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Il congiuntivo: modalità

semantica o modo
verbale? La canzone
d’autore come
strumento d’analisi

Angelo Labellarte
Il congiuntivo: modalità semantica o modo verbale?

Il congiuntivo: modalità semantica o modo verbale?


La canzone d’autore come strumento d’analisi
Introduzione

“È tempo di riaprire il manuale di grammatica che è molto educativo”


recita una delle canzoni di Sanremo Giovani 2018 intitolata
Congiuntivo. Lorenzo Baglioni, autore del brano, ha mirabilmente
affrontato con ostentata ironia uno degli argomenti più a cuore degli
italiani: il buon utilizzo del congiuntivo. Modo verbale controverso e
spesso oggetto di strafalcioni e polemiche, il congiuntivo è al centro
oggi più che mai di riflessioni di vario tipo. Ritenuto da molti in
pericolo, tale modo verbale è difeso a spada tratta non solo da
linguisti, ma anche da intellettuali, giornalisti o semplici difensori della
lingua italiana.
Questo intervento si pone come obbiettivo quello di fare luce su
alcuni punti oscuri che riguardano il congiuntivo, servendosi in
ultima battuta di un corpus specifico: canzoni d’autore. Dopo
un’esaustiva definizione, il congiuntivo sarà oggetto di un’attenta
analisi, in cui saranno messi a confronto due approcci diametralmente
opposti, tra coloro che ritengono il congiuntivo una modalità
semantica e chi invece lo ritiene solo un modo verbale. Attraverso
quest’analisi sarà altresì possibile comprendere la direzione che il
congiuntivo ha intrapreso sfatando il mito dell’inesorabile declino.
Nell’ultimo capitolo l’analisi del congiuntivo nella canzone d’autore
italiana, sarà strumento ed ulteriore spunto di riflessione di quanto
espresso precedentemente.
Definire il
congiuntivo

Definire il congiuntivo e tracciare le linee guida del suo utilizzo è un


compito assolutamente non semplice. La teoria presentata da alcune
autorevoli grammatiche della lingua italiana di certo ha il merito di
schematizzare una materia molto più complessa di quanto non appaia.
Luca Serianni nella sua Grammatica Italiana ci offre una definizione
concisa e schematica di tale modo verbale. Definisce il congiuntivo un

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Il congiuntivo: modalità semantica o modo verbale?

modo caratteristico soprattutto delle subordinate e chiarisce che in


alcune di esse accanto al congiuntivo si adopera in diversa misura
l’indicativo. Puntualizza che il congiuntivo in alcuni casi non è
portatore di significati specifici ma è preferito all’indicativo per
mere ragioni stilistiche, in quanto proprio di un registro più
sorvegliato. Conclude il breve capitolo ritenendo l’erosione del
congiuntivo ad opera dell’indicativo un fenomeno sopravvalutato
rispetto all’effettiva portata (Serianni 1988, p. 400). E’ altresì
fondamentale comprendere più nello specifico cosa si intenda per
modo. Serianni definisce il modo un tipo di comunicazione che il
parlante instaura con il suo interlocutore (ivi, p. 324). Presenta
l’indicativo come modo della realtà e il congiuntivo come
allontanamento da essa, in direzione di una dimensione volitiva-
potenziale-dubitativa considerata caratteristica di questo modo
verbale. Chiarisce però che il valore dei diversi modi verbali
rappresenta un semplice dato di massima, laddove per l’appunto
l’indicativo e il congiuntivo si alternano in base a valori più stilistici
che sintattici.
Di seguito le subordinate in cui accanto all’indicativo si adopera in
diversa misura il congiuntivo.
- Le causali, costruite di norma con l’indicativo, ammettono il
congiuntivo quando (ivi, p. 485)
i) in una frase negativa traducono una causa fittizia, seguita
normalmente da una causa reale:
Adesso era lieto di non aver cercato di abbracciare Cate, non perché non temesse di
venir respinto, ma perché tutto il caso di quella sera si era svolto sotto un segno
di franchezza.

ii) in una correlazione si indicano due cause ciascuna delle quali ha la


stessa possibilità di essere quella reale:
Chiamano ‘sor maé’ chiunque stia loro sul naso, o perché sospettino che vada per
stuzzicarli, o perché riconoscano in lui un ceto diverso e distinto.

iii) si avvicina al valore di una completiva:

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Si sentiva lusingata dal fatto che entrambi ci chiamassero tutti per nome.

- Nelle consecutive il congiuntivo compare quando la subordinata


assume una connotazione di eventualità o di potenzialità (ivi, p.
493):
Andiamo tanto lontano che colui non senta più parlar di noi.

- Nelle ipotetiche solitamente si usa il congiuntivo nella protasi (ivi,


p. 500):
Se volessi riuscirei.

- Nelle concessive il modo fondamentale è il congiuntivo.


L’indicativo si trova soprattutto dopo anche se (ivi, p. 500):
Uscì con i suoi amici malgrado fosse notte.

- Nelle temporali il congiuntivo introduce una sfumatura di


eventualità. E’ di regola dopo la locuzione prima che (ivi, p. 508):
E’ meglio uscire prima che chiudano le porte.

- Nelle avversative può aversi il congiuntivo dopo nonché (ivi, p. 513):


Non che non ne fossi io stesso convinto, ma volevo che fosse lui a darmene le
prove.

- Nelle comparative il congiuntivo è usato dopo secondo, a seconda che,


le quali contengono un’alternativa rispetto al contenuto della
proposizione principale, qualora si accentui il carattere eventuale
dell’alternativa (ivi, p. 516):
Dio ha dato alla chiesa l’autorità di rimettere e di ritenere, secondo che torni in
maggior bene, i debiti e gli obblighi che gli uomini possono aver contratti in lui.

- Nelle relative il congiuntivo attribuisce alla frase una coloritura


eventuale, accostandola a una finale, a una consecutiva o ad una
condizionale (ivi, p. 525):
Fanno entrare sua sorella che lo consoli.

