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Le relazioni pubbliche e il lobbying in Italia

Capitolo 1, Le origini delle relazioni pubbliche

Le relazioni pubbliche sono usate per de nire lo sforzo programmato da un professionista


per in uenzare l’opinione pubblica e i decisori pubblici; queste sono particolarmente
importanti in quanto sono in grado di sviluppare la notorietà dell’organizzazione, cioè di
aumentare la conoscenza che l’opinione pubblica ha dell’organizzazione e delle attività
che essa svolge.
Il professionista delle RP ha studiato come usare le risorse che il moderno sistema di
comunicazione o re per organizzare e guidare l’opinione pubblica. Il suo obiettivo è
costruire un atteggiamento pubblico favorevole al cliente per cui lavora. Ora il public
Relations man è diventato anche un membro permanente dello sta impiegato da molte
organizzazioni pubbliche e da commissioni nazionali; con questi sviluppi, le attività del
professionista delle rp sono diventate in uenti nei processi decisionali di un governo
democratico.
Le relazioni pubbliche diventano dunque strategiche per organizzare la comunicazione di
tutti quegli individui, gruppi e istituzioni che si muovono in un’arena pubblica. Il
raggiungimento degli obiettivi di tali soggetti è strettamente connesso al ricorso alle
relazioni pubbliche.

Nel libro vengono sovrapposte la gura del relatore pubblico e quella del lobbista. Ciò
accade per due motivi: il primo è che le due professioni si assomigliano molto, l’attività
del lobbista è infatti imperniata sulla negoziazione, così pure quella dell’addetto alle RP. Il
lobbismo è comunicazione e pure la media Relation è comunicazione. Il secondo motivo
è che una simile sovrapposizione è dettata dal modo in cui un’azione di relazioni
pubbliche raggiunge l’obiettivo stabilito. Le relazioni pubbliche, di fatto, vanno suddivise
tra quelle che operano all’interno delle “stanze del potere” con varie tecniche di
convincimento e quelle che operano all’esterno con l’intento di in uenzare l’opinione
pubblica, o una parte di essa, spingendola verso una scelta sperata.
Le di erenze sono assai labili, infatti agire sull’opinione pubblica senza che qualcuno (il
lobbista) recapiti un documento, una proposta, un’idea a chi è poi il decisore, signi ca
fare un lavoro incompleto. D’altra parte, un lobbista che non ha dietro di sé la forza
dell’opinione pubblica è un lobbista “scarico”. Dunque, le relazioni pubbliche necessitano
sia di media Relations, sia di attività di lobbying per raggiungere i risultati pre ssati.

Paragrafo 1

L’inizio delle relazioni pubbliche come attività professionale ha luogo negli Stati Uniti,
nell’universo corporate. Nel 1900 esordisce sul mercato la prima agenzia di RP, il Publicity
Bureau di Boston, che gestiva i rapporti con la stampa per conto dell’Università di
Harvard.
Nella prima parte del 900 negli Stati Uniti numerosi cambiamenti hanno reso possibile la
realizzazione di una “democrazia degli a ari“, intesa come l’insieme degli interventi che le
corporations hanno operato per creare un’opinione pubblica, un sentore favorevole al
mondo imprenditoriale. I 4 cambiamenti più importanti sono stati: l’a ermarsi della grande
impresa, il consolidarsi del processo di urbanizzazione, l’ampliarsi dei segmenti di
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popolazione interessati a quelle logiche del consumo che stanno colonizzando il tempo
libero e la de nizione di un quadro politico-istituzionale di stampo decisamente
presidenzialista.

Tra l’inizio del 1900 e gli anni 30 negli USA si realizza una mutazione nelle relazioni tra
sfera pubblica e sfera privata; è dunque necessario ripensare al modo in cui la ri essione
politica e sociale è cambiata tra questi due periodi: 1) Nel primo, il termine opinione
pubblica designa un aggregato di individui al cui interno è riconoscibile uno strato di
soggetti informati, capaci di produrre deliberazioni razionali che raccolgono il consenso
dell’intera comunità intorno a una batteria limitata ed essenziale di questioni politiche.
2) Nel secondo i pubblici sono diventati molti e speci ci, si individuano a partire da
interessi frammentati, non necessariamente producono deliberazioni razionali, li si può
interrogare mediante sondaggi che ci restituiscono aggregati statici di opinioni individuali
sollecitate e ottenute sui temi più diversi.

Nell’intervallo compreso fra l’una e l’altra de nizione, la scena pubblica si è popolata di


nuovi soggetti (donne, lavoratori organizzati, gruppi etnorazziali); alle relazioni primarie si
sono a ancate e sovrapposte in modo importante quelle mediatiche, si sono costituiti
inediti universi professionali che si occupano su base specialistica di informazione e
comunicazione.

Come incide lo sviluppo delle RP sulla sfera pubblica americana nella prima metà del
secolo scorso? Dal punto di vista della percezione che gli attori aziendali hanno della
società, c’è un desiderio di ridurre e sempli care la complessità dei rapporti sociali esterni
a misura di quelli gerarchici interni, grazie al ruolo di mediazione svolto dai consulenti di
immagine e comunicazione.
L’obiettivo è quello di spettacolarizzare, sempli care e soprattutto restringere e
privatizzare l’area del discorso pubblico: restringerla dal punto di vista dei soggetti che
potevano accedervi, degli oggetti che andavano tematizzati, dei modi di tematizzarli.

Prende corpo un nuovo regime di visibilità: è necessario diventare pubblici, di pubblico


dominio, esporsi al giudizio comune. Il problema principale è una questione di
comprensione e trasparenza reciproca tra le parti. Il concetto di publicity, ora
de nitivamente inaugurato, rivendica la propria autonomia formale da ogni tipo di
pubblicità a pagamento. Lavorare di publicity signi ca fornire notizie e tentare di fare in
modo che niscano sui giornali per migliorare l’opinione di usa intorno all’impresa.
L’obiettivo è conquistare la ducia del pubblico, chiedendogli cosa desidera e fornendogli
adeguate spiegazioni su qualsiasi questione lo riguardi.
Ivy Ledbetter Lee, uno dei padri fondatori delle relazioni pubbliche, nel 1925 sostiene:
“Publicity comprende qualsiasi cosa si utilizzi per esprimere un’idea: la radio, il cinema, le
riviste, i libri, le conferenze, i cortei,… Publicity è tutto ciò che permette di rendere visibile
e accessibile agli altri un qualcosa che si vuole esternare.”
Da questo momento diventa fashion per le grandi corporations americane assumere un
Publicity man. Negli anni 20, dopo la prima guerra mondiale, le grandi corporations
vogliono a ermare il primato del servizio sul pro tto, imprenditori e dirigenti preferiscono
dunque descriversi come statisti e rivendicano per le imprese il titolo di istituzioni, in
quanto enti al servizio della collettività e delle comunità locali in particolare.
Per le grandi imprese diventa ora fondamentale il Going public, ossia il parlare
direttamente all’esterno. La necessità di queste di assoldare professionisti della
comunicazione è una spinta importante alla nascita dei primi corsi in relazioni pubbliche.
Due momenti sono fondamentali nella storia della public relations education negli Stati
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Uniti: nel 1920, presso l’Università dell’Illinois, John F. Wright, tiene il primo corso in
Publicity techniques. Tre anni dopo, Edward Bernays, presso il Dipartimento di
giornalismo dell’Università di New York, impartisce il primo corso denominato Public
relations. Alcuni dei primi corsi in relazioni pubbliche vengono tenuti dai responsabili di
Publicity delle Università.
Tuttavia, un attento e dettagliato studio condotto attraverso ricerche incentrate
esclusivamente sulle relazioni pubbliche si ha solo negli ultimi quarant’anni. Fino al 1970
vengono fatti solo pochi tentativi di misurazione delle relazioni pubbliche, mentre nel
decennio che va dal 1975 al 1985 lo scenario cambia in modo palese: di circa 2000
articoli pubblicati nelle riviste il 34% riguarda speci camente ricerche sulle relazioni
pubbliche. In sintesi, con l’avvicinarsi ai giorni nostri l’interesse verso le relazioni
pubbliche è cresciuto proporzionalmente con il numero di indagini che mirano a
indagarne il ruolo all’interno della società e gli e etti prodotti.

