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Penale PT2
Penale PT2
Questo fenomeno è sempre in maggiore crescita nei nostri giorni, anche per effetto dell’incremento delle
forme di c.d. criminalità organizzata che si distinguono sostanzialmente dal concorso di persone,
da qui l’esigenza di fissare precisi criteri di demarcazione.
La differenza che intercorre tra le due figure sta nel fatto che: mentre i diversi tipi di associazioni a
delinquere presuppongono un vincolo stabile tra più soggetti e un programma criminoso;
il concorso di persone nel reato presuppone un vincolo occasionale tra più persone volto alla realizzazione
di uno o più reati determinati, che si fonda sul presupposto che l’unione delle forze renda più agevole la
commissione di un reato che sarebbe realizzabile anche singolarmente
(es: un omicidio o un furto possono essere commessi indifferentemente da uno o più agenti)
Come sappiamo le fattispecie incriminatrici contenute nei codici moderni sono modellate sulla figura
dell’autore individuale, di conseguenza queste non sono direttamente applicabili a quei concorrenti hanno
contribuito alla realizzazione del reato, limitandosi a porre in essere atti che sono, però, insufficienti da soli
ad integrare la figura del reato in questione (es: Tizio si limita a fornire un mezzo di scasso a Caio, sarà
quest’ultimo ad utilizzarlo ed impossessarsi del denaro chiuso nella cassaforte; in un simile caso la norma
incriminatrice è applicabile soltanto a Caio ed il problema sta proprio nell’individuare la norma che
esplicitamente consenta di punire anche Tizio nel ruolo di COMPARTECIPE al fatto e
Il legislatore ha la possibilità di scegliere tra due modelli di disciplina del concorso criminoso:
1. IL MODELLO DIFFERENZIATO: qui il legislatore si sforzerà di tipizzare in maniera autonoma le
diverse forme di partecipazione, distinguendole in funzione dei ruoli rispettivamente rivestiti dai
vari concorrenti (autore, istigatore, complice etc). Questa tecnica differenzia la responsabilità di
ciascun concorrente sul piano della tipicità del fatto es: la figura del complice si distingue da quella
dell’esecutore in base a caratteristiche obiettive che portano, di conseguenza, ad una diversità di
trattamento sanzionatorio.
2. IL MODELLO UNITARIO: questo modello riconduce alla fattispecie concorsuale tutte le condotte che
presentano un nesso di causalità con l’evento, non distinguendo tra condotte primarie e secondarie
di partecipazione. Tutt’al più si terrà conto in sede di commisurazione della pena del contributo
apportato da ciascun concorrente.
Il legislatore italiano del 1930, realizzando un’inversione di rotta rispetto al codice Zanardelli del 1889, ha
optato per il secondo modello come si evince dall’art 110 che, lunghi dall’operare una distinzione tra diversi
ruoli, si limita a stabilire che “
”
IN ALTRI TERMINI, CONCORRE A PARI TITOLO CHIUNQUE ABBIA CONTRIBUITO AL REATO, PURCHÉ VI SIA
UN NESSO CAUSALE.
Tuttavia, la distinzione tra compartecipazione primaria e secondaria rientra nello scenario attraverso
l’art 114 secondo il quale “
Per spiegare il FONDAMENTO TECNICO-GIURIDICO DELLA PUNIBILITÀ DI CONDOTTE CONCORSUALI, la
dottrina penalistica ha escogitato diverse teorie:
1. : secondo questa teoria, che ha dominato per lungo tempo in passato,
la partecipazione criminosa ha natura accessoria, questa condotta, dunque, non ha rilevanza
penale autonoma ma l’acquista nella misura in cui accede alla condotta principale dell’autore
(es: se Tizio si limita a conferire a Caio uno strumento da scasso per compiere un furto, questa sua
condotta non potrà essere punita finché Caio non realizzi l’azione furtiva)
Questa stesso teoria ha ricevuto diverse formulazioni:
a) Secondo una prima versione, la punibilità della partecipazione dipende dalla realizzazione
di una condotta principale a sua volta punibile in concreto (c.d. ACCESORIETA’ ESTREMA);
In applicazione dei principi generali che presiedono alla responsabilità penale, anche la fattispecie
concorsuale si compone di un elemento oggettivo e uno soggettivo.
Ciò significa, dunque, che
• i contributi dei singoli concorrenti devono, innanzitutto, confluire nella realizzazione comune della
fattispecie oggettiva di un reato, a prescindere dal ruolo che ciascuno riveste nell’esecuzione;
• inoltre, non occorre che il fatto collettivo giunga a consumazione, ma è sufficiente che si realizzino
almeno gli estremi oggettivi di un delitto tentato, come si desume indirettamente dall’art 115 dove
“nessuno è punibile: per il semplice fatto di essersi messo d’accordo con altri e per il semplice fatto
di aver istigato altri qualora, in entrambi i casi, il reato non sia stato commesso”
PS: “salvo che la legge disponga altrimenti”, questa riserva è posta all’inizio della disposizione e
allude alle ipotesi nelle quali già il semplice accordo o la mera istigazione, rivolti a speciali interessi,
sono autonome figure di reato. (es: delitti contro la personalità dello stato e contro la P.A.)
La responsabilità a titolo di concorso presuppone che ciascun concorrente arrechi un contributo personale
alla realizzazione del fatto delittuoso. Tradizionalmente si distingue tra:
• CONCORSO MATERIALE: se si interviene personalmente nella serie di atti che danno vita al reato in
concreto;
• CONCORSO MORALE (O PSICOLOGICO): se si dà un impulso psicologico alla realizzazione di un
reato materialmente commesso da altri.
Infine, occorre accertare il contributo materiale del complice alla stregua dei normali canoni causali
poniamo un esempio: colui che funge da palo durante una rapina, non arreca alcun apprezzabile contributo
alla realizzazione del furto non vi è, dunque, partecipazione punibile.
La selezione delle concrete modalità di svolgimento del fatto va operata tenendo conto di quelle
circostanze che effettivamente assumono rilevanza nella prospettiva del necessario condizionamento o
dell’agevolazione del fatto di reato, es: il mero passaggio in macchina nel luogo della rapina non
contribuisce in alcun modo alla realizzazione del fatto.
La ratio si spiega nella preoccupazione garantistica di arginare quella espansione eccessiva dell’ambito della
punibilità.
IL CONCORSO MORALE
Il contributo del partecipe può anche manifestarsi sotto forma di impulso psicologico ad un reato
materialmente commesso da altri. Si è soliti distinguere tra:
a) Il determinatore: definito come il compartecipe che fa sorgere in altri (autore) un proposito
criminoso prima inesistente.
b) L’istigatore: colui il quale si limita a rafforzare o eccitare in altri un proposito criminoso già esistente
Il determinatore assume, nei confronti della lesione del bene, un ruolo più decisivo rispetto all’istigatore
che si limita a eccitare un proposito delittuoso già formato; ed è per questo che IN ALTRI ORDINAMENTI i
due ruoli ricevono una configurazione giuridica autonoma e un differenziato trattamento punitivo.
