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MITOLOGIA GRECA E ROMANA

INTRODUZIONE
GUERRA OBI GIGANTI CON GLI OBI ( Fot. A llnari)
(da un aarcofago antico)

Fondamenta della religione greca. - Il mito. - Ani­


mismo e antropomorfismo. - Il culto degli Dei e de­
gli Eroi. - Mito e poesia.

La religione degli antichi Greci non sorse, come Mi­


nerva dalla testa di Giove, bell'e armata, o come Ve­
nere dalla spuma del mare, nello splendore della beltà
e della giovinezza. La crearono, rozza e mostruosa, fol­
le primitive in tempi in cui lo spirito umano era av­
volto dalla superstizione e dal terrore. La prima idea
che il popolo greco si fece del mondo, fu questa: in­
torno a noi è tutta una lotta di mostri enormi, potenti
e feroci, che posseggono e si disputano la terra e il
cielo, il mare e le montagne, l'aria dai soffi veementi
e il fuoco che tutto distrugge. Nulla possiamo fare con­
tro quelle potenze terribili, noi, piccole creature im­
pastate d'argilla e di lagrime. Cerchiamo dunque di
placare la loro collera, procuriamo con preghiere e sa-
8 MITOLOGIA GRECA E ROMANA

crifici di renderci propizi quegli spiriti impetuosi e osti­


li, misteriosi e malvagi.
E così adorarono gli Spiriti da cui credevano anima­
ti gli e!ementi, le meteore, le cose, le piante e gli ani­
mali: e 11er la loro stessa crudeltà divinizzarono il ful­
mine, la .fiamma, la nube che si scioglie in grandine,
il vento che abbatte, le belve che dilaniano.
Quella religione inconscia e primordiale, fatta di pau­
ra più che di pietà, propria dell'infanzia di tutti i po­
poli e ancora viva nelle torbide credenze dei selvaggi,
è chiamata animismo. Si deve ad essa la pullulazione
di mostri e di deità fra l'umano e il ferino che ringhia­
no nelle fondamenta arcaiche della mitologia greca;
tali i Lèmuri, i Giganti, i Pigmei, i Cabiri, i Telchini,
i Centauri, Tifone, le Gorgoni, le Lamie, ecc. Più tardi,
migliorate di molto le condizioni della vita e perfezio­
natesi le facoltà dello spirito, gli uomini sentirono, ol­
tre la pericolosa potenza degli elementi, la loro gran­
diosa bellezza, l'armonia che nresiede alla loro lotta
feconda, il dono della vita chè sorge dall'intrecciarsi
delle energie dell'universo. E si indugiarono a contem­
plare le tinte rosee dell'aurora, il limpido azzurro del
sereno, la seta distesa del mare, le maestose groppe
delle montagne. Così alla concezione superstiziosa e
feticista subentrò la concezione poetica e veramente
religiosa, che ha un contenuto di commozione, d'esta­
siato stupore e di riconoscenza, e che fonda la morale
sul culto degli Dei. Interpretando l'anima delle folle,
i poeti crearono allora i Miti, quelle favole piene d'al­
legorie e di significati nascosti, nelle quali un'umanità
che non possedeva la minima nozione scientifica, affi­
dava alla poesia l'incarico di spiegare l'origine e la
natura del mondo. Spiegazione immaginaria, se mai ve
ne fu una, ma di meravigliosa bellezza poetica, perché
sgorgò dalla fantasia e dal pensiero del popolo privi-
INTRODUZIONE ()

legiato fra tutti per il dono dell'immaginazione armo­


niosa e sana e per il sentimento artistico. Il Greco creò
gli Dei a propria immagine e somiglianza) ingigantì e
trasfigurò in essi la propria natura d'uomo, li colmò
d'ogni perfezione fisica e d'ogni felicità. E intanto se
li rendeva pro!Jizi col dedicare loro, non più un'ado­
razione tremebonda e barbara, con pratiche torve e
offerte sanguinose, ma un culto di preghiere e di canti,
con offerte di belle statue marmoree e di candidi templi.
Le divinità greche ebbero volto e mani, virtù e vizi,
passioni e amori, peripezie e lotte. Non cessarono di
rappresentare il sole e la luna, il cielo e il mare, l'aria e
il fuoco: ma da immensi spauracchi che erano, diven­
tarono uomini transumani e perfetti, che hanno sulle
ginocchia il destino dei piccoli abitatori della terra e
non abusano che di rado della loro onnipotenza. Ogni
elemento o meteora, ogni sentimento o istinto, ogni vir­
tù o qualità fisica o morale, ogni bisogno della vita,
ogni aggregazione umana o località, ogni attività o me­
stiere ebbe il suo Dio. La giustizia, la legge, la patria,
la famiglia, la pietà per gli avi furono simboleggiati da
persone gigantesche e sacre, che con divina saggezza
premiavano il bene e punivano il male. E così la vita
morale e politica delle nazioni attingeva le sue linfe al­
l'immenso serbatoio della poesia. Le fole narrate dagli
ispirati poeti pastori e musici sorreggevano con la loro
trama iridescente l'edificio sociale.
La dottrina evoluta che attribuisce agli Dei sem­
bianze e affetti umani, è chiamata antropomorfismo.
La religione greca è per eccellenza antropomorfa e po­
liteista, a differenza dell'ebraica che concepisce un Dio
unico, dotato di pensiero sublime e accessibile all'uomo
solo attraverso alla rivelazione.
La mitologia greca, nella sua maggiore purezza, è
nn felice amalgama tra la concezione antropomorfa e
IO 1't!TOT.OGIA GRECA E ROMANA

quella animistica. Solo in epoca avanzata sparve qua­


si del tutto, soppiantata da una più scientifica conce­
zione della natura, la credenza negli spiriti degli ele­
menti: ma si può dire che in pari tempo impallidì la
frde vera nei miti e le si venne sostituendo un culto tra­
dizionale, non scevro di scetticismo. Ma in Omero, in
Esiodo ed in Eschilo - che sono i grandi poeti della
mitologia - noi troviamo mirabilmente fuse le due vi­
sioni: gli Dei, nei loro poemi, se si rendono accessibili
e famigliari a noi con la splendida e irrequieta uma­
nità, conservano la sublime maestà che si addice ai do­
minatori del mondo e la potenza formidabile e il ter­
rore proprio delle grandi forze della natura.
Nata dalla visione religiosa e poetica d'un popolo e
perfezionata dal suo mirabile istinto artistico, la mito­
logia coll'andar dei secoli si complicò d'un'infinità d'e­
lementi eterogenei: influenze di religioni asiatiche bar­
bare e mostruose, culti e leggende locali, arabeschi biz­
zarri creati dalla fantasia dei poeti intorno al tronco
delle primitive ideazioni. D'onde il barocchismo di cer­
ti suoi motivi, l'oscurità di altri, la puerilità e l'incon­
seguenza di alcune favole, l'esistenza parallela di più
Giovi e di più Ercoli, con miti e culti diversi, e l'intru­
sione di residui di barbarie e di ferocia in un mondo
d'armonia e di serenità.
Liberata da questo frondame parassitario, la mito­
logia è un poema ridente e sublime, una tela magica
su cui appaiono le scene d'un film titanico. Il dram­
ma delle origini cosmiche, la tragedia del Destino, le
cui ali cupe investono anche il capo radioso degli Dei;
gl'idillii deil'età dell'oro, i paurosi misteri e le divine ri­
velazioni della Terra, la sua bellezza e la sua fecon­
dit;.i. sacre; i miracoli della forza corporale e gl'incan­
ti della beltà fisica; la frenesia di tutte le ebbrezze, dal
canto luminoso d'Apollo all'ululato delle Baccanti;
INTRODUZIONE Il

l'eterno rincorrersi d'eventi e di sogni che è la vita; la


commedia e il riso, il dramma e la morte: ecco l'argo­
mento di questo film primordiale e divino che comin­
cia con le vertigini del Caos e termina con l'ultima ven­
demmia o l'ultima festa dei fiori, che si innalza fino ai
picchi dell'Olimpo e si sprofonda nelle tenebre dell'E­
rebo, che ti fa ridere con Vulcano zoppo e ti prosterna
con Prometeo incatenato. Nel libretto che segue ho
tentato di narrarvi la trama di questo sorprendente poe­
ma, senza tediarvi con l'erudizione vana, e insistendo
invece sul tesoro di poesia, d'umanità e di vita che è
custodito per l'eternità negli scrigni dell'antica sag­
gezza. La dottrina dei pedanti ha lasciato addensarsi
molta polvere sull'ordito screziato delle antiche favole.
Ma Iride mi porge la sua sciarpa, e col lembo settico­
lore cercherò di far brillare qualche dolce tinta del ri­
camo che i poeti primitivi eseguirono coi capelli del­
!'Aurora e con le alghe del Mare.
Forse, quando avrete letto queste poche pagine, sen­
tirete meglio che il mito e la poesia sono una sola cosa,
e che poeta è colui che sa rendere miti le sue creazioni,
imbeverle cioè di un'umanità eroica e felice, d'una vita
propria ed immortale, avvincendole come serpeggianti
edere o dorati caprifogli sul tronco immenso della Vita
universale.
Ed ecco il programma del nostro viaggio. Prima cer­
cheremo di dare la scalata all'Olimpo, dove stanno i
dodici Dei sovrani, non per spodestare Giove o per
rapire ad Apollo la sua raggiera d'oro scintillante: ma
solo per sorprendere in qualità di curiosi gli Immortali
a banchetto. Speriamo che Giove non vigili dai nevo-­
si spalti, o che, se ci piglia sul fatto, non ci tratti a
colpi di fulmine, come trattò i Titani !
Poi scenderemo sulla terra, esploreremo le selve per
scovare Bacco fra i suoi Satiri vellosi e le sue Ninfe
MITOLOGIA GRECA E ROMANA

rubiconde, ci sprofonderemo negli abissi del mare e


nelle grotte dell'Etna, e ci lascferemo involare dai tur­
bi1.1i dell'aria, per far conoscenza con le Deità che spa­
droneggiano la sfera e l'atmosfera, rna che non hanno
accesso alla celeste Reggia e non bevono il nèttare.
In ultimo, ci accosteremo a quegli uomini gigante­
schi e torturati, potenti e predestinati alla sciagura ed
alla morte, che sono gli Eroi.

(Fot. A.Unari)
SATURNO
cda una scullura antica)
1 UNA ED E.CATE IN LOTTA COI GIGANTI (Fot. Allnari)
(Scultura antica)

Come sorse dal nulla questo mondo meraviglioso che


stende intorno a noi il prodigio dei suoi monti e dei suoi
mari, che alterna nell'infinitc, spazio la sfera abbaglian­
te del sole e il taciturno sciame degli astri? E come
furono generati gli Dei immortali che governano il suo
cammino e con infallibile giustizia largiscono agli abi­
tatori della terra i doni e i castighi?
Così si chiesero gli uomini primitivi. E non seppero
che cosa rispondersi. Ma i Poeti, che allora custodiva­
no gli armenti sulle verdi pendici delle montagne ed
\;rano in misteriosa comunicazione coi segreti della Na­
tura, narrarono loro questa ingenua e sublime leg­
genda.
Prima vi era il Caos, massa informe d'aria e di roc­
cia, di fuoco e di terra, d'acqua e di vapore. Regna­
vano le tenebre, e i cozzi degli elementi rintronavano
nell'infinita solitudine. Dal Caos due esseri potenti e
bd!i balzarono fuori, come due sorgenti limpide dalla

2
I6 MITOLOGIA GRECA E ROMANA

negra rupe: Gea, la Terra, piena d'ogni fecon0ità,


gioiosa d'ogni fioritura, cc il cui largc, seno sostiene in
eterno tutte le cose»; ed Eros, principio dell'amore che
crea la vita. D'allora in poi il Caos si trasformò in ar­
monia d'elementi. Da Gea nacquero l'Erebo e la Notte,
l'Etere luminoso, Urano che è il cielo stellato, l'Ocea­
no senza limite gremito di prodigi e di mostri, i Monti
che sfiorano con le vette il lembo del manto d'Urano,
i Ciclopi che sfrenano il lampo e il tuono, i Giganti,
mostruosi demoni dei nembi e delle tenebre, e i feroci
Titani. 11 più giovane fra questi, Cronos (r), il Tempo,
figlio di Gea e d'Urano, mutilò e scacciò dal trono suo
padre, primo reggitore del mondo, per vendicare la
sorte dei propri fratelli che Urano ingelosito tuffava
nel seno della Terra, man mano che nascevano. Succe­
dutogli nel dominio del mondo, Cronos generò dalle
nozze con Rea (2), le Divinità maggiori: Giunone, dea
della fedeltà coniugale, Cerere, dea dei frutti, Plutone,
nume d'Averno e custode dei morti, Nettuno che sca­
tena e placa i flutti e le tempeste, e Giove, Sovrano de­
gli Dei. Ma l'inumano Cronos pensò un giorno che
dalla sua prole avrebbe potuto aspettarsi l'atroce atto di
cui si era reso colpevole verso suo padre Urano: onde
prese a divorare con bocca ferina i figli che gli nasceva­
no da Rea (3). Giove fu sottratto con astuzia alla vorace
fame del genitore e portato di nascosto sul monte Ida.
Diventato adulto, l'Olimpico fece le vendette sul Ti­
tano che carpiva lo scettro del mondo, lo cacciò dal
cielo e lo trascinò nella caverna che si stende sotto l'a-
(1) Detto <lai Latini Saturno. Designo le divinità prima col nome
greco, poi col nome latino.
(2) Detta dai Latini Cibele. Era chiamala Magna Mater, perché
aveva generato gli Dei maggiori.
(3) In Saturno che divora i suoi figli, scorgerete facilmente la perso­
nificazione del Tempo che senza posa distrugge ciò che ha crealo.
PROLOGO

bisso delle acque. Annie1Hati poi col fulmine gli altri


Titani ribelli, cominciò il suo reg110 incontrastato e glo­
rioso sull 'universo e sugli uomini, che durerà senza
tempo.
Così nelle verdi valli della Grecia d' onde si scorge
il mare, i Poeti pastori narravano l'origine del mondo
e degli Dei, agli uomini semplici ed ignari, che non
potevano concepire le grandi forze e le leggi primor­
diali della Natura, se non in forma rii esseri umani smi­
surati e violenti, in preda a passioni selvagge. Tutta­
via quelle strane e rozze personificazioni, quei miti bar­
bari e paurosi adombravano due profonde verità : l'i­
dea di un'evoluzione grandiosa del mondo fisico e quel­
la d'un continuo progresso nella vita morale .

(Fot. A l/nari)
PLUTONE
(scultura antica)
PA R T E PR I M A

GLI DEI DEL CIELO


( Fot. A l/nari)

IL CARRO DI FEBO
(quadro di A. Appian' )

l
L' O L I l\l P O
La dimora degli Dei si ergeva sulle cime eccelse del-
1' 0limpo , il più alto monte della Grecia. Non era dato
ad occhio umano di scorgerne le immense logge e le
scintillanti cupole, a causa della grande altezza della
montagna e del mantello di nubi sempre disteso su
quelle vette. Talvolta , all'aurora o verso sera, il pa­
store errante nella cupa valle di Tempe credeva di scor­
gere lassù il profilo d'una candida rocca : ma tosto l'il­
lusione sfumava nell'addensamento dei cumoli d'onde
si sprigionava, nelle ore torride , il vivido baleno.
Oltre la zona delle forre e delle selve, oltre lo spazio
della grama vita e del piccolo sogno dell'uomo, si ele­
vava su bastioni formidabili il radioso palazzo degli
Dei. Ciascuno d'essi aveva la sua reggia vasta cor.� e
una caverna e luminosa come un diamante. ]\fa nel ccn-
22 MTTOT.OGTA GRECA E ROMANA

tro di quelle aggregazioni di splendidi favi si apriva,


per la gioia e la gloria di tutti, la sala sterminata ove
gl'Immortali sedevano a banchetto intorno a Giove,
signore del mondo, tracannando fiumi di biondo nèt­
tarc e mangiando in piatti d'oro l'ambrosia che dissipa
la morte. Colà, se i sensi avessero sopporbto tanto
splendore, tu avresti veduto il trono di Giove, simile
ad una nube sfolgorata dal sole. A destra dell'Olim­
pio (r) sedeva la sua sposa Giunone. Poi venivano
Nettuno, Mercurio, Apollo, Marte e Vulcano. A sini­
stra si stendeva l'arcobaleno delle Dee: e Venere, Dia­
na, Vesta, Minerva e Cerere gareggiavano in maestosa
o leggiadra bellezza. Lieve come lo zefiro, cinta di sciar­
pe luminose, andava e veniva intorno alla mensa pog­
giante sulle nubi, Ebe, figlia giovinetta di Giove e di
Giunone, versando dall'anfora d'oro, nelle coppe pro­
tese, il nèttare dalla fulva spuma. Gli antichi ven era­
vano in questa leggiadra abbeveratrice d'immortali la
Dea della Giovinezza.
In Olimpo la vita trascorreva per i Numi piena di
serenità e d'oblio. Talvolta sorgeva Apollo, dio della
luce e dell'armonia, a estasiarli con la tinnula cetra,
a cui rispondevano le nove Muse in coro, celebrando
le imprese, gli amori e le glorie degli Eterni. Poi cala­
va la notte, e le faci, portate dalle vergini Ore (2) che
avevano chiuse le immani porte della Città degli Dei,
inondavano di rosso bagliore la sala aperta sul cupo
cielo tempestato di stelle.
Rientrati nei loro appartamenti, gli Dei ricadevano
in preda alle loro passioni, alla Necessità che tutto
spinge avanti con la sferza : ripensavano alle discordie,
agli accesi desiderii, alle vendette, agli interventi nelle

(1) Così era chiamato Giove nella sua qualità di sovrano dell'Olimpo.
(2) Vedi a pag. 71.
L'OLIMPO
---------- --

cose della terra, signoreggiate tanto dal Fato quanto


dal capriccio dei Numi. Il mondo umano e l'Olimpo
sarebbero andati a fascio, se tutto quel turbine di vo­
lontà e di passioni non fosse stato dominato da Temi,
madre delle Ore e delle Parche, dea della Giustizia eter­
na, che sedeva sui gradini del trono di Giove e ispira­
va al Padre degli Dei le sagge volontà, i divieti invio­
labili, i tremendi castighi. Quando l'Olimpio aveva de­
cretato, Iride, celeste messaggera, serrava tra le pie­
ghe dei suoi veli il divino volere e scendeva dal cielo
in terra, come chicco di grandine, a rivelarlo agli uo­
mini impauriti. Il suo volo era così celere, ohe i colori
delle sue ali screziate disegnavano sul cielo o sul fianco
del monte un arco iridescente. L'apparizione dell'arco­
baleno era per gli antichi un segno inviato da Giove ;
ma tra il formarsi della volontà nel cervello dell'Olim­
pio e il suo manifestarsi al debole intendimento uma­
no, la fantasia pittoresca metteva il battito delle ali
diasprate d'Iride.
In altro modo si manifestava pure la saggezza di
Temi, aggiudicando agli uomini il male e il bene, per
mezzo delle sue tre figlie, le Moire o Parche. Si rap­
presentano oggi queste tre dispensiere di gioia e do­
lore, di vita e di morte, come bruttissime vecchie, dal
viso streghesco solcato di rughe. Invece i Greci le con­
cepivano come tre belle donne incoronate di narcisi ,
vestite di bianchi manti stellati e sedute su alti troni
luminosi. La più giovane di esse, Cloto, tiene la co­
nocchia e ne trae fiocchi di quella lana variopinta e
disuguale che è la vita ; Lachesi fa ronzare il fuso e
attorce in tenue filo il destino d'ogni uomo, screziato
di nero funesto e di lieto oro ; Atropo, con lucide ce­
soie, taglia quel filo e segna l'istante irrevocabile del­
la morte.
GIOVE OLIMPIO (Fot. A Unari)
(statua antica)
IL MITO DI PROMETEO ( Fot. A/inari)
(:scultura a ·,tica)

II
ZEUS O GIOVE
Potenza e passioni di Giove.

Tutta la potenza degli altri Dei insieme non vale


quella di Giove, re dell'Olimpo e della Terra, degli
Immortali e degli uomini. Egli si vanta di poter attac­
care con una catena d'oro alla vetta dell'Olimpo la
terra e il mare, come se l'universo fosse un fragile aqui­
lone. Quando il tuono romba nelle valli, la gente tre­
ma e mormora il suo nome terribile. Quando la pioggia
cade a torrenti, è Giove che scroscia, che flagella, che
inonda. Quando il reo è colpito dalle folgori della Giu­
stizia, è Giove che lo ha cercato. Giove è la volontà
della Natura, fatta umana, ed è del pari l'ordine e la
giustizia che tengono insieme la Natura. Questo Dio
formidabile in cui gli antichi vedono la sorgente di
tutto il bene e di tutto il male, non fa i conti con nes­
suno, meno che col Destino oscuro e immenso, che in­
combe irrivelato sull'universo.
Eppure le favole lo fingono in preda a tutte le pas-
26 MITOLOGIA GRECA E ROMANA

sioni umane, ad un'infinità di debolezze che intaccano


la sua maestà divina. Quella che dovrebbe essere un'ec­
celsa potenza cosmica e spirituale, com'è il Dio degli
Ebrei, prende l'aspetto e il carattere d'un sovrano bat­
tagliero e orgoglioso, pieno di puntigli, amante dell'in­
trigo, spesse volte ingiusto e infido. E qui vedete il più
palese esempio del! ' antropomorfismo della religione gre­
ca, cioè di quell'istinto, proprio dei popoli primitivi,
di attribuire alle potenze elementari ed alla divinità
volto e mani, vita avventurosa e passioni terrene. Mol­
te delle favole che s'intrecciano sul mito di Giove nac­
quero dalla fervida e pia immaginazione del popolo;
altre si sovrapposero a quelle, per opera della fantasia
dei poeti che elabora ed approfondisce la materia greg­
gia delle credenze. Infine molte storielle amene e mali­
ziose furono narrate intorno al Dio dalla condotta non
sempre esemplare, col solo scopo di divertire. Dall'in­
sieme di queste leggende e di queste bizzarrie, sorse
il mito grandioso e strano di Giove, che cercherò di
narrarvi nel modo più semplice e colorito.

L'infanzia di Giove.
Giove adunque è figlio di Saturno e di Rea, la Cibele
dei Latini. Corse gran pericolo d'essere divorato dal
padre che soleva disfarsi dei figli che Rea gli generava.
Ma era scritto in un oracolo che uno di questi avreb­
be dovuto diventare signore del mondo. E Rea, pen­
sando che l'ultimo d'essi fosse il predestinato, lo portò
alla chetichella in Creta, sulla vetta del monte Ida.
Come spiegare al decrepito e vorace Saturno la scom­
parsa del bambino ? Amor di madre pensa a tutto. Rea
avvolse in un pannolino un bel ciottolo delle dimen­
sioni d'un fanciullo, e lo portò al marito che trangugiò
in un boccone l'indigesta vivanda, convinto di pap-
ZEUS O GIOVE 27

parsi la carne tenera ùel figliolo. Intanto Giove è rac­


colto da Gea (la Terra) e messo al sicuro in una pro­
fonda caverna. La sua infanzia fiorisce precoce e ga­
gliarda. Le Ninfe lo fanno giocare, saltare e correrr.
La Capra Amaltea lo nutre col suo latte (r). Le api
depongono per lui, sulla soglia della grotta, zolle di
miele dorato. Quando il bambino vagisce o strilla, per­
ché non l'oda Saturno che non è lontano, i Cureti o
Coribanti, sacerdoti di Rea, che vegliano alla sua edu­
cazione, fanno uno schiamazzo indiavolato cozzando
gli scudi e danzando e urlando.

Giove rapisce il regno a Saturno.


Quando Giove ha un anno, è già un gigante dalla
forza erculea e dall'animo divino. Nulla di più facile
per lui che saltar fuori dalla caverna del monte Ida,
assalire Saturno, sconfiggerlo e togliergli il trono.
Il vecchio tiranno viene incatenato nel Tartaro. Gio­
ve è padrone ormai dell'Etere e della Terra. Fissa la
sua dimora sull'Olimpo, sposa la sorella Giunone e
regna con essa sui Numi e sugli uomini. Dieci grandi
Dei si dividono con la coppia sublime la dimora olim­
pica e il dominio dell'Universo. Giove è arbitro della
loro potenza. Ad un battito del suo ciglio tremano, co­
me fanciulli, Nettuno, padrone del mare, Marte, dio
delle battaglie e l'affumicato Vulcano che gli fabbrica
nelle fucine dell'Etna i fulmini e il trono d'oro. Solo
Giunone gli tiene testa, Giunone, forte della propria
virtù e fedeltà di sposa. Giove le è continuamente infe-
(t) Una volta questa capra si ruppe un corno. Una ninfa lo colmò
di frutti e lo coronò d'erbe e di fiori e ne fece dono a Giove. Il Dio
lo regalò alle Ninfe che lo avevano allevato, e il corno s'empiva d'ogni
cosa bella o buona ch'esse desideravano. È il corno dell'abbondanza o
Cornucopia.
MITOLOGIA GRECA E ROMANA

dele : e Giunone arde di gelosia, bisticcia con iui, mette


a soqquadro cielo e terra per punire le Ninfe che il suo
sposo corteggia, trasformato in cento modi poco degni
d'un Nume sublime.
La Guerra dei Titani.
Ma mentre Giove seduto a mensa nella vasta sala
dell'Olimpo si gode con gli altri Immortali l'ambrosia
e il nèttare, il canto delle Muse e le armonie della cetra
d'Apollo, ecco un brontolio sotterraneo che fa fremere
le pendici della montagna sacra. Stanno imboscati nei
burroni e nelle caverne del monte Otri gli spaventosi
Titani, figli di Urano e di Gea, ardenti d'invidia per
la potenza conseguita dal figlio di Saturno. Quei gi­
ganti mostruosi, dalle braccia innumerevoli, dalla tor­
bida ira bestiale, sono insorti e minacciano la reggia de­
gli Dei. Tifeo è il più terribile di essi: il suo capo sel­
vaggio tocca le nuvole. Sovrapposto il monte Pelio sul
monte Ossa, già tempestano l'Olimpo da vicino con
blocchi di monte e con rupi smisurate. L'universo è
in scompiglio. Gli Dei combattono dagli spalti di nubi.
Sotto l'impeto degli assalitori le giogaie dei monti fra­
nano e cambiano aspetto. Rocce lanciate come proiet­
tili verso l'Olimpo piombano in mare e vi formano iso­
le. Per dieci anni dura l'assedio. Giove scende nel cupo
Tartaro e vi libera tre Giganti che Saturno vi aveva
imprigionati: Briareo dalle cento braccia, Cotto e Gia.
Le forze degli Dei sono così accresciute. Ora la batta­
glia infuria tra i due partiti, più frenetica di prima.
Ma nel frattempo Giove si è sprofondato nel regno fiam­
meo e fumido dei Ciclopi, che ad un suo cenno hanno
gettato sull'incudine sfolgoranti liste di rame infocato,
e le vanno martellando con un atroce clangore. Men­
tre la mis�hia è al culmine e le sorti pendono incerte,
ZEUS O GIOVE 29

un immenso tuono scoscende i massi mal avvmu ai


fianchi delle montagne. Giove appare sul suo carro.
Ad un suo gesto che sembra distruggere il creato, suc­
cede un'abbagliante eruzione di livido fuoco. Le fore­
ste fiammeggiano come messi. Il mare ribolle e fuma.
La fiamma divina percuote e dilania il serpaio di mem­
bra che s'accanivano nella battaglia. Sulle crollate fa­
langi dei Titani piove ora una tempesta di massi che
si affondano in una mota di carne e di sangue.
Così furono vinti i Titani ribelli, dal fulmine che i.
Ciclopi monocoli avevano fucinato per Giove. Il Nume
incatenò i sopravvissuti. Tifeo o Tifone, spirito degli
uragani, Efialte e Polibote, Encelado e Iperbio, nei
fianchi ardenti dell'Etna. I cinque mostri ruggiscono
ancora là sotto, lanciano dal cratere piogge di sassi e,
squassando le membra smisurate, fanno tremare di
continuo la terra.
La lotta di Giove coi Titani, mentre significava l'af­
fermarsi della legge morale sulle vinte forze brute del­
la natura e dell'istinto, poetizzava per gli antichi i
grandi cataclismi geologici che avevano dato luogo al­
la configurazione della penisola greca, così accidentata
e convulsa, e portante i segni di primordiali battaglie
fra gli elementi.
La figliuolanza di Giove.

Giove ebbe un'immensa figliuolanza. Fu una secon­


da teogonia, dopo quella di cui erano state autrici Gea
e Cibele. Dalle sue nozze con Giunone, il Re degli Dei
ebbe Vulcano, dio del fuoco, ed Ebe, mescitrice delle
mense celesti e dea della giovinezza. Da Temi, che rap­
presentava la saggezza e la giustizia, gli nacquero, se­
condo alcuni favolisti, le tre Parche, dispensiere degli
umani destini, che da altri sono credute invece figlie
30 MITOLOGIA GRECA E ROMANA

è.cll'Averno e della Notte. Da Latona (una delle per­


sonificazioni della notte) ebbe Apollo e Diana ; da Mne­
mosine (la memoria) le nove Muse, che presiedono
alle lettere ed alle arti; da Eurinome le tre Càriti o
Grazie che accompagnano Venere sul fiorito sentiero
della bellezza; da Cerere, dea della terra feconda, Pro­
serpina che andò sposa al nero dio dell'Averno, Plu­
tone ; da M aia, una delle Pleiadi, l'abile e irrequieto
Mercurio; da Semele, Bacco, dio del vino e dell'eb­
brezza; da Alcmena , il membruto Ercole strozzatore
di leoni ; dalla nereide Climene, Atlante che sorregge
il cielo sulle spalle (1). V'è anche chi dice che Venere
nascesse da Giove e dalla ninfa Diane, ma è fede di
tutti i poeti dell'antichità che la dea dell'amore sor­
gesse alla vita nel punto in cui il mare e il cielo con­
fondono il loro azzurro, e sbocciasse come un grande
fiore da una conchiglia che aperse le sue valve e la
portò alla riva di Cipro . . . Alcune di queste generazioni
dell'Olimpo hanno un carattere chiaramente simbolico.
Per esempio, quando si dice che le Muse, patrone delle
arti e delle lettere, sono figlie di Giove e di Mnemosinc,
che è la memoria, s'intende dire che le discipline in­
tellettuali sono frutto dell'unione del pensiero con la
memoria. E così, quando si fanno nascere le Parche
da Giove e da Temi, che è la giustizia e l'ordine natu­
rale, si vuol significare che il destino dell'uomo, aggiu­
dicato dalle Parche, è un'elargizione di Giove che è
il datore della vita, regolata dall'eterna giustizia.

( 1 ; S •• o:,,)o altre fonti, Atlante è un gigante marino, figlio del titano


Giapeto e fratello di Prometeo. Sta dinanzi all'immenso giardino dcile
Esperidi, e con le spalle e le braccia stanche tiene su l'immane peso dd
C:iclo. Così lo ha punito Giove, perchè fu uno dei Titani che cercarono
di scalare l'Olimpo. Si narrava anche che fosse un re, e che venisse cam­
biato da Perseo in un monte, il monte africano che porta il suo nome.
ZEUS O GIOVR 31

Amori di Giove.
Se Giunone tempestava contro il suo augusto mari­
to, non aveva tutti i torti. Ove si dimentichi che le
belle Ninfe ch'egli inseguì sulla terra non sono proba­
bilmente altro che personificazioni ridenti di forze na­
turali, con le quali la grande forza animatrice del crea­
to s'intreccia di continuo, vien da pensare che Giove
fosse nelle sue passioni di un'instabilità imperdonabile.
Ad Argo, s'innamora d'Io, figlia d'Inaco, e per sot­
trarla alla collera di Giunone la trasforma in una gio­
venca (2) . Per raggiungere Leda, figlia d'un re di Eto­
lia, prende le molli penne e il collo serpentino d'un
candido cigno ; e la Ninfa genera in un ovo miraco­
loso due splendidi gemelli, detti i Dioscuri - Castore
e Polluce - che vivranno avvinti da un sovrumano
amore e, tramutati in stelle, proteggeranno i naviganti
nelle tempeste. La figlia d'Acrisio, re d'Argo, la bella
Danae, languiva rinchiusa in una torre di bronzo, ove
suo padre l'aveva fatta suggellare, impaurito da un
oracolo che gli aveva predetto che un figlio di lei lo
avrebbe sbalzato dal trono. Giove, che se n'era invaghi­
to, riuscì ad eludere la vigilanza delle guardie ed a vin­
cere lo spessore delle bronzee lastre, penetrando dalle
aperture della torre sotto forma d'una pioggia d'oro,
mentre un uragano rovesciava torrenti di pioggia. Da
Giove e da Danae nacque l'eroe Perseo, predestinato
a uccidere Medusa, una delle tre Gorgoni. Ma la favola
più bella fra quante se ne intesserono sulle avventure
di Giove, è certo quella di Europa.

(2) Ne na rro la storia pii'1 d istesamente nel capitolo su Mercurio.

3
MttOLOGIA GRECA E ROMANA
----------------- --- --- ----
Il ratto d'Europa.
Europa, figlia di Agenore, re di Fenicia, splendeva
per un incarnato così bello che si mormorava che una
compagna di Giunone avesse rapito per lei dalla toe­
letta della Dea un barattolo cli belletto. Suo costume
era recarsi con le compagne sulla riva del mare e là
coglier fiori, cantar giulive canzoni, inseguire farfalle
e intrecciare ghirlande co:1 le rose che ivi :fiorivano gran­
dissime. Giove l'adocchiò e decise di rapirla. Per non
dar sospetto, si tramutò in un bel toro bianco come
la neve, con qualche vezzosa pomellatura sulla fronte
e sulla gorgiera. Mentre le fanciulle attendevano ai lo­
ro giochi, ecco il gentil torello che si fa avanti manso ed
agevole, dimenando il fiocco della coda e dondolando
il capo su cui le corna facevano un arco di luna na­
scente. Tutte le fanciulle gli sono intorno. Chi gli ca­
rezza l'ampia groppa, chi porge alla sua lenta mascella
una manata di fresca erba, chi gli depone sul cocuz­
zolo una ghirlanda di rose colte allora. L'animale le
fissa con occhio umano. Poi, oh stupore I s'inginocchia
davanti ad Europa e sembra attendere che la bella si
decida a salirgli sul dorso. Europa non aspettò molto
a farlo. Ma, appena il toro ebbe sentito il peso del gio­
vane corpo, trottò difilato verso la marina e prese a
correre sulle onde diventate salde come c"cistallo. La
poveretta si aggrappava alla giogaia dell'animale, cd
empieva il cielo di grida, a cui facevano eco i dispe­
rati lamenti delle compagne rimaste a riva. Invano, ché
il toro ora nuota come un delfino, e, a gran colpi di
zoccolo nell'onda spumosa, si dirige verso un'isola
emersa dall'orizzonte. Sbarcato in Creta con la fanciul­
la sempre in groppa, Giove si rivelò a lei, sotto un pla­
tano, che da quel giorno conservò le foglie verdi. Dai-
ZE.US O G!OV� 3.1
- - --- - -----------
le loro nozze nacquero :Minosse e Radamanto, due
dei tre inflessibili giudici del tribunale d'Averno.