Paragrafo 2, Lee e Bernays

Lo sviluppo delle relazioni pubbliche negli Stati Uniti segue anche gli avvenimenti politici: i
tycoon non possono più accettare che, nel momento in cui chiedono nanziamenti al
governo per costruire nuove infrastrutture, i giornalisti pubblichino le loro malefatte. Così
nel 1902 viene creata a Washington la società dell’avvocato William Wol Smith, ritenuto
il primo lobbista u ciale, con il compito di persuadere i politici ed assicurare i
nanziamenti ai proprietari ferroviari, ma soprattutto a New York nel 1904 nasce, per
gestire i rapporti con i giornali, la Parker&Lee, una delle più importanti agenzie di relazioni
pubbliche, guidata da Ivy Lee.
Il piano di Lee consiste nel dare alla stampa e al pubblico degli Stati Uniti informazioni
tempestive e accurate su quanto il pubblico vuole sapere, tenendo presenti gli interessi
tanto delle aziende quanto delle istituzioni pubbliche. Per Lee è ridicolo pensare che
qualcuno (il relatore pubblico) possa avere la capacità di far pubblicare sui giornali
qualsiasi cosa desideri. La notizia, infatti, deve essere qualcosa di interessante; perciò, i
principali compiti del relatore pubblico sono quelli di o rire al giornalista del materiale che
sappia attirare l’attenzione della gente, e dare un’aura positiva all’organizzazione per cui
lavora. Ci si muove dunque sul terreno dell’indirect advertising o della Publicity, che si
distingue nettamente dall’attività principale del settore, la pubblicità commerciale
(advertising), per un motivo semplice: non prevede esborsi u ciali ai giornali.
Il ruolo che spetta al public relations man è quello di mediatore fra le imprese e l’opinione
pubblica. L’addetto alle RP è l’avvocato delle imprese presso il pubblico, ma anche, ed è
decisivo, del pubblico presso le imprese: ombudsman (difensore civico). Egli deve essere
in grado di incidere sulle strategie delle imprese. L’obiettivo del professionista delle RP è
fare in modo che i fatti diventino di pubblico dominio.
Un altro personaggio molto emblematico nella storia delle relazioni pubbliche è Edward
Bernays, nipote di Freud, che rappresenta l’archetipo del consulente di relazioni
pubbliche, interessato anche a promuovere la base teorica delle RP tramite le sue
numerose pubblicazioni. Bernays tenta di o rire una veste teorica al mestiere di
comunicatore professionale tramite uno dei suoi volumi di maggiore successo,
Crystallizing Public Opinion: il lavoro del professionista delle comunicazioni consiste nello
studiare la “mente pubblica”, applicando i principi della rilevazione socioeconomica tratti
dalla ricerca sociologica e soprattutto dall’indagini di mercato che fanno la loro comparsa
negli anni 10 del XX secolo.
Con Bernays prende piede un’altra interpretazione, per molti versi opposta a quella di
Lee, del ruolo di consulente di RP. Egli contribuisce a di ondere un’immagine delle
relazioni pubbliche come forza irresistibile e occulta, praticata da ingegneri invisibili ai
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quali la scienza dell’opinione pubblica dà il potere di manipolare comportamenti e
credenze degli innumerevoli gruppi nei quali la società si articola. Il consenso è
innanzitutto tecnica; le emozioni fondamentali del pubblico sono più forti della razionalità,
la persuasione più importante delle informazioni, gli eventi più della realtà. “Il consulente
di relazioni pubbliche non solo sa che cosa ha valore di notizia, ma è in grado di far
accadere la notizia“. Bernays riconosce al consulente di comunicazione piena lealtà verso
il cliente, la quale è subordinata a due imperativi etici: l’azione del consulente di RP è
sempre nalizzata al bene superiore della società nel suo insieme e al rispetto della corte
suprema, l’opinione pubblica, in nome della quale il consulente può ri utare o ricusare
una commessa. Il councelor può dunque illuminare l’opinione pubblica di un alto senso
morale, contribuendo a trasformarla in qualcosa di più nobile, ovvero una coscienza
pubblica.

È di cile valutare un’attività come le relazioni pubbliche, per de nizione di con ne: parte
tangibile e parte intangibile. In ogni caso la storia delle relazioni pubbliche, in particolare
la crescente importanza e rispettabilità che esse hanno assunto agli occhi del
management, rivelerebbe due tratti caratteristici dell’élite imprenditoriale americana:
1)l’imprenditoria americana è costantemente insicura rispetto al proprio potere e al
proprio ruolo nella società. 2) si riscontra l’accettazione da parte di molti attori economici
della validità e dell’equità del giudizio del pubblico. Le relazioni pubbliche hanno
o erto alla leadership economica uno strumento alternativo all’uso della violenza o della
corruzione, oggi utilizzato ampiamente, e per questo può essere intravisto nel boom delle
relazioni pubbliche un segno di salute della democrazia americana.

Paragrafo 3, I modelli di Grunig

Il ruolo e l’evoluzione storica delle relazioni pubbliche sono stati ben sintetizzati dai
modelli proposti da James Grunig, il maggior teorico contemporaneo delle relazioni
pubbliche. La teoria generale di Grunig (elaborata nel 1984 e rivisitata nel 2001) parte da
un’analisi storica delle relazioni pubbliche che identi ca quattro modelli applicativi, tutti
ancora oggi largamente praticati. Molta della ri essione di Groningen è in uenzata
dall’ammirazione che lo studioso prova nei confronti di Scott Cutlip, suo docente
all’Università del Wisconsin. Cutlip aveva mostrato che le relazioni pubbliche sono un
processo a due vie (two-way communication), in cui “i professionisti delle RP devono
saper essere researchers, listeners and writers”. Per Grunig questo insegnamento ha
sempre rappresentato un framework centrale di tutta la sua ricerca.
1) Il primo modello è quello della press agentry/publicity avviato a metà 800 da
Phineas T. Barnum. Il ne del modello è la propaganda, la di usione di notizie
riguardanti l’organizzazione o i soggetti attraverso informazioni distorte, incomplete o
anche mezze verità. Si desidera occupare spazio nei media, facendo leva sulla
relazione con il giornalista, e, indirettamente, richiamare l’attenzione del pubblico, ma
non necessariamente il suo consenso o la sua comprensione. Il modello è a una via:
c’è un’unica parte attiva nel usso di comunicazione, ossia l’organizzazione o, più
esattamente, il suo press agent. L’informazione viaggia dal press agent al giornalista.
È un modello che esalta il ruolo dei media, ma che denota implicitamente una limitata
autonomia professionale del giornalista. Il modello è asimmetrico, nel senso che il
usso di comunicazione va da una fonte al ricevente, e ha degli e etti che sono tutti a
favore della fonte, cioè dell’organizzazione.
2) Il secondo modello, chiamato della public information, prende spunto dalle
invenzioni di Ivy Lee. La funzione del professionista delle relazioni pubbliche è
soprattutto di produrre e di ondere informazioni ai giornalisti: ma questa volta le
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informazioni devono essere fattuali, fedeli alla realtà e consapevolmente orientate non
solo a catturare l’attenzione, ma anche a in uenzare l’opinione pubblica in favore degli
obiettivi dell’organizzazione committente. Il giornalista è colui che chiede e riceve le
informazioni, le valuta, le interpreta, per poi decidere se e come renderle note ai
lettori. Aumenta il potere del giornalista rispetto al primo modello, poiché è visto come
uno strumento/ ltro verso l’opinione pubblica. È un modello sempre a una via (chi
comunica persegue soltanto il suo obiettivo e attribuisce scarso peso al feedback),
ma è comunque maggiormente simmetrico rispetto al primo. Viene considerato il
modello più praticato, soprattutto nella sfera della decisione pubblica.
3) Il terzo modello, two-way asimmetric, è stato elaborato da Edward Bernays: è
orientato alla relazione a due vie, ma sempre abbastanza asimmetrico. Il modello si
propone la persuasione scienti ca di determinati segmenti di pubblico, in funzione
degli obiettivi dell’organizzazione, utilizzando gli strumenti della psicologia e della
sociologia. Di conseguenza, è un modello a due vie perché l’interlocutore viene
continuamente ascoltato attraverso un intenso uso delle ricerche sociali (sondaggi di
opinione, focus group). Tuttavia, è asimmetrico poiché quell’ascolto si propone la
persuasione scienti ca, in funzione di obiettivi unilaterali e trascura la soddisfazione
dei possibili obiettivi dell’interlocutore. Il modello si focalizza sulla ricerca di quegli
aspetti dell’organizzazione che il pubblico apprezza maggiormente. In pratica, i
professionisti delle RP, più che sostenere il punto di vista del pubblico nei confronti del
management dell’organizzazione, comunicano al management ciò che il pubblico
desidererebbe. È un modello che, per la prima volta, postula che le relazioni pubbliche
non si rivolgono esclusivamente ai giornalisti o decisori pubblici (lobbying): si
riconosce che ciascun segmento di pubblico, anche e soprattutto dei consumatori,
può essere in uenzato da diversi altri soggetti, gruppi di pressione e opinion leader.
4) Il quarto modello, two-way simmetric, detto anche di Grunig, è un modello a due
vie, ma più simmetrico rispetto al precedente. Per l’organizzazione è di fondamentale
importanza l’ascolto preventivo, condotto prevalentemente tramite la ricerca sociale,
l’analisi attenta dei soggetti in uenti e la relazione interattiva con loro. L’ascolto non è
orientato solo alla costruzione di messaggi e caci da trasferire in funzione di obiettivi
dell’organizzazione, ma anche, e soprattutto, volto ad aiutare l’organizzazione stessa
a ottenere un posizionamento dinamico dei suoi sistemi di relazione con i pubblici
in uenti, perseguendo ni che tengano conto dei loro interessi e valori, incorporandoli
nei propri. Il professionista di relazioni pubbliche assume così un ruolo di interprete
attivo, sia pure sempre di parte, fra un’organizzazione e i suoi pubblici in uenti, e
opera così per attivare e sviluppare un dialogo, quella reciproca comprensione che
consente all’organizzazione di raggiungere più agevolmente i suoi obiettivi proprio
perché consente ai pubblici in uenti di ricavarne un percepibile ed e ettivo valore
aggiunto. È dunque la relazione, e non la comunicazione, a divenire il criterio chiave di
relazioni pubbliche e caci.
Le relazioni pubbliche possono essere considerate al contempo propaganda, di usione di
informazioni, persuasione scienti ca e comprensione reciproca. L’aspetto interessante di
queste quattro dimensioni delle relazioni pubbliche è che esse convivono, seppure in dosi
diverse, all’interno delle diverse iniziative professionali.