Nel codice italiano, il termine “istigazione” viene impiegato come espressione comprensiva di ogni forma di
partecipazione psichica; la rilevanza penale dell’istigazione è desumibile dall’art 115 comma 3 che stabilisce
la non punibilità dell’istigazione rimasta sterile.
La condotta istigatoria può avvalersi di qualsiasi mezzo ma non sono sufficienti indicazioni puramente
teoriche o semplici informazioni, se non sottendono almeno il consiglio o l’incitamento a comportarsi in un
determinato modo. Allo stesso modo è da escludere che sia sufficiente ad integrare la complicità morale la
connivenza o adesione psichica es: è da escludere che basti la mera presenza sul luogo del delitto, anche se
eventualmente questa abbia potuto infondere sicurezza a chi delinque.
Può accadere che si verifichi una divergenza tra il fatto oggetto di istigazione e il fatto concretamente
realizzato; tale divergenza può concernere sia il tipo astratto di reato, sia l’oggetto materiale dell’azione:
1. La prima ipotesi dà luogo al fenomeno della commissione di un reato diverso da quello voluto da
taluno dei concorrenti;
2. nella seconda ipotesi ci si chiede se la volizione dell’istigatore debba trovare esatto riscontro nel
fatto concretamente realizzato dall’istigato, richiedendo l’identità dell’oggetto materiale
dell’azione; qualora questa identità dovesse mancare, la responsabilità dell’istigatore dovrebbe
esulare ma nel nostro ordinamento una simile soluzione lascerebbe scoperte esigenze repressive.
Una particolare forma di istigazione è quella realizzata dal c.d. agente provocatore: cioè colui il quale
(spesso si tratta di appartenenti alla polizia) provoca un delitto al fine di assicurare il colpevole alla giustizia.
Questa figura, sorta in origine come ipotesi di concorso morale sotto forma di istigazione qualificata, è
andata nel corso del tempo ampliandosi fino a ricomprendere sia casi in cui l’agente assume la veste di
soggetto passivo del reato (caso di truffa) sia quelli in cui il soggetto s’infiltra in un’organizzazione criminale
allo scopo di scoprirne la struttura e denunciarne i partecipanti.
Per cui, l’agente provocatore non può essere punito, per mancanza di dolo, tutte le volte in cui egli abbia
agito col precipuo scopo di assicurare i colpevoli alla giustizia e non abbia accettato neppure il rischio della
effettiva consumazione del reato.
Per quanto riguarda le norme incentrate sul ruolo di agenti provocatori degli ufficiali di polizia giudiziaria,
queste hanno un inquadramento sotto il paradigma delle cause di giustificazione, più in particolare come
ipotesi speciali di adempimento di un dovere.
È controversa l’ammissibilità di una partecipazione dolosa a delitto colposo e di una partecipazione colposa
a delitto doloso:
a) Nel primo caso, si ipotizzi che Tizio spinga Caio, il quale già versava in errore colposo inescusabile
sulla natura tossica di una sostanza, a immetterla in acque destinate all’alimentazione allo scopo di
provocare un avvelenamento (che poi si verifica).
L’unico modo per punire il comportamento sembrerebbe consistere nel configurarlo come
partecipazione doloso atipica incriminabile solo in quanto concorrente con un delitto colposo altrui.
Il legislatore ha voluto riconoscere la possibilità che più partecipi rispondano del medesimo reato a
titoli diversi, ciò si desume dall’art 116 che considera concorrenti soggetti che rispondono,
rispettivamente, a titolo di dolo e di responsabilità oggettiva. Tuttavia, bisogna sottolineare che
questo fenomeno rappresenta l’eccezione, sicché una rappresentazione in senso contrario
rappresenterebbe una forzatura del principio di legalità.
b) Nel secondo caso, la disposizione di cui all’art 113, ammettendo espressamente la sola
cooperazione nel delitto colposo, sembra escludere implicitamente la cooperazione colposa nel
delitto doloso. Si presuppone in ciascun individuo normale l’attitudine ad un’autodeterminazione
responsabile, ne consegue che ognuno deve evitare soltanto i pericoli derivanti dalla PROPRIA
condotta, mentre non si ha l’obbligo di impedire comportamenti pericolosi di terze persone
altrettanto capaci di scelte responsabili. Per cui, non possono essere definite colpose quelle azioni
che non sono pericolose in se stesse, ma semplicemente perché forniscono ad altri l’occasione di
delinque
(es: tizio, pur essendo a conoscenza dell’astratto proposito criminoso omicida di una donna sua
conoscente, le consegna un veleno topicida nella supposizione che serva ad uccidere i ratti la
donna, invece, lo utilizza per uccidere il marito. La mera prevedibilità astratta del fatto omicida non
basterebbe a qualificare come colposo il comportamento di tizio!)
Nonostante il concorso comporti la parità di responsabilità di ciascun concorrente (art 110), al legislatore
non è sfuggita la diversità di ruoli e apporti che caratterizza la concreta fenomenologia della partecipazione
criminosa; motivo per il quale vi è la distinzione tra AGGRAVANTI e ATTENUANTI, introdotte con lo scopo
di graduare la pena in funzione dell’effettivo contributo di ciascun soggetto alla realizzazione comune.
L’applicazione delle aggravanti è obbligatoria.
1. L’art 112 stabilisce, innanzitutto, un aggravamento di pena nell’ipotesi in cui “il numero delle
persone, che sono concorse nel reato, è di 5 o più, salvo che la legge disponga diversamente”
La ratio è ravvisata nel maggiore allarme sociale e maggiore capacità a delinquere; il calcolo
prescinde dalla colpevolezza, imputabilità o punibilità dei soggetti.
2. La seconda aggravante si applica a chi ha promosso, organizzato o diretto la partecipazione al reato
Il legislatore ha voluto colpire con maggiore rigore la condotta di chi assume una posizione di
preminenza o direzione nella preparazione o esecuzione dell’impresa delittuosa; a tal proposito si
distingue tra promotore (colui il quale ha ideato l’impresa criminosa prendendo l’iniziativa);
organizzatore (chi predispone il progetto esecutivo, scegliendo i mezzi e le persone che lo devono
attuare) e direttore (chi assume funzione di guida e amministrazione)
3. Un’ulteriore aggravante si applica a chi, nell’esercizio della sua autorità, direzione o vigilanza ha
determinato a commettere il reato persone ad esso soggette
Per la configurazione dell’aggravante non è sufficiente che si instauri una qualsiasi forma di
soggezione psicologica, ma è necessario che la persona dotata del potere di supremazia abbia
realizzato una vera e propria coazione psicologica sul soggetto sottoposto
4. Un’ultima circostanza aggravante è prevista per chi ha determinato a commettere il reato un
minore di 18 anni, o una persona in stato di infermità o di deficienza psichica, o si è comunque
avvalso di loro o con loro nella partecipazione di un delitto per il quale è previsto l’arresto in
flagranza.
