea demonstrates how even a simple act
of organising the elements of our personal
wardrobe can be a way of displaying ourselves
and of constructing a hidden order behind
the apparent and casual accumulation.
The objects, dresses and accessories are in fact
always the expression of a recognisable
functionality, albeit unexpected and unpredictable.
Bless makes use of this to show how the subversive
potential inherent in things also passes through
the definition of a different user relationship.
Bless’s objects represent a perfecting – or
superimposition – of useful elements by comparison
to existing homologues: a chair-cum-vacuum
cleaner, a dress that is also a medley of pockets, etc.
The language of function is also the more
immediately comprehensible one, shared by all.
Bless’s point of departure is always that
of a personal need, which implies using what is
available to tackle the need to subvert the existing;
to subvert everything around us that we don’t like
or which dissatisfies us. Thus manual techniques are
understood not so much as a re-discovered manual
character, but as a way of contrasting the
impersonality of the standard, its facile drift
towards homologation, and hence the possibility
of building one’s own life environment.
F.P.
Settembre September 2006 domus 59
 Desirée Heiss, Ines Kaag
Bless è il nome che Desirée Heiss e Ines Kaag
hanno scelto per il progetto di collaborazione
avviato nel 1993 per operare nel territorio
intermedio tra arte, moda e design. Desirée Heiss
(nata a Friburgo nel 1971) si è diplomata presso il
dipartimento di Fashion dell’University of Applied
Arts di Vienna e vive e lavora a Parigi; mentre
Ines Kaag (nata a Fürth nel 1970) ha studiato moda
all’University of Arts and Design di Hannover
e vive e lavora a Berlino.
Malgrado le diversità dei campi affrontati, alcuni
temi ricorrono nel lavoro di Bless: una certa
fascinazione per il riciclo dei materiali, un grande
interesse per tecniche manuali come ricamo,
maglia e uncinetto, una particolare predilezione
per l’accumulo come pratica estetica, oltre che
una certa attitudine ad esercitare la decostruzione
delle cose che le porta a intervenire sulla materia
sezionandone dei frammenti.
Desirée Heiss, Ines Kaag
Bless is the name which Desirée Heiss and Ines
Haag chose for their joint project launched in 1993
to operate in the intermediate territory between
art, fashion and design. Desirée Heiss (born
in Freiburg in 1971) graduated from the
Department of Fashion at the University of
Applied Arts in Vienna. She lives and works
in Paris, while Ines Kaag (born in Fürth in 1970)
studied fashion at the University of Arts and
Design in Hanover. She lives and works in Berlin.
Despite the diversity of fields approached,
a number of themes recur in Bless’s work:
a certain fascination with the recycling
of materials, a deep interest in manual
techniques such as embroidery, knitting
and crochet work, and a particular predilection
for accumulation as an aesthetic practice, besides
an aptitude for exercising the deconstruction
of things which brings them to act on material
by sectioning fragments of it.

A sinistra, BLESS N°17, 2002:

Design Relativators. Wall. Il muro tessile cela
al suo interno un piano per sedersi.
Pagina a fianco, BLESS N°22, 2004: Perpetual Home
Motion Machines. Mirror Curtain.
La cortina-specchio fa parte della collezione
di contenitori-armadi in forma di mobile che
toccano il sottile confine tra pubblico e privato,
esprimendo una certa idea di neutralità come
qualità dell’arredo di adattarsi al contesto
e di mutare con il contenuto: gli abiti da riporre

Left, BLESS N°17, 2002: Design Relativators. Wall.

The textile wall hides a seat-surface inside it.
Opposite, BLESS N°22, 2004: Perpetual Home
Motion Machines. Mirror Curtain.
The mirror curtain is part of the collection
of container-cupboards in the shape of mobiles
touching the subtle borderline between public
and private, expressing an idea
of neutrality as furniture’s quality to adapt
to context and change according
to the contents: the clothes to be stored

60 domus Settembre September 2006


Dove può abitare un pugile sposato con una terrorista? Cosa
desidera una cuoca che – sulle Montagne Rocciose – convive
con un generale in pensione? A cosa aspira un parrucchiere
celibe, che ama spostarsi su un caravan?
Le combinazioni bizzarre, lo sappiamo, fanno parte della vita.
Eppure la nostra, in genere, la passiamo cercando
di controllarle e di limitarle. Nel nostro lavoro costruiamo
di continuo classi e relazioni ordinate, congrue, dove tutto
ha una logica immediata: un ricco chirurgo (con amante)
vive con la moglie in una villa piena di bei quadri, mentre
un giovane immigrato nullatenente abita nelle baracche
di una brutta periferia…
Ciò nonostante, la vita che studiamo, la vita di cui noi
architetti e designer disegniamo gli spazi, resta
tremendamente lontana dalle nostre tipologie; se ne infischia
delle nostre pretese di standardizzarla.
Il gioco di carte di Enzo Mari sembra dirci che le nostre città
non ospitano ‘tipi’ di abitare, ma infinite combinazioni
di pratiche e sentimenti, una diversa dall’altra, tutte
assolutamente logiche se si ha voglia di capirle.
E che le nostre classificazioni funzionano solo se le sappiamo
continuamente smontare, e poi rimontare, senza mai
considerarle davvero sostitutive alla vita stessa.
Enzo Mari sembra dirci che, per scoprire le imprevedibili
combinazioni della vita quotidiana e dei suoi spazi, abbiamo
bisogno del rigore sistematico di uno sguardo che accettando
il caso sappia scovare l’imprevedibile. Ma appunto, per
avvicinarci all’infinita varietà del mondo che sta là fuori,
abbiamo bisogno di rigore, di un metodo, di regole precise.
Come quelle di un gioco di carte.
S.B.
Domus offre ai suoi lettori la riproduzione delle carte
Where can a boxer married to a terrorist live? What does a
female cook who lives with a retired general in the Rocky
Testo di/Text by
Mountains want? What are the aspirations of a bachelor da gioco sull’abitare disegnate negli anni Settanta Francesco Librizzi
barber, who likes to travel by caravan? Bizarre combinations Fotografia di/Photography by
are, of course, da Enzo Mari e Paolo Gallerani per Danese. Le carte possono Cecilia Pirovano
a part of life. And yet, as a rule, we spend our lives trying to
keep those combinations under control.
essere ritagliate e usate. Il gioco riguarda le molteplici e A cura di/Edited by
In our work we continue to construct neat and tidy, imprevedibili identità di chi abita, stimola e rende più ricco Francesca Picchi, Salvatore Porcaro
l’approccio dei progettisti al tema dell’abitare
congruous classes and relationships, where everything fits
into an immediate logic: a rich surgeon (with lover) lives with
his wife in a large house full of fine paintings, whereas a
young immigrant who owns nothing lives in the disused
Domus offers its readers a reproduction of the card game about
sheds of an ugly suburb. living, designed in the 1970s by Enzo Mari and Paolo Gallerani
Nevertheless, the lives that we study, the lives whose spaces
we architects and designers design, remain tremendously far
for Danese. The cards can be cut out and used. The game
from our typologies; they couldn’t care less about our efforts concerns the many and unpredictable identities
to standardise them.
Enzo Mari’s card game seems to tell us that our cities do not of inhabitants, stimulating and enriching the architect
accommodate “types” of living, but infinite combinations
of practices and feelings, each different to the other and all
or designer’s approach to the subject of living
absolutely logical if we bother to understand them. It shows
us that our classifications are only feasible if we know how
to dismantle and reassemble them all the time, without ever
treating them as real substitutes for life itself.
Enzo Mari seems to be saying that to discover the
unpredictable combinations of daily life and its spaces, we
need the systematic rigour of an outlook which, by accepting
chance, can dig out the unforeseeable. But that is the point: to
get closer to the infinite variety of the world outside we need
rigour, a method, and precise rules. Like those of a card game.
S.B.
A card
game
for making
the most
of the unexpected
in everyday
life
Mischiare
Mixing
identità
identities
Carte
da gioco
per
afferrare
l’imprevedibilità
della
vita quotidiana
Lettera a Pier Carlo Palermo,
Preside della Facoltà di Architettura e Società
del Politecnico di Milano
Riferimento è il gioco per bambini ‘Living’ che, in
forma totalmente aleatoria, determina le premesse
ambientali, umane, psicologiche e non istituzionali,
che ogni studente deve affrontare per ampliare
e qualificare il proprio orizzonte progettuale.
Il fine è riportare i giovani a sentire l’Architettura
come ARTE (come, in sostanza, è). Dove le tecniche
rimangono strumenti necessari e dove gli aspetti
economici e socio-culturali non sono valori,
ma condizionamenti inquinanti da risolvere
diminuendone i gradienti negativi.
Propedeutiche all’Arte dell’Architettura sono, da
un lato, il rilievo dei grandi Archetipi della sua
storia; dall’altra (l’esercitazione proposta),
l’acquisizione dei principi della prassi/teoria.
Il dominio della pratica è tale solo se ogni sua
manifestazione viene messa in dubbio dalla
modellizzazione di molteplici ipotesi alternative.
Il costo della miriade di modellizzazioni può essere
reso sopportabile riacquistando la capacità
manuale di rappresentazione: corrisponde al fluire
del pensiero (come è evidente dalla nostra
evoluzione filogenetica), ben più potente dei
trabiccoli elettronici, oggi così invasivi e inadatti
al processo di progetto.
Enzo Mari
Milano, giugno 2006
Il banditore, il mago e una stringa del caso
Un venerdì mattina Enzo Mari entra in un’aula al
quarto anno del Politecnico di Milano. È venuto a
iniziare un esperimento con gli studenti. La
piattaforma comune sarà “Living – carte da gioco
per immaginare la propria vita”. È un gioco per
bambini progettato esattamente trent’anni prima.
Mari, in realtà, non è venuto per giocare. È venuto a
portare, nel formato di ottanta carte, una
comunicazione chiara e definitiva che riguarda tutti
quelli che faranno parte del gioco: il nostro destino è
di essere progettisti, non avremo altra possibilità
che esporci, con un progetto, alla molteplicità delle
occasioni.
Si inizia. Prima un paio di battute del Mari-
sornione. Un paio di aforismi del Mari-saggio.
Quindi, piena carica espressiva al gruppo scultoreo
di ciglia-barba-capelli e comincia il rito. Merlino, o
Darwin, estrae i mazzi di carte da una scatola. Li
dispone ordinatamente in sequenza di fronte a sé. Li
libera dagli elastici. Prende in mano le carte, alza lo
sguardo sul primo studente e, da lì in poi, chiama
uno a uno, quasi a dare la comunione, ed estrae la
sequenza: “Antonio, sei un meccanico, tua moglie
è…”. In un’atmosfera sacrale non senza ironia,
assistiamo alla messa in scena dell’evocazione della
nuova identità di ciascun partecipante. Il gioco che
abbiamo intrapreso ci costringerà a selezionare, a
ricordare, trarre conclusioni, ad allenarci. Così ci
64 domus Settembre September 2006
troviamo di fronte a queste carte senza alcuna
illustrazione che hanno soltanto un colore sul dorso
di ogni mazzo e un nome scritto in corsivo su
ognuna. Scarne perché il disegno è già, sempre,
progetto. Il gioco ci costringerà a raccontare la
nostra nuova storia, a innescare la relazione tra le
cose che il fato di carte ci ha assegnato, e, su questa
trama, a elaborare soluzioni alternative. Cercando
per tentativi le possibili soluzioni in un puzzle a
incastri molteplici. Prassi teoria. ‘IO’, di fronte a
tutto il resto.
“Vuole sapere cosa farei IO se fossi al suo posto?”.
È l’unica grande interfaccia che questo anziano
studente, come lui stesso ama definirsi, crea tra sé e
gli studenti più giovani che si trova di fronte.
Disegnare in corsivo
Il computer è bandito. Chi è ormai dentro al gioco
accetta le regole del Magister Ludi. Disegnare a
mano è in realtà il metodo di maggiore
immediatezza e sintesi che un progettista ha a sua
disposizione. La capacità di disegnare rapidamente
dà la possibilità di guadagnare tempo a favore
dell’elaborazione del maggior numero possibile di
combinazioni e modelli alternativi. I primi disegni
degli studenti sono schizzi piuttosto infantili. Molti
disegnano un ritrattino dei protagonisti della loro
storia. Il pugile con l’occhio pesto. Il
contrabbandiere con la mascherina. Segni di
un’iconicità quasi superficiale. Servono, forse, ad
affezionarsi al personaggio-alter ego-committente.
Man mano, però, e con una certa rapidità, gli
architetti sommersi cominciano a venire in
superficie: pugile vuol dire ring e contrabbandiere
mercato clandestino, merci specifiche, un territorio
su cui muoversi furtivamente e un rifugio con
determinate caratteristiche. Disegnare in corsivo,
quindi, e se necessario addirittura stenografando.
Occorre molto allenamento.
Davvero spiazzati tutti all’inizio. Ma altrettanto
motivati nel cercare di riguadagnare la capacità di
rappresentare le proprie idee: “Io credo che gli stessi
studenti si siano stupiti delle loro capacità. Dopo un
momento di impasse, disperato, quando hanno
capito che non avrebbero potuto usare il computer,
timidamente si sono messi in gioco e l’identità dei
personaggi, che avevano da far rivivere nel loro
progetto, è per tutti diventata una questione molto
personale, anzi, intima. E credo che in questo Mari
abbia veramente fatto centro!” (F.V.).
“Siete tutti castrati”
Nessun regolamento. Alcun vincolo reale. Solo il
codice delle carte. Il gioco ha soltanto dei vincoli
prossimi tra loro. Chi sei, cosa fai, con chi e in che
situazione ti sei cacciato. Bisogna solo tener conto,
senza esclusione, di tutte le variabili. Per una volta
prova a pensare che il tuo ambiente è il tuo vicino di
casa, mago, piuttosto che Milano e il suo
regolamento edilizio. Per una volta luoghi, storia e
piani elaborati su di essi non rientreranno tra le
condizionanti del progetto. Sembrerebbe una
facilitazione immensa. Invece, il punto di dispersione
più grande è il non saper progettare senza sapere
precisamente DOVE. Studenti troppo strutturati
forse. Sintomo di quella scuola che si fonda su regole
e che delle scienze si fa scudo. Quella scuola che ti dà
norme ‘prèt-â-porter’, piuttosto che strumenti
flessibili. Proprio qui si innestano le invettive di Mari
contro un certo mondo accademico, colpevole di non
produrre veri strumenti di conoscenza, ma di
arrancare attraverso il sapere, creando generazioni
di pensatori non liberi, ‘castrati’ dal loro stesso
sapere. Ma come pensa che i giovani debbano
formarsi? Davvero totalmente da soli di fronte
all’universo, a scegliere e creare modelli logici,
basandosi soltanto sul rigore del proprio
ragionamento? La guida per tutti, risponde, non
possono che essere i grandi capolavori dell’arte
e dell’architettura. Non i grandi maestri, ma le loro
opere migliori. Quei manufatti che hanno superato il
confronto con la storia, che sono rimasti al di là delle
contraddizioni del proprio tempo, oltre le miserie I live with I live with I live with
umane dei propri creatori e committenti. Mari parla
in sostanza dell’inevitabilità per l’arte di creare my parents my daughter seven daughters
monumenti, dove la pienezza del significato
coincide totalmente con la sua rappresentazione.
I grandi capolavori, sostiene, sono l’unica
realizzazione possibile dei dettati etici. La forma dei
valori di tutti gli uomini. “È il messaggio di Mari sul
rapporto fra etica e forma: la forma come medium
dell’etica; l’etica come fondamentale motivazione
della forma; la forma come possibilità
imprescindibile per il progettista di agire eticamente
nel mondo. È il lato più politico e radicale del suo I live with I live with I live with
insegnamento, direi quasi rivoluzionario nel
contesto contemporaneo” (C.P.).
five relatives a guerrilla three female friends
L’arte, la scienza e i due scimpanzé
Mari imposta il suo ragionamento in un rapporto
serratissimo tra alternative e soluzioni. Raccoglie i
dati del suo progetto molto scrupolosamente.
Comincia a creare relazioni tra le componenti in
molte direzioni. Scarta le variabili che ritiene
superflue e dà forma alle combinazioni più
significative. Poi le dispone tutte davanti a sé. Non
disegna mai su taccuini rilegati, ma soltanto su fogli
I live with I live with I live with
liberi, che possano essere esposti simultaneamente a
creare un macrodisegno dello stato di avanzamento
a conjurer a philosopher nobody
del suo ragionamento. Qui entra in scena la parte
più affascinante, ma sicuramente più ambigua, di
tutto il Mari-pensiero: il rapporto tra arte e scienza.
Come può un ragionamento basato sulla ‘necessità’
delle soluzioni scelte e scartate, basato sulla
convergenza univoca dal molteplice verso il
semplice, dalla ‘ridondanza’ verso il ‘monumento’,
fondarsi sulle scelte, del tutto arbitrarie, dell’artista?
Cosa garantisce che quelle scelte siano ‘giuste’? I own
Mari illustra il suo paradigma della scienza. Un I live with…
sapere che si basa su una ricerca specifica, che si a Ferrari
accumula linearmente e dove il metodo applicato è
documentato, dimostrabile e, quindi, riconosciuto
universalmente. Le scoperte scientifiche formano
Con l’occasione Danese ha deciso di rimettere in produzione il gioco LIVING
una base davvero oggettiva per la conoscenza. La Danese has taken this opportunity to put the LIVING game back into production
scienza come unica forma di sapere veramente
democratica. Mari non è indifferente al fascino di
tale meravigliosa oggettività. Imposta sempre
scientificamente i propri ragionamenti. Il più
rigorosamente possibile, almeno. Perché la
conoscenza con la quale l’artista è chiamato a I own I own I own
confrontarsi non è specifica, ma totale: è impossibile
da perseguire in termini oggettivi. Il percorso a big tree a bow a radio transmitter
conoscitivo comincia a costellarsi di decisioni
arbitrarie, di Sì e No assoluti che non possono essere
accettati immediatamente da tutti. Soluzioni
istantaneamente soggettive che proprio nei secoli
dimostreranno il loro valore. La validità della
propria FORMA. E per spiegare cosa è l’arte, o
meglio, come la si riconosce, Mari racconta un
aneddoto. La storia di una naturalista, che in Africa
osserva da tempo una colonia di scimpanzé.
Racconta le prime fatiche per farsi accettare dalla I own I own I own
comunità tra gli alberi, le prime confidenze, il
riconoscimento reciproco tra esseri di specie diverse,
a raven a helicopter a canoe
ma talmente simili da essere una metafora dell’altra.
Così dopo un po’ di tempo la ricercatrice si accorge
che due giovani scimpanzé si allontanano
sistematicamente dal rifugio tra gli alberi, al
crepuscolo, per tornare solo qualche ora dopo.
Incuriosita la scienziata decide furtivamente di
seguire i due. Prova a non perderli nel folto della
foresta e dopo un tragitto abbastanza lungo riesce a
raggiungerli. I due scimpanzé sono sulla cima di una
I own a collection I own
collinetta, seduti sul crinale a guardare la foresta che I own…
si perde sotto i loro piedi. Stanno guardando
l’enorme palla di fuoco del sole che tramonta. Nel
of disguises a cable
farlo si abbracciano. Questa, dice Mari, è l’arte.
Francesco Librizzi
✁

I live in I live in I live in

a one-room flat a twelve-room flat a villa

I live on I live in I live in

a farm a log cabin a tower

I live in I live in I live in

an atomic bomb shelter a caravan a big boat

I live in…
I live
where I was born
Con l’occasione Danese ha deciso di rimettere in produzione il gioco LIVING Con l’occasione Danese ha deciso di rimettere in produzione il gioco LIVING
Danese has taken this opportunity to put the LIVING game back into production Danese has taken this opportunity to put the LIVING game back into production

I live in the city I live in a small town I live in the country

I live in
I live in a forest I live on an island the rocky mountains

I live in Arabia I live in New York I live in…

✁
✁

My husband is My husband is My husband is

a teacher a chemist a fisherman
a school mistress a nurse a fishmonger
My wife is My wife is My wife is

My husband is My husband is My husband is

a farmer a factory worker a dancer
an animal rearer a weaver a fashion model
My wife is My wife is My wife is

My husband is My husband is
a fireman a thief I am a bachelor
a policewoman burglar I am a spinster
My wife is My wife is a

My husband
is a… My neighbour is
My wife is a… a scientist

Con l’occasione Danese ha deciso di rimettere in produzione il gioco LIVING Con l’occasione Danese ha deciso di rimettere in produzione il gioco LIVING
Danese has taken this opportunity to put the LIVING game back into production Danese has taken this opportunity to put the LIVING game back into production

My neighbour is My neighbour is My neighbour is

a mechanic a General a disagreeable person

My neighbour is My neighbour is My neighbour is

a pop singer a smuggler a foreign woman

My neighbour is My neighbour is
a bird breeder a pastry chef My neighbour is…

✁
✁

I am a doctor I am a mayor I am a painter

female doctor female manager sculptress
I am a I am a I am a

I am a farmer I am a mechanic I am a carpenter

countrywoman female factory worker female chef
I am a I am a I am a

I am a chauffeur I am a boxer I am a stationer

female lorry driver female animal tamer female photographer
I am a I am a I am a

I am a… My house is near
I am a… an oil refinery
Con l’occasione Danese ha deciso di rimettere in produzione il gioco LIVING Con l’occasione Danese ha deciso di rimettere in produzione il gioco LIVING
Danese has taken this opportunity to put the LIVING game back into production Danese has taken this opportunity to put the LIVING game back into production

My house is near My house is near My house is near

the motorway the supermarket the amusement park

My house is near My house is near My house is near

the prison a garden a monument

My house is near My house is near My house is near…

a polluted area a swimming pool

✁
✁
Con l’occasione Danese ha deciso di rimettere in produzione il gioco LIVING
Danese has taken this opportunity to put the LIVING game back into production
✁ Settembre September 2006 domus 73
Letter to Pier Carlo Palermo,
Dean of the Milan Polytechnic’s Faculty
of Architecture and Society
The reference is the children’s game called “Living”.
In a totally aleatory form, this game determines
the environmental, human, psychological and
non-institutional premisses that every student must
tackle in order to broaden and improve the quality
of their design horizon. The aim is to encourage
these young people to rediscover Architecture
as ART (which, after all, is what it really is): where
techniques remain necessary tools and economic
and socio-cultural aspects are not values
but pollutant conditioning factors to be dealt with
by decreasing their negative gradients.
The significance of architecture’s great historical
archetypes, and the acquisition of the principles
of practice/theory (the exercise proposed), are
the propaedeutic factors in the Art of Architecture.
Practical mastery only exists if doubts are cast on its
every manifestation by modelling multiple
alternative hypotheses.
The cost of myriad modellings can be tolerated by
regaining the manual capacity to represent:
corresponding to the stream of thought which is far
more potent (as is evident from our phylogenic
evolution) than the rickety electronic contraptions
that are today so invasive and unsuited to the
process of designing.
Enzo Mari
Milan, June 2006
Mari the game master, wizard and a game sequence
On a Friday morning, Enzo Mari enters a
classroom at Milan Polytechnic to initiate an
experiment with the students. The project is called
“Living: Playing Cards to Imagine Your Life”.
He conceived this children’s game 30 years ago, but
today Mari hasn’t come to play. With his 80
playing cards, he’s here to communicate a clear
and definitive message to everybody who will take
part in the game: in our destiny as designers, we
will have no choice but to expose ourselves, in our
designs, to the multiplicity of circumstances. So for
now, he is the creator of the circumstances, with
eight decks of cards.
The session starts with a few jokes by Mari the
sneaky, and then a few aphorisms by Mari the wise.
Now that his sculptural unit of eyebrows-beard-
hair is charged with expressive energy, the ritual
begins. Mari takes the decks of cards out of a box
and puts them down in order before him. Then he
takes the cards in his hands and calls the students
one by one, almost as if giving Holy Communion.
He draws the sequence of cards: “Antonio, you’re a
mechanic, your wife is a…”
In a sacred atmosphere that is not without irony,
we watch the staged evocation of each participant’s
new identity. The game we are undertaking will last
for some time, and could make or break us.
It will force us to choose, remember and come to
conclusions – a form of training. So we find
ourselves confronted by these picture-less cards,
with only a colour on the back of each deck and
a word on each card. They are plain because
drawings always imply that a design has already
been made.
The game will compel us to tell our new story and
establish a relationship between the things that fate
and the cards have assigned us. We begin to devise
alternative solutions along these guidelines. Our
search involves trying all possible solutions of this
multiple-result puzzle. Practice and theory. The
“Me” facing all the rest.
“Do you want to know what I would do in your
place?” It’s the only large interface that this elderly
student, as he likes to call himself, creates between
the younger students and himself.
Designing in cursive
Computers are banned. The students playing the
game go by the rules of the magister ludi. In truth,
drawing by hand is the most immediate and
succinct method that a designer has at his disposal.
The ability to draw rapidly saves time in laying out
a maximum number of combinations and
alternative models. The students’ first drawings are
rather infantile sketches. Many draw portraits of
their story’s protagonists: the boxer with a black
eye, the smuggler with a black mask. Graphic signs
with an almost superficial iconography. Perhaps it
would be useful to grow fond of one’s alter-ego
character-client. With fairly rapid progress, the
hidden architects steadily begin to surface: a boxer
means a ring, a smuggler means a clandestine
market, specific merchandise, an area to move
around in stealthily and a hideout with specific
qualities. This means designing in cursive, and if
necessary, even using shorthand. Much practice is
needed. At first everyone is truly caught unprepared,
but they are equally motivated to try and recover
their ability to portray their own ideas. “I think that
the students were surprised by their work and by
their abilities. After a moment of desperate impasse
when they realised they would not be able to use a
computer, they timidly got involved, and the
identity of the characters became a very personal,
even intimate issue. I think this is where Mari really
hit the bull’s eye!” (F.V.)
“You’re all castrated”
No rules. No real limits. No designated territory.
Only the code of the cards. The game only has limits
that are connected to each other. Who are you, what
do you do, with whom and in what situation are
you involved? You just need to take into account all
the variables, without any exceptions. For once, try
to think that your environment is your wizard
neighbour’s life, instead of Milan and its building
regulations. For once, places, history and the plans
that are based on them are not part of the project’s
conditions. That might seem like an immense
facilitation. But the point of greatest dispersion is
the inability to design something without knowing
WHERE. Maybe the students are too used to
structure, a symptom of a kind of school that is
based on rules and shielded by science. A school
that gives you prêt-à-porter norms rather than
flexible instruments. This is where Mari’s invective
against a certain part of the academic world has its
origins, which he blames for not producing real
tools of knowledge, but stumbling through it,
creating generations of un-free thinkers,
“castrated” by their own thought. So how does
Mari think a young person should be trained?
Confronting the universe alone to choose and create
models of logic, basing themselves purely on the
discipline of their own reasoning? Everyone’s guide,
he answers, can only be the great masterpieces of art
and architecture. Not the masters themselves, but
their best works. Those are the pieces that have
survived the test of time, that are still here beyond
the contradictions of their own times, beyond the
human misery of their creators and commissioners.
Mari is speaking substantially of the inevitability
of art to create monuments where fullness of
meaning totally coincides with its representation.
Great works of art, says Mari, are the only possible
realisation of ethical dictates. It is the form given to
values of all humankind.
“This is Mari’s message pertaining to
the relationship between ethics and form: form as
the medium of ethics; ethics as the fundamental
motivation for form; form as the inescapable
possibility for the designer to act ethically in the
world. This is the most political and radical side
of his teaching – almost revolutionary if considered
in the contemporary context.” (C.P.)
Art, science and two chimpanzees
Mari bases his reasoning on an extremely close
relationship between alternatives and solutions.
He gathers the data very scrupulously. He starts to
create relationships between the components in
many directions. He discards the variables that he
considers superfluous and gives shape to the most
significant combinations. Then he places everything
in front of himself. He never draws in bound
notebooks, only on loose sheets of paper that can be
displayed simultaneously to create a macro design
of the progress in his thinking. Here is where the
most fascinating, but also the most ambiguous part
of Mari’s process comes into play: the relationship
between art and science. How can a train of thought
based on the “necessity” of chosen and discarded
solutions, on the unambiguous convergence from
multiple to simple, from “redundancy” to
“monument”, be based on the entirely arbitrary
decisions of the artist? What guarantee is there that
those decisions are the “right” ones?
Mari illustrates his science paradigm. Knowledge
that is based on specific research, that is
accumulated in a linear way, where the applied
method is documented, can be shown and therefore
recognised universally. Scientific discoveries truly
represent an objective basis for knowledge. Science
as the only fully democratic form of knowledge.
Mari is not indifferent to the attraction of this
marvellous objectivity. He always sets up his
reasoning in a scientific way – at any rate as
rigorously as possible – because the knowledge that
the artist is called upon to face is not specific, but
total: it is impossible to pursue in objective terms.
The cognitive route starts to be interspersed with
arbitrary decisions, with an absolute “yes” and “no”
that cannot be immediately accepted by everybody.
These are solutions that instantaneously become
subjective, and will demonstrate their value, the
validity of their form, in centuries to come. In order
to explain what art is, or rather how it can be
recognised, Mari tells us an anecdote. It is the story
of a naturalist who was in Africa for some time
studying a group of chimpanzees. It tells of her first
endeavours to gain acceptance from the forest-
bound community, their first exchanges, the
reciprocal recognition of belonging to species that
are different, yet so similar as to seem a metaphor of
each other. After a while the researcher noticed that
every evening two young chimpanzees had the habit
of leaving their shelter of trees, only returning a few
hours later. Intrigued by the regularity of this
occurrence, the scientist decided to follow the two
in secret to discover what they were doing during
their absence. Trying not to lose sight of them in the
dense forest, after a long walk she arrived at the
place of discovery. The two chimpanzees were
sitting on the crest of a hill with the forest stretching
out below them. They were watching that
enormous fireball, the setting sun. As they watched,
they embraced. That, says Mari, is art.
Francesco Librizzi

Istruzioni per l’uso
Il gioco riguarda le molteplici e imprevedibili identità
di chi abita, serve a stimolare e a rendere più ricco
l’approccio di chi progetta al tema dell’abitare.
Il gioco è composto da otto mazzi di carte di dieci carte
ciascuno, distinti per colore. Ogni mazzo corrisponde a
una diversa serie di situazioni attinenti il modo di vivere.
Ciascuna carta contiene una breve definizione della
situazione, ad esempio: la professione (sono un
sindaco/una direttrice, sono un falegname/una cuoca…);
l’abitazione (vivo in un appartamento di una o di dodici
camere, in una villa, una fattoria, una casa di tronchi
d’albero, un barcone…); il luogo (città, paese, isola,
New York,…) e così via per il vicino di casa, chi abita con
me, cosa possiedo… Una serie di riferimenti che, assunti
casualmente dal giocatore, lo pongono di fronte a
situazioni inaspettate e contraddittorie che devono
essere interpretate e messe in relazione tra loro nel modo
più libero.
Più si amplia la combinatoria e le storie che ne nascono,
più questa casualità inventa la realtà. Basta mescolare le
carte, estrarle a caso e si configurano situazioni di vita
diverse da quelle alle quali il giocatore è avvezzo, talvolta
(ma solo apparentemente) paradossali. Il fine è quello di
favorire e ampliare l’autonoma capacità di riflessione del
giocatore mediante una ricca interrelazione di
riferimenti. Il significato del gioco, infatti, non sta
nell’interpretazione di una singola situazione, ma nel
confronto tra le diverse interpretazioni elaborate
successivamente dallo stesso giocatore o
contemporaneamente da più giocatori.
Il gioco non ha regole fisse.
Alcuni suggerimenti di gioco:
- Distribuire le carte casualmente, una per ogni colore
ad ogni giocatore, per un massimo di dieci giocatori che
ricevono, quindi, ciascuno otto carte di colore diverso.
- Le carte possono essere in parte scambiate mediante
contrattazione.
- Le interpretazioni possono essere orali, eseguite
mediante un disegno, pensieri scritti, disegni
commentati, momenti di animazione...
- I lavori realizzati possono essere confrontati,
scambiati, discussi e valutati collettivamente e, quindi,
conservati per formare una sorta di schedario visivo
della vita.
- Il gioco può essere usato in modo vario anche da un
solo giocatore; in questo caso i confronti sulle diverse
situazioni avverranno nella successione temporale delle
interpretazioni.
74 domus Settembre September 2006
Instructions for use
The game is about the many and unforeseeable identities
of people and their homes. The objective is to stimulate
and enrich the architect or designer’s approach to the
subject of living.
The game comprises eight packs of cards of ten cards
each, distinguished by their colour. Each pack
corresponds to a different series of situations relating to
ways of life.
Each card contains a brief description of the situation, for
example: my profession (I am a mayor/a woman
executive, I am a carpenter/a female cook, and so on).
The home (I live in a one-room or in a twelve-room flat,
in a villa, on a farm, in a log cabin, in a big boat, etc.), the
place (the city, the country, an island, New York, etc.), my
neighbour, what I possess, and who lives with me
constitute a series of references which, assumed at
random by the player, confront him or her with
unexpected and contradictory situations that have to be
interpreted and interrelated in the freest way.
The more the combinations and their ensuing stories are
enlarged, the more this randomness invents reality. By
shuffling the cards and picking them at random, different
and sometimes (but only apparently) paradoxical
situations are outlined in contrast to the player’s
customary lifestyle. The aim is to encourage the
broadening of the player’s autonomous capacity for
reflection by means of a rich variety of cross-references.
The meaning of the game does not in fact lie in the
interpretation of a single situation, but in comparing
different interpretations that are successively elaborated
by the same player or simultaneously by several.
The game has no fixed rules.
A few tips:
Deal the cards at random, one from each pack to every
player, for a maximum of ten players who each receive
eight cards of different colours.
The cards can be partly exchanged by negotiation.
Interpretations can be oral, drawn, written,
commentated drawings, moments of animation, etc.
The works produced can be compared, exchanged,
discussed and evaluated collectively and then kept to
form a sort of visual card index of life;
The game can even be used by a single player. In this case
the comparisons of different situations will occur in the
time order of interpretations.
“Living, esercitazioni a cura di Enzo Mari”
è un ciclo di lezioni interno al laboratorio di
progettazione urbanistica (prof. Stefano Boeri)
del corso di laurea specialistica della Facoltà di
Architettura e Società del Politecnico di Milano.
Durante gli incontri, Enzo Mari insieme a un
gruppo di giovani ricercatori (Francesca Cogni,
Donatello De Mattia, Isabella Inti, Anniina
Koivu, Francesco Librizzi, Cecilia Pirovano,
Salvatore Porcaro, Federica Verona) e a più
di 60 studenti di diverse nazionalità, hanno
ragionato e discusso di architettura a partire
da un gioco di carte inventato 30 anni prima.
Una volta definita la nuova identità, ottenuta
combinando le 80 carte, ciascuno ha iniziato
il lavoro costruendo vere e proprie storie di vita.
Ha delineato i caratteri e le relazioni tra
i personaggi, il valore e il significato di luoghi
e oggetti, producendo scenari sempre più
complessi divenuti la base dei progetti
di residenze chiamati a sviluppare.
Senza poter utilizzare il computer gli studenti
sono stati obbligati a ragionare disegnando,
e a procedere per modelli alternativi via via
da mettere alla prova e verificare.
Alla fine ognuno ha prodotto un book
di disegni, pensieri e idee. Premessa per
un lavorodi architettura.
Questa esperienza (“Living, esercitazioni a cura
di Enzo Mari”, curato da Anniina Koivu) è online
sul sito: www.multiplicity.it/living.htm
“Living, exercises by Enzo Mari” is a cycle of
lectures in the urbanism workshop (Prof.
Stefano Boeri) for the specialist degree course at
Milan Polytechnic’s Faculty of Architecture and
Society. During these lessons Enzo Mari, with a
group of young researchers (Francesca Cogni,
Donatello De Mattia, Isabella Inti, Anniina
Koivu, Francesco Librizzi, Cecilia Pirovano,
Salvatore Porcaro, Federica Verona) and over 60
students of different nationalities, considered
architecture inspired by a card game invented
30 years ago.
Having defined the new identity by combining
the 80 cards, each student began constructing
veritable life stories by outlining the characters
and the relationships between them, as well as
the value and significance of places and
objects. This led to increasingly complex
scenarios which became the basis of projects
for the homes they were asked to develop.
Without being able to use a computer, the
students were obliged to reason by drawing,
creating alternative models that each had to be
tested and verified. At the end, each student
produced a book of drawings, thoughts and
ideas. As an introduction to a work of
architecture. This experence (“Living, exercises
by Enzo Mari”, edited by Anniina Koivu)
is online at: www.multiplicity.it/living.htm
Salvatore Porcaro
In alto Living, il gioco per bambini progettato in occasione
di un concorso – poi vinto – bandito da Architektur
und Wohnen, editato da Danese nel 1976.
Nella pagina a fianco, in basso: il lavoro di Enrico Forestieri,
uno dei molti elaborati degli studenti.
Nella pagina precedente, schizzi di Enzo Mari
per rappresentare lo schema di flusso del pensiero
e il processo prassi/teoria
Above, the children’s card game Living, which won the
competition set by the magazine Architektur und Wohnen
and edited by Danese in 1976
Opposite, below: Enrico Forestieri’s work, one of the many
student projects.
Previous page, sketches by Enzo Mari to represent the flow
of thought and the practice/theory process
 Zollverein School
Il primo edificio in Europa degli architetti giapponesi SANAA Fotografia di/Photography by
unisce la semplicità plastica all’alta tecnologia impiantistica Thomas Mayer
A cura di/Edited by
Sculptural simplicity and advanced engineering come Joseph Grima, Kayoko Ota
together in the first building to be completed in Europe by
Japanese architects SANAA

Prospetto est/East elevation
Prospetto ovest/West elevation
Un cubo perforato
Oltre a essere il primo progetto realizzato in
Europa dal duo giapponese Kazuyo Sejima
e Ryue Nishizawa (SANAA), la Zollverein School
of Management and Design è il primo
edificio completato sul sito della miniera di Zeche
Zollverein da quando, nel 2001, l’area è stata
dichiarata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO.
Situata nei pressi di Essen, in Germania, la Zeche
Zollverein è probabilmente il più importante sito
industriale in disuso d’Europa, un monumentale
assortimento di pozzi, cokerie e impianti di
lavaggio sparsi su un’area di svariate centinaia
di acri. Con l’esaurirsi della vena carbonifera,
l’attività della miniera era andata gradualmente
diminuendo, per cessare completamente
a metà anni Ottanta. Gli impianti sono rimasti
così in stato di abbandono fino a quando la
città di Essen, spinta da un rinnovato interesse
per il sito a livello internazionale, ha iniziato a
redigere dei piani per trasformare la Zeche
Zollverein in un centro per il design, l’architettura
e l’arte di primo piano a livello europeo.
Il progetto di massima per l’area, firmato da Rem
Koolhaas/OMA, ha conferito una nuova
funzione come spazio espositivo a gran parte
dell’architettura originale preesistente,
e la prima parte della rinnovata struttura che
ospitava l’impianto di lavaggio del carbone
è stata inaugurata in agosto in concomitanza con
la prima mostra della Zollverein, “Entry 2006”.
In questo paesaggio postindustriale color
78 domus Settembre September 2006
Prospetto nord/North elevation
Prospetto sud/South elevation
ruggine, la scuola di design progettata da
SANAA emerge come un punto di riferimento che
segnala l’accesso principale al sito, in una
posizione che sottolinea l’incontro tra i sobborghi
di Essen e la miniera. Si tratta di un cubo quasi
perfetto, un’estrusione della pianta di 35 x 35
metri (quattro piani più un giardino pensile, oltre
a due livelli sotterranei); gli architetti dichiarano
che era loro intenzione operare sulla scala quasi
monumentale degli edifici industriali circostanti
per stabilire una linea di demarcazione con
il tessuto suburbano di Essen. Nonostante la sua
semplice forma ortogonale, la scuola presenta
degli spazi interni estremamente diversificati nel
carattere: modulando le perforazioni
dell’involucro in cemento armato è stato infatti
possibile ottenere per ciascuna area
dell’edificio un maggiore o minore senso di
isolamento, penetrazione della luce ed
esposizione al paesaggio circostante. In aggiunta,
va sottolineato come non ci siano due piani
che presentino la stessa distanza d’interpiano.
Il primo piano, dove ha luogo la maggior
parte delle attività didattiche, ha ad esempio un
soffitto alto quasi dieci metri, e per quanto
una simile altezza possa essere considerata
superflua in un edificio scolastico, essa riflette il
desiderio di SANAA di creare un volume
generoso ed elegante per la produzione collettiva
e il confronto di idee.
L’involucro della scuola, realizzato con una
Di fronte: per ridurre al minimo lo
spessore delle facciate, gli architetti
hanno eliminato lo strato isolante nelle
pareti esterne. La temperatura interna
viene invece mantenuta costante da un
sistema di tubi incassati nel calcestruzzo
attraverso cui scorre acqua tiepida
proveniente dalla miniera
Opposite: to keep the facade as thin as
possible, the architects did away with
conventional insulation in the
building’s outer walls. Instead,
naturally available warm water is
pumped through pipes set into the
concrete, stabilising the internal
temperature
gettata di cemento armato chiaro, costituisce
inoltre il principale elemento portante
della costruzione. Gli spazi interni sono privi di
colonne, e l’unico supporto strutturale oltre
alla facciata è offerto dall’albero dell’ascensore,
dalle scale e da un paio di sottili colonne.
Al momento di decidere lo spessore
dell’involucro, gli architetti hanno dovuto
affrontare un vero rompicapo: dal punto di vista
estetico, desideravano infatti ridurlo al minimo,
e se strutturalmente era richiesto uno spessore
minimo di venticinque centimetri, che pareva
accettabile, l’aggiunta di materiale isolante e di
un secondo strato di cemento lo avrebbe quasi
raddoppiato. Tuttavia, in un’inusuale
combinazione di genio e fortuna il problema è
stato trasformato in un vantaggio. Si è scoperto
infatti che alcune miniere ancora operative
nelle vicinanze estraevano, da una profondità di
oltre 1.000 metri, una grande quantità d’acqua
a una temperatura naturale di circa 28°C. E così
gli ingegneri hanno deciso di sfruttare proprio
questa risorsa: nella versione finale del progetto,
l’acqua calda viene infatti pompata attraverso
tubazioni inserite nelle quattro facciate per
mezzo di un sistema simile a quello del
riscaldamento a pavimento, eliminando in tal
modo la necessità dello strato isolante.
Questa soluzione, sia nella realizzazione che nella
gestione, comporta costi minori dell’uso di
un normale isolante termico. JG
 0 5 10
m

K J

G H

Pianta contestuale/Site plan

E Zollverein School of Management

and Design
Essen, Germania/Germany

Realizzazione/Completion
Agosto/August 2006
C Destinazione d’uso/Programme
Scuola di design/Design school
Superficie coperta/Total floor area
7.350 m2
Area sito/Site area
14.694 m2
Committente/Client
Sezione/Section
Entwicklungsgesellschaft Zollverein GmbH
Architetto/Architect
Kazuyo Sejima + Ryue Nishizawa/SANAA
Progettisti/Design team
A. Reception Nicole Berganski, Osamu Kato, Andreas Krawczyk, Jonas
B. Caffetteria/Cafeteria Elding, Karen Schutz, Junya Ishigami, Hiroaki Katagiri
C. Auditorium Direzione lavori/Project manager
D. Spazio espositivo/Exhibition space Drees & Sommer
E. Aula studio/Working space Architetto locale/Executive architect
F. Area riposo/Lounge Dipl. Ing. Heinrich Böll Architekt BDA DWB,
G. Aule per seminari/Seminar rooms Dipl. Ing. Hans Krabel
H. Biblioteca/Library Ingegneria strutturale/Structural engineer
I. Sala conferenze/Conference room SAPS, Bollinger + Grohmann GmbH
J. Patio Ingegneria meccanica/Mechanical engineer
K. Ufficio/Office TRANSPLAN, TRANSSOLAR, Winter Ingenieure
L. Tetto-giardino/Roof terrace

B H
A C
D was declared a UNESCO World Heritage site in
Pianta piano terra/Ground floor plan
J K
J
I K
J J
J in August along with the Zollverein’s first
Pianta terzo piano/Third floor plan
A perforated cube
G
As well as being the first building to be
E completed in Europe by the Japanese duo
Kazuyo Sejima and Ryue Nishizawa (SANAA), the
Zollverein School of Management and
Design is the first building to be constructed on
the site of the Zeche Zollverein coalmine since it
H
2001. The Zeche Zollverein, located just outside
Essen, Germany, is perhaps Europe’s foremost
Pianta primo piano/First floor plan
industrial heritage site, a monumental array of
Pianta secondo piano/Second floor plan
mineheads, coking plants and coal-washing
units scattered over an area of several hundred
acres. As the vein of coal expired, the mine was
Di fronte, in alto: per suddividere gli spazi è stato
usato quasi esclusivamente il vetro in modo da gradually decommissioned and by the mid-80s
eliminare le barriere visive. Nelle pagine seguenti: it had ceased to function. The plant lay in disuse
una veduta del laboratorio al primo piano. Per dare until the city of Essen, spurred by the renewed
un senso di luminosità e spazio, le finestre vanno dal international interest in the site, laid out plans
pavimento fino al soffitto, alto quasi 10 metri
to transform the Zeche Zollverein into a primary
Opposite, above: to eliminate visual barriers, glass pole for design, architecture and art within
was used extensively where it was necessary to
L Europe. The masterplan for the site, drawn up
subdivide the space. Following pages: a view of the
first floor studio space. To create a sense of by Rem Koolhaas/OMA, restores much of the
luminosity and spaciousness, the windows reach site’s original architecture to functional use as
from the floor to the 10-m-high ceiling exhibition space; the first part of the newly-
restored coal-washing plant was inaugurated
exhibition, “Entry 2006”.
In this rusty-red postindustrial landscape,
Pianta tetto-giardino/Roof garden plan SANAA’s design school stands out as
a distinctive landmark signalling the site’s main
access point, an area where the suburbs of
Essen and the coalmine meet. It is an almost
perfect cube, an extrusion of the 35 x35 metre
floorplan (4 floors plus a roof-garden above
ground and 2 levels below ground); the
architects state that it was their intention to
operate on the almost monumental scale of the
surrounding industrial buildings to mark a
break with the finer suburban texture of Essen.
Despite its simple, orthogonal form, the school’s
interior spaces are extremely diversified in
character: by modulating the perforations of the
reinforced concrete shell it was possible to
achieve for each area of the building a greater
or lesser sense of enclosure, light penetration
and exposure to the surrounding landscape. In
addition, no two levels have the same floor-to-
ceiling height. The first floor, for example,
where the majority of didactic activities occur,
has a ceiling height of almost 10 metres.
Although this might be considered unnecessary
in a school, the architects’ desire was to
create a generous, lofty volume for the
communal production and debating of ideas.
The school’s shell, cast in pale reinforced
concrete, also constitutes the primary load-
bearing structural element of the building. The
interior spaces are almost entirely column-free,
the only structural support other than
the facade being offered by the lift-shaft, the
stairwells and a couple of slender steel supports.
When deciding the thickness of the outer shell,
the architects were faced by a conundrum.
From the point of view of aesthetics, their desire
was to reduce it to a minimum and structurally
they could make do with a thickness of 25
centimetres, which was acceptable. The
addition of insulation and a second layer of
concrete would have almost doubled the
thickness, but in an uncommon combination
of serendipity and ingeniousness the
setback was transformed into an advantage. It
was discovered that nearby operative
coalmines were extracting water in abundance
at a natural temperature of about 28°
centigrade from a depth of over 1,000 metres,
a resource the engineers decided to exploit.
In the final design, the warm water is pumped
through pipes set into the 4 facades using
a system similar to that of underfloor heating,
thus doing away with the need for insulation.
The overall cost of this solution, both
in terms of implementation and day-to-day
use, turned out to be lower than if
conventional insulation had been used. JG

