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LEZ.

49 – PAROLA CHIAVE MODERNO

La periodizzazione è uno dei fattori chiave della storiografia, nonostante sia un


processo di impostazione schematica che non esplica la complessità degli eventi. Per
convenzione, si fa coincidere l’età moderna con avvenimenti come la caduta di
Costantinopoli (1453) o con fenomeni più complessi (ma “lontani” temporalmente
negli effetti) sotto il profilo politico, economico e culturale come la scoperta
dell’America (1492), oltre alla riforma protestante e alla nascita degli stati moderni.
Moderno compare nel VI secolo come neologismo composto da “modo”,
“recentemente”, e “hodiernus”, “odierno”. Tuttavia, la presa di coscienza delle
differenze di rilievo tra il Rinascimento e il periodo attuale, ha reso insoddisfacente
l’uso del termine e questo ha portato a un’ulteriore distinzione tra età moderna ed età
contemporanea, che comincerebbe con la rivoluzione francese e industriale.

LEZ. 50 – James Monroe

Monroe (Westmoreland 1758 – New York 1831) è stato il quinto presidente degli
Stati Uniti d’America. E’ ricordato per aver preso parte alle battaglie di Trenton e
Monmouth, dove ottiene il grado di Tenente Colonnello per il valore dimostrato. Le
eroiche gesta gli valgono la stima di Thomas Jefferson, Governatore della Virginia
che lo introduce nella vita amministrativa e politica. Il suo nome si lega a quella
Dottrina (Monroe, appunto) che diviene caposaldo della politica estera americana e
che parte dal presupposto dell’esclusione di ulteriori processi di colonizzazione
europea sul suolo americano, America Latina inclusa.

- B. Morrissey, Boston 1775. Lo sparo che risuonò nel mondo intero

Dopo la battaglia di Bunker Hill (1775), la guerra d’indipendenza diviene oggetto di


discussioni in tutta Europa e motivo di spaccature all’interno del Parlamento
britannico: tra i Whig, contenti del successo americano, e i Tories infuriati coi ribelli.
Il popolo britannico resta neutrale, dato che la distanza del conflitto non lo connota in
termini patriottici. La lotta per l’indipendenza ottiene i favori di alcuni staterelli
tedeschi che ne intravedono un’opportunità di arricchimento. Gli inglesi sono
spaventati dallo spirito e dalla determinazione dei ribelli americani nel
raggiungimento dello scopo. Tuttavia, nelle colonie l’entusiasmo iniziale comincia a
scemare di fronte a fattorie e officine lasciate sguarnite.
LEZ. 51 – Acquarone, Negri, Scelba, Nistri-Lischi. La formazione degli Stati
Uniti d’America.

Nella Dichiarazione unanime dei tredici Stati Uniti d’America si sanciscono dei diritti
inalienabili come la vita, la libertà e la ricerca della felicità, che devono essere lo
scopo di ogni Governo. Ogni qualvolta un governo tenda alla negazione di questi
diritti, il popolo ha il pieno diritto di “modificarlo o distruggerlo”, creando un nuovo
governo che sia idoneo “al raggiungimento della sicurezza e della felicità”. Le
colonie hanno ripetutamente subito “offese ed usurpazioni”, frutto dell’instaurazione
della Tirannide e, nonostante abbiano fatto appello alla loro “magnanimità” e al loro
“senso di giustizia”, questi appelli sono rimasti inascoltati. Viene, pertanto, dichiarata
dai rappresentanti degli Stati Uniti riuniti nel Congresso, la libertà e l’indipendenza
delle colonie.

LEZ. 52 – Gli Stati Generali

Gli Stati Generali, nel Regno di Francia, sono un’assemblea generale dei
rappresentanti dei tre ordini dello stato: clero, nobiltà e terzo stato. La prima
convocazione risale al 1302 quando l’allora sovrano Filippo il bello la riunì presso
Notre Dame a Parigi. I rappresentanti venivano prima designati dagli elettori locali, i
quali elaboravano i Cahiers de doleances (quaderni che raccoglievano le lamentele,
per ciascun ordine, da presentare al Re). Durante la convocazione, i tre ordini si
riunivano separatamente per produrre un testo unico basato su quelli provinciali e per
nominare un deputato che avrebbe parlato a nome di ogni ordine. L’ultima
convocazione risale al 1789, anno in cui gli stati generale divenivano assemblea
nazionale costituente.