L’esigenza di contrastare il crescente fenomeno dell’utilizzazione di soggetti non imputabili
nell’ambito della criminalità organizzata ha indotto il legislatore a introdurre nuovi aggravamenti di
pena, infatti, il testo dell’art 112 oggi contiene due nuovi commi che stabiliscono che “la pena è
aumentata fino alla metà per chi si è avvalso di persona non imputabile o non punibile, a cagione di
una condizione o qualità personale, nella commissione di un delitto per il quale è previsto l’arresto
in flagranza.
PS: se chi ha determinato altri a commettere il reato o si è avvalso di altri nella commissione n’è il genitore
esercente la potestà, nel caso previsto dal numero 4 del primo comma la pena è aumentata fino alla metà e
in quello previsto dal 2 comma la pena è aumentata fino a due terzi.
l’articolo attribuisce al concorrente la responsabilità per l’evento diverso non voluto sulla base di un mero
nesso condizionalistico, si configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, che cioè prescinde dal dolo o
dalla colpa.
Tuttavia, si registrano al riguardo due varianti interpretative:
1. Secondo un indirizzo tendenzialmente maggioritario, è sufficiente la prevedibilità in astratto, nel
senso che l’illecito non voluto deve appartenere al tipo astratto di quelli che, in linea puramente
logica, si prospettano come sviluppo del reato originariamente voluto.
2. Ma, alla stregua di un secondo indirizzo che guadagna progressivamente terreno e che meglio
corrisponde alla rilettura in chiave costituzionale della norma, deve richiedersi la prevedibilità in
concreto: cioè non basta che tra i tipi di reato sussista un rapporto di sostanziale omogeneità, ma è
necessario individuare se le modalità concrete di svolgimento del fatto lasciassero prevedere un
esito deviante del tipo di quello avveratosi.
es: tizio caio e sempronio vanno a fare una rapina in una banca; tizio rimane nell’autovettura in quanto il
suo ruolo è quello di autista una volta che caio e sempronio hanno preso il bottino, caio e sempronio si
trovano di fronte alla guardia e gli sparano; quindi, da omicidio si trasforma in omicidio, e ne risponderà
anche tizio ( questa era una circostanza prevedibile); più difficile è il caso in cui Caio, senza alcuna
motivazione o spiegazione, decide di abusare sessualmente della ragazza allo sportello ancora.. sarà diverso
se caio, già in precedenza, aveva subito delle denunce per tentato stupro (allora era prevedibile)
IN OGNI CASO, OPERANO ENTRAMBE LE PREVEDIBILITA’.
PS: va precisato che per reato diverso deve intendersi quello avente un differente nomen juris, non
sarebbe, dunque, tale un reato aggravato invece di un reato semplice (es furto con scasso invece del furto)
Il comma 2 precisa che la disciplina del comma 1 si applica a prescindere dalla minore o maggiore gravità
del reato diverso, tuttavia, il giudice deve obbligatoriamente applicare una diminuzione di pena rispetto a
chi volle il reato minore, si tratta di una vera e propria circostanza attenuante.
È ormai riconosciuto pacificamente che un soggetto privo della qualità personale (c.d. EXTRANEUS) possa
concorrere alla commissione di un reato realizzabile (monosoggettivamente) soltanto da un soggetto
qualificato (c.d. INTRANEUS): questa è l’ipotesi del concorso nel reato proprio e rientra nella disciplina
dell’art 110 perché anche l’extraneus, nonostante non possegga tale qualifica, risponde del reato però,
affinché vi sia responsabilità sono richiesti 2 requisiti: che l’azione venga commessa dall’intraneus e che
l’extraneus sia consapevole di partecipare ad un reato proprio e, di conseguenza, sia a conoscenza della
qualifica dell’intraneus.
… qualora non ne fosse a conoscenza l’art 117 prevede che la pena è diminuita; tuttavia, questa
diminuzione non va applicata nei casi in cui la qualifica soggettiva in questione, sebbene ignorata dal
partecipe, fosse però conoscibile in base a parametri di un uomo ragionevole che si trovasse al suo posto!
l’art 118, modificato dall’art 3 legge n19/1990 stabilisce che “
”
Le circostanze diverse da queste menzionate, dal momento che il nuovo art 59 ha mirato all’obiettivo di
affermare anche su questo terreno il principio di colpevolezza ha reso, dunque, estensibile a tutti i
compartecipi le circostanze attenuanti; mentre le circostanze aggravanti possono essere applicate soltanto
in quanto conosciute o conoscibili dal reo.
• L’atto di desistenza del correo presenta modalità di manifestazione diverse, a seconda del ruolo che
egli assume nella realizzazione collettiva. Ove il soggetto che desiste rivesta la posizione di
“esecutore” sarà in grado di sottrarsi alla commissione del fatto semplicemente interrompendo
l’attività già iniziata. Assai più problematica è la posizione del semplice complice in quanto, spesso,
chi riveste questo ruolo ha già interamente fornito il proprio apporto ancor prima che si raggiunga
la soglia del tentativo, per cui la sua posizione è comparativamente più svantaggiosa e sarà
necessario che si attivi, una volta che il suo contributo si sia già esaurito, per neutralizzare le
conseguenze della collaborazione. Nella misura in cui riesce a privare la realizzazione comune del
proprio apporto, il complice si emancipa dalla commissione di un fatto che, in quanto viene posto
in essere soltanto dagli altri correi, non può più essere considerato opera sua! Per verificare questa
neutralizzazione, occorre che il reato concorsuale consumato non contenga più nulla di
riconducibile all’originario contributo del soggetto che desiste.
Es: tizio, dopo aver introdotto una chiave nell’appartamento preso di mira, la estrae subito dopo e
così i suoi compagni sono costretti ad entrare forzando la porta. Posto che la desistenza rientra tra
le cause personali di esclusione della pena, essa non si estende a tutti i concorrenti ma esime da
responsabilità solo i soggetti a cui si riferisce.
• La configurabilità del pentimento operoso presuppone, a sua volta, che l’azione collettiva sià giunta
ad esaurimento e che uno dei concorrenti riesca ad impedire il verificarsi dell’evento lesivo.
Es: tizio e caio infliggono coltellate a sempronio con volontà omicida ma caio colto da pentimenti
porta sempronio in ospedale riuscendo ad impedirne il decesso.
Il pentimento operoso ha natura di circostanza attenuante.
Quando è la stessa disposizione incriminatrice di parte speciale a richiedere la presenza di più soggetti per
l'integrazione del reato ricorre la figura del concorso necessario o del reato necessariamente
plurisoggettivo.
Questi si distinguono in:
a) reati plurisoggettivi propri, contraddistinti dalla circostanza che vengono assoggettati a pena tutti i
coagenti
b) Reati plurisoggettivi impropri, Vengono assoggettati a pena soltanto uno o alcuni dei partecipanti
al fatto
Nell'ambito del secondo gruppo si pone il problema se il soggetto, esentato da sanzione dalla norma
incriminatrice di parte speciale, possa essere invece ritenuto responsabile in base alle norme che
disciplinano il concorso eventuale.