- Nelle incidentali si usa il congiuntivo specie nelle ipotetiche e nelle


concessive (ivi, p. 257):
Giorgio, benché fosse raffreddato, volle uscire lo stesso.

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Nelle proposizioni che seguono il congiuntivo è l’unica possibilità.


- Nelle finali esplicite (ivi, p. 490):
Te lo dico perché tu ci vada.

- Nelle proposizioni di adeguatezza (costrutto esplicito) (ivi, p. 495):


Troppo adulto perché mio padre avesse ancora il diritto di prenderlo a schiaffi.

- Nelle esclusive (costrutto esplicito) introdotte da senza che (ivi, p.


521):
Senza che me ne accorgessi mi rendeva allegra.

In altre subordinate il congiuntivo è preferito all’indicativo solo per


ragioni stilistiche.
- Nelle oggettive (ivi, p. 468):
Pensiamo che questa faccenda sia /è preoccupante.

- Nelle soggettive, nelle dichiarative e nelle interrogative indiretta


(ivi, p. 479):
Mi chiedo quale sia / è la soluzione migliore.

Oltre che nelle subordinate, il congiuntivo compare anche in alcuni


tipi di frasi semplici.
- Nelle interrogative con valore dubitativo (ivi, p. 482):
Che sia una bugia?

- Nelle volitive (esortative e permissive) (ivi, p. 443):


Passi da me!

Venga pure!

- Nelle ottative (ivi, p. 443):


Fosse vero!

Ad un’analisi più profonda, possono emergere delle perplessità in


merito ad alcuni elementi che tale definizione di congiuntivo può
lasciare trasparire. In termini aprioristici la norma di per sé può
apparire come una gabbia nella quale gli inevitabili mutamenti

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linguistici sono prigionieri di una definizione marmorea. A ciò si


aggiungano altre riflessioni indispensabili se si vuole comprendere la
direzione che ha intrapreso il congiuntivo nella nostra lingua. La
definizione di Serianni ha di certo il merito di evidenziare le
caratteristiche di tale modo verbale. Lascia però aperta la porta della
ricerca in merito ad alcuni elementi. Il congiuntivo come modo delle
subordinate, inteso in termini sintattici ma anche modalità semantica
che caratterizza l’espressione di un dubbio, di una realtà soggettiva. Il
congiuntivo come mera scelta stilistica a cui si oppone l’utilizzo di un
indicativo ritenuto più colloquiale e meno raffinato. Elementi
dunque in parte sovrapponibili che fanno del congiuntivo un
modo verbale controverso e percepito da alcuni come in lento
ed inesorabile declino e da difendere a spada tratta.
Approccio
neopurista

Sembra sempre più diffusa l’idea che il congiuntivo stia vivendo una
fase di decadenza, scatenando diversi approcci e strategie di difesa o
rassegnazione. In tanti ritengono il congiuntivo in pericolo,
associando a tale ipotesi delle motivazioni di vario genere, che
spesso appaiono troppo semplicistiche provocando un
allarmismo in parte ingiustificato.
Lo stesso Serianni afferma di ritenere il congiuntivo ben saldo
nell’italiano scritto rispetto a quanti parlano di una presunta “morte
del congiuntivo” in determinati domini. In una sezione della sua
grammatica l’autore prospetta sinteticamente un quadro della
situazione attuale del congiuntivo, considerando soltanto la seconda
persona singolare del congiuntivo presente in regresso in favore
dell’indicativo. Le ragioni vanno ricercate nella forme identiche delle
prime tre persone e un abbia senza soggetto è associato
automaticamente alla terza persona singolare. A ciò si aggiunga
l’omissione frequente del pronome personale in italiano e sono
evidenti secondo Serianni le ragioni per cui hai sostituisca sempre più
frequentemente abbia. Afferma inoltre che nella lingua letteraria e nel
parlato non troppo informale, il modo dell’oggettiva è condizionato

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dal tipo di verbo reggente, associando al congiuntivo verbi che


esprimono volizione, aspettativa, opinione e persuasione (Serianni
1988, p. 468).
Il rispetto di date regole e l’utilizzo appropriato del congiuntivo,
laddove il suo mancato uso è prontamente segnalato come errore
preferibilmente da “evitare”, è l’approccio perseguito da autori
neopuristi. Essi preoccupati dallo stato di salute del congiuntivo
forniscono consigli e prescrizioni agli italiani insicuri o in difficoltà.
Tale è la linea ad esempio adottata da Della Valle e Patota nel loro
manualetto Viva il congiuntivo!, in cui gli autori consigliano di evitare
l’utilizzo dell’indicativo al posto del congiuntivo ritenendo il
secondo una scelta più sorvegliata (Della Valle, Patota 2006, p.24).
I due autori descrivono schematicamente le modalità di utilizzo del
congiuntivo partendo da tipi di frasi autonome, che non dipendono
da altre frasi. Queste forme di congiuntivo autonomo sono: il
congiuntivo esortativo, il congiuntivo dubitativo, il congiuntivo
esclamativo e il congiuntivo desiderativo. Molto più frequente è il
congiuntivo nelle frasi che non sono autonome, ma dipendono da
un’altra frase. In alcune di queste, il congiuntivo è obbligatorio.
Particolarmente interessanti sono quelle frasi in cui il congiuntivo non
è l’unica scelta. Sono casi più complessi (e più discussi) di alternanza
fra congiuntivo e indicativo nell’italiano: perché si deve dire e scrivere
«Dico che hai agito bene» e «Spero che tu abbia agito bene» e non,
poniamo, «Dico che tu abbia agito bene» e «Spero che tu hai agito
bene»? (ivi, p. 46). E’ necessaria secondo Della Valle e Patota una
lezione di grammatica. Nelle completive (oggettive, soggettive e
dichiarative) la scelta tra indicativo e congiuntivo dipende dal tipo di
verbo o di espressione che precede la congiunzione che. Si ha
l’indicativo dopo verbi, nomi o aggettivi che esprimono certezza e
obiettività, laddove invece si ha il congiuntivo dopo verbi, nomi o
aggettivi che esprimono opinioni, sentimenti, desideri e volontà
personali (ivi, p. 63). Verbi come accorgersi, affermare, confermare,
constatare, dichiarare, dimostrare, dire, giurare, insegnare, intuire,
notare, percepire, promettere, ricordare, rispondere, sapere, scoprire,

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scrivere, sentire, sostenere, spiegare, udire, vedere, ecc. richiedono


l’indicativo perché esprimono certezza (ivi, p. 70):
Arrivati di corsa alla stazione si accorsero [constatarono, notarono, scoprirono,
videro] che il treno era già partito.

