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GUERNICA, PABLO PICASSO

Pablo Picasso, artista spagnolo di spicco del XX secolo, dipinse dall’aprile al giugno del
1937 una delle sue più famose opere: “Guernica”, conservata nel Museo Reina Sofia a
Madrid. Egli dipinse questa tela di grandi dimensioni (3,49 m x 7,77 m) in seguito alla
distruzione dell’omonima città spagnola, nonché la prima città ad aver subito un
bombardamento aereo. Nel luglio del 1936 prese il via la guerra civile spagnola, nata come
rivolta del generale Francisco Franco contro il governo repubblicano che aveva sostituito la
monarchia spagnola nel 1931. Il 26 aprile 1937 i bombardieri tedeschi inviati da Hitler in
aiuto di Franco devastarono la città di Guernica e proprio due giorni dopo Picasso iniziò il
celebre dipinto.
L’opera fu dipinta in appena due mesi ma fu preceduta da ben 45 schizzi preparatori. Nel
dipinto è raffigurata una scena di massacro e sofferenza in cui le donne e i bambini sono le
principali vittime. Picasso accosta diverse scene creando una composizione caotica e
frammentata: la prima figura che si trova sulla sinistra è quella di una donna disperata che
tra le sue braccia tiene il suo bambino che ormai è morto e su di sé veglia lo sguardo di un
toro, simbolo della Spagna distrutta da questa tragedia, continuando al centro sotto una
lampada elettrica si trova un cavallo che nitrisce disperato, simbolo dell’umanità, in basso si
può notare un guerriero morto, che simboleggia i soldati spagnoli, poi una donna che fugge
dal dolore e una che tiene una lampada per illuminare le tenebre, infine a destra si trova
un’immagine drammatica di una donna che si dispera tendendo le braccia al cielo in un
edificio che brucia.
Inoltre l’artista scelse di rinunciare al colore in favore di un efficace contrasto tra bianco e
nero per rendere al massimo il senso di tragedia e di angoscia.
Quest’opera rappresenta il tentativo da parte di un esponente della cultura di intervenire nel
mondo politico. Infatti questo dipinto è diventato un vero e proprio manifesto dell’arte
impegnata del Novecento, tanto che è stato posto un arazzo che lo riproduce nel corridoio
che conduce alla sala del consiglio di sicurezza dell’ONU a New York perché lo scempio
della guerra non venga mai dimenticato.
Sul ruolo degli uomini di cultura, degli artisti, degli intellettuali all’interno della società si
interrogò anche Seneca nel primo secolo d.C. . Egli si attiene al principio fondamentale della
filosofia stoica cioè che il compito dell’uomo è rendersi utile agli altri uomini. Infatti Seneca,
come anche Cicerone precedentemente, sostiene che l’uomo virtuoso debba cercare in
ogni modo di non sottrarsi alle sue responsabilità umane e civili. La morale di Seneca è,
nelle sue radici, una morale attiva, romana, proiettata verso l'esterno, fondata sul principio
del bene comune. Infatti egli come sapiente in prima persona si impegnò pubblicamente
soprattutto negli anni Cinquanta, quando fece da pedagogo e poi da consigliere al principe.
Ridotto nel 62 al silenzio politico, è costretto di nuovo a riflettere sul rapporto tra vita
contemplativa e vita attiva e questa volta ritiene più opportuno privilegiare la prima rispetto
alla seconda, in quanto un saggio non può operare in uno stato in cui non c’è libertà ed è
costretto quindi a ritirarsi dal mondo per dedicarsi al perfezionamento interiore e all’otium.

In questo secolo segnato da molta violenza e sofferenza in seguito a due grandi guerre e
numerose crisi economiche si sviluppa una nuova corrente filosofica: l’esistenzialismo, che
ha come capostipite Martin Heidegger. Egli si pone come obiettivo quello di cercare le
fondamenta, il senso più profondo, della condizione umana. Con Heidegger riemerge la
questione ontologica, che era già stata ampiamente affrontata nel corso della storia ma non
si era mai giunti a sviluppare un vero e proprio concetto dell’essere. L’uomo è l’unico ente
che si interroga sul problema dell’essere e in cui si manifesti il senso dell’essere (luogo di
disvelamento).
Inoltre sottolinea l’essenza dell’uomo caratterizzata da sofferenza e angoscia, in quanto,
come sosteneva anche Søren Kierkegaard, l’uomo è pura possibilità non è determinato e di
fronte all’indeterminatezza della realtà prova angoscia e si rifugia in quello che Heidegger
chiama il “mondo del si” secondo il quale ci si adegua a quello che fanno gli altri e si smette
di pensare. Però il non pensiero può condurre l’uomo verso il male, come sostiene la filosofa
Hannah Arendt nel suo celebre libro “La banalità nel male”. Infatti l’uomo ogni giorno deve
sforzarsi di prendere delle decisioni per vivere un’esistenza autentica, in quanto è solo
un’illusione quella di essere meno a rischio vivendo nel “mondo del si”.

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