L'opinione tradizionale nega la punibilità del concorrente non espressamente incriminato dalla norma
incriminatrice di parte speciale, in quanto la circostanza che la sua condotta, per quanto necessaria, non sia
expressis verbis assoggettata a pena, sottintende una precisa scelta legislativa a favore dell'impunita,
ritenendo diversamente si finirebbe col disattendere il principio del nulla nullum crimen sine lege.
Un secondo problema riguarda l'applicabilità ai concorrenti, punibili in base alla norma incriminatrice di
parte speciale, delle norme sul concorso eventuale relative alle circostanze aggravanti e attenuanti nonché
alla comunicabilità sia delle circostanze medesime sia delle cause di esclusione della pena. La dottrina oggi
dominante ritiene che tali norme siano applicabili anche al concorso necessario, essendo espressione di
una disciplina generale relativa al carattere plurisoggettivo della fattispecie, a meno che non siano
espressamente derogate dalle disposizioni che configurano i diversi reati necessariamente plurisoggettivi.
Negli ultimi anni il dilagare della criminalità sia politico-terroristica, sia di stampo mafioso ha reso
particolarmente acuti alcuni problemi di interferenza tra l'istituto generale del concorso di persone e il
reato associativo che corrisponde al modello dei reati a concorso necessario.
1-Si tratta di stabilire in presenza di quali condizioni i membri di un'associazione criminosa, e in particolare
coloro che rivestono ruoli di vertice, rispondano a titolo di concorso eventuale anche dei cosiddetti reati-
scopo materialmente eseguiti da altri associati. 2-Inoltre, sorge il problema di verificare se, e in presenza di
quali presupposti, sia configurabile un concorso esterno ex art 110 ad un'associazione criminosa da parte di
soggetti estranei all'associazione medesima.
a) Per quanto riguarda la prima questione, non basta che i singoli atti delittuosi materialmente
commessi da altri associati rientrino nelle direttrici programmatiche fissati in linea generale dai capi
ma è necessario che tali direttrici contengano già in nuce, sufficientemente predeterminati, almeno
i tratti essenziali dei singoli comportamenti delittuosi realizzati dai compartecipi; ne deriva che una
responsabilità concorsuale a titolo di dolo (eventuale) dovrebbe riconoscersi anche nell'ipotesi in
cui i vertici lancino agli altri associati inviti all'azione, apparentemente indeterminati ma in realtà
idonei a concretizzarsi soltanto in un numero circoscritto di reati.
b) La seconda questione lascia, inevitabilmente, vuoti di tutela e non rimane altro che ipotizzare un
concorso eventuale esterno ex art 110 e ss, nel reato associativo che di volta in volta viene in
questione e la Cassazione si è impegnata nel tentativo di precisarne presupposto e limiti; Più in
particolare viene proposta una distinzione tra concorrente interno: ossia, colui che risulta in
rapporto di stabile e organica compenetrazione nel tessuto organizzativo del sodalizio criminale,
tale da implicare l'assunzione di un ruolo dinamico e funzionale in forza del quale prende parte al
fenomeno associativo, rimanendo a disposizione dell'ente per il perseguimento dei comuni scopi
criminosi; e concorrente esterno: cioè il soggetto che, pur non essendo inserito stabilmente nella
struttura organizzativa dell'associazione, fornisce tuttavia ad essa un concreto, specifico
consapevole, volontario contributo che esplichi una effettiva rilevanza causale e cioè si configuri
come condizione necessaria per la conservazione o il rafforzamento della capacità operativa
dell'associazione o di un suo particolare settore.
Sulla base di una simile definizione, il fondamento della rilevanza penale del concorso esterno tende a
incentrarsi soprattutto sull'efficacia causale del contributo fornito dall’extraneus, in termini di
conservazione o rafforzamento dell'intero sodalizio criminoso. Non a caso la Cassazione si è preoccupata di
precisare che tale efficacia eziologica deve essere accertata ex post e cioè proprio alla stregua dei medesimi
criteri rigorosi che più in generale soccorrono per dimostrare il nesso di condizionamento secondo il
modello di sussunzione sotto leggi specie scientifiche. Tuttavia non è facile rinvenire leggi di copertura o
anche solo generali massime di esperienza vi è perciò il serio rischio che il riferimento alla categoria della
causalità scada ad espediente retorico; proprio perciò sarebbe auspicabile un intervento legislativo diretto
a precisare, mediante la configurazione di una o più fattispecie incriminatrici di parte speciale, le forme di
contiguità davvero intollerabili e perciò meritevoli di repressione penale.
Negli ultimi decenni la criminalità colposa ha subito un impressionante incremento, da qui l’esigenza di un
maggiore approfondimento della struttura del delitto colposo, che ha indotto la dottrina più recente a
costruire la fattispecie colposa in modo separato ed autonomo rispetto al modello doloso di reato.
Si è assistito al passaggio da una generale e unitaria figura di colpa a tipologie di colpa, e questa
frammentazione ha comportato l’esigenza di fissare presupposti minimi comuni da porre a fondamento di
ogni fatto colposo penalmente rilevante.
L’AZIONE
Gli elementi costitutivi della fattispecie commissiva colposa presentano maggiore complessità rispetto a
quelli del delitto commissivo doloso, complessità che deriva anche dal maggiore ritardo col quale è stato
affrontato lo studio dell’illecito colposo.
Il vero significato pratico del concetto di azione consiste nella sua funzione selettiva dei comportamenti
penalmente rilevanti, serve cioè ad escludere le “non azioni” dall’area del penalmente sanzionabile. Nel
terreno del delitto colposo assumono rilevanza penale non solo i comportamenti coscienti e volontari, ma
anche quelli incoscienti e involontari.
Nel campo del delitto colposo vi è azione penalmente rilevante finché è possibile muovere un rimprovero
per colpa; detto in breve: azione e colpa stanno e cadono insieme!
Nei reati dolosi la coscienza e volontà consiste in un coefficiente psicologico effettivo; mentre, nei reati
colposi tale requisito si identifica o con un dato psicologico (colpa c.d. cosciente) o con un dato normativo
(colpa c.d. incosciente), in quest’ultimo senso l’azione si considera voluta anche quando risulta soltanto
“dominabile” dal volere: all’agente si rimprovera il fatto di non aver attivato quei poteri di controllo che
doveva e poteva attivare per scongiurare l’evento lesivo!
L’art 43
Alla base delle norme precauzionali stanno regole di esperienza, ricavate da giudizi ripetuti nel tempo sulla
pericolosità di determinati comportamenti e sui mezzi più adatti ad evitarne le conseguenze; in altri
termini, queste rappresentano la cristallizzazione di giudizi di prevedibilità ed evitabilità ripetuti nel tempo!
Le regole precauzionali richiamate dalle fattispecie colpose hanno una fonte sociale o giuridica.