82 domus Settembre September 2006 83 domus Settembre September 2006

Marco Belpoliti
D D
onald A. Norman, professore di computer science alla Northwestern
University, noto per aver pubblicato qualche anno fa un libro di discreto
successo, intitolato La caffettiera del masochista1, possiede una piccola
collezione di teiere composta da tre esemplari. La prima è stata progettata da
Jacques Carelman, un curioso artista francese: un oggetto inusabile e proprio
per questo affascinante. Stefano Bartezzaghi, studioso di giochi ed enigmistica,
che si è occupato degli “oggetti impossibili” di Carelman, nella postfazione a
una nuova edizione italiana degli Esercizi di stile di Raymond Queneau2,
mostra alcuni dei giochi visivi allestiti da Carelman per illustrare nel 1963
l’edizione francese del libro di Queneau: la retorica come parodia.
La teiera esibita da Norman è così: il beccuccio è dalla medesima parte
dell’impugnatura, e non si può versare il tè senza scottarsi la mano. La seconda
teiera posseduta da Norman è stata progettata da Michael Graves. Si chiama
Nanna ed è in apparenza goffa, di vetro trasparente, con un becco grande e
largo, e una impugnatura simile a una maniglia; contiene una piccola palla di
metallo al centro in cui mettere le foglie di tè: funziona abbastanza bene.
La terza, scoperta e acquistata in un hotel di Chicago, il Four Seasons, prevede
due posizioni: dritta, tiene il tè in fusione, inclinata all’indietro, appoggiata su
un piede ulteriore, esclude le foglie dall’acqua: strana e bizzarra alla vista, è
anche lei efficiente.
Cosa servono le tre teiere? Non certo per bere il tè, come ci spiega in Emotional
design3, dal momento che ogni mattina usa un’altra teiera, giapponese, che
non appartiene alla collezione, più pratica ed efficiente, e soprattutto molto
più facile da pulire. Norman tiene le tre teiere esposte nel vano di una finestra
di casa; gli servono per avviare le conversazioni con i propri ospiti quando lo
vanno a trovare. Delle tre teiere parla nelle prime pagine del suo libro per
spiegare tre differenti tipi di design: viscerale, comportamentale, riflessivo.
Il design viscerale riguarda l’aspetto esterno (la teiera Nanna); quello
comportamentale ha invece a che fare con il piacere e con l’efficacia dell’uso
(la teiera inclinata, e di nuovo Nanna). E il design riflessivo? È incarnato dalla
teiera di Carelman: ti fa pensare perché racconta una storia interessante.
Norman afferma di essersi interessato sin qui alla parte riflessiva del design
(La caffettiera del masochista), ora con questo Emotional design intende
attirare la nostra attenzione sull’aspetto emotivo. Il libro è divertente,
interessante e istruttivo come gran parte dei libri di Norman, ed ha il merito,
non banale, di farci scoprire, o meglio riscoprire, l’acqua calda: l’emozione è
altrettanto importante dell’efficienza, il lato ‘sentimentale’ di un oggetto conta
tanto quanto l’aspetto ergonomico. In una ricerca che Norman cita, effettuata
nel 1995, due ricercatori giapponesi hanno scoperto che gli sportelli
automatici del Sol Levante esteticamente piacevoli sono percepiti dagli utenti
come più facili da usare: la bellezza come chiave d’accesso. I padri fondatori
del design, gli inglesi dell’Art and Craft, chiosa Norman, l’avevano già
scoperto più di un secolo fa. Nel bancomat che uso più spesso, progettato di
recente da un famoso designer italiano per una grande banca del Nord, ci sono
due apparecchi identici che distribuiscono contante e fanno altre operazioni.
La tastiera di uno dei due, per un motivo che ignoro, non produce suoni nella
digitazione: è muta e silente. Quando entro per ottenere un po’ di contante, il
bancomat sonoro è già occupato: quando possono scegliere tra i due sportelli,
le persone preferiscono quello con il suono. Anche questo fa parte
dell’emotional design? Probabilmente sì.
Tra i pareri che Norman cita nel suo lavoro c’è anche quello di un ricercatore
del Media Laboratori del MIT: il design perfettamente centrato sull’utente
risulta sgradevole se è privo di un tocco artistico. Una verità che il design
italiano ha scoperto da molto tempo. Da Achille Castiglioni a Denis
Santachiara quello che gli oggetti Made in Italy possiedono è infatti proprio
questo elemento emozionale. La ragione profonda del successo del design
86 domus Settembre September 2006
Design
emozionale
italiano sta probabilmente qui. Da qualche tempo in Usa si assiste a una
riscoperta dell’intelligenza emotiva; le neuroscienze insistono sulla valenza
razionale delle emozioni (Damasio). Norman registra nel suo libro questo
cambiamento di paradigma. L’Italia, paese sentimentale per eccellenza, ha da
sempre praticato nel design questa strada maestra, spesso in antitesi o in
opposizione al disegno industriale razionalista di matrice nordeuropea, o al
rigorismo della corrente funzionalista. Ma anche questa è una storia vecchia,
che tuttavia Norman ignora (anche se sospetta che qualcosa del genere esista
parlando del colino per il tè di Stefano Pirovano o quando racconta lo
spremiagrumi di Starck, un francese che ha imparato parecchio dagli italiani).
Di più: gran parte degli oggetti progettati nel secondo dopoguerra in Italia
possiede un elemento affettivo, qualcosa che è più profondo e radicato dello
stesso aspetto emotivo.
Affettività: non c’è tavolo o sedia opera di designer italiano che non citi
qualcosa di tradizionale, anche quando lo rovescia nel suo opposto; la ‘cosa’
rimanda, in modo spesso segreto e recondito, al già-conosciuto. Funziona,
come scrive Norman, alla stregua di un riconoscimento di secondo livello
rispetto al primo, che è quello dell’emozione pura e semplice. Perché? Forse
perché viviamo in un civiltà ricca di storia, in un paesaggio fortemente
antropizzato? O forse perché ogni oggetto che maneggiamo possiede una
propria storia, perché rinvia a forme dell’artigianato locale? O ancora: forse
perché gli oggetti hanno dietro di sé una memoria a cui allude il design, anche
quando la forma che inventa vuole comunicare qualcosa di antitetico?
Gli oggetti Made in Italy si rivolgono a un consumatore che presuppongono
carico di attese culturali, anche quando è incolto o ignorante (e forse perché
prevedono questa discrepanza, contengono quasi sempre una dose di ironia).
Se “gli oggetti piacevoli svolgono meglio la loro funzione”, come titola un suo
capitolo Norman, quelli prodotti dal design italiano mettono sempre la
piacevolezza al primo posto. Forse sarà colpa del clima, forse del nostro
carattere nazionale, incline più alla commedia che alla tragedia (così s’intitola il
nostro poema nazionale: Divina commedia), o per via del nostro cinismo di
fondo, attitudine che si fonde bene con il sentimentalismo (ne è l’altra faccia)?
Oppure dipende dalla nostra eterna ricerca della gioia? Forse la ragione più
profonda riposa nell’infantilismo che, come ha osservato uno psicoanalista
tedesco, Ernst Bernard, vissuto a lungo in Italia, ha a che fare con l’attitudine
materna degli italiani. In Italia, nonostante duemila anni di cristianesimo, regna
ancora la Grande Madre mediterranea4. È a lei che probabilmente dobbiamo
l’istintività e la passionalità che trasmettono i nostri designer ai loro oggetti
d’invenzione, oggetti che hanno saputo – almeno sino ad ora – parlare a tutto il
mondo non solo il linguaggio dell’intelligenza (c’è anche questo), ma anche
quello della sessualità e del sentimento, dell’intrigo e della commedia, della
gioia e dell’angoscia, un linguaggio duale che non esclude il negativo, ma lo
inserisce in un gioco ludico che tiene a bada le potenze infere, come le ha
giustamente definite un altro psicoanalista junghiano, James Hillman5.
Note
1. Donald A. Norman The Design of Everyday Things, Basic Book, New York 1990 (tr. it. La
caffettiera del masochista. Psicopatologia degli oggetti quotidiani, Giunti Editore, Firenze 1996).
2. Stefano Bartezzaghi, “Come si diventa scritturanti. Effetti e transizioni negli Esercizi di stile”, in
Raymond Queneau, Esercizi di stile, Einaudi, Torino 2005.
3. Donald A. Norman, Emotional design, Basic Books, New York 2004 (tr.it. Emotional design,
Apogeo, Milano 2004).
4. Ernst Bernard, Mitografia, Adelphi, Milano 1969.
5. James Hillman, The Dream and the Underworld, 1979 (trad. it. Il sogno e il mondo infero, Adelphi,
Milano 2003).
Marco Belpoliti, saggista e scrittore, svolge attività giornalistica per quotidiani e settimanali. La sua ricerca
è orientata prevalentemente verso la letteratura italiana contemporanea, ma anche ai temi della percezione
visiva, l’arte contemporanea, il colore. Presso Einaudi ha pubblicato L’occhio di Calvino (1996), Settanta
(2001), Doppio zero (2003), Crolli (2005) e curato l’edizione delle Opere (1997) di Primo Levi.
onald A. Norman, professor of computer science at Northwestern
University, known for his publication a few years ago of a fairly successful
book, The Design of Everyday Things1, possesses a collection of three
teapots. The first was designed by Jacques Carelman, a curious French artist.
It is an unusable object and fascinating for that reason. Stefano Bartezzaghi, a
scholar of games and puzzles, has made a study of Carelman’s “impossible
objects”. In the updated preface to a new Italian edition of Raymond Queneau’s
Exercises in Style2, he reproduces some of the visual games devised by
Carelman to illustrate, in 1963, the French edition of Queneau’s book: rhetoric
as parody. The tea maker exhibited by Norman is of that kind: its spout is on
the same side as the handle, so the tea cannot be poured without burning one’s
hand. The second teapot possessed by Norman was designed by Michael
Graves. Called Nanna, it looks clumsy, in transparent glass with a big wide
spout and cumbersome handle. It contains a small metal ball at the centre in
which the tealeaves are placed; and it makes quite good tea. The third,
discovered and bought in a Chicago hotel, The Four Seasons, has two positions:
upright, it holds the tea during infusion; tipped backwards and resting on a
further foot, it separates the leaves from the water. Strange and bizarre to the
eyes, it too is reasonably efficient.
So what is the purpose of these three teapots? Not, certainly, for tea drinking, as
explained in Emotional Design3. Every morning in fact Norman uses another,
Japanese teapot, not in his collection. This model is more practical and efficient,
and above all much easier to clean. Norman keeps his three collector’s pieces
displayed on a windowsill of his home, and uses them to get conversations
started with his guests when they come to see him. He talks about the three
teapots in the opening pages of his book, to explain three different types of
design: visceral, behavioural and reflexive. Visceral design is about outward
appearances (the Nanna teapot); behavioural has to do with the pleasure and
efficiency of use (the tilted teapot, and Nanna once again). And reflexive
design? This is incarnated by the Carelman teapot, which sets you thinking
because it tells an interesting story. Norman says he has been interested to date
in the reflexive part of design (Design of Everyday Things), and now with this
Emotional design he wants to draw our attention to the emotional aspect.
The book is amusing, interesting and instructive, like most of Norman’s books,
and it has the unfamiliar merit of letting us discover, or rediscover, hot water.
Emotion, therefore, is as important as efficiency, and the “sentimental” side of
an object matters as much as the ergonomic one. In a survey conducted in 1995
and cited by Norman, two Japanese researchers discovered that aesthetically
pleasing cashpoints in Japan are perceived by users as easier to use: beauty as a
key to access. The founding fathers of design, those of the British Arts and
Crafts movement, comments Norman, had already discovered this more than a
century ago. In the cashpoint booth that I use most often, which was designed
recently by a famous Italian designer for a leading northern bank, there are two
identical automated teller machines. The keyboard of one, for reasons
unknown to me, emits no sound when pressed, but remains dumb and silent.
When I go in to withdraw cash, the other machine, the sound-emitting one, is
usually already occupied. So when people can choose between the two tellers,
they tend to prefer the one with the sound. Is this, too, part of emotional
design? Probably yes.
Among the opinions cited by Norman in his work is that of a researcher at MIT
Media Laboratories. Perfectly user-focused design is found to be disagreeable if
it lacks the artistic touch: a truth which Italian design discovered long ago.
From Achille Castiglioni to Denis Santachiara, what Italian-made products
possess is precisely this emotional element, which probably accounts for the
success of Italian design. For a while now in the U.S., there has been a
rediscovery of emotive intelligence. Neuroscience insists on the rational impact
Emotional
Design
of emotions (Damasio). And Norman records this change of paradigm in his
book. Italy, a sentimental country if ever there was one, has always upheld his
tenet of design, often in antithesis or opposition to the northern European type
of rationalist industrial design, or to the strictness of functionalism. But this is
an old story, which Norman however ignores (though one suspects something
of the sort may exist when he talks about Stefano Pirovano’s tea strainer or
describes the citrus squeezer by Starck, a Frenchman who has learnt a lot from
the Italians). Moreover, many of the objects designed in the period following
the World War II in Italy possess an affective element: something more deep-
rooted than the actual emotional aspect.
Affectiveness: there is not a table or chair by an Italian designer that does not
bring in something traditional, even when reversed into its opposite; where the
“thing” refers back, often in a secret and recondite way, to the already known.
It functions, as Norman writes, in terms of a second-level recognition compared
to the first, which is that of pure and simple emotion. Why? Perhaps because we
live in a civilisation with a rich history, in a sharply anthropised landscape?
Or is it that every object we handle has a story of its own, because it looks to
forms of local craftsmanship? Or again: perhaps it is because the objects have
behind them a memory to which design alludes, even when the form it invents is
meant to communicate something antithetical. Italian products cater to
consumers who are assumed to be full of cultural expectations, even if they are
uncultured or ignorant (and perhaps because this discrepancy is expected, the
products nearly always contain a dose of irony). If “pleasant objects perform
their function better”, as Norman titles one of his chapters, those produced by
Italian design always put pleasantness first. Could it be perhaps due to the
climate, or to the Italian national character, more inclined to comedy than
tragedy (as in the title of Italy’s national poem The Divine Comedy); or to Italy’s
underlying cynicism, an attitude that goes well with sentimentalism (being its
other side)? Or does it depend on the Italians’ eternal quest for happiness?
Perhaps the deeper reason lies in a reversion to childhood which, as observed by
the German psychoanalyst Ernst Bernard, who lived for a long time in Italy,
associates with the maternal attitude of the Italians. In Italy, despite two
thousand years of Christianity, the Great Mediterranean Mother4 still reigns.
It is to her that we probably owe the instinctiveness and passionateness which
our designers transmit to the objects of their invention. Those objects have
succeeded – at least so far – in speaking to the whole world not only the
language of intelligence (this too), but also that of sexuality and sentiment,
intrigue and comedy, joy and anxiety. This dual language does not exclude the
negative, but fits it into a game which wards off the underworld powers, as
another Junghian psychoanalyst, James Hillman5, rightly called them.
Notes
1. Donald A. Norman, The Design of Everyday Things, Basic Books, New York 1990 (Italian tr. publ.
by Giunti Editore, Florence, 1996).
2. Stefano Bartezzaghi, “Come si diventa scritturanti. Effetti e transizioni negli Esercizi di stile”, in
Raymond Queneau, Esercizi di stile, Einaudi, Turin 2005.
3. Donald A. Norman, Emotional Design, Basic Books, New York 2004 (Italian tr. publ. by Apogeo,
Milan 2004).
4. Ernst Bernard, Mitografia, Adelphi, Milan 1969.
5. James Hillman, The Dream and the Underworld, 1979 (Italian tr. publ. by Adelphi, Milan 2003).
Marco Belpoliti, essayist and writer, works as journalist for newspapers and weekly magazines. He mainly
focuses on contemporary Italian literature as well as visual perception, conteporary art and colours. He
has published with Einaudi L’occhio di Calvino (1996), Settanta (2001), Doppio zero (2003), Crolli
(2005) and he curated the edition of Opere (1997) by Primo Levi.
Settembre September 2006 domus 87
Crystal-clear public space Spazio
pubblico di cristallo Con il suo progetto per un edificio polifunzionale sulle Testo di/Text by
Taro Igarashi
colline di Onishimachi, Kazuyo Sejima usa la
Fotografia di/Photography by
trasparenza per giocare sulla percezione delle distanze Yoshiko Seino
Kazuyo Sejima’s design for a multipurpose building A cura di/Edited by
in the hills of Onishimachi uses transparency to play Joseph Grima, Kayoko Ota
on the perception of distances
Un dispositivo di cristallo che cambia le distanze
Taro Igarashi
A due ore e mezza di guida da Tokyo s’incontra
Onishimachi, piccola cittadina agricola in declino.
Kazuyo Sejima, progettista internazionalmente ri-
conosciuta ma ancora in attesa di poter realizzare
edifici di una certa entità a Tokyo, ha realizzato
nelle regioni più periferiche una serie di opere
pubbliche. Le colline di Onishimachi, risparmiate
dai bombardamenti americani della Seconda
Guerra Mondiale e neppure sfiorate dallo sviluppo
del dopoguerra (quello dell’era della rapida cre-
scita economica del Giappone), ospitano un pae-
saggio urbano tradizionale, di vecchie case. Nella
zona, non vi è alcun edificio moderno. Immagi-
navo che l’edificio polifunzionale Onishi di Sejima
sarebbe apparso completamente fuori luogo in
questo contesto, eppure finché uno non vi si trova
proprio di fronte, non lo nota; forse perché l’al-
tezza limitata dell’edificio si integra bene con i
tetti bassi delle case che lo circondano. Mentre la
maggior parte degli edifici pubblici in Giappone
mira a una statura simbolica (una volta, durante
la giuria di concorso per un museo regionale
d’arte, mi parve che tutti i giurati della zona vo-
tassero valutando l’altezza dell’edificio piuttosto
che la qualità del progetto), la scuola elementare
Onishi, alle spalle dell’edificio polifunzionale, ap-
pare più imponente se vista da lontano.
L’edificio polifunzionale Onishi riesce a mante-
nere, al di sotto del tetto piano, un’altezza ri-
dotta, grazie al fatto che i grandi volumi della pa-
lestra e dell’auditorium sono stati interrati; il li-
vello del piano terreno ha così un’altezza suffi-
ciente per offrire una buona visibilità agli spetta-
tori seduti. Questa scelta consente di avere un
maggior numero di spazi fuori terra meno vinco-
lati nelle funzioni e di essere più liberi nel defi-
nire la silhouette generale del complesso. Inoltre,
il posizionamento sotto il livello del terreno di
elementi che altrimenti avrebbero ostacolato la
visuale consente di utilizzare ovunque delle su-
perfici vetrate. Superfici che consentono una to-
tale trasparenza verso il grande spazio interno e
la sua struttura ibrida in legno di cedro locale e
acciaio. Questa articolazione così chiara permette
a un piccolo staff di operatori di sorvegliare pale-
stra e auditorium dagli uffici amministrativi del-
l’ala adiacente. Si tratta di una scelta spaziale si-
mile a quella di Gropius per il Bauhaus, ma che
ricorda anche alcuni aspetti della Neue National-
galerie a Berlino di Mies van der Rohe o della
Glass House di Philip Johnson. Ma mentre tutti
questi appaiono più dei templi di vetro, il centro
90 domus Settembre September 2006
polifunzionale Onishi è un fluido paesaggio di cri-
stallo.
Nei suoi lavori Sejima riprende gli spazi vetrati dei
modernisti, non tanto per la trasparenza in sé
quanto per la possibilità di modellare questa tra-
sparenza generando fenomeni diversi: gioca con
lievi variazioni di semi-trasparenza, aggiunge di-
segni geometrici, crea illusioni vicine alla optical
art. Nello Yokohama Mutsukawa Daycare Center
(2000) ad esempio, la facciata di vetro è stampata
con geometrie diverse tra interno ed esterno, che
creano un effetto moiré. Nell’edificio Dior di
Omotesando (2003), gli schermi di materiale acri-
lico a satinatura sfumata posti tra le due lastre di
cristallo creano invece l’effetto di drappi ondeg-
gianti. Allo stesso modo, la configurazione irrego-
lare del centro polifunzionale Onishi presenta una
sovrapposizione di cristalli tale per cui, a seconda
dei punti di vista, si hanno deformazioni variabili
della lussureggiante natura circostante; un effetto
visivo simile a quello dei padiglioni dell’artista
americano Dan Graham.
Uno dei riferimenti del progetto Onishi di Sejima
è il convenience store (kombini), il tipico nego-
zio che vende un po’ di tutto — dal cibo ad altro —
e che è stato citato come il nuovo modello archi-
tettonico giapponese, dagli anni Novanta in poi.
Aperto 24 ore al giorno, questa innovativa inter-
pretazione del negozio all’angolo non vende so-
lamente prodotti d’uso quotidiano ma offre an-
che terminali informativi e una gamma molto
ampia di servizi che vanno dal pagamento delle
bollette, all’ordinazione di libri, biglietti per
viaggi o concerti, oppure sportelli bancari auto-
matici. Presenti ovunque nel Giappone contem-
poraneo, i ‘kombini’ sono architettonicamente
caratterizzati da un ampio prospetto vetrato e co-
stituiscono una nuova tipologia edilizia che è in
qualche modo emblematica del nuovo stile di vita
giapponese. Toyo Ito ad esempio ha paragonato
la sua Mediateca di Sendai a un convenience
store mediatico. Riferendosi dunque non tanto
all’ideale modernista della fabbrica monofunzio-
nale bensì allo spazio vetrato accattivante del
convenience store, dove può aver luogo qualsiasi
cosa. Quando Kazuyo Sejima lavorava nello studio
di Toyo Ito fu soprannominata “Kombini Girl” per
la sua sensibilità e apertura innovativa e infatti
il centro polifunzionale Onishi è uno spazio di cri-
stallo ancor più aperto ed esposto del conve-
nience store.
Inoltre, a differenza della maggior parte delle
case e degli edifici pubblici giapponesi protetti
da muri, il centro polifunzionale Onishi dà un
colpo a questa tendenza verso gli spazi racchiusi
evitando qualsiasi tipo di recinto. Come nel Mu-
seo d’Arte Contemporanea del Ventunesimo se-
colo di Kanazawa (Domus 876, Dicembre 2004)
progettato da SANAA (Kazuyo Sejima e Ryue Ni-
shizawa), l’interno è visibile dall’esterno dell’e-
dificio e al tempo stesso i visitatori del museo
possono guardare in tutte le direzioni, non solo
grazie alle superfici completamente vetrate, ma
anche perché non vi sono ostacoli visivi o fisici in
tutto il sito. Gli studenti dalla vicina scuola ele-
mentare attraversano infatti lo spazio esterno in
modo del tutto naturale, andando e venendo
dalle classi.
Nonostante oggi l’edificio sia denominato “Mul-
tipurpose Facility Onishi”, vi è un dettaglio rive-
latore: originariamente infatti il progetto s’ispirò
al titolo del concorso “Onishi Indoor Plaza (ten-
tative)” — Piazza Interna Onishi (provvisorio) —
una metafora rivelatrice del senso di apertura
che ha influenzato la fusione tra spazio interno
ed esterno nel progetto di Sejima. Per quanto il
manufatto costruito sia leggermente diverso dal
progetto di concorso, l’immagine essenziale di
un arcipelago di case a pianta libera rimane in-
variata. Infatti mentre passeggiavo attorno all’e-
dificio vi erano dei momenti in cui non avrei sa-
puto dire se ero all’interno o all’esterno. Non a
caso diversi tipi di eventi pubblici – performance
di canto tradizionale, dimostrazioni di T’ai Ch’i,
mostre di calligrafia, concerti, classi per la terza
età – accadevano mentre il pubblico si muoveva
liberamente; dev’essere stato divertente vedere
le reazioni delle persone che si trovano di colpo
separate, ma faccia a faccia; oppure apparente-
mente lontane eppure all’interno dello stesso
spazio. L’effetto illusorio dei vetri e della traspa-
renza può essere addirittura disorientante.
Durante la mia visita, si stava svolgendo nell’au-
ditorium una lezione di ballo per adulti che mi
permise di notare la particolare qualità acustica
dell’ambiente. A causa della conformazione ri-
curva dell’edificio potevo guardare oltre il vetro
direttamente nell’auditorium senza sentire
nulla, mentre nella zona dell’ingresso — dove
invece la sala non era neppure visibile — il suono
si percepiva forte e chiaro. Un primo piano di-
stante o qualcosa di lontanamente vicino? Il
paesaggio di cristallo si schiude cambiando la
percezione delle distanze.
A Distance-Warping Glass Landscape
Taro Igarashi
Two and a half hours' drive from Tokyo, one
reaches the small semi-rural town of Onishimachi,
now in decline. Internationally renowned Japan-
ese female architect Kazuyo Sejima, who is still
awaiting a major project in Tokyo, has instead
been designing a number of public facilities in
outlying regions. Left unscathed by American
bombing during World War II and largely un-
touched by postwar development during Japan's
"Era of Rapid Economic Growth", Onishimachi still
retains its traditional townscape of old houses. Not
a single modern building is to be seen. I'd imag-
ined Sejima's Multipurpose Facility Onishi would
appear totally out of place, yet until one actually
reaches the building its presence is scarcely no-
ticeable because its profile blends in with the low
rooflines surrounding it. Whereas most public
buildings in Japan strive for symbolic stature
(when I sat on a selection committee for one re-
gional art museum competition, the local partici-
pants all seemed to vote on the basis of height
rather than the quality of the design), the primary
school directly behind Sejima’s Multipurpose Facil-
ity is actually far more prominent from a distance.
The Multipurpose Facility Onishi manages to keep
a low overall profile under a flat roof by recessing
the large volumes of the gym and auditorium be-
low the surface of the site. The banks of audience
seating finish at ground level, resulting in above-
ground spaces that are freed from the constraints
of functional use. The submersion of elements
that would otherwise obstruct surface sightlines
also allows for the use of glass enclosures, offering
clear views across the large span interior and its
hybrid structure of local cedar and steel. The
building’s predominant transparency allows a
small number of staff to supervise the gym and
auditorium spaces with ease from the administra-
tion office in the adjacent wing, much in the same
spirit as Gropius's thinking for the Bauhaus, not to
mention Mies van der Rohe's Neue Nationalgalerie
Berlin or Philip Johnson's Glass House. Though if
those were glass temples, the Multipurpose Facil-
ity Onishi is more of a fluid glass landscape.
Sejima revisits the glass spaces of the Modernists,
not merely for the sake of transparency, but
rather in the playful attempt to generate a vari-
ety of phenomena: she plays with subtle varia-
tions in semi-transparency, adds geometric pat-
terns, delivers op-art illusions. In her Yokohama
Mutsukawa Daycare Center (2000), for instance,
the glass facade is printed with different patterns
inside and out, creating a moiré effect. And in the
Dior Omotesando building (2003) gradated semi-
frosted acrylic screens set inside the glass create
an illusion of swaying drapes. Similarly, the irreg-
ular outline of the Multipurpose Facility Onishi
makes for overlapping layers of glass, so that dif-
ferent viewing angles afford varying distortions of
the lush green surroundings, a visual effect not
unlike that of American artist Dan Graham's glass
pavilions. Furthermore, the glass facades occa-
sionally create “open-air corridors”, connecting
passages so narrow that one feels “inside”, even
though technically speaking they are open to the
sky - most curious spaces indeed.
As a point of reference, the convenience store
(kombini) has frequently been cited as a new ar-
chitectural model in Japan since the 1990s. Open
24 hours a day, this innovative interpretaion of
the corner shop not only sells daily necessities,
but also provides information networking termi-
nals and a truly wide variety of services: one can
pay bills, order books, purchase travel and concert
tickets, withdraw cash. The single most character-
istic architectural feature of this new building ty-
pology that is somehow emblematic of the new
Japanese lifestyle is its large glass facade. Toyo Ito
likened his Sendai Mediatheque, for instance, to
a "media convenience store". Far from the single-
function factory Modernist ideal, the kombini is
a multipurpose space where anything can hap-
pen. While she was working in Toyo Ito's firm,
Kazuyo Sejima was nicknamed “Kombini Girl” for
her talent in taking ispiration from many sources,
and true enough, the Multipurpose Facility Onishi
is even more of an exposed glass space than any
convenience store.
Furthermore, unlike most houses and public
buildings in Japan that are typically enclosed be-
hind walls, the Multipurpose Facility Onishi bucks
this tendency toward closed in spaces, eschewing
any fence whatsoever. As with the 21st Century
Museum of Contemporary Art, Kanazawa (Domus
no. 876/December 2004) by SANAA (Kazuyo Sejima
and Ryue Nishizawa), the interior of the Facility
is visible from outside the grounds, and in just the
same way visitors can look out in all directions
from inside, not merely due to the all-glass shell
but because there are no visual or physical ob-
structions anywhere on the site. The interior and
exterior interpenetrate to literally form an open
space that gives new meaning to the word "pub-
lic": students from the primary school next door
cut across the grounds perfectly naturally on their
way to and from classes. Likewise, when I visited,
the doors to all three wings were wide open,
inviting free access throughout. This building is
not a discrete object placed on a site; rather the
gently sloping landscape plays right through it,
creating a very real sense of continuity.
One revealing detail: although the building is now
officially named Multipurpose Facilty Onishi, the
present design was originally inspired by the
competition title "Onishi Indoor Plaza (tentative)”,
an open-ended metaphor that clearly informed
Sejima's blurring of interior and exterior space.
For while the Facility as built differs slightly from
the proposed competition entry, the essential im-
age of an archipelago of free-form housings re-
mains unchanged. In fact, when wandering
through the site, there were moments when I re-
ally couldn't tell if I was inside or out. Various
opening events — traditional folk singing, a T'ai
Chi demonstration, a calligraphy exhibition, con-
certs and classes for the elderly — let people wan-
der about wherever; it must have been fun to see
people's reactions, now finding themselves sepa-
rated face-to-face, now seemingly so far apart yet
still within the interior. The illusions this space
generates can be very disorienting. At the time of
my visit, an adult ballroom dance class was in
progress in the auditorium, which brought to my
attention the unusual acoustics of the space. Due
to the crooked form of the building, I could stand
looking straight across at the auditorium beyond
the glass and not hear a thing, and yet sounds
from the entrance, from which the auditorium is
not even visible, came through loud and clear.
Distantly close, or remotely nearby? This is, un-
doubtedly, a distance-warping glass landscape.
Taro Igarashi
Architetto e critico dell’architettura. Nato nel 1967 a Parigi,
attualmente svolge l’incarico di Assistant Professor alla Tohoku
University. Insegna anche alla Facoltà di Belle Arti
dell’Università di Tokyo e alla Yokohama National University. I
suoi scritti comprendono Architectural Endings, Architectural
Beginnings e New Religions and Mega-Architecture.
Architect and architecture critic. Born 1967 in Paris, he is
currently employed as Assistant Professor, Tohoku University.
He also guest lectures at Tokyo University of the Arts and
Yokohama National University among others. His writings
include Architectural Endings, Architectural Beginnings and
New Religions and Mega-Architecture.
Settembre September 2006 domus 91
 A

Piazza

B G A

Piazza
C B
D
E

F B

Piazza

A. Hall 1 Multipurpose Facility Onishi

B. Hall 2 Onishi, Gunma, Japan
C. Ingresso 1/Entrance 1
D. Ingresso 2/Entrance 2 Realizzazione/Completion Progettisti/Design team
E. Uffici amministrativi/Admin offices 2005 Koichiro Tokimori, Yutaka Kikuchi, Rikiya
F. Ballatoio per spettatori/Observation deck Destinazione d’uso/Programme Yamamoto, Tetsuo Kondo
G. Foyer Palestra, spazio multiuso/Gymnasium, Ingegneria strutturale/Structural engineering
H. Deposito/Storage multipurpose hall Mamoru Kawaguchi Structural Consultant
Superficie coperta/Total floor area Ingegneria meccanica/Mechanical engineering
Pagina a fronte: l’ingresso principale (D), 2,276.49 m2 System Design, Uichi Inoue Mechanical
visto dagli uffici amministrativi (E)/ Area sito/Site area Consultant, Setsubi Keikaku Mechanical
Opposite: the main entrance (D), seen 8,849.95 m2 Consultant
from the admin offices (E) Architetto/Architect Costruttore/Builder
Kazuyo Sejima & Associates Obayashi Corporation

F B1 F

Sezione A-A/Section A-A

Fotografia di/Photograph by Jin Hosoya

G C
Piazza

A Sezione B-B/Section B-B

Settembre September 2006 domus 93

 1

2 4

Passaggio/Passageway Ballatoio per spettatori/Observation deck

Hall 1

8
7 9

1. Trave in laminato di cedro Onishi/ Pagina a fronte: l’uso del vetro per
Laminate beam in local Onishi cedarwood tutte le superfici verticali risulta
2. Vetro temperato con pellicola protettiva/ in un edificio visivamente permeabile,
Film-covered float glass simile ad un padiglione, che sembra
3. Montante in acciaio/Steel mullion dematerializzarsi nel suo contesto
4. Colonnina in acciaio/Steel column
Opposite: the use of glass panels for
5. Pavimento in calcestruzzo ad assorbimento
all vertical surfaces results in a visually
di umidità/Damp-absorbing concrete floor
permeable pavilion-like building
6. Corrimano/Handrail
which appears to melt into its
7. Toilette/Toilet
surroundings
8. Guaina impermeabile/Damp-proof lining
9. Pannello isolante/Insulating panel
10. Pannello composito (acciaio e multistrato
tropicale trattato)/Composite panel
(steel and urethane-treated tropical ply)

94 domus Settembre September 2006

 Il mestiere The craft

©ARICI/Grazia Neri, 1992

Pier Vittorio
Aureli di vivere of living
Aldo Rossi, 1931-1997

N I
on c’è da stupirsi se periodicamente qualcuno prende gli oggetti del La difficoltà del tutto messa in evidenza da Venturi dipende insomma dal t is not surprising that some people periodically pick up objects from their complexity can be illustrated neither by reducing it to the uniqueness of an
proprio passato e li descrive di nuovo per sapere, come direbbe Roland numero di parti che lo compongono. Se le possibili variazioni di questo numero own past and re-describe them, in order to find out – as Roland Barthes easily totalising thought, such as that of autonomy between disciplines , nor by
Barthes, cosa se ne può fare. Che cosa possiamo fare de L’architettura spaziano dall’uno al molteplice, Venturi assume la dualità – il due come difficile would have said – what can be done with them. So what can be done with resorting to the personal portrait “staged” by Rossi himself in his famous
della città, il libro che Aldo Rossi scrisse nel 1966, quando aveva poco più di numero delle parti – quale non ovvia aspirazione ad una unità difficile. L’architettura della città, the book that Aldo Rossi wrote in 1966, when he was A Scientific Autobiography.1
trent’anni, per descrivere tutto quel che c’era da dire sul rapporto difficile ed Questo concetto può ben spiegare l’architettura del pensiero teorico di Aldo still in his thirties, to describe everything that could be said about the difficult
impossibile, ma allo stesso tempo necessario, tra architettura e città? Rossi, la cui complessità non è spiegabile né riducendola all’unicità di un and impossible but also necessary relationship between architecture and cities? Today Aldo Rossi’s contribution could be included in the difficult duality set up
concetto facilmente totalizzante, quale quello dell’autonomia disciplinare, né by the key concepts that emerge from his nonlinear statement on architecture
Per rispondere a questa domanda bisognerebbe per un momento dimenticare ricorrendo al molteplice quadro autobiografico che Rossi stesso ha “messo in To answer this question we should forget for a moment everything that and the city. On the one hand, there is the concept of typology understood as a
tutto quello che è successo al libro di Rossi dopo quel fatidico 1966: la sua scena” nella sua celebre Autobiografia scientifica1. happened to Rossi’s book after that fateful 1966: its big success with the critics, generalising thought about building and its constitutive processes; on the other
grande fortuna critica, la sua trasformazione in libro bianco di una presunta its transformation into the white paper for a presumed restoration of the hand there is the concept of the individuality of the urban fact, that is to say the
restaurazione disciplinare, la proliferazione di una architettura ‘rossiana’ e, Oggi il contributo di Aldo Rossi potrebbe essere compreso nella difficile dualità discipline, the proliferation of a “Rossian” architecture and, eventually, the inexorable solitude of the architectural project in its objective and subjective
infine, la celebrazione e il consumo ossessivo di concetti ambigui, come quello istituita dai concetti cardini che emergono con forza dal suo non lineare celebration and obsessive consumption of ambiguous concepts such as nakedness. These concepts are steeped in Rossi’s determination to hold them
di Tipologia o Monumento, diventati per molti una comoda illusione ottica per discorso sull’architettura e sulla città. Essi sono, da una parte il concetto di Typology or Monument. For many, these became a convenient optical illusion together within a difficult, strenuous and highly problematic relationship, in
non vedere le forme complesse e contraddittorie che, proprio in quegli anni, tipologia intesa come pensiero generalizzante che riguarda l’edilizia e le sue so as not to see the complex and contradictory forms which, precisely in those other words the critical relationship between analysis and project, between
eludevano lo spettro concettuale del progetto moderno e, quindi, qualsiasi modalità costitutive, dall’altra il concetto di individualità del fatto urbano years, eluded the conceptual spectrum of modern design and, therefore, any personal invention and identification of a collective horizon, and finally
ordine del discorso sotteso a quel progetto. ovvero l’inesorabile solitudine del progetto architettonico nella sua nudità ordine del discorso underlying that project. between the dimension of a city and the dimension of the architectural fact.
oggettiva e soggettiva. Questi concetti, per certi versi antitetici, sono
Per comprendere L’architettura della città, per entrare nel suo senso profondo attraversati dalla volontà, da parte di Rossi, di tenerli assieme entro una To understand L’architettura della città, to perceive its deepest meaning and go To simplify, the concept of typology, which in the course of time has been
e non fermarsi all’estrapolazione di qualche massima rassicurante, occorre relazione difficile, sofferta, assai problematica, ovvero entro il rapporto beyond the extrapolation of a few reassuring maxims, we must take a long look misunderstood by many as the replica of pre-established models, could be
immergersi nell’empirismo eretico del giovane Rossi, ovvero in quello spazio critico tra analisi e progetto, tra invenzione personale e individuazione di un at the young Rossi’s heretical empiricism. This rigorous and fragile theoretical described as an attempt to understand within an anthropological view the city
teorico rigoroso e fragile, piuttosto al di là dei limiti della disciplina – uno orizzonte collettivo ed infine tra dimensione della città e dimensione del space – somewhat beyond the limits of his discipline and made up of cinema, in its fullest extent because – in the 1960s – a regular urban project could no
spazio fatto di Cinema, Letteratura, Geografia –, uno spazio che il giovane fatto architettonico. literature and geography – was explored by the young scholar precisely in order longer include this dimension. To recognise the individuality of the urban fact
studioso ha attraversato proprio per capire fino in fondo, e una volta per tutte, to understand thoroughly and once and for all what were the limits of means to lay bare the necessary singularity of architectural invention as a
quali veramente fossero i limiti dell’architettura nel quadro complesso, Semplificando si potrebbe affermare che il concetto di tipologia, che molti architecture within the complex, fleeting, unrepresentable and unspeakable deliberately partial, subjective and circumscribed contribution.
sfuggente, non rappresentabile, indicibile della città. hanno nel corso del tempo frainteso come la replica di modelli prestabiliti, tenta framework of the city. And this is precisely by virtue of its own implacable recognition of the public’s
di comprendere entro uno sguardo antropologico la città in tutta la sua expression of choice.
In questo senso ciò che colpisce ancora oggi del Rossi al tempo de L’architettura estensione, nel momento in cui – negli anni Sessanta – è evidente che un What is striking to this day about Rossi at the time of his L’architettura della
della città è il singolare rapporto non lineare che egli ha istituito tra l’inclusività progetto urbano normativo non può più comprendere questa dimensione. città is the singularly nonlinear relation which he established between the For Rossi, there was no such thing as political architecture. Instead, there
della riflessione sulla città e la deliberata esclusività dei primi progetti. Riconoscere l’individualità del fatto urbano significa dunque mettere a nudo inclusiveness of his reflection on the city and the deliberate exclusiveness of his existed an architecture that was seen as a political act because it inevitably
Il lavoro teorico che Rossi compie negli anni della sua formazione tra il 1954 e il la necessaria singolarità dell’invenzione architettonica come contributo early projects. Rossi’s theoretical work during his formative years, between expressed a partial position vis-à-vis the city. Architecture and the city are
1966 non è altro che una riflessione empirica, eclettica, obliqua, che tiene in deliberatamente parziale, soggettivo, circoscritto, che è collettivo proprio 1954 and 1966, is simply an empirical, eclectic and oblique reflection. It linked by the decisive and painful nature of that choice, of an image, a
relazione tra loro riferimenti all’economia, alla politica, al cinema, alla in virtù della sua stessa implacabile riconoscibilità quale espressione incorporated references to economics, politics, cinema, geography, literature, reference, a style, a form, a type to be adhered to in one’s being in urban space.
geografia, alla letteratura, alla sociologia, alla storia, all’antropologia in un pubblica di una scelta. sociology, history and anthropology in a way that anticipated today’s multi- It is not so much a reaction to cause and effect but rather a tracing of the
modo che anticipa di molti anni le pratiche multidisciplinari dei nostri tempi. disciplinary approach by several years. nonlinear movement between public and private, universal and individual.
L’architettura dei suoi primi progetti è un’architettura che non lascia affatto Per Rossi non esiste un’architettura politica, ma la scelta in sé di una The architecture of his early projects reveals no hint of this theoretical density In other words, that difficult whole which Rossi recognised not only as a
trasparire questa densità teorica, ma la elude attraverso una apparenza astratta, architettura è un atto politico perché esso esprime inevitabilmente una yet he alludes to it through an abstract, austere and laconic appearance. In theoretical subject that must today be examined through different eyes, but as
austera, laconica. posizione parziale di fronte alla città e a tutto quello che è stato fatto. projects like the competition for the Business Centre in Turin, the Monument in authentic, profound and inescapable traces of the craft of living.
In progetti come il concorso per il centro direzionale di Torino, il Monumento Ed è proprio il carattere decisivo e doloroso della scelta, scelta di una immagine, Cuneo or the extraordinary San Rocco, a poor and absolute style prevails, but
di Cuneo, o lo straordinario San Rocco, prevale uno stile povero ed assoluto, di un riferimento, di uno stile, di una forma, di un tipo cui conformare il also a ritual and evocative one in the way it celebrates the “typical figures” of
ma anche rituale e suggestivamente evocatore nel modo in cui celebra le “figure proprio essere nello spazio urbano, che lega architettura e città non tanto the city. Rossi learnt these not from the eloquence of designing, but from the
tipiche” della città, quelle figure che Rossi aveva appreso non dall’eloquenza quale reazione di causa ed effetto, quanto traccia del non lineare movimento indifferent and involved “set pieces” that took place against the backdrop of
del progettare, bensì dalle “scene fisse”, indifferenti e partecipi, che si svolgono tra pubblico e privato, universale e individuale, cioè quel difficile tutto che films by Visconti and Antonioni. This is an architecture reduced to zero.
sullo sfondo dei film di Visconti e di Antonioni. Rossi ha riconosciuto non soltanto quale materiale teorico che oggi occorre And yet for this very reason it evokes everyday situations that cannot be
Si tratta di una architettura ridotta al grado zero, ma proprio per questo affrontare con occhi nuovi, bensì quale autentica, profonda e ineludibile traccia reduced to any mere design rhetoric or formal language where the difference
evocatrice di situazioni della vita quotidiana irriducibili a qualsiasi retorica del del mestiere di vivere. between invention and common sense, design and experience, is sharpened.
design, un linguaggio formale nel quale si assottiglia la differenza tra invenzione
e senso comune, tra disegno ed esperienza. Robert Venturi, towards the end of his Complexity and Contradiction in
Architecture, a book published in the same year as L’architettura della città,
Robert Venturi, verso la conclusione di Complexity and Contradiction in affirms that “an architecture of Complexity and Contradiction does not
Architecture, libro che fu pubblicato lo stesso anno di L’architettura della città, forsake the whole”. What Venturi recognises as characteristic of a formal,
afferma che “un’architettura di Complessità e Contraddizione non rinuncia al complex and contradictory language is not the relativity of the many released
tutto” (an architecture of Complexity and Contradiction does not forsake from all desire for unity, but rather a commitment to the whole. He argues that
the whole). Ciò che Venturi riconosce come caratteristica di un linguaggio this is a challenge “because the whole is difficult to achieve”. Citing a passage
formale, complesso e contraddittorio non è la relatività del molteplice from The Public Happiness by August Heckscher, Venturi states rather
svincolato da ogni desiderio di unità, bensì l’impegno verso il tutto, un difficile peremptorily: “I have emphasised the goal of unity rather than simplification in
Pier Vittorio Aureli (Roma 1973) Architetto e studioso della città, coordina il secondo anno di ricerca Pier Vittorio Aureli (b. 1973, Rome) is an architect and scholar of cities. He coordinates second-
tutto “perché il tutto è difficile da ottenere” (because the whole is difficult to art, whose truth is in its totality.”
presso il Berlage Institute a Rotterdam dove è anche Unit Professor. Attualmente è Visiting Professor year research at the Berlage Institute in Rotterdam, where he is also a professor. He is currently a
achieve) e, citando un passo da The Public Happiness di August Heckscher, all’Accademia di Architettura di Mendrisio, alla Technische Universiteit di Delft e all’Architectural The difficulty of the whole emphasised by Venturi depends on the number of visiting professor at the Accademia di Architettura in Mendrisio, at the Technische Universiteit
Venturi afferma perentoriamente: “Ho enfatizzato l’obiettivo dell’unità Association di Londra. parts that make up the whole. If the possible variations of this number range in Delft, and at the Architectural Association in London.
piuttosto che quello della semplificazione nell’arte, la cui verità risiede nella sua from one to many, Venturi assumes duality – two as a difficult number of parts
Note Notes
totalità” (I have emphasised the goal of unity rather than semplification in art 1. Un libro che, occorre ricordarlo, si è posto come esperienza letteraria, solo marginalmente svolta – as the not so obvious aspiration to a difficult unity. This concept neatly 1. Note that this book was written as a literary experience and only marginally within the terms of
whose truth is in its totality) . entro i termini dell’architettura. explains the architecture of Aldo Rossi’s theoretical thinking, whose architecture.

96 domus Settembre September 2006 Settembre September 2006 domus 97

 Gregotti e Hiromichi Matsui nello studio di via Bandello, 1970
Gregotti and Hiromichi Matsui at the office in Via Bandello, 1970

Courtesy of Piera Frai

Con/With Aldo Rossi

Fotografia di/Photograph by Graziano Arici, Venezia

Con/With Charles Eames

Courtesy of De Padova
Con/With Inge Feltrinelli

Con/With Salvador Dalí, Cadaques, 1954

Epistolario a margine dell’ultimo

libro di Vittorio Gregotti
An epistolary apropos of the latest
book by Vittorio Gregotti

Gli enzimi Testi di/Texts by

Fotografia di/Photograph by Graziano Arici, Grazia Neri

Stefano Boeri, Vittorio Gregotti
A cura di/Edited by

dell’architettura
Con/With Luca Ronconi, Biennale di Venezia, 1965 Laura Bossi

The enzymes

Courtesy of Guzzardi, Venezia

Con/With Umberto Eco of architecture

Courtesy of Linde Burkhardt

Conferenza di José Luis Sert alla facoltà
di Architettura di Venezia, 1978
Lecture by José Luis Sert at the Venice Faculty of Architecture, 1978

Gropius e Rogers al CIAM di Aix-en-Provence, 1953

Gropius and Rogers at the CIAM in Aix-en-Provence, 1953

Per gentile concessione/Courtesy of Vittorio Gregotti

Vittorio Gregotti ritratto da Álvaro Siza
Vittorio Gregotti in a portrait by Álvaro Siza