Paragrafo 4, Le relazioni pubbliche in Italia

In Italia gli studiosi hanno sempre dedicato scarsa attenzione alle relazioni pubbliche e
alla loro storia.
A partire dal secondo dopoguerra in avanti, le piccole e medie dimensioni della maggior
parte delle imprese, la politica interventista dei governi e la scarsa competitività del
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sistema economico sono stati i principali ostacoli a un radicamento rapido delle relazioni
pubbliche in Italia.
Uno dei pochi volumi che ricostruisce l’evoluzione delle RP italiane è Governare le
relazioni, di Toni Muzi Falconi, il quale sottolinea come, dalla ne degli anni 40,
l’impostazione del nostro paese di realizzare un’economia incentrata sul settore
industriale e non più su quello agricolo sia stata in ogni caso una spinta per la creazione
almeno di un terreno adatto alla pratica delle RP. Un altro attore decisivo nel progresso
delle relazioni pubbliche è l’USIS (United States information service), un organismo del
dipartimento di Stato americano che deve svolgere in Italia una forte campagna di
comunicazione sugli aiuti provenienti dagli Stati Uniti. Gli americani ricorrono agli esperti
di relazioni pubbliche per organizzare i loro rapporti con alcuni dei partiti che hanno fatto
la storia della prima Repubblica, realizzando così uno dei loro principali obiettivi: tenere
lontani i comunisti dal governo. La pratica delle RP sin dall’inizio costruisce dunque uno
stretto legame con la politica.

Nel decennio 1947-57, tuttavia, si veri cano alcuni episodi che fanno intravedere l’utilità
delle relazioni pubbliche anche in Italia.
Nel 1947, Vanni Montana, operatore di relazioni pubbliche del sindacato americano, ispira
la scissione socialista di palazzo Barberini, che cambierà il corso della politica italiana.
Nel 1950 vengono istituite la prima associazione di relatori pubblici, Airp (Associazione
Italiana per le Relazioni Pubbliche), e il Sindacato nazionale relazioni pubbliche. Nel 1952
sorge a Milano l’IPR (Istituto per le relazioni pubbliche), il cui scopo fondamentale è quello
di di ondere e promuovere la conoscenza delle relazioni pubbliche nel mondo
imprenditoriale italiano, privato e pubblico.
Il 17 marzo 1970, dalle due associazioni preesistenti, IRP e Airp, nasce a Milano la Ferpi
(Federazione relazioni pubbliche italiana). Le tesi costitutive della Ferpi riguardano il
perseguimento del riconoscimento giuridico delle attività di relazioni pubbliche, le loro
linee di sviluppo e i contenuti operativi. La Ferpi, inoltre, desidera individuare le regole
deontologiche della professione ed esprime la piena adesione al codice di etica e
comportamento professionale dell’Ipra (International public Relations Association). Si
tematizzano in Italia, per la prima volta, l’importanza e il ruolo delle relazioni pubbliche.
Alcuni anni più tardi si costituisce Strategie, comunicazioni, ricerche, una società di
consulenza in relazioni pubbliche, fondata dai più noti professionisti del settore italiano
(Giuseppe Roggero e Toni Muzi Falconi), che nel giro di poco diventerà l’agenzia più
importante del paese. Nel 1981, in aggiunta, nasce Assorel (Associazione delle agenzie di
relazioni pubbliche), la quale non si contrappone alla Ferpi, ma promuove un’azione sia
interna alle agenzie (contratto comune) sia esterna (sviluppo della conoscenza far le
imprese di cosa siano e come operino le relazioni pubbliche).

Un punto di svolta nell’evoluzione delle relazioni pubbliche sono i primi anni 90, con i
processi di Tangentopoli, che travolgono e mettono ne alla prima Repubblica, svelando
anche il ruolo di intermediazione svolto da diversi operatori di relazioni pubbliche nella
corruzione. La svolta sta nel fatto che da questo momento in poi si incomincia a
teorizzare che la sola comunicazione d’impresa ormai credibile sia quella che comunica i
comportamenti e ettivi e che l’identità di un’organizzazione derivi dalla contrapposizione
con le identità di altre organizzazioni. Tangentopoli, per di più, produce dei cambiamenti
culturali, sociali e politici che ra orzano la pratica delle RP. Il passaggio alla seconda
Repubblica e i numerosi cambiamenti che ne derivano o rono alle relazioni pubbliche uno
spazio insperato; inevitabilmente, cresce il numero di professionisti dell’RP, che operano
all’interno di organizzazioni private o pubbliche, ma, allo stesso tempo, cresce anche il
numero di piccole, medie e grandi agenzie di consulenza.
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Tale crescita è legata anche ai cambiamenti avvenuti nella pubblica amministrazione
durante gli anni 90 e promossi, in parte, dal crescente ruolo ricoperto dall’Associazione
della comunicazione pubblica. In aggiunta, i processi di privatizzazione hanno costretto le
pubbliche amministrazioni a muoversi in una situazione sempre più concorrenziale. La
principale risposta a un simile quadro è stata l’approvazione della legge del 7 giugno
2000 n. 150, che istituisce la gura del comunicatore pubblico.
La pubblica amministrazione non solo informa e si apre verso l’esterno, ma interagisce
con i cittadini cercando di migliorare il suo rapporto con loro. Si riconosce la necessità
che l’istituzione comunichi, che abbia cioè un atteggiamento attivo nei confronti dei
cittadini, delle organizzazioni sociali ed economiche, dei mass-media e che lo faccia
dotandosi di quelle strutture e di quelle professionalità atte ad agire con successo in un
contesto in cui sono richieste competenze speci che.