- A. Saitta, Costituenti e Costituzioni della Francia Moderna

I rappresentanti del Popolo Francese riunitisi in Assemblea Nazionale individuano


nell’odio e nel disprezzo per i diritti dell’uomo le cause “delle sciagure pubbliche e
della corruzione dei governi” ed elaborano una carta dei diritti inalienabili e dei
doveri. Questi principi incontestabili hanno come finalità il “mantenimento della
Costituzione e la felicità di tutti”. I primi tre articoli rappresentano gli elementi di
rottura definitiva col sistema dell’Ancien Regime. L’art. 1 sottolinea la libertà e
l’uguaglianza degli uomini nei diritti, laddove anche le finalità dell’associazione
politica sia la conservazione dei diritti naturali come la “libertà”, “la proprietà”, la
“sicurezza” e la “resistenza all’oppressione” (art.2). A suggello della rottura definitiva
col passato, l‘art.3 sancisce che il “principio della sovranità risiede nella Nazione”.
LEZ. 53 – I giacobini

I giacobini, durante la Rivoluzione Francese, fanno capo ad un’associazione politica,


un club, che prende il nome dalla propria sede, un ex convento parigino dei
domenicani. Il club viene fondato nel maggio del 1789 col nome di Breton per poi
divenire Società degli amici della Rivoluzione. L’orientamento ideologico è, fino alla
metà del 1790, di carattere monarchico-costituzionale per poi virare su un
repubblicanesimo intransigente.
Potevano contare su basi di consenso della borghesia provinciale, dei sanculotti che
dominavano la Comune e sul ceto operaio e artigianale di alcune province. Le
personalità dominanti del Club erano Danton e Robespierre, sebbene avessero
posizioni divergenti sull’atteggiamento da tenere coi girondini, il primo su posizioni
concilianti, il secondo giudicava inevitabile la guerra civile.

- F. Furet, Critica della Rivoluzione Francese

La Rivoluzione Francese sottolinea la natura corrotta e corruttrice del Potere


esecutivo poiché separato dal popolo anche se tale “squalifica ideologica” in realtà si
configura come uno spostamento del potere. Il popolo è l’unico che possiede il diritto
di governare o di rifondare l’autorità pubblica e in tal caso il potere appartiene a chi si
fa portavoce delle istanze del popolo, a chi “parla in suo nome” e pertanto
“appartiene alla parola” ed è “obiettivo della parola”. Questo passaggio ci aiuta a
comprendere come la Rivoluzione Francese si configuri come “un insieme di pratiche
nuove che investe la politica di significati simbolici” nella quale il popolo rappresenta
“la legittimità e la definizione stessa di Rivoluzione”.

LEZ. 54 - Il comitato di salute pubblica

Il comitato di salute pubblica era un comitato di sorveglianza, nato nel periodo della
Rivoluzione Francese, col proposito di sorvegliare il potere esecutivo. Venne istituito
dalla Convenzione Nazionale nel 1793 e divenne l’organo supremo della Francia
giacobina. Era composto inizialmente di 9 membri, quindi di 12 e in seguito di 14
membri divisi prima in 4 poi in 5 sezioni. Tra le sue prerogative rientravano
provvedimenti di difesa generale e la sospensione delle decisioni dell’Esecutivo.
Le due figure che ebbero un ruolo preminente in seno al comitato furono Danton e
Robespierre, al punto che alla morte di quest’ultimo si avviò a un inesorabile declino.
- A. Mathiez, La reazione termidoriana

Nel periodo precedente il 9 termidoro 1794, il potere aveva subito una progressiva
concentrazione in virtù di un accentramento operato dal Comitato di pubblica salute
che aveva ridotto drasticamente il ruolo della Convenzione nazionale. Il Comitato,
sotto il pressing effettuato dai club, aveva esercitato una politica basata
sull’integralismo democratico. Tale politica si concretizzò fissando d’autorità il
prezzo delle merci, moltiplicando l’indennità ai parenti dei soldati, elargendo sussidi
agli indigenti e sovvenzionando indirettamente artigiani e operai. Il protagonista di
queste riforme radicali fu Robespierre, anche se la sua intransigenza determinò la
rottura coi colleghi di governo e la conseguente condanna a morte.