Discussione all’IDZ di Berlino, da sinistra/Discussion at the IDZ in Berlin,

from left: Ungers, Gregotti, Moore, Norbert-Schulz
Caro Vittorio,
ho in mano il tuo ultimo libro e vorrei
prenderne spunto per ragionare sulla tua
posizione nella storia presente dell’architettura
italiana. Del resto – scusami la nota biografica
– sono abituato da tempo a studiare
attentamente le tue ‘mosse’ progettuali e
letterarie (ne ho perfino tratto suggerimenti
importanti per la mia tesi di dottorato di
ricerca). E anche in questi ultimi due anni e
mezzo – da quando ho assunto la direzione di
Domus – il silenzio mio e della rivista nei
confronti dei tuoi progetti e dei tuoi testi non è
stata certo una scelta distratta o facile.
Ed è proprio di questo silenzio e delle sue ragioni
che vorrei discutere.
Andiamo con ordine. La prima questione che
vorrei affrontare ruota attorno a un termine:
‘eccesso’. Alludo a qualcosa di cui i tuoi libri
sono colmi e di cui quest’ultimo, in particolare,
straripa. Eccesso di connessioni, sintonie,
sinapsi tra il tuo, nostro, mestiere di architetto e
le correnti profonde del pensiero
contemporaneo. Scorrendo i frammenti di
memoria, la vertigine dei personaggi, degli
incontri, delle illuminazioni che ne sono
scaturite il libro tesse una trama davvero unica:
un architetto mai distratto dalla dimensione
operativa della propria professione, eppure –
nonostante questo – sempre alla ricerca di
spunti e aperture di orizzonti altrove: nella rete
degli intellettuali europei, nelle ricerche di
scienziati e studiosi di settore, nelle oscillazioni
dell’arte contemporanea internazionale.
Alcune di queste sinapsi sono quasi
mitologiche: come la tua frequentazione del
filosofo Enzo Paci a Milano negli anni Sessanta,
nelle aule di quell’Università Statale dove ancora
si muoveva Antonio Banfi e dove
riecheggiavano le idee di Edmund Husserl,
Maurice Merleau-Ponty e della scuola di
fenomenologia. O i legami, negli anni della XIII
Triennale del 1964 dedicata al “tempo libero”,
con gli intellettuali del Gruppo 63 (Eco,
Balestrini, Berio) e, sempre a Milano, con gli
artisti dell’avanguardia come Fontana e Manzoni.
Ricordo che, quando ero studente, una volta ci
raccontasti il segreto di questa curiosità
selettiva da parte dell’architettura per un
pensiero che si situa altrove. Usasti una
metafora chimica e ci parlasti di ‘enzimi’. Di
reazioni che si producono quando un concetto
complesso si inserisce entro un nuovo codice. E
lì inizia il suo lavorio di rottura e ridefinizione.
Io credo che oggi, nel mondo delle idee, gli
enzimi si sviluppino soprattutto quando si opera
per ‘traslazione’ di un concetto da un campo
“Una volta ci hai raccontato il segreto di questa curiosità
selettiva da parte dell’architettura per un pensiero che
si situa altrove. Usasti una metafora chimica e ci parlasti
di ‘enzimi’. Di reazioni che si producono quando un concetto
complesso si inserisce entro un nuovo codice.
E lì inizia il suo lavorio di rottura e ridefinizione”
“You once told us the secret of architecture’s selective
curiosity for a thought situated elsewhere.
You used a chemical metaphor and spoke of “enzymes”.
You talked about reactions produced when a complex
concept is inserted into a new code. And that is where its
intense task of breaking and redefinition begins”
100 domus Settembre September 2006
disciplinare ad un altro; quando un nucleo di
pensiero maturato in una sfera viene collocato –
tout court – entro un’altra. Nessuna traduzione o
divulgazione; nessuna ricodificazione: l’idea, la
categoria, il nodo logico resta tale e quale. Solo
lavora altrove, producendo suggestioni ed
equivoci, lacerando il senso comune e il
linguaggio specialistico. Aprendo orizzonti nuovi
che, tuttavia, non promettono null’altro che
l’apertura stessa, dato che la purezza del
concetto originario è la migliore conferma della
sua inalienabile alterità.
Del lavorio (silenzioso e sorprendente) di alcuni
di questi enzimi entro le tecniche e le pratiche
dell’architettura, sei stato per molti anni,
insieme, protagonista e narratore.
Un’interpretazione scettica e lucida del ruolo
della storia, un “corridoio che non ci insegna
nulla sull’arte di camminare” (vado a memoria),
ti ha forse spinto ad elaborare un’architettura
priva di nostalgie, eppure capace di citazioni
esplicite, secche, di autori del passato. Il
richiamo alla necessità/opportunità di “mettere
in prospettiva il mondo” ti ha, credo, aiutato a
ragionare sulle sequenze percettive che i tuoi
edifici consentono o obbligano. Insomma:
diversamente da molti altri architetti colti e
curiosi, che dell’‘eccesso’ di conoscenza hanno
fatto un vanitoso vanto, oppure una ragione per
percorrere strade lontane e parallele
all’architettura, per molto tempo tu questi
enzimi li hai fatti lavorare entro i confini,
scrupolosamente (ri)disegnati, della disciplina.
Del fare architettura.
Per segnalare un solo, fortissimo, esempio, i tuoi
progetti utopici degli anni Settanta –
l’Università della Calabria, Cefalù, ma anche il
tanto vituperato Zen – dialogavano
‘esplicitamente’ con un mondo interno che si
era messo a lavorare su categorie della scuola
degli Annales, con la geografia ‘attiva’ di Pierre
George e con la fenomenologia di scuola
francese a partire dal numero di Edilizia
Moderna sul paesaggio (da te curato nel 1966).
Non erano temi facilmente traducibili, o alla
moda, quelli che tu ‘traslavi’ nell’architettura,
ma correnti vive del dibattito internazionale. E
riapparivano nei tuoi progetti non come temi da
declamare, ma come materiali, energie tese al
lavoro: frutto, appunto, di ‘enzimi’.
Ecco, proprio perché so quanto questo ruolo di
connessione operativa tra l’architettura e il
mondo delle idee sarebbe oggi cruciale, mi fa
rabbia registrare come tu non sembri più essere
interessato a esercitarlo. Come se, a un certo
punto, avessi voluto ridurre al minimo il rischio
che l’eccesso di idee esogene, quelle
inaspettate e spigolose che nutrono il nostro Dear Vittorio, one discipline to another, when a core of disturb your work in the field of architecture.
mondo, potesse disturbare la tua ricerca I have your latest book here before me, and I thought matured in one sphere is situated – As if the need to sediment a language of yours
operativa nel campo dell’architettura. Come se il would like to take it as a starting point from which quite simply – in another. No translation, or in architecture had anaesthetised your
bisogno di sedimentare un tuo linguaggio to consider your position in the present history of divulgation; no recoding. The idea, the category, selective curiosity.
nell’architettura avesse anestetizzato la tua Italian architecture. the logical joint, remains just the same, except In your book, the rarefaction of the encounters
curiosità selettiva. I have in any case – if you will excuse the that it works elsewhere, sparking suggestions and starting points in recent years is perhaps
E nel tuo libro, la rarefazione degli incontri e biographical note – long been accustomed to and misunderstandings, tearing up common also a confirmation of this choice.
degli spunti negli anni recenti è, forse, anche following your architectural and literary “moves” sense and specialised language. It opens up new To be sure, your arrows fired at the rhetoric of
una conferma di questa scelta. very carefully (I even drew some important clues horizons, which however promise nothing but fragmentation (“acceptance of the collapse of
Certo, i tuoi strali contro le retoriche della from them for my research doctorate thesis). And the opening itself, given that the purity of the the city”), and at the poetics of uncertainty, go
frammentazione (“accettazione del disfacimento in the past two and a half years – since I took over original concept is the best confirmation of its well with some of your recent works – and I am
della città”), contro le poetiche dell’incertezza si the editorship of Domus – my silence and that of inalienable otherness. obviously thinking of the great exercise in
sposano, forse, bene con alcuni dei tuoi progetti the magazine on the subject of your work and You were for many years both a leading figure and variation on yourself carried out in designing
recenti – penso ovviamente al grande esercizio di writings has not, to be sure, been either an a narrator in the (silent and surprising) bustling of the new Bicocca district. They are strong
“variazione su te stesso” compiuto nel disegnare il absent-minded or an easy choice. a number of these enzymes within the techniques projects, but also apodictic and self-referential,
nuovo quartiere Bicocca. Progetti forti, ma anche It is about this silence and the reasons for it that I and practices of architecture. A sceptical and because they lack that vibrant uneasiness which
apodittici e autoreferenziali, perché privati di would like to talk. However, the first question I lucid interpretation of the role of history, “a instead, in the past, made some of your works
quell’inquietudine vibrante che, invece, in would like to ask you concerns the use of a word: corridor that teaches us nothing at all about the celebrated, where inner order and coherency
passato ha reso celebri alcune tue opere: dove “excess”. I am alluding to something that is art of walking” (I’m repeating from memory), were never an end unto themselves, but the
ordine e coerenza interni non erano mai fine a se particularly abundant in your books and that is prompted you perhaps to elaborate an fruit of a metabolisation of profound concepts
stessi, ma frutto di una metabolizzazione di utterly prolific in your latest publication. Excess of architecture lacking in nostalgia yet capable of that had originated elsewhere.
concetti profondi originati altrove. connections, harmonies and synapses between explicit, dry citations from past masters. I Instead of confronting the reflections on
Invece che affrontare le riflessioni your, our, profession as architects and the deep believe that the necessity/opportunity to put individualism as an important point of departure
sull’individualismo come uno spunto importante currents of contemporary thinking. Sifting through the world in perspective helped you to reason with which to decipher contemporary urban
per decifrare la società urbana contemporanea, your past, the dizzying round of characters and on the perceptive sequences allowed or society, you have often treated them as
le hai spesso considerate descrizioni di territori encounters, and the enlightenment gained from necessitated by your buildings. In short, unlike descriptions of territories which your idea of
che la tua idea di architettura non poteva them, one is drawn into a truly unique story: of an many other cultivated and inquisitive architecture could not contemplate (“the city as a
contemplare (“la città come collezione di oggetti architect never distracted by the working architects, who have made the “excess” of collection of signed and enlarged objects, images
firmati e ingranditi, immagini pietrificate dalla dimension of his profession and yet – despite this knowledge a boast or a reason for pursuing petrified by public and private advertising…”).
pubblicità pubblica e privata…”). Le hai chiuse – always on the lookout for points of departure paths remote and parallel to architecture, for a You have shut them out, in contempt, instead of
fuori, disprezzandole, invece che utilizzarle come and openings towards other horizons: in the long time you made these enzymes work within utilising them as enzymes to work within, even in
enzimi per lavorarci dentro, anche in network of European intellectuals, in the work of the scrupulously (re)designed confines of the opposition, but within. This, I believe, has ended
opposizione, ma dentro. E questo, credo, ha practitioners and scholars of our trade, in the discipline of making architecture. up penalising both your architecture and the
finito per penalizzare sia la tua architettura che oscillations of international contemporary art. To give just one very forceful example, your general situation of Italian architecture, which has
la situazione generale di quella italiana, che ha Some of these synapses have become almost utopian designs of the 1970s – the University of missed key opportunities to compare its strength
perso occasioni fondamentali per confrontarsi mythological: such as your acquaintance with the Calabria, and Cefalù, but also the much vilified with the multiplicity of subjects and interests that
con la molteplicità dei soggetti e degli interessi philosopher Enzo Paci in Milan during the 1960s, Zen – conversed “explicitly” with an inner world inhabit contemporaneity.
che abitano la contemporaneità. in the lecture theatres of the university where that had started working on categories of the Slowly, without ceasing your role as a bridge
Lentamente, senza che il tuo ruolo di ponte tra Antonio Banfi was still around and where the Annales school, with the “active” geography of between cultivated architecture and the
architettura colta e media culturali venisse ideas of Edmund Husserl, Maurice Merleau-Ponty Pierre George and with the French school of cultural media, it seems to me that your
meno, mi è insomma sembrato che la tua sfida and of the phenomenological school resounded. phenomenology starting from the issue of courageous and purposeful challenge to the
coraggiosa e propositiva all’eccesso dei saperi, di Or the connections, at the time of the XIII Milan Edilizia Moderna on landscape (edited by you in excess of knowledge, which architecture must
cui l’architettura deve tener conto, sia diventata Triennale in 1964 on the theme of “leisure”, with 1966). The topics that you “transferred” into take into account, has become paradoxically the
paradossalmente la difesa, a volte compiaciuta, the intellectuals of Gruppo 63 (Eco, Balestrini, architecture were not easily translatable, or defence, at times self-satisfied, of the
delle ragioni di una ‘minoranza’ critica che Berio) and again in Milan, with avant-garde fashionable, but were living movements within arguments of a critical “minority” which resists
resiste al disfacimento del mondo. E che difende artists like Fontana and Manzoni. the international debate. And they reappeared the breaking-up of the world. It is a minority
soprattutto se stessa, piuttosto che un punto di I remember that when I was a student you once in your projects not as themes to be declaimed, that above all defends itself, rather than an
vista sul mondo. told us the secret of architecture’s selective but as materials or energies directed at your work outlook on the world.
Proprio perché siamo circondati da “operatori di curiosity for a thought situated elsewhere. You – the fruit, in fact, of “enzymes”. Precisely because we are surrounded by
zapping”, da architetti che scimmiottano con used a chemical metaphor and spoke of So, precisely because I know how much this role “zappers”, by architects who ape the sinews of
pareti sghembe il nervoso delle nuove tendenze “enzymes”. You talked about reactions produced of operative connection between architecture today’s new cultural trends with crooked walls,
culturali, che pensano che l’architettura colta si when a complex concept is inserted into a new and the world of ideas is crucial today, it and think that cultivated architecture is
manifesti nel tradurre tout court le idee più alla code. And that is where its intense task of grieves me to note that you no longer seem manifested quite simply by translating the most
moda in forme plastiche, il tuo talento nel breaking and redefinition begins. interested in exercising it. As if after a while fashionable ideas into plastic forms, your talent
ricondurre selettivamente l’eccesso delle idee I believe that today, in the world of ideas, you had decided to minimise the risk that the in selectively tracing the excess of ideas into the
nelle pratiche del mestiere oggi ci manca. Molto. enzymes develop primarily when working excess of exogenous ideas, of those unexpected practices of our profession is sorely missed.
Stefano Boeri through the “transference” of a concept from and thorny ideas that nourish our world, might Stefano Boeri
Stefano Boeri e Vittorio Gregotti
nello studio milanese di via Bandello,
aprile 2006.
Le immagini nelle pagine di apertura
Fotografia di/Photograph by Gaia Cambiaggi
sono tratte per gentile concessione da:
Vittorio Gregotti, Autobiografia del XX
secolo, Skira Editore, Milano
Stefano Boeri and Vittorio Gregotti
at the Milan office in Via Bandello,
April 2006.
The images in the opening pages are
courtesy of Vittorio Gregotti’s
Autobiografia del XX secolo, published
by Skira Editore, Milan
Settembre September 2006 domus 101
Caro Boeri,
Edgar Allan Poe ci ha confessato nelle sue
memorie che, per scrivere, doveva tenere i piedi a
bagno. In generale, la letteratura artistica è piena
di questi curiosi episodi di traslazione privata;
forse solo con Freud sono diventati pubblici.
Il problema è, però, ‘trasformare’ queste
traslazioni (sì, anch’io ne sono colpevole per
eccesso, come tu dici), oggi, forse, così numerose
da diventare collettive, in materiale della
specifica pratica artistica – nel nostro caso
materiale del progetto di architettura, come atto
di confronto tra le nostre scelte ed il contesto
storico e, quindi, fisico, cioè come atto di
modificazione. Nel caso della ‘traslazione’ che tu
proponi, non mi pare si tratti neanche del
celebre processo di straniamento slovskiano,
dove lo spostamento avviene in rapporto alle
specificità del linguaggio, ed è rispetto a esso
che si produce lo slittamento di significato che lo
rende nuovo: anche se francamente (come ti è
ben noto), io non attribuisco al nuovo un valore
assoluto e, soprattutto, nuovo e novità non
devono essere confusi.
Naturalmente qui entra in gioco anche il tema
della specificità disciplinare e delle influenze delle
traslazioni su di essa.
La discussione intorno alle certezze/incertezze dei
confini disciplinari dura ormai da molto tempo.
L’architettura è, per sua natura, collocata sul
crinale tra discipline diverse; i suoi stessi confini,
mobili nel tempo, sono comunque connessi a
scopi di abitabilità e di rappresentazione e,
quindi, i materiali con cui si costruiscono
provengono, naturalmente, da aree vaste ed
eterogenee. Per tradizione, inoltre, la nostra
disciplina ha attraversato in vari modi le arti
visive, quelle decorative e, in generale, quelle
che attengono alla cultura materiale. Al di là e
ben prima che la cultura moderna scoprisse i
tesori collocati lungo le linee di tangenza dei
campi disciplinari, le scienze e, in particolare, la
matematica e la geometria sono state per secoli
materiali portanti per la pratica artistica
dell’architettura. Questo non dovrebbe, però,
significare neanche la riduzione dell’architettura
all’espressione del mezzo – né in quanto
strumento tecnico, né in quanto ideologia della
tecnica come progresso – anche se il mezzo
trascina con sé il senso storico della sua stessa
costituzione.
La questione che si è fatta particolarmente acuta e
distruttiva non è, quindi, quella dei confini che,
come è noto, sono stati nel tempo assai variabili,
ma dell’esistenza di un centro disciplinare, di
un’essenza, di un fondamento su cui misurare le
distanze diverse, nelle diverse condizioni storiche,
da quei confini e dalle loro linee di mutazione. È
“L’‘enzima’ che sto tentando, da molti anni ormai, di trasferire
è una nozione non banale di contesto, che sia in grado di
ridare senso alla definizione del bello di San Tommaso: Integritas
contro la disgiunzione, Claritas contro l’ossessione
dell’espressione soggettiva, Proportio contro la sproporzione
caricaturale come singolarità”
“The enzyme that I have been attempting to transfer
for many years is a germane notion of context.
It can restore sense to St Thomas’s definition of beauty:
Integritas against disjunction, Claritas against
obsession with subjective expression, and Proportio against
grotesque disproportion as singularity”
102 domus Settembre September 2006
questo punto interno, certo, che permette di
muovere utilmente verso l’altro e di aprirsi ad
esso; senza quel centro né dialogo, né traslazione
sono istituibili utilmente.
La liquefazione della disciplina può anche essere
un privilegio teorico e poetico per la pratica
artistica del soggetto, per la sublimazione delle
contraddizioni dell’io autonomo, ma è pratica
intrasmissibile, solo imitabile; non solo non
permette la costituzione del progetto come
dialogo, ma neanche l’acquisizione dell’altro e
dell’altrove come materiale della pratica artistica
e delle sue indispensabili mutazioni.
Riconoscere l’esistenza di questo punto interno
in quanto essenza della disciplina è certamente
solo un inizio. Dall’inizio come si articoli e si
estenda la geografia necessaria del terreno di
fondazione del nostro lavoro è questione che
configura concretamente le qualità
dell’architettura del presente.
A proposito di terreno di formazione
dell’architettura è molto interessante il lapsus che
hai fatto citando una mia supposta affermazione
attorno al valore della storia. Il mio testo diceva:
“La storia è il terreno senza il quale non si può
camminare, ma che non dice nulla sulla direzione
da prendere”. Se fosse un corridoio, come tu
scrivi, sapremmo quale direzione prendere, anzi ci
saremmo costretti: ed è questo con cui non sono
d’accordo. Con la tua interpretazione si
camminerebbe secondo il corridoio della realtà
empirica momentaneamente circostante, ma
senza fondazione; e non basta neanche chiedersi,
guardando ossessivamente al futuro, “dove
andiamo” se manca il “da dove veniamo” e il “chi
siamo”. Ciò che sembra cruciale, da questo punto
di vista, è che l’attuale avanguardismo di
consumo abbia sottratto una grande parte dei
valori morfologici costruiti dall’avanguardia
oppositiva degli anni Venti dello scorso secolo,
capace di rimettere in discussione se stessa con
una faticosa e, persino, dolorosa rottura delle
regole, mentre la rottura delle regole è la prima
legge del mercato dell’arte post-sociale dei nostri
anni, per il quale quella morfologia viene
insistentemente ripescata e tradita.
Si può anche pensare al valore rivoluzionario della
disgiunzione nel progetto di architettura,
sostenendo la positività dell’instabilità dei
programmi nella società contemporanea e
ribaltando tale instabilità sui processi di
costituzione della forma architettonica, ma si
compie così, ancora una volta, l’errore di tentare
un trasferimento improprio che altro non è, oggi,
che una resa totale a una delle ideologie
dominanti della realtà empirica contemporanea:
quella della flessibilità in funzione della rendita.
Al contrario l’‘enzima’ che sto tentando, da molti
anni ormai, di trasferire, è una nozione non Dear Boeri, the different distances, in their diverse historical Conversely, the enzyme that I have been
banale di contesto, che risalga ai principi Edgar Allan Poe confessed in his memoirs that in conditions, from those boundaries and from their attempting to transfer for many years is a
insediativi e li reinterpreti, che sia in grado di order to write he had to keep his feet wet. In lines of mutation. It is surely this inner point that germane notion of context. It dates from the
ridare senso alla definizione del bello di San general, artistic literature is full of these curious makes it possible to move usefully towards the principles of settlement and their
Tommaso: Integritas contro la disgiunzione, episodes of private transference; it was perhaps other and to open out to it. Without that centre, reinterpretation, which can restore sense to St
Claritas contro l’ossessione dell’espressione only with Freud that they became public. neither dialogue nor transference can be viable. Thomas’s definition of beauty: Integritas against
soggettiva, Proportio contro la sproporzione Today these transferences are perhaps so The liquefaction of the discipline can also be a disjunction, Claritas against obsession with
caricaturale come singolarità. numerous as to have become collective. The theoretical and poetic privilege for the artistic subjective expression, and Proportio against
È necessario, cioè, non far coincidere problem, however, is transforming them (yes, I practice of the subject, for the sublimation of grotesque disproportion as singularity.
l’inquietudine vibrante con la vibrazione too am to blame for excess, as you say) into the the contradictions in the autonomous ego. But It is therefore necessary not to match vibrant
morfologica dell’edificio. Non vi è nulla di più material of a specific artistic practice – in our case this practice cannot be transmitted, only unease with the morphological vibration of the
misterioso della Kasbah o del Pantheon, nulla di the material of architectural design. It is like an act imitated. It not only precludes the constitution building. There is nothing more mysterious than
più vibrante anche se espresso con la terribilità of confrontation between our choices and the of architectural design as dialogue, but also the the Kasbah or the Pantheon, nothing more
della fermezza. Non vi è nulla di più aperto historical, hence physical context. In other words, acquisition of the other and of the elsewhere as vibrant even if expressed with the awesome
all’immaginazione sociale di ciò che è capace di an act of modification. material of artistic practice and its presence of stillness; there is nothing more open
restare fermamente, come monumento nel senso In the case of the “transference” that you indispensable mutations. to social imagination than what can remain
originale della testimonianza, nonostante propose, it does not even seem to be about the Recognising the existence of this internal point as firmly, as a monument in the original sense of a
trasformazioni di uso e, perfino, di significato. Il celebrated process of Slovskyan estrangement, an essence of the discipline is certainly only a testimony, despite the transformations of usage
programma di Bicocca era, come ho scritto, where the transfer occurs in relation to the start. Since the beginning, the qualities of and even of meaning. The Bicocca programme
costruire un’architettura civile, semplice (la specificity of the language. The shifting of present-day architecture have been concretely was, as I have written, to construct a civilised
semplicità è una complicatissima conquista), meaning that makes the language new is shaped by the way in which the necessary architecture that was simple (simplicity being a
ordinata (l’ordine è forma), precisa, dalla lunga produced in respect to the language. Although geography of our profession’s foundations is very complicated accomplishment), orderly (order
durata e senza ricerca dell’applauso. Disegnare le frankly (as you well know), I do not attribute an articulated and extends. being form), precise and long lasting, without any
cose per il luogo specifico come fossero sempre absolute value to the new, and above all new Concerning the formative ground of architecture, applause seeking. To design things for the specific
state là, inevitabili e per questo disponibili allo and novelty must not be confused. your slip in quoting an alleged statement of mine place as if they had always and inevitably been
stratificarsi di altre cose e di altri atti. Naturally, here the theme of disciplinary on the value of history is very interesting. My text there, and for that reason receptive to the
Certo, la mia attenzione si sta, lo confesso, specificity and the transferences’ influence upon said: “History is the ground without which one stratification of other things and other acts.
continuamente spostando più verso la letteratura it come into play. cannot walk but which says nothing at all about Certainly, I confess my attention is continually
che verso gli esiti dell’architettura dei nostri anni, The discussion about certainties/uncertainties of the direction to take.” If it were a corridor, as you shifting more towards literature than to the
ma io penso, anche oggi, di scegliere tra le cose the discipline’s boundaries – has been going on write, we would know which direction to take. results of the architecture of our time. But I think
del mondo le idee che sembrano utili alla mia for a long time. Architecture is by its nature Indeed we would be compelled in that direction, that even today, of the things in this world I am
pratica artistica, non importa se a partire dalla situated on the watershed between different and this is where I disagree. With your choosing the ideas that seem useful to my artistic
loro distanza o vicinanza con ciò che già posseggo. disciplines. Its own mobile borders in time are in interpretation one would walk along the corridor practice, regardless of whether I start from their
Quello che so è che, se la maggioranza rumorosa fa any case connected to purposes of habitability of empirical reality that surrounds us at the distance or closeness to what I already possess.
alcune scelte (o meglio non scelte), non sono and representation. Therefore the materials with moment, but without foundation; nor is it enough What I know is that if the noisy majority make a
obbligato a seguirle: si può anche lottare per delle which they are constructed naturally come from to ask ourselves, by looking obsessively at the choice (or rather, non-choice) I am not obliged to
alternative, per prospettive civili meno concitate e vast and heterogeneous areas. Furthermore, by future, “Where are we going?” if the “Where have follow it. One can also fight for alternatives, for
incessanti. Io non credo alla tanto descritta tradition our discipline has in various ways been we come from” and “Who we are” are missing. civilised perspectives that are less excitable and
progressiva accelerazione del mutamento. Gusti e through the visual and decorative arts, and in What seems crucial from this point of view is that incessant. I do not believe in the much-described
scelte non sono molto mutati nella loro indotta general those associated with material culture. today’s consumer avant-gardism has removed a progressive acceleration of change. Tastes and
omogeneità negli ultimi venti anni. Forse ci Beyond and well before modern culture large part of the morphological values built up by choices have not changed much in their induced
troviamo di fronte a un salto storico che ci ha discovered the treasures situated along the the opposition avant-garde of the 1920s. It had a homogeneity over the past twenty years. Perhaps
gettato nello stato primordiale di chi non sa come tangents between the various disciplines, the capacity to question itself with a strenuous, even we are facing a historical leap that has thrown us
cavarsela in una nuova condizione globale. Forse sciences and in particular mathematics and painful breaking of the rules, while the breaking into the primordial state of someone who is
stiamo solo attraversando una lunga incertezza geometry, had been for centuries fundamental of rules is the first law in the post-social art unable to cope in a new global condition. Perhaps
rivestita del pupazzo della spavalderia materials for the artistic practice of architecture. market of our time, for which that morphology is we are only going through a long uncertainty
nell’attesa di prospettive ideali che, ancora, non But this ought not to mean the reduction of insistently retrieved and betrayed. dressed up as the puppet of impudence awaiting
sono affatto chiare. Ciò che sembra mancare a architecture to the expression of the medium, One can also think of the revolutionary value of ideal prospects that are still by no means clear.
questo proposito è il confronto dialettico tra neither as a technical tool, nor as an ideology of disjunction in the architectural project, by What seems to be lacking in this respect is the
posizioni, perché esiste solo l’“impero dello technology as progress – even though the sustaining the positiveness of instability in dialectic comparison between positions, because
zapping” ed il resto è stato semplicemente medium drags with it the historical sense of its programmes of contemporary society and there is only the “empire of zapping” and the rest
eliminato con la tecnica dell’esclusione tipica own constitution. tipping that instability onto the processes of has simply been eliminated with the technique of
della cultura della comunicazione di massa: The question that has grown particularly acute constitution of architectural form. But once exclusion typical of mass communication culture:
quello che non compare non esiste. and destructive is not therefore that of again, this is to commit the error of attempting what does not appear does not exist.
Voglio in ogni modo ringraziarti per il tono boundaries, which as we know have varied an inappropriate transfer which is today simply Nonetheless, I want to thank you for the
affettuoso con il quale il tuo testo è scritto: enormously over time. Instead it is a question of a total surrender to one of the dominant affectionate tone of your letter, despite the
nonostante l’affetto che tu supponi da me tradito. the existence of a disciplinary centre, of an ideologies of contemporary empirical reality: affection which you feel I have betrayed.
Vittorio Gregotti essence, a foundation against which to measure that of flexibility in terms of yield. Vittorio Gregotti
Fotografia di/Photograph by Gaia Cambiaggi
Vittorio Gregotti ritratto da Gaia
Cambiaggi. La rubrica dei libri presenta
in questo numero la recensione
di Autobiografia del XX secolo (ne è
autore Franco Purini, vedi pag. 126)
Vittorio Gregotti in a portrait by Gaia
Cambiaggi. The book section presents
Franco Purini’s review of Autobiografia
del XX secolo’s review (see p. 126)
Settembre September 2006 domus 103

L’orizzonte norvegese dell’archeologia
Norwegian archaeological horizons
Due anni fa Sverre Fehn ha festeggiato il suo
ottantesimo compleanno. Dopo la scomparsa di
Giancarlo De Carlo all’inizio dell’estate del 2005 e,
nell’anno precedente, di Peter Smithson e Cedric
Price, Jørn Utzon e Fehn sono forse gli unici
superstiti di quella generazione di architetti, nata
tra le due guerre, che ha sostenuto con
convinzione un’architettura capace di dare un
contributo essenziale alla qualità della vita:
un’architettura senza la quale la nostra esistenza
sarebbe molto più povera.
Colpisce, riguardo a Fehn, il fatto che diriga tuttora
uno studio capace di produrre progetti di grande
bellezza e valore, come quello per il museo
dell’architettura di Oslo, che si completerà tra
breve. Il progetto fa parte del piano di recupero di
un edificio preesistente, ma prevede anche un
nuovo padiglione nella parte centrale della vecchia
struttura a ‘L’. Si tratta di una costruzione che
104 domus Settembre September 2006
richiama il celebre – sia pur datato – padiglione
dei Paesi Nordici alla Biennale di Venezia, e che
riporta in Norvegia quelle qualità tipiche della città
di Oslo, abitualmente associate a Sverre Fehn.
Un anno fa, l’Archeology Museum di Hamar ha
inaugurato le due nuove ali. Il progetto di Hamar
era già celebre al momento della realizzazione del
primo nucleo museale, nel 1975 (vedi Domus n. 551,
1975), anch’esso opera di Fehn. Ora, nelle nuove
addizioni, c’è molto che ci incoraggia a rileggere i
vecchi interventi alla luce delle nuove
realizzazioni, tutte improntate a un grande
rispetto, sia per il naturale che per l’artificiale.
L’antica maestria nordica nella costruzione navale
ha costituito a lungo un importante sostegno
all’immaginazione di Fehn. Tuttavia, le tipiche
chiese norvegesi in legno, che gli sono così
familiari fin dall’infanzia, hanno poco a poco
soppiantato questa influenza, prendendone il
posto come forma fondamentale, come struttura
che media tra l’uomo e l’ambiente: l’asse verticale
è situato tra cielo e terra, di contro allo scambio
orizzontale tra terra e acqua. Olaf Fjeld,
collaboratore di Fehn dopo gli studi con Louis
Kahn a Filadelfia, ha immediatamente
riconosciuto la forza di penetrazione che
caratterizza il lavoro di Fehn. In una recente
conversazione a Oslo, Fjeld ha richiamato
l’attenzione su quel che definisce “pensiero in
costruzione”: Fjeld ammirava l’ottimismo di
Fehn nel periodo in cui sentiva che l’architettura
era in grado di portare un importante contributo
alla comprensione di noi stessi. All’epoca, Fehn
era vicino ad architetti più anziani come il
norvegese Korsmo e il danese Utzon, coi quali,
pur essendo ancora relativamente giovane,
aveva lavorato ad alcuni progetti di edilizia
residenziale a Oslo. È interessante così osservare
Il prospetto a lame verticali dell’addizione nord/The vertical
blades of the north wing’s façade
A Hamar, in Norvegia, Sverre Fehn aveva realizzato negli anni Testo di/Text by
Yehuda Safran
Settanta la prima sede del Museo archeologico. È tornato ora Fotografia di/Photography by
sullo stesso sito per disegnare due addizioni Studio Sverre Fehn
In Norway, Sverre Fehn designed the initial building for the A cura di/Edited by
Archaeological Museum in the 1970s. He has now returned to the Rita Capezzuto
same site to design two extensions
Two year’s ago Sverre Fehn celebrated his 80th known, although dated, Nordic Pavilion of the between man and his environment: the vertical
birthday. Venice Biennale. It will bring back to Norway the axis lies between heaven and earth as opposed
After the death of Giancarlo De Carlo in the typical qualities of Oslo, qualities usually to the horizontal exchange between earth and
summer of 2005, and Peter Smithson and Cedric associated with Sverre Fehn. water.
Price a year earlier, perhaps only Jørn Utzon and A year ago, the Hamar Archaeology Museum Olaf Fjeld, who worked with Sverre Fehn after
Fehn remain of those architects belonging to the celebrated two new extensions. Hamar’s project returning from his studies with Louis Kahn in
pre-World War II generation who believed that was already legendary when the first museum Philadelphia, immediately recognised the insight
architecture is capable of contributing an centre, also the work of Fehn, was inaugurated with which Fehn’s work is imbued. In a recent
essential quality to life on earth. Without this 35 years ago in 1975 (see Domus no. 551, 1975). In conversation in Oslo, he once again emphasised
kind of architecture, our lives would be that the new additions there is much that encourages what he called “thinking in construction”. Fjeld
much poorer. us to re-read the older intervention in the light admired Fehn’s optimism at the time when he
What is remarkable about Fehn is that he still of the new constructions, all marked by immense felt architecture was capable of making an
runs a studio that produces projects of great respect both for the natural and the artificial. The important contribution to our self-
value and beauty, such as the soon to be age-old Nordic mastery in boat construction has understanding. Indeed, in that period he was
completed Architecture Museum in Oslo. The always stimulated Fehn’s imagination. close to older architects such as the Norwegian
project is part of a renovation plan for an older Nonetheless, the typical Norwegian wooden Korsmo and the Dane Utzon, with whom, still as
building, but it also includes a new pavilion in churches that he knows so well from his a relatively young man, he elaborated urban
the middle space left by the old L-shaped childhood have steadily displaced this influence plans for housing in Oslo. It is remarkable that
structure. This new pavilion will echo the well- as an essential form, as a structure that mediates Sverre Fehn was able to learn simultaneously
Settembre September 2006 domus 105

come all’epoca egli fosse in grado di imparare
contemporaneamente dallo studio di Jean Prouvé
a Parigi e dall’opera di Mies van der Rohe. Forse il
modo stesso in cui Fehn intendeva il ruolo
dell’orizzonte in architettura – una distanza
infinita che segna il passaggio tra il cielo in alto e
la terra in basso – era così ampio da permettergli
di far posto ad approcci tanto diversi. In sintonia
con l’immaginario norvegese, la continuità di un
orizzonte che passa dalla terra all’acqua per poi
farvi ritorno ha segnato tutto l’arco della sua
carriera. A Hamar, dove il primo nucleo del
museo è stato costruito sulle rovine del palazzo
vescovile del XIV secolo, il terreno è rimasto
sostanzialmente integro. Una rampa a ‘L’, lunga
e stretta, porta il visitatore al di sopra di un
terreno in cui sono visibili tracce di un sito
archeologico, e lo conduce al secondo livello
della vecchia struttura, riconfigurato con un
supporto verticale in cemento e con un tetto
sostenuto da travi in legno laminato.
In tutte le opere in mostra, numerosi dettagli
colpiscono per semplicità ed eleganza. Del primo
periodo storico di quest’area rimangono poco più
che dodici pagine scritte. L’unica prova della
cristianizzazione della zona sono piccoli
manufatti e sculture in legno e metallo. Come
Fehn ha sottolineato qualche anno fa in una
conferenza alla Columbia Graduate School of
Architecture, dopo la morte di un uomo la sua
carne si decompone, nel tempo anche i suoi
denti spariscono, cosicché solo utensili, chiodi e
chiavi rimangono come prova della sua vita sulla
terra. Hamar, in questo senso, è architettura in
assenza di parola scritta.
I due nuovi ampliamenti consistono in una
struttura di vetro e legno che protegge alcuni
resti databili al XII secolo. Il primo è come una
pietra angolare, posta a un’estremità del sito. Il
secondo, un profondo volume semicilindrico
aperto ad arco, è protetto da una volta di
cemento rivestita in rame e legno. In entrambi i
casi, le nuove costruzioni rappresentano un’eco,
trattenuta ed enigmatica, di quella che
potremmo immaginare essere stata la loro
completa struttura originale.
In questo tessuto stratificato convivono differenti
orizzonti temporali. La chiesa e il palazzo
vescovile sono implicati in un dialogo con tempi
ancora più remoti, luoghi di leggende bibliche ed
eredità romane: tradizioni differenti, il cui valore
viene restituito con grande sensibilità.
Gli archeologi, coinvolti nel recupero e nella
ricostituzione della vita di sei e otto secoli fa, e
l’architetto, cui è stato chiesto di ricollegare con
chiarezza i diversi reperti – ciò che è emerso dagli
scavi, ciò che è stato ricostruito, quel che è
rimasto intatto nei secoli, nonostante le guerre e
l’azione della natura – hanno fatto del loro
meglio per dar forma a ogni singolo frammento.
È come se Sverre Fehn avesse invitato gli
elementi – la natura e i manufatti – a
impegnarsi per accogliere il suo intervento e non
farlo sembrare un’intrusione. Al contrario, le
recenti strutture di cemento, le nervature di
metallo e gli elementi in legno nelle colonne e
nelle travature non sono niente più che gli ultimi
ospiti in questo festino degli dei, gli dei del
tempo che divorano i loro figli.
from his period working at the office of Jean
Prouvé in Paris and the oeuvre of Mies van der
Rohe. Perhaps his understanding of the role of
the horizon in architecture, an infinite distance
that marks the passage between the heavens
above and the earth below, was so generous as
to be able to accommodate such different
approaches. As in the Norwegian imagination,
the continuity of the horizon from earth to water
and back again has inspired his response
throughout his working life. In Hamar, where the
first museum centre was constructed on the ruins
of a 14th-century bishop’s palace, the ground
remained essentially untouched. An long and
narrow L-shaped ramp leads the visitor above
ground, where traces of the archaeological site
can be seen, into the second level of the old
structure reconstituted with a vertical concrete
support and a roof supported by laminated
wooden beams. Numerous details, striking in
their simplicity and elegance, feature
prominently in almost every exhibit. No more
than twelve written pages remain from the first
historical period of this area. The only evidence
of the early Christian life in this place is
constituted by small artefacts and sculptures in
metal and wood. As Sverre Fehn noted in his
lecture at Columbia Graduate School of
Architecture a few years ago, after a man dies his
flesh disappears, his bones follow suit, and his
teeth also eventually perish, leaving only tools,
keys and some nails as evidence of his life on
earth. Hamar, from this perspective, is
architecture in the absence of writings.
The two new additions consist of a glass and a
wood structure, which protect the earlier 12th-
century ruins. The first is a rectangular stone
foundation at one end of the site. The second, a
deep, semi-cylindrical opened and arched
volume, is protected by a concrete vault decked
in copper and wood cladding. In both cases, the
new constructions enigmatically constitute a
subdued echo of what we could imagine to be
their original completed structure. Distinct strata
of temporal understanding provide different
interlaced horizons in time. The church and
Fotografia di/Photography by David Arredondo García, Alberto García Moreno
bishop’s palace are implicated in a dialogue with
the even more remote times and places of
biblical legend and Roman heritage. These
different traditions are acknowledged with great
sensitivity.
The archaeologists, involved in the recuperation
and reconstitution of life six and eight hundred
years ago, and the architect, who was asked to
put all this together, have done their best to
shape every bit of what was originally there. The
discipline of the latter has given an order that
will enable visitors to see clearly what has been
found, what has been excavated, what has been
reconstructed and what has survived wars,
nature and the passage of time. It is as if Sverre
Fehn has invited all the elements, both natural
and man made, to do their best to accommodate
his intervention without being an intrusion.
Indeed, the newest poured concrete, metal
riveting and wooden elements in the columns
and beams are no more than the latest guests in
this feast of the gods, the gods of time who
devour their infants.

Hamar, località del sud-est della Norvegia,

è conosciuta come sito archeologico,
avendo avuto un importante insediamento
Sezione trasversale delle due addizioni/Cross section of the two new wings medievale, che comprendeva una
cattedrale e la residenza del vescovo. Sulle
rovine della sede arcivescovile, nel XVIII
secolo è stato costruito un granaio, che
negli anni Settanta Sverre Fehn ha
convertito in Museo archeologico. Lo stesso
architetto ha oggi creato due ali di
ampliamento, per rendere accessibili ai
visitatori nuovi reperti storici: la struttura
nord, e quella ovest, caratterizzata da una
copertura a volta
Hamar, in southeast Norway, is well known
as an archaeological site, having once been
home to an important medieval settlement
that included a cathedral and the bishop’s
residence. On the ruins of the
archiepiscopal settlement, in the 18th
century a barn was built that Sverre Fehn
converted into an Archeological Museum in
the 1970s. The same architect has now
created two new wings to make recent
historic findings accessible to visitors: a
north wing and a west wing, characterised
by a vaulted roof

0 5 10
m

Sopra: l’ala ovest, semicilindrica, è sezionata ai due
estremi da una copertura vetrata.
Una rampa centrale costituisce il percorso attraverso le
rovine storiche, mentre una rampa laterale porta al
secondo piano dell’edificio preesistente, che ospita gli
uffici amministrativi
Above: the west wing, a half cylinder, is crossed at
the two ends by a glazed roof.
A central ramp provides the route through the
historic ruins whilst a side ramp leads to the second
floor of the existing building that houses the
administration offices

Pianta del piano terra/Ground floor plan

106 domus Settembre September 2006 Settembre September 2006 domus 107
Sopra e nella pagina a fronte, in alto: la volta in cemento a
vista dell’addizione ovest intende richiamare degli elementi
ad arco presenti nelle rovine.
Sotto, in questa pagina: dettagli dell’ala ovest, in cui sono stati
impiegati, oltre al cemento gettato in loco, legno, vetro e rame.
Sotto, nella pagina a fronte: il percorso di accesso e lo spazio
interno dell’ala nord. La struttura è costituita da travi lunghe
18 metri, con sezione a V, tra le quali strette aperture vetrate
filtrano la luce zenitale
Above and opposite page, top: the fairfaced concrete vault of
the west wing has been designed to reflect the arch-shaped
elements present in the ruins.
Below, this page: details of the west wing where wood, glass
and copper have been used as well as concrete cast in situ.
Below, opposite page: the access route and interior of the
north wing. The structure is made from 18-m-long V-
sectioned beams, between which narrow glass openings
filter the zenithal light
Hedmark Museum, Hamar
Progetto/Architect
Sverre Fehn
Assistenti/Assistants
Marius Mowe, Baard Hoff, Henrik Hille
Strutture/Structural engineering
Terje Orlien
Consulenti/Consultants
Støltun AS, VVS; Klimarådgivning AS
Completamento/Completion
2005
Superficie lorda/Total area
570 m2
Sverre Fehn è nato a Kongsberg (Norvegia) nel 1924 e ha
studiato alla School of Architecture di Oslo, dove si è laureato
nel 1948. Insieme a Norberg-Schulz, Grung, Mjelva, Vesterlid,
Jørn Utzon e altri architetti scandinavi, ha creato nel 1950 il
PAGON (Progressive Architects Group Oslo Norway), sezione
norvegese del CIAM. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra
cui il Pritzker Architecture Prize nel 1997.
Ha insegnato alla Facoltà di Architettura di Oslo dal 1971 al
1993. Ha realizzato numerose residenze private e diversi
musei e spazi espositivi, come il Padiglione dei Paesi
Nordici alla Biennale di Venezia (1962). È in fase di comple-
tamento il Museo di Architettura di Oslo.
Sverre Fehn was born in Kongsberg (Norway) in 1924 and studied
at the School of Architecture in Oslo where he graduated in 1948.
Along with Norberg-Schulz, Grung, Mjelva,Vesterlid, Jørn Utzon
and other Scandinavian architects, in 1950 he set up PAGON
(Progressive Architects Group Oslo Norway), the Norwegian
section of CIAM. He has received a number of awards, including
the Pritzker Architecture Prize in 1997.
He taught at the Faculty of Architecture in Oslo from 1971 to 1993.
He has designed a large number of private houses as well as
various museums and exhibition spaces such as the Nordic
Pavilion at the Venice Biennale (1962). The Museum of
Architecture at Oslo is currently being completed.

Manuel DeLanda
L D
a densità è la misura della quantità di materia esistente in una data
quantità di spazio. O, in altre parole, la misura di quanto strettamente
sono impacchettate insieme le molecole che compongono un materiale.
La materia può esistere in vari stati o fasi, come la fase gassosa, quella liquida
e quella solida. Nella maggior parte dei materiali le molecole, allo stato
gassoso, hanno più spazio per muoversi di quanto non ne abbiano allo stato
liquido, e molto più che non allo stato solido, in cui sono confinate in
posizioni relativamente immobili all’interno di cristalli. Ovvero: nella
maggior parte dei materiali la fase solida è più densa della fase liquida, che a
sua volta è più densa della fase gassosa. Dato che il peso di un dato materiale è
la somma dei pesi dei suoi componenti, più denso è un materiale più pesante
tenderà a essere, il che implica che i solidi, se vengono immersi in un
recipiente di liquido dello stesso materiale, affondano sempre. Ma allora
perché il ghiaccio galleggia? Per di più , per la maggior parte dei materiali,
un liquido più si raffredda più diventa denso, dato che l’alta temperatura
implica un movimento più energico delle molecole che lo compongono, e
perciò più spazio libero intorno a esse per consentire questo movimento.
Così in un recipiente di liquido normale le parti più fredde saranno sempre
sul fondo. E allora come mai i laghi e gli oceani gelano dall’alto in basso
invece che dal basso in alto?
La spiegazione del comportamento anomalo dell’acqua liquida sta nel fatto
che raggiunge la massima densità non quando è più fredda, cioè appena prima
di trasformarsi in ghiaccio, ma qualche grado prima. L’acqua liquida
attraversa la transizione alla fase solida a 0°C, ma raggiunge la massima
densità a 4°C. In altre parole l’anomalia è fortemente localizzata, dato che
l’acqua liquida più calda di 4°C si comporta in modo assolutamente normale.
E tuttavia, per quanto breve sia l’intervallo di temperature all’interno del
quale si verifica l’anomalia, le conseguenze sono molto importanti.
È noto che il clima dell’Europa dovrebbe essere più freddo di quanto non sia
considerando la latitudine a cui il continente si trova. È anche noto che le
anomale temperature più miti sono effetto della circolazione delle correnti
oceaniche che portano calore dai tropici. Se l’acqua non manifestasse il suo
comportamento anomalo, se il ghiaccio (o l’acqua molto fredda) affondasse
come dovrebbe, ciò influirebbe sul movimento di queste correnti, arrivando
forse perfino ad arrestarle. Un’anomalia è la base di un’altra anomalia.
E, fatto più importante, la stessa anomalia dell’acqua si spiega con un’altra
anomalia: l’anomalia dei legami chimici detti “legami idrogenici”.
I legami chimici ordinari, come quelli che tengono insieme gli atomi in una
molecola, sono dovuti alla condivisione di una o più coppie di elettroni. Un
elettrone appartenente a un atomo è contemporaneamente posseduto da un
altro atomo, e viceversa. Ed è questo possesso contemporaneo a tenere
insieme la molecola. Gli atomi di ossigeno e idrogeno di una molecola
d’acqua stanno incollati insieme in questo modo. Ma la capacità di utilizzare
questo tipo di legame (detto “legame di covalenza”) ha un limite nel numero
di elettroni posseduti da ciascun atomo. L’idrogeno possiede un solo
elettrone, un elettrone che impegna quando lo condivide con l’ossigeno, e
quindi la sua capacità di stabilire altri legami di covalenza è esaurita. Tuttavia
l’idrogeno possiede in esclusiva l’anomala capacità di conservare una carica
elettrica positiva parziale quando si accoppia con certi altri elementi chimici
(come l’ossigeno, l’azoto o il fluoro). Questo residuo consente a una molecola
contenente idrogeno di creare legami più deboli e più flessibili con elettroni di
carica negativa, privi di legami, liberi, di un’altra molecola. Questi legami
sono anomali non solo per la parte singolare che vi ha l’idrogeno, ma anche
perché le loro dinamiche non sono lineari: la probabilità che un legame si
110 domus Settembre September 2006
L’ IMPORTANZA DELLA MATERIA
Anomalie
cruciali
rompa dipende dallo spezzarsi o meno di altri legami circostanti. In altre
parole, diversamente dai legami di covalenza, i legami idrogenici non si
formano né si spezzano autonomamente, ma cooperativamente: una
anomalia che complica notevolmente il loro studio.
Sono questi legami anomali a determinare le proprietà anomale dell’acqua.
I due atomi di idrogeno di una molecola d’acqua hanno elettroni in comune
con il singolo atomo di ossigeno, in una configurazione a V. Ma l’ossigeno,
con sei elettroni disponibili, ne usa solo due per legarsi con l’idrogeno. Gli
altri quattro formano “doppietti liberi”. Se si considerano questi doppietti
liberi, la forma della molecola non è una V bidimensionale, ma un tetraedro
tridimensionale, in cui i quattro vertici sono i due atomi di idrogeno e i due
doppietti liberi di elettroni. Si dà il caso che sia l’architettura ideale per
utilizzare al massimo il legame idrogenico: ciascun atomo di idrogeno di una
molecola d’acqua può legarsi a uno dei due doppietti liberi di un’altra
molecola d’acqua. In altri termini ciascuna molecola d’acqua può legarsi ad
altre quattro, formando una vasta rete di tetraedri. Mentre molte altre
sostanze (come l’ammoniaca o l’acido fluoridrico) possono formare legami
idrogenici, solo l’acqua può farlo in modo tridimensionale.
Alle pressioni atmosferiche prevalenti al livello del mare – la gamma di
pressioni pertinente agli effetti dell’acqua sul clima – il ghiaccio mostra questa
struttura tetraedrica. Ciò è in contrasto con molti altri solidi che sono tenuti
insieme da forti legami di covalenza, benché anche i cristalli metallici possano
disporre di legami ionici un po’ più deboli, il che spiega la loro duttilità. La
rete tetraedrica di molecole legate da quattro legami idrogenici, tuttavia, può
formarsi solo se si mantiene una distanza sufficiente tra le molecole d’acqua.
In altre parole la struttura cristallina del ghiaccio presenta parecchio spazio
libero, il che spiega la sua bassa densità. Benché anche le molecole d’acqua
allo stato liquido tendano a ordinarsi in strutture tetraedriche, si tratta di una
rete molto più flessibile: certi legami non sono rettilinei ma curvi, e non tutti i
legami possibili si formano effettivamente. Al di sopra dei 4°C troppi legami
sono interrotti, e quindi l’acqua si comporta come un liquido normale. Ma a
4°C si raggiunge il giusto equilibrio di numero, flessibilità e distorsione, che
consente all’acqua liquida di occupare gli spazi vuoti tra i cristalli di ghiaccio,
e quindi di impacchettarsi più strettamente che nella fase solida. Così una
anomalia è la base di un’altra anomalia.
Il compito della filosofia si può definire come la distinzione tra ciò che non è
importante e ciò che è importante, attraverso la separazione di ciò che è
normale da ciò che è singolare, di ciò che è banale da ciò che è interessante.
È un compito che può essere svolto in molti campi della realtà. Una filosofia
materialista deve condurre questo tentativo nel cuore stesso della materia,
scoprendo come un fenomeno dal comportamento interessante diventi la base
per un altro fenomeno fuori dall’ordinario, il quale a sua volta può condurre a
ulteriori divaricazioni dalla normalità. Una filosofia materialista, in poche
parole, deve prendere atto che talvolta le anomalie possono costituire
differenze decisive nel mondo.
Manuel DeLanda è autore di libri di filosofia e di saggi pubblicati in diverse riviste e raccolte.
È docente alla Columbia University, School of Architecture, dove tiene due seminari:
“Philosophy of History: Theories of Self-Organization and Urban Dynamics” e “Philosophy of
Science: Thinking about Structures and Materials”.
MATTER MATTERS
Crucial
Eccentricities
ensity is a measure of the amount of matter existing in a given amount It is these eccentric bonds that determine the eccentric properties of water.
of space. Or to put it differently, a measure of how tightly packed The two hydrogen atoms in a water molecule share electrons with a single
together a material’s component molecules are. Matter may exist in oxygen atom, forming a “V” shape. But oxygen, with six available
several states or phases, such as the gas, liquid and solid phases. Generally, electrons, uses only two to bond with hydrogen. The other four form two
molecules in gases have more room to move around than they do in liquids, “lone pairs”. When these lone pairs are taken into account, the shape of the
and much more so than in solids where they are confined to relatively molecule is not a two-dimensional “V” but a three-dimensional
immobile positions in crystals. In other words, the solid phase of most tetrahedron, in which the four corners are the two hydrogen atoms and the
materials is far denser than the liquid phase which, in turn, is denser than two lone pairs of electrons. This happens to be the ideal architecture to
the gaseous one. Since the weight of a given material is the sum of the make maximal use of hydrogen bonding: each hydrogen atom in one water
weights of its components, the denser a material the heavier it will tend to molecule can bond with each of the two lone pairs in another water
be, and this implies that solid pieces should always sink if placed in a pool of molecule. In other words, each water molecule can bond with four others
liquid of the same material. So why does ice float? Moreover, in most forming an extensive tetrahedral network. While many other substances
materials the colder a liquid gets the denser it becomes, since high (such as ammonia or hydrogen fluoride) can form hydrogen bonds, only
temperature implies a more energetic motion of the component molecules, water can do so in three dimensions.
and hence more free space around them to carry on this motion. Therefore
in a pool of normal liquid the colder portions should always exist at the At the air pressures prevalent at sea level – the range of pressures that
bottom. So why do lakes and oceans freeze from the top down instead of matters as far as water’s effect on climate is concerned – ice displays this
from the bottom up? tetrahedral structure. This is in contrast with most other solids that are held
together by strong covalent bonds, although metallic crystals also have
The explanation for the eccentric behaviour of liquid water is that it reaches access to somewhat weaker ionic bonds, a fact that explains their ductility.
its maximum density not when it is at its coldest, i.e. right before it turns The tetrahedral network of molecules joined by four hydrogen bonds,
into ice, but a few degrees higher. Liquid water crosses the phase transition however, can only form if enough distance is kept between the water
to solid at 0˚ C but it is at its densest at 4˚ C. In other words, the eccentricity molecules. In other words, the crystal structure of ice has lots of empty
is highly localised, liquid water warmer than 4˚ C behaving quite normally. space, and this explains its low density. Though water molecules in the
Nevertheless, however small the temperature range over which the liquid state also tend to arrange themselves tetrahedrally, theirs is a much
eccentricity exists, it has very large consequences. It is well known that more flexible network: some bonds are not straight but bent, and not all
Europe’s climate should be colder than it is given the latitudes at which the possible bonds form. Above 4˚ C too many bonds are broken, so water
continent is located. It is also well known that its anomalously warmer behaves like a normal liquid. But at 4˚ C the right balance of numerousness,
temperatures are the effect of the circulation of ocean currents that bring flexibility and distortion is reached allowing liquid water to occupy the
heat from the tropics. If water did not display its anomalous behaviour, if empty spaces between ice crystals, and hence to become more tightly packed
ice (or very cold water) sank as it should, this would interfere with the than the solid. Thus, one eccentricity sustains another eccentricity.
motion of these currents perhaps even bringing them to a halt. One
eccentricity sustains another eccentricity. And more importantly, the water The task of philosophy may be defined as sorting out the unimportant from
anomaly itself is explained by yet another one: the eccentric chemical bonds the important, separating the ordinary from the singular, telling apart the
called “hydrogen bonds”. trivial from the remarkable. This is a task that may be carried out in many
spheres of reality. Materialist philosophy must take this endeavour right to the
Normal chemical bonds, such as the ones that glue atoms together into a heart of matter, discovering how one piece of remarkable behaviour becomes
molecule, emerge from the sharing of one or more pairs of electrons. the basis for another extraordinary one which, in turn, may lead to further
An electron belonging to one atom is simultaneously owned by another departures from normality. Materialist philosophy, in short, must acknowledge
atom, and vice versa, and it is this simultaneous ownership that holds the that, sometimes, eccentricities can make all the difference in the world.
molecule together. The oxygen and hydrogen atoms in a molecule of water
are glued together in this way. But the ability to use this type of bonding
(called “covalent bonding”) is limited by the number of electrons an atom
has. Hydrogen possesses a single electron, an electron that it gives up as it
shares it with oxygen, so its capacity for further covalent bonding is
exhausted. Nevertheless, hydrogen alone has the anomalous ability of
retaining a partial positive electric charge when coupled with certain other
chemical elements (such as oxygen, nitrogen or fluorine). This residue
allows a molecule containing hydrogen to create weaker, more flexible
bonds with free, unbounded, negatively charged electrons in another
molecule. These bonds are eccentric not only because of the singular role
played by hydrogen but also because their dynamics are nonlinear: the
probability that a bond will break depends on whether other nearby bonds
break or not. In other words, unlike covalent bonds, hydrogen bonds do not Manuel DeLanda is the author of philosophy books as well as of many philosophical essays
published in various journals and collections. He teaches two seminars at Columbia University,
form or break independently but cooperatively, an eccentricity that highly School of Architecture: “Philosophy of History: Theories of Self-Organization and Urban Dynamics”,
complicates their study. and “Philosophy of Science: Thinking about Structures and Materials”.
Settembre September 2006 domus 111
© Leonardo Cendamo/Grazia Neri © Leonardo Cendamo/Grazia Neri

Édouard Glissant
Hans Ulrich Obrist
Interview 04
Luglio/ A cura di Édouard Glissant
July 2005- Thomas Boutoux Paris, Francia/France
Marzo/ Loredana Mascheroni
March 2006

HANS ULRICH OBRIST: Nel tuo ultimo libro, La
Cohée du Lamentin (Gallimard, Paris, 2005),
dedichi alla questione della città e dell’archi-
tettura un intero capitolo: “Il dibattito della
piantagione e della città”. Mi pare che con
questo testo si delinei una concezione della
città come organismo distruttivo, anzi auto-
distruttivo…
ÉDOUARD GLISSANT: Non è che con questo io voglia
dire per forza che le città sono votate alla di-
struzione. Voglio più che altro suggerire che
c’è un modo nuovo di concepire la città, di-
stante dal concetto tradizionale. Tradizional-
mente, la città si è costruita in contrapposi-
zione alla campagna che la circondava, sia
erigendo mura per proteggersi sia tramite la
periferia, che costituisce un territorio di tran-
sizione tra città e campagna. La città si co-
struiva quindi a poco a poco, un po’ come se
si costituisse a partire da una sorta di rivolo di
sangue proveniente dalla campagna che si an-
dava a coagulare in un certo luogo. Quello
che è invece interessante nelle città moderne è
che non presentano più alcun legame con la
campagna, e con l’ambiente circostante…
HANS ULRICH OBRIST: C’è una scissione.
ÉDOUARD GLISSANT: Sì. Un ‘taglio’ assoluto, non
uno ‘soft’ dato da mura o periferie. Ecco per-
ché molte città africane o brasiliane – penso a
quelle città della Costa d’Avorio o a una città
come Brasilia – sono nate bruscamente, di
colpo, senza presentare alcun legame con ciò
che le circondava. Esistono anche parecchie
città, soprattutto cinesi, che sorgono in mezzo
a paludi dove la gente marcisce. In altre pa-
role: in questo momento assistiamo alla com-
parsa di nuclei urbani che non hanno capil-
lari, non hanno piccole arterie che si dira-
mano da essi. Sono città-isola, atolli urbani,
realtà che conferiscono una nuova colora-
zione al concetto di città, soprattutto perché i
loro abitanti non sanno nulla di quello che
succede altrove…
HANS ULRICH OBRIST: Come avviene a New York,
per esempio…
ÉDOUARD GLISSANT: Sì. E quindi sono città igno-
ranti. Sono città che bastano a se stesse ma
anche che ignorano tutto ciò che le circonda.
In generale possono fare a meno del mondo,
o meglio, dell’idea del mondo. Questo è un
dramma: il fatto che siano assolutamente au-
tonome si traduce da un lato in un’audacia
HANS ULRICH OBRIST: In your latest book, La Cohée
du Lamentin, a whole chapter entitled “The
debate on plantation and city” is devoted to
the question of cities and architecture. In this
text the city seems to be conceived as a de-
structive, or self-destructive organism.
ÉDOUARD GLISSANT: I am not necessarily saying that
cities are doomed to destruction. I really want
to suggest that there is a new way of conceiv-
ing cities which is not traditional. What can be
said is that, traditionally, the city was built in
contrast to its surrounding countryside by
putting up walls to protect it, as well as by
having suburbs to create the transition be-
tween town and country. So cities were built
little by little, rather like a flow of blood from
the country that had coagulated somewhere.
Now the interesting thing about modern cities
is that they no longer have any connection
with the countryside, or with the environment.
HANS ULRICH OBRIST: There is a rift.
ÉDOUARD GLISSANT: That’s right, they are “cut
apart”. But not by walls or suburbs, they are
cut absolutely. That’s how many cities in
Africa or Brazil – and I’m thinking of cities in
Ivory Coast, or of a city like Brasilia – sprang
up abruptly, quite suddenly and without any
connection to their surroundings. There are
also many cities, notably Chinese, that rise up
in the middle of swamps, where people stag-
nate. So you see, cities are springing up with-
out the little veins that would run outside a
city. They are island-cities, urban islands. This
gives a different colouring to the notion of
city, in particular because the inhabitants of
these cities know nothing about what is going
on elsewhere…
HANS ULRICH OBRIST: As in New York for example.
ÉDOUARD GLISSANT: Yes. And as a result they are ig-
norant cities, cities sufficient unto themselves;
but also cities that know nothing about their
surroundings. Generally speaking, they are
cities that can manage without the world, I
mean without the idea of the world. This is a
drama because the fact that these cities are ab-
solutely autonomous can be seen on one hand
as fantastically daring, by their capacity to rise
up so boldly. But from another angle, since
they express no continuity of a past, we may
rightly wonder whether they will last. So the
question of time in cities has to be raised.
I believe this matter of time is very important.

