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Antonio Juvarra
Il canto e le sue tecniche
trattato
RICORDI 1996
ISBN 88-7592-047-8

Indice
Prefazione pag. 4
Introduzione
I principi che regolano l'emissione corretta 7
1. Le sensazioni fonatorie e la terminologia vocale 12
2. Le classificazioni vocali 18
3. Cenni anatomici e funzionali sulla fonazione 23
4. La realizzazione dell'appoggio nel canto 31
5. Il ruolo del fiato nell'emissione e l'evoluzione dell'appoggio 36
6. Il "passaggio" o meccanismo di copertura della voce 43
7. Aspetti fonetici della risonanza 48
8. Il controllo dei risuonatori 53
9. L'emissione "sul fiato" 65
10.
11. La
Glipercezione e il controllo
approcci pedagogici mentale-immaginativo
nazionali al canto 81 dell'emissione 69
Conclusione 86
Bibliografia 89

Prefazione

Cantare non e ovviamente cosa che si possa apprendere SOLO dai libri, ma dato che delle due ipotesi - costruire o
distruggere una voce - la seconda è, se non la più frequente, di certo la più grave (essendo lo strumento "voce"
insostituibile), riuscire a raggiungere uno scopo puramente "negativo" (la non-distruzione della voce) è da
considerarsi
già un risultato
Purtroppo dei dei
l'elenco più caduti
importanti.
continua a registrare nuove vittime dentro e fuori dei conservatori, oltrechè sulle
scene.
Imputare questo stato di cose all'incompetenza degli insegnanti sarebbe riduttivo, anche se indubbiamente la
categoria
degli insegnanti di canto annovera un cospicuo numero di micidiali ciarlatani.
È facile tuttavia rendersi conto come il nocciolo del problema non risieda semplicemente in una questione di
coscienza
professionale, quando si pensi che tutto sommato può andare incontro agli stessi pericoli anche l'allievo di un
cantante
professionista. Questo può accadere perchè nel mondo del canto non sono rari i casi di persone che intraprendono
gli
studi vocali avendo già a disposizione un'emissione del suono, ossia una tecnica, che altre raggiungono invece
soltanto dopo anni e anni di studio: è il fenomeno delle voci cosiddette "naturali", che non trova riscontro
nell'ambito
delle tecniche strumentali.
È evidente ora che il problema di queste persone, una volta diventate insegnanti, è di tipo gnoseologico: non si può
comunicare agli altri nè spiegare un processo, come quello vocale, di cui si è del tutto inconsapevoli, avendolo
ricevuto
in dote casualmente.
Ma la casistica degli insuccessi nell'apprendimento del canto offre esempi di altro tipo e non mi riferisco tanto ai
casi
più eclatanti di tecniche vocali spudoratamente cervellotiche (più facilmente smascherabili a una prima verifica del
rendimento sonoro) quanto a quelli più insidiosi in cui a una impostazione difettosa si accompagna un risultato
acustico
tutto sommato apprezzabile. Tecniche vocali di questo tipo possono spesso sopravvivere e diffondersi anche perchè
l'impegno vocale richiesto per esempio in un quinquennio di conservatorio non è tale da mostrarne l'intrinseca
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fragilità
e inconsistenza, ma una volta applicate sul palcoscenico, non reggono alla prova di una carriera professionale.
La spiegazione di questo fenomeno sta nel fatto che un suono, a parità o quasi di rendimento acustico, può essere
emesso con un grado ben diverso di fatica laringea. Ne deriva che la correttezza di una tecnica vocale deve essere
giudicata innanzitutto misurandone il grado di affaticabilità, che a livello laringeo e faringeo deve essere zero, o per
lo meno irrilevante. Chi, per fare un esempio, dopo aver cantato un'ora di seguito, accusa in questa zona sensazioni
di
algesia, di malessere o di fastidio per cui proseguire diventa non dico impossibile, ma gravoso semplicemente, può
star sicuro che nella sua tecnica c'è qualcosa di sbagliato.
In questo senso la nozione di bel canto racchiude in sè un significato universale di buona tecnica vocale (il "cantare
sugli interessi e conservare il capitale della voce" del Rubini), prima ancora che un valore stilistico storicamente
determinato, così come il canto spinto o quello poitrinée è il frutto di una cattiva impostazione che solo in un
secondo
momento diventa anche scelta estetica per una specie di circolo vizioso. Purtroppo il principio in base al quale solo
l'emissione facile è l'emissione giusta difficilmente viene accettato per quello che è, cioè come un dato scientifico:
talmente connaturata è in molti l'idea che l'"iniziazione" e il progresso in qualsiasi attività (quindi anche in quella
vocale)
debbano comportare sacrifici anche in termini di fatica e sforzo fisico, che molte volte il senso di costrizione e di
affaticamento laringeo, conseguente a una tecnica difettosa, viene erroneamente interpretato come fase normale di
un
"allenamento" indispensabile "per irrobustire le corde vocali".
Siamo arrivati così al punto cruciale del nostro discorso: abbiamo visto che l'accettabilità dal punto di vista estetico
di
un suono prodotto in base a una certa tecnica vocale non ne garantisce l'assoluta correttezza di emissione e d'altra
parte gli insegnanti di canto dotati di un orecchio diagnostico così perfezionato da saper distinguere in base alle
sole
qualità acustiche un suono bello e corretto da un altro quasi altrettanto bello, ma scorretto, sono rarissimi e si
confondono in mezzo ai tanti che, sprovvisti di questa dote, non possono che affidarsi all'empiria di metodi il più
delle
volte arbitrari, acriticamente ereditati dalla tradizione.
In questa situazione di anarchia per cui ogni metodo vocale ne contraddice un altro, possono perpetuarsi le
assurdità
più nefaste in fatto di tecnica vocale; di qui la necessità di avvalersi del contributo della ricerca scientifica e
didattica in
questo campo al fine di passare al vaglio quanto di giusto, di superfluo o di nocivo è contenuto nelle varie tecniche.
Purtroppo da questo punto di vista la situazione nel nostro paese è di estrema arretratezza e bastino due fatti a
dimostrarlo: 1) dei pochi libri di canto pubblicati in Italia i più importanti hanno un'impronta storicistica o
saggistica così
pronunciata da risultare inservibili come trattati di tecnica vocale; 2) all'ultimo Congresso internazionale per la
ricerca
scientifica del canto, che ha recentemente riunito a Rotterdam foniatri, ricercatori scientifici, cantanti e insegnanti

di
canto di tutto il mondo, figuravano i nomi di due soli italiani, e di questi due nessuno è un insegnante di canto.
Dove trovare la spiegazione di tale disinteresse? Forse nella nostra cultura idealistica, per la quale le faccende dello
Spirito (fra cui rientra anche l'arte del [bel] canto) non devono avere niente a che fare con quelle della scienza e
della tecnica (benchè, a dire il vero, lo stesso problema sia lamentato anche in paesi come l'Inghilterra a cultura
pragmatistica). Più verosimilmente le cause sono da ricercarsi nella mentalità e nella concezione della Voce come
dono di natura che per secoli hanno avuto i nostri cantanti.
Se come "primedonne" poterono permettersi molte volte il lusso di restare analfabeti musicali, una volta divenuti
insegnanti di canto avranno con tutta probabilità continuato a ritenere assolutamente superfluo l'approfondimento di
un
processo che per loro avrà sempre avuto i caratteri della "naturalezza", dell'"istintività" o della "soggettività".
Oggi per fortuna anche in Italia (nonostante perduri nei conservatori un programma ministeriale ad usum cantorum)
la
forma mentis e la figura stessa del cantante e dell'allievo di canto stanno cambiando: sempre di più essi tendono a
considerarsi ormai come semplici professionisti alla stregua degli strumentisti, sempre più di conseguenza si
avverte

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l'esigenza di libri di tecnica vocale che in concreto e non per magia verbale, come in molte scuole succede, aiutino
a
capire e a risolvere sulla base di una teoria scientifica credibile i problemi che via via si presentano.

Introduzione
I principi che regolano l'emissione corretta
Un pregiudizio diffuso considera il canto appannaggio esclusivo dei pochi fortunati "nati con la voce"; di
conseguenza
anche lo studio del canto, secondo questa concezione, risulta un'attività alquanto misteriosa, dai mezzi e dai fini
indefiniti, senza i crismi della tangibilità oggettiva e della razionalità metodologica che sarebbero proprie della
didattica
strumentale. Ed è proprio la natura di strumento musicale che viene spesso negata alla voce, la tecnica vocale
assolvendo semplici compiti di limatura delle imperfezioni e non già di formazione globale.
Così mentre non ci si meraviglia se un allievo di pianoforte per la prima volta davanti alla tastiera non sa
coordinare le
due mani, da un allievo di canto alle prime armi troppe volte si pretendono un volume e un'estensione di tipo
operistico,
pena il marchio di persona senza voce.
In realtà i casi non rari di cantanti anche illustri che si sono "costruiti" da zero la voce, ci fanno capire come
l'elemento
determinante nell'apprendimento del canto sia dato non dalla voce, ma da quello che alcuni chiamano talento, altri
predisposizione, altri ancora intelligenza, con cui s'intende un insieme di sensibilità acustica e di duttilità nel
controllo
della coordinazione muscolare, tali da far riuscire ad emergere (ovviamente con l'aiuto di una guida esterna) la
parte
nascosta di quell'iceberg che è la voce e di cui la punta rappresenta la voce parlata.
In questo senso l'affermazione per cui chi ha voce per parlare ha anche voce per cantare (purchè ovviamente
l'organismo sia sano) perde molto del suo carattere semplicistico e propagandistico per avvicinarsi molto alla
realtà.
Fare emergere o costruire il proprio strumento vocale non significa necessariamente aver trovato uno Stradivari,
essendo la qualità della voce ovviamente condizionata anche dal materiale fisiologico a disposizione.
Volendo tuttavia considerare la questione da più punti di vista, si può anche affermare che molti proprietari di
materiale
vocale di prim'ordine si scontrano dopo anni di studio con la propria incapacità di plasmarlo e di progredire,
superati
spesso da altri meno forniti di mezzi naturali, ma che hanno saputo valorizzare ed esaltare particolari qualità della
propria voce. Queste possono essere rappresentate non solo e necessariamente dall'intensità, dal volume e dal
colore,
ma anche dalla morbidezza, dalla leggerezza, dalla pastosità, dalla brillantezza e così via, lavorate e perfezionate a
tal
punto da divenire spesso caratteristiche distintive di determinati cantanti.

È triste vedere enormi potenzialità vocali rimanere tali dopo anni e anni di studio ed è per contro esaltante assistere
al
crescere graduale, da semi insignificanti, di lussureggianti voci.
Il primo problema che più o meno tutti gli allievi devono all'inizio affrontare è rappresentato da un senso di
"inafferrabilità" o "impalpabilità" della voce, percepita come qualcosa di indefinito e sgusciante.
Niente ci appare più vicino e nello stesso tempo più lontano della vóce: estremamente
duttile nell'espressione immediata delle più sottili emozioni che percorrono la nostra comunicazione parlata,
sensibilissima nel registrare automaticamente le più piccole variazioni di umore (tanto da plasmarsi gradualmente a
immagine e somiglianza del carattere che andiamo costruendoci), essa diventa per contro dura, rigida, inafferrabile
e
ingovernabile quando cerchiamo di utilizzarla consapevolmente come mezzo di espressione artistica e strumento
musicale.
È superfluo chiedersi se sia nata prima la voce parlata o quella cantata: in principio erano dei suoni, pure
manifestazioni dell'istinto, che gradualmente sono andati piegandosi e colorandosi dei vari moti e stati d'animo.
In questo modo la voce è espressione viva, diretta e globale del nostro essere, tanto da rimanere spesso
condizionata

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negativamente dalle mille tensioni e blocchi che inconsapevolmente ci "abitano".
Il non sapere "da che parte prenderla" ha creato nella mentalità comune il pregiudizio che vuole il possesso della
voce
cantata un dato naturale e non una questione di apprendimento con l'educazione. Purtroppo il diverso livello di
preparazione tecnica dimostrato dai vari cantanti professionisti che vengono quotidianamente proposti all'attenzione
dei mezzi di comunicazione di massa, contribuisce a confondere invece che a chiarire le idee; nell'ambito della
musica
leggera cantanti con tipi di emissione diversissimi si affiancano ad altri, totalmente sprovvisti di qualsiasi tecnica,
mentre i cantanti lirici restano confinati in una dimensione irreale, resi artificiali e incomprensibili da mezzi di
comunicazione come la radio e la televisione, assolutamente inadatti a restituire il significato espressivo e
funzionale di
quella particolare vocalità. Abbiamo parlato di tecnica: essa ha lo scopo di fornire all'emissione cantata la stessa
facilità
e spontaneità di quando parliamo, consentendoci di modulare e plasmare a nostro piacimento la voce anche in zone
molto lontane dall'altezza della voce parlata, senza essere costretti a gridare per "far uscire" la voce, esperienza
penosa e a lungo andare distruttiva per le corde vocali.
Raggiungere un'emissione fisiologica significa quindi mettere l'organo vocale in condizione di funzionare al
meglio, nel
rispetto del principio della massima resa per il minimo sforzo.
Questa ricerca del suono libero e rilassato deve costituire il punto di partenza di ogni tipo di educazione vocale
(compresa quella operistica) e si attua sostituendo quei comportamenti muscolari abituali (e come tali scambiati
spesso per naturali) che sono di freno e ostacolo a un'emissione libera, con altri che invece assecondano il corretto
funzionamento.
Le "cattive abitudini" sono in buona parte conseguenza diretta della tendenza a fare sempre qualcosa "in più"
rispetto
allo strettamente necessario, nel tentativo di aumentare il volume della voce e di vincere le resistenze derivanti da
una
scorretta coordinazione.
Un paragone può risultare utile per chiarire meglio le idee a riguardo: se vogliamo migliorare la ricezione di una
stazione radio, non è certo aumentando il volume che: possiamo eliminare le interferenze, bensì sintonizzandoci
con
maggior precisione su quella stazione. Alla stessa stregua, volendo passare a un diverso campo di attività,
ugualmente
vicino all'esperienza comune, ciò che impedisce a una macchina da corsa di decollare e prendere il volo non è la
velocità, di per sè sufficiente, ma un assetto aerodinamico non adatto a questo scopo.
La stessa cosa succede cantando: finchè rimaniamo in quella zona centrale-bassa della voce, che corrisponde
approssimativamente all'altezza del parlato, la coordinazione muscolare è complessivamente corretta e l'emissione
risulta facile.
I problemi cominciano quando cerchiamo di aumentare l'intensità del suono (naturalmente debole in quella zona) o
di
salire alle note più acute. Ecco che improvvisamente, se non si è abbastanza esperti, affiorano tensioni e costrizioni

alla golarimedio
classico che compromettono
peggiore del la resacon
male, sonora e affaticanocircolo
un pericoloso le corde vocali.
vizioso da Dare
cui è più voce uscire.
difficile rappresenta
Com'èinpossibile
questi casi il
allora
imboccare la strada giusta?
L'emissione cantata è un processo molto complesso che coinvolge mente e corpo. Controllare direttamente e
consapevolmente il funzionamento delle corde vocali è impossibile e ogni tentativo in questo senso porterebbe a un
aumento delle tensioni nocive. Gli interventi coscienti di natura meccanica sono quindi relativamente pochi,
interessano parti del corpo diverse dalla laringe e vanno attuati conservando al complesso della muscolatura una
flessibilità, un'elasticità e un certo "gioco", tali da consentire allo strumento-corpo di attuare automaticamente gli
aggiustamenti laringei necessari.
Quando s'incomincia lo studio del canto, la coscienza della voce è localizzata nell'area della gola, dove si
concentrano
tutti i tentativi di modificazione dell'emissione. Al contrario, un cantante avanzato nella tecnica sperimenta la voce
come un fenomeno che interessa e coinvolge tutto il corpo, a eccezione della laringe, che rimane soggettivamente
al
riparo in un centro di quiete paragonabile all'occhio del ciclone. Questo gli permette di cantare forte per lunghi

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periodi
senza stancarsi.
La laringe dev'essere quindi liberata dalle tensioni negative che si accumulano e ne compromettono il corretto
funzionamento.
Espedienti di natura psicologica e fisiologica concorrono al conseguimento di quest'obiettivo. Ne parleremo in
maniera
più diffusa rispettivamente nel cap. 5 e nei capp. 6 e 10.
Per quanto riguarda i primi, oltre all'invito a "dimenticare" la gola cantando, citiamo
l'eliminazione (ed eventualmente il capovolgimento) della rappresentazione visiva tradizionale (qual è codificata e
sancita dalla grafia musicale) delle note acute in alto e delle note
gravi in basso.
Trattandosi di un fenomeno puramente acustico, non ha senso parlare di note basse e note alte; sta di fatto che
quando immaginiamo una nota acuta in alto e cerchiamo di "raggiungerla", immediatamente la laringe si alza e la
gola
si chiude.
Se invece la concepiamo alla stessa altezza della precedente o addirittura più bassa, la laringe rimane nella stessa
posizione rilassata e non c'è bisogno di "spingere" il suono con la gola per compensare la riduzione di sonorità che
altrimenti si verifica.
Veniamo ora a ciò che è possibile fare con interventi diretti e coscienti finalizzati al controllo della muscolatura,
argomento che approfondiremo nei capitoli dedicati alla realizzazione dell'appoggio e al controllo della risonanza.
Premettiamo che nessun singolo muscolo può essere azionato localmente senza influenzare l'aggiustamento di
qualche altro muscolo, così come nessun osso o cartilagine può essere spostata senza influenzare la contrazione dei
muscoli a quelli collegati.
Bisogna quindi evitare di focalizzare eccessivamente l'attenzione, accentuandoli, su determinati aggiustamenti
locali,
che rischierebbero, soprattutto all'inizio degli studi, di compromettere l'equilibrio muscolare generale. Quest'ultimo
viene raggiunto stabilendo correttamente: 1) la posizione del corpo, 2) la respirazione, 3) la pronuncia.
La posizione del corpo dev'essere eretta, con la testa alta, le spalle abbassate in maniera rilassata, il petto in fuori
(ma
non la pancia in dentro) e un buon appoggio su ambedue le gambe, il tutto realizzato senza la rigidità della posa
militare, ma con un atteggiamento psicologico di sicurezza tranquilla, di benessere e di fiducia. Anche la
respirazione è
facilitata, oltre che dalle giuste modalità meccaniche, da fattori psicologici.
Attuare l'inspirazione avendo come riferimento le stesse sensazioni di benessere suscitate dalla classica boccata
d'aria
rigeneratrice quando siamo al mare o in montagna, è più importante che preoccuparsi di immagazzinare enormi
quantità d'aria, che all'inizio degli studi vocali sono più nocive che utili, in quanto diffìcilmente controllabili.
Quando si parla di respirazione profonda non ci si riferisce quindi tanto alla quantità d'aria inspirata, quanto alla
modalità con cui si realizza l'inspirazione, che deve coinvolgere attivamente il diaframma e i muscoli intercostali.
Il diaframma è un muscolo interno (e come tale non visibile superficialmente), ma contraendosi nell'inspirazione si
abbassa, spingendo in fuori e facendo più o meno sporgere l'addome.

Nella fase
l'azione deiespiratoria invece esso viene risospinto in alto dall'addome che rientra sotto
muscoli addominali.
I movimenti (in fuori durante l'inspirazione e in dentro durante l'espirazione) dell'addome rappresentano quindi il
primo
mezzo di controllo della respirazione.
Possiamo arrivare a percepire la sensazione del fiato che scende in profondità dilatando
il corpo, se lasciamo che l'aria entri lentamente e in silenzio, mentre paradossalmente
quando cerchiamo di immagazzinare in fretta grandi quantità d'aria, tendiamo ad attuare
una respirazione "alta", solo clavicolare e perciò superficiale. Questo naturalmente prima
che la respirazione corretta sia diventata un automatismo.
Volendo sintetizzare, si può dire che la direzione del fiato è prima in basso e poi in fuori. Quest'ultima indicazione
ci
porta a un altro importante aspetto dell'inspirazione, che è consigliabile curare solo dopo che si sia ben consolidato
il
primo (controllo dell'addome) e ci riferiamo alla dilatazione delle costole inferiori. Esse devono essere mantenute
per

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quanto possibile in questa posizione espansa anche durante l'espirazione, in modo che gradualmente si stabilisca la
sensazione del punto di fissazione da dove agisce il diaframma.
Possono essere utili a questo scopo alcuni esercizi di respirazione, come per esempio il seguente:
1) inspirare contando fino a cinque;
2) lasciare ferma la muscolatura nella posizione raggiunta (senza cercare di trattenere l'aria
con la gola) contando fino a dieci;
3) espirare contando fino a cinque, avendo cura di rimanere per quanto possibile col petto
in fuori e lasciando ai muscoli addominali il compito di attuare l'espirazione.
Inspirare attraverso la bocca e riprodurre le stesse sensazioni di apertura e di allargamento interno prodotte dalla
fase
iniziale dello sbadiglio, contribuisce a predisporre correttamente l'organo rematore e le cavità di risonanza.
Per contro, l'inspirazione effettuata soltanto attraverso il naso, teoricamente più igienica
e più profonda, non si concilia con l'esigenza pratica, frequente nel canto, di fiati veloci e
non superficiali, per i quali l'azione di chiusura e di apertura della bocca risulterebbe di
ostacolo.
Immediatamente dopo l'inizio della fase espiratoria, mentre i muscoli addominali spingono in dentro l'addome, il
diaframma è nuovamente sollecitato e abbassato leggermente in corrispondenza dell'attacco del suono. L'attacco
del
suono, in grado di condizionare in bene o in male tutta l'emissione sucessiva, dev'essere morbido e deciso nello
stesso
tempo.
Perchè questo sia possibile è importante allenarsi, soprattutto nella zona centrale della voce. Espedienti utili per
rilassare la gola nella zona acuta possono essere rappresentati dall'abitudine a immaginare il suono iniziale
preceduto
da una "h" e con una direzione verso il basso opposta a quella del fiato, ciò che contribuisce a stabilire il contatto
della
voce col diaframma, impedendo quelle tensioni e costrizioni alla gola derivanti dall'idea sbagliata di poter spingere
in
fuori la voce con la forza.
Il terzo importante mezzo con cui è possibile condizionare indirettamente l'emissione e il funzionamento delle
corde
vocali è rappresentato dalla pronuncia. Lingua, labbra e mandibola, che svolgono un ruolo fondamentale
nell'attuare la
pronuncia, possono facilitare in maniera considerevole l'emissione quando ne venga rispettata la flessibilità e
l'elasticità.
Eccessivi spostamenti della mandibola e modificazioni vistose dell'apertura della bocca nel tentativo di articolare in
maniera più distinta le vocali e le consonanti, si traducono in tensioni eccessive che compromettono l'emissione.
Allo
stesso modo, impostare un padiglione acustico fisso, irrigidendo la lingua o la mandibola in una posizione unica,
qualunque sia l'altezza del suono o l'effetto espressivo da realizzare, ostacola quel mobile gioco tra i diversi spazi di
risonanza (faringe, bocca e cavità nasale), che è quello che permette alla voce di "sintonizzarsi" automaticamente

sulla
frequenza esatta e rimanere sempre "a fuoco". Questa flessibilità e duttilità degli organi che presiedono al controllo
delle risonanze è favorita da esercizi vocali di agilità o che comportino continui cambiamenti di vocali.
Le vocali rappresentano le varie colorazioni che assume il suono laringeo, di per sè neutro, nel suo passaggio
attraverso le diverse configurazioni del padiglione acustico. A determinarne il cambiamento sono gli spostamenti in
avanti e indietro della lingua. Nel primo caso si parlerà di vocali anteriori ("e", "i"), che mettono in luce la
brillantezza
della voce, nel secondo caso di vocali posteriori ("o", "u"), che al contrario esaltano il polo della pastosità e
rotondità
del suono.
Le vocali anteriori, più ricche di armonici acuti che fanno "correre" la voce rendendola udibile in ampi spazi, sono
le più per "impostare" la voce, ma devono essere compensate e bilanciate soprattutto nel settore acuto, per evitare
adatte
che il suono si "schiacci" e diventi stridente.
Le varie modalità di correzione fonetico-acustica del suono sono l'argomento che verrà trattato nei capp. 6, 7 e 8.
È possibile percepire il punto frontale di localizzazione di una pronuncia correttamente "raccolta" e "concentrata" in

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avanti, pronunciando velocemente una serie di consonanti labiali e dentali (per esempio: t-p-t-p-t-p-t...) senza
aprire
troppo la bocca o muovere la mandibola, ma facendo lavorare le labbra e la punta della lingua.
L'equilibrio armonioso tra le varie componenti dello strumento voce (i muscoli respiratori, che forniscono l'energia,
e le
cavità di risonanza) libera il vibratore dalle tensioni che ne impediscono un funzionamento rilassato e "a pieno
regime",
incanalando la voce in quella zona frontale, rappresentata dalla zona nasale esterna e dalle labbra, conosciuta da
cantanti e insegnanti di canto col nome di "maschera".

1. Le sensazioni fonatorie e la terminologia vocale

È noto come la pedagogia vocale si differenzi essenzialmente da quella strumentale per quella caratteristica della
voce
cantata che consiste nell'impossibilità di un controllo meccanico diretto dei muscoli interni laringei. Da sempre
questo
ha costituito croce e delizia per cantanti e insegnanti di canto, contribuendo al sorgere e all'accavallarsi dei più vari
indirizzi pedagogici, la maggior parte dei quali accomunati dall'uso di una terminologia e di un frasario particolari.
Chi fa il suo ingresso nel mondo dove s'insegna il canto s'imbatte così ben presto in espressioni che per orecchie
profane hanno risonanze oscure, significati razionalmente indecifrabili.
"Star seduto sul fiato", "raccogliere il suono", "coprire" o "girare la voce", "cantare sul fiato", "passare in testa",
ecc.
sono le formule misteriose e impenetrabili nel loro alone metaforico che più frequentemente vengono recitate nelle
aule
scolastiche.
Nei casi più gravi (e purtroppo non rari) esse formano l'unica risorsa didattica a disposizione dell'insegnante e a
esse si
ricorre per scongiurare quasi magicamente quell'evento infausto e molte volte irreversibile che è la distruzione
della
voce; più spesso formano semplicemente un bagaglio di frasi suggestive ma vuote, del cui significato l'allievo
possiederà la chiave non all'inizio dei suoi studi (quando più forte sarebbe l'esigenza di pochi concetti chiari,
traducibili
in regole pratiche) ma molto più tardi, quando per altre vie (se sarà fortunato) avrà raggiunto la cosiddetta
"coscienza
della voce".
Frutto del lavoro e degli sforzi fatti da generazioni di cantanti per definire e far tesoro tramandabile ad altri delle
proprie
esperienze, questo insieme di modi di dire testimonia il problema cruciale dell'insegnamento del canto, che consiste
in
larga misura nel riuscire a trasmettere e suscitare in altri determinate sensazioni fisiche o psichiche (alcune delle
quali

oggettive e verificate scientificamente, altre del tutto soggettive) allo scopo di realizzare indirettamente
l'aggiustamento
muscolare che ne è la causa.
Tutto ciò ricorda per molti aspetti i caratteri e i limiti di ogni sapere ermetico o mistico:
l'impossibilità di "comunicare" un'esperienza superiore alle capacità umane di comunicazione fa si che si ricorra ai
surrogati dei simboli, delle metafore; gli inviti a "cantare in maschera", "star seduto sul fiato", "girare la voce"
ricordano
la mano col dito teso a indicare la luna dei racconti zen, che non è essa stessa la meta ma serve a indicarla, non è
la vera realtà ma a essa rimanda.
Nel nostro caso la meta è rappresentata dall'emissione libera, "naturale", che dà origine a una serie di sensazioni di
diversa natura, identificabili abbastanza precisamente e localizzabili in varie parti del corpo. Sono le cosiddette
sensibilità interne fonatorie, che sviluppate con un'opera lunga e continua di introspezione e selezione, si
configurano
poi in quello che viene chiamato lo schema corporeo-vocale del soggetto e sono indispensabili per il controllo
automatico dell'emissione.
A livello laringeo la sensazione guida dev'essere di assoluta comodità e benessere fisico di modo che la

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consapevolezza dell'esistenza dell'organo fonatore viene meno come succede per tutte le funzioni del corpo (quella
visiva, digestiva, ecc.) quando si svolgano in maniera normale e non patologica. A questa condizione ci si riferisce
parlando di suono staccato dalla gola; l'impressione mentale è solitamente di estraniazione: non siamo noi a cantare
ma è la voce che canta "da sola", oppure è come se suonassimo uno strumento, che come tale è separato dalla
nostra
identità corporea. L'esperienza è euforizzante in quanto normalmente nella coscienza di ognuno l'atto di "alzare la
voce" è associato a sensazioni spiacevoli di costrizione e di fatica. In tal modo il grado di affaticabilità laringea è in
rapporto con la tecnica di emissione: se questa è corretta, è possibile cantare per lunghi periodi senza stancarsi; nel
contempo l'assenza di tensioni nocive dà l'impressione della "naturalezza". Si parla anche di emissione sul fiato
perchè
la condizione di perfetto equilibrio tra le varie componenti del meccanismo vocale pone in primo piano la
percezione
delle funzioni respiratorie, dando l'illusione dell'automatismo e del fiato che "sostiene" il suono, il contrario
essendo
rappresentato dall'emissione spinta.
Il secondo tipo di sensazioni fonatorie che bisogna considerare è di natura vibratoria: nell'emissione corretta queste
interessano la zona palatale anteriore e naso-facciale (la cosiddetta "maschera") con un punto di massima
concentrazione localizzato nella zona palatale anteriore e chiamato, dal nome dello scopritore, punto di Mauran.
Sono
queste che formano la "coscienza della voce" nel cantante; ciò significa che quando la voce è emessa correttamente
il
soggetto ne ha coscienza essenzialmente per gli effetti di risonanza nella maschera e non nella zona di produzione
del
suono (laringe) o della gola.
Infine si hanno importanti sensazioni di tensione muscolare localizzate nella zona addominale e lombare, dove il
corretto gioco e l'intensificarsi delle azioni dei muscoli respiratori realizza l'appoggio, da considerare in certo senso
il
motore della voce. Si può affermare così che grosso modo la presenza di queste sensazioni è in grado di indicarci
con
sicurezza se la maniera in cui si canta non rischia col tempo di danneggiare l'organo fonatore, condizione a cui
deve
sottostare ogni buona tecnica vocale per definirsi tale. Paradossalmente la funzione importantissima svolta da
queste
tracce sensoriali interne è stata chiarita e posta nel giusto rilievo non dalla pedagogia vocale, ma dalla scienza.
A scoprirle e a intuirne l'importanza, proponendole come oggetto di ricerca scientifica, furono naturalmente i
cantanti,
ma a tutt'oggi la maggior parte degli insegnanti continua a farne un uso improprio, relegandole nel novero dei
fenomeni
soggettivi, quando non ne sia addirittura ignorata l'esistenza (pur restandone un'impronta precisa nella terminologia
da
essi usata).

