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Lobbying e Relazioni Pubbliche
Lobbying e Relazioni Pubbliche
Nel libro vengono sovrapposte la gura del relatore pubblico e quella del lobbista. Ciò
accade per due motivi: il primo è che le due professioni si assomigliano molto, l’attività
del lobbista è infatti imperniata sulla negoziazione, così pure quella dell’addetto alle RP. Il
lobbismo è comunicazione e pure la media Relation è comunicazione. Il secondo motivo
è che una simile sovrapposizione è dettata dal modo in cui un’azione di relazioni
pubbliche raggiunge l’obiettivo stabilito. Le relazioni pubbliche, di fatto, vanno suddivise
tra quelle che operano all’interno delle “stanze del potere” con varie tecniche di
convincimento e quelle che operano all’esterno con l’intento di in uenzare l’opinione
pubblica, o una parte di essa, spingendola verso una scelta sperata.
Le di erenze sono assai labili, infatti agire sull’opinione pubblica senza che qualcuno (il
lobbista) recapiti un documento, una proposta, un’idea a chi è poi il decisore, signi ca
fare un lavoro incompleto. D’altra parte, un lobbista che non ha dietro di sé la forza
dell’opinione pubblica è un lobbista “scarico”. Dunque, le relazioni pubbliche necessitano
sia di media Relations, sia di attività di lobbying per raggiungere i risultati pre ssati.
Paragrafo 1
L’inizio delle relazioni pubbliche come attività professionale ha luogo negli Stati Uniti,
nell’universo corporate. Nel 1900 esordisce sul mercato la prima agenzia di RP, il Publicity
Bureau di Boston, che gestiva i rapporti con la stampa per conto dell’Università di
Harvard.
Nella prima parte del 900 negli Stati Uniti numerosi cambiamenti hanno reso possibile la
realizzazione di una “democrazia degli a ari“, intesa come l’insieme degli interventi che le
corporations hanno operato per creare un’opinione pubblica, un sentore favorevole al
mondo imprenditoriale. I 4 cambiamenti più importanti sono stati: l’a ermarsi della grande
impresa, il consolidarsi del processo di urbanizzazione, l’ampliarsi dei segmenti di
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popolazione interessati a quelle logiche del consumo che stanno colonizzando il tempo
libero e la de nizione di un quadro politico-istituzionale di stampo decisamente
presidenzialista.
Tra l’inizio del 1900 e gli anni 30 negli USA si realizza una mutazione nelle relazioni tra
sfera pubblica e sfera privata; è dunque necessario ripensare al modo in cui la ri essione
politica e sociale è cambiata tra questi due periodi: 1) Nel primo, il termine opinione
pubblica designa un aggregato di individui al cui interno è riconoscibile uno strato di
soggetti informati, capaci di produrre deliberazioni razionali che raccolgono il consenso
dell’intera comunità intorno a una batteria limitata ed essenziale di questioni politiche.
2) Nel secondo i pubblici sono diventati molti e speci ci, si individuano a partire da
interessi frammentati, non necessariamente producono deliberazioni razionali, li si può
interrogare mediante sondaggi che ci restituiscono aggregati statici di opinioni individuali
sollecitate e ottenute sui temi più diversi.
Come incide lo sviluppo delle RP sulla sfera pubblica americana nella prima metà del
secolo scorso? Dal punto di vista della percezione che gli attori aziendali hanno della
società, c’è un desiderio di ridurre e sempli care la complessità dei rapporti sociali esterni
a misura di quelli gerarchici interni, grazie al ruolo di mediazione svolto dai consulenti di
immagine e comunicazione.
L’obiettivo è quello di spettacolarizzare, sempli care e soprattutto restringere e
privatizzare l’area del discorso pubblico: restringerla dal punto di vista dei soggetti che
potevano accedervi, degli oggetti che andavano tematizzati, dei modi di tematizzarli.
Lo sviluppo delle relazioni pubbliche negli Stati Uniti segue anche gli avvenimenti politici: i
tycoon non possono più accettare che, nel momento in cui chiedono nanziamenti al
governo per costruire nuove infrastrutture, i giornalisti pubblichino le loro malefatte. Così
nel 1902 viene creata a Washington la società dell’avvocato William Wol Smith, ritenuto
il primo lobbista u ciale, con il compito di persuadere i politici ed assicurare i
nanziamenti ai proprietari ferroviari, ma soprattutto a New York nel 1904 nasce, per
gestire i rapporti con i giornali, la Parker&Lee, una delle più importanti agenzie di relazioni
pubbliche, guidata da Ivy Lee.
Il piano di Lee consiste nel dare alla stampa e al pubblico degli Stati Uniti informazioni
tempestive e accurate su quanto il pubblico vuole sapere, tenendo presenti gli interessi
tanto delle aziende quanto delle istituzioni pubbliche. Per Lee è ridicolo pensare che
qualcuno (il relatore pubblico) possa avere la capacità di far pubblicare sui giornali
qualsiasi cosa desideri. La notizia, infatti, deve essere qualcosa di interessante; perciò, i
principali compiti del relatore pubblico sono quelli di o rire al giornalista del materiale che
sappia attirare l’attenzione della gente, e dare un’aura positiva all’organizzazione per cui
lavora. Ci si muove dunque sul terreno dell’indirect advertising o della Publicity, che si
distingue nettamente dall’attività principale del settore, la pubblicità commerciale
(advertising), per un motivo semplice: non prevede esborsi u ciali ai giornali.
Il ruolo che spetta al public relations man è quello di mediatore fra le imprese e l’opinione
pubblica. L’addetto alle RP è l’avvocato delle imprese presso il pubblico, ma anche, ed è
decisivo, del pubblico presso le imprese: ombudsman (difensore civico). Egli deve essere
in grado di incidere sulle strategie delle imprese. L’obiettivo del professionista delle RP è
fare in modo che i fatti diventino di pubblico dominio.
Un altro personaggio molto emblematico nella storia delle relazioni pubbliche è Edward
Bernays, nipote di Freud, che rappresenta l’archetipo del consulente di relazioni
pubbliche, interessato anche a promuovere la base teorica delle RP tramite le sue
numerose pubblicazioni. Bernays tenta di o rire una veste teorica al mestiere di
comunicatore professionale tramite uno dei suoi volumi di maggiore successo,
Crystallizing Public Opinion: il lavoro del professionista delle comunicazioni consiste nello
studiare la “mente pubblica”, applicando i principi della rilevazione socioeconomica tratti
dalla ricerca sociologica e soprattutto dall’indagini di mercato che fanno la loro comparsa
negli anni 10 del XX secolo.
Con Bernays prende piede un’altra interpretazione, per molti versi opposta a quella di
Lee, del ruolo di consulente di RP. Egli contribuisce a di ondere un’immagine delle
relazioni pubbliche come forza irresistibile e occulta, praticata da ingegneri invisibili ai
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quali la scienza dell’opinione pubblica dà il potere di manipolare comportamenti e
credenze degli innumerevoli gruppi nei quali la società si articola. Il consenso è
innanzitutto tecnica; le emozioni fondamentali del pubblico sono più forti della razionalità,
la persuasione più importante delle informazioni, gli eventi più della realtà. “Il consulente
di relazioni pubbliche non solo sa che cosa ha valore di notizia, ma è in grado di far
accadere la notizia“. Bernays riconosce al consulente di comunicazione piena lealtà verso
il cliente, la quale è subordinata a due imperativi etici: l’azione del consulente di RP è
sempre nalizzata al bene superiore della società nel suo insieme e al rispetto della corte
suprema, l’opinione pubblica, in nome della quale il consulente può ri utare o ricusare
una commessa. Il councelor può dunque illuminare l’opinione pubblica di un alto senso
morale, contribuendo a trasformarla in qualcosa di più nobile, ovvero una coscienza
pubblica.
È di cile valutare un’attività come le relazioni pubbliche, per de nizione di con ne: parte
tangibile e parte intangibile. In ogni caso la storia delle relazioni pubbliche, in particolare
la crescente importanza e rispettabilità che esse hanno assunto agli occhi del
management, rivelerebbe due tratti caratteristici dell’élite imprenditoriale americana:
1)l’imprenditoria americana è costantemente insicura rispetto al proprio potere e al
proprio ruolo nella società. 2) si riscontra l’accettazione da parte di molti attori economici
della validità e dell’equità del giudizio del pubblico. Le relazioni pubbliche hanno
o erto alla leadership economica uno strumento alternativo all’uso della violenza o della
corruzione, oggi utilizzato ampiamente, e per questo può essere intravisto nel boom delle
relazioni pubbliche un segno di salute della democrazia americana.
Il ruolo e l’evoluzione storica delle relazioni pubbliche sono stati ben sintetizzati dai
modelli proposti da James Grunig, il maggior teorico contemporaneo delle relazioni
pubbliche. La teoria generale di Grunig (elaborata nel 1984 e rivisitata nel 2001) parte da
un’analisi storica delle relazioni pubbliche che identi ca quattro modelli applicativi, tutti
ancora oggi largamente praticati. Molta della ri essione di Groningen è in uenzata
dall’ammirazione che lo studioso prova nei confronti di Scott Cutlip, suo docente
all’Università del Wisconsin. Cutlip aveva mostrato che le relazioni pubbliche sono un
processo a due vie (two-way communication), in cui “i professionisti delle RP devono
saper essere researchers, listeners and writers”. Per Grunig questo insegnamento ha
sempre rappresentato un framework centrale di tutta la sua ricerca.
1) Il primo modello è quello della press agentry/publicity avviato a metà 800 da
Phineas T. Barnum. Il ne del modello è la propaganda, la di usione di notizie
riguardanti l’organizzazione o i soggetti attraverso informazioni distorte, incomplete o
anche mezze verità. Si desidera occupare spazio nei media, facendo leva sulla
relazione con il giornalista, e, indirettamente, richiamare l’attenzione del pubblico, ma
non necessariamente il suo consenso o la sua comprensione. Il modello è a una via:
c’è un’unica parte attiva nel usso di comunicazione, ossia l’organizzazione o, più
esattamente, il suo press agent. L’informazione viaggia dal press agent al giornalista.
È un modello che esalta il ruolo dei media, ma che denota implicitamente una limitata
autonomia professionale del giornalista. Il modello è asimmetrico, nel senso che il
usso di comunicazione va da una fonte al ricevente, e ha degli e etti che sono tutti a
favore della fonte, cioè dell’organizzazione.