112 domus Settembre September 2006 Settembre September 2006 domus 113
 fantastica, nel costruirsi e nell’innalzarsi, ma
dall’altro portano a chiedersi se sono città de-
stinate a restare, dato che non hanno conti-
nuità con un passato, se dureranno. Bisogna
porsi la questione del tempo relativamente
alla città.
Queste città consumano il loro tempo imme-
diatamente. Ma una città deve avere tra le sue
funzioni quella di durare nel tempo? Forse
no, dopo tutto…
HANS ULRICH OBRIST: Pensi a questo nuovo tipo di
città come a una città effimera?
ÉDOUARD GLISSANT: Effimera e poi ripresa altrove o
nello stesso luogo. In fondo sono città il cui
carattere più evidente è che cambiano conti-
nuamente. Sono in metamorfosi costante e to-
tale, mentre quelle tradizionali presentano
una metamorfosi molto lenta, ci mettono
molto tempo a evolversi. A questi modelli ur-
bani differenti corrisponde un diverso modo
di frequentare le città: basta pensare a come
viene frequentata una città come New York a
differenza di Parigi o anche certe città afri-
cane, o certi villaggi. In questi luoghi è sempre
possibile entrare in contatto con il passato e il
presente contemporaneamente. Nelle città
moderne a cui mi riferisco, invece, è possibile
frequentare solo il presente, non il passato ma
nemmeno il futuro! Perché sono città che
forse prestissimo saranno sconvolte da cima a
fondo, senza che si sappia come o perché. Dal
punto di vista della letteratura, che è ciò che
più mi interessa, in La Cohée du Lamentin io
sostengo che è esistita una “letteratura della
piantagione” o della campagna, che è con-
trapposta a quella che si potrebbe chiamare
una “letteratura della città”. La letteratura di
campagna per me è quella di Faulkner, o an-
che di Tolstoj. Guerra e pace mi sembra d’al-
tra parte abbastanza rappresentativo: un an-
dirivieni incessante tra la campagna e Mosca,
o tra la campagna e San Pietroburgo. Non è
soltanto un libro che parla di guerra e di pace
ma anche di campagna e di città. E d’altra
parte in Guerra e pace l’elemento essenziale
è la presa di Mosca e la sua liberazione. La
letteratura di città come ha cercato di prati-
carla Dos Passos è spezzata, sbriciolata, non è
una letteratura continua come in Guerra e
pace. Viene da chiedersi se nel momento at-
tuale trionferà un’amalgama, una specie di
sintesi di questi due generi di letteratura o se
la letteratura sfocerà invece in una frammen-
tazione totale, in perfetta sintonia con le città
così come appaiono oggi. Credo che sia que-
sta seconda possibilità a emergere.
HANS ULRICH OBRIST: Che analisi ne trai, in termini
architettonici?
ÉDOUARD GLISSANT: Le campagne vanno scompa-
rendo ovunque nel mondo e anche dove so-
pravvivono non hanno più una presenza fon-
damentale rispetto alle città. Di conseguenza,
secondo me l’architettura delle città nel mo-
mento attuale va in due direzioni: da una
parte un’audacia totale nel concepire i rap-
porti con lo spazio, e poi comunque una no-
stalgia di ciò che c’era prima, cioè la campa-
gna; dall’altra c’è un’architettura della fram-
mentazione che basta a se stessa, propria di
una città autonoma ed effimera, un’architet-
tura i cui materiali ed edifici non sono dura-
turi perché sono costruiti con l’idea che sa-
114 domus Settembre September 2006
ranno sostituiti molto presto. Questa prima
architettura si sviluppa generalmente in verti-
cale. Con quella che si sviluppa in estensione
invece la città cerca di raggiungere ciò che re-
sta della campagna... forse anche questa è una
prospettiva. Questa architettura è tenuta a es-
sere più vicina agli elementi materiali, alla
terra, al marmo e al legno: non è fatta di ve-
tro, plastica e acciaio.
HANS ULRICH OBRIST: Tu parli anche dell’aspetto
vertiginoso delle città contemporanee e citi
la comparsa di nuovi linguaggi di strada ibri-
dati: quelli dei bambini di Rio, di Città del
Messico o della periferia parigina. Sottolinei
anche che bisognerebbe censire tutti questi
creoli delle periferie meticce. Ma allora non
significa riconoscere che la città moderna crea
qualcosa, e in particolare un linguaggio? Che
è una specie di laboratorio?
ÉDOUARD GLISSANT: Per quanto riguarda le città
‘improvvisate’ di cui abbiamo parlato, quali
per esempio Brasilia, non credo che esse pos-
sano dar luogo agli ibridi linguistici a cui fac-
cio riferimento, il cui sviluppo è invece favo-
rito dal contesto e dal clima delle periferie di
città antiche come Parigi, o delle strade di Rio
o di Dakar. Specialmente perché in queste
città la lingua ufficiale non è il “linguaggio
naturale”, cioè la lingua madre. Questa non
coincidenza tra i due linguaggi è naturalmente
la condizione per la comparsa di meticci che
si formano partendo dall’ibridazione della
lingua ufficiale con quella naturale. Una con-
dizione che può verificarsi solo nelle città,
dove il linguaggio si sviluppa quotidiana-
mente. Nelle campagne si trovano invece solo
dialetti, perché si tratta di luoghi in cui il lin-
guaggio si deforma solo molto lentamente.
HANS ULRICH OBRIST: Nelle città c’è una moltepli-
cità di zone di contatto…
ÉDOUARD GLISSANT: Sì. Ci si trova immersi in una
specie di vibrazione che fa sì che gli ibridi che
compaiono siano molto forti, ma anche
molto mutevoli… È un fenomeno simile a
quello del gergo nelle vecchie città. Esiste un
gergo di New York o, piuttosto, uno di Har-
lem? Probabilmente sì, ma io non ne so nulla.
Eppure i gerghi di Parigi, Rio, Dakar... pro-
babilmente anche quello di Città del Messico
sono molto vivaci e mutevoli. È come un’e-
nergia che si consuma continuamente, ed è
questa la caratteristica delle città. Bisogna poi
aggiungere che nelle città improvvisate, nelle
città mutevoli, quelle che crescono come New
York o Brasilia, l’architettura è più quadrata,
più ‘cubica’. Nelle città che si sviluppano in
estensione invece l’architettura è più arroton-
data. A Brasilia si è tentato un mix delle due
cose, per via di Niemeyer… un miscuglio di
arrotondato e cubico, ma si tratta di un caso
assai raro. In una città come New York è ra-
rissimo vedere forme arrotondate, e quando
le si vede si rimane colpiti. In una città come
Parigi, invece, il tondo è molto presente: cu-
pole, arcate dei ponti... Parigi ha sempre op-
posto resistenza al cubico in architettura: an-
che quando ce n’è, come in certi tratti del lun-
gosenna, rimane marginale…
HANS ULRICH OBRIST: La cosa molto interessante è
che tu parli di una letteratura delle città, men-
tre io ho discusso con Orhan Pamuk di città
letterarie. Mi ha detto che una città come
Istanbul, per esempio, poteva essere stata in-
ventata da Gérard de Nerval. Che ne pensi?
C’è una letteratura delle città ma ci sono an-
che delle città letterarie… Sei d’accordo con
questa idea che gli scrittori inventano le città?
ÉDOUARD GLISSANT: Si può dire che ci sono scrittori
che inventano delle città, ma si tratta di città
che già esistevano. Gli scrittori si occupano di
distillare il senso della città, la sua spiritualità.
Gérard de Nerval non ha ‘inventato’ Istanbul,
ma ha segnalato alla sensibilità comune ciò
che in Istanbul c’era di particolare. Comun-
que è corretto affermare che le grandi città
antiche sono state sempre accompagnate
dalla loro letteratura: Villon nel Quattrocento
è uno scrittore di città, perché è uno scrittore
di Parigi. E anche gli scrittori del Seicento,
della campagna e della provincia non ne sa-
pevano nulla. E poi ci sono i casi di Balzac
nell’Ottocento, e di Proust… Credo che ci
siano, come ho detto, una letteratura di città
e una letteratura di campagna ma anche che
le città non siano conosciute soltanto grazie
alla letteratura. Ci sono per esempio la can-
zone, il folklore… Insomma, ci sono un sacco
di elementi al di là della letteratura che con-
tribuiscono a creare l’immagine di una città.
HANS ULRICH OBRIST: Ti è capitato di essere coin-
volto concretamente in progetti di urbanistica?
ÉDOUARD GLISSANT: Come tutti gli antillesi, sono
sempre stato sensibile alle questioni che gra-
vitano attorno all’architettura. Prima di tutto
perché abbiamo cicloni ogni anno, o quasi, e
anche dei terremoti: uno degli effetti princi-
pali di questi fenomeni naturali è, ovvia-
mente, la distruzione delle case. Si può quindi
dire che in un Paese come il mio la preoccu-
pazione per l’architettura è costante, anche se
purtroppo gli architetti hanno dimenticato i
principi tradizionali di edilizia e di concezione
delle abitazioni. Oggi si progettano delle abi-
tazioni dove si è costretti a installare i condi-
zionatori, mentre le case tradizionali della
Martinica o della Guadalupa non ne avevano
bisogno, perché erano costruite nella dire-
zione del vento, con degli elementi architetto-
nici che permettevano al vento di circolare
nella casa…
HANS ULRICH OBRIST: Questa memoria del sapere
architettonico si è perduta.
ÉDOUARD GLISSANT: Sì, gli architetti di oggi co-
struiscono case con muri ciechi nella dire-
zione del vento, costringendo così a installare
dei condizionatori per combattere il caldo,
che in Martinica è fortissimo. In tutti i Paesi
caldi quando gli architetti vogliono innovare
poi dimenticano le condizioni e il contesto in
cui producono la loro architettura. La casa
tradizionale creola era straordinariamente
confortevole! Aveva una veranda tutta in-
torno mentre le finestre erano posizionate a
favore del vento e sopra ad ognuna c’erano
delle piccole vasistas per la circolazione del-
l’aria. Stessa apertura sopra le porte. Tutti
questi accorgimenti facevano in modo che
l’architettura avesse un valore di funzionalità
che oggi invece ha perso. Ne ho spesso di-
scusso con degli architetti in Martinica… Un
altro grosso problema è costruire case che re-
sistano ai terremoti.
These cities use up their time immediately. But
must the purpose of a city be to last in time?
Maybe not, after all…
HANS ULRICH OBRIST: Do you think of this new type
of city as an ephemeral form?
ÉDOUARD GLISSANT: Ephemeral, and then starting
again somewhere else or on the same spot. Ba-
sically they are cities whose most manifest fea-
ture is that of changing all the time. They are
in constant and total metamorphosis, whereas
traditional cities take their time to evolve. So
this also points up a new way of treating the
city, and that’s where the big difference lies be-
tween the way of living in a city like New
York and the way of living in one like Paris, or
even in certain African cities, or in villages for
that matter. In these places it is still possible to
frequent the past and the present simultane-
ously. In the modern cities that I have men-
tioned, on the contrary, one can only frequent
the present, not the past there and not the fu-
ture either! These are cities that will perhaps
very soon be shaken from top to bottom,
without anybody knowing why or how. But as
far as I am concerned, that is from a literary
point of view, in La Cohée du Lamentin I say
that there was a “literature of plantation”, or
of the country, as opposed to what might be
called a “literature of the city”. To me, coun-
try literature is that of Faulkner, and you
could say that of Tolstoy, too. To my mind
War and Peace seems a very good example: an
incessant toing and froing between the coun-
try and Moscow or between the country and
St Petersburg. It is not just a book about war
and peace, but also a book about town and
country. Indeed, in War and Peace the essen-
tial element is the capture of Moscow and its
liberation. City literature, like the kind which
Dos Passos tried to practise, is a broken,
crushed and chaotic type of literature; it is not
consistent as in War and Peace. One wonders
whether what is going to happen next will be
some sort of an amalgam or synthesis of these
two sorts of literature; or whether literature is
heading for a total break-up. That broken lit-
erature, moreover, would be the literature of
cities just as they now appear. My feeling is
that the latter option is the emerging one.
HANS ULRICH OBRIST: How do you analyse that in
terms of architecture?
ÉDOUARD GLISSANT: The countryside is disappearing
everywhere in the world. Even when it still ex-
ists, it is no longer fundamental in its relation
to cities. Consequently, in my view the archi-
tecture of cities at present is moving in two di-
rections. On the one hand towards utter dar-
ing in its conception of relations with space;
and then even towards a nostalgia for what it
once possessed: a surrounding countryside.
Conversely, there is an architecture of detach-
ment that is sufficient unto itself, the architec-
ture of an autonomous and passing city. Its
materials and buildings are not everlasting be-
cause they are used and constructed with the
idea that they are will be replaced very
quickly. And this initial architecture tends to
be vertical. Otherwise there would be a more
horizontal sort of architecture that tries to re-
join what remains of the countryside – and
this may also be a perspective. This architec-
ture will have to be closer to material ele-
ments, to earth, marble and wood. It will not
be an architecture of glass, plastic and steel.
HANS ULRICH OBRIST: You also talk about the dizzy
aspect of contemporary cities, and you say
that new creolised street languages are spring-
ing up among the kids of Rio, in Mexico or
in the suburbs of Paris. You also observe that
a census ought to be carried out of all these
Creoles in métisses suburbs. But wouldn’t that
be to recognise that modern cities create
things, particularly languages, and that they
constitute a sort of laboratory?
ÉDOUARD GLISSANT: Concerning the “sudden” cities
that we have just been talking about, such as
Brasilia, I don’t think they can give rise to the
métissage of language that I mention. But in
old cities, like Paris and its suburbs, or in the
streets of Rio or Dakar, there is a context and
a climate that does foster such phenomena.
Because notably, in those cities, the official
language is not the “natural language”, i.e. the
mother tongues of individuals. The difference
between the two languages is naturally the
condition whereby Creoles are formed, start-
ing from the interbreeding of an official lan-
guage with a natural one. This can only hap-
pen in cities because language is recreated
every day. In the country one only finds di-
alects, for these are places where language is
deformed only very slowly…
HANS ULRICH OBRIST: …there is a multiplicity of
contact zones.
ÉDOUARD GLISSANT: Yes, a sort of vibration occurs,
which causes the Creoles that appear to be
very strong but also very rapidly changing… It
is like slang in old cities. Is there a New York
slang, or more precisely a Harlem slang? Very
probably yes, but I don’t know anything
about that. But the slang dialects of Paris, Rio
or Dakar, and probably also of Mexico, are
very lively and very quick-changing. They are
like an energy that is perpetually consumed,
and this is characteristic of cities. What we
also find is that the sudden cities, the changing
ones, the cities that grow upwards like New
York or Brasilia, are cities whose architecture
is squarer, more cubic. Whereas the cities that
spread outwards are cities where the architec-
ture is more rounded. In Brasilia they have at-
tempted a mixture of the two, due to
Niemeyer. They have tried to mix the rounded
with the cubic. But generally this seldom hap-
pens. In a city like New York, it is very rare
to see roundness and when you do it strikes
you at once because it is unexpected. In a city
like Paris, roundness is instead much in evi-
dence: in the cupolas, the arches of bridges
and so on. Paris has always resisted the cubic
in architecture. Even when cubic is built, as
in certain riverside areas, it remains somehow
marginal.
HANS ULRICH OBRIST: What is very interesting is that
you talk about a literature of cities, whereas I
spoke with Orhan Pamuk about literary cities.
He told me that a city like Istanbul, for exam-
ple, had perhaps been invented by Gérard de
Nerval. What do you think of this idea? There
is a literature of the city but there are also lit-
erary cities. Do you agree with this idea that
writers invent cities?
ÉDOUARD GLISSANT: You could say that there are
writers who invent cities, but cities that al-
ready exist. Writers seek to extract the mean-
ing of a city, its spirituality. So I don’t think
Gérard de Nerval actually “invented” Istan-
bul, but he conveyed to a common sensitivity
what was peculiar to Istanbul. It is true that
big ancient cities have always been accompa-
nied by their literature. Villon in the 15th cen-
tury was a city writer, because he is a writer
about Paris. And so were the 17th-century
writers: they knew nothing about the country
and the provinces. Then there is Balzac in the
19th century and Proust, too… I believe there
is, as I have said, a literature of the city and a
literature of the country, but also that cities
are not known by literature alone. There is for
example song, folklore… In short, there are
many things that, outside literature, combine
to create the image of a city.
HANS ULRICH OBRIST: Have you ever found yourself
concretely involved in projects touching on
urban development?
ÉDOUARD GLISSANT: Like everybody from the An-
tilles, I have been sensitive to the architectural
issue. Firstly because we have tropical cy-
clones almost every year, and obviously one of
the principal effects of cyclones is the destruc-
tion of homes. Then we also have earth-
quakes, which again destroy houses. So it can
be said that in a country like mine, our preoc-
cupation with architecture is permanent.
There is also the point – and I have often ar-
gued with architects over this – that in my
country architects have often forgotten the
traditional principles of construction and of
the conception of houses. For example, today
they build houses where people have to install
air conditioning, whereas the traditional
houses of Martinique or of Guadeloupe had
no need. There was no need because they were
built in the direction of the wind, and with ar-
chitectural elements that allowed the wind to
ventilate the house…
HANS ULRICH OBRIST:
This memory of architectural
wisdom has been lost.
ÉDOUARD GLISSANT: Yes, the architects today build
houses with blind walls facing the wind,
which means you are compelled to put in air
conditioners because the heat is terrific. In all
hot countries, when architects want to rebuild
they innovate, but then they forget the condi-
tions and context in which they have to pro-
duce their architecture. The traditional Creole
home was remarkably comfortable. It had a
veranda around it, but it also had an opening
in the direction of the wind, and then above
all the windows there were little fanlights
through which the wind circulated, as well as
in the rooms and over the doors. All this gave
the architecture a functional sense which it no
longer has. I have often argued about this with
architects in Martinique… Another big prob-
lem is how to build houses that can withstand
earthquakes.
HANS ULRICH OBRIST: We have just talked about a
chapter in your latest book. Am I right in say-
ing it is a book built on the principle of the
fragment?
ÉDOUARD GLISSANT: Yes. It is not a linear book; it
is an exploded book. Yet it has an orientation
Settembre September 2006 domus 115
 In queste pagine: una selezione di
manoscritti originali di Glissant e un suo
ritratto fatto da Sylvie Sema.
These pages: a selection of manuscripts
by Glissant and a portrait of the writer by
Sylvie Sema

116 domus Settembre September 2006 Settembre September 2006 domus 117
HANS ULRICH OBRIST: Abbiamo parlato di un capi-
tolo del tuo ultimo libro. Si tratta di un libro
costruito sul principio del frammento, vero?
ÉDOUARD GLISSANT: Sì, non si tratta di un libro li-
neare. È un libro esploso. E tuttavia è dotato
di un orientamento e di un senso, non è privo
di un punto di vista. C’è un’intenzione poe-
tica che attraversa il libro nell’insieme e que-
sta intenzione è legata al concetto di paesag-
gio. L’idea centrale è che è possibile partire da
un microscopico punto del mondo, che qui
è la Cohée du Lamentin, una piccola baia
nell’isola della mia infanzia… È un luogo
concreto situato in un piccolo arcipelago del
mondo, dal quale si può partire per vivere la
vita in modo globale. L’idea del libro è che è
possibile comprendere il mondo solo a par-
tire da un luogo. Non lo si comprende in
modo vago e diffuso. Ma d’altra parte, se si
resta in un solo luogo e ci si chiude, non si ca-
pisce più nulla.
HANS ULRICH OBRIST: Parliamo del museo. Per me
la sfida principale nella concezione del museo
oggi è smettere di concentrarsi sulla sua ar-
chitettura esterna, come facciata di grande va-
lore spettacolare, per dar posto al concetto di
“complessità interiore”. Tu una volta hai
espresso il concetto della dimensione “dell’i-
nestricabile” del museo…
ÉDOUARD GLISSANT: Credo che, sempre di più , i
musei ci guadagneranno a essere meno inte-
riormente solenni. In altre parole dovranno
comportarsi meno come grandi spazi interni,
molto imponenti e monumentali, e avere più
percorsi che si intersecano tra loro. In un mu-
seo, oggi, si deve mettere la gente a contatto
con la gente, a contatto con alcuni luoghi del
mondo... e questo non può avvenire in luoghi
come il Louvre o la galleria degli specchi di
Versailles, così solenni e maestosi. Bisogna
moltiplicare i mondi all’interno dei musei. Il
ricordo che conservo della mia vita al museo
Guggenheim di Bilbao è che mi sono sentito
perso: le sale sono straordinarie, sono delle
opere d’arte di per se stesse, ma dentro ad esse
le opere ci stanno come i cavoli a merenda.
Non si vedono perché si vede solo la strut-
tura, anche se si tratta di una struttura ma-
gnifica e straordinaria. Bisognerebbe che le
opere d’arte creassero il museo invece che il
museo creasse le opere d’arte.
HANS ULRICH OBRIST: Questo discorso ci riporta an-
che alla struttura del Merzbau. Kurt Schwit-
ters ha definito il Merzbau, che era una strut-
tura interna molto complessa, come un “tem-
pio dell’amicizia”. La trovo una definizione
piuttosto bella…
Ma ora parliamo di scuole. L’ultima volta che
ci siamo incontrati mi avevi raccontato la sto-
ria della scuola che avevi fondato in Marti-
nica. Mi interessano molto i modelli di scuola
sperimentale come il Black Mountain Col-
lege, e la loro storia...
ÉDOUARD GLISSANT: L’esperienza con questa scuola
è terminata, ma quando ne ricoprivo la dire-
zione questa scuola ha formato una parte im-
portante di una o due generazioni di marti-
nicani. Aveva un progetto culturale che era
contemporaneamente un progetto pedago-
gico: l’idea di base era che la storia dei Ca-
raibi e delle Antille dovesse essere esplorata
118 domus Settembre September 2006
pedagogicamente. In parallelo c’era anche la
volontà di liberarsi dagli impacci creati dal ri-
spetto eccessivo per la lingua francese. Biso-
gnava poter dare prova di coraggio nella ma-
nipolazione della lingua e non aver paura di
far entrare, almeno in parte, la lingua creola
nella didattica generale…
HANS ULRICH OBRIST:
Il creolo faceva quindi parte
del programma…
ÉDOUARD GLISSANT: Proprio così. Un anno, per
esempio – non so più se fosse nel ’71 o nel ’72
– un ciclone si era abbattuto sulla Dominique,
un’isoletta vicino alla Martinica. Per questo
motivo noi avevamo accolto gli studenti di
quell’isola, che pur essendo anglofona par-
lava lo stesso nostro creolo, cosa che ci ha
consentito di svolgere tutto il programma di-
dattico per sei mesi. C’era allora un progetto
culturale molto importante, portato avanti da
gruppi di ricerca. Avevamo pubblicato sette
numeri di una rivista che si chiamava Acoma,
dal nome di un albero della foresta antillese
che è uno dei più grossi e dei più alti del Paese
e che, anche dopo molto tempo che il centro
del suo tronco è stato tagliato, resta umido e
ricco di linfa, come se fosse stato appena ab-
battuto…
HANS ULRICH OBRIST: È una bellissima immagine…
Quello che mi interessa in modo particolare
nel progetto di queste scuole sperimentali, è
l’idea – come diceva anche Gyorgy Kepes – di
superare la paura di creare nelle scuole un sa-
pere comunitario. Cioè la volontà di fare
della scuola un luogo di sapere interdiscipli-
nare. Come si realizzava, nel caso di quella
scuola, questa condivisione dei saperi?
ÉDOUARD GLISSANT: Be’, si realizzava molto sem-
plicemente. Il collegamento pedagogico tra i
docenti di francese, storia, geografia e scienze
naturali era completo. Le lezioni non erano
suddivise per discipline. I docenti avevano
quello che definivano un “progetto pedago-
gico” che era legato ad attività che, a quell’e-
poca, in Martinica normalmente non si svol-
gevano. C’era per esempio un video club dove
si insegnava agli studenti a utilizzare la mac-
china fotografica, a realizzare dei filmati e
dove li si iniziava al cinema... E poi delle se-
zioni di dove si insegnava teatro che erano
molto dinamiche e che portavano alla produ-
zione di spettacoli... C’era poi un’introdu-
zione molto vivace alla pittura: era venuto
Matta, anche Cardenas, lo stesso Segui…
HANS ULRICH OBRIST: Ma è straordinario! Quindi
gli stessi artisti hanno contribuito a costruire
l’edificio. Quali erano gli altri aspetti inno-
vativi della scuola?
ÉDOUARD GLISSANT: Era una scuola che copriva gli
ultimi due anni del liceo e i primi due dell’u-
niversità. Era a cavallo delle due scuole. E c’e-
rano molto pochi studenti per classe. L’altro
fenomeno interessante è che c’era molto in-
terscambio tra classi di fasce d’età differenti.
In generale gli studenti dell’ultimo anno non
frequentano gli studenti del primo anno, ma
noi avevamo fatto in modo che lì le cose an-
dassero diversamente. E questo ha prodotto
una generazione di martinicani eccezionale. A
tutti i livelli e in tutte le discipline. Specialisti
della ristorazione oppure medici, elettricisti
oppure avvocati. Tutta una parte dell’élite
professionale della Martinica ci è passata…
HANS ULRICH OBRIST: È significativo che tu, che ri-
fiuti di insegnare, abbia creato una scuola?
ÉDOUARD GLISSANT: Sì! Fare una scuola e fare
scuola sono cose molto diverse. Quello che
non mi piace è l’idea di avere degli allievi let-
terari. Per esempio si dice che gli scrittori che
sono protagonisti in questo momento del
mondo letterario sono miei allievi. Ma io non
sono d’accordo, o piuttosto è una cosa che
non mi interessa. Non mi interessa per niente
l’idea di essere il fondatore di una scuola let-
teraria…
HANS ULRICH OBRIST: In realtà se ti faccio questa
domanda è proprio perché talvolta gli artisti
che hanno fondato una scuola, un’istituzione,
l’hanno fatto proprio con l’obiettivo di “fare
scuola”, con l’intenzione di trasmettere una
dottrina o un sistema. È per l’appunto quello
che tu non hai fatto...
ÉDOUARD GLISSANT: Sì. L’idea di fare una scuola in
Martinica era soprattutto motivata dal fatto
che serviva con urgenza. C’erano delle gene-
razioni perdute dal punto di vista dell’istru-
zione. C’era un massiccio fenomeno di rigetto
del sistema didattico francese da parte dei gio-
vani, e allora era imperativo trovare un’alter-
nativa. I giovani venivano lasciati completa-
mente a se stessi. Le ragioni che mi hanno
spinto a creare questa scuola erano perciò in-
dipendenti dalla letteratura. Per esempio non
ho mai cercato di imporre le mie personali
concezioni dell’arte o della letteratura all’in-
terno di quell’istituto. Anzi, tenevo a che non
fosse monolitico. Lo so che lo chiamavano
“la scuola Glissant”, ma non per questo era la
‘mia’ scuola. Se d’altronde non sono d’ac-
cordo con l’dea di “scuola letteraria” è perché
ritengo che l’avventura della creazione sia
un’impresa comunitaria sì, ma fondamental-
mente solitaria. La scuola invece era un’opera
collettiva…
HANS ULRICH OBRIST: È una bellissima conclusione.
Grazie infinite, Édouard.
Édouard Glissant nasce nel 1928 a Sainte-Marie, in
Martinica. Scrittore, poeta e critico francese, elabora il
concetto di antillanità e creolizzazione. Con Paul Niger, nel
1959, fonda il movimento indipendentista Front Antillo-
Guyanais e pour l’Autonomie viene quindi esiliato dall’isola
fino al ‘65, anno in cui fonda l’Institut martiniquais d’études
e il periodico di scienze umane Acoma. Dal 1982 al 1988
dirige il Courrier dell’Unesco. Dal 1995 vive a New York,
dove è Distinguished Professor in letteratura francese alla
City University. Le sue tesi sull’identità antillese, fondate
sulla nozione di identità multipla, sono state d’ispirazione
per un’intera generazione di giovani scrittori antillesi tra cui
Patrick Chamoiseau, Ernest Pépin e Raphaël Confiant. Nel
gennaio di quest’anno, Jacques Chirac gli ha affidato la
presidenza di una missione per la costituzione di un Centro
nazionale dedicato alla tratta dei neri e alla schiavitù.
and a sense. It is not a book without a point of
view. There is a poetic intention that runs
throughout the book, and that intention is tied
in with the notion of landscape. The central
idea is that one can start from a very small
point in the world, in this case the Cohée du
Lamentin, a small bay in my childhood
town… It is an actual place situated in a small
archipelago of the world and from which one
can set out to live the life of the world globally.
The idea of the book is that the world cannot
be understood except by starting out from a
place. The world cannot be comprehended in
a vague, diffused way. But equally, if one stays
stuck in that same place, one can’t understand
anything either.
HANS ULRICH OBRIST: Let’s talk about the question
of museums. You know that for me what mat-
ters most in the conception of a museum to-
day is to stop focusing on its exterior archi-
tecture, as a very spectacular facade, and to
give way instead to the notion of “interior
complexity”. You once brought up the notion
of the “inextricable” dimension of museums.
ÉDOUARD GLISSANT: I believe that museums will in-
creasingly gain from being less inwardly
solemn. I mean they will have to entail fewer
vast inner spaces, which are very imposing
and monumental, and have more intersecting
routes and sequences. The idea of museum to-
day is to put people in contact with one an-
other, to connect them with places in the
world... and one can’t do that with the
solemn and majestic concept of the Louvre or
of the mirror gallery at Versailles. The worlds
have to be multiplied within the museums,
which would be more interesting. My mem-
ory of visiting the Bilbao Guggenheim is one
of feeling lost: the rooms are extraordinary, in
themselves works of art, but the works in
them are like flies on milk! You can’t see them
because you only see the structure, even if
once again, this structure is indeed magnifi-
cent and outstanding. The works of art ought
to create the museum, instead of the museum
creating the works of art.
HANS ULRICH OBRIST: But that also brings us to the
structure of the Merzbau. Kurt Schwitters de-
fined that Merzbau, which was a very complex
inner structure, as a “temple of friendship”. I
find that a beautiful definition...
I would like to bring up the subject of schools.
The last time we met you told me the story of
the school that you founded in Martinique. I
am very interested in these models of experi-
mental schools like Black Mountain College,
and their histories.
ÉDOUARD GLISSANT: The experience with that
school is now over. But it is a school which,
when I was in charge of it, played an impor-
tant part in the lives of one or two genera-
tions of Martinicans. The school had a cul-
tural project as well as a pedagogical one.
The cultural project developed around the
idea that there was a history of the
Caribbean and of the Antilles and that our
teaching had to enter that framework and
explore it. On a parallel, there was also a de-
sire to get away from the gangue produced
by excessive respect for the French language.
There was a need to be bold in the manipu-
lation of the language and not to be afraid of
letting the Creole language, at least in part,
into our general teaching.
HANS ULRICH OBRIST:And so Creole was part of
your curriculum…
EDOUARD GLISSANT: That’s right. One year, for ex-
ample, I don’t remember if it was in ’71 or ’72,
there had been a cyclone in Dominica, a small
neighbouring island of Martinique. As a result
we received a number of students from Do-
minica because the island had been ravaged.
Although Dominica is Anglophone, it had the
same Creole language as in Martinique, so we
were able to do all our teaching in Creole for
six months. So there was a very important cul-
tural project: there were research groups, and
7 issues of a magazine were published, which
was called Acoma. Acoma is the name of a
tree in the Antilles forest, one of the biggest
and tallest in the country. Even long after it
has been cut down, you can see that the heart
of the stump is still damp and full of sap, as
if it had only just been felled…
HANS ULRICH OBRIST: That’s a beautiful image…
What interests me particularly about these ex-
perimental schools is the idea, as Gyorgy
Kepes used to say, of surmounting that fear of
creating pools of knowledge in schools. I
mean, the fear of turning the school into a
place of interdisciplinary knowledge. In the
case of this school, how was this pooled
knowledge arranged?
ÉDOUARD GLISSANT: Well, it was done quite simply.
The pedagogical link between the teachers of
French, history, geography and natural sci-
ences was complete. The courses were not pi-
geonholed as separate disciplines. The teach-
ers had what they called a “pedagogical pro-
ject”, which was linked to activities that at
that time were not customarily carried out at
all in Martinique. For example, there was a
video club in the school which taught stu-
dents to use cameras, to develop films, and
initiated them into cinematography, etc.
There were theatre sections, too, that were
very dynamic and put on their own perfor-
mances. There was also a very lively initia-
tion into painting. Matta came, and Carde-
nas too, and Segui…
HANS ULRICH OBRIST:That’s terrific! So the artists
themselves added a stone to the building…
What were the other innovative aspects of the
school?
ÉDOUARD GLISSANT: It was a school that embraced
the last two years of high school and the first
two years of university, linking the two to-
gether. And there were very few students per
class. The other interesting thing is that there
was a very wide mixture of different age
groups. As a rule, final year students do not
mix with those of the first year, but we
stopped that from happening there, which re-
sulted in a fantastic generation of Martini-
cans. At all levels and in all disciplines. As
much with those specialising in restoration as
those doing medicine, or electricians and
lawyers. A whole part of the working elite in
Martinique went through that school.
HANS ULRICH OBRIST: Isn’t it interesting that you,
who refuse to teach, actually created a school?
ÉDOUARD GLISSANT: Yes! But creating a school and
faire école are two very different things. What
I don’t like is the idea of having literary disci-
ples. For example, they say that the writers in
the literary news at the moment are disciples
of mine. But I don’t agree with that, or rather,
I’m not interested in it. I am not at all inter-
ested by the idea of being the founder of a lit-
erary school.
HANS ULRICH OBRIST: In fact if I ask you this ques-
tion it is because sometimes artists who have
founded a school, or an institution, have
done so with the precise aim of “establish-
ing a school”, with the intention of transmit-
ting a doctrine or system. That is precisely
what you did not do...
EDOUARD GLISSANT: Yes. The idea of setting up a
school in Martinique was motivated mainly
by urgency. There had been lost generations
from the point of view of education. There
had been a massive rejection of the French
teaching system by the young, and so it was
imperative to find an alternative. The young
were becoming completely absorbed in them-
selves. The reasons that drove me to create
that school were therefore independent of lit-
erature. For example I never tried to impose
any of my own conceptions of art or literature
within that establishment. On the contrary, I
was keen for it not to be monolithic. I know
people do call it the “Glissant school”, but it
was not actually “my” school. If for that mat-
ter I don’t agree with the idea of a “literary
school”, it is because I consider the adventure
of creation to be an enterprise that is shared,
certainly, but fundamentally solitary. The
school was on the contrary a collective work.
HANS ULRICH OBRIST:
That makes a splendid con-
clusion. Thank you very much indeed,
Édouard.
Édouard Glissant was born in 1928 in Sainte-Marie,
Martinique. A French writer, poet and critic, he developed
the concept of antillanité (Caribbeanness) and creolisation.
With Paul Niger, in 1959 he founded the separatist party
Front Antillo-Guyanais pour l’Autonomie and was exiled
from his island until 1965, when he established the Institut
martiniquais d’études and the social sciences magazine
Acoma. From 1982 to 1988 he edited the UNESCO
Courrier. Since 1995 he has lived in New York, where he is
Distinguished Professor of French Literature at City
University. His theories on Antillean identity, founded on
the notion of multiple identity, have inspired an
entire generation of young Antillean writers such as Patrick
Chamoiseau, Ernest Pépin and Raphaël Confiant.
In January 2006, Jacques Chirac entrusted with him the
chairmanship of a task force to set up a National Centre
dedicated to abolishing the slave trade and slavery.
Settembre September 2006 domus 119
Doug Aitken nasce nel 1968 a Redondo Beach, in
California; vive e lavora a Los Angeles. Artista e fotografo,
è anche conosciuto per i suoi video per artisti come
Iggy Pop e Fatboy Slim. Nelle sue opere utilizza il linguaggio
di Hollywood e degli spot pubblicitari.
Tacita Dean nasce a Canterbury nel 1965. Dal 2000
vive e lavora a Berlino. Il suo lavoro prende corpo in una
varietà di media che vanno dal disegno, alla fotografia,
al suono, ma l’artista si è affermata principalmente per i
suoi film girati in 16mm.
illusioni
Doug Aitken e Tacita Dean
Tarzan&Jane
Tarzan&Jane è un incontro
tra due artisti invitati a rispondere
alle stesse domande.
Tarzan&Jane è un progetto
appositamente creato per Domus e
prodotto da Wrong Gallery.
Diretto da Maurizio Cattelan,
Massimiliano Gioni e Ali Subotnick,
Wrong Gallery è uno spazio non profit
dedicato alla sopravvivenza
della sperimentazione e del gioco.
☛ con tutte le persone che amo di più appena mi è possibile, e di liberarmi dai vincoli delle cose materiali. Questa
Doug Aitken risponde in arancione
Tacita Dean risponde in blu
120 domus Settembre September 2006
NELLA TUA OPERA, CHE COSA C’È DI REALE E COSA DI INVENTATO?
Non lo so.
Tutti i miei film prendono spunto dal mondo reale, ma ben presto vanno in altre direzioni: a volte nel
puramente inventato, altre invece usano la finzione per descrivere meglio la realtà. L’arte dopo tutto deriva da
un artificio del linguaggio. Ho realizzato in fretta che la riproduzione, in arte, di ciò che è vero, a volte può
creare qualcosa di realmente autentico. Spesso costruisco il contenuto delle mie opere sfumando volutamente la
linea di confine tra realtà e finzione. L’esempio più evidente è Girl Stowaway del 1994. Più di una persona
ha preso per vere le mie creazioni, per poi credere invece falso ciò che era reale. Questo trucco è più facilmente
riscontrabile nelle colonne sonore: spesso utilizzo un cane che abbaia o il rumore in lontananza di una
motocicletta per connotare quell’atmosfera particolare che si crea dopo il tramonto. Comunque i miei disegni
su lavagna sono del tutto inventati. Anche se il punto di partenza è una vecchia fotografia, ho bisogno di
immaginarmi il flusso e il movimento del mare – vederlo come in un film. I miei “disegni di alabastro” sono
pura invenzione. Guardo il blocco sperando di scorgere un paesaggio o un mondo mitico, per poi estrarlo.
TU DOCUMENTI LA REALTÀ O LA RIFUGGI?
Mi piacerebbe saperlo.
Probabilmente faccio entrambe le cose. Vengo spesso definita ‘nostalgica’ perché il mezzo che uso di più, la
pellicola 16mm, è associata a un mondo tecnologico ormai obsoleto, e questo nonostante sia tuttora di gran
lunga superiore al delirio folle di pixel che domina il nostro mondo digitale. Anche tutti i soggetti delle mie
opere sono quasi sul punto di scomparire. Mi ci è voluto molto tempo per comprendere che il filo che lega quasi
tutte le mie opere è la sparizione. Ma non avrebbe alcun senso dire che sono scappata in un mondo che sta
facendo un corso accelerato di invecchiamento. Andando all’indietro nel futuro. Il mio lavoro e il mio mezzo
continuano ad essere reali e a esistere, o almeno lo erano fino a poco tempo fa, sebbene si stiano disintegrando.
DOVE TI HA CONDOTTO LA TUA OPERA?
A un certo punto i progetti prendono il timone, concretamente. Non puoi avere un ripensamento o
contemplarli, ti consumano e diventano te stesso; influenzano ogni tuo movimento. A un certo livello ti fai
condurre dall’istinto. A volte chiudi anche gli occhi.
Il mio lavoro mi fa viaggiare, è sempre stato così. Seguo l’evoluzione narrativa di un’idea, la sua genesi, ovunque
mi possa condurre. Così è successo che la ricerca del Teignmouth Electron mi ha condotto a Cayman Brac,
dove ho trovato la Bubble House e l’eclisse totale di sole, che a sua volta mi ha portato a Morombe, nella parte
ovest del Madagascar, dove ho trovato il raggio verde. Questi spostamenti nello spazio fisico ti mettono in
contatto con il viaggio metafisico che ogni artista deve compiere. Non riesco mai a prevedere come si evolverà
un’opera. Per me è importante esserne all’oscuro. E neppure voglio saperne troppo sul mio processo creativo,
perché non vorrei diventare troppo consapevole di me stessa. In un certo modo, uno dei viaggi più difficili che
ho fatto di recente è stato quello che ho intrapreso per la preparazione della mostra dell’anno scorso “An
Aside”, per la quale ho ceduto del tutto alla casualità, alle situazioni e all’inconscio. Verso la fine di questa
esperienza ero incinta e quindi smisi di viaggiare, ma ho finito per continuare ad andare ovunque col pensiero.
QUAL È UN LUOGO O DOVE SI TROVA UN POSTO IN CUI TU NON SEI MAI STATO?
In questo momento io vorrei:
- Inspirare e poi espirare. - Smarrirmi, dimenticare il mio nome e tutta la mia
- Cercare di scalare il Monte Analogue (come ha identità per esattamente una settimana.
scritto René Daumal). - Diventare ogni giorno una persona nuova.
- Bere in una stanza senza forza di gravità in - Vivere la vita a ritroso cominciando dalla morte.
compagnia di James Joyce e F. Scott Fitzgerald. - Fare una chiacchierata intorno a tavolo di legno
- Stare a guardare le villone di Malibu che bruciano con tutti gli amici che mi hanno abbandonato e
per i soliti incendi estivi. chiedergli il motivo.
- Pranzare con Joan Didion e Ché Guevara sulle - Vivere
colline di Hollywood. - Oggi
- Vedere mio padre che torna in vita dopo essere - Domani
annegato nell’Oceano Pacifico nel 1969. - Il futuro
- Nel 1970, fare un bagno nel fango di Arcosanti - Tel Aviv 2008
di Soleri, la città creata da Paolo Soleri. - Teheran 2009
- Vedere in contemporanea Woodstock e Altamont - Tangeri 2010
nel 1969 (la nascita e la morte degli anni Sessanta). - Tolosa 2020
- Rubare nei negozi di New York con Andy Warhol. - Terra del fuoco 2030
- Ubriacarmi a Monaco con Rainer Werner - Tijuana 2040
Fassbinder mentre ascoltiamo NEU!. - Tulsa 2050
- Vedere il concerto dei Joy Division a Manchester - Taipei 2060
con i miei genitori. - 2070
- Vedere che tutte le proposte del Superstudio - 2080
vengono realmente create e costruite. - 2090
- Nuotare d’estate nei fiumi di Zurigo. - 3000
Tristan da Cunha, l’isola abitata più remota di tutto il pianeta. Ho fantasticato spesso su questo luogo, ne ho
scritto e l’ho sognato. Qualcosa mi affascina nel fatto che ci passi solo una barca all’anno, mi attrae poter
ricevere o imbucare una lettera solo in quell’occasione. Forse sono intrigata da questo eccessivo rallentamento
del rituale di comunicazione. Ovviamente si tratta solo di una fantasia anacronistica, visto che oggi a Tristan da
Cunha, grazie a un generatore, esiste l’e-mail. E di recente gli hanno attribuito anche un codice postale.
QUAL È L’IMMAGINE PIÙESTREMA CHE HAI FILMATO?
In questo istante quella più estrema che ho in mente è l’immagine sbiadita della mia piccola casa di Venice
Beach. Il bungalow californiano in cui a volte vivo e che ho occupato per molto tempo. Ora è vuoto da mesi
perché sono in viaggio. Lentamente mi sto convincendo che quella casa non esiste più, anzi non è mai esistita.
La sua immagine sta scolorendo nella mia testa e tra non molto potrei averla del tutto dimenticata, insieme a Doug Aitken
tutte le cose e i ricordi che contiene. La sua immagine è come un promemoria sussurrato che mi ricorda di stare
dis-appear, c-print su alluminio/c-print mounted on
aluminum, 152x122 cm, 2005.
immagine mi ricorda anche che la tua casa è al tempo stesso ovunque e da nessuna parte, di volta in volta. Per gentile concessione di/Courtesy of
Il raggio verde. 303 Gallery, New York
Tarzan&Jane