Mancavano una precisa analisi e una sistemazione di questi dati, cui ha provveduto recentemente la ricerca
scientifica,
ed è questo uno dei motivi per cui essi furono in molti casi travisati. La loro utilizzazione da parte dell'allievo ai
fini di
un'autovalutazione della propria tecnica di emissione presuppone intanto un periodo abbastanza lungo di studio:
occorre qualche anno perchè lo "schema corporeo-vocale" si formi, il che significa che quando più ne avremmo
bisogno, cioè agli inizi degli studi, ci troviamo sprovvisti di quello strumento che da solo potrebbe segnalarci se
siamo
sulla buona o sulla cattiva strada. Nel frattempo la voce s'incanala in una certa direzione e, giusta o sbagliata che
sia,
sappiamo che l'"impostazione" costituisce una sorta di seconda natura, da cui raramente e con estrema difficoltà
l'allievo
Ma riesce
ciò che a staccarsi
ha reso finora da solo.
sostanzialmente improduttiva l'attenzione rivolta alle sensazioni interne non è stata
soltanto
la mancanza di una conoscenza precisa del nesso che le lega ai vari comportamenti fonatori e meccanismi vocali
(cioè

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in pratica l'incapacità di tradurle in regole pratiche), ma anche (e ancora una volta) la schematizzazione e l'estrema
approssimazione con cui si è proceduto ad analizzarle e classificarle, condensandole in formulazioni
o confuse o contraddittorie e comunque erronee.
In questi casi infatti succede che, assecondando un'istintiva esigenza di spiegazioni razionali, l'allievo,
consapevolmente o no, sia portato a chiarire i punti oscuri di questa terminologia con interpretazioni errate.
I problemi incominciano con la nozione comune di voce di petto opposta a voce di testa. All'origine di entrambe
stanno
ovviamente delle precise sensazioni vibratorie, localizzate nelle rispettive regioni del corpo, ma ciò che con esse si
postula è una netta separazione tra una zona della tessitura medio-bassa (che sarebbe affidata alle risonanze "di
petto") e un'altra acuta (affidata alle risonanze "di testa"), in contraddizione evidente col concetto di maschera, che
implica invece un'unica "posizione" o centro focale delle risonanze della voce, a prescindere dall'altezza tonale. In
realtà studi recenti hanno messo in evidenza come le sensazioni vibratorie percepibili talvolta nella zona toracica
possono essere avvertite anche cantando correttamente in maschera nella zona per definizione "di testa" (la
massima
stimolazione si registrerebbe addirittura nell'emissione in falsetto) fino a negare la stessa possibilità, attribuita
comunemente al petto, di agire come risuonatore, per cui le sensazioni percepite trarrebbero origine da una
trasmissione dell'energia vibratoria (subito assorbita) tramite i muscoli abbassatori della laringe, ma senza nessun
effetto di amplificazione del suono prodotto. L'emissione da raggiungere (e la sensazione vibratoria corrispondente)
resta quindi quella in maschera, estesa all'intera gamma vocale. Al contrario, partendo dal concetto di risonanza di
petto l'allievo è portato a accentuare le sensazioni in quella zona allo scopo di dare più consistenza e "polpa" alla
nota,
col risultato (facilmente raggiungibile abbassando troppo la laringe) di ingrossare e "intubare" la voce.
Tutto ciò configura una data impostazione vocale (sbagliata perchè rigida e faticosa), che è impossibile poi adattare
alle diverse esigenze di coordinazione muscolare e di risonanza, proprie della zona acuta. Di qui la caratteristica di
suono gridato, tipica degli acuti emessi in questo modo. Esso emerge chiaramente appena ci si sposti dalla zona
centrale, dove la voce si presenta ingannevolmente profonda, oscura e "matura", verso quella acuta, mentre
nell'emissione in maschera, grazie all'assorbimento degli armonici troppo acuti e dissonanti, il suono risulta
morbido e
può "aprirsi" eccessivamente solo dopo che si sia superata una determinata soglia tonale abbastanza alta, senza aver
attuato il "passaggio".
Il passaggio (nel suo significato di copertura della voce oltre una certa altezza, in accordo con precise esigenze
estetiche della tradizione ottocentesca italiana) è un meccanismo essenzialmente laringeo che consiste grosso modo
in un lieve abbassamento della laringe e in un allungamento delle corde vocali a opera dei muscoli cricotiroidei.
Contrariamente però all'opinione comune quale risulta da certe espressioni del tipo "passare in testa" o "passaggio
dal
registro di petto al registro di testa", esso di per sè non comporta nè una maggiore esteriorizzazione della voce nè
tanto meno un arricchimento di risonanze "alte" Esso ha semplicemente l'effetto di evitare che la voce diventi
stridente
o eccessivamente aperta, conferendogli quel tipico timbro morbido e scuro a cui alludono le espressioni "coprire il
suono" o "raccogliere il suono". Anzi paradossalmente esso comporta un lieve arretramento della voce verso la
cavità

faringea,possibile
quanto percepibile anchenella
immutato a livello sensoriale,
maschera perdicuimaggior
il punto l'attenzione del cantantedelle
concentrazione dev'essere rivolta
risonanze a mantenere
(il cosiddetto fareper
la
punta al suono) pur estendendosi queste anche alla cavità faringea.
Esistono quindi un passaggio fatto di gola (quando l'emissione è spinta o intubata), che dà un'impressione di
eccessiva
chiusura e costrizione, e un passaggio eseguito invece in maschera, che mantiene l'uguaglianza e la brillantezza
della
voce, arricchendola di un timbro vellutato, caratteristico dell'emissione "coperta".
Che cosa succede a questo punto quando s'invita un allievo a "passare un suono acuto in testa"? Familiare per chi
studia canto, questa frase solo casualmente o se filtrata da una elaborazione critica può trasformarsi
nell'aggiustamento auspicato; tradotta alla lettera, essa implica un movimento o una proiezione generica della voce
verso l'alto, con conseguente probabile innalzamento della laringe e/o del diaframma, che è esattamente il contrario
di
quello che in realtà deve accadere. E questo proprio perchè l'espressione "suono in testa" si riferisce agli effetti
dell'emissione in maschera (vibrazioni localizzate nella zona nasale e dentale anteriore) e non ai presupposti che lo
rendono possibile: 1) posizione sufficientemente bassa e rilassata della laringe; 2) aumentata pressione del

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diaframma
sui muscoli addominali; 3) attuazione oltre una certa altezza tonale del meccanismo del passaggio; 4)
mantenimento di
una cavità di risonanza aperta e libera da tensioni.
Un ultimo requisito da non trascurare fa riferimento a quella impressione mentale che affiora in diverse importanti
enunciazioni della tradizione, quali "girare il suono", "coprire la voce" e soprattutto "nel salire scendi e nello
scendere
sali".
Essa consiste in un cambiamento della direzionalità soggettiva di proiezione dei suoni in rapporto agli intervalli
ascendenti o discendenti da intonare e ha come base oggettiva una precisa coordinazione muscolare a livello
laringeo
e faringeo.
Nella fonazione parlata, per esempio, e in quella "incolta" cantata l'aumento di intensità vocale (detto appunto
"alzare
la voce") o l'ascesa nella zona acuta suscitano la sensazione di proiettare la voce in direzione verticale verso la
testa,
quasi nel tentativo di "raggiungere" con la gola la nota acuta. Questo perchè l'incapacità di controllare l'altezza
tramite i
muscoli intrinseci della laringe determina un innalzamento di quest'ultima e una costrizione della faringe. L'eccesso
di
tensioni non bilanciate esercitate sulla muscolatura provoca dopo poco tempo affaticamento e difficoltà nel
mantenere
l'altezza.
Nell'emissione "intubata" e "spinta" manca questa sensazione di direzionalità verticale, perchè la laringe è
mantenuta
in una posizione rigidamente bassa, ma appunto questa rigidità impedisce che si realizzi quella condizione
"magica"
che dicevamo, in cui la voce sembra che canti da sola. Così la fonazione continuerà a essere percepita dal soggetto
come un'attività che parte coscientemente dalla laringe e che è tanto più faticosa quanto più la voce sale d'altezza o
d'intensità; senza quindi quelle caratteristiche di processo passivo e funzionante autonomamente (quasi un correre
in
discesa invece che in salita), che è diretta conseguenza dell'emissione in maschera. La scomparsa della sensibilità
fonatoria a livello laringeo e di ogni coscienza della "gola" è in quest'ultima il presupposto della sensazione del
suono
girato, coperto o preso dall'alto. La nota viene infatti attaccata e questo è qualcosa che oggettivamente avviene a
livello laringeo ma soggettivamente viene percepito solo nei suoi effetti vibratori nella maschera: il loro espandersi
e
intensificarsi in rapporto all'altezza tonale non determina un cambiamento della posizione della voce, cioè del
centro
focale delle risonanze, che rimane localizzato nel punto-maschera sopra il palato.<1 La sensazione del suono "alto"
diventa col progredire della tecnica il principale punto di riferimento cosciente per il controllo dell'emissione, ma

non
bisogna dimenticare che a questo "vertice" corrisponde una "base" e che la voce è dominata dall'alto, ma sostenuta
dal
basso (la "colonna del fiato"). La tradizione in proposito parla di "star seduto sul fiato" e ci dà la regola "più alto il
suono, più profondo il fiato", dove "fiato" sta appunto per "diaframma"; come muscolo inspiratore che agisce in
antagonismo coi muscoli addominali, esso infatti può dare l'illusione (quando viene abbassato per "sostenere" il
suono)
di un'inspirazione in atto.
Si ritorna a una sensazione di natura vibratoria con le espressioni fuori (o avanti o alto) e indietro, ancora una volta
in
connessione con la localizzazione della voce, e sinonimi quindi, rispettivamente, di emissione in maschera e
intubata.
Teoricamente corrette se riferite all'effetto vibratorio (percepibile rispettivamente nella zona della maschera e in
quella
faringea o in entrambe nel caso della voce "coperta") esse possono risultare agli inizi degli studi più nocive che
utili.

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Lasciando da parte i casi, purtroppo frequenti, in cui l'ambito della nozione "indietro" viene arbitrariamente ristretto
ai
soli casi di emissione ingoiata, cioè a laringe alta e faringe contratta (col risultato che i suoni ugualmente indietro,
ma
emessi a gola aperta, vengono fatti passare per buoni, cioè "fuori") una prima riserva all'uso prematuro di questi
termini
si basa sull'incapacità riscontrabile nell'allievo alle prime armi di selezionare e mettere a fuoco nitidamente le
sensazioni interne. In questa fase delicata parole in apparenza innocue si trasformano in concetti errati che possono
pregiudicare il normale apprendiménto.
Nel nostro caso i tentativi di realizzare il suono fuori (o avanti o alto) daranno invece
facilmente luogo al suono "spinto", quando non si spieghi il vero significato di queste
espressioni, che è fisico-acustico e non meccanico: infatti l'allievo, condizionato all'inizio da
una concezione materiale della voce, immagina istintivamente che l'unico modo per raggiungere questa condizione
fonatoria sia quello di catapultare fuori i suoni con la forza, costringendo così le corde vocali a un'eccessiva
tensione,
che dà all'ascoltatore l'impressione del suono emesso con la fibra.

Un altro pericolo è racchiuso nella tendenza a caricare di un valore assoluto, non suscettibile di eccezioni, il
bipolarismo fuori-indietro. Questo può risultare in qualche caso fuorviante.
Avessimo come nostra unica risorsa a disposizione lo schema fuori-indietro, in che modo potremmo sperare di far
sperimentare a un allievo il famoso e fatidico "passaggio" (che è veramente passaggio a una nuova percezione e
dimensione del suono), una volta iniettato nella mente il tabù dei suoni indietro? Restando sul piano delle
sensazioni
infatti, i suoni oltre il passaggio si potrebbero definire altrettanto legittimamente (per la ragione che abbiamo già
vista)
anche "indietro".<2 Ma questo l'allievo ancora non lo sa e in questa caccia al tesoro per lui sarà ancora "acqua".
Il suggerimento successivo potrà essere quello di "alleggerire" la voce, il che potrebbe anche risultare utile, se
immediatamente egli non s'imbattesse in quell'altro terreno minato, rappresentato dal concetto vago, impreciso e
carico
di connotazioni pregiudizialmente negative che è il falsetto. Questo sarà sufficiente per farlo retrocedere, anche
perchè
di solito agli inizi c'è una forte resistenza psicologica ad accettare (e quindi a considerare corretta) la voce oltre il
passaggio, cioè "coperta". Il fenomeno è frequente nei casi di allievi maschi con voce grave e si spiega col fatto
che
questi suoni, se non sono emessi correttamente, risultano deboli e troppo diversi rispetto all'emissione normale,
detta
"di petto". La zona tonale abbastanza alta in cui naturalmente si situano, contribuisce inoltre a conferire loro,
secondo
la psicologia comune, quelle caratteristiche di scarsa virilità, per cui vengono rifiutati.<3
Si entra qui in un terreno dove l'insegnamento basato sulla trasmissione delle sensazioni mostra i suoi limiti più

gravi.
La posizione più drastica e critica al riguardo può essere rappresentata dalle seguenti affermazioni di Marilyn
Horne:
"Tutto quello che fanno insegnanti e studenti nel corso di anni e anni è questo: scoprire qualcosa che funzioni e poi
dargli un nome... Ci sono voluti tre anni a me e mio marito prima che tutt'e due capissimo
cosa voleva dire la sua espressione "questo suono è più fuori". Io rispondevo: "Ma non sto
cantando fuori". E poi alla fine capii che ciò che intendeva dire era che stavo cantando in
basso nella gola, risuonando in maschera".
Purtroppo anche gli accorgimenti didattici di segno opposto, orientati cioè verso un tentativo di controllo diretto
delle
corde vocali, possono dare luogo a gravi incomprensioni e malintesi. Il caso dell'attacco col colpo di glottide ne
costituisce
ideale, unsiesempio.
in cui realizza Benchè infelice
un rapporto in partenza,
di perfetta questa espressione
sincronizzazione nelle
tra l'atto intenzioni
di chiusura di Garcia
della glottidedesignava l'attacco
e quello di
fuoriuscita
del fiato, mentre la laringe è libera da ogni tensione che possa interferire con tale funzione. Se queste condizioni si
realizzano, l'attacco del suono è nitido, ma dolce. Tutto ciò risulta con maggiore evidenza se il suono è in zona

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acuta.
Tuttavia se la concentrazione è rivolta ad azionare direttamente i muscoli adduttori delle corde vocali, è assai
probabile
che il risultato sarà quello che si definisce attacco duro (simile a un leggerissimo colpo di tosse), in cui l'azione di
chiusura della glottide è troppo violenta e precede la fuoriuscita del fiato; esso si spiega come conseguenza del
tentativo di portare a livello sensoriale, accentuandolo, un processo come quello di produzione del suono che, se
corretto, abbiamo visto essere presente e controllato nella coscienza del soggetto solo nei suoi effetti di risonanza
in
maschera. Di questo problema sembrano per altro rendersi conto anche certi fautori del colpo di glottide, quando
per
attuarlo suggeriscono di aspirare l'attacco del suono o di iniziarlo con un'aspirata immaginaria, espedienti che, a
prescindere da ogni giudizio sulla loro efficacia, sono in evidente contraddizione logica con le implicazioni della
nozione "colpo di glottide", presa letteralmente.
Concludendo, l'insegnamento del canto per una tradizione vecchia di secoli si è basato principalmente sul metodo
delle sensazioni interne, dato che i meccanismi che danno origine a certi fenomeni vocali erano sconosciuti. E fin
qui
niente di strano: ancora oggi, essendo il controllo che noi possiamo esercitare sull'organo fonatore in larga misura
di
tipo indiretto, l'approccio psicologico svolge un ruolo importantissimo nella pedagogia vocale.
I problemi sorgono quando queste sensazioni, da semplici segni della correttezza dell'emissione o da espedienti
psicologici per superare certe difficoltà, si trasformano, consapevolmente o no, in spiegazioni arbitrarie delle cause
che
producono quei fenomeni.
Le conseguenze dell'elaborazione di questi concetti errati sul piano pratico sono negative ed è a questo punto che
s'impone l'esigenza di inquadrarle nel giusto senso, fornendo una conoscenza chiara del reale "funzionamento"
della
voce e mettendo in guardia l'allievo contro la pericolosità di certe tecniche.

<note
<1 Alcuni suggeriscono di immaginare tra labbro superiore e naso un piccolo foro, da cui far uscire tutti i
suoni, altri un "detonatore". Per altri ancora è solo un punto mentale-immaginario concepito genericamente in
alto: esso corrisponde a quella percezione del "nucleo" della voce che sorge quando il suono è puro e non
ingrossato artificialmente, percezione che Garcia ha pericolosamente associato a un determinato atto fisico-
meccanico
del vibratore ("colpo di glottide").
<2 E infatti, sempre seguendo il metodo secolare delle sensazioni "didattiche", molti insegnanti consigliano
per il passaggio di pensare a un riassorbimento interno del suono.
<3 Spia di un tipo di emissione diversa dei suoni oltre il passaggio è probabilmente l'uso del termine "acuto" per
designarli, invece che "alto", come ci si aspetterebbe in correlazione con "basso".

2. Le classificazioni vocali

Scopo delle classificazioni vocali è stabilire in base a certi criteri che vedremo l'appartenenza di ogni voce a una
delle
categorie sviluppate dalla letteratura vocale, che è passata da un'iniziale quadripartizione
(basso/tenore/contralto/soprano) all'inserimento di una categoria intermedia (baritono/mezzosoprano) e a
un'ulteriore
suddivisione (in base a criteri di aderenza timbrica al carattere di determinati ruoli operistici) in altrettante
sottospecie
comprendenti voci drammatiche, voci liriche, voci leggere, ecc.
Facile per quanto riguarda il repertorio che va fino al Settecento, l'operazione diventa complessa e didatticamente
molto delicata quando si passa al repertorio dell'Ottocento, dato che essa tocca punti nevralgici che investono
direttamente
La decisione l'aspetto tecnico.
di destinare una voce a una categoria piuttosto che a un'altra è inoltre tanto più difficile quanto più
risulta
ormai evidente come esistano in natura molte più voci di quelle tradizionalmente previste.
Senza arrivare agli eccessi tassonomici di un Husson, il quale sulla base della misurazione della velocità di

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propagazione dell'influsso nervoso lungo l'assone è giunto a ipotizzare una classificazione fisiologica che prevede
ben
17 voci maschili e ben 19 voci femminili, è tuttavia innegabile il fatto, frequente in natura, che non esistono linee
di
demarcazione netta ma un passaggio fluido e continuo tra le varie categorie vocali.
Alcune categorie sono state privilegiate dalla letteratura lirica rispetto ad altre, che perciò vengono dette "voci
intermediarie" e devono, per quanto è possibile, adattarsi ai compartimenti stagni, rappresentati spesso dalle prime.
Altrettanto problematici ai fini della classificazione sono i casi di modificazione del timbro naturale, attuata o per
l'influenza esercitata da un determinato modello vocale o per un'emissione scorretta.
Da quanto esposto risulta evidente insomma come l'appartenenza di un allievo a una certa categoria vocale sia
qualcosa che per la sua gravità deve essere decisa con molta ponderatezza e senza fretta, ricorrendo se necessario
anche al parere di un foniatra. A un "battesimo vocale" precoce seguono infatti molto spesso l'identificazione totale
con
la categoria di appartenenza e l'assunzione, di tipo imitativo, di quelle che soggettivamente vengono considerate le
caratteristiche timbriche tipiche di quella data categoria.
Nessuno degli elementi di giudizio qui sotto elencati, benchè importante, può perciò essere utilizzato singolarmente
quale criterio determinante per la classificazione di una voce, come invece spesso succede.
Timbro: qualunque sia in proposito il punto di vista che si vuole accreditare (quello più diffuso che sostiene la
diversità
di timbro di ogni categoria vocale o quello opposto, secondo il quale non esiste il timbro del tenore o del baritono,
ma
vari timbri in rapporto alle varie altezze tonali e alle singole voci individuali) certo è che questo è il criterio più
ingannevole, quello che più può portare ad equivoci e a errate classificazioni, in maniera tanto più grave quanto più
esso è usato da molti insegnanti nell'accezione limitata di colore (che più facilmente può essere modificato) e non
anche in quella, per esempio, di "grana" vocale, corposità, ecc.
La casistica al riguardo offre spesso dati contradditori rispetto a questa logica: non sono rari i casi di veri bassi con
timbro più chiaro di quello di veri baritoni e la stessa nozione di tenore drammatico o di soprano drammatico
rappresenta l'ammissione dell'esistenza di molte eccezioni che infrangono in realtà questa regola. Che poi
l'eccezionaiità di queste voci sia un dato biologico, dovuto cioè alla loro effettiva rarità in natura, e non piuttosto il
frutto
di quel condizionamento per cui, una volta di fronte a una voce con timbro scuro e bassi decenti, si opta per la
soluzione più prudente della via di mezzo, resta da dimostrare. Ci si può consolare pensando che dei due errori di
giudizio possibili in questo caso (classificare come tenore drammatico e come soprano drammatico rispettivamente
un
baritono acuto e un mezzosoprano e viceversa) il primo è senz'altro più pericoloso per la longevità di una voce,
anche
se purtroppo non infrequente. Questo è soprattutto vero nel caso dei tenori: si sa come nel mondo del
professionismo
vocale ci si lamenti sempre più per la mancanza di questo tipo di voce; eppure, a giudicare dalle statistiche
riguardanti
gli allievi di canto dei conservatori e i partecipanti a concorsi lirici, questa dovrebbe essere la più comune fra le

voci
maschili, ancor più di quella di baritono, che per definizione è la più normale, in quanto media, rispetto alle
eccezioni
del basso e del tenore. Come mai questa contraddizione, che è per di più doppia, se si tien conto del discorso fatto
finora e cioè che la tendenza degli insegnanti è sempre quella di inquadrare una voce nella categoria vocale
immediatamente più bassa rispetto a quella potenziale di appartenenza? Qui probabilmente entrano in gioco
motivazioni di ordine culturale. Come voce delegata dai musicisti dell'Ottocento a incarnare i valori romantici di
giovinezza, innocenza e slancio ideale, la voce di tenore è diventata tradizionalmente la protagonista maschile
dell'opera, destinata a calamitare più di ogni altra le ambizioni di carriera degli aspiranti cantanti, anche per i
maggiori
vantaggi economici che le sono connessi.
Probabile quindi
categoria, che anche
ma il tentativo molte
il più voci
delle nonètenorili
volte al cento
destinato peracento
a fallire causa(ossia intermediarie)
dell'aumentata siano
dose di attratte datecnica
padronanza questa
richiesta. Inoltre l'anomalia timbrica, riscontrabile in questi casi, difficilmente viene accettata come un dato
naturale, ma
si cerca di eliminarla con tentativi, magari inconsapevoli, di contraffazione di quello che viene considerato il timbro

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tenorile per eccellenza.
Altezza del passaggio: rimandando al cap. 6 la descrizione di questo meccanismo fondamentale della voce cantata,
ricordiamo qui che esso è l'unico che garantisca il raggiungimento dell'estensione massima a piena voce nella zona
acuta. Ai fini del nostro discorso ci basterà per ora indicare i punti di passaggio per ogni voce, punti che
costituiscono
indizi importanti per una giusta determinazione della categoria vocale. Essi si trovano tra do3<1 e re3 per i bassi,
tra
re3 e mi3 per i baritoni e tra mi3 e fa3 per i tenori. Per le voci femminili il passaggio si situa un'ottava più in alto.
Quelle indicate sopra naturalmente rappresentano le altezze massime, superate le quali la voce che non abbia
"coperto" e rimanga "aperta" si schiarisce e diventa problematica la tenuta del suono. È possibile abbassare (fino a
un
intervallo di quarta circa) il punto del passaggio, realizzando così quella che viene chiamata "voce mista",
riconoscibile
per il timbro vellutato caratteristico, quando è emessa sul piano. Questo è anche il modo più usato per mascherare il
passaggio, cioè il cosiddetto "alleggerire".
Altezza della voce parlata: è un criterio molto importante, benchè generalmente ignorato, per arrivare a stabilire la
categoria vocale di appartenenza.
Tra voce parlata e voce cantata ci deve essere una precisa corrispodenza: qualora questo manchi è chiaro che una
delle due non è corretta. Nella maggioranza dei casi si tratta proprio dell'emissione cantata. Essa può per altro
anche
risultare piacevole - che è il motivo per cui molte volte, intenzionalmente o no, non si prende atto di questa
discordanza
- ma denota sempre uno squilibrio che impedisce alla voce di "funzionare" al massimo delle sue possibilità. Niente
d'altra parte risulta più facile che alterare, anche inconsapevolmente, il proprio timbro naturale per farlo più scuro
(caso
più frequente) o più chiaro di quello che è. Secondo il foniatra olandese van Deinse la voce parlata si situa intorno
a
sol1 e la1 per i bassi, a si1 per i baritoni, a do2 e re2 per i tenori; un'ottava più in alto per le voci femminili.
La misurazione può venire effettuata anche col pianoforte.
Esame foniatrico: ha lo scopo di misurare e valutare la lunghezza, l'ampiezza e lo spessore delle corde vocali oltre
che
la struttura e il volume delle cavità di risonanza. Benchè la teoria neuro-muscolare del processo fonatorio non
riconosca la corrispondenza tra lunghezza delle corde vocali e categoria vocale, che è invece alla base dell'opposta
teoria mioelastica,<2 tuttavia l'esame visivo della laringe offre indicazioni molto utili per una valutazione del tipo
di
voce: così corde vocali ampie e spesse sono tipiche, secondo van Deinse, delle voci forti, voluminose e
drammatiche.
Analogamente grandi cavità di risonanza sono associate a voci gravi e drammatiche, piccole cavità a voci acute e
liriche.
Estensione e tessitura. La nozione di tessitura è in rapporto di parte/tutto con quella di
estensione, con cui si indica l'ampiezza massima della gamma vocale nei suoi limiti estremi

inferiori
La e superiori.
tessitura è intesa come zona tonale dove più frequentemente si aggira la linea del canto e quindi come ambito di
note più comode per il cantante.
Riportiamo qui sotto a scopo puramente indicativo le estensioni, approssimate, di ciascuna voce con le relative
tessiture.

Categoria Estensione Tessitura

Tenore sol1-re4 fa2-fa3


Baritono mi1-si3 mi bemolle2-mi bemolle3
Basso do1-sol3 do diesis2-do diesis3
Soprano sol2-fa5
Mezzosoprano fa3-fa4
mi2-si4 mi bemolle3-mi bemolle4
Contralto do2-sol4 do diesis3-do diesis4

Anche gli indizi offerti da questi due elementi non possono sempre costituire da soli una

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prova decisiva dell'appartenenza di una voce a una data categoria e la loro utilizzazione a
questo scopo è molto problematica.
Per quanto riguarda l'estensione, molto spesso la gamma delle note effettive e potenziali (di cui cioè si possono
intravedere le tracce agli inizi degli studi, a prescindere dalla loro efficacia sonora) supera decisamente quella delle
note effettivamente presenti in molti ruoli di una data categoria (e basti a questo proposito pensare alle rare volte
che
un baritono deve salire oltre il sol3 o un basso scendere sotto il fa1).
Da questo punto di vista quindi anche un baritono centrale (o una qualsiasi voce intermediaria tra le due categorie)
potrebbe tranquillamente essere catalogato come basso. Viceversa - essendo ovviamente sempre esistita la voce di
baritono, benchè sotto altro nome - è lecito chiedersi se ciò che confina nell'ambito del repertorio di basso buffo
una
voce di basso leggero, in grado di salire oltre il sol3, sia una propensione per il carattere di determinati ruoli o
un'incapacità fisiologica a sostenere a lungo una tessitura baritonale.
In quest'ultimo caso l'elemento tessitura costituirebbe il fattore discriminante, senonchè è facile accorgersi come
anch'esso non sia un dato di fatto al cento per cento naturale e immutabile, ma sia condizionato abbondantemente
da
fattori tecnici di emissione (vedi i numerosi casi di artisti che hanno intrapreso una carriera lirica, cantando prima
in una
tessitura e poi in un'altra più acuta). Il discorso merita un ulteriore approfondimento in quanto la scoperta della
propria
vera tessitura ed estensione, secondaria per il repertorio cameristico, è di vitale importanza per quello operistico,
che
tra le proprie esigenze fondamentali annovera la pienezza e l'intensità sonora. Tra questi due aspetti della voce
cantata, l'estensione da una parte e la potenza dall'altra (intesa in senso assoluto e relativo) esistono
legami precisi. Sotto il primo profilo si può parlare di coincidenza tra i due fenomeni, cioè
la generosità vocale tende a esprimersi sia come pienezza sonora sia come ampiezza della
gamma tonale. In senso relativo invece (ossia per quanto riguarda i livelli di intensità
sonora all'interno di una stessa gamma vocale) sussiste un rapporto di causa/effetto: per
precise ragioni fisiologiche, a parità di energia erogata una nota acuta è naturalmente più
potente di una centrale o bassa. Qui sta il punto cruciale di tutta la tecnica vocale oltre che
del problema della classificazione e della scelta del repertorio.
Le aree più pericolose dell'emissione cantata, dove è più facile compromettere l'integrità della voce, se si è
sprovvisti di
una solida tecnica, sono infatti costituite dalla zona acuta e dalla realizzazione dell'intensità (nell'affrontare le quali
non
a caso anche i cantanti d'opera professionisti passano all'emissione in falsetto là dove quella a piena voce non sia
indispensabile, per esempio nelle prove di scena). Da parte loro i compositori dell'Ottocento romantico sembrano
essere perfettamente consapevoli di questo dato obiettivo; esigendo una sonorità abbastanza piena nel settore
centrale e una sicurezza di emissione in quello acuto, rendevano difficilmente praticabile la scorciatoia consistente
nell'affidare a voci di una categoria più acuta ruoli che presentassero problemi di tessitura o di estensione. Questo è
vero soprattutto per Verdi, che, nel delineare la tessitura di un dato ruolo vocale, non teneva conto di situazioni

contingenti
modo (rappresentate
riferimento per esempio
a condizioni ideali. dai limiti vocali o tecnici di un determinato cantante), ma faceva in un certo
Nel frequente ricorso alla gamma acuta come risorsa espressiva-drammatica sta il motivo della "pericolosità"
vocale
dei ruoli principali di Verdi, considerato ai suoi tempi "l'Attila delle voci". L'epiteto icastico è senz'altro eccessivo
(sia
pure giustificato dall'improvviso mutamento nel tipo di impegno vocale-stilistico richiesto al cantante): in realtà,
come
hanno dimostrato i più grandi cantanti in seguito succedutisi, le tessiture vocali di Verdi, pur essendo altissime, non
sono tali da oltrepassare le possibilità fisiologiche, anche se portano la tecnica a sfiorarne i limiti. Se questo dato
per
un versoinrende
mettere pienoproibitivo lo studio
risalto tutte delle opere
le potenzialità, di Verdi in
soprattutto al termini
cantantediinesperto,
rendimentopereun altro è sonora,
tensione proprio di
quello che può
una voce che
sia
bene impostata. Presupposti tecnici indispensabili sono un perfetto equilibrio tra meccanismo pesante (emissione di
petto) e meccanismo leggero (emissione di testa) in modo che a livello laringeo la realizzazione della zona acuta

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diventi una pura e semplice questione di intonazione di note (come succede suonando uno strumento), un fenomeno
acustico insomma di risonanza libera e non di risonanza forzata.<3 Se invece il meccanismo leggero non viene
sviluppato autonomamente nelle sue caratteristiche timbriche e di sensibilità interna fonatoria completamente
diverse
da quello pesante, ma viene attuato come adattamento in extremis di quest'ultimo, l'emissione nella zona acuta
risulterà faticosa e a lungo andare logorante, anche avendo effettuato il passaggio.
Questa affermazione riguarda non solo i casi più evidenti di emissione "muscolare" o spinta, ma anche quelli più
mimetizzati, in cui il risultato estetico è apprezzabile e il cantante riesce a giocare con i colori. E infatti talmente
difficile
trovare e conservare questo magico punto di equilibrio, grazie al quale le sensazioni "gravitazionali" svaniscono,
che la
didattica odierna è prevalentemente orientata verso la sottoclassificazione delle voci e quindi verso la produzione di
surrogati vocali (soprattutto bassi e baritoni). È una scelta improntata a criteri di prudenza, opposta quindi a quella
passata che tendeva a portare alla luce una voce, magari a costo del sacrificio e della distruzione di molte altre. È
certo però che le voci trattate in questo modo (fatte cioè cantare in una tessitura più bassa della loro potenziale) se
per
un verso sono salvaguardate dall'impatto distruttivo con i ruoli della loro vera categoria (riuscendo a realizzare
effetti
espressivi che le deficienze tecniche non consentirebbero loro in tessitura più acuta) per un altro verso sono
costantemente nelle condizioni di un motore che funzioni sotto il proprio regime ottimale di giri.
Non è sufficiente quindi, nè consigliabile, limitarsi a optare per un'emissione meno faticosa e più rilassata quando
ciò
avvenga a scapito della pienezza e dell'efficacia sonora, dal momento che nell'opera molto spesso quest'ultima è in
funzione di precisi rapporti ed equilibri acustici tra cantante e orchestra in uno spazio abbastanza ampio come
quello
teatrale. Da questo punto di vista il cantante che non sia stato impostato con una tecnica di emissione operistica,<4
sarà costretto a subire un drastico ridimensionamento sonoro, una volta che si trovi sul palcoscenico a dover
fronteggiare la "barriera" orchestrale.
La presa di coscienza dell'inefficacia di certi suoni, soprattutto centrali, della propria tastiera vocale lo porterà a far
ricorso a meccanismi compensatori.
"Tirando giù" la voce e gonfiandola per cercare di dare pienezza e corposità a certe note, anche la facilità di
emissione
nella zona acuta rimarrà compromessa con la conseguenza di un lento logorio vocale, che si farà sentire a lungo
termine sotto forma di diminuzione di volume, di voce velata e di emissione "sporca".
Da questa lunga e complessa casistica emergono in maniera tangibile i numerosi problemi connessi con la
classificazione.
Nei casi di incerta attribuzione molte volte un ruolo non secondario è svolto dal senso "rabdomantico" del bravo
insegnante, ma a questo punto il problema è soltanto posto. Per arrivare alla sua soluzione c'è da percorrere tutta
una
strada fatta di lavoro tecnico approfondito, teso a far emergere la voce "nascosta".
Solo se si riesce a raggiungere o per lo meno a intravedere il risultato finale (= facilità di emissione, libertà di

"giocare"
con la voce) sarà consigliabile all'allievo proseguire nella via che porta a una diversa categoria vocale.

<note
<1 (n.d.r.) Nel corso del testo l'altezza della nota è così indicata:
>d=do1 >j=si1 °d=do2 °j=si2 !d=do3 !j=si3 $d=do4 $j=si4 <d=do5 <j=si5
<2 Secondo questa le voci basse avrebbero corde vocali lunghe, quelle acute corte, in contraddizione con i dati
offerti
da Husson, secondo il quale, per esempio, Caruso avrebbe avuto corde vocali da basso profondo.
<3 Non a caso nei grandi cantanti l'ascesa nella zona acuta viene esperita come rilassamento e non come tensione.
<4 Non nel senso di superamento delle possibilità vocali individuali per cercare la potenza, ma di rispetto del
rapporto
risalto acustico
a quelle chevibratore-laringe
costituiscono le da una
vere parte
note e cavità
di un di risonanza
dato strumento dall'altra,
vocale senza in modo da dare
interferenze il massimo
muscolari della
gola.