1. Sono qualifiche normative sociali la negligenza, l'imprudenza e l'imperizia; non sono cioè
predeterminate dalla legge o da altra fonte giuridica, ma sono ricavate dalla esperienza della vita
sociale! (C.D. COLPA GENERICA)
Si ha “negligenza” se la regola di condotta violata prescrive un'attività positiva (es: controllare la
chiusura dell'apparecchio del gas prima di andare a dormire);
“L'imprudenza” consiste, invece, nella trasgressione di una regola di condotta da cui discende
l'obbligo di non realizzare una determinata azione oppure di compierla con modalità diverse da
quelle tenute (es: non mettersi alla guida in stato di profonda stanchezza oppure guidare nel
traffico osservando le opportune cautele);
“L'imperizia” consiste in una forma di imprudenza o negligenza qualificata e si riferisce ad attività
che esigono particolari conoscenze tecniche (es: l'attività medico-chirurgica)
Rimane affidato al giudice il compito di diagnosticare l'azione delittuosa alla stregua di criteri sociali
di valutazione necessariamente aperti e non di rado assai fluidi
2. La fonte delle regole cautelari può anche essere giuridica ed è ciò a cui allude l'art 43 quando
parla di “inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline” (C.D. COLPA SPECIFICA)
In ordine al concetto di leggi (considerato che nel nostro ordinamento la colpa consiste non già
nella causazione di un evento unita alla violazione di una qualsiasi norma, bensì nella trasgressione
di una norma avente una specifica finalità cautelare) potrà rientrare non una qualsiasi legge penale,
ma soltanto quella legge penale che abbia una specifica finalità preventiva.
Per quanto riguarda i regolamenti, gli ordini o le discipline; si tratta di fonti normative che
costituiscono oggetto di studio del diritto costituzionale e del diritto amministrativo.
Le norme giuridiche a contenuto prudenziale sono, a loro volta, distinguibili in ed :
a) Le prime predeterminano in modo assoluto la regola di condotta da osservare (es:
arrestarsi davanti al rosso);
b) le seconde presuppongono, per essere applicate, che la regola di condotta sia specificata in
base alle circostanze del caso concreto (es: la distanza di sicurezza dei veicoli va rapportata
allo spazio di frenata).
In conclusione, è quasi superfluo rilevare che, rispetto alle regole cautelari di fonte sociale, quelle
positivizzati in forma scritta presentano, tendenzialmente, un maggiore livello di certezza!
È importante precisare che l'utilizzazione di un tipo oggettivo di agente-modello non impedisce in certi casi
di individualizzare ulteriormente la misura della diligenza imposta (es: se l’agente dovesse possedere
conoscenze superiori rispetto a quelle proprie del tipo di appartenenza, queste dovranno essere tenute in
conto nel ricostruire l'obbligo di diligenza da osservare);
La previa individuazione del tipo di agente-modello corrispondente al caso concreto oggetto di giudizio
costituisce, quindi, il presupposto per specificare le misure cautelari da adottare allo scopo di neutralizzare
o ridurre il rischio di verificazione di eventi lesivi. In proposito, l'alternativa che si profila è tra un
orientamento sociologico e un orientamento deontologico:
o Secondo il primo punto di vista, l’agente-modello nel ruolo ad esempio di imprenditore, è tenuto
per garantire la sicurezza dei lavoratori ad adottare le medesime misure previste che la maggior
parte degli imprenditori di fatto adottano in relazione allo stesso tipo di attività produttiva, quindi,
orientandosi secondo gli standard dominanti;
o Nel secondo punto di vista, in luogo di fare ricorso agli usi sociali, l’agente-modello è tenuto ad
adottare le misure preventive tecnologicamente più evolute ed efficaci disponibili al momento,
anche se si tratta di misure economicamente costose e non ancora generalmente diffuse nel
settore di attività in questione.
Parte della dottrina penalistica, specie di lingua tedesca, sostiene che l'accertamento della colpa deve
seguire due fasi, in questo senso si parla di doppia misura della colpa:
1. in sede di tipicità si accerta la violazione del dovere obiettivo di diligenza commisurato alla stregua
dell’agente-modello;
2. in sede di colpevolezza si verifica se il soggetto che ha agito in concreto era in grado (secondo il suo
individuale potere di agire) di impersonare il tipo ideale di agente collocato nella situazione data.
Nell’individuare le regole cautelari da adottare nelle diverse situazioni concrete, bisogna tener presente che
quasi tutte le attività umane, anche quelle più banali, presentano margini ineliminabili di rischio.
Ciò è particolarmente evidente nell'ambito delle attività che siamo soliti definire come intrinsecamente
pericolose e che l'ordinamento giuridico tollera perché le giudica indispensabili alla vita di relazione
(es: circolazione automobilistica, ferroviaria o aerea; produzione di materiali esplosivi; attività medico-chirurgica etc).
Ragion per cui il giudizio di colpa presuppone che sia oltrepassato il limite del rischio consentito e, per
verificare l'eventuale superamento di tale limite, è necessario un bilanciamento tra il grado di pericolosità di
certe azioni e la libertà di realizzarle in ragione dei vantaggi che se ne possono ricavare, tenendo sempre
conto del rapporto di equilibrio tra i beni giuridici in gioco; anche se, non di rado, queste valutazioni
operano secondo criteri meramente fattuali: cioè si ritiene consentito ciò che di fatto viene (anche a torto)
tollerato dalla comunità sociale con la conseguenza di legittimare una prassi in cui il grado di pericolosità
dei comportamenti tollerati sopravanza il grado di utilità che essi producono a beneficio della collettività.
Un criterio giuridicamente più vincolante di individuazione preventiva dell'area del rischio consentito può
essere, invece, offerto dal riferimento alle autorizzazioni amministrative che, ove esistano, rendano
esplicitamente lecito lo svolgimento di determinate attività, subordinandone l'esercizio al rispetto di
precise norme cautelari.
Dall'esistenza a carico di ciascun consociato di un dovere obiettivo di diligenza nella vita di relazione,
derivano anche obblighi a contenuto cautelare relativi alla condotta di terze persone, in alcune ipotesi.
Occorre distinguere a seconda che la regola sia una norma scritta o una norma desumibile dagli usi sociali;
1. Nel primo caso, si tratterà di accertare in via interpretativa se nello scopo perseguito dalla
disposizione scritta rientri anche l'impedimento di eventi cagionati dall'azione di terze persone
(es: nel caso di un ordine di servizio che obbliga un agente di polizia a perquisire tutti coloro che si avvicinano di un uomo politico, ove la perquisizione non venga
effettuato venga effettuata male e l'uomo politico subisca un'aggressione, potrà incombere sull’agente una responsabilità a titolo di omicidio o di lesioni colpose)
2. Più complesso è il discorso con riferimento alla violazione di regole generiche di diligenza e, a
questo riguardo, è opportuno distinguere a seconda che la condotta del terzo dia, a sua volta, luogo
ad una forma di responsabilità colposa o dolosa:
a) Nel primo caso, la semplice circostanza di prevedere o poter prevedere che una nostra
condotta agevoli il comportamento colposo di un'altra persona, non è sufficiente a farci
incorrere in responsabilità! Si parte dal presupposto che ciascun individuo capace di
intendere di volere abbia l'attitudine ad un’autodeterminazione responsabile, ne consegue
che ognuno deve evitare soltanto i pericoli scaturenti dalla propria condotta ma non si ha
l'obbligo, invece, di impedire che realizzino comportamenti pericolosi terze persone
altrettanto capaci di scelte responsabili!