Tacita Dean
Dall’alto/From top to bottom:
Sound Mirrors, 16mm film in bianco e nero con sonoro
ottico/16mm black and white with optical sound, 7
minuti/minutes, 1999; Palast, 16mm film a colori con
sonoro/film 16mm colour with sound. 10 minuti/minutes,
30 secondi/seconds, 2004. Per gentile concessione
di/Courtesy of Marian Goodman Gallery, New York e/and
Frith Street Gallery, Londra/London
Tarzan&Jane
122 domus Settembre September 2006
WHAT IS REAL AND WHAT IS IMAGINED IN YOUR WORK? Doug Aitken was born in 1968 at Redondo Beach in
I don’t know. California, and he lives and works in Los Angeles. An artist
The starting point for all my films is in the real world but soon it departs in other directions, some which have and photographer, he is also known for his videos for artists
a purely fictional destination, and others that just use fiction to better describe the real world. Art after all such as Iggy Pop and Fatboy Slim. In his work he makes use
of the language of Hollywood and TV advertising.
comes from the word artifice. I realised very early on that fakery, resorting to fiction, can sometimes make
something more apparently real. Often, I fabricated the content of my work by blurring the line between fact Tacita Dean was born in Canterbury in 1965; since 2000 she
and fiction. The most obvious example of this was Girl Stowaway, 1994. I remember numerous examples of she has lived and worked in Berlin. Her work uses
a variety of media ranging from drawing and photography
people believing my fabrications to be real and what in fact was real to be false. Now my artifice is found
to sound but she is best known for her 16mm films.
more often in my soundtracks. I often use a barking dog or a distant motorbike to denote that very particular
atmosphere associated with dusk. My blackboard drawings however are completely imagined.
Even if the source material is an old photograph, when I draw I must imagine the flux and movement
of the sea – see it cinematically. My alabaster drawings, however, are entirely imagined. I look into the stone
and hope to see the landscape or mythic world and coax it out.
DO YOU DOCUMENT REALITY OR ESCAPE FROM IT?
illusions Doug Aitken and Tacita Dean
I wish I knew.
I probably do both. I am often called nostalgic because my principal medium, 16mm, is associated with a
bygone technology even though, if truth be told, it is still far superior to the manic proliferation of pixels that
constitutes our digital world. And my subjects too are often on the point of physical disappearance.
It took me a long while to realise that the thread connecting most of my work was disappearance. But it would
make no sense to say I was escaping into a world that was on a crash course with obsolescence.
Backwards into the future. My subjects and my medium are still real and existent, despite their dilapidation,
or at least they were until very recently.
WHERE HAS YOUR WORK TAKEN YOU?
Physically, at a certain point the projects just take over. You can’t pull back or see them: they consume
you and become you. They determine your every movement. At a certain stage you move by instinct. At times
you close your eyes.
I travel with my work; I always have. I follow a narrative or genesis of an idea to wherever it may lead me.
It is the one thing I have given myself absolute permission to do. So looking for Teignmouth Electron led me to
Cayman Brac where I found the Bubble House and the total eclipse of the sun took me to Morombe
in western Madagascar where I found the green ray. These physical journeys connect with the metaphysical
journey an artist must inevitably take. I never pre-imagine what a work will become. For me, it is important to
work blindly. I also don’t want to know too much about my process for fear of becoming too self-conscious.
In a way, one of the most difficult journeys I took recently was to give myself entirely over to chance, situation
Tarzan&Jane
and the unconscious in selecting a show last year called “An Aside”. For the latter part of this experience,
I was pregnant and stopped travelling, but in fact ended up travelling far and wide in my imagination.
WHAT OR WHERE IS A PLACE YOU HAVE NEVER BEEN TO?
At this instant I’d like:
- To breathe in and to breathe out. - To become a new person everyday.
- To attempt to climb Mount Analogue - To live life backwards and start with death.
(as written by René Daumal). - To have a good conversation at a wooden table with
- To drink in a room with no gravity all of my friends who have ever deserted me
with James Joyce and F. Scott Fitzgerald. and ask why.
- To watch the mansions of Malibu burn in the - To have a good conversation at a wooden table with
annual summer fires. all the friends I love and I know I will never desert.
- To get lunch with Joan Didion and Che Guevara - To
in the Hollywood hills. - To live
- To watch my father return to life after drowning - Today
in the Pacific Ocean in 1969. - Tomorrow Tarzan&Jane is an encounter
- To be in a mud bath at Paolo Soleri’s Arcosanti in 1970. - The future between two artists.
- To see Woodstock 1969 and Altamont 1969 - Tel Aviv 2008
Tarzan&Jane is a project specially
(the birth and death of the ‘60s) simultaneously. - Tehran 2009
made for Domus
- To shoplift in New York with Andy Warhol. - Tangier 2010 and produced by Wrong Gallery.
- To get high with Rainer Werner Fassbinder - Tolouse 2020
in Munich while listening to NEU!. - Tierra del fuego 2030 Directed by Maurizio Cattelan,
Massimiliano Gioni and Ali Subotnick,
- To watch Joy Division play live in Manchester with - Tijuana 2040
the Wrong Gallery is a non-profit
my parents. - Tulsa 2050 space for the survival of play
- To see all of Superstudio’s proposals actually get - Taipei 2060 and experimentation.
created and built. - 2070
- To swim in the rivers of Zurich in summer. - 2080
- To get lost and forget my name and entire identity - 2090
for exactly one week. -3000
Tristan da Cunha, the remotest inhabited island on our planet. I romanticised about this place, wrote and
dreamt about it. Something about only one boat a year attracted me; something about only being able to post
or receive a letter once a year attracted me. Maybe it is about the excessive slowing down of our rituals of
communication. Of course, this is an anachronistic fantasy because Tristan da Cunha now has email, courtesy
of a generator. It also just got a postcode.
WHAT’S THE MOST EXTREME IMAGE YOU’VE FILMED?
The most extreme image at this second for me is a fading image in my mind of my small Venice Beach home.
The California bungalow that I sometimes live in and had occupied for a long time. Now it has been
unoccupied for many months as I travel. I’m slowly becoming convinced that this home no longer exists and it
has never existed at all. It’s fading fast from my mind and will soon be entirely forgotten along with all
of the possessions and memories inside it. This image of my home is a whispering reminder to be with friends
and the people I love as much as I can wherever I can and to be liberated of materiality. This image also
☛
reminds me that home is everywhere and nowhere at once. Doug Aitken answers in orange
The green ray. Tacita Dean answers in blue
Settembre September 2006 domus 123
Libri Books
A cura di/edited by Gianmario Andreani
Un architetto poeta
Architect and poet
Albert Bontridder. Architecte et poète
Francis Strauven
AAM Éditions, Bruxelles 2006
(pp. 130, s.i.p.)
A Milano, nell’arcinoto quartiere
sperimentale QT8, “in mezzo alle grandi
costruzioni collettive degli architetti
italiani” (Domus n. 263, 1951), c’è una
piccola casa, testimonianza solitaria
dell’abitazione individuale cellula
primaria del verde paesaggio belga.
La casa è composta da un grande
basamento in pietra tagliata al vivo e una
soprastruttura in cemento armato con le
camere da letto. Il piano superiore è un
volume autonomo trasversale rispetto al
basamento ed è sostenuto da pilastri a
forma di ‘V’. È opera di un architetto tutto
sommato poco conosciuto, Albert
Bontridder, concepita in diverse
combinazioni e versioni, più o meno
ampie a seconda della grandezza della
famiglia. Per la IX Triennale è stato
realizzato il prototipo più ridotto,
costruito con il cemento armato al posto
del legno: ragioni di contesto e di
confronto con gli altri edifici costruiti nel
quartiere. La realizzazione è stata
sovrintesa da Paul-Amaury Michel,
architetto della seconda generazione dei
modernisti in Belgio. Entrambi membri
della Societè Belge des Architectes et
Urbanistes Modernistes, lavorano insieme
nel dopoguerra fino al ‘52. Questa piccola
casa sembra rappresentare quella giusta
misura, quella tranquillità domestica di
persone che d’abitudine non escono da
quei limiti prefissi a un vivere di ceto. Ciò
non toglie nulla alla profondità, la giusta
misura alla profondità, quella misura che
è indispensabile aiuto nel
raggiungimento di un vero che non superi
le misure della persona umana e in grado
di smorzare certi aspetti polemici del
moderno, negandone altri ma rimanendo
sempre ancorati ad esso. E si badi bene, si
tratta di una tranquillità che spesso
nasconde in segreto inquietudini e aspetti
drammatici. In questo senso l’opera di
Bontridder nasconde, pacatamente e
senza violente polemiche, nuovi aspetti
del moderno e questa monografia curata
dai noti Archives rappresenta un ulteriore
nuovo tassello alla panoramica
internazionale dell’architettura moderna
del dopoguerra. Bontridder è presentato
come fenomeno singolare: infatti come
architetto scrive in francese, la rivista di
Bruxelles di cui è redattore e fondatore,
Architecture (1952-1970), è in lingua
francese; all’opposto come poeta è
fiammingo ed ha avuto notevole
notorietà nella regione di lingua
fiamminga. Le sue opere filtrano aspetti
complessi nei quali si intrecciano e si
sovrappongono diversi ambiti artistici e
culturali. Primo fra tutti scorre tra le
parole dell’architetto belga il concetto di
‘moderno’ reso sottile ed elaborato da
Jean-Paul Sartre nella rivista Tempi
moderni da lui diretta: l’idea di
modernità identificata con il senso
dell’unico, del fuggitivo, del transitorio,
opposta alla razionalità del progresso
124 domus Settembre September 2006
scientifico, ideologia positiva, ottimista,
che ignora il dubbio, l’inquietudine,
l’angoscia, il dolore, la malinconia. “Lo
scrittore è ambientato nella sua epoca:
ogni parola ha degli echi. Ogni silenzio
anche. L’immortalità è un alibi terribile…
noi scriviamo per i contemporanei”
(scriveva Sartre nella presentazione della
rivista, 1948). Ma riecheggiano anche le
considerazioni di George Bataille nel
saggio filosofico L’esperienza interiore
(1943), dove l’esperienza interiore è
opposta al pensiero razionale e appare
come via d’uscita all’angoscia esistenziale
di Sartre: “L’asprezza in me – scrive
Bataille – il malore non sono altro che la
condizione”.
Bontridder contribuisce attivamente alla
rivista Tijd en Mens (L’uomo e il suo
tempo), “periodico letterario della nuova
generazione”, trampolino di lancio per
coloro che avevano vent’anni nel 1940.
L’intento era quello di portare le Fiandre
in contatto con le avanguardie
internazionali e a questo fine “ricercare
senza tregua la via attraverso la quale
l’estetica moderna – la stessa che si
manifesta nelle arti plastiche astratte,
nella letteratura simultaneista,
esistenzialista, magico-realista e
letterista, nella musica atonale e
nell’architettura di Le Corbusier e Wright –
può incontrare il temperamento
fiammingo”. La rivista fiamminga
propone una fenomenologia della poesia
moderna e allo stresso tempo la ricerca
verso il distacco dalla sintassi classica
attraverso uno “choc tra le parole” che le
rende autonome, fluttuanti su uno sfondo
fatto di silenzio. Collisioni di termini
banali (letto, albero, sera), “chocs
successivi che fanno apparire nuovi
rapporti, che svelano aspetti sconosciuti
dei fondamenti oscuri e misteriosi
dell’umanità e della vita”. E ciò che vale
per le parole si applica anche alle
immagini. Tutto ciò è parte della poetica
di Bontridder, che evidenzia un
panorama surreale e commovente,
affascinante paesaggio magrittiano fatto
di associazioni ironiche e inquietanti
dell’oggetto quotidiano e della sua
immagine. Sconquassa e riduce in
pezzetti le frasi e le parole così come in
architettura gli angoli e le figure
geometriche. La liberazione
dell’architettura comincia con l’apertura
dell’angolo. Basta aprire un angolo
perché tutto cambi, scrive Jacques Dupuis,
giovane collaboratore e nuovo socio di
Bontridder. Grazie a questa lunga
collaborazione (1956-1981) le opere si
avvicinano molto a quello smontaggio
strutturale già ottenuto in letteratura
tempo prima. Aprire l’angolo non è
mancanza di disciplina, semmai il
contrario. La rottura graduale
dell’impianto porta a una configurazione
‘libera’ del piano che si congiunge
principalmente alla forma del terreno su
cui è costruito. La costruzione diventa
quasi un organismo ‘naturale’, la cui
forma è tenuta insieme dalle interazioni
con il contesto. Il progetto invade la quasi
totalità del terreno e il giardino; anziché
essere sul lato interno come nella
sequenza distributiva della casa belga, si
trova al centro. Diagonali, cerniere e
nuove orientazioni accentuate da grandi
muri, colonne isolate o grandi pareti
basculanti determinano nuove e
inaspettate relazioni tra interno ed
esterno, tra ciò che è vicino e ciò che è
lontano, tra ciò che è chiuso e ciò che è
aperto, tra ciò che è coperto e ciò che è a
cielo aperto, tra ciò che è nascosto e ciò
che è tangibile. Ma il frastuono dei
frammenti si disperde in un sottofondo
fatto di silenzio, nella modestia delle
fronti, pareti bianche quasi
completamente chiuse. In questa
pubblicazione, accanto alle opere, ampio
spazio è dato anche agli scritti di
architettura, attraverso i quali Bontridder
esprime con fermezza la sua
contrapposizione al funzionalismo. Le
funzioni sono transitorie, in quanto
pensate per l’epoca attuale. Quando
l’edificio è in rovina, non serve più, allora
sì che diventa interessante; è dalla rovina
– afferma Bontridder – che viene fuori il
vero dell’architettura: soltanto ora le
masse architettoniche acquistano un
valore duraturo e atemporale, soltanto
ora cantano.
Luisa Ferro
Docente di Composizione Architettonica al
Politecnico di Milano
In the notorious QT8 experimental
district in Milan, there is a small house “in
the middle of the large collective
constructions by Italian architects”
(Domus, no. 263, 1951) bearing solitary
testimony to the individual primary
dwelling cell of the green Belgian
landscape.
The house consists of a large plinth in
irregularly cut stone and a reinforced-
concrete superstructure containing the
bedrooms. The upper floor is an
independent mass set crosswise to the
plinth and rests on V-shaped pillars. It is
the work of a little-known architect called
Albert Bontridder, who conceived it in
several combinations and versions of
varying dimensions depending on the size
of the family. For the 9th Triennale a
smaller prototype was built using
reinforced concrete instead of wood, in the
interests of context comparison with the
other buildings in the district. The
construction work was supervised by Paul-
Amaury Michel, an architect of the second
generation of Modernists in Belgium.
Bontridder and Michel were both members
of the Societè Belge des Architectes et
Urbanistes Modernistes, and worked
together after the war until 1952.
This small house seems to represent the
proper measure and the domestic
tranquillity of people who, as a rule, do not
cross the boundaries set for class living.
This detracts nothing from the well-
calculated depth and measure that are
essential in attaining a truth that does not
exceed the measure of the human being
and is capable of attenuating certain
controversial aspects of the Modern,
denying others but remaining anchored to
it. But beware, this tranquillity often
conceals secret apprehensions and drama.
In this sense, Bontridder’s work placidly
conceals new aspects of the modern
without violent controversy, and this
monograph edited by the well-known
Archives is a new piece in the puzzle of the
international overview of postwar Modern
architecture.
Bontridder is presented as a singular
phenomenon. As an architect he wrote in
French and the Brussels journal
Architecture (1952-1970) he founded and
edited was in French. By contrast, as a poet
he was Flemish and was quite well known
in the Flemish-speaking region. His works
filter complex aspects that entwine and
overlap several artistic and cultural
spheres. Firstly, the words of the Belgian
architect contain the concept of “modern”
that Jean-Paul Sartre discerningly
elaborated in the Modern Times review he
edited. It was an idea of modernity
identified with a sense of the unique, the
fugitive, the transitory, as opposed to
rational scientific progress, positive and
optimistic ideology that ignores doubt,
apprehension, anguish, pain and
melancholy. “The writer is set in his epoch:
every word has its echoes. As does every
silence. Immortality is a terrible alibi…we
write for our contemporaries” (wrote Sartre
when presenting the journal in 1948). The
comments of George Bataille are also
echoed in the philosophical essay
“L’esperienza interiore” (1943), in which
the inner experience is contrasted with
rational thought and appears as a way out
of Sartre’s existential anguish: “The
harshness in me,” writes Bataille, “and the
sickness are simply the condition.”
Bontridder contributed actively to the
journal Tijd en Mens (man and his times),
“a literary periodical of the new
generation”, a springboard for those who
were 20 in 1940. The intention was to put
Flanders in contact with the international
avant-gardes. To this end it “tirelessly
saught a way that the modern aesthetic –
which was manifest in abstract sculptural
arts, in simultaneous, existential, magic-
realist and letterista literature, in atonal
music and in the architecture of Le
Corbusier and Wright – can coincide with
the Flemish temperament”. The Flemish
journal proposed a phenomenology of
modern poetry and, at the same time, a
search for detachment from classical
syntax via a “shock of words” that made
them autonomous and fluctuating against
a background of silence. This involved
collisions of banal terms (bed, tree,
evening), “series of shocks that highlighted
new relationships, and revealed unknown
aspects of the dark and mysterious
foundations of humanity and life”. What
applies to words also applies to images. All
this forms part of the poetics of Bontridder,
who highlighted a surreal and moving
panorama, a fascinating Magritte-like
landscape made of ironic and disquieting
associations between the everyday object
and its image. He shattered phrases and
words just as architecture does with angles
and geometric figures. The liberation of
architecture started with the opening of
the angle. Simply open an angle and
everything changes, wrote Jacques Dupuis,
Bontridder’s young assistant and new
partner. Thanks to this longstanding
partnership (1956-1981), the works came
close to that structural disassembly
achieved much earlier in literature.
Opening the angle is not lack of discipline,
indeed if anything it is the reverse. The
gradual break-up of the unit leads to a
“free” configuration of the plane that
principally joins up with the form of the
terrain on which it is built. A construction
almost becomes a “natural” organism, the
form of which is held together by
interaction with the context. The project
invades almost all the terrain and garden.
Instead of being on the inner side as in the
layout of the Belgian house, it is in the
middle. Diagonals, connections and new
orientations accentuated by large walls,
isolated columns or large tilting walls
determine new and unexpected
relationships between interior and exterior,
between what is close and what is far,
between what is closed and what is open,
between what is covered and what is in the
open, between what is hidden and what is
tangible. But the hubbub of the fragments
is lost in a substructure made of silence, in
the modest fronts with almost completely
closed white walls.
In this publication, alongside the works,
much space is also devoted to the
architectural writings, in which Bontridder
firmly expressed his opposition to
Functionalism. Functions are transitory as
they are conceived for their epoch. When a
building is in ruin and is no longer of any
use, then it becomes interesting. It is the
ruin – says Bontridder – that shows the
truth of the architecture; only then do the
architectural masses acquire lasting and
timeless value; only then do they sing.
Luisa Ferro
Professor of Architectural Design at Milan
Polytechnic
Un’architettura sfumata
Blurred architecture
Spazi pubblici contemporanei.
Architettura a volume zero
Aldo Aymonino, Valerio Paolo Mosco
Skira, Milano 2006 ( pp. 396, ¤ 30,00)
Quasi costretto tra una nota citazione di Karl
Marx (su conoscenza e cambiamento) in
apertura e una di Luigi Pintor
(sull’incombere del futuro) in chiusura, il
breve saggio introduttivo di Aldo Aymonino
contiene un’ipotesi molto forte. L’ipotesi
che l’architettura a zero cubatura possa
contribuire a restituire figuratività alla
società surmoderna. Un po’ come in
passato è stato riconosciuto abbia fatto la
landart per la società ad essa
contemporanea. Questa ipotesi ne contiene
implicitamente alcune altre, la più
importante delle quali lega strettamente
l’architettura a zero cubatura allo spazio
pubblico. L’accostamento è già nel titolo.
Sui due termini è dunque opportuno
soffermarsi.
Con la locuzione architettura a zero
cubatura (azc nell’acronimo), Aymonino
intende riferirsi ad un’architettura fatta di
leggerezze, di mancanza di peso e di massa,
che riesce a superare i limiti dell’edificio,
andando oltre i confini della costruzione,
intessendo legami con nuove tecnologie e
materiali. Nonostante il suo porsi
volutamente a lato della tradizione forte e
concentrata del XX secolo, l’azc ha molte
radici nel passato, alcune delle quali
raccolte, in prefazione, da Denise Scott
Brown riferendosi alla Las Vegas degli anni
Sessanta, quella in cui le insegne “sottili e
possenti” valgono più degli edifici: una città
fatta di segni e figure prima che di
costruzioni. L’azc intercetta largamente
l’attuale attenzione alla dissoluzione
dell’oggetto nell’ambiente, alla liquidità
degli spazi, alla fusione e alla dispersione,
alla cancellazione. Da questo punto di vista,
ridefinire un atteggiamento critico,
riconoscerlo, nominarlo è perspicace e
stimolante.
Più acquisite sembrano invece le posizioni
che riguardano lo spazio pubblico
contemporaneo, oggi decisamente lontano
dalle forme nelle quali era riconosciuto,
ipotizzato e progettato durante la lunga
tradizione della città moderna, con tutto ciò
che l’ha accompagnata nei tanti manuali di
disegno urbano. Entro quella tradizione lo
spazio pubblico era ben definito, disegnato
e stabile. Collocato saldamente al centro
della città. Oggi esso appare labile, mobile,
sfrangiato. Strettamente connesso alle
infrastrutture che hanno occupato,
nell’immaginario disciplinare, quasi per
intero la scena. Una condizione sfumata,
che sfugge a definizioni univoche. Come ci
hanno mostrato tempo fa gli studi di
cultural geography (ad esempio quello di
Maarten Hajer e Arnold Reijndorp, In Search
of New Public Domain, edito da NAi nel
2001). Lo spazio pubblico contemporaneo
riaffiora quando e dove non ce
l’aspettiamo, seguendo le vicende del
formarsi del pubblico (nell’accezione
deweyana) o, più semplicemente, del
modificarsi delle nostre consuetudini a
stare assieme da qualche parte. Insomma,
qualcosa che appare difficile definire per
decreto o per progetto, nella sua
irrinunciabile densità sociale. Che rimane
anche, fondamentalmente, opacità. Il
problema è dunque ricatturarlo in qualche
modo e ridefinirne le condizioni di
possibilità entro una città che cambia
velocemente.
A questo problema, non semplice, risponde
nell’ipotesi di Aymonino e Mosco l’azc. Per
sostenere questa posizione, il libro propone
un repertorio di 100 progetti che nel loro
insieme disegnano una diversa attitudine
professionale, attenta alle possibilità delle
tecnologiche, come alle nuove retoriche
sulla città contemporanea. Quasi un
atteggiamento comune, attraversato da
indifferenza ad approcci disciplinari, da
un’attenzione precisa all’intorno, da una
cura a definire usi potenziali e non univoci
dello spazio, e infine dalla capacità di
restituire una qualità minuta, diffusa ai
luoghi. I curatori giudicano questi progetti
antiteorici e nel contempo propositivi di
una nuova teoria empirica, un nuovo modo
di confrontarsi con il contemporaneo nelle
forme dell’urbano, del territorio, del
paesaggio. Le sezioni nelle quali sono
ordinati sono intitolate a Superfici,
Verticale, Recinti, Design, Ripari, Ambiente,
Earthworks, Figure, Tecniche, Eventi. Ogni
sezione è chiusa da un saggio che riprende
a suo modo e riarticola le ipotesi in
premessa. In questi scritti (di Enrico Morteo,
Wes Jones, Alberto Ferlenga, Ilhyun Kim,
Kengo Kuma, Juan Purcell F., Bernardo
Settembre September 2006 domus 125
Secchi, Pippo Ciorra, Arie Graafland, James
Wines) si dipana una rete più fitta di
rimandi e argomentazioni che permette di
sostenere quell’ipotesi tanto ambiziosa
denunciata in apertura e comprendere
come l’azc ridefinisca un’idea di benessere
del nostro stare (collettivamente) nello
spazio. Reincarnando in questo modo la
tensione dell’architettura a fornire un
imprescindibile servizio sociale.
Cristina Bianchetti
Docente di Urbanistica al Politecnico di
Torino
The brief introductory essay by Aldo
Aymonino is almost squeezed between a
famous Karl Marx quote (on knowledge and
change) at the beginning and one by Luigi
Pintor (on the impending future) at the
end. But it contains the forceful hypothesis
that architecture with zero cubic capacity
can help restore figurativeness to the
supramodern society, a little as land art was
recognised to have done in the past for its
contemporary society. This hypothesis
implicitly contains others, the most
important of which closely links zero-
cubature architecture to public space. The
combination is already contained in the
title and we should therefore dwell on the
two terms. Aymonino uses the expression
zero-cubature architecture (the acronym is
AZC) when referring to architecture based
on lightness, a lack of weight and mass,
that manages to overcome the limitations
of the building, reaching beyond the
bounds of construction to forge links with
new technologies and materials. Although
it intentionally places itself alongside the
strong, concentrated 20th-century
tradition, many of AZC’s roots lie in the past
and some of these have been grouped in
the preface by Denise Scott Brown, who
refers to 1960s’ Las Vegas where “slender
and powerful” signs were worth more than
the buildings – a city made more of signs
and figures than of buildings. AZC taps
broadly into the current focus on the
dissolution of objects in the environment –
liquid spaces, fusion and dispersion,
cancellation. In this sense, to redefine a
critical attitude, acknowledge it and name
it is discerning and stimulating.
The standpoints regarding contemporary
public space seem, in contrast, more
established ones. Public space is now far
removed from the forms accepted,
imagined and designed throughout the
long tradition of the modern city, with
everything that came with it in the many
urban design manuals. Public space was
well defined, designed and stable within
that tradition, and set firmly at the centre of
the city. Today, it appears frail, mobile and
frayed, closely linked to the infrastructures
that have almost filled the stage of the
discipline’s imagery. It is a blurred
condition that escapes univocal definition,
as shown some time ago by cultural
geography studies (e.g. that by Maarten
Hajer and Arnold Reijndorp, In Search of
New Public Domain, published by NAi in
2001). Contemporary public space reappears
where and when we least expect it, as
public opinion is formed (in the Dewey
sense) or more simply as the way we spend
time together in one place or another
changes. It is something that seems difficult
to define by decree or by project because of
its unavoidable social density, which is also
essentially obscurity. The problem is how to
somehow recapture it and redefine its
potential in a rapidly changing city.
According to Aymonino and Mosco’s
hypothesis, AZC is the answer to this by no
126 domus Settembre September 2006
means simple problem. The book proposes
a repertoire of 100 projects in support of this
position that all together outline a different
professional attitude, with an eye on the
technological possibilities as well as the
new rhetoric on the contemporary city. It is
almost a common attitude run through by
indifference to disciplinary approaches,
careful attention to surroundings, efforts to
define the potential and non-univocal use
of space, and, lastly, the ability to provide
the places with minute and extensive
quality. The editors deem these projects
anti-theoretical while proposing a new
empirical theory, a new way of coping with
the contemporary in the forms of the city,
the territory and the landscape. The
sections are called Surfaces, Vertical,
Enclosures, Design, Shelters, Environment,
Earthworks, Figures, Techniques and
Events. Each section ends with an essay that
returns in its own way to and rearticulates
the introductory hypotheses. These pieces
(by Enrico Morteo, Wes Jones, Alberto
Ferlenga, Ilhyun Kim, Kengo Kuma, Juan
Purcell F., Bernardo Secchi, Pippo Ciorra,
Arie Graafland and James Wines) unravel a
denser network of references and
arguments that makes it possible to uphold
the ambitious hypothesis pronounced at
the beginning and to understand how AZC
redefines a sense of well being in the way
we (collectively) live in space. In doing so, it
reincarnates architecture’s intention to
provide a necessary social service.
Cristina Bianchetti
Professor of Urbanism at Turin Polytechnic
Un’autobiografia
dissimetrica
A dissymmetrical
autobiography
Autobiografia del XX secolo
Vittorio Gregotti
Skira, Milano 2006 (pp. 230, ¤ 25,00)
Da Giorgio Vasari in poi, il rapporto tra
un’opera di architettura e il suo autore
costruisce una delle principali chiavi di
lettura di una vicenda creativa. In qualche
modo, sembra che l’architettura non basti
a se stessa per essere compresa, ma
richieda sempre elementi interpretativi da
ricavare dalla vita di chi l’ha pensata e
costruita. Se a questo modello si aggiunge
ciò che è accaduto all’inizio del Novecento
con le avanguardie, che hanno mescolato
architettura e arte in nodi inestricabili, si
comprende facilmente come gli architetti
sentano spesso l’esigenza di dotare il loro
lavoro di una dimensione in più: un
vettore esplicativo, e a volte giustificativo,
che rafforzi il punto di vista di cui sono
portatori. Le autobiografie degli architetti
possono essere suddivise in tre tipi.
Esistono le biografie indirette o esterne,
nelle quali l’autore parla di sé cercando di
narrare oggettivamente gli avvenimenti di
cui è stato testimone o partecipe. Egli
adotta un punto di vista eccentrico, quasi
vedendosi agire da fuori, come ha fatto
Frank Lloyd Wright nella sua celebre
autobiografia. Esistono poi le
autobiografie dirette o interne nelle quali
il narratore descrive gli aspetti più nascosti
della sua personalità, mostrando
motivazioni, preferenze e dubbi, secondo
il modello rossiano della Autobiografia
scientifica. Un’altra forma è quella della
autobiografia traslata, nella quale
l’architetto parla di sé attraverso
l’esposizione delle proprie opere, quasi
sempre allineate cronologicamente. Mon
Oeuvre di Le Corbusier è un chiaro esempio
di questo tipo di racconto autobiografico,
nella fattispecie serializzato in successivi
cicli temporali. Autobiografia del XX secolo
di Vittorio Gregotti è una autobiografia
dissimetrica che mescola i caratteri di
queste tre forme aggiungendo ad essi un
inconsueto spostamento concettuale. In
primo piano è ciò che viene visto e non chi
vede. In effetti, il suggestivo viaggio tra
determinanti momenti culturali e incontri
con i maestri viene posto sotto il segno di
uno sguardo istituzionale che concentra
l’attenzione sui contesti problematici e sui
protagonisti che ne sono al centro, più che
su chi li sta rivisitando. Il libro è
importante, pieno di informazioni inedite
e di dettagli significativi, descritti con brevi
notazioni, adottando un taglio quasi
cinematografico. Questa impostazione
permette sia di ricostruire le principali
linee evolutive del dibattito
internazionale, sia di inquadrare in
termini originali le relazioni tra questo e
l’architettura italiana. A tali qualità va
aggiunta l’unicità dell’esperienza. Pochi
architetti possono, in effetti, vantare la
complessità degli attraversamenti
compiuti con grande consapevolezza
critica da Vittorio Gregotti nello stratificato
universo dell’architettura moderna e
contemporanea, di cui si rivela uno dei
testimoni privilegiati. La biografia e
l’autobiografia stanno alla vita di un
architetto come la cornice, intesa in senso
simmeliano, sta ad un quadro. Essa serve a
conferire coerenza e finalità, nonché il
senso di totalità, a un’esperienza
progettuale garantendole anche il
raggiungimento, reale o virtuale, dei propri
obbiettivi. L’opera gregottiana non aveva
certamente bisogno di questa
autolegittimazione, neanche se effettuata
dietro uno schermo storico: in ogni caso il
suo libro offre uno spaccato esauriente e
tendenzioso dell’architettura del secolo
breve. Uno spaccato al quale sono, forse,
mancanti, paradossalmente, proprio i toni
più esplicitamente autobiografici del suo
autore.
Franco Purini
Docente di Composizione architettonica e
urbana alla facoltà di Valle Giulia a Roma
Ever since Giorgio Vasari the relation
between a work of architecture and its
architect has been one of the principal
means of understanding a creative
development. In some ways architecture
seems insufficient in itself to be
understood, but always requires
interpretative elements to be derived from
the lives of those who created and built it.
If to this model we add what happened at
the beginning of the 20th century with the
avant-gardes, which mixed architecture
and art in inextricable connections, it will
easily be understood that architects often
feel the necessity to endow their work with
an extra dimension: an explanatory, and
sometimes justifying vector, reinforcing the
point of view of which they are the bearers.
The autobiographies of architects can be
divided into three types. There are the
indirect or external biographies, in which
the authors talk about themselves while
trying objectively to narrate the events they
have witnessed or taken part in. In this
case they adopt an eccentric point of view,
as if somehow seeing themselves from
outside, as Frank Lloyd Wright did in his
celebrated autobiography. Then there are
the direct or internal autobiographies, in
which the narrator describes the innermost
aspects of his or her personality, according
to the Rossian pattern of the Autobiografia
scientifica. Another form is that of the
transferred autobiography, in which the
architect speaks of himself or herself
through the exposition of their own works,
almost always in chronological order. Mon
Oeuvre by Le Corbusier is a clear example of
this type of autobiographical story, which
in the case in point was serialised in
successive time cycles.
Autobiografia del XX secolo by Vittorio
Gregotti is a dissymmetrical autobiography.
It mixes the characteristics of these three
forms while adding to them an unusual
shifting of concept. In the foreground is
what is seen and not who sees. In effect,
the exciting journey between certain
cultural moments and encounters with the
masters is seen in the light of an
institutional view. It focuses on
problematical contexts and on their central
figures, rather than on those revisiting
them. The book is important, full of fresh
information and insightful details,
described with brief annotations and an
almost cinematographic approach. This
enables the author both to reconstruct the
principal evolutionary lines of
international debate, and to frame in
original terms the relations between this
and Italian architecture. To these qualities
should be added the uniqueness of
experience. Few architects can boast the
complexity of crossings experienced with
the keenest critical awareness by Vittorio
Gregotti in the stratified universe of
modern and contemporary architecture, of
which he is a privileged witness. Biography
and autobiography are to the life of an
architect as the frame, in the Simmelian
sense, is to a painting. It serves to bestow
coherency and purpose, as well as a sense
of totality, on an architectural experience
while also ensuring the accomplishment,
real or virtual, of its goals. Gregotti’s oeuvre
certainly had no need for this self-
legitimation, not even if carried out behind
a historical screen. In any case his book
offers an exhaustive and tendentious
cross-section of the architecture of the
brief century, in which perhaps,
paradoxically, precisely the more explicitly
autobiographical tones of its author are
missing.
Franco Purini
Professor of Architectural Design at
University Valle Giulia - Rome
Wright:
molto On e poco By
Wright:
much On and little By
On and By Frank Lloyd Wright. A Primer of
Architectural Principles
A cura di Robert McCarter
Phaidon Press Limited, London-New York
2005 (pp. 372, ¤ 59,95)
Il volume curato da Robert McCarter per i
sontuosi tipi di Phaidon è di fatto la
riedizione del quasi omonimo volume del
1991. Questo era a sua volta il frutto di un
lavoro redazionale maturato all’interno
della rivista Oppositions per un numero
monografico sull’architetto americano
previsto, insieme ad altri fascicoli dedicati
a Le Corbusier e Louis Kahn, intorno al
1984. Il periodico nasceva nell’ambito
dell’Institute of Architecture and Urban
Studies della Cambridge University;
l’istituzione era diretta da Peter
Eisenman, allievo di Colin Rowe nella
stessa università. Tre degli autori dei saggi
– Werner Seligmann (Evolution of the
Prairie House) e Bernhard Hoesli (From the
Prairie House to Fallingwater) oltre a Rowe
(Chicago Frame) – facevano parte dei
cosiddetti Texas Rangers (da non
confondere con l’omonima squadra di
baseball), un gruppo di architetti che si
era raccolto intorno allo stesso Rowe alla
Texas School of Architecture di Austin tra il
1951 e il 1957. La prerogativa dei Texas
Rangers era quella di proporre e
sviluppare, attraverso l’analisi di una serie
di esempi tratti dalla storia
dell’architettura, un corpus disciplinare
teorico fortemente ancorato alla
specificità del testo architettonico,
utilizzabile anche per la didattica e la
progettazione.
Altri tre autori dei saggi contenuti nel
volume – Jonathan Lipman (Consecrated
Spaces) e Patrick Pinnell (Academic
Tradition and the Individual Talent) oltre
lo stesso curatore McCarter (The Integrated
Ideal) – erano vicini agli animatori di
questa scuola: appare chiaro come
l’intento iniziale del fascicolo di
Oppositions (che doveva essere curato da
Pinnell e poi da Lipman) fosse quello di
rendere preponderante la lettura “da
architetti”, rispetto a quella da storici
dell’arte o di appassionati biografi, delle
opere di Wright. Quindi venivano
legittimati i ridisegni, non solo
dell’edificio realizzato, ma anche di una
sorta di percorso metaprogettuale, oltre
che di interpretazione della spazialità
interna delle architetture: sono gli stessi
utili schizzi che – a volte – tracimano dalle
pagine del volume curato da McCarter. Ma
da subito si decise di non rendere
esclusiva tale ipotesi d’indagine,
combinandola con quella che metteva in
campo i più canonici strumenti della
storia dell’architettura. Per questo
progetto Neil Levine scriverà, invitato da
Pinnell, il suo primo saggio su Wright
(Frank Lloyd Wright’s Diagonal Planning
Revisited), ben attento alle ipotesi di
lettura suggerite dagli architetti, mentre
per il volume del 1991 saranno inclusi
anche i contributi di Gwendolyn Wright
(Architectural Practice and Social Vision in
Wright’s Early Designs) e Kenneth
Frampton (The Text-Tile Tectonic). In
questa successiva edizione la compagine
degli storici è ulteriormente arricchita dei
nomi di Otto Atonia Graf (Enspacement:
The Main Sequence from 4 to 6) e Kathryn
Smith (A Beat of the Rhythmic Clock of
Nature). In totale, senza voler intendere
troppo rigidamente la distinzione, su
quattordici autori otto sono architetti –
mancano all’appello David Van Zanten
(Schooling the Prairie School), Richard
MacCormac (Form and Philosophy), John
Sergeant (Warp and Woof) – e sei storici.
L’introduzione di McCarter (Abstract
Essence) enfatizza ripetutamente la novità
della concezione dei saggi del volume,
privilegiando quelli elaborati dagli
architetti. Ma se queste letture
tendenziose potevano essere ancora
legittimamente spendibili all’inizio degli
anni Ottanta nel clima di Oppositions,
anche se frutto di una riflessione che
nasceva più di trent’anni prima, oggi non
sono più una fragrante novità (come il
libro di Eisenman Giuseppe Terragni.
Transformations Decompositions Critiques
concepito negli anni Settanta e pubblicato
nel 2003), tanto che i contributi più
equilibrati del volume appaiono quello
più datato di Frampton insieme al
recentissimo di Smith. Il più convincente
approccio “dell’architetto” rimane quello
di Rowe – ma non è forse da considerarsi
uno storico? Di qui la speciosa distinzione
tra le (ormai) presunte categorie – che si
conferma ben più raffinato degli epigoni.
Forse non esiste un punto di vista più
legittimo dell’altro, ma è proprio il
confronto a costituire l’arricchimento
degli strumenti disciplinari della storia
dell’architettura. Non necessariamente gli
architetti possono garantire un approccio
più esaustivo degli storici dell’arte e
viceversa. Questi ultimi non si limitano a
stabilire una “usual relationships wherein
buildings are seen as the results of
biographical events”, come sostiene il
curatore, mentre i primi scoprono che “in
order to understand the architecture and
the process by which it was created, it
would seem more appropriate to ‘draw
out of’ or ‘draw from’ his works
themselves, searching for the ordering
ideas and principles that generated
them”. Si tratta invece di due letture
sensibilmente diverse che possono
coesistere, prendendo coscienza delle
rispettive modalità, integrarsi o
sovrapporsi, rendendo in alcuni casi –
vale l’esempio di Rowe – del tutto
artificiosa la stessa distinzione.
Inoltre in un contesto come quello
italiano, la controversia tra architetti e
storici dell’arte di cui parla il curatore
nell’introduzione, lungi dall’essere un
fenomeno in fieri, si è consumata insieme
– e forse ancor prima – che ad Austin,
seppure secondo modalità sensibilmente
differenti, grazie a una figura come quella
di Bruno Zevi. Lo storico – e architetto –
romano nel 1948 pubblica Saper vedere
l’architettura. Saggio sull’interpretazione
spaziale dell’architettura, e due anni
dopo Architettura e storiografia, veri e
propri testi seminali della cosiddetta
critica operativa, che proponeva un
rinnovamento della storia
dell’architettura – da attuarsi con gli
strumenti di lettura e di riflessione
dell’architetto – che avesse una incidenza
ideale sulla progettazione.
Significativamente Zevi si avviava a
diventare, nell’Italia del dopoguerra, il
divulgatore più appassionato e militante
dell’opera di Wright.
Il volume rappresenta comunque uno
sforzo riassuntivo significativo nell’ambito
degli studi sull’architetto americano,
anche se nel novero dei saggi che lo
hanno aggiornato potevano forse essere
inclusi, in forma ridotta, quei contribuiti
che hanno affrontato in maniera
esaustiva temi di ricerca ancora poco
esplorati sulla figura di Wright, come gli
studi pubblicati nel 1993 da Anthony
Alofsin in Frank Lloyd Wright. The Lost
Years 1910-1922 e quelli editi nello stesso
anno da Kevin Nute in Frank Lloyd Wright
and Japan. L’inclusione degli scritti di
Wright che hanno determinato la parziale
rititolazione del volume sono solo tre e per
quanto significativi costituiscono
un’appendice veramente simbolica della
produzione letteraria dell’architetto, di
cui è del resto disponibile l’estesa
antologia Frank Lloyd Wright. Collected
Writings, pubblicata in cinque volumi tra
il 1992 e il 1995. Accurate riproduzioni dei
disegni di Wright, insieme ad alcune
nuove riprese fotografiche a colori,
accompagnano le pagine del testo,
concluso da una sintetica ma accurata
bibliografia.
Roberto Dulio
Architetto
This book edited by Robert McCarter
for the plush people at Phaidon is actually
a re-edition of a book with almost the
same title dating from 1991. It, in turn, was
the fruit of editorial work developed by
the journal Oppositions for a monograph
issue on the American architect planned,
along with others on Le Corbusier and
Louis Kahn, around 1984. The journal was
set up by the Institute of Architecture and
Urban Studies of Cambridge University, an
institute directed by Peter Eisenman, a
pupil of Colin Rowe at the same university.
Three of the essays’ authors – Werner
Seligmann (“Evolution of the Prairie
House”) and Bernhard Hoesli (“From the
Prairie House to Fallingwater”) plus Rowe
(“Chicago Frame”) – were members of the
so-called Texas Rangers (not to be
confused with the baseball team of the
same name), a group of architects that
gathered around Rowe at the Texas School
of Architecture in Austin between 1951 and
1957. The Texas Rangers sought to analyse
a number of examples drawn from the
history of architecture in order to propose
and develop a body of architectural theory
strongly anchored to the specific nature of
the architectural text that could also be
used for teaching and design.
Another three authors of essays contained
in this book – Jonathan Lipman
(“Consecrated Spaces”), Patrick Pinnell
(“Academic Tradition and the Individual
Talent”) and the editor McCarter (“The
Integrated Ideal”) – were close to the
school’s leading spirits. Clearly, the initial
intention of the Oppositions issue (which
was to be edited by Pinnell and then
Lipman) was to place the “architects’”
interpretation of Wright’s works before
that of art historians and biased
biographers. This justified the re-
drawings – not only of the constructed
building but also of a sort of metaproject
path – as well as the reinterpretation of
Settembre September 2006 domus 127

the internal spaces of the architecture. The
same useful sketches sometimes burst out
of the pages of the book edited by
McCarter. It was immediately decided,
however, not to make this investigation
hypothesis exclusive and to combine it
with one that put forward the most
accepted instruments of the history of
architecture. At the request of Pinnell, Neil
Levine wrote his first essay on Wright
(Frank Lloyd Wright’s Diagonal Planning
Revisited) for this project, highly attentive
to the hypothetical interpretations
suggested by the architects, and the 1991
book also included contributions by
Gwendolyn Wright (“Architectural Practice
and Social Vision in Wright’s Early
Designs”) and Kenneth Frampton (“The
Text-Tile Tectonic”). In this subsequent
edition, the team of historians is further
enriched with the names of Otto Atonia
Graf (“Enspacement: The Main Sequence
from 4 to 6”) and Kathryn Smith (“A Beat
of the Rhythmic Clock of Nature”). In all,
without wishing to make too rigid a
distinction, 8 out of 14 writers are
architects – with David Van Zanten
(“Schooling the Prairie School”), Richard
MacCormac (“Form and Philosophy”),
John Sergeant (“Warp and Woof”) missing
from the list – and 6 are historians.
McCarter’s foreword (“Abstract Essence”)
repeatedly emphasises the new concept
of the book’s essays, favouring those
developed by architects. However,
although these tendentious
interpretations could still have been
legitimately adopted in the early 1980s in
the Oppositions climate, despite being the
product of a thought that had originated
more than 30 years earlier, they are no
longer fragrant and new today (like
Eisenman’s book Giuseppe Terragni
Transformations Decompositions Critiques
conceived in the 1970s and published in
2003). Indeed, the most balanced
contributions in the book seem to be the
oldest one by Frampton and the very
recent one by Smith. The most convincing
“architect’s” approach is that of Rowe –
but should he not be classed as a
historian? Hence the specious distinction
between the (now) presumed categories –
that proves far more refined than what
came later. Perhaps no single point of
view is more valid than another, but it is
comparison that enriches the disciplinary
instruments of the history of architecture.
Architects do not necessarily guarantee a
more exhaustive approach than art
128 domus Settembre September 2006
historians and vice versa. The latter do not
restrict themselves to establishing “usual
relationships wherein buildings are seen
as the results of biographical events”, as
the editor argues, and the former discover
that “in order to understand the
architecture and the process by which it
was created, it would seem more
appropriate to ‘draw out of’ or ‘draw
from’ his works themselves, searching for
the ordering ideas and principles that
generated them”. These two very different
interpretations can co-exist, gain
awareness of the other’s approaches and
integrate or overlap each other; in some
cases – see the example of Rowe – this
makes the distinction itself totally
contrived.
Moreover, in a context such as that of
Italy, far from being a phenomenon in the
making, the controversy between
architects and art historians mentioned by
the editor in the foreword burnt out
together with – and perhaps even before
– Austin, although in very different ways,
thanks to Bruno Zevi. In 1948, the Roman
historian – and architect – published
“Saper vedere l’architettura. Saggio
sull’interpretazione spaziale
dell’architettura”, and two years later
“Architettura e storiografia”, seminal texts
for so-called working critics that proposed
a renewal of the history of architecture –
implemented with the architect’s means
of interpretation and thought – that
would have an ideal impact on the design
process. Significantly, Zevi was about to
become postwar Italy’s most impassioned
populariser and militant of Wright’s work.
This book does, however, represent a
significant effort to summarise studies on
the American architect, although the
essays updating it could perhaps have
included, in reduced form, the
contributions that have thoroughly
addressed as yet little explored Wright
research themes, such as the studies
published in 1993 by Anthony Alofsin in
Frank Lloyd Wright. The Lost Years 1910-
1922 and those published in the same year
by Kevin Nute in Frank Lloyd Wright and
Japan. Only three of Wright’s writings
have been included, which prompted the
partial re-titling of the book, and
however significant, they only constitute a
symbolic appendix to the architect’s
literary production. The extensive
anthology Frank Lloyd Wright. Collected
Writings was published in five volumes
between 1992 and 1995. The text is
accompanied by precise reproductions of
drawings by Wright, along with new
colour photographs. The book concludes
with a concise but carefully prepared
bibliography.
Roberto Dulio
Architect
Il soft con l’hard
Soft and hard
Maurice Nio
Emanuela Guerrucci
Edilstampa, Roma 2006
(pp. 128, ¤ 22,00)
L’architettura olandese è da qualche anno
il privilegiato oggetto di osservazione
della critica straniera per essersi proposta
come possibile laboratorio delle
trasformazioni urbane che dagli anni
Ottanta hanno investito in maniera
radicale l’assetto sociale e fisico del
continente europeo.
Pragmatismo, sperimentalismo,
radicalismo e utopia caratterizzano i lavori
degli architetti olandesi, che danno vita
ad architetture sorprendenti, inconsuete,
originali e generatrici di qualità urbana.
Ora, dopo la generazione dei talenti
Koolhaas, Van Berkel, Mecanoo, MVRDV
ormai considerati dei maestri, ecco
apparire nuovi protagonisti. È il caso di
Maurice Nio, personaggio tra i più
interessanti dell’attuale scena
architettonica olandese, fondatore nel
1990 con Lars Spuybroek di Nox, che si
presenta inizialmente, piuttosto che come
studio d’architettura tradizionale, come
un’impresa specializzata in diversi media
tra i quali figura anche l’architettura. Il
gruppo ha prodotto tra l’altro la bellissima
rivista Nox. Ha dato vita a installazioni e
articoli, sampler, cyber, hacker e
videoclip, passando con disinvoltura da
un media all’altro. Questa continua
varietà di esperienze provoca una
miscellanea suggestiva di immagini e di
stili, di metamorfosi inattese e seducenti,
radicalmente provocatorie. Le relazioni tra
l’uomo, la natura e la tecnologia
costituiscono il tema centrale dei progetti
dei Nox, la tecnologia non è un semplice
strumento al servizio dell’uomo, essa lo
colonizza completamente e persegue le
finalità misteriose che le sono proprie. Le
manipolazioni messe a punto dal
computer che possiamo trovare nel
numero di Biotec del Nox Magazine
traducono chiaramente questa
preoccupazione: un branco di delfini che
saltano si unisce ad una squadriglia di
caccia e da questa unione nasce una stirpe
di mutanti. L’architettura di Nio emerge
così come una strategia fatale alla
Baudrillard, ma a dispetto del prevalere
della tecnologia Nio non dispera di salvare
l’uomo da quello che Paul Virilio chiama
l’inerzia polare.
Se l’esperienza di Nox ha rappresentato il
primo atto di una nuova sperimentazione
e ricerca dove l’architettura era un
medium e si trasformava in supporto
informatico, la creazione nel 2000 di un
autonomo studio professionale Nio
Architecten ha costituito l’avvio di un
rinnovato confronto con la realtà. I
progetti dello studio di Nio, come
sottolinea Emanuela Guerrucci
nell’introduzione, sono caratterizzati da
una forma plastica, autoreferenziale,
presenza inquietante nel paesaggio,
volumi dalla massa bloboidale che
nascono dall’uso di software complessi e
dei più disparati e sofisticati materiali. Ciò
permette di realizzare uno spazio
architettonico incontornabile che non si
sfalda nell’ambiente circostante alla
ricerca di una continuità fisica tra interno
ed esterno, ma dichiara la propria
estraneità. Questo spazio nasconde al
proprio interno il segreto che anima il
progetto e che spesso è difficile intuire. Ciò
che riguarda il processo creativo non è
qualcosa di oscuro, ma qualcosa in cui
viene data forma, nella maniera più
lucida possibile, al mistero, all’ambiguo,
al reversibile.
Nio studioso precoce di Baudrillard
realizza, nei suoi inquietanti progetti,
segni sui luoghi di frontiera della
condizione umana contemporanea, una
impronta, una presenza di lucidità che ha
il fine di fissare in una forma surreale
almeno un attimo di quella liquidità
moderna di cui ha parlato Barman. In
quei non luoghi Nio riesce ha trovare
un’anima insospettata e inattesa, ma
comunque un’anima.
Il volume di Emanuela Guerrucci,
intitolato appunto Maurice Nio, propone
assieme ad una serie dettagliata e
rielaborata di alcune creazioni
dell’architetto anche una intervista vivace
e assai poco accademica e poi cinque testi
che ripercorrendo ciascuno un progetto
vogliono costituire la chiave di accesso dei
suoi lavori. Tutto il linguaggio usato è un
affascinante pastiche affabulatorio e
filosofico piuttosto che espressione di un
architetto nel senso tradizionale del
termine. È questo un esempio della
tensione di Nio di fondere molte arti in
ogni singolo lavoro: scrittura, cinema,
tecnologia nel tentativo riuscito di
contaminare l’architettura per farla
rinascere a nuova vita: “Questo è il mio
sogno – così si esprime Nio in uno dei
saggi del libro – contaminare il soft con
l’hard. Il liminale con il cristallino. Il
virtuale con il reale. L’acuto con l’ottuso”.
Questo libro chiede di essere letto come un
dialogo complice, inesausto, promettente
tra architettura e tecnica, tra passato,
presente e futuro. In tal modo emergerà
appieno il percorso di Maurice Nio della
sua inattesa e dissacrante ma mai banale
o “già vista” presenza nella difficile realtà
urbana contemporanea.
Claudio Camponogara
Architetto
For some years now, Dutch
architecture has been a favourite
observational focus of the foreign critics
after putting itself forward as a potential
workshop for the urban changes that have
radically affected the social and physical
set up of the European continent since the
1980s.
Pragmatism, experimentalism, radicalism
and utopia feature in the work of the
Dutch architects, who have given rise to
astounding, uncommon and original
architecture that generates urban quality.
Now, after the talented generation of
Koolhaas, Van Berkel, Mecanoo and
MVRDV, now considered masters, we see
new protagonists appearing. This is the
case of Maurice Nio, one of the most
interesting figures on today’s Dutch
architectural scene. In 1990, he and Lars
Spuybroek founded Nox, which initially
stood as a fairly traditional architectural
practice, a firm specialised in several
media, including architecture. Among
other things, the group produced the fine
magazine Nox, which gave rise to
installations and articles, samplers,
cybers, hackers and video clips, passing
easily from one medium to another. This
constant variety of experiences prompted
a delightful miscellany of images and
styles, unexpected and seductive
metamorphoses that were radically
provocative. The relationship between
man, nature and technology constituted
the core theme of the Nox projects;
technology not merely as a tool serving
man but totally taking control of him and
pursuing its own mysterious ends. The
manipulations developed by the
computer found in the Biotec issue of Nox
Magazine clearly translate this concern: a
school of leaping dolphins joins a fighter-
plane squadron and their union produces
a mutant race. Nio’s architecture thus
appears as a fatal Baudrillard-type
strategy but, despite the dominance of
technology, Nio does not despair of saving
man from what Paul Virilio calls polar
inertia.
The Nox experience was the first act in
new experimentation and research where
the architecture served as a medium and
became a backup to the computer. But the
creation of his own professional practice
in 2000, Nio Architecten, marked the
beginning of a renewed exchange with
reality. As stressed by Emanuela Guerrucci
in the foreword, the projects by the Nio
practice are distinguished by a self-
referential sculptural form, a disquieting
presence on the landscape, blob-like
masses produced with the use of complex
software and the most diverse and
sophisticated materials. This permits the
creation of a surroundable architectural
space that does not disintegrate into the
surrounding environment in search of a
physical continuity between interior and
exterior, but declares its foreignness. The
space hides the secret that drives the
project and that is often hard to guess. The
creative process is not something obscure
but something that lends shape, as clear-
mindedly as possible, to the mystery, the
ambiguity and the reversible.
In his disquieting projects, Nio, an early
scholar of Baudrillard, places signs on the
frontier zones of the contemporary
human condition, an imprint, a lucid
presence that seeks to fix at least a
moment of that modern liquidity that
Barman spoke of in surreal form. Nio
manages to find an unsuspected and
unforeseen soul in these non-places, but
a soul nevertheless.
As well as a detailed and re-elaborated
series of some of the architect’s creations,
Emanuela Guerrucci’s book Maurice Nio
also offers a charming and scarcely
academic interview plus five written
pieces, each retracing a project in an
attempt to provide the key to his works.
All the language used is a fascinating,
fabulous and philosophical pastiche
rather than the expression of an architect
in the traditional sense of the word. This is
an example of Nio’s efforts to blend many
arts in every single work: writing, cinema
and technology in a successful attempt to
contaminate the architecture and breathe
new life back into it. “This is my dream,”
as Nio says in one of the book’s essays, “to
contaminate the soft with the hard, the
hazy with the crystal clear, the virtual with
the real and the sharp with the blunt.”
This book begs to be read as an
inexhaustible and promising dialogue
between architecture and technique,
between past, present and future. This
will fully bring out the path of Maurice Nio
and his unexpected and desecrating but
never banal or “deja vu” presence in the
harsh contemporary urban reality.
Claudio Camponogara
Architect
Il “sistema degli oggetti”
The object system
999 Phaidon Design Classics
AA.VV.
Phaidon, London - New York 2006
(voll. I, II, III, pp. 1.000 circa, ¤ 150,00)
Lo ammetto, quando ho visto per la prima
volta in libreria i tre volumi della Phaidon
dedicati a 999 classici del design, ben
strutturati nel loro inconsueto packaging
di plastica nera, ho pensato di trovarmi
dinnanzi ad una versione insolita e
particolarmente dilatata del genere
“coffee-table book”. Anziché estendersi
in orizzontale, sfruttando fino al limite
della maneggiabilità i grandi formati
quadrati, questo di Phaidon sembrava
aver scelto la via di una gemmazione in
verticale, ben scandita dai suoi compatti
volumi sovrapposti e sfalsati.
Certo che, comunque lo si prenda, questo
imponente lavoro della casa editrice
anglo-americana è decisamente
ingombrante. Da un punto di vista fisico il
suo ingombro lo si vede subito: circa 1.000
pagine ogni volume (vado per
approssimazione in quanto manca la
numerazione), altrettante le immagini
(ma è una stima per difetto), un peso
complessivo che si avvicina agli 8
chilogrammi. Oltretutto, essendo il
contenuto ordinato secondo un neutrale
ordine cronologico, è anche abbastanza
‘ingombrante’ da consultare, nonostante
l’articolata struttura degli indici che
accompagna ciascuno dei tre volumi che
compongono l’opera.
Ingombrante lo è anche da un punto di
vista editoriale, avendo la spiccata
tendenza a non lasciarsi incasellare in
alcuna tipologia canonica. A dispetto della
scansione cronologica, non possiamo
iscriverlo nel novero delle ‘storie’, poiché
ciò che manca è precisamente quella
continuità di rimandi e connessioni che,
nel mettere in relazione fra loro fatti e
reperti diversi, ricostruisce un più o meno
ordinato succedersi di eventi. Piuttosto,
l’ampiezza della selezione e la mancanza
di articolazione fra le parti sembrerebbe
avvicinarlo ad una piccola enciclopedia.
Ma i suoi 999 ‘lemmi’ sembrano
sinceramente un po’ pochi per scomodare
un autentico spirito enciclopedico. Forse,
trattandosi di una raccolta abbastanza
eterogenea, potremmo tentare di
accostarlo alle antologie, con ogni
‘reperto’ ben presentato, riccamente
illustrato e corredato da una scheda
descrittiva che narrativamente ne
ripercorre per sommi capi origini e vicende
salienti. A ben vedere, quella
dell’antologia è la collocazione meno
forzata.
Ciò che però balza subito all’occhio è la
totale assenza di un esplicito sguardo
critico d’insieme. Di solito, le antologie
procedono organizzandosi per temi,
correnti, periodi. I curatori si impegnano a
stendere una rete di riferimenti, nelle cui
maglie vanno poi collocando i vari
materiali secondo uno schema
interpretativo generale.
Nel caso dei 999 classici scelti da Phaidon
invece, non solo brilla l’assenza di un
curatore, ma l’apparato critico si riduce ad
una essenziale definizione riportata in
calce sulla copertina dei tre volumi,
secondo la quale i Classici del design
Phaidon sono: “Oggetti prodotti
industrialmente di alto valore estetico e di
una qualità senza tempo: 1) modelli
esemplari dalla durevole influenza e di
solido significato; 2) oggetti innovativi
nell’uso di nuovi materiali e capaci di
coniugare tecnologie avanzate e bel
design; 3) oggetti di grande semplicità,
equilibrio e purezza formale; 4) oggetti
perfetti nella loro sintesi formale e rimasti
immutati dalla loro comparsa”. La
selezione finale (operata si suppone dalla
redazione interna Phaidon) è il frutto dei
suggerimenti incrociati provenienti da
una nutrita schiera di esperti, designer,
giornalisti, le cui proposte dovevano
soddisfare almeno uno dei quattro
requisiti contenuti nella premessa.
Va bene il proverbiale pragmatismo
inglese, ma un apparato critico così agile e
leggero non può non suscitare qualche
riflessione.
Proviamo allora a guardare l’opera più da
vicino. Subito ci si accorge che di ogni
singolo materiale sono indicati l’autore,
l’anno di ideazione e il produttore (o i vari
fabbricanti che si sono succeduti nel
tempo). Manca qualsiasi indicazione
riguardante il paese. Oggetti dunque
come opere all’interno di un paesaggio
globale, non come progetti nati
all’interno di una specifica cultura, di un
contesto, di una particolare elaborazione
sociale. La cancellazione delle differenze
lascia trasparire l’idea di un design inteso
come un insieme sostanzialmente
omogeneo di segni fra loro
intercambiabili ed equivalenti. A
distinguerli non è il progetto, bensì l’uso,
le abitudini, il gusto di ciascuno.
Una arbitrarietà che si riflette
puntualmente nell’ampia selezione
proposta. Non si tratta di giocare a cosa c’è
e cosa manca: è evidente che 999 oggetti
non possono raccontare tutto quello che si
è prodotto in un arco di tempo lungo 341
anni (dal 1663, data attribuita nella
scheda 001 alle forbici cinesi di Zhang
Xiaoquan, al 2004, anno di produzione del
set di oggetti da bagno Lunar di Barber
Osgerby, scheda 999), con una media
matematica appena inferiore ai 3 oggetti
l’anno. Interessanti sono piuttosto le
tipologie presenti, che spaziano dagli
anonimi strumenti (soprattutto nel primo
volume, dove incontriamo spille da balia,
numerosi cavatappi, bidoni per rifiuti,
lanterne, sedie a sdraio e simili), agli
imballaggi alimentari (numerosissimi, vero
e proprio leit-motiv del volume, al punto
da far sospettare una forma di infantile
madeleine proustiana dei selezionatori),
Settembre September 2006 domus 129