3. Cenni anatomici e funzionali sulla fonazione

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Una sommaria descrizione degli organi preposti alla fonazione è il punto di partenza indispensabile per arrivare a
parlare del controllo dei meccanismi vocali in un modo che sia il meno possibile vago e impreciso.
Come già abbiamo accennato nell'Introduzione, il canto è un fenomeno globale in cui psiche e "soma" si
condizionano
reciprocamente e molti organi ne vengono coinvolti, lasciandone tracce definite nella memoria sotto forma di
sensibilità
fonatorie.
Di questa globalità deve tener conto ogni metodo didattico serio ed equilibrato. Così se è vero che spesso è
possibile
basare l'educazione vocale soltanto su metodi indiretti ed "immaginifici", come molte scuole tradizionali
dimostrano, è
altrettanto vero che in molti casi l'apprendimento risulta ritardato e ostacolato, quando non si sia in grado di
sostituire o
integrare i generici inviti ad "appoggiare", "aprire", "scurire", ecc. con indicazioni più precise.
È importante infatti che l'insegnante sappia scegliere, combinare insieme e graduare il proprio tipo d'intervento
(psicologico e/o meccanicistico) a seconda del carattere, del talento, dei problemi dell'allievo e della situazione
didattica contingente.
Gli organi fonatori sono parte integrante o accessoria di quello che si definisce apparato respiratorio e sono: 1)
laringe,
2) faringe, 3) cavità nasali e paranasali, 4) bocca, 5) polmoni.
Sono interessati alla funzione fonatoria e svolgono un ruolo importantissimo nel controllo dell'emissione anche il
diaframma, i muscoli addominali e persino determinati muscoli facciali, che più avanti vedremo.
fig. 1
1. Palato duro
2. Lingua
3. Osso ioide
4. Corda vocale
5. Cartilagine tiroidea
6. Laringe
7. Faringe
8. Palato molle
9. Ugola
10. Epiglottide
Fonte di produzione del suono è la laringe, mentre faringe, bocca, cavità nasali e
paranasali formano il cosiddetto apparato di risonanza.
La laringe, organo molto complesso, si presenta nella sua forma esterna come un'impalcatura di cartilagini, di cui è
visibile a occhio nudo, localizzata com'è nella parte anteriore del collo, la cartilagine tiroidea (pomo d'Adamo), che
è la
più voluminosa ed è situata come uno scudo davanti alle altre. Si distinguono poi la cartilagine cricoide, a forma di
anello, che rappresenta l'elemento di sostegno dello scheletro laringeo, le due cartilagini aritenoidee a forma di

piramide triangolare, disposte lateralmente, e la cartilagine epiglottide, mobile e flessibile, con la funzione di
chiudere
dal di sopra l'accesso alle vie polmonari.
fig. 2
1. Epiglottide
2. Osso ioide
3. Cartilagine tiroidea (tiroide}
4. Legamento vocale
5. Cartilagine aritenoidea
6. Cono elastico
7. Cartilagine cricoidea
All'interno della
costituiscono cavità laringea
la glottide. Questa troviamo
si chiude lequando
due corde vocali,
le corde che entrando
vocali, nel loro insieme
in vibrazione,<1
realizzano la funzione fonatoria. Vediamo in che modo. Innanzitutto le corde vocali possono assumere posizioni e
conformazioni diverse a seconda dei vari muscoli laringei estrinseci, da cui sono azionate.
fig- 3

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1. Corda vocale
2. Piega ventricolare
3. Cartilagine aritenoidea
4. Cartilagine cricoidea
5. Legamento vocale
1) La posizione di massima apertura della glottide (posizione respiratoria) viene effettuata dall'azione dei muscoli
crico-
aritenoidei posteriori (v. fig. 3a).
2) La posizione di chiusura si realizza invece tramite la contrazione dei muscoli crico-aritenoidei laterali (fig. 4a),
che
però da soli non possono effettuare la fonazione.
fig. 4 Cartilagini laringee e corde vocali in sezione orizzontale (a, b, c) e viste di lato (d)
3) Perchè questa abbia luogo (posizione fonatoria) è necessaria anche la simultanea
contrazione dei muscoli intrinseci tiro-aritenoidei, che si trovano all'interno delle corde
vocali (fig. 4b).
4) Esistono poi dei muscoli crico-tiroidei, che si estendono dalla faccia esterna della
cricoide alla cartilagine tiroidea. Per la contrazione di questi muscoli la cartilagine tiroidea
(che nella fig. 4d vediamo di lato) compie un movimento in avanti e verso il basso,
allungando le corde vocali. Vedremo in seguito che in questo movimento consiste essenzialmente
il meccanismo di "copertura" della voce, cioè il passaggio.
Fra i muscoli or ora considerati sono dunque i tiro-aritenoidei a variare la lunghezza e lo
spessore della sezione vibrante delle corde vocali, dentro cui sono inserite, per realizzare
altezze via via crescenti. All'aumentare dell'altezza del suono diminuisce l'escursione delle
corde vocali, che si avvicinano sempre di più fino a chiudere quasi completamente la
glottide (fig. 5).
Note basse
Note centrali
Note alte
Salendo ancora, solo la contrazione dei muscoli crico-tiroidei (che allungano le corde
vocali), ossia il meccanismo di copertura dei suoni aperti, può impedire che, superando il
livello di guardia, si arrivi alla "fusione tetanica" delle corde vocali con conseguente
interruzione del suono (di qui l'accorciamento dell'estensione vocale, cantando "di petto"
nella zona acuta, cioè non attuando il passaggio).
Infine nel suo complesso la laringe è collegata per mezzo di una membrana all'osso ioide, il quale a sua volta è
unito
alla faccia interna della mandibola, alla base del cranio e alla radice della lingua. È un organo mobile (può salire e
scendere) e partecipa passivamente a tutti i movimenti della testa e della colonna cervicale. Nella voce cantata la
posizione corretta della laringe è quella bassa, come chiariremo più avanti.
I suoni così formati trovano la loro amplificazione nell'apparato risuonatore, costituito dalla bocca, dalla faringe,
dalle
cavità nasali e paranasali. Notevole importanza assumono, ai fini del controllo della risonanza, la lingua, le labbra,

il
velo palatino e la stessa laringe nel suo complesso, a seconda che assuma una posizione alta o bassa.
fìg. 6
1. Seno frontale
2. Seno mascellare
3. Seno etmoidale
4. Cavità nasale
5. Rino-faringe
6. Oro-faringe
7. Laringo-faringe
8. Laringe
9. Bocca
La bocca è tra le cavità di risonanza quella che più è suscettibile di modificazioni nella forma e nelle dimensioni.
È delimitata in basso dalla lingua e in alto dal palato, costituito da due porzioni: il palato duro, arcuato, che separa
la
cavità orale da quella nasale e il palato molle, che si estende in fondo, nella cavità della faringe, dividendo la parte

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orale e la parte nasale della faringe. Essendo mobile, può abbassarsi e chiudere l'istmo oro-faringeo parzialmente,
(dando luogo a un padiglione a doppia uscita, orale e nasale) o totalmente (dando luogo a un padiglione faringeo-
nasale con esclusione della bocca). La chiusura dell'istmo oro-faringeo si può effettuare anche con l'innalzamento
del
dorso della lingua contro il palato molle. In tutti questi casi il suono emesso sarà nasalizzato, con le conseguenze
che
vedremo a proposito del controllo delle risonanze.
La faringe comprende tutto quel condotto (di sostanza muscolo-membranosa) che si estende dalla laringe alle
cavità
nasali e si divide in una parte superiore (nasale), media (orale) e inferiore (laringea). Come già abbiamo detto,
l'organo
che svolge il ruolo più importante nella modificazione della forma e delle dimensioni della bocca e della faringe è
la
lingua. Considerata l'importanza che assume nel canto la "gola aperta", massima attenzione dovrà essere rivolta
quindi
al controllo della lingua. Ogni irrigidimento della lingua si ripercuote negativamente sulla qualità del suono e sulla
facilità di emissione.
Le cavità nasali sono costituite da tutto quell'ampio spazio che va dal retro del naso fino
alla faringe superiore, avendo come pavimentazione il palato, che le separa dalla cavità
orale. Esse comunicano attraverso canali con le cavità paranasali, cioè i seni etmoidale,
frontale e mascellare.
La lingua è un organo muscolare, rivestito da membrana mucosa che si estende dalla cavità orale a quella oro-
faringea.
La base della lingua è congiunta all'epiglottide da tre pieghe della mucosa. Le modificazioni della forma della
lingua
sono dovute all'azione dei suoi muscoli intrinseci. Provvedono ai cambiamenti di posizione i muscoli estrinseci, fra
cui
in particolare: stilo-ioideo e digastrico, che sollevano e tirano indietro l'osso ioide, contribuendo alla chiusura della
gola,
genio-ioideo, genio-glosso e io-glosso che tirano in avanti l'osso ioide, contribuendo all'apertura della gola.
Quest'ultima viene inoltre impedita da ogni tensione esercitata sui muscoli del collo e da ogni tendenza a trascinare
indietro la base della lingua (con l'osso ioide). Per contro, secondo A. Rose, il sollevamento del labbro superiore
verso
il naso "favorisce l'apertura della gola ed è perciò parte essenziale di una buona tecnica.
Indispensabili per la respirazione (e per la fonazione) sono poi ovviamente i polmoni, che sono sospesi all'interno
della
cavità toracica. La loro forma e le loro dimensioni sono in stretto rapporto con quelle del torace: a un allargamento
di
quest'ultimo corrisponde un aumento dell'area polmonare, che ha proprietà elastiche. Questo allargamento si attua
attraverso i movimenti delle coste, di cui è costituita la gabbia toracica, per cui l'innalzamento della serie delle
costole

superioriinferiori,
costole dà luogoinvece,
alla cosiddetta respirazione
alla cosiddetta costalecosto-diaframmatica.
respirazione clavicolare (dannosa nel canto), lo spostamento laterale delle
Questo secondo tipo di respirazione, essenziale per la voce cantata, è quindi un sistema motorio i cui elementi
costitutivi sono il diaframma, le costole inferiori e i muscoli intercostali e addominali.
Espirazione
Inspirazione
fìg. 7 Aumento della capacità toracica risultante dall'elevazione delle costole e dall'abbassamento del diaframma.
Il diaframma è una parte muscolare a forma di cupola, che separa la cavità toracica da quella addominale.
Può muoversi in alto e in basso, consentendo alternativamente l'aumento della capacità dell'una o dell'altra cavità.
Durante l'inspirazione l'aumento del torace comporta l'abbassamento del diaframma, che viene così a premere
contro
le pareti
fig. dell'addome,
8 Diaframma vistofacendolo sporgere (per cui si parla anche di respirazione addominale). Il contrario avviene in
antero-superiormente.
Fase espiratoria. Mentre la discesa del diaframma durante l'inspirazione è causata dalla contrazione della sua
muscolatura, per la sua risalita durante l'espirazione è necessario l'intervento dei muscoli addominali, che premono
contro di esso i visceri contenuti nell'addome: diaframma e muscoli addominali sono quindi tra loro antagonisti.

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Dal momento che, come vedremo più avanti, è su questo antagonismo che si basa la tecnica dell'appoggio, non sarà
superfluo soffermarsi un attimo a parlarne più dettagliatamente.
Nel loro insieme i muscoli addominali costituiscono una cintura che connette il margine inferiore del torace e il
margine
superiore del bacino, con la funzione di proteggere l'addome e sostenerne i vari organi. Fra essi distinguiamo:
1) il trasverso dell'addome, fascio muscolare di fibre orizzontali, che si attacca sul retro alla colonna vertebrale e
anteriormente alle cartilagini delle ultime sei costole;
2) l'interno obliquo, che s'irradia a ventaglio, avendo origine nella fascia toracico-lombare posteriormente e
arrivando
anteriormente oltre il centro del legamento inguinale;
3) il retto dell'addome, che collega, ai due lati della linea mediana, il bacino e la gabbia toracica;
4) l'obliquo esterno, che incrocia perpendicolarmente le fibre del muscolo obliquo interno.
È coinvolto nel meccanismo della respirazione anche il gruppo dei muscoli intercostali:
essi occupano gli spazi tra le costole della gabbia toracica e la difendono nel caso di eccessive pressioni; la loro
azione concorre ad alzare e ad abbassare le costole.
Muscolo trasverso dell'addome
Muscolo obliquo interno
Muscolo retto dell'addome
Muscolo obliquo esterno
La funzione a cui ogni gruppo di muscoli finora considerata è adibito, ai fini della
respirazione, è la seguente:
Funzione respiratoria
Muscoli interessati
Effetto cinetico
Inspirazione
Diaframma Musc. intercostali
Abbassamento del diaframma, prominenza dell'addome, allargamento delle costole inferiori
Espirazione
Muscoli addominali
Innalzamento del diaframma, contrazione dei muscoli addominali
Uno schema di questo tipo può contribuire a dare un'idea chiara del meccanismo respiratorio, solo tenendo presente
che ogni gruppo di muscoli non agisce isolatamente, ma in un gioco di equilibri e tensioni con quello adibito alla
funzione opposta, che Rose chiama "antagonismo bilanciato". Questo vale soprattutto per l'antagonismo tra
diaframma
e muscoli addominali, di fondamentale importanza nella "respirazione cantata" e che è quello che Lamperti
chiamava
"lotta vocale".
È in questo, ripetiamo, che consiste essenzialmente l'appoggio o sostegno propriamente detto, mentre il riferimento,
frequente in molte scuole, a un "appoggio in maschera" è da mettere invece in rapporto coi meccanismi di controllo
della risonanza. Quest'ultimo si attua con un continuo ed estremamente duttile modellamento degli spazi interni
(essenzialmente bocca e faringe), per il quale è indispensabile il ricorso alla tensione (volontaria e graduabile a

seconda gli
labbra), dell'effetto
zigomaticivoluto) di determinati
(che facilitano muscoli facciali
indirettamente (v. fig. 10):
l'innalzamento dell'orbicolare della
velo palatino) e ibocca (chedilatatori
muscoli fa sporgere
dellele
narici (il
cui uso è implicito in tutti i suggerimenti rivolti a "sorridere internamente", a "pensare di guidare il suono col naso"
o "di
aprire la faccia").
fig. 10 I muscoli della "maschera"
1. Muscolo dilatatore della narice
2. Muscolo elevatore del labbro superiore e dell'ala del naso
3. Muscoli zigomatici
4. Muscolo orbicolare della bocca

<note
<1 La genesi delle vibrazioni è da collegare a una reazione delle corde vocali al passaggio della corrente d'aria
(secondo la classica teoria mio-elastica, recentemente rivalutata) o a una trasmissione di impulsi nervosi (secondo
la

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teoria neuro-muscolare).

4. La realizzazione dell'appoggio nel canto

Nella pedagogia vocale il termine "appoggio" o "sostegno" designa quella particolare tecnica di produzione del
suono
(cui fa riferimento anche uno dei significati dell'espressione "canto sul fiato"), in grado non solo di amplificare
naturalmente la voce secondo le esigenze acustiche dell'opera, ma anche di conferirle ampiezza e uniformità di
emissione in tutta la sua estensione, il tutto nel rispetto delle esigenze estetiche di smalto e morbidezza del suono e
di
quelle fisiologiche di salvaguardia dell'integrità dell'organo fonatore. Essendo i vari aspetti dell'emissione cantata
strettamente collegati tra loro, il conseguimento di questi obiettivi non può naturalmente andare del tutto disgiunto
in
sede pratica da quello che riguarda il controllo fonetico-acustico della risonanza, ma è ciò che qui faremo per
esigenze
di semplificazione e di maggiore chiarezza.
L'ambito operativo dell'appoggio interessa quella parte del corpo, nota appunto come il motore della voce, che
corrisponde approssimativamente alla fascia lombare-addominale.
La percezione interna della voce come fenomeno non strettamente localizzato nella gola, ma che si espande,
coinvolgendo a diverso titolo altre parti del corpo normalmente non associate alla fonazione, si approfondisce e
diventa
determinante man mano che l'educazione vocale procede correttamente nelle sue varie tappe di sviluppo.
In effetti quello che al pubblico non specializzato può sembrare un artificio, altro non è che la riscoperta e
l'attuazione,
mediante il ricorso ad espedienti di vario genere (fisiologici, psicologici, ecc.), delle piene potenzialità degli organi
preposti alla fonazione, un modo insomma per scoprire con l'arte la natura. Il carattere di rieducazione insito
nell'educazione vocale fa sì che a uno stadio avanzato i confini tra due fenomeni apparentemente distinti come la
fonazione parlata e cantata, gradualmente svaniscono con scambi e influssi reciproci: così agli attori viene
insegnato a
"impostare" certe frasi, pensando di cantarle, mentre i cantanti, arrivati a un livello tecnico abbastanza elevato,
sperimentano il canto come un "parlare sul fiato". Anzi, con un capovolgimento completo delle normali sensazioni,
l'emissione viene percepita come un prodotto dell'attività di tutto il corpo, con l'esclusione proprio di quella zona
della
laringe da cui in realtà ha origine il suono (il "non avere gola quando si canta" testimoniato dai belcantisti).
Pronuncia e
respirazione rappresentano metodi indiretti per condizionare il comportamento laringeo.
Inizialmente (e questa fase corrisponde anche ai vari tipi di emissione meno complessi di quella "operistica")
l'espandersi della coscienza della voce oltre la ristretta zona della gola viene attuato con una cura più attenta della
respirazione; questo comporta un coinvolgimento (anche se non ancora un controllo cosciente) dei muscoli
addominali
e del diaframma. In una fase più avanzata si crea l'"aggancio", cioè quella coordinazione fra l'azione dei muscoli

addominaliche
funzionale e del diaframma esiquella
gradualmente delletra
stabilisce corde vocali,
questi fasci in cui appunto
muscolari consiste
(e che già perl'appoggio. È questo
altro interviene "contatto"in
naturalmente
molti
atti fisiologici come tossire o ridere) a consentire un funzionamento "a pieno regime" della laringe, senza le
limitazioni
di volume sonoro, di capacità espressiva e di tenuta fisico-muscolare riscontrabili nell'emissione pseudonaturale o
incolta.
Tutte le energie vitali hanno modo di manifestarsi, contribuendo alla creazione di un libero "gesto vocale", che è
veramente "risposta globale" dell'essere.
Da un punto di vista meccanicistico l'appoggio rappresenta uno dei più importanti ed efficaci elementi di controllo
locale
cosciente
essere della muscolatura
acquisito e quando (come
con l'apprendimento. La sua nella
naturamaggioranza dei casi)
è quella di una nonmuscolare
tensione si presentaelastica,
come datoche"naturale"
aumenta inpuò
rapporto all'altezza e all'intensità dei suoni da "appoggiare", ma da quanto esposto sopra, risulta evidente come
l'aumento "a freddo" delle tensioni (ovvero sia sotto forma di esercizi fisici per irrobustire il diaframma sia di
ricorso

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intenzionale alla forza muscolare per affrontare prematuramente determinate note o tessiture acute) può avere solo
effetti controproducenti se non si sia prima stabilito questo sottile contatto o aggancio.
Solo partendo da questa fase (riconoscibile dal fatto che un aumento dell'intensità del suono non viene percepita
come
costrizione o tensione della gola) è possibile arrivare a quella più avanzata, in cui la realizzazione di tensioni
sonore
elevate e prolungate viene a "pesare" solo sui muscoli dell'appoggio e non sulla gola e le corde vocali, che perciò
rimangono protette in un centro di quiete, paragonabile all'occhio del ciclone.
Diverse sono le immagini tradizionalmente utilizzate dalle scuole di canto per definire questo meccanismo, ognuna
delle quali focalizza aspetti percettivi diversi dello stesso fenomeno: si va dalla "colonna d'aria", che mette in
risalto le
sensazioni di dinamismo statico o staticità dinamica del canto "sul fiato" contro quelle esclusivamente espulsive
tipiche
del canto "spinto" (e che purtroppo sono implicite nel termine corrente di emissione) fino alle immagini di
"trampolino" e
"molla", che mettono l'accento sull'elasticità come proprietà essenziale di un appoggio che sia frutto di tensioni
bilanciate e non si riduca a un blocco rigido della muscolatura addominale. Comuni a tutte sono le sensazioni di
direzionalità verticale discendente e di ampliamento dello spazio interno, direttamente proporzionale
all'altezza dei suoni da appoggiare e che suscita l'idea di un cuscino d'aria su cui appunto "appoggiarsi" e
sprofondare.
Alla base di tutto non c'è in effetti che un uso del diaframma "anomalo" rispetto alle esperienze quotidiane della
respirazione tranquilla. In quest'ultima, se corretta, il diaframma entra in funzione automaticamente, abbassandosi,
per
facilitare l'inspirazione; il fatto di utilizzarlo attivamente, anziché rilassarlo come normalmente succede, anche in
una
fase come quella espiratoria dell'emissione cantata, per la quale sarebbe sufficiente l'intervento dei muscoli
addominali, comporta l'instaurarsi di un antagonismo tra due spinte muscolari opposte: quella appunto del
diaframma,
che contraendosi si abbassa, e quella dei muscoli addominali che lo spingono in alto per attuare l'espirazione.
Nel diverso modo di affrontare e realizzare questa "lotta vocale", come Lamperti la definiva, risiede in gran parte la
possibilità di risolvere o aggravare molti problemi vocali.
In effetti l'immagine della "lotta vocale" è più adatta a definire la fase avanzata dell'educazione vocale, in cui
l'intensificazione delle tensioni muscolari, quale si rende necessaria per determinati effetti di potenza e di sostegno
di
tessiture particolarmente ardue, non rischia di risolversi in un blocco rigido della muscolatura, che aumenterebbe
invece di ammortizzare le tensioni negative localizzate nella gola. Questo è in realtà quello che
succede quando un allievo alle prime armi basa l'apprendimento dell'appoggio sull'osservazione e l'imitazione
superficiale di esempi dimostrativi dell'insegnante, tratti da brani operistici vocalmente molto impegnativi.
Passare prematuramente a questa fase, in cui notevoli tensioni muscolari percorrono e animano la funzionalità del
corpo-strumento senza che si sia prima imparato a padroneggiarle, cioè a graduarne l'intensità senza "toccare" la
gola,

è una delle tentazioni


teoricamente più pericolose
corretto come l'affondo.per l'integrità della voce, in cui cadono spesso certi seguaci di un metodo
Altrettanto fuorvianti sono, sul versante diametralmente opposto, gli inviti generici a rilassarsi, senza che venga
spiegato esattamente quale parte del corpo dev'essere tesa e quale rilassata. In questo caso è probabile che
l'insegnante non sia più consapevole di determinate tensioni funzionali, divenute automatiche, e faccia riferimento
semplicemente a quelle sensazioni diffuse di benessere generale e di equilibrio che corrispondono alla corretta
emissione.
Attivare un muscolo significa evidentemente metterlo in tensione; abbiamo visto come si manifesta questa tensione
nei
muscoli addominali e nel diaframma. Su quale componente di questo antagonismo muscolare deve concentrarsi
l'attenzione cosciente dell'allievo?
Ciò che
Dato chetrapela esternamente
l'emissione vocale èdalla muscolatura
una forma può a questo
di espirazione, punto
l'azione deiconfondere invece chesarà
muscoli addominali chiarire le idee.
chiaramente
osservabile
dal movimento dell'addome che si ritrae sotto la loro spinta.
Questo è tanto più evidente quanto più lunga è la frase da cantare. Il compito del diaframma non è quello di

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impedire o
bloccare questo movimento, ma di controllarlo e graduarlo. Le tensioni muscolari attivate sono in realtà due, ma in
pratica il controllo cosciente è limitato a una, quella del diaframma, dal momento che i muscoli addominali,
responsabili dell'espirazione, funzionano "automaticamente", se l'inspirazione è stata corretta.
Il grado di antagonismo muscolare è variabile in rapporto alle esigenze e agli effetti da realizzare, ma è bene
ribadire
che la fase iniziale di sviluppo di questo meccanismo deve corrispondere a un uso elastico e flessibile della
muscolatura, esercitandola con vocalizzi che facciano "danzare" il diaframma, mentre cercare di metterlo in
funzione,
facendo "muro" con la parete addominale, come quando si vuole parare un colpo, comporta il rischio di blocchi e
rigidità nocive.<1
Il controllo cosciente dell'abbassamento del diaframma pone in primo piano la percezione della sua natura di
stantuffo
o pompa aspirante dell'aria, dando origine alle sensazioni di "inversione della direzione della forza vitale" (Lunn),
di
inspirazione o di aspirazione del suono, di cantare le note acute pensandole in basso, ecc.
Il più importante punto di localizzazione di questo antagonismo è la zona dell'epigaStrico (da cui l'espressione
"forza
del petto" di Mancini); perchè l'appoggio continua ad esplicare la sua efficacia occorre che cantando le costole
inferiori
rimangano abbastanza espanse, senza che la schiena si curvi, le spalle vengano inarcate e il torace precipiti.
Se questa "sostenutezza di petto" viene meno ed è l'ipogastrio a sporgere invece dell'epigastrio, ci troviamo di
fronte a
un'applicazione dell'appoggio erronea o comunque estranea alla tradizione classica italiana.
Abbiamo visto come sia implicita nella nozione di appoggio l'idea di un movimento generico verso il basso; esso
può
formalizzarsi in direttive specifiche a contrarre il diaframma (soprattutto nell'attacco del suono o in corrispondenza
con
le note acute) o può invece tradursi in suggerimenti generici a immaginare i suoni "dall'alto", in modo da suscitare
indirettamente la giusta coordinazione muscolare, senza eccessive rigidità e squilibri.
Al contrario, focalizzare l'attenzione sul movimento verso l'alto dei muscoli addominali, utilizzandolo come
elemento di
controllo (come succede nelle scuole dove si insegna a sostenere le note acute alzando il diaframma) significa
iperattivare l'elemento espiratorio, già funzionante autonomamente, sbilanciando il meccanismo.
Percettivamente questo si traduce in un'accentuazione delle sensazioni di flusso del fiato, di espulsione, di
direzionalità
immaginaria in fuori o in alto della "corrente" sonora, in contrasto con le sensazioni "statiche" di pressione elastica
sulla
camera d'aria addominale e di equilibrio muscolare flessibile interno/esterno tipiche dell'appoggio.
Questi metodi, quali si condensano nell'idea di "sostenere" dal basso verso l'alto il flusso del fiato e il suono,
entrambi

concepiti come aventi la stessa direzione in fuori, trovano diverse applicazioni a seconda che i muscoli addominali
si
limitino ad assecondare la normale espulsione dell'aria (assolvendo in questo caso alla doppia funzione di diversivo
psicologico per dirottare l'attenzione della gola, e di mezzo per arrivare a una respirazione corretta) o vengano
invece
utilizzati più attivamente in determinate situazioni vocali per aumentare intenzionalmente l'espulsione e la
pressione del
fiato.
Il primo caso è tipico di quegli orientamenti didattici che danno priorità all'aspetto del rilassamento nel canto: la
sonorità
che ne risulta può essere piacevole, ma con scarse possibilità di energizzazione e con ben precise limitazioni per
quel
che riguarda il volume e spesso anche l'estensione.
Questo può derivare da una consapevole scelta o di carattere estetico (finalizzata all'impiego della voce in un
settore
musicale con specifiche esigenze in tal senso, un esempio essendo rappresentato da molta musica "leggera") o di

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carattere metodologico (prudenza nel passare a una fase dell'apprendimento in cui entrano in gioco determinate
tensioni bilanciate oppure fobia vera e propria nell'affrontare questo aspetto del canto).
Il secondo caso rappresenta invece un tentativo di realizzare quell'intensificazione del suono richiesta da gran parte
del
repertorio operistico, tentativo peraltro del tutto inefficace per numerosi motivi: il diaframma, messo correttamente
in
tensione con l'inspirazione, si rilassa completamente subito dopo e rimane in pratica inutilizzato quando dovrebbe
servire, cioè durante l'espirazione cantata, scomparendo dall'orizzonte percettivo e dall'ambito degli strumenti di
controllo del cantante.
Non trovando alcuna resistenza nella muscolatura antagonista, i muscoli addominali svuotano velocemente i
polmoni,
riducendo le risorse d'aria; ne risulta una sonorità forzata, spinta o "di gola" e spesso anche un'intonazione
crescente.
Diverse sono le ipotesi formidabili per spiegare questo fenomeno. Secondo quella più probabile i muscoli laringei
interverrebbero scorrettamente per surrogare il diaframma nella sua funzione di bilanciamento delle tensioni
muscolari,
l'eccessiva quantità d'aria non controllata determinando un certo irrigidimento delle corde vocali, che si ripercuote
negativamente sulla qualità della voce e a lungo andare si traduce in un suo deterioramento.
Cercare infatti di realizzare una notevole pressione del fiato, quale è richiesta per intensificare il suono, attraverso
un
aumento eccessivo del flusso del fiato e un uso "attivo" della laringe come valvola per frenare o contribuire ad
aumentare l'uscita del fiato, rappresenta un tentativo (scorretto) di controllo locale diretto dei muscoli laringei, che
sottopone le corde vocali a eccessive tensioni (l'interpretazione del "colpo di glottide" come "colpo di tosse" o
esplosiva
glottidea, per altro già sconfessata da Garcia, ne è un esempio).
Al contrario si suppone che il ricorso a un certo grado di tensione addominale (quale è fornito dall'antagonismo
diaframma/muscoli addominali e variabile in rapporto all'altezza. del suono) determini un funzionamento più
corretto ed
efficace delle corde vocali, con una fase di chiusura più completa della glottide e l'utilizzazione del minimo
indispensabile d'aria per ogni ciclo.
L'invito ad aumentare la pressione del fiato per sostenere determinate note acute o realizzare un crescendo, deve
perciò tradursi a livello cosciente in un'intenzione rivolta non a espellere più fiato e a dare più voce (anche se
indirettamente il risultato sarà un aumento fisiologico dell'intensità del suono), bensì semplicemente ad appoggiarsi
più
profondamente sul diaframma, mantenendo immutato il resto.
Questo è il significato pratico della distinzione, su cui insiste Celletti, tra "canto sul fiato" e "canto con fiato". Il
termine
"fiato" è in effetti ambiguo, in quanto comunemente associato a sensazioni dinamiche di espulsione dell'aria, con
tutti i
ben noti inconvenienti derivanti da un'accentuazione di questo aspetto. La chiave per la corretta interpretazione di
quest'espressione sta nella preposizione "sul": essa implica chiaramente (in linea con il significato di altre

espressioni
come "colonna del fiato", "trampolino", ecc., che già abbiamo visto) un'impressione di staticità e immobilità.
Queste
sensazioni sono originate sia dal diaframma (che si oppone al movimento dei muscoli addominali rallentandolo e
risucchiando l'aria nella parte bassa dei polmoni) sia dalla laringe che in questo modo rimane stabilizzata in
sospensione elastica al di sotto di un certo livello di guardia, senza salire come tenderebbe a fare, soprattutto per
l'intonazione delle note acute, nell'emissione "naturale". Quest'ultimo aspetto (l'abbassamento della laringe) è
influenzato dal primo (l'uso corretto dei muscoli della respirazione) e incide a sua volta sulla risonanza, allungando
il
padiglione acustico e contribuendo alla creazione di una sonorità più ampia, voluminosa e scura. Tutto ciò deve
risultare come conseguenza indiretta del coinvolgimento globale dei muscoli respiratori, non come effetto di un
intervento meccanico locale sulla posizione laringea, allo scopo di dare un'apparenza di rotondità e maturità al
suono.
Isolato dall'appoggio, questo determina una posizione rigida ed eccessivamente bassa della laringe, che confina le
risonanze della voce nella faringe (voce intubata).
"Appoggio" e "gola aperta" (quale risulta da una stabilizzazione, libera da tensioni, della laringe in basso)

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cooperano
per mettere in risalto quella dimensione della voce, cui si è soliti far riferimento coi termini: "affondo",
"profondità",
"rotondità" e "ampiezza" del suono.
Essa non è che uno dei due poli di una voce che abbia raggiunto la sua vera maturità, l'altro essendo rappresentato
dai concetti di "maschera", "punta del suono", risonanze "avanti" o "fuori", brillantezza.
Mantenere l'equilibrio tra gli elementi di questa dicotomia concettuale, senza che uno abbia il sopravvento sull'altro,
è
uno degli obiettivi finali più importanti e difficili dell'educazione vocale.

<note
<1 L'elemento discriminante tra quelle che abbiamo definito tensioni positive e tensioni negative è la funzionalità,
cioè
la possibilità di padroneggiarle intenzionalmente, graduandone l'intensità ai fini del controllo dell'emissione. Per
contro
la rigidità e le contrazioni spiacevoli sono un "punto di non ritorno", oltre il quale non è più possibile modulare la
voce,
rappresentano insomma un peso o un freno "subiti", non uno strumento di controllo.

5. Il ruolo del fiato nell'emissione e l'evoluzione dell'appoggio

Che la voce cantata sia assimilabile a uno strumento a fiato è una costatazione abbastanza ovvia; non stupisce
perciò
che la nozione di fiato figuri in moltissime espressioni e affermazioni e che esso sia chiamato in causa per
assolvere le
funzioni più diverse. Così "girare il fiato" fa riferimento o al meccanismo del passaggio o al fenomeno
dell'emissione in
maschera, mentre "sostegno del fiato" allude in qualche modo ai mezzi per realizzare le variazioni dinamiche e di
altezza, che è l'argomento che qui c'interessa approfondire.
Il rapporto tra fiato e intensità del suono è incontestabile, ma data la genericità del termine "fiato", è bene
specificare
che non si tratta nè di velocità nè di quantità, bensì di pressione dell'aria sotto la glottide. Questa prima
precisazione dà
l'idea della complessità del fenomeno, mettendo l'accento sul concetto astratto di "fiato", come queste espressioni
implicano e molte scuole di canto suggeriscono.
Innanzitutto, se è vero che il fiato condiziona il funzionamento delle corde vocali è anche vero che il rapporto tra i
due
non è univoco, per cui anche le corde vocali condizionano e regolano il flusso del fiato. A sua volta però il
funzionamento corretto della laringe dipende da come si riesce a liberarla dalle tensioni nocive grazie a quel
sistema di
equilibri e di antagonismi muscolari in cui consiste appunto l'appoggio.