Ganimede, coppiero celeste.


Graziosa favola è anche quella del ratto di Gani­
mede. Ganimede era un pastorello del monte Ida in
Troade, che non sapeva far altro che pascere le pe­
core, contarle la sera e la mattina, e trarre dal suo flau­
to di canna suoni dolci e monotoni. Giove lo vide, e
restò affascinato dalla sua meravigliosa bellezza. De­
siderando allietarsi la vista con quell'aspetto ridente . e
fiorito, si .trasformò in aquila e piombò sul ragazzetto,
mentre, come al solito, il piccolo pastore sonava il suo
fl�uto al calar del sole. Non vi dirò il terrore del po­
verelto quando si senti tratto da quegli artigli e da
quel becco adunco per le vie vertiginose del cielo ! Ma
il terrore si cambiò in stupore e poi in delizia, quando
Giove lo fece entrare nella sala dell'Olimpo ove gli
Dei. sedevano a banchetto, e, vestitolo d'una tunica
d'oro e cosparsogli il capo di profumi, gli affidò l'an­
fora del nèttare con cui mescesse agli Immortali. Da
quel giorno l'Olimpo ebbe due coppieri, entraml:>i do­
tati di perenne giovi1tezza : Ebe dal piè leggero e Ga­
nimede dai grandi riccioli biondi.

Urigine degli uomini. Il mito di Prometeo.


Come fu generato il primo uomo ? Ecco un altro di
quei problemi che i popoli primitivi si pongono, e per
i quali s'accontentano d'una risoluzione poetica. L'uo­
mo è figlio della Terra. I primi esseri umani sarebbero
Pelasgo ed E1'etteo, nati dal suolo dell'Attica. Una
perenne primavera regnava allora sul mondo. Gli al­
beri e le zone ·producevano frutti e grano spontanea-
34 MITOLOGIA GRECA E ROMANA

mente. La vita era un idillio. Ignaro di sofferenze e di


passioni, l'uomo era assai simile agli Dei. Ma con la
seconda generazione, alla felice età dell'oro subentrò
la triste età dell'argento , durante la quale gli uomini
conobbero il male e la morte e languivano sopraffatti,
in una specie di torpore che li rendeva simili a bruti.
Qui si delinea il profilo d'un mitu colossale ch'è
tra i piu profondi della favola antica. Prometeo, figlio
d'un Titano e Titano lui stesso, si muove a pietà della
misera condizione umana. Si reca a Lemno, e rapisce
nella fucina di Vulcano una favilla di fuoco, elemento
che sino allora era riservato agli Dei. In una cava can­
na porta quel tesoro ai giacenti mortali, ai quali rivela
l'arte di difendersi dai geli, di combattere le belve e di
plasmare i metalli. In breve gli uomini, con l'aiuto
della magica fiamma, escono dalla loro barbarie . Alla
torpida età dell'argento succede la fremente e feconda
età del bronzo , che conosce i misteri dell'agricoltura,
dell'industria e dell'arte. Ma i mortali, in possesso di
tanta potenza, �algono ora in folle orgoglio, traseu­
rano il culto degli Dei e si paragonano ad essi. Giove
entra in uno di quegli accessi di furore sacro che fanno
tremare l'Olimpo e la Terra. Ordina a Vulcano di fu­
cinare una catena dagli anelli infrangibili, e di recarsi
con essa sul monte Caucaso ove si trova il Titano ri­
belle. 1 Sceglierai 11 , gli dice, , la rupe più esposta al fu­
rore del sole e all'urto gelido dei rovai. E, afferrato
Prometeo, lo avvincerai a quel masso con mille giri
di rame attorto. In quell'orrenda solitudine, abbando­
nato dalla pietà, egli gemerà per mill'anni sull'affronto
che mi ha recato : e un'aquila tufferà senza posa il
becco sanguinoso nel suo fegato immortale » . Prometeo
è incatenato da Vulcano, ma la sua fierezza non piega
nell'angoscia del supplizio. Mentre il vento aspro gli
screpola la pelle, mentre l'ala delle tempeste lo schiaf-
ZEUS O GIOVE 35

foggia con turbini di pioggia gelata o di grandine, men­


tre l'aquila si sbrama del suo rosso viscere, continua
a maledire e sfidare Giove tiranno. Eppure, dopo tren­
t'anni Giove si muoverà a pietà di lui : Ercole ucciderà
l'aquila e scioglierà Titano dalla roccia per introdurlo,
redento dall'ira di Giove, nel regno degl'Immortali.
Che cosa scorgete in quest'epica leggenda ? Null'al­
tro che un bel sogno della fantasia ? Prometeo non è
solo il rapitore del fuoco celeste, è l'uomo nello splen­
dore della sua volontà, della sua attività, del suo ge­
nio, l'uomo che, a rischio di giacere fulminato, osa
emulare gli Dei, incapace di accasciarsi nella servile
adorazione che appaga i suoi compagni volgari. V'è
in Prometeo il poeta ribelle che sfida il Destino, lo
scienziato che cerca di rapire il segreto dell'assoluto,
l'inventore che vuol asservire la natura ai bisogni uma­
ni, e il filantropo che per il bene degli altri si vota
all'ingratitudine ed al martirio. Gli antichi giunsero a
vedere in questo Titano addirittura il creatore dell' uo­
mo . Come Giove plasmò in Pandora, con la molle ar­
gilla, la prima donna, cosi Prometeo avrebbe plasmato
con limo e lacrime il corpo del primo uomo. Ma quel-
1'essere nudo e inerme, rampante come una ranocchia
e pieno di bassi istinti, gli fece tanto pietà che decise
di redimerlo. Quindi il furto del fuoco sacro e la ven­
detta di Giove.
Il nome di Prometeo deriva dal sanscrito prama­
thyus ; colui che ottiene il fuoco con la confricazione.

La leggenda del Diluvio .


Giove, dopo ch'ebbe veduto di che protervia erano
capaci gli uomini, dacché possedevano il fuoco, prese
ad odiarli e deliberò di distruggerli. Gli elementi fu­
rono scatenati. Il mondo restò in preda al tifone e al
MITOLOGIA GRECA E ROMANA

demone muggente delle acque (r). Tutta l'umanità pe­


rì. Solo si salvarono in una barca Deucalione , figli.J
di Prometeo, e sua moglie Pirra, che forse erano un
poco migliori degli altri. Quando le acque si asciuga­
rono, ottenuta con sacrifizi e preghiere la clemenza di
Giove, i due superstiti consultarono l'oracolo di Temi.
« Velatevi il volto, camminate senza volgervi indietro,
e gettate alle vostre spalle le ossa della Terra. »
Tale fu l'oscuro responso dell'eterna Saggezza. Ma
Dencalione e Pirra lo compresero. E man mano che
i ciottoli (ossa della Terra) cadevano dietro le loro spal­
le, l'umanità rinasceva dal linio del Diluvio, per nuove
conquiste e per nuove disdette.

L'aspetto di Giove.

Giove, ch'era padrone e signore di tutto, che pre­


siedeva a tutte le virtù e a tutte le potenze, che adu­
nava in sé la bellezza, la forza e gli attributi degli al­
tri Dei ; Giove che scatenava la pioggia e il fulmine,
che attingeva a due botti, l'una d'oro, l'altra di ferro,
il bene e il male ; Giove che era la giustizia, la fedeltà,
la patria e la religione, veniva rappresentato con l'a­
spetto d'un re sublime dalla folta capigliatura e dalla
barba inanellata, assiso su di un trono d'avorio. La
sua testa leonina aveva la maestà d'un monte. Gli
occhi guardavano sovrumanamente pensosi o sereni,

(1) Al mito del :>iluvio si connette la graziosa leggenda di Filemone


e Bauci. Giove e Mercurio visitarono il mondo in incognito, e ovunque
trovarono corruzione e inospitalità. Solo due umili vecchierelli di Fri­
gia, Filcmone e sua moglie Bauci, li trattarono come meglio seppero.
Per ricompensarli, Giove salvò la loro capanna dal Diluvio e la tramutò
in tempio. I due buoni vecchi ottennero di esserne custodi e di non
morire l'uno senza l'altra. Furono tramutati Bauçi in un tiglio, Fil(mo­
nc in una quercia.
ZEUS O GIOVE 37
sotto l'arco sporgente delle sopracciglia al cui corru­
garsi gl'Immortali tremavano. Il torso e le braccia nu­
de mostravano la titanica muscolatura. Sul suo grembo
si spiegava un ampio drappeggio. Nella destra reg­
geva il fulmine, nella sinistra lo scettro o una statuetta
della Vittoria. Gli stava appollaiata ai piedi un'aquila,
che spesso si volgeva in su a guardare il volto del Nu­
me con gli occhi grifagni. Così l'avev:--i. raffigurato in
una statua sublime e colossale, formata di avorio e
d'oro, Fidia, nel grande tempio d' Olimpia nel Pelo­
ponneso, dando splendida veste scultorea ai versi del
primo libro dell'Iliade, che descrivono il Nume che cor­
ruga il ciglio:
Disse e il gran figlio di Saturno i neri
sopraccigli inchinò : sull'immortale
capo del sire le divine chiome
ondeggiaro, e tremonne il vasto Olimpo.
A Giove erano sacre la quercia e le cime dei monti,
sempre cinte da nubi, nelle quali il pio fervore dei pa­
stori e dei poeti credeva di scorgere il lembo del suo
manto trascolorante.
GIUNONE ( Fot. A, li11ari)
(scultura antica)
GIUNONE SUL CARRO TIRATO DA PAVONI (Fot. A linari)
( disegno di Rallaollo)

III
HERA O GIUNONE
Nazze di Giunune con Giove.
Giunone, sposa di Giove, era figlia di Cronos e di Ci­
belc. Il modo in cui Giove le si offrì per fidanzato è ve­
ramente straordinario. Mentre la bella giovinetta , per
ingannare le lente ore d'un giorno d'inverno , filav3.
una conocchia di bianca lana, un cuculo entrato d'im­
provviso nella sua camera le si posò sulla spalla. Hc­
ra, vedendolo intirizzito e umido di fiocchi di neve, lo
scaldò in un lembo del suo velo. Ma il cuculo si tra­
sformò ad un tratto in un Dio splendente che le mor­
morò queste parole : « Vuoi tu diventare la Regina de­
gli Dei ? Io sono Giove, e t'offro il mio amore e il mio
trono » . Hera accondiscese. Le nozze furono celebrate
MITOLOGIA GRECA E ROMANA

in primavera con sfolgorante apparato, alla presenza


di tutti gli Dei del Cielo e della terra. Una sola Ninfa
- Chelone - giunse in ritardo al convegno, a causa
dei sandali che le facevano male ai piedi. Giunone s'in­
dignò di quel ritardo e trasformò la Ninfa in testug­
gine (r).
Potenza e carattere di Giunone.
Assunta al trono di Giove, la De::i. fu possente quasi
come il suo sposo. Gli antichi vedevano in lei un sim­
bolo dell'atmosfera che circonda la terra e che si muo­
ve a contatto col più puro ed effuso cielo cristallino,
rappresentato da Giove. Le continue baruffe e i rap­
pattumamenti dei due coniugi divini significano l'eter­
na agitazione dei cieli, le alternative di serenità radio­
sa e di burrasca. D'altronde, a voler considerarli nel
loro carattere umano, avevano entrambi molti difet­
ti: Giove era infedele, autoritario e violento ; Giunone
era gelosa, brontolona, ostinata e vendicativa. Quante
volte scese infuriata dall'Olimpo per punire le Ninfe
che Giove aveva corteggiate in spoglia di cigno, di
pioggia d'oro o di torello, o i figli che erano nati da
esse ! Sapendosi fra le Dee la più bella, la più mae­
stosa, la più potente e quella che incuteva maggior ri­
spetto e ammirazione, doveva cuocerle che il suo tùm­
pagno l'andasse ingannando e screditando in tutti gli
angoli della terra. Inoltre era esemplarmente casta e
fedele allo sposo : e i Greci e i Latini la veneravano co­
me il simbolo dPlla fedeltà coniugale e come il modello
delle mogli, e mettevano le nozze e le nascite sotto h
sua protezione. Infuriata un giorno a causa d'una nuo­
va marachella di Giove, giurò di abbandonarlo, scese
dall'Olimpo e si ritirò nell'isola d'Eubea. Dopo una
(1) Chelone in greco significa testuggine,
HERA O GIUNONE 41

lunga attesa, Giove cominciò a sentire il bisogno del­


l'augusta brontolona. Ma come abbassarsi fino ad in­
vocare da Hera il perdono? Che cosa escogita il Re de­
gli Dei ? Scende a sua volta dall'Olimpo nelle valli d'Eu­
bea. Colà fa correre la voce che il Dio del tuono ha
deciso di sposare una bella ninfa, Platea, figlia d'un
fiume, e che la sua fidanzata sta percorrendo l'isola so­
pra un magnifico carro. Intanto fa preparare un fan­
toccio di legno, lo copre di veli e di gioielli, e lo sdraia
sui cuscini d'un carro variopinto che viene trascinato
da una coppia di buoi per i borghi dell'isoìa. Giunone,
che ha avuto sentore del nuovo disegno di Giove, è tut­
ta fuoco e fiamme e aspetta al varco il carro della ne­
mica. Non appena ne scorge la barcollante tenda, si
slancia sulla rivale immaginaria e lacera il velo in cui
è avvolta la più bella testa di legno... Dai cenci but­
tati per aria vennero fuori braccia e gambe e tronco
piallati alla grossa. Tutto finì in un'immensa risata dei
due Immortali che si perdonarono a vicenda e torna­
rono in Olimpo, più amici di prima.

La ruota d'Issione.

La virtù coniugale di Giunone rifulse in special mo­


do quando Issione, re dei Lapiti, che Giove aveva avu­
to la degnazione di far sedere al banchetto celeste, ar­
dì corteggiarla. La Dea avvertì senz'altro il marito che,
per provare la mala fede dell'ospite, foggiò con le nubi
una figura simile a Giunone e la collocò dove l'inna­
morato soleva aggirarsi. Invisibile, il Re degli Dei
stette all'agguato: e sorprese Issione mentre faceva
una dichiarazione d'amore alla statua di nebbia. Al­
lora la sua collera scoppiò. Issione rovinò nell'Inferno,
e le Eumenidi lo legarono con nodi di serpi ad una
ruota i!l.focata che turbina senza posa nel baratro.
M TTOLOl;JA GRECA E ROMANA
--- -- ---

Il pomo di Paride.
Ma una volta, stanca dell'incorreggibile marito, He­
ra osò cospirargli contro e stava per ammutinare tutti
gli Dei, quando il gigante Briareo , dalle cento braccia
e dalle cinquanta teste, fedele a Giove, la sorprese ncl-
1' atto di dare il segno della rivolta. Giove la castigò in
un modo strano : la sospese ad una catena d'oro fra
ciclo e terra, e ad ogni piede le legò una pesante in­
cudine. Vulcano, avendo cercato di difenderla, fu sca­
raventato nel baratro. La povera Dea stette a lungo in
quella penosa posizione, finché Giove finì col perdo­
narle e con l'affidare a Vulcano il difficile compito di
staccarla senza farla precipitare. Che fosse vendicativa
lo provarono specialmente la ninfa lo, di cui vi nar­
rerò più tardi la favola (r) , e Paride che aveva susci­
tato la gelosia di Hera porgendo a Venere il famoso po­
mo che la consacrava più bella di Giunone e di Miner­
va. Quella sentenza scatenò l'avversione della sposa
di Giove contro Paride e contro tutti i Troiani. E sic­
come Giove parteggiava per questi, vi lascio imma­
ginare le liti e i rabbuffi che allietarono la dimora co­
niugale dell'Olimpo durante l'assedio di Troia ! Anche
Ercole, generato da Giove durante una delle sue scor­
ribande terrene, seppe quanto fosse tenace la persecu­
zione di Hera , e lo seppe Enea, spinto dal suo rancore
di burrasca in precipizio, perché era troiano.

Volto e simboli di Giunone.


Giunone viene rappresentata coi caratteri d'una bel­
tà maestosa e matronale. Il suo volto è d'un ovale pu­
rissimo. Gli occhi molto grandi guardano nel vuoto con
(r) Vedi il capitolo su Hermes o Mercurio.
HERA O GIUNONE 43

una serenità sublime. I suoi capelli ondulati sono di­


visi sulla fronte in due cascate eguali. Un diadema so­
vrasta a quel capo magnifico che respira una calma so­
vrana. Assisa in trono o ritta come un'armoniosa co­
lonna, essa tiene in una mano lo scettro sormontato da
un cuculo, e nell'altra una melagrana. Questo frutto
le è sacro come simbolo del matrimonio e dell'amore ;
e sacro le è il pavone, immagine del cielo stellato.

GIUNONE
(statua antica)
APOLLO MUSACETH (Fot. A l/nari)
(atat"a antica)
IL LEVAR DEL SOLE (Fot. A linari)
(d� un quadro di Guido Reni)

IV
FEBO O APOLLO
Apollo e il mito solare.
Gli antichi attribuivano il miracolo abbagliante della
luce alla benignità di Apollo , figlio, come Diana, di
Giove e di Latona.
Non appena l'Aurora veniva fuori dal suo fosco let­
to a spargere rose sui confini del cielo, ecco l'alacre
Dio slanciarsi, sul carro tirato dai bianchi cavalli alati,
per le vie dell'etra . ancor grige di crepuscolo. La luce
cresce, fiamme e bagliori inondano l'universo. Giunto
al culmine della sua parabola, il Nume arde d'un tale
fuoco che la natura crepita strinata. Nel torrido silen­
zio delle stoppie non s' ode che la stridula nota della
cicala. La terra è come morta. Ma già i cavalli preci­
pitano verso la lama bluastra del mare. Apolline è ora
circonfuso d'una luce meno crudele. Poi, in una grotta
MITOLOGJA GRECA E ROMANA

di nubi, il carro, simile ad un globo scarlatto, si tuffa


nelle onde.
Così interpretavano i Greci il cammino del Sole, e
con ingenua incoerenza sdoppiavano la grande me­
teora luminosa in Febo Apollo (r), Dio della luce, ed
in Helios, personificazione dell'astro.

Infanzia d'Apollo.
Apollo nacque da Giove, che è il Cielo, e da Latona,
ch'è la Notte. Giunone lo odiò perché era figlio natu­
rale del suo sposo, e fece di tutto perché non nascesse.
Perseguitò Latona, la costrinse a fuggire, tramutata in
quaglia, fino all'isoletta di Asteria (Dclo) nel Mar E­
geo. Là Apollo fu generato, e bevve le prime gocce di
nètiare dalle mani di Temi, discesa apposta dall'Olim­
po per recargli la divina bevanda. Ma Giunone evocò
dalle tenebre, contro il fanciullo circonfuso di luce e
di bellezza, il Serpente Pitone, mostro nato dal limo
della terra dopo il diluvio. Febo, che aveva quattro
giorni, lo assalì in una valle a' piedi del monte Par­
naso, e lo uccise a frecciate. Con la pelle di gelido splen­
dore di quel drago, egli copri poi il tripode presso cui
la Sibilla pronunciava gli oracoli nel santuario di Del­
!o . Pizia o Pitonessa fu chiamata la Sibilla, e Pitici si
dissero i giuochi che venivano celebrati in Delfo, per
commemorare la vittoria del figlio di Latona.

Le giovenche di Admeto.
Ora comincia l'esilio del Dio sulla terra. Per purifi­
carsi dell'uccisione del serpente Pitone, Febo si mette

(1) Da Foil>o,, il puro.


FEBO O APOLLO 47
per nove anni a servizio di Admeto, re di Tessaglia. (r)
e si rassegna a pascere i cavalli e le giovenche di quel
re pastore. Si fabbrica un flauto e col rustico strumen­
to incanta la vita a sé ed ai propri compagni. Mentre,
sdraiato sull'erba, si lasciava assopire dall'ardore d'un
meriggio estivo, suo fratello Mercurio, che aveva le ali
ai piedi e il genio degli inganni, gli rubò cinquanta bei
capi di bestiame e li serrò in una caverna. Ma Apollo
seppe stanarli, e minacciava di ammazzare il ladrone
alato. Mercurio si fece perdonare tutto con un'inezia.
, Prendi, fratello irascibile », disse ad Apollo, « la
più gentil cosa che tu vedessi mai. Sfiora con le dita
queste corde sottili, e intdna col loro squillo il tuo can­
to divino. • Così dicendo, mise nelle mani di Febo un
guscio cavo di testuggine, su cui erano tese alcune cor­
de regolate da cavicchi : in una parola, la prima cetra .
D'allora in poi, il Dio della luce non sa più staccarsi
dal magico strumento. Il mondo vibra d'armonia so­
nora. Le stelle, roteando nell'infinito, dànno un dolce
e possente suono di lira. Tutto ciò che sulla terra è
soggetto alle regole divine della proporzione e del ritmo,
d'or innanzi sarà sacro ad Apollo: la musica, la poe­
sia, il canto, l'arte di edificare, l'arte di ritrarre l'a­
spetto degli Dei col candido marmo o coi vaghi colori.

Le orecchie di lllida.
Febo percorre l'universo ideale sul suo carro scin­
tillante, donde si sprigionano i due miracoli del suono
( 1) Apollo ottenne al re Admeto, dalle Parche, la grazia di sfuggire
alla morte, se un altro si profferisse in sua vece all'Erebo. Giunto il re
all'ora suprema, mentre anche i suoi genitori si rifiutavano di morire
per lui, la sua sposa A/cesti non indugiò a farlo. Proserpina, commossa
da così sublime sacrificio, la rimandò sulla terra. Secondo altri, F.rcole
strappò Alcesti a forza dall'Ade e la riportò al suo sposo.

4
MITOLOGIA GRECA E ROMANA
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e della luce. Ma nella sua arte il Dio non soffre rivali.
Pane, che alcuni ritengono suo figlio, osò sfidarlo a sin­
golar tenzone, col flauto di canna. Ad arbitro fu scelto
Mida, re di Frigia , che, per parzialità o per grossezza
d'ingegno, assegnò il premio al villoso Pane dalle zam­
pe di capra. Apollo gli appioppò per castigo un bel
paio d'orecchie asinine, che lo costrinsero a portare
sempre in capo una magnifica tiara. Naturalmente il
barbiere, per acconciare le ciocche del Re, doveva al­
zare quel diadema, e scorgeva i padiglioni asinini, dis­
simulati da certi rocchi di capelli. Il povero diavolo
moriva dalla voglia di svelare il gustoso segreto : ma
ne andava della vita ! Una sera, non potendone più ,
corse alla palude, e, scavato un buco nel limo, spifferò
in quell'imbuto la bella notizia: « Re Mida ha le orec­
chie da somaro ! » . Non l'avesse mai fatto ! Da quel bu­
co sorse in quattro e quattr'otto un folto ciuffo di can­
ne che si battevano e gemevano al vento: e chi stava
ad ascoltare, udiva distintamentr in quel fruscìo la fra­
se delatrice : 1 Re Mida ha le orecchie da somaro ! ».

La gara tra Apollo e Marsia.


Se questa favola è buffa ed esemplare, oltremodo
crudele è la storia della gara fra Apollo e Marsia. Il sa­
tiro frigio l\farsia, abile suonatore di flauto, osò com­
petere con Febo citarista e cimentarsi in una gara ccn
lui , davanti al coro delle Muse. La gara fu sfavorevole
a l\farsia, e Apollo implacabile lo legò ad un albero e
lo scorticò vivo. Il suo corpo fu trasformato in un fiu­
me. Questa favola ha un senso mitico e uno morale:
attesta la superiorità della musica greca sull'asiatica,
della nobile cetra sul flauto agreste, e ammonisce in­
sieme di non tentare l'impossibile.
FEBO O APOLLO 49

Cl' Iperborei. Fetonte.


Come a Dio del Sole, gli antichi attribuivano a Febo
ogni anno lunghi esilii nella remota regione degli /per­
borei. Regnava in quella 1.erra di sogno una perenne
luce calma e fredda. I cigni solcavano le acque tran­
quille di fiumi tortuosi. Il Nume viveva in mezzo ad
un popolo che non conosceva la sofferenza e che pas­
sava la vita a celebrarlo ed a goderne la presenza ra­
diosa. Venuta la primavera, Febo faceva ritorno con
un corteo di cigni nella sua isola preferita, Delo ; e la
natura, coprendosi di foglie e di fiori, festeggiava il suo
avvento. Per dare un'immagine della potenza ostile
del Sole nel periodo della canicola, gli antichi inventa­
rono la leggenda di Fetonte, figlio d'Apollo o di Helios,
che per poco non arse la terra avendo lasciati liberi
i focosi cavalli del carro paterno che, nella sua giova­
nile baldanza, aveva voluto guidare da sé, come se
fossero i cavalli d'un cocchio qualunque. Giove, per
salvare la terra dall'incendio, liberò i corsieri dall'inet­
to auriga. L'infelice cadde nel Po. Le sue sorelle, le
Elìadi (r), dopo che l'ebbero pianto per quattro mesi,
furono tramutate da Giove in pioppi.

Apollo e Dafne.
Una delle leggende più pittoresche e poetiche del­
l'antichità è certo quella di Apollo e Dafne. La scul­
tura e la pittura non si sono stancate mai di rappre­
sentarne l' epilogo. Apollo s'invaghisce della giovinetta
Dafne, casta vergine che, come Diana, non amava che
la caccia e la solitudine. La fanciulla, vedendosi sorge-
( 1) Cioè figlie del Sole.
50 llfITOl.OGIA GRECA E ROMANA

re davanti all 'improvviso il bell'adolescente, s'impau­


risce e fugge. Il Dio la insegue. Per valli e boschi si
snoda la loro corsa agile, finché la giovinetta sta per
essere raggiunta. Le sue lunghe chiome dilatate dal
vento già sfiorano le mani tese d'Apollo. Disperando
di sfuggirgli, Dafne s'abbatte al suolo e invoca salvez­
za dalla Terra. Ed ecco, la Terra l'esaudisce : il suo
corpo bianco come un giglio è inghiottito da una guai­
na di grigia scorza, le gambe si radicano nel terreno ;
dalle braccia imploranti sbocciano rami fogliuti che
s'intrecciano ai capelli, divenuti cuoiosi e verdi. Quan­
do Apollo la strinse al petto, senti l'ultimo battito d'un
cuore sotto la scorza fredda d'un lauro. Accorato e com­
mosso, prese quell'albero come emblema, s'incoronò
della sua lucida fronda. D'allora in poi la gloria delle
lettere e delle armi è compensata col lauro. Che cosa
scorgete in questa favola ? Certo una delle leggende più
belle della mitologia. Ma c'è forse dentro qualcosa di
più che un semplice racconto. Dafne che fugge davan­
ti ad Apollo, è probabilmente l'Aurora che fugge da­
vanti al Sole. Quando il Sole la raggiunge e l'inonda
di raggi, l'Aurora, come Dafne, è già morta ! E forse
la favola vuol anche significare che il poeta insegue
l'illusione e non trova che la realtà.

Apollo e Giacinto.
Ecco un'altra leggenda su Apollo, con dentro il suo
simbolo. Apollo è ora appassionatamente amico d'un
bellissimo adolescente, Giacinto, figlio del re Amido.
Spesso sulle rive dell'Eurota i due compagni giocano
allegramente a lanciare il disco. Ma un giorno il disco
d'Apollo cade sul capo di Giacinto e l'uccide. Apollo
s'inginocchia singlùozzando presso il corpo dell'amico,
FEBO O APOLLO 51
- -------- -----------
e per renderlo immortale trasforma il suo sangue in
un tenero fiore dal profumo acuto, che fiorisce a cioc­
che ad ogni primavera. Che cosa significa il disco mor­
tifero? I raggi del sole d'estate diventano dardi datori
di morte. Ma essi rimangono tuttavia nella loro essen­
za l'elemento generatore della vita.

Apullo medico ed Esculapio.


Altra virtù di Febo, quella di guarire le mala ttie.
Se Giove faceva di lui il vendicatore, il punitore, -
cosicché le genti temevano gli strali d'Apollo, porta­
tori di pestilenza e di morte, - il popolo adorava in
Febo anche il Dio che risana, che con la divina luce
fuga i morbi. Esculapio (Asclepio, in greco), dio della
medicina, viene considerato suo figlio. La sua scienza
delle erbe medicamentose gli viene tutta da Apollo che
le suscita dalla terra. Esculapio riuscì a:1cl:c a strappa­
re molti morti dalle unghie di Plutone. Giove si adontò
di quella offesa alla legge universale e colpì col fulmi­
ne il medico rivale della morte. Apollo a sua volta, per
vendicare il figliolo, ammazzò a frecciate i Ciclopi che
avevano somministrato i fulmini al Re degli Dei. D'on­
de l'esilio temporaneo di Febo dall'Olimpo.

Apollo, Dio ddla poesia.


Come vedete, le qualità di Febo erano numerose e
brillanti. Quella per cui questo Dio è ancora vivente
e spande ancora qualche raggio sulla brulla terra mec­
canizzata, è la qualità di Dio della Poesia, della l\lu­
sica e dell 'Immaginazione.
Quando il mondo en più vicino alle sue origini di­
vine, Apolline era il citaredo dell'Olimpo e il capo del
52 !\t lTULUG!A GRECA E RO�!A�A
- - - ------- -- -------------
coro delle nove Muse (r). Queste splendide figlie di Gio­
ve (il Pensiero) e di Mnemosine (la Memoria), durante
i conviti degli Immortali alternavano danze e strofe
armoniose in oaorc degli Dei, ai canti d'Apollo, ac­
compagnati dalla lira. Le sedi terrene di Apollo e del­
le l\Iuse erano il monte Parnaso in Focide, l'Elicona
in Beozia e il Pindo , dalle ombrose valli, dai recessi
incantevoli. Ad esse erano sacre le fonti d'Ippocrene
e del Castalio , e il fiume Permesso . Avevano per ca­
vallo Pegaso , figlio del sangue di Medusa, meraviglio­
so corsiero bianco, dalle grandi ali di cigno, che bat­
teva le vie dell'aria come quelle dell'erba fiorita. Pe­
gaso, un giorno, percosse con lo zoccolo una roccia, e
ne fece zampillare le prime gocciole d'una fontana,
l'Jppocrene, la cui acqua ispirava l'entusiasmo poetico.
Qu:indo Apollo e le sue luminose compagne risiede­
vano nelle fresche solitudini del Parnaso o dell'Elico­
na, la terra fremeva di canti e di danze divine. Le tre
Grazie erano con loro, e ballavano leggère tra i lauri
e i mirti, anno':iando e snodando candidi veli.

(1) Le nove Muse si chiamavano anche Picridi, dal nome di Pierio,


r:: di Macedonia, le cui figlie avevano osato sfidarle a gara nella danza
e nrl canto. Le Muse le vinsero, le trasformarono in gazze e presero il
nome Ji l'icridi, per ricordo della vittoria. Ricordatevi che le Mme
dapprima furono venerate senza singole attribuzioni, come un coro di­
vino; solo all'epoca romana ognuna d'esse ebbe un nome e fu patrona
di un'arte o d'una disciplina. Eccovi lo specchietto dei loro attributi :
C!:"o : la Storia.
E11terpe : la Poesia lirica e la M usica.
Talia : la Commedia.
Alelpomrne : la Traged.a.
Tasicore : la Danza.
Erato : la Poesia amorosa.
Polinnia : la Rettorica e l'Arte mimica,
Urania : l'Astronomia.
Calliope : l'Eloquenza e la Poesia epica,
FEBO () APOLLO 53

Sembianze e attributi d'Apollo.


Apollo viene rappresentato coa l'aspetto d'un giova­
ne dalla sovrana bellezza, il cui volto è serenamente
ispirato e nel cui corpo passa il fremito d'un ritmo ar­
monioso. In qualità di Dio del Sole, è spesso in piedi
sopra un carro tirato da quattro cavalli. Come Nume
della Poesia, lo si raffigura incoronato di lauro, con
la testa alta e gli occhi rivolti al cielo, in atto di sanare
la cetra. La sua qualità di Nume oracolare è indicata
dalla presenza del tripode, arredo a cui s'appoggiava,
all'entrata della caverna di Delfo, la Pitonessa, per
pronunciare con parole mozze e deliranti gli oracoli
del Dio.

(Fot. A l/nari)
APOLLO
(scultura antica)
DIANA CACCIATRICE (Fot. Alinarl)
(>tatua antica)
LA CACCIA AL CINGHIALE CALIDONIO (Fot. A l/nari)
(sarcofaJo antico)

V
ARTEMI DE O DIANA
Diana cacciatrice e dea lunare.
Sorella di Apollo, nata, come il Dio della luce diur­
na, da Giove e da Latona, la bella e casta Artemide,
chiamata Diana dai Latini, fu in pari tempo la Dea del­
la caccia e la personificazione divina della luce lunare.
Chiese ed ottenne da Giove di poter vivere senza spo­
so, libera e senza passioni, nel grande incantesimo del­
le valli e dei boschi, rincorrendo il cervo dai frementi
bramiti o il cinghiale dalle acute strida, insieme con
lo stuolo delle sue Ninfe armate di arco e di frecce. Du­
rante la notte le sue scorribande d'appassionata caccia­
trice s'identificano col lungo e cauto cammino della
luna per l'arco del cielo, con l'addentrarsi dei suoi rag­
gi d'argento nell'intrico delle fronde, col divallare dei
suoi dardi di luce nella profondità dei burroni ove si
MITOLOGIA GRECA E ROMANA

risvegliano a quella gelida carezza le acque dormenti.


Quando la luna, la bianca cacciatrice dei cieli, si ve­
lava di nubi e diventava quasi minacciosa, i pastori e
i viandanti pensavano con un brivido ad Ecate, alla
Diana lugubre « dal volto sanguigno » rhe regna sui
cimiteri, sui sentieri deserti, battuti daJ!e. ombre dei
morti che i magi evocano dal sepolcro pronunciando il
nome terribile: Ecate. Regina delle foreste e dei monti,
dispensiera della rugiada e della pioggia benefica, pro­
tettrice dei viaggiatori nella tenebra notturna, dea ga­
gliarda e agile dei cacciatori, la bella sorella di Apollo
aveva dunque due volti : ma la Grecia aveva creato,
col suo genio tutto di luce, solo il più sereno, mentre
Ecate paurosa era un'invenzione della fosca fantasia
del Nord, portata in Attica dai barbari. Ad Ecate si
attribuivano tre teste (le tre fasi della luna) e le si con­
sacrava il cane che abbaia inquieto nella pallida luce.
Quando spuntava il mattino, Diana deponeva l'arco
e le frecce, ed entrava nella dimora splendida di Apol­
lo, a Delfo. Colà dirigeva i cori e le danze delle Muse
e delle Grazie, vestita d'una ricca tunica.