passando attraverso i caposaldi del
razionalismo poetico della Bauhaus fino ad
approdare a vere e proprie eccezioni,
anomalie e curiosità: per quanto si possa
apprezzare l’opera visionaria di Antoni
Gaudí, è difficile pensare che la sedia
disegnata nel 1902 per casa Calvet (scheda
070) sia un progetto di design e non
piuttosto un vero e proprio virtuosismo
ebanistico, canto del cigno della grande
tradizione artigianale europea. O che la
Rolls-Royce Phantom VI del 1971 (scheda 735)
possieda altre qualità che non l’essere un
dinosauro tecnologico ad alto valore
nostalgico. Ma è proprio questo il punto.
Trattato come prodotto e non come
progetto, il design si rivela essere sistema
semantico a carattere emotivo, il cui
insieme costituisce una sorta di vocabolario
con cui cercare di decodificare sogni,
illusioni, speranze, trasalimenti della
modernità appena passata. Non a caso la
parola ‘prodotto’ è un participio passato. I
limiti di questa impostazione divengono
evidenti quando lo sguardo anziché
indietro si volta ad osservare il presente. La
seconda parte del terzo volume, come per
altro presentito dalla redazione che si è
cautelata mettendo le mani avanti
nell’unico brevissimo scritto che si trova
nella prima pagina di ogni tomo, smarrisce
la carica immaginifica che caratterizza il
resto dell’opera. Le scelte si fanno molto più
arbitrarie, assai meno ieratiche o
sorprendenti, condizionate da evidenti
rapporti d’amicizia fra design e
selezionatori. Di là da ogni pregiudizio,
occorre riconoscere che i valori immaginifici
contenuti nel “sistema degli oggetti” sono
una componente autentica e importante
del progetto, una componente troppo
spesso trascurata dalla critica ufficiale tutta
presa a soppesare valori etici, tecnici,
economici, ideologici, artistici. Allo stesso
tempo, bisogna riconoscere che un tale
approccio non è sufficiente a spiegare la
complessità del design, soprattutto a
comprendere il fenomeno nel suo farsi,
quando il progetto deve affrontare
problemi contingenti, esigenze precise,
mutamenti tecnologici o sociali.
In fondo questo ponderoso lavoro
assomiglia ad una wunderkammer di
ottocentesca memoria, stanza delle
meraviglie nella quale tutto stupisce e nulla
si spiega. Ma c’è materia per tutti: per
curiosi e appassionati, per studiosi e critici
schizzinosi. A ciascuno resta qualche cosa
130 domus Settembre September 2006
attaccata alle dita e, speriamo, anche nella
testa, come occasione per riflettere,
interrogarsi e provare a capire cosa sia il
design. Anzi, cosa sia stato e cosa potrà
essere.
Enrico Morteo
Architetto
I must admit, when I first saw the three
Phaidon volumes on 999 design classics –
well structured in their unusual black plastic
packaging – I thought I was looking at an
unusual and particularly large version of the
coffee-table book genre. Instead of
expanding horizontally and exploiting the
large square format to the limits of
manageability, here Phaidon seems to have
opted for vertical gemmation, clearly
emphasised by the compact, stacked and
staggered volumes.
Whatever way you look at it, of course, this
imposing work by the Anglo-American
publisher is very bulky. Its physical size is
immediately obvious: approximately 1,000
pages per volume (I approximate because
there are no page numbers), as many
illustrations (but this is an underestimate)
and weighing almost 8 kilograms in total.
What is more, as the contents are ordered in
neutral chronological order, it is also fairly
awkward to consult, despite the complex
structure of the indexes that accompany
each of the three volumes in the work.
It is also awkward in the publishing sense,
with an obvious desire not to be
pigeonholed in any canonical type. Despite
the chronological approach, it cannot be
placed on the list of “histories” because it
lacks the continual references and links that
relate different facts and pieces to each
other, reconstructing a fairly orderly
succession of events. Instead, the size of the
selection and the lack of connection
between the parts seem to bring it closer to
the mini-encyclopaedia. Quite frankly,
however, its 999 entries seem too few to
excite a true encyclopaedic spirit. Perhaps,
as it is a fairly heterogeneous collection, we
could try to class it with the anthologies.
Every piece is well presented, richly
illustrated and accompanied by a
description that briefly tells the story of its
origins and salient moments. Really, that of
the anthology is the least strained
positioning.
The most striking thing is the total absence
of a specific critical overview. Anthologies
999), with a mathematical average of just
under 3 pieces per year. Of more interest
are the types present, which range from
anonymous implements (especially in
volume 1 where you will find nappy pins,
numerous corkscrews, rubbish bins,
lanterns, deckchairs and the like) to food
packaging (in large number and the leit-
motiv of the volume, such to suggest an
infantile form of Proustian Madeleine
memory in the selectors), passing via the
cornerstones of poetic Bauhaus
Rationalism to come to true exceptions,
anomalies and oddities. For however
much we appreciate the visionary work of
Antoni Gaudí, it is hard to believe that the
chair designed for the Calvet house in 1902
(entry no. 070) is a design product and not
a virtuoso piece of carpentry, the
swansong of the great European craft
tradition; or that the 1971 Rolls-Royce
Phantom VI (entry no. 735) possesses any
other qualities apart from being a
technological dinosaur of great nostalgic
value.
This is the point. When treated as a product
and not a project, design proves to be an
emotional semantic system, the body of
which constitutes a sort of lexicon to be
are usually organised by themes, trends and used when trying to decode the dreams,
periods. The editors carefully draw up a illusions, hopes and hiccups of recently
mesh of references and place the various passed modernity. The limits of this
materials in each space according to a approach become clear when it looks at the
general pattern of interpretation. present rather than looking back. As
In the case of the 999 classics chosen by heralded by the editing team that plays it
Phaidon, however, not only is there a safe in the only brief written text on the
conspicuous absence of an editor but the opening page of every book, the second
critical apparatus is reduced to a simple part of volume three loses the figurative
definition at the base of the cover of the charge that distinguishes the rest of the
three volumes, according to which the work. The choices become far more
Phaidon design classics are: “Industrially arbitrary, much less hieratic and surprising,
manufactured objects of aesthetic value and are conditioned by obvious amities
and timeless quality: 1 definitive models of between design and selectors.
lasting influence and enduring significance; All prejudice aside, we must acknowledge
2 objects that are innovative in their use of that the figurative values contained in the
new materials and unite technological “object system” are a genuine and
advances with beautiful design; 3 objects important part of the project, a component
characterised by simplicity, balance and all too often overlooked by official critics
purity of form; 4 objects that are perfect in concerned with weighing up ethical,
their design and that have remained technical, economic, ideological and artistic
unchanged since their creation.” The final values. At the same time, we must recognise
selection (made presumably by the in- that such an approach does not adequately
house Phaidon editing team) is the fruit of explain the complexity of design, especially
cross-suggestions made by a host of if we are to understand the phenomenon of
experts, designers and journalists whose its evolution, when a project must address
proposals had to satisfy at least one of the contingent problems, specific needs and
above four requisites. technological or social changes.
The proverbial British pragmatism is all well Basically, this bulky work resembles a 19th-
and good but such a slender and century wunderkammer, a room filled with
lightweight critical apparatus can only marvels where everything astonishes but
prompt reflection. nothing is explained. There is something for
Let us examine the work more closely. You everyone: for the curious and the
immediately realise that the designer, year enthusiast, the scholar and the fastidious
of conception and manufacturer (or the critic. Something will stick in their minds,
various manufacturers that have succeeded offering an opportunity to try and
each other over the years) are given for understand what design is. Indeed, what
every single piece. There is absolutely no it has been and what it can be.
indication of the country. The pieces are
therefore seen as works on a global stage, Enrico Morteo
not products created within a certain Architect
culture, context or particular social process.
The cancellation of differences betrays the
idea of design intended as a substantially
Posizionamento mobile
homogeneous body of signs that are Interceptor
interchangeable and equivalent. They are
not distinguished by the project but by dontstopdontstopdontstopdontstop
individual use, habits and taste. Hans Ulrich Obrist
This arbitrary approach is promptly Sternberg Press, New York-Berlin 2006
reflected in the extensive selection (pp. 128, s.i.p.)
proposed. It is not a game of what is
included and what is not: clearly, 999 (Perché Hans Ulrich Obrist non è un
objects cannot cover everything produced curatore d’arte contemporanea.
in a span of 341 years (from 1663, the date Perché Hans Ulrich Obrist non è un critico
attributed to the Chinese scissors by Zhang d’arte contemporanea)
Xiaoquan in entry no. 001, to 2004, the year
of manufacture of the Lunar bathroom 1. Viviamo un periodo di grande fertilità e
accessories by Barber Osgerby, entry no. di grande ipocrisia nella sfera dell’arte
contemporanea. Una ipocrisia che
riguarda soprattutto la divisione dei ruoli
tra produzione, critica e curatela.
Come sappiamo, critica e curatela di arte
contemporanea dovrebbero fondarsi su
un comune ordine del discorso, che le
distingue dalla sfera della produzione
artistica. Un ordine del discorso che opera
secondo i due grandi esercizi della
perimetrazione e della classificazione;
entrambe sono infatti chiamate ad
includere ed escludere entro campi di
valore e classi di merito autori, opere,
luoghi e istituzioni.
La critica d’arte contemporanea dovrebbe
stabilire la sfera ontologica in cui
qualcosa di nuovo accade ed è in corso.
Ed entro questa sfera costruire famiglie,
tendenze, prospettive; osservare
l’evoluzione degli artisti e delle opere,
coglierne e certificarne le fasi, gli scarti, le
cadute, gli intervalli. Storicizzarne il
presente.
L’ordine del discorso della curatela
dovrebbe invece fondarsi su un criterio
tendenzialmente geografico. Circoscrivere
i territori dove il nuovo è in azione.
Seguire e orientare il percorso degli
artisti, costruire spazi e occasioni di
incontro, generare esclusioni. Creare
gerarchie di luoghi e di istituzioni.
Per riassumere, la critica d’arte
contemporanea dovrebbe circoscrivere e
classificare sul piano della storia presente
quello che la curatela dovrebbe
circoscrivere e classificare sul piano della
geografia presente.
Ma a ben guardare, le cose oggi non
stanno così. Anzi, da tempo ormai i due
ambiti sono di fatto sempre più
sovrapponibili e sovrapposti, al punto da
diventare quasi sinonimi. Oggi, nei
territori dell’arte contemporanea, la
curatela ha assorbito il ruolo della critica
e la critica si è protesa fino a occupare lo
spazio di azione della curatela.
Ma c’è di più: è cambiata la natura della
sfera di produzione di arte
contemporanea, che oggi ha divorato i
presupposti della critica e della curatela.
Da Andy Warhol a Dan Graham, da
Alighiero Boetti a Matthew Barney, l’arte
è diventata gradualmente una pratica
delocalizzata e autoriflessiva. Che sfugge
alla geografia e pretende di storicizzare se
stessa. Gli artisti si muovono su un
territorio globale e amplissimo, dove si
sono moltiplicate le occasioni espositive
(biennali, fiere, mostre antologiche,
retrospettive) e dove le tendenze nascono
più dal posizionamento entro un certo
evento che da una classificazione di
generi e poetiche.
Addirittura, come è stato più volte notato,
in questa luce, ogni artista è
potenzialmente autore della sua critica e
curatore della sua opera.
Ma, nonostante la sua evidenza sia
esplosiva, questa sostanziale con-fusione
di identità, aspettative, compiti continua
ad essere di fatto anestetizzata, rimossa.
Nel mare delle dissolvenze, galleggiano
infatti ancora ruoli professionali rigidi,
committenze codificate secondo codici e
istituzioni anacronistici. Curatori che
fingono di fare solo i curatori chiamano
artisti che fingono di essere solo artisti a
produrre opere da esporre al giudizio di
critici che fingono di esercitare solo il
mestiere della critica.
Ruoli che spezzettano formalmente un
campo di pratiche sostanzialmente
unificato dallo sfumare delle differenze di
genere.
2. Il lavoro di Hans Ulrich Obrist è
indecifrabile se si prescinde dal rilievo di
questa fertile con-fusione; e
dell’ipocrisia che di continuo la
nasconde.
A dispetto delle sue “competenze
formali”, Obrist non è un curatore e non è
nemmeno un critico di arte
contemporanea; non lo è nonostante si
muova entro l’ordine del discorso che
fonda le due discipline; e nonostante
accetti di assumere ruoli e identità dettati
dalle rispettive sfere di azione.
Obrist non è un curatore e neppure un
critico, semplicemente lavora sullo stato
delle cose esistenti.
Obrist non perimetra e classifica campi
geografici e sfere di azione dell’arte. A
ben guardare, il lavoro di Obrist ruota
piuttosto attorno al concetto di
posizionamento.
Obrist si posiziona, cioè mette in
posizione il suo corpo nel campo di
tensioni dell’arte contemporanea, allo
scopo di intercettare e modificare i
materiali sparsi che compongono il mare
delle dissolvenze in cui sfumano i confini
tra i ruoli.
Obrist progetta il movimento del suo
corpo nel pianeta e grazie a questo
incontra artisti, opere, recensioni, fiere,
saggi, istituzioni, eventi, riviste,
collezioni, mercanti, giornalisti, archivi,
scuole, installazioni, musei,
performance, seminari, convegni,
congressi, laboratori, kunsthalle,
galleristi, politici che costituiscono i
materiali dell’arte contemporanea
globale. L’ordinamento dei materiali che
Obrist compie nasce dall’incontro con il
suo corpo-sensore; non risponde a un
criterio di perimetrazione e di
classificazione – stabilito a priori o
ridefinito ex-post – ma corrisponde
piuttosto ad un lavoro artistico. Arbitrario
e mutevole, caratteriale e onnivoro.
Ossessivo nella sua estensione pervasiva:
tutto ciò che risulta rilevante va rilevato,
tutti coloro che appaiono tesi a ricercare
vanno ricercati e intervistati. Tutti: artisti,
architetti, filosofi, operatori delle
istituzioni, cineasti, politici, letterati,
poeti, studenti, fotografi, o
semplicemente testimoni.
Obrist lavora da anni ad un’opera d’arte
globale sui materiali sparsi dell’arte
contemporanea. Lavora sullo stato di cose
esistenti con l’ossessione di chi sa di non
potere fare a meno di percorrerlo per
intero. E di chi combatte una battaglia
utopica – questa davvero è una forma
pura di utopia – contro l’amnesia. Per
ridurre l’immensa crescente inevitabile
distanza tra la memoria (individuale) e la
storia (collettiva). Ultima declinazione di
body art, il posizionamento mobile – cioè
l’intercettazione soggettiva e in
movimento delle pratiche e delle
esperienze artistiche – è una condizione
ed una strategia necessaria e (in parte
almeno) inconsapevole per un lavoro
rigoroso sul mare dell’arte
contemporanea.
Grazie all’arbitrarietà lucida e trasparente
dell’arte, il lavoro di Obrist non è solo una
salutare presa d’atto dello stato di cose
esistenti, ma una condizione
rivoluzionaria per il loro superamento.
Stefano Boeri
Docente di Urbanistica al Politecnico di
Milano
(Why Hans Ulrich Obrist is not a
curator of contemporary art.
Why Hans Ulrich Obrist is not a critic of
contemporary art.)
1. We are presently experiencing a period
of great productivity and great hypocrisy
in the field of contemporary art. A
hypocrisy that above all concerns the
division of roles among production,
criticism and curatorship.
As we know, the criticism and curatorship
of contemporary art are supposed to be
based on a common order of discourse,
which distinguishes them from the
sphere of artistic production. It is an order
of discourse that functions according to
the two great practices of the
delimitation of boundaries and
classification. Both, in fact, are called
upon to include and exclude authors,
works, places and institutions within
categories of value and degrees of
excellence. The critic of contemporary art
is supposed to establish the ontological
realm in which something new has
occurred or is occurring. Within this
sphere, he is supposed to constitute
families, trends and perspectives;
observe the development of the artists
and their works; and grasp and attest the
phases of that development, its sudden
swerves, declines and gaps. In short, his
task is to historicise the present.
The order of discourse of curatorship, by
contrast, is supposed to be based on a
fundamentally geographical criterion.
The curator is supposed to circumscribe
the territories in which new forces are at
work, follow and guide the trajectories of
artists, construct spaces in which
audiences can encounter works of art,
and generate exclusions. In short, his
task is to create hierarchies of places and
institutions.
To summarise: the criticism of
contemporary art is supposed to
circumscribe and classify at the level of
present history that which curatorship is
supposed to circumscribe and classify at
the level of present geography.
However, this is not how things actually
stand. On the contrary, for some time
these two domains have been becoming
increasingly superimposable and
superimposed, so that they are now
virtually synonymous. Among the
territories of contemporary art,
curatorship has absorbed the role of
criticism, and criticism has stretched to
the point where it occupies the field of
curatorship. But there is more: the nature
of the production of contemporary art has
changed today as well. It has annexed
the bases of criticism and curatorship.
From Andy Warhol to Dan Graham and
from Alighiero Boetti to Matthew Barney,
art has gradually become a delocalised
and self-reflexive practice, which eludes
geography and purports to historicise
itself. Artists move within a global and
extremely broad terrain that affords them
increasing opportunities to exhibit their
work (biennials, fairs, anthological
exhibitions, retrospectives) and where
trends and tendencies spring more from
an artist’s positioning within a particular
event than from a classification of genres
and poetics. As is often pointed out, from
this perspective every artist is potentially
the author of his own criticism and the
curator of his own work.
But however glaringly obvious it may be,
this fundamental confusion of identities,
expectations and functions continues to
be anaesthetised and suppressed. Still
adrift on this sea of dissolving boundaries
are rigid professional roles and
constituencies codified according to
anachronistic codes and institutions.
Curators who pretend they are only
curators call on artists who pretend they
are only artists to produce works of art to
submit to the judgment of critics who
pretend they are only plying the critic’s
trade.
These roles formally divide up a field of
practices fundamentally unified by the
dissolving of generic differences.
2. It is impossible to understand the work
of Hans Ulrich Obrist if one ignores the
importance of this productive confusion
and the hypocrisy that continually
conceals it. In spite of his “formal
capacities”, Obrist is neither a curator nor
even a critic of contemporary art. This
despite the fact that he moves within the
order of discourse on which both of these
disciplines are based and agrees to take
on roles and identities dictated by their
respective spheres of activity.
Obrist is not a curator nor even a critic —
he simply works on the existing state of
affairs. Obrist does not delimit or classify
artistic geographical fields or spheres of
activity. Instead his work revolves around
the concept of positioning. Obrist
positions himself, that is, his body within
the force field of contemporary art, and
he does so in order to intercept and
modify the scattered materials that make
up the sea of “dissolves” in which the
boundaries between the roles are melting
away.
Obrist projects the movement of his body
throughout the world, and thanks to it he
encounters artists, works, reviews,
exhibitions, articles, institutions, events,
journals, collections, dealers, journalists,
archives, schools, installations, museums,
performances, seminars, conferences,
conventions, workshops, Kunsthallen,
gallery owners and politicians, all of
which constitute the materials of global
contemporary art. Obrist’s arrangement of
these materials springs from the
encounter between them and his
“body/sensor”. It does not respond to a
criterion of delimitation and classification
— established a priori or redefined after
the fact — but instead corresponds to a
labour of artistic production, one that is
arbitrary and changeable, temperamental
and omnivorous, and obsessive in its all-
encompassing reach: everything deemed
notable must be noted, and everyone
involved in inquiry must be sought out
and interviewed. Everyone: artists,
architects, philosophers, institutional
representatives, filmmakers, politicians,
scholars, poets, students, photographers
and even mere witnesses.
Obrist has been working for years on a
global artwork on the scattered materials
of contemporary art. He is working on the
existing state of things with the obsessive
single-mindedness of someone who
knows that he cannot help but travel its
entire length and breadth and who is
waging a utopian struggle — and this is
indeed a utopia in its pure form — against
amnesia. It is a battle to diminish the
enormous, growing, and inevitable
distance between (individual) memory
and (collective) history.
As the ultimate form of body art, mobile
positioning—the subjective and mobile
interception of artistic practices and
experiments—is a necessary and (at least
in part) unwitting precondition and
strategy of any rigorous effort to work on
the sea of contemporary art.
Thanks to the brilliant and transparent
arbitrariness of art, Obrist’s work is not
only a salutary stocktaking of the existing
state of things, it is also a revolutionary
condition for overcoming it.
Stefano Boeri
Professor of Urbanism at Milan
Polytechnic
Settembre September 2006 domus 131
Serpentine Gallery Pavilion 2006
Rem Koolhaas e/and Cecil Balmond
con/with Arup
13.07-15.10.2006
www.serpentinegallery.org
Photo Leonardo Finotti

Settembre September
Rassegna 09
Mobili a cura di/edited by
Furniture Maria Cristina Tommasini
MOBILI FURNITURE OMERO
DESIGN: FRANCISCO GOMEZ PAZ
La decorazione e la tecnologia sono i temi guida dell’arredo 2006? Se si accetta questa ■ Are decoration and technology the dominant themes in furniture for 2006? If we accept
ipotesi, bisogna altresì dire che l’una e l’altra sono strettamente connesse, quasi in un this notion, it must also be said that they are both closely related, almost in a relationship Il design di Driade Store è una scrittura a ■ The design of Driade Store is a many-
rapporto di causa ed effetto. Si tratta infatti di una decorazione che spesso necessita di of cause and effect. We are often dealing with decoration that requires sophisticated più mani, dal segno fresco e disinvolto. handed text with a fresh and casual
una sofisticata tecnologia per esprimersi, perché agisce in 3D e non sulla sola technology to express itself, since it operates in 3D and not just on the surface. The La collezione comprende oggetti d’uso look. The collection includes well-
superficie. L’ibridazione delle forme generate da materiali lavorati e accostati in modo hybridisation of forms generated by materials that are manipulated and combined in quotidiano, ben disegnati, coerenti designed objects for everyday use that
inusuale genera complessità che sconvolgono le tipologie. Non sembra però esserci unusual ways generates a complexity that places furniture categories in disarray. alle logiche produttive industriali ma take into consideration both the logic of
l’ironia che guidava le sperimentazioni formali del design radicale, né la benefica However, the guiding principle behind experimentation with radical design forms doesn’t anche alle tecniche artigianali. industrial manufacturing and skilled
provocazione di Memphis. La poltrona ‘fiorita’ o quella che si veste di un vero abito, seem to have been irony, or the beneficent provocation of Memphis. The chair that Un esempio? Omero, curioso craftsmanship. For example? Omero, a
oppure le forme complesse ottenibili, per esempio, con le tecniche dello stampaggio in “flowers” or wears a veritable dress, or the complex forms that can be obtained with portariviste in alluminio e acciaio inox curious magazine rack in aluminium
rotazionale non suscitano discussioni. Sono tutte politicamente corrette, interessanti e rotational moulding do not arouse any controversy. They are all politically correct, lucidati a specchio. Giornali e riviste si and mirror-polished stainless steel. The DRIADE STORE
al tempo stesso scontate. Con qualche confortante eccezione. MCT interesting and at the same time predictable. With some reassuring exceptions. MCT incastrano tra gli anelli rimanendo magazines are held between rings and 29012 Fossadello di Caorso (Piacenza)
come sospesi nel vuoto. seem to hang in mid air. T +39-0523818650
Per gli indirizzi completi delle aziende vedi/For complete addresses of the manufacturers see: www.domusweb.it www.driade.com

5701 VERYROUND DIARY SOFA YUKO CORBEILLE

DESIGN: LOUISE CAMPBELL DESIGN: MARCEL WANDERS DESIGN: PIERLUIGI CERRI DESIGN: FRANCESCO BINFARÈ

"Il progetto si basa sul piacere che si
può trovare nella ripetizione. Un
cerchio singolo non è particolarmente
interessante, ma 240 cerchi,
meticolosamente disposti fino a
formare una seduta intera, lo sono”. La
seduta consiste di due coni identici ma
di proporzioni diverse. Il cono esterno è
più largo del 20% rispetto a quello
interno. I coni si saldano sui fianchi,
creando volume e forza. Struttura in
lamiera di acciaio da 2 mm, tagliata
con laser tridimensionale, verniciata
per esterni. Esemplare firmato.
■ “The design is based on the pleasure
that can be found in repetition. A single
circle is not particularly interesting but
240 circles meticulously organised until
they form an entire chair are.”
Two identical layers, the outer one 20%
larger than the inner one, blend
together at the sides to create both
volume and strength. Structure is in
2-mm-thick steel sheet cut by three-
dimensional laser, varnished for
outdoor use. Signed example.
Diary Sofa è una delle numerose ■ Diary Sofa is part of a series of highly Interamente in alluminio, Yuko è una Soffice e abbondante, Corbeille ti ■ Soft and generous, Corbeille invites
declinazioni di un programma di industrialised chairs fixed together with sedia elegante che si potrebbe definire accoglie facendoti sprofondare nei suoi you to sink into its cushions. The
sedute altamente industrializzato, i cui connecting arms using a basic 3D “anche pieghevole” per la risolutezza cuscini. Un tubo di metallo intrecciato structure is made from metal tubing
elementi sono fissati tra loro mediante i system. The “naked” sofa is dressed formale e tecnica del suo progetto. a guisa di cesto ne forma la struttura, woven like a basket and painted in the
braccioli, secondo un semplice sistema with specially designed fabrics (anti Di ottimo design sia vista aperta che lasciata a vista e verniciata negli stessi same colours as the upholstery.
a 3D. L’imbottito ‘nudo’ viene rivestito allergenic, water, oil, stain and insect chiusa, Yuko si distingue per la sua colori delle parti imbottite. I cuscini, The soft cushions with their
con tessuti dal disegno esclusivo resistant). All fabrics have exclusive confortevolezza che la rende molto morbidi e con un rivestimento deliberately generous covers give this
(nonché antiallergici e resistenti a designs, made especially for Moooi particolarmente adatta al contract. volutamente abbondante, danno al sofa a pleasant informal look. The
macchie, olio, acqua e protetti da boutique. Moooi is part of B&B Italia Ha gambe in estruso di alluminio, divano una piacevole aria informale. choice of fabrics and leathers
insetti, batteri, funghi ecc.), realizzati who have bought half the company. schienale in pressofusione, seduta in La scelta dei tessuti e delle pelli accentuates the contrast between the
espressamente per Moooi boutique. lamiera di alluminio stampata. accentua il contrasto tra la rigidità rigidity of the structure and the
Moooi fa parte di B&B Italia, che ne ha Finiture: alluminio lucido, verniciato della struttura e la morbidezza softness of the upholstery.
acquisito al 50% la proprietà. alluminio e nero opaco. dell’imbottitura.
■ Yuko is an elegant chair made EDRA
MOOOI BV entirely from aluminium that could be 56030 Perignano (Pisa)
4801 EC Breda (The Netherlands) defined as “also folding” for the way in T +39-0587616660
T +31(0)76-5784444 which its form and technical aspects www.edra.com
www.moooi.com have been resolved. An excellent
design when seen either open or
closed, Yuko is distinguished by its
comfortableness that makes it
particularly suitable for contract use. It
has extruded aluminium legs, die-cast
ZANOTTA DESALTO back and die-cast sheet aluminium
20054 Nova Milanese (Milano) 22063 Cantù (Como) seat. Finish: polished aluminium,
T +39-03624981 T +39-0317832211 painted aluminium and matt black.
www.zanotta.it www.desalto.it

VOIDO FLY EASE FACETT

DESIGN: RON ARAD
Lavorando ai confini della tecnologia,
come Magis fa, il rischio legato alla
traduzione da prototipo a prodotto è
sempre in agguato. Voido, poltrona a
dondolo inizialmente concepita in
blow-moulding, presentata nel 2005
a livello di “prova stampo”, mostrava
un’evidente sofferenza tecnica.
Ripensata e risolta nella tecnologia
del rotational moulding, Voido ha
acquistato anche una migliore
definizione estetica. Materiale:
polietilene. Anche per esterni.
■ Working at the cutting edge of
technology as Magis does, there is
always a certain amount of risk
attached to translating a prototype into
a product. Voido, a rocking chair
initially conceived to be blow moulded,
presented in 2005 as a “mould test”,
showed evident technical difficulty.
Redesigned and resolved using
rotational moulding, Voido has also
MAGIS acquired better aesthetic definition.
DESIGN: MARCO ACERBIS DESIGN: KARIM RASHID DESIGN: RONAN E/AND ERWAN LIGNE ROSET
BOUROULLEC 01470 Briord (France)
Poche ma equilibrate curve disegnano Tecnologia usata con discrezione e ■ Discrete use of technology and a T +33-(4)74361700
una sedia leggera e insieme robusta. design armonioso si fondono nei harmonious design come together in La collezione Facett iniziata nel 2005 www.ligne-roset.com
Fly ha ampi spessori che variano nel mobili contenitore (a colonna o these storage units (upright units or (divani, poltrona, pouf, tappeti) è ora In Italia: ROSET ITALIA
disegno e che aggiungono solidità credenza) che Karim Rashid ha sideboards) that Karim Rashid has completata da sedia e poltroncina, 20123 Milano
reale e variazione formale percepita. disegnato per Horm. Le forme pulite designed for Horm. The clean shapes nelle quali si ritrova il segno distintivo T +39-02-48022348
La tecnologia utilizzata è lo stampaggio sono arricchite da due possibilità are enriched by a choice of two del progetto capostipite. Composte da www.ligne-roset.it
a gas. Le finiture superficiali adottate decorative (quadrifoglio, Ease, o decorations (four-leafed clover, Ease or una struttura metallica rivestita da
per il nylon migliorano le prestazioni e rombo, Relief). Il rilievo invita al tatto diamond, Relief). The relief pattern cima a fondo (il rivestimento in pelle o
la versatilità di utilizzo della sedia: ma nasconde un cuore tecnologico che offers a tactile quality but also hides a tessuto è ‘trapuntato’ nelle parti che
lucida sullo schienale e nella seduta, consente l’apertura totale e technological core that allows for the riguardano schienale e sedile), lasciano
Fly diventa opaca nel resto del corpo. ■ Few, well-balanced curves outline a sincronizzata di due ante, agendo complete and synchronised opening of trasparire un’estetica elaborata e
Impilabile, adatta anche al contract. chair that is both lightweight and mediante pressione su una sola. the two doors, operated by pressing carica di dettagli che si traduce in
sturdy. The components that make up Materiali: faggio o MDF ultralight con one only. Materials: beech or ultralight un’estrema comodità di seduta.
Fly vary in thickness adding a sense of diverse finiture. MDF with different finishes. ■ The Facett collection was started in
solidity and a noticeably varied form. 2005 (sofas, armchair, pouf, rugs) and
Made using gas moulding, the surface now includes a chair and small
finishes adopted for the nylon enhance armchair which have the same
the chair’s performance and versatility: distinctive style as the original
glossy on the back and seat, the rest collection. Consisting of a metal
of Fly is opaque. Stackable, suitable structure covered from top to bottom
for contract use. (the leather or fabric covering is
“quilted” in the areas that correspond
to the back and seat), they have an
ALIAS HORM elaborate, richly detailed appearance
Photo Luca Tamburlini

31045 Motta di Livenza (Treviso) Material: polyethylene. Suitable 24064 Grumello del Monte (Bergamo) 33082 Azzano Decimo (Pordenone) that makes for a very comfortable seat.
T +39-0422862600 for outdoor use. T +39-0354422511 T +39-0434640733
www.magisdesign.com www.aliasdesign.it www.horm.it

134 domus Settembre September 2006 Rassegna Rassegna Settembre September 2006 domus 135

LIV’IT
61010 Tavullia (Pesaro)
T +39-0721202709
www.livit.it
DIP
DESIGN: PETER TRAAG,
SEBASTIEN NOEL
Photo Ramak Fazel
I tavoli Dip, in alluminio anodizzato,
sono pezzi di sapore artistico ottenuti
con tecnologia industriale. Il
sorprendente ma rigoroso effetto è
dovuto all’immersione a rotazione
controllata della lastra di alluminio in
un bagno galvanico organico con
pigmenti naturali. Il processo di
anodizzazione crea fantastici colori,
effetti e sfumature.
Il tavolo è prodotto in due versioni:
tavolo e console (qui suggerita).
■ Dip tables in anodised aluminium
are pieces with an artistic feel
developed using industrial technology.
The surprising but austere effect is
obtained through the immersion and
controlled rotation of the aluminium
plate in an organic galvanic bath
with natural pigments. This
anodisation process creates amazing
colours, tones and effects. The table is
made in two versions: table and
console (shown here).
136 domus Settembre September 2006
ALEXA
DESIGN: RAUL BARBIERI
Struttura in pressofusione di alluminio,
lucidato o verniciato nello stesso colore
di sedile e schienale, realizzati in
tecnopolimero tecnico.
■ Structure in die-cast aluminium,
polished or painted in the same colour
as the seat and back, made from
technical technopolymer.
REXITE
20090 Cusago (Milano)
www.rexite.it
NOVAK
DESIGN: DENIS SANTACHIARA
Liv’it ha presentato al Salone del
Mobile 2006 prodotti multifunzionali
in grado di parlare la lingua dell’ironia.
Come Novak, tavolo con piano
ribaltabile e struttura smontabile in
alluminio (finitura brill), piedini in
metacrilato. Il piano, in legno
tamburato, ha una doppia faccia: un
lato è in vetro retrogoffrato e
argentato, l’altro in laminato bianco o
arancio, da scegliere semplicemente
facendo ruotare il piano sul suo perno
longitudinale.
■ At the 2006 Furniture Fair Liv’it
presented multifunctional products
with a touch of irony. Such as Novak, a
table with a flip top and demountable
structure in aluminium (brill finish) and
feet in methacrylate. The top, in
honeycomb wood, is double sided: one
side is goffered, silvered float glass, the
other in white or orange laminate.
Either side can be chosen by simply
turning the top on a longitudinal pivot.
PALLUCCO ITALIA
31040 Castagnole di Paese (Treviso)
T +39-0422438800
www.pallucco.com
Rassegna
OOPS
DESIGN: MONICA GRAFFEO
Oops per sorpresa o per errore?
Sposiamo la prima ipotesi, perché il
tavolo Oops (di cui esiste comunque
anche la versione fissa) mantiene la
sua forte identità anche una volta
‘ingrandito’ (dato non sempre scontato
per un tavolo allungabile). I piani
(rotondi, ovali, quadrati o rettangolari)
possono essere in essenza, laminato o
vetro. La struttura è in alluminio con
gambe in fusione di alluminio.
■ Oops for surprise or error? Let’s
assume the former since the Oops table
(of which a fixed version also exists)
retains its strong identity also when
“enlarged” (not necessarily always the
case with extendable tables). The tops
(round, oval, square or rectangular) are
available in wood, laminate or glass.
The structure is in aluminium with legs
in die-cast aluminium.
FONTANAARTE
20094 Corsico (Milano)
T +39-0245121
www.fontanaarte.it
ZED CHAIR
DESIGN: HANNES WETTSTEIN
Sedia con scocca in polipropilene
(bianco, rosso, grigio), ottenuta per
stampaggio a iniezione, e struttura in
acciaio (cromato e inox).
■ Seat with polypropylene shell (white,
red, grey) made using injection
moulding and a steel structure
(chromed and stainless steel).
MAXDESIGN
33050 Bagnaria Arsa (Udine)
www.maxdesign.it
KRISTALIA
33070 Brugnera (Pordenone)
T +39-0434623678
www.kristalia.it
NOODO
DESIGN: MARCO MERENDI
Il tavolo ha struttura in faggio laccato
bianco, nero o impiallacciata con
multilaminare con disegni a fantasia
(come qui suggerito). Il piano è in
alveolare (policarbonato termoformato
rivestito di due lastre in MDF), spessore
21 mm, trasparente oppure nero,
verde o arancione satinati. La struttura
del tavolo è smontabile. Noodo è
disponibile nei formati quadrato e
rettangolare per la versione da pranzo
e nel solo formato quadrato per la
versione da soggiorno (altezza 27 cm).
■ Table with lacquered beech structure
in white, black or veneered with
multilaminated patterns (shown here).
The top is in multiwall polycarbonate
(thermoformed polycarbonate covered
in two MDF sheets), 21 mm thick,
transparent or satin finish black, green
or orange. The structure of the table can
be completely disassembled. Noodo is
available in a square and rectangular
versions as a dining table and in a
square version only for the coffee table
(height 27 cm).
RUBY
DESIGN: ALAIN BERTAU
La forma esagonale offre un’ampia
seduta e la struttura innovativa
permette con facilità di unire o
impilare la sedia stessa. L’imbottitura
del cuscino assicura massimo comfort.
■ A hexagonal shape offers a wide seat
and the innovative frame makes it easy
to connect or stack. The upholstered
seat pad ensures maximum comfort.
MONTIS
www.montis.nl - www.idfgroup.it
LUIGI FILIPPO
DESIGN: MARCO ROMANELLI,
MARTA LAUDANI
Elegante tavolo soggiorno con piano
ellittico, Luigi Filippo è proposto con
struttura in rovere oppure in faggio.
Il piano sagomato è realizzato in MDF
impiallacciato in rovere nelle finiture
naturale, sbiancato o tinto wengé,
oppure in faggio tinto o laccato bianco
o nero nelle versioni opaco e lucido
spazzolato. L’eleganza sta anche
nelle calibrate dimensioni: larghezza
210 cm, profondità 95 cm, altezza
totale 74 cm.
■ An elegant table with an oval top,
Luigi Filippo is available with a
structure in either oak or beech. The
profiled top is made from oak-
veneered MDF with either natural,
bleached or wengé finish, beech tinted
or lacquered in white or black with a
matt or glossy brushed finish. The
elegance lies in its calibrated
dimensions: 210 cm wide, 95 cm deep,
MONTINA total height 74 cm.
33048 S. Giovanni al Natisone (Udine)
T +39-0432747300
www.montina.it
ZAR
YCAMI DESIGN: YCAMI
22060 Novedrate (Como)
T +39-0317897311 I tavoli Zar sono realizzati in Alulife,
www.ycami.com una lamiera di alluminio a forte
spessore. La tecnologia d’assemblaggio
applicata e l’esclusivo utilizzo del
materiale conferiscono ai tavoli
(disponibili in tre varianti
dimensionali) una spiccata resistenza
strutturale. Finiture alulife naturale
AU00 e alulife brown AU02.
■ Zar tables are made from Alulife, a
strong, thick aluminium plate. The
assembly technology applied and the
exclusive use of this material give these
tables (available in three sizes) notable
structural strength. Finish: natural
alulife AU00 and brown alulife AU02.
Rassegna
CHYLIUM
DESIGN: TITO AGNOLI
Sedia con struttura in acciaio inox e
scocca in alluminio con intreccio pieno
in Polypeel® (estruso di polietilene).
Adatta anche per uso esterno.
■ Chair with stainless steel frame and
aluminium shell with close weaving in
Polypeel®, (extruded profile of
polyethylene). Also suitable for
outdoor use.
BONACINA PIERANTONIO
www.bonacinapierantonio.it
TABULA
DESIGN: GIUSEPPE BAVUSO
Tabula è un tavolo dallo stile
inconfondibile, dominato da profili
sottili in contrasto con linee di forte
spessore. L’alluminio e il vetro (i due
materiali Rimadesio per eccellenza)
sono interpretati in piena libertà
progettuale, creando una proposta di
forte personalità. Tabula è disponibile
in quattro varianti dimensionali e in
diverse finiture, qui riassunte da una
soluzione che abbina struttura
anodizzata nera con piano in vetro
nero lucido.
■ Tabula is a table of unmistakable
style, dominated by slender profiles
that contrast with thick lines.
Aluminium and glass (two materials in
which Rimadesio excels) are
interpreted with total design freedom
to create a product with a strong
character. Tabula is available in four
different sizes and various finishes.
Shown here is a version that combines a
RIMADESIO black anodised structure with a top in
20034 Giussano (Milano) shiny black glass.
T +39-03623171
www.rimadesio.it
SAM
DESIGN: ARIK LEVY BALERI ITALIA
20122 Milano
Tavolo con base portante in legno T +39-035584811
massello a doppio portale, www.baleri-italia.com
direttamente fissata al piano di
appoggio in tamburato a formare
un’unica struttura che non necessita di
elementi di rinforzo aggiuntivi.
Sam è disponibile in una versione
quadrata e tre rettangolari, in legno di
frassino nelle finiture naturale o tinto
castagno oppure laccato nei colori
nero, bianco o rosso.
■ Table with supporting base in double
portal solid wood, fixed directly to the
laminated top to form a single structure
that does not require additional
reinforcing elements. Sam is available
in a square version and three sizes of
rectangle, in natural or chestnut-dyed
ash or lacquered in black, white or red.
Settembre September 2006 domus 137
 PANIER
DESIGN: RONAN E/AND ERWAN BOUROULLEC
Kartell è stata la prima azienda a creare
una sedia completamente trasparente
in policarbonato (La Marie, di Philippe
Starck, 1999). Da allora Kartell ha
approfondito il tema della trasparenza
soffermandosi sulla sperimentazione
delle texture e degli effetti tattili,
estetici e visivi. Panier, con la sua
alternanza di trasparenze, opacità e
colori, è uno dei nuovi risultati di
questa ricerca.
S 5000
GEBRÜDER THONET GMBH DESIGN: JAMES IRVINE
D-35066 Frankenberg (Germany)
T +49-(0)6451-5080 S 5000 reinterpreta un classico Thonet
www.thonet.de degli anni Trenta: il divano con base in
In Italia: JOINT tubo d’acciaio piegato. Il programma
20123 Milano è un “gioco di costruzioni” formato da
T +39-028068871 una base e da elementi imbottiti di
info@jointsrl.it uguale grandezza, staccabili e
spostabili, da utilizzare come
poggiabraccia o schienale. Variando
numero e posizione delle parti
imbottite si ottengono bench, chaise-
longue o divano a due posti, usabile
anche come letto per ospiti.
Photo Walter Gumiero
■ S 5000 reinterprets a classic Thonet
from the 1930s: the sofa with a base in
curved tubular steel. The programme is
a “construction set” consisting of a
base element and upholstery elements
that can be used as armrests or
backrests. By varying the number and
position of the upholstered elements,
a bench, chaise-longue or two-seater
sofa can be created, or even a spare
bed for guests.
AIR
DESIGN: DANIELE LAGO
Air è costituito da due lastre
perpendicolari su cui poggia il piano in
legno. Così come nell’omologa libreria,
la leggerezza estrema nelle strutture
portanti, in cristallo trasparente,
contrasta con la fisicità piena del
piano, disponibile in cinque tipi di
essenza o in legno laccato.
Il tavolo misura 220 x 90 cm.
■ Air consists of two perpendicular
sheets which support a wood top.
Like the bookcase of the same name,
the extreme lightness of the supporting
structure, in transparent glass,
contrasts with the solidity of the top,
available in five kinds of wood or
with a lacquered finish.
Table measures 220 x 90 cm.
LAGO
35010 Villa del Conte (Padova)
T +39-0495994299
www.lago.it
138 domus Settembre September 2006
■ Kartell was the first company to
create a completely transparent chair in
polycarbonate (La Marie by Philippe
Starck, 1999). Since then Kartell has
developed the theme of transparency
further, experimenting with texture
and tactile, visual and aesthetic effects.
Panier, with its alternating
transparency and solid colour, is one of
the latest results of this research.
LIBRA
DESIGN: FABRIZIO CESTER
Libra è un programma di imbottiti che
sviluppa il concetto di “seduta nella
seduta”. Sedile e schienale di ciascun
modello sono infatti inseriti
armoniosamente in una struttura
imbottita che, a sua volta, può fungere
da seduta multipla o da piano
d’appoggio. Lib-4 (qui illustrato)
rappresenta il modello di punta della
collezione, specie per l’arredamento di
zone di attesa o lounge alberghiere.
Rivestimenti in pelle o tessuto,
preferibilmente combinati e in tonalità
di colore coordinata.
SCIABOLA
DESIGN: PEPE TANZI
La serie Sciabola comprende tavoli da
pranzo con piani in varie forme e
dimensioni. Il basamento è formato da
quattro barre piene di acciaio arcuate
(vagamente a forma di sciabola) e
saldate tra loro; il basamento può
essere fornito anche senza piano,
affinché il cliente possa utilizzarlo per
sorreggere altri tipi di top.
■ The Sciabola series consists of dining
tables with tops in various shapes and
sizes. The base is formed by four bars in
curved steel (in a kind of sabre shape)
welded together; the base can be
supplied alone so that customers can
use it to support any kind of top.
Rassegna
KARTELL
20082 Noviglio (Milano)
T +39-02900121
www.kartell.it
■ Libra is a series of upholstered pieces
that develops the concept of the “seat
within the seat”. The seat and back of
each model are inserted harmoniously
into an upholstered structure that in
turn can work as a multiple seat or
shelf. Lib-4 (shown here) represents
the main model of the collection, for
furnishing waiting areas or hotel
lounges. Cover in leather or fabric,
preferably combined.
®
MOHDO
33019 Tricesimo (Udine)
T +39-04321900121
www.mohdo.it
ALBUM
20046 Biassono (Milano)
T +39-039220041
www.album.it
BELT
DESIGN: VICO MAGISTRETTI
Il divano Belt (2, 3 e 4 posti) è
caratterizzato da una cinghia in cotone
in tre diversi colori abbinabili ai tessuti
di rivestimento, che taglia a metà il
cuscino dello schienale e costituisce un
elemento grafico in perfetto “Stile
Magistretti”. Nel catalogo De Padova il
maestro di sempre dialoga con nuovi
designer che sanno apprezzare la storia
dell’azienda, quest’anno giunta ai 50
anni di attività, festeggiati con un libro
dedicato a Maddalena De Padova.
■ The Belt sofa (2, 3 and 4 seats) is
characterised by a cotton strap in three
different colours that can be matched
to the cover fabric, and that cuts across
the back cushion to create a graphic
element in perfect “Magistretti style”.
In the De Padova catalogue the all-time
master dialogues with new designers
who appreciate the history of the
company, this year celebrating its 50th
anniversary, marked with a book about
Maddalena De Padova.
SERENISSIMO (1985-2006)
DESIGN: MASSIMO
E/AND LELLA VIGNELLI
Ritorna, rinnovato, il tavolo
Serenissimo. Due nuove varianti
materiche sono state aggiunte alla
finitura Encausto (o stucco veneziano)
che lo ha reso celebre. Nella prima, le
colonne sono interamente realizzate in
vetro di Murano di forte spessore,
soffiato secondo un’antica tecnica
artigianale. Nella seconda le gambe
sono rivestite in acciaio riflettente. Alle
nuove finiture del basamento
corrispondono piani in cristallo grigio,
trasparente, opalescente o nero opaco.
■ The updated Serenissimo table makes
its return. Two new materials have
been added to the Encausto finish
(Venetian stucco) that made it famous.
In one, the columns are made entirely
from thick Murano glass, blown with
traditional methods. In the second the
legs are covered in reflective steel. The
new finishes for the base are matched
with tops in grey, transparent, opal or
matt black glass.
KOALA
DESIGN: MICHELE DE LUCCHI CON/WITH SEZGIN AKSU
Koala è un sistema di espositori
liberamente aggregabili e posizionabili
su un supporto formato da due cavi di
acciaio o direttamente a parete. Le
diverse opzioni di aggancio dei cavi
permettono un’ampia modularità dal
punto di vista dimensionale. Gli
espositori possono essere posizionati
sul cavo a qualunque altezza.
DE PADOVA
20121 Milano
T +39-02777201
www.depadova.it
ACERBIS INTERNATIONAL
24068 Seriate (Bergamo)
T +39-035294222
www.acerbisinternational.com
Rassegna
■ Koala is a system of display elements CAIMI
that can be freely grouped together and 20054 Nova Milanese (Milano)
positioned on a support formed by two T +39-0362491001
steel cables or directly on the wall. The www.caimi.com
various options for fixing the cables
allow for a wide range of dimensional
options. The display cases can be
positioned on the cable at any height.
MEX
DESIGN: PIERO LISSONI CASSINA
20036 Meda (Milano)
La linea Mex si articola intorno a un T +39-03623721
grande divano dai morbidi cuscini, www. cassina.it
strutturati internamente per garantire
il corretto sostegno. Le parti imbottite
sono contenute da fianchi e schienale
di legno, cui si appoggiano i piccoli
mobili di servizio che completano il
divano. Essi sono realizzati in legno di
spessore accentuato, lo stesso
impiegato per la libreria coordinata,
i cui ripiani, chiusi posteriormente da
uno schienale, sono collegati
frontalmente da due montanti.
■ The Mex line centres around a large
sofa with soft cushions, structured
internally to offer correct support. The
upholstered elements are contained by
sides and back in wood, on which sit
small items of occasional furniture that
go to complete the product. These are
made from extra-thick wood, the same
used for the matching bookcase, whose
shelves, enclosed behind by a back, are
connected at the front by two uprights.
Photo Nicola Zocchi
ATLANTIS
DESIGN: LORENZO AROSIO GLAS ITALIA
20050 Macherio (Milano)
I tavoli Atlantis sono ottenuti T +39-0392323202
incollando lastre di cristallo trasparente www.glasitalia.com
extra-light, tagliato a getto d’acqua e
molato a 45°. Le caratteristiche
principali del prodotto sono la sobrietà
estetica e le sofisticate tecniche di
lavorazione, cui si devono la purezza
senza sbavature dell’insieme.
■ Atlantis tables are made by gluing
together sheets of extra-light
transparent glass, water jet cut with
45° bevelling. The main characteristics
of the product are the sober
appearance and the sophisticated
production techniques that give it its
pure and clean appearance.
Settembre September 2006 domus 139