A questo punto,muscolare)
coordinazione volendo tener
legatipresenti anche gli aspetti
all'apprendimento psicologici
del canto, risulta(oltrechè
evidente icome
problemi puramente
la validità della meccanici
nozione di di
"fiato"
vada valutata non solo sul piano teorico, ma anche e soprattutto su quello pratico-pedagogico.
Il cantante che abbia raggiunto un'emissione veramente corretta, basata sull'automatismo nella regolazione
dell'appoggio e dei risuonatori, arriva a percepire il fiato come unico elemento di controllo cosciente per la
realizzazione sia dell'uguaglianza dei registri, sia delle variazioni dinamiche, sia, infine, del legato. Addirittura gli
sembra che il suono navighi o fluisca liberamente "sul fiato", senza il minimo sforzo da parte della laringe o della
gola
per produrlo. Di qui l'enorme diffusione di queste espressioni. Diversi tuttavia sono evidentemente i problemi e le
esigenze di un principiante.
Dandodiper
grado scontata nellacanto
condizionare l'importanza
successiva, della respirazione
espiratoria), (soprattutto
porre l'accento nella sul
astrattamente prima fase,
fiato, inspiratoria,
prima in quanto
che sui suoi fattoriindi
controllo, significa sul piano pratico invertire i rapporti causa-effetto col risultato concreto di una utilizzazione
molto
problematica di questa nozione, così come succederebbe se insegnando a giocare a tennis, parlassimo della

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velocità,
della traiettoria o della rotazione della palla, senza spiegare come s'impugna e si maneggia la racchetta.
Una prima interpretazione, frequentissima, di queste espressioni fa dipendere la realizzazione dell'altezza e della
potenza del suono dalla quantità di fiato emessa. Conseguentemente si tenderà in fase inspiratoria a immagazzinare
quanto più fiato è possibile, operazione che può essere utile come puro esercizio respiratorio "muto" per focalizzare
l'attenzione dell'allievo sui muscoli coinvolti nella respirazione, ma che rischia di essere dannosa se applicata al
canto
in quanto l'eccesso d'aria produce una tensione eccessiva nelle corde vocali che va a detrimento della qualità del
suono, oltre ad accentuare la tendenza a usare la laringe per trattenere il fiato.
Per quel che riguarda il rapporto fiato/altezza del suono diremo intanto che non è certamente facendo concentrare
l'allievo sulla sensazione della quantità di fiato emesso che si potrà sperare di fargli acquistare acuti efficaci, anche
se
effettivamente a un suono prodotto al di sopra del passaggio corrisponde un'emissione di fiato maggiore di quella
necessaria per un suono centrale. Questo è stato sperimentato scientificamente ed è spiegabile col fatto che
coprendo
la voce (= attuando il passaggio) la glottide si rilassa, le corde vocali si allontanano dal punto di fusione e aumenta
di
conseguenza la quantità di fiato emesso.
La sensazione di un accresciuto flusso del fiato e di un intensificarsi delle azioni respiratorie a livello muscolare è
percepita molto chiaramente da chi "copre" e "appoggia" correttamente ed è probabilmente alla base dei
tradizionali
inviti ad appoggiarsi o "sedersi" sul fiato.
Tuttavia la chiave del meccanismo del passaggio (di cui parleremo nel prossimo capitolo) non sta certamente nel
fiato
e insistere su questa strada sarebbe come, avendo costatato, per esempio, che il funzionamento di un motore a
scoppio è associato sempre a una certa produzione di calore, sperare di metterlo in moto riscaldandolo. Per
analogia è
scorretto mettere in rapporto la potenza del suono esclusivamente col fiato; se è vero infatti che quest'ultimo
aumenta
passando da un mezzoforte a un forte, tuttavia la fuoriuscita massima di fiato non si ha nè col forte nè col
mezzoforte,
bensì col piano (essendo la glottide più aperta) e resta così escluso che la potenza sia effetto semplicemente del
fiato.
Se questo concetto riduttivo si radica, le conseguenze pratiche saranno le seguenti: per aumentare l'emissione del
fiato e la sensazione corrispondente, l'allievo sarà portato a:
1) intensificare l'espirazione, agendo sui muscoli addominali, ma lasciando rilassato il diaframma, ciò che
comunemente corrisponde a "tirar dentro la pancia". Questo incontrerà l'approvazione dell'insegnante, per il quale il
sostegno si realizza semplicemente "alzando il diaframma".
Se il suono da produrre si trova nella zona centrale e la contrazione dei muscoli addominali contro il diaframma
rilassato viene attuata bruscamente, l'effetto realizzato sarà al massimo quello di suono spinto, quando non ne
venga

compromessa
efficace l'intonazione;
sostegno se invece
e la nota sarà si otratta
o debole di una nota acuta, il diaframma rilassato non darà luogo a nessun
gridata.
2) mantenere il diaframma rilassato e, continuando ad agire sui muscoli addominali, ridurre inconsapevolmente
l'intensità del suono, che è il modo più semplice per ottenere quell'accresciuta espulsione del fiato con cui l'allievo
identifica l'appoggio. Quello ottenuto sarà il classico suono "pieno d'aria" e stimbrato, che verrà rifiutato
ovviamente
dall'insegnante.
3) coinvolgere nell'attività di espulsione del fiato anche la muscolatura della laringe, ciò
che è sufficiente (anche attuando correttamente il sostegno) per impedire a livello laringeo
la rilassatezza necessaria per il corretto funzionamento delle corde vocali: l'emissione ancora una volta sarà
"spinta".
Soffermarsi ad analizzare le conseguenze pratiche negative dell'uso di certe espressioni potrebbe sembrare
superfluo
se nelle attuali scuole di canto facesse seguito a esse un'indicazione un po' più precisa delle coordinazioni
muscolari
necessarie per metterle in pratica. Purtroppo non è così ed esse restano semplici etichette che coprono contenitori

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vuoti; dovrà essere l'allievo, da solo, a interpretarle e sicuramente l'attenzione focalizzata sul fiato lo porterà fuori
strada.
L'aumento della quantità di fiato emesso deve essere concepito come effetto collaterale di quella corretta
coordinazione muscolare che sola rende possibile l'appoggio, dato che esso si può ottenere anche, abbiamo visto,
con
metodi che non incidono affatto positivamente sul suono prodotto. Nei concetti mentali di produzione vocale che
inizialmente vengono elaborati è bene sia assente ogni intenzione cosciente finalizzata all'aumento del fiato, pena il
rischio dei suoni pieni d'aria o spinti.
Semmai, paradossalmente, è più utile il contrario: fingere che il cantante non sia uno "strumento a fiato" e pensare
di
non dover affatto utilizzare l'aria, benchè l'emissione del fiato sia ovviamente un dato di fatto e vari in rapporto al
tipo di
suono da produrre (forte, piano, centrale, acuto). Il risultato è di solito un immediato rilassamento della laringe con
un
notevole miglioramento della qualità del suono.
Come si spiega tutto ciò? Il passaggio del fiato attraverso la glottide aumenta l'ampiezza
delle vibrazioni in senso verticale, ma non in senso orizzontale delle corde vocali. Dei due
tipi di vibrazione che contemporaneamente si verificano, pare che il primo incida sulla
qualità del suono, e il secondo al contrario sull'intensità.
Maggiore è l'ampiezza delle vibrazioni in senso orizzontale delle corde vocali, maggiore è la chiusura della glottide
e
maggiore è di conseguenza la pressione dell'aria. A sua volta l'efficacia dell'azione delle corde vocali dipende
all'attuazione o meno di una certa tensione addominale. Così quest'ultima costituisce uno dei presupposti più
importanti per la realizzazione degli effetti dinamici.
Aumentando la tensione addominale, per esempio, otteniamo come effetto anche un aumento della pressione
dell'aria
(se le corde vocali sono chiamate a realizzare un forte) ed è in questo senso che parlavamo prima di coordinazione
muscolare corretta (che dà luogo a un aumento della tensione addominale e della pressione dell'aria) o errata (che
si
risolve soltanto in un aumento della fuoriuscita del fiato, senza incidere minimamente sull'intensità), usando quindi
come criterio di valutazione la capacità di aumentare in maniera adeguata la tensione addominale, in cui Consiste
in
definitiva l'appoggio.
Come si realizza dunque questa tensione addominale?
Abbiamo visto che diaframma e muscoli addominali sono tra loro antagonisti e che le funzioni respiratorie a cui
sono
adibiti sono abbastanza distinte da poter affermare che il primo è un muscolo essenzialmente inspiratore e i secondi
espiratori. Solo partendo da questa consapevolezza si può arrivare a un controllo indipendente e separato delle due
forze, indispensabile in quella zona acuta dove la coordinazione muscolare necessaria per sviluppare un adeguato
sostegno si allontana da quella automatica e istintiva della respirazione normale.
Purtroppo generalmente non si ha un'idea chiara delle diverse funzioni esercitate da questi muscoli, anzi in quasi

tutte
le scuole di canto si parla esclusivamente (quando se ne parla) di diaframma e in un modo che molto spesso lascia
trasparire la sostanziale ignoranza della precisa funzione di questo muscolo. Quando un insegnante invita a
sostenere
col diaframma una certa nota, controllandone visivamente l'effettuazione sulla base del movimento esterno
dell'addome che si ritrae, può anche darsi che il diaframma in realtà rimanga rilassato. Ora se si pensa che il
diaframma quando è contratto (cioè quando entra in azione) può soltanto scendere, non possedendo una
muscolatura
in grado di sollevarlo, risultano chiare due cose:
1) quando l'addome si ritrae e il diaframma si solleva, sono in realtà i muscoli addominali a essere sollecitati,
provocando indirettamente il sollevamento del diaframma;
2) esistono due modi
esclusivamente per ottenere
sui muscoli il sollevamento
addominali, lasciando del diaframmarilassato,
il diaframma con l'addome ritratto:
il secondo nelilcontrarre
primo consiste nell'agire
il diaframma (che
quindi tenderebbe a scendere, spingendo in fuori l'addome) opponendo nello stesso tempo a questa forza verso il
basso una superiore forza verso l'alto, data dalla contrazione dei muscoli addominali. Nei due casi il risultato
esterno

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visibile è lo stesso, ma solo il secondo metodo è in grado di realizzare una sufficiente tensione addominale.
Si spiega così l'apparente paradosso per cui in molte scuole di canto si insegna che gli acuti si sostengono alzando il
diaframma, mentre in altre si insegna che si sostengono abbassandolo. L'ignoranza della coesistenza di due spinte
contrapposte ha fatto sì che si formassero e diffondessero due interpretazioni (apparentemente contradditorie
perchè
parziali) del meccanismo dell'appoggio, ognuna fondata sulla presa di coscienza di una sola delle due forze in
gioco.
È in base alla capacità di mettere in moto e di suscitare in nuce questo antagonismo che viene giudicata la
correttezza
dei vari tipi di respirazione. Nella respirazione normale, tranquilla, l'espirazione non coinvolge i muscoli
addominali,
essendo prodotta essenzialmente dal ritrarsi elastico dei polmoni. Non c'è intervento apprezzabile dei muscoli
addominali e quindi nessuna possibilità di controllare efficacemente la fase espiratoria neppure nella respirazione
costale clavicolare, che si attua alzando le costole superiori: in essa infatti l'espirazione avviene essenzialmente
attraverso il rilassamento dei muscoli che hanno determinato l'innalzamento delle costole superiori. Contribuiscono
inoltre a renderla assolutamente sconsigliabile altre due considerazioni: la quantità d'aria immagazzinata in questo
modo è molto ridotta per la limitata possibilità di movimento delle costole superiori e di espansione dei polmoni e
sussiste il pericolo che i muscoli interessati interferiscano col funzionamento della laringe. Per evitare questo tipo di
respirazione "alta", che sempre si è portati ad attuare agli inizi degli studi, quando si viene invitati a incamerare
una
grande quantità d'aria, è perciò utile indirizzare gli sforzi inspiratori all'espansione della gabbia toracica inferiore
(senza
per altro bloccare la parte superiore) tramite
1) l'abbassamento del diaframma con l'addome sporto (zona epigastrico-ombelicale)
2) l'innalzamento delle costole inferiori
3) la riduzione della lordosi lombare.
Questo tipo di respirazione costo-diaframmatica è in grado di porre in sufficiente tensione elastica le due forze
antagoniste già alla fine del primo atto inspiratorio e di variare a ogni istante il rapporto e il livello di tensione
diaframma/muscoli addominali.
L'attacco di ogni linea melodica viene perciò fatto precedere da una inspirazione sufficientemente profonda e
coincide
con l'inizio della fase espiratoria. Realizzata in questo modo, la tecnica dell'appoggio offre il vantaggio
(importantissimo
all'inizio quando si deve fissare la corretta impostazione fonatoria) di favorire l'abbassamento della laringe, fatto
questo, la cui importanza si può valutare appieno quando si pensi che la posizione bassa della laringe è una delle
caratteristiche fondamentali che differenziano il canto artistico da quello "naturale" o incolto.
La respirazione costo-diaframmatica rimane corretta, anche consentendo un leggero
innalzamento della gabbia toracica superiore in fase inspiratoria. Importante è l'armonia
generale e la "morbidezza" con cui si attua l'inspirazione. L'immagine sintetica è quella di
un ampliamento circolare (quindi frontale-dorsale, superiore-inferiore) della "camera d'aria" toracico-
diaframmatico-

addominale,
questa su cui
pressione appunto, cantando,
si manifesta ci si appoggia
facendo sporgere e che si
l'epigastrio, maassesta, premendo di
non l'ipogastrio, verso il basso.<1
cui occorre Frontalmente
graduare la risalita
senza bloccarlo in fuori.
Una volta superato il passaggio, il grado di tensione addominale (che è dato, ricordiamo, dalla continua resistenza
opposta dai muscoli inspiratori alle forze che tenderebbero a far subito risalire il diaframma e precipitare il torace)
aumenta in maniera considerevole e se sprovvisti di questo appoggio, i suoni risultano deboli e inefficaci. In questo
caso l'allievo che pure abbia attuato correttamente il meccanismo laringeo di copertura della voce (= il passaggio),
correrà il rischio di vedersi catalogati questi suoni (coperti, ma senza appoggio) come "indietro" o troppo chiusi o
addirittura come falsetto, dato che la mancanza di sostegno ne fa risaltare in maniera evidente l'inefficacia dinamica
e
la disuguaglianza rispetto all'emissione "aperta" o "di petto". Il lavoro dell'insegnante sarà teso allora al
raggiungimento
dell'"uguaglianza della voce", ma se il meccanismo dell'appoggio è ignorato, questa verrà ricercata ricorrendo a
metodi
che eludono invece che risolvere il problema, ossia rifiutando il diverso dell'emissione "coperta" ed estendendo in
alto

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l'emissione aperta, ossia aprendo il passaggio. In effetti il concetto di appoggio si chiarisce nel suo significato più
pieno
nel caso dell'emissione coperta che è la più "artificiale", mentre nella zona centrale della voce la coordinazione
normale, "naturale" di solito fornisce automaticamente il sostegno sufficiente dei suoni, nonostante le applicazioni
arbitrarie che questo trova nelle diverse scuole di canto. Una delle più comuni consiste nel far coincidere
l'intonazione di ogni intervallo melodico ascendente con una brusca e immediata ritrazione dell'addome. Questa è
in
rapporto con l'ampiezza dell'intervallo, per cui più acuta è la nota, più violentemente e più in alto viene sollevato il
diaframma. Poichè sappiamo che il sostegno è dato dalla spinta del diaframma contro i muscoli addominali, ne
risulta
che quest'improvvisa e accentuata ritrazione dell'addome è resa possibile solo grazie al completo rilassamento del
diaframma, ciò che impedisce il crearsi di una tensione addominale sufficiente per dar luogo all'appoggio. Esclusa
dunque l'efficacia di questo metodo per quel che riguarda la realizzazione dell'appoggio, la sua unica utilità
consisterà
al massimo nel ruolo di diversivo psicologico che agli inizi degli studi esso può svolgere dirottando l'attenzione
dell'allievo dalla zona della gola (non più identificata come la sede della potenza vocale) a quella dell'addome, esso
può permettere indirettamente un generale rilassamento di quelle tensioni che all'inizio contribuiscono a contrarre
la
gola.
Ma l'esigenza di un vero appoggio (che sia frutto cioè di tensione addominale) diventa indispensabile per sostenere
efficacemente i suoni coperti, soprattutto in zona molto acuta, per i quali la sensazione della tensione addominale si
amplia fino a comprendere la zona lombare posteriore e si avvicina a quella degli esercizi di ginnastica isometrica.
È
anche in questa zona del corpo che va immaginata la fonte della potenza vocale, cioè il "motore": di
qui l'espressione "appoggio sulle reni". Nel canto a grande potenza e a tessitura elevata il modo migliore per
realizzare
quest'appoggio si ha facendo ricorso a quella che in termini medici viene definita bilancia pelvica. La figura qui
sotto
riportata ne illustra chiaramente il funzionaménto, che diventa automatico solo dopo opportuni esercizi.
fig. 11
Nella fig. 11a abbiamo la normale posizione eretta del corpo prima dell'inspirazione: si nota una inclinazione
ventrale
del bacino con lordosi lombare.
Nell'inspirazione, mentre il diaframma scende spingendo in fuori l'addome, il bacino deve gradualmente inclinarsi
dorsalmente in modo che il braccio anteriore della bilancia si alza e quello posteriore si abbassa (fig. 11 b),
riducendo
la lordosi lombare. In questo modo i muscoli anteriori e laterali dell'addome si mettono in tensione. Nel corso
dell'espirazione cantata (fig. 11 c), mentre il bacino tende progressivamente a riassumere la posizione della fig. 11
a,
occorre saper graduare in relazione alle esigenze di appoggio delle varie note l'inclinazione ventrale indicata nella
fig.

11 b. Inserita in questa dinamica respiratoria, la "sostenutezza" si rivela come importante elemento di controllo del
fiato
senza coinvolgere i muscoli pettorali.
Si spiegano così molte espressioni tradizionali molto diffuse nelle scuole di canto che, staccate dal contesto di
questo
complesso meccanismo, possono sembrare fra loro contraddittorie in quanto ognuna di esse isola e pone l'accento
su
una parte sola del meccanismo a scapito delle altre. Così "stringere le natiche" si riferisce all'azione dei muscoli
glutei
nel far ruotare il bacino, "sedersi sul fiato" sottolinea le analogie con l'atto del sedersi (dovute al fatto che in
concomitanza con l'inclinazione del bacino le ginocchia si piegano), "abbassare il diaframma" registra la sensazione
interna del diaframma
esternamente) che, che
dell'addome contraendosi,
si ritrae inscende
quanto,e essendo
infine "alzare
il cantoil in
diaframma"
definitiva testimonia
espirazione,il nonostante
fatto (visibile anche
la sua
tensione alla fine il diaframma deve cedere di fronte alla forza dei muscoli addominali che, comprimendo l'addome,
lo
sollevano.

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In questo complesso gioco muscolare è comunque evidente che il controllo diretto del diaframma (su cui ci si
appoggia
con elasticità come su un trampolino, facendolo sprofondare più o meno energicamente e con l'intervento o meno
della
bilancia pelvica a seconda dell'altezza della nota)<2 è preferibile al procedimento contrario del sollevamento del
diaframma tramite il controllo primario esercitato sui muscoli addominali, e questo per due motivi. Esso consente
infatti
una regolazione più morbida e armoniosa del flusso del fiato là dove l'intervento diretto sui muscoli addominali per
sollevare il diaframma provoca un brusco aumento nella fuoriuscita del fiato, che comporta un impoverimento della
qualità del suono e uno spreco d'aria. Dal punto di vista psicologico tutto ciò è causa ed effetto di due concezioni
che
contribuiscono ad aumentare le tensioni nocive sulla laringe: la prima, che immagina le note acute come qualcosa
da
"raggiungere" con un movimento muscolare verso l'alto (invece che immaginarle alla stessa altezza delle note
centrali
o addirittura più in basso); la seconda, che confonde la corrente del suono con la corrente d'aria, per cui spingendo
quest'ultima il più possibile fuori, ci si illude di arrivare alle note acute. Al contrario, come insegnano Myer e Lunn,
è
molto più utile immaginare di "invertire la direzione della forza vitale", ossia "cantare verso l'alto e pensare verso il
basso",<3 il che significa scordarsi che esiste il flusso del fiato e concentrarsi invece sul movimento cosciente del
diaframma verso il basso, vera sede mentale degli acuti.<4
Se veramente operante, questo nuovo atteggiamento mentale libera l'allievo dall'incubo della quantità di fiato che,
se
eccessiva, è causa di tensione e irrigidimento, oltre a rimanere di solito inutilizzata, perchè sprecata, con le
conseguenze negative sulla qualità del suono, cui già abbiamo accennato. Da più autori è stato messo in evidenza a
questo proposito come l'elemento chiave della respirazione non sia dato dalla quantità d'aria che uno riesce a
immagazzinare, ma dal modo con cui l'aria viene immagazzinata, che dev'essere il più possibile armonioso e
bilanciato
(come per annusare un fiore, suggerisce qualcuno).
Talmente ingannevole è l'esigenza di fiato manifestata spesso dagli allievi, che ancora è possibile intonare una linea
melodica dopo esserci svuotati dell'aria contenuta nei polmoni.
Il rilassamento benefico che fa seguito all'uso corretto del diaframma e dei risuonatori (di cui parleremo più avanti)
si
tradurrà così in un'emissione del suono non più spinta, ma finalmente libera.
La concezione qui esposta, che in questo equilibrio dinamico e flessibile tra forze contrapposte, inspiratorie ed
espiratorie, in cui appunto consiste l'appoggio, privilegia la presa di coscienza delle prime (in quanto normalmente
non
sperimentate nella fonazione) è condivisa da numerosi grandi cantanti del passato e del presente. Pertile affermava
che l'espirazione cantata "va appoggiata coi polmoni al diaframma". Kraus parla di "spingere in fuori lo stomaco"
(l'antagonismo tra le due forze, abbiamo visto, si manifesta infatti, già al momento dell'attacco, come epigastrio che
sporge), mentre Pavarotti (Académie de Chant, Ed. Bongiovanni) afferma esplicitamente che delle due componenti

del
meccanismo è sulla prima che bisogna consapevolmente far leva (senza che questo per altro, aggiungiamo noi,
significhi bloccare il graduale movimento di ritrazione della zona ipogastrica e ombelicale durante l'espirazione
cantata).
Chiaramente, ogni attivazione volontaria e cosciente della muscolatura dà luogo ad aggiustamenti grossolani, ma
questo si rende molte volte necessario nel primo periodo di studi per "rianimare" e mettere in funzione una zona del
corpo, normalmente non utilizzata parlando. Esercizi utili a tale scopo sono quelli basati sullo staccato o altri basati
su
intervalli ascendenti (ad esempio 1 - 3_ - 2 - 4_ - 3 - 5_ - 4 - 2), eseguiti prima "appoggiando" con impulsi
volontari di
"espansione" epigastrica le note sottolineate, poi, per compensare gli squilibri conseguenti a questi interventi
muscolari
diretti, semplicemente pensando di legare.
Nel corso degli studi, gradualmente la dimensione meccanico-muscolare deve essere superata e trascesa da una
superiore capacità di controllo di tipo indiretto e sintetico. Tutte le tensioni localizzate devono "sfumare" sullo
sfondo

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per lasciare il posto alla coscienza di un'armonia generale del corpo, di un'essenzialità di funzionamento dei
meccanismi a tutti i livelli e di una ritrovata naturalezza. Il canto cessa allora di essere percepito come un fatto
muscolare e diventa un fenomeno acustico, frutto di un "sistema oscillatorio che si autosostiene".

<note
<1 La nozione di "sostenutezza di petto" cui facevano riferimento gli antichi maestri, non va interpretata in
contraddizione con questo tipo di respirazione, ma come posizione ideale del corpo, che deve essere mantenuta
naturalmente eretta non solo durante la fase inspiratoria, ma anche durante la fase espiratoria, evitando di
"chiudere"
la gabbia toracica per svuotare d'aria i polmoni. Mantenendo ben sollevato il torace, è possibile inspirare sufficienti
quantità d'aria, espandendo soltanto le costole inferiori e senza eccessivo spostamento del punto di fissazione dei
muscoli addominali durante l'espirazione, che comprometterebbe il grado di tensione addominale. Petto in fuori si,
quindi, ma inteso come mezzo per garantire un'equilibrata distribuzione delle forze nella regione frontale (toracica,
epigastrica e ombelicale) e in quella laterale e dorsale, e non per attuare respirazione clavicolare, che sappiamo
dannosa.
<2 In questo senso va interpretata la frase di Lamperti "più alta la nota più profondo il fiato". L'abbassamento del
diaframma, muscolo inspiratore, dà l'impressione di un vero e proprio dilatarsi ed espandersi dello spazio interno
come
per un'inspirazione. La sensazione di elasticità è data dal fatto che l'appoggio non va realizzato tenendo bloccato il
diaframma contro i muscoli addominali irrigiditi, ma affondandolo con una spinta verso il basso per il sostegno
della
nota e rilassandolo progressivamente per consentire ai muscoli addominali di completare normalmente
l'espirazione.
<3 Questo espediente psicologico, detto anche "cantare sull'atto dell'inspirazione", sfrutta il riflesso istintivo
di rilassamento muscolare e di allargamento della gola, provocato dall'atto dell'inspirazione allo scopo di
facilitare l'ingresso dell'aria.
<4 La cosa è possibile se la respirazione è corretta, perchè in questo caso i muscoli addominali agiscono
automaticamente (essendo il canto espirazione) e il principale controllo cosciente rimane quello del diaframma,
che a volte asseconda e a volte contrasta i muscoli addominali.

6. Il "passaggio" o meccanismo di copertura della voce

Protezione delle corde vocali, possibilità di modulare morbidamente gli acuti e raggiungimento della propria
estensione
vocale completa sono, in ordine decrescente d'importanza, tre obiettivi che possono essere conseguiti solo quando,
superata una certa altezza tonale, si sia attuato quel meccanismo che tradizionalmente va sotto il nome di
"passaggio".
Altri termini, più o meno appropriati e immaginosi, per indicare lo stesso fenomeno sono "copertura della voce",
"girare
i suoni", "passare in testa", ognuno dei quali basato su una particolare percezione soggettiva di esso.
Scoperto in Italia ed esportato all'inizio dell'Ottocento, il passaggio è stato studiato in maniera approfondita da

Husson,
che per primo agli inizi degli anni '60 riuscì a chiarirne il funzionamento. A lui dobbiamo anche l'inserimento di
questo
meccanismo come fondamentale elemento protettivo della laringe in un sistema teorico più generale, teso a stabilire
il
grado di "sicurezza" e "affidabilità" di ogni tecnica vocale.
Non essendo purtroppo un meccanismo che entra in funzione automaticamente, bensì il frutto difficile di un
paziente
lavoro di ricerca personale, il passaggio è qualcosa che per il suo carattere di "artificialità" dà al soggetto che ne fa
esperienza una sensazione che non rientra nel quadro della sua "normale" coscienza della voce, quale gli è offerta
dall'emissione istintiva. Di qui le espressioni strane, che abbiamo visto, per indicarlo: "girare" o "coprire" la voce.
In
effetti, nel momento in cui per la prima volta si riesce a "penetrare" il passaggio, l'impressione che si ha è quella di
entrare in una dimensione del suono dove le normali leggi che governano la produzione della voce sono sovvertite:
mentre prima l'intonazione di una gamma di note ascendente era associata a una sensazione fisica e mentale di
ascesa verticale e di aumento della chiusura della glottide, superato il passaggio e salendo ancora, improvvisamente

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la
sensazione, diventa quella di orizzontalità (o addirittura di discesa = "nel salire scendi"), di allargamento della
faringe
("gola aperta e vocale chiusa") e della glottide (il "buco pieno d'aria soffiata al centro") e di estrema facilità e
leggerezza di emissione. Logico quindi che, guidato dal primo tipo di sensazioni, l'allievo alle prime armi non
concepisca neppure lontanamente il "miracolo" del passaggio e, superata la soglia critica, prosegua fragorosamente
e
rovinosamente (ossia a squarciagola nel senso letterale del termine) nella cattiva strada dell'emissione "aperta".
Di qui il tabù degli acuti, che purtroppo non basta da solo a scongiurare il deterioramento della voce, soprattutto
quando si tratti di uno di quei casi (molto frequenti) di mimetismo vocale, cioè di errata classificazione. Per fare un
esempio, mentre un vero baritono che non copra gli acuti, oltre a non poter raggiungere l'estremità della propria
gamma vocale, emette dei suoni che per la loro forzatura sono facilmente riconoscibili come scorretti, un falso
baritono
(che sia in realtà un tenore), avendo il passaggio più in alto, oltrechè un margine di sicurezza più ampio offertogli
dalla
propria potenziale estensione di tenore, è più probabile che riesca a spacciare per buona la moneta falsa dei suoi
acuti, raggiungendo, benchè a fatica, tutta la gamma alta dell'estensione di baritono. In questo caso, se l'insegnante
non è provvisto di un orecchio così penetrante da "smascherarlo", dovrà essere l'interessato ad acuire la propria
sensibilità ai segnali d'allarme emessi dal corpo sotto forma anche lieve di costrizione o di altre generiche
sensazioni
spiacevoli a livello laringeo e soprattutto di difficoltà a prolungare a piacere le proprie note acute.
Uno dei segni per riconoscere la voce coperta è infatti l'estrema facilità e fluidità di emissione, a prescindere dalla
potenza del suono prodotto che, come sappiamo, è effetto essenzialmente di un giusto appoggio. È questo un
discorso
che già abbiamo affrontato in precedenza, parlando delle classificazioni vocali e che qui ripetiamo per sottolineare
l'importanza, ricordando che le zone di passaggio per ogni voce sono: do3 - re3 per il basso, re3 - mi3 per il
baritono,
mi3 - fa3 per il tenore e un'ottava più in alto rispettivamente per il contralto, il mezzosoprano e il soprano.
Come si manifesta e da che cosa si riconosce il passaggio?
L'esempio cui Husson ricorre per spiegarlo è quello di un cantante, poniamo un tenore,
che intoni una scala ascendente nel registro "di petto" su una vocale aperta, partendo dalla
nota do). Superate senza problemi le note do e re, in prossimità della zona mi-fa la voce
si schiarisce e compaiono le sensazioni spiacevoli di costrizione cui abbiamo accennato; il
suono appare troppo aperto e un po' stridulo. Per proseguire senza che queste sensazioni
penose persistano e aumentino, qualcosa deve succedere. Questo qualcosa, cioè il passaggio, viene avvertito da chi
lo attua come una specie di scatto: per un attimo la linea del suono s'interrompe per ricomparire subito dopo con un
timbro improvvisamente più morbido e leggero e un colore più scuro, che ha come effetto quello di chiudere la
vocale.
Più importante è però sapere le modificazioni interne a cui questo meccanismo dà luogo e che sono le seguenti (v.
fig.
12):

1) le
2) i muscoli crico-tiroidei
corde vocali si contraggono,
si allungano, inclinando
la laringe nel in bassosierilassa,
suo complesso in avanti
cosìla che
cartilagine tiroidea;
l'ampiezza
delle vibrazioni delle corde vocali aumenta;
3) la laringe si abbassa e si dilata enormemente lo spazio faringeo;
4) il dorso della lingua si sposta in avanti;
5) Il palato molle si abbassa leggermente.<1
Emissione aperta
Emissione coperta
fig. 12
1. Palato duro
2. Bocca
3. Faringe
4. Lingua
5. Laringe
Come conseguenza di tutte queste modificazioni il suono emesso cambia: aumenta l'intensità di certi armonici,
mentre

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l'ingrandimento della faringe rinforza la fondamentale. La diversità delle due emissioni (aperta e coperta) è quindi
un
dato di partenza normale che, lungi dal disorientare o porre in un atteggiamento mentale di rifiuto, dovrebbe invece
rassicurare sul fatto dell'avvenuto passaggio.
Solo a questo punto ha senso incominciare il lavoro di "uguagliamento" delle "due" voci, mimetizzando il
passaggio.
Quasi sempre invece succede che della genesi della voce coperta nelle sue manifestazioni acustiche non si
conoscano le tappe iniziali di sviluppo, ma soltanto la fase finale, la più irriconoscibile, per la quale valgono i
riferimenti
rappresentati da cantanti famosi o da quelle rare voci dotate del passaggio "naturale", che cioè, pur essendo ancora
incolte, realizzano istintivamente la copertura dei suoni. Ora questi casi possono fornire un utile esempio didattico
solo
quando, conoscendo l'evoluzione della voce coperta nella sua gradualità, si riesca a metterne bene in luce gli aspetti
di
diversità dalla voce aperta rispetto a quelli di uniformità.
Questi ultimi infatti, costituendo il traguardo estremo del lavoro di mimetizzazione del passaggio e di uguaglianza
della
voce cui tende l'educazione vocale, sono, nei casi sopra citati, arrivati a un grado di sviluppo tale da confondere le
idee. Purtroppo tra i valori vocali coltivati di solito nei corsi di canto, morbidezza di timbro da una parte e volume
e
intensità dall'altra, sono quasi sempre i secondi a calamitare gli sforzi di insegnanti e allievi, ma sono proprio per
contro
questi che all'inizio dello sviluppo della voce devono essere sacrificati per dare luogo ai primi. Si tratta di un
sacrificio
solo provvisorio in attesa che l'allievo impari a far risuonare e a sostenere i suoni senza spingerli. Se l'insegnante
ignora questo, sarà spinto a imboccare la via apparentemente più breve, quella dello sconfinamento oltre il
passaggio
della voce aperta, che già soddisfa le sue esigenze di volume e di intensità e scambierà i segnali d'allarme che già
conosciamo (sbiancamento del colore e timbro stridente) per inconvenienti secondari superabili con un lavoro di
limatura. Altri due fattori contribuiscono a tenerlo lontano dalla strada giusta: la fobia del falsetto (misteriosa entità
carica di connotazioni negative) e l'illusione che i metodi usati finora per ampliare e sviluppare la zona medio-alta
possano essere utilizzati proficuamente anche per la zona acuta, che equivale, dovendo per esempio aprire una
porta,
a continuare a spingere quando invece occorre tirare. Com'è possibile questo?
Abbiamo visto in che cosa consista il meccanismo del passaggio; aggiungiamo ora che la contrazione del muscolo
cricotiroideo non è un atto volontario, anche se interviene automaticamente vocalizzando con la "i", che appunto
per
questo è nota come la vocale più indicata per esercitarsi nel settore acuto.
Esistono però dei segni, acustici e visivi, da cui facilmente possiamo riconoscere il passaggio:
1) innnanzitutto il meccanismo di copertura della voce ha la proprietà di chiudere tutte le vocali, per cui non è
possibile

cantaregiustamente
Come su vocali aperte,
è statouna volta effettuato
osservato a questo ilproposito,
passaggio.di ciò dovrebbero tener conto i compositori, evitando la
scelta
di vocali aperte oltre il passaggio. A sua volta il cantante, nei casi in cui può scegliere tra voce coperta e voce
aperta,
opterà per l'una o per l'altra (cioè per la vocale chiusa o per la vocale aperta) a seconda delle esigenze contingenti
della dizione e degli effetti espressivi da realizzare;
2) all'esecuzione del passaggio corrisponde un lieve abbassamento della laringe. Questo fatto è facilmente
sperimentabile, mettendo un dito sul pomo d'Adamo, che, coprendo, si muoverà verso il basso. L'inclinazione della
laringe è dovuta alla contrazione dei muscoli cricotiroidei, che invece non si verifica nel falsetto.
3) Durante il passaggio è possibile vedere il dorso della lingua alzarsi con conseguente aumento dello spazio
faringeo.
Pretendere che la lingua resti sempre piatta, qualunque sia l'altezza tonale considerata, significa incanalare la voce
verso quella che si definisce "apertura del passaggio", cioè in pratica impedire l'esecuzione del passaggio. Dei tre
fenomeni presi ora in esame il primo, cioè l'impossibilità di cantare su vocali aperte dopo il passaggio, è quello che
più

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disorienta chi non ne sia a conoscenza, anche perchè l'esperienza finora acquisita insegna all'allievo che più si sale,
più le vocali si aprono e si schiariscono. I vocalizzi basati su scale ascendenti sono quindi i meno indicati per far
imparare il passaggio, a meno che l'insegnante non abbia preventivamente messo in guardia l'allievo sulle difficoltà
che l'aspettano, controlli che questi non le schivi, "spianando" il passaggio, ed esiga a tutti i costi la chiusura della
vocale. In questo tipo di esercizi infatti l'esigenza che più viene in risalto, anche inconsciamente, è quella
dell'uniformità
di emissione e del legato melodico.
Per realizzarli l'allievo è portato istintivamente a evitare lo "stacco" del passaggio, anche perchè prima di diventare
un
atto riflesso il meccanismo di copertura comporta per ogni sua esecuzione un controllo cosciente dei risuonatori.
Ora,
nel caso dell'intonazione di una scala ascendente è molto probabile che la concentrazione sia distolta dalle
preoccupazioni di mantenimento dell'uguaglianza vocale o di agilità, e che l'emissione aperta condizioni
mentalmente l'allievo, impedendogli di passare a quella coperta. Prima di fare una scala è bene dunque che l'allievo
sia in grado di eseguire isolatamente il passaggio, allenandosi ad alternare più volte l'ultima nota aperta con la
prima
coperta.
"Alleggerire" la voce in prossimità della zona critica di una scala ascendente è una condizione necessaria, ma
purtroppo non unica, così come, guidando un'automobile, per cambiare marcia non basta semplicemente premere la
frizione o staccare l'acceleratore, benchè queste costituiscano operazioni preliminari indispensabili per il cambio di
marcia. Intanto l'alleggerimento non dev'essere ottenuto schiarendo la voce, cioè lasciando che la laringe si
alzi, ma al contrario scurendola leggermente una quarta sotto il punto normale del passaggio.
Questa preparazione del passaggio è anche il miglior modo per mimetizzarlo. Il risultato, cantando piano, è
quell'inconfondibile morbidezza di timbro che caratterizza questa zona media di una scala. Oltrepassato il
passaggio,
la voce si scurisce ancora: è il "colore oscuro" di cui parla Garcia. A questo punto però esso è soprattutto effetto
automatico delle modificazioni connesse col meccanismo di copertura dei suoni (lieve abbassamento del velo
palatino
con aumento delle risonanze di testa, ecc.) Cercare, nel caso in cui la copertura non sia stata effettuata, di ottenere
questo colore caratteristico con rimedi applicabili alla zona aperta, come il metodo delle compensazioni vocaliche
a-o,
e-eu, o-u (v. il cap. 7), può portare al massimo a un'emissione intubata-gridata, non certo alla copertura della voce,
con
cui non dev'essere assolutamente confusa.
Tutto ciò è inevitabile quando l'insegnante non conosca altro metodo di sviluppo della voce che nell'ambito
dell'emissione di petto o quando, volendo mascherare una voce per quello che non è (più scura che in realtà), tenda
a
confinarne le risonanze nella zona palatale posteriore o faringea tramite posizioni scorrette della lingua e della
bocca.
In casi come questi un espediente efficace per conseguire il passaggio e per incanalare la voce verso le cavità di
risonanza superiori può essere costituito dagli esercizi nasalizzati.