Questo principio, tuttavia, subisce delle eccezioni: 1)la possibilità di poter fare affidamento
nel comportamento diligente di un terzo viene meno nei casi in cui particolari circostanze
lascino presumere che il terzo non sia in grado di soddisfare le aspettative dei consociati
(es: Tizio chiede in prestito a Caio un'automobile, e Caio è a conoscenza del fatto che tizio è privo di patente,
nel caso di incidente provocato da quest'ultimo Caio non potrà di certo invocare a propria discolpa il principio
dell'affidamento);2) La seconda eccezione si riferisce alle ipotesi nelle quali l'obbligo di
diligenza si innesta su di una posizione di garanzia nei confronti di un terzo incapace di
provvedere a se stesso;
b) Nel secondo caso, maggiore è la libertà di scelta del soggetto che pone in essere l'azione
dolosa e maggiormente varrà il principio dell'autoresponsabilità, in quanto ciascuno
risponde delle proprie azioni deliberate in modo libero e responsabile!
Anche questo principio tutto via patisce qualche eccezione: 1) un primo limite si ha in quei
casi nei quali un soggetto rivesta una posizione di garanzia avente a contenuto la difesa di
un bene rispetto anche alle aggressioni dolose di terzi che intendono minacciarlo
(es: guardia del corpo assunta per proteggere contro possibili aggressioni di terzi malintenzionati);
2) un secondo limite può venire in questione in rapporto al controllo di fonti di pericolo
(armi, veleni, esplosivi) di cui un terzo possa far uso al fine di commettere un illecito
doloso, quando per particolari conoscenze dell’agente o le circostanze concrete siano tali
da rendere particolarmente elevata la probabilità che il terzo stesso ne approfitti
(es: Tizio in stato di violenta agitazione chiede a Caio una pistola in prestito e Caio gliela fornisce, pur
sapendo che tizio poco tempo prima ha provocato lesioni alla moglie con la quale è uso litigare, non
appare irragionevole prospettare la possibilità di una responsabilità di Caio a titolo di colpa per
l'omicidio poi di fatto commesso da tizio).
B. In secondo luogo, il nesso di rischio induce a chiedersi come sarebbero andate le cose qualora
l’agente, in luogo di ometterla, avesse adottato la misura cautelare che aveva l'obbligo di adottare
(c.d. comportamento alternativo lecito). Una simile verifica ipotetica serve a controllare l'efficacia
preventiva concreta della regola cautelare considerata, in linea preliminare, astrattamente capace
di prevenire eventi dannosi e se all’evitabilità astratta non si accompagna anche l’evitabilità
concreta, viene meno la connessione di rischio e l'evento, proprio perché quest'ultimo si sarebbe
comunque verificato!
Nel reato colposo non sono prospettabili tutte le scriminanti esistenti e ciò è comprovato dall'esperienza
giurisprudenziale sul cui terreno la questione dell'applicabilità delle scriminanti al reato colposo si è in
concreto prospettato soprattutto con riferimento al consenso dell’avente diritto, alla legittima difesa e allo
stato di necessità.
LEGITTIMA DIFESA:
L'applicabilità della legittima difesa al reato colposo è contestata da una parte della giurisprudenza facendo
leva sul fatto che la legittima difesa presuppone la volontà di ledere l'aggressore, mentre nel reato colposo
fa difetto proprio la volontà dell'offesa. In realtà, proprio entro durante l'azione difensiva appare legittimo
provocare anche un evento lesivo che l’agente in realtà non ha voluto e che avrebbe potuto evitare con
l'uso della diligenza dovuta (es: tizio, attorniato da alcuni giovani che stanno per percuoterlo, estrae un'arma e li minaccia ma i giovani
anziché fuggire tentano di disarmarlo per cui nella colluttazione parte, involontariamente, un colpo che uccide uno degli aggressori; a scanso di
equivoci va, innanzitutto, escluso che nella specie si configuri un'ipotesi di eccesso colposo (questo presuppone un'azione difensiva volontariamente
diretta contro l'aggressore, qui ciò che manca è proprio la volontà di aggredire) e va altresì escluso che il fatto sia punibile a titolo di omicidio
colposo)
STATO DI NECESSITA’:
La configurabilità dello Stato di necessità nel delitto colposo è generalmente ammessa in dottrina e
giurisprudenza (es: un genitore uscendo con la propria automobile da un cortile privato e vedendo il figlio di pochi anni di età a
camminare pericolosamente su di un argine, arresta all'improvviso la vettura nel mezzo della strada e così facendo procura delle
lesioni personali ad un motociclista che si scontra con il veicolo imprudentemente abbandonato.)
Lo stato di necessità ricorre soltanto quando l'azione necessitata viola il dovere obiettivo di diligenza!
In altre ipotesi, invece, l'azione necessitata soltanto apparentemente viola il dovere di diligenza
(es: conducente di un autobus che effettua una brusca frenata per evitare lo scontro con un autocarro e così provoca delle lesioni ai
passeggeri; in questo caso il conducente realizza in concreto il migliore adempimento possibile del dovere generale di prudenza
posto a garanzia della sicurezza della circolazione)
Quanto all'elemento conoscitivo si distingue tra colpa cosciente dove l’agente non vuole commettere il
reato ma si rappresenta l'evento come possibile conseguenza della sua condotta; e colpa incosciente
quando il soggetto non si rende conto di poter ledere o porre in pericolo beni giuridici altrui e in questi casi
il rimprovero che si muove al soggetto è di non aver prestato sufficiente attenzione alla situazione
pericolosa.
LA DOPPIA MISURA DEL DOVERE DI DILIGENZA: una volta accertata in sede di tipicità la violazione del
dovere obiettivo di diligenza enucleato alla stregua dell’homo eiusdem condicionis et professionis, il
rimprovero di colpevolezza viene fatto dipendere dall’accertamento dell'attitudine del soggetto che ha in
concreto agito ad uniformare il proprio comportamento alla regola di condotta violata: tale verifica deve
tener conto del livello individuale di capacità, esperienza e conoscenza del singolo agente (c.d. misura
soggettiva) (se tizio, ottantenne con patente in scadenza, investe un pedone perché non lo vede e non
riesce all'ultimo a sterzare data l’anzianità e la scarsa prontezza dei riflessi, lo standard oggettivo di
diligenza richiesto sarà diverso rispetto a quello richiesto ad un valentino rossi che ha corso per tutta la
vita)
Si tratta di stabilire fino a che punto possa giungere l'esigenza di personalizzazione del rimprovero di colpa
perché se si pretendesse di tenere conto di tutte le caratteristiche personali dell’agente concreto, si
finirebbe col giustificare ogni azione colposa. Motivo per cui anche in sede di personalizzazione del giudizio
di colpa debba comunque farsi astrazione da alcune caratteristiche dell’agente concreto, con la
conseguenza di assumere a punto di riferimento pur sempre un soggetto ideale! Anche il giudizio più
personalizzato non può, perciò, rinunciare a un certo grado di oggettivazione o generalizzazione.