Lo scenario delle relazioni pubbliche in Italia è caratterizzato da altri due elementi.


Innanzitutto, si è andata costruendo una sempre più forte connessione tra il mondo
accademico e la pratica professionale. Agenzie di relazioni pubbliche hanno iniziato a
collaborare, tramite stage e condivisione di obiettivi formativi, con corsi di laurea e
università. Lo Iulm è stata la prima università, nel 1993, ad avere un corso di laurea in
Relazioni Pubbliche.
In secondo luogo, si è di uso il bisogno di dare una de nizione e legittimazione alla
disciplina e alla professione delle relazioni pubbliche (awareness). Ciò ha prodotto un
notevole dibattito, incentrato sulla necessità di raggiungere 3 obiettivi: a) un codice etico
nello svolgimento della professione; b) un impegno per una crescita culturale delle
relazioni pubbliche attraverso la di usione della good Practice; c) la rimozione dei
peggiori stereotipi nell’immaginario del pubblico, che vede il relatore pubblico come uno
specialista della manipolazione.

Paragrafo 5, Il lobbying

Le organizzazioni sono costantemente impegnate a realizzare il massimo grado di


pubblicizzazione o trasparenza (Publicity). Molte organizzazioni, tuttavia, celano dietro il
desiderio di aprirsi verso l’esterno un altro obiettivo: avvalersi del sostegno dell’opinione
pubblica per poter meglio intervenire sul processo decisionale (attività di lobbying). Le
due azioni sono estremamente connesse: lo specialista delle RP mobilita, mediante gli
strumenti più avanzati della comunicazione, ampi segmenti dell’opinione pubblica attorno
a un determinato tema, in modo da poter agire, in maniera più sistematica e continuativa,
nei corridori del potere politico. La cultura delle lobby nasce negli Stati Uniti nello stesso
momento in cui hanno inizio le relazioni pubbliche come professione.
Sempre negli Stati Uniti il lobbismo è un diritto tutelato dalla costituzione; esso trova
copertura giuridica nel Primo Emendamento rati cato nel 1791. La sua ispirazione liberale
è evidente: si tratta di limitare lo strapotere del governo e di garantire ai cittadini e ai
gruppi organizzati la possibilità di far sentire la propria voce. Il Primo Emendamento
riconosce in particolar modo agli americani il Right to petition nei confronti del governo,
nel momento in cui reputano che un’azione governativa abbia causato un’ingiustizia nei
loro confronti. Interessi privati, imprese e associazioni mandano i loro emissari al
congresso per agire come petitioners, provando a convincere i parlamentari, incontrati
nelle lobby (corridoi), ad ascoltarli.

È doveroso individuare quali siano gli elementi fondanti dell’attività di lobbying: “per
stare alle regole del gioco in politica, un gruppo di interesse necessita di accedere ai
decision makers: accedere, quindi, diventa l’obiettivo del gruppo di interesse. Uno dei
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fattori più importanti per facilitare l’accesso è la posizione del gruppo o del suo portavoce
nella struttura sociale“. Nell’attività di lobbying vale molto il peso economico, politico,
sociale di un gruppo.
Un’altra parola magica per tutti i lobbisti è “accesso“, da non considerare
interscambiabile con la parola “ingresso”. L’accesso è, infatti, ciò che avviene
successivamente all’ingresso: entrare nella stanza del politico, sedersi e iniziare a
discutere. L’accesso è la moneta del lobbista americano ed esistono vari modi per
guadagnarselo; tra i più sicuri va annoverato il fatto di rappresentare un vasto numero di
elettori, oppure l’essere un personaggio di spicco nel collegio elettorale del parlamentare;
esiste un modo ancora più sicuro: “costruire un personal friendship con il politico;
l’amicizia, incentrata indubbiamente sulla ducia, appare ancora una risorsa
indispensabile”.
Un punto su cui tutti concordano è che il lobbying sia uno sforzo implementato per
condizionare il policy process, ovvero, è quella azione rivolta al processo decisionale con
l’intento di in uenzarlo. Ma non è del tutto esaustivo quanto appena detto: il lobbying è
infatti un processo attraverso il quale si tenta di in uenzare l’attività delle istituzioni
pubbliche e di permeare la public policy agenda. Il lobbying si può illustrare in due modi:
a) è la ricerca di una negoziazione con parti del governo (locale, nazionale o
sopranazionale); b) è la mobilitazione dell’opinione pubblica e dei mass media per agire
contro una decisione del governo o per inserire una issue all’interno dell’agenda politica.
Va aggiunto che il lobbying è un processo e non può essere composto di una singola
azione. Il lobbista raramente infatti genera soltanto un atto, piuttosto ne produce molti
durante un periodo di tempo più o meno lungo. Qualsiasi tattica di lobbying deve
prevedere il ricorso a una varietà di attività: soltanto così si realizza il ra orzamento della
publicity dell’organizzazione (per cui il lobbista lavora), che garantirà una più alta
probabilità di successo nell’interazione con i decision Makers.
Se il lobbying lo si descrive come l’attività con cui si porta a conoscenza del decisore una
determinata istanza, bisogna anche sostenere che il lobbying fa parte del processo
democratico. Per di più, i gruppi di interesse e i lobbisti giocano un ruolo centrale nel
sistema politico, perché, con un folto gruppo di consulenti, in uenzano le elezioni e
interagiscono con i giornalisti forgiando l’agenda del governo. Insomma, il lobbying
facilita il processo decisionale.

Perché è giusto riconoscere agli Stati Uniti la preminenza nel campo delle lobby? Perché
quando gli americani percepiscono che una questione è divenuta impellente e nessuno
dei soggetti politici tradizionali ha la capacità di rappresentarla, questi danno vita a una
lobby, che si propone di porla all’attenzione del dibattito pubblico e del decisore. E tutti
coloro che direttamente o indirettamente sono sensibili al tema ne potranno far parte.
Insomma, il decisore sa che la sua azione politica è sotto il controllo di gruppi pronti a
intervenire e sensibilizzare il politico sulle questioni sostenute.

Lo scenario italiano appare molto più complicato, infatti delle lobby si è sempre parlato
con accezione negativa e spirito di condanna.
La cultura delle lobby ha trovato di coltà a radicarsi anche per ragioni storiche e politico-
culturali. A partire dal secondo dopoguerra, l’Italia ha costruito un sistema politico
estremamente forte e incentrato su due partiti di massa (Dc e PCI); si è creato così un
sistema che ha monopolizzato la rappresentanza riservando alla politica un ruolo di
assoluto privilegio: al di fuori della politica non c’è la possibilità di avere altri canali di
rappresentanza. Inoltre, la grande industria italiana è stata per molti anni caratterizzata da
pochi oligopoli che, uniti ai monopoli pubblici, hanno un rapporto con la politica molto
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diretto: l’amministratore delegato e il segretario di partito sono i “veri” lobbisti diretti con il
mondo politico.
Il declino dei partiti politici ha aperto spazi all’attività di gruppi organizzati, grandi e
piccoli, ossia vere e proprie lobby, che presentano un obiettivo preciso: saper giusti care
convincentemente i propri vantaggi sulla base di un interesse generale.
Tuttavia, anche nella letteratura italiana si è provato a de nire le lobby. Alcuni si sono
concentrati sugli interessi da tutelare e sulla rappresentanza: “de nisco lobby o
organizzazione lobbistica il gruppo portatore dell’interesse o della causa da tutelare;
lobbismo l’insieme delle tecniche e attività che consente la rappresentanza politica degli
interessi“. Altri, invece, hanno messo in risalto la dimensione comunicativa dell’attività di
lobbying: “Lobby è il luogo di incontro pubblico tra rappresentanti di interessi particolari e
i decisori pubblici o quei soggetti in uenti in grado di condizionare il comportamento. Il
lobbying è la trasmissione di messaggi dal gruppo di pressione ai decision Makers; il
lobbista in sostanza è un bravo comunicatore”.
I due punti di vista sono complementari ed evidenziano come l’attività lobbistica
costituisca l’essenza del meccanismo di intermediazione tra interessi da rappresentare e
istituzioni che decidono.
Anche in Italia si inizia dunque a comprendere che il lobbismo può anche essere
interpretato come una tecnica che si presta ai più variegati interessi, materiali o simbolici,
settoriali o generali. “Si può insomma fare pressioni a n di bene, in rappresentanza di
interessi o cause ideali, allontanandosi ulteriormente dalla visione demoniaca del
lobbismo”. La forza di un sistema democratico risiede nella sua capacità di far difendere
a tutti i propri interessi.