Della nasalizzazione
aspetti parleremo ancora a proposito della voce in maschera, dove ne metteremo meglio in luce gli
positivi e negativi.
Con questo termine si fa riferimento a tutti quei casi in cui il velo palatino, abbassandosi, mette in comunicazione la
cavità faringea con le cavità nasali e paranasali, modificando così il tipo di padiglione acustico.
L'abbassamento può essere completo o parziale.
1) È completo quando si canta a bocca chiusa: l'intensità dell'energia vibratoria percepita nella zona nasale (che è
indice del grado di nasalizzazione) sarà in questo caso massima.
È possibile mantenere lo stesso grado di nasalizzazione, anche aprendo la bocca: il dorso della lingua e il palato
molle
(velo palatino) allora si toccheranno per formare un ponte che esclude la bocca. Se nell'emissione di un suono
qualsiasi a bocca aperta (per esempio, la vocale "a") si passa dalla posizione a palato molle alzato (suono non
nasalizzato)
vedere a quella a palato
in corrispondenza con molle abbassato del
l'abbassamento (nasalizzazione completa),
palato, il dorso è possibile,
della lingua guardandosi
alzarsi, questo allo specchio,
movimento della lingua
è
lo stesso che interviene, sia pure in maniera meno accentuata, nell'esecuzione del passaggio, mentre quello del
palato

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non è percepibile visivamente dall'esterno.
2) L'abbassamento del velo palatino è parziale quando si emette una vocale nasalizzata, cioè quando si aggiunge a
una qualsiasi vocale la consonante "n" (an, en, in, un, on oppure na, ne, ecc.). È costruita su questo modello la
maggior parte degli esercizi nasalizzati in uso presso le scuole di canto. Basati come sono sull'uso di una
consonante
che "apre" alle cavità nasali, essi significano nella maggior parte dei casi la scoperta vera e propria di una cavità di
risonanza nuova, dove la voce (a prescindere da ogni giudizio sul risultato estetico) può trovare scampo grazie ai
benefici effetti fisiologici sulle corde vocali, connessi con ogni nasalizzazione.
In linea molto generale si può affermare che il ricorso a una nasalizzazione leggera (per esempio, con vocalizzi
preceduti da consonanti nasali) ha lo scopo didattico di indirizzare all'emissione in maschera, mentre una
nasalizzazione accentuata (quale comportano gli esercizi che qui sotto descriveremo) è usata come espediente
specifico (e quindi provvisorio) per arrivare a percepire il passaggio. Se consideriamo, per esempio, l'arpeggio
classico
1 - 3 - 5 - 8 - 5 - 3 - 1 sulla vocale "o", il conseguimento di un grado elevato di nasalizzazione potrà essere
raggiunto
nel far precedere e seguire la consonante "n" a ciascun grado dell'arpeggio, eventualmente intensificando il
momento
consonantico rispetto a quello vocalico.
Alcune modalità di esecuzione di questi esercizi possono facilitare il raggiungimento dello scopo:
1) il ricorso a tempi molto veloci (in modo da non indulgere nello spiegamento della voce e nella pienezza sonora);
2) l'accentuazione della nota più acuta di ogni arpeggio;
3) la ripetizione ininterrotta per più volte dello stesso arpeggio;
4) la sostituzione provvisoria del modello mentale di proiezione soggettiva orizzontale dei suoni (= in fuori) con
quello a
direzione verticale (in alto, direttamente verso il naso) e
5) del controllo uditivo esterno della sonorità con quello interno delle vibrazioni nasali. Di fondamentale
importanza,
ripetiamo infine, è la leggerezza di emissione, che facilita appunto il passaggio dal "meccanismo pesante" (alias
voce
"di petto", corposità, pienezza del suono) al "meccanismo leggero" (alias voce "di testa", morbidezza aerea,
altezza
del suono).
In questo modo va esplorata l'intera gamma vocale fino all'estremità più acuta: la nasalizzazione e la leggerezza di
emissione garantiranno un sufficiente grado di protezione delle corde vocali e, benchè non siano in grado di
determinarlo automaticamente, tuttavia faciliteranno l'apprendimento del passaggio. Arrivati a questo punto, si
tratterà
di prendere coscienza della diversa emissione che ha dato origine a quel particolare tipo di sonorità, associandola
magari a determinati concetti e immagini mentali che varieranno da soggetto a soggetto (potrà essere quello dello
sbadiglio, del pianto, del vomito, del riassorbimento interno del suono, ecc).
Percepire il passaggio e riuscire ad attuarlo non significa aver assicurato automaticamente un'emissione corretta nel
settore acuto, per la quale sono più che mai necessari un sufficiente appoggio, la mancanza di tensioni nella gola e

il
mantenimento del punto focale delle risonanze in maschera.

<note
<1 L'osservazione di quest'ultimo fenomeno si deve al foniatra olandese van Deinse.

7. Aspetti fonetici della risonanza

La risonanza (cioè la trasmissione e l'amplificazione tramite le cavità orale, faringea e nasale del suono iniziale
prodotto dalla laringe) è un fenomeno acustico della massima importanza in quanto: 1) contribuisce a determinare
in
larga
3) è parte la qualità finale della voce; 2) può facilitare od ostacolare il corretto funzionamento delle corde vocali;
controllabile dal cantante, che si serve delle sue manifestazioni uditive e vibratorie per una verifica continua della
correttezza di emissione. Il controllo dei risuonatori avviene attraverso l'aggiustamento delle sue parti mobili, che
sono

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la lingua, la mandibola, le labbra e il palato molle. A questi bisogna aggiungere la laringe, che come organo mobile
in
grado di salire e scendere lungo il tubo faringeo, può modificarne in maniera sensibile le dimensioni, allungandolo
o
accorciandolo con effetti acustici e fonetici di primaria importanza.
Le configurazioni che il padiglione acustico può così assumere sono teoricamente infinite, ma il controllo
muscolare
diretto che il cantante può esercitare su di esso è piuttosto grossolano, essendo gli aggiustamenti necessari realizzati
principalmente per via fonetica, cioè per mezzo della formazione vocalica.
Le dieci vocali fondamentali che conosciamo ("a", "e" aperta, "e" chiusa, "i", "oe" aperta, "oe" chiusa, "y", "o"
aperta, "o"
chiusa, "u") sono il risultato di altrettante configurazioni assunte dal padiglione acustico e rappresentano la
combinazione di più frequenze di risonanza.
La posizione più avanzata o arretrata della massa linguale nella cavità orofaringea è
quella che determina la prima importante suddivisione delle vocali in:
1) vocali anteriori ("i", "e" aperta, "e" chiusa),
2) vocali posteriori ("u", "o" aperta, "o" chiusa),
3) vocali miste ("y", "oe" aperta, "oe" chiusa), prodotte da una posizione intermedia della
lingua e dell'arrotondamento delle labbra.
La vocale "a", di per sè caratterizzata dall'appiattimento della lingua, può con lievi variazioni assumere le
caratteristiche
del primo o del secondo gruppo ed è quella che più fedelmente riproduce il suono originario prodotto dalla laringe.
L'abbassamento o la chiusura della mandibola, assieme ad altri aggiustamenti della lingua e delle labbra, è ciò che
produce rispettivamente il tipo delle vocali aperte e il tipo delle vocali chiuse.
Un'antica tradizione di pensiero (anche poetica) vede nel suono e nelle vocali un fenomeno analogo a quello della
luce
e dei colori, ambedue frutto di lunghezza d'onda e di frequenza. Le varie conformazioni assunte dal padiglione
acustico
sono in grado di selezionare, amplificare e smorzare gli armonici contenuti nel suono originario generato dalla
laringe, dando luogo alle diverse colorazioni vocaliche che abbiamo visto.
Per ogni vocale la distribuzione dell'energia tra la fondamentale e gli armonici che la compongono è diversamente
graduata e si parla anche di risonanza alta e di risonanza bassa più forte o più debole. La fig. 13 mostra per ogni
fig. 13 un grafico con varie frequenze per le varie lettere: 200 300 400 500 600 700 800
200 500 750 1000 1500 2000 2500 3000
a chiusa a aperta o aperta oe o chiusa u e aperta oe chiusa e chiusa y i
vocale il diverso grado di risonanza bassa (riportata in ordinata) e di risonanza alta (riportata in ascissa) che la
compongono. Ne risulta che, per esempio, "u", "y" e "i" hanno in comune la stessa risonanza bassa, ma si
distinguono
per una diversa risonanza alta e così pure, tra di loro, "o", "oe" ed "e" e via dicendo.
Essendo la qualità del suono emesso una questione di dosaggio di armonici, è evidente come la maestria di un
cantante dipenda in larga misura dalla capacità di mescolare tra di loro i colori vocalici in rapporto alle varie

altezze
tonali. Infatti ogni altezza è caratterizzata da una propria frequenza, che può non andare d'accordo con quella della
vocale (gli armonici della prima non potendo in tal caso trovare la risonanza adatta nella seconda).
Si può dire così che alcune vocali funzionano bene, facilitando l'oscillazione delle corde vocali, mentre altre sono
di
ostacolo. Di qui la necessità di un continuo adattamento del padiglione acustico alle frequenze delle varie note al
fine
di assicurarne il miglior risalto, attraverso un armonioso bilanciamento delle risonanze basse (che danno pienezza e
sostanza alla nota) e di quelle alte (che danno invece la brillantezza).
Questo lavoro di "sintonizzazione" con gli armonici del suono laringeo si effettua comunemente col metodo della
compensazione delle vocali: grazie a esso si "smussano" i suoni che eccedono in armonici acuti, liberando
risonanze
basse, e viceversa si dà vita a quelli troppo cupi e opachi, iniettandovi armonici alti.
Nel primo caso occorrerà mescolare la vocale data con quella immediatamente a sinistra sulla stessa linea
orizzontale
del triangolo delle vocali (v. fig. 13) e per le vocali situate sul lato sinistro del triangolo, con quelle

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immediatamente in
basso (es. "a", "o"). Il contrario per quanto riguarda il secondo caso.
Nella realizzazione pratica di questo obiettivo è facile eccedere, col risultato di alterare la fisionomia della vocale.
Così
inconsapevolmente la "a" diventa a tutti gli effetti una "o" aperta, la "u" una "o" chiusa, la "i" una "e" chiusa o una
"y" e
così via.
Quando questo succede è perchè il cantante non si limita a correggere una data vocale con piccole modificazioni
dell'apparato di risonanza, ma in realtà ne concepisce un'altra completamente diversa. Cantare una "a", pensando a
una "o" molte volte significa realizzare proprio una "o", mentre è più facile che l'identità della vocale sia
salvaguardata,
se si continua a concepirla come "a" e si limitano le correzioni a una modificazione della posizione delle labbra,
arrotondandole e unendo gli angoli della bocca sul modello della "o", ma conservando la cavità interna
corrispondente
alla formazione della "a", in altre parole con la lingua atteggiata ad "a" e le labbra atteggiate ad "o".
Nel canto le vocali sono pure, ma non fisse e statiche, essendo il frutto di un equilibrio tra diverse esigenze di
altezza,
di colore e di corretta funzionalità laringea.
Ogni parallelo che si voglia perciò instaurare tra voce cantata e parlata ha valore solo nel senso limitato di uguale
"naturalezza", facilità e libertà da costrizioni, da raggiungere però con posizioni notevolmente diverse degli organi
fonatori,<1 non certamente come base di un metodo didattico che miri a risolvere i problemi della voce cantata,
semplicemente facendo ricorso all'imitazione dei modi di emissione della voce parlata.
L'invito a "cantare come si parla" è perciò utilizzabile indirettamente come espediente per ottenere, cantando, un
funzionamento corretto delle corde vocali e un rilassamento della laringe quali si riscontrano parlando, non come
modo
di produzione delle vocali che nel canto sono "fluide"e "intercomunicanti" e nella voce parlata sono invece rigide,
prefissate e, per così dire, a "compartimenti stagni", spesso articolate con continue alterazioni della posizione della
bocca e delle labbra. Le analogie sono in definitiva più apparenti che sostanziali e riguardano ancora una volta le
sensazioni: una volta realizzato infatti un corretto accordo tra tutti i meccanismi vocali, l'impressione è che la voce
"corra" da sola, naturalmente, senza bisogno di essere "spinta", come appunto quando si parla.
Il metodo della compensazione delle vocali (teso a raggiungere, nel rispetto delle leggi
acustiche, la cosiddetta "risonanza simpatica" o "libera") non deve essere quindi confuso
con quello che si potrebbe definire della corruzione delle vocali, frutto di tecniche di
emissione a risuonatore fisso e a risonanza forzata. Questo inconveniente sorge in tutti quei
casi di impostazione basata sull'uso esclusivo o quasi di una vocale posteriore. Esercizi di questo tipo con
l'andar del
tempo irrigidiscono i risuonatori in una posizione predeterminata, che sarà mantenuta pressochè invariata per tutte
le
altre vocali, col risultato appunto di "violentarle" e con effetti disastrosi sulla dizione. Lo studioso americano
Berton
Coffin a questo proposito paragona alle canne di un organo il sistema vocalico della voce cantata, che ha nella

vocale
"u" la sua canna più lunga e la frequenza più bassa e nella "a" rispettivamente la più corta e la più alta. Cantare
con un
risuonatore fisso è allora come suonare un organo che abbia tutte le canne della stessa dimensione, situazione
abbastanza frequente purtroppo nella voce cantata in quanto molte "canne" si creano soltanto dopo un lungo
esercizio
di adattamento delle cavità di risonanza alle varie frequenze. Qual è di solito la canna "ipertrofica"? È la "o",
vocale per
definizione "indietro" ma stranamente privilegiata anche da molti fautori della voce "fuori". Il tipo di padiglione
acustico
che essa configura presenta una posizione della lingua molto arretrata, che confina le risonanze della voce nella
cavità
faringea. I motivi per cui si dà spesso la preferenza a questa vocale sono in parte validi. Essa è in grado di garantire
una posizione sufficientemente bassa della laringe e si sa che agli inizi degli studi, per una eccessiva contrazione
dello
spazio faringeo, la laringe tende ad assumere posizioni pericolosamente alte, che sfociano in sonorità stridule e

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"sbiancate", tipiche della voce "incolta". L'oscurarsi del timbro è quindi generalmente ben accetto, interpretato
com'è
quale segno di maturazione della voce. In realtà basta dare un'occhiata alla configurazione orofaringea relativa alla
vocale "o" (e "u") per rendersi conto di come l'aumentato spazio frontale sia compensato da una riduzione notevole
di
quello posteriore faringeo, conseguente all'arretramento della lingua.
Questa fa da sfintere con la parete della gola, aumentando la pressione in questa zona. Il risultato è che il cantante
gradualmente associerà l'esperienza del canto con questa sensazione di pesantezza, dovuta all'alta pressione e alle
risonanze faringee. La predilezione per il timbro scuro così creato porterà ad accentuare ulteriormente l'apertura
della
bocca, che, arrivata al massimo, bloccherà la mandibola in una posizione rigida, comprimendo la laringe in una
posizione eccessivamente bassa, mentre la lingua resterà definitivamente arroccata a cupola nello spazio
retrofaringeo. Cercare, partendo dalla fissità di questa posizione prestabilita, di impostare le altre vocali è non dico
impossibile, ma certamente non facile e senz'altro poco rispettoso degli altri timbri vocalici. La mandibola è infatti
irrigidita, le labbra troppo rilassate, la lingua quasi paralizzata e funzionante solo nella sua metà posteriore, una
parte
importante dell'apparato vocale (la "tastiera") è insomma disattivata e le sue funzioni sono innaturalmente surrogate
dall'apparato di risonanza, che verrà quindi usato attivamente, invece che restare spazio passivo. La concentrazione
è
tutta rivolta allo spazio faringeo (sede della sensazione della voce) e ipofaringeo, che appare eccessivamente
dilatato
e talvolta eccessivamente allungato per una posizione rigidamente bassa della laringe, sulla quale incombe
l'epiglottide
in posizione di parziale chiusura. Si parla in questi casi di voce "infossata" perchè tutto contribuisce ad accentuare
le
risonanze basse (che danno polpa, ma non "portata" alla voce) a spese di quelle alte (la cui assenza rende cupa e
opaca la sonorità). Per supplire alla scarsa capacità di risposta dei risuonatori è inevitabile allora il ricorso alla
risonanza forzata tramite un aumento della pressione del fiato e delle tensioni muscolari.
La tensione eccessiva delle corde vocali che ne risulta impoverisce ulteriormente la voce e il vibrato irregolare
testimonia il disaccordo esistente tra le diverse componenti dell'apparato vocale. Aumentare la spinta non risolve il
problema, così come non è alzando il volume che si migliora la ricezione di una stazione radio, quando questa sia
mal
sintonizzata. Per quanto riguarda la dizione, essa risulta compromessa perchè la lingua, eccessivamente arretrata,
rimane completamente inattiva nella sua parte anteriore (che è quella determinante ai fini della chiarezza e della
comprensibilità della pronuncia) e fortemente impedita nella scioltezza dei suoi movimenti.
In queste condizioni la "i", da vocale preziosissima per trovare il focus della voce (cioè il
punto di maggiore concentrazione delle risonanze) diventa la più problematica, in quanto
difficilmente conciliabile con la posizione della "o". Per di più molti, ignorando che a
questa vocale corrisponde sì un'apertura della bocca più ridotta, ma compensata da uno
spazio faringeo più ampio, s'illudono di aggiungere spazio e rotondità, pretendendo una
bocca spalancata. Normalmente questi tentativi di dare alla vocale "i" una grande apertura

della boccairrigidita
mandibola (di cui non ha bisogno)
e composta per falliscono
3/4 di "u" ee ilper
risultato è una
1/4 di "i". "y", emessa
L'esigenza, consèla
di per
giusta, di moderare nella zona acuta l'eccesso di armonici acuti presente in questa vocale,
viene così soddisfatta drasticamente a spese della sua identità timbrica o dei suoi pregi di
estrema brillantezza. La "mescolanza" di una vocale con un'altra invece, ripetiamo, non
deve alterarne la fisionomia, ma soltanto migliorarne la capacità di risonanza. Nel caso
specifico, come abbiamo spiegato parlando della "a", la compensazione con la vocale in
grado di "arrotondarla" ("e" o "y", a seconda dei casi) deve essere realizzata affidandosi
soltanto a una diversa posizione delle labbra, senza cercare di modificare intenzionalmente anche la cavità interna,
procedimento che porterebbe a una vocale completamente diversa e spezzerebbe l'illusione acustica di una chiara
distinzione e riconoscibilità delle varie vocali nell'emissione cantata. In tal modo la vocale "i" può essere
proficuamente
utilizzata per rimediare all'eccessivo appesantimento della voce, che fa seguito a un uso esclusivo di
vocali posteriori. I principali vantaggi offerti sono: una maggiore ricchezza di armonici, soprattutto acuti, una
posizione
non troppo aperta della bocca (che tenderebbe a spostare la colonna del suono dal punto di contatto con la

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"maschera"), un avanzamento della lingua (condizione ideale per una buona dizione), una "gola aperta" e infine
una
"penetrazione" automatica del passaggio là dove se emessa in modo scorretto, il passaggio di registro ha la capacità
di
smascherarla, trasformandola in vocale posteriore.
Tutti questi elementi fanno della "i" la vocale più "fuori", la più indicata insomma per una corretta impostazione.
Perchè
questi pregi siano però gradualmente comunicati ed estesi anche alle altre configurazioni della cavità di risonanza è
opportuno esercitarsi ad alternare continuamente, nell'ambito di uno stesso vocalizzo, la vocale "i" con altre vocali.
Si tratterà all'inizio di vocali della stessa serie, cioè anteriori ("e" aperta, "e" chiusa) in
modo da consentire un condizionamento corretto: la successiva continua alternanza nello
stesso vocalizzo con le altre vocali costituirà poi un ottimo esercizio di mobilità ed elasticità, che impedisce ogni
irrigidimento in posizioni fisse e predeterminate dell'apparato di risonanza. La mobilità della mandibola, ottenuta in
questo modo, è la migliore garanzia della sua rilassatezza, che è l'ossessione di tutti coloro i quali, avendo abusato
di
scale ed esercizi monovocalici, sono arrivati a considerare erroneamente una data posizione della
mandibola (o della lingua) come essenziale per la corretta emissione. Torneremo più avanti
a parlare della dinamica tensione/rilassatezza nel canto, questione tra le più dibattute e controverse della didattica
vocale.
Al controllo indiretto dei risuonatori, quale abbiamo visto messo in atto dal processo fonetico, si aggiunge inoltre,
nella
misura in cui esso è possibile, il controllo diretto, ricavato, sulla scorta del primo, dall'osservanza di determinati
principi
acustici: di questo proseguiremo la trattazione nel prossimo capitolo; insieme essi contribuiscono a realizzare
quell'emissione ideale che con diverse immagini viene di volta in volta definita "canto sul fiato", "voce in
maschera",
"altezza del suono", "raggio della voce" e così via, tutte espressioni accomunate da una medesima sensazione
"aerea"
ed euforica di leggerezza e facilità di emissione.<2

<note
<1 Posizione più bassa della laringe e più avanzata della lingua, "gola aperta", movimenti articolatori più ridotti,
ecc.
<2 Il fatto che tanta parte abbia nel realizzarsi di questa condizione "magica" la presenza delle risonanze alte, ha a
che
fare anche col fenomeno soggettivo dell'audizione, una specie di miraggio acustico per cui, a parità di energia
elargita,
certi suoni vengono percepiti dall'orecchio come più intensi di altri. Questo spiega anche perchè le voci piccole ma
a
fuoco si sentono meglio di quelle grosse, ma intubate.
L'orecchio è cioè particolarmente sensibile a determinate frequenze alte, che danno brillantezza e qualità alla voce

eche sono presenti nella vocale "i". Accentuare invece le dimensioni delle cavità basse per far risuonare meglio la
fondamentale a scapito degli armonici acuti, oltrechè sconsigliabile per i motivi esposti sopra, è superfluo in quanto
l'orecchio, come analizzatore armonico, è in grado di ricostruire la fondamentale anche quando è debole.

8. Il controllo dei risuonatori

Mentre nella ricerca di una giusta coordinazione tra i fasci muscolari che realizzano l'appoggio (vedi cap. 4) la
sensazione guida è quella di un diverso grado di tensione in rapporto alla quantità di energia sviluppata, il
presupposto
di un corretto funzionamento dell'apparato di risonanza (con l'eccezione di alcuni muscoli facciali che vedremo) e
di
quello fonatorio, a esso strettamente legato, è invece una sensazione di completa rilassatezza (come quando si
parla).
Siamo arrivati così a una delle parole-chiave di tutta la didattica vocale, che più hanno dato origine a malintesi e
controversie. Quello di rilassatezza è in effetti un concetto relativo, dato che a rigore anche il fenomeno della

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fonazione
e il controllo delle cavità di risonanza comportano naturalmente, perchè possano aver luogo, la tensione di
determinati
muscoli. Così molti parlano di rilassamento attivo per distinguerlo da uno stato negativo di torpore, mentre noi
abbiamo
sottolineato che si tratta di una sensazione interna più che di una condizione oggettiva.
C'è chi in effetti, come Arnold Rose, ha voluto contestare la validità di tale nozione anche in quest'ultimo senso,
mettendone in evidenza la relatività. "Un cantante" egli scrive nel suo The singer and the voice, "che dopo molti
anni di
allenamento e di esperienza abbia acquisito un tale controllo sopra certi muscoli che essi attuano la tensione
desiderata senza sforzo cosciente da parte sua, troppo spesso conclude che è questa la sensazione più importante cui
far riferimento e cerca di far rilassare l'allievo nello stesso modo [...]. Egli non si rende conto che l'invito "fai come
faccio io" è altrettanto sensato quanto quello di un sollevatore di pesi che cercasse di aiutare un giovane alle prese
con
un peso da 200 libbre, dicendogli: "Non stare così rigido, giovane. Guarda me, è facile: stai più rilassato!". Questo
è
senz'altro vero per quanto concerne quella parte del corpo che rappresenta il "motore" della voce (muscoli
respiratori),
ma può dar luogo a pericolosi malintesi, se riferito alla zona della laringe e della gola. Interpretare, seguendo
questa
logica, una sensazione di sforzo o di affaticamento in questa zona come uno stadio necessario nello sviluppo della
voce può avere conseguenze molto deleterie ed equivale a sottovalutare un importante segnale d'allarme. La
mancata
contrazione dei muscoli dell'appoggio è altrettanto grave, ma come sensazione-spia è superflua perchè
automaticamente accompagnata da contrazioni eccessive nella zona che deve restare "rilassata".
Il contrario purtroppo non si verifica, per cui un giusto gioco di tensioni tra i muscoli respiratori non garantisce
necessariamente la rilassatezza dovuta a livello laringeo e faringeo. Questo è anche il motivo per cui gli inviti a
rilassare la gola sono molto più frequenti di quelli rivolti a contrarre il diaframma. La rilassatezza va intesa come
assenza totale di ogni sensazione spiacevole di costrizione o di affatticamento anche lieve ed è frutto di
un'equilibrata
distribuzione delle tensioni, così come succede per tutte le funzioni del corpo quando avvengono in condizioni
normali
e non patologiche. Considerata la delicatezza dell'organo fonatorio, questa deve essere considerata come la
sensazione più importante di cui deve tener conto il cantante e il fondamento di ogni corretta tecnica vocale.<1
Purtroppo a molti allievi sembra impossibile che alla produzione di un volume di voce poderoso sia associata una
sensazione di leggerezza di emissione, così arrivano a concludere erroneamente che quella non è che la meta finale
di
un processo di sviluppo che ha come tappe lo sforzo e la fatica.<2 Questa falsa concezione, che è per metà frutto di
Spirito di sacrificio e per metà di una volontà di bruciare le tappe, viene applicata con effetti disastrosi soprattutto
per
aumentare il volume e l'estensione. Lentamente l'allievo acquisisce nei confronti del canto un atteggiamento stoico-

atletico,restando
Fermo che lo fache
reagire con di
la natura unogni
aumento di spinta
esercizio e di
vocale tensione
è quella di fronte
di un alle situazioni
allenamento vocali
muscolare, più semplici.
bisogna tuttavia
insistere
con forza sul fatto che alla base di esso, qualunque sia la tecnica seguita, ci dev'essere appunto la rilassatezza, cioè
un senso di comodità e di morbidezza di emissione. Il raggiungimento di questa condizione è la meta del lavoro
dell'allievo e dell'insegnante, lavoro che è per metà di natura psicologica e per metà di natura meccanica e consiste
in
una progressiva eliminazione delle tensioni che interferiscono in maniera negativa nel processo fonatorio.
Trattandosi
di una disattivazione delle tensioni "negative", più che di una iperattivazione di quelle "positive", ogni educazione
è in
un certo senso
semplici questauna rieducazione
situazione e ha spesso
è paragonabile i caratteri
a quella di undiautomobilista
un autocontrollo
chepassivo invecesaperlo
viaggi senza che attivo.
con ilNei casia più
freno mano
azionato; in questo caso la stessa velocità ottenuta, costringendo la macchina a un superlavoro nocivo e
dispendioso,
può essere raggiunta semplicemente abbassando il freno a mano e decelerando. Questo vale soprattutto per l'attacco

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del suono, che deve essere dolce e senza colpi di glottide.
Altre volte essa è frutto di un atteggiamento mentale tale per cui l'allievo si pone come soggetto attivo di tutto il
processo vocale, pretendendo un controllo cosciente e totale. In tal modo non si tiene conto del fatto che la natura
dell'emissione vocale, volendo parafrasare Rimbaud, non è quella di un "io canto", bensì quella di un "mi si canta".
Ogni controllo totale e cosciente è, oltrechè impossibile, nocivo perchè si traduce in un aumento di tutte le tensioni,
l'educazione vocale essendo rappresentata per il 30% da un fare le cose e per il 70% da un lasciare che le cose
succedano. Una volta così "incanalata", la voce scorre da sola nella direzione tracciata. Incanalarla (o impostarla)
significa sostituire i condizionamenti precedenti che non rispondono agli scopi prefissatici (acustici, estetici,
fisiologici)
con altri che meglio soddisfano le nostre esigenze. Proprio perchè anche questi sono trasmessi con
l'apprendimento, i
primi non si possono definire più "naturali" degli altri, ma soltanto precedenti. Ne deriva che certe strane posizioni
che
vengono fatte assumere alle labbra o alla lingua per migliorare il rendimento acustico della voce, non sono più
innaturali di quanto lo siano le posizioni della mano sinistra nello studio del violino o, per restare a noi, la
formazione
delle vocali e delle consonanti nella voce parlata. Esse rappresentano la componente di controllo diretto esercitabile
sulla voce cantata o, volendo ricorrere al consueto paragone meccanicistico, il volante che ci permette di guidare la
macchina nella direzione voluta e che come tale è l'ultimo elemento di un complesso d'ingranaggi direttamente non
controllabili, ma da esso dipendenti.
Nel caso dei risuonatori questi elementi-cardine sono costituiti dalle labbra, dalla mandibola, dalla lingua e dal
palato
molle. Il tipo di conformazione che le labbra devono assumere durante l'emissione viene di solito sottovalutato
dagli
insegnanti di canto a favore di un maggiore interesse rivolto al ruolo della mandibola. Senza arrivare a negare
l'importanza di questa nel determinare il grado di apertura della bocca, ci sembra d'altra parte che l'elemento chiave
in
grado di sbloccare l'eccesso di tensioni che si accumulano in questa zona cruciale dello strumento-voce sia
costituito
dal controllo della lingua e non della mandibola. Uno dei motivi più frequenti di tensione e di rigidità della
mandibola è
facilmente individuabile nell'eccessivo abbassamento a cui essa è costretta per realizzare una più grande apertura
della bocca, che è a sua volta una conseguenza diretta di un'impostazione poitrinée mirante a sonorità scure e
profonde.
L'aumento infatti del grado di apertura della bocca (in maniera sempre controllata e mai eccessiva) allo scopo di far
trovare alla voce tutto il suo spazio di risonanza, si rende necessario soltanto nella zona acuta. Estendere
indiscriminatamente questa pratica a tutte le zone della voce comporta il rischio di un arretramento della lingua,
con
tutte le conseguenze che abbiamo visto essere tipiche delle tecniche di emissione a risuonatore fisso: oscuramento
del
timbro, perdita delle risonanze "alte", pronuncia impedita.<3

Mentre il grado
lunghezza) è di apertura della bocca è determinato dalla mandibola, il tipo di apertura (in larghezza o in
determinato invece dalla diversa posizione delle labbra. Il primo tipo corrisponde a quella che viene definita da
tutta
una tradizione didattica - che risale al Settecento e comprende tra gli altri Mancini e Garcia - "bocca a
sorriso" ed è stato contestato più recentemente da numerosi studiosi, che ne hanno rilevato
la tendenza allo "schiacciamento" della voce, salvo a interpretarla non letteralmente, ma
come diffida contro un abbassamento eccessivo della mandibola. In realtà essa ha una funzione espressivo-
coloristica
specifica, che chiariremo qui di seguito, diversa da quella conseguibile con l'apertura in lunghezza, ma ugualmente
legittima. Le varie posizioni di apertura della bocca sono infatti anche in funzione di un diverso uso degli spazi
interni di e hanno lo scopo di mettere più o meno in risalto questa o quella caratteristica del suono o ingrediente
risonanza
acustico. Solo così si spiega perchè tutta una tradizione didattica che va fino all'Ottocento abbia individuato nella
bocca
a sorriso la posizione ideale di apertura, con un brusco mutamento di indirizzo verificatosi appunto dopo la seconda

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metà del XIX secolo, quando Salvatore e Mathilde Marchesi incominciarono a bollarla come
contraria alle leggi acustiche, propugnando l'apertura verticale, "in lungo".
Escludendo che un suggerimento tecnico riconosciuto come valido da un'esperienza secolare sia potuto
improvvisamente diventare contrario alle leggi acustiche, l'ipotesi più probabile è che il vecchio modo non si
confacesse più a un'emissione che ormai tendeva a mettere in primo piano le risorse drammatiche della voce. In
linea
di massima si può affermare che la corretta utilizzazione della "bocca a sorriso" per determinati effetti espressivi è
riscontrabile anche al giorno d'oggi in grandi cantanti (specialmente di gusto belcantistico), quando si tratti di dare
morbidezza e qualità "aerea" a un piano, soprattutto in zona acuta. Dato che nessun tipo di apertura della bocca è di
per sè garanzia, assoluta di un'emissione corretta se non è anche il riflesso di determinate attitudini interne, la
tendenza allo "schiacciamento", a cui sopra accennavamo, potrà verificarsi quando la voce rimanga confinata in
una
cavità "settoriale" (rappresentata in questo caso dalla bocca, come nel caso dell'emissione intubata era invece la
faringe) e non trovi lo "spazio" e la "rotondità" necessari in quelle che soggettivamente sono percepite come cavità
alte.
Il diverso grado di attivazione delle labbra svolge un ruolo importantissimo nel modificare il tipo di sonorità.
La posizione a labbra completamente rilassate è comune a due modalità di emissione tra loro opposte: quella
(scorretta) caratterizzata da un abbassamento eccessivo della mandibola, in cui le labbra rimangono passive e non
vengono affatto interessate da fenomeni vibratori (limitati alla cavità faringea) e quella (corretta) destinata alla
realizzazione degli effetti di morbidezza, soprattutto in zona acuta, dove il grado di apertura della bocca appare
invece
molto ridotto, si accentua la sensazione di spazio interno (dovuto tra l'altro alla dilatazione delle narici), ma le
labbra
continuano a essere stimolate da sensazioni di risonanza diffusa (v. per il primo caso la fig. 17 e per il secondo la
fig.
15).
Si differenzia nettamente da queste la seconda, che comporta il ricorso intenzionale a una certa tensione nelle
labbra:
esse vengono infatti arrotondate e protese in avanti (come abbiamo già spiegato a proposito della posizione della
"a"),
conservando peraltro la flessibilità e l'elasticità nei movimenti. Ciò che caratterizza infatti un'emissione ben
bilanciata è
il continuo e impercettibilmente sottile modellamento di tutti gli spazi interni (faringe, bocca, cavità nasali e
persino
labbra e ventricoli laringei). Questo equilibrismo vocale o continuo "palleggiamento" del flusso sonoro, che viene
plasmato come vetro ancora caldo e duttile dall'artigiano della voce, si riflette esternamente in una mobilità ed
elasticità
dei muscoli facciali, tra i quali un ruolo determinante svolgono appunto quelli delle labbra, in particolare il muscolo
orbicolare. Variare la tensione delle labbra e la stessa posizione della bocca (in maniera più o meno visibile e
appariscente) a seconda degli effetti coloristici e dinamici da realizzare, rappresenta un fondamentale fattore di
controllo e di "guida" dell'emissione.