Atteone. Endimione.
La virtù di questa dea era rigida e scontrosa. Il cac­
ciatore Atteone, per aver osato guardarla mentre, con
le sue Ninfe, stava per discendere in una gelida fonta­
na per tergersi le membra dalla polvere d'una battu­
ta di caccia, fu da lei trasformato in un cervo. I cani
si gettarono sull'infelice e lo dilaniarono. Per onorare
la sua pudicizia, le si consacravano praterie intatte ove
non strisciava la falce né ruminavano pecore o muc­
che. I folti fiori che fremevano al vento su quei prati
erano un'offerta di innocente bellezza alla protettrice
dei giovinetti e delle fanciulle incorrotte. Una sola vol-
ARTEMIDE O DIANA .57

ta Diana amò : amò con una tenerezza e una purità


celeste il bel pastore Endimione che, per decreto di
Giove, dormiva senza fine in una grotta nei monti del­
la Caria, e non conosceva le gioie e i tormenti del vi­
vere , né poteva esser vittima della morte. Diana, sotto
il nome di Selene , penetrava ogni notte nel suo asilo,
e lo contemplava con estasi silenziosa ... In questa fa­
vola squisita è celata un'allegoria del sole calante che
s'incontra con la luna che nasce. Altri favolisti pensa­
no che l'amore di Diana per Endimionc significhi in­
vece la familiarità che i pastori hanno col corso della
luna e col lento avvicendarsi degli astri.

Il castigo di Niobe.
Ma Diana fu crudele con Niobe. Questa figlia di
Tantalo aveva sette figli e sette figlie bellissimi. Salì
per la sua fortuna in grande superbia, e andava di­
cendo che neanche Latona, madre d'Apollo e di Dia­
na, aveva messo al mondo una prole così splendida.
Latona l'udì, arse di collera ed affidò ai suoi figli la
vendetta. I Niobidi perirono tutti, i maschi trafitti da­
gli strali di Febo, le femmine da quelli di Diana. Niobe
restò seduta tra i cadaveri insepolti, per nove giorni,
impietrata dal dolore. Alfine Giove ebbe pietà di lei,
e sul monte Sipilo la trasformò in una rupe. Ma quel
sasso geme ancora, quando lo sfiora il vento, e dalle
sue latebre il pianto trasuda goccia a goccia.

JIJeleagro e il Ci11ghiale calid()ttio.


Propizia ai suoi zelanti sacrificatori, Artemide era
pronta alla vendetta quando si sentiva ferita dalla scar­
sa devozione. Così, quando Meleagro, figlio del re Oe­
neo di Calidone, trascurò di offrirle le primizie dei suoi
MITOLOGIA GRECA E ROMANA

campi, essa mandò in quella terra un selvaggio cin­


ghiale che devastava i solchi e gli alberi. Meleagro riu­
scì ad ucciderlo, e ne offrì la testa alla vergine Atalanta
che più tardi divenne sua sposa.
La leggenda della caccia del Cinghiale calidonio ha
dato luogo a molte figurazioni sculturali sul fianco dei
sarcofaghi. È un mito molto complicato, che si aggira
intorno ad una profezia che concedeva tanta vita a
Meleagro per quanto durasse un tizzone messo dalle
Parche nel focolare di Altea, madre di lui, quando sta·
va per generarlo. Il tizzone fu custodito con ogni cura.
Il giovane Meleagro partì coi migliori eroi greci per
uccidere la fiera scatenata da Diana. Abbattutala, ne
offri la spoglia ad Atalanta, vergine cacciatrice che
amava. I compagni di caccia arsero di gelosia e lo sfi­
darono a combattimento. Meleagro li uccise tutti. Ma
fra essi v'erano alcuni fratelli di Altea che, infuriata,
si vendicò della loro morte gettando il tizzone nel fuo.
co. Meleagro morì divorato da un fuoco interno, quan·
do il tizzone fu incenerito (r).

L'aspetto di Diana.

Diana viene rappresentata con l'aspetto d'una fan­


ciulla helh ed energica, vestita d'una leggiera tunica
e armata d'un arco e d'un turcasso pieno di frecce. Sul
suo capo brilla talvolta una corona di stelle, ma più

( 1 ) Di un'altra Atalanta si narra che fosse così fedele a Diana e de­


d ita al piacere selvaggio della caccia, da non volersi sposare a nessun
costo. Per non disgustare suo padre che voleva invece le sue nozze.
ricorse all'artificio di offrire la mano a chi l'avesse vinta nella corsa.
F ti era ben certa di restar fanciulla, perché si sentiva invincibile. Ma
lppomene che l'amava, mentre correva con lei, gettò al suolo, per con­
siglio di Venere, alcuni pomi d'oro. La fonciulla si chinava per rac.:1.>­
glicrli, e così perdette la gara e divenne sposa del vincitore.
ARTEMIDE O DIANA 59

comunemente il carattere di dea lunare è dato dalia


mezza luna che le orna la fronte. Spesso l'accompagna
una cerva o un cane, animali a lei sacri. Altre volte la
si vede ritta sul suo carro, in aspetto di cacciatrice, ti­
rata da cerve che s'impennano.

La Diana d' Efeso.


In Asia Minore il suo culto si complica di oscuri sim­
boli asiatici. La Diana d' Efeso non è più una vergine,
è la Madre universale, il simbolo della fecondità della
natura. Nel simulacro che si ergeva nel meraviglioso
tempio d'Efeso, la Dea era rappresentata chiusa in una
guaiaa irta di teste di tori, di cervi e di leoni. Le sue
numerose mammelle attestavano l'inesauribile ricchez­
za dei doni naturali. Mentre la religione greca sacrifi­
cava a Diana erbe e fiori, frutti e grano verde, ad Efe­
so il rito era spesso barbaro e crudele .
ATENA
(statua antica)
IL PARTENONE SULL'ACROPOLI DI ATENE (Fot. A linarl)

VI
ATENA O l\IìNERVA
Sua nascita. Il dono dell'ulivo .
A tena o Pallade, che i Latini chiamavano Minerva,
nacque da Giove e dalla Saggezza infusa in lui, in un
modo insolito e bizzarro. Un giorno il Re degli Dei si
sentì dolere acutamente il capo. Chiamò Vulcano e lo
pregò di dargli col fendente dell'accetta nella fronte.
Vulcano ubbidì, e dalla larga fessura vide saltar fuori
con un acuto grido una bella guerriera con l'elmo d'o­
ro e un giavellotto, che ballò davanti agli Dei attoniti
una danza bellicosa. Era Minerva, Dea in pari tempo
della Guerra e della Sapienza. In questa sua singolare
entrata nel mondo divino è simboleggiata la luce terri­
bile del lampo che esce dal fosco seno dell'uragano e
trafigge la nube. Minerva manifestò subito il suo ca­
rattere guerriero aiutando il padre nella lotta contro i
MITOLOGIA GRECA E ROMANA

Titani: prese anzi, secondo alcuni, il suo nome di Pal­


lade proprio dal nome d'uno d'essi, più membruto e
feroce degli .:�.Itri, che :tveva atterrato. Disputò poi a
Giunone e Venere il premio della bellezza, aggiudicato
da Paride a Venere. Quando Cecrope ebbe fondato A­
tene, si trattò di dare il nome a quella città. Nettuno
e �Iinerva si fecero avanti, accampando ciascuno il
proprio diritto. Gli Dei, radunati da Giove, stabilirono
di consacrare l'Attica e d'intitolarla a chi, fra i due,
avesse fatto all'umanità il dono più utile. Nettuno bat­
tè col suo tridente la riva del mare, c si vide balzar
fuori uno sbuffante cavallo. Minerva colpi il suolo col
ferro della lancia, ed ecco sorgere un albero dai rami
contorti, dalle foglie aguzze e grige, dal tronco rude e
nodoso e dalle piccole bacche brune: l'ulivo.
La sentenza degli Dei, che rivela la loro saggezza,
fu la seguente:
c Atene sia sacra a Pallade, perché l'umanità ha più

da guadagnare dal mite ulivo, simbolo di pace, che dal


cavallo, destinato a tirare i carri di guerra ed a span­
dere la morte sui campi di battaglia,.,

La gara con Aracne.

Atena è la dea della guerra, ma differisce molto dal


suo sanguinario fratello Marte. Essa combatte non per
l'amore della zuffa e della strage, ma per il trionfo del­
la giustizia. La sua audacia è riflessiva, e il suo furore
bellico non raggiunge mai la cieca barbarie, la sete be­
stiale di distruzione. L'eroe che Minerva fra tutti pro­
tesse e guidò fu Ulisse, più astuto che violento. L'altra
faccia della sua divinità è l'Intelligenza creatrice, il
genio dell'industria, dell'arte e del pensiero. Atena in­
ventò il forno del vasaio, costruì la nave degli Argo­
nauti, insegnò ai mortali ad arare i campi, ad aggio-
ATENA O MINERVA

gare i bovi, ad ergere la casa e il tempio, a filare la la­


na, a tessere e ricamare stoffe dai colori splendenti.
Presiedeva all'eloquenza degli oratori e al savio gover­
no dei popoli. Inventò anche il flauto: ma fu derisa da
Giunone e da Venere, mentre stava sonando con le
guance enfiate, e, guardatasi nello specchio d'una fon­
tana, s'indispettì nel vedersi infatti così brutta e gettò
via l'istrumento. Questa divina patrona delle leggia­
dre opere femminili era, come si conviene, gelosa del­
le proprie virtù. E quando sentì dire che la lidia Aracne
si vantava di ricamare come nessuno al mondo ed era
pronta a misurarsi con lei, scese piena d'ira, in spoglia
di vecchietta rugosa, nella casa della fanciulla e le pro­
pose la gara, rivelandosi ad un tratto per Pallade. A­
racne accettò. Sulla tela, Minerva rappresentò con l'a­
go e la lana variopinta lo splendore dell'Olimpo e l'a­
spetto degli Immortali; la vergine lidia narrò nel suo
ricamo, con screziati colori, gli amori di Giove. L'o­
pera d' Aracne era cosi bella che Atena, sentendosi
uguagliata, in un impeto di collera la distrusse, spezzò
il telaio e i fusi, e trasformò l'orgogliosa competitrice
in un ragno, consacrandola nell'eternità a tramare una
tela iridescente.
Minerva, tutta intenta agli studi, ai lavori donneschi
e alle armi, non ebbe sposo.

Culto e immagini di Minerva.


Atene votò alla sua Dea protettrice un fervido culto,
le dedicò un tempio magnifico, il Partenonc , e istituì
in suo onore le grandiose processioni che si chiamava­
no Panatenee. L'immagine tipica di Minerva è quella
creata dal genio di Fidia con la celebre statua d'avorio
e d'oro che era custodita nel Partenone e veniva chia­
mata Atena Parthenas (la Vergine).

5
MITOLOGIA GRECA E ROMANA

La Dea era rappresentata con aspetto grave e nobili


forme, in piedi, in assetto di guerra. Una tunica dalle
ricche pieghe parallele avvolgeva il suo corpo. Sul pet­
to le discendeva l'ègida, mantelletta di pelle di capra
frangiato d'oro, su cui digrignava la testa anguicrinita
di Medusa (1). L'elmo portava una Sfinge e due grifo­
ni. Nella destra Pallade reggeva una Vittoria, e con
la sinistra s'appoggiava ad uno scudo ovale cesellato,
tenendo stretta la lancia. Due altre statue di Atena, di
mano di Fidia, si ergevano sull'Acropoli: l'una, l'A­
tena Promachos (o sentinella) fusa nel bronzo, rappre­
sentava il lato bellicoso e protettore della divinità ; l'al­
tra, l'Atena Lemnia, esprimeva di essa la grazia ver­
ginale, il casto e pacifico pensiero che illumina gli uo­
mini e crea la loro civiltà.
Tutte le figurazioni posteriori della Dea sono ispirate
a questi tre tipi. E gli scultori non dimenticano mai di
porle accanto la civetta e il serpente, che come l'ulivo
le sono sacri.

(1) La dea aveva ricevuto quell'orrido trofeo da Perseo, che aveva


ucciso la Gorgone con l'aiuto di essa.
MARTE E VENERE (Fot. A nderson)
quadro di Sandro Botticelli)

VII
ARES O MARTE

Ecco il Dio delle battaglie, ch'era poco accetto, per


la sua smania di carneficina, ai suoi colleghi d'Olimpo,
ed al padre Giove. Figlio del Dio lanciatore del fulmi­
ne e della rissosa e puntigliosa Giunone, questo guer­
riero arrabbiato suscitava le contese dei popoli e non
si sentiva felice che nel tumulto sanguinoso dei com­
battimenti. Armato di spada o di lancia, si faceva stra­
da con grandi colpi fra le legioni in lotta, come un gi­
gante che cammina fra le onde. Il sole traeva dal suo
elmo lampi vermigli. Spesso lo si vedeva guidare un
carro dalle ruote armate di falci. Al suo grido selvag­
gio accorrevano la Discordia con nella destra una spa­
da e nella sinistra una fiaccola fumosa ; il Terrore, dal
volto livido e dalle fruste di serpi; le Keres, genii del­
la strage che bevevano il sangue dei caduti e dilania­
vano le loro membra. Più umana e desiderosa di giu­
stizia nell'ardore bellicoso, Minerva non poteva sof-
66 MITOLOGIA GRECA E ROMANA

frire questo soldataccio feroce, e spesso litigò con lui.


Ma Ares riuscì ad innamorare la moglie del nero Vul­
cano, la splendida e capricciosa Venere. E, un giorno,
fu colto con essa dal Dio del fuoco e fatto prigioniero
in una rete dalla maglia invisibile... I figli di Marte
ebbero difetti ancora peggiori dei paterni. Tanto Lica­
sto quanto Cicno erano briganti che sgozzavano i viag­
giatori. Cicno ammonticchiava i loro cranii, come tro­
feo. Ercole, incontratolo in una gola di montagne, lo
uccise col giavellotto. Sopraggiunse a vendicare il fi­
glio, Marte, che però fu ferito in una co�::ia e atterrato
dal muscoloso avversario, con l'aiuto di Minerva. Mar­
te pianse la sua prole scellerata e mutò Cicno in un bel
cigno candido.
Marte, che i Romani elessero a protettort del loro
impc:·o e della città di Romolo, viene rappresentato
in spoglia di guerriero armato. Due uccelli gli sono sa­
cri: il gallo bellicoso e l'avoltoio divoratore di cadaveri.
LA NASCITA DI VENERE (Fat. A n dersan J
(scult.,ra an.tica}

Vl l l
AFRODITE O VENERE
Nascita di Venere .
La bellezza, sorriso della terra, e l'amore, sorriso del­
la vita, presero forma umana e femminile nel mito d'A­
frodite. La Dea dell'amore , figlia del Mare e del Cielo,
nacque da un po' di spuma galleggiante sul mare, nei
pressi dell'isola di Cipro : e il suo nome greco A /rodite ,
significa appunto nata dalla spuma. In un mattino di
primavera sfolgorato dal sole, una meravigliosa don­
na emerse, tutta stillante, da un placido gorgo azzur­
ro, ritta sull'ondulante piedestallo d'una conchiglia iri­
data. La brezza marina faceva fremere i suoi biondi
capelli e sbattere i veli che avvolgevano il suo candido
corpo. Due Zefiri in spoglia di giovinetti alati e inco­
ronati di fiori, la spinsero col soffio verso la riva. Colà
le Ore le vennero intorno in un molle ritmo di danza,
e detersero le sue membra dalla salsedine, pettinarono
68 MITOLOGIA GRECA E ROMANA

le sue chiome dorate e le intrecciarono di perle; poi le


misero indosso una veste profumata e fecero brillare
sulla neve del suo collo una splendida collana. Un car­
ro d'alabastro tirato da candide colombe s'avanzò:
Afrodite vi salì, tutta sorridente, e in breve ora, attra­
versando gli spazi luminosi, fu nella reggia degli Im­
mortali.

Il giudizio di Paride.

Chi resiste alla bellezza ed alla grazia? Persino gli


Dei più rustici e sgarbati - Vulcano che bazzica solo
col fuoco e Marte che non s'intende che di colpi - re­
starono presi come al laccio da quell'abbagliante crea­
tura. Venere fu la regina dell'Olimpo. Naturalmente la
cosa spiacque ad altre Dee che tenevano al proprio pre­
stigio femminile. Giunone e Pallade non volevano am­
mettere che i vezzi d'Afrodite vincessero la loro bel­
lezza maestosa. Un giorno, mentre Apollo sanava la
cetra e gli Dei stavano ascoltando, la Discordia pene­
trò alla chetichella nell'ampia sala e gettò sulla mensa
una mela d'oro sulla quale stava scritto: Alla più bella.
Fu come lanciare un sasso in un vespaio.
Le tre Dee arsero di mutua invidia. Chi doveva pos­
sedere il pomo?
Bisognò che Giove intervenisse e rimettesse il giu­
dizio definitivo ad un arbitro: e il prescelto fu un pa­
storello del monte Ida, di nome Paride, che ignorava
d'essere figlio di Priamo, re di Troia. Mercurio accom­
pagnò le tre Dee nell'ombroso boschetto ove Paride
stava pascolando la sua greggia. « Bel pastore » , gli
disse, « Giove t'impone di dare questo pomo alla più
bella fra queste belle. Giudica ed eseguisci il suo vole­
re. » E il pomo l'ebbe Venere, che ne fu chissà quanto
AFRODITE O VENERE

grata al bel pastore troiano. Giunone e Minerva par­


vero soddisfatte del giudizio: ma state pur certi che ma­
sticarono amaro.
La morte di Adone.
Se Afrodite affascinava gli Dei e sedava con la sua
apparizione il mare in burrasca e suscitava i fiori dai
prati imbrulliti dall'inverno, pensate che strage dove­
va fare di cuori umani ! Capricciosa e volubile, la Dea
si divertiva a stringere e sciogliere quei nodi che sono
i più dolci e fanno più soffrire. Le sue vittime furono
infinite. Per sua colpa Paride s'innamorò d'Elena, la
rapì e scatenò la rovinosa guerra di Troia ; per sua col­
pa Piramo e Tisbe (1), Ero e Leandro (2), Eco (3) e
Didone perirono. Ma poiché è legge che ognuno sof-

(r) Piramo e Tisbe si amavano teneramente. Un giorno si dettero


convegno in una selva. Tisbe giunse per la prima e fu sorpresa da una
leonessa che l'inseguì. Per liberarsene, la fanciulla le abbandonò il suo
velo che giacque al suolo, lacerato e intriso del sangue di cui la belva
aveva la bocca grondante. Piramo giunse al convegno e vide il velo
insanguinato. Credendo che Tisbe fosse morta, si trafisse il petto con la
spada. Ma Tisbe tornò sui suoi passi e scoperse Piramo moribondo :
onde, per l'angoscia, si colpì con la spada di lui e gli giacque morta
sul petto. Dal suo sangue furono imporporati per sempre i frutti del
gelso, fin allora bianchi.
(2) Per riunirsi ad Ero, sacerdotessa di Venere, che amava, Leandro
tutte le notti passava a nuoto l'Ellesponto (lo stretto dei Dardanelli),
guidato dalla fiaccola d'Ero. Durante la traversata, una notte fu sor­
preso dalla burrasca e annegò. Le onde portarono il suo corpo fino :t
Sesto ove dimorava la sua amica, che, disperata, si gettò nel mare.
(3) Eco era una ninfa che abiLava le rive del fiume Cefiso. S'inna­
morò di Narci.ro, giovane fatuo e bellissimo che non amava che se stesso.
Respinta da lui, andò vagando per valli e selve, empiendo l'acre di ge·
mitt, finché s'inaridì pel dolore. Il suo corpo divenne una roccia. S'ode
la sua voce nelle solitudini rispondere fievole, se la si chiami. Nw:iso
fu punito da Venere in un modo singolare. Vide la propria effigie ri­
flessa in una fontana, se ne innamorò, si disperò e morì. Dove cadde,
sbocciò il fiore chiamato narciso.
MITOLOGIA GRECA E ROMANA

fra dei mali che cagiona altrui, anche Venere subì le


frecciate del suo figliolino malizioso, Amore. Adone fu
il primo ch'ella amasse. Questo giovane bellissimo,
cacciatore infaticabile, destò nella Dea ,ma viva pas·
sio·1e. Un giorno, mentre inseguiva un cinghiale in
una foresta, egli fu mortalmente ferito dalla belva, ri­
voltatasi all'improvviso. L'erba e le rose s'imporpo­
rarono del suo sangue. Venere accorse alle grida del-
1'amato e non poté che raccoglierne l'ultimo respiro e
trasformarne il corpo in un anemone. Giove, per con­
solare la Dea disperata, consentì che ogni anno Adone
11scisse dall'Erebo per quattro mesi, e li trascorresse
con lei. La morte precoce di Adone rappresenta l'ina­
ridire della vegetazione primaverile sotto la sferza del
sole estivo. I funerali e la resurrezione di Adone erano
oggetto ad Atene, a Biblo e ad Alessandria, di compli­
cate celebrazioni annuali, che rappresentavano l'eter­
no rinascere d'ogni cosa.

Venere, sposa di Vulcano.


Dopo Adone, Venere amò Anchise, principe troia­
no, e dalle loro nozze nacque Enea che doveva fon­
dare l'impero di Roma. Poi andò sposa di Vulcano.
Dio del fuoco: e queste strano matrimonio avvenne
per volontà di Giove eh.:- volle ricompensare così l'af­
fumicato fabbro di Mongmello, per avergli martellato
sull'incudine i tremendi fulmini con cui annientò i Ti­
tani che avevano tentato di scalare l'Olimpo. Venere
mancò di fede al suo ispido sposo e si lasciò innamo­
rare dal soldataccio Marte.
AFRODITE O VENERE 71

Il culto di Venere. Le tre Grazie.


Venere era rappresentata coi caratteri d'una bellezza
più ridente e vezzosa che quella di Giunone e di Pal­
lade. Talvolta la si raffigurava seduta sul dorso d'un
cavallo marino o ritta sulla conchiglia, oppure in pie­
di sopra un carro trascinato da cigni o da colombe. Il
suo simulacro era adorno di molti gioielli : perché Ve­
nere non è solo la Dea della grazia, dell'amore e del
matrimonio, ma rappresenta anche l'ambizione fem­
minile. Gli Spartani l'adoravano sotto il nome di Ve­
nere Urania o Celeste, e le davano un aspetto serio e
quasi guerriero. Per esser onorata con speciale devo­
zione a Cipro ed a Pafo, veniva chiamata anche Ci­
prigna e Venere Pafia. Erano sacri a lei il mirto e la'
melagrana, l'ariete, la lepre, il passero e l'amorosa co­
lomba. Il corteo di Venere comprendeva le tre Ore (r) ,
belle giovani incoronate di fiori che le porgevano lo
specchio ; un nuvolo d' amorini paffutelli e saltellanti,
e le tre splendide fanciulle che i Greci chiamarono Cà­
riti e i Romani Grazie, e che simboleggiavano i raggi
del sole. Si chiamavano Aglae (la brillante) , Eufrosine
(gioia del cuore) , Talia (colei che copre le piante di
foglie e di fiori). Erano simbolo della bellez'la che ani­
ma e rende felice la vita. Davano grazia agli elementi,
dipingevano di rose l'aurora , di viole e crochi il tra­
monto . screziavano d'oro le onde ; smaltavano di fiori
i prati e ; hoschi, conferivano alle donne e ai fanciulli
il dono div1110 della bellezza, ispiravano l'arte e la poe­
sia. Si rappresentano sempre avvinte in ghirlanda, in
atto di danzare un giro tondo composto e leggero. Ta­
lora si univ,r no ai cori irrequieti delle Ninfe e preme­
vano l'erba con un ritmo più rapido e gioioso.
(1) Rappresentano le stagioni, che per gli antichi erano tre : Prima­
vera, Estate e Inverno.
MITOLOGIA GRF.C:A F. ROMANA

Eros, figlio di Venere.


Venere aveva un figlio, Eros, detto anche Cupido o
Amore, un ragazzetto bellissimo e terribilmente monel­
lo, che con le sue saette dalle penne variopinte si di­
vertiva a trafiggere il cuore agli Dei ed agli uomini.
Era la personificazione dell'amore tiranno e crudele,
beffardo e volubile, cieco e irragionevole. Infatti lo si
raffigurava bendato e alato, con un arco e un turcas­
so pieno di frecce, oppure con una fiaccola destinata a
produrre aspre scottature. Più volte Venere dovette pu­
nirlo, perché con le sue scappate causava rovine e mor­
ti, e ardiva mirare anche al cuore di sua madre !

La favola d'Amore e Psiche.


E qui si affaccia il mito pieno di grazia d'Amore e
Psiche. Psiche - l'anima - era una giovinetta d'una
bellezza così rara da rivaleggiare con Venere. Cupido
se ne innamorò e la teneva chiusa in un luogo di de­
lizia, nel folto d'una selva, visitandola nottetempo, sen­
za mai rivelarle il proprio aspetto. « Finché tu non cer­
cherai di sapere chi io sia e di vedermi, il nostro amo­
re durerà. Ma svanirà come neve al sole, non appe­
na tu tenterai di penetrare il segreto del mio essere n .
Ora la povera fanciullina, alla quale le sorelle invi­
diose avevano fatto credere che il suo amico fosse un
mostro, non seppe resistere alla tentazione di vederlo:
e una notte, mentre Amore dormiva, lo contemplò alla
luce d'una piccola lampada. Stupefatta e incantata da
tanta bellezza, non s'avvide che una gocciola d'olio
ardente colava dal serbatoio del lume. Svegliato da
quella stilla di fuoco che gli cadde sulla spalla, Amore
apri gli occhi, vide Psiche curva su di lui, e, indigna­
to, si dissipò come una nube. A Psiche non restò che
AFRODITE O VENERE 73

piangere, invocarlo e cercarlo per tutta la terra, finché


un giorno capitò nella reggia di Venere e supplicò la
Dea di renderle suo figlio. Ma Venere, che sapeva che
taluni preferivano la bellezza di Psiche alla propria e
ardeva di gelosia, l'accolse con busse e ingiurie, e poi
la fece sua schiava. Cupido intanto, commosso dalla
fedeltà dell'amica, implorò da Giove di liberarla e di
dargliela in sposa: e Giove lo appagò e rese immor­
tale la fanciulla. Il mito di Psiche, uno dei più profon­
di e soavi dell'antichità, mentre personifica nella tene­
ra amica d'Eros l'anima in preda ai tormenti ed alle
gioie dell'amore, esprime un'altra VQrità n0n meno
universale : che cioè la felicità non dev'essere scrutata
troppo da vicino, sotto pena di vederla dileguare.

VENERE
(da una statua antica)
V E NERE NE LLA FUCINA DI VULCANO (Fot. A l/nari)
( quadro di F. Boucher)
(Fot. Alinarf)
VULCANO E I OICLO?I PREPARANO LO SCUDO D'ACHILLE
(scultura antica)

IX
EFESTO O VULCANO
Il Dio zoppo del fuoco. I Ciclopi.
A presiedere all'instancabile e rodente fuoco, che però
doma i metalli e rende possibili le arti, i pagani elesse­
ro un dio zoppo e brutto di persona, che aveva più del
fabbro che non del genio della fiamma. Efesto, detto
dai Romani Vulcano, era figlio di Giove e di Giunone.
Si narra che fosse così spiacevole d'aspetto quando
nacque, che sua madre prese a odiarlo e finì col preci­
pitarlo giù dall'Olimpo. Il povero reietto cadde per un
giorno intero, e, quando si fermò, si trovò tutto azzop­
pato, sull'isola di Lemno che fremeva di fuochi na­
scosti. Là impiantò la sua fucina in un cratere e vi
lavorò alacremente per nove anni, a battere e plasma­
re il ferro, il bronzo e i metalli preziosi. Nelle viscere
MITOLOGIA GRECA E ROMANA
--- �---- -- - ----- -- - -- - -

fumose dell'Etna, aveva un'altra fucina ove, coadiu­


vato dai Ciclopi, giganti con un occhio solo nel mezzo
della fronte, batteva sull'incudine i fulmini per gli Dei.
I boati dell'Etna, le sue pioggie di sassi e di lapilli, le
lente colate della lava erano per gli antichi l'indizio del­
l'attività sotterranea di Vulcano e dei suoi ispidi e fu­
ligginosi inservienti.
Stanco di affaticarsi sempre al buio, in una tormenta
di scintille, Efesto cercò un giorno di risalire nell'Olim­
po, d'onde la mala grazia di Giunone l'aveva così ru­
demente cacciato. Fabbricò un bel trono d'oro, tutto
filigrane e ceselli, e lo mandò alla madre. Ma appena
ci si fu seduta, la Dea si sentì legata da invisibili fili,
e non valsero le fatiche di tutti gli Olimpii per staccar­
la dal fatale sgabello. Giove dovette mandare Mercu­
rio fin nell'antro di Lemno, a cercare l'autore dell'in­
fida scranna. E Vulcano accettò di liberare Giunone,
a patto di poter tornare, con tutti gli onori, nella reg­
gia degli Dei. Appena rientrato nell'Olimpo, vi im­
piantò una formidabile fucina e faceva tremare coi col­
pi di maglio e col soffio dei mantici le volte di cristal­
lo del cielo.
Opere del divino fabbro. Pandora.
Quante belle cose esegui allora sopra l'incudine au­
rea ! Tutti gli Dei reclamavano qualche gioiello da quel­
l'artefice deforme e prodigioso. Giove ebbe da lui lo
scettro e il trono d'oro; il Sole il carro scintillante ; De­
metra, dea delle messi, la lucida falciola. Vulcano ce­
sellò coppe e guantiere per la mensa ambrosia, fabbri­
cò seggi per i lombi divini, ornò di statue d'oro e d'i­
storiate lastre di rame le sale immense dell'Olimpo. E
per Arianna fece un diadema che sembrava conserta
d'astri, per Ercole una corazza d'oro che abbagliava,
EFESTO O VULCANO 77
per Achille una completa armatura a ricchissimi sbal­
:d . Poi, per ordine di Giove irato contro Prometeo, ese­
gui il suo maggior capolavaro nell'effigie della prima
donna, Pandora (1) , che modellò in argilla e animò
con una magica vita, rapita al fuoco. La statua per­
fetta cominciò a muoversi, a sentire, a parlare. Tutti
gli Dei le fecero un dono : Venere le diede la bellezza
e infuse d'oro le sue morbide chiome ; le Grazie la cin­
sero di veli e la incoronarono di fiori ; Minerva la rese
saggia ; Mercurio abile nel parlare ; Apollo le largì la
virtù del canto ; e Giove le diede un vaso misterioso
e le disse : « Recati da Prometeo che ha reinfusa la vi­
ta all'argilla con una goccia di fuoco celeste, e porgigli
per ricompensa questo dono » . Ma meditava la perdita
del benefattore degli uomini (2). Prometeo, diffidando
di lui, ricusò d'aprire il vaso. Suo fratello Epimeteo
s'innamorò intanto di Pandora, e la sposò. Veduta
l'anfora misteriosa, non seppe resistere alla tentazione
di sapere che cosa contenesse. Il vaso fu aperto, e se
ne sprigionò in un boato tutta la livida torma dei mali
della terra. . .
Nazze di Vulcano con Venere.
Vulcano, tanto brutto da destare le risate degli Dei
quando compariva nelle loro adunanze e nei loro con­
viti, ebbe la triste idea di sposare Venere, dea della
bellezza. Non fu certo felice quell'unione fra un rozzo
battitore di metalli e la bianca figlia della spuma del
mare ! La Dea dei sorrisi e dei vezzi ingannò lo zoppo
marito con Marte, Dio della guerra : e quando, un gior­
no, Vulcano riuscì a imprigionarli insieme in una sot-
(1) Dal greco pa11 (tutto) e doron (dono).
(2) Vedi Parte I, capitolo Il : il Mito di Prometeo.
MITOLOGIA GRECA E ROMANA
- -------·- -·--
tilissima rete e li fece vedere agli Dei congregati, invo­
cando vendetta, non ottenne che risate.
Vulcano viene rappresentato in figu ra d'un fabbro
muscoloso e villoso, avvolto d'una leggiera tunica, e
con in mano un martello e una tenaglia. Spesso gli si
pone accanto un leone, belva il cui ruggito evoca i sor­
di rombi dei vulcani (r).

( 1) Al culto di Efcsto e dei Ciclopi si riattacca quello, che fu fio­


rentissimo a Lemno e in Beozia, cli r.erte divinità misteriose e temibili
che si chiamavano Cabiri : si confondono un po' con Dcmètra, un po'
con Vulcano : aiutano la terra a produrre frutti, e sono potenze sotter­
ranee, genii del fuoco, in/idi e capricciosi, che fondono e b:ittono i me­
talli, come i Ciclopi. Molto affini ad essi sono i Telc/1i11i, venerati in
Rodi, specie di dèmoni del fuoco vulcanico e di folletti che si diverti­
vano a perturbare l'atmosfera. Erano considerati gl'inventori della me­
tallurgia.
Mentre siamo nel regno del fuoco elementare e divampante, pensia­
mo con intima gioia alla fiamma tranquilla che arde nel focolare, sotto
la protezione della vergine Hestia (Vesta), figlia di Saturno e di Cibele,
Dea del fuoco domato e spirituale, sia che brilli sotto l'affumicata cappa
nel placido casolare, sia che sul marmo degli altari attesti la devozione
degli uomini agli Dei. Questa dolce e solenne patrona della casa, della
famiglia e della città, godeva in Olimpo i privilegi sovrani. Roma le
�resse un celebre tempio, e le Vestali che mantenevano il fuoco sacro
sulla sua ara, erano sepolte vive se mancavano ai voti di castità e se
lascia vano morire la sacra favilla. t stata confusa con Cibele e con Gea.
( Fot. A Unari)
NIOBB CON UNA DELLB SUE FIGLIE
(•cultura antica)
MERCURIO RESTITUISCE PROSERPINA ALLA MADRE
(quadro di F. L<ighton)
DIANA COLPISCE I FIGLI DI NIOBE ( Fot. A ltnari)
(scultura antica)

DEMETRA O CERER E
La dea delle biade. Trif.'olemo e Le Eleusine .
In Demetra, che le statue e i bassorilievi antichi rap­
presentano con una falciola in mano e nell'altra un
mazzo di spighe e di papaveri, si venerava la Dea del­
l'agricoltura e specialmente del grano. I miti di cui
era intrecciata la sua leggenda avevano tutti relazione
con la fertilità della terra e col lavoro che spreme da
essa l'alimento della vita. Demetra era nata da Satur­
no e da Cibele, Dea della terra. Si narrava in alcuni
luoghi che fosse stata rapita e sposata a Nettuno , Dio
dell'elemento acqueo, indispensabile alla vegetazione.
Dalle sue nozze con l'eroe Giasone sarebbe nato Pluto,
dio della ricchezza rurale, accecato poi da Giove. La
Dea benefica percorse le incolte lande e insegnò agli
uomini a coltivare le messi, mentre Bacco insegnava
loro a piantare la vigna. Non contenta di rivelarsi agli
82 MITOT.OGIA GRECA E ROMANA

umili abitatori dei campi per spiegare loro i riti dell 'arte
agraria, Demetra educò l'eroe Trittolemo, e confida­
tigli i segreti dell'aratura e della semina, lo spedì pel
mondo, sopra un carro alato, tirato da dragoni, accioc­
ché diffondesse l'amore per le fatiche pie e ricche di
compensi della coltivazione. Questo eroe-dio fondò Eleu­
si, ed istituì le solenni feste a Demetra, che si chiama­
vano Eleusine e che celavano solenni e inviolabili mi­
steri ( r).
Demetra alla cerca della figlia Proserpina.
Demetra aveva una figlia, Core o Proserpina. Plu­
tone, re dei morti, emerso d'improvviso col suo carro,
mentre la bellissima fanciulla coglieva fiori presso la
fontana Aretusa, la rapì. Demetra disperata si pose to­
sto alla cerca della figliola, per nove giorni non gustò
nèttare né ambrosia, e faceva sonare l'aere di lamenti.
I l Sole impietosito le rivelò la buia sede della giovi­
netta, ormai regina dei morti. Allora Cerere discende
nell'Inferno, ma le è precluso l'accesso alla reggia di
Plutone. Indignata, colpisce la terra di un'orrenda ma­
ledizione che isterilisce le zolle, dissecca la verdura e
fa cader morti i buoi nei solchi. Giove teme che la raz­
za dei mortali stia per perire, e interviene, mandando
Mercurio al Dio dell'Erebo, per ottenere la restituzione
della figlia di Demetra. Plutone accondiscende a lascia­
re che Proserpina per l'avvenire viva con la madre in
Olimpo, durante otto mesi dell'anno... Allora Cerere
esultante ridona alla terra tutti i suoi frutti e i suoi fiori.
Un'uberlosa estate consacra la sua riconciliazione con
(1) Un'altra tradizione attribuiva la fondazione dei misteri sacri di
Eleusi a Demetra stessa, che ne aveva fotta la rivelazione agli Eleusini
per ricompensarli della pietà con cui l'avevano accolta quando errava
in forma di umile vecchia, alla cerca di Core (Proserpina).
DRiiÈTRA O CERERE

le potenze del Cielo e dell'Inferno. Nel mito pieno di


poesia di Core, che per otto mesi brilla in tutta la sua
giovanile bellezza nella piena luce dell'Olimpo, mentre
per quattro mesi è destinata a scomparire nelle cupe
viscere della terra, si distingue chiaramente il ritmo
della vegetazione, alla quale l'inverno riserba un triste
letargo, interrotto dal gioioso risveglio della prima­
vera.