Capitolo 2, Un approccio sociologico allo studio delle relazioni


pubbliche

Il professionista delle RP è quell’attore a cui ricorrono molte organizzazioni per facilitare la


propria azione all’interno di uno spazio pubblico articolato e complesso, com’è quello che
si è prodotto nella società in cui viviamo. Complessità generata dall’incremento della
competizione, dato che sempre più soggetti intervengono nel dibattito pubblico per
promuovere un determinato punto di vista, e dalla centralità dei mass media, che
rappresentano il principale spazio dove agire e farsi sentire. Il professionista delle RP è
dunque un sempli catore della realtà, colui che individua le strategie comunicative più
consone ad interpretare l’ambiente esterno.

Paragrafo 1, La teoria della di erenziazione sociale e le relazioni


pubbliche

Oggi qualsiasi organizzazione è chiamata a negoziare pazientemente e continuamente


all’interno della rete complessa delle relazioni in cui è inserita.
Qualsiasi forma di interazione è incentrata sulla comunicazione, sullo scambio di
informazioni; inevitabilmente chi meglio piani ca la propria comunicazione con l’ambiente
esterno, ricorrendo al professionista delle RP, ha maggiori probabilità di a ermare la sua
chiave di lettura all’interno del dibattito pubblico.
Teoria della di erenziazione sociale: La di erenziazione va interpretata come “la
divisione di un’unità o di una struttura di un sistema sociale in due o più unità o strutture
che di eriscono nelle loro caratteristiche e nel loro signi cato funzionale per il sistema”. In
altri termini, è un processo di cambiamento sociale dalle società primitive a quelle
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moderne, nel quale funzioni sociali inizialmente confuse progressivamente si separano (la
politica, per esempio, si è di erenziata dalla religione e dall’economia).
È soprattutto nella produzione scienti ca di Luhmann che l’idea di di erenziazione ha
raggiunto i suoi sviluppi più maturi; relativamente ai sistemi sociali, l’ipotesi chiave del
sociologo tedesco è la crescente di erenziazione di tali sistemi. Questo comporta una
progressiva indipendenza, all’interno dei sistemi sociali, di sottosistemi, dotati di
competenze speci che rispetto all’originaria area di competenza dei sistemi
indi erenziati, e un aumento della complessità interna con la quale i sistemi sociali
possono bilanciare la crescente complessità esterna del loro ambiente.
Si può dunque comprendere la di usione e la funzione delle RP nell’attuale società
complessa individuando tre chiavi di lettura:
1. Aumenta il con itto tra indipendenza e interdipendenza funzionale dei sottosistemi in
una società complessa: con l’accrescersi della complessità, aumenta il numero dei
sottosistemi nei quali si articola la società e nello stesso tempo le sue funzioni
tendono a specializzarsi e di erenziarsi sempre più per rispondere, in modo
settoriale, alle crescenti domande dei cittadini. Di conseguenza, diventa
maggiormente articolato l’intreccio delle interazioni tra i vari sottosistemi.ciò crea un
continuo e sempre crescente bisogno di scambi comunicativi tra diversi sottosistemi
e tra sottosistemi e cittadini, che conferma quanto la comunicazione sia divenuta
una risorsa strategica.
2. Il processo decisionale è sempre più legato a situazioni contingenti: nuovi soggetti
interagiscono e competono per assicurarsi visibilità, per sostenere il proprio punto di
vista su argomenti di interesse generale e per riuscire a penetrare all’interno del
processo decisionale. Il ricorso, da un lato, a strutture di comunicazione e a relatori
pubblici per costruire dei rapporti stabili con i mass-media e, dall’altro, a lobbisti per
intervenire nelle scelte politiche, facilita il raggiungimento degli obiettivi. La questione
della responsabilità diventa un elemento centrale sia per i decisori politici che per le
organizzazioni: si inizia a parlare di corporate social responsability.
3. In una società complessa ha luogo una relazione ri essiva, ossia caratterizzata dalla
diversità sociale e dalla negoziazione. Le interrelazioni ora si caratterizzano per la
ricerca da parte delle organizzazioni di una reciproca comprensione attraverso un
costante dialogo con i propri stakeholders; diventa centrale il rapporto
organizzazione-ambiente che implementa una relazione ri essiva, ossia basata sulla
reciproca comprensione. La relazione ri essiva obbliga le organizzazioni a ricercare
nuove forme di comunicazione e a costruire nuove routine di legittimazione, perché
solo così si può creare quella ducia che permette di agire in una società
di erenziata (complessa). Pertanto, la legittimazione, ossia la capacità di un attore
sociale di costruire consenso nell’ambiente esterno, diventa una questione di tale
rilevanza da essere gestita il più delle volte direttamente dal top management, con
l’aiuto di un esperto di comunicazione.
Nella società contemporanea la pratica delle relazioni pubbliche diventa un elemento
chiave: permette agli attori che vi ricorrono di trovarsi pronti nel momento in cui si
muovono in uno spazio pubblico. La principale funzione delle relazioni pubbliche è quella
di favorire un dialogo tra soggetti diversi: in questo modo, le organizzazioni non soltanto
riescono a legittimare i rapporti con i loro portatori di interessi, ma riescono anche a
ricoprire un ruolo di primo piano nei processi di coordinamento della società. Il
professionista delle RP, tramite le sue competenze, orienta l’organizzazione in uno spazio
caratterizzato dall’alta densità: interpreta e sempli ca per la sua organizzazione la realtà
esterna. In sostanza, trasforma il suo datore di lavoro in un soggetto pubblico, ossia
visibile e riconoscibile da tutti.
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Allo stesso tempo, però, la teoria della di erenziazione pone alcuni problemi. Due
prospettive contrastanti sul ruolo delle relazioni pubbliche nel sistema sociale sono la
prospettiva della teoria critica, nella versione di Habermas, e la prospettiva della teoria di
Bourdieu.
TEORIA CRITICA: Per Habermas la storia della sfera pubblica è caratterizzata non dalla
di erenziazione ma dalla de-di erenziazione: la sfera della volontà collettiva è scomparsa
quando si sono sviluppati i media commerciali, i partiti politici e soprattutto quando lo
Stato e altre grandi e potenti organizzazioni hanno iniziato a usare le relazioni pubbliche
per controllare i processi di comunicazione sociale. Habermas reputa le relazioni
pubbliche come quella pratica comunicativa che ha prodotto nei paesi occidentali il
dominio sulla sfera pubblica. Il ne, il creare consenso intorno a un determinato
comportamento, viene raggiunto costruendo una falsa coscienza nei consumatori che, in
tal modo, credono di cooperare responsabilmente, in qualità di privati che ragionano, a
formare l’opinione pubblica: si assiste alla messa in scena di un’opinione pubblica. In
realtà, siamo di fronte ad un consenso fabbricato che non ha nulla in comune con
l’opinione pubblica. La critica che si crea su questioni di interesse generale è sostituita
dalla disposizione al conformismo. Le relazioni pubbliche vengono intese, nel pensiero
habermasiano, come uno strumento di manipolazione. La pratica delle RP è produttrice di
un conformismo che minaccia il raggiungimento di quell’opinione pubblica (critica) al
centro delle democrazie liberali.
TEORIA DI BOURDIEU: Per alcuni anche la teoria di Pierre Bourdieu ra orza quella
visione delle relazioni pubbliche che le dipinge come lo strumento nelle mani di gruppi
dominanti. Il francese non presuppone un processo di sviluppo della società verso una
maggiore di erenziazione: i campi cambiano attraverso un processo di lotta fra agenti che
lavorano al loro interno e la direzione del cambiamento non è predeterminata. Nel campo
prevale chi ha il monopolio del potere simbolico ed è legittimato a imporre la propria
visione del mondo, che diventa la visione dominante. Il potere simbolico è gestito da quei
gruppi dominanti che, per sostenere una speci ca posizione agli occhi dell’opinione
pubblica, mascherano i loro interessi attraverso una normalizzazione di strutture sociali e
di habitus. Bourdieu considera il linguaggio uno dei principali strumenti attraverso i quali il
potere simbolico viene perpetuato, pertanto, i veri produttori di questo potere sono quei
professionisti che possono contare su un certo capitale linguistico: il giornalista, il politico
e, appunto, il professionista delle relazioni pubbliche. Sono queste le professioni che
detengono il controllo della lingua, considerata un vero e proprio strumento di potere.
Secondo Edwards “le relazioni pubbliche aiutano i gruppi dominanti a rendere il loro
controllo sulla società ancora più evidente” (attraverso il linguaggio).