Nel caso
voce, specifico l'arrotondamento
mantenendola delle labbra
concentrata in maschera si rende
(v. fig. 14). necessario quando si tratti di dare incisività e metallo alla
Sul ruolo importantissimo svolto da un uso attivo delle labbra nel controllo delle risonanze tutti i più accreditati
studiosi
della voce concordano, in questo riallacciandosi all'insegnamento degli antichi maestri italiani, che suggerivano di
cantare "sul fior delle labbra".
Localizzare con l'esperienza sensoriale la voce nel piano frontale dell'apparato di risonanza, toccarne con mano la
presenza come fenomeno vibratorio è infatti per il cantante una necessità vitale e un corretto uso delle labbra
contribuisce in maniera determinante a far "circolare" la voce nella zona dentale-palatale. L'arrotondamento delle
labbra, che si scostano leggermente dalle arcate dentarie, ha come effetto la formazione di una cavità di risonanza
supplementare dove, come spiega Berton Coffin, "si verifica il maggior movimento di particelle d'aria" cosa che è
percepitaassieme
Questo, molto chiaramente dal cantante.<4
a una posizione avanzata della lingua, è anche alla base del fenomeno fisico detto dell'"onda
immobile", grazie, al quale parte delle pressioni dell'aria che si muovono dalla fonte sonora fino alla parte
terminale
dello strumento (la bocca nel caso della voce) vengono riflesse e tornano indietro, aiutando la sorgente del suono

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nelle
sue vibrazioni.
Mentre la percezione di fenomeni vibratori nel palato anteriore e nella maschera ci segnala la presenza
dell'elemento
della brillantezza (necessaria per far "correre" la voce in ampi spazi), è importante che nella composizione acustica
del
suono sia presente anche l'ingrediente della morbidezza, senza la quale l'emissione rischia di diventare metallica.
Essa si manifesta come fluidità di emissione, leggerezza aerea, senso (più mentale che
fisico) di posizione naturalmente alta (più alta del piano palatale della brillantezza), da cui
si domina l'emissione.
È sperimentabile in forma pura, cantando piano nella zona medioacuta, preferibilmente a bocca chiusa o con la
vocale
"u". Una leggera dilatazione delle narici (come annusando un fiore) può contribuire a percepire la sensazione del
suono alto, dato dall'apertura morbida e flessibile della cavità nasofaringea.
Questo aspetto dell'emissione in maschera sembra essere trascurato dalla maggior parte degli insegnanti, quando
addirittura non avversato sulla base di un'impressione visiva di artificio, che sarebbe connessa con un uso siffatto
dei
muscoli facciali.
Al contrario proprio questa ginnastica della maschera può risultare particolarmente utile per rimuovere non solo
iniziali
inibizioni causate dalla paura di sembrare ridicolo cantando e dalla scarsa abitudine a essere oggetto di
osservazione
da parte degli insegnanti e degli allievi, ma anche e soprattutto quella pigrizia e quel torpore fisiologico-muscolare
che
impediscono l'elasticità necessaria per trovare tutte le cavità adatte alla libera espansione della voce. Ulteriori
osservazioni si rendono necessarie per chiarire un punto così delicato.
Qualsiasi posizione fissa e immutabile degli organi interessati all'emissione, che non tenga conto della varietà delle
situazioni espressive e delle esigenze di flessibilità e mobilità dei meccanismi vocali (includendo quindi anche una
conformazione sempre uguale della bocca e delle labbra - tese o rilassate che siano) dà origine a contrazioni e
rigidità
nocive; per quanto riguarda l'arrotondamento delle labbra abbiamo detto che la sua funzione consiste nel timbrare
maggiormente la voce, per cui non sarà consigliabile nel caso di sonorità molto morbide sul piano o pianissimo.
È importante distinguere in secondo luogo tra una tensione volontaria qual è quella delle labbra (e come tale
controllabile in rapporto all'effetto voluto) e una tensione invece involontaria e incontrollabile, quale si riscontra in
chi
tende per un'emissione sbagliata a cantare con le sopracciglia visibilmente abbassate o con il collo rigido.
La scarsa evidenza di questo dato è dovuta probabilmente all'osservazione di molti grandi cantanti, soprattutto di
gusto
belcantistico, che privilegiando nella propria emissione la dimensione della morbidezza e del "velluto", riescono a
limitare (senza tuttavia eliminarle) queste tensioni funzionali entro un apparente atteggiamento di normalità e di
rilassamento anche esterno. Succede così che sulla base del solito equivoco tra voce cantata e voce parlata molti

interpretino questa
l'impostazione della"naturalezza"
voce, mentrediinvece
articolazione
si tratta della bocca e delle
di un'illusione labbra
visiva, come
frutto il punto
di una di partenza
superiore per artem,
ars celandi
che
pochi possiedono.
fig. 14
Emissione timbrata
Elementi costitutivi
Altezza laringe
Sensazioni vibratorie
Punto di Mauran
Posizione bassa ma non rigida della laringe; apertura della bocca in verticale; tonicità della maschera e
soprattutto delledelle
concentrazione labbra, che possono
risonanze, essere arrotondate
di proiezione del suono,per dare "fuori".
di voce incisività e mordente
- alla voce, senso di
Risultato fonico
Suono puro, nitido e a fuoco. L'elemento della corposità non è l'unico ingrediente acustico, come nell'emissione
intubata, ma si combina variamente con quello della brillantezza e della morbidezza.

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Varianti scorrette
L'eccessivo risalto dato alla concentrazione delle risonanze "avanti" a scapito dell'ampiezza, può dar luogo agli
inconvenienti descritti a proposito dell'emissione ingoiata.
Il vibrato, inoltre, diventa spesso in zona acuta troppo "stretto" ("voce caprina").
L'uso consapevole delle labbra come elemento di controllo dei risuonatori
Mirella Freni
Samuel Ramey [© Lelli e Masotti - Archivio fotografico Teatro alla Scala]
Labbra arrotondate per dare incisività e smalto al suono (v. anche fig. 14).
Katia Ricciarelli
Frederica von Stade
[© Lelli e Masotti - Archivio fotografico Teatro alla Scala]
Labbra distese orizzontalmente per dare morbidezza e qualità aerea al suono (v. anche fig. 15).
fig. 15
Emissione morbida
Elementi costitutivi
Posizione bassa ma non rigida della laringe; apertura alquanto ridotta della bocca e in senso orizzontale; labbra
rilassate con tendenza a lasciare coperti i denti, sensazioni di attivazione della "maschera", di apertura e ampiezza
delle cavità alte, di "altezza" e leggerezza aerea del suono.
Risultato fonico
Suono ampio, morbido, leggero, chiaroscuro. La voce espande in tutte le direzioni il suo alone di risonanze
può sfumare facilmente da un colore all'altro, rimanendo omogenea.
Varianti scorrette
La ricerca della risonanza nasale tramite l'abbassamento eccessivo del velo palatino o il ricorso consapevole a
effetti di
nasalità, dà luogo a un'emissione nasale dove l'omogeneità e la morbidezza vanno a scapito della gradevolezza del
suono e dell'ampiezza della voce.
Se le labbra svolgono una funzione importante nel determinare la corretta emissione, il ruolo della lingua è
fondamentale. Dislocata com'è in una zona strategica della cavità di risonanza, essa influisce sulla posizione della
laringe tramite la comune attaccatura all'osso ioide, è al centro delle forze muscolari che contribuiscono all'apertura
della gola, convoglia coi suoi spostamenti il flusso del suono nei vari punti di risonanza ed è direttamente
responsabile
della formazione vocalica e consonantica. Molta attenzione viene perciò rivolta in genere al corretto funzionamento
della lingua, per il quale è indispensabile il pieno rispetto della sua natura di organo estremamente mobile ed
elastico.
Purtroppo sono molti quelli che s'intestardiscono nel tentativo di fissarne la posizione "ideale", che viene di solito
identificata nell'appiattimento, probabilmente perchè esso dà l'illusione di un ampliamento della cavità di
risonanza.<5
Ora il modello di questa configurazione del padiglione acustico è dato dalla vocale "a", ma, come osserva
giustamente
L.A. Russell, tutte le altre vocali richiedono condizioni diverse dall'appiattimento della lingua. È evidente perciò
che

nonostante
vocali, con tutti
poche i tentativi in senso
probabilità quindicontrario questa l'aggiustamento
che si realizzi si muoverà in accordo con leDall'osservazione
desiderato. esigenze di formazione delle varie
di questo
comportamento "ribelle" della lingua, troppe volte si deduce la necessità di appositi esercizi per addomesticarla,
esercizi che potrebbero di per sè risultare utili, se finalizzati a un miglioramento della sua flessibilità ed elasticità,
mentre invece vengono utilizzati per cercare di conquistare con una maggiore forza muscolare l'appiattimento
costante
della lingua. Il risultato è unicamente un aumento di rigidità, che è l'esatto opposto di quella rilassatezza che si
potrebbe conseguire con un uso elastico della lingua. Uso elastico della lingua non significa d'altra parte lasciarla a
se
stessa (anche perchè in tal caso non avrebbe senso parlarne a proposito del controllo dei risuonatori),
ma significa lasciarla a se stessa dopo che con opportuni condizionamenti muscolari in forma di esercizi vocali
essa è"orientata" in una certa direzione, cioè avanti. Sappiamo dal Capitolo precedente che gli orientamenti<6 della
stata
lingua sono essenzialmente due: a ridosso dei denti inferiori sul modello delle vocali anteriori e indietro verso la
cavità
faringea sul modello delle vocali posteriori. Il problema consiste nell'educare la lingua ad assumere

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automaticamente
posizioni tanto più avanzate, quanto più alta è la nota, mantenendola rilassata. La rilassatezza della lingua è infatti
molto spesso la chiave per eliminare le tensioni superflue di tutti i muscoli direttamente o indirettamente a lei
collegati,
mentre l'avanzamento della lingua arricchisce la voce di armonici acuti. Nel caso della voce cantata infatti le
esigenze
che la lingua deve soddisfare sono in relazione non soltanto con la pronuncia, come nella voce parlata, ma anche
col
continuo variare dell'altezza tonale.
Questo "lavoro" può essere svolto, secondo la didatta e ricercatrice belga L. Frateur, quando è affidato un ruolo
attivo
solo alla prima parte della lingua e non al dorso, facendo in modo che questo rimanga completamente rilassato e
segua passivamente il funzionamento della parte anteriore. "Come il capo della matita si muove passivamente
mentre
scriviamo attivamente con la punta" spiega L. Frateur, "così il dorso della lingua ha un movimento rilassato
ogniqualvolta la parte anteriore della lingua<7 compie un movimento attivo.
La laringe resta perciò in posizione abbassata ed è così liberata da ogni genere di pressione. Per il cantante diverrà
un
movimento di riflesso: far funzionare attivamente la parte anteriore e contemporaneamente rilassare e lasciare
semovibile, consapevolmente, la parte posteriore".
L'automatismo di queste "posizioni" sarà realizzato attraverso opportuni vocalizzi sulla "e" e sulla "i", dopodichè la
lingua avanzerà da sola, senza esservi di volta in volta costretta da un atto di volontà cosciente che otterrebbe
l'effetto
di irrigidirla in una posizione fissa e predeterminata. Questa è la condizione indispensabile per un corretto
funzionamento della lingua, una volta realizzata la quale, anche i problemi di dizione possono trovare una
soluzione
perchè in tal modo essa è lasciata libera di continuare ad assolvere quel compito di formazione delle consonanti,
cui
già era adibita nella voce parlata.
Nella capacità di conciliare una funzione nuova con una vecchia sta quindi la soluzione del problema della
comprensibilità delle consonanti: accentuare il momento della pronuncia porta a un aumento della rigidità e delle
tensioni, se la lingua è costretta da un'emissione scorretta a una posizione troppo arretrata. In questo caso è molto
probabile che le esigenze di una dizione chiara coinvolgano troppo attivamente nei movimenti articolatori la
mandibola
con continue variazioni della forma della bocca, senza restare limitate invece alla punta della lingua e alle labbra.
Questa accentuazione compensativa dei movimenti, della bocca e della mandibola ha come conseguenza diretta la
distruzione del legato, eventualità che non si verifica se la funzione di "martellamento" delle consonanti viene
affidata
esclusivamente alla punta della lingua, mantenendo abbastanza ridotta l'apertura della bocca e rilassato il dorso
della
lingua.

L'ultimo elemento
abbassamento, di controllo
graduabile delle risonanze
indirettamente che
per via qui consideriamo
uditiva, è il palato
è responsabi-le molle oacustico
del fenomeno velo palatino: il suo che
della nasalità,
si
verifica quando parte della corrente sonora può accedere attraverso questo transito alle cavità superiori.
Abbiamo già visto al capitolo 6 quali sono le condizioni perchè esso si manifesti: si passa da un livello elevato nel
caso
di fonazione a bocca chiusa a uno molto più ridotto, qual è quello richiesto dalla formazione delle consonanti
nasali.
La questione dell'opportunità di far ricorso all'abbassamento del palato molle nell'emissione vocale è tra le più
dibattute
ed è sorta nel tentativo di dare una risposta al problema dell'individuazione della fonte della voce in maschera. Si
sa
che comunemente la nozione di "maschera" è associata a una qualità desiderabile della voce, rappresenta cioè un
valore positivo, contrariamente a quanto succede per quella di "nasalità", che è invece fortemente connotata in
senso
negativo.

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L'ipotesi di un'affinità tra i due fenomeni è scaturita dalla costatazione (confermata dalla
generalità dei cantanti) che la migliore emissione è sempre accompagnata da fenomeni
vibratori nella zona nasale del tipo di quelli sperimentabili quando si canta a bocca chiusa
(benchè molto meno accentuati). I fautori di questa teoria hanno cercato perciò di rivalutare il concetto di nasalità,
distinguendo la "risonanza nasale", intesa come valore vocale positivo, dal "suono nasale", che invece conserva la
comune accezione negativa del termine e che sarebbe da attribuire non tanto al transito nelle cavità nasali quanto
all'ostruzione parziale o completa di queste cavità per cause momentanee o permanenti (forte raffreddore,
deviazione
del setto, chiusura delle narici, ecc.).<8
È evidente dunque che bisogna tener ben separate tra di loro quella che è una nasalità costrittiva, frutto di un
eccesso
di tensioni faringee e di un'emissione priva di "cavità" (in cui la nasalità è percepita soprattutto internamente e
comporta un rilevante assorbimento di energia vibratoria) e quella che è invece una nasalità "libera", frutto di
un'emissione rilassata e che arricchisce la qualità del suono di risonanze acute.
Anche il grado di nasalizzazione a cui si fa ricorso è importante per determinarne l'utilità e la pericolosità.
Eccettuati i casi di eccessivo appesantimento della voce, per i quali essa equivale a una vitale boccata d'ossigeno
che
ristabilisce l'equilibrio alterato tra risonanze basse e alte, ogni abbassamento rilevante e permanente del velo
palatino
(quale risulta da un'intenzione cosciente a cantare "col naso", indirizzando i suoni verticalmente verso il palato
molle o
ricercando a tutti i costi le vibrazioni nasali) ha come effetto non il potenziamento desiderato, ma un indebolimento
della voce. Per quanto riguarda la "topografia" delle risonanze (che è quella che segnala la correttezza
dell'emissione)
la voce risulterà più "alta", ma ancora "indietro".
Diversamente, se la nasalizzazione è realizzata senza nessuna intenzione cosciente rivolta ad abbassare il velo
palatino, ma semplicemente intercalando nei vocalizzi delle consonanti nasali nel rispetto e sulla base
dell'impostazione data dall'uso delle vocali anteriori, allora il palato resta sufficientemente alto per dare spazio alla
cavità faringea senza deviazioni del flusso sonoro e consente nel frattempo un mobile gioco della sua parte
terminale
con un leggero effetto di vibrazione nasale, che ammorbidisce il suono. Parallelamente essa favorisce, per i motivi
che
abbiamo già visto, il passaggio al registro superiore, pur non coincidendo naturalmente con esso. Concludendo,
l'approccio più corretto ed equilibrato al fenomeno della nasalità sembra essere quello espresso nelle seguenti
affermazioni di Fuchs:
"un certo grado di risonanza nasale è essenziale, ma non appena è udibile il cantante può star sicuro che ne sta
usando troppo. È come il sale nelle uova strapazzate: è evidente se non ce n'è abbastanza, ma se ne è riconoscibile
il
sapore, allora è troppo".
Se l'ideale di emissione vocale per quanto riguarda l'effetto di brillantezza si esprime comunemente nel concetto di
voce "fuori" o "avanti", per quanto riguarda invece quello di rotondità e pastosità esso viene messo in relazione con

la
nozione empirica di "gola aperta".
Si tratta di due caratteristiche del suono cantato che, sia pure apparentemente di segno opposto, debbono essere
comprese entrambe in una voce perchè questa possa definirsi ricca e armoniosa. Schematizzando molto, si potrebbe
affermare che il "polo" della "lucentezza" è dato dall'orientamento in avanti della lingua, mentre quello della
"pienezza"
è dato dalla posizione bassa della laringe. Tutti i fattori in precedenza considerati concorrono a realizzare questa
condizione, influenzandosi reciprocamente. Un elemento importantissimo è rappresentato inoltre dalla laringe, che
muovendosi lungo il tubo faringeo può assumere diverse posizioni con effetti diretti sulle risonanze. La posizione
alta

fig. 16
Emissione ingoiata o schiacciata
Elementi costitutivi
Laringe alta e cavità faringea chiusa (con una configurazione simile a quella della voce parlata); voce soffocata
in una zona ristretta dell'apparato di risonanza; tendenza ad alzare eccessivamente il mento e ad aumentare le

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tensioni negative.
Risultato fonico
Suono chiaro, nitido, con tendenza a sbiancare a diventare stridente nel settore acuto (voce ingoiata) o comunque a
rimanere dura e metallica anche dopo un lungo periodo di studio nel caso le risonanze della voce vengano
consapevolmente concentrate e limitate a zone ristrette come quella palatale anteriore ("voce di denti") o palatale
posteriore ("voce nel naso"), lasciando immutato il dato scorretto della laringe alta.

della laringe, in quanto tipica della voce parlata, è quella a cui tendenzialmente ricorre l'allievo all'inizio dei suoi
studi e
ha come effetto-causa una contrazione della faringe, che dà luogo al suono cosiddetto ingoiato. Tutto il primo
periodo
di educazione vocale è perciò di solito dedicato al conseguimento di una posizione della laringe sufficientemente
bassa, ricorrendo a metodi come l'inspirazione diaframmatica a bocca aperta e la vocalizzazione con vocali
posteriori.
Un espediente molto usato è anche quello della simulazione dello sbadiglio: la prima fase di questo meccanismo
provoca infatti l'abbassamento della laringe e un ampliamento della cavità faringea. Anche in questo caso è bene
tener
presente che, analogamente a quanto abbiamo affermato a proposito delle altre componenti dello strumento-voce,
ogni posizione troppo fissa e rigida è da evitare.
La laringe dev'essere quindi lasciata libera di muoversi in senso verticale, nell'ambito naturalmente della sua "zona
di
sicurezza", senza essere costretta a una perpetua immobilità nella posizione più bassa possibile, come succede
quando si voglia artificialmente accentuare il colore scuro della voce. Visivamente uno dei segni rivelatori di questa
impostazione è la tendenza a cantare piegando la testa in modo tale che il mento si avvicina al collo e tenendo la
bocca spalancata al massimo con la mandibola che comprime in basso l'osso ioide: in questo caso l'eccessiva spinta
verso il basso dei muscoli interessati all'abbassamento della laringe viene assecondata dallo sternocleidomastoideo
col risultato che la gola tende a chiudersi, il punto di fissazione dell'osso ioide, cui è sospesa la laringe, si sposta e
la
laringe per poter scendere costringe il petto ad abbassarsi. Il contrario quindi di quella "sostenutezza di petto" e di
quella posizione a testa alta, predicate dagli antichi maestri, che costituivano il segno visibile del perfetto equilibrio
su
cui quel canto si basava.
Emissione intubata
Elementi costitutivi
Abbassamento rigido ed eccessivo della laringe, spesso (ma non sempre e necessariamente) associato a un'apertura
verticale eccessiva della bocca che blocca in basso la mandibola; labbra e "maschera" inerti e disattivate;
localizzazione soggettiva della voce nella zona faringea; prevalere delle sensazioni di pesantezza e di profondità.
Risultato fonico
Suono faringeo, scuro, pesante, sfuocato e non orientato; presenza (soprattutto nella zona centrale-acuta) di un
vibrato
"largo" e irregolare. Il predominio pressochè esclusivo della corposità nella "tavolozza" timbrica impedisce di

sfumare
progressivamente verso effetti dinamici di piano e pianissimo.

<note
<1 Dal punto di vista acustico si ipotizza che la tensione muscolare nella gola rovini la qualità del suono,
permettendo
alle pareti irrigidite dei risuonatori di far passare quegli armonici dissonanti, che altrimenti verrebbero assorbiti.
<2 Il canto, specialmente quello operistico, comporta un enorme dispendio di energia, che da luogo ovviamente
anche
a un senso di stanchezza: stanchezza però fisica e mentale diffusa e non assolutamente localizzata a livello
laringeo.
<3 Per verifìcare tangibilmente gli effetti disastrosi sulla pronuncia basta costringersi a leggere ad alta voce
qualcosa,
tenendo spalancata al massimo la bocca: il risultato è l'incomprensibilità del testo.
<4 Altra fonte dell'impressione di cantare "sul fiato"?
<5 In questo caso il "retroscena" è rappresentato da una cavità faringea molto ridotta a causa dell'arretramento del

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dorso della lingua.
<6 Abbiamo preferito il termine "orientamento" a quello più usato di "posizione", perchè esso non suggerisce come
il
secondo un'idea di fissità e di immobilità, che è l'esatto opposto di quella flessibilità tipica della lingua quando
"lavora"
correttamente.
<7 Il punto d'appoggio della parte anteriore della lingua è localizzabile nei denti inferiori: esso è da intendere più
come
naturale centro di gravità della lingua che come posizione fissa e obbligatoria.
<8 Di conseguenza un suono diventa nasale non perchè entra nel naso, ma perchè non può più uscirne, una volta
entrato.

9. L'emissione "sul fiato"

Nei capitoli precedenti abbiamo visto i diversi significati che la medesima nozione "fiato" assume nei vari contesti
in cui
appare ("sostegno del fiato", "girare il fiato", "più alta la nota, più profondo il fiato", ecc.).
"Cantare sul fiato" è un'altra espressione convenzionale con cui prima o dopo l'allievo deve fare i conti. Come
punto
d'arrivo di una corretta educazione vocale, esso è considerato presupposto indispensabile del bel canto e l'opposto
quindi dell'emissione forzata o spinta.
Sostanzialmente più che di una tecnica per arrivare a una certa meta, si tratta di una sensazione suscitata
dall'emissione libera o rilassata (di cui può considerarsi sinonimo) e centrata sul fenomeno del flusso del fiato che
si
trasforma interamente, e senza nessuno sforzo laringeo, in corrente sonora, là dove la sensazione della voce in
maschera focalizza invece i fenomeni vibratori, cui questa stessa emissione dà luogo e la loro giusta localizzazione.
Condizione perchè ambedue possano realizzarsi è quindi un funzionamento corretto delle corde vocali, che a sua
volta
dipende da numerosi fattori: 1) attacco del suono, 2) respirazione e appoggio, 3) controllo dei risuonatori.
L'attacco del suono è importante in quanto è in grado di condizionare in bene o in male tutta l'emissione
successiva.
Attacco<1 corretto è l'attacco dolce, intendendo per dolce quello in cui non intervengano nè colpi di glottide nè
parziali
abbassamenti dell'epiglottide, tipici questi ultimi dell'emissione spinta. Volendo esemplificare, possiamo avere
un'idea
abbastanza precisa dell'attacco duro, brutale, aggressivo (e quindi scorretto e pericoloso) se pensiamo a un grido di
rabbia, mentre ogni esclamazione di sorpresa (piacevole) rappresenta un buon esempio di attacco dolce.
Molte volte un grave elemento di disturbo è rappresentato da una preparazione mentale sbagliata dell'attacco, in cui
predominante appare un'accentuata intenzione di "cantare", considerato come fenomeno fonatorio totalmente
distinto
e separato dal parlato. Questa preoccupazione, magari inconsapevole, di mettere in primo piano e a ogni costo il

volume e la potenza della voce si trasforma facilmente in una tensione eccessiva della laringe, che si aggrava
quando
l'attacco non è netto, così che l'aggiustamento dell'altezza viene attuato in ritardo e con un tipico effetto di
portamento
del suono come risultato.
A livello laringeo, l'attacco del suono cantato deve essere invece naturale e rilassato come l'attacco del suono
parlato.
Ovviamente agli inizi degli studi questo sarà possibile solo nella tessitura centrale, che perciò deve costituire il
punto di
partenza e la base dei primi esercizi vocali.
Esercitarsi in una zona più acuta è ammissibile, ma solo a condizione di riuscire a mantenere la stessa facilità e
rilassatezza di emissione,
preoccupazioni lasciando Se
legate al "volume". da questo
parte (finchè non si siaegarantita
non è possibile al cento
le tensioni per cento
rimangono, la "posizione")
la causa le in un
può ricercarsi
appoggio scorretto o in una posizione arretrata, troppo faringea della voce (incompatibile con le esigenze acustiche
del
settore acuto, a cui si sarà perciò costretti a far fronte con un aumento delle tensioni), ma può risiedere anche e

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soltanto in una tendenza di origine puramente psicologica a reagire con l'irrigidimento alla semplice
consapevolezza di
voler "salire". In questo caso la soluzione del problema non consiste in uno sforzo fisico teso a vincere le
resistenze,
ma in uno sforzo mentale di concentrazione che, sulla base di un diverso atteggiamento verso le note acute
("concepite" già in basso e non "prese" dal basso), ci abitui a un attacco del suono facile e istantaneo,<2 evitando la
parte negativa di una preparazione fisica che interferisce invece che facilitare l'emissione (portamenti, abbassamenti
dell'epiglottide, eccessive spinte del fiato).
Come acutamente è stato osservato a questo proposito, i problemi nascono perchè tendiamo a fare più cose di
quelle
che sono strettamente necessarie. Nel caso delle note acute questo "di più" è rappresentato ad esempio dall'idea di
dover dare più voce per poterle emettere, mentre invece (se si eccettuano le note coperte, per cui si richiede uno
speciale appoggio) di per sè una nota acuta ha un'intensità di suono superiore a quella
delle note centrali o basse a causa del maggiore antagonismo tra muscoli cricoaritenoidei e tiroaritenoidei della
laringe,
per cui compito del cantante è solo quello di intonarle nella giusta posizione. Diversamente l'atteggiamento di
tensione
che ne deriva, si estenderà gradualmente all'intera tessitura.
Un mezzo efficace per evitare le tensioni associate a un'emissione spinta o che sia in disaccordo con le esigenze di
risonanza del settore acuto, consiste nel far coincidere, anche mentalmente, l'attacco del suono col momento della
pronuncia. Il punto di localizzazione della pronuncia deve essere naturalmente quello più anteriore (quale si realizza
con le consonanti dentali) e tale da interessare solo la punta della lingua e le labbra senza coinvolgere la gola.
Concepita a questo scopo è la serie dei vocalizzi di Sieber (da - me - ni - po - tu - la - be - da ...) sui vari gradi
della
scala, da intonare cercando di mantenere un'emissione "orizzontale" (nel senso del carattere illusorio e ingannevole
del concetto "nota alta", che prima spiegavamo) e di "pasteggiare" le risonanze nella zona labio-dentale della
pronuncia senza nessuna preoccupazione di "spingere" o "ingrossare" i suoni. L'uso corretto del diaframma è
parimenti
importante in questi esercizi. Esso deve gradualmente abbassarsi mentre s'intona la parte ascendente dell'esercizio
ma, una volta superata la nota più acuta, non deve assolutamente rimanere bloccato in questa posizione, bensì
lasciare che i muscoli addominali e l'addome, ritraendosi, lo spingano in alto durante la fase discendente del
vocalizzo.
In tal modo il diaframma funziona come uno stantuffo: abbassandosi risucchia l'aria ed evita lo spreco del fiato. Da
un
punto di vista psicologico il movimento verso il basso contribuisce efficacemente a consolidare l'idea delle note
acute
collocate in basso invece che in alto. Il contrario avviene se le note acute vengono sostenute, spingendo in alto il
diaframma; inoltre in questo caso sussisterà il pericolo che l'innalzamento dello sterno provochi la chiusura della
trachea, impedendo un flusso libero della corrente d'aria.
È importante sottolineare come il diaframma entri in funzione, abbassandosi, solo per il sostegno di determinate
note,

dopo di che, come il pedale del freno in una macchina risalirà sospinto in alto dalla molla dei muscoli addominali,
che
automaticamente attuano l'espirazione; e come quindi non abbia senso costringerlo in una posizione fissa e
immutabile, alta o bassa che sia (come alcuni teorizzano), che comporterebbe solo un aumento diffuso della
rigidità.
La sensazione prevalente è infatti di elasticità e non di rigidità: solo per le note acute l'attivazione muscolare
diventa
intensa senza peraltro arrivare al blocco. Servirsi in questo modo del diaframma significa anche, dopo qualche
tempo,
imparare a considerarlo e a usarlo come regolatore principale del fiato, evitando di intervenire direttamente e
coscientemente sulla laringe per trattenerlo o per spingerlo fuori, inconvenienti che sono frutto di errate concezioni
del
ruolo svolto dal fiato e dalla laringe e che possono manifestarsi nelle forme opposte del colpo di glottide e
dell'emissione "sporca" e stimbrata per eccesso d'aria.
Nel primo caso (colpo di glottide) il problema dell'attacco "netto" e immediato viene risolto sì, ma a scapito del
corretto

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funzionamento delle corde vocali, che vengono eccessivamente irrigidite. Un eccesso di tensioni si riscontra anche
nell'emissione spinta, tensioni che emergono anche alla superfìcie sotto forma di un accentuato abbassamento delle
sopracciglia e di una fronte fortemente corrugata.
Viceversa accade nel secondo caso: qui la preoccupazione di cantare morbidamente oppure il tentativo di realizzare
un effetto di "piano" possono far sì che le corde vocali lavorino in maniera difettosa e incompleta, quasi sotto
regime,
consentendo alla corrente d'aria di fuoriuscire senza trasformarsi totalmente in energia sonora.
In entrambi i casi e per motivi opposti le corde vocali non vengono lasciate vibrare, presupposto indispensabile
perchè
il suono prodotto risulti morbido e ricco di armonici.
Alla base c'è un disaccordo tra i vari elementi del sistema: se è vero infatti che il
rapporto tra flusso del fiato e corde vocali è di reciproco condizionamento, è vero anche
che tentare di agire direttamente su di essi per un controllo dell'emissione significa il più delle volte isolare e
accentuare uno dei due momenti nel tentativo di portarlo a livello cosciente! Nel caso dell'emissione "sporca" d'aria
abbiamo visto come questo inconveniente dipenda da una dose eccessiva d'aria che passa dalla glottide senza
incidere positivamente sulla produzione del suono e come questo cantare "con" fiato sia un fenomeno nettamente
distinto da quello che si definisce come canto "sul" fiato, dove la sensazione del fiato che fluisce liberamente è
pure
presente, ma esso non è consapevolmente indirizzato o spinto fuori. Cantare "di posizione" invece che "di spinta" è
un'altra espressione in linea con quanto sopra.
Esistono dei riscontri obiettivi:
1) il canto professionistico è caratterizzato da una chiusura più completa della glottide e dall'utilizzo del minimo
indispensabile d'aria per ogni ciclo (il risultato essendo una durata più lunga dei fiati a parità di quantità d'aria
inspirata);<3
2) quando la lingua e le labbra vengono usate correttamente, si creano le condizioni per il verificarsi del fenomeno
acustico dell'"onda immobile", per cui "le pressioni dell'aria si muovono dalla fonte all'imboccatura dello strumento
e
parte di queste pressioni, riflettendosi, ritorna alla sorgente sonora, facilitandone le vibrazioni" (Berton Coffin).
L'emissione "sul fiato", o libera, va dunque ricercata allenandosi a esercitare il giusto gioco di tensioni sulla
muscolatura della respirazione (diaframma e muscoli addominali), a mantenere il più possibile rilassate la gola e la
laringe e a usare i risuonatori per mettere a fuoco e non per spingere la voce.
Riuscire ad attuare tutte queste cose contemporaneamente è agli inizi degli studi decisamente difficile. Come il
bambino che impara a scrivere inconsapevolmente accompagna i movimenti della mano con movimenti della testa
che
fanno "eco", o che, pedalando, non sa ancora come distribuire e alternare le tensioni muscolari tra le due gambe,
così
può succedere che la concentrazione rivolta alla fuoriuscita del fiato, allo scopo di attuare un'emissione rilassata o
un
crescendo, provochi al contrario delle tensioni nella laringe e nella gola. Questo compromette sia l'emissione sul
fiato
sia quella in maschera, ambedue accomunate dalla stessa condicio sine qua non della rilassatezza.<4

Niente è infatti
direzioni), erroreall'inizio
che portapiùa facile cheinidentificare
mettere tensione la la corrente
laringe e ladel
golafiato
nel con la corrente
tentativo deldisuono
appunto (e le rispettive
"spingere fuori" il
suono.
Proprio perchè spinto, il suono prodotto avrà una certa intensità, che tuttavia non è proporzionale al suo costo
laringeo
e tale da gettare le basi di un riflesso condizionato che associa la realizzazione del crescendo e delle note acute a
un
aumento delle tensioni a livello laringeo.
La rieducazione, a questo punto, passa per una riduzione drastica del volume e della potenza fino al
raggiungimento
della necessaria rilassatezza. Solo dopo che si siano realizzate queste condizioni è possibile introdurre il concetto di
"fiato" come principale elemento di controllo dell'emissione, senza il rischio che gli inviti a sostenere un certo
suono
"con più fiato" siano equivocati e diano luogo all'emissione spinta o piena d'aria. Quest'ultimo difetto è più
frequentemente associato ai primi tentativi di realizzazione del "piano" o del "pianissimo". Un metodo abbastanza
diffuso ed efficace per ottenere il "piano" consiste nel produrre il suono pensando a un "forte" e rimanendo "alti".