( Fot. A linari)
UN A FIGLIA DI NIOBE
(da una ac:ultura antica)
(Fot. Alinari)
MERCURIO
(Statua ciel Giambologna)
MERCURIO E ARGO (Fol. Brockmann)
( 1uadro di P. P. Rubens)

XI
HERMES O MERCURIO

Invenzione della cetra.


.lfrrcurio, figlio di Giove e di Maja, è la personifi­
cazione del vento e il Dio dcll' eloquenza, il messaggero
di Giove e il protettore dei pastori, dei viaggiatori, dei
mercanti e dei ladri. Attribuzioni alquanto eterogenee
in verità : ma un sottile filo le allaccia. In qualità di
Dio del vento, Mercurio deve proteggere l'eloquenza
degli avvocati e degli oratori, che spesso ha l'inconsi­
stenza del vento ; i messaggeri hanno ali ai piedi, i
viaggiatori vorrebbero averle ; i ladri s'insinuano dap­
pertutto e fuggono come il vento. Se Hermes è il dio
dei ladri, nulla impedisce che possa esserlo anche dei
mercanti . . . senza contare che il furto più grandioso di
86 MITOLOGIA GRECA E ROMANA

cui si rese colpevole, fu proprio un furto di giovenche,


ciò che spiega la sua qualità di protettore dei bifolchi
e dei pastori... Nelle montagne della Pieride, Apollo
pascolava cinquanta floride giovenche (1) . Mentre il
Dio della luce sonnecchiava nella fresca notte, Mer­
curio giovinetto gliele spinse in branco nella valle, e
le serrò tutte in una grotta del monte Cillenio. Essen­
dogli venuta fame, non indugiò un attimo a scannare
due vitellini poppanti e a cuocerli a fuoco vivo: na­
turalmente, in qualità di Dio, si limitò ad aspirare il
profumo generoso della carne arrostita. Intanto Apollo
si sveglia e con grande stupore vede che l'armento è
scomparso. La sua chiaroveggenza divina lo illumina
tosto sulla sorte delle giovenche. A grandi passi corre
verso il monte Cillenio, trova la caverna e vi penetra,
ribollendo di furore. Ma Mercurio lo ammansò senza
la minima pena. Nella notte, per gioco, s'era costruito
uno strumento musicale con sette corde tese sul lato
concavo del guscio d'una testuggine, e ne traeva suoni
ammalianti. Apollo ascoltò rapito. Il Dio dell'armonia
davanti a quel prodigio dimenticò tutto. Mercurio se
la cavò restituendogli le giovenche e regalandogli la
lira. Apollo anzi spinse la sua indulgenza sino ad affi­
dargli la custodia dell'armento ! Il mito dell'armento
d'Apollo rubato da Hermes s'interpreta naturalistica­
mente così : le giovenche sono le nubi fecondatrici ;
Hermes è il vento che le scaccia e le porta lontano, le
nasconde ai remoti confini del cielo ; Apollo è il sole
che le ritrova e, aiutato dal vento stesso, le riporta a
pascere nelle praterie azzurre, acciocché, sciogliendosi
in benigna pioggia, fecondino le praterie verdi della
terra.

(1) Ho già narrato parzialmente questa favola nel capitolo su Apollo.


IIERMES O MERCURIO

Furti e servizi di Mercurio.


Che Mercurio fosse un incorreggibile ladro lo atte­
stano mille furti posti a suo carico dalla favola : ad
Apollo rapì anche il turcasso e le frecce, a Vulcano
il martello e l'incudine, a Venere il cinto, a Nettuno
il tridente, a Marte la spada... Ma voglio credere che
fossero piuttosto burle che furti, tanto più che il Re
degli Dei gli voleva bene e lo nominò prima suo cop­
piero, al posto d'Ebe caduta in disgrazia, poi suo mes­
saggero ed ambasciatore. Quante cose difficili seppe
condurre a termine questo Dio, rapido come il vento e
astuto come la volpe ! Quando si trattò di dare un'edu­
cazione a quel bricconcello di Eros, figlio di Venere,
a chi si pensò? A Mercurio. Di chi si servì Giove per
mandare messaggi minacciosi a Prometeo sul Cauca­
so ? Di Mercurio. Chi aiutò Plutone, dio dell'Averno,
a rapire Proserpina? Mercurio. Chi aiutò Marte a scap­
pare dalla prigione in cui l'aveva rinchiuso Vulcano,
oltraggiato da lui? Mercurio. Chi portò in braccio Bac­
co fanciullo, minacciato da Giunone, alla grotta di
Nisa? Mercurio. Ad un cenno di Giove, ecco il Dio
snello ed astuto lanciarsi nell'aere, battendo le alucce
che ornano i suoi magici sandali e che gli servono del
pari a dominare l'elemento umido e la terra immensa.
In capo ha un cappelletto tondo, detto pètaso . Nella
sinistra tiene il caducèo, bacchetta che gli fu donata
da Apollo e intorno alla quale sono avviticchiati due
serpi. Quello scettro alato è un simbolo di pace. Her­
mes trovò un giorno due serpi che lottavano sibilando.
Con quella bacchetta le separò, ed eccole ancora su
quella bacchetta allacciate e quiete. Uomini e Dei se
lo trovano davanti all'improvviso. Mercurio porta or­
dini e messaggi, adempie incarichi di fiducia, è dotato
d'una memoria d'acciaio, ha il dono del convincere,
MITOLOGIA GRECA E RO:MANA

il fascino dell'eloquenza e il miele amaro dell'astuzia.


Sentite ancora una delle sue prodezze.

La favola d'Io e di Argo.


Giove s'era innamorato d'Io, figlia d' Inaco, e per
sottrarla alla collera di Giunone l'aveva convertita in
una bianca giovenca (r). Ma Giunone subodorò l'in­
ganno e pregò il suo sposo di con�ederle in dono il bel-
1' animale dallo sguardo umano. Ecco Giove preso al
laccio. Come rifiutare il dono senza destare sospetto ?
Quando Giunone ebbe fra le mani la povera Io in spo­
glia bovina, l'affidò alla sorveglianza d'Argo, figliuolo
d'Agenore, che aveva niente meno che cent'occhi in­
torno al capo e che, nel grosso del sonno, ne teneva
sempre aperti almen cinquanta. Argo faceva la sua
guardia con tale zelo, che Giove era ridotto alla di­
sperazione. Allora, come in ogni caso difficile, il Re
degli Dei si confida a Mercurio. Una scrollatina delle
ali dei sandali, ed ecco Hermes che taglia l'aria a piom­
bo al disopra del pascolo barricato, ove Io mangiucchia­
va svogliata un po' di fieno, sotto i cent'occhi d'Argo.
Prese l 'aspetto d'un pastorello e, sedutosi a pochi
passi dal mostruoso custode, in una macchia di faggi,
cominciò a sonare sul flauto la più bella aria bosche­
reccia. Argo stupito ascolta. Vorrebbe slanciarsi verso
l'invisibile musico, ma la canzone è così soave che non
può muoversi. Un languore strano fa chiudere ad uno
ad uno i suoi occhi, come certi fiori appassiti dalla ca­
nicola. Mercurio salta fuori dal cespuglio e con un colpo
di spada gli taglia la testa. Ma Giunone non era meno
abile di lui, e fece pungere la candida vaccherella da

(1) S('condo altri mitografi, fu Giunone stessa che convertl Io in gio­


venca per strapparla all'amore di Giove,
IlERMES O MERCURIO 8g

un tafano. Quanto corse la povera Io, lacerando l'aere


coi muggiti lamentosi ! Traversò a nuoto il Bosforo,
attraversò al galoppo la Fenicia arsa dal sole, bevve
con sordo gorgoglio l'acqua del Nilo che scorre fra
basalti neri. Solo in Egitto Giove poté liberarla dal
terribile tafano che l'aveva inseguita, e le ridiede il
mo bel volto e i suoi capelli d'oro. Giunone dovette
confessarsi vinta, e per onorare la memoria d'Argo,
vittima del suo dovere, costellò con cento occhi azzurri
e verdi la spampanata coda del pavone, che divenne
il suo uccello prediletto.

Aspetto e simulacri di Mercurio.


A Mercurio venivano eretti, nei bivii e nei trivii delle
strade, pilastri con la sua testa ripetuta fin quattro vol­
te. Le erme, immagini del Dio del commercio, che si
riteneva l'inventore dei pesi, delle misure e delle bi­
lance, sorgevano nei mercati e nelle piazze. La sua bel­
lezza, la sua forza e la sua agilità lo facevano venerare
dai ginnasti, come la sua eloquenza e l'arte di persua­
dere lo eleggevano patrono degli oratori e degli avvo­
cati. Mercurio è raffigurato come un giovane dall'a­
spetto vigoroso e snello. Il pètaso, i calzari alati e il
caducèo sono le sue caratteristiche. Non dimenticate
che questo Dio protettore dei vivi non li abbandonava
dopo la morte, ma conduceva le anime giù nel fondo
Hades, e le consegnava a Caronte per l'ultimo tragitto.
In tale qualità di conduttore di anime (Ermete Psico­
pompo) gli si facevano sacrifizi nel momento della mor­
te, e lo si rappresentava sulle tombe.
PA R T E S E C O N D A

GLI DEI DEL MARE DELLA TERRA

E DEGLI INFERI
( Fct. Glraudon)
POSIDCNE E ANFITRITE SU UN CARRO TIRATO DA TRITONI
(scuhura a ntica)

I
POSIDONE O NETTUNO
Nettuno e Anfttrite, sovrani del mare.
A Posidone, figlio di Saturno e di Cibele, che i Ro­
mani chiamarono Nettuno, Giove, suo fratello, diede
per dominio il mare. Per poco, suo padre, mosso dalla
consueta fame rabbiosa, non lo divorò come gli altri
fratelli. Ma la madre diede da mangiare in sua vece
all'abbrutito Saturno un puledro, e quello, senza trop­
po pensarci su, inghiottì il cavallino e risparmiò il fu­
turo Dio delle onde. Dapprima Posidone fu fedele a
Giove e lo aiutò nella guerra contro i Titani. Ma poi,
per gelosia dell'impero sterminato che l'Olimpio s'era
aggiudicato da sé, complottò con Apollo per precipi­
tare il padre degli Dei dal suo eccelso trono. Andata
a male la congiura, fu scacciato dal Cielo, e con Apollo
94 :MITOLOGIA GRECA E ROMANA

andò ad aiutare Laome<lonte che costruiva le mura


di Troia. Ebbe una serie d'altri contrasti quando pre­
tese di dar il proprio nome ad Atene, che invece s'inti­
tolò a Minerva. La reggia di Nettuno è in fondo al
mare. La luce filtrata dalle acque vi fa scintillare le
madreperle e i coralli, e palpita nel mistero verdazzurro
delle grotte, tra le chiome delle alghe e le corolle dei
fiori marini. In quel silenzio fatato, Posidone regna con
la sua sposa Anfitrite, figliuola dell'Oceano, già restia
all'amore di lui, ma fedele dal giorno in cui due del­
fini la vennero a prendere sulle falde del monte Atlante
e la condussero al Dio in un carro a foggia di conchi­
clia. Posidone domina l'elemento liquido, scatena e
placa le burrasche, suscita e incatena i mostri, fa spesso
tremare la terra e fender le montagne col sussulto della
sua collera (terremoto). Capriccioso e violento, vendi­
cativo e benefico, fa sorgere all'improvviso in pieno
mare un'isola o un arcipelago, e dall'arido sasso fa
spiccare una fonte, per la gioia dei viandanti arsi dal
�,ole. La Grecia, paese marittimo e navigatore, vedeva,
in questa divinità terribile e feconda, quasi un secondo
Giove, e ogni quattro anni celebrava in suo onore splen­
didi giuochi sull'istmo di Corinto: i Giuochi istmici.
Posidone è comunemente rappresentato con l'aspetto
d'un uomo vigoroso, nudo o cinto d'un drappo svo­
hzzante, sopra un carro in forma di conchiglia tirato
cla cavalli marini. Nei foltissimi capelli a ciocche è
evidente un'allusione alle arricciate onde del mare. Il
suo attributo principale è il tridente. Il suo equipaggio
galoppa, sollevando spruzzi di spuma sui sentieri verdi
dell'Oceano, circondato da tutta la coorte dei Tritoni,
delle Nereidi, dei delfini e dei mostri dell'abisso.
Nettuno generò Tritone, metà uomo e metà pesce,
che gli serviva da messaggero e comandava uno stuolo
di mostri turbolenti e sciaguattanti, suoi pari, tutti ar-
POSIDONE O NETTUNO 95

mati di conchiglie sonore con le quali facevano una


musica discorde intorno al carro di Posidone; Glauco,
destinato a tramutarsi in pesce; Polifemo, gigante ter­
ribile con un occhio unico in .fronte, che abitava le co­
ste della Sicilia e fu accecato da Ulisse, come vedrete,
dopo d'aver amato indarno la bella ninfa Galatea ; e
Anteo, gigante libico, che fu ucciso in una dura lotta
da Ercole.

(Fot. Alinari)
NETTUNO
(stampa antica)
(Fot. A l/nari)
EOLO
(statua di Ella Candido)
TRITONI E. NE.RE.IDI (Fot. A l/nari)
(scultura anti:a)

II
LE DIVINITÀ MINORI DEL MARE
Oceano. Le Sirene. Proteo.
L'Oceano, pieno di misteri e di spaventi, d'incante­
simi e di mostri, suscitò nell'immaginazione degli an­
tichi numerose personificazioni di tutte le sue forze,
dei suoi segreti, delle sue aspre collere, della voluttà
delle sue ore di calma e di splendore. Così nacquero le
divinità marine minori: dall'antico mito d'Oceano, fi­
glio del Cielo e di Vesta, sposo di Tetide e padre delle
Oceanine, ninfe del mare, a Proteo e Nereo, suoi figli,
abitatori degli abissi salati; da Glauco, figliuolo di Net­
tuno, che di pescatore si tramutò in pesce, avendo
mangiato un'erba miracolosa, a Forca , altro dio ma­
rino, che ebbe una figliuolanza spaventevole di mostri :
le tre Gorgoni, le Graie, vecchie perenni, cieche e sden­
tate, Ladone, drago che custodiva il giardino delle
Esperidi, e (secondo altri) anche il mostro di Scilla
che fracassava tutte le navi nello stretto di Messina.
98 MITOLOGIA GRECA E ROMANA

Intorno al carro nettunio nuotavano e battevano l'ac­


qua ricamata di spuma le Nereidi, figlie di Nereo, altro
genio marino a cui si attribuiva una bella barba az­
zurra. Quelle cinquanta Ninfe splendide e gaie intreccia­
vano ghirlande di fiori marini, danzavano sull'onda
come sopra un pavimento e cavalcavano delfini e ca­
valli di mare, accompagnando la conchiglia opalina
d' Anfitrite. La pianura ondosa brulicava di quelle deità
piscee e verdazzurre, come il gorgo profondo brulica
di pesci e di mostri.
Nello sterminato silenzio del mare, non discosto dalle
rive della Sicilia, i marinai languenti di nostalgia udi­
vano talvolta un canto divino. Era un coro di tre voci
di donne d'una dolcezza che fondeva il cuore. Aveva
qualcosa delle ninnenanne ricordate dall'infanzia, ed
era un canto di ebbrezza. E gli uomini abbandonavano
le funi e il timone, e ascoltavano. E la fame li trovava
insensibili, e la Kere veniva a prendere i loro corpi
esanimi. Tutta la costa biancheggiava d'ossa portate
dal mare. Era il canto delle Sirene. Ulisse l'udì, e per
non morire tappò le orecchie dei compagni con la cera
e si fece legare all'albero maestro. Orfeo, passando sul­
la nave degli Argonauti, osò lottare con quelle dee ca­
nore e perfide, e , vintele con la cetra, ebbe la gioia
di vederle precipitarsi per dispetto nell'onda e mutarsi
in scogli.
Talvolta i naviganti vedevano forme strane crearsi
e svanire nei vapori dell'orizzonte o nei veli della neb­
bia. Ora era la testa d'un leone, ora la spirale d'un
serpe, ora un riflesso di fiamme, ora il turbine di spu­
ma d'un torrente . . . In quei giochi di luce, in quei mi­
raggi, la fantasia antica vedeva i giochi e le burlette
d'un dio astuto e volubile, Proteo, a cui Nettuno aveva
affidato la custodia dei suoi greggi di foche e di vitelli
marini. Questo pastore che aveva per prati le acque
LE DIVINITÀ MINORI DEL MARE 99
e per stalle le caverne sottomarine, possedeva la virtù
<l'indovinare il futuro. Ma era un affar serio a farlo
parlare. Prendeva tutte le forme immaginabili, pur di
sfuggire alla gente che cercava di consultarlo !
E l'equipaggio, mentre la nebbia sfioccava o la nube
si adagiava nell'ombra violacea della sera, parlava con
ammirazione delle astuzie messe in opera da Menelao
reduce da Troia, per incatenare il dio algoso, che sa­
peva diventare un albero fronzuto , un drago, un cin­
ghiale, un'onda limpida, e per conoscere da lui ia via
del ritorno in patria.

(Fot. A /inari)
SIRENE
(quadro di Knupfer)
BACCO, ARIANNA E SATIRI (Fot. A llnarlJ
(da un quadro di Tiziano)
(Foto A linari)
BACCO, PRECEDUTO DA UN FAUNO E DA UNA BACCANTE
(scu1�ura antica)

lll

DIONISO O BACCO

Educazione di Bacco. Invenzione del vino.

Figlio di Giove e di Semele, il Dio del vino è oggetto


d'un ricchissimo ciclo di favole e di leggende, sorte in
tutte le regioni della Grecia e nella Tracia e nell'Asia.
Quando Giunone s'accorse che Semele, figlia di Glau­
co, doveva metterlo al mondo, le consigliò perfidamente
di chiedere al Re degli Dei di apparirle nel suo aspetto
divino e glorioso. Ben sapeva la gelosa consorte del
Nume che la vista di Giove l'avrebbe arsa. E così av­
venne. Le fiamme di cui Giove splendeva incenerirono
la povera Semele. Ma l'Olimpio raccolse il bambino,
nato anzi tempo, e se lo cucì in una coscia. Venuta
l'ora, lo rimise in luce e lo affidò a Mercurio. In questa
strana storia si crede di sorprendere un'allegoria dei
I02 MITOLOGIA GRECA E ROMANA

fenomeni e delle operazioni che dànno luogo alla pro­


duzione dell'uva e del vino. Semele è forse la terra in
primavera ; Giove il sole che la feconda e poi la riarde
coi calori estivi ; in Bacco cucito nella coscia del Dio
e rimesso in luce a buon punto, si può vedere, se si
vuole, il vino che si forma nei tini tenebrosi. Bacco fu
portato da Mercurio alle Ninfe della montagna di Nisa,
che abitavano una grotta tappezzata di vite vergine.
Le Ninfe, le Ore e i Satiri dai piè caprigni si votarono
all'educazione del bricconcello ricciuto. Cembali e flauti
lo tennero allegro. Tutto gli fu permesso, rincorrere il
cerbiatto nei boschi, arrampicarsi sugli alberi, cercarsi
il miele fresco come rugiada nei cavi dei tronchi. . . Più
tardi divenne un gran cacciatore : e ammansò mira­
colosamente le belve, si tenne accanto due tigri docili
come gattini. Un giorno, colti alcuni grappoli della vite
che copriva la parete della grotta, si provò a farne co­
lare il succo in una coppa d'oro. Quando bevve il li­
quore vermiglio, sentì più che mai d'essere un Dio.
Un nuovo grande dono per i mortali si sprigionava dal
seno benigno della Natura, per virtù del ridente figliuo­
lo di Semele. L'umanità avrebbe avuto il suo nèttare.
Ninfe e Satiri assaggiano la spumosa porpora, e una
divina ebbrezza li assale. Le valli suonano di canti fre­
netici. All'ombra delle querce e dei pini giacciono ri­
verse le prime vittime del dolce inganno contenuto nella
bevanda.
Viaggi e corteo di Bacco. Sileno.
Bacco decide di partire per rivelare agli uomini l'arte
d'inebriarsi col mosto fermentato. Ninfe e Fauni lo
accompagnano in sbrigliato corteo. Gli è accanto sem­
pre, vivente immagine della crapula, Sileno, vecchio
satiro gonfio di vino, che trabocca di continuo dall'asi-
DIONISO O BACCO 103

nello che lo porta, e che le Ninfe e i Satiri sorreggono,


divertendosi del suo crasso buon umore. Sulla testa
calva porta una corona d'edera sulle ventitrè, e in ma­
no tiene con stento una coppa sempre piena e sempre
vuota che gl'inaffia la grossa pancia grinzosa. Il gioioso
corteo attraversa regioni immense. L'Egitto e l' India
ricevono il battesimo del vino. Giunone, che odiava
Dioniso a morte, lo perseguita con infiniti pericoli,
lo colpisce di follia, cerca di farlo incatenare nel sonno
dai pirati : ma il Dio spezza i vincoli e trasforma la
nave in vigna e i rapitori in delfini. I popoli accolgono
con trepida gioia la rivelazione del mistero del vino e
della coltivazione. In questo aspetto del mito di Bacco
è faciie scorgere il simbolo della civiltà che si fa strada.
Altre leggende attribuiscono a Bacco altre imprese.
Aiuta gagliardamente Giove a combattere i Titani, e
per impaurire quei goffi omaccioni, prende l'aspetto
d'un leone. Tornato dall'Oriente in Frigia, è ricevuto
con cortesia dal re Mida, e in compenso gli accorda il
desiderato privilegio di mutare in oro ogni cosa quel
principe toccasse. Privilegio non sempre benefico, per­
ché, quando Mida addentava una mela, si rompeva i
denti nell'oro, quando beveva un sorso, si trovava in
bocca un liquido d'oro ! Per poco il cupido re non morì
di fame e di sete. « Per carità, o Nume », gridò « ri­
prendi il tuo dono e lasciami mangiare come i miei
schiavi ! ». Bacco con un sorriso lo libera dall'infausta
virtù, col patto che vada a bagnarsi nel fiume Pattalo.
D'allora, le acque di quel fiume trascinano verso la
foce pagliuzze d'oro.
Le collere di Dioniso sono terribili. Il vino, fonte di
gioia e di poesia, è spesso causa di furore e di delitto.
Al pericolo nascosto in quella spuma d'oro o di por­
pora, tentano di contrastare alcuni re dei territori che
Bacco sta convertendo alla religione dell'ebbrezza. Li-
104 M ITOLOGIA GRECA E ROMANA
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curgo, re di Tracia, va con le sue truppe a sorprendere
nelle gole della montagna lo stuolo dei Satiri e delle
Baccanii (r) , e li ha fatti prigionieri, meno il Dio, che
si salva precipitandosi in mare. Ma Bacco si vendica
rendendo cieco il re sacrilego. Penteo, re di Tebe , per
opporsi al dilagare dei licenziosi misteri di Bacco, co­
manda gli sia condotto innanzi legato il figliuolo glo­
rioso di Semele. Ma il Dio suscita il fulmine e fugge
dalla reggia incendiata. II re è fatto a pezzi dalla ma­
dre, dalle sorelle e dalle zie, in preda al furore sacro
del vino.
Bacco e Arianna.
Di ritorno dall'Oriente, Bacco sbarca con la sua corte
rumorosa sulle fiorite rive dell'isola di Nassa. II lido
suona di canti scomposti. Dagli otri turgidi cola a fiu­
mi la rossa bevanda. Intorno a Bacco, mollemente sdra­
iato sull'erba, satiri vellosi e Ninfe più bianche della
neve, sileni ventruti color del bronzo e baccanti scar­
migliate, vestite di pelli di tigri e incoronate di tralci,
si abbandonano a danze frenetiche, al suono di rauche
conchiglie e di timballi. Il sole tramonta. Quand'ecco ,
il vento leggero porta all' orecchio del Dio l'eco d'un
lamento. Chi è che piange e sospira nell'orgia ? Due
Satiri vengono correndo a dirgli che, nel piccolo bosco
ancora spruzzato d'oro dal sole, v'è una donna bella
come una Dea, che singhiozza accasciata sull'erba.
Bacco ordina che sia condotta al suo cospetto. La don­
na è Arianna, sposa a Teseo, che l'ha abbandonata
involontariamente sull'isola deserta, perseguitato dalla

(I) Così si chiamavano le seguaci di Bacco che, nelle feste dionisia­


che, si abbandonavano a<l ogni eccesso. Si dicevano anche Menadi o
Bassaridi, dal nome della lunga veste colorata, bassam, in cui erano z.v­
volte come Bacco, che si chiamava per lo stesso motivo Bassart:o.
DIONISO O BACCO 105

tempesta. Bacco la contempla, cerca di confortarla,


si accende della sua bellezza e del suo dolore. « Cessa
dal piangere, donna simile a Dea » , le dice alfine « l'ab­
bandonata sposa di Teseo sarà d'or innanzi la sposa
felice di Dioniso, re del mondo ! ». Le nozze vengono
celebrate in un'immensa frenesia di danze e di cori.
Un carro tirato da pantere rapisce i due sposi divini
verso le vette dell'Olimpo, mentre fauni e baccanti agi­
tano i tirsi (r) e gridano Evohè !
Rito e immagini di Bacco.
Il culto di Bacco era ovunque diffuso nell'antichità.
Si venerava in Dioniso non solo l'inventore del vino,
ma anche l'ispiratore d'ogni entusiasmo, d'ogni eb­
brezza. Le feste che si celebravano in suo onore ad
Atene durante l'autunno, le Dionisiache, consistevano
in cori e danze, in dialoghi e mascherate. Dalle lepide
botte e risposte della folla inghirlandata di tralci sorse
la prima commedia ; come dai riti austeri che com­
memoravano le avventure dolorose del Dio nacque la
tragedia. Roma ereditò le Dionisiache greche ma ne
fece orgie licenziose, i Baccanali, specie di carnevale
furioso di plebaglia in preda al vino, che correva per
le strade col volto sporco di mosto, urlando e vomi­
tando ingiurie. Il nostro squallido carnevale è l'ultimo
riflesso del rito di Bacco.
Dioniso era venerato in origine sotto la spoglia d'un
albero avvolto d'edera. Più tardi lo si rappresentò co­
me un bell'uomo virile e barbuto, coronato d'edera e
di pampini. All'epoca di Pericle, il Dio prende un
aspetto più effeminato, la sua tunica diventa quasi un
(1) Il tirso era una bacchetta circondata d'uva, di tralci e d'edera e
terminante in una pina. È uno degli attributi di Bacco che ogni tanto
toccava con esso le rupi e ne faceva sgorgare cascate di vino.
106 MITOLOGTA GRECA E ROMANA

velo, e nei capelli gli splendono gioielli donneschi. Tal­


volta ha sulle spalle una pelle di becco o di leopardo.
Il suo carro è tirato dalle linci e dalle tigri che ha am­
mansate durante il viaggio nell'India, ed è circondato
dai fauni e dalle baccanti. La tazza e il tirso sono i
suoi attributi; la vite e l'edera, il fico e la quercia i
suoi alberi prediletti. Talvolta lo scultore o il pittore
di vasi gli mette accanto la gazza, simbolo della chhc­
chiera petulante degli ubriaconi.

(Fot. A linar.)
BACCO
(da una stampa anii.:a)
CORTEO BACCHICO (Fol. A llnari)
(scultura antica)

IV
LE DIVINITÀ DEI BOSCHI E DEI FIUMI
I Satiri.
La campagna antica era popolata di deità selvagge
e gioiose. La natura umana e la bestiale si univano ne­
gli istinti e nelle forme dei satiri o fauni, che vivevano
nei boschi ed avevano il corpo velluto, piccole corna
da capra, il naso camuso, le orecchie appuntite e i piedi
da becco. Nei tramonti ardenti dell'Attica o dell'Arca­
dia, il pastore e il villico credevano talvolta di veder
passare, nell'ombra delle foglie filtrata d'oro, l'aspro
e rossigno satiro, mentre rincorreva un'agile ninfa. E
talvolta, senza vederlo, udivano nel brusio dei pini e
degli ulivi la melodia della sua zampogna o del suo
flauto. I satiri erano la parte più turbolenta del corteo
di Bacco.
I08 MITOLOGIA GRECA E ROMANA

Il Dio Pane.
Capo dei satiri era Pane, figlio di Mercurio, Dio dei
greggi e dei pastori, venerato specialmente in Arcadia.
Lo si rappresentava col viso invermigliato e cotto dal
sole, con corna da ariete e barba fulva da capra, le
cosce coperte d'un ispido pelo e i piedi bisulchi. Amava
errare per valli e montagne, accompagnando stuoli di
pecore e capre, danzare con grida giulive e riposarsi
nei caldi meriggi o nei crepuscoli soavi , soffiando nella
zampogna. Le ninfe ballavano al suono del suo stru­
mento di canne, tenendosi lontane da lui , perché ne
avevano paura. E i pastori che lo adoravano e gli of­
frivano agnellini e capretti, tremavano al pensiero de­
gli spaventi che quel dio burlone soleva suscitare nelle
ombre della sera o nelle tenebre notturne, spezzando
un ramo d'albero con un colpo secco, o gettando grosse
pietre in un burrone, o facendo fremere tutta la selva
di un'improvvisa folata che pareva un lamento umano.
Qnel terrore che costringeva uomini e bes�1e ad una
subitanea fuga, si diceva panico. Tre r,mfe furono
amate da Pane : Piti che fu cambiata in pino dal vento
Borea, geloso della sua predilezione per ·.?ane, Eco che
morì, si dice, vittima della gelosia dei dio caprbcde ,
e Siringa. La storia dell'amore di Pane per Si, inga,
ninfa d'Arcadia, è una delle più graziose favole anti­
che. Respinto dalla fanciulla che si era votata al culto
di Diana, il Dio l 'inseguì per selve e monti. D'improv­
viso il fiume Ladone sbarrò la strada alla fuggitiva.
Nella disperazione , Siringa si gettò nelle onde, invo­
cando le ninfe della corrente, le verdi Naiadi , sue so­
relle. Dove il bel corpo disparve, sorse un ciuffo di
canne. Pane, afP.i Lto, credette di udire, nel brusio di
quei fragili fus�i che mormoravano al vento, la voce
della ninfa. Col rustico coltello tagliò sette canne di de-
LE DIVIN'ITÀ DEI BOSCHI E DEI FIUMt 109

crescente lunghezza, le saldò insieme con gialla cera


e ne fece uno strumento musicale. Tale fu l'origine del­
la zampogna, che si diceva siringa.
Pane è da alcuni mitografi confuso con Silvano , dio
delle foreste, che appartiene alla mitologia di Roma.

Le Ninfe.
Con lo stuolo irruente e quasi selvaggio dei satiri, le
campagne e i boschi ospitavano il ridente sciame delle
Ninfe, giovinette dalla fresca bellezza, immagini delle
forze della natura propizie e serene.
Le Ninfe sono l'anima degli elementi fidi e belli, e
di rado cedono a passioni inique e violente. Sono figlie
di Dei e d' uomini. Hanno perenne giovinezza, ma pos­
sono morire. La loro vita è tutto un intreccio di gio­
chi, di danze, di scomparse repentine, di metamorfosi
e d'amori. Sono in continuo litigio coi satiri zotici e
maligni. Ogni montagna, ogni prato, ogni bosco, ogni
albero, ogni fonte ha le sue ninfe graziose e festevoli.
Le Driadi immortali, proteggono le foreste ; le Ama­
driadi, mortali, si celano nella corteccia degli alberi ;
le Naiadi abitano nei fiumi, nelle fonti e nei torrenti ; le
Napee danzano con piè leggero sull'erba fresca dei pra­
ti e dei boschetti ; e le Oreadi hanno stanza nei valloni
ombrosi della montagna. Anche il mare ha le sue nin­
fe : vi ho già parlato delle Oceanine e delle Nereidi.

Divinità agresti minori.


Ora, mentre ci aggiriamo fra selvette e pascoli, vo­
glio ricordarvi ancora qualche divinità campagnuola :
Priapo, figlio di Bacco e di Venere , dio dei giardini,
che si rappresentava con la barba incolta e una face in
mano ; Aristeo, che presiedeva all'educazione delle api
IIO MITOLOGIA GRECA E ROMANA

e alla fabbricazione dei formaggi ; Pale, dea romana dei


pascoli e dei pastori, del latte e degli agnellini ; Flora,
dea della primavera e dei fiori ; Vertumno, dio dei frut­
teti e dègli orti , che sposò Pomona, dea delle abbon­
danze autunnali , rappresentata comunemente con una
cornucopia straripante di grappoli, di fichi, di pere
e di pesche.

