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Diritto Lombardi
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DIRITTO (law; droit; Recht; derecho). – Esaminato da moscerini di corta vista e vita un elefante è rugoso
tronco, è muscoloso agitato lenzuolo, è cavo serpente, flessibile cordicella, eburneo scettro. . . non è un
elefante. Esaminato dai moscerini «gius-teorici generali» l’elefante d., nella sua formidabile maestà spazio-
temporale e strutturale, rischia di mostrarsi, riduttivamente, per circoscritte aree storico-geografiche, per
tipologie non esaustive, per singoli profili o parti costituenti cui venga inconsapevolmente conferita indebita
prevalenza.
Questa voce tenterà di presentare alcune importanti prospettive sul d. coordinandole in una visione
d’insieme che ne salvi gli specifici apporti concettuali, ma tolga loro la pretesa indebita di generalità o
esaustività: evitando sia la piattezza di una semplice rassegna delle principali definizioni del d., sia
l’arbitrarietà di ogni angolazione troppo stretta. Terrà conto delle voci teorico-giuridiche presenti in questa
Enciclopedia, per da un lato evitare ripetizioni, dall’altro «rendere forti le cause deboli», cioè mettere in rilievo
aspetti solitamente trascurati dalla teoria generale del d. (v. DIRITTO, TEORIA GENERALE).
SOMMARIO: 1. AMPIEZZA E COMPLESSITÀ DELL’OGGETTO D. - 2. IL D. «PIENAMENTE EVOLUTO». - 2.1. CONCETTO DI D. - 2.2. CONCETTO DI D.
VIGENTE. - 3. CREATIVITÀ DELLA SCIENZA DEL D. - 3.1. D. GIURISPRUDENZIALE. - 3.2. D. LIBERO, GIUSLIBERISMO. - 4. D. SOGGETTIVO. - 5. D. E
LOGOS. - 6. D. E UMANO ESSERE-AL-MONDO.
3. CREATIVITÀ DELLA SCIENZA DEL D. – Nella definizione del d. (§ 2.1) non è stata menzionata la scienza del d.
(v. GIURIDICA, SCIENZA) o giurisprudenza (v.), perché esiste solo negli ordinamenti giuridici pienamente
evoluti. Spesso essa viene trascurata dalla teoria del d. come ordinamento giuridico, probabilmente perché
si assume la sua natura puramente logico-ricognitiva e dunque la sua esternità al processo generativo del d.
L’assunzione è errata. La giurisprudenza, intesa o come l’attività o come il ceto degli esperti in d., non si
limita a offrire la conoscenza di un d. già interamente formato, ma contribuisce alla stessa formazione del d.:
è creativa. E questo non solo nei grandi, millenari ordinamenti giuridici non legalisti, come il d. romano (v.), il
d. comune (v.) europeo continentale, il common law (v.) anglosassone, il d. indiano e il d. islamico
tradizionali, ma anche là dove vige formalmente il postulato legalista, come negli ordinamenti giuridici statali
europei di matrice illuministica. L’irriducibile lacunosità del d. impone alla giurisprudenza una duplice
creatività: come libertà e come autorità (v.). Sempre in qualche misura libera nel senso di costretta ad
inventare il d., la giurisprudenza tende a divenire sempre in qualche misura anche fonte di d. Si profilano,
così, sul versante dell’autorità un «d. giurisprudenziale» da collocare tra i vari complessi concorrenti nel
formare il d. positivo, accanto per es. al d. legale, al d. giurisdizionale, al d. burocratico, al d.
consuetudinario; e sul versante della libertà un immancabile «momento giurisprudenziale del d.», cioè una
fase di lavorazione inventiva da parte della giurisprudenza attraverso cui ogni norma, anche il d.
giurisprudenziale, deve «sempre ancora» passare per governare l’azione. Il riconoscimento della duplice
creatività della giurisprudenza – questa grande dimenticata – impone un aggiustamento di quasi tutti i
concetti della teoria generale del d. (v.).