LEZ. 55 – Trattato di Campoformio

Il trattato di Campoformio è un concordato di pace stipulato tra Francia e Austria il


17 ottobre del 1797 e determinò il passaggio della Repubblica di Venezia e dei suoi
possedimenti all’Austria. In cambio, ai francesi venne riconosciuto il nuovo assetto in
seguito alle conquiste napoleoniche della campagna di Italia. Tale provvedimento
suscitò lo sdegno e la delusione di diversi intellettuali, tra cui Ugo Foscolo, che si
sentì tradito da una figura, quella di Napoleone, verso la quale aveva nutrito grande
stima.

- J.R. Arnold, Le beau Soleil: Victor, I marescialli di Napoleone

Claude-Victor Perrin, detto Victor (1764-1841) fu tenente colonnello di volontari a


Tolone con Napoleone. Bonaparte fu positivamente impressionato dalle abilità di
Victor durante l’attacco alla fortificazione “Piccola Gibilterra”, stima ricambiata dal
compagno che riconobbe in Napoleone le doti di sagace stratega e carismatico
condottiero. Durante l’attacco, Victor comandava una delle colonne d’assalto e il
successo nell’operazione, con conseguente cacciata del nemico inglese, valse a lui e a
Bonaparte la promozione a Generale di Brigata. Questa promozione è l’emblema di
una profonda trasformazione in seno all’esercito in epoca repubblicana: il merito è la
componente fondamentale per l’ascesa dei ranghi militari. Victor in tre anni era
passato da semplice sergente a generale.
Lez. 56 – Suvarov, Aleksandr Vasil’evic

Suvarov (1729-1800) è stato un principe e militare russo che aveva combattuto nella
guerra dei sette anni. Fu anche generale e si distinse sia nel conflitto russo-polacco
(1768-72) che nella guerra contro i Turchi (1773-74). Fu inoltre Governatore della
Crimea nel 1786 e si distinse come uno dei protagonisti nella guerra russo-ottomana
(1787-1791). Ma è principalmente ricordato quando, richiamato in servizio nel 1799,
ricevette il comando delle operazioni dell’armata russo-austriaca da contrapporre
all’offensiva napoleonica. Suvarov riportò una serie di successi nelle battaglie di
Cassano, Trebbia e Novi Ligure, fu invece sconfitto dalle truppe di Massena presso
Zurigo nel 1799. Morì pochi mesi dopo aver fatto rientro in patria nel 1800.

- D.G. Chandler, Le campagne di Napoleone. Il più grande genio militare


dell’età moderna.

Quando Napoleone divenne generale di brigata non aveva molta esperienza sul
campo oltre a quella maturata a Tolone e nella Costa Ligure nel 1794. Ma ciò che
contribuì in maniera determinante al suo successo fu la capacità innata di imporre ai
propri uomini la propria volontà, capacità frutto di ineguagliabile carisma che gli
permise di creare legami profondi coi propri uomini al punto da indurli a dare la vita
per il proprio leader al grido di: “Vive Bonaparte!”. Nell’arco di pochi anni il suo
nome divenne leggenda, conosciuto anche come “gatto con gli stivali”, il “grande
fustigatore delle monarchie” era eguagliato, nella stima popolare, solo da un altro
generale francese, Moreau.

LEZ. 57 – L.Murat e N. Weill, L’expédition d’Egipte.

Nel brano viene riportato un ricordo di Napoleone sulla campagna d’Egitto del 1803.
Il condottiero francese descrive l’esperienza egiziana come il periodo più bello della
propria esistenza in cui si era liberato “dai freni di una civilizzazione occidentale
scomoda”. In questo periodo, i sogni di Bonaparte lo conducono sulla “via dell’Asia,
in groppa ad un elefante con un turbante in testa e in mano un nuovo Corano”. Anche
nei suoi sogni, l’Inghilterra è motivo di preoccupazione: Napoleone sogna di
sconfiggerla nelle Indie.
LEZ. 58 – La Battaglia di Marengo

La Pace di Amiens fu conclusa nel marzo del 1802 e sancì, insieme al Trattato di
Luneville del 1801, lo scioglimento della seconda coalizione. Venne firmata nella
stessa cittadina da Francia, Inghilterra, Spagna e Repubblica Batava. Inoltre,
l’Inghilterra si impegnava a restituire le colonie sottratte alla Francia e ai suoi alleati
oltre all’isola di Malta all’Ordine dei Cavalieri di San Giovanni. La Francia avrebbe
garantito l’evacuazione dal Portogallo, dal Regno di Napoli e dallo Stato Pontificio.
L’impero Ottomano poté ripristinare il controllo sull’Egitto, le isole Ionie finirono
sotto il protettorato russo e la colonia olandese di Capo di Buona Speranza veniva
aperta a tutte le potenze. Il trattato sancì contestualmente il trionfo napoleonico e
l’incompetenza di Addington e dei suoi delegati britannici.