( Fot. Alinari)
POMONA
(statua antica)
LA FAVOLA DI ENDIM:ONE E SELENE (Fot A linar/)
(scultura antica)

V
LE DIVINITÀ DELL'ATMOSFERA
Nell'etra regnavano due deità supreme, Apollo che
si identifica col sole, e Diana che è l'incarnazione del
ritmo lunare. Ma sole e luna erano umanizzati anche
in deità minori, in Helios e in Selene, sua sorella. He­
lios, coronato di raggi, conduceva il gran carro solare,
guidato da cavalli bianchissimi, che usciva dal fiume
Oceano e, raggiunta la volta del cielo, ridiscendeva in
un fervore d'infocati vapori. Intorno al corpo bellissi­
mo di quell'auriga splendeva un insostenibile nimbo
di luce. Già vi parlai di Fetonte, che alcuni poeti fan­
no figlio di Helios, altri d'Apollo. Vi narrai come, mal
reggendo il carro paterno, minacciasse d'incenerire il
mondo. Giove lo fece precipitare nel Po. Le sue sorelle,
le Elia.di, piansero sulla sua tomba, finché la pietà degli
Dei non le trasformò in tremuli pioppi. E dalle loro la­
crime nacque l'ambra, ch'è dorata come il sole.
Helios aveva due sorelle : una per nome Eos, che

8
II2 MITOLOGIA GRECA E ROMANA

personifica l 'Aurora, l'altra Selene, che personifica la


Luna. Eos era detta la vergine dall-? dita di rosa, dal
colore delicato di cui la sua apparizione inonda il cie­
lo. La si raffigurava splendida di bellezza, vestita con
magnificenza, sopra un carro tirato da galoppanti cor­
sieri. Titone era stato amato da lei : ma, nel dargli l'im­
mortalità, la Dea si dimenticò di dargli il dono della
perenne giovinezza. Quando il marito invecchiò, Eos
lo prese tanto in uggia che lo trasformò in una cicala . ..
In Selene, che spesso s'identifica con Diana, gli an­
tichi veneravano il dolce splendore e il fedele ritorno
della luna. Questa divinità, secondo il mito arcade, fu
amica di Pane, ma ad essa viene attribuito anche il
tenero amore per il pastore Endimione, di cui si è già
narrato nella leggenda di Diana.
Alla muta discorde dei Venti, poneva freno Eolo , fi­
glio di Giove, che li teneva serrati nelle buie caverne
delle isole Lipari, e ne regolava il soffio con la volontà.
Borea, il gelido vento del nord, Noto, il caldo e mi­
naccioso alito africano, Euro, il vento rapido dell'est,
Zefiro , messaggero della primavera, dalle ali di farfal­
la profumate, ubbidivano al cenno del suo tridente.
L'anima delle tempeste, dei vortici e delle trombe
marine era dalla favola rivestita di personalità nella fe­
roce malevolenza di mostri come Tifeo o Tifone dalle
cento teste (l'uragano) , Echidna, serpente trascoloran­
te (la nube che precede la tempesta) , Scilla e Cariddi,
in agguato nelle caverne di due scogli dello stretto di
Messina, la Chimera dalle fauci di fuoco e le Arpie.
Parlando delle imprese degli Eroi , avremo occasione
di ritrovare alcuni di questi mostri, che insidiarono
Bellerofonte, Ercole cd Ulisse.
(Fot. A lino ri)
PROSERPINA RAPITA DA PLUTONE
(da un affresco di Luca Giordano)

VI
HADES O PLUTONE
Plutone, Dio dei morti.
Il re dell'oltre-tomba era Hades o Plutone, figlio di
Saturno e di Cibele. Giove gli aveva dato lo scettro del-
1'Averno, e il popolo di questo cupo e tenebroso sire era
tutto d'ombre. L'umanità viva tremava al suo nome.
Lo si chiamava l'Invisibile, a causa del suo buio sog­
giorno e d'un elmo che lo cingeva di cupa nebbia. Non
usci mai alla luce del sole, meno una volta, quando lo
spinse a mostrarsi sulla terra l'amore per Proserpina.
Il suo trono era nel centro dell'Averno (r). Sedeva giu­
dice delle anime, e pronunciava giudizi senza appello.
Una volta sola si commosse, quando Orfeo lo implorò
di rendergli Euridice. Ma per uno strano contrasto,

(1) L'Averno, dal nome di Plutone, era anche chiamato Hades. I


poeti lo chiamavano anche Erebo o Orco.
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MITOLOGIA GRECA E ROMANA
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mentre lo si temeva e se ne parlava quasi com,: d'un
orco, gli si tributava un culto pieno di gratitudine co­
me al Dio dell'abbondanza agricola, poiché la terra
non è solo un immenso sepolcro, ma contiene tutti i
germi della vita cd è un florido giardino e un opimo
frutteto. Plutone è talvolta rappresentato, in antiche
scolture, seduto accanto a Proserpina, sua sposa, men­
tre tiene il marrello o il corno dell'abbondanza. Più
frequentemente lo si raffigura sopra un trono d'ebano,
con una barba folta e ispida, cinta la fronte d'una co­
rona di foglie nere, e con in mano una chiave e lo scet­
tro del regno infernale. Da questo dio funebre dipen­
devano Tànatos, personificazione della morte, che si
raffigurava come un uomo alato e barbuto ; le Keres,
geni-vampiri che, in spoglia di vergini alate, tendeva­
no agguati agli uomini in guerra e in pace, e suggeva­
no loro il sangue (le potenze distruttrici) ; le Furie e le
Parche.
Il ratto di Proserpina.
Persefone o Proserpina era la sposa di Plutone. Nes­
suna donna avrebbe potuto amare quel dio lugubre e
fuligginoso. Stanco di regnare da solo sulle moltitudi­
ni dei morti, Hades decise di rapire Core o Proserpina,
figlia di Giove e di Demetra, dea della terra feconda.
Mentre la fanciulla si trastullava con le Ninfe a coglier
fiori nei pressi della fonte d'Aretusa in Sicilia, la terra
tremò e si aperse. Un carro tirato da quattro neri ca­
valli sbucò dal crepaccio : e Proserpina si sentì affer­
rare da due braccia vigorose e vellute e tirar dentro la
quadriga d'oro. A nulla valsero le sue grida, i gemiti,
il dibattersi, lo strapparsi le chiome. Il carro s'internò
in una spelonca senza limite e i cavalli portarono Plu­
tone e la sua preda verso la reggia buia dell'Erebo. Vi
HADES O PLUTONE IIS

ho già narrato come Demetra, l'infelice madre della


fanciulla, la cercasse per tutto il mondo, e finisse con
lo scendere nell'inferno e col trovarvela. Ma nel frat­
tempo Proserpina s'era rassegnata al suo destino ed
aveva preso ad amare lo sposo. Madre e figlia s'inte­
sero e stabilirono che Core avrebbe trascorso q·1attro
mesi dell'anno con Plutone, e gli altri otto con Deme­
tra e con gli altri Dei. Diventata regina dell'Erebo, Co­
re prese il nome di Persefone, e presiedeva col marito
alla giustizia d'oltre-tomba.
Nel mito del ratto di Proserpina si vede limpidamen­
te simboleggiato il trionfo momentaneo dell'inverno
sulle potenze benefiche e produttive della natura. Ma
dopo un breve soggiorno nel regno della notte, la ve­
getazione scoppia fuori più ridente e folta di prima, e
Demetra, la fertile terra, torna in possesso della sua
splendida figlia verde e fiorita.
L'Inferno.
L'Inferno antico era concepito come un immenso la­
berinto sotterraneo, diviso in tre zone. La prima aveva
nome Erebo ed era il regno della Notte e della Morte
(Tànatos) ; la seconda, Tartaro, accoglieva le anime
malvage; nella terza, detta i Campi Elisi, regnavano
invece pace e delizia per le ombre dei buoni. Si accede­
va all'Erebo da larghe porte che non davano facoltà
d'uscirne. A custodia di esse stava un cane mostruoso,
Cerbero, dalle tre teste, che latrava di continuo e stra­
ziava di morsi chi tentasse di fuggire. Le anime erano
guidate fino a quella soglia terribile da Mercurio, o da
Tànatos, il genio della morte. Giungevano a frotte, im­
paurite e attonite, in forma di pallide crisalidi, e per
attraversare i quattro fiumi infernali, dovevano dare
una monetina a Caronte, nocchiero torvo e minaccioso
n6 MITOLOGIA GRECA E ROMANA

che le caricava sulla sua nera barca, ma lasciava a riva


quelle i cui corpi non fossero stati sepolti o che non
avessero da pagargli lo scotto (r). Ed erano le limac­
ciose onde d'Acheronte, le fiamme e i fumacchi di Fle­
getonte, le cascate muggenti tra le rocce nere e i lividi
basalti di Cocito, e i miasmi putridi di Stige. Passate
queste lugubri riviere, le pavide ombre giungevano in
una pianura monotona, tutta fiorita d'asfodeli dal pal­
lido color viola. Ivi sedeva il tribunale di Plutone, pre­
sieduto da quel Dio severo, e costituito da tre giudici
che in vita erano stati re giusti e prudenti: Minosse,
Eaco e Radamanto. Le anime venivano pesate con
estrema esattezza. Udita l'inappellabile sentenza, i buo­
ni prendevano il cammino dei Campi Elisi, i cattivi si
sprofondavano nei foschi dedali della valle tartarea,
dalla quale saliva un ululato di lamenti.
In quelle cupe forre si torcevano, sotto la sferza del­
la giustizia che non ha mercè, suppliziati famosi. Vi si
vedeva Sisifo, già empio re di Corinto, spingere an­
sando fin sulla cima di un'altura un enorme masso
che poi rotolava a valle e lo costringeva ad una nuova
vana fatica.
Più lungi, in un fiume dalle onde cristalline era im­
merso Tantalo, arso di sete e di febbre, per castigo del
furto di nettare e d'ambrosia di cui s'era reso colpe­
vole alla mensa di Giove. L'acqua saliva fino al suo
labbro, ma quando egli curvava il capo per bere, il
fresco elemento era assorbito dalla sabbia e lasciava
l'infelice in preda al suo rabbioso desiderio. Delizia
di fronde e di frutti pendeva sul luogo ove languiva
Tantalo: non appena le sue mani convulse cercavano
d'afferrare un pomo vermiglio o un grappolo, quei ra-

(1) D'onde il costume di porre una monetina in bocca ai morti, pri­


ma d'arderli o di seppellirli,
HADES O PLUTONE u7

mi carichi di meli guizzavano via, agitati da un vento


crudele. E anche si vedeva la tortura di Tizio, gigante
che aveva insultato Artemide e scontava il suo fallo,
avvinto da catene ad una roccia ardente e straziato nel­
le viscere da due avoltoi. E si udiva lo scroscio della
botte senza fondo nella quale le cinquanta Danaidi, le
figlie scellerate di Danao, re di Argo, che avevano osa­
to uccidere tutte i loro sposi (r), versavano da cinquan­
ta secchie un torrente d'acqua, ben conoscendo la va­
nità della loro fatica frenetica.
Sotto la minaccia d'un macigno incombente, tratte­
nuto da frananti schegge, sudava e urlava Flegias, re
dei Lapiti, colpevole d'aver incendiato il tempio di A­
pollo a Delfo ; e Issione, che aveva osato offendere Giu­
none, turbinava avvinto ad una ruota irta di serpi e
di fiamme.
Le Furie e Nemesi.
Questi supplizi erario un saggio delle pene riservate
ai malvagi. Tale era il basso inferno degli antichi. Nel
suo aere fumoso erano nate le tre divinità della ven­
detta e del rimorso: le Furie, o Erinni, figlie d'Ache­
ronte e della Notte, vergini alate, dalle chiome di ser­
penti, che cercavano i colpevoli, li scovavano con un
furore da cani che inseguono un cervo, e percuotendo­
li con fruste e torce accese, li spingevano davanti al
tribunale di Plutone. Tisifone (vendetta), Megera (odio)
ed Aletto (collera) erano i nomi di queste divinità spa­
ventose, la cui vista incuteva un gelido orrore. Guar­
diane della vita dell'uomo, non solo movevano impla­
cabile guerra all'omicida, ma procedevano all'esecu­
zione dei supplizi infernali: furono esse che perseguita-
(1) Tutte, meno Iperrnestra che salvò il marito Linceo, il quale poi
successe a Danao sul trono di Argo.
113 MITOLOGIA GRF.CA E ROMANA

rono Oreste ed Edipo, e che legarono Issione alla ruota


e imposero la pena a Sisifo. Quando il reo si fosse pur­
gata la colpa, le Erinni diventavano benevole : onde il
loro appellativo di Eumenidi (benevole).
V'era pure un'altra divinità incaricata di punire il
delitto, o di colpire gli uomini troppo felici e potenti :
Nemesi, figlia di Giove e della Necessità, e Dea della
vendetta celeste. La si confondeva spesso con Adra­
stea, divinità frigia, che presiedeva pure al compimen­
to delle vendette degli Dei gelosi.
I Campi Elisi.
Quando le ombre dei buoni erano giunte ai Campi
Elisi, le attendeva una perenne beatitudine, nell'incan­
to d'un paesaggio primaverile. Tutte le gioie della ter­
ra erano largite colà ai virtuosi che, liberi da impurità
e da affanni, trascorrevano le ore in dolce conversa­
zione, passeggiando sui prati in fiore e nei boschetti, e
banchettando fra canti, danze e giochi. Secondo Vir-·
gilio, quelli ch'erano sostati mill'anni in quel paradi­
so, bevevano all'acqua del fiumicello Lete la dimenti­
canza della loro vita trascorsa e riprendevano corpo
sulla terra.
PA R TE TE R Z A

GLI EROI
COMBATTIMENTO DI AMAZZONI (Fot. A llnari)
(eia un vaso antico)

Ed ora discendiamo dal mondo sublime in cui è igno­


ta la morte, e avviciniamoci al nostro. Tra gli Dei e
gli uomini v'è una gente che partecipa della natura
eccelsa dei primi e della debole consistenza dei nati dal­
l'argilla di Giove. Sono gli Eroi o Semidei. Il mito an­
tico ne formicola : ogni popolo, ogni repubblica, ogni
città della Grecia ha i suoi patroni e protettori, mo­
delli d'audacia e di virtù, venerati per avere redenta
la loro terra da un mostro, da un tiranno o da un po­
polo oppressore, e per aver fondata una nobile razza
o una potente dinastia. Devono la vita a un Dio e ad
una donna, o ad un uomo e ad una Dea. Compiono
azioni che solo i Numi possono compiere, ma soccom­
bono, in qualità d'uomini, al òolore, al delitto ed alla
morte. Senza dubbio queste grandiose personalità in­
carnano la memoria di uomini insigni, realmente vis-
I22 MITOLOGIA GRECA E ROMANA

suti in epoche remote: e la loro leggenda non è che la


trasfigurazione epica e favolosa delle imprese colossali
da essi condotte a termine.
Gli eroi principali della Grecia sono Giasone che con­
quistò il Vello d'oro, Ercole che compì le celebri dodici
fatiche, Perseo che tagliò il capo di Medusa, Teseo che
uccise il Minotauro, Bellerofonte che vinse la Chimera.
Ad epoca che si addentra nell'era storica e che è meno
oscurata dai veli della favola appartengono gli eroi
della guerra greco-troiana. Ettore ed Achille sono fra
essi i più gloriosi.
Con Edipo e Ulisse, l'eroe diviene oggetto, più che
di ammirazione per le imprese gigantesche, di pietà per
la persecuzione del Destino o di una Divinità offesa.
L'eroe nella cui figura il mondo leggendario greco si
allaccia al mondo latino, reale e storico, è Enea, troia­
no, prescelto dal Fato per portare in Italia le divinità
di Troia e fondare la grandezza romana.
(Fot. A linarl)
GIASONE: SFIDA I TORI DALL'ALITO DI FUOCO
(arazzo di M. Audran)

I
GIASONE E GLI ARGONAUTI

Un re dei tanti della Beozia, Atamante, figlio di Eo­


lo, avendo sposato la dea delle nubi, Nejèle, ne ebbe
una figlia e un figlio: Elle e Frisso. Qualche anno do­
po, egli abbandonò la sposa e si uni in nozze con Ino,
figlia di Cadmo e d'Armonia. Ma, come spesso avvie­
ne, la nuova sposa aborriva i figliastri e cento ne stu­
diava per liberarsi della loro presenza. Finalmente le
si porse il destro per ottenere quanto desiderava. Il
territorio del regno era desolato dalla siccità e dalla ca­
restia. Atamante inviò persone fidate all'oracolo di Del­
fo, per conoscere la causa del flagello. E quei messag­
geri, sobillati al loro ritorno dall'acerba matrigna, ri­
ferirono che il benessere poteva tornare solamente se
Atamante avesse immolato a Giove il piccolo Frisso.
Dopo un doloroso indugio, il povero padre acconsP-n-
124 MITOLOGIA GRECA E ROMANA

te : ma la malvagia Ino non aveva fatto i conti con


l'amor materno di Nefèle ! Mentre Frisso veniva trasci­
nato all'altare del sacrificio, si scatenò un temporale e,
nel fuggifuggi, tanto Frisso quanto la sorellina scom­
parvero. Eran tempi quelli, in cui l'amore d'una ma­
dre poteva suscitare un temporale per la salvezza d'un
figlio ! Nefèle poi, possedeva un meraviglioso ariète che
non aveva solo le più belle corna a conchiglia, ma il
vello tutto d'oro fino, crespo e morbido come i capelli
d'una fanciulla bionda. Era un dono che le aveva fat­
to Hermes, un vero regalo divino ! Nefèle mette i suoi
due ragazzini a cavallo di quel montone-prodigio, e,
hop I eccoli che van di galoppo fra cielo e terra. Pur­
troppo l'aviazione ha sempre avuto i suoi inconvenien­
ti: la bambina, che forse non si teneva bene, cade a
capofitto nel mare, vicino a quel luogo che si chiamò
poi Ellesponto, cioè mare d'Elle. Frisso, che si teneva
invece ben stretto al vello d'oro, cavalcò ancora a lun­
go per aria, finché non discesero sulla città di Ea, nel­
la Colchide, fra il Caucaso e l'Armenia. Il re di quella
regione, fratello della maga Circe, si chiamava Eete
ed era ospitale e buono. Frisso, per render grazie a
Giove del volo felice, immolò a qùel dio l'ariète (guar­
da ingratitudine verso il buon cavallo aereo !) e regalò
ad Eete il Vello color d'aurora. Di quel vello Eete era
gelosissimo, come noi lo saremmo d'un diamante mo­
struoso, e lo teneva nascosto in una selva, sospeso a
una quercia, attorno al cui tronco strisciava un drago
insonne.
Ora accadde che Pelia, re di !oleo in Tessaglia, che
aveva rapito il regno al fratello Esone, nel timore che
il giovane e valoroso Giasone, figlio del re spodestato,
volesse vendicarsi e cacciarlo dal trono, gli consigliò
di partire alla conquista di quel trofeo scintillante, pro­
mettendogli che al ritorno lo avrebbe reintegrato nella
GIASONE E GLI ARGONAUTI 125

corona e nei beni. Giasone non si fece ripetere due vol­


te l'invito. Fece accolta di più valorosi guerrieri e dei
navigatori più esperti, e con l'aiuto di Atena costruì
una nave agile e superba che ebbe nome Argo, cioè la
rapida, e nel cui fianco profondo si annidarono cin­
quanta eroi, fra i quali brillavano Ercole ed Orfeo,
Castore e Polluce, Teseo e Laerte. Orfeo era il poeta
della spedizione, Esculapio ne era il medico.
La nobile nave, sferzata dalle spume, filò sull'azzur­
ro verso il dorato sogno. Ma la navigazione doveva ri­
servare agli audaci peripezie e sorprese, piaceri ed an­
gosce.
Nell'isola di Cizico, furono attaccati dai giganti che
tentarono di bloccarli nel porto, con una montagna di
rotolati macigni. Ma Ercole fugò i mostri con una tem­
pesta di frecciate. A Salmidesso, sulla costa tracia, l'in­
dovino Fineo, per vendetta di Giove condannato alla
persecuzione delle Arpie, aioltoi dal viso di donna che
gl'insozzavano la mensa, nè ottenne da due degli Ar­
gonauti, Calais e Zete, la distruzione, e, nella gioia del­
la recuperata pace, diede agli Argonauti preziosi con­
sigli per vincere gli ultimi ostacoli della navigazione.
Varcato alfine un terribile stretto, le cui rocce (Simple­
gadi) nel furore del vento cozzavano come tronchi d'al­
bero nell'uragano, e minacciavano di frangere il navi­
glio, giunsero ad Ea, capitale della Colchide, ove per
il loro esaltato desiderio splendeva il miraggio del ful­
vo Vello. Dapprima il re Eete li accolse con ospitalità
nel suo prodigioso palazzo. Le fontane di quella reggia,
che sorgeva sulle falde del Caucaso, gettavano vino,
latte ed olio profumato. Ma quando egli conobbe il fi­
ne della loro visita, ribollì di segreta collera, e giurò
dentro di sé di perdere Giasone. ci Solo ad un patto » ,
gli disse, • io posso consentire che tu possieda l'ambito
Vello. Due tori indomabili, dagli zoccoli di rame e dal-
126 .MITOLOGIA GRECA E ROMANA

la bocca fìammea, soao chiusi nelle mie stalle. Tu devi


domarli e, aggiogatili ad un aratro di diamante, devi
dissodare un campo sterminato. In quei solchi semine­
rai i denti d'un drago ; e dalla zolla bruna vedrai sor­
gere giganti armati, in un vampeggiare di spade e di
corazze. Ove tu non ti lasci sopraffare da e<;si, e li uc­
cida l'un dopo l'altro, avrai àdito al cupo bosco dove il
Drago veglia a custodia del tesoro che tu cerchi. Un
ultimo sforzo, e il rantolo del Drago trafitto segnerà la
tua vittoria • .
Folle d'ardire, già si slanciava verso la certa morte
Giasone, quando in segreto così gli parlò Medea , la fi­
glia del re, sapiente maga, che ardeva d'amore per lui :
« All'impresa temeraria non ti basta, o eroe, il valore.
Io ho apprestato per te un balsamo che ti renderà in­
vulnerabile al cozzo e all'alito di fuoco dei tori e alle
lance dei giganti. Ungi con esso il tuo corpo e le tue
armi. Se il combattimento coi nati dalle zolle dovesse
volgere avverso a te, lancia una pietra nelle loro file,
e li vedrai, fatti simili a cani, divorarsi tra di loro. Ti
sarà facile così sterminarli 1> .
Tutto accadde secondo la profezia della maga. I tori
furono domati, franto dall'aratro ii solco, seminati i
denti del Drago e distrutti i giganti che pullularono da
quell'atra semina. Guidato da Medea, l'eroe pervenne
nel folto del bosco, ove, come si è detto, un immenso
drago custodiva il Vello, affisso ad un albero e simile
ad una immobile fiamma. Il mostro non conosceva lan­
guore di sonno. Ma Medea con un incantamento riusci
ad assopirlo. Il Drago s'accasciò come un cumulo di
lividi anelli. E Giasone lo uccise e rapì la spoglia del-
1'Ariete.
Altre perigliose avventure attendevano i fortunati
conquistatori durante il ritorno per le vie perfide del
mare. Prima fu l'accanito inseguimento del re Eete,
ttASONE E GLI ARGONAUTI 127

interrotto da un atroce stratagemma di Medea, che fug­


giva verso !oleo con l'amato Giasone ; poi furono le
Sirene che tentarono coi loro canti di affascinare e per­
dere l'equipaggio dell'Argo ; ma vinte dal canto più
soave di Orfeo, per dispetto si gettarono in mare e si
convertirono in scogli.
Al ritorno in !oleo, Giasone reclamò dal vecchio Pe­
lia il trono che quell'usurpatore gli aveva promesso in
cambio del Vello. Ma lo zio serbava tenace il potere e
deludeva con continue vane rassicurazioni le richieste
dell'Eroe. E qui si rivelò nell'orrenda crudeltà l'ani­
ma di Medea, che, sitibonda di regno, indusse le figlie
del vecchio re a tagliarne il corpo a pezzi, promettendo
che con un incantesimo lo avrebbe resuscitato e ringio­
vanito. Quando la caldaia che conteneva le membra
dell'infelice Pelia fu portata nella sotterranea cella ove
Medea compieva le sue pratiche misteriose, nessuno sep­
pe trovare la maga, che si era resa invisibile. Così Pe­
lia, invece di ringiovanire, morì : e Giasone gli succe­
dette sul trono. Dopo dieci anni di regno, cacciato dal
trono dal figlio di Pelia, si recò in Corinto con Medea.
La bellezza della figlia del re di quella città lo sedusse.
Medea, oggetto ormai per Giasone d'odio e d'abborri­
mento, fu ripudiata. Si abbandonò allora al furore del­
la vendetta, mandando come dono nuziale alla nuova
sposa dell'eroe una tunica che divampò non appena fu
indossata e che consunse il suo corpo. Non contenta,
la terribile fattucchiera sgozzò sotto gli occhi di Giaso­
ne i figli nati dalle loro nozze.
Consumati questi misfatti, evocò dal cielo in tempe­
sta un carro trascinato da draghi alati, vi salì e scom­
parve tra i lampi.
Giasone sopravvisse errando senza meta, finché la
vecchiezza e la disperazione non lo indussero a darsi
la morte.

9.
( Fot. A l/nnri)
ERCOLE CHE SOLLEVA IL MONDO
(bronso fiorentino del so�. XVI)
( l'ot. A li nari)
ERCOLE UCCIDE IL LEONE NEMEO E L' IDRA DI LERNA
(tondi a rl!l<vo di P, J. Alari d<tto l'Antico)

II
ERACLE O ERCOLE

L'eroe più attivo e infaticabile che Giove spedisse


sulla terra allo scopo di proteggere gli uomini dai mo­
stri e dai pericoli che ad essi sovrastavano nei tempi
primordiali, fu Eracle, detto anche Alcide, dall'avo
Alceo, o romanamente Ercole. Egli nacque da Giove
stesso e da Alcmena, regina di Tebe. La gelosa Giuno­
ne cercò di far perire questo rampollo del suo infedele
sposo, mandando una notte verso la culla del mem­
bruto bambino due serpenti. Ercole dormiva a pugni
stretti. Svegliato dallo strisciare dei due rettili sul pa­
vimento della loggia regale, li afferrò per la gola e
li strozzò. Cosi cominciava la sua carriera colui che
doveva diventare il modello della forza fisica, il Dio
degli atleti.
Giove assisteva dall'Olimpo al suo crescere gagliar­
do. Il piccolo Ercole era creduto da tutti figlio di Alcme-
130 Mttot0GIA GRECA E ROMANA

na e del suo sposo Anfitrione. Ma il" padre degli Dei


pensò che il latte umano non fosse bastevole nutrimen­
to per la sua prole, e deci-� di far succhiare al fanciul­
lo qualche goccia di latte di Giunone, che gli avrebbe
conferito una forza divina e l'immortalità. Mandò dun­
que Mercurio a prenderlo in culla, e mentre Giunone
dormiva, attaccò il piccolo vorace al seno della Dea.
Quando Ercole fu sazio, alcune gocce di latte colarono
dalla divina mammella e caddero nell'infinito. Il loro
perlato pallore disegnò nell'etra quella sciarpa fumida
di luce che viene chiamata Via lattea. Altri mitografi
narrano invece che Giunone, rappattumata con Giove,
accondiscendesse ad allattare il fanciullo.
Ercole giovinetto ebbe maestri espertissimi. Castore
lo addestrò nel cavalcare, Autolico nel guidare il car­
ro, Eurito nel trarre d'arco, Chirone gli istillò la buo­
na morale e l'amore della scienza, e Lino ed Eumolpo
gl'insegnarono le lettere e la musica. Ma il carattere
del discepolo si faceva ogni dì più impetuoso. Un gior­
no, per un giusto ammonimento, andò su tutte le fu­
rie e spaccò sulla testa di Lino una pesante cetra, uc­
cidendolo.
E qui cominciano le sue imprese e disgraziatamente
anche i suoi delitti : perché l'eccesso dell'energia mu­
scolare gli ottenebrava talvolta il cervello. Così giunse
ad uccidere a frecciate, in un momento di demenza, i
figli che aveva avuti da Megara, e con essi la loro ma­
dre. Pentito poi del misfatto andò a chiedere all'ora­
colo di Delfo che cosa dovesse fare per espiare la sua
colpa.
E l'oracolo gl'ingiunse di recarsi alla corte di Euri­
steo, re di Tirinto, e di servirlo durante dodici anni.
Quel principe dapprima fu lietissimo di sentirsi pro­
tetto da tanto eroe, ma poi cominciò a temerne la for­
za mostruosa e l'indole irrefrenabile. Non c'era <la stu-
ERACLE O ERCOLE 131

pire che ad un uomo simile saltasse in capo di rapirgli


il regno : e come resistergli allora ? Lo mandò quindi
pel mondo a spazzare gli antri e le selve di quanti mo­
stri o briganti dessero rovello all'uman genere.
Ecco le dodici imprese che Ercole compì per ordine
del pavido Euristeo, e che sono celebri dall'uno al­
l'altro polo col nome di Fatiche d'Ercole.
r• - Il Leone nemeo. - In una forra dell' Argolide,
detta Nemea, v'era un leone smisurato e feroce. Ercole
gli andò incontro, armato d'arco e di clava, e dopo un
corpo a corpo terribile lo soffocò. Con la sua fulva pel­
le si fece una tunica e la portò finché visse.
2• - L'Idra di Lerna. - Nei pressi d'Argo si sten­
deva il lago di Lerna. Un drago orribile con nove te­
ste, soffiando miasmi pestilenziali e divorando uomini
e greggi, rendeva inabitabile quel luogo. Con le sue
frecce Ercole l'assalse; aiutato da Iolao, distrusse ad
una ad una, col fuoco, otto delle teste sibilanti del mo­
stro, che rinascevano sotto i dardi e i colpi di clava.
E tagliò netta l'ultima e la seppellì sotto un macigno.
Intinse poi nel sangue nero del mostro le sue saette che
per l'avvenire infersero piaghe mortali.
3• - Il Cinghiale d'Erimanto. - L'Arcadia aveva
perduta la sua pace per colpa d'un tremendo verro.
Dopo un lungo inseguimento per deserti e boschi, cre­
pacci e nevai, Ercole lo imprigionò in un anfratto, lo
uccise e lo portò in spalla ad Eun3teo.
4• - La cerva del monte Cerineo. - Sul monte Ce­
rineo in Arcadia, i cacciatori e i pastori inseguivano da
tempo immemorabile una cerva dalle corna d'oro e
dai piedi di rame, senza riuscir mai a raggiungerla.
Ercole la inseguì senza prender fiato, per un anno in­
tero, l'afferrò e la portò viva e palpitante al suo prin­
cipe.
132 MITOLOGIA GRECA E ROMANA

5• - Gli uccelli della Palude Stinfalia o Stinfalide. -


Le paludi intorno al lago di Stinfalo brulicavano d'uc­
celli feroci e mostruosi che avevano le ali, il becco e
gli artigli di rame. Si servivano delle loro penne acu­
minate come di frecce, uccidevano e divoravano ogni
c�sere vivo. Ercole fece un gran fracasso di timballi
dalla vetta d'un monte vicino, e quando lo sciame im­
paurito si levò nero come un nembo, fece fischiare le
saette e colmò la palude di cadaveri pennuti.
6· - Il toro di Creta. - Si trattava qui non di ucci­
dere un rovinoso toro che Posidone (Nettuno) aveva
regalato all'isola di Creta per sua sciagura, ma di cat­
turarlo e portarlo vivo ad Euristeo. È inutile dire che
Ercole lo trattò come un capretto, e lo portò a Tirinto
avvolto in una rete, attraversando con quel gingillo
sulle spalle anche il mare.
7• - Le stalle d'Augia. - C'era in Elide un re che
teneva nelle sue stalle tremila buoi, senza far mai cam­
biare loro lo strame. La regione circostante era appe­
stata dal tanfo di quella caverna sonante di muggiti.
Euristeo pensò d'affidare ad Ercole la briga di pulire
una simile cloaca. Ed Ercole fece presto a servirlo: ab­
batté un gran pezzo di muro della stalla, e ci rovesci<'>
dentro le cateratte d'un fiume, l'Alfeo. Non mai una
stalla fu nettata con maggior vigore da un bifolco più
zelante.
8· - I cavalli di Diomede. - Gran ribaldo doveva
essere Diomede, figlio del feroce Marte e re di Tracia,
a giudicare dalla sua abitudine di nutrire i suoi pos­
senti cavalli di carne umana. Euristeo si stomacò di
tanto selvaggio costume e mandò l'Eroe a correggere
il malnato. Ercole, prima di tutto, fece divorare Dio­
mede stesso dai suoi cavalli, distribuendone i brani
nel1e mangiatoie di rame, e poi attaccò quei corsieri,
ERACLE O ERCOLE 133

ben pasciuti, con una lunga fune, e li portò al galop­


po davanti ad Euristeo.
g• - Il cinto d'Ippolita. - Per accontentare Admete,
figlia d'Euristeo, che desiderava il ricco cinto d'Ippo­
lita, regina delle Amazzoni, Ercole, accompagnato da
molti armati, non indugiò a portar guerra a quel popo­
lo di donne bellicose che vivevano a cavallo nella re­
gione del Mar Nero. Dopo d'aver fatto un'orrenda stra­
ge di quelle belle e superbe fanciulle, poté togliere il
cinto a Ippolita, perita combattendo, e recarlo a Mice­
ne, all'ambiziosa Admete.
ro• - I buoi di Gerione. - Si trattò questa volta di
rapire a Gerione, mostruoso gigante e re delle Baleari
(isola di Erizia) i suoi immani buoi rossi, custoditi da
pastori colossali e da un cane a tre fauci. Ercole, giun­
to a quello che ora è lo stretto di Gibilterra (Gades)
piantò su ciascuna delle sponde una colonna in segno
del suo passaggio: e quei due termini furon chiamati
le colonne d'Ercole. Ottenuto con l'uccisione del gi­
gante e dei custodi il fulvo gregge, ripassò il mare e,
attraverso a numerose peripezie, compiendo un im­
menso tragitto per la Gallia, l'Italia e l'Illiria, portò
i buoi di Gerione ad Euristeo.
n• - I pomi delle Esperidi. - In una valle del-
1'Africa si estendeva un meraviglioso giardino abitato
dalle Esperidi, figlie della stella della sera. Gli alberi
di quel parco piegavano sotto il peso di frutti d'oro.
Si invaghì di quei pomi, certo più belli che saporiti,
re Euristeo: ed Ercole, per accontentarlo, dovette par­
tire, vagare senza meta precisa, finché Proteo, il pro­
feta del mare dalle continue metamorfosi, messo alle
strette, non gli ebbe indicato il lontano luogo ove fio­
riva quello straordinario giardino. All'entrata in esso
ed alla vendemmia delle auree poma si oppose un dra-
1 34 MITOLOGIA GRECA E ROMANA

gone a cento teste, che diede filo da torcere all'eroe ,


ma finì col soccombere alle sue mazzate. Altri poeti nar­
rano che Ercole si fecesse aiutare nella raccolta dei po­
mi dal gigante Atlante, il quale era non poco impac­
ciato nel dargli una mano, perché doveva reggere sul
dorso niente meno che il cielo. « Non pensarci » , gli dis­
se Ercole. « Calami sulle spalle pian piano il tuo fardel­
lo, e io lo reggerò per un poco, mentre tu, che sei alto
come l'Olimpo, puoi benissimo affacciarti sul muro del
giardino e vendemmiare » . E così fecero. Atlante get­
tava nel cappello d'Ercole le superbe mele, mentre
questi sudava sotto la gran macchina stellata. Mentre
Ercole attraversava il mondo per raggiungere il frut­
teto delle Esperidi , s'era imbattuto in un altro gigante
che è oggetto d'un mito assai curioso. È Anteo, figlio
di Nettuno e della Terra. Costui sfidava a lotta quanti
stranieri approdassero sulla costa libica, li uccideva e
coi loro crani formava le pareti d'un tempio. Ercole
lo scrollò ben bene , ma non riusciva a sopraffarlo per­
ché, ogni qual volta toccasse Terra, la sua madre pos­
sente lo rinvigoriva con magico influsso . Stanco alfi­
ne di tanta resistenza, che fa il figliuolo d' Akmena ?
Solleva con polsi di ferro il nemico e lo strozza tenen­
dolo sospeso per aria !
r2• - La cattura di Cerbero . - L'ultima fatica che
Ercole compiesse per appagare il ti-rannico Euristeo
consistette nel discendere, accompagnato da Mercurio ,
nel regno dei morti, e nel catturare , col consenso di
Hades, Cerbero, mostro a metà cane , a metà drago,
con tre teste bavose e urlanti. Quando Euristeo vide
Ercole tornare con la bestiaccia incatenata che ringhia­
va e cercava di mordere, morì quasi di paura e sup­
plicò l'eroe di riportarla dove l'aveva presa.
Queste sono le dodici fatiche d'Ercole, compiute dal-
ERACLE O ERCOLE 135

l'eroe in stato di servitù, e simboleggianti, secondo l'in­


terpretazione naturalistica, i travagli del sole d'autun­
no e d'inverno, che lotta di continuo con le nubi e con
le tempeste. D'or innanzi, Ercole è libero, ma conti­
nua a battagliare contro i banditi , contro i prepotenti
e contro coloro che non mantengono le promesse. Le
sue spedizioni si succedono senza posa, ora contro Bu­
siride, tiranno d'Egitto, ora contro Eurito che non
voleva concedergli in sposa la figlia Iole, secondo il
patto convenuto, ora contro Caco, gigante mostruoso
che metteva a rapina l'Italia (1), ora contro i Centau�
ri (2) . Ma l'eroe, così forte e temuto, incappa più volte
in amori che lo riducono a mal partito. Onfale, regina
di Lidia, si prende giuoco di lui, lo tiene come uno
schiavo : e si vede Ercole vestir feminilmente e filar
lana ai piedi della scaltra reginella che si avvolge nella
pelle del leone nemeo e tiene a stento la mazza noc­
chieruta del domatore di mostri e di fiere ! L'Alcide
non ricupera la sua libertà da quei lacci, che per cade­
re innamorato di Deianira, bellicosa e quasi maschile
figlia di Eneo, re di Etolia.
(1) Caco stava nel Lazio a commettere ruberie. Quando Ercole pas,.ò
per quei paraggi, il ladrone gli portò via le più belle \'acche : e le tra­
scinava per la coda, perché le peste non svelassero il nascondiglio. Ma
Ercole sentì il muggito delle giovenche, penetrò nella caverna ol''cran
chiuse e uccise Caco a colpi di clava.
(2) I Centauri sono la trasfigurazione mitica di un selvaggio popolo
<li Tessaglia, ferreo nel cavalcare. La fantasia antica fece presto a sal­
dare cavallo e cavaliere, e creò gli aspi i esseri dal torso umano e dalla
groppa equina che parlano invece di nitrire e galoppano in vece di cor­
rere. Erano feroci e cup;di di vino; maneggiavano a meraviglia la eia\ a
e l'arco. Invitati alle nozze di Piritoo, re dei Lapiti, con Ippoda11. ia,
tentarono di rapirgli la sposa. Ma furono vinti dopo aspra lotta <la i
Lapiti e da Teseo, venuto in aiuto all'amico Piritoo. Ercole finì col cac­
ciarli dalla Tessaglia. Fanno anche parte del corteo di Bacco. Il più
saggio e il più celebre di essi fu Chiro11e, che educò Ercole, Giasone,
Castore e Polluce, e Achille.
136 MITOLOGIA GRECA E ROMANA