MEK
DESIGN: GIUSEPPE BAVUSO
Rigorosamente di colore nero, il tavolo
Mek è realizzato in rovere. Il piano, di
forma rotonda, poggia su quattro
gambe unite da una base a forma di
croce. Dimensioni: diametro 160 cm,
altezza 73 cm.
■ Strictly in black, the Mek table is
made from oak. The round top sits on
four legs connected by a cross
shaped-base. Dimensions: 160 cm
diameter, 73 cm high.
VENUS
DESIGN: KONSTANTIN GRCIC
Due fogli di legno modellati formano
rispettivamente la scocca e il
basamento della sedia Venus. La
combinazione dei due gusci genera
una seduta dall’elevata qualità
scultorea eppure estremamente
leggera. Una maniglia di gomma,
fissata allo schienale, ne facilita la
presa e la movimentazione; di gomma
anche il profilo che rifinisce il
basamento. La sedia è proposta in
legno naturale o verniciato.
■ Two profiled sheets of wood form the
shell and base of the Venus chair. The
combination of the two shells
generates a highly sculptural chair that
is at the same time extremely light. A
rubber handle fixed to the back makes
it easy to move, and a rubber profile
finishes the base. Available in natural
or painted wood.
140 domus Settembre September 2006
HARRY’S EASY
DESIGN: ENZO BERTI DESIGN: ENRICO FRANZOLINI
Elegante poltroncina in legno massello Easy può essere realizzata in cuoio,
con sedile in paglia intrecciata. rivestita in tessuto, pelle o con cinghie
■ Elegant chair in solid wood with di poliestere o interamente intrecciata
woven straw seat. in cordino grezzo. Struttura in rovere.
■ Easy can be made in leather, covered
in fabric, leather or with polyester
straps or woven entirely in rough cord.
Oak structure.
BROSS ACCADEMIA
33040 Moimacco (Udine) 33044 Manzano (Udine)
www.bross-italy.com www.accademiaitaly.com
ALIVAR
50028 Tavarnelle Val di Pesa (Firenze)
T +39-0558070115
www.alivar.com
F.LLI LONGHI
20036 Meda (Milano)
T +39-0362341074
www.longhi.it
ALLROUND
CLASSICON DESIGN: MÅRTEN CLAESSON,
D-81829 München (Germany) EERO KOIVISTO, OLA RUNE (CKR)
T +49-(0)89-7481330
www.classicon.com Allround è un sistema di sedute basato
In Italia: IDF sulla lavorazione di sezioni lignee a
33097 Spilimbergo (Pordenone) tutto tondo. Le strutture di sedia,
T +39-0427927165 poltroncina e divanetto a due posti
info@idfgroup.it (qui suggerito) sono caratterizzate da
parti continue in legno, raccordate con
raggi di curvatura minimi; il progetto
d’unione tra le diverse componenti ha
rappresentato la vera sfida del
progetto. Snellezza formale ed
essenzialità costruttiva sono un voluto
richiamo al design scandinavo.
■ Allround is a seating system based on
round sectioned wooden components.
The structures of the chair, armchair
and two-seater sofa (shown here) are
characterised by continuous wooden
elements connected by minimal radii
of curvature. The real challenge in
the project was designing how the
different parts fit together.
Agile lines and minimalist construction
are a deliberate reference to the
history and manufacturing traditions
of Scandinavia.
Rassegna
PROGRAMMA XL
DESIGN: GIULIO MANZONI
Il tavolo ha gambe in legno massello e
piano in tre diverse finizioni: piano
strutturale (spessore 12 mm) in
alluminio impiallacciato legno; piano
in cristallo (spessore 12 mm) verniciato
bianco o moro; piano in legno
impiallacciato (spessore 25 mm).
Le finiture disponibili sono: rovere
tinto wengé, ovangkol, ciliegio e rovere
sbiancato (solo per un modello).
Il tavolo è proposto in svariate misure.
■ This table has legs in solid wood and
three different tops: structural top (12
mm thick) in wood-veneered
aluminium; glass top (12 mm thick)
painted white or dark brown; top in
veneered wood (25 mm thick). Finishes
available: oak-dyed wengé, ovangkol,
cherry or bleached oak (for one model
only). Available in various sizes.
FABBRICA SEDIEFRIULI
FORNASARIG
33044 Manzano (Udine)
T +39-0432750057
www.sediefriuli.it
SEÑORITA
DESIGN: VICENTE SOTO
Sedia dallo schienale avvolgente e
flessibile, realizzato in polipropilene
conformato con stampaggio
rotazionale come il sedile.
■ Chair with a flexible enveloping back
made from polypropylene formed using
rotational moulding as is the seat.
PACO CAPDELL
E-46970 Alacuás - Valencia (Spain)
www.pacocapdell.com
ALA
DESIGN: PIERO LISSONI
Ala è un tavolo pieghevole che può
diventare uno scrittoio e appoggiarsi al
muro come una console. Il sistema di
apertura rivela un attento studio che
combina con armonia la forma e la
funzione. Il tavolo misura 180 x 95 cm
quando è aperto, 180 x 40 cm una volta
chiuso. Alla originaria versione in rovere
moro è stata aggiunta la finitura teak.
■ Ala is a folding table that can become
a desk and sit against the wall like a
console. The opening system is well
studied and harmoniously combines
form and function. The table measures
180 x 95 cm when open, 180 x 40 cm
when closed. In addition to the
original version in dark oak, a teak
finish is now available.
LEMA
22040 Alzate Brianza (Como)
T +39-031630990
www.lemamobili.com
90° CHAIR
DESIGN: FOR USE
Con o senza braccioli, 90° Chair è
costruita con barre squadrate di rovere
massiccio, tinto o laccato in vari colori.
La conformazione della base fa sì che
sedile e schienale, pur restando
perpendicolari tra loro, assumano
una lieve inclinazione, a tutto
vantaggio del comfort. Il sedile è
rivestito in tessuto o pelle.
L’azienda produce anche alcuni pezzi
disegnati da Gio Ponti.
■ With or without arms, the 90° Chair
is constructed with square solid oak
bars, tinted or lacquered in various
colours. The shape of the base makes
sure that both seat and back have a
slight inclination while remaining
perpendicular between them, making
it more comfortable. The seat is
covered in fabric or leather. The
company also produces a number of
pieces designed by Gio Ponti.
L’ABBATE
33010 Feletto Umberto - Tavagnacco (UD)
T +39-0432688158
www.lacollection.it
Rassegna
LEM
DESIGN: BOB ANDERSON
La scocca di Lem (qui con base a slitta),
originariamente in poliuretano
integrale, è ora proposta anche
rivestita in tessuto o pelle.
■ The shell of Lem (here shown with
sled base), originially made from solid
polyurethane, is now also available
with fabric or leather upholstery.
BPA INTERNATIONAL
22060 Cabiate (Como)
www.bpainternational.com
AC COLLECTION: AC_01
DESIGN: ANTONIO CITTERIO
La collezione Maxalto, coordinata da
Antonio Citterio, coniuga una rigorosa
classicità con le tendenze più attuali.
Tra le novità 2006 si annoverano il
tavolo e la panca qui illustrati. Il tavolo
è caratterizzato da strutture a
cavalletto inclinate verso l’interno: è in
massello lavorato secondo la migliore
ebanisteria. Un cavalletto, analogo a
quello del tavolo, accoglie la seduta
leggermente flessa e imbottita della
panca, disponibile in due lunghezze.
WOGG 37
DESIGN: ALFREDO HÄBERLI
La sedia Wogg 37 è realizzata in legno
massello tropicale fornito da Precious
Wood, un’azienda che pratica la
forestazione in America Centrale e
Brasile secondo criteri di
ecosostenibilità e di responsabilità
sociale. La sedia ha uno schienale
elastico che garantisce libertà di
movimento e allontana la fatica, e la
cui forma permette alla sedia di
scivolare sotto il piano del tavolo.
L’ampia area di appoggio distribuisce
la pressione della sedia sul pavimento
in modo ottimale.
■ The Maxalto collection, coordinated
by Antonio Citterio, combines rigorous
classicality with up-to-date trends.
Among the new products for 2006 is the
new version of the table and bench
shown here. The table features a trestle
structure tilted inwards and is made of
solid wood worked in the finest
cabinet-making tradition.
Another similar trestle supports the
slightly curved and padded bench
available in two sizes.
MAXALTO COLLECTION
B&B Italia
22060 Novedrate (Como)
T +39-031795111
www.bebitalia.it
■ The Wogg 37 chair is made from
tropical solid wood supplied by Precious
Wood, a company that carries out
forestation in Central America and
Brazil according to criteria of eco-
sustainability and social responsibility.
The chair has an elastic back that
ensures freedom of movement and
effortlessness, and whose shape allows
the chair to slide under the table top.
Its broad area makes for better
distribution of the pressure of the chair
on the floor.
WOGG
CH-5405 Baden
T +41-56-4833700
www.wogg.ch
Settembre September 2006 domus 141

R EST
DESIGN: CINI BOERI
Rest è un divano che varia
configurazione grazie a schienale e
braccioli reclinabili a più posizioni
relax. Sfoderabilità totale. Di grande
immagine per la sua linea, Rest è uno
dei nuovi prodotti che Futura ha
presentato in occasione del Salone del
Mobile 2006, prodotti che esprimono
la collaudata capacità dell’azienda in
tema di imbottiti trasformabili (vanta
più di 100 brevetti), e resi preziosi
dai tessuti disegnati in esclusiva da
Andrea Dell’Olio.
FUTURA
20036 Meda (Milano)
T +39-0362338030
www.futura-italy.it
DE SEDE
CH-5313 Klingnau (Switzerland)
T +41-(0)56-2680111
www.desede.ch
142 domus Settembre September 2006
SHOWTIME
DESIGN: JAIME HAYON
Nella collezione Showtime convivono
plastica e imbottiture capitonné, legno
e ceramica, interpretati da Hayon con
surreale ironia.
■ Plastic, upholstery, wood and
ceramic come together in the Showtime
collection, interpreted by Hayon with
surreal irony.
B.D. BARCELONA, 1972
08037 Barcelona (Spain)
www.bdediciones.com
■ Rest is a sofa with a varied
configuration thanks to its reclining
seat and arms that can be set in
different relaxing positions. Completely
removable cover. Creating a strong
visual impact, Rest is one of the new
products that Futura presented at the
2006 Furniture Fair, products that
express the tried and tested skill of the
company in the field of transformable
upholstered furniture (with more than
100 patents) enriched with exclusive
fabrics designed by Andrea Dell’Olio.
DS-370
DESIGN: CUNO FROMMHERZ
Nonostante il suo forte carattere
formale – a cominciare dall’armoniosa
geometria e finendo con le marcate
cuciture – DS-370 è un divano che con
la sua essenzialità suggerisce un’ampia
disponibilità di spazio e una perfetta
funzionalità al variare delle posizioni:
seduti, abbandonati con comodo o
completamente distesi. Gli elementi
che costituiscono lo schienale possono
ruotare diventando piani d’appoggio.
■ Despite its strongly formal character
– from the harmonious geometry to
the marked stitching – DS-370 is a sofa
whose simplicity suggests ample space
and perfect functionality in various
positions: seated, comfortably
reclining or lying down. The elements
that make up the back can rotate to
become a shelf.
Rassegna
ADD_LOOK ROUND
DESIGN: MAURO LIPPARINI
Linee morbide, leggermente gonfie, in
un impianto architettonico rigoroso,
sollevato da esili gambe in tubolare
metallico: questi sono i leitmotiv di
Add_Look Round, i nuovi pezzi della
collezione Add_Look. Moduli
semicircolari componibili di ampio
raggio, sono costituiti da un terminale
(con bracciolo destro o sinistro), da un
elemento centrale e da un elemento a
penisola (destra o sinistra). Unendo
otto pezzi qualsiasi si ottiene un
cerchio perfetto (diametro di 5 m).
■ Soft and slightly swollen lines in a
rigorous architectural system, raised up
on slender legs in tubular metal
costitute the leitmotiv of Add_Look
Round, the new pieces in the Add_Look
collection. Semicircular modules that
can be combined in a range of different
ways, consisting of an end element
(with right or left armrest), a central
element and a peninsular element
(right or left). By putting together eight
elements, a perfect circle can be
created (5-m diamter).
BIESSE
20035 Lissone (Milano)
T +39-039484347
www.biesse2000.it
OAK TABLE MODULE
DESIGN: JASPER MORRISON
Sistema modulare di tavoli in legno
grezzo, in diverse dimensioni, da
comporre in svariati modi.
■ A modular system of tables in
unfinished wood in various sizes that
can be put together in a range of
different ways.
CAPPELLINI
22060 Arosio (Como)
www.cappellini.it
I4 MARIANI
22066 Mariano Comense – Perticato (CO)
T +39-031746204
www.i4mariani.com
GRANPRIX
DESIGN: LUCCI & ORLANDINI
Granprix è un divano a tre posti che si
trasforma in letto da 198 x 108 cm.
Per utilizzarlo come letto si spinge in
avanti lo schienale per sbloccarlo, e poi
lo si lascia ricadere dolcemente in
posizione orizzontale. Nell’uso come
divano lo schienale può essere regolato
su quattro diversi gradi di inclinazione.
Struttura portante in lamina di acciaio
verniciato con polvere epossidica.
Rivestimento in tessuto sfoderabile con
applicazioni capitonné, un’esclusiva
tecnologica Biesse.
■ Granprix is a 3-seater sofa that
converts into a bed 198 x 108 cm.
To use it as a bed the back is pushed
forward to unblock it and then it
falls smoothly into a horizontal
position. As a sofa the back can be set
at four different angles. Supporting
structure in epoxy powder-coated
steel sheet. Removable fabric cover
with buttoned quilting that uses
exclusive Biesse technology.
MARIE LONG
DESIGN: CHRISTOPHE
MARCHAND
Il divano Marie Long non delude le
odierne aspettative di relax e comfort
tra le pareti domestiche. Un semplice
meccanismo consente di variare la
profondità del piano di seduta,
passando da una profondità normale
ad una più ampia, adatta ad accogliere
l’intera famiglia. La possibilità di
allungarsi a piacimento aumenta il
senso di relax.
■ The Marie Long sofa does not
disappoint in terms of today’s
expectations for relaxation and comfort
in the home. A simple mechanism
makes it possible to alter the depth of
the seat, from standard to extra deep,
to accommodate the whole family.
The chance to stretch out fully increases
the sense of relaxation.
PARMENIDE
DESIGN: LINO CODATO
Sfoderabile solo se rivestito in tessuto,
Parmenide ha il fusto in legno e legno
pressato, ricoperto con vellutino
accoppiato e resinato o poliuretano.
Le sospensioni sono realizzate con
cinghie elastiche rivestite di fibra
acrilica; la cuscinatura è in poliuretano
oppure in misto piuma. Il divano può
essere dotato di meccanismo di
scorrimento e di poggiatesta.
BONTEMPI CASA
60021 Camerano (Ancona)
T +39-0717300032
www.bontempi.it
SEGIS
53036 Loc. Fosci - Poggibonsi (Siena)
T +39-0577980333
www.segis.it
WITTMANN
A-3492 Etsdorf/Kamp (Austria)
T +43-(0)2735-2871
www.wittmann.at
■ Removable cover for the fabric
version, Parmenide has a wood and
compressed wood structure covered
with composite resin-bonded fine
velvet or polyurethane lining. The
suspension system features elastic belt
springs coated with acrylic fibres; the
cushions are in polyurethane or mixed
feather. The sofa can be fitted with a
sliding mechanism and headrest.
Rassegna
JO-BAR
DESIGN: ROBERTO ROMANELLO
Sistema a panche imbottite ■ A system of modular upholstered
componibili per ristoranti, bar, musei, benches for restaurants, bars, museums
aree d’attesa di uffici, ospedali e and waiting areas in offices, hospitals
aeroporti. Le numerose varianti and airports. The numerous modular
modulari, e gli eventuali elementi variations and possible special made-
speciali a misura, consentono illimitate to-measure elements provide
possibilità compositive. Struttura in unlimited compositional alternatives.
multistrati e legno massello. Structure in solid wood and ply.
LIFESTEEL
DESIGN: FLEXFORM FLEXFORM
20036 Meda (Milano)
I grandi e morbidi cuscini, disegnati T +39-03623991
come volumi primari di www.flexform.it
un’architettura, sono tenuti sollevati
da terra da un piede ritagliato in una
lastra in metallo, che frontalmente è
percepito come una lama sottile. Il
divano ha una struttura in metallo
nichelato satinato, cromato o brunito e
il telaio della seduta in metallo
rivestito in cuoio.
■ Large, soft cushions, designed like
the primary volumes of an architecture,
are held up from the ground by a foot
cut into a sheet of metal that from the
front is perceived as a thin blade. The
sofa has a structure in satin, chromed or
burnished nickel-plated metal and a
seat frame in leather covered metal.
PALIO
DESIGN: DEMA-PININFARINA DEMA
50052 Certaldo (Firenze)
La linea di divani Palio si caratterizza T +39-0571651232
per la modularità e la flessibilità. Con la www.dema.it
loro estetica asimmetrica e con la loro
capacità di trasformarsi in base alle
necessità del cliente, i divani Palio
sono prodotti davvero dinamici.
I rivestimenti in filati naturali o tessuti,
lavorati in modo ineccepibile,
rafforzano la qualità del prodotto.
■ The Palio line of sofas is characterised
by its modularity and flexibility. The
asymmetric appearance and capacity to
transform according to the needs of the
client make Palio sofas truly dynamic
products. Covers in natural or woven
fabrics and exceptional workmanship
enhance the quality of the product.
Settembre September 2006 domus 143

IBIZA (1950)
DESIGN: GERMÁN RODRIGUEZ
ARIAS
Disegnata nel 1950 per la casa di Arias
a Ibiza, l’omonima poltrona, con le sue
linee sinuose e la struttura in tubo
d’acciaio cromato, mantiene intatto il
suo alto valore espressivo di matrice
razionalista. Priva di braccioli, Ibiza
raccorda in modo armonioso sedile e
schienale in un unico corpo,
utilizzando una struttura in un solo
pezzo in tubo d’acciaio. Il rivestimento
è cucito a mano.
■ Designed in 1950 for Arias’s house in
Ibiza, the chair of the same name with
its sinuous lines and structure in
chromed tubular steel remains a highly
expressive rationalist piece.
Without arms, Ibiza harmoniously
brings together the seat and back into
a single element with a structure
made from a single piece of tube.
Covering is hand stitched.
TACCHINI
20030 Baruccana di Seveso (Milano)
T +39-0362504182
www.tacchini.it
144 domus Settembre September 2006
JAM
DESIGN: ARKILINE
Sedute con scocca in acrilico (interno
bianco lucido, esterno trasparente di
vari colori). Svariati modelli, tra cui lo
sgabello qui illustrato.
■ Seat with acrylic shell (shiny white
inside, outside different transparent
colours). Elliptical holes increase
comfort. Various models, including the
stool shown here.
CALLIGARIS
www.calligaris.it
SANTA & COLE
E-08440 Cardedeu, Barcelona (Spain)
T +34-938-462437
www.santacole.com
SANTA & COLE ITALIA
20122 Milano
T +39-0258430531
italia@santacole.com
GLIDE
DESIGN: MONICA FÖRSTER
L’osservazione della natura è certo
parte della ricerca di Monica Förster.
La sua poltrona Glide, ampia e bassa,
ha una scocca in poliuretano
compatto, modellata con profilo
sinuoso ed ergonomico, ed è imbottita
in poliuretano espanso e rivestita di
tessuto. Ne deriva uno spessore molto
sottile, ma il comfort di seduta è
garantito; l’esile base in tubolare
d’acciaio accentua la generale
sensazione di aereo dinamismo.
■ The observation of nature is certainly
a feature in the work of Monica Förster.
The Glide chair, low and wide, has a
compact polyurethane shell, modelled
with a sinuous and ergonomic form and
upholstered in expanded polyurethane
and covered in fabric. A slender yet
comfortable chair is the result, the slim
base in painted steel tube accentuates
the general aerodynamic feel.
Rassegna
PI-AIR
DESIGN: HARRY & CAMILA
La versione qui proposta della chaise
longue di Harry & Camila è meno
avveniristica e più sensuale. La fibra
di vetro stampata si veste di pelle,
panno o feltro. Il risultato è un oggetto
che suggerisce l’anatomia di un corpo
umano, la bellezza di muscoli e ossa
sotto la superficie della pelle.
L’estetica non richiama più alla mente
le tecnologie dell’alta velocità, quanto
le forme create dalla vita e modellate
dalla natura.
TRIBÙ NV
B-3690 Zutendaal (Belgium)
T +32-(0)89-612750
www.tribu.com
TOMMY
DESIGN: ITALO PERTICHINI
Sgabelli girevoli ad altezza fissa o
regolabile con dispositivo a gas. Scocca
in polietilene stampato in rotazionale,
base e colonna in metallo cromato.
■ Series of swivel stools with height
that is fixed or adjustable via a gas
mechanism. Shell in rotational
moulded polyethylene, column and
base in chrome-plated metal.
DEXO ORSENIGO
www.dexo.it
■ The version of the Harry & Camila
chaise longue shown here is less
futuristic and more sensual. The
moulded glass fibre is covered in
leather, wool or felt. The result is an
object that suggests the anatomy of
the human body, the beauty of muscle
and bone beneath the skin’s surface.
An appearance that no longer
conjures up high speed technology but
rather the forms created by life and
moulded by nature.
LIVING DIVANI
22040 Anzano del Parco (Como)
T +39-031630954
www.livingdivani.it
VINTAGE
DESIGN: BRAM BOLLEN
Vintage (chair e lounger) porta
l’eleganza all’aperto. La scocca è
realizzata in plastica e fibra (15%); ciò
rende la seduta estremamente stabile.
I materiali impiegati sono resistenti ai
raggi UV, antistatici e respingono lo
sporco. Le gambe in acciaio (304)
hanno una finitura che resiste alla
sabbia, all’aria salina e agli agenti
contaminanti, sì che Vintage è
davvero utilizzabile ovunque.
I sei colori disponibili sono stati scelti
da Chris Mestdagh.
■ The Vintage (chair and lounger)
brings elegance out in the open.
The shell is made from plastic and fibre
(15%), making it extremely stable.
The materials used are resistant to UV
rays, antistatic and dirt repellent.
The steel (304) legs have a finish that is
resistant to sand, salty air and
contaminating agents, making it
possible to use Vintage absolutely
anywhere. The six colours available
have been chosen by Chris Mestdagh.
OFFECCT
SE-54321 Tibro (Sweden)
T +46-(0)504-41500
www.offecct.se
LOOM
DESIGN: FRANCO POLI
“Loom è la dimostrazione di come una
superficie bidimensionale in cuoio,
opportunamente forata, abbia la
possibilità di assumere la forma di una
nicchia o incavo tridimensionale, con
molte proprietà ergonomiche delle
superfici tessili, quali la freschezza e
traspirabilità, l’adattamento alla forma
del corpo umano, l’elasticità
controllata...”. La rete di cuoio è chiusa
all’interno di una cornice che nasconde
un profilo in acciaio armonico. Il cuoio
è tagliato ad alta frequenza con una
macchina di nuova concezione.
■ “Loom is the demonstration of how a
two-dimensional surface in leather,
perforated in a particular way, can
assume the shape of an alcove or
three-dimensional hollow, with the
many ergonomic properties of fabric
surfaces such as freshness and
aeration, the adapting to the form of
the human body, controlled
elasticity…” The leather mesh is closed
inside by a frame that hides a harmonic
steel profile. The leather is cut at high
frequency by a new kind of machine.
ONDA
DESIGN: JESÚS GASCA
Il sedile è ricoperto da uno strato di
gomma, stampata insieme alla scocca.
Struttura in acciaio inossidabile.
■ The seat is covered with a layer of
rubber, moulded together with the
shell. The rubber “skin” is slightly
smaller than the shell, making for a
pleasant contrast of colour and texture.
Stainless steel structure.
STUA
www.stua.com
SPOON
DESIGN: MONICA FÖRSTER
Easy chair dalle linee pulite ed
eleganti, Spoon è anche estremamente
confortevole. Un’imbottitura ben
calibrata avvolge l’intera scocca,
sorretta da uno snello piedestallo che
poggia su una piastra squadrata. Tutta
la produzione Offecct (che annovera
pezzi davvero pregevoli, progettati da
giovani designer pieni di talento) mira
a creare ambienti che abbiano un
positivo effetto sulla gente.
■ An easy chair with clean and elegant
lines, Spoon is also extremely
comfortable. Well calibrated upholstery
envelops the entire shell, supported by
a slender pedestal that sits on a square
plate. The entire Offecct production
(which includes some truly worthy
pieces, designed by very talented young
designers) is aimed at creating settings
that have a positive effect on people.
MATTEOGRASSI
22066 Mariano Comense (Como)
T +39-03175771
www.matteograssi.it
Rassegna
JO-JO
DESIGN: PETER HIORT LOREN-
ZEN E/AND JOHANNES FOERSOM
Un magnifico uso della tecnologia della
formatura in 3D del compensato ha
creato un sedile confortevole, perfetto
per uno sgabello da bar.
■ A magnificent use of three-
dimensional ply forming technology
has created a comfortable seat, perfect
for use as a bar stool.
ALLERMUIR
www.allermuir.com
ASTON
DESIGN: JEAN-MARIE MASSAUD
Poltrona lounge con struttura centrale
girevole in alluminio lucidato o
verniciato. Scocca imbottita in
poliuretano e rivestita in numerose
varianti di tessuto e pelle. Pensata per
l’uso contract, si adatta perfettamente
anche allo spazio casa in abbinamento
con il poggiapiedi Aston Ottoman.
■ Lounge chair with central swivel
structure in polished or painted
aluminium. Polyurethane seat covered
in a wide choice of fabrics or leather.
Designed for contract use, it is equally
suitable for the home and has a
matching footstool Aston Ottoman.
ARPER
31050 Monastier di Treviso (Treviso)
T +39-04227918
www.arper.it
HOPPER
DESIGN: RODOLFO DORDONI MINOTTI
20036 Meda (Milano)
La poltrona Hopper racchiude in sé alti T +39-0362343499
contenuti di design e raffinate www.minotti.it
soluzioni di tappezzeria che imprimono
al modello un carattere spiccato. La
struttura portante in metallo è
verniciata nei colori sabbia, nero e
azzurro. La scocca della seduta è
realizzata in cuoio ed è completata da
un trapuntino imbottito che rende la
poltrona ancora più attraente e
confortevole. Trapuntino e struttura in
cuoio sono collegati mediante alamari.
■ The Hopper armchair incorporates
high design content and refined
upholstering techniques, making it a
product with a strong character. The
supporting metal structure is painted in
sand, black and light blue. The body of
the seat is made in leather and covered
with a padded quilt that makes the
chair even more attractive and
comfortable. The quilt and structure in
leather are connected by braids.
Settembre September 2006 domus 145

MAXIMA: BD 21
DESIGN: BARTOLI DESIGN
La poltrona (qui illustrata) e il
divanetto BD 21 si caratterizzano per il
disegno essenziale e la continuità della
linea che dalla gamba arriva al
bracciolo. La struttura è in legno
massello tinto. I cuscini indipendenti
di sedile e schienale sono imbottiti in
piuma d’oca, hanno aspetto e
consistenza morbidi e sono rivestiti in
pelle o tessuto. Poltrona e divanetto
(larghezza 137 cm) possono essere
utilizzati sia in ambienti domestici che
in spazi comuni.
■ The BD 21 chair (shown here) and
sofa have a clean-cut design in which
the line formed by the leg continues up
to the armrest. The structure is in tinted
solid wood. The cushions separate from
the seat and back are filled with duck
down, are soft in appearance and
consistency and are covered in fabric or
leather. Both the armchair and sofa
(137-cm wide) can be used either in a
domestic or public setting.
REA WING CHAIR
DESIGN: CHI WING LO
La poltrona Rea Wing Chair, dallo
schienale importante e al contempo
leggero, ha un aspetto quasi ‘regale’
e un design davvero particolare.
L’originale sedile girevole e la forma
avvolgente dello schienale danno alla
poltrona un comfort a tutta prova.
■ The Rea Wing Chair with its
prominent but light back has an almost
“regal” appearance and a very
original design. The swivel seat and
enveloping form of the back offer
well-tested comfort.
146 domus Settembre September 2006
XYZ
DESIGN: DANTE BENINI, LUCA
GONZO
Tavolini e sgabelli con struttura in
tubolare di acciaio cromato, con piano
in vetro colorato e serigrafato, oppure
con sedile in policarbonato.
■ Small tables and stools with structure
in chromed steel tubing, tops in
coloured and screen-printed glass,
seats in polycarbonate.
ROBOTS
www.robots.it
BUSNELLI
20020 Misinto (Milano)
T +39-0296720801
www.busnelli.com
LAURAMERONI DESIGN
COLLECTION
22060 Arosio (Como)
T +39-031761450
www.laurameroni.com
ZERO
DESIGN: MORELATO
Poltrona dal design moderno realizzata
in legno di rovere, Zero è adatta sia
agli spazi interni che per arredare
giardini, bordi piscina o verande.
I cuscini applicati alla struttura
possono essere staccati rapidamente
per evitare di essere danneggiati dalla
pioggia o dall’umidità. Dimensioni:
70 x 111 x 82 H cm.
■ Armchair with a modern design made
from oak, Zero is suitable for both
indoor use as well as for placing in
gardens, verandas and alongside
swimming pools. The cushions fixed to
the structure can be quickly removed to
avoid damage from rain and damp.
Dimensions 70 x 111 x 82 H cm.
GIORGETTI
20036 Meda (Milano)
T +39-036275275
www.giorgetti-spa.it
Rassegna
ECLIPSE
DESIGN: EOOS
Il piano di appoggio è formato da due
foglie rotonde di cristallo, incernierate
tra loro: facendole scorrere l’una
sull’altra, il tavolino raddoppia la sua
superficie d’appoggio.
■ Top made from two round glass
leaves that are joined together in such a
way that they can be swivelled round to
double up the surface.
WALTER KNOLL & CO. KG
www.walterknoll.de
BOB
DESIGN: ENRICO CESANA
Poltrona dallo schienale molto
pronunciato, Bob ha un rivestimento
completamente sfoderabile che calza
davvero come un guanto. La struttura
della poltrona è in Frame Foam,
poliuretano a struttura cellulare dotato
di flessibilità, resistenza e leggerezza. Il
cuscinotto poggiareni, in fibra
poliestere 100%, assicura una corretta
postura. Tecnologia: Centro Studi &
Ricerche Busnelli.
■ A chair with a particularly high back,
Bob has a completely removable cover
that truly fits like a glove. The structure
is in Frame Foam, polyurethane with
cellular structure that is flexible, solid
and light. A cushion that supports the
kidney area in 100% polyester fibre
ensures correct posture. Technology:
Centro Studi & Ricerche Busnelli.
MORELATO
37056 Salizzole (Verona)
T +39-0456954001
www.morelato.it
SERVOTRE
DESIGN: BARTOLI DESIGN
Carrello pieghevole a tre ruote con
piano d’appoggio in tecnopolimero
rinforzato sostenuto da una struttura in
acciaio (cromato) o alluminio (laccato).
■ Folding trolley on three wheels with
top in reinforced technopolymer
supported on a chromed steel or
lacquered aluminium structure.
DELIGHT
www.delight.it
MOROSO
33010 Cavalicco (Udine)
T +39-0432577111
www.moroso.it
SITAR
DESIGN: ENZO BERTI
Poltroncina di ispirazione nordica, Sitar
grazie alla leggerezza del disegno si
presta ad essere inserita facilmente in
svariate tipologie di ambiente. Struttura
in legno massello e cordino intrecciato.
■ An armchair of Nordic inspiration,
Sitar fits well in any kind of setting
thanks to the lightness of its design.
Structure in solid wood and woven cord.
CLOSER
DESIGN: TORD BOONTJE
Volutamente fuori scala, gli imbottiti
della serie Closer hanno forme
importanti che riecheggiano stilemi
tradizionali in chiave metafisica. Forme
che impongono la loro presenza in
virtù dei tessuti che le rivestono,
anch’essi disegnati da Boontje secondo
grafismi floreali dai grandi rapporti. La
struttura interna dei pezzi è in legno,
rivestita in poliuretano espanso.
■ Deliberately out of scale, the pieces
that make up the Closer series are made
up of large shapes that echo a
traditional style with a metaphysical
interpretation. The shapes also have an
imposing presence on account of the
fabrics used to cover them, which have
been designed by Boontje with large
graphic floral patterns. The internal
structure of the pieces is in wood,
covered in expanded polyurethane.
SABA ITALIA
35018 San Martino di Lupari (Padova)
T +39-0499462227
www.sabaitalia.it
Rassegna
UENO
DESIGN: TAKASHI SHINOZAKI LAPALMA
35010 Cadoneghe (Padova)
Tavolino/sgabello a due altezze. T +39-049702788
Cambiando la posizione, e www.lapalma.it
conseguentemente l’altezza, si adatta
a differenti modi di utilizzo, sia come
seduta che come piano d’appoggio.
■ Table/stool with height variable in
two positions. Changing the position,
and as a result the height, it can be
used in different ways, either as a seat
or side table.
HALLOW
B&B ITALIA DESIGN: PATRICIA URQUIOLA
22060 Novedrate (Como)
T +39-031795111 La poltroncina (o il divanetto) Hallow
www.bebitalia.it nasce da pannelli modulari e
componibili di diverse misure che,
incernierati tra loro, fungono da
schienale e bracciolo e contengono la
seduta. Bloccati e supportati dalle
gambe, i pannelli, internamente
imbottiti e rivestiti, presentano
all’esterno una superficie plastica
concava che ‘muove’ visivamente i
pezzi. Numerose le varianti di finitura,
con effetto monocromatico o a
contrasto tra parti interne e scocca.
■ The Hallow chair (and sofa) is made
up of a group of different sized modular
panels that are hinged together and act
as backrests and armrests and hold a
soft seat. Blocked and supported by the
legs, the completely padded and
covered panels display a concave plastic
surface on the outside that visually
“moves” the pieces. A number of
variations and finishes offering a
monochromatic effect or contrast
between internal parts and shell.
COCCA
DESIGN: CARLO COLOMBO ARFLEX
20034 Giussano (Milano)
La poltrona Cocca esprime la sintesi tra T +39-0362853043
hard e soft: da una parte sta la robusta www.arflex.com
scocca in poliuretano rigido ricavata da
un unico stampo, poi laccata lucida,
dall’altra l’avvolgente e morbido
cuscino, in poliuretano e piuma d’oca,
cui sono affidati comfort e relax.
Cocca si presta ad essere inserita in
qualsiasi ambiente, domestico e non,
perché rompe gli schemi del salotto
‘buono’ ma conserva la capacità di
fondersi con tutti gli stili, apportando
un tocco di classe e personalità.
■ The Cocca armchair is a blend of hard
and soft: a strong polyurethane shell
made out of a single mould then gloss
lacquered; a soft and enveloping
cushion in polyurethane and goose
feather offering comfort and
relaxation. Cocca suits any
environment, domestic or otherwise,
because it breaks the mould of the
“good” living room but retains the
capacity to blend with all styles to bring
a touch of class and personality.
Settembre September 2006 domus 147
CUBE – NAVY
DESIGN: KAORI SHIINA
Cube, pouf rivestito in tessuto, e Navy,
tavolino con struttura in metallo e
piano imbottito e rivestito di tessuto,
sono al tempo stesso sedute e piani
d’appoggio. Specie se forniti di vassoio.
■ Cube, a fabric-covered pouf and
Navy, a side table with a metal structure
and top padded and covered in fabric
are both seats and tables that can be
converted from one to the other by the
addition of a tray.
PORRO
22060 Montesolaro (Como)
T +39-031780237
www.porro.com
SOFA
DESIGN: FABIO NOVEMBRE
Capitanati da Fabio Novembre, undici
giovani progettisti sono stati chiamati
da Meritalia a delineare un nuovo
panorama domestico. Il progetto,
presentato in occasione del Salone del
Mobile 2006, ha confermato la
vocazione sperimentale di Meritalia,
che tra i suoi collaboratori più illustri
vanta Gaetano Pesce. Il sofà qui
riportato dimostra come Fabio
Novembre sappia valorizzare la propria
creatività avvalendosi della perizia
costruttiva aziendale.
■ Led by Fabio Novembre, eleven
young designers were called upon by
Meritalia to draw up a new domestic
setting. The design, presented at the
2006 Furniture Fair, has confirmed the
experimental vocation of Meritalia,
whose past collaborators include
illustrious names such as Gaetano
Pesce. The sofa shown here
demonstrates how Fabio Novembre
has made use of his creativity by
drawing upon the constructive
expertise of the company.
148 domus Settembre September 2006
BONALDO
35010 Villanova (Padova)
T +39-0499299011
www.bonaldo.it
TRUFFLE
DESIGN: JEAN-MARIE MASSAUD
La poltroncina è proposta nella
versione a terra o rialzata su una base
girevole metallica che le dona
un’inaspettata leggerezza (versione
qui suggerita). Bassa e larga, Truffle è
un informale passe-partout per il relax
di una lounge così come per quello
della zona notte. La tecnica costruttiva
ha permesso di ottenere una seduta
molto robusta e resistente, perfetta
anche per gli esterni.
■ Armchair available in a floor
standing version or raised up on a
swivel metal base that gives it an
unexpected lightness (shown here).
Low and wide, Truffle is an informal
easy-to-place piece for either the
lounge or bedroom. Its construction
means the seat is strong and resistant,
perfect for outdoor use.
MERITALIA
22066 Mariano Comense (Como)
T +39-031743100
www.meritalia.it
Rassegna
BANNER
DESIGN: EMILIO NANNI
Struttura in multistrati di betulla per un
sedile semplice e geniale: il
basculamento laterale consente una
posizione di seduta molto libera nei
quattro sensi.
■ A simple and clever chair with a
beech ply structure: its lateral
movement allows the seat to be freely
positioned in four ways.
NIDO
DESIGN: MAKIO HASUIKE
Banditi gli angoli, Nido declina
un’interpretazione dello stare comodi
fatta di rotondità morbide e sinuose.
Proposto con un rivestimento in tessuto
tecnico elasticizzato che mette in
evidenza i volumi e i contrasti di pieno
e vuoto, completamente sfoderabile,
Nido adotta discreti piedini a
scomparsa. Tutti i pezzi della linea sono
realizzati con una struttura metallica
portante ricoperta in espanso
schiumato a freddo.
DONDOLO
DESIGN: PIO E/AND TITO TOSO
Con il suo movimento ondulatorio, la
poltrona Dondolo rilassa, stimola un
modo personale e diverso di sentire la
seduta, che porta a fondersi con le sue
curve. La poltroncina è realizzata in
multistrato curvato, con imbottitura in
rofoam morbido a stampo, supporto
metallico e piastra oscillante in acciaio
laccato o in tondino di acciaio.
Il rivestimento sfoderabile è fatto con
uno speciale tessuto, disponibile in
numerose varianti di colore.
In alternativa, rivestimento in pelle.
■ The relaxing movement of the
Dondola chair stimulates a different
and personal way of feeling while
seated, absorbing you into its curves.
The chair is made in curved ply with
padding in soft moulded rofoam,
metal support and rocking base plate
in lacquered steel or steel tube.
The removable cover is made from a
special fabric available in a range of
colours. Alternatively, it can be
covered in leather.
PASTA: LASAGNE
PROTOTIPO DESIGN: KEITH MASCHERONI
33044 Manzano (Udine)
T +39-0432741076 Materassino a forma di lasagna in
www.prototipocom.it poliuretano brevettato. Per interni ed
esterni. La linea comprende cuscini,
pouf e sedili ispirati a vari formati di
pasta, le cui forme, ingigantite,
vengono riprodotte in poliuretano.
HELLER ■ Mattress shaped like lasagne in
New York, N.Y. 10010 (USA) patented polyurethane. For indoor and
In Europa: HELLER outdoor use, this collection includes
20121 Milano (Italy) cushions, poufs and seats inspired by
T +39-0276316553 different pasta shapes, reproduced on a
www.helleronline.com giant scale in polyurethane.
LOOP
DESIGN: CHRISTOPHE PILLET
■ Corners banned, Nido is a version of a
unique interpretation of comfort, made Panchina in polietilene, Loop si
from soft and sinuous roundness. caratterizza per la cromatura esterna e
Available with a cover in stretch per la leggerezza definita dalla forma
technical fabric that emphasises the aperta. Ideale per arredo di negozi e per
volumes and contrasts of solids and il contract, sarà perfetta anche dentro
voids, with a completely removable casa. Dimensioni: lunghezza 180 cm,
cover, Nido has discreet disappearing profondità 50 cm, altezza 40 cm. Colori:
feet. All pieces in the series are made bianco, rosso. Laccato: cromato/bianco,
with a supporting metal structure bianco, nero, nero/rosso.
covered in cold expanded foam. ■ Bench in polyethylene, Loop is
characterised by its external chrome
CORINTO plating and the defined lightness of its
31010 Mareno di Piave – Loc. Ramera (TV) open form. Ideal for shops and contract
www.corinto.it use, it is also perfect for inside the
home. Dimensions: 180 cm long, 50
cm deep, 40 cm high. Colours: white,
red. Lacquered: chrome/white, white,
black black/red.
SERRALUNGA
13900 Biella
T +39-0152435730
www.serralunga.com
NIDO - CROCHET
ROSSI DI ALBIZZATE DESIGN: PATRICIA URQUIOLA,
21041 Albizzate (Varese) ELIANA GEROTTO
T +39-0331993200
www.rossidialbizzate.it La poltrona Nido è leggera e
avvolgente, grazie ai morbidi cuscini
che la completano. Le dimensioni
dell’intreccio e il rivestimento dei
cuscini producono uno straordinario
effetto materico, qui esaltato dalla
presenza di Crochet, prezioso tappeto
realizzato con corda di lana. Fiori e
foglie sono lavorati a mano
all’uncinetto, assemblati ed infine
cuciti a mano su una rete di supporto.
Crochet può essere realizzato in tinta
unita o in più colori.
■ The Nido chair is light and enveloping
thanks to the soft cushions that
complete it. The size of the weave and
the cover of the cushions produce an
extraordinary textural effect, enhanced
here by the presence of Crochet, an
exquisite rug made from wool. Hand
crocheted flowers and leaves are
assembled and hand sewn together
PAOLA LENTI onto a mesh. Crochet is available in a
20036 Meda (Milano) single colour or assorted colours.
T +39-0362343216
www.paolalenti.com
Rassegna
CAKE
SWAN ITALIANA DESIGN: LUISA MORGANTI
22060 Vighizzolo di Cantù (Como)
T +39-031730222 Linee arrotondate per Cake, pouf per
www.swanitaly.com sedute easy e anticonvenzionali,
disponibile in tre versioni, tra cui Cake
Flower, con rivestimento traforato a
motivi floreali (disegno di Nadia
Piombardi).
■ Rounded lines for Cake, an easy
going, non-conventional seat
available in three versions, including
Cake Flower, with perforated
upholstery with a floral pattern
(designed by Nadia Piombardi).
SOFTCRETE
DESIGN: ROSS LOVEGROVE
Divano modulare componibile e
tavolino realizzati in poliuretano
espanso sagomato, verniciati con
Guflac grigio simil-cemento. I singoli
moduli sono collegabili tra loro
mediante innesti di acciaio. “Questa
classica associazione di materiali e
forme tecnologici, sobria e auto-
organizzante, permette di ottenere
un’affermazione formale insieme a un
tangibile calore umano”.
Il progettista, per sua stessa
dichiarazione, ha tratto ispirazione
dall’architettura di Tadao Ando.
■ Modular sofa and table made from
profiled expanded polyurethane,
painted with grey Guflac simil-cement.
The single modules can be connected
together via steel fixings. “This classic
association of technological materials
and forms, sober and self-organised,
allows an affirmation of form to be
achieved together with a tangible GUFRAM
human warmth.” The designer claims 10070 Balangero (Torino)
to have been inspired by the T +39-0123346910
architecture of Tadao Ando. www.gufram.com
FREESTYLE
DESIGN: FERRUCCIO LAVIANI
Freestyle è un sistema di sedute che ■ Freestyle is a system of seats with
permette infinite possibilità di which an infinite number of linear or
abbinamento per creare composizioni corner arrangements can be created.
lineari o angolari. Il sistema si basa The system is based on geometric
sulla facile componibilità di una serie elements that are easily put together
di elementi geometrici che si to form the seats and backs.
aggregano formando sedili e schienali. Extra cushions provide additional
I cuscini addizionali accrescono il comfort and lend a touch of elegance
comfort e donano un tocco di ricercata to the overall effect.
eleganza all’insieme.
MOLTENI & C
20034 Giussano (Milano)
T +39-03623591
www.molteni.it
Settembre September 2006 domus 149
ZED AMBARADAN BOISERIE
DESIGN: RICARDO BELLO DIAS DESIGN: DENIS SANTACHIARA DESIGN: MASSIMO IOSA GHINI

Specchio autoportante con struttura Portabiti a muro con struttura in acciaio Nata da un’esigenza estetica, la parete ■ Born from aesthetic requirements, LISTONE GIORDANO ®
in metallo piegato e verniciato a fuoco, cromato e scudo in policarbonato. Boiserie si è implementata dapprima the Boiserie wall was first implemented Marchio del Gruppo Margaritelli
color grigio umbro. Dimensioni: 30 x Dimensioni: 162 x 65 x 13/42 cm. con l’integrazione del suono, grazie with the integration of sound, thanks 06089 Miralduolo di Torgiano (Perugia)
39 x 175 H cm. ■ Wall clothes hanger with structure in agli attuatori acustici Feonic, quindi to Feonic acoustic equipment, flush TV T +39-075988681
■ Self-supporting mirror with structure chromed steel and shield in con gli schermi tv a filo parete e ora con screens and now storage containers set www.listonegiordano.com
in flame-varnished folded metal, dark polycarbonate. Dimensions: 162 x 65 x gli elementi contenitori ricavati nello into the thickness of the wood
grey. Dimensions: 30 x 39 x 175 H cm. 13/42 cm. spessore della boiserie stessa. In panelling itself. Exclusively for the 2006
esclusiva per il Salone del Mobile 2006, Furniture Fair, Listone Giordano made a
GALLOTTI & RADICE NAOS Listone Giordano ha stipulato un deal with Apple Italia to integrate iPods
22072 Cermenate (Como) 50063 Figline V.no (Firenze) accordo con Apple Italia per integrare il in the wood panelling to create a
T +39-031777111 T +39-055913611 lettore iPod nella boiserie e farne la special sound source.
www.gallottiradice.it www.naos.net sorgente sonora privilegiata.