2) Il secondo modello, chiamato della public information, prende spunto dalle
invenzioni di Ivy Lee. La funzione del professionista delle relazioni pubbliche è
soprattutto di produrre e di ondere informazioni ai giornalisti: ma questa volta le
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informazioni devono essere fattuali, fedeli alla realtà e consapevolmente orientate non
solo a catturare l’attenzione, ma anche a in uenzare l’opinione pubblica in favore degli
obiettivi dell’organizzazione committente. Il giornalista è colui che chiede e riceve le
informazioni, le valuta, le interpreta, per poi decidere se e come renderle note ai
lettori. Aumenta il potere del giornalista rispetto al primo modello, poiché è visto come
uno strumento/ ltro verso l’opinione pubblica. È un modello sempre a una via (chi
comunica persegue soltanto il suo obiettivo e attribuisce scarso peso al feedback),
ma è comunque maggiormente simmetrico rispetto al primo. Viene considerato il
modello più praticato, soprattutto nella sfera della decisione pubblica.
3) Il terzo modello, two-way asimmetric, è stato elaborato da Edward Bernays: è
orientato alla relazione a due vie, ma sempre abbastanza asimmetrico. Il modello si
propone la persuasione scienti ca di determinati segmenti di pubblico, in funzione
degli obiettivi dell’organizzazione, utilizzando gli strumenti della psicologia e della
sociologia. Di conseguenza, è un modello a due vie perché l’interlocutore viene
continuamente ascoltato attraverso un intenso uso delle ricerche sociali (sondaggi di
opinione, focus group). Tuttavia, è asimmetrico poiché quell’ascolto si propone la
persuasione scienti ca, in funzione di obiettivi unilaterali e trascura la soddisfazione
dei possibili obiettivi dell’interlocutore. Il modello si focalizza sulla ricerca di quegli
aspetti dell’organizzazione che il pubblico apprezza maggiormente. In pratica, i
professionisti delle RP, più che sostenere il punto di vista del pubblico nei confronti del
management dell’organizzazione, comunicano al management ciò che il pubblico
desidererebbe. È un modello che, per la prima volta, postula che le relazioni pubbliche
non si rivolgono esclusivamente ai giornalisti o decisori pubblici (lobbying): si
riconosce che ciascun segmento di pubblico, anche e soprattutto dei consumatori,
può essere in uenzato da diversi altri soggetti, gruppi di pressione e opinion leader.
4) Il quarto modello, two-way simmetric, detto anche di Grunig, è un modello a due
vie, ma più simmetrico rispetto al precedente. Per l’organizzazione è di fondamentale
importanza l’ascolto preventivo, condotto prevalentemente tramite la ricerca sociale,
l’analisi attenta dei soggetti in uenti e la relazione interattiva con loro. L’ascolto non è
orientato solo alla costruzione di messaggi e caci da trasferire in funzione di obiettivi
dell’organizzazione, ma anche, e soprattutto, volto ad aiutare l’organizzazione stessa
a ottenere un posizionamento dinamico dei suoi sistemi di relazione con i pubblici
in uenti, perseguendo ni che tengano conto dei loro interessi e valori, incorporandoli
nei propri. Il professionista di relazioni pubbliche assume così un ruolo di interprete
attivo, sia pure sempre di parte, fra un’organizzazione e i suoi pubblici in uenti, e
opera così per attivare e sviluppare un dialogo, quella reciproca comprensione che
consente all’organizzazione di raggiungere più agevolmente i suoi obiettivi proprio
perché consente ai pubblici in uenti di ricavarne un percepibile ed e ettivo valore
aggiunto. È dunque la relazione, e non la comunicazione, a divenire il criterio chiave di
relazioni pubbliche e caci.
Le relazioni pubbliche possono essere considerate al contempo propaganda, di usione di
informazioni, persuasione scienti ca e comprensione reciproca. L’aspetto interessante di
queste quattro dimensioni delle relazioni pubbliche è che esse convivono, seppure in dosi
diverse, all’interno delle diverse iniziative professionali.
In Italia gli studiosi hanno sempre dedicato scarsa attenzione alle relazioni pubbliche e
alla loro storia.
A partire dal secondo dopoguerra in avanti, le piccole e medie dimensioni della maggior
parte delle imprese, la politica interventista dei governi e la scarsa competitività del
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sistema economico sono stati i principali ostacoli a un radicamento rapido delle relazioni
pubbliche in Italia.
Uno dei pochi volumi che ricostruisce l’evoluzione delle RP italiane è Governare le
relazioni, di Toni Muzi Falconi, il quale sottolinea come, dalla ne degli anni 40,
l’impostazione del nostro paese di realizzare un’economia incentrata sul settore
industriale e non più su quello agricolo sia stata in ogni caso una spinta per la creazione
almeno di un terreno adatto alla pratica delle RP. Un altro attore decisivo nel progresso
delle relazioni pubbliche è l’USIS (United States information service), un organismo del
dipartimento di Stato americano che deve svolgere in Italia una forte campagna di
comunicazione sugli aiuti provenienti dagli Stati Uniti. Gli americani ricorrono agli esperti
di relazioni pubbliche per organizzare i loro rapporti con alcuni dei partiti che hanno fatto
la storia della prima Repubblica, realizzando così uno dei loro principali obiettivi: tenere
lontani i comunisti dal governo. La pratica delle RP sin dall’inizio costruisce dunque uno
stretto legame con la politica.
Nel decennio 1947-57, tuttavia, si veri cano alcuni episodi che fanno intravedere l’utilità
delle relazioni pubbliche anche in Italia.
Nel 1947, Vanni Montana, operatore di relazioni pubbliche del sindacato americano, ispira
la scissione socialista di palazzo Barberini, che cambierà il corso della politica italiana.
Nel 1950 vengono istituite la prima associazione di relatori pubblici, Airp (Associazione
Italiana per le Relazioni Pubbliche), e il Sindacato nazionale relazioni pubbliche. Nel 1952
sorge a Milano l’IPR (Istituto per le relazioni pubbliche), il cui scopo fondamentale è quello
di di ondere e promuovere la conoscenza delle relazioni pubbliche nel mondo
imprenditoriale italiano, privato e pubblico.
Il 17 marzo 1970, dalle due associazioni preesistenti, IRP e Airp, nasce a Milano la Ferpi
(Federazione relazioni pubbliche italiana). Le tesi costitutive della Ferpi riguardano il
perseguimento del riconoscimento giuridico delle attività di relazioni pubbliche, le loro
linee di sviluppo e i contenuti operativi. La Ferpi, inoltre, desidera individuare le regole
deontologiche della professione ed esprime la piena adesione al codice di etica e
comportamento professionale dell’Ipra (International public Relations Association). Si
tematizzano in Italia, per la prima volta, l’importanza e il ruolo delle relazioni pubbliche.
Alcuni anni più tardi si costituisce Strategie, comunicazioni, ricerche, una società di
consulenza in relazioni pubbliche, fondata dai più noti professionisti del settore italiano
(Giuseppe Roggero e Toni Muzi Falconi), che nel giro di poco diventerà l’agenzia più
importante del paese. Nel 1981, in aggiunta, nasce Assorel (Associazione delle agenzie di
relazioni pubbliche), la quale non si contrappone alla Ferpi, ma promuove un’azione sia
interna alle agenzie (contratto comune) sia esterna (sviluppo della conoscenza far le
imprese di cosa siano e come operino le relazioni pubbliche).
Un punto di svolta nell’evoluzione delle relazioni pubbliche sono i primi anni 90, con i
processi di Tangentopoli, che travolgono e mettono ne alla prima Repubblica, svelando
anche il ruolo di intermediazione svolto da diversi operatori di relazioni pubbliche nella
corruzione. La svolta sta nel fatto che da questo momento in poi si incomincia a
teorizzare che la sola comunicazione d’impresa ormai credibile sia quella che comunica i
comportamenti e ettivi e che l’identità di un’organizzazione derivi dalla contrapposizione
con le identità di altre organizzazioni. Tangentopoli, per di più, produce dei cambiamenti
culturali, sociali e politici che ra orzano la pratica delle RP. Il passaggio alla seconda
Repubblica e i numerosi cambiamenti che ne derivano o rono alle relazioni pubbliche uno
spazio insperato; inevitabilmente, cresce il numero di professionisti dell’RP, che operano
all’interno di organizzazioni private o pubbliche, ma, allo stesso tempo, cresce anche il
numero di piccole, medie e grandi agenzie di consulenza.
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Tale crescita è legata anche ai cambiamenti avvenuti nella pubblica amministrazione
durante gli anni 90 e promossi, in parte, dal crescente ruolo ricoperto dall’Associazione
della comunicazione pubblica. In aggiunta, i processi di privatizzazione hanno costretto le
pubbliche amministrazioni a muoversi in una situazione sempre più concorrenziale. La
principale risposta a un simile quadro è stata l’approvazione della legge del 7 giugno
2000 n. 150, che istituisce la gura del comunicatore pubblico.
La pubblica amministrazione non solo informa e si apre verso l’esterno, ma interagisce
con i cittadini cercando di migliorare il suo rapporto con loro. Si riconosce la necessità
che l’istituzione comunichi, che abbia cioè un atteggiamento attivo nei confronti dei
cittadini, delle organizzazioni sociali ed economiche, dei mass-media e che lo faccia
dotandosi di quelle strutture e di quelle professionalità atte ad agire con successo in un
contesto in cui sono richieste competenze speci che.
Paragrafo 5, Il lobbying
È doveroso individuare quali siano gli elementi fondanti dell’attività di lobbying: “per
stare alle regole del gioco in politica, un gruppo di interesse necessita di accedere ai
decision makers: accedere, quindi, diventa l’obiettivo del gruppo di interesse. Uno dei
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fattori più importanti per facilitare l’accesso è la posizione del gruppo o del suo portavoce
nella struttura sociale“. Nell’attività di lobbying vale molto il peso economico, politico,
sociale di un gruppo.
Un’altra parola magica per tutti i lobbisti è “accesso“, da non considerare
interscambiabile con la parola “ingresso”. L’accesso è, infatti, ciò che avviene
successivamente all’ingresso: entrare nella stanza del politico, sedersi e iniziare a
discutere. L’accesso è la moneta del lobbista americano ed esistono vari modi per
guadagnarselo; tra i più sicuri va annoverato il fatto di rappresentare un vasto numero di
elettori, oppure l’essere un personaggio di spicco nel collegio elettorale del parlamentare;
esiste un modo ancora più sicuro: “costruire un personal friendship con il politico;
l’amicizia, incentrata indubbiamente sulla ducia, appare ancora una risorsa
indispensabile”.
Un punto su cui tutti concordano è che il lobbying sia uno sforzo implementato per
condizionare il policy process, ovvero, è quella azione rivolta al processo decisionale con
l’intento di in uenzarlo. Ma non è del tutto esaustivo quanto appena detto: il lobbying è
infatti un processo attraverso il quale si tenta di in uenzare l’attività delle istituzioni
pubbliche e di permeare la public policy agenda. Il lobbying si può illustrare in due modi:
a) è la ricerca di una negoziazione con parti del governo (locale, nazionale o
sopranazionale); b) è la mobilitazione dell’opinione pubblica e dei mass media per agire
contro una decisione del governo o per inserire una issue all’interno dell’agenda politica.