Ciò vale anche con i nomi come certezza, conferma, constatazione,


dimostrazione, ecc. e con gli aggettivi certo, chiaro, consapevole,
evidente, ovvio, sicuro, ecc. (ivi, p. 72):
Ho la certezza che mi hai mentito.

Sono sicuro che si è reso conto dei suoi errori.

Se questi stessi nomi e aggettivi si trovano in frasi negative (e quindi


esprimono non certezza ma, al contrario, dubbio e incertezza), allora
richiedono che + il congiuntivo (ivi, p. 75):
Non ho la certezza che il contratto venga firmato domani.

Non senza apparenti contraddizioni gli autori puntualizzano che pur


essendo questi aggettivi costruiti in genere con l’indicativo, è possibile
trovarli anche seguiti dal congiuntivo, come nella frase che segue,
accettabile in tutt’e due le versioni:
Era sicuro che avesse fatto in tempo a prendere il treno.

Il congiuntivo pare una scelta obbligata in frasi in cui la componente


soggettivo – dubitativa è espressa dal verbo della reggente. Verbi
come credere, dubitare, giudicare, immaginare (immaginarsi), mettere
(nel senso di «supporre», «fare un’ipotesi»), negare, pensare,
presumere, prevedere, ritenere, sospettare, supporre e nomi come
convinzione, credenza, dubbio, idea, impressione, ipotesi, opinione,
sospetto, ecc. esprimono opinione o convinzione personale e
vogliono il congiuntivo (ivi, p. 79):
Credo [immagino, penso, presumo, ritengo] che a quest’ora Luca stia già
dormendo.

Particolarmente interessante è il caso del verbo dire. Il congiuntivo


può essere usato con il verbo dire, se questo ha un soggetto generico
e indeterminato (si dice, dicono, c’è chi dice, si direbbe) oppure con

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espressioni negative del tipo non dico, non voglio dire, non intendo
dire:
Dico che tu hai ragione.

Non dico che tu abbia ragione.

I due autori affermano altresì che con questi verbi, in un livello


stilistico meno formale, sono del tutto normali anche frasi costruite
con l’indicativo futuro, confermando quindi la presenza di variazione
diafasica nell’utilizzo del indicativo pro congiuntivo (ivi, p. 84):
Sembra che gli studenti domani faranno sciopero.

Il congiuntivo si ha dopo verbi o nomi che esprimono un atto della


volontà (che può essere un ordine, una preghiera, una richiesta,
l’accettazione di qualcosa, un permesso, una necessità). Verbi come
accettare, acconsentire, chiedere, decidere, disporre, domandare,
esigere, evitare, fare, impedire, lasciare, opporsi, ordinare, ottenere,
permettere, pregare, preoccuparsi, pretendere, proporre,
raccomandare (raccomandarsi), sopportare, suggerire e nomi come
bisogno, condizione, consiglio, desiderio, intenzione, norma, ordine,
patto, regola, scopo, voglia richiedono il congiuntivo (ivi, p. 92):
L’avvocato ha chiesto che l’imputato prendesse la parola.

Il caso del verbo decidere lascia ancora una volta trasparire qualche
incertezza. Se decidere non significa «prendere una decisione» ma
«arrivare a una conclusione», ha l’indicativo dopo di sé. Si noti la
differenza (ivi, p. 97):
Ho deciso che sia Marco a partire. Ho deciso [= concluso] che è meglio non
partire.

Il congiuntivo si ha dopo verbi, nomi o aggettivi che esprimono un


sentimento personale (che può essere un desiderio, un timore,
un’illusione o una finzione, un piacere, un dispiacere, una gioia) con
verbi come amare, aspettare (aspettarsi), attendere (attendersi),
augurare (augurarsi), desiderare, dispiacere (dispiacersi), fingere,
illudersi, preferire, rallegrarsi, sperare, temere, volere o con nomi

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come Attesa, desiderio, finta, paura, pericolo, speranza, timore, voglia


(ivi, p. 101):
Clara aspettava [attendeva, si augurava, desiderava, sperava, voleva] che Stefano
le telefonasse.

Il congiuntivo si anche ha dopo alcuni verbi alla terza persona che


esprimono necessità o convenienza come bastare, bisognare,
convenire, importare, occorrere, servire, valere la pena, ecc., e dopo
alcune espressioni impersonali formate dalla terza persona del verbo
essere + un aggettivo: è normale, è logico, è desiderabile, è doveroso,
è essenziale, è importante, è indispensabile, è inutile, è meglio, è
necessario, è ovvio, è preferibile, è indubbio, e infine nell’espressione
non è che (che significa «non sembra che», «non si può dire che») (ivi,
p. 104):
Bisogna che Michele prenda una decisione.

Il congiuntivo si ha, infine, se la frase introdotta da “che” precede la


frase reggente, indipendentemente dal tipo di verbo, nome o aggettivo
reggente. Siamo di fronte ad un caso di prolessi che offre interessanti
spunti di riflessione:
Che le opere di Verdi ti piacessero, lo sapevo già. (Se la frase introdotta da che
seguisse la reggente, avremmo l’indicativo: «Sapevo già che le opere di Verdi ti
piacevano».)