- D.G. Chandler, Le campagne di Napoleone

Il nuovo regime di Napoleone cercò si mascherare la presa del potere con l’apparente
legalità costituzionale, anche se risultava cruciale il conseguimento di un voto di
maggioranza favorevole sia dai Cinquecento che dagli Anziani. In particolare, nei
Cinquecento la corrente giacobina costituiva la spina nel fianco del futuro imperatore.
Bonaparte prese di petto la situazione, fece ingresso nel Palazzo e tenne un discorso a
entrambe le assemblee rendendo chiare le proprie intenzioni. La tensione si acuì
quando i Cinquecento, al grido di “fuorilegge!”, brandirono i pugnali. L’esitazione
del Consiglio e la prevaricazione di Napoleone determinarono gli esiti: dal dicembre
del 1799 il potere esecutivo venne assunto interamente da Bonaparte, primo console,
che poteva contare sul pieno sostegno dell’esercito.

LEZ. 59 – A. Giardina, G. Sabbatucci, V. Vidotto, Storia (1650-1900)

Col senatoconsulto del 18 maggio 1804, il governo veniva affidato a un imperatore,


Napoleone, attuale primo console. Viene stabilita l’ereditarietà della dignita imperiale
nella discendenza diretta, di maschio in maschio, per ordine di primogenitura. Un
elemento essenziale è la possibilità che i figli adottivi entrino nella linea di
discendenza diretta anche se l’adozione è vietata ai successori di Napoleone e ai loro
discendenti. L’imperatore è tenuto a prestare giuramento così come sancito dall’art.53
ove si contempla il rispetto “dell’integrità del territorio, delle leggi del Concordato,
della libertà di culti e dell’eguaglianza di diritti”.
LEZ. 60 – La battaglia di Trafalgar

La battaglia navale di Trafalgar venne combattuta il 21 ottobre del 1805 in prossimità


del “Cabo Trafalgar”, a sud ovest della penisola iberica e vide fronteggiarsi la flotta
franco-spagnola comandata da Villeneuve e quella britannica di Lord Nelson, per
conto della III coalizione organizzata per arginare la politica espansiva di Napoleone
Bonaparte. All’inizio della battaglia, l’ammiraglio Nelson fu ferito a morte, ma
nonostante la sua assenza dal comando, la flotta britannica prevalse su quella franco-
spagnola infliggendo un duro colpo alla marina francese che avrà ripercussioni sotto
il profilo del dominio talassocratico mondiale. La vittoria inglese ne sancisce il
dominio dei mari fino all’avvento della Seconda guerra mondiale.

- S. Valzania, I dieci errori di Napoleone. Sconfitte, cadute e illusioni dell’uomo


che voleva cambiare la storia.

Con la battaglia di Trafalgar cominciò un’epoca di dominio talassocratico britannico


durato poco più di un secolo. Alle indubbie qualità di Lord Nelson, tuttavia, si
sommarono la capacità di governo delle navi da parte dei britannici oltre all’oculato
addestramento degli equipaggi. La strategia di Nelson si rivelò cruciale: evitare il
confronto tra le formazioni in linea nell’intento di cercare la mischia, l’uno contro
uno e il bombardamento ravvicinato. Ma la strategia di Nelson mise in luce il punto
debole dell’alleanza marina franco-spagnola, ovvero la disposizione alternata nella
formazione per scongiurare eventuali ritiri durante lo scontro.

LEZ. 61 – Austerlitz

Austerlitz è una cittadina della Moravia resa celebre da una delle più leggendarie battaglie
della storia moderna. E’ con tutta probabilità la battaglia più veloce e decisiva tra le quelle
napoleoniche. La battaglia campale ebbe luogo il 2 dicembre 1805, giorno in cui le forze
della coalizione persero circa 30.000 uomini. A fare la differenza fu la strategia di
Napoleone di attirare le truppe austrorusse presso Austerlitz fingendo una ritirata.
Nonostante la superiorità numerica dell’esercito della III coalizione (circa 85400 uomini
contro 73000 francesi), russi e austriaci pagarono a caro prezzo l’organizzazione
macchinosa, una struttura di comando dispersiva e la barriera linguistica che non
permetteva una comunicazione efficace.
- D.G. Chandler, Austerlitz 1805. La battaglia dei tre imperatori