Va aggiunto che il lobbying è un processo e non può essere composto di una singola
azione. Il lobbista raramente infatti genera soltanto un atto, piuttosto ne produce molti
durante un periodo di tempo più o meno lungo. Qualsiasi tattica di lobbying deve
prevedere il ricorso a una varietà di attività: soltanto così si realizza il ra orzamento della
publicity dell’organizzazione (per cui il lobbista lavora), che garantirà una più alta
probabilità di successo nell’interazione con i decision Makers.
Se il lobbying lo si descrive come l’attività con cui si porta a conoscenza del decisore una
determinata istanza, bisogna anche sostenere che il lobbying fa parte del processo
democratico. Per di più, i gruppi di interesse e i lobbisti giocano un ruolo centrale nel
sistema politico, perché, con un folto gruppo di consulenti, in uenzano le elezioni e
interagiscono con i giornalisti forgiando l’agenda del governo. Insomma, il lobbying
facilita il processo decisionale.
Perché è giusto riconoscere agli Stati Uniti la preminenza nel campo delle lobby? Perché
quando gli americani percepiscono che una questione è divenuta impellente e nessuno
dei soggetti politici tradizionali ha la capacità di rappresentarla, questi danno vita a una
lobby, che si propone di porla all’attenzione del dibattito pubblico e del decisore. E tutti
coloro che direttamente o indirettamente sono sensibili al tema ne potranno far parte.
Insomma, il decisore sa che la sua azione politica è sotto il controllo di gruppi pronti a
intervenire e sensibilizzare il politico sulle questioni sostenute.
Lo scenario italiano appare molto più complicato, infatti delle lobby si è sempre parlato
con accezione negativa e spirito di condanna.
La cultura delle lobby ha trovato di coltà a radicarsi anche per ragioni storiche e politico-
culturali. A partire dal secondo dopoguerra, l’Italia ha costruito un sistema politico
estremamente forte e incentrato su due partiti di massa (Dc e PCI); si è creato così un
sistema che ha monopolizzato la rappresentanza riservando alla politica un ruolo di
assoluto privilegio: al di fuori della politica non c’è la possibilità di avere altri canali di
rappresentanza. Inoltre, la grande industria italiana è stata per molti anni caratterizzata da
pochi oligopoli che, uniti ai monopoli pubblici, hanno un rapporto con la politica molto
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diretto: l’amministratore delegato e il segretario di partito sono i “veri” lobbisti diretti con il
mondo politico.
Il declino dei partiti politici ha aperto spazi all’attività di gruppi organizzati, grandi e
piccoli, ossia vere e proprie lobby, che presentano un obiettivo preciso: saper giusti care
convincentemente i propri vantaggi sulla base di un interesse generale.
Tuttavia, anche nella letteratura italiana si è provato a de nire le lobby. Alcuni si sono
concentrati sugli interessi da tutelare e sulla rappresentanza: “de nisco lobby o
organizzazione lobbistica il gruppo portatore dell’interesse o della causa da tutelare;
lobbismo l’insieme delle tecniche e attività che consente la rappresentanza politica degli
interessi“. Altri, invece, hanno messo in risalto la dimensione comunicativa dell’attività di
lobbying: “Lobby è il luogo di incontro pubblico tra rappresentanti di interessi particolari e
i decisori pubblici o quei soggetti in uenti in grado di condizionare il comportamento. Il
lobbying è la trasmissione di messaggi dal gruppo di pressione ai decision Makers; il
lobbista in sostanza è un bravo comunicatore”.
I due punti di vista sono complementari ed evidenziano come l’attività lobbistica
costituisca l’essenza del meccanismo di intermediazione tra interessi da rappresentare e
istituzioni che decidono.
Anche in Italia si inizia dunque a comprendere che il lobbismo può anche essere
interpretato come una tecnica che si presta ai più variegati interessi, materiali o simbolici,
settoriali o generali. “Si può insomma fare pressioni a n di bene, in rappresentanza di
interessi o cause ideali, allontanandosi ulteriormente dalla visione demoniaca del
lobbismo”. La forza di un sistema democratico risiede nella sua capacità di far difendere
a tutti i propri interessi.
La globalizzazione ha contribuito alla crescita delle RP. Questa, spinge verso la creazione
di uno spazio incentrato essenzialmente sull’attività svolta dai mass media e dalle nuove
tecnologie; siamo di fronte ad un processo che ha accelerato il collasso di spazio e
tempo, ha intensi cato le relazioni sociali condotte a distanza e ha prodotto una globale
network society. I mass media costituiscono la principale arena all’interno della quale
interessi diversi competono e discutono. Solo chi sa comunicare può relazionarsi e
competere con gli atri gruppi e intervenire all’interno del processo decisionale. Il
professionista delle RP è capace di produrre quelle forme di communicative power
necessarie ad un organizzazione per assicurarsi visibilità e per sostenere un determinato
punto di vista.
Se i relatori pubblici sono coloro che permettono di conquistare l’accesso all’interno del
sistema dei media e a quello della politica, allora possono essere anche in grado di
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migliorare il processo democratico. L’idea di associare le relazioni pubbliche alla politica
(Aeron Davis scrive un volume dal titolo Public Relations Democracy) deriva dal fatto che
ricorrono all’azione del relatore pubblico soggetti diversi e di varia natura. Istituzioni
pubbliche, organizzazioni private e quelle che Davis de nisce non o cial organizations,
utilizzano in maniera sempre più massiccia la pratica delle relazioni pubbliche con il
desiderio di consolidare la loro posizione in uno spazio pubblico (mediatizzato). Dunque,
una qualunque organizzazione non dotata di molte risorse, e quindi non in grado di
assoldare un professionista delle RP, può lo stesso pensare di promuovere una speci ca
istanza se sa come presentarla, come comunicarla e se è in grado di attivare un dialogo
che miri al coinvolgimento di altri soggetti.
Si può dunque persino riconoscere un ruolo sociale alle RP. I piccoli gruppi, che
piani cano la propria strategia comunicativa, possono sperare di far emergere nei mass
media le loro richieste e così premere sul clima d’opinione dominante. Si cerca di
dimostrare dunque come le RP non possono più essere pensate soltanto come pratica
delle potenti organizzazioni ma possono anche supportare l’azione dei gruppi più deboli.
Gli operatori di relazioni pubbliche facilitano, dunque, l’accesso alla sfera pubblica
mediatizzata.
I mass-media, infatti, a causa di fattori economici e politici, non forniscono un accesso
equo. L’unica possibilità per realizzare una maggiore uguaglianza è ricorrere alle relazioni
pubbliche a patto però che siano interpretate come una pratica in grado di sviluppare un
reale public relationship con la sfera pubblica.
Ma cosa si intende per sfera pubblica? Questa rappresenta lo spazio nel quale i cittadini
si incontrano per discutere circa i loro a ari comuni: si trattano questioni che riguardano
molti (di interesse generale). La sfera pubblica è un’arena istituzionalizzata di interazione
discorsiva.
La sfera pubblica è connessa alla società civile: quest’ultima raggruppa tutti i soggetti, le
organizzazioni e le associazioni che non sono né economiche né amministrative. Dato
questo presupposto, si può parlare dell’esistenza di due sfere pubbliche: la sfera debole
(non istituzionalizzata) e la sfera forte (istituzionalizzata).
La sfera debole comprende la società civile ed è titolare della cosiddetta opinione
pubblica; gli attori della società civile, dunque, dialogano tra loro per creare e riprodurre
quell’opinione che dovrà essere fatta pervenire a chi spetta di decidere. È qui che gli
individui si organizzano e sviluppano quelle capacità discorsive necessarie per far
conoscere, rendendole visibili, le loro issues: dalla qualità argomentativa di queste ultime
dipende la stessa esistenza della sfera pubblica.
Nella sfera pubblica istituzionalizzata (forte), invece, avviene la selezione delle opinioni
provenienti dai pubblici deboli: si sintetizzano e si elaborano le informazioni giunte dal
basso, che vengono trasformate in decisioni e rinviate successivamente ai pubblici
deboli. La sfera forte è legata all’a ermazione della sovranità parlamentare,
all’a ermazione dei partiti, dei sindacati e coincide con il sistema politico: è interna allo
Stato democratico. Tuttavia, nella sfera istituzionalizzata attualmente agiscono e
intervengono nuovi soggetti: organizzazioni provenienti dal basso (la società civile), che
riescono a penetrare anche all’interno del processo decisionale.
Un esempio, forse quello più emblematico in Italia, è rappresentato dalle associazioni dei
consumatori, che idealmente rientrerebbero nella sfera debole pur trovandosi sempre più
spesso ad agire nella sfera forte. In questa cornice, infatti, i gruppi della società civile
sono mossi a cambiare pelle, poiché risucchiati dalla logica delle sfere istituzionalizzate.
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Ciò avviene per quanto riguarda il tipo di obiettivo, la portata spaziale, la consistenza
numerica, la modalità organizzativa e i mezzi impiegati.
Da un punto di vista generale, l’impiego di professionisti (soprattutto esperti di
comunicazione) è stata la spinta decisiva verso l’accesso alla sfera forte. Insomma,
soltanto quei gruppi che gestiscono in modo più pro cuo la propria comunicazione,
avvalendosi di un relatore pubblico, hanno maggiori possibilità di imporre un’istanza, un
problema e il proprio punto di vista in uno spazio pubblico (e così trasformare un
interesse particolare in generale).
Queste azioni sono però più agevoli per gli attori che possono bene ciare di un pubblico
riconoscimento, ossia che riescono a promuovere una propria identità che sappia inserirsi
nei ussi caratterizzanti il clima di opinione generale. Ogni organizzazione, comprese le
non-o cial organizations, deve innanzitutto comunicare la propria identità ed è compito
del relatore pubblico individuare le modalità comunicative che siano facilmente traducibili
nelle logiche dei media. Il termine impression management (controllo espressivo) viene
impiegato proprio per de nire l’utilizzo che le organizzazioni fanno della comunicazione
per poter deliberatamente e strategicamente suscitare una desired impression sugli altri.
L’obiettivo nale è proiettare verso l’esterno una determinata immagine (e reputazione) di
se stessi e fare in modo che venga recepita.
Se, infatti, da un lato le relazioni pubbliche intervengono nell’area del dibattito,
privilegiando i rapporti con i media e i decisori pubblici, dall’altro, si occupano di costruire
la reputazione dell’attore. Il relatore pubblico permette all’organizzazione la costruzione e
il governo di stabili relazioni con i propri pubblici in modo da raggiungere un dialogo
aperto con l’ambiente esterno.