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Si
tratta di un espediente, la cui logica mira a predisporre quelle condizioni necessarie sia per il piano sia per il forte e
che
sono costituite da una gola aperta e da un sufficiente sostegno. L'intenzione, disattesa all'ultimo momento, di
cantare
forte rappresenta infatti una "finta", grazie alla quale riusciamo a eludere il riflesso condizionato della chiusura
della
gola, normalmente associato ai tentativi di piano. La fuoriuscita di fiato è elevata in quanto la glottide è più aperta,
ma il
diaframma, agendo più vigorosamente contro i muscoli addominali per un sostegno efficace, impedisce che si passi
a
un'emissione piena d'aria, come succede quando la spinta cosciente è indirizzata verso l'alto invece che verso il
basso.
Sul piano delle sensazioni prevarrà a seconda dei casi o la percezione del fiato o quella dell'appoggio, soprattutto in
maschera, quest'ultimo costituendo un punto di riferimento obbligato nei casi dei "piani" da realizzare in zona
acuta,
per i quali l'esigenza di apertura nasofaringea è massima. L'ingrediente della morbidezza, che si manifesta come
sensazione di galleggiamento in alto del suono, di fluidità e leggerezza aerea (vedi pag. 56 e nota a pag 84) è
l'elemento fondamentale sia, in genere, dell'emissione "sul fiato" sia, in particolare degli effetti dinamici di piano e
pianissimo, dove risulta dominante rispetto alle altre due componenti della brillantezza e della corposità.
Da questo complesso gioco di equilibri nasce il suono emesso "sul fiato"; se il suo sviluppo, in termini di pienezza
sonora, è lento, poco appariscente e tale da scoraggiare gli allievi alla ricerca impaziente di effetti roboanti, esso
d'altra
parte rappresenta il seme di una tecnica che, una volta padroneggiata pienamente, "dispenserà" un'emissione sempre
più ricca, facile e "naturale", là dove il volume e la potenza, perseguiti e "conquistati" magari precocemente, con la
forza, sono destinati col tempo a soffocare la voce in uno spazio sempre più angusto, intaccando gradualmente e
irreversibilmente quel "capitale della voce", di cui l'emissione sul fiato utilizza saggiamente solo gli interessi.

<note
<1 Purtroppo, anche in questo caso ci troviamo alle prese con un termine infelice: in esso è infatti implicita un'idea
di
aggressività che è l'opposto di quel libero fluire ed espandersi che dovrebbe caratterizzare fin dall'inizio il suono
cantato.
<2 Istantaneo nel senso che il tempo intercorso tra la fine dell'elaborazione mentale, ossia del "concepimento" della
nota e la sua realizzazione deve essere nullo, non ovviamente nel senso di nota eseguita affrettatamente, senza
pensarci su, perchè in questo caso all'inevitabile approssimazione del "progetto" mentale faranno seguito questi
aggiustamenti in extremis in fase di realizzazione, che sono alla base proprio di quelle tensioni superflue e nocive
da
eliminare in partenza.
"Detto fatto" insomma, ma non per eludere la saggia regola "pensare di più e cantare di meno", bensì pel non
inframmettere tempi morti tra pensiero ed esecuzione, che possono inibire quello slancio e quel ritmo vitale che

soli
possono portare alla luce gli automatismi corretti.
<3 Tener conto di questo dato (che dobbiamo agli studi di Gordon Troup) per cercare di trattenere il più possibile
l'aria,
magari con sforzi indirizzati alla laringe, non avrebbe ovviamente senso e rappresenterebbe l'errore opposto a
quello,
prima considerato, dell'emissione "piena d'aria".
<4 Secondo Vennard l'eccessiva tensione muscolare nella gola impedisce l'assorbimento di quegli armonici troppo
acuti che rendono stridente e gridata la voce, mentre le contrazioni e la rigidità nella laringe comprimono quello
spazio
tra i ventricoli, che dà origine agli armonici della voce in maschera.

10. La percezione e il controllo mentale-immaginativo dell'emissione

Abbiamo avuto modo in più occasioni (vedi il primo capitolo) di considerare l'aspetto sensoriale interno della voce
cantata, ossia quel vero e proprio feed-back che secondo Husson non solo è effetto, ma anche causa della corretta

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emissione.<1 Questa scia sensoriale che la voce lascia non è limitata alla sfera più propriamente fìsica delle
sensazioni, ma abbraccia anche quella mentale delle "impressioni", che normalmente vengono considerate di natura
soggettiva. Un denominatore comune, un nocciolo di verità obbiettiva è tuttavia riscontrabile alla base di questi
fantasmi sensoriali, condensati in quelle espressioni caratteristiche che conosciamo o comunque parte di
quell'"immaginario" fonatorio, che è da secoli patrimonio comune di cantanti e insegnanti di canto. L'elaborazione
di
immagini visivo-spaziali per indicare certi fenomeni fonatori è comune non solo all'esperienza eccezionale del
canto
artistico, ma anche a quella normale del canto incolto. Di esse rimane traccia anche nel linguaggio comune, in virtù
del
quale un suono è di volta in volta percepito come "chiaro", "scuro", "rotondo", "grosso", "sottile", ecc. Di
particolare
interesse in quanto sembra aver avuto origine da precise sensazioni interne fonatorie, è la nozione di suono "alto" e
"basso".
L'applicazione di un concetto spaziale alla dimensione sonora è dal punto di vista prettamente acustico assurda, sta
di
fatto che esso ha modellato il lessico e lo stesso aspetto grafico della musica (dove certe note sono collocate in alto
e
altre in basso) a tal punto da entrare a far parte di quelle esperienze "obiettive" che vengono date per scontate. Così
il
più delle volte gli inviti degli insegnanti, volti a invertire i termini della correlazione alto/basso allo scopo di
conseguire il
rilassamento, vengono interpretati non già per quello che sono, cioè tentativi di eliminare un'"illusione ottica"
negativa a
favore di un'altra positiva, bensì come sostituzione dei dati della realtà con quelli dell'immaginazione, perdendo
così
di efficacia. Questi espedienti psicologici trovano i loro destinatari ideali in quei cantanti (molto numerosi), in cui
dal
punto di vista meccanicistico la coordinazione muscolare generale già potrebbe fornire la base per la realizzazione
dell'"evento", cioè l'emissione libera, ma che ne sono impediti, a un passo dalla meta, per blocchi solo mentali,
rappresentati dall'ansia, anche inconscia, per le note acute.
Molte volte infatti anche il cantante che abbia imparato a realizzare l'appoggio addominale, continua in percentuale
variabile ad appoggiare le note acute anche in gola.
L'aumento delle tensioni negative che così si verifica è un retaggio dell'emissione naturale e il cantante, anche
professionista, riesce solitamente a disattivarle dopo un lungo periodo di studio, se è cosciente, avendolo
sperimentato
magari solo una volta in un momento di grazia, delle particolari componenti timbriche, vibratorie e sensoriali
dell'emissione libera. Altrimenti il pericolo è che perduri il riflesso condizionato ascesa alla zona acuta/tensioni
nella
gola, magari associato all'appoggio, così da diventare parte integrante di un sinergismo muscolare.
Ricorrere a-mezzi esclusivamente fisico-meccanici come soluzione è come inseguire la propria coda per cercare di

raggiungerla,
(alla ma è"cavità"
ricerca della ciò che osuccede quando
del "giro") soloilimmediatamente
cantante predispone intenzionalmente
prima nuove
di una nota acuta, posizioni
senza dei risuonatori
aver toccato alla
radice il
problema, che consiste nel fare preventivamente piazza pulita nella mente delle tensioni associate alla nota acuta da
intonare. In altre parole non si tratta di aggiungere, ma di togliere. Se ciò non avviene, ogni preparazione
intenzionale
degli acuti sarà solo illusoria, non essendo in realtà che il riflesso cosciente (fonte a sua volta di tensioni) della
paura
che essi suscitano.
Questa previdenza, questo "fare in previsione di", quando è ormai troppo tardi, è quel "di più" che sposta l'ago
della
bilancia dal punto di equilibrio (= emissione "libera", "leggera", "sul fiato") verso la zona gravitazionale (=
emissione
spinta, risonanza forzata). Al contrario per rimanere in equilibrio è 'sufficiente' limitarsi allo strettamente
necessario, nel
nostro caso lasciare alla mente conscia il solo compito di intonazione della nota senza preocupazioni legate

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all'altezza,
mentre da parte sua la mente inconscia attuerà automaticamente gli aggiustamenti occorrenti.
Questi ultimi sono talmente sottili che solo inserendo "il cantante automatico" possono entrare correttamente in
funzione, mentre paradossalmente sono proprio i tentativi di regolazione consapevole, in quanto grossolani, che li
impediscono. Il rilassamento precedente ogni nota acuta (frutto di un atto di concentrazione teso a sgombrare dalla
mente ogni preoccupazione superflua nel senso che prima abbiamo detto) è ciò che consente all'organo fonatore di
realizzare automaticamente quei piccoli aggiustamenti, senza le interferenze muscolari che danno luogo a sonorità
spinte o di gola; esso è avvertibile chiaramente, ascoltando i grandi cantanti. In questi l'intonazione di una nota
acuta è
accompagnata spesso da un effetto quasi impercettibile di portamento, che sembra coincidere con l'effettuazione del
passaggio, segno che mentalmente essa è stata concepita nella stessa posizione della precedente più bassa, gli
automatismi del corpo provvedendo immediatamente dopo a quei minimi aggiustamenti necessari per compensare
le
mutate condizioni di risonanza.
L'operazione, oltre che istantanea, è ad alta precisione in quanto la sonorità che ne risulta sembra essere in perfetto
equilibrio aperto/chiuso, ciò che rende omogenea la voce, annullando o per lo meno sfumando al minimo le
diversità
timbriche tra i registri.
I tentativi di riproduzione "artificiale", ossia di imitazione del fenomeno, partendo da
una ricerca intenzionale del portamento, non mancano, ma il rischio è di rompere il delicato equilibrio con un
intervento
pesantemente meccanico, a prezzo per giunta di un deprecabile effetto estetico.
Uno dei modi per eliminare le tensioni e predisporre le necessarie condizioni di rilassamento<2 per affrontare un
difficile intervallo ascendente consiste nell'esercitarsi mentalmente a concepirlo come discendente.
Data una sequenza di note ascendente, considerare la prima nota come la più alta porta ad alleggerirne l'emissione
(che è notoriamente la condizione indispensabile per salire), evitando così di indulgere in sonorità piene, che
renderebbero tardiva e scorretta la preparazione dell'acuto. Questa deve avvenire già con l'alleggerimento, che
quindi
va inteso non solo come pura e semplice attenuazione della sonorità, nè tanto meno come perdita dell'appoggio,
chiusura della gola o risalita della laringe, bensì come mantenimento di alcune condizioni fonatorie tipiche della
zona
medio-bassa (senso di apertura della gola) e preparazione di altre tipiche della zona acuta (senso di ampiezza, di
larghezza e di apertura delle cavità superiori), senza indulgere in sonorità troppo corpose, brillanti o voluminose,
che
spezzerebbero l'equilibrio nella composizione acustica del suono e farebbero emergere in questa zona centrale della
voce quella componente della "corposità" che è la zavorra che impedisce di "salire" senza affaticare le corde
vocali. In
tal modo è più facile mantenere intatta la concentrazione mentale sull'emissione della seconda nota, che, concepita
come più bassa, sarà semplicemente la conseguenza e il prolungamento della prima, non più un improvviso
ostacolo
da superare con un nuovo appoggio e una riconquistata posizione dei risuonatori, sfocianti in uno stacco tra le note

ein uno sforzo laringeo.


La strada "in discesa" verso gli acuti è quella che sfrutta l'aspetto positivo dei parametri
spaziali, attivando il riflesso di rilassamento associato alla parte discendente di ogni disegno
melodico o esercizio vocale.
La concezione visivo-spaziale degli acuti è quindi profondamente radicata nella coscienza fonatoria e la sensazione
dell'altezza è comune all'emissione naturale, così come a quella artistica. Molto diversa risulta essere però nei due
casi
la base fisico-meccanica e la confusione terminologica e concettuale che può derivarne è deleteria.
Nello stadio più elementare dell'emissione vocale il dato meccanico più evidente è costituito dall'ascesa visibile e
accentuata della laringe per l'intonazione delle note acute e su questo si basa essenzialmente la sensazione
dell'altezza. Al drastico impoverimento della sonorità che ne consegue il principiante ovvia in due modi, nessuno
dei
quali finalizzato a modificare il dato di partenza scorretto. Il primo, per il quale propendono le voci maschili,
consiste nell' agire più vigorosamente sui muscoli tiroaritenoidei della laringe, escludendo i muscoli intrinseci.
Questo consente di conseguire, per quanto scorretto, un livello (minimo) di uniformità di timbro e di intensità

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vocale,
che altrimenti subirebbe un naturale calo, in obbedienza anche a certi meccanismi fisiologici autoprotettivi.
Il secondo modo, più consono alle voci femminili, è al contrario caratterizzato da un estremo alleggerimento
dell'emissione: l'affievolimento della voce non è contrastato di forza nè compensato, ma la voce trova in un certo
senso
scampo nelle risonanze di testa e risulta meno gridata.
A condizioni laringee e faringee avverse i principianti reagiscono insomma accentuando le modalità di emissione
("di
petto" o "di testa") tipiche rispettivamente del parlato maschile e femminile, lasciando immutato il dato di partenza
scorretto.
Una variante opposta per quanto riguarda la posizione della laringe, ma di uguale carattere costrittivo, è
rappresentata
dall'abbassamento forzato della laringe, cioè attuato non col rilassamento, ma contrastando con l'azione dei muscoli
infraioidei (sternoioidei, omoioidei, sternotiroidei) la tendenza a salire della laringe. Rimanendo tutto il resto
immutato,
eccezion fatta per un accentuato allungamento del tubo faringeo, il risultato è un timbro scuro e pesante, che suona
come la caricatura dell'emissione operistica.
Tutte e tre le modalità hanno in comune in misura variabile la contrazione dei muscoli stilo-laringei che, contrastata
come nell'ultimo caso o assecondata come nei primi due, è all'origine della sensazione di direzionalità soggettiva,
di
proiezione dei suoni dal basso verso l'alto per l'emissione delle note acute.
Di natura diversa appare la sensazione fonatoria dell'altezza nella fase più avanzata degli studi vocali, quella
dell'emissione sul fiato o in maschera. Originata da fenomeni vibratori nella zona della maschera sulla base di un
bilanciamento delle tensioni muscolari necessarie, essa ha caratteri evidenti di staticità. Tutte le note, in particolare
quelle acute, non vengono raggiunte dal basso o spinte in fuori, ma dominate dall'alto, da cui l'impressione di
"coprire"
o "mettere il coperchio" agli acuti. Le sensazioni di sospensione statica sono rintracciabili in molte altre
espressioni-
chiave della didattica vocale, quali "appoggio", "canto sul fiato", "colonna del fiato", ecc.
La prevalenza delle sensazioni "aeree" del fiato su quelle meccanico-muscolari è proporzionale alla correttezza
dell'emissione.<3 Quando questa è totalmente libera, l'impressione è che il suono non provenga dalla laringe, ma
piova naturalmente dall'alto o galleggi sul fiato.
Abbiamo già visto come l'espressione "canto sul fiato", inteso nel senso di appoggio generico e diffuso su una
camera
d'aria o un cuscino elastico e non come accentuazione diretta e consapevole dell'espulsione del fiato, impediscano
quei suoni "sporchi" d'aria che si verificano quando la sensazione del fiato viene ricercata e localizzata nella gola,
di
modo che l'adduzione delle corde vocali è incompleta; permanendo in esse una certa tensione e rigidità, la quantità
d'aria che viene espulsa senza trasformarsi in suono, produce un effetto di afonia che "sporca" la nitidezza del
suono.
Gli inconvenienti non sono quindi solo di tipo estetico, ma riguardano anche la fisiologia dell'emissione: le corde

vocali
non vengono infatti lasciate vibrare, le sensazioni muscolari a livello laringeo e faringeo (= la "gola") non
svaniscono
dalla coscienza del soggetto e l'emissione rimane impedita. La diversa localizzazione soggettiva dell'origine del
suono
(in maschera) rispetto al dato "normale" e obiettivo che la colloca in gola e la diversa direzionalità è ciò che
caratterizza
l'emissione veramente libera.
Quando la coscienza della laringe scompare davvero il suono nasce direttamente nella zona della maschera, senza
che venga percepita la provenienza della sorgente reale. Questo non significa che tutti i tipi di emissione, privi di
questa caratteristica soggettiva, siano catalogabili toutcourt nella categoria diametralmente opposta del canto di
gola,
essendo la percezione mentale finale il risultato dell'interagire di più componenti meccanico-muscolari. Per quel
che
riguarda la sensazione soggettiva di pura direzionalità verticale dal basso verso l'alto (rappresentata nella fig. 18),
sappiamo come essa sia collegata in un rapporto biunivoco di causa/effetto con la contrazione dei muscoli stilo-

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laringei
elevatori della laringe.
fig. 18
Localizzazione delle sensazioni palatali.
!fghijdefghijd con varie frecce
Oltre che nel primo stadio dell'educazione vocale, che abbiamo in precedenza considerato, essa è frequentemente
riscontrabile nelle voci di soprano, soprattutto leggero.
È probabile quindi che essa intervenga come condizione fisiologicamente necessaria esclusivamente per la
realizzazione dell'estremità più acuta del registro di soprano leggero (rappresentando una sorta di estremo "colpo di
reni" atletico), mentre negli altri casi essa costituisce un semplice dato di partenza scorretto che non viene eliminato
o
che addirittura viene consapevolmente accettato e inculcato da quell'insegnante (nella maggioranza dei casi un
soprano) che abbia lo stesso modello fonatorio.
Sappiamo infatti come l'innalzamento cosciente della laringe, quale viene segnalato indirettamente da una
sensazione
interna di ascesa verticale, comporti oltre che ovviamente una modificazione intenzionale della posizione, anche un
affievolimento e alleggerimento della sonorità (dovuto alle diverse condizioni vibratorie delle corde vocali), che è
facile
compensare in maniera scorretta quando si voglia al contrario realizzare (caso frequente per le voci gravi) una
sonorità
più corposa. Il concorso di altre componenti coordinatorie modifica in misura variabile la linea retta della
direzionalità
verticale ascendente, convertendola in una parabola più o meno ampia (descritta nella fig. 19), che corrisponde a
quell'immaginario "giro del fiato", cui alludono alcuni settori della didattica vocale. Così in alcune scuole di canto
si
immagina che il suono salga dalla laringe lungo la nuca per poi "girare" sopra la volta cranica e scendere dalla
fronte e
dal naso fino al palato anteriore.
fig. 19
Localizzazione delle sensazioni palatali. varie frecce e puntini che girano nella testa
Di una nota acuta che risulti forzata e non risuoni liberamente in tutta la sua ricchezza di armonici, si dice che è
"diritta"
e la causa viene identificata nella mancata o insufficiente realizzazione di quel giro del fiato, in grado di conferirle
ampiezza e morbidezza.
Punto di riferimento importantissimo e meta finale di questa parabola immaginaria sono le sensazioni palatali-
anteriori,
con un'estrema concentrazione delle risonanze in un punto focale corrispondente al punto di Mauran, concepito
come
minuscolo foro da cui di conseguenza potranno uscire solo i suoni che non siano "larghi", "aperti" o "gonfi".
Quando, secondo questa concezione balistica, l'"alzo" è sbagliato e il bersaglio non è centrato, la nota risuonerà più
o

meno "indietro",
brillantezza. potrà ad
Un simile esempio
modello interessare
mentale la zona arretrata
della fonazione del palato
mira nella e non quella
sua complessità frontale,
a far che
scattare le conferisce
diversi
meccanismi
(uno dei quali è senz'altro il passaggio), evitando sia un'eccessiva elevazione della laringe con arretramento
progressivo delle sensazioni vibratorie dalla zona della maschera a quella naso-faringea (quale si riscontra nella
pura
direzionalità verticale a linea retta), sia un irrigidimento in basso della laringe che appesantisca il suono. Quando
quest'ultima ipotesi si verifica, il suono è percepito sotto il fiato, mentre se la laringe è in sospensione elastica
(ossia al di sotto di un certo livello di guardia ma in condizioni vitali di movibilità) s'immagina che il suono possa
navigare da solo sul fiato, senza bisogno di essere tirato o spinto con la forza.
Un ostacolo alla utilizzazione pratica di quest'immagine è dato dalla difficoltà di conciliare tra loro mentalmente gli
elementi opposti che la compongono: il primo rappresentato dalla coincidenza iniziale tra direzione del fiato e
direzione
del suono, il secondo rappresentato dal suono che, cambiando direzione, scende e si appoggia sul fiato. Questo
improvviso cambiamento di prospettiva rende molto difficile la disattivazione, richiesta a un certo punto
dell'emissione,

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dei meccanismi muscolari connessi con la direzionalità ascendente, a rischio di perdere di vista durante il percorso
quelle sensazioni frontali della "posizione", che più che una meta finale dovrebbero costituire un dato di partenza
immutabile. In secondo luogo questo schema immaginario dell'emissione è troppo simile, sosprattutto nella sua
parte
iniziale, a quello che intraprendendo gli studi l'allievo pensa sia l'effettivo svolgimento del processo fonatorio, con
tutti
gli inconvenienti già segnalati nel primo capitolo.
Con più coerenza logica interna un altro settore della didattica, noncurante delle esigenze di verosimiglianza e di
plausibilità obiettiva di queste impressioni mentali (esigenze che spesso spingono a inquadrarle nello schema
teorico
di quello che si crede essere l'effettivo svolgimento dell'emissione), concepisce il suono come avente origine e
direzione opposta a quella del fiato (v. fig. 20).
fig. 20 Localizzazione delle sensazioni palatali.
$edjihgf
Si evitano così più facilmente le pressioni e le tensioni eccessive che derivano dal pensare che il suono per essere
udito abbia bisogno di essere spinto fuori dal fiato.
La concezione del suono che, scendendo liberamente dall'alto si "appoggia" alla "corrente" del fiato senza essere
spinto,<4 è determinante ai fini della realizzazione di un attacco morbido (come può condizionare la correttezza di
tutta
l'emissione), dal momento che poi la localizzazione delle sensazioni vibratorie nella zona palatale anteriore
contribuisce al sorgere delle sensazioni di direzionalità orizzontale.
Queste ultime, se la percezione e l'attuazione del momento statico mancano, possono facilmente essere associate
alla
direzione del flusso del fiato, portare a un'accentuazione del momento dell'espulsione e quindi a un eccessivo
dispendio d'aria, segni entrambi di un lavoro difettoso svolto dal diaframma. Ci troviamo qui di fronte a una delle
tipiche
dicotomie concettuali presenti nella pedagogia vocale, che esprimono sotto forma di correlazione tra elementi
opposti
(chiaro/scuro, petto/testa, aperto/coperto, maschera/affondo, tensione/rilassamento, rotondità/punta, ecc.) delle
realtà
complesse e ineludibili del canto.
In questo caso si tratta della dialettica movimento/immobilità. Di entrambi questi poli vive la voce e il problema sta
nel
conciliarli in un'immagine mentale sintetica e coerente, che, senza sacrificare nessuno dei due, dia come risultato
finale l'emissione libera. Si tratterà di immagini astratte, dato che ogni rappresentazione interiore troppo precisa e
dettagliata dei processi e dei meccanismi fonatori (specialmente per quanto riguarda le corde vocali) rischia,
quando si
canta, di inibire il libero estrinsecarsi delle forze subconsce nel senso che abbiamo già spiegato precedentemente.
La percezione dell'elemento dinamico è data dallo svolgersi continuo e ininterrotto nel tempo della linea del suono,
dal
ritmo vitale del ciclo ispirazione/espirazione, dal libero e calmo dilagare del flusso sonoro, dall'espansione nello

spazio
circostante delle risonanze, dal mobile gioco dei singoli meccanismi vocali, operanti in perfetta sincronizzazione ed
elasticità.
Per contro la coscienza della componente statica è data dalla tenuta salda e nello stesso tempo elastica del
diaframma, dalla percezione dello spazio corporeo interno dilatato, dal senso della "posizione" della voce in una
zona
dell'apparato di risonanza dove il suono (scorrendo nello stesso alveo) rimane costantemente a fuoco in tutta la sua
ricchezza di armonici pur nel variare delle colorazioni vocaliche, timbriche e dinamiche, e infine da un senso di
possesso sicuro e tranquillo della voce come di un patrimonio infinito e inesauribile di sonorità "piovute dall'alto"
(e non
raggiunte e conquistate con la forza), che è bello dispensare liberamente.
Entrambe queste dimensioni devono diventare realtà viva e operante nella coscienza fonatoria, coesistendo fra loro
pacificamente.
Nelle immagini mentali del processo fonatorio che tradizionalmente vengono proposte agli allievi, non sempre i
due
aspetti si conciliano in maniera equilibrata e coerente, che è ciò che tenteremo ora di fare.