Paragrafo 2, La globalizzazione e le relazioni pubbliche

La globalizzazione ha contribuito alla crescita delle RP. Questa, spinge verso la creazione
di uno spazio incentrato essenzialmente sull’attività svolta dai mass media e dalle nuove
tecnologie; siamo di fronte ad un processo che ha accelerato il collasso di spazio e
tempo, ha intensi cato le relazioni sociali condotte a distanza e ha prodotto una globale
network society. I mass media costituiscono la principale arena all’interno della quale
interessi diversi competono e discutono. Solo chi sa comunicare può relazionarsi e
competere con gli atri gruppi e intervenire all’interno del processo decisionale. Il
professionista delle RP è capace di produrre quelle forme di communicative power
necessarie ad un organizzazione per assicurarsi visibilità e per sostenere un determinato
punto di vista.
Se i relatori pubblici sono coloro che permettono di conquistare l’accesso all’interno del
sistema dei media e a quello della politica, allora possono essere anche in grado di
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migliorare il processo democratico. L’idea di associare le relazioni pubbliche alla politica
(Aeron Davis scrive un volume dal titolo Public Relations Democracy) deriva dal fatto che
ricorrono all’azione del relatore pubblico soggetti diversi e di varia natura. Istituzioni
pubbliche, organizzazioni private e quelle che Davis de nisce non o cial organizations,
utilizzano in maniera sempre più massiccia la pratica delle relazioni pubbliche con il
desiderio di consolidare la loro posizione in uno spazio pubblico (mediatizzato). Dunque,
una qualunque organizzazione non dotata di molte risorse, e quindi non in grado di
assoldare un professionista delle RP, può lo stesso pensare di promuovere una speci ca
istanza se sa come presentarla, come comunicarla e se è in grado di attivare un dialogo
che miri al coinvolgimento di altri soggetti.
Si può dunque persino riconoscere un ruolo sociale alle RP. I piccoli gruppi, che
piani cano la propria strategia comunicativa, possono sperare di far emergere nei mass
media le loro richieste e così premere sul clima d’opinione dominante. Si cerca di
dimostrare dunque come le RP non possono più essere pensate soltanto come pratica
delle potenti organizzazioni ma possono anche supportare l’azione dei gruppi più deboli.

Paragrafo 3, Le relazioni pubbliche

Gli operatori di relazioni pubbliche facilitano, dunque, l’accesso alla sfera pubblica
mediatizzata.
I mass-media, infatti, a causa di fattori economici e politici, non forniscono un accesso
equo. L’unica possibilità per realizzare una maggiore uguaglianza è ricorrere alle relazioni
pubbliche a patto però che siano interpretate come una pratica in grado di sviluppare un
reale public relationship con la sfera pubblica.
Ma cosa si intende per sfera pubblica? Questa rappresenta lo spazio nel quale i cittadini
si incontrano per discutere circa i loro a ari comuni: si trattano questioni che riguardano
molti (di interesse generale). La sfera pubblica è un’arena istituzionalizzata di interazione
discorsiva.
La sfera pubblica è connessa alla società civile: quest’ultima raggruppa tutti i soggetti, le
organizzazioni e le associazioni che non sono né economiche né amministrative. Dato
questo presupposto, si può parlare dell’esistenza di due sfere pubbliche: la sfera debole
(non istituzionalizzata) e la sfera forte (istituzionalizzata).
La sfera debole comprende la società civile ed è titolare della cosiddetta opinione
pubblica; gli attori della società civile, dunque, dialogano tra loro per creare e riprodurre
quell’opinione che dovrà essere fatta pervenire a chi spetta di decidere. È qui che gli
individui si organizzano e sviluppano quelle capacità discorsive necessarie per far
conoscere, rendendole visibili, le loro issues: dalla qualità argomentativa di queste ultime
dipende la stessa esistenza della sfera pubblica.
Nella sfera pubblica istituzionalizzata (forte), invece, avviene la selezione delle opinioni
provenienti dai pubblici deboli: si sintetizzano e si elaborano le informazioni giunte dal
basso, che vengono trasformate in decisioni e rinviate successivamente ai pubblici
deboli. La sfera forte è legata all’a ermazione della sovranità parlamentare,
all’a ermazione dei partiti, dei sindacati e coincide con il sistema politico: è interna allo
Stato democratico. Tuttavia, nella sfera istituzionalizzata attualmente agiscono e
intervengono nuovi soggetti: organizzazioni provenienti dal basso (la società civile), che
riescono a penetrare anche all’interno del processo decisionale.
Un esempio, forse quello più emblematico in Italia, è rappresentato dalle associazioni dei
consumatori, che idealmente rientrerebbero nella sfera debole pur trovandosi sempre più
spesso ad agire nella sfera forte. In questa cornice, infatti, i gruppi della società civile
sono mossi a cambiare pelle, poiché risucchiati dalla logica delle sfere istituzionalizzate.
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Ciò avviene per quanto riguarda il tipo di obiettivo, la portata spaziale, la consistenza
numerica, la modalità organizzativa e i mezzi impiegati.
Da un punto di vista generale, l’impiego di professionisti (soprattutto esperti di
comunicazione) è stata la spinta decisiva verso l’accesso alla sfera forte. Insomma,
soltanto quei gruppi che gestiscono in modo più pro cuo la propria comunicazione,
avvalendosi di un relatore pubblico, hanno maggiori possibilità di imporre un’istanza, un
problema e il proprio punto di vista in uno spazio pubblico (e così trasformare un
interesse particolare in generale).
Queste azioni sono però più agevoli per gli attori che possono bene ciare di un pubblico
riconoscimento, ossia che riescono a promuovere una propria identità che sappia inserirsi
nei ussi caratterizzanti il clima di opinione generale. Ogni organizzazione, comprese le
non-o cial organizations, deve innanzitutto comunicare la propria identità ed è compito
del relatore pubblico individuare le modalità comunicative che siano facilmente traducibili
nelle logiche dei media. Il termine impression management (controllo espressivo) viene
impiegato proprio per de nire l’utilizzo che le organizzazioni fanno della comunicazione
per poter deliberatamente e strategicamente suscitare una desired impression sugli altri.
L’obiettivo nale è proiettare verso l’esterno una determinata immagine (e reputazione) di
se stessi e fare in modo che venga recepita.
Se, infatti, da un lato le relazioni pubbliche intervengono nell’area del dibattito,
privilegiando i rapporti con i media e i decisori pubblici, dall’altro, si occupano di costruire
la reputazione dell’attore. Il relatore pubblico permette all’organizzazione la costruzione e
il governo di stabili relazioni con i propri pubblici in modo da raggiungere un dialogo
aperto con l’ambiente esterno.