I partiti politici, che hanno caratterizzato le democrazie occidentali del 900, stanno
attraversando un periodo di crisi e di radicale indebolimento in gran parte di esse. Due
sono le possibili cause di tutto ciò: le prime sono di ordine economico-sociale. Queste
hanno a che fare con la scomparsa di quelli che sono stati de niti i grandi cleavages
sociali (o fratture sociali), che per decenni hanno attraversato le società occidentali
determinando distinzioni precise, e quindi con itti, tra gruppi sociali, religiosi, culturali. In
particolare, gli interessi dei ceti sociali tradizionali si sono frammentati in tanti micro-
interessi che non rendono più possibile la loro ricomposizione sotto un unico cappello di
rappresentanza.
Un secondo motivo della crisi dei partiti va ricercato nella progressiva perdita di
importanza dei valori materiali, sostituiti dalla progressiva capacità di coinvolgimento e
mobilitazione dei valori immateriali; questa è l’ipotesi sostenuta da Inglehart, secondo cui
in gran parte delle società occidentali le esigenze primarie di vita, che identi cano i valori
materiali, risultano in gran parte soddisfatte. Il risultato è che i cittadini prestano sempre
maggiore attenzione ai valori immateriali: simboli, immagini, miti, identi cazioni culturali.
Anche questo mutamento contribuisce dunque alla crisi dei tradizionali partiti di massa
costituiti per rappresentare e dar voce a interessi in primo luogo materiali, a condizioni di
vita, ad aspettative economiche. In realtà, è soprattutto la forza dei mass-media che, in
un simile contesto, riesce a emergere.
Ci troviamo di fronte a partiti leggeri che prendono forma e sostanza soprattutto nel
momento elettorale, giovandosi del supporto di professionisti della comunicazione, con il
solo obiettivo di vincere le elezioni.per quello che riguarda la loro collocazione nello
spazio pubblico, i partiti sono ormai così altamente istituzionalizzati e specializzati che
di cilmente possono ancora essere considerati a pieno titolo parte della società civile; i
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partiti appaiono ora come una componente della sfera politico-istituzionale. Ignazi parla
di state-centered party, ossia di un partito che ha il suo centro nello Stato, proprio perché
nel nostro tempo il partito è molto meno ricco di legittimazione e di consenso. Ai partiti
oggi le risorse provengono dunque sempre meno dal basso e sempre più dallo Stato: la
norma sul nanziamento pubblico e la legge sulla par condicio ra orzano un’idea di
partito che vede nello Stato la sua principale dimensione di azione.
In sintesi, l’asse dei partiti si è spostato dalla società civile alle istituzioni; i partiti infatti
non sono più, tranne che in casi eccezionali, lo strumento che collega e cacemente la
società civile alle istituzioni, saldamente radicato in essa e ricettivo delle sue esigenze. Si
sono aperte crepe signi cative in questo rapporto pur necessario, che sono state in parte
colmate da quei gruppi di interesse provenienti perlopiù dal basso. In questo contesto,
tali gruppi di interesse sono capaci, attraverso anche il ricorso a professionisti che
conoscono le procedure decisionali (i lobbisti), di premere (lobbying) sul decisore
pubblico.
Paragrafo 5, Conclusioni
Ipotesi: Il professionista delle RP sta diventando una delle principali fonti (non
giornalistiche) per i mass-media. L’intensi carsi di questo rapporto è legato al
perseguimento di due obiettivi: consolidare la reputazione e costruire un clima di opinione
favorevole attorno a un’organizzazione.
Negli ultimi anni il rapporto tra giornalista e addetto alle RP si è ra orzato, forse è
diventato indispensabile per entrambi: perché?
Una prima risposta sottolinea i mutamenti riguardanti la professione del giornalista. Oggi
le nuove tecnologie costringono i giornalisti a produrre notizie in tempo reale. I giornalisti
non solo si trovano inseriti all’interno di un ininterrotto usso di informazioni, eventi, che li
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spinge a decidere immediatamente quali di questi dovranno essere trasformati in notizie,
ma la loro abilità sta anche nel saper produrre dei commenti immediati sugli eventi
selezionati. In questo senso, la spedita crescita delle notizie colloca il giornalista in una
posizione di debolezza: incapace di poter ascoltare e comprendere tutto ciò che avviene,
il giornalista deve cercare nuovi punti di riferimento nel mondo esterno. Tutto questo ha
generato “una proliferazione delle relazioni pubbliche”.
In tale contesto la notizia diventa un prodotto collettivo, complesso, che in parte sfugge al
controllo dei giornalisti, poiché nella produzione di news si assiste ad un esplicito
intervento da parte dei relatori pubblici, intenzionati a favorire determinati interessi. Però,
tra gli addetti ai lavori, ciò non è una novità. Ormai è infatti risaputa la debolezza dei
giornalisti dovuta ai cambiamenti nella loro professione.
C’è un altro aspetto che nora non è mai stato considerato: il rapporto media-realtà,
che subisce una svolta con l’opera di McLuhan. Dalla ne degli anni 60 si insiste su
un’idea precisa e semplice: i media non si a ancano o si sovrappongono alla vita
quotidiana o alle relazioni sociali. È il contrario: l’ambiente umano si costruisce intorno ai
media, poiché questi plasmano le strutture percettive e cognitive con cui l’uomo vede il
mondo e agisce. I mass-media sono dunque essi stessi il mondo reale, e rimodellano
radicalmente la cultura e le società precedenti. Contemporaneamente, inoltre, si sono
progressivamente a ermati nuovi paradigmi sociologici accomunati dall’idea che la realtà
sociale è costituita da e attraverso i processi comunicativi.
Tuttavia, l’evoluzione del rapporto tra relatori pubblici e giornalisti ha presentato sin
dall’origine delle di coltà. Il giornalista ha spesso disconosciuto il ruolo del
professionista delle RP nello svolgimento del suo lavoro. In alcuni contesti, poi, il
giornalista ha altri importanti interlocutori, oltre al professionista delle RP. Ci si sta
riferendo all’interazione tra il politico e il giornalista ancora oggi così forte e capace di
incidere sulla produzione di notizie, dal momento che il primo ha bisogno di visibilità
(publicity), il secondo invece necessita di accedere alle informazioni che riguardano la
politica.
Nel giornalismo italiano ha per anni prevalso una rappresentazione “partitocentrica” della
realtà. Il rapporto fra fonti politiche e mass-media è stato consolidato, consuetudinario e
strutturale; non a caso, l’alto livello di partigianeria dei giornalisti, conseguenza della tta
rete di rapporti con i partiti, ha spinto Giampaolo Pansa a coniare la metafora del
“giornalista dimezzato”.
In realtà, questi sono problemi marginali perché non sono stati in grado di arginare la
crescente relazione tra i due professionisti della comunicazione. Occorre tenere presente
che c’è da parte dei giornalisti il tentativo di celare una verità sempre più ingombrante,
ossia che nel loro lavoro il professionista delle RP occupa un ruolo decisivo. Il
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professionista dell’RP sempli ca il lavoro del giornalista: questa è la nozione principale.
Sono gli stessi giornalisti a ricorrere costantemente al relatore pubblico per la stesura di
un articolo, e il più delle volte attraverso rapporti informali.
Oltre 160 ricerche, dal 1960 no ai giorni nostri, hanno confermato che il punto cruciale
nella raccolta di notizie è il costante rapporto tra giornalisti e relatori pubblici.
Negli ultimi anni anche in Italia si è assistito a una pluralizzazione delle fonti non
giornalistiche: aziende, enti pubblici, associazioni, organizzazioni no pro t si sono munite
di strutture comunicative e gure professionali capaci di tessere stretti legami con il
sistema dei mass-media.
La capacità di un’organizzazione di accedere al sistema dei media è infatti sempre più
legata al ricorso a professionisti della comunicazione.
L’attività del professionista delle RP non si limita soltanto ad intervenire nella costruzione
della notizia (newsmaking), ma va oltre. Lo specialista delle RP partecipa alla selezione,
alla circolazione e alla de nizione delle notizie; in breve, interviene nel processo di
gestione della notizia (newsmanagement).
Dagli anni 30 lo sviluppo dei public relations departments ha determinato negli Stati Uniti
una modi cazione radicale nel mestiere di giornalista e nel suo rapporto con il mondo
dell’economia e della politica; ha luogo quel fenomeno, appunto il newsmanagement, di
gestione dell’informazione da parte del governo e delle sue di erenti organizzazioni. Il
governo ha sempre di più mirato a determinare, secondo i propri obiettivi, la copertura
giornalistica non tanto con azioni di censura, quanto, soprattutto, con un enorme
produzione di notizie nalizzate a raggiungere determinati obiettivi di comunicazione.
Questi tentativi hanno spesso trovato consenzienti gli stessi operatori del sistema dei
mezzi di comunicazione di massa, dal momento che il lavoro viene facilitato e reso meno
faticoso: i giornalisti possono disporre di materiali preconfezionati e spesso già pronti per
la pubblicazione.
In Italia, invece, il ruolo occupato dai partiti, che per molti anni si sono assicurati la
gestione dell’informazione, ha reso quasi super uo l’impiego di professionisti delle RP. La
ragione è facilmente spiegabile: gran parte delle notizie e delle informazioni no a qualche
anno fa nasceva da fonti politiche (parlamentari, leader, ecc) ed era diretta agli stessi
operatori della politica; in e etti, i destinatari dell’informazione politica non erano i
cittadini comuni, ma chi scriveva di politica lo faceva avendo innanzitutto in mente un
altro soggetto dotato, come lui, di familiarità con i temi e il linguaggio di quel mondo.
Tuttavia, oggi lo scenario sta cambiando, facendo emergere in modo importante il
fenomeno del newsmaking, de nito come il processo attraverso il quale il relatore
pubblico (o un u cio stampa) organizza, gestisce e cerca di controllare le notizie
riguardanti l’attore per cui lavora. Comprende procedure di investigazione, di selezione, di
produzione, di distribuzione delle notizie utili a in uenzare la copertura giornalistica e
necessarie, soprattutto, a controllare il usso di informazioni verso i mass-media. Tutto
ruota intorno all’abilità di costruire rapporti con i giornalisti, di organizzare eventi, di saper
imporre il tema di cui parlare, di far passare la propria versione dei fatti e di nascondere
ciò che non si vuole far sapere.
Un punto fermo del rapporto tra l’addetto alle RP e il giornalista è il costante dialogo. Si
può persino giungere a una condizione di fratellanza.