Della Valle e Patota ammettono la presenza di variazioni diafasiche


rispetto all’utilizzo dell’indicativo pro congiuntivo quando affermano
che dopo alcuni verbi, nomi e aggettivi elencati, nell’italiano
colloquiale non è raro incontrare l’indicativo al posto del congiuntivo,
soprattutto se il soggetto della frase introdotta da che è la seconda
persona singolare tu (ivi, p. 111):
Gianni, credo proprio che hai torto. (Invece che tu abbia.)

Coerentemente con il loro approccio neopurista segnalano però che


in casi del genere, l’indicativo al posto del congiuntivo può essere
accettato nell’italiano parlato, ma è preferibile evitarlo nell’italiano
scritto e anche nell’italiano parlato di tono formale, facendo

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riferimento a due aspetti della variazione linguistica: diamesico e


diafasico.
Un capitolo a parte merita la costruzione della frase ipotetica. L’ipotesi
può essere di tre tipi, a seconda che sia presentata come certa, come
possibile o come irreale.
Un’ipotesi reale può avere tutti i tempi dell’indicativo sia nella frase-
condizione sia nella frase-conseguenza:
Se le cose stanno così, non importa.

Le ipotesi possibili e irreali utilizzano il congiuntivo nella condizione


e il condizionale nella conseguenza (ivi, p. 119):
Se mi offrissero un buon lavoro, accetterei subito.

I due autori sottolineano ancora una volta come nell’italiano


colloquiale (informale) le cose possono cambiare. Spesso, per
esprimere un’ipotesi irreale, nell’italiano parlato, al posto del
congiuntivo e del condizionale, si adopera l’indicativo imperfetto:
Se mi avvertivate prima, la pizza la portavo io.

Della Valle e Patota consigliano di evitare l’indicativo nell’italiano


scritto e in quello parlato in situazioni formali: in questi casi è sempre
preferibile usare il congiuntivo nella frase-condizione e il condizionale
nella frase-conseguenza (ivi, p. 128). In Viva il congiuntivo! i due autori
pur avendo un chiaro approccio neopurista non si mostrano allarmisti
rispetto alle sorti del congiuntivo. Facendo riferimento a numerose
ricerche evidenziano l’ottimo stato di salute in cui il congiuntivo versa.
Ciò non toglie che la tendenza al “comune senso dell’errore” (cioè la
censura che la comunità dei parlanti esercita sull’errore di lingua)
pervade l’atteggiamento degli autori rispetto al buon uso del
congiuntivo. Nonostante affermino che dovrebbero rassegnarsi
coloro che credono che nella lingua tutto sia riconducibile a una
regola, Della Valle e Patota non possono fare a meno di tracciare delle
regole di buon uso del congiuntivo. Ad una condivisibile analisi
sintattica i due autori affiancano un’analisi semantica di tale modo che
offre interessanti spunti di riflessione.

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Il congiuntivo: modalità semantica o modo verbale?

Sul valore semantico del congiuntivo si è espresso anche Beppe


Severgnini. L’autore di L’italiano. Lezioni semiserie condivide l’idea del
congiuntivo come modo del dubbio, sostenendo che la sua crisi derivi
da un presunto eccesso di certezze da parte degli italiani. Secondo
Severgnini oggi tutti sanno e affermano, sempre meno sono
quelli che credono e ritengono. E’ chiaro che in questo contesto
il congiuntivo non trova spazio nella costruzione di pensieri ed
idee degli italiani di oggi.
Andrea De Benedetti avvalla l’idea del congiuntivo come modo della
soggettività e del dubbio. Dire “credo che sia” anziché “credo che è”
equivale a voler rivestire di un velo di dubbio la prima affermazione.
Chiara e coerente con quanto esposto appare la posizione di Tristano
Bolelli quando afferma che l’indicativo e il congiuntivo permettono di
indicare due aspetti diversi di una situazione. La rinuncia al
congiuntivo rappresenterebbe un impoverimento della nostra lingua
da imputare a cause interne (tv, stampa, parlare comune) ed esterne
come il francese e l’inglese.
Congiuntivo: modo
verbale o modalità
semantica?

L’approccio neopurista, come evidenziato nel capitolo precedente,


denuncia qualsiasi mutamento della lingua. E’ evidente però che il
linguaggio verbale esiste unicamente in funzione dei mutevoli e
imprevedibili bisogni espressivi-comunicativi-cognitivi dei parlanti di
una comunità. La lingua muta, si evolve e si adatta alle esigenze
dei parlanti e dei contesti in cui viene utilizzata. I neopuristi
segnalano come “errore” ogni variazione della lingua rispetto
alla norma, giudicata non-etimologica o di matrice dialettale, senza
tener conto delle infinite necessità espressive dei parlanti e dei loro
livelli culturali. Per esempio molti italiani nel linguaggio colloquiale
utilizzano “credo che tu hai ragione” anziché “credo che tu abbia ragione”. I
neopuristi considererebbero la prima frase poco opportuna,
ignorando le innumerevoli incognite dei vari contesti in cui l’atto
linguistico prende forma.

Materiali Difformi 11
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Salvatore Sgroi in Dove va il congiuntivo? assume una posizione critica


rispetto all’approccio neopurista, dimostrando con mirabile chiarezza
che il mutamento del congiuntivo è causato da fattori del tutto
comprensibili e ampiamente accettabili nel quadro delle
variazioni linguistiche. L’utilizzo dell’indicativo pro congiuntivo è
considerato un naturale arretramento di quest’ultimo dovuto in primis
a cause interne (Sgroi 2013, p. 21). La scarsa distanza fonica dei
morfemi tra indicativo presente e congiuntivo presente potrebbe
essere una delle cause dell’arretramento del congiuntivo.
INDICATIVO PRES. Io am-o, noi am-iamo, voi am-ate

CONGIUNTIVO PRES. Io am-i, noi am-iamo, voi am-iate

Fondamentale è anche il nodo teorico rispetto alla convinzione


tradizionale e scolastica del congiuntivo come modo dell’incertezza e
del dubbio. Come ampiamente analizzato nel capitolo precedente,
Della Valle e Patota seguendo un approccio neopurista nel solco della
tradizione, attribuiscono al congiuntivo un valore semantico. Il senso
del verbo reggente (certezza o dubbio) richiede a seconda dei casi il
congiuntivo o l’indicativo. Il verbo pensare ‘esprimere una
convinzione’ andrebbe con l’indicativo, mentre pensare ‘esprimere
un’opinione’ vorrebbe il congiuntivo:
Io penso che è giusto così.