Paragrafo 4, Il partito in discussione e le nuove forme di partecipazione

I partiti politici, che hanno caratterizzato le democrazie occidentali del 900, stanno
attraversando un periodo di crisi e di radicale indebolimento in gran parte di esse. Due
sono le possibili cause di tutto ciò: le prime sono di ordine economico-sociale. Queste
hanno a che fare con la scomparsa di quelli che sono stati de niti i grandi cleavages
sociali (o fratture sociali), che per decenni hanno attraversato le società occidentali
determinando distinzioni precise, e quindi con itti, tra gruppi sociali, religiosi, culturali. In
particolare, gli interessi dei ceti sociali tradizionali si sono frammentati in tanti micro-
interessi che non rendono più possibile la loro ricomposizione sotto un unico cappello di
rappresentanza.
Un secondo motivo della crisi dei partiti va ricercato nella progressiva perdita di
importanza dei valori materiali, sostituiti dalla progressiva capacità di coinvolgimento e
mobilitazione dei valori immateriali; questa è l’ipotesi sostenuta da Inglehart, secondo cui
in gran parte delle società occidentali le esigenze primarie di vita, che identi cano i valori
materiali, risultano in gran parte soddisfatte. Il risultato è che i cittadini prestano sempre
maggiore attenzione ai valori immateriali: simboli, immagini, miti, identi cazioni culturali.
Anche questo mutamento contribuisce dunque alla crisi dei tradizionali partiti di massa
costituiti per rappresentare e dar voce a interessi in primo luogo materiali, a condizioni di
vita, ad aspettative economiche. In realtà, è soprattutto la forza dei mass-media che, in
un simile contesto, riesce a emergere.

Ci troviamo di fronte a partiti leggeri che prendono forma e sostanza soprattutto nel
momento elettorale, giovandosi del supporto di professionisti della comunicazione, con il
solo obiettivo di vincere le elezioni.per quello che riguarda la loro collocazione nello
spazio pubblico, i partiti sono ormai così altamente istituzionalizzati e specializzati che
di cilmente possono ancora essere considerati a pieno titolo parte della società civile; i
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partiti appaiono ora come una componente della sfera politico-istituzionale. Ignazi parla
di state-centered party, ossia di un partito che ha il suo centro nello Stato, proprio perché
nel nostro tempo il partito è molto meno ricco di legittimazione e di consenso. Ai partiti
oggi le risorse provengono dunque sempre meno dal basso e sempre più dallo Stato: la
norma sul nanziamento pubblico e la legge sulla par condicio ra orzano un’idea di
partito che vede nello Stato la sua principale dimensione di azione.
In sintesi, l’asse dei partiti si è spostato dalla società civile alle istituzioni; i partiti infatti
non sono più, tranne che in casi eccezionali, lo strumento che collega e cacemente la
società civile alle istituzioni, saldamente radicato in essa e ricettivo delle sue esigenze. Si
sono aperte crepe signi cative in questo rapporto pur necessario, che sono state in parte
colmate da quei gruppi di interesse provenienti perlopiù dal basso. In questo contesto,
tali gruppi di interesse sono capaci, attraverso anche il ricorso a professionisti che
conoscono le procedure decisionali (i lobbisti), di premere (lobbying) sul decisore
pubblico.

Paragrafo 5, Conclusioni

Qualsiasi organizzazione oggi desideri sensibilizzare l’opinione pubblica su una questione,


o di ondere un determinato punto di vista, o informare il decisore pubblico deve saper
piani care la sua comunicazione. Per le nalità appena elencate, molte organizzazioni
ricorrono alle prestazioni del relatore pubblico, perché è quel professionista che è in
grado di programmare (e sempli care) meglio di chiunque altro la comunicazione di chi lo
ha ingaggiato.
Per concludere, una società complessa e globalizzata, incentrata sull’azione dei mass-
media e caratterizzata dalla crisi di quei soggetti che hanno per tanto tempo gestito il
processo decisionale (i partiti), è una valida spiegazione allo sviluppo delle relazioni
pubbliche.

Capitolo 3, Relazioni pubbliche, “newsmanagement” e clima di


opinione

Le media Relations ra orzano il rapporto tra l’organizzazione e tutti i mezzi di


informazione, che sono creatori di visibilità. Le organizzazioni si rivolgono direttamente ai
mass-media (quindi ai giornalisti) per trasferire i messaggi all’esterno e per accrescere la
loro notorietà. Si è a ermato anche dell’altro: il relatore pubblico agevola l’interazione
della sua organizzazione con il giornalista e, allo stesso tempo, sempli ca il lavoro del
reporter.

Ipotesi: Il professionista delle RP sta diventando una delle principali fonti (non
giornalistiche) per i mass-media. L’intensi carsi di questo rapporto è legato al
perseguimento di due obiettivi: consolidare la reputazione e costruire un clima di opinione
favorevole attorno a un’organizzazione.

Paragrafo 1, Dalla propaganda alla svolta comunicativa

Negli ultimi anni il rapporto tra giornalista e addetto alle RP si è ra orzato, forse è
diventato indispensabile per entrambi: perché?
Una prima risposta sottolinea i mutamenti riguardanti la professione del giornalista. Oggi
le nuove tecnologie costringono i giornalisti a produrre notizie in tempo reale. I giornalisti
non solo si trovano inseriti all’interno di un ininterrotto usso di informazioni, eventi, che li
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spinge a decidere immediatamente quali di questi dovranno essere trasformati in notizie,
ma la loro abilità sta anche nel saper produrre dei commenti immediati sugli eventi
selezionati. In questo senso, la spedita crescita delle notizie colloca il giornalista in una
posizione di debolezza: incapace di poter ascoltare e comprendere tutto ciò che avviene,
il giornalista deve cercare nuovi punti di riferimento nel mondo esterno. Tutto questo ha
generato “una proliferazione delle relazioni pubbliche”.
In tale contesto la notizia diventa un prodotto collettivo, complesso, che in parte sfugge al
controllo dei giornalisti, poiché nella produzione di news si assiste ad un esplicito
intervento da parte dei relatori pubblici, intenzionati a favorire determinati interessi. Però,
tra gli addetti ai lavori, ciò non è una novità. Ormai è infatti risaputa la debolezza dei
giornalisti dovuta ai cambiamenti nella loro professione.
C’è un altro aspetto che nora non è mai stato considerato: il rapporto media-realtà,
che subisce una svolta con l’opera di McLuhan. Dalla ne degli anni 60 si insiste su
un’idea precisa e semplice: i media non si a ancano o si sovrappongono alla vita
quotidiana o alle relazioni sociali. È il contrario: l’ambiente umano si costruisce intorno ai
media, poiché questi plasmano le strutture percettive e cognitive con cui l’uomo vede il
mondo e agisce. I mass-media sono dunque essi stessi il mondo reale, e rimodellano
radicalmente la cultura e le società precedenti. Contemporaneamente, inoltre, si sono
progressivamente a ermati nuovi paradigmi sociologici accomunati dall’idea che la realtà
sociale è costituita da e attraverso i processi comunicativi.

Con la svolta comunicativa si è iniziato a ripensare anche il processo di raccolta e di


produzione dell’informazione; diventa centrale il termine newsmaking (costruzione della
notizia). I criteri di selezione e di presentazione dell’informazione non sono determinati
tanto delle caratteristiche degli eventi (della realtà in sé), quanto piuttosto dalle scelte di
tipo ideologico e, soprattutto, pragmatico di coloro che hanno il potere di condizionare
l’esperienza degli altri. Da questo momento in poi, il professionista delle RP, in un
contesto in cui i mass-media sono i costruttori della realtà, oltre a saper costruire e caci
percorsi informativi per avere un accesso agevole ai media, deve avere anche una visione
strategica dei processi comunicativi. Il relatore pubblico realizza un’azione comunicativa
complessa basata sulla conoscenza delle logiche e delle regole dei media, sulla capacità
di di ondere informazioni veritiere e sulla serietà e professionalità profuse nel proprio
lavoro. La negoziazione tra fonti e media viene vista come un gioco di reciproci interessi.