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Elementi costitutivi del secondo approccio sono i concetti di appoggio, affondo, copertura. L'immagine in cui si
concretizzano è quella della colonna del fiato, che qui rappresentiamo in maniera intenzionalmente vaga e astratta
per
i motivi già noti.
fig. 21
Laringe
Diaframma
Dobbiamo pensare che le pareti di questo contenitore di gas (identificabile nella sua parte superiore con la gola)
siano
elastiche, in grado quindi di stringersi e allargarsi.
Possiamo indicare con una freccia la direzione di quella forza che spinge in alto il diaframma e fa fuoriuscire il
fiato
durante l'emissione.
fig. 22
Già sappiamo che se questa forza non è bilanciata correttamente, accade che i riflessi condizionati sbagliati,
precedenti all'educazione vocale, tendono, man mano che la voce "sale", a chiudere la gola, a caricarla di tensioni
costrittive e a far salire la laringe a livelli pericolosamente alti. (fig. 23)
fig. 23
Limitandosi a bloccare rigidamente la laringe in posizione bassa non si evita il restringimento e irrigidimento della
cavità. Il risultato è un suono "intubato", (fig. 24)
fig. 24
Perchè la gola rimanga aperta e libera da tensioni negative (condizione indispensabile perchè il suono rimanga
morbido e non risulti gridato) non basta pensare di lasciarla aperta, così come, se riceviamo una spinta violenta o
siamo trascinati con forza in qualche direzione, non è sufficiente proporsi di restare fermi in equilibrio per non
cadere,
ma è necessario opporre una forza uguale o superiore, tale da annullare quella che tende a turbare l'equilibrio.
Analogamente, perchè la gola rimanga aperta durante l'ascesa nella zona acuta bisogna pensare e percepire
distintamente una dilatazione e un ulteriore allargamento.
fig. 25
Abbiamo già visto che questo può avvenire solo se la mente è sgombra dalla preoccupazione degli acuti; questo è il
significato di quell'invito a "rilassarsi" prima della realizzazione delle note acute, cui fanno riferimento esplicito
molti
grandi cantanti, rilassamento che non è ovviamente un "mollare tutto" (nel qual caso il tentativo di riconquistare la
posizione si risolverebbe nell'emissione spinta), ma il frutto di uno sforzo di concentrazione mentale teso a eludere i
riflessi condizionati di chiusura della gola.
Il metodo detto dell'"affondo" mira a evitare i rischi di una perdita dell'appoggio e di un
restringimento delle cavità, derivanti da un'errata interpretazione del concetto di voce
"alta" e "in maschera". Esso si attua opponendo una forza discendente a quella
ascendente del fiato e che possiamo identificare genericamente con quella dell'energia sonora ("attaccare il suono
dall'alto", "appoggiare il suono sul fiato", ecc.). La sensazione è quella di una tensione elastica controllata, che
aumenta proporzionalmente all'ascesa nella zona acuta. Sul piano della formazione delle immagini mentali

soggettive
l'idea è che la pressione del fiato, su cui preme questa spinta verso il basso, allarga elasticamente e
ulteriormente la gola, che così non s'irrigidisce.
fig. 26
I re II mi III fa
Le tensioni in conflitto sono diffuse e non vanno localizzate in punti precisi. La distanza tra le note, concepita
sempre
più piccola man mano che la tensione aumenta, dà la sensazione di guidare la voce in uno stesso alveo e impedisce
che le note acute sfuggano dal binario del legato. L'eventuale perdita della "posizione" costringe a un recupero che
è
causa di tensioni costrittive che si ripercuotono sulla qualità del suono. Per contro, la "tenuta" della posizione non
dev'essere
suono realizzata in
per mantenere maniera rigida
l'equilibrio ma flessibile, graduando diversamente la tensione in rapporto all'altezza del
aerodinamico.
Indirizzare verso il basso la spinta cosciente non ha lo scopo di bloccare nè tanto meno di ridurre la fuoriuscita del
fiato, che, al contrario, aumenterà indirettamente come quando innaffiando, chiudiamo parzialmente con le dita il
foro

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d'uscita della canna per aumentare la potenza del getto d'acqua, non certo per interromperlo, o come quando
premiamo in basso il perno di una trottola per farla girare di più.
È come se la pressione dell'aria così ottenuta facesse rimbalzare in alto il suono, investendolo di una speciale
energia
acustica e creando un alone di risonanze che dà ampiezza e morbidezza.
Al contrario, indirizzando direttamente e consapevolmente in fuori il fiato, questo ha scarse capacità di arricchire il
suono, che risulta spesso sfuocato.
Quest'insistenza sulla dimensione della profondità e dello scavo nella cavità faringea, sede anche delle sonorità di
petto piene e corpose, può portare a ingolfare o infossare la voce, se prima non si sono prese opportune precauzioni,
la più importante delle quali consiste nell'attaccare il suono alto, leggero e ampio. Cerchiamo di chiarire il vero
significato di questi termini, che possono essere gravemente equivocati.
La sensazione di altezza è data non da una tendenza ad alzare la laringe, che rimane in posizione bassa e rilassata,
ma da una sensazione di apertura delle cavità a livello della maschera (v. p. 56). A sua volta questa sensazione di
apertura non ha niente a che fare con la nasalità (che è da evitare),<5 e neppure si può ridurre a una semplice
ricerca
di risonanze in quella zona della faccia (risonanza nasale), quest'ultima per altro solitamente benefica. Determinanti
sono le componenti di ampiezza, nel significato di larghezza e apertura in senso orizzontale, là dove il senso
dell'ampiezza del settore centrale e grave è dato prevalentemente da una sensazione di profondità e di lunghezza.
Accentuando eccessivamente queste ultime il suono diventerebbe troppo corposo e pesante per "salire". Di qui
l'esigenza di alleggerirlo, che significa equilibrarne la composizione acustica, sacrificando quelle componenti di
corposità, brillantezza e incisività (che pure in contesti musicali diversi dall'ascesa al settore acuto potrebbe
legittimamente avere) a favore di una sensazione di spazio ampio e vuoto e di una sonorità aerea, che non deve mai
essere rinforzata al massimo.
Per avere un'idea di queste due opposte dimensioni del suono basta cantare prima una nota centrale, cercando di
renderne tutta la pienezza e la corposità, poi una nota medioalta (eseguibile con una certa comodità), attaccando il
suono a bocca chiusa (e a narici ben aperte) e aprendo quindi gradualmente e morbidamente la bocca senza mai
spingere ai massimi livelli dinamici la sonorità. Se a questo punto si trasferiscono queste ultime modalità e
sensazioni
fonatorie alla prima nota, insistendo sul senso di ampiezza e sacrificando le risonanze troppo gravi "di petto", si
ottiene
quel suono alto, leggero e morbido che è il presupposto indispensabile se si vuole "salire" alla zona acuta con la
stessa
facilità di emissione.
I seguaci dell'affondo ipotizzano che "scavando", il suono si mantenga ampio, ma il rischio è che per recuperare la
base, vada perduta la vetta e che l'emissione si appesantisca.
Data ad esempio la sequenza di note rappresentata nel pentagramma della fig. 27, mentre
fig. 27 !gidgi
la concezione "normale" della successione ascendente dei suoni si potrebbe raffigurare come nella fig. 28:
fig. 28 fa3 la3 do4 fa4 la4
quella dell'affondo si potrebbe invece rappresentare in questo modo:
fìg. 29 la4 fa4 do4 la3 fa3

2 !gidgi
Mentre nella prima le note sono percepite sempre più lontane (e quindi sempre più diffìcili da "raggiungere"),
nell'altra
la distanza tra le note si riduce sempre di più man mano che si procede verso le note più acute, provvedendo la
tensione elastica progressiva dell'appoggio/affondo a tenerle nella stessa posizione e perciò sempre a portata di
mano.
La gola è sentita aperta e ampia, ma perchè rimanga tale occorre percepire un ulteriore allargamento elastico in
corrispondenza dell'ascesa alle note più acute. La concentrazione mentale è diretta allo sprofondamento elastico del
fiato, alla dilatazione "rilassata" della gola e alla riduzione (soggettiva) dell'intensità sonora ("dare meno voce").
Quest'ultimo requisito rappresenta un punto chiave, dato che ogni intenzione consapevole volta ad aumentare
direttamente l'intensità si traduce nelle note acute in un suono spinto e faticoso. In definitiva si può parlare
dell'affondo
come di uno "schiacciamento" progressivo, ovviamente non del suono, che rimane pieno e ampio, nè della gola,
che si
dilata, ma del fiato, inteso come molla del suono.
Le tendenze didattiche che privilegiano e focalizzano l'attenzione sulla percezione della direzionalità ascendente

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delle
forze (del suono e/o del fiato), immaginano solitamente questa direzionalità come una parabola, che abbiamo
descritto
a p. 73, allo scopo di evitare un tipo di emissione troppo duro e aggressivo, quale può derivare dall'idea di spingere
i
suoni direttamente e semplicemente "fuori". Coerenti con questa concezione sono quindi gli inviti a "girare la voce
in
avanti", a "fare la volta al suono", addirittura a "vomitare",<6 tutti espedienti per coinvolgere quei muscoli della
maschera che contribuiscono a tenere aperte tutte le cavità di risonanza. Le sensazioni vibratorie percepibili in
questa
zona rafforzano ancora di più l'idea del suono proiettato fuori.
Se il rischio dagli orientamenti didattici precedentemente descritti, rivolti a mettere in
luce la componente statica dell'emissione, era di bloccare quella flessibilità che è esigenza
vitale della voce cantata (così come per l'acqua scorrere e fluire ininterrottamente per non
stagnare), il pericolo insito in questa concezione è di perdere il senso dell'ampiezza della
voce ("cantare largo"), dato dall'appoggio diaframmatico, base e motore della voce, per
rinchiuderla in uno spazio angusto e costrittivo, per quanto "avanti" e "in maschera" possa
essere.<7 Ogni intenzione diretta a proiettare la voce o le risonanze fuori, avanti o in punti determinati della
maschera
(naso, palato, denti, ecc.) deve essere quindi compensata e bilanciata introducendo nell'emissione quel senso di
ampiezza alta e morbida, di sonorità diffusa e non ipertimbrata, dato dall'attacco dolce e puro e dall'apertura sì, ma
flessibile e non rigida, delle cavità di risonanza. Concludendo, possiamo dire che mentre le concezioni
direzionali ascendenti accentuano la componente dell'altezza (ma altezza non significa far perdere alla voce il
continuo
contatto della voce con l'onda di energia, su cui si appoggia e "galleggia"), le concezioni direzionali discendenti
accentuano la componente dell'appoggio (ma far "galleggiare" il suono non significa farlo "affondare").
Il complesso delle impronte sensoriali interne e delle impressioni mentali associate all'emissione vocale corretta,
offrono al cantante gli strumenti per arrivare con un lavoro introspettivo al vero nucleo della propria vocalità,
indipendentemente dai giudizi esterni. L'apprezzamento uditivo della voce in base al timbro è parimenti di
importanza
fondamentale, ma presuppone in primo luogo che chi è chiamato a formulare il giudizio possieda un orecchio
diagnostico sensibilissimo e in secondo luogo che il timbro di riferimento utilizzato sia effettivamente corretto. Una
sola
delle due condizioni di solito si realizza, la prima molto più raramente della seconda, il rischio essendo che l'allievo
modelli il proprio giudizio estetico in conformità di un timbro, che è frutto di un'emissione scorretta. La presa di
coscienza delle sensazioni interne può servire da verifica, consentendo sia un'auto-valutazione della propria tecnica
vocale indipendentemente dalle influenze esercitate dai giudizi esterni, sia, dopo un certo periodo, un controllo
automatico continuo della propria emissione, quali che siano le condizioni ambientali in cui si canta.

<note
<1 Queste sensazioni, in particolare quelle palatali-anteriori, "sono trasmesse alla formazione reticolata bulba-re

detta
attivatrice e hanno per effetto la stimolazione del tono della muscolatura glottidea, mantenendo o aumentando il
mordente della voce".
<2 Inteso nel senso relativo che conosciamo, di eliminazione delle tensioni negative superflue (solitamente
accumulantisi nelle spalle e nel collo) di modo che esse non interferiscano con quelle funzionali che con l'esercizio
saranno diventate atto riflesso e automatico, patrimonio della memoria fisica.
<3 Pensare di essere il vento è l'espediente psicologico cui ricorreva recentemente Gerard Souzay durante un suo
corso di perfezionamento per far raggiungere a un allievo questa condizione.
<4 Per rendere più concreta l'immagine, una tradizione didattica suggerisce di pensare al suono come a una pallina
in
equilibrio sulla fontanella del fiato, essendo le sensazioni di equilibrio statico conseguenza dell'appoggio
diaframmatico.
<5 Mentre la nasalità costringe e limita il suono in una sola cavità, la sensazione del suono alto è che esso non
abbia
limiti, ma comunichi direttamente con lo spazio esterno per trovare anche lì una cavità di risonanza.
<6 Si tratta di immagini diametralmente opposte a quelle elaborate dall'approccio descritto precedentemente, che

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invitando a deglutire o "bere la voce" (Lamperti) e ad aspirare invece che espirare i suoni, miravano ad eliminare le
spinte e le costrizioni della gola, mantenendola elastica.
<7 Frequente è anche la concezione del palato molle da una parte, e della laringe e del diaframma dall'altra, come
elementi di un sistema "a fisarmonica", dove all'innalzamento dell'uno corrisponde l'abbassamento dell'altro e
viceversa.

11. Gli approcci pedagogici nazionali al canto

La pedagogia vocale ha ormai da molto tempo al suo attivo una imponente bibliografia: trattati teorico-pratici di
impronta scientifica si sono moltiplicati soprattutto nell'area culturale anglo-sassone dall'epoca di Garcia ai giorni
nostri,
aggiungendosi e in molti casi sostituendosi a quelli tradizionali a carattere empirico.
Il fatto che la produzione e la destinazione di queste opere veda sostanzialmente esclusa l'Italia è costatazione
ovvia
che non è sfuggita all'attenzione degli studiosi stranieri, sollevando interrogativi in proposito.
L'Italia non è più forse la patria del belcanto (o perlomeno l'unica) ma è certo ancor oggi meta didattica e
professionale
di un gran numero di cantanti stranieri.
In molti dei testi in oggetto la vocalità e la didattica italiane non solo non sono oggetto di critica, ma beneficiano di
quell'ottica idealizzante con cui storicamente gli uomini di cultura stranieri hanno guardato all'Italia.
Così in alcuni casi si favoleggia di una sorta di Eldorado vocale, dove il genio musicale ha già magicamente
predisposto lingua e abitanti al canto, senza il duro processo di apprendimento razionale necessario negli altri paesi,
alle prese come sono con una "natura" linguistica e una cultura ostili all'esteriorizzazione emotiva che sarebbe alla
base del canto così spiccatamente "energetico" degli italiani.
Anche se la realtà è ovviamente molto meno rosea (tanto che gli studenti di canto italiani stenterebbero a
riconoscersi
in questa descrizione) è tuttavia innegabile che in Italia sono più numerosi i casi di allievi che intraprendono lo
studio
del canto, avendo già a disposizione una voce "fuori", cioè un'impostazione vocale sommariamente corretta, ciò
che
s'intende parlando di voce naturale. Concentrando i propri sforzi su un materiale già abbozzato, la didattica italiana,
nei
suoi esempi più rappresentativi, riesce ancora a esprimersi in linea con i principi della tradizione, mentre si mostra
sprovvista di strumenti operativi efficaci quando si tratta di affrontare casi più problematici, quali quelli
rappresentati
dalla media degli studenti di canto. Di qui deriva la sfiducia diffusa nei confronti degli insegnanti in Italia e per
converso
l'ammirazione per la preparazione tecnica e musicale di molti cantanti stranieri.
I titoli di merito della didattica straniera andranno individuati non tanto nella tendenza
(che è segno del tempo) a esprimersi in termini scientifici (perchè è chiaro che i requisiti
indispensabili di un buon insegnante sono costituiti prima di tutto dall'esperienza sensoriale in prima persona della

giusta emissione,
reciproco da un tramite
di esperienze buon orecchio e da capacità
libri, riviste pratiche
specializzate, di intervento
congressi, manipolativo)
nell'apertura a nuovequanto
idee e nello scambio
influssi pedagogici
e
nell'approfondimento dello studio della voce cantata dal punto di vista acustico, fisiologico e psicologico.
Si può dire che da questa fioritura di cultura tecnico-vocale l'Italia si lascia appena sfiorare, mentre un'importante
punto
di riferimento, benchè non unico, continua a rappresentare all'estero la tradizione italiana, oggetto di studi
scientifici e
quasi ideale di classicità che permea molta di quella terminologia e metodologia.
La ristrettezza visuale della nostra didattica sarà forse imputabile alla figura del cantante come buon selvaggio tutto
istinto e poca cultura che continua tutt'oggi a proliferare, certo è che questo vuoto culturale si manifesta non solo
come
assoluta chiusura nei confronti di ogni approccio scientifico allo studio del canto, ma anche, cosa molto più grave,
come mancanza di coscienza della propria identità culturale e vocale.
Mentre all'estero la vocalità italiana è percepita chiaramente nelle sue caratteristiche positive essenziali di chiarezza
di

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dizione, di equilibrio tonale e facilità nell'emissione, di omogeneità timbrica, presso le scuole italiane questi valori
non
hanno trovato una sanzione unanime, generando confusione e disaccordo nella scelta della priorità degli obiettivi
vocali e quindi anche dei mezzi per raggiungerli.
Questi ultimi risultano spesso applicazioni parziali di tecniche di provenienza molto eterogenea, di cui si ignora per
altro la logica che originariamente le inquadrava.
Nei suoi risultati migliori la didattica italiana si caratterizza per una vocalità che è manifestazione di un equilibrio
perfetto tra le innumerevoli tensioni di cui vive lo strumento-corpo. Tutto ciò trasmette anche esternamente nello
spettatore la sensazione di assistere a un fenomeno naturale. Mentre chi canta in maniera incolta ha e dà l'idea di
una
precisa localizzazione della fonte del suono nella zona laringea, nel canto artistico di tradizione italiana questo non
si
verifica, anzi addirittura può sembrare che la voce sia irradiata da una sorgente diffusa esterna al cantante.
Tutto il corpo canta, secondo le affermazioni di alcuni grandi cantanti del passato nel senso di un coinvolgimento
globale delle energie, mentre la vocalità non è più percepita come un'attività, ma come un fenomeno che
semplicemente si manifesta. Analogamente alla sensazione acustica, l'apparenza visiva esterna è di relativa
naturalezza. Il corpo appare ben piantato sulle gambe in posizione eretta, con la testa alta, il petto sostenuto, le
spalle
e il collo rilassati, le labbra e la bocca atteggiata normalmente, la fronte distesa.
Una tensione diffusa di tipo elastico percorre e anima tutto il corpo, muscoli facciali compresi, senza peraltro
diventare
visibile sotto forma di rigidità localizzate in qualche zona particolare.
Il raggiungimento di questo meraviglioso equilibrio muscolare interno ed esterno è perseguito con metodi
essenzialmente indiretti, privilegiando su tutti il controllo acustico del timbro.
Il ricorso molto frequente alla nozione di "fiato", specialmente tramite l'uso di espressioni caratteristiche come
"cantare
sul fiato", che sembrerebbe testimoniare un'attenzione particolare rivolta alla respirazione, in realtà fa riferimento a
una
di quelle sensibilità interne fonatorie che segnalano quando l'emissione è libera. La ricerca e la stimolazione di
queste
sensazioni assieme al ricorso a immagini mentali sotto forma di espressioni verbali e gestuali particolari,
costituiscono
una componente importantissima della didattica tradizionale italiana. L'allievo viene a seconda dei casi invitato a
immaginare il suono alto, a fare correttamente "il giro del fiato", a cantare leggero o "avanti", a cantare "come si
parla",
a non "gonfiare" il suono, a concentrarlo in un determinato punto delle cavità di risonanza, ad appoggiarsi sul fiato
e
così via.
In tal modo si mira gradualmente a stabilire la sensazione dei due "appoggi"; in maschera e in petto.
Il primo è costituito dalla presa di coscienza della voce come fenomeno vibratorio localizzato nella zona frontale
delle

cavitàledisensazioni
Tutte risonanza,vibratorie
corrispondente al punto di pronuncia
che contribuiscono a creare delle consonanti
la coscienza delladentali e labiali.
"posizione avanti" o "fuori" della voce
devono interessare solo questo piano verticale che passa per le labbra e la zona nasale esterna, escludendo ogni
sensazione costrittiva a livello faringeo, laringeo e nasale interno (nel primo caso ottenendo il suono "in maschera",
nel
secondo il suono ingoiato o intubato o nel naso). Nei vocalizzi la preferenza per vocali per definizione "anteriori"
come
la "i" e la "e" operano verso il raggiungimento della "punta" del suono, cioè un arricchimento di quegli armonici
acuti
che fanno "correre" la voce. In questo modo è possibile con successive correzioni del timbro ("copertura" degli
acuti,
compensazione delle vocali) arrivare a quell'equilibrio tra risonanze basse e acute della voce che costituiscono
l'ideale
estetico italiano.
La predilezione per il suono brillante non è spinta così fino agli eccessi della scuola francese nè d'altra parte
l'oscuramento del timbro costituisce un punto di partenza com'è in quella tedesca, dov'è attuato imponendo una

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posizione fissa e predeterminata delle cavità di risonanza, posizione modellata su quella delle vocali posteriori "o"
e
"u".
Sono queste due tendenze antitetiche, coerenti rispetto al contesto dei rispettivi metodi e funzionali a due estetiche
nazionali completamente diverse. La prima, esaltando il momento della pronuncia (attuata frontalmente con una
notevole mobilità labiale, con il contatto costante della punta della lingua coi denti inferiori e anche con movimenti
articolatori della mascella derivati dal parlato) e trascurando la consapevolezza del flusso del fiato e dell'appoggio,
arriva al suono in maschera, ma privato delle possibilità di escursione dinamica e di energizzazione dell'emissione
italiana. Una posizione abbastanza alta della laringe e un'apertura in senso orizzontale della bocca sono i
presupposti
tecnici più appariscenti di questo metodo, in linea con gli appelli alla "naturalezza" e al gusto del parlato
dell'estetica
vocale francese. In tal modo l'emissione in maschera francese rischia di essere la semplice
emanazione di una fonetica nasalizzata con affinità solo apparenti con quella italiana. In
quest'ultima infatti il ricorso a esercizi basati sull'uso di vocali anteriori e di consonanti
labiodentali o nasali ha lo scopo principale di stabilire la "posizione avanti" della voce e
solo in via secondaria quello di migliorare la dizione.
L'attenzione centrata sull'elemento astratto del "fiato" (inteso come percezione del flusso sonoro) prima che su
singoli
elementi del meccanismo articolatorio (punta della lingua, labbra) come invece avviene nella scuola francese,
impedisce che l'accentuazione del momento della pronuncia spezzi il legato e la linea di canto, valori prioritari
dell'estetica italiana.
La diversità delle scelte si fa ancora più evidente quando si consideri come viene affrontato nelle due scuole il
problema del registro acuto.
Col metodo di "copertura" dei suoni la scuola italiana opta infatti chiaramente per valori inerenti al suono
(chiaroscuro,
velluto) a scapito della dizione (conseguenza della "copertura" sono infatti la chiusura delle vocali aperte e un
leggero
scurimento e arretramento delle risonanze), pur cercando di garantire una certa omogeneità timbrica fra i registri.
L'esaltazione del suono, corrispondente ai nodi drammatici è resa possibile da un'intensificazione dell'appoggio là
dove
il metodo francese, prediligendo una sonorità più moderata nel rispetto della fonetica parlata, tende a ignorare il
passaggio al registro acuto e l'appoggio sul fiato, entrambi elementi fondamentali della vocalità italiana. Come
abbiamo
visto precedentemente, l'acquisizione di questi due requisiti tecnici è realizzata nella scuola di canto italiana con
metodi
indiretti di controllo timbrico. Con un diverso dosaggio delle tre componenti fondamentali del suono cantato (il
"corpo" o
la "polpa" = pienezza, la "punta" o il "metallo" = brillantezza, e il "velluto" = morbidezza), in rapporto alla zona
tonale, è
possibile far attuare al meccanismo vocale gli aggiustamenti desiderati senza gli squilibri derivanti talvolta da

interventi
diretti sulla muscolatura.
Se questo è relativamente facile per quanto riguarda il passaggio di registro (oscurare
leggermente il suono, pensare a una "u", cantare sul pianissimo, ecc.), molto più problematica si presenta la
realizzazione dell'appoggio senza una conoscenza abbastanza precisa delle forze muscolari in gioco.
Qui il metodo italiano si mostra del tutto vago e reticente, al contrario di quello tedesco, che scende nei dettagli, ma
sbilanciando troppo verso il basso l'equilibrio muscolare. Coinvolgendo nell'attività del sostegno (il "motore" della
voce)
non solo i muscoli a livello epigastrico ma anche quelli pelvici, dorsali e obliqui, questa tecnica riesce a sviluppare
una
forza anche eccessiva, che è spesso causa di rigidità. Con appositi esercizi basati su intervalli ascendenti si cerca di
stabilire subito il "contatto" col diaframma, che viene messo consapevolmente in tensione per l'emissione di
ciascuna
nota ascendente, fino ad arrivare a un automatico graduare della tensione in rapporto all'altezza della nota. Anche
la
capacità di dosaggio del fiato ne risulta migliorata, al contrario di quanto succede con il metodo italiano che,

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ponendo
subito l'accento sul fiato come punto di riferimento principale per conseguire il legato, l'emissione libera e
l'uguaglianza
timbrica dei registri, può all'inizio dar luogo a equivoci. Analoga tendenza a privilegiare il controllo muscolare
diretto
risulta evidente nei tentativi di stabilire una posizione fissa ideale dei risuonatori, con risultati questa volta più
discutibili.
L'abbassamento della laringe (ottenuto ricorrendo anche a metodi "diretti" come quello dello sbadiglio) e
l'arrotondamento delle labbra, ambedue contribuendo all'allungamento del padiglione acustico, vengono utilizzati
non
per bilanciare l'eccessiva brillantezza che può derivare dalla posizione molto avanzata del punto focale della voce
(nel
rispetto delle esigenze di flessibilità e di elasticità di cui vive il meccanismo vocale), ma per accentuare al contrario
la
dimensione scura e profonda del suono. L'uso predominante di vocali posteriori e l'accento posto sulle sensazioni
faringee di profondità (invece che su quelle frontali e "in maschera") rischiano di stabilire gradualmente una
posizione
rigida dei risuonatori, incompatibile con le esigenze del registro acuto, il risultato più evidente essendo
l'adattamento di
tutte le vocali al modello della "o". A questa modalità di emissione fa riferimento una delle implicazioni del
concetto di
"affondo". Usato come correttivo nei casi di una posizione troppo alta della laringe o per una impostazione
esclusivamente brillante della voce, esso può conferire quella pienezza e rotondità che costituisce il punto d'arrivo
di
quel paziente bilanciamento di armonici in cui consiste l'educazione vocale.
Normalmente esso rappresenta il presupposto funzionale per la realizzazione del cosiddetto "meccanismo pesante"
di
emissione (la voce "di petto"), che mette in risalto il corpo della voce e che entra in funzione per la zona centrale-
bassa: qui infatti la resistenza glottidea è dominante nel controllo dell'intensità, mentre per le note acute prevale il
controllo dei muscoli dell'appoggio e dei risuonatori. Come tale può legittimamente entrare
a far parte di una tecnica corretta a condizione che non abbia il sopravvento sulle altre modalità di emissione che
abbiamo indicato coi nomi di brillantezza e morbidezza (o "punta" e "velluto").<1
L'esclusione di una di queste componenti dalla tavolozza vocale dà ovviamente luogo a particolari limitazioni delle
possibilità espressive, l'emissione "unidimensionale" rappresentando ovviamente il caso più grave. Abbiamo già
visto
cosa comporti la prevalenza della sola brillantezza o del solo corpo. L'utilizzo di ambedue con l'esclusione della
morbidezza (com'è il caso per esempio della tecnica "verista") dà ugualmente luogo a una ridotta gamma
espressiva,
che è in sostanza quella lamentata dai fautori del ritorno al belcanto: incapacità di cantare piano, di sfumare il
suono,
ecc.

Oggi nel graduale


dell'impatto diffondersi
acustico diretto coldisuono
una cultura vocale internazionale
che "riempie" (basata
il teatro, ma anche tra l'altro nonmediata
sull'esperienza più soltanto
della sulla fisicità
registrazione)
si
può dire che quello della morbidezza si va imponendo come un valore primario, condizione indispensabile di una
grande carriera vocale.<2 Non solo; proprio l'intensificarsi degli scambi culturali e le esigenze di diffusione
sovranazionale dei "prodotti" vocali dovrebbero far sì che lentamente vengano isolati ed eliminati quegli elementi
tecnico-vocali "particolaristici" che sono diretta espressione di culture "locali" e che non si accordano con altre
esigenze estetiche ormai sanzionate a livello internazionale.
Opposta sembra essere la tendenza in campo più specificamente didattico, almeno in Italia, e qui le conclusioni non
possono che ribadire le affermazioni e le ipotesi iniziali.
Mancando un terreno comune di riflessione e di approfondimento dei problemi della vocalità e delle varie
metodologie
didattiche (in un settore dove abbiamo visto è importantissimo il ruolo svolto dalla dimensione astratta delle
sensazioni
e delle immagini mentali), l'insegnamento del canto in Italia conserva i caratteri e i limiti di una cultura orale:
scarsa

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diffusione, estraneità al dibattito internazionale, impermeabilità agli influssi della cultura scientifica, confusione
terminologica e concettuale, clima esoterico che impedisce un franco scambio di idee su quelli che vengono
considerati segreti professionali. È così che intuizioni felici, private del nesso che le lega a una visione più ampia e
organica della vocalità, non vengono valorizzate nel giusto modo e non acquisiscono quella forza di penetrazione
che
altrimenti avrebbero.

<note
<1 Molto sommariamente si può affermare che di queste tre componenti del suono cantato, il corpo è legato a una
sensazione di profondità faringea, la brillantezza a una sensazione di concentrazione delle risonanze in un punto
focale posto "fuori", il velluto a una sensazione di altezza, di leggerezza aerea e di diffusione del suono.
<2 Una delle tendenze attuali della didattica negli Stati Uniti è costituita dalla rivalutazione del falsetto come
espediente didattico per arrivare a un'emissione morbida in zona acuta. Addirittura uno studioso americano ha
creduto
di individuare nelle connotazioni fortemente negative che questo termine tuttora conserva in Italia il motivo della
scarsità di cantanti italiani di livello internazionale.

Conclusione

La particolare natura della voce cantata (per cui lo strumento è nascosto, coesiste con lo strumentista e il controllo
su
di esso esercitabile è in gran parte di tipo indiretto) ha anche determinato il diversificarsi della pedagogia vocale in
vari
orientamenti, fra di loro spesso contrastanti ed essenzialmente riconducibili a tre: empirico, psicologico e
fisiologico. A
essi si ispirano i metodi, più o meno validi, di educazione vocale attualmente in circolazione; molti di questi si
presentano come "il Metodo" in contrapposizione polemica con tutti gli altri e con la pretesa di risolvere
taumaturgicamente, seduta stante, tutti i problemi dagli altri rimasti insoluti. Questa tendenza, spiccatamente
megalomane, è riscontrabile in numerosi casi di approccio empirico ed è spiegabile con la loro natura spesse volte
relativistica: in mancanza infatti di una verifica obbiettiva del presunto nesso causale tra un determinato
accorgimento
tecnico e un effetto vocale positivo (che spesso dipende invece da altri fattori, quando non sia del tutto
immaginario),
ogni freno all'elaborazione degli espedienti più cervellotici è sciolto.
Ma in genere ogni suggerimento tecnico particolare, che tenda a porsi come apritisesamo universale di tutta una
serie
di problemi vocali, deve essere guardato con sospetto: così, per esempio, sull'onda degli entusiasmi conseguenti
alle
prime ricerche scientifiche del canto, un noto pedagogo americano era arrivato a individuare nel mancato
abbassamento del velo palatino la causa esclusiva di tutti i problemi vocali nel registro acuto, mentre un
altro studioso spiegava con un determinato uso del diaframma il perchè dell'interruzione prematura delle carriere di

molti
Di cantanti,escatologiche
promesse col risultato di questo
una semplificazione eccessiva e èinattendibile
tipo la mente dell'allievo dellaassetata
particolarmente realtà. e in questo senso può
sussistere il pericolo che la ciarlataneria si ammanti di una infarinatura scientifica, per continuare a sopravvivere in
maniera tanto più nociva, quanto più l'allievo è disposto ciecamente a iurare in verba magistri, per l'accresciuta
autorità
che l'uso, magari arbitrario, di quattro termini scientifici è riuscito a conferire alla figura dell'insegnante.
Oppure per altro verso può succedere che dogmaticamente si insista a battere con esiti disastrosi una strada, che il
buon senso empirico suggerirebbe subito di abbandonare.
Tra i poli opposti di un'indiscriminata sperimentazione empirica da una parte (che si spinge fino a ricorrere a mezzi
della scienza riconosciuti già da tempo come pericolosi) e di un'aspirazione utopistica a un controllo diretto e totale
dei
meccanismi vocali dall'altra (a rischio di un disconoscimento dei dati della realtà concreta, per privilegiare quelli
astratti
della teoria), si muove la problematica della pedagogia vocale, mentre da parte sua la tendenza "psicologica" si
riconosce in una specie di filosofia del laissez faire, sollecitando indirettamente, grazie a espedienti psicologici, la
natura a realizzare automaticamente gli aggiustamenti desiderati.

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È evidente che ogni metodo efficace non può che essere il risultato della compenetrazione di questi tre approcci.
Così
quello empirico deve muoversi nell'ambito ben preciso segnato dalla ricerca scientifica, attingendo da questa quel
minimo di conoscenze che metta in grado l'insegnante di motivare logicamente determinate scelte tecniche e di
sapere
anticipatamente in che direzione esse portano dandone il giusto risalto, mentre quello fisiologico (o meccanicistico)
deve tener conto di tutta la tradizione didattica vocale, mettendone in luce (e quindi rafforzando) quei filoni che si
accordano coi suoi orientamenti scientifici, sconfessando quelli dimostratisi palesemente errati. Ambedue poi
devono
nutrirsi delle risorse offerte dai metodi psicologici, che rappresentano in campo vocale quella riscoperta dei legami
profondi tra dimensione fisica e dimensione psichica dell'uomo, che caratterizza tutta la cultura odierna, a
cominciare
dalla medicina. L'influenza della mente sulla voce è grandissima e va dalla capacità di liberarla da certe tensioni
nocive, immaginando in un determinato modo lo svolgersi del processo fonatorio, a quella di realizzare
automaticamente un certo suono o effetto, semplicemente "concependolo", ciò che presuppone un orecchio
musicale
in grado di distinguere le più sottili variazioni nella qualità del suono e in secondo luogo un'impostazione tecnica
tale da
rendere possibile l'emissione di quel suono corretto che, analizzato poi mentalmente nella sua identità timbrica e
vibratoria, potrà costituire il modello per le successive riproduzioni, questa volta automatiche e frutto della capacità
immaginativa.
Di questi diversi orientamenti quello fisiologico-scientifico è in Italia ancora di là da venire, guardato spesso
addirittura
con aria di sufficienza dai sedicenti continuatori di una tradizione italiana, le cui uniche tracce esistenti oggi nelle
scuole di canto si riducono spesso a quelle espressioni enigmatiche cui accennavamo nel primo capitolo, quasi
relitti
inservibili in un sapere perduto. Di qui l'accentuazione polemica palesata talvolta nel corso dell'esposizione dei
primi
capitoli e la convinzione altresì che il risollevamento delle sorti della scuola di canto italiana (cullata sugli allori di
un
passato glorioso ormai tramontato e dei molti stranieri che ancora vengono a studiare da noi, attirati dal luogo
comune
che identifica il belcanto con l'Italia) non potrà avvenire che come conseguenza di un'apertura alla cultura vocale
internazionale più avanzata e alla diffusione di un livello di conoscenze scientifiche minimo fra gli insegnanti di
canto,
tali da garantirli dagli errori più grossolani.

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Vennard William, Singing: The Mechanism and the Technique, Carl Fischer, New York 1967.

Questo libro vuole essere una risposta alle esigenze, ormai sempre più diffuse tra gli studenti di canto, di una
conoscenza approfondita dei meccanismi della voce cantata, condizione essenziale per arrivare ad acquisire una
tecnica vocale in grado di salvaguardare l'integrità della voce e garantire una duratura carriera professionale.
Offrendo
una panoramica dei principali approcci didattici al canto, l'autore ne passa in rassegna i vari accorgimenti tecnici,
esaminandoli alla luce dei principi della fisiologia e dell'acustica. Il testo illustra e mette in risalto il ruolo svolto
nell'educazione vocale dai tre più importanti fattori di controllo, diretto e indiretto, dell'emissione cantata, quello
mentale-immaginativo, quello meccanico-fisiologico e quello fonetico-acustico, insegnando tra l'altro come
conseguire
una giusta coordinazione muscolare di tutto il corpo-strumento e una precisa sintonizzazione acustica delle cavità
di
risonanza. Lo scopo finale è di sperimentare quella condizione "magica" di amplificazione "automatica" (ossia
senza sforzo laringeo) del suono, che va sotto il nome di "canto sul fiato".

ANTONIO JUVARRA, cantante e maestro di canto, ha approfondito lo studio della tecnica vocale con importanti
personalità del mondo del canto e della ricerca didattica e scientifica, sia in Italia, dove si è diplomato, sia
all'estero.
Ha cantato come solista nei maggiori teatri, tra cui La Scala di Milano, l'Arena di Verona, il
Massimo di Palermo, La Fenice di Venezia, scritturato personalmente da direttori come
Riccardo Muti e Gianandrea Gavazzeni. Numerose sono le registrazioni da lui effettuate per
enti radiofonici quali la RAI, Radio France e la Radiotelevisione Svizzera.

È autore diMusica
Bequadro, saggi e Domani,
articoli sulla
Nuovavocalità,
Rivistaapparsi su varie
Musicale riviste
Italiana musicali
e altre. Vivenazionali
a Padova.come

ISBN 88-7592-047-8
Stampa Nuova Ani Grafiche Ricordi S.f.l.
Stampato in Italia
Printed in Italy
Imprimé en Italie 1996
L. 30.000 (cd) E.R. 2856

<Indice
Prefazione
Introduzione
I principi che regolano l'emissione corretta
1. Le sensazioni fonatorie e la terminologia vocale
2. Le classificazioni vocali

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3. Cenni anatomici e funzionali sulla fonazione
4. La realizzazione dell'appoggio nel canto
5. Il ruolo del fiato nell'emissione e l'evoluzione dell'appoggio
6. Il "passaggio" o meccanismo di copertura della voce
7. Aspetti fonetici della risonanza
8. Il controllo dei risuonatori
9. L'emissione "sul fiato"
10. La percezione e il controllo mentale-immaginativo dell'emissione
11. Gli approcci pedagogici nazionali al canto
Conclusione
Bibliografia

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