Napoleone rivolge un messaggio ai suoi in data 4 dicembre 1805 ove esprime


riconoscenza per il valore dimostrato nella Battaglia di Austerlitz. Sottolinea il valore
del nemico sconfitto, il che conferisce all’operato dei suoi soldati i caratteri di una
vera e propria impresa leggendaria. A loro il merito di aver disintegrato in due mesi la
Terza Coalizione. Napoleone sottolinea che la pace non sia lontana ma di ricercare in
essa delle garanzie e delle ricompense per gli alleati che hanno contribuito
all’impresa. C’è spazio anche per l’odiato nemico, il “perfido isolano” (inglese) al
quale augura che le sfortune causate possano ricadere sulla sua testa. In un anatema
che non ammette repliche: “Che i vigliacchi oligarchi di Londra possano pagare le
conseguenze di tutti questi mali”. Infine, menzione d’onore per i valorosi soldati: “Il
mio popolo vi accoglierà con gioia”.

LEZ. 63

D.G. Chandler, Jena 1806. Napoleone distrugge la Prussia.

Le imprese di Napoleone del 1806, rientrano a pieno diritto tra le più grandi della
storia militare. La strategia del condottiero corso: avanzata preventiva in Sassonia
unita all’abilità nella gestione del “battaglione quadrato”, la volontà di giungere alla
battaglia campale, decisiva per le sorti della campagna, erano i punti cardine del
Blitzkrieg napoleonico (guerra lampo). A questo si somma l’inseguimento del nemico
in fuga, quell’esercito prussiano sfiancato nel morale. Sono gli stessi soldati a esaltare
questo nuovo modo di interpretare il conflitto quando affermarono che “l’imperatore
aveva scoperto un modo nuovo di fare la guerra, usando le nostre gambe invece delle
nostre braccia”. La strategia napoleonica basata sulla superiorità psicologica è una
caratteristica riscontrabile nell’epoca contemporanea, si pensi alla Prima Guerra del
Golfo. Napoleone inaugura una nuova era militare che avrebbe contraddistinto anche
l’epoca contemporanea.

LEZ. 64 – TILSIT

Tilsit è il nome tedesco dell’odierna città di Sovetsk, situata nell’Oblast di


Kaliningrad. La città deve la sua fama alla Pace firmata l’8 luglio tra lo zar
Alessandro I e Napoleone che sancì la fine del conflitto tra francesi e IV coalizione.
La Prussia ne uscì drasticamente ridimensionata: fu condannata a pagare le gravose
spese della guerra e, oltre alla chiusura dei porti agli inglesi, dovette cedere parte dei
suoi possedimenti con la conseguente costituzione del Regno di Vestfalia e del
Granducato di Varsavia. Lo zar Alessandro I rinunciò a Cattaro e alle isole Ionie ma
ottenne in cambio la libertà di azione in Finlandia e nelle province europee
dell’Impero Ottomano. La pace di Tilsit costituì l’apogeo del dominio napoleonico in
Europa.
LEZ. 65 – La Campagna di Spagna

“Ogni idea di costruzione nasconde in sé il germe della distruzione”. Questa frase


rappresenta una spietata sintesi di ciò che accadde a Napoleone in Spagna. La
mancanza di comprensione delle dinamiche interne alla Spagna, dai sentimenti alle
tradizioni retrograde pur sempre parte dell’identità spagnola. Napoleone sottovalutò il
popolo spagnolo, il suo furore, una forma anarchica di furore. Ad animarlo anche gli
inviti del Pontefice, in una lotta di resistenza che aveva assunto i caratteri della
Guerra Santa, con i francesi a far la parte dei mori. La disprezzata Spagna divenne la
croce di Napoleone. La campagna di Spagna venne quasi snobbata dal Corso,
impegnato a Oriente nella preparazione della campagna di Russia. Fu una guerra in
cui l’aspetto psicologico non fu secondario, ne fu valido esempio la resistenza di
Saragozza sotto Palafox, assediata per due mesi in cui ogni spagnolo sacrificò la
propria vita per la patria. L’imperiosa avanzata di Wellesley (futuro Duca di
Wellington) dal Portogallo e la confusione che regnava tra i marescialli
determinarono l’esito fallimentare della Campagna. Ma probabilmente, a far pendere
l’ago della bilancia nelle sorti del conflitto fu proprio il grande assente, Napoleone,
l’avversario ideale di uno stratega del calibro di Wellesley.

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