Io penso che sia giusto così.

L’omonimia sembra solo di tipo apparente e le due frasi in questione


condividono lo stesso significato, differendo solo di registro:
informale (indicativo) / formale (congiuntivo).
Gli autori di Viva il congiuntivo! distinguono anche decidere ‘prendere una
decisione’ con indicativo da decidere ‘concludere’ con congiuntivo:
Ho deciso (preso una decisione) che è meglio non partire.

Ho deciso (concluso) che sia Marco a partire.

Anche in questo caso la presunta differenza semantica del verbo


reggente e conseguentemente del congiuntivo pare del tutto

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discutibile. ‘Prendere una scelta’ o ‘concludere’ hanno lo stesso


significato. Sfumature semantiche sottili, quasi impercettibili che
appaiono poco incisive sulla scelta o meno del congiuntivo. Ancora
una volta la spiegazione più credibile è quella legata alla variazione
diafasica del linguaggio, laddove il congiuntivo attribuisce un tono più
formale all’enunciato (ivi, p. 34).
Il giornalista Beppe Severgnini in Italiano. Lezioni semiserie ritiene che la
crisi del congiuntivo sia dovuta ad una tendenza da parte degli italiani
ad esprimere opinioni categoriche su ogni argomento. Considera il
congiuntivo come una modalità semantica a cui facciamo sempre più
a meno perché non esprimiamo più dubbi:
Penso che Luca è un somaro.

Penso che Luca sia un somaro.

Secondo Severgnini la prima affermazione non lascia spazio ad


equivoci, ‘io sono convinto che Luca è un somaro’ e questa convinzione
richiede l’indicativo. Numerosi studi dimostrano che non vi è
nessuna presunta crisi del congiuntivo, per di più connessa ad
una alquanto presunta assenza di dubbio degli italiani. In realtà
il congiuntivo coesiste con l’indicativo ed è preferito a
quest’ultimo in contesti formali da parlanti mediamente colti.
La linea seguita dalla maggior parte dei neopuristi è quindi quella
dell’opposizione semantica tra congiuntivo ed indicativo.
Condivisibile appare invece la presa di posizione di De Benedetti
(2009) quando afferma che la scelta del modo dipende dalla
grammatica, quella della modalità da ciò che voglio dire. Il congiuntivo
è quindi un modo utilizzato in italiano per lo più nella costruzione
delle subordinate.
Sgroi offre un interessante esempio, estremamente esemplificativo
rispetto al congiuntivo inteso come modo e non già come modalità
semantica. Il punto di vista soggettivo della frase è espresso dal verbo
della reggente e non dalla presenza o meno del congiuntivo (ivi, p. 57):

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i) credo che Dio esista.

ii) credo che Dio esiste.

Nella frase i) l’impiego del congiuntivo sottolinea semplicemente la


presenza di una subordinata. Credere in Dio è una convinzione che
non lascia trasparire possibili dubbi. E’ evidente che nella frase i) chi
afferma di credere lo fa senza indugiare. Chi afferma di credere
nell’esistenza di Dio nella ii) non lo fa con maggiore convinzione.
L’uso dell’indicativo segnala soltanto un modo di esprimersi meno
ricercato. Pare del tutto evidente che la fede in Dio è espressa dal
verbo della reggente e che la scelta tra indicativo e congiuntivo è solo
una questione di stile. Chi ‘crede che Dio esista’ non è meno credente di
chi ‘crede che Dio esiste’. Il congiuntivo è quindi un semplice modo, non
una modalità semantica. Se la differenza fosse di significato non
avremmo problemi a distinguere l’indicativo dal congiuntivo.
Un altro esempio (ivi, p.81):
i) Temo che tu sia in malafede.

ii) Temo che tu sei in malafede.

Il timore è una sensazione del tutto personale. La presenza del


congiuntivo nella i) non rende il timore più soggettivo. La scelta
dell’indicativo nella ii) non muta il significato dell’enunciato, ma è
semplicemente avvertito come meno formale.
Il verbo spiegare non ha alcuna valenza di soggettività, dubbio o
incertezza, eppure (ivi, p. 73):
Mi spiegò per quale motivo fosse stato picchiato.

Se il congiuntivo fosse realmente una modalità semantica questa frase


non avrebbe senso. Spiegare sarebbe in piena opposizione rispetto al
fosse stato. La frase però è considerata corretta ed elegante nella misura
in cui consideriamo il congiuntivo come semplice modo verbale.
Nelle ipotetiche il valore della possibilità è veicolato dal verbo della
principale al condizionale. Il congiuntivo sottolinea il valore di
subordinazione della frase in cui appare, risultando ancora una volta
come modo verbale. La sua sostituibilità con l’indicativo dimostra

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l’inesistenza del valore potenziale attribuito al congiuntivo (ivi, p. 95):


i) Se avessi studiato avrei passato l’esame.

ii) Se studiavo avrei passato l’esame.