Ma il vero oggetto di disputa che continua a dividere “oggettivisti” e “soggettivisti” oggi riguarda lo stabilire
se, ai fini del giudizio di colpa, assumano rilevanza le caratteristiche fisiche e intellettuali; da un lato,
sarebbe contrastante con i fini del diritto penale tener conto delle debolezze caratteriali ma, dall'altro, può
apparire ingiusto accollare al soggetto le conseguenze di limiti fisici o intellettuali a lui non imputabili.
La scelta è influenzata in base al peso che si vuol dare al principio di colpevolezza o alle esigenze di
prevenzione generale, se si privilegia quest'ultima, con la connessa necessità di potenziare al massimo la
responsabilizzazione dei consociati, è più coerente oggettivizzare il giudizio di colpa. ove prevalga la
preoccupazione di evitare il rischio di una strumentalizzazione dell’agente per fini di difesa sociale e tutela
dei beni giuridici è giusto evitare che si risponda penalmente al di là dei limiti fisici intellettuali di ciascuno.
Ps: nel nostro ordinamento è diffusa la tendenza a privilegiare una concezione normativo-oggettivizzante della colpa penale, in omaggio a
preoccupazioni di prevenzione generale e per esigenze di semplificazione probatoria.
LA COOPERAZIONE COLPOSA:
L'art 113 dispone che “nel delitto colposo, quando l'evento è stato cagionato dalla cooperazione di più
persone, ciascuna di queste soggiace alle pene stabilite per il delitto stesso”
La ratio dell'introduzione dell'art 113 è da far risalire all'intento del legislatore del 1930 di risolvere la
disputa dottrinale che si agitava intorno all'ammissibilità di una compartecipazione criminosa sul terreno
del reato colposo in virtù del contrasto tra il requisito del previo accordo e il carattere involontario della
colpa. Ma ad avvenuta introduzione tale problema è passato in secondo piano e l'attenzione della dottrina
si è invece concentrata sui criteri atti a distinguere la cooperazione colposa dal concorso di cause colpose
indipendenti: secondo l'orientamento dogmatico tradizionale la differenza sta nell'esistenza o meno di un
legame psicologico tra i diversi soggetti agenti così: si avrebbe cooperazione colposa, ad esempio,
nell'ipotesi del proprietario dell'auto che istighi il conducente a tenere una velocità eccessiva qualora ne
consegua un investimento; mentre, si avrebbe concorso di fatti colpose indipendenti nel caso di due
automobilisti i quali l'uno all'insaputa dell'altro concorrano a provocare uno stesso incidente.
Dolo e colpa non esauriscono i criteri di imputazione accolti nel nostro ordinamento ma il legislatore allude
ad un'ulteriore parametro di imputazione, che va tradizionalmente sotto il nome di
: cioè, quella forma di responsabilità in virtù della quale un determinato evento viene posto a
carico dell'autore in base al solo rapporto di causalità materiale non richiedendo, dunque, né che
l'evento costituisca oggetto di una volontà colpevole (dolo) né che sia conseguenza di una condotta
contraria a regole di diligenza sociali o scritte (colpa)!
(es: aberratio delicti, la responsabilità del partecipe per il reato diverso da quello voluto)
Le ragioni politico-criminali alla base dell'istituto in esame possono mutare nel corso del tempo in relazione
sia alle diverse esigenze di tutela sia all'evolvere della stessa funzione del diritto penale.
Molte delle attuali ipotesi di responsabilità oggettiva risalgono tradizionalmente al vecchio principio di
matrice canonistico-medievale del versari in re illicita: dove si riteneva che il delinquente-peccatore
dovesse rispondere di tutte le conseguenze oggettivamente cagionate dalla sua precedente azione
criminosa, a prescindere dal se volute o non volute o se prevedibili o fortuite!
L'influenza di questo principio è tutt'oggi ravvisabile soprattutto nelle ipotesi del “delitto
preterintenzionale” e dei “reati aggravati dall'evento”: ipotesi nelle quali, appunto, viene accollato
all’agente, sulla base del mero nesso di causalità materiale, l'evento più grave oggettivamente derivante da
una precedente azione diretta alla realizzazione di un evento meno grave.
A riprova della permeabilità dell’istituto, a partire dall'epoca illuministica lo stesso principio del versari in re
illicita viene reinterpretato in chiave di prevenzione generale: nel senso che la consapevolezza da parte del
potenziale autore che l'ordinamento gli addossa tutte le conseguenze materialmente connesse alla sua
azione illecita dovrebbe, a maggior ragione, inibire la sua spinta criminosa ed è proprio in base a questa
maggiore efficacia intimidatrice che, una parte della stessa dottrina contemporanea, continua a giustificare
il mantenimento di alcune forme di responsabilità obiettiva. Tuttavia questa efficacia generalpreventiva
della responsabilità obiettiva è più presunta che dimostrata, in quanto mancano indagini rigorosamente
scientifiche idonee a dimostrare che la minaccia di un'attribuzione di responsabilità su base puramente
causale incrementi l'efficacia deterrente della sanzione penale ed è poco realistico ipotizzare che la maggior
parte dei potenziali rei siano così esperti di diritto penale da poter cogliere la sottile distinzione tra
responsabilità colpevole e responsabilità obiettiva.
Potremmo ritrovare l'utilizzo della responsabilità oggettiva anche sul terreno processuale dove il ricorso a
essa può servire ad eliminare difficoltà probatorie con riguardo a quei casi in cui risulta particolarmente
complesso l'accertamento giudiziale del dolo o della colpa; tuttavia, il crescente riconoscimento del
carattere costituzionalmente inderogabile del principio di colpevolezza, ha indotto lo stesso legislatore del
1930 a rinunciare a esplicite deroghe alla colpevolezza motivate da esigenze meramente probatorie.
Ma c'è anche da dire che, attualmente, vi è la tendenza processuale a dar luogo a forme di responsabilità
oggettiva occulta, per eliminare complessi accertamenti probatori.
Per quanto attiene alla compatibilità tra la responsabilità oggettiva e i principi costituzionali:
a) Secondo una prima interpretazione, il 1 comma dell'art 27 Cost. si limiterebbe a bandire la sola
responsabilità per fatto altrui e, alla stregua di questa interpretazione minima del principio della
personalità, la responsabilità oggettiva sarebbe perfettamente costituzionale. Ma il problema
consiste proprio nell'interpretazione minima assegnata, che mortifica il significato innovativo
dell'importante affermazione di principio fatta dal legislatore costituzionale; appartenendo, il
divieto di responsabilità per fatti altrui, già ai primordi della civiltà giuridica a prescindere, dunque,
da un suo solenne riconoscimento costituzionalistico!