Ma Deianira aveva già un fidanzato, Acheloo, ch'e­


ra un fiume e possedeva il dono di trasformarsi in mil­
le modi e d'eruttar dalla bocca uno scrosciante getto
d'acqua ... Il nuovo pretendente fu preferito a quella
specie di mostro. D'onde un'aspra lotta fra i due, ter­
minata con la disfatta di Acheloo che combatteva in
figura di toro e ci rimise un corno. Le nozze furono
celebrate. Ercole portò via la sposa.
Giunti ad un largo fiume, gonfio dal recente disgelo,
sostarono incerti se convenisse guadarlo. Sopraggiunse
un Centauro, e disse loro : e Nesso è il mio nome. Per
piccola moneta soglio trasportare all'altra sponda i
viandanti che temono la corrente. Vuoi tu, giovane spo­
sa, affidarti ai miei zoccoli e alle mie robuste spalle ? 11
Deianira accettò, ed Ercole seguiva a nuoto. Ma Nesso
con perfido disegno, giunto nel forte della corrente, si
affidò all'impeto di quella, e portò via la donna.
Una freccia d'Ercole furibondo lo colpisce a morte,
mentre egli stava prendendo terra. S'accascia nell'u­
mido loto e a Deianira mormora, in una delirante, se­
te di vendetta: « Raccogli alcune stille del mio sangue
e serbalo. È in esso una virtù magica. Se ti venisse a
mancare l'amore del tuo consorte, intridi in questo
rosso che mi cola dalle vene una tunica, e fa ch'egli
se ne vesta. Ciò varrà a ridonarti il suo amore » .
Poco dopo, Ercole s'invaghì di Iole, figlia di Eurito,
e la rapì. Desideroso di celebrare un sacrificio a Gio­
ve, mandò il fido compagno Lica a Deianira, per chie­
dere una bella tunica bianca o color di giacinto. Ma
il messaggero non seppe frenare la lingua e narrò per
filo e per segno il ratto di Iole e la passione d'Ercole
per essa. Deianira divampa di gelosia. Le tornano in
mente le ultime parole di Nesso. Corre alla coppa ove
custodiva il filtro composto col sangue del Centauro,
e ne intride la bianchissima tunica. Appena Ercole se
ERACLE O ERCOLE 137

n'è rivestito, il tossico dell'Idra di Lerna, diffuso dal


dardo nelle vene di Nesso, comincia ad operare. Er­
cole è divorato da un orribile fuoco. Urlando di dolore,
cerca di strapparsi la fatale veste, ma col tessuto ven­
gono via i lacerti della carne. Allora infuria, percuote
a morte Lica e lo precipita in mare. Poi, simile ad un
toro ferito, sale correndo il ripido fianco dell'Oeta e,
giunto sulla cima della montagna folta di selve, sradi­
ca pini e querce e si eleva con essi un rogo immenso,
su cui si stende per morire. I suoi compagni cedono al­
le sue preghiere e metton fuoco alla catasta di tronchi.
In un crepitio orrendo e in un turbine di fumo e di
fiamme, l'eroe si discioglie dal corpo e sale verso l'O­
limpo in un carro tirato da quattro corsieri bianchi,
mentre i baleni trafiggono la nube martellata dal tuono.
In questo grandioso e luttuoso epilogo d'una vita
eroica, gli interpreti delle favole vedono un'immagi­
ne del tramonto del sole nell'involucro di dense nubi,
d'onde la sua fulgida luce finale si sprigiona tra veli fu­
manti e porporini.
Giove assunse il proprio figlio alla gloria dell'Olim­
po e gli diede in sposa Ebe, la dea della giovinezza.
Nessun mito più chiaro di questo, che congiunge nella
luce e nella felicità, la forza e l'ardore giovanili.
Ercole fu sempre rappresentato come un uomo mem­
bruto ed eccezionalmente muscoloso. La pelle del leo­
ne nemeo e la clava sono i suoi attributi. L'antichità
consacrò in lui il suo culto per la forza fisica, per l'au­
dacia e pel coraggio : e pure attribuendogli qualche
difetto, onorò nel Dio atletico il modello dei guerrieri,
la cui missione è di combattere per liberare l'umanità
dall'ingiustizia e dalla violenza.
PERSEO E ANDROMEDA (Fol. A linari)
(allr..co pompeiano)
(Fol. A linari)
PERSl!O PlP.TRlFICA 1 NEMICI MOSTRANDO LORO LA TESTA DI MEDUSA
(affresco di A. Caraccl)

III
PERSEO E MEDUSA

Perseo è l'eroe delle leggende d'Argo. Sua madre


era Danae, che lo aveva generato da Giove. Acrisio, re
d'Argo, padre di Danae, temendo che s'avverasse la
predizione d'un oracolo che lo minacciava di morte da
parte d'un nipote, fece chiudere Danae e il fanciullo
in una cassa che fu gettata in mare. Ma, dopo d'aver
galleggiato e vagato parecchio tempo, la cassa si are­
nò sulla riva dell'isola di Serifo. Il re Polidette la fece
aprire, e con grande stupore vide che conteneva una
donna e un fanciullo. Il piccolo Perseo fu educato co­
me un principe a cura del re pietoso : il quale però, con
l'andar del tempo, s'invaghì della bellissima Danae e
desiderò di sbarazzarsi del giovinetto in cui sentiva un
ostacolo alla sua unione con la madre.
Stabilì quindi d'allontanarlo dall'isola, e alla sua se-
MITOLOGIA GRtCA E twMANA

te di belle imprese fece brillare il miraggio dell'uccisio­


ne di Medusa, la più terribile delle Gorgoni. Era Me­
dusa uno spaventevole mostro capelluto di serpi fi­
schianti. Dalla sua bocca irta di denti di cinghiale,
uscivano urli e ruggiti che gelavano il sangue. Lo sguar­
do vitreo e iniettato di sangue pietrificava chi la fissasse.
Con ali d'oro batteva l'aere, simile ad un uccello si­
nistro. Le sue mani adunche erano fredde e rigide co­
me il rame. Questo essere atroce era soggetto alla mor­
te. Dotate invece di vita immortale, le altre due Gor­
goni, Euriale e Steno , abitavano con Medusa ai confi­
ni tra il Mondo e la Notte. Intorno al loro covo era tut­
to un caos pauroso di rocce dalle stravolte sembianze
umane: nel sasso martirizzato si riconoscevano i fanta­
smi rigidi degli sventurati che avevano guardato il vol­
to d'una delle tre Gorgoni. Perseo, pieno di giovanile
audacia, accondiscese a tentare la gesta. Guidato da
Mercurio e da Minerva, pervenne alla dimora delle
Graie o Forcidi (figlie di Forco), vergini mostruose
dall'eterno aspetto di vecchiezza, cinto il capo di can­
dide ciocche e la pelle macerata di grinze.
Costoro, in tre, non possedevano che un occhio e un
dente : e Perseo rapì loro quegli organi preziosi e li
tenne in pegno, finché le Graie non gli ebbero indicato
la via da seguire per raggiungere la spettraìe scogliera
delle sorelle Gorgoni. Munito dalle tre vecchie di ire
doni magici : un paio di sandali alati, una bisaccia e
una capigliatura oscura, l'eroe giunse alfine alla ca­
verna ove Medusa giaceva immersa in profondo son­
no. Con Perseo penetrò la sua protettrice Minerva, che
gli porgeva come specchio lo scudo di polito avorio.
Volgendo lo sguardo dall'orrida maschera, il giovane
trae la spada e taglia con un sol colpo la testa angui­
crinita che vedeva riflessa nella targa di Atena. Allora
PERSEO E MEDUSA

avvenne un prodigio. Dal sangue rosso che usciva a


fiotti dal mutilo tronco, balzò fuori con un nitrito un
bellissimo cavallo bianco che s'elevò scalpit ....ndo nel-
1'etere. Quel cavallo alato era Pegaso, e Bellerofonte
se ne servì un giorno per uccidere la Chimera.
Ma non era terminata l'avventura di Perseo. Già s'u­
diva il ringhiare delle due sorelle Gorgoni, accorrenti
a vendicare Medusa. E qui tornarono utili all'eroe i
tre doni delle Graie. Nella bisaccia chiuse il pesante
capo insanguinato e livido ; con la capigliatura magica
folta e nera, si cinse d'un tenebroso nembo che lo rese
invisibile, e coi sandali alati spiccò un volo che lo por­
tò presto fuori di pericolo. Ma una nuova peripezia lo
attendeva in Etiopia, ove capitò. Colà la regina Cas­
siopea, vanitosa, aveva ardito misurarsi in bellezza-con
le Nereidi. Quelle, offese, s'erano appellate al Dio del
Mare, e Nettuno, sposatone lo sdegno-, travagliava quel­
la povera terra con inondazioni e burrasche. Inoltre
aveva sprigionato dal verde elemento un mostro ma­
rino che faceva strage d'uomini e di greggi. Il re Ce­
feo, interrogato l'oracolo, s'era sentito rispondere que­
ste terribili parole : « Il mostro si placherà se Andro­
meda, tua figlia, sarà offerta, legata ad uno scoglio,
alla sua fame vorace » . Per salvare il suo popolo, il re
accondiscese all'immenso sacrificio. Andromeda, tutta.
in lacrime, fu legata allo scoglio. E già il mostro emer­
geva dalle gonfie onde e faceva tremare l'aere coi mug­
giti. Ma Perseo stava proprio allora giungendo in pie­
no cielo, sorretto dagli alati sandali. Vide la bella bian­
cheggiar sull'irta rupe, ne sentì il gemito, vide il mo­
stro sorgere dall'abisso come una crestata montagna.
Calò a picco sul fianco enorme e squamoso, e piantò
in quell'orrida massa la spada fino all'elsa. Il mostro
batté l'onda con le Lranchie e l'irta coda, e dopo qual­
che convulsione colò a fondo in un turbine di rossa
MITOLOGIA GRECA E ROMANA

spuma. Andromeda, salva, fu data dal re in isposa al-


1' eroico liberatore.
La testa di Medusa conservava il suo potere agge­
latore anche dopo la morte. Lo provò Atlante , re di
Mauritania, castigato da Perseo per la sua barbara ino­
spitalità e trasformato dalla vista della Gorgona in una
catena di montagne che porta ancora il suo nome. Del
pari il re di Serifo, Polidette, sorpreso al suo ritorno da
Perseo mentre stava perseguitando Danae, fu pi�tri­
ficato con quel teschio anguicrinito.
Nella leggenda di Perseo e di Medusa, è personifi­
cata la lotta vittoriosa del sole contro il dèmone delle
nubi tempestose. E vi ha chi vede in Pegaso il corsie­
ro del tuono che con lo scalpitio degli zoccoli e il rom­
bo dell'ali suscita fragore e terrore negli spazi celesti.

(Fof. Alinari)
LA MEDUSA
(Rordaninl)
TESEO RICONOSCIUTO DAL PADRE (Fot. A l/nari)
(scuhura antica)

IV
TESEO E IL MINOTAURO

Ciò che fu Ercole per tutta la Grecia, cioè l'eroe in cui


rifulgono tutte le potenze d'un popolo, Teseo fu per
l'Attica. Le sue avventure costituiscono uno dei cicli
più curiosi e ricchi d'interesse drammatico.
Nacque in Trezene da Etra, figlia del re, e da E­
geo, re d'Atene. Fanciullino, compì atti prodigiosi, co­
me il dare l'assalto con la scure, credendola un leone
vivo, ad una spoglia leonina lasciata da Ercole nel­
l'atrio della casa regia di Trezene, dov'era allevato.
Un giorno la madre gli rivelò il nome del genitore e lo
invitò a recarsi ad Atene dove Egeo l'aspettava. Du­
rante il viaggio, la forza e l'audacia del bell'adolescen­
te ebbero agio di rifulgere. La strada era infestata da
atroci briganti : Perifete, che attaccava i viandanti e li
sgozzava; Sini, che li legava ai rami degli alberi e li
faceva squartare dal violento divaricarsi di essi ; Sci-

IO.
144 MITOLOGIA GRECA E ROMANA

rone, che li annegava, lanciandoli dall'alto di rocce a


picco in un'ansa del mare ove un'enorme testuggine li
divorava. Teseo fece subire a ciascuno d'essi i suppli­
zi che avevano inventati. E cosi distese e straziò sul
suo letto di ferro Procuste, com'egli soleva fare alle
sue vittime stirandone il corpo finché raggiungesse la
lunghezza dell'orrido telaio, o tagliando quanto delle
loro gambe soverchiasse: Giunto ad Atene, il bello e
coraggioso giovane si presentò al re come uno stranie­
ro. Ma Medea, ch'era diventata allora sposa d'Egeo,
lesse con la sua chi:uoveggenza di maga nell'animo del
sopraggiunto. E già piena di gelosia aveva indotto lo
sposo a propinargli a mensa una bevanda intossicata,
quando il re scorse la spada di Teseo e da quel segno
riconobbe suo figlio. Medea fu cacciata ; Teseo regnò
col genitore.
In quel tempo venne ad Atene, per prender parte ai
giochi in onore di Pallade, Androgeo, figlio di Mi­
nosse, re di Tebe. Egli riportò tale vittoria in essi, da
suscitare l'invidia e il livore di Egeo : il quale, per li­
berarsi di lui, lo mandò a combattere un terribile toro
che infestava la pianura di Maratona. La vittoria non
arrise al giovane tebano, che fu dilacerato dalla belva.
Arse di sdegno alla notizia Minosse, e armata una
flotta, assediò Atene. Pregò poi da Giove, e l'ottenne,
che: sulla città piovessero i castighi più tremendi, la ca­
restia e la peste. Sbigottiti, gli Atenies: consultarono
l'oracolo, e la risposta fu questa : « Arrendetevi a Mi­
nosse e consentitegli quanto egli sia per chiedervi, a
vendetta del figlio ucciso ». Atroce davvero fu il patto
posto da Minosse. In Creta, nel centro di uno spaven­
tevole intrico di corridoi e sotterranei, di grotte e di
cupole, chiamato il Labirinto, abitava un mostro vo­
race, in forma d'uomo dalla testa taurina, chiamato
il Minot::wro. Viveva di corpi di fanciulli che gli veni-
TESEO E IL MINOTAURO

vano gettati nella sua prigione inestricabile. Minosse


impose che gli Ateniesi ogni anno e per lo spazio di
nove anni fornissero ai Cretesi sette fanciulli e sette
giovinette da dare in pasto al muggente bruto. E già
da tre anni Atene gemeva per l'orrendo lutto, quando
Teseo deliberò di por fine all'intollerabile taglia con le
armi. Ed aggregatosi alle vittime partenti, navigò con
loro sino a Creta e si presentò a Minosse, manifestan­
dogli il proprio intento. Era figlia di quel re la bellissi­
ma Arianna che, udito il proposito dell'eroe ateniese,
di cui s'era invaghita, prima tremò per lui e tentava di
dissuaderlo, poi cercò di aiutarlo nell'impresa. Teseo
s'arma d'una formidabile mazza e penetra con le pian­
genti vittime nel dedalo tenebroso. Giunto al covo del
mostro, impegna battaglia con lui e lo stende morto al
suolo con una mazzata sulla cervice. All'uscita dal La­
birinto, ch'era la cosa più ardua, aveva provveduto
l'amore d'Arianna. Una lunga matassa di filo dipanata
per suo consiglio lungo il tortuoso cammino, servì al­
l'eroe di guida per il ritorno. E quando Teseo coi com­
pagni pieni di gioia risalì sulla nave che doveva ripor­
tarli ad Atene, era con lui Arianna festante, Arianna
dai capelli d'oro. Durante il viaggio i due amanti fu­
rono separati da un crudele caso. Una tempesta gettò
la nave sulle rocce dell'isola di Nasso. Teseo sbarcò
con Arianna che chiedeva di riposare alquanto sulla
terra ferma. E adagiatala in un luogo ombroso e fiorito,
credette necessario tornare a bordo per il raddobbo
della nave. Ma un nuovo uragano si le•:a, e il basti­
mento è trascinato al largo. Gridò, pianse, si disperò
la bella abbandonata, quando vide il bastimento co­
me un punto sull'azzurra lanugine del mare: ma era
destino che presto sarebbe stata consolata da Bacco.
Teseo intanto, che l'ha già dimenticata, naviga ver­
so Atene. Senza pensare alla promessa fatta al padre
MITOLOGIA GRECA E ROMANA

Egeo di stendere la vela bianca in segno di esito feli­


ce, entra nel porto con la vela nera, che induce il pa­
dre, continuamente in vedetta sulla collina, a credere
:h'egli sia stato divorato dal Minotauro. .. L'infelice
vecchio per l'eccesso di dolore si precipita dalle rocce
nel mare.
Le imprese di Teseo non finiscono qui. Incoronato
re d'Atene, parte in guerra contro il popolo femminile
e guerriero delle Amazzoni, le debella e ne sposa la
regina Antiope, dalla quale ha un figlio, Ippolito. Lot­
ta dapprima con Piritoo, re dei Lapiti, poi gli diviene
amico, e con lui affronta e mette in fuga i Centauri che
avevano insultato Ippodamia, novella sposa a Piritoo,
durante il banchetto nuziale, e tentato di rapir le fan­
ciulle e i giovinetti che le facevano da guardia d'ono­
re. Più tardi prende parte alla conquista del Vello d'o­
ro e alla caccia del Cinghiale Calidonio. La sua morte,
ricevuta per mano dell'invido Licomede, re di Sciro,
che lo precipitò a tradimento in mare dall'alto d'una
roccia, simboleggia il tramonto del sole che sembra tuf­
farsi nell'abisso, scomparendo dietro le coste a picco.
La reggia di Teseo fu teatro d'un luttuoso evento che
diede materia più volte ai poeti tragici. Ippolito, figlio
di Teseo e d'Antiope, era tutto dedito alla caccia, né
curava le lusinghe d'amore. Mortagli Antiope, Teseo
aveva sposata Fedra, una delle figlie di Minosse. Ora
costei s'innamorò del bel figliastro, e lottava con se
stessa per tener celata la passione. Ma a nulla valeva­
no i suoi sforzi. Essa giunse a rivelare al giovane la
propria fiamma, non riuscendo però a comunicarla al
cuore del freddo seguace di Diana. Allora l'amore si
muta in odio. Respinta e disprezzata, la Regina accu­
sa l'amato presso Teseo di aver cercato di soppiantar­
lo nel suo cuore, di essere reo di illecita passione verso
la matrigna. Teseo crede all'accusa e invoca da Nettu-
TESEO E IL l\lTNOTAURO r4 7

no vendetta sul perfido figlio. Mentre questi guidava


il suo carro lungo il mare, in un boato pauroso le onde
generarono un mostro la cui vista impazzò i cavalli e
li lanciò in un galoppo cieco e sfrenato. Il carro urtò
contro un tronco d'ulivo, e Ippolito, impigliato nelle
redini, fu trascinato e reso cada vere irriconoscibile.
Quando Fedra seppe l'orrenda storia, gettò grida
insane e si strappò le chiome. Dopo d'aver confessato
la propria colpa a Teseo e attestata l'innocenza del fi­
gliastro, l'infelice regina si diede la morte.
I mitografi vedono in Ippolito la stella del mattino,
desiderata dall'ardente Aurora (Fedra) e cacciata dal
Sole.

(Fot. Wolfrum)
TBSEO ABBATTE IL MINOTAURO
(gruppo marmoreo di A. Canova)
BELLEROFONTE ABBBVERA PÈGASO (Fot. Alinarl)
l>eultura antica)
LA CHIMERA (bronzo etrusco) (Fot- Alinori)

V
SISIFO, GLAUCO E BELLEROFONTE

Mito singolare è quello di Sisifo, nel cui supplizio de­


cretato da Giove sembra celarsi l'allegoria dell'umano
tormento che non conosce altro riposo che la morte.
Sisifo, figlio d'Eolo, fu il primo re di Corinto, ed
estendeva il territorio e la ricchezza del proprio regno,
con tutti i mezzi leciti o illeciti. Soleva fra l'altro far
perire sotto cumuli di sassi gli stranieri che giungevano
ai suoi confini, e li spogliava dei loro averi. Stanco
della sua empietà, Giove lo additò a Tànatos, il dio del­
la morte, per l'estremo castigo. Ma Sisifo era così vigile
e astuto che incatenò la Morte ! Aiutato da Marte, Ta­
natos riuscì a svincolarsi e riprese pel mondo la sua
opera di distruzione. Sisifo fu abbattuto e scese all'In­
ferno, d'onde con un'ultima astuzia riuscì però a scap­
pare ingannando Plutone, e rioccupò il trono di Co­
rinto.
MITOLOGTA GRECA E ROMANA

Ripreso da Mercurio e condotto a forza nel regno


delle ombre, venne da Giove condannato a far rotola­
re in eterno un macigno fin sulla sommità d'una mon­
tagna, d'onde il macigno riprecipitava nella valle co­
stringendolo ad una nuova scalata.
Il figlio di Sisifo, chiamato Glauco, adorava il caval­
care, e andò tant'oltre nella sua passione da nutrire i
propri destrieri con la carne umana. Ma Giove lo punì
facendolo traboccare dal carro durante una corsa e di­
vorare dai suoi cavalli impennati.
Maggior gloria illuminò la vita di suo figlio Bclle­
rofonte che, inviato da Giobate, re di Licia, a combat­
tere la Chimera, con l'unico scopo di perderlo (essen­
do quel re incaricato dal re di Tirinto di vendicare
un'offesa mortale che credeva d'aver ricevuta da Bel­
lcrofonte) riuscì invece vittorioso e ottenne una fama
pari a quella di Teseo e di Perseo. La Chimera era
una specie di drago dalla testa leonina, dal corpo di
cavallo e dalla coda di serpente. Il suo alito era di fuo­
co e di morte. All'effondersi di quel soffio esiziale le
messi si strinavano e la vita s'inceneriva. Bellerofon­
te, domato col volere di Minerva l'alato cavallo a no­
me Pegaso, ch'era nato dal sangue di Medusa, lo in­
forcò, e dall'alto dell'etra scese a picco sull'urlante e
sbuffante dragone, puntando verso la sua negra bocca
una picca scintillante. All'urto la Chimera, ferita a
morte, si rovesciò al suolo. Il piombo dell'arma, fuso
dal rovente sangue del mostro, cigolò suìl'erba in­
trisa (1).
Dopo quell'impresa, Bellerofonte non riposò sugli al­
lori. Perseguitato ancora da Giobate, dopo d'aver com­
battuto per lui e vinto i Solimi e le Amazzoni, sterminò
(1) L'interpretazione naturalistica del mito della Chimera designa in
essa la minacciosa parvenza delle nubi nere della tempesta. Il suo lin­
guaggio oscuro è la voce del tuono.
f'TSIFO GLAUCO E BET.LEROFONTE
,

buon nerbo di guerrieri Licii, scelti da quel re e da


esso istigati perché lo uccidessero a tradimento. Visto
che l'eroe era invincibile, Giobate si raddolcì, gli die­
de in sposa la figlia e lo nominò a succedergli sul tro­
no. Ma il possesso del meraviglioso cavallo volante,
Pegaso, fu cagione della rovina del vincitor della Chi­
mera, il quale, salito in orgoglio folle, tentò di dar la
scalata all'Olimpo. Non dormiva però Giove : e vedu­
to il temerario salir scalpitando di nube in nube, gli
mandò contro un piccolo tafano che punzecchiò le re­
ni di Pegaso. Ecco il destriero alato impennarsi e, co­
me un cavallo qualunque, delirare a sgroppate e cor­
vette. Il misero Bellerofonte perdette le staffe e preci­
pitò al suolo. Il suo destino gli serbava ancora anni
di amara vecchiezza e di miseria. Quanto a Pegaso,
non appena si sentì libero, si tuffò in pieno cielo, e og­
gi se ne può vedere il profilo fissato dai gemmei puuu
d'una costellazione che reca il suo nome.
Nella vittoria di Bellerofonte sulla Chimera non vi
sarà difficile riconoscere il simbolo della vittoria della
lucida volontà contro i fantasmi dell'immaginazione.
TORO FARNE.SE 11/ suppltLIO di u1rce1 (Fot. A linari)
(S<ultu,a antio&)
LA MORTE DI ETEOCLE E POLINICE (Fot. A linari)
(urna di alabastro etrusca)

VI
EDIPO E I SETTE CONTRO TEBE

Tebe fu fondata c-1.a Cadmo , figlio di Agenore, re di


Fenicia, nel modo seguente. Egli era fratello di Euro­
pa : e andando in cerca della sorella rapita da Giove,
trasformato come sapete in toro, seppe dall'oracolo di
Delfo che la fanciulla era introvabile e che, lasciata
ogni ricerca, egli avrebbe dovuto fondare una città nel
punto dove gli si fosse fatta incontro una giovenca se­
gnata nel manto d'una mezza luna. Il presagio s'avverò,
e la Beozia fu la regione in cui, trovata la fatidica gio­
venca, si apprestava Cadmo con solenni sacrifici e li­
bazioni a. tracciare con l'aratro la cinta novella della
città. Ma ebbe prima a combattere con un enorme dra­
go che divorò i suoi compagni, addentratisi in un bo­
sco per cercare acqua. Ucciso il mostro, Cadmo si vide
154 MITOLOGIA GRECA E ROMANA

apparire Pallade che gli parlò così: • Strappa i denti


a questo drago e seminali nel solco che il tuo aratro
aprirà in questa terra intatta » . Ubbidì l'eroe, e con
sommo stupore vide brulicar le zolle d'un popolo d'ar­
mati che con lancie e scudi scintillanti si misero a com­
battere con furore tra di loro, sicché tosto il terreno
fu coperto di morti, e cinque soli della formicolante
falange restarono a guardarsi minacciosi. Cadmo li pla­
cò e li prese per compagni nella fondazione della rocca
di Tebe.
A Cadmo succedettero sul trono di Tebe prima Lico.
poi Anfione e Zeto, due fratelli di natura opposta : An­
tìonc dedito al canto ed alla lira, Zeta alla caccia cd
alla lotta. I due costruirono un gran tratto delle mura
della città : Zeta portava i massi delle montagne e li
ammucchiava, Anfione sanava la lira, e quelli, in­
cantati dall'armonia, si allineavano e univano da sé. I
due fratelli sono celebri, oltre che per questo singola­
rissimo metodo di costruzione, per la vendetta che pre­
sero del re Lico, persecutore della loro madre Antiope.
Prima uccisero lui, poi legarono la sua sposa Dirce alle
corna d'un toro furioso e la fecero dilaniare da esso.
La tremenda scena della partenza del toro scatenato.
ai cui piedi, abbattuta sulle rocce, si contorce la misrra
donna, mentre i due fratelli implacabili trattengono an­
cora la belva con la fune, è consacrata da un famoso
gruppo in marmo, detto il Toro /arnese, <.onservato nel
Musco nazionale di Napoli.
I figli di Cadmo furono colpiti da atroci sciagure.
Semele fu incenerita dal fulmine; Ino impazzì e si gettò
in mare, col figlio stretto al seno ; Autonoe fu madre
di Atteone che Diana doveva mutare in cervo ; Agave,
smarrito il senno, dilacerò il figlio Pentèo ; Anfione,
divino sonatore di lira, ebbe da Niobe sei figli e sei
figlie, destinati a perire tutti per mano d'Artemide e
EDIPO E I SETTE CONTRO TEBE 155

d'Apollo ; Polidoro fu avo dell'infelicissimo Edipo .. . E


perché tutta questa catena di luttuosi eventi, questa
persecuzione accanita del destino ? Cadmo e i suoi figli
e i suoi nipoti scontavano la gelosia di Giunone, me­
more dell'onta che aveva subìto da Giove, a causa
della bellezza d'Europa, sorella di Cadmo.
Forse nessuna favola dell'antichità è così tragica co­
me la storia di Edipo.
Sofocle l'ha drammatizzata in tragedie immortali.
Edipo nacque da Laio, discendente di Cadmo e re di
Tebe, e da Giocasta. L'oracolo di Delfo aveva predetto
ai due sposi che dalla loro unione sarebbe nato un figlio
destinato ad uccidere il padre ed a sposare la genitrice.
Quando, poco dopo, Edipo venne alla luce, Laio, inor­
ridito dalle sinistre predizioni della sibilla Pizia, fece
portare il fanciullo sulla più alta vetta del monte Ci­
terone, e lo fece appendere per i piedi ad un albero.
In quella solitudine vagavano i pastori del re di Co­
rinto con le gregge regali: udirono il lamento del bam­
bino, e, accorsi, distaccarono il suo piccolo corpo tor­
turato dalle funi. Edipo fu portato a corte, e la buona
regina di Corinto lo accolse, lo educò e gli diede nome
Edipo, che significa piede enfiato (dai segni della corda
con cui era stato avvinto all'albero).
Fatto adolescente, egli abbandonò la reggia e, per
conoscere il proprio destino, si recò a Delfo. L'ora­
colo d'Apollo non gli rivelò di chi fosse figlio e lo lasciò
nella convinzione d'esser nato dal re di Corinto. Ma
gli predisse che avrebbe ucciso il padre e sposata la
madre. . .
Allora l'infelice decise di non tornare a Corinto per
evitare il suo fato tremendo, e s'avviava verso la Fo­
cide. Cammin facendo, un carro, lanciato a tutta ve­
locità, lo sfiora in un quadrivio e con la celere ruota
gli offende il piede. Edipo cede al furore, uccide il coc-
MITOLOCIA CRECA E MMANA

chicre e, slanciatosi contro al vecchio padrone del car­


ro, che cercava di difendere il suo auriga, gli dà un
colpo mortale. Orrore ! La prima parte del fato sinistro
di Edipo s'era avverata ! Il vecchio era suo padre,
Laio ! Ma Edipo non lo conobbe e continuò la sua
strada.
Giunto a Tebe ove regnava allora Creonte, fratello
di Giocasta, seppe che la regione era afflitta dalla vora­
cità d'un mostro: la Sfinge. Viso e seno di donna, ali
d'uccello e corpo di leone erano le forme di questo
spauracchio che stava appollaiato sulle rocce a picco
della strada di Tebe e attendeva al varco i viandanti
per proporre loro un enigma e divorarli se non sapes­
sero scioglierlo. La terra e la pietra intorno al suo covo
biancheggiavano d'ossami e di membra dilaniate: i
resti di coloro che non avevano saputo risolvere l'in­
dovinello. L'oracolo aveva predetto che la Sfinge sa­
rebbe morta, se si fosse trovato un enigmista abbastan­
za abile da afferrare il senso del suo oscuro logogrifo.
Edipo si propose di liberare il paese dal doloroso tri­
buto di vite umane. Affrontò il mostro e sciolse l'in­
dovinello: il quale, a dir la verità, era molto facile :
• Qual è », chiedeva la Sfinge, , l'animale che al mattino
cammina con quattro piedi, a mezzodì con due e a
sera con tre? , . Edipo non batté ciglio e rispose : • �
l'uomo, che, fanciullo, si trascina con le mani e coi
piedi, maturo cammina ben ritto sulle due gambe, e
vecchio, s'appoggia ad una terza ch'è un bastoncino » .
Udito questo, il mostro diede un gran strido e si buttò
giù a capofitto dalla roccia.
Il re Creonte non sapeva come compensare Edipo
di tanto servigio : gli cedette il trono e gli diede in sposa
la sorella Giocasta. Cosi si compieva la seconda parte
della predizione dell'oracolo, e il misero Edipo impal­
mava la propria madre.
EDIPO E I SEtTE CONTRO tEBE t57

Da quell'unione illecita nacquero Eteocle e Polinice,


campioni dell'odio fraterno. L'ira degli Dei s'abbatté
su Tebe. Le campagne inaridirono, la peste mieté gli
uomini e gli armenti. Disperato, Edipo ricorre all'ora­
colo per conoscere la causa di tanta rovina. « La colpa
è dell'assassino di Laio ! • , risponde la Pizia. Si consulta
allora il vecchio indovino Tiresia, lo si costringe a pro­
clamare il colpevole : e Sei tu 11 , dice alfi.ne il canuto
chiaroveggente, « sei tu, o Edipo, che trai a rovina la
tua patria, o infelice ! Tu hai ucciso il -genitore e sei
sposo di tua madre ! 11 .
Alla terribile rivelazione, Edipo si strappò gli occhi
e Giocasta s'appese ad un trave della reggia. Cacciato
da Tebe e inseguito dalle Furie, Edipo andò vagando
come demente per le campagne, oggetto d'orrore per
tutti, ma d'infinita pietà per la dolce figlia Antigone,
che non l'abbandonò e leniva il suo strazio. Alfi.ne gli
Dei concessero che nel bosco di Colono, nel!'Attica,
sacro alle Furie, ove aveva cercato asilo, la morte scen­
desse a liberare questa vittima innocente del più tra­
gico destino.
Ma non cessò l'ira degli Dei di abbattersi sul fato
di Tebe, ove regnavano, dopo la morte di Edipo, i
suoi due figli Eteocle e Polinice, col patto di alternarsi
sul trono di anno in anno. Eteocle manca alla fede data
e vuole con la forza mantenersi in soglio. Polinice chie­
de aiuto al re d'Argo e con un enorme esercito guida­
to da sette capi assedia le sette porte di Tebe. Fiumi
di sangue scorrono. Dopo alterne vicende, la decisione
del conflitto viene affidata all'esito d'una singolar ten­
zone fra i due fratelli. Eteocle e Polinice in un duello
feroce periscono l'uno sotto il ferro dell'altro. Creante
è fatto re di Tebe. Il corpo di Polinice è gettato in pa­
sto ai cani e agli avoltoi. Ma la pietà della dolce so•
rella Antigone tenta di opporsi allo scempio : in segreto
MITOLOGIA GRECA E RG:\IANA

essa dà sepoltura al misero cadavere ; viene sorpresa


dalle guardie e condannata ad esser murata viva in
una carcere. Così con un ultimo delitto si suggella l'im­
mane dramma di Tebe antica, materia luttuosa per la
poe:, ia sublime di Eschilo, di Sofocle e d'Euripide.