3.1. D. GIURISPRUDENZIALE. – Riconoscere l’esistenza di d. giurisprudenziale porta a rivedere la teoria
della norma, delle fonti, della vigenza, dell’ordinamento giuridico nel suo insieme. Il concetto di norma va
esteso a configurazioni deontiche (criteri, modelli esemplari) non facilmente traducibili in proposizioni
prescrittive. Occorre aggiungere alla norma-comando e alla norma-conformità/osservanza l’idea, che nasce
forse in ambito estetico, della norma come dialogo (mai chiuso, diacronico) tra esperti. In teoria delle fonti
cade la «costruzione a gradi» kelseniana, perché la giurisprudenza è quasi sempre fonte non ufficialmente
autorizzata da norme di produzione ma auto-legittimata, originaria, così che il d. giurisprudenziale gode non
di validità formale ma di effettività: anche per questo motivo spetta all’effettività il primato sulla validità, la cui
funzione rimane, ma in un quadro di realismo giuridico integrato (v. § 2.2). Bisogna estendere il concetto di
potere (v.) oltre i tre poteri ufficiali montesquieuiani sempre imperfettamente divisi: riconoscendo qualcosa
come un quarto potere, che è poi il potere della ragione giuridica in sé (v. PUBBLICI POTERI). E facendo posto
– nella teoria dell’autorità (v.) – all’autorevolezza; anche per questo verso corroborando il concetto esteso di
norma come criterio («per tua norma»), come proposta esperta, collaudata, di soluzione di problemi.
3.2. D. LIBERO, GIUSLIBERISMO. – Riconoscere, in secondo luogo, l’esistenza di una insopprimibile dose di
libertà della giurisprudenza nel colmare le lacune del d. positivo, disegna un identikit del giurista non come
avalutativo operatore logico-formale simile al matematico, ma come (lo sappia o no, lo voglia o no) valutante
(wertend) operatore co-produttivo del diritto simile al politico; porta a rivedere lo stile argomentativo dei
giudici, degli avvocati, dei giuristi in genere – e dunque la formazione universitaria e la preparazione dei
concorsi – nel senso di esigere aperte, critiche e non criptiche, considerazioni filosofiche (a fondazione dei
giudizi di valore) e sociologiche (a fondazione dei giudizi di fatto) quali si addicono a un attuale o futuro co-
responsabile del d.; così superando per sempre l’ipocrisia del logicismo (v. GIURIDICA, DOGMATICA).
L’insopprimibile libertà dell’interprete (v. INTERPRETAZIONE, B) GIURIDICA) impone alla teoria generale di
collocare accanto alla triade giusnaturalismo-giuspositivismo formalista-realismo giuridico (v. § 2.2.) una
quarta (forse la più completa ed evoluta) concezione complessiva del d.: il giusliberismo (v. DIRITTO LIBERO,
SCUOLA DEL), e di aggiungere alle proprie categorie, oltre al d. giurisprudenziale, il d. libero, inteso come
l’insieme dei criteri esterni al d. positivo (ma già sufficientemente «giuridicizzati») cui l’interprete fa ricorso
per colmare le lacune. Il concetto di d. libero attende ancora un’elaborazione adeguata, che lo distingua sia
dal d. naturale sia dal d. positivo. Il d. libero non è necessariamente buono/giusto/naturale; è
necessariamente non valido né effettivo; è complementare al d. positivo nell’unico d. storico integrale. Il d.
«tutto positivo» non esiste, esiste il d. positivo in completamento; d. positivo e d. libero sono i due co-princìpi
dell’unico d. storico in completamento, dell’unico processo giuridico (v. sopra, § 2.1.e), che si svolge come
una concatenazione di atti tutti anche di politica del d. La peculiare essenza ed esistenza del d. libero come
d. para-positivo a contenuto virtuale plurimo attende ancora il suo teorico; si tratta probabilmente del
concetto più ghiotto rimasto da cogliere sull’albero della teoria generale del d. (primi spunti analitici in LUIGI
LOMBARDI VALLAURI, voce D. libero, in Digesto, IV ed., vol. VI Civile).
Sui criteri suscettibili di formare il d. libero non è il caso qui di trattenersi; possono essere della natura
più varia, compresi gli interessi non apertamente confessabili del giurista o dei suoi clienti, economici o
ideologici. I criteri di natura universalistica sono gli stessi che valgono per il buon legislatore, in quanto il
buon interprete (secondo la felice espressione dell’art.1 del cod. civ. svizzero, del giusliberista Huber) è
chiamato a colmare le lacune «secondo la regola che egli adotterebbe come legislatore» (v. GIUSTIZIA;
DIRITTI UMANI; GIUSNATURALISMO; MORALE E DIRITTO; DIRITTO NATURALE E DIRITTO POSITIVO; in genere le voci
concernenti i valori etici e politici).