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Il professionista delle RP ha la possibilità di intervenire nella stesura dell’articolo se ha
credibilità, forza e, soprattutto, un rapporto cordiale con il giornalista. Per poter eseguire
nel miglior modo possibile il proprio lavoro, il professionista delle RP deve conoscere i
direttori, i caporedattori e alcuni giornalisti delle principali testate del settore di cui si
occupa; deve recarsi personalmente a trovarli nei loro luoghi di lavoro. Un’espressione
di usa tra i professionisti delle RP è “battere la redazione”: l’addetto alle RP si reca nelle
redazioni quando i giornalisti sono meno impegnati nella preparazione del giornale per far
conoscere il suo cliente o per promuovere l’interesse sostenuto. Di solito, il primo
incontro si conclude con la consegna al giornalista della cartella stampa del
professionista delle RP (numero di telefono, fax, e-mail). D’altra parte, il primo incontro e
quelli successivi permetteranno al relatore pubblico di ottenere quelle indicazioni relative
alle aspettative e ai temi ritenuti più interessanti per ciascuno dei giornalisti incontrati.
Il segreto del professionista delle RP è costruire un rapporto continuo e di ducia con il
giornalista; per farlo, un presupposto necessario è dimostrarsi cortese ogni qualvolta il
giornalista lo cerchi, a prescindere dall’importanza di quest’ultimo.
Lo stesso però deve fare il giornalista, il quale deve essere persino disposto a cambiare
idea se il professionista delle RP supporti le sue posizioni con dati attendibili. Detto
questo, lo scambio tra relatore pubblico e giornalista persiste n quando esisterà un
rapporto di ducia basato su due elementi: a) l’attendibilità e la credibilità di ciò che i due
professionisti della comunicazione si scambiano e b) la possibilità di instaurare un
rapporto informale.
- L’attendibilità e credibilità (di entrambi). Da una parte, molto dipende dall’attendibilità
del professionista delle RP: se consegna al giornalista una non notizia, probabilmente il
giornalista non lo chiamerà più; il rispetto e l’onestà sono infatti i valori più importanti
che l’addetto alle RP è chiamato a salvaguardare. Dall’altra parte, l’operatore delle RP
segue il giornalista in tutto il suo lavoro, a patto però che il giorno seguente il pezzo sul
giornale ri etta le sue aspettative. Se così non fosse, la sua collaborazione verrebbe
meno. Resta tuttora aperta una questione: i giornalisti si trovano in una situazione in cui
hanno di coltà a valutare la credibilità dei relatori pubblici. In primo luogo, perché
l’indipendenza dei giornalisti sta diminuendo a causa dell’incremento del usso di
notizie che giungono a una redazione. Di fatto, alla crescita delle news non ha
corrisposto un aumento di giornalisti impiegati nelle redazioni, portando ad una
diminuzione del tempo che ciascun reporter può dedicare alla gestione di una notizia.
In secondo luogo, perché si è assistito alla marketisation dei mass-media, ossia
l’assoluto desiderio e bisogno di incrementare l’audience e, conseguentemente, i
pro tti, che obbliga i giornalisti a una forsennata ricerca di notizie di grande appeal per
il pubblico. La combinazione dei due aspetti ha determinato che spesso i reporter sono
a contatto con professionisti delle RP sconosciuti.
- La relazione informale. Questo tipo di rapporto, fatto di interazioni one to one,
telefonate, cene, aperitivi, è l’aspetto decisivo per la costruzione di un rapporto
duciario tra i due attori. Il grosso del lavoro sta infatti nel coltivare le relazioni, in modo
da conoscere il proprio interlocutore anche oltre la sfera pubblica e da prevederne
l’umore. Il professionista delle RP deve dunque appro ttare delle varie occasioni che si
veri cheranno per conoscere più a fondo il giornalista: essere al corrente delle
passioni, delle abitudini e dei gusti del giornalista, permette al professionista delle RP
di piani care con maggiore attenzione la sua azione. Esistono pure degli incontri che
stanno a metà tra un rapporto formale e quello informale: a volte, le organizzazioni
programmano delle visite presso la propria sede, oppure dei viaggi. La visita (il
momento più u ciale), ad esempio, si conclude il più delle volte con un bu et o una
cena (il momento più goliardico). Si tratta di occasioni in cui si parla e si fanno amicizie.
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Si può illustrare la relazione tra professionista delle RP e giornalista e ettuando una
distinzione tra comportamenti di scena e comportamenti di retroscena: la prassi
cerimoniale prevede che a volte i relatori pubblici e i giornalisti si rechino insieme a cena,
a prendere un aperitivo o un ca è, e ciò fa parte dei comportamenti informali previsti e
consentiti; tuttavia, in quanto si tratta di due diverse categorie che interagiscono, esiste
anche un ulteriore retroscena di reciproci intendimenti (il relatore pubblico, ad esempio,
presenta al giornalista gli obiettivi dell’organizzazione), che stabilisce dove inizia la parte
formale della relazione (lo scambio di informazioni), tenendo conto dei rispettivi obiettivi.
Nel tempo, in Italia, si è prodotta una cultura del rapporto tra il giornalista e le sue fonti
fondata sui comportamenti di retroscena.
La ducia è la risorsa necessaria per attivare quella fase, decisiva per la costruzione (e
gestione) della notizia, conosciuta come la “fase della negoziazione”. Si parla di una
negoziazione della notiziabilità che avviene simultaneamente su diversi livelli; nel primo
livello i giornalisti e le fonti (i relatori pubblici) si confrontano e negoziano sul quando e sul
dove l’interazione accadrà. Nel secondo livello, invece, i giornalisti e le fonti si
confrontano e negoziano su cosa raccontare e su quale chiave di lettura far emergere.
Sono stati ricostruiti i momenti salienti del processo di preparazione e di produzione di
una notizia, partendo dal comunicato stampa no al prodotto nale, la news.
Per prima cosa, il processo di elaborazione della notizia va distinto in due momenti.
Durante il primo momento, de nito preparatorio, l’addetto alle RP scrive il comunicato
stampa, ne cura l’editing, la struttura, il linguaggio, la dimensione: insomma, si occupa di
tutto ciò che riguarda il confezionamento. Il professionista delle RP è dunque chiamato a
conoscere le regole necessarie per la stesura di un comunicato stampa.
FOTO TABELLA PAG 82
Nel secondo momento, quello in cui il comunicato viene inviato prima alle agenzie e poi
ai giornalisti, cambia il ruolo del relatore pubblico: da produttore diviene il controllore e il
gestore della (possibile) notizia. Inizia la contrattazione con il giornalista. Ciò avviene solo
se il professionista delle RP conosce l’organizzazione di una giornata della redazione di
un quotidiano. Di solito, questa inizia verso le 11 con una riunione per stabilire gli
avvenimenti più salienti della giornata; una volta selezionati questi, al giornalista spetta il
compito di raccogliere tutte le informazioni necessarie per scrivere l’articolo, che dovrà
essere pronto per la seconda metà del pomeriggio (il momento di chiusura). Il
professionista delle RP si inserisce all’interno di questo processo.
In questo secondo momento, l’attività del relatore pubblico può essere divisa in quattro
fasi:
1) Fase dell’invio: l’addetto alle RP, prima delle 11 della mattina, invia il comunicato
stampa alle agenzie stampa. Ha inizio l’interazione con i giornalisti (quelli delle
agenzie), che solitamente conosce, per eventuali approfondimenti. Il compito delle
agenzie è cruciale: distribuiscono le notizie e preparano la trama di quello che potrà
essere eventualmente l’articolo.
2) Fase del contatto: l’interazione con i giornalisti delle testate inizia subito dopo il lancio
della notizia da parte delle più importanti agenzie stampa. Infatti, più o meno in
contemporanea, il relatore pubblico telefona al capo redattore (che conosce) delle
testate giornalistiche per sapere chi sarà il giornalista che dovrà occuparsi di redigere
l’articolo e, inoltre, ne appro tta per veri care il grado di interesse.
3) Fase della negoziazione: il professionista delle RP, in tarda mattinata o nel primo
pomeriggio, contatta il giornalista che dovrà scrivere l’articolo. È il momento
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principale, quello della vera e propria contrattazione. Il relatore pubblico aiuta il
giornalista a costruire il pezzo, confrontandosi con lui su quali siano i punti salienti del
comunicato, gli aspetti da evidenziare, il taglio da far emergere nell’articolo. D’altra
parte, ci sono anche le esigenze del giornalista: lo spazio a disposizione, la linea
editoriale da rispettare,… Solo attraverso la negoziazione può essere trovato un
accordo. Va ricordato che il giornalista ha estremamente bisogno dei materiali del
professionista delle RP e non può non ottemperare (almeno in parte) alle sue richieste.
Il quadro complessivo vede dunque il professionista delle RP aiutare il giornalista a
corredare e a costruire il pezzo, ma in questo modo riesce anche a focalizzare
l’attenzione sull’aspetto saliente per sé e per l’organizzazione per cui lavora.
4) Fase del controllo: nel tardo pomeriggio (prima della deadline), il relatore pubblico
telefona di nuovo al capo redattore per conoscere, in de nitiva, lo spazio ottenuto e il
titolo dell’articolo. Ha inizio una nuova negoziazione nel caso in cui il titolo non sia
gradito; in ogni caso, sono sempre i buoni rapporti tra i due a permettere che tutto ciò
avvenga. Il professionista delle RP viene, in ne, informato sulla presenza di foto di
qualsiasi altro dettaglio relativo all’articolo ormai in uscita sul giornale.
Paragrafo 7, Conclusione
Le espressioni “gruppo di interesse“ e “lobby“ sono state per lungo tempo, e lo sono
ancora, negativamente connotate: esse evocano scenari quasi al limite della corruzione.
All’opposto, la complessità sociale della fase attuale rivela anche la centralità di molti e
nuovi attori all’interno del processo decisionale. Tali attori a volte vengono chiamati gruppi
di interesse, altre volte gruppi di pressione, anche se i due termini non hanno lo stesso
signi cato. La distinzione tra gruppi di interesse e gruppi di pressione è connessa al livello
in cui si trova a muoversi il gruppo. Tutti gli interessi che si organizzano in gruppi, con
l’obiettivo di cercare di ottenere decisioni politiche favorevoli, n quando si muovono nella
società civile sono dei gruppi di interesse. Tuttavia, nel momento in cui tali gruppi
riescono ad accedere alle sedi formali, in uenzare le scelte dei decisori, diventano gruppi
di pressione. Va precisato che un gruppo di pressione è sempre un gruppo di interesse,
mentre un gruppo di interesse non sempre diviene un gruppo di pressione. C’è una netta
separazione tra sistema sociale, nel quale agisce il gruppo di interesse, e sistema politico,
dove opera il gruppo di pressione (o lobby).
