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Autore: Fregoso, Antonio Fileremo

Titolo: Rime
Pubblicazione: Roma : Biblioteca Italiana, 2004
Lingua: ita
Genere: Poesia
Periodo: 500
Classificazione CDD: 851.3 - POESIA ITALIANA. 1492-1542

Descrizione fonte cartacea

Titolo: Opere
Autore: Fregoso, Antonio
Altra resp.: Dilemmi, Giorgio
Pubblicazione: Bologna : Commissione per i testi di lingua, 1976
Record SBN: IT\ICCU\SBL\0058282

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Neniae Magnifici Domini Antonii Campofregosii Phileremi equitis in letum Magnifici Domini
Gasparis Ambrosii Vicecomitis sodalis unici

Chi darà a gli ochi mei d'acqua mai tanto,


ch'io possa lacrimar sì longamente,
che adequi al mio gran duol l'assiduo pianto?
Unde averò mai voce sì dolente,
che esprimer possa pur la minor parte
de la grave passion che 'l mio cuor sente?
Se mai chiesi a cantar ingegno e arte,
o biondo Apollo, or prego che m'aiti
a lacrimar in queste flebil carte,
però che ho i spirti mei così smarriti
como quelli a chi el fulmen presso ha dato,
che restan senza senso impauriti.
Ehimè! Milan de la sua gloria è orbato:
simel par ora a un prezïoso anello
che de la cara gemma sia privato;
perso ha il figliol diletto e io un fratello:
lui del suo cuor, io d'un conforto privo,
che mai più troverò simil a quello.
Ah! morto è il magno mio Vesconte divo,
errario di virtù e ornamento
de la patria sua mentre fu vivo:
ben se conviene un publico lamento
a così grave e publica iattura,
e tenebre da poi che un sol è spento.
Che d'altro ha mai peccato in lui Natura,
se non in darli così breve vita?
Matre, perché gli fusti in questo dura?
Fortunato era cun bontà infinita
e virtù sempre gli abitava in petto,
che raro cun fortuna vien unita.
La Parca cun un colpo maledetto
ha troncato quel fil donde pendea
tutti i ben che pon far un uom perfetto.
Ma fa, se sai, o dispietata e rea,
ché 'l tuo furor contra Virtù non vale:
tu sei profana e lei sacrata dea.
Morto hai el mio Vesconte e le'immortale
li farà el nome, e a l'alma glorïosa
per salir sin al ciel ha dato l'ale.
Ma, lasso, ehimè! partita dolorosa
non già per te, Gaspàr, ma per chi resta
a lacrimarte in questa via fangosa.
Vedo la patria lacrimosa e mesta
e i spirti gentil pianger dispersi
qual grege spaventato da tempesta:
e chi non sa d'una passion dolersi,
gli ascolti, e se non lacrima cun loro
più che Niobe certo ha i sensi persi.
Sento le Grazie e di Parnaso il coro
pianger e col figliol Venere afflitta
e Minerva dolerse cun costoro;
Febo ha la lira sua rotta e sconfitta
e piange per Gaspàr qual per Fetonte
pianse, quando smarrì la via diritta.
Amici vedo poi del mio Vesconte
se avvien che un tempo non se sian veduti,
pianger inseme cun le man congionte
e per superchio duol restati muti,
guardarsi lacrimosi ambi nel volto
e dar suspiri in cambio di saluti.
E quando queste cose e vedo e ascolto,
ch'ognor fan più crudel la piaga mia,
dico: - Deh fuss'io ancor teco sepolto! -.
Almen, ahi tristo me! non vederia
questi eiulati e questi accenti orrendi,
qual vedendo, Pluton se attristeria.
E se io sento da poi che alcun commendi
l'opere sante e sue parolle accorte
e quei gesti suavi e reverendi,
vero è che ogni suo onor me piace forte,
ma pur alor rinova il mio dolore,
che io vedo quanto ben m'ha tolto morte.
Né vado in loco alcun, né vengon l'ore
dove e quando il vedea, che non se impiaghi
per la memoria in mille parte il cuore.
Ehimè! non trovo cosa che me apaghi,
ehimè! la metà ho perso di me stesso:
sempre di pianti gli occhi mei fien vaghi,
per fin ch'io non ti sia, Gaspàr, apresso.

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