La frase ii) è sicuramente avvertita come inopportuna, come poco


elegante. La condizione necessaria per passare l’esame però è espressa
in egual modo in entrambe le ipotetiche.
E’ evidente quindi che il congiuntivo sia (o è) una modo che la
grammatica italiana prevede nella costruzione soprattutto delle
subordinate. Associare al congiuntivo un valore semantico appare una
forzatura che lascia trasparire evidenti contraddizioni.
La risposta all’alternanza tra congiuntivo ed indicativo va ricercata
piuttosto nel campo delle variazioni linguistiche. Lorenzo Renzi in
un suo articolo intitolato Ancora su come cambia la lingua sottolinea una
sovraestensione del congiuntivo rispetto all’indicativo in determinati
contesti. Interessante e totalmente controcorrente rispetto al pensiero
comune è innanzitutto l’idea che il congiuntivo possa scalzare
l’indicativo e non viceversa. Un analisi sociolinguistica che prenda in
considerazione le numerose variazioni linguistiche esistenti avvalla
quanto espresso in questo capitolo: il congiuntivo non ha alcun
significato.
La sua alternanza con l’indicativo non è di ordine semantico ma
è legata ad una serie di varianti. Come già accennato in precedenza
il primo elemento da prendere in considerazione è la variazione
diafasica. Il piano formale e informale del linguaggio si alternano
anche tra i parlanti più colti e l’indicativo pro congiuntivo è il risultato
di questa variazione non già di una variazione di significato.
Renzi sottolinea come nel linguaggio giornalistico ad esempio vi sia
un uso abbondante del congiuntivo, che a volte può apparire
addirittura come una forzatura.
… era importante dichiarare che la schiavitù fosse legittima

(Luciano Canfora, intervista al Giornale radio 3, 10/12/2018)

Materiali Difformi 15
Il congiuntivo: modalità semantica o modo verbale?

In questa frase il congiuntivo sarebbe improprio se ad esso associamo


un valore semantico. Era importante non sottolinea dubbio o
soggettività. Il congiuntivo qui è un modo verbale utilizzato per
introdurre una subordinata. La ragione per cui sia stato utilizzato al
posto dell’indicativo, va ricercata quindi nella volontà da parte di chi
si esprime di volerlo fare in un tono più formale (diafasia).
In termini diamesici l’oscillazione tra congiuntivo e indicativo è
altrettanto evidente. Nel parlato prestiamo meno attenzione rispetto
a quanto facciamo nei testi scritti. La variazione diamesica in realtà
coincide molto spesso con quella diafasica nella misura in cui un testo
scritto, nella maggior parte dei casi, è avvertito come un mezzo adatto
a comunicare in modo più formale. Ciò non toglie che nella
produzione orale tendenzialmente è più frequente riscontrare
l’utilizzo dell’indicativo pro congiuntivo.
L’estrazione sociale dei parlanti condiziona fortemente il modo di
esprimersi. E’ evidente che un parlante poco colto farà spesso a meno
del congiuntivo. La diastratia è quindi un’altra fondamentale
variazione da prendere in considerazione se si vuole comprendere le
modalità di utilizzo del congiuntivo.
Penso che tu sei bravo.

Mettiamo che questa frase sia stata pronunciata da un anziano che non
ha portato a termine il proprio ciclo di studi. In termini diastratici è
evidente che l’utilizzo dell’indicativo pro congiuntivo è dovuta ad una
scarsa conoscenza della grammatica da parte di chi parla. L’indicativo
non segnala una presunta convinzione in luogo di un congiuntivo
sinonimo di dubbio o soggettività. E’ chiara l’assenza totale di
qualsiasi valore semantico da attribuire a tale scelta. L’indicativo
prevale semplicemente perché chi pronuncia tale frase non possiede
sufficienti mezzi culturali per poter utilizzare il congiuntivo.
Le variazioni insomma rendono ancora più evidente la totale assenza
di significato nel congiuntivo. Con ciò non si intende affermare che
l’italiano possa o debba a fare a meno di tale modo verbale. Il termine
congiuntivo deriva dal latino coniunctivus ovvero congiungere.

Materiali Difformi 16
Il congiuntivo: modalità semantica o modo verbale?

Unire due parti, due segmenti, due proposizioni è la vera


funzione del congiuntivo. Un modo verbale, non una modalità
semantica.
Il congiuntivo nella
canzone d’autore

In Viva il congiuntivo!, Della Valle e Patota ritengono che l’alternanza


tra congiuntivo ed indicativo nella canzone italiana, dimostra che la
lingua di quest’ultima sia vicina a quella dell’italiano della
comunicazione corrente.
E’ possibile che molti autori scelgano di utilizzare l’indicativo al posto
del congiuntivo con il fine di rendere il proprio linguaggio più
popolare e diretto. Ligabue in un’intervista a Gino Castaldo pubblicata
sulla «Repubblica» il 24 marzo 2006 dichiarò «Per me la canzone non
può non essere popolare, e questo mi ha portato [...] al rifiuto del
congiuntivo». L’artista emiliano parla di una chiara scelta di stile,
finalizzata dunque a rendere le proprie canzoni più popolari.
In questo capitolo l’analisi del congiuntivo nelle canzoni vuole partire
da considerazioni di carattere statistico. I numeri sono il punto di
partenza per capire quale direzione e quale valenza assume il
congiuntivo nei testi delle nostre canzoni. Si è scelto un genere,
quello del cantautorato, per dare maggiore coerenza alla ricerca.
Otto album di otto cantautori degli anni ’70 sono stati il punto
di inizio di questo studio. L’analisi di altrettanti album di
cantautori contemporanei offre dati importanti per una
riflessione di carattere diacronico.
In primis è stata effettuata una seppur semplice quanto efficace analisi
statistica inerente all’impiego del congiuntivo nelle canzoni d’autore.
Così come affermato già nei capitoli precedenti, il mito della
scomparsa del congiuntivo pervade fortemente l’immaginario
collettivo. I numeri in realtà dimostrano tutt’altro anche nella canzone
d’autore.
Ma procediamo con ordine: il calcolo del numero della totalità dei
verbi e del congiuntivo in ogni singola canzone è stato indispensabile

Materiali Difformi 17
Il congiuntivo: modalità semantica o modo verbale?

per ricavare la percentuale della frequenza relativa del congiuntivo in


ogni album. La frequenza del congiuntivo rispetto alla totalità dei
verbi impiegati nei testi è il dato oggettivo che mostra, senza lasciar
spazio a dubbi e fraintendimenti, la direzione intrapresa dal
congiuntivo.
Di seguito i dati ricavati dall’analisi degli album degli anni ’70.