4. D. SOGGETTIVO. – Abbiamo fin qui trattato del d. in senso oggettivo, dell’insieme o sistema di norme. Ma
«d.» (come ius, droit, Recht, derecho) designa anche il d. in senso soggettivo, d.–di, d.–a, facoltà di agire
non impediti o di pretendere comportamenti altrui, omissivi o commissivi. Anzi nel linguaggio comune chi
dice «il mio d.» allude quasi sempre al d. in senso soggettivo come prerogativa del cittadino o senz’altro
della persona umana, e intende il d. oggettivo primariamente come un apparato la cui legittimità si misura in
base alla capacità di tutelare i diritti. Le norme giuridiche di condotta, in quanto norme bilaterali che
costituiscono rapporti giuridici (v. § 2.1.c), conferiscono a uno dei soggetti del rapporto un qualche tipo di
situazione attiva; tra i tipi possibili rientra il d. soggettivo. Ma nell’orizzonte del moderno, quando si parla di d.
al plurale (diritti umani, diritti animali, diritti del fanciullo, dell’embrione) i diritti vengono visti come aventi il
loro fondamento nell’ontologia dei rispettivi titolari più che nel sistema oggettivo di norme. Ed è
primariamente al d. in senso soggettivo che si riferiscono le carte costituzionali e internazionali e le
rivendicazioni storiche dei diritti. Sul tema dobbiamo rinviare alle v. DIRITTO OGGETTIVO E SOGGETTIVO; DIRITTI
UMANI; HOHFELD, W.N., per non compromettere l’economia del nostro discorso.
5. D. E LOGOS. – Un altro aspetto trascurato dalla teoria generale egemone è quello che possiamo chiamare
il logos del d., intendendo con logos l’intelligibile necessario presente in un dominio di esperienza. Se
esistono (cfr. AA. VV., Logos dell’essere logos della norma. Studi per una ricerca coordinata da L. Lombardi
Vallauri, Bari 1999) un proto-logos (p. es. in matematica), un cosmo-logos (p. es. in fisica, in biologia), un
antropo-logos (p. es. in linguistica, in urbanologia), sembra dover esistere, nonostante la storicità del d.,
anche un diceo-logos, un logos «regionale» che presieda alla formazione del d. non tanto dal punto di vista
assiologico della giustizia quanto da quello onto-logico della giustezza (Richtigkeit). Il logos è stato
variamente intuito e designato: idee platoniche, «modelli» sumerici, archetipi normativi, forme ben formate,
essenze e leggi di essenza, eide, concetti giuridici primitivi o fondamentali, princìpi costitutivi, natura delle
cose, moralità intrinseca del d., condizioni trascendentali, fondamenti a priori; volendo sostituire «logos» con
altra formula di sintesi, si può scegliere «universali giuridici», pensati come «essenziali» e non puramente
statistici. Si tratta in ogni caso di stampi, di vincoli posti al fiat lex del sovrano come al fiat ius dei
comportamenti conformi, diciamo a qualunque atto di volontà di qualunque provenienza, anche divina, a
qualunque mero fatto. Tra le fonti del d. è quindi la giurisprudenza (v. § 3.1) quella naturalmente vocata a
riconoscere e tradurre in storia il logos del d.; che non va identificato senz’altro con il suo valore etico, visto
che si danno leggi essenziali anche del pessimo (contro l’asserto di Reinach: «Certamente ciò che vige a
priori è in sé e per sé in pari tempo ciò che deve essere»).
Il logos del d. non è solo concettuale-astratto, sistema di eide e teoremi simil-matematico; il d. conosce
anche – fondante – un logos che ne giustifica causalmente l’esistenza, un logos che potremmo chiamare dei
bisogni. Primo bisogno umano è il bisogno dell’altro uomo: il d., eideticamente, inizia da un minimo
assiomatico, la fine dell’interdistruzione, il riconoscimento reciproco di esistenza. Questo minimo, se
sviluppato more geometrico, va già, come ordine del rapporto tra esterni, molto lontano. Ma poiché l’uomo,
biologicamente e culturalmente, non può esistere al di fuori del corpo sociale, il d. osservabile è subito anche
(in un certo senso, ancora prima) ordine interno, se necessario cogente fino alla brutalità, di comportamenti
cooperativi. Nessun d., dunque, senza gli universali del riconoscimento (v.) e della cooperazione (v.). La
quale non può non riguardare almeno le necessità materiali: ossia la riproduzione dei membri del gruppo, la
produzione economica di base, la difesa contro le aggressioni esterne, la repressione della violazione
interna di norme. Nelle società complesse, a divisione specialistica del lavoro, la cooperazione avviene sotto
il comando di autorità in varia misura sovrane, e il d. aggiunge ai propri compiti primari quello di regolarne in
modo possibilmente incruento la selezione (v. DIRITTO PRIVATO; INTERNAZIONALE DIRITTO; DIRITTO PENALE;
CRIMINE; PENA; DIRITTO PUBBLICO; COSTITUZIONE). Si deve ancora aggiungere che, come «grosso animale»
simbolico dotato di visione del mondo, il gruppo umano intreccia la trama delle strutture giuridiche portanti
all’ordito delle proprie credenze sacrali e valoriali, così che il d. risulta tessuto di necessità razionale-
sopravvivenziale e immaginazione mitopoietica, la seconda a volte quasi prevalendo sulla prima per
l’influsso di apposite caste sacerdotali.