La lobby etimologicamente indica i corridoi della camera Bassa inglese nella prima metà
dell’ottocento; il termine lobby anzitutto signi ca intervento di rappresentanti di interessi
sui parlamentari al ne di in uenzare il processo legislativo. Il lobbista è colui che
frequenta il corridoio e che intrattiene rapporti più o meno stabili, più o meno forti, con i
decisori. È durante questi incontri che avviene uno scambio di comunicazione mediante il
quale i lobbisti tentano di persuadere i politici ad accettare le richieste dei loro clienti.
Oggi sarebbe riduttivo considerare il parlamento il solo interlocutore di chi fa un’azione di
lobbying. L’organo legislativo è tuttora il principale interlocutore ma non è l’unico,
soprattutto da quando sono diventati sempre più in uenti e decisivi i leader di partito e gli
organi esecutivi (governi, ministeri,…).
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L’attività di lobbying viene considerata come un processo di comunicazione e di
informazione; il concetto di pressione, ad esempio, va inteso soprattutto in senso
positivo, come o erta di informazioni al decisore pubblico. Insomma, il lobbista è un
comunicatore, abile cioè a presentare fatti e informazioni corrette. D’altra parte, il politico,
grazie alle informazioni del lobbista, preserva il potere e realizza i suoi obiettivi.
Già nel 1965 Lester W. Milbrath descrive il lobbying come un processo di comunicazione
nel saggio “Lobbying as a Communication Process”, in cui sostiene che il compito del
lobbista sia, appunto, trasferire delle informazioni al decisore pubblico. La sua idea è
incentrata sul fatto che i decision makers hanno bisogno di accedere a documenti ed
informazioni prima di prendere la loro decisione; saranno poi le attitudini di un
parlamentare a stabilire che cosa vorrà recepire e apprendere tra le molte informazioni
comunicate da un lobbista durante un incontro. Chiunque aspiri a in uenzare la decisione
di un’istituzione pubblica deve occuparsi anche di ciò che i decisori desiderano ricevere.
Un primo elemento per interpretare il ruolo delle lobby nel nostro paese è ricordare che lo
Stato italiano negli ultimi anni ha conosciuto un processo di radicale ristrutturazione, che
ha in parte coinvolto le procedure decisionali. Di fatto, il processo decisionale appare più
sfumato, più articolato. Per la precisione, è l’idea di governance che si è andata
a ermando, dato che le pubbliche amministrazioni sono sempre più coinvolte in politiche
integrate che richiedono sforzi di cooperazione interistituzionali con attori di varia natura.
Ma ciò ha prodotto delle inevitabili ripercussioni anche sull’attività svolta dal lobbista,
visto che è ora costretto a “convincere tutti”: l’interazione, il più delle volte, deve agire su
più livelli. Un’azione congiunta rivolta al livello locale, nazionale e comunitario è frequente
e indispensabile per realizzare i risultati stabiliti.
In uno scenario sottoposto a un continuo mutamento, permane una caratteristica
fondamentale delle istituzioni rappresentative e di governo italiane, ovvero la loro
debolezza. La fragilità delle istituzioni pubbliche deriva da ragioni storiche, da scelte
costituzionali e soprattutto dalla crisi dell’attore partito. Si è creato un de cit di
informazione tra i decisori, che ha creato le premesse per una maggiore penetrazione da
parte del lobbista nel processo decisionale. Il politico oggi ha dunque bisogno del
lobbista per poter meglio approfondire tutte quelle istanze su cui è chiamato a intervenire.
Sono proprio i caratteri del sistema politico e partitico a determinare i rapporti tra gruppi
di interesse e istituzioni pubbliche. Là dove il potere politico è forte e organizzato, i gruppi
di interesse (e i lobbisti) sono costretti a operare al di fuori delle strutture statali; dove
invece il potere politico è debole o versa in uno stato di crisi, la situazione muta
radicalmente.
Anche se negli ultimi anni si è assistito a un accentramento da parte del potere esecutivo,
il Parlamento continua ad avere un ruolo centrale nell’attività di lobbying: è al suo interno
che avvengono le principali negoziazioni prima di qualsiasi importante decisione. È
semplicemente per questo che i lobbisti regolarmente incontrano i parlamentari o i loro
collaboratori e spesso intervengono in audizioni parlamentari.
Nel rapporto tra lobbista e legislatore possiamo individuare due momenti estremamente
connessi tra loro.
Nel primo, il lobbista desidera presentarsi al legislatore per far conoscere
l’organizzazione per cui lavora, per far sapere a quale questione è interessato e per fare in
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modo che il suo volto diventi familiare al politico. Rientra in questa attività di lobbying la
partecipazione a eventi politici e pubblici: conferenze, convegni, seminari. È decisivo
essere visti ed essere riconosciuti, e lo scopo del lobbista è quello di venire associato a
uno speci co tema ogniqualvolta il politico si occupi di tale argomento. In questo modo il
lobbista diviene un punto di riferimento ben de nito (una fonte) per il parlamentare, che sa
a chi rivolgersi quando avrà bisogno di informazioni. Il lobbista si può far conoscere
anche presentandosi personalmente al decisore. Un incontro che di solito ha luogo negli
u ci del decisore; questo agevola il lobbista, che dal colloquio reperirà importanti
informazioni sul decisore (temi ritenuti più attraenti, aspettative,…).
Nel secondo momento, una volta che il lobbista si è fatto conoscere, tenterà di
incontrare il legislatore per in uenzarne l’azione. Ciò avviene se il lobbista è in grado di
muoversi all’interno di un processo legislativo che spesso è abbastanza articolato,
soprattutto in Italia, dove i disegni di legge vengono trasformati in legge dopo un iter che
può avere una durata lunghissima.
L’azione del lobbista inizialmente è concentrata a trovare una via di accesso per far partire
l’iniziativa legislativa. A volte, è lo stesso lobbista a proporre e fornire al parlamentare la
prima versione della proposta di legge. In seguito, l’azione del lobbista si concentra
soprattutto sul lavoro delle commissioni parlamentari, dove avviene la discussione del
disegno di legge. Le commissioni parlamentari sono un’importante sede in cui il
legislatore opera, poiché sono il fulcro dell’attività legislativa. Più esattamente, i lobbisti
intervistati hanno evidenziato che le commissioni sono il luogo dove il parlamentare riesce
a esprimere meglio la propria identità e la propria volontà: il numero ridotto dei
componenti garantisce infatti una maggiore libertà di azione. In Italia, le commissioni
parlamentari sono circa 14 sia alla camera dei deputati sia al Senato, e ricoprono un ruolo
molto importante. Il lobbista sa come le commissioni lavorano: padroneggiare la loro
attività politica è decisivo quanto conoscerne i membri. Per questo, il lobbista monitora
tutte le scelte prese all’interno della commissione e veri ca anche il comportamento dei
portatori di interesse opposti, infatti il controllo dei competitors è fondamentale: un
lobbista negligente sulla condotta degli avversari va Inevitabilmente incontro ad un
fallimento della sua attività di pressione.
In tale situazione il lobbista non può prescindere da un costante rapporto con i presidenti
e i componenti delle varie commissioni, confermando che molta della sua azione si svolge
in parlamento. A volte, il lobbista arriva persino a consigliare un possibile relatore del
disegno di legge. Successivamente è indispensabile contattare il relatore, perché è colui
che studia, prepara e presenta la proposta di legge ai suoi colleghi. L’interazione con il
relatore è un momento centrale: è a questo punto che il lobbista deve far capire la propria
posizione e trasferire le informazioni giuste. Innanzitutto, bisogna instaurare un dialogo
con il relatore e per fare ciò il lobbista è chiamato a ricostruire l’agenda degli
appuntamenti u ciali durante i quali il parlamentare presenterà la proposta di legge. Il
lobbista prenderà parte a tali incontri: è necessario farsi notare dal politico per le
competenze possedute sulla materia. Una volta stabilito il contatto, il rappresentante di
interessi incontra frequentemente il relatore, lo informa sull’evolversi della questione
oggetto del disegno di legge, lo documenta con dati provenienti da sue ricerche e
soprattutto lo aggiorna anche sulla posizione tenuta da altre lobby. C’è un traguardo che
il lobbista desidera raggiungere: se tra i due attori si arriva a un dialogo basato sulla
ducia, sarà lo stesso politico a chiamare il lobbista per aggiornarlo sulle novità. Una volta
raggiunta la bozza di legge desiderata, il lobbista deve costruire una maggioranza
all’interno della commissione in grado di approvare la proposta di legge. Il lobbista, in ne,
quando ha costruito uno stretto rapporto con tutti i componenti di una commissione, può
(anche se ciò è veramente complicato) agire per indurre il relatore a chiedere la
deliberante (concessa con il voto unanime di tutti i membri), cioè il voto sul disegno legge,
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e la conseguente approvazione, avviene direttamente in commissione, saltando il lungo
iter del Parlamento in seduta plenaria.
Il politico ha bisogno di essere informato su un problema per poi prendere una decisione,
e i lobbisti possono aiutarlo e sostenerlo nel suo lavoro.
Le informazioni possono giungere al legislatore innanzitutto attraverso audizioni
promosse da commissioni parlamentari, nelle quali i lobbisti possono legittimamente
apportare i loro contributi.
Sono le audizioni, dunque, alcuni dei luoghi u ciali di intervento utilizzati dai soggetti
portatori di interessi e dai loro rappresentanti; durante tali incontri il lobbista deve
ragguagliare il politico sulla posizione del suo gruppo, producendo documenti facilmente
comprensibili che esplicitano bene gli obiettivi che il gruppo desidera raggiungere. In
realtà, il primo problema per i lobbisti è farsi invitare alle audizioni, problema che può
essere risolto facendosi conoscere e diventando una fonte attendibile per il legislatore su
determinate istanze.
Un gruppo di interesse o un lobbista deve impiegare parte del suo tempo a ricercare
informazioni adatte a rappresentare l’istanza sostenuta, infatti soltanto chi è ben
informato ha possibilità di accedere al processo decisionale.
Il lobbista rappresenta il punto di vista degli interessi di cui è portatore, non rappresenta
un interesse generale; ha la capacità di focalizzare la propria attenzione su un particolare
aspetto e poi riesce a far veicolare tutte le informazioni riguardanti tale aspetto del
problema, trasferendo il suo punto di vista al decisore pubblico.
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In generale, le peculiarità del lobbista sono: onestà, propensione all’ascolto, marcate
capacità comunicative e persuasive, accurata conoscenza del processo decisionale ed
evidente maestria intellettuale.