DREAM BOLLYWOOD JACKIE CHESTERBED

POLIFORM DESIGN: MARCEL WANDERS DESIGN: PAOLA NAVONE POLTRONA FRAU DESIGN: JEAN-MARIE MASSAUD DESIGN: RODOLFO DORDONI
22044 Inverigo (Como) 62029 Tolentino (Macerata)
T +39-0316951 Il programma Dream ruota intorno alla Bollywood ha una testiera imbottita e T +39-07339091 Il nome richiama lo stile della First Lady Letto di stile classico intelligentemente
www.poliform.it pannellatura contro cui poggia la lavorata a capitonné (alta 192 cm, www.poltronafrau.it e di un indimendicabile periodo, cui si rivisitato, Chesterbed cela al suo
testiera del letto (una semplice turca). come qui suggerito, o 38 cm), contro rifanno anche gli altri mobili disegnati interno caratteristiche tecnologiche
Si tratta di una ‘boiserie’ morbida cui si staglia una turca, con telaio in da Massaud in omaggio ad una famosa proprie di un letto contemporaneo.
(è rivestita in tessuto e pelle), acciaio e piano a doghe di legno, dinastia americana (Kennedee, i La testata capitonné fissa,
sfoderabile, a segmenti orizzontali sorretta da piedi importanti (qui divani, Bob, i tavolini). Il letto Jackie ha perfettamente rifinita da ambo i lati, è
rivestiti in modo differenziato (come ricoperti da parti a specchio). una testata geometrica, con struttura rivestita esclusivamente in pelle.
qui suggerito) oppure omogeneo. I rivestimenti sono sfoderabili. in faggio stagionato e imbottitura in La base sfoderabile si può invece
La diversità di colore o disegno del Apparentemente esagerato ed poliuretano espanso, rivestita in Pelle rivestire sia in tessuto che in pelle e
rivestimento determina soluzioni esasperato, il letto Bollywood ha una Frau®, lavorata a capitonné. può essere scelta tra la versione fissa o
interessanti. Comodini e cassettiere sua ironica eleganza. Leggermente imbottita e rivestita in con contenitore e piano a doghe
completano il programma. ■ Bollywood has a button-backed Pelle Frau® anche la base del letto, in regolabili o ortopedico.
■ The Dream programme revolves upholstered headboard (192 cm high, multistrati di pioppo. ■ An intelligent reworking of a classic
round the panelling which drops up the shown here, or 38 cm), against which ■ The name recalls the style of the style, Chesterbed conceals all the
headboard (a simple divan). It is a soft sits a divan bed with a steel frame First Lady of an unforgettable era, also technological characteristics of a
“boiserie” (covered in fabric or leather), and wooden slats, supported on large remembered in other furniture contemporary bed. The fixed capitonné
with removable covers, in horizontal feet (here partly covered in mirror). designed by Massaud in homage to a headboard, perfectly finished on both
segments that are each covered All covers are removable. Seemingly famous American dynasty (Kennedee sides, is entirely in leather. The
differently (as shown here) or all the exaggerated, the Bollywood bed has its sofas, Bob tables). The Jackie bed has removable covers of the base can be
same. The range of colours and patterns own ironic elegance. a geometric headboard with a fabric or leather and the bed is
available for the covers can create structure in seasoned beech, padded available as a fixed version or with
interesting variations. Bedside tables in expanded polyurethane, covered in storage container base with adjustable
and drawers complete the series. Pelle Frau® with capitonné slats or orthopaedic mattress support.
CASAMILANO upholstery. The base of the bed in FLOU
20036 Meda (Milano) poplar ply is also slightly padded and 20036 Meda (Milano)
T +39-0362340499 covered in Pelle Frau®. T +39-03623731
www.casamilanohome.com www.flou.it

WALL & DOOR SYSTEM INDOOR SIMPLE MOOD XL

DESIGN: LUALDIMOBILI DESIGN: CASTIGLIA ASSOCIATI DESIGN: DECOMA DESIGN DESIGN: SANTAMBROGIO RES
E/AND CAVANA 20038 Seregno (Milano)
L’intuizione di partenza di Wall & Door Il progetto è caratterizzato dallo studio Sistema per dividere gli ambienti con T +39-0362238620
System è consistita nello sviluppare un di ante, in essenze pregiate, laccato o soluzioni semplici ma innovative, Mood XL è la nuova versione di un www.resitalia.it
modulo delle stesse dimensioni di vetro, dalle particolari lavorazioni e da Simple risolve con efficacia e velocità sistema di porte con un telaio in
un’anta di porta. Il progetto prevede, una serie di maniglie, esterne o ad l’arredo di ogni tipo di spazio. Simple è alluminio anodizzato, rivestito in
infatti, l’integrazione perfetta tra incasso, che si articolano sulle ampie formato da un sottile profilo di legno o laccato. Prevede una vasta
pannelli e porte che nascondono o superfici verticali, ritmando alluminio perimetrale che contiene i gamma di pannelli o vetri. I numerosi
creano nicchie, cabine armadio, visivamente le composizioni. Un pannelli di diversi materiali (cristallo, meccanismi di cui dispone rendono
librerie, vani a muro, stipetti e, esempio? Cult, armadio con anta liscia legno o speciali ceramiche). Qui è possibile ogni tipologia di porta, qui
naturalmente, l’ingresso a stanze. Le impreziosita da un particolare incasso suggerita una cabina armadio, intesa esemplificata da porte scorrevoli
finiture possono essere in diverse a scivolo (maniglia) di una fascia come vero locale guardaroba, contrapposte con binario incassato nel
essenze di legno (ebano, teak, orizzontale, nella quale la venatura realizzata con i programmi Simple e soffitto. Il telaio con traversi è rivestito
palissandro) o in laccato lucido. dell’essenza cambia verso. Osso (design Ivan Palmini). in New Wood Teak e corredato di vetro
■ The initial intuition for the Wall & ■ A design characterised by the ■ System for dividing spaces that offers Ambra. All’interno, cabina armadio
Door System was in developing a carefully studied doors in precious simple but innovative solutions, Simple Twin in rovere moro.
module with the dimensions of a door woods, lacquer or glass, special addresses with speed and effectiveness ■ Mood XL is the new version of a
panel. The design provides perfect workmanship and a series of either any kind of space with plenty of scope system of doors with a frame in
integration between panels and doors surface-mounted or recessed handles for personalisation. Simple consists of a anodised aluminium, clad in wood or
in such a way as to hide or create that articulate the broad vertical slender perimeter profile in aluminium painted. It includes a wide range of
alcoves, fitted wardrobes, bookcases, surfaces giving a visual rhythm to the that contains the panels in different panels and glazing. The numerous
wall cupboards and of course compositions. An example? Cult, a materials (glass, wood and special mechanisms available make it possible
entrances to rooms. Range of wood cupboard with a smooth door ceramics). Shown here is a walk-in to create all kinds of doors. Shown here
finishes (ebony, teak, rosewood) or embellished with an unusual recessed wardrobe made using Simple and Osso are sliding doors with ceiling-recessed
polished lacquer. sliding handle, a horizontal band in (design Ivan Palmini). tracks. Frame and cross bars in New
LUALDIMOBILI which the grain of the wood is altered. FEG LUCONI & C. Wood Teak with Ambra glass. Inside,
20010 Mesero (Milano) 20034 Giussano (Milano) 60131 Ancona Twin dark oak walk-in wardrobe.
T +39-029789248 T +39-03628691 T +39-0712868404
www.lualdi.com www.gruppofeg.it www.luconi-osso.com

150 domus Settembre September 2006 Rassegna Rassegna Settembre September 2006 domus 151

SLASH
DESIGN: MARIO MAZZER
Slash è una sedia con struttura in
tondino cromato (diametro 11 mm) e
scocca in polipropilene. È subito
riconoscibile per il taglio ornamentale
sullo schienale che, traslando,
diventa un funzionale bracciolo.
Disponibile in vari colori.
■ Slash is a seat with a structure in
chromed metal rod (11-mm diameter)
and shell in polypropylene. It is
immediately recognisable for the
ornamental cut on the back that
becomes a functional armrest.
Available in various colours.
SIMPLICITY
DESIGN: ENNIO AROSIO
Il progetto Simplicity, realizzato in
collaborazione con Saint Gobain Glass e
iniziato nel 2004, dispone ora di una
struttura autoportante realizzata
completamente in vetro, che consente
di attrezzare, dividere ed ottimizzare lo
spazio. Non ha bisogno di fissaggi a
parete o soffitto. Tutti i componenti
sono realizzati in vetro temperato e
stratificato (15 +15 mm) e “su misura”.
152 domus Settembre September 2006
ICON
DESIGN: PHILIPPE STARCK
Sgabello interamente in alluminio,
realizzato con un processo che prevede
77 passaggi, con spazzolatura e
lucidatura a mano.
■ Stool made completely from
aluminium using a 77-step process,
brushed and polished by hand.
EMECO
www.emeco.net
In Italia: JOINT
20123 Milano - www.jointmilano.com
SINTESI
33097 Spilimbergo (Pordenone)
T +39-0427519340/0427519311
www.gruppo-sintesi.com
■ The Simplicity project, begun in 2004
in collaboration with Saint Gobain
Glass, now offers a self-supporting
structure made completely from glass
that makes it possible to fit out, divide
and optimise space. There is no need
for wall and ceiling fixings. All
components are made from toughened
laminated glass (15 + 15 mm thick)
and “made to measure”.
ACTUAL DESIGN
20122 Milano
www.santambrogiomilano.it
Rassegna
BRANDY
DESIGN: LIEVORE, ALTHERR,
MOLINA
Con le sue linee curve ed agili, Brandy è
una poltroncina dalla grande
apparenza ma dalle piccole dimensioni,
adatta alle hall, ai caffè, alle sale
riunione e, in generale, come seduta
complementare. La struttura in legno è
ricoperta in poliuretano di densità
variabile e rivestita in tessuto o pelle.
■ With its agile and curved lines,
Brandy is a chair with a big presence yet
small dimensions, suitable for halls,
cafes, meeting rooms and other general
uses. The wood frame is covered in
polyurethane of variable density and
covered in fabric or leather.
TIDY WORK
DESIGN: DIEFFEBI
I carrelli Tidy Work sono sinonimo di
comfort e funzionalità. Qui Tidy è
proposto nella versione portavideo e
tv, in metallo verniciato color
alluminio e con i frontali in legno
wengé. È provvisto di cassetto su
guide, attrezzabile a richiesta con
tappetino porta cd, vano porta lettore
dvd e alloggiamento per i cavi elettrici.
Il carrello è montato su ruote
proiettanti bicolore.
■ Tidy Work trolleys are synonymous
with convenience and functionality.
Here Tidy is shown in the TV and video
stand version, painted in aluminium
colour with wengé doors. A drawer
can be fitted on request with a CD
holder, DVD holder and space for
power cables. The trolley has
projecting two-colour wheels.
MIURA
DESIGN: KONSTANTIN GRCIC
Sgabello in polipropilene caricato (2,5
volte più resistente dell’alluminio),
stampato in unico blocco con
tecnologia ad iniezione.
■ Stool in reinforced polypropylene
(2.5 times more resistant than
aluminium), moulded in a single piece
using injection technology.
PLANK
39040 Ora (Bolzano)
www.plank.it
ANDREU WORLD
E-46370 Chiva - Valencia (Spain)
T +34-961-805700
www.andreuworld.com
DIEFFEBI
31020 S. Vendemiano (Treviso)
T +39-04384715
www.dieffebi.com
VEDONONVEDO: VERSAILLES
DESIGN: CARLO BALLABIO
VedoNonVedo è una collezione di
decorazioni modulari in polistirolo,
disponibili in più decori e colori.
■ VedoNonVedo is a collection of
modular decorations in polystyrene,
complete with hooks and available in
various patterns (by different
designers) and colours.
SERVETTOCOSE
20030 Bovisio Masciago (Milano)
www.servettocose.com
CITTERIO
22040 Sirone (Lecco)
T +39-031853545
www.citteriospa.com
ETNO
DESIGN: RICCARDO FRANCO
Etno è una libreria componibile,
realizzata a partire da singoli elementi
verticali tra loro accostati e assemblati
tramite bulloni. Al modulo base (141 x
33 x 212 H cm) si accostano uno o più
moduli aggiuntivi (ciascuno da 71 x 33
x 212 H cm) sino a formare grandi
composizioni autoportanti. La versione
totem, 71 x 33 x 212 H cm (qui
illustrata), va invece ancorata alla
parete. Etno è realizzata in acciaio inox
o in corten, un materiale che si ottiene
dal processo di ossidazione naturale
dell’acciaio.
■ Etno is a modular bookcase based on
single vertical elements placed
alongside one another and fixed with
bolts. To the basic module (141 x 33 x
212 H cm), one or more additional
modules can be added (each 71 x 33 x
212 H cm) to create large self-
supporting arrangements. The totem
version, 71 x 33 x 212 H cm (shown
here), needs to be fixed to the wall.
Etno is made from stainless or corten
steel, a material obtained from the
natural oxidisation of steel.
ALBERTO
DESIGN: FABRICA
Stendibiancheria da giardino o
terrazza, formato da due ‘alberelli’ in
polietilene tinto in massa ottenuti
mediante stampaggio rotazionale.
■ Clothes horse for garden or terrace
consisting of two “trees” made from
rotational moulded mass-coloured
polyethylene.
CASAMANIA BY FREZZA
31040 Signoressa di Trevignano (TV)
www.casamaniabyfrezza.it
TRIPOLINA NET-WORK
DESIGN: CITTERIO DESIGN: RODOLFO DORDONI
Tripolina è la poltroncina pieghevole Progettata e realizzata per vivere
che rende omaggio alle seggiole da dentro casa e all’aperto, la collezione
campo usate dagli ufficiali inglesi Net-work propone svariate tipologie
nell’Ottocento. Ispirandosi al pezzo d’arredo (divani componibili, chaise
storico disegnato da Joseph Beverly longue, poltrone, sedie, panche,
Fenby of England, Citterio propone una lettini, tavoli e tavolini, gazebo) in
Tripolina la cui struttura in legno di materiali a tutta prova (marmi, pietra
frassino è rivestita con teli di lino basaltina, massello di teak ecc.).
oppure di cotone, in color ecru o bianco La sedia da pranzo qui proposta è
oppure bicolore a tinte vivaci e attuali. realizzata in metallo/corda,
■ Tripolina is a folding chair that plays all’occorrenza completata da una
homage to those used by British officers sottile imbottitura. Oltre all’arancio e al
in the 19th century. Inspired by a grigio, la sedia è disponibile anche in
legendary piece designed by Joseph bianco e nero.
Beverly Fenby of England, Citterio has ■ Designed and made for both indoor
come up with Tripolina with a structure and outdoor living, the Net-work
in ash covered in linen or cotton canvas collection offers a wide range of
in white, ecru or in two-tone bright furniture (modular sofas, chaise
contemporary colours. longues, chairs, benches, beds, tables,
side tables, gazebo) in tried and tested
materials (marbles, basalt stone, solid
teak, etc.). The dining chair shown here
is made from metal/cord, completed
RODA with a slender pad if needed. As well as
21026 Gavirate (Varese) orange and grey, the chair is also
T +39-03327486 available in black and white.
www.rodaonline.com
KVIKKJOKK
DESIGN: SAMIR SABA KÄLLEMO AB
33126 Värnamo (Sweden)
In qualità di editore di design, Källemo T +46-(0)370-15000
ha realizzato la scaffalatura Kvikkjokk, www.kallemo.se
progettata nell’ambito di un corso di
furniture design presso l’Università di
Gothenburg, HDK, Stenebyskolan.
La scaffalatura, ora parte della
collezione Källemo, è formata da
elementi in multistrati impiallacciati di
laminato, che si assemblano senza
chiodi, viti o colla.
■ As a design editor, Källemo has
produced the Kvikkjokk bookcase,
designed during a furniture design
course at the University of Gothenburg,
HDK, Stenebyskolan. The bookcase,
now part of the Källemo collection, is
made up of multi-layered veneer
assembled without the use of nails,
screws or glue.
SECCOSE
31022 Preganziol (Treviso)
T +39-0422497700
www.seccose.it
Rassegna Settembre September 2006 domus 153

Auguri Osram! Happy birthday Osram!
È nel 1854 che Heinrich Gebel costruisce
la prima lampada ad incandescenza,
sviluppata poi da Alva Edison nel 1879.
Nel 1906 Auer von Welsbach sostituisce il
filamento di fibra vegetale carbonizzata
con uno di osmio prima e tungsteno poi,
e registra il marchio Osram all’ufficio
brevetti dell’impero germanico: OSmium
e wolfRAM (osmio e tungsteno), lampade
elettriche ad incandescenza e ad arco. Nel
1919 verrà fondata a Berlino, grazie a
una fusione, l’azienda Osram Werke
GmbH KG, che da 100 anni illumina le
nostre città. Nel ‘24 è lanciata sul mercato
la lampada ad incandescenza a bulbo
sferico e nel ‘25 la prima lampada per
154 domus Settembre September 2006
proiettori a doppio filamento Bilux, che
troverà applicazione nel faro
abbagliante/anabbagliante delle
automobili. La ricerca non abbandonerà
mai la linea dell’azienda, che nel
frattempo apre filiali in tutta Europa. Un
percorso lungo un secolo che vede oggi
l’azienda impegnata nella ricerca di
lampade a basso dispendio energetico,
sviluppando le più innovative tecnologie,
dagli alogeni ai LED.
E allora auguri Osram, brillante come la
luce del giorno. www.osram.it
■ In 1854 Heinrich Gebel made the first
incandescent light bulb, then developed
by Alva Edison in 1879. In 1906 Auer von
Welsbach substituted the filament of
carbonised vegetable fibre with one first
of osmium then of tungsten and
registered the brand Osram at the patent
office of the German empire: OSmium and
wolfRAM (osmium and tungsten), electric
incandescent lights and arc lamps. In
Berlin in 1919, as a result of a merger, the
company Osram Werke GmbH KG was
established, who for 100 years have been
lighting our cities. In 1924 an
incandescent light with a spherical bulb
was launched on the market and in 1925
the first bulb for projectors with double
Bilux filament that was used for car
headlights. The company has never
Panorama
Il giardino delle lampade Garden of lamps
Le nuove collezioni Leucos sono delle
figure leggiadre, forme che sembrano
animate da qualche strano incantesimo.
La serie Katerina, per esempio, è una
collezione di lampade in vetro soffiato e
ondulato, delle signorine lampade
presenti nella versione da tavolo, a parete
e sospesa. Valo e Bisquit hanno un
carattere più ridanciano, con quel doppio
diffusore in vetro soffiato. Fiola è più
mistica e alchemica, con il suo soffio
libero in vetro artistico sfumato, come
anche la plafoniera Twister, con la sua
spirale in vetro opalino e l’elegante
Marlowe. Di tutt’altro genere Flaska e
Pullo, tra la lanterna e il messaggio nella
Finalmente a Milano Finally in Milan
Il primo luglio scorso l’azienda tedesca
Iserlohn ha aperto una filiale Dornbracht
in Italia. Il nuovo showroom è collocato
nel cuore della vecchia Milano, in un loft
soppalcato nel quartiere Ticinese, via
Morimondo 2/5. Il leader dei rubinetti si
apre quindi alla città, presentandosi con
un patchwork murale all’ingresso dello
spazio, su cui è riassunto il percorso
dell’azienda. Il lucernario all'interno
illumina le due aree di interesse del
gruppo, la cucina e il bagno, presentando
i pezzi più interessanti delle collezioni.
Intorno e sopra ci sono gli uffici e la sala
riunioni, che costituiscono parte
complementare ma indipendente
Porte segrete Secret Doors
L’invisibile cerca la visibilità. Cosa
significa? Che i prodotti L’Invisibile by
Portarredo si confrontano per la prima
volta con la questione estetica e
decorativa. La tecnologia perfetta e la
pulizia formale delle porte a battente, a
bilico verticale, a scomparsa sembrano
creare superfici ideali per giocare con la
decorazione, e la porta, senza stipiti e
cornici, diventa una sorpresa inaspettata
e segreta sui piani colorati. I tipi di
decoro proposti sono realizzati con
lacche, carte da parati, pitture,
laminature, boiserie, gobelin. La parete,
piana o curva, diventa una tela infinita,
senza più limitazioni alla fantasia. I
Parlando di luce Talking of light
ceased its research and in the meantime
has opened branches all over Europe. A
century-long history that today sees the
company committed to research into
energy saving bulbs, developing highly
innovative technologies from halogen to
LED. Happy birthday Osram. Brilliant as
the light of day. www.osram.it
Nella foto/In the picture
Non più furti di lampadine elettriche! dice
questo manifesto del 1920 che sottolinea
il prezzo ridotto delle lampadine.
No more theft of electric light bulbs!
announces this Osram poster from 1920,
highlighting the low price of the bulbs
rispetto alla vita dello showroom. Il
progetto di ristrutturazione di questo
antico edificio della fabbrica Richard
Ginori è stato curato nel 2000 da
Milanolayout. www.dornbracht.com
■ On the first of July the German
company Iserlohn opened a branch of
Dornbracht in Italy. The new showroom is
located in the heart of old Milan, in a loft
in the Ticinese area, at Via Morimondo
2/5. This leading tap company opens up
to the city, presenting itself with a
patchwork mural at the entrance to the
space on which the history of the
company is described. The internal
skylight illuminates the company’s two
prodotti L’Invisibile sono esposti nel
Laboratorio Espositivo L’Invisibile in via
Santa Sofia 27 a Milano.
www.linvisibile.it
■ The invisible seeks visibility. What
does that mean? That the L’Invisibile
products by Portarredo for the first time
address questions of aesthetics and
decoration. The perfect technology and
clean lines of these hinged, vertical
pivoting and disappearing doors creates
ideal surfaces for playing with
decoration; and the door, without jambs
and frames, becomes an unexpected
and secret surprise on coloured planes.
The types of decoration offered are made
Prisma, con le consociate SBP e KLEWE
(Gruppo Performance in Lighting) e con il
patrocinio di Aidi-Associazione Italiana di
Iluminazione, ha ideato e promosso il
convegno “Progettare la luce per il
benessere dell’uomo”, invitando light
designer, architetti, psicologi e ingegneri
a riflettere sulla luce come elemento
culturale. Gli interventi hanno affrontato
l’argomento da diversi punti di vista: dagli
effetti medici e biologici della luce sul
corpo (Van Bommel) e su alcune malattie
(Angela e Gad Giladi), alla luce diurna e
all’architettura solare (Forcolini); dai
progetti di illuminazione urbana (Tellini e
Iannone), alla luce come fonte di
Panorama
bottiglia, e lo scodinzolante Art ù. Non
poteva mancare la sinuosità vegetale, ed
ecco il giardino di Byblis, con le sue piante
carnivore in vetro modellato e soffiato, la
base luminosa in vetro soffiato bianco, a
terra o a parete. www.leucos.it
■ The new Leucos collection is made up of
graceful figures, forms that seem
animated by some strange spell. For
example the Katerina series is a collection
of lights in curved blown glass, ladylike
lamps presented in a table, wall and
hanging version. Valo and Bisquit have a
more fun character with a double diffuser
in blown glass. Fiola is decidedly more
mystical and alchemical, freely blown in
specialist areas, the kitchen and the
bathroom, presenting the most
interesting pieces from the collections.
Around and above are offices and
meeting rooms that make up a
complementary but independent part
with respect to the showroom. The
conversion of this old Richard Ginori
factory building was carried out in 2000
by Milanolayout. www.dornbracht.com
Nella foto/In the picture
Veduta dell’allestimento dello showroom
Dornbracht a Milano.
View of the display in the Dornbracht
showroom in Milan
benessere (Conti), fino alle definizioni di
luce e colore nei processi cognitivi (Bottoli
e Agostini). www.prisma-pil.com
www.performanceinlighting.com
■ Prisma, together with their associates
SBP and KLEWE (Performance in Lighting
group) and support from the Aidi-
Associazione Italiana di Iluminazione,
conceived and promoted the conference
“Designing light for man’s wellbeing”,
inviting lighting designers, architects,
psychologists and engineers to think
about light as a cultural element. The
interventions addressed the subject from
different points of view: from the medical
and biological effects of light on the body
graduated artistic glass as is the Twister
fitting with its spiral in opal glass and the
elegant Marlowe. Altogether different are
Flaska and Pullo, between a lantern and a
message in a bottle and the appealing
wagging Art ù. Curving plant forms could
not be forgotten and here is the garden of
Byblis with its carnivorous plants in
sculpted and blown glass, the luminous
base in white blown glass, floor standing
or fixed to the wall.
www.leucos.it
Nella foto/In the picture
Byblis P, disegnata da/designed by
Danilo De Rossi.
with lacquers, wallpaper, painting,
lamination, wood panelling and
tapestry. The wall, flat or curved,
becomes an infinite canvas, posing no
limits to the imagination. L’Invisibile
products are exhibited at Laboratorio
Espositivo L’Invisibile in Milan, Via Santa
Sofia 27. www.linvisibile.it
Nella foto/In the picture
L’Invisibile a Bilico Verticale ad un’anta
con decoro Onda laccato giallo e porpora,
di dimensioni 1.200 x 2.600 mm.
One-leaf vertical pivoting Invisibile with
Onda decoration lacquered yellow and
purple. Dimensions 1,200 x 2,600 mm.
(Van Bommel) and certain illnesses
(Angela and Gad Giladi), to the more
specific issue of daylight and solar
architecture (Forcolini); from designs for
street lighting (Tellini and Iannone), to
light as a source of wellbeing (Conti), up to
the definition of light and colour in
cognitive processes (Bottoli and Agostini).
www.prisma-pil.com
www.performanceinlighting.com
Nella foto/In the picture
Un prodotto Prisma, promotrice del
convegno sulla luce a Verona.
A product by Prisma, promoter of the
lighting conference at Verona
Settembre September 2006 domus 155
Lavatrici intelligenti Intelligent washing machines
Miele presenta la sua nuova gamma di
lavabiancheria e asciugabiancheria:
forme tonde e accattivanti per le serie W
1000 e T 7000, sofisticate ed eleganti per
W 4000 e T 9000, classiche e senza
tempo per W 3000 e T 8000. Tutte
garantiscono tempi e consumi ridotti,
grazie all’utilizzo di un sensore per il
risciacquo — che rileva il tipo di carico —
e di uno per l’asciugatura — che rileva
l’umidità — e di Softtronic e Novotronic,
sistemi interattivi che permettono di
personalizzare il lavaggio a seconda
delle necessità. www.mieleitalia.it
■ Miele presents its new range of
washing machines and tumble dryers:
attractive curved shapes for the W 1000
and T 7000 series, sophisticated and
elegant for W 4000 and T 9000, classic
and timeless for W 3000 and T 8000. All
guarantee reduced time and energy
consumption thanks to the use of a
sensor for the rinsing – that assesses the
kind of load – and one for the drying –
that checks dampness - as well as
Softtronic and Novotronic, interactive
systems that allow washes to be
personalised according to needs.
www.mieleitalia.it
Nella foto/In the picture
Miele W 1000 e/and T 7000

Sedie per pensare Thinking chairs

La facoltà di Design del Politecnico di
Milano ha incaricato il gruppo Segis-
Delight-Multipla di occuparsi delle
sedute del suo nuovo spazio
Modacontents-Biblioteca Tremelloni.
150 sedie Pacific rosse per questo luogo
dedicato alla creatività, dove la ricerca è
vissuta in maniera attiva attraverso la
consultazione libera di testi, immagini,
video che parlano del complesso mondo
della moda. Il centro interattivo si è
quindi avvalso del prezioso aiuto di
Segis per garantire la massima comodità
di quello che è l’elemento
indubbiamente più vissuto in una
biblioteca: la sedia. www.segis.it
Mediterranea da casa Mediterranea at home
■ The Faculty of Design at Milan
Polytechnic commissioned Segis-
Delight-Multipla to deal with the
seating in their new space,
Modacontents-Biblioteca Tremelloni.
One hundred and fifty red Pacific chairs
were assigned to this place dedicated to
creativity, where active research is
carried out through the consultation of
texts, images and videos that describe
the complex world of fashion. The
interactive centre has received
invaluable help from Segis to ensure
maximum comfort in what is
undoubtedly the element most used in
a library, the seat. www.segis.it
Nella foto/In the picture
Il modello Pacific di Segis
con cui è stato arredato
lo spazio Modacontents-
Biblioteca Tremelloni al
Politecnico di Milano.
The Pacific chair by Segis
used to furnish the
Modacontents-
Biblioteca Tremelloni
at the Polytechnic
Dispositivi aptici
Haptic devices
Le nuove collezioni La Mediterranea and cheerful patterns. Enlaira is a Material Emanuele Ricci
sono eleganti serie colorate con motivi collection decorated with drawings of
World*
semplici e allegri. Enlaira, decorata con
disegni di delicate farfalle, è composta
delicate butterflies consisting of
porcelain plates (in black and white,
7
da piatti in porcellana (nei colori nero e green and white, dark green and pink,
bianco, verde e bianco, verde scuro e beige and turquoise) and vases, glasses
rosa, beige e turchese), vasi, bicchieri e and salad bowls in ecological white
insalatiere in vetro bianco ecologico. La glass. The line is enriched with a lamp
linea è arricchita da una lampada e dei and vase in recycled glass decorated in
vasi da fiori in vetro riciclato decorato black and white and fuchsia. Concentric
posteriormente in nero e bianco o nero e col&col is instead a series made entirely
fucsia. Concentric col&col è invece una from glass consisting of glasses, salad
serie interamente in vetro composta da bowls and vases.
bicchieri, insalatiere e vasi.
■ The new La Mediterranea collections Nelle foto/In the pictures
are elegant coloured lines with simple Collezione Enlaira/Enlaira collection

Workshop di cucina Kitchen workshops

Il 28 giugno scorso sono stati premiati
alla Triennale di Milano i vincitori
del I° Scavolini Kitchens Workshop,
promosso da Scavolini in
collaborazione con ADI-Associazione
per il Disegno Industriale. I progetti
rivelano l’interesse a ripensare la
cucina come uno spazio di
sperimentazione, in cui vengono
ridefiniti gli utilizzi sociali al di là di
quelli funzionali. La cucina ritorna il
centro dell’abitazione e punto
d’incontro dei suoi abitanti: l’aspetto
tecnico si fonde con lo stile personale,
gli elementi scompaiono o si integrano
ad altri elementi, si trasformano per
adattarsi all’esigenza del momento. Il
progetto vincitore è Dual,
dell’architetto Robin Rizzini. Menzione
speciale per Bouquet dell’architetto
Marco Valerio Agretti ed Eva dello
studio Adriano Design.
www.scavolini.com
■ On 28 June the winners of the first
Scavolini Kitchens Workshop were
announced at the Triennale in Milan,
promoted by Scavolini in collaboration
with ADI - Associazione per il Disegno
Industriale. The designs revealed an
interest in reconsidering the kitchen as
an experimental space in which social
and not just functional uses are
redefined. The kitchen returns to the
centre of the home and the place in
which its inhabitants get together: the
technical aspect blends with personal
style, elements disappear or are
integrated with other elements,
transformed to meet the demands of
the moment. The winning design was
Dual, by the architect Robin Rizzini. A
special mention went to Bouquet by
architect Marco Valerio Agretti and to
Eva by the studio Adriano Design.
www.scavolini.com
Nella foto/In the picture *
Bouquet di/by Marco Valerio Agretti Material World è una rubrica che
esplora nuovi processi produttivi, tecnologie e
applicazioni
materiali in diversi campi progettuali.

Material World is a section that explores new

processes, technologies and material
applications in a variety of fields of design.

156 domus Settembre September 2006 Panorama

I Dispositivi aptici Haptic devices
Cosa sei? Dispositivi robotici in grado di simulare interazioni tattili con oggetti o realtà virtuali. Cosa fai? Siamo
dispositivi elettromeccanici che rendono più realistica l’interazione con ambienti virtuali tramite l’ausilio di feedback
meccanici e/o acustici. Per esempio, se uno schermo visualizza un oggetto fatto di un particolare materiale, un’interfaccia
aptica consente di interagire con esso tastandolo e modellandolo con una sensazione di duttilità e malleabilità conforme
alla natura del materiale. Questo grazie a un sistema di sensori e attuatori, gestiti da specifici software, che sono in grado di
restituire forze resistenti più o meno intense – ma anche sensazioni di caldo, freddo, liscio o ruvido, vibrazioni,
suoni… Il sensore percepisce lo stimolo su un oggetto, il software lo analizza e ne calcola la risposta che l’attuatore dovrà
contrapporre in tempo reale per conferire la sensazione desiderata, mentre il video visualizza l’immagine. Chi ti ha
fatto? I primi esempi di sensori aptici moderni li troviamo in aeronautica, quando con l’avvento dei sistemi di guida “fly
by wire” (ovvero senza collegamenti meccanici) divenne necessario far percepire al pilota il feedback delle sollecitazioni
subite dal velivolo durante la guida. Ma il vero sviluppo dei sistemi aptici è una conseguenza dell’avvento dei videogiochi,
che si sono appropriati di questa tecnologia per costruire ambienti di gioco sempre più immersivi e convincenti. Dove ti
trovi? Nei sistemi di guida “fly by wire” dei moderni velivoli diamo al pilota la sensazione fisica delle sollecitazioni sul
velivolo; nei ‘joypad’ delle PlayStation vibriamo per dare una sensazione di immersione fisica al giocatore; in certi strumenti
di modellazione in 3D le matematiche vengono plasmate come se fossero un materiale fisico; rendiamo più realistici gli
strumenti di addestramento per delicate operazioni chirurgiche o per operazioni a distanza; certi tipi di touch-screen sono
in grado di emettere feedback attraverso vibrazioni. Gli strumenti aptici destinati alla modellazione in 3D, detta anche
scultura, sono costituiti da stiletti montati su bracci a pantografo. Quelli che generano la sensazione del volume
assomigliano a guanti dove le dita sono ‘frenate’ da speciali micromotori. Cosa vorresti fare? Nuove interfacce
progettuali per architetti e designer che diano la sensazione di ‘modellare’ manualmente gli edifici… finestre che fanno più
resistenza a essere aperte se c’è una forte differenza di temperatura fra interno ed esterno, o se c’è l’aria condizionata…
carrelli della spesa che diventano difficili da spingere se il loro contenuto va oltre il budget prefissato per la spesa… maniglie
per porte che ti avvertono, vibrando, se c’è un incendio nella stanza in cui stai entrando… Chi ti produce?
www.kaemart.it; www.immersion.com; www.sensable.com; www.fcs-cs.com; www.handshakevr.com

What are you? Robotic devices capable of simulating tactile interaction with objects and virtual realities. What do
you do? We are a family of electromechanical devices that make interaction with virtual environments more realistic by
providing mechanical and/or acoustic feedback. For example, if a screen visualises an object made of a particular material,
a haptic interface allows the user to touch it and deform it with a sense of malleability and ductility appropriate to that
material. Thanks to sensors and servo untis, managed by specific software, the user is given constant feedback, which can
also be sensations of heat, cold, smooth, rough, vibrations, sounds, etc. The sensor measures the force being exerted on
a virtual object, after which the software analyses it and calculates the response the servo should exert in real time to give
the appropriate sensation while the video visualises the image. Who invented you? The first examples of modern
haptic devices were employed by the aeronautical industry in “fly-by-wire” systems (i.e. without mechanical connections)
where it became necessary to give tactile feedback to the pilot regarding the forces being exerted on the aeroplane during
flight. Today, the most widespread use of haptic devices is in videogames – gamers are offered an ever more immersive and
convincing environment through the use of force-feedback systems. What are you used for? In “fly-by-wire”
systems we give the pilot a sense of the forces being exerted on the aircraft by stiffening or relaxing the joystick; in
PlayStation joypads we vibrate to give the user an increased sense of immersion in the game; some types of software allow
the user to interact with mathematical functions as though they were materials; we add realism to training instruments for
delicate surgical operations, or to the interfaces of robots for remote operating; some types of touch-screen interface give
feedback by vibrating. Haptic interfaces for 3D modelling (also called “sculpting”) are blade-like elements mounted on the
arms of large pantographs. Touch-feedback interfaces are glove-like devices in which finger movements can be restricted by
tiny servos. What would you like to do? New computer interfaces for design software that give the feeling
of manually “sculpting” buildings… Windows that become harder to open as the difference between internal and external
temperature increases, or if air conditioning is switched on… shopping trolleys that become hard to push if the contents
surpass the shopping budget… door handles that vibrate if there is a fire in the room you are entering… Who makes
you? www.kaemart.it; www.immersion.com; www.sensable.com; www.fcs-cs.com; www.handshakevr.com
materialworld@emanuelericci.com

III. Culture & Shopping
Progetto
e materia
Design
and Matter
Il Giardino del Gigante (“A Giant’s Garden”), Cento, Ferrara
Progetto/Project: Marco Pellizzola
Produttore/Manufacturer: Ceramiche Sant’Agostino
Adesivi/Adhesives: Mapei
Un giardino nasce in un’area di risulta, tra i capannoni alla
periferia di un borgo storico. Il suo autore, Marco Pellizzola,
interpreta la tradizione dei parchi tematici attraverso una
scelta materica, quella del mosaico ceramico, che fa di questo
progetto un omaggio ad Antoni Gaudí e al suo Parco Güell
A garden grows from a demolition area among the industrial
warehouses on the outskirts of a historically prominent village.
Its designer, Marco Pellizzola, interpreted the idea of a
traditional park with a thematic focus, and used ceramic
mosaics as his medium. His project is an homage to Antonio
Gaudí’s Parco Güell
Cosa succede all’architettura contemporanea? Trasformata in un
gigantesco parco di varianti della scultura astratta del
Novecento, resa funzionale e ingigantita a piacere, gioca tutte le
sue carte sulla scarsa memoria del pubblico, dei committenti,
dei media. Anche il più provinciale – nel senso di operante nella
Provincia dell’Impero – dei progettisti potrà così assurgere ai
suoi quindici minuti di celebrità per aver prodotto, insensibile al
contesto, alla cultura delle persone e/o altri esseri viventi che lo
popolano, l’ennesimo d’aprés di Constantin Brancusi, Jean Arp,
Henry Moore, Frank Stella, Gianni Colombo. Paradossalmente,
proprio nei luoghi dell’effimero – quelli in cui all’architetto è
concessa, brevemente, una pausa nella rincorsa alla celebrità
altrettanto effimera – è possibile trovare qualche traccia
d’ispirazione diversa, siano le sculture zoomorfe del Giardino del
Gigante, siano le piroette delle superfici che Massimo Iosa Ghini
traccia per gli sbalorditi turisti che in fondo a una calletta
veneziana inciampano in un nuovo Ferrari Store. Ancora una
volta, anche nei luoghi dell’esposizione e del commercio
(culturale e non) i materiali ceramici sono più duttili del rame:
come epidermide rigenerata in vitro, dagli alambicchi degli
infaticabili produttori/inventori/alchimisti si distillano,
gocciolano, si spandono e distendono a proteggere gli edifici più
espansivi o più freddi, arrivando perfino a mascherare errori di
scala, budget risicati, misunderstanding dei committenti (volevo
un Supermercato e mi ritrovo un’architettura?), insipienza degli
urbanisti. Lo sguardo disincantato del passante, violentato
quotidianamente da una quantità d’immagini e forme
stratosfericamente superiore a quelle mai percepite dalla razza
umana, attirato dalle superfici metamorfiche della ceramica, si
ritroverà a ripensare quel che per secoli è stata l’architettura:
materia, luce, colore, spazio, sempre mutevoli nel tempo e
soprattutto nell’occhio che la guarda. Irina von Arx
*into
What is happening to contemporary architecture? Transformed
a gigantic park of varieties of 20th century abstract
sculpture, made functional and macroscopic to all different
extents, it is playing its entire hand of cards on the short
memory of its commissioners, the public and the media. Even
the most provincial of architects (meaning those who operate in
the Provinces of the Empire) can attain his or her 15 minutes of
fame by producing, in a mode that is insensitive to the context
and the culture of its inhabitants (be they humans or other living
beings), the umpteenth adaptation of a Constantin Brancusi,
Jean Arp, Henry Moore, Frank Stella or Gianni Colombo.
Paradoxically, in places that are home to the ephemeral (where
the architect is conceded a brief pause from chasing after his or
her celebrity, which is just as ephemeral) it is possible to find a
few traces of a different kind of inspiration. They can be found in
the zoomorphism of the sculptures that populate Giardino del
Gigante and in the pirouettes of surfaces that Massimo Iosa
Ghini executed for the amazed tourists who stumble upon his
new Ferrari store at the end of a narrow calle in Venice. Here we
see once again how ceramic materials are more ductile than
copper, also for use in venues of display and commerce (both of
the cultural and non cultural type). Like an epidermis that is
generated in vitro, from the stills of indefatigable
manufacturers/inventors/alchemists, ceramics are distilled, they
are dripping out, expanding and spreading, in order to protect
the most expansive buildings, and the coldest ones, even ones
that need masking of mistakes in their scale, ones needing to
conceal their super tight budget, misunderstandings with their
commissioners (“I wanted a supermarket and you give me a
piece of architecture?”) or the foolishness of urban planners. The
disenchanted eye of the passer-by, raped daily by a quantity of
images and forms that is stratospherically superior to those ever
perceived by the human race, is attracted to the metamorphic
surfaces of ceramics and will find itself contemplating those
which for centuries were the ingredients of architecture:
material, light, colour and space that are ever changeable in
time and, especially, in the eyes of the beholder. Irina von Arx
Ferrari Store, Venezia/Venice Negozio/Clothing Store Michiels
Progetto/Project: Massimo Iosa Ghini
Produttore/Manufacturer: Ceramiche
Provenza
Kleding, Zottegem,
Belgio/Belgium
Progetto/Project: HM Projects
Produttore/Manufacturer: Cotto d’Este
Nel Sestriere di San Marco, in Merceria San
Zulian, Massimo Iosa Ghini allestisce un Il progetto di interni costruisce un
palcoscenico urbano dove è in mostra, e reso contrappunto di materiali e toni cromatici: ai
accessibile agli appassionati di Formula Uno, colori intensi dell’abbigliamento in esposizione
il sogno Ferrari. Il progetto gioca sulla oppone una scenografia piuttosto essenziale –
lunghe mensole e contenitori in legno
contrapposizione tra le lucide superfici degli
arredi, declinati in rosso Ferrari, e il colore sbiancato – e un pavimento leggermente
grigio, chiarissimo, delle lunghe lastre bucciardato, entrambi di colore molto chiaro. Il
ceramiche (serie Strato, 100x300 cm) che grès porcellanato (serie Buxy Flammé, nel
rivestono le pavimentazioni colore Cendre Naturale) presenta una superficie
in rilievo: come quella di una pietra naturale
* On Sestriere di San Marco, in Merceria San
Zulian, Venice, Massimo Iosa Ghini has set * This interior is a counterpoint of materials
and chromatic themes. The intense colours of
up a city stage for the display of the Ferrari
the clothing on display are contrasted by a
dream, making it accessible to Formula One
somewhat austere setting: long shelves and
aficionados. The design plays upon the
cabinetry in bleached wood and a lightly
contrast between the shiny surfaces of the
pockmarked surface on the floor, all very pale.
Ferrari-red furnishings and the very light
The surface of the porcelain stoneware (Buxy
grey of the long ceramic panels (Strato
Flammé series, colour: Cendre Naturale) has
series, 100x300 centimetres) that are used
the same texture as natural stone
for the flooring
1
3
Arsenale di Venezia, Area
2
Centro commerciale/
Shopping Centre Géant Casino, caffetteria e ristorazione/
Tunisi/Tunis, Tunisia Cafeteria and restaurant area,
Progetto/Project: Atelier G6, Grenoble Venezia/Venice
Produttore/Manufacturer: Ceramiche Caesar Progetto/Project: Gottardo Bonacini
Produttore/Manufacturer: Marazzi
Lo shopping, oggi, si compie soprattutto al
coperto, all’interno di spazi dotati di un Se la cultura è un’esperienza collettiva e,
come tale, condivisibile, deve essere
certo carattere urbano: gallerie, strade,
piazze... I materiali devono così riflettere supportata da strutture di servizio efficaci.
l’idea di una cittadella autosufficiente, con i Un esempio: la Fondazione che dirige la
colori e le tessiture delle pietre naturali. In Biennale di Venezia ha messo a punto un
questo progetto, per esempio, è stato progetto di riqualificazione, realizzando
applicato un grès porcellanato ad alta all’interno dell’Arsenale, tra le Corderie
resistenza declinato secondo le esigenze della Tana e le Artiglierie, un’area con un
funzionali: serie Botticino per la ristorante e un bar. Funzionale, rispetta nei
pavimentazione interna, Natura15, materiali i colori della tradizione veneziana,
Ambienti e Millenarie per gli ampi corridoi e senza rinunciare a una certa creatività. La
le zone di passaggio pavimentazione, posata a correre, è
costituita da lastre in grès porcellanato
*places,
Shopping today is often done in covered
inside spaces that are endowed with a
Stone Collection, colore anthracite (divisione
Marazzi Tecnica). La tessitura del pavimento
certain urban character: gallerias, streets, si completa con inserti in piastrelle goffrate
della serie Mod, colore grafite (produzione
courts… So materials need to reflect the idea
of an autonomous town, with the colours and Peñarroya, azienda spagnola del Gruppo
textures of natural stone. This project uses Marazzi)
high-resistance porcelain stoneware in
different versions according to functional *such,
If culture is a collective experience and, as
can be shared, it needs to be supported
requirements, the Botticino series for indoor
by efficient services. An example: the
flooring, and Natura15, Ambienti and
Foundation responsible for conducting the
Millenarie for the wide hallways and
transition areas
Venice Biennale has devised a renewal plan
for the Arsenale, between the Corderie della
Tana and the Artiglierie: an area designated
to become a café and restaurant. Functional
4
planning and respect for the traditional
colours and materials of Venice is combined
with intense creativity. A continuous
pathway of flooring in dark grey porcelain
stoneware tiles was selected from the Stone
Collection (Marazzi Tecnica). The flooring is
completed by lead-coloured embossed tile
inserts (Mod series by Peñarroya, Marazzi’s
Spanish factory)
5 7
Canberra Centre, Canberra,
Australia
Produttore/Manufacturer: Ceramiche Coem
Nel 1963 fu il primo ministro Robert Menzies
a inaugurare questo centro commerciale, il
primo in tutta l’Australia. Successivamente
ampliato, il Canberra Centre è stato
interessato nel 2002 da un importante
progetto complessivo di ristrutturazione.
Condensatore sociale, riproduce
l’architettura di una grande serra botanica,
con travi metalliche e superfici chiarissime in
grès porcellanato (serie Comete)
*had
Australian Prime Minister Robert Menzies
the honour of inaugurating this shopping
centre, the country’s first, in 1963. Extended in
size in the years that followed, Canberra
Centre received an extensive renovation in
2002. A social focal point, its architecture
reproduces the look of a large greenhouse,
with metal beams and the very pale surfaces of
porcelain stoneware (Comete series)
6 8
Avry centro commerciale/
Shopping center, Avry-Sur-
Matran, Svizzera/Switzerland
Progetto/Project: Bruegger
Produttore/Manufacturer: Impronta
Italgraniti
La concorrenza impone un costante
rinnovamento, anche in senso creativo, di
negozi e centri per lo shopping: la clientela
è, infatti, sempre alla ricerca di nuove
esperienze. È il caso di questo centro
commerciale costruito quasi trent’anni fa
presso Friburgo, nel quale si affronta un
progetto in due fasi: ristrutturazione degli
spazi esistenti e un ampliamento
consistente. Per dotare di uniformità le
superfici orizzontali, è stato scelta la
collezione di grès porcellanato Le Gemme,
nei colori Malachite e Opale, e nel formato
rettificato e levigato 40x40 cm
*and
Competition leads to constant renovation
fresh creative input in stores and
shopping centres, in order to seduce
customers who are forever in search of new
experiences. Such was the motivation behind
the refurbishment of this shopping centre,
built almost 30 years ago outside Fribourg. A
two-fold project was designed to renew the
existing space and attach a sizable addition to
its core. In order to lend uniformity to all
horizontal surfaces, porcelain stoneware was
used from the Le Gemme collection, in the
colours Malachite and Opale, in a precision-
cut and sanded 40x40 centimetre size
La Corte dei Colori, Lecco
Progetto/Project: Diana Barassi, Antonio
Piefermi
Produttore/Manufacturer: Casalgrande
Padana
Un altro modo di ‘progettare’ l’esperienza
dello shopping è la costruzione di
“scenografie urbane”, con ‘quinte’ che
ripropongono la tradizione urbana del
passato. In questo caso, i progettisti calibrano
attentamente lo spazio e l’uso dei materiali
anche attraverso lo studio cromatico. Il grès
porcellanato (Pietre Native, serie Pietra
Serena, nei formati 30x60 e 40x40 cm) riveste
con continuità pavimenti, scale e portali,
anche attraverso l’utilizzo di pezzi speciali
* Another way of “designing” the shopping
experience is to build “urban scenery”,
different settings that are reminiscent of urban
traditions from the past. Here, the designers
carefully balance the space and the use of
different materials with colour. Porcelain
stoneware (Pietre Native from the Pietra Serena
series in sizes 30x60 and 40x40 centimetres)
covers floors, stairs and portals in a continuous
covering, and includes the use of custom pieces
Restauro di/Restoration of Villa
alle Scalette, Vicenza
Progetto/Project: Vittorio Veller (restauro
filologico/historical restoration), Alessandro
Mendini (architettura degli interni/interior
design)
Produttore/Manufacturer: Trend
Una villa antica sui colli che circondano la città
di Vicenza, costruita a fianco dell’Arco di
Trionfo attribuito ad Andrea Palladio, ritorna a
nuova vita grazie all’intervento di tre entità
separate: il committente, che ne fa la sede
della sua azienda; Veller, che restituisce
l’aspetto della costruzione alle origini; e
Mendini al quale viene data carta libera nel
disegno degli interni. Tra loro, si crea un
curioso, quanto intrigante, contrappunto
creativo che regala alle stanze interne del
palazzo una nuova veste materica, colorata e
lucente: come per esempio questo mosaico in
tessere di smalto (collezione Lux) realizzato in
tecnica computerizzata da Claudia Mendini
*An ancient villa on the hills surrounding the
city of Vicenza, built next to the Arch of
Triumph that is attributed to Andrea Palladio,
has been given a new life thanks to three
distinct parties: the commissioner, who will
use the location to house his company; Veller,
who restored the villa to its original
appearance; and Alessandro Mendini, who was
given carte blanche to design its interiors.
Between them, curious and intriguing creative
contrasts came alive, lending the rooms a
fresh, colourful and shiny dimension. See the
enamel mosaic (tiles from the Lux collection)
designed by Claudia Mendini and executed by
means of a computerized technique
9
Media Center, Eindhoven,
Olanda/The Netherlands
Progetto/Project: Massimiliano Fuksas,
Doriana Mandrelli
Produttore/Manufacturer: Cerdomus
Il progetto di un grande centro commerciale,
a pochi passi da un edificio progettato da Gio
Ponti nel 1967 – i Magazzini Bijenkorf –
coinvolge i progettisti nella creazione di una
‘pelle’ ceramica. Da semplice manufatto
costruttivo, la piastrella diventa così
elemento scultoreo che, rivestendo in modo
uniforme il volume, modula di luci riflesse la
superficie del volume architettonico
* The project of a large shopping centre close
to Gio Ponti’s 1967 building for the De
Bijenkorf department store was a stimulus
for its designers to use ceramic cladding. The
result makes the tiles evolve from a simple
construction material to a full-fledged
sculptural element that covers the building
uniformly, giving shape to the light
reflecting off the different surfaces of the
architectural volume
10
XXX from Milano
installazione/installation,
Galleria Vittorio Emanuele II,
Milano/Milan
Progetto/Project: Diego Grandi
Produttore/Manufacturer: Lea Ceramica
Adesivi/Adhesives: Mapei
Un’installazione che riscopre un’architettura
milanese – la Galleria Vittorio Emanuele II –
ma da un punto di vista normalmente
inaccessibile: una telecamera posta sul
culmine della galleria riprende dall’alto
tredici grandi lettere che, insieme, formano
una frase da cartolina (XXX from Milano – in
italiano: baci da Milano), per poi restituire ai
passanti, in basso, la visione complessiva
dell’intervento. Grandi costruisce ogni
elemento rivestendo le superfici verticali con
lucidi listelli ceramici; di colore marrone scuro
(serie Progetto L14) sono posati con fughe
colorate in giallo (Ultracolor Plus, Mapei)
*architectural
This installation highlights one of Milan’s
attractions (Galleria Vittorio
Emanuele II), but from a viewpoint that is
normally inaccessible. A camera positioned at
the top of the galleria’s ceiling films 13 large
letters from above that together spell out the
postcard phrase XXX from Milano. The image
is then projected in its entirety for passers-by
down below. Grandi made each letter by
covering vertical surfaces with shiny ceramic
Fotografia di/Photography by Andrea Martiradonna
tiles: dark brown ceramics (Progetto L14
series) were laid with yellow grout (Ultracolor
Plus by Mapei)
I prodotti ceramici presentati in queste
pagine, contestualmente alla migliore
produzione mondiale, sono in mostra al
CERSAIE di Bologna (26 – 30 settembre 2006)
The ceramic products presented on these
pages, along with the finest in worldwide
production, are on display at the CERSAIE
show in Bologna (September 26 – 30 2006)
 Foto G. Antoniali - Ikon

Design Gabriele Centazzo

Ingegno italiano
Il vetro è l’idea, il fuoco è l’ingegno, è così che nasce Artematica Vitrum. Dalla tradizione artigianale italiana, dove sottile è
il confine tra arte e manufatto, la “cultura della bellezza” di Valcucine interpreta la purezza e leggerezza di uno dei più affascinanti
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