I dati delle 63 canzoni analizzate evidenziano innanzitutto la bassa


frequenza del congiuntivo: solo 2,66% dei casi. Nei capitoli precedenti
è stato osservato che il congiuntivo è per lo più il modo delle
subordinate, il verbo che congiunge due proposizioni. La scarsa
frequenza del congiuntivo dimostra che evidentemente poche sono le
subordinate presenti in questi testi. I dati ricavati dai vari album
mostrano delle percentuali coerenti, che oscillano di qualche punto.
Il cantautore che utilizza più di sovente il congiuntivo è
Francesco Guccini. Nel suo album Via Paolo Fabbri 43 il numero di
congiuntivi tocca quota 32, con una frequenza relativa pari al 6,27%.
In media 5 congiuntivi a canzone, dati che dimostrano un impiego
importante di tale modo verbale da parte di Guccini. La canzone con
più congiuntivi dell’album è Via Paolo Fabbri 43: 15, con una frequenza

Materiali Difformi 18
Il congiuntivo: modalità semantica o modo verbale?

del 15%. Dati ben al di sopra della media, le cui ragioni vanno ricercate
nel significato e quindi nella struttura sintattica della canzone. Guccini
è stato definito più volte cantore del dubbio, dell’incertezza. La frase
ipotetica esprime una condizione (più o meno ipotetica) e ne indica la
conseguenza che deriva o deriverebbe dal realizzarsi della condizione
espressa. Ecco alcuni dei congiuntivi di Via Paolo Fabbri 43:
Se fossi più gatto, se fossi un po' più vagabondo.

Se solo affrontassi la mia vita come la morte.

Se fossi accademico, fossi maestro o dottore.

In queste ipotetiche Guccini si serve del congiuntivo imperfetto nella


protasi per esprimere una condizione impossibile, irrealizzabile. La
canzone a detta dell’autore emiliano è una canzone autoironica, fatta
di tanti se fossi che sottolineano la natura stessa del testo: un invito al
fare, ad osare di più, ad essere qualcos’altro. E’ evidente quindi, che
l’elevato numero di congiuntivi in questa canzone è motivato dal
senso stesso del testo e dall’esigenza di utilizzare una determinata
sintassi, per poter esprimere determinate idee. In questa così come in
altre canzoni Guccini non fa mai a meno del congiuntivo; l’artista
emiliano lo utilizza abbondantemente per “necessità sintattica”.
La totale assenza di congiuntivi caratterizza al polo opposto i
testi di Rino Gaetano. Nel suo album Mio fratello è figlio unico non vi
sono congiuntivi. E’ chiaro che la totale assenza di tale modo verbale
non va ricercata nell’ignoranza o nella scadente capacità di scrittura di
Gaetano. I testi dell’autore calabrese sono caratterizzati dalla presenza
di frasi semplici, concise e dirette. Al contrario di Guccini, nei testi di
Gaetano è la non necessità che giustifica la totale assenza di
congiuntivi. Ecco uno dei passaggi della canzone Sfiorivano le viole:
si lavora e si produce si amministra lo stato

il comune si promette e si mantiene a volte

mentre io oh ye aspettavo te

Sei verbi consecutivi, sei immagini che si susseguono senza sosta. In


Mio fratello è figlio unico Gaetano non si serve di periodi sintatticamente

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Il congiuntivo: modalità semantica o modo verbale?

complessi, ma di frasi semplici che denotano la scrittura dello stesso


cantautore. E’ chiaro quindi che Gaetano facendo pressoché a meno
delle subordinate, non ha l’esigenza di impiegare il congiuntivo. Stesso
discorso vale per Lucio Dalla. Nel suo album Com’è profondo il mare la
frequenza del congiuntivo si arresta allo 0,73%. Numeri al di sotto
della media anche per Ivan Graziani in Pigro che raggiunge solo lo
0,83%.
Ciò che accomuna questi cantautori non è l’omissione del
congiuntivo. Pressoché assenti sono i casi di indicativo pro
congiuntivo. E’ bene ribadire che la scarsa frequenza di quest’ultimo
è motivata dalla struttura sintattica dei versi delle canzoni prese in
analisi. Una scelta di stile che si riflette in una scrittura sintatticamente
meno complessa. In media con le percentuali ricavate sono gli album
di Fabrizio De André, Francesco De Gregori, Claudio Lolli e Giorgio
Gaber.
Di seguito i dati dei cantautori degli anni ’10 del nostro secolo.

Il primo dato da analizzare è quello sulla frequenza relativa di tutti gli


album presi in esame: 2,80%, solo 0,14% superiore agli album degli
anni ’70. Emerge quindi una frequenza pressoché identica del
congiuntivo. In termini diacronici il dato statistico mostra una stabilità

Materiali Difformi 20
Il congiuntivo: modalità semantica o modo verbale?

di tale modo verbale nei testi delle canzoni d’autore. Il lento declino
del congiuntivo sembra non toccare affatto il cantautorato italiano.
Anche in questi testi vi è una quasi totale assenza di casi di indicativo
pro congiuntivo.
L’artista che ne fa più uso è Vinicio Capossela, con una frequenza
del 4,21%. L’elemento interessante che emerge dallo studio dei testi
del cantautore irpino, riguarda i casi in cui viene impiegato il
congiuntivo; molto spesso Capossela utilizza tale modo verbale nelle
frasi principali, perlopiù volitive ed ottative. Ecco qualche esempio:
Che venga da fuori che faccia mal odore

Che venga la peste e liberi il divieto

Che non danneggi i vetri

Un impiego del congiuntivo che rappresenta un unicum nei testi


analizzati e che fa di Capossela il principale fruitore di tale modo
verbale.
Al polo opposto troviamo Giovanni Truppi, il quale fa un uso
modesto del congiuntivo: 0,97%. Le ragioni sono identiche a quelle
ricercate nei testi di Gaetano di quarant’anni prima. L’artista
napoletano non omette volutamente il congiuntivo; egli piuttosto non
lo impiega per una totale assenza di subordinate nei propri testi. Ecco
un estratto della canzone Conoscersi in una situazione di difficoltà:
Distinguersi avvicinarsi e riconoscersi

Dimenticare tutti i fuochi spenti i mostri i fallimenti

Liberare tutti i prigionieri

Non ti preoccupare

Frasi semplici dal punto di vista sintattico, in cui è evidente il ruolo


marginale del congiuntivo.
Le percentuali della frequenza relativa evidenziano quindi l’ottimo
stato di salute nei testi delle canzoni d’autore.