Una delle qualità più importanti del lobbista è saper gestire le interazioni one-to-one con i
suoi interlocutori: in tali rapporti deve essere prima di tutto credibile, mostrandosi
preparato. Insomma, l’autorevolezza del lobbista, da cui dipende molto del successo
della sua azione, discende dalla sua credibilità, che, a sua volta, è essenzialmente
connessa alle conoscenze possedute sulla questione sostenuta.
Il lobbista è un attento studioso del processo decisionale, della letteratura scienti ca
presente sull’argomento di suo interesse e soprattutto del suo interlocutore (il decisore).
Il bravo lobbista, in primo luogo, deve porsi come imperativo il fatto di mantenere un
rapporto costante con il politico, attraverso incontri formali e informali. In secondo luogo,
il lobbista sa che gli incontri vanno preparati con molta attenzione, infatti questi possono
rivelarsi molto brevi, quindi vanno ben de niti prima gli obiettivi e le cose da dire.
Il lobbista segue delle regole nel momento in cui interagisce con il decisore pubblico:
1 Dire la verità. Il lobbista non può permettersi di far circolare delle notizie fallaci. 2 Mai
promettere ciò che non potrà essere realizzato. 3 Saper ascoltare. Il lobbista è
sempre pronto a recepire sia ciò che proviene dall’organizzazione che lo ha ingaggiato,
sia le richieste di informazioni (dati, ricerche, etc) provenienti dal politico. 4 Interagire non
solo con il politico ma anche con i suoi collaboratori. 5 Divenire una fonte per il
decisore politico, ma senza incorrere in sorprese. Il politico detesta gli eventi inattesi; il
lobbista diventa una fonte del politico se gli recapita informazioni sicure, chiare, semplici
che lo agevolano nella sua attività.
Il lobbista conosce alla perfezione l’ambiente politico dove si trova ad agire: possiede un
bagaglio culturale e informativo capace di inquadrare bene l’argomento sostenuto ed è
anche in grado di monitorare attentamente e costantemente la mappa del potere
decisionale.
Il concetto che meglio delinea l’azione del lobbista è quello di soft power, che signi ca
ottenere i risultati che si vogliono con la forza delle parole dette, dell’attrazione prodotta,
senza mai agire sulla costrizione. Esso si fonda “sulla capacità di condizionare le
preferenze degli altri, a nché desiderino fare ciò che noi vogliamo che facciano”.
L’attività del lobbista è un’azione con cui si tenta di indurre qualcuno (il decisore pubblico)
a fare ciò che si vuole che faccia tramite, soprattutto, risorse intangibili (le informazioni
trasferite).
L’attività del lobbista si suddivide in tre fasi: la fase della mappatura; la fase nominale; la
fase della pressione.
1) Nella fase della mappatura il lobbista traccia il prospetto del processo decisionale per
intuire dove intervenire: per prima cosa, va individuato a quale livello avviene il processo
decisionale (individuazione del livello decisionale). In altre parole, il lobbista localizza se il
processo decisionale è in sede europea, quindi al di fuori dei con ni nazionali; oppure è
un processo che sta all’interno dei con ni, al livello centrale; oppure sono dei temi su cui
decide il decisore regionale o locale. Una volta stabilito a quale livello avviene il processo
decisionale, il lobbista identi ca il soggetto istituzionale che e ettivamente prenderà la
decisione: ad esempio, se il livello decisionale è il governo nazionale va inquadrato il
ministero competente (individuazione del decisore pubblico). Nella fase di mappatura, il
lobbista e ettua un’altra operazione: individua se altri gruppi di interesse sono attivi sulla
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stessa materia, per costruire, se gli interessi coincidono, delle alleanze; in caso contrario,
dovrà essere in grado di ribattere alle azioni del gruppo concorrente. Ciò avviene perché
ogni tema vede contrapporsi o allearsi più gruppi di interesse. Questo è un altro momento
importante per il lobbista, poiché può valutare le possibilità di successo o meno della sua
azione; in base a tali valutazioni, il lobbista potrebbe persino arrivare a ri utare l’incarico
proposto. La certezza che l’obiettivo stabilito non potrà mai essere raggiunto, infatti, è un
aspetto che tutti i lobbisti valutano: è la loro reputazione (e la loro credibilità) che ne
potrebbe risentire.
In ne, un documento, estremamente funzionale per l’azione del lobbista in questa fase, è
il position paper: si tratta di un documento breve a uso esterno, chiaro, di facile lettura per
tutti, che spiega la posizione dell’organizzazione su un particolare tema. È il documento
che circola negli ambienti politici, e, proprio per questo, deve essere redatto dal lobbista
con molta cura. Di solito il position paper contiene: a) una descrizione del tema; b) il
probabile impatto sull’organizzazione della scelta normativa che si ipotizza venga presa
dal decisore pubblico; c) l’esistenza di altre proposte alternative a quella del decisore che
sono più gradite dal lobbista; d) l’individuazione di altri sostenitori della proposta portata
avanti dal lobbista; e) e, in ne, l’indicazione dei decisori politici da contattare.
2) Una volta ricostruita la mappa del processo decisionale, si passa alla seconda fase,
ossia la fase nominale. È la fase in cui il lobbista ricerca le persone giuste da contattare.
In particolar modo, deve individuare le persone da interpellare all’interno del ministero. Il
lobbista riempie di nomi e cognomi la sua mappa del potere; non si limita soltanto a
individuare chi ricopre l’incarico, ma, soprattutto, realizza un’analisi dettagliata della
persona: ne ricostruisce la storia e il background. In questo senso, il lavoro del lobbista
diviene più agevole quando è supportato da un database in cui vengono catalogate le
numerose informazioni relative al processo decisionale. Nello speci co, il lobbista ha un
archivio sui politici, uno sui dirigenti e uno sui gruppi di interesse.
3) La terza e ultima fase dell’attività di lobbying è stata de nita fase della pressione,
quella in cui il lobbista interagisce e preme sul decisore pubblico consegnandogli delle
informazioni che risultano essere funzionali sia al politico per prendere la decisione più
congeniale, sia al lobbista per tutelare l’organizzazione sostenuta. È, prima di tutto, il
momento in cui avviene il trasferimento di informazioni.
Questa è anche la fase in cui va costruito il rapporto tra i due soggetti: siamo di fronte a
un rapporto estremamente personalizzato, che assomiglia molto a quello del relatore
pubblico con il giornalista. Proprio per questa ragione, la gratitudine e, soprattutto, la
ducia sono gli ingredienti salienti di tale rapporto. La ducia è legata ai modi e ai tempi in
base ai quali il lobbista si muove; molto importante è la cosiddetta “prima cena“, durante
la quale la maggior parte del tempo è dedicata a conoscersi e poco spazio viene lasciato
alle questioni di lavoro. Il contatto informale prevede persino piccoli regali. Poi, tra i due
attori avrà inizio lo scambio vero e proprio di informazioni. Una consuetudine del rapporto
tra il lobbista e il politico è la gratitudine, assai di usa tra i lobbisti: ogni favore o segno di
disponibilità del politico deve essere seguito da note personali di ringraziamento.
Comunque, l’esito positivo dell’attività di lobbying dipende pure da altro: la causa va ben
sostenuta, ben documentata, altrimenti nessun politico si espone a supportare una
posizione e una normativa a favore soltanto di un soggetto e non della comunità.
Una volta che il rapporto è stato costruito, il lobbista può utilizzare una serie di tecniche
per fare pressione sui decisori. Una delle tecniche più di use è il lobbying diretto.
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Questa è la più vecchia forma di interazione con il decisore pubblico, fatta innanzitutto di
contatti face-to-face. Lo scambio di informazioni, la predisposizione del position paper, le
audizioni, le cene, gli aperitivi rappresentano come il contatto diretto e periodico susciti
una volontà collaborativa. Il lobbista sceglie un modello di incontri che per ritmo, durata e
tipologia non sia, per il decisore, né faticoso né insopportabile, ma risulti, al contrario,
interessante e utile. Per ridurre al minimo i rischi connessi all’imprevedibilità del rapporto
diretto, è indispensabile che il lobbista conosca a fondo i segreti della comunicazione
interpersonale. Si ria erma di nuovo il fatto che il lobbista è un esperto di strategie e di
mediazione.
Ma accanto al lobbying diretto esiste anche un lobbying indiretto, o meglio, quello rivolto
ai cittadini. L’obiettivo è conquistare il favore dell’opinione pubblica e poi utilizzare un
simile consenso per agire sul decisore pubblico. La leva sulla quale si agisce è sempre
quella dell’informazione; l’intento è sensibilizzare i cittadini su una determinata questione.
Tra le forme di lobbying indiretto troviamo innanzitutto il grass-roots lobbying (“le radici
dell’erba”). Signi ca in uenzare i processi legislativi attraverso una mobilitazione che
parte dal basso (dalla società civile). Di solito, si ricorre a una campagna di
comunicazione (dove i media tradizionali e le moderne tecnologie - internet, social
network- giocano un ruolo decisivo) per stimolare l’opinione pubblica. Il ne è indurre
ri essioni e portare a conoscenza del gran pubblico e dei decisori il tema sostenuto,
senza che l’organizzazione interessata si sia esposta in prima persona. Nel momento in
cui un tema e il punto di vista sostenuto su di esso diverranno di usi e ben visibili tra
l’opinione pubblica, l’organizzazione interessata potrà scendere in campo rendendo
pubblica la propria posizione attraverso interviste e comunicati stampa. L’iter del lobbying
indiretto è sollevare il problema prima come questione che interessa l’opinione pubblica,
poi come questione che interessa l’organizzazione. Il ruolo giocato dai mass-media in
questa attività di lobbying è centrale; dunque, il lobbista sa come implementare delle
media Relations.
In ne, un passo spesso necessario per attivare un grass-roots lobbying (lobbying dal
basso o lobbying indiretto) è la costruzione di coalizioni (o alleanze) con altri soggetti.
L’azione di più soggetti coordinati fra loro permette di ra orzare l’in uenza sui decisori
pubblici e attribuisce un carattere più generale alla questione speci ca. Il politico, in
particolare, è sensibile alle istanze sostenute da un largo consenso.
Nell’Unione Europea per “lobbying si deve intendere quel processo tramite il quale i
gruppi di interesse forniscono informazioni che trovano facilmente accesso alle istituzioni
comunitarie per il de cit di informazione di cui so rono le istituzioni europee”.
Un eurodeputato, ad esempio, interagisce costantemente con colleghi provenienti da altri
paesi che presentano sullo stesso rapporto istanze e interessi diversi; a maggior ragione,
quindi, il lavoro dei lobbisti è di grande utilità. Nel processo decisionale comunitario il
contributo del lobbista è così rilevante da garantire una base di legittimità (riconosciuta da
tutti) a molte delle iniziative delle istituzioni comunitarie.