(Fot. A l/nari)
EDIPO ASCOLTA L' ENIGMA DELLA SFINGE
(tazt4 antica)
DEDALO E ICARO (Fai, A l/nari)

VII
DEDALO E ICARO

Ecco un mito trasparente per eccellenza. Significa


che l'uomo con l'intelligenza può tutto, finché non lo
traviino il folle orgoglio e l'ardire inconsiderato. Il
poeta ha espresso la morale di questa favola in due
versi indimenticabili :
Ai voli troppo alti e repentini
sogliono i precipizi esser vicini.
Dedalo rappresenta nella mitologia il genio tecnico
ecl artistico. Inventore della scultura, dell'uso della ve­
la, del regolo e dell'archipenzolo, ingegnere e costrut­
tore, questo Ateniese, con tante belle qualità, non sa­
peva resistere all'invidia : e quando il suo discepolo
Il
16o MITOLOGIA GRECA È ROMANA

Talos, dalla mandibola d'un serpe prese l'idea della


prima sega, tanto si adontò dell'acume di quel gio­
vane, che lo gettò a tradimento dall'Acropoli : delitto
di cui si discolpò non pienamente davanti all'Areopago
(tribunale d'Atene) sicché dovette andar esule in Creta.
Minosse. regnava colà, e si servì dell'ingegnoso arte­
fice per costruire intorno all'antro del Minotauro una
prigione sotterranea dalla pianta inestricabile. Teseo,
come già v'ho narrato, ucciso ch'ebbe quel mostro
dalla rabbiosa fame, poté uscir fuori dal Labirinto,
seguendo il filo che aveva dipanato nell'addentrarvisi.
L'idea si dice fosse d'Arianna, innamorata dell 'eroe :
e il filo fu chiamato d�Arianna. Ma v'ha chi ritiene, e
con le migliori ragioni, che fosse Dedalo l'inventore
dell'artifizio, e che Minosse, irritato, facesse chiudere
l'ingegnere proprio nella carcere dalle mille celle e dai
vorticosi corridoi che quello aveva costruito. Contare
sulla buona voglia di Dedalo di star serrato col figlio
I caro in quella cantina mostruosa era, <la parte di Mi­
nosse, un'ingenuità. Che fa Dedalo ? Fabbrica con pen­
ne e cera due paia d'ali e le appiccica a sé e ad Icaro
dietro le spalle. E poi, via, un bel tuffo nell'aere, fuori
dalla nera babele di grotte !
a Bada » , gridava il padre al figliolo, mentre salivano
remeggiando con le braccia, « bada di non accostarti
al sole che ti fonderebbe la cera ! E non abbassarti ,
perché l 'umidità del mare t'appesantirebbe le penne !
Tien dietro a me ed imitami ! » . Per un poco volitaron
felicemente nell'aria fresca, e scorgevano con viva gioia
i monti azzurri dell'isola già lontana e la gran plaga
verde del mare sotto i loro piedi puntati all'indietro
come timoni. Ma Icaro volle fare il bravo e non seppe
resistere al ruzzo di sprofondarsi nella voragine del cielo
per avvicinarsi un po' più agli astri.
Ciò che il padre aveva predetto si avverò. La cera
DEDALO E ICARO I6I

si liquefece all'ardor del sole, le povere ali si sciolsero


in una neve di penne, e Icaro cadde in mare e vi an­
negò. Al povero padre non restò che sbarcare in Cuma
e consacrare ad Apollo solo un paio d'ali, che furon
custodite per secoli in un tempio costruito ed ornato
da lui.

(Fot. Ai /nari)
NELL' OFFICINA DI DEDALO
(da un alfrosco di Pompei)
DEDALO E ICARO (Fot. Al/nari)
(scultura antica)
ARIONE SALVATO DAL Di!'-FIN'.> (FJt. A linari
(affresco di B. Peruzzi)

VIII
FAVOLE MINORI

Raccolgo qui alcune favole miDori, nelle quali ri­


splende il genio immaginativo degli antichi, non me­
no che nei miti grandiosi che hanno per oggetto gli Dei
e gli Eroi. Qualcuna di esse è solo un bell'intreccio di
romanzo o di fiaba: quasi tutte però, sotto il loro volto
umano, nascondono un significato morale o accennano
a una legge del creato.
Orione e le Pleiadi.
Orione era un gigante e un cacciatore, che alcuni
dicono figlio di Poseidone, cioè di Nettuno. La sua ar­
matura era d'oro, la sua spada scintillava da lontano
come l'onda marina percossa dal sole. Accompagnato
da un cane latrante, Siria, percorreva le solitudini fio­
rite o selvagge, inseguendo le belve e i cervi. Mosso
MITOLOGIA GRECA E ROMANA
------- - - · ·-- --- - -- ·- -
dal suo ardore di caccia, un giorno inseguì le sette
Pleiadi, figliuole d'Atlante : e Giove, per salvarle dai
suoi dardi, le tramutò in stelle. Non si sa bene perché
Orione cadesse in disgrazia presso Diana : chi vuole
l'avesse offesa provc.candola al gioco del disco, chi
crede invece che Diana, amandolo, ardesse di gelosia
per lui. Comunque fu pruprio Diana a farlo perire
del morso d'uno scorpione. Gli Dei ebbero pietà di lui
e, dopo la sua morte, lo trasformarono in una costella­
zione che, verso l'alba, sembra inseguire nel pallido
cielo il gruppo delle timide Pleiadi, costringendole con
la sua luce a precipitarsi nel mare.

Cefalo e Procri.
Ecco un'altra storia di cacc :atori, come tante ve ne
sono nella mitologia. Cefalo, figlio di Hermes, cioè di
Mercurio, era un valente cacciatore, ed è giusto che,
come tale , s'innamorasse di Procri, anch'essa abile nel
lancio del giavellotto, e la facesse sua sposa. I due si
amavano alla follia : purtroppo Cefalo diede nell' oc­
chio alla dea Aurora che s'invaghì di lui e cercava di
rapirlo alla moglie.
« Credi proprio » gli diceva Aurora « che Procn ti
sia fedele in modo assoluto ? Io, se fossi in te, mi
vorrei accertare : bada che le donne sanno fingere ! » .
Picchia e martella : nel cuore di Cefalo sorse il dub­
bio. E che fa ? Si traveste da forestiero, si cambia il
volto e l'aspetto (magia da niente, in quel tempo) ; si
presenta a Procri come un ricco straniero, le fa la corte,
l'abbacina con doni suntuosi e riesce a ottenere il suo
amore. . . Povera Procri ! Come pianse, quando il ma­
rito le si rivelò per chi era davvero ! Vergognosa e pen­
tita, non volle sentir altro e fuggì in Creta, dove si
FAVOLE MINORI

arruolò fra le caste compagne d'Artemide, appassio­


nate solo di cani, di rincorse e di lanciate nel fianco dei
cinghiali e delle fiere. Diana le voleva così bene che
le donò un giavellotto infallibile e un cane rapido co­
me il vento. Cefalo intanto. pentito anche lui del vile
agguato che aveva teso alla sua compagna, raggiunse
il bosco di Diana e andava cercando la consorte fra
quelle ombre piene di latrati e di grida di caccia. Ed
ecco che gli si fa incontro una bella donna (Procri tra­
vestita e irriconoscibile, l'avete già capito), che bran­
disce una lancia scintillante e che tiene al guinzaglio
un cane avido di correre. Vedere quell'arma e quel cane
e innamorarsene fu tutt'uno : non per niente Procri era
cacciatore dalla testa ai piedi !
« Vorrei comprare la vostra lancia e il vostro cane,
bella fanciulla » , disse Cefalo. « Quanto ne vo�ete? » .
E Procri, che desiderava render la pariglia al marito
provandogli la sua infedeltà :
« Nè il giavellotto né il cane sono da vendere. Li avrà
per niente solo colui che mi amerà molto ! ,,
Per ottenere quelle due inezie, Cefalo dimentica Pro­
cri e il mondo intero, e giura alla sconosciuta di ado­
rarla. Ma Procri perde le mentite spoglie e torna qual
era e rimprovera della sua incostanza lo sposo, intontito
dallo stupore e dalla vergogna.
Siccome però tra i due c'era l'amor vero, finirono
col perdonarsi e vissero alquanto insieme, cacciando
dall'alba al crepuscolo. La loro passione venatoria fu
però causa della loro rovina. Mentre, un mattino, la
gelosa Procri, nascosta in un cespuglio, spiava la rivale
Aurora, Cefalo, che sentì frusciare le foglie, credette
d'aver da fare con un cervo o con un lupo, e lanciò
all'impazzata contro quel folto la lancia infallibile. Gli
rispose un gemito umano: l'ultimo respiro di Procn
166 MITOLOGIA GRECA E ROMANA

colpita a morte. Il marito non seppe sopravviverle:


fatto demente dal dolore, andò ramingo per terre lon­
tane, finché un giorno, giunto sul promontorio di Leu­
cade che strapiomba vertiginoso sul mare, si precipitò
nella voragine azzurra.
!no e Melicerte.
Se avete letto la storia meravigliosa del Vella d'oro,
ricorderete una certa Ino, figlia di Cadmo e d'Armo­
nia, che sposò in seconde nozze il re Atamante e che
odiò tanto i due figli di lui, Elle e Frisso, da cercar di
sbarazzarsi di Frisso, facendolo immolare a Giove (pag.
123). Ma anche gli Dei antichi non pagavano il sabato ...
Se Ino era una matrigna perfida, era una madre te­
nera e amorosa per i figli .che aveva avuti da Atamante
lei stessa: cioè per Learco e Melicerte. Ed è proprio
nella sua maternità che la giustizia divina la colpì. I
due coniugi erano malvisti da Giunone, dea che met­
teva molta tenacia tanto nell'odio quanto nell'amore.
Per sfogare il suo rancore, la sposa augusta di Giove
rivelò in sogno ad Atamante il tradimento d' Ino: e
così fece impazzire l'uno e l'altra. La loro vita divenne
un tifone, la loro casa un inferno. Afa.mante, che sa
d'aver perduto i suoi primi figli per colpa d' Ino, af­
ferra il piccolo Learco e lo uccide sbattendolo sul sasso.
Poi si prepara a far altrettanto d'Ino e di Melicertc.
Ma Ino fugge, atkaversa di corsa monti e piani con
Melicerte in collo, e, giunta al mare, demente essa pu­
re, si precipita con un urlo nelle onde col piccino, dal­
l'alto della dirupata scogliera. Del loro tragico fato
ebbero compassione gli Dei. Nettuno li tramutò in di­
vinità marine. Ino divenne Leucotea, protettrice dei
naviganti e dei porti, incarnata spesso in un bianco uc­
cello del mare. Melicerte fu raccolto esanime da un
FAVOLE MINORI

delfino e portato fino all'istmo di Corinto ove gli fu


eretto un tempio ed ebbe onori divini accanto alla ma­
dre, sotto il nome di Palèmane.
Progne e Filamela.
L'abilità dei poeti greci nell'immaginare tragedie ter­
ribili, mostruose, e nel farle terminare nel modo più
nat:J.rale e sereno, è manifesta nello strano mito attico
di Pragne e Filamela. Eran due sorelle, figlie di Pan­
dione, re d'Atene. Progne aveva sposato Terea , re dei
Traci, e ne aveva avuto un figlio, [ti. Ma Tereo cercò
d'ingannare la sposa con Filamela, ed essendo stato
respinto da quest'ultima, la gettò in prigione e le fece
recidere la lingua, perché tacesse. Quando una donna
vuol parlare, non c'è volontà di re né lama di forbice
che contino. Per far conoscere alla sorella la perfidia
di Tcreo, Filamela le mandò un peplo ricamato di sua
mano, sul quale, tra figure e rabeschi, c'erano parole
e frasi: una vera lettera a punto erba, che narrava
tutte le nerezze del consorte di Progne e invocava aiuto.
Sentiti quegli orrori, Progne accorse con una frotta di
donne alla prigione e liberò la sorella. Dopo di che,
fingendo d'ignorare la mala azione di Tereo, lo invitò
a banchetto e gli fece servire, come piatto forte, un
certo arrosto che era il povero Iti in persona, spezzet­
tato e cucinato a modo . . . Quando Tereo s'accorse di
che vivanda si trattava, balzò contro la moglie per am­
mazzarla : ma non fece a tempo. Una divinità - non
si sa bene qual fosse - toccò i tre personaggi con
un'invisibile bacchetta : Progne fu trasformata in un
usignolo dal canto lamentoso, Filomela in una svolaz­
zante rondinella, e quel briccone di Tereo in uno spar­
viero, uccello sempre pronto a perseguitare rondinelle
e usignuoli. E così la tragedia finì in un canto e in un
16� MITOLOGIA GRECA E ROMANA

gracchiare d'uccelli. Quanto a Filomela, ripensando a


questa storia, si capisce bene perché la rondine non
sappia che garrire: è Tereo che le ha mozzata la lin;..
gua, quando era ancora principessa.

Memnone e l'Aurora.
Memnone, oltre ad esser un eroe, poteva vantarsi
d'esser figlio di una madre non comune. Lo aveva mes­
so al mondo Eos, cioè Aurora, che certo non aveva
tralasciato di dargli una bella carnagione rosea, splen­
didi occhi e capelli biondi che abbagliavano. Quando
si presentò sotto le mura di Troia per combattere come
alleato di re Priamo, apparve a tutti come l'uomo più
bello della terra. Ma, dopo alcune imprese eroiche, la
morte nera lo colse: e fu Achille ad abbattere quel fiore,
durante un aspro duello. La sua madre radiosa lo pian­
se disperatamente, stringendo nelle braccia il corpo iner­
te e freddo : e si dice che le lacrime di Eos non ces­
sarono più di sgorgare, che si effondono ancora oggi
sulle foglie e sui fiori, sotto forma d1 limpida rugiada,
prima che spunti il sole.
A Memnone fu eretta poi una statua colossale sulle
rive del Nilo : appena il bronzo sentiva la luce e il te­
pore del primo sole, risuonava armoniosamente. Era
l'anima di Memnone che rispondeva all'appello di sua
madre.
Ariane e il Delfino.
LPggerete oltre il delizioso se pure doloroso mito di
Orfeo, che esprime e celebra l'onnipotenza del canto
e della poesia. Ma l'antichità ha creato un'altra leg­
genda, a prova anch'essa della natura soprannaturale,
quasi divina dei poeti: il mito d'Arione.
FAVOLE MINORI

Arione era un poeta di Lesbo, figlio di Posidone, dio


del mare. Egli sonava il liuto in modo da commuovere
non solo gli uomini ma le belve e le piante. Ci sono al
mondo, purtroppo, certi uomini che hanno il cuore più
feroce che quello delle belve: tali erano i marinai della
nave su cui Arione s'imbarcò per recarsi dalla Sicilia
a Corinto. Quei barbari, sapendo che Arione possedeva
gemme e denaro in quantità, gli si fecero addosso con
mazze e coltelli per spacciarlo.
« Sia come volete , , rispose loro il poeta. « Però con­
cedetemi un unico favore: permettete che io consoli
i miei ultimi istanti sonando il liuto ! , .
« Ti è concesso ! , , disse il capo di quei pirati. « Fa'
pure la tua sonatina, che non ci perdi nulla ad aspet­
tare. •
Ariane preludia con poche note che parvero uscire
dalla gola dell'usignuolo: poi spiega il canto. . . Che
canto magico dovette essere quello, se in un attimo
fece radunare intorno alla nave un centinaio di delfini
attoniti, a bocca e occhi sbarrati ! Arione fissa intanto
il più grosso di quei cetacei, che si culla sulle onde assa­
porando beato la dolce musica ; e mentre i marinai sog­
ghignano e sbadigliano, lontani dall'immaginarsi la
mossa, spicca un bel salto e ricade sul dorso nero del
suo ammiratore : il quale parte subito come una bar­
chetta e conduce l'artista sano e salvo alla costa.
La storia sarebbe già bella se finisse così (nel qual
caso dimostrerebbe, se non altro, che i delfini sono ot­
timi intenditori di musica). Ma c'è di meglio.
Il re di Corinto, che si chiamava Periandro, ascolta
l'accaduto dalla bocca d'Arione. Fa tosto armare una
nave e la spedisce contro il naviglio dei pirati. Basti
dirvi che si arresero tutti, quei manigoldi, e che la sera
chi non era impiccato aveva perduto la testa o almeno
una mano . .•
ENEA FUGGE DA TROIA SALVANDO IL PADRE
(affresco di Raffaello)
IL RATTO DI ELENA (Fof. A ra.{/OZZifli)
/quadro di G. B. Ti•polo)

IX
1.A GUERRA DI TROIA

La guerra di Troia non è una favola. I grandi poeti


dell'antichità l'hanno trasfigurata con la bellezza del
loro canto eroico, ma Ettore e Achille sono vissuti dav­
vero. Troia era una grande e civile città a nord-ovest
dell'Asia Minore, e un lungo assedio ebbe luogo circa
dodici secoli prima dell'era volgare, sotto le sue mura,
di cui esistono ancora le rovine, recanti i segni d'un in­
cendio che è quello descritto con epici colori da Vir­
gilio. Con la narrazione della guerra di Troia usciamo
dunque dalla mitologia vera e propria, per entrare nel
campo della storia leggendaria.
Era re di quella potente città Priamo, alla cui corte
vivevano i suoi cinquanta figli con le rispettive spose.
Ettore, marito di Andromaca, era il più coraggioso ;
MITOLOGIA GRECA Il: RoMANA

Paride, il più bello. Con l'aggiudicare a Venere il pre­


mio della bellezza, in una gara sorta fra Pallade, Giu­
none e Afrodite, Paride s'era conquistato le grazie di
quest'ultima. E la sua giovinezza innamorò la sposa
di Menelao , re di Sparta, la bellissima Elena, che si
lasciò rapire da lui e portare a Troia. A quell'affronto
tutta la Grecia arse d'indignazione. Un grande esercito
fu armato e salpò da Aulide verso Troia, capitanato
dai più valorosi principi del sangue acheo: Agamen-:­
none, re d'Argo, Menelao stesso, i due Aiaci, il pru­
dente Ulisse re d'Itaca, il saggio Nestore, Diomede,
l'impetuoso Achille, figlio di Peleo e della nereide Te­
ti (r), ch'era pei Greci ciò ch'era Ettore pei Troiani,
l'eroe impareggiabile ; e l'amico di Achille, Patroclo . . .
L'assedio, sanguinosissimo, durava già da nove anni
senza che le sorti volgessero decisamente propizie ad
uno dei due popoli.
Giunone e Minerva parteggiavano pei Greci, Marte
e Giove pei Troiani. Un dissidio scoppiato fra Achille
e Agamennone per il possesso d'una schiava, sul prin­
cipio del decimo anno, indusse Achille a ristare dal
combattere (in questo punto comincia l'Iliade) : e i
Troiani approfittarono di quell'inerzia per attaccare vi­
gorosamente i Greci, e infliggere loro una fiera scon­
fitta. Ma Ettore uccise Patroclo, e suscitò in tal modo
la collera d'Achille che, rivestito d'armi splendenti,
fabbricategli da Vulcano, uscì dall'inazione volontaria,
fece strage dei Troiani e in un duello terribile diede la
morte ad Ettore. L'ira d'Achille non si spense dopo la
sua vittoria. Egli forò i piedi al cadavere dell'avversa­
rio e lo trascinò nella polvere legato al suo carro, men­
tre Priamo e la sua consorte Ecuba assistevano ge-

(1) Secondo Esiodo, Teti era figlia di Urano e di Gea e moglie di


Oceano, dal quale generò le Oceanine e tutti gli Dei fluviali.
LA GUERRA DI TROIA !73

mendo, dall'alto delle mura di Troia, allo scempio del


loro figliuolo. Per vendicare Patroclo, immolò poi do­
dici giovinetti troiani sul suo rogo; celebrò quindi gio­
chi funebri mentre se ne elevava la tomba. La salma
d'Ettore giaceva intanto nuda e insanguinata nella pol­
vere. Ed ecco venir al campo greco il vecchio Priamo
che implqra da Achille la restituzione di essa. L'eroe
cede alfinè ai pianti del vecchio re, fa lavare il cada­
vere e concede al re troiano di portarlo nelle mura
d'Ilio e di dargli onorata sepoltura. L'Iliade termina
con le cerimonie funebri d'Ettore.
Prosegue intanto l'assedio. Achille stesso perisce per
una freccia di Paride che lo colpisce nell'unico punto
vulnerabile del corpo: il tallone. Disperando di con­
quistare con la forza la città, i Greci ricorrono all'in­
ganno. Il consiglio di costruire un grande cavallo di
legno, cavo e pieno di soldati, e d'introdurlo nelle mura
di Troia con astuzia, viene suggerito dalla mente astuta
di Ulisse. L'esercito greco finge d'abbandonare l'im­
presa e s'imbarca, lasciando sulla spiaggia il colossale
cavallo e il greco Sinone, il quale, ingannati i Troiani,
fa sì che essi trascinino il cavallo in città, abbattendo
all'uopo un tratto delle mura. Ma durante la notte il
cavallo si anima. È un indistinto brusio di voci, un
sonar di ferri. .. poi da sportelli che s'aprono all'im­
provviso, straripa un flutto d'uomini armati che sal­
tano in terra, corrono alle porte, uccidono le sentinelle
e aprono l'adito ai compagni, tornati dal mare di sor­
presa. Troia è invasa. La carneficina e l'incendio in­
furiano. Gli abitanti periscono di ferro o son fatti schia­
vi. Priamo è sgozzato da Pirro sull'altare della reggia.
Solo Enea riesce a fuggire, portando sulle spalle il vec­
chio padre A nchise. Il Fato vuole che quell'Eroe rag­
giunga coi Penati troiani (immaginl delle deità locali)
1 74 MITOLOGIA GRECA E ROMANA

l'Italia, ed ivi fondi un regno, primo germe della gran­


dezza di Roma.
I re ed i guerrieri greci tornarono in patria coi trofei
della vittoria. Ulisse, di cui vi narrerò la lunga pere­
grinazione , penò dieci anni per raggiungere Itaca. Quan­
to ad Agamennone, tornato ad Argo, trovò la morte
per mano della sposa Clitennestra, la quale fu a sua
volta uccisa dal figlio Oreste, per vendetta del padre.
Ma le Furie perseguitarono il giovane, che peregrinò
con l'amico Pilade, e, giunto in Tauridc , ebbe la ven­
tura di trovare la sorella Ifigenia che credeva morta (r).
La sua purificazione dal matricidio ebbe luogo in Ate­
ne, dove l'Areopago, per intervento di Minerva, lo as­
solse. Allora anche le Erinni acconsentirono a lasciar
tranquillo Oreste che poté godere quin<l' innanzi l'ami­
cizia di Pilade e l'affetto della sorella.

(1) L'odio di Clitennestra per Agamennone era ,·ovuto al fatto che


questi, secondando la richiesta dell'indovino Calcante, aveva accorm,�­
tito a lasciar sacrificare la figlia Ifigenia, per ottenere un vento favore­
volt', allorquando i Greci erano partiti per l'assedio di Troia. Ma men­
tre il sacerdote stava per colpirla col ferro, Diana la rapì e le sostituì
una cerva. Il fratello Oreste trovò Ifigenia, come ho detto, in Taurid�,
dov'rssa serviva nel tempio ddla sua Dea protettrice.
(Fot. Al/nari)
I LESTR!GONI ALL'ASSALTO DELLE NAVI DI ULISSE
(pittura romana.)

X
IL MITO DI ULISSE
Fra tutti gli eroi greci che presero parte all'assedio di
Troia Ulisse, figliuolo di Laerte, era il più astuto e il
più abile. Il fato gli riservava, dopo la presa della città,
un difficile ritorno in patria. L'Odissea d'Omero ci nar­
ra con splendidi colori le sue peripezie, i suoi viaggi,
i suoi approdi ad isole misteriose, le sue prigionie ed
i rischi di morte, dall'ora in cui s'era affidato coi com­
pagni allo schiumoso mare. L'isola di Itaca era il suo
regno. Là lo attendevano la fedele sposa Penelope e
il figlio Telemaco. Ma quante insidie non gli tese il de­
stino ! Se tante volte sfuggì alla morte, fu in grazia più
di Minerva che lo amava, che della propria astuzia {
Dapprima la sua nave fu spinta dal vento contro la
terra dei Ciconi, e scoppiò una battaglia furiosa tra
quel popolo e i suoi compagni che avevano predato le

12
176 MITOLOGIA GRECA E ROMANA

donne e i tori ; poi fu la volta della terra dei Lotòfagi,


dalla quale i compagni non volevano più staccarsi , ineb­
briati dal dolce fiore del loto che, mangiato, fa dimen­
ticare la patria. Ulisse dovette trascinarli a forza alk
navi e legarli ai banchi ! Poi li attendeva l 'avventura
funesta dei Ciclopi, giganti e mos�ri che avevano un
unico occhio in mezzo alla fronte e vivevano di pasto­
rizia in un'isola rocciosa.
Polifemo, uno dei più smisurati, trovati Ulisse e i
suoi compagni nella caverna che gli serviva da ovile,
divorò parecchi di quegli infelici e serbava Ulisse per
una prossima colazione : ma il furbo Greco, prima lo
ubbriacò con un otre di vino che aveva portato dalla
nave, poi, vistolo ben cotto dal sonno, gli piantò nel­
!' occhio un palo acuminato e abbrustolito, e lo acciecò.
Riuscì poi a fuggire coi compagni dall'antro del sel­
vaggio pastore, legando i loro corpi sotto i montoni che
Polifemo contava brancolando, sulla soglia della ca­
verna, quando all'aurora uscirono alla pastura. Ulisse
capita poi all'isola d'Eolo , re dei Venti, e sono altri
guai. Eolo per aiutarlo gli dà un otre dove i Venti av­
versi sono ben chiusi e non possono far zuffa che tra
loro. Ma la ciurma d'Ulisse, durante il viaggio, apre il
ronzante otre e fa scatenare una burrasca che respinge
la nave sulla costa africana. Navigano sette giorni, ed
eccoli ora alle prese coi Lestrìgoni, popolo d'antropo­
fagi che distrugge le loro navi e divora gli equipaggi.
Per un anno, Ulisse rimase prigioniero, in un'altra iso­
la, della bellissima maga Circe che cambiò in porci i
suoi compagni ed avrebbe trasformato anche lui in un
bruto, se Mercurio non gli avesse dato un'erba magica
che annullò gl'incantesimi della fattucchiera. Ulisse di­
scende poi nell'Erebo, per consultare l'ombra dell'indo­
vino Tiresia. Ripreso il mare, passa accanto alle coste
della Sicilia, e le Sirene cercano d'ammaliare i suoi uo-
11 MITO DI ULISSE 1 77

mini col canto delizioso che fa dimenticare la pc1.tria, la


sposa e i figli. Ma l'Eroe sfugge alla loro insidia, tappan­
do con cera le orecchie dei marinai e legandosi all'albero
del naviglio. Due scogli minacciosi dello stretto di Si­
cilia - Scilla e Cariddi, - cinti di nere nubi e abitati
ciascuno da . un vorace e furioso scatenatore di tem­
peste, dànno nuovo rovello ai poveri naviganti che la­
sciano sei compagni nelle fauci di Scilla. Alfine Ulisse,
dopo un nuovo naufragio, trova un po' di pace nel­
l'isola di Ogigia, ove la benigna ninfa Calipso lo ospita
e lo ama.
Ma son ben lunghi sette anni d'attesa per l'Eroe che
anelava ad Itaca lontana ! Solo la volontà di Minerva
e di Giove ind:isse la sua gelosa protettrice a lasciarlo
partire sopra una zattera di connesse travi. Nettuno che
l'avversava, sconvolse ancora una volta il mare sotto
il suo fragile remo ! E Ulisse a gran pena, ignudo e
sfinito, approdò a nuoto all'isola dei Feaci. Guidato
alla reggia dalla soave Nausicaa, figlia dell'ospitale e
generoso re Alcinoo, l'Eroe vi trovò accoglienza affet­
tuosa. I Feaci udirono il racconto delle sue avventure
e ne ebbero pietà. Una nave fu allestita. Su di essa
l'Eroe, carico di doni, salpò alla volta d'Itaca ; ma
non doveva raggiungere la sua casa sospirata, senza
altri intoppi e traversie.
Dieci anni erano trascorsi dal giorno in cui Ulisse
aveva lasciato in Itaca la moglie Penelope e il fanciullo
Telemaco, per recarsi a combattere sotto le mura di
Troia. La saggia sua sposa gli era rimasta fedele, ma
da tre anni numerosi pretendenti (i Proci) l'assalivano
con richieste di nozze e vivevano gozzovigliando, come
in casa propria, nella reggia d'Ulisse. Penelope aveva
cercato di rimandare il giorno della decisione. Un velo
istoriato dai vivaci colori era teso sul suo telaio. « Sce­
glierò il mio futuro sposo , , diceva, « quando questo velo
178 MITOLOGTA GRECA E ROMANA

sarà tutto tessuto » . Ma di notte disfaceva il ricamo


che aveva fatto il giorno: e i Proci aspettavano. Al­
fine il suo inganno fu scoperto, e bisognò fare una scelta
fra quei parassiti. Ulisse giunge intanto alla propria
reggia, in aspetto di mendico, accompagnato dal pa­
store Eumeo. Nessuno lo riconosce, meno il suo vec­
chio cane Argo, che muore di gioia. Ingiurie e dileggi
lo accolgono nella sala ove i Proci seggono a banchetto.
Penelope ha dichiarato che sarà sposa di chi riuscirà
a tendere l'arco che Ulisse ebbe in dono da Ifito e che
solo le sue mani sapevano flettere. La gara ha luogo.
Nessuno dei Proci può piegar l'arco gigantesco. Ulisse,
che già si è rivelato ad Eumeo e al figlio Telemaco, fa
chiuder tutte le porte della sala, e chiede di prender
parte alla gara. Avuto il consenso da Telemaco, contro
la volontà dei Proci che odiavano quell'intruso, afferra
l'arco, lo tende come un vimine, e fa sibilare la freccia
per gli anelli di dodici scuri piantate in fila. Poi, ter­
ribile in volto, si rivela agli astanti allibiti per Ulisse,
e uccide con gli strali tutti i Proci. La sala è trasfor­
mata in un carnaio. L'indomani si fa conoscere anche
a Penelope, alla quale si presenta nello splendore del
suo aspetto regale. La storia d'Ulisse termina con un
periodo di felice regno, nella riacquistata pace dome­
stica.
Con un intuito meraviglioso dell'animo di coloro che
hanno molto sofferto e veduto, ed hanno la nostalgia
dell'ignoto e del pericolo, Dante finge nel XXVI canto
dell'Inferno che Ulisse, stanco dell'ozio, sia ripartito
coi vecchi compagni, alla cerca di nuove avventure sul
mare misterioso e lusinghevole. Ma i canuti naviganti
non rividero Itaca verde dai dolci orti: giunti nei pa­
raggi di un'isola remota, invece della sognata ebbrez­
za, trovarono la morte in un turbine.
ORFEO ED EURIDICE ( Fot. Alinari)
(da un quadro di Nicola Poussin)

XI
ORFEO ED EURIDICE

E terminiamo la mitologia ellenica con uno dei miti


più profondi e soavi che l'anima greca abbia intessuto
sopra una storia d'amore e di morte.
Il trace Orfeo non fu un eroe, ma un poeta, un poeta
così tenero ed armonioso che incantò con le sue me­
lodie le stesse Sirene, fattesi intorno, come sapete, alla
nave degli Argonauti per affascinarli. Tornato dalla
spedizione del Vello d'oro, sposò la bella ninfa Euri­
dice e viveva con essa nella ridente Tracia. Ma un
giorno un pastore, Aristeo, insegue la Ninfa nel bosco
per offrirle amore. La giovane donna nell'affannosa
corsa mette il piede sopra un serpe nascosto nell'erba.
Un grido, e il bel corpo s'abbatte, i dolci colori della
r8o MITOLOGIA GRECA E ROMANA

vita s'annebbiano sul volto soave. Nelle braccia del


disperato sposo, Euridice muore. Allora dalla bocca e
dalla lira del vedovo poeta sgorga un tal empito di can­
to angosciato, che la natura n'è turbata, le bestie e
fin le rocce si commuovono e fanno eco di gemiti ai
lamenti del vate ramingo. Decise un giorno Orfeo, nel­
la sua disperazione, di cercare Euridice fra i morti e
di tentare il cuore dì bronzo del custode di essi. E scese
all'Erebo.
Mute e incantate ristavano le ombre nell'eterno cre­
puscolo, mirando il giovane che avanzava lento per
sentieri non mai battuti da uom vivo, e faceva tinnire
la cetra in tono lamentoso. Euridice ! Euridice ! geme­
va il suo canto. E l'angoscia dei supplizi infernali era
sospesa, e Cerbero taceva, e non s'udiva l'urlìo delle
Furie. L'amore fece il miracolo. Plutone, impietosito,
consentì che di tra la folla fosforescente d'ombre una
potesse, sui passi del poeta, riprendere il cammino del­
la terra su cui splendono il sole e l'amore. Ma pose
una condizione: che Orfeo non dovesse mai volgersi
a guardare Euridice, finché non fossero giunti entrambi
alla luce. Duro impegno per un amante a cui pare so­
gno l'aver strappato la sua donna alla morte ! Salivano
intanto verso un sempre più intenso splendore. E Orfeo
che non udiva più i passi dell'amata sull'erba, si volse
e guardò. Non vide che un'ombra che svaniva, la qua!è
si perdette come un fumo azzurrino. L'Erebo ripren­
deva per sempre la sua preda ! (r)
Orfeo vagolò quind'innanzi come folle nelle selve e
negli spechi : e il suo canto era mesto come un sin­
ghiozzo o lacerante come un grido.
(r) Nella tavola qui contro si vede Mercurio, riconosccibile al petaso
abbassato sulle spalle, in atto di riprendere Euridice ad Orfeo, per
riportarla nel regno delle ombre. Ricorderete la sua qualità di guida­
tore delle anime fino alla soglia dell'Erebo.
MERCURIO, EURIDICE E ORFEO (Fot. Alinari)
(scultura antica)
TESEO E ETRA ( Fot. A Unari)
(quaclro cli N. Pou,in)
ORFEO ED EURIDICE

Un mattino il stia corpo fu trovato smembrato in un


bosco. Le Menadi, fide a Bacco, rivale e nemico d'Or­
feo, l'avevano dilacerato in una notte d'orgia.
Il mito d'Orfeo adombra due realtà eterne : la virtù
divina della poesia, che vale persino a ridestare i morti ;
e l'essenza di sogno delle cose desiderate, che, guar­
date troppo da presso, si dissolvono come nebbia.