6. D. E UMANO ESSERE-AL-MONDO. – Non ci si può congedare da una voce «d.» senza una riflessione
metagiuridica sul posto che il d. ha nella vita, sui significati del d. per l’umano essere-al-mondo. Questa
riflessione, tipicamente filosofica, deve muovere dai risultati della teoria generale (§§ 1-4) e dell’onto-logia
del d. (§ 5) integrandoli in contesti antropologici via via più ampi. L’estrema varietà-complessità dell’oggetto
d. (§ 1), paragonabile a quella del linguaggio, offre all’osservatore una quasi non recensibile molteplicità di
aspetti da interpretare, che a sua volta si moltiplica per le prospettive filosofiche suscettibili di interpretarli:
creando un imbarazzo della scelta non superabile.
Quello che si può dire, irenicamente e cumulativamente, è che il d., con i suoi chiaroscuri, traccia un
affidabile ritratto dell’uomo, per cui conoscendo l’uomo si comprende il d. e conoscendo il d. si comprende,
si incontra, l’uomo. Più precisamente si incontra, come sapeva Aristotele, l’umano medio o mediocre, quello
non degli uomini-bestie (i Ciclopi eslegi) né degli uomini-dei (i sapienti, legge a se stessi), ma degli uomini-
uomini: l’umano comune. L’esperienza giuridica non è, in nessuna direzione, il culmine dell’esperienza
umana. La superano, ciascuna nel proprio ordine, le grandi scienze, la creazione poetica e artistica, l’etica
sapienziale, le forme più alte e intense della solidarietà e della comunicazione interpersonale: la
«compassione» buddista, la «carità» cristiana, la nonviolenza, l’amicizia, l’amore in senso sia erotico che
esistenziale. Il d., come sapeva Kant, non è che socievole insocievolezza; può unire gli estranei e gli ostili,
unisce per divisioni e per delimitazioni. È superamento, ma anche espressione e legittimazione, della
diffidenza, del conflitto, della violenza, della coazione, dell’avidità, della separatezza, dell’egoismo. Anche il
d. meglio orientato al pieno sviluppo della persona può solo promuoverlo presuntivamente, operando su beni
esterni, su condizioni oggettive; attinge il soggetto non autenticamente in quanto persona (Selbstsein), ma
organizzativo-normativamente in quanto portatore di ruoli (Als-sein); in ogni caso comprime, per il bene del
tutto, la libertà della parte. La pienezza/il fiore della giustizia giuridica non è la pienezza/il fiore dell’umano.
La pace giuridica non è l’ultimo – l’intimo – della pace (v.).
I limiti ontologici del d. sono il rovescio di altrettanti pregi. L’amoralità del d. rende vivibile una società di
moralmente imperfetti. L’impersonalità del rapporto giuridico, che non esige, come l’amicizia o l’amore, un
incontro vita con vita, rende pensabili forme di socialità ecumeniche nello spazio e perenni nel tempo: il d.
rivelandosi, conclusivamente, come l’involucro organizzativo della continuità storica della comunicazione
umana, quindi come il supporto organizzativo del farsi universale della persona; in direzione del mai
giuridicamente attingibile pléroma.
Il d. non è la vita, è la casa della vita. Non è la danza; è il piancito sul quale, più è solido, meglio può
slanciarsi la danza della creazione della vita.
BIBL.: la ricchezza dei rinvii interni ad altre voci consente, la sconfinatezza di qualunque non arbitrario corredo bibliografico di una voce
«d.» consiglia, di considerare come bibliografia di questa voce la somma delle bibliografie delle altre voci di rinvio, integrandola
semplicemente con la menzione di alcuni lavori dell’autore della voce stessa che fondano e integrano il discorso qui svolto: Saggio sul
d. giurisprudenziale, Milano 1967; Corso di filosofia del d., Padova 1981; Il d. come ordinamento, in «Atti del X Congresso nazionale di
filosofia giuridica e politica», Milano 1975; voce Giurisprudenza – 1) Teoria generale, in Enciclopedia giuridica, vol. XV, Roma 1988 (per
quanto riguarda i §§ 2 e 3); Amicizia, carità, d. L’esperienza giuridica nella tipologia delle esperienze di rapporto, Milano 1974; voce D.
naturale, in Digesto, IV ed., vol. VI Civile (per quanto riguarda i §§ 5 e 6).
L. Lombardi Vallauri