A Bruxelles operano circa 2600 gruppi di interesse e 15.000 lobbisti; se a queste lobby si
aggiungono anche le rappresentanze degli Stati e quelle istituzionali, il numero delle
persone che agiscono in uenzando il sistema comunitario sale a circa 55.000. I principali
settori di intervento da parte dei lobbisti sono: ambiente, agricoltura, salute e sicurezza
alimentare, energia e automobile. Tra gli u ci di rappresentanza per l’Italia il più
consistente è quello di Con ndustria.
Una volta raggiunto l’accordo nella Commissione, la proposta legislativa viene inoltrata al
Parlamento europeo e al Consiglio dei ministri per essere adottata. L’attività di lobbying
continua anche negli stadi successivi del processo decisionale comunitario; su queste
basi, un altro luogo frequentato dal lobbista è, ovviamente, il Parlamento. Negli ultimi anni
i poteri del parlamento sono aumentati, infatti adesso questo può insabbiare o variare
attraverso emendamenti una proposta legislativa. Per tali ragioni, molti gruppi di interesse
hanno lobbisti che si dedicano esclusivamente all’attività dell’assemblea parlamentare.
L’azione del lobbista all’interno del Parlamento è incentrata su precisi soggetti: il
rapporteur (o relatore), l’assistente parlamentare, i relatori ombra (rapporteur shadow) e
gli euro deputati più in uenti dei gruppi parlamentari. L’assemblea legislativa è suddivisa
in commissioni parlamentari.
L’iter legislativo avviene esattamente nel seguente modo: la proposta della Commissione
europea viene trasmessa alla Commissione parlamentare competente e alle altre
commissioni parlamentari chiamate a esprimere un parere. Poi, la commissione
competente per materia individua il relatore (relateur), che viene incaricato
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dell’elaborazione di una relazione che sarà poi discussa, modi cata e votata in
commissione per poi essere presentata alla sessione plenaria del parlamento. Se
approvata, essa esprime la posizione u ciale del Parlamento.
Il lobbista interviene sin dalla scelta del relatore. Il nome del relatore viene individuato
dopo una negoziazione tra i gruppi parlamentari; dentro questo meccanismo abbastanza
complesso, il lobbista prova a suggerire il nome di chi dovrà essere il relatore.
Un’operazione questa senz’altro di cile, che il lobbista può realizzare se i suoi contatti si
allargano anche agli euro deputati più in uenti degli altri Stati membri.
Per il lobbista, poter avere un buon feeling con il relatore è estremamente importante.
Innanzitutto, il relatore è la persona con cui la commissione europea deve scendere a
patti se nella procedura di codecisione non c’è accordo con il Parlamento. Il lobbista che
può contare su un contatto diretto col rapporteur ha buone probabilità di introdurre un
suo emendamento nel rapporto nale. Sarà lo stesso relatore a presentarlo, per conto del
lobbista, in commissione, chiedendo agli altri euro deputati di esprimersi a favore di tale
emendamento. Anche nel caso in cui si dovesse giungere a un emendamento di
compromesso per le richieste di altri deputati, è probabile che il relatore, prima di
modi care l’emendamento iniziale, si accerti che il lobbista e il gruppo che rappresenta
siano d’accordo.
Un altro punto saliente dell’attività di lobbying sul parlamento riguarda il fatto che i
lobbisti sono coloro che scrivono la gran parte del contenuto degli emendamenti
presentati dagli eurodeputati.
A questo stadio si possono veri care soltanto due situazioni: a) il lobbista contatta il
relatore (o un altro deputato membro della commissione competente) per informarlo sulla
posizione del gruppo che rappresenta e sul desiderio di voler presentare un
emendamento; b) viceversa, è il relatore (o un altro deputato) a contattare il lobbista,
perché è alla ricerca di informazioni tecniche sulla proposta legislativa da trattare e
valutare.
Nel primo caso, il lobbista, avendo a che fare con politici che sono responsabili delle loro
azioni nei confronti degli elettori, utilizza motivazioni più comprensibili che abbiano
immediati riferimenti alla realtà sociale. Lo scenario è diverso da quello della
Commissione europea: qui c’è un politico (e non più un funzionario) che ha bisogno di
confermare e, per no, di ra orzare il suo consenso; pertanto l’eurodeputato deve essere
sensibilizzato, informandolo sulle ripercussioni (positive) a livello locale dell’emendamento
proposto. Inoltre, le proposte di emendamento che provengono al relatore o a qualsiasi
altro membro della commissione parlamentare sono numerose; in questa prospettiva
l’eurodeputato il più delle volte è chiamato a selezionare quelle più adatte, quindi i gruppi
di interesse con un forte peso elettorale sono senz’altro avvantaggiati da questa
situazione e avranno maggiori probabilità di vedersi accolto l’emendamento presentato.
Tuttavia, anche gruppi di interesse più piccoli possono trovare una via d’accesso: in
questo caso l’azione del lobbista non si può più limitare al solo relatore, ma è
indispensabile contattare più euro deputati di diversa collocazione politica e nazionalità. Il
ne del lobbista è arrivare alla stesura di un documento, che possa ottenere il più largo
consenso possibile sia da parte dei soggetti politici, sia da parte di altri gruppi di
interesse.
Viceversa, può accadere che sia il relatore o qualsiasi altro eurodeputato della
commissione parlamentare a contattare un lobbista. Ora il successo dell’attività di
lobbying dipende da quelle relazioni (soprattutto di tipo informale) che il lobbista ha
costruito molto tempo prima dell’elaborazione del disegno di legge.
Di solito, avviene che il relatore, una volta nominato, vada alla ricerca di tutte quelle
informazioni che lo possano aiutare a meglio comprendere il dossier a dato. Egli può
ricorrere allo sta tecnico del gruppo parlamentare di appartenenza, ma per avere un’idea
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il più vicino possibile alla realtà non può non far ricorso anche alle informazioni,
sicuramente più tecniche, dei lobbisti. Per questo una delle azioni più frequenti del
politico è convocare audizioni parlamentari, dove ciascun gruppo di interesse potrà far
sentire la propria voce.
Accanto a questi incontri formali ce ne saranno anche altri di tipo informale con quei
lobbisti di cui il relatore sa di potersi dare, divenuti dei veri e propri punti di riferimento su
speci ci settori. Questo rapporto inizia con un appuntamento richiesto dal lobbista
all’eurodeputato quando ancora non c’è nessuna proposta di legge sul tavolo. Prima
ancora il lobbista si informa sulle composizioni delle nuove commissioni parlamentari per
capire con chi, in futuro, avrà a che fare. Poi, incontrerà personalmente l’eurodeputato
facendogli sapere che è pronto ad aiutarlo, fornendogli informazioni, in qualsiasi
momento. Successivamente il rapporto si consolida: il lobbista fa in modo che
l’eurodeputato incontro il suo cliente; così il politico può ulteriormente convincersi della
serietà e della correttezza del lobbista e dell’organizzazione che rappresenta.
Un altro interlocutore del lobbista è l’assistente parlamentare, colui che organizza
l’agenda dell’eurodeputato e che favorisce o ostacola l’azione diretta con il politico. Il
lobbista si rivolge all’assistente per una serie di questioni, dalle più piccole alle più grandi.
L’assistente è molto vicino all’euro deputato e può spiegare in anticipo al lobbista la
posizione del deputato su una questione speci ca.
A volte, ci sono alcuni politici che non amano sapere che l’emendamento sia stato scritto
interamente dal lobbista. In questi casi l’assistente diventa l’interfaccia del lobbista nei
confronti dell’eurodeputato: è a lui che il lobbista spiega dettagliatamente la sua
posizione e ciò che desidera realizzare, dopodiché sarà l’assistente a illustrare la
questione all’eurodeputato utilizzando molte delle informazioni ricevute dal lobbista.
Tra i principali interlocutori c’è anche il relatore ombra (rapporteur shadow). Ogni gruppo
politico nomina un relatore ombra ed è il suo referente in commissione parlamentare su
una speci ca proposta legislativa. È una gura di un certo rilievo, perché di cilmente un
eurodeputato di un determinato gruppo deciderà di prendere iniziativa senza averlo
almeno informato della sua azione. Prima del voto nale in commissione, il relatore
incontra i relatori ombra: se c’è un accordo l’emendamento si può considerare approvato,
altrimenti tutti insieme elaborano un emendamento di compromesso che possa
soddisfare le richieste poste dal relatore e quelle dei rapporteur shadow. Proprio per
questa ragione, il lobbista, per garantirsi l’approvazione del suo emendamento, deve
necessariamente contattare i relatori ombra per costruire un consenso intorno a esso.
Per concludere, il lobbista indirizza gran parte della sua azione sulla commissione
parlamentare, perché una proposta adottata in commissione viene generalmente
approvata in sessione plenaria. È opportuno, comunque, che il lobbista eserciti
un’in uenza continua anche quando il testo de nitivo approvato dalla commissione
giunge in assemblea plenaria, soprattutto per evitare un eventuale azione di disturbo da
parte di gruppi con interessi divergenti.
Il lobbista può fare pressione anche sul Consiglio per tentare di in uenzare una proposta
normativa prima che diventi legge comunitaria. È questa una delle ultime fasi e
sicuramente una delle più articolate e complesse (a tal punto che a volte il lobbista vi
rinuncia).
Il Consiglio, tra le istituzioni comunitarie, è quella meno aperta e quindi più di cilmente
raggiungibile dall’azione del lobbista; ciò è reso ancora più faticoso dal sistema di voto a
maggioranza del consiglio: per il lobbista è necessaria un’azione rivolta alla maggioranza
degli Stati membri. Siamo evidentemente di fronte a un’azione di lobbying che presenta
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dei costi in termini di energie, risorse e tempi enormi e quindi sostenibili da pochi soggetti
presenti a Bruxelles.
Un gruppo di interesse ha due possibilità per incidere sulle scelte del Consiglio. La prima
prevede un’azione rivolta ai ministri nazionali. In questo caso il ministro, una volta
convinto della bontà e fattibilità dell’azione, si recherà presso il consiglio sostenendo la
posizione del gruppo del suo paese che lo ha interpellato. I gruppi di interesse che
possono annoverare sia lobbisti impegnati a rappresentare il gruppo a Bruxelles, sia altri
lobbisti che lo rappresentano a livello nazionale si trovano nella situazione di poter agire
prima nei confronti del ministro nazionale e poi anche nei confronti del Consiglio.
Per concludere, l’attività di lobbying a Bruxelles non si può limitare alla fase di
elaborazione della proposta legislativa o all’interazione con una singola istituzione. È
un’azione molto più complessa che richiede al lobbista l’attuazione di un lavoro articolato
e continuo per tutta la fase decisionale.