(Fot, Alinari)
ORFEO CHE SUONA LA LIRA
(mo,aieo romano)
PA R T E Q U A R TA

I MITI ROMANI
BNEA NARRA A DIDONE I FATTI DI TROIA (Fot. Bu/loz)
(quadro di P. N. Guérln)

I
IL MITO D' ENEA

Figlio d'Anchise e di Venere, Enea è l'eroe troiano


dal cui travaglio doveva nascere la grandezza di Ro­
ma. Virgilio è il cantore di questo eroe pio e timorato,
che si sente guidato sul cammino da un fato supremo,
- portare in Italia gli Dei di Troia - e che manca
di audacia e di volontà, mentre ha grandi doti di pru­
denza e di religione. Durante la suprema notte di Troia,
egli combatte con valore per le vie àella città, piene di
strage e d'incendio. Veduta vana la resistenza, s'induce
a fuggire portando sulle spalle il vecchio padre Anchise
(che reggeva le statuette dei Penati) e per mano traendo
il fanciulletto Ascanio . Nel tumulto perde l'amata sposa
Creusa, figlia di Priamo. Con un nucleo di fuggiaschi,
188 MITOLOGIA GRECA E ROl\fANA

prende poi il mare e, dopo d'aver subìto pericoli e bur­


rasche, suscitati da Giunone, gelosa della futura gloria
di Roma, sbarca a Cartagine. La regina Didone, che
stava allora costruendo la rocca della futura rivale di
Roma, s'innamorò dell'eroe troiano e, sposatolo in se­
greto, desiderava che regnasse con lei. Ma Enea, me­
more della missione che il Destino gli aveva affidata ,
non ostante le tenere preghiere di Didone, abbandonò
Cartagine. La regina tradita, elevato un rogo, si trafisse
col pugnale e morì maledicendo lo sposo infido. Dopo
nuove peripezie, Enea giunse alfine in Italia, e si recò
a consultare la Sibilla di Cuma per conoscere il proprio
avvenire. Cupi eventi gli furono presagiti dalla sacer­
dotessa d'Apollo, che si offrì d' accompagnarlo nell'In­
ferno, e scese infatti con lui nel regno delle Ombre,
dove Anchise mostrò al figlio gli eroi della futura gran­
dezza romana. Uscito dai Campi Elisi, Enea riprende
il mare e approda alle foci del Tevere. Sul Lazio re­
gnava Latino, la cui figlia Lavinia doveva andar spo­
sa a Turno, re dei Rutuli. Enea dichiarò guerra a que­
st'ultimo e, dopo molte battaglie, lo uccise in duello e
sposò la figlia del re. Dal regno che il Troiano fondò
con Ascanio, detto anche Julo, nel Lazio, discesero se­
condo la leggenda, la stirpe di Roma e la dinastia im­
periale Giulia.
Nella figura di Enea, molto rimpastata da Virgilio
per fini patriottici, la mitologia trova il suo anello di
congiunzione con la storia della civiltà latina.
LA LUPA ROMANA (Fot. A I/nari)

II
LA MITOLOGIA ROMANA

Alla mitologia dei Romani mancò il dono dell'iin­


rnaginazione che fa di quella greca una delle più splen­
dide manifestazioni della poesia e dell'arte. I Latini
ebbero dapprima una specie di animismo astratto che
venerava la presenza e la protezione di Dei o Genii
in tutte le cose e in tutti i luoghi, nelle istituzioni e nei
costumi. Il mondo formicolava di piccoli o grandi spi­
riti che presiedevano al sonno del bimbo nella culla o
alla fortuna del raccolto, alla guerra propizia, o alla
casa felice. I genii dei campi e dell'abitazione, che non
cessarono d'esser venerati finché Roma fu pagana, era­
no i Lari; i Penati custodivano la famiglia, e le loro
statue erano chiuse in un armadio presso il focolare,
nel centro della domus ( penetralia). Anche lo Stato
aveva i suoi penates, maiores o publici, essendo con-
I9() MITOLOGIA GRECA E ROMANA

siderato una grande famiglia. Le anime dei Il"ll._;L li fa­


miliari erano divinizzate col nome di Manes, e vene­
rate con offerte e libagioni; Larvae erano invece gli spi­
riti cattivi che bisognava propiziarsi con sacrifici o te­
nere lontani con la magia. La religione primitiva dei
Latini non fu dunque antropomorfa, ma del tutto ani­
mista. E le fece difetto il ricco senso metafisico che dà
ai miti greci non solo la bellezza di alate concezioni
poetiche, ma il profondo valore di simboli delle grandi
leggi della vita. « La religione romana » , scrive il critico
inglese Walter Pater, « è fatta di costumi e di sentimen­
ti, piuttosto che basata sopra fatti e sopra una fede,
e si riattacca ad oggetti e luoghi precisi - la vecchia
quercia d'età immemorabile, la roccia sull'altura, mo­
dellata dalle intemperie come da un'arte umana fanta­
stica, il boschetto ombroso che non si attraversava sen­
za gridare involontariamente la frase consacrata: "Qui
v'è un Dio !" Numen inest !... »
In questa religione rustica e positiva che si diceva
fondata da Numa Pompilio, s'infiltrarono elementi di
superstizione e di magia etrusca. L'aruspicina, o scien­
za di leggere il futuro nelle viscere degli animali sgoz­
zati, passò nel Lazio dai templi d'Etruria. Intanto si
spandevano in Italia miti e leggende greche che si di­
videvano la fede e la venerazione con le tradizioni e i
culti locali. Si può dire che una mitologia romana vera
e propria non esiste, perché i Romani non fecero che
adattare quella greca alle loro esigenze, mentre con­
servavano divinità proprie che non avevano nulla di
mitologico, ma erano semplici astrazioni, nomi di vir­
tù e di istituzioni venerabili: tali la Fortuna, la Gio­
vinezza, la Salute, la Vittoria. Fu verso la metà del se­
colo VI avanti Cristo che si cominciò a costituire una
specie di Olimpo romano, un Pantheon. Ennio rac­
colse in due versi i nomi di dodici Dei, tutti d'importa-
LA MITOLOGIA ROMANA rgr

z10ne greca, che divennero oggetto del culto ufficiale


romano:
]uno, Vesta, Minerva, Ceres, Diana, Venus, Mars,
Mercurius, Jovis, Neptunus, Volcanus, Apollo.
Giunone (Hera), col nome di Pronuba presiedeva ai
matrimonii, e con quello di Lu::ina, alle 1�asdte. Vesta
(Hestia) era la dea del focoìare, e in ogni casa la si ado­
rava coi Lari e i Penati. Nel suo tempio in Roma, sei
sacerdotesse dette Vestales tenevano accesa in perpe­
tuità la fiamma sacra sul suo altare. Minerva (Pallas)
proteggeva tutte le professioni e tutte le arti, e il suo
culto era penetrato in Roma dall'Etruria. Cerere (De­
metra) era festeggiata con le solennità dette Cerealia,
l'rr o il I2 aprile, e i suoi altari si coprivano allora di
fiori e di primizie. Venere (Afrodite) era oggetto di fe­
ste rituali splendide, anche nella sua qualità di madre
d'Enea, fondatore della grandezza romana. Mercurio
(Hermes) era pei Romani il Dio dei mercatanti, senza
possedere tutte le altre qualità attribuitegli dal mito
greco. In Giove o Jupiter la religione latina adorava il
padre del cielo, il fulminatore, il tonante, il pluvio e il
rasserenatore. Sul Campidoglio s'ergeva il suo tempio.
Lo si invocava ottimo e massimo, e si mettevano alla
sua mercè la potenza, le leggi, i costumi e la fortuna
dello Stato. A Nettuno (Posiqone) si offrivano feste
dette Consualia; a Vulcano (Efesto) si teneva in per­
petuo accesa una fiamma sacra, come a Vesta. Quanto
a Diana e ad Apollo, i loro attributi erano all'incirca
quelli di Artemide e di Febo, ma spogliati della poesia
ellenica.
Un culto speciale professavano � Romani per Satur­
no (Cronos) che si favoleggiava essere stato accolto nei
suoi Stati da Giano, re d'Italia, il quale ne aveva ri­
cevuto, coi precetti dell'agricoltura, il dono d'una su-

13
MITOLOGIA GRECA E ROMANA

prema saggezza e la virtù d'antivedere l'avvenire. A


Saturno erano intitolate le feste turbolente che si cele­
bravano durante tre giorni, a ilicembre (Saturnalia) , e
durante le quali, in memoria dell'età dell'oro, di cui
Saturno era stato il Dio-re, ci si dava bel tempo e si
obliavano le differenze fra le condizioni sociali. Giano
era un autentico dio romano, senza alcuna radice nella
mitologia greca. Proteggeva le porte, le entrate e le
uscite, rendeva animosa ogni partenza e felice ogni ri­
torno. Le sue immagini avevano due facce: Giano era
bifronte, a significare la sua virtù profetica e la sua
duplice prudenza. Nulla si cominciava d'arduo senza
propiziarselo. Quando Roma dava principio ad una
guerra, si apriva la doppia porta del suo tempio ; quan­
do lo Stato godeva i doni della pace, la porta del tem­
pio stava chiusa.
Popolo bellicoso, il romano non poteva trascurare
il culto di Marte, che s'identifica col dio Ares. Lo si
credeva padre di Romolo e protettore, con Giove, del­
lo Stato. Come Dio della guerra era chiamato Quirinus
{dio della lancia) e Gradivus (che si getta nella mischia)
ed era propiziato con grandi cerimonie nel suo tempio,
all'inizio d'ogni impresa militare. I suoi sacerdoti, det­
ti Salii, custodivano nel tempio sul Palatino uno scudo
favoloso (ancile) , che si diceva caduto dal ciclo ed al­
la conservazione del quale si credevano avvinti i desti­
ni di Roma.
Bacco o Libero non è che una ripetizione del Dioni­
so greco, e le sue feste notturne sfrenate (Baccanali)
derivano dalle Dionisiache, ma sono più grossolane e
dissolute. I Baccanali furono soffocati nel sangue dal
Senato, nel 186 a. C.
Altro nume genuinamente romano era Termine, dio
dei confini, che proteggeva il pacifico possesso dei fon­
di. Le pietre terminali erano piantate con apparato di
LA MITOLOGIA ROMANA 193

sacrifici e di formule. Anche Pale, dea del latte e dei


pastori, e Faunus (da faveo , il favorevole), tutore del­
le gregge e delle campagne, onorato coi Lupercalia,
sono, come Vertwnno, dio autunnale dei frutti, e Po­
mona, sua sposa, numi rustici originarii del Lazio.
I più curiosi abitatori dell'Olimpo romano non era­
no certo gli Dei grandiosi, tolti a prestito dall'Olimpo
greco e adattati a tutt'altra mentalità, a tutt'altri co­
stumi ; erano invece gli spiriti e spiritelli che presiede­
vano ai mille atti della vita, all'età delle persone e alla
loro sorte: divinità più da favola che da mitologia, più
sulle labbra delle balie che su quelle dei sacerdoti; di­
vinità credute e non credute, come i ninnoli portafor­
tuna, temute e non temute davvero (se non dal popo­
.ino e dai villici), come la iettatura degli specchi rotti
e del cappello sul letto. Era un mondo di poesia terra
a terra, pittoresco però, pieno di stranezze, d'ingenui­
tà con qualche furberia: divinità rustiche della villa e
del casolare, dell'aratro e del pollaio; Dei del matri­
monio felice ; Nona e Decima infermiere, Educa e Pa­
tina nutrici, Cama, protettrice delle culle, che con una
fronda di biancospino allontanava dal bambino i cat­
tivi sogni. Intorno al bimbo le divinità benefiche e mo­
deste si succedevano : Ossipago gli dava le gambette
forti e, con Abeona, gl'insegnava a camminare ; Fa­
bulinus gl'insegnava a parlare, Numera a contare, Ca­
maena a cantare, Consus a riflettere. Poi veniva Bar­
batus che gli dava il primo soilio di barba sulle guance
pienotte: e addio infanzia !
Ma gli Dei spiccioli non erano tutti buoni né tutti
allegri, purtroppo: c'erano Summanus e Laverna che
proteggevano i ladri ; la centenaria Naenia che veglia­
va i morti ululando un canto pauroso, e Libitina che
presiedeva ai funerali e pare li provocasse, essendo
un'incarnazione della morte : tutti personaggi che -

13 a
r
94 MITOLOGIA GRECA E ROMANA
-----------------------·
uniti alle Larvae (un qualcosa tra gli spiriti maligni e i
diavoli), e ai Lémures, anime di morti che portavano
pena e terrorizzavano la gente con le loro apparizioni
notturne - s'incaricavano di guastare il piacere di vi­
vere protetti da Vesta, da Giunone o da Faunus.
I Romani veneravano inoltre gli Dei detti indigeti,
eroi divinizzati che hanno qualcosa d'affine ai nostri
santi patroni: tali Enea e Romolo. Più tardi, in tempi
di dissoluzione morale, si fiuì col divinizzare anche gli
imperatori.
Nata dalla sincera credenza del popolo, la religione
di Roma si coagulò in un sistema di tradizioni e di riti
ufficiali, che mirava sopra tutto a consolidare l'autorità
e la potenza dello Stato. Roma fu sempre però proclive
alla tolleranza religiosa, e lasciò che il suo complesso
di credenze si accrescesse col tempo d'un infinito nu­
mero di deità orientali e barbare. Quando spuntò l'alba
di gloria e di sangue del Cristianesimo, ai miti pagani
s'erano avvinte mostruose vegetazioni parassitarie nel­
le quali delirava l'animismo torvo e demente delle re­
ligioni dell'Asia occidentale. È in quella notte in cui l'a­
nima invano si cercava, dibattendosi tra i fantasmi
paurosi e il gelido stoicismo, che rifulse la luce reden­
trice del Cristo.
INDICI
(Fot. Al/nari)
ULISSE E DIOMEDE RAPISCONO IL PALLADIO
(acultura antica)

INDICE DEI NOMI

Abeona, 193 Amore, 16, 72


Acheloo, 136 Anchise, 70, 173 , 187
Acheronte, 1 16, 1 17 Andromaca, 171
Achille, 122, 171, 172 Andromeda, 141
Ade (v. Inferno) Anfione, 154
Admeto, 47 An.fitrite, 93, 94
Adone, 69 Anteo, 95, 134
Adrastea, 118 Antigone, 157
Afrodite (v. Venere) Antiope, 145, 154
Agamennone, 172, 174 Apollo, 22, 1 1 1 , 145 e segg.
Aglae, 71 Aracne, 62, 63
Aiaci, 172 Arcs ( v :\forte)
Alcesti, 47 (nota) Argo, 88, 125
Alcide (v. Ercole), 129 Argo (11..1.ve) , 127
Alcinoo, 177 Argonauti, 123 e segg.
Alcmena, 30, 129 Arianna, rn4, 145, 160
Aletto, u7 Ariane, 168
Amadriadi , I09 Aristeo, 109
Amaltea (capra) , 2 7 Armonia, 123
Amazzoni, 133, 145 Arpie, 1 13, 125
198 MITOLOGIA GRECA E ROMANA

Artemide (v. Dian:i.) Centauri, 8, 135 (nota)


Ascanio, 187 Cerbero, 1 15, 134
Atalanta, 158 Cerealia, 191
Atamante, 123, 166 Cerere, 16, 22, 30, 81 e segg.
Atena (v. Minerva) Cerva del Cerin00, 1 3 1
Atena Lemnia, 64 Chime;-a, I I3, 150
Atena Parthenos, 63 Chirone, 135 (nota 2)
Atena Promachos, 64 Cibele, 16 (nota) , 26
Atlante, 30, 134, 142 Ciclopi, 16, 28, 75, 175
Atropo, 22 Cinghiale calidonio, 57
Atteone, 56 Cinghiale d' Erimanto, 131
Augia, 132 Cinto d' Ippolita, 133
Aurora, I I I , 1 12, 16� Circe, 1.76
Averno, n3 Climene, 30
Clio, 52 (nota)
Baccanali, 105, 102 Clitennestra, 17 4
Baccanti, 104, 193 Cloto, 22
Bacco, 101 e segg. Cocito, u6
Barbatus, 193 Consualia, 191
Bassareo (v. Bacco) , 104 Consus, 193
Bassaridi (:V. Baccanti) Coribanti, 27
Bauci, 36 (nota) Cornucopia, 27 (nota)
Bellerofonte, 122 e segg., 149, Cotto, 28
150 Creusa, 187
Borea, n3 Cronos (v. Saturno)
Briarco, :28, 42 Cupido (v. Amore)
Buoi tli Gerione, 133 Cureti (v. Coribanti)

Cabiri, 8, 78 (nota) Dafne, 49


Calidonio (cinghiale), 57, 58 Danae, 31, 139
Calipso. 177 Danaidi, II7
Calliope, 52 (nota) Decima, 193
Camaena, 193 Dedalo, 159
Campi Elisi, n5, n8 Deianira, 135
Caos, 15 Dei Indigeti, 194
Cariddi, n3, 177 Delfino, 168
Càriti (v. Grazie) Delio, 46
Carna, 193 Demetra (v. Cerere)
Caronte, u5 Destino, 25
Castalio (fonte), 52 Deucalione, 36
Castore, 31 Diana, 22, I I I , 155 e segg.
Cavalli di Diomede, 132 Diana d' Efeso, 59
Cefalo, 164 Didone, 69, 188
INDICI

Diluvio, 35 Esculapio, 5 1
Diomede, 132, 172 Esperidi (Giardino delle), 133
Diane, 30 Eteocle, 157
Dionisiache, rn5 . 192 Etere, 16
Dioniso (v. Bac.:o) Ettore, 122, 171 e segg.
Dioscuri, 31 Eufrosine, 7 1
Dirce, 154 Eumenidi (v. Furie)
Discordia, 65 Euriale, 140
Driadi, 109 Euridice, 179, 180
Eurinome, 30
Eaco, n6 Euristeo, 130 e se6g.
Ebe, 22, 133 Euro, I IJ
Ecate, 56 Europa, 3 1 , 32
Echidna, I 13 Euterpe, 52 (nota)
Eco, 69, 103
Edipo, 122, 153 e scgg. Fabulinus, 193
Educa, 193 Fauni (v. Satiri)
Eete, 124 Faunus, 193
Efeso (Diana di), 59 Feaci, 177
Efesto (v. Vulcauo) Febo (v. Apollo)
Efialte, 29 Fedra, 146
Egida, 63 Fetonte, I I I
Elena, 172 Filemone, 36 (nota)
Eleusini (misteri) , 83 Filamela, 167
Eliadi, 49, I l i Flegetonte, u6
Elicona, 52 Flegias, n7
Elle, 123 Flora, 1 10
Encelado, 29 Forcidi (v. Graie)
Endimione, 56, 57 Forca, 97
Enea, 1 22 , 173, 187 Frisso, 123
Eolo, II3 Furie, u7, u8
Eos (v. Aurora)
Epimeteo, 77 Galatea, 95
Eracle (v. Ercole) Ganimede, 33
Erato, 52 (nota) Gea, 16, 27
Ercole, 30, 122, 1 29 e scgg. Gerione, 133
Erebo (v. Inferno) Gia, 28
Eretteo, 33 Giacinto, 50
Erimanto (cinghiale di), 131 Giano, 191 , 192
Erinni (v. Furie) Giasone, 122 e segg.
Ero, 69 Giganti, 16, 8 1
Eroi , 1 2 1 Giocasta, 1 3 5 , 1 50
Eros (v . Amore) Giove, 16, 2 2 , 25 e scgg.
200 MITOLOGIA GRECA !: R\JMANA

Giunone, 16, 22, 27, 39 e scgg., Lari, 189


87. 88, 129, 130. 191 Larvae, 190
Glauco, 95 , 97 Latino, 188
Glauco (figlio di Sisifo), 149, r50 I.atona, 30, 46
Gorgoni (le), 8, 3 1 , 140 e segg. Laverna, 193
Gradivo (Marte), 192 Lavinia, 188
Graie (le), 97, q o Leandro, 69 (nota 2)
Grazie (le) , 30, 5 2 , 7 1 Learco, 166
Leda, 3 1
Hades (v. Plutone) Lèmuri, 8 , 193
Helios, 46, r I I Leone Nemeo, 131
Hera (v. Giunone) Lerna (Idra di) , 131
Hermes (v. Mercurio) Lestrigoni, 176
Hestia (v. Vesta) Lete, u8
Leucotea (v. Ino)
Icaro, 159, 160 Libero (Bacco), 192
Idra di Lema, 13 1 Libitina, 193
Ifigenia, 174 Lica, 136
lndigeti (Dei), 194 Lico, 154
Inferno, 16, 1 13, 1 14 e segg. Lotofagi, 175
lno, 123, 1'.J6 Lucina, 191
lo, 31, 88, 8g Lupercalia, 193
Iole, 186
lperbio. 29 Maia, 30, 85
Iperborei, 49 Manes, 190
Ippocrene, 52 Marsia, 48
Ippodamia, 135 (nota 2), 145 Marte, 22, 27, 65 , 66, 77
Ippolita, 1 33 :M:edea, 126, 127, 144
Ippolito, 1 1 6 Medusa, 31, 139, 140
Ippomene, 58 (nota) Megera, u7
Iride, 22 Meleagro, 57
lssione, 41, 117 Melicerte, 166
Itaca, 175 Melpomene, 52 (nota)
Iti, 167 Memnone, 168
Iupiter, 191 Menadi (v. Baccanti)
Menelao, 172
Labirinto, 144, 160 Mercurio, 22, 47, 85 e segg.
Lachesi, 22 Mida, 47
Ladone, 97 Minerva, 22, 61 e segg.
Laio, 155, 156 Minosse, u6, 144, 160
Lamie, 8 Minotauro, 143, 144
Laomedonte, 93 Misteri Eleusini, 83
Lapiti, 135 (nota 2), 145 Mnemosine, 29
---------- ------------------
INDICI 20!

Moire (v. Parche) Pane, 48, ro8


Monti, 16 Pantheon, 190
Muse, 22, 30, 52 Parche, 22, 1 1 4
Paride, 42, 6S, 69, 172
Naenia, 1 93 Parnaso, 5 1
Naiadi, ro9 Partenone, 63
Napee, ro9 Patroclo, 172
Narciso, 69 (nota) Pegaso, 52, 14 r, 150
Nausicaa, 177 Pelasgo, 33
Nèfele, 123 Penati, 189
Nemeo (Leone) , 131 Penelope, 1 75, 177, 178
Nemesi, u7, nS Penteo, ro4
Nereidi, g8, ro9 Periandro, 163
Nereo, 97, g8 Permesso, 52
Nesso, 136, 137 Persefone (v. Proserpina)
Nettuno, 16, 22, 93 e segg. Perseo, 31, 122, 139 e segg.
Ninfe, 55, 109 Pieridi (v. Grazie), 51 (nota)
Niobe, 57 Pigmei, 8
Niobidi, 57 Pilade, 174
Nona, 193 Pindo, 52
Noto, 1 13 Pi:ramo, 69
Notte, 16 Piritoo, 135 (nota), 145
Numera, 193 Pirxa, 36
Piti, 108
Oceanine, 97, 109 Pitone (serpente), 46
Oceano, 16, 97 Pizia, o Pitonessa, 46
Olimpie, 37 Pleiadi, 163, 164
Olimpo, 21, 37 Pluto, 81
Onfale, 135, 176 Plutone, 16, 8:z e segg. , 1 13
Orco, u3 (nota) Polibote, 29
Ore (le), 22, 71 Polifemo, 95 , 176
Oreadi, 109 Polinice, 157
Oreste, 174 Polinnia, 52 (nota)
Orfeo, 179, 180 Polluce, 31
Orione, 163 Pomi delle Esperidi, 133
Ossipago, 193 Pomona, uo, 193
Posidone (v. Nettuno)
Pale, 109, 192, 193 Potina, 193
Palèmone (v. Melicerte, Priamo, 171
Pallade (v. Minerva) Priapo, 109
Palude stinfalia, 131 Proci (i), 177
Panatenee, 63 Procri, 164
Pandora, 34. 76, 77 Procuste, 144
20'2 MITOLOGIA GRECA !: ROMANA
--------·----
Progne, 167 Termine, 192
Prometeo, 33, 3·1 Terrore, 65
Proserpina, 30, 8 2 , I I4 Tersicore, 52 (nota)
Proteo, 97, 98 Teseo, 122, 135 (nota 2), 143
Psiche, 72 e segg.
Teti, 97, 172
Quirino (Marte), 192 Tetide (v. Teti)
Tifeo, 28, 29, n3
Radamanto, n6 Tiresia, 157
Rea (v. Cibele) Tisbe, 69
Tisifone, 1 1 7
Salii, 192 ritani, 16, 2 8 e segg.
Satiri, rn4, 107 fitone, 8, I IJ
Sa turnalia, 192 Tizio, I I7
Saturno, 16, 93, 19x Toro di Creta, 132
Scilla, I I3, I77 Toro Farnese, 154
Selene, 57, I I I , II2 Tritone, 94
Semele, 30, 101 Tritoni, 94
Sette contro Tebe, 153 e segg. Trittolemo, 81, 82
Sfinge, 156 Troia, 171 e segg.
Sibilla, 46 Turno, 188
Sileno, 102
Silvano, 109 lJtisse, 62, 122, 172, 175
Sirene, 97, 176 Urania, 52 (nota)
Siringa, rn8 Urano, 16
Sirio (cane), 163
Sisifo, n6, 149 Vello ,l'oro, 124 e segg.
Stalle d'Augia, 132 Venere, 22, 67 e segg., 76
Steno, 140
Venere Ciprigna, 7 1
Stige, n6
Stinfalia (Palude), 131 Venere Pafia, 71
Summanus, 193 Venere Urania, 7 1
Venti, u 2
Talla (Musa), 52 (nota) Vertumno, uo, 193
Talla (Grazia), 7 1 Vesta, 22, 78, 191
Tànatos, u4, n5, 149 Vestali, 78 (nota), 191
Tantalo, 1 16 Via lattea, 130
Tartaro, 28, I I5 Vulcano, 22, 27, 75 e segg.
Telcbini, 8, 78 (nota)
Telemaco, 175 Z efiro, I I3
Temi, 22, 29 Zeto, 154
Tereo, 167 Zeus (v. Giove)
UN SACRIFICIO (Fot. A llnarlJ
(1cultur& antlc a)

INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI


GUERRA DEI GIGANTI CON GLI DEI (da un sarcofago antico) 7
SATURNO (da una scultura antica) 12
DIANA ED ECATE I N LOTTA COI GIGANTI (scultura antica) 15
PLUTONE (scultura antica) . 17
I L CARRO D I FEBO (quadro d i A. Appiani) 2I
GIOVE OLIMPICO (scultura antica) 24
IL MITO DI PROMETEO (scultura antica) 25
GIUNONE (statua antica) 38
GIUNONE SUL CARRO TIRATO DA PAVONI (disegno di Raffaello) 39
GIUNONE (scultura antica) . 43
APOLLO MlTSAGETE (statua antica) 44
IL LEVAR DEL SOLE (da un quadro di Guido Reni) 45
APOLLO (scultura antica) 53
DIANA CACCIATRICE (statua antica) • 54
LA CACCIA AL CINGHIALE CALIDONIO (sarcofago antico) . 55
ATENA (statua antica) • 6o
lL PARTENONE SULL'ACROPOLI D! ATENE 61
IHARfE E VENERE (quadro di Sandro Botticelli) 65
LA NASCI'fA DI VENERE (scultura antica) (>7
MITOLOGIA GRECA E ROMANA

VENERE (da una st.c-itua antica) . 73


VENERE NELLA FUCINA DI VULCANO (quadro di F. Boucher). 74
VULCANO E I CICLOPI PREPARANO LO SCUDO D'ACHILLE (scul-
tura antica) . 75
NIOBE C0:-1 UNA DELLE SUE FIGLIE (scultura antica) . 79
MERCURIO RESTITUISCE PROSERPINA ALLA MADRE (quadro di
F. Leighton) . So
DIANA COLPISCE I Flt·;u DI NIOBE (scultura antica) 81
UNA FIGI.IA D I NIOBE (da u n a scultura antica) 83
MERCURIO (statua del Gin mbologna) . 84
MERCURIO E ARGO (quadro di P. P. RubPns) 85
PosIDONE E ANFITRITE su UN CARRO TIRATO DA TRITONI
(scultura antica) 93
NETTUNO (statua antica) 95
EoLO (statua di Elia Candido) g6
TRITONI E NEREIDI (scultura antica) 97
SIRENE (quadro di B. Knuepfer ) 99
BACCO, ARIANNA E SATIRI (da un quadro di Tiziano) 100
BACCO, PRECEDUTO DA UN FAUNO E DA UNA BACCANTE (scul-
tura antica) . 101
BACCO (da una statua antica) . I0 6
CORTEO BACCHICO (scultura antica) 107
PoMoNA (sta.tua antica) 1 10
LA FAVOLA DI ENDl!IHONE E SELENE (scultura antica) III
PROSERPINA RAPITA DA PLUTONE (da u n affresco d i Luca
Giordano) I I3
COMBATTIMENTO DI AMAZZONI (da un vaso attico) 12I
GIASONE SFIDA I TORI DALL'ALITO D I FUOCO (arazzo di A .
Audran) 123
ERCOLE CHE SOLLEVA IL MONDO (bronzo fiorentino del se-
colo XVI) 128
ERCOLE CHE UCCIDE IL LEONE NEMEO E L'IDRA DI LERNA
(tondi a rilievo di P. J. Alari detto l'Antico) 129
PERSEO E ANDROMEDA (affresco pompeiano) 138
PERSEO PIETRIFICA I NEMICI MOSTRANDO LORO LA TESTA DI
MEDUSA (affresco di A. Carracci) . 1 39
LA MEDUSA (Rondanini) 142
TESEO RICONOSCIUTO DAL PADRE (scultura antica) 143
TESEO ABBATTE IL MINOTAURO (gruppo marmoreo di A. Ca-
nova) 147
tNt>tCt

BELLEROFONTE ABBEVERA PEGASO (scultura antica)


LA CHIMERA (bronzo etrusco) .
ToRo FARNESE [Il supplizio di Dirce] (scultura antica)
LA MOR'fE DI ETEOCLE E POLINICE (urna di alabastro etru-
sca) 153
EDIPO ASCOLTA L'ENIGMA DELLA SFINGE (tazza antica) 158
DEDALO E lcARO . I 5Q
NELL'OFFICINA DI DEDALO (da un affresco di Pompei) . 161
DEDALO E lcARO (scultura antica) 162
ARIONE SALVATO DAL DELFINO (affresco di B. Peruzzi) 163
ENEA FUGGE DA TROIA SALVANDO IL PADRE (affresco di Raf-
faello) 170
IL RATTO DI ELENA (quadro di G. B. Tiepolo) . 171
I LESTRIGONI ALL'ASSALTO DELLE NAVI DI ULISSE (pittura
romana) 175
ORFEO ED EURIDICE (da un quadro di Nicola Poussin) 179
MERCURIO, EURIDICE ED ORFEO (scultura antica) . 181
TESEO ED ETRA (quadro di N. Poussin) 182
ORFEO CHE SUONA LA LIRA (mosaico romano) . 183
ENEA NARRA A DIDONE I FATTI DI TROIA (quadro di P. N.
Guérin)
LA LUPA RO:',IANA (scultura antica)
ULISSE E DIOMEDE RAPI&CO!\O IL PALLADIO (scultura antica)
UN SACRIFICIO (scultura antica)
IL BuoN PASTORE (scultura antica)
(Fot. A llnarl)
ll. BUON PASTORE

INDICE DELLA MATERIA


INTRODUZIONE : Fondamento della religione greca - Il mito - Ani­
mismo e Antropomorfismo - Culto degli Dei e degli Eroi - Mito
e poesia.
PROLOGO : Il Caos. Origine del mondo e degli Dei.
PARTE PRIMA : GLI DEI DEL CIELO.
I - L'OLIMPO 19
II - ZEUS o GIOVE . 21
II! - HERA o GIUNONE 25
IV - FEBO o APOLLO 45
V - ARTEMIDE O DIANA 55
VI - ArENA o MINERVA 61
VII - ARES o MARTE 65
VI II - AFRODITE o VENERE 67
IX - EFESTO O VULCANO 75
X - DEMETRA o CERERE 81
XI - HERMES o MERCURIO 85
20/i INDICI

PARTE SECONDA : GLI DEI DEL MARE, DELLA TERRA


E DEGLI INFERI.
I - PosrnoNE o NETTUNO 93
II - LE DIVINITÀ MINORI DEL MARE 97
III - DIONISO o BACCO IOI
IV - LE DIVINITÀ DEI BoscHI E DEI Fnn.ù 107
V - LE DIVINITÀ DELL'ATMOSFERA IlI
V[ - HADES o PLUTONE 1 13
PARTE TERZA : GLI EROI.
I -
GIASONE E GLI ARGONAUTI 123
II .-
ERACLE O ERCOLE 129
III -
PERSEO o MEDUSA . 139
IV -
TESEO E IL l\:hNOTAURO 1 43
V - SISIFO, GLAUCO E BELLEROFONTE 1 49
VI - EDIPO E I SETTE CONTRO TEBE 153
VII - DEDALO E lcARO 159
VIII - FAVOLE MINORI . 163
IX - LA GUERRA DI TROli 171
X - IL MITO DI ULISSE 175
XI - ORFEO ED EURIDICE 179
PARTE QUARTA : I MITI ROMANI.
I - IL MITO D'ENEA
Il - LA MITOLOGIA ROMANA

INDICI :
INDICE DEI NOMI • 197
INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI 203
Q U E S T O V O LU M E È STATO I MP R E SS O N E L
MESE DI SETTEMBRE DELL'ANNO 1945 PRESSO
LE OFFICINE GRAFICHE VERONESI DELL'EDITORE
ARNOLDO MONDADORI

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