Se invece, il principio della personalità ex art 27 comma 1 Cost, lo si interpreta nella sua massima
espansione cioè come sinonimo di responsabilità personale colpevole, dove affinché vi sia un
rimprovero di colpevolezza è necessaria almeno la presenza di una condotta contraria al dovere di
diligenza (colpa) la responsabilità oggettiva, basata sul semplice nesso di causalità materiale, sarà
ritenuta contraddittoria!
b) Anche l'art 27 comma 3 Cost giunge a conclusioni non diverse in quanto, la stessa funzione
rieducativa della pena, postula che il fatto addebitato sia psichicamente riportabile (almeno nella
forma della colpa) al soggetto da rieducare, altrimenti nessun rimprovero potrebbe essere mosso e
non avrebbe alcun senso infliggere una pena rieducativa per un fatto che non può costituire
oggetto di disapprovazione.
La responsabilità oggettiva si manifesta in origine nel Codice Rocco e in una duplice struttura:
RESPONSABILITA’ OGGETTIVA PURA e RESPONSABILITA’ OGGETTIVA MISTA A DOLO O COLPA
l’art 83 stabilisce che “se per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato, o per
un’altra causa, si cagiona un evento diverso da quello voluto, il colpevole risponde, a titolo di colpa,
dell’evento non voluto, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo”
Ciò significa che si applicano le stesse pene previste per il reato colposo, mentre il criterio di attribuzione
della responsabilità rimane di natura obiettiva!
Nonostante l’intervenuta modifica legislativa, parte della dottrina sostiene che l’art 57 continui a
configurare un’ipotesi di responsabilità oggettiva (perché nell’originaria formulazione, ai fini della sussistenza della
responsabilità, bastava un’omissione di controllo da parte dei soggetti indicati, a prescindere dalla prova del carattere colposo del
comportamento omissivo medesimo) sostenendo che l’inciso “a titolo di colpa” per come è collocato all’interno
della disposizione, si riferisce non già al fondamento della responsabilità ma alla disciplina del fatto come se
fosse colposo.
La dottrina e la giurisprudenza prevalente considerano, invece, l’art 57come una figura di reato colposo a
tutti gli effetti! In quanto, non basta verificare che il direttore ha obiettivamente violato tale obbligo di
controllo, ma è necessario verificare se tale omissione sia dovuto ad un atteggiamento di negligenza.
OVVIAMENTE, qualora l’omesso controllo del direttore dipenda non già da negligenza, ma dalla precisa
volontà di assecondare la pubblicazione di un articolo di contenuto penalmente illecito, si configura una
norma ipotesi di concorso (DOLOSO) del direttore nel fatto doloso dell’autore dello scritto.
Dalla lettura dell’art 42 si deduce che il legislatore considera la preterintenzione come un criterio autonomo
di ascrizione di responsabilità, diverso dal dolo e colpa e dalla responsabilità oggettiva: infatti, di delitto
preterintenzionale si parla nel 2 comma mentre, riferimento alla responsabilità oggettiva si fa nel 3 comma.
Vi sono due ipotesi di preterintenzione nel nostro codice:
a) La principale è costituita dall’OMICIDIO PRETERINTENZIONALE, che si realizza allorché un soggetto,
con atti diretti a percuotere o ledere, cagiona (involontariamente) la morte di un uomo.
b) La seconda è quella dell’ABORTO PRETERINTENZIONALE, la quale ricorre quando, con azioni dirette
a provocare lesioni, si cagiona come effetto (non voluto) l’interruzione della gravidanza.
In virtù dell’auspicata riforma della responsabilità oggettiva, si dubita sul mantenimento in vita del delitto
preterintenzionale in quanto altro non è se non una filiazione del dolo indiretto, vale a dire una concezione
del dolo da molto tempo abbandonata e perciò non sorprenderà una sua eventuale abrogazione.
Si definiscono aggravati o qualificati dall’evento i reati che subiscono un aumento di pena per il verificarsi
di un evento ulteriore rispetto ad un fatto-base che già costituisce reato.
Il fenomeno è riscontrabile soprattutto nell'ambito dei reati commissivi dolosi (es: il reato di avvelenamento
di acque o di sostanze alimentari è punito più gravemente (ergastolo) se dal fatto deriva la morte di qualcuno.
Non mancano, però, ipotesi di reati omissivi di delitti colposi o di contravvenzioni parimenti aggravati dal
verificarsi di un evento più grave; questi costituiscono l'espressione forse più tipica dell'antico principio del
versari in re illicita: dove l'evento aggravatore, alla stregua di tale principio, viene accollato all’agente in base
al mero nesso causale, prescindendo da qualsiasi requisito di colpevolezza.
2. che la volontà dell'evento più grave comporti l’applicabilità di una diversa fattispecie penale, come
esempi consideriamo: delitti di abuso di mezzi di correzione o disciplina; maltrattamenti in famiglia
o verso fanciulli; oppure delitto di aborto non consentito (che si trasformano in omicidio o lesioni
personali ove i rispettivi eventi aggravatori siano voluti)
Il vero problema, in assenza di una qualificazione legislativa espressa dei reati aggravati dall'evento, è
costituito dalla dibattuta questione della loro natura giuridica. Al momento dell'emanazione del codice,
senza dubbio rientravano nel paradigma della responsabilità oggettiva ma il dibattito è andato
incentrandosi sul problema dell'inquadramento formale dei reati in esame tra le figure di reato
circostanziato o tra le fattispecie autonome di reato.
Parte della dottrina più sensibile auspica a un intervento legislatore volto a trasformare, almeno le più
significative ipotesi di reati aggravati del dall'evento, in fattispecie miste di dolo e colpa; ma, altra parte
della dottrina, ritiene che tale soluzione sarebbe inidonea a riflettere il particolare disvalore di alcune ipotesi
di reato aggravato, da selezionare in sede di riforma con particolare cura, e proprio con riferimento a queste
ipotesi si auspica la creazione legislativa di un nuovo modello di reato aggravato dall'evento strutturato
però in modo tale da eliminare o ridurre i possibili contrasti col principio di colpevolezza.
A norma dell'art 44 quando, per la punibilità del reato, la legge richiede il verificarsi di una condizione, il
colpevole risponde del reato, anche se l'evento, da Cui dipende il verificarsi della condizione, non è da lui
voluto.
Cioè dovuto dalla circostanza che l'evento condizione può verificarsi a prescindere da qualsiasi relazione
psicologica del soggetto.
Le condizioni obiettive di punibilità non sono necessariamente legate da un nesso di causalità materiale con
l'azione illecita, In quanto il primo presupposto è che si tratti, invece, di condizioni di punibilità causalmente
ricollegabili all'azione tipica; inoltre, le condizioni obiettive di punibilità sono distinguibili in intrinseche ed
estrinseche a seconda che contribuiscano o no ad approfondire la lesione dell'interesse protetto.
Ed è proprio con riguardo alle prime che viene a sorgere il contrasto col principio della responsabilità
personale colpevole ex art 27 comma 1 della Cost; in quanto dette condizioni rientrano certamente
nell'ambito degli elementi significativi di fattispecie e, pertanto, in applicazione dei principi fissati dalla
Corte costituzionale nelle sentenze n364/88 e n1085/88, dovrebbero essere imputabili all’agente
almeno a titolo di colpa.