Materiali Difformi 21
Il congiuntivo: modalità semantica o modo verbale?

E’ altresì interessante capire il valore che il congiuntivo assume in


determinati versi. Si è ampiamente visto nei capitoli precedenti,
quanto sia complesso il tentativo di definire il congiuntivo dal punto
di vista semantico. Nello studio delle canzoni d’autore, importanti
spunti di riflessione emergono da rari casi di ambiguità di indicativo
pro congiuntivo.
In Com’è profondo il mare di Lucio Dalla particolarmente interessante è
l’alternanza congiuntivo/indicativo nelle frasi con il verbo reggente
fingere. La finzione sottintende un’ipotesi, una supposizione seguita
da un congiuntivo coerente semanticamente con il verbo della
principale. Eppure in un altro verso della stessa canzone Dalla utilizza
dopo il verbo fingere un indicativo. Le frasi in oggetto veicolano lo
stesso significato: fare finta cioè immaginare, supporre. La
subordinata con l’indicativo non rende la supposizione meno
ipotetica. L’artista utilizza entrambi i modi verbali attribuendo loro
alcun valore semantico.
far finta che in fondo in tutto il mondo c'è gente con i tuoi stessi problemi

facendo finta che la gara sia arrivare in salute al gran finale.

In Storia di un impiegato di De André vi sono altri elementi interessanti.


La struttura sintattica di Canzone del Maggio, prima traccia dell’album, è
principalmente costituita dall’impiego di subordinate concessive. Uno
dei primi versi recita:
Anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti.

La canzone si chiude con:


Per quanto voi vi crediate assolti, siete lo stesso coinvolti.

Due concessive con lo stesso verbo reggente, introdotte da due


locuzioni differenti. Anche se vuole l’indicativo, per quanto il
congiuntivo. Gli indifferenti, i contrari e gli oppressori saranno
coinvolti malgrado la loro convinzione di essere assolti. L’alternanza
congiuntivo/indicativo non marca nessuna differenza di significato
tra le due frasi in oggetto. L’impego dell’uno e dell’altro modo verbale
è dato dalla scelta delle due differenti locuzioni che introducono la

Materiali Difformi 22
Il congiuntivo: modalità semantica o modo verbale?

subordinata. Dal punto di vista semantico le due frasi appaiono


identiche.
In Cerco un Gesto Naturale Gaber scrive:
Non so più chi sono

In un altro pezzo dello stesso album Gaber utilizza il congiuntivo:


Non so quanto sia emozionante

Il non sapere indica un dubbio, perciò sarebbe preferibile utilizzare il


congiuntivo nella subordinata, se si vuole dare coerenza semantica alla
frase. Nel primo caso l’artista milanese impiega l’indicativo per evitare
ambiguità. Le prime tre forme del congiuntivo presente del verbo
essere sono identiche: sia. Nel secondo caso invece Gaber utilizza il
congiuntivo poiché non vi sono margini di errore nell’interpretazione
di quanto viene detto. Sembra dunque che l’impiego o meno del
congiuntivo non indichi una sfumatura diversa di significato. La sua
alternanza con il congiuntivo è data da altri fattori: in questo caso la
possibile ambiguità del congiuntivo presente del verbo essere. Il
dubbio in entrambe le frasi è espresso dalla negazione del verbo
reggente sapere, non già dall’uso o meno del congiuntivo.
Tirando le somme, due sono le considerazioni che emergono
dallo studio compiuto: il congiuntivo non è in declino e la sua
funzione appare più sintattica che semantica.
L’impiego del congiuntivo nei testi delle canzoni varia numericamente
a seconda del modo di scrivere dei vari artisti. Il congiuntivo quando
richiesto è impiegato. La scelta di stile appare più legata alla struttura
stessa della frase, non già all’utilizzo o meno del congiuntivo. Vi sono
artisti che si servono di subordinate per articolare pensieri più lunghi
e complessi da decifrare, e artisti che utilizzano frasi semplici in cui il
congiuntivo non è presente. Infine quei rari casi di ambiguità, in cui
vi è margine di scelta tra indicativo e congiuntivo, mostrano che la
scelta dell’uno o dell’altro modo è data da fattori esterni all’ambito
semantico.

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Il congiuntivo: modalità semantica o modo verbale?

Bibliografia

 V. Della Valle, G. Patota, Viva il congiuntivo!, Sperling e Kupfer,


Milano, 2009.
 L. Renzi, Ancora su come cambia la lingua. Qualche nuova indicazione,
in Atti del LII Congresso Internazionale di Studi della Società
di Linguistica Italiana (Berna, 6-8 settembre 2018), a cura di
Bruno Moretti, Aline Kunz, Silvia Natale, Etna Krakenberger,
2019, pp. 13-33.
 L. Serianni, Grammatica italiana. Italiano comune e lingua letteraria.
Suoni, forme, costrutti, UTET, Torino, 1988.
 B. Severgnini, L’italiano. Lezioni semiserie, BUR, Torino, 2007.
 S. Sgroi, Dove va il congiuntivo?, UTET, Torino, 2013.

Materiali Difformi 24
Il congiuntivo: modalità semantica o modo verbale?

Materiali Difformi, 2020


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Per Materiali Difformi attualmente scrivono:


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L’illustrazione in copertina è La scuola del villaggio (1886) di Giuseppe Costantini

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