Tuttavia, l’evoluzione del rapporto tra relatori pubblici e giornalisti ha presentato sin
dall’origine delle di coltà. Il giornalista ha spesso disconosciuto il ruolo del
professionista delle RP nello svolgimento del suo lavoro. In alcuni contesti, poi, il
giornalista ha altri importanti interlocutori, oltre al professionista delle RP. Ci si sta
riferendo all’interazione tra il politico e il giornalista ancora oggi così forte e capace di
incidere sulla produzione di notizie, dal momento che il primo ha bisogno di visibilità
(publicity), il secondo invece necessita di accedere alle informazioni che riguardano la
politica.
Nel giornalismo italiano ha per anni prevalso una rappresentazione “partitocentrica” della
realtà. Il rapporto fra fonti politiche e mass-media è stato consolidato, consuetudinario e
strutturale; non a caso, l’alto livello di partigianeria dei giornalisti, conseguenza della tta
rete di rapporti con i partiti, ha spinto Giampaolo Pansa a coniare la metafora del
“giornalista dimezzato”.
In realtà, questi sono problemi marginali perché non sono stati in grado di arginare la
crescente relazione tra i due professionisti della comunicazione. Occorre tenere presente
che c’è da parte dei giornalisti il tentativo di celare una verità sempre più ingombrante,
ossia che nel loro lavoro il professionista delle RP occupa un ruolo decisivo. Il
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professionista dell’RP sempli ca il lavoro del giornalista: questa è la nozione principale.
Sono gli stessi giornalisti a ricorrere costantemente al relatore pubblico per la stesura di
un articolo, e il più delle volte attraverso rapporti informali.

Paragrafo 2, Il “newsmaking” e il relatore pubblico

Il professionista delle RP è il costruttore di un rapporto stabile tra l’organizzazione per cui


lavora e i giornalisti. In un simile contesto il professionista delle RP assume anche un
ruolo centrale nel processo di costruzione della notizia (newsmaking): oltre il 50% delle
informazioni presenti su un giornale è frutto di una relazione del giornalista con una fonte
professionale di RP (si parla addirittura dell’80%). L’addetto alle relazioni pubbliche
rappresenta dunque la fonte primaria dell’informazione giornalistica.
Si può giungere a una sola conclusione: il professionista delle RP sempli ca, agevola,
supporta il lavoro del reporter. È questo l’aspetto centrale.
Il professionista delle RP è consapevole del ruolo (strategico) che ricopre nella produzione
della notizia; un intervistato conferma: “il giornalista mi considera una fonte importante e
a dabile e poi spesso c’è una relazione di tipo personale”.

A questo punto va chiarito che un’organizzazione necessita di intervenire nel processo di


costruzione delle notizie, perché si trova “a competere nel marketplace of opinion e dalla
circolazione delle notizie dipende la propria reputazione”. Le fonti professionali di RP,
dunque, nel momento in cui mirano a pubblicizzare una nuova issue devono concentrarsi
anche sulla reputazione dell’organizzazione per cui lavorano. La reputazione va vista
come la combinazione di ciò che viene trasmesso all’esterno, l’immagine, e di ciò che sta
dietro l’immagine, ossia i valori condivisi all’interno di un’organizzazione che ne
determinano l’identità. Per tale ragione, l’addetto alle RP è costantemente impegnato
nella ricerca di nuovi spazi mediali disponibili, in cui poter esplicitare la reputazione della
sua organizzazione (format televisivi, radiofonici, giornali, siti web).
La visibilità (e l’immagine) di qualsiasi organizzazione risulta essere connessa anche alla
possibilità data al professionista delle RP di creare eventi in grado di richiamare l’interesse
dei mass-media (convegni, conferenze, eventi spettacolo, ere, visite aziendali). La visita
aziendale è molto usata per gestire i rapporti con i giornalisti per due motivi. Tramite le
visite aziendali un’impresa ha infatti l’opportunità di far vedere da vicino ai giornalisti le
proprie caratteristiche, con una peculiare attenzione a ciò che viene prodotto. Le visite,
inoltre, sono una buona soluzione per coinvolgere i giornalisti permettendo di avere un
rapporto più diretto e con più tempo a disposizione.
Molto utilizzati, nell’ultimo periodo, anche gli eventi realizzati attraverso l’impiego delle
nuove tecnologie, in particolare la tecnica del “marketing virale”, ossia il ricorrere a social
network e a siti di video sharing per di ondere la notizia (tecnica, tra l’altro, dai costi
inesistenti).
In altre parole, sia la ricerca di nuovi spazi all’interno dei mezzi di comunicazione di massa
che la creazione di eventi sono alcune delle soluzioni a disposizione del professionista
delle RP per ra orzare l’identità e l’immagine del suo cliente; in questo modo può, con
maggiori probabilità di successo, intervenire nel processo di costruzione di notizie. Va,
in ne, aggiunto che l’azione del professionista delle RP viene supportata anche dalle
risorse possedute. Un caso emblematico è quello dell’organizzazione ecologista
Greenpeace, che fa un uso molto so sticato dei media per legittimare la propria attività di
media Relations. Greenpeace Communication infatti, con base ad Amsterdam, possiede
al proprio interno un immenso archivio fotogra co e video, uno studio audio digitale e uno
studio televisivo che viene messo a disposizione di qualunque reporter voglia parlare di
Greenpeace.
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Ciò prova che il professionista delle RP ha le competenze e le risorse per intervenire e
controllare le notizie riguardanti la sua organizzazione, ma suddette competenze e risorse
sono al contempo adeguate per facilitare il lavoro del giornalista.

Paragrafo 3, Relatori pubblici e giornalisti: il “newsmanagement”

Oltre 160 ricerche, dal 1960 no ai giorni nostri, hanno confermato che il punto cruciale
nella raccolta di notizie è il costante rapporto tra giornalisti e relatori pubblici.
Negli ultimi anni anche in Italia si è assistito a una pluralizzazione delle fonti non
giornalistiche: aziende, enti pubblici, associazioni, organizzazioni no pro t si sono munite
di strutture comunicative e gure professionali capaci di tessere stretti legami con il
sistema dei mass-media.
La capacità di un’organizzazione di accedere al sistema dei media è infatti sempre più
legata al ricorso a professionisti della comunicazione.
L’attività del professionista delle RP non si limita soltanto ad intervenire nella costruzione
della notizia (newsmaking), ma va oltre. Lo specialista delle RP partecipa alla selezione,
alla circolazione e alla de nizione delle notizie; in breve, interviene nel processo di
gestione della notizia (newsmanagement).
Dagli anni 30 lo sviluppo dei public relations departments ha determinato negli Stati Uniti
una modi cazione radicale nel mestiere di giornalista e nel suo rapporto con il mondo
dell’economia e della politica; ha luogo quel fenomeno, appunto il newsmanagement, di
gestione dell’informazione da parte del governo e delle sue di erenti organizzazioni. Il
governo ha sempre di più mirato a determinare, secondo i propri obiettivi, la copertura
giornalistica non tanto con azioni di censura, quanto, soprattutto, con un enorme
produzione di notizie nalizzate a raggiungere determinati obiettivi di comunicazione.
Questi tentativi hanno spesso trovato consenzienti gli stessi operatori del sistema dei
mezzi di comunicazione di massa, dal momento che il lavoro viene facilitato e reso meno
faticoso: i giornalisti possono disporre di materiali preconfezionati e spesso già pronti per
la pubblicazione.
In Italia, invece, il ruolo occupato dai partiti, che per molti anni si sono assicurati la
gestione dell’informazione, ha reso quasi super uo l’impiego di professionisti delle RP. La
ragione è facilmente spiegabile: gran parte delle notizie e delle informazioni no a qualche
anno fa nasceva da fonti politiche (parlamentari, leader, ecc) ed era diretta agli stessi
operatori della politica; in e etti, i destinatari dell’informazione politica non erano i
cittadini comuni, ma chi scriveva di politica lo faceva avendo innanzitutto in mente un
altro soggetto dotato, come lui, di familiarità con i temi e il linguaggio di quel mondo.
Tuttavia, oggi lo scenario sta cambiando, facendo emergere in modo importante il
fenomeno del newsmaking, de nito come il processo attraverso il quale il relatore
pubblico (o un u cio stampa) organizza, gestisce e cerca di controllare le notizie
riguardanti l’attore per cui lavora. Comprende procedure di investigazione, di selezione, di
produzione, di distribuzione delle notizie utili a in uenzare la copertura giornalistica e
necessarie, soprattutto, a controllare il usso di informazioni verso i mass-media. Tutto
ruota intorno all’abilità di costruire rapporti con i giornalisti, di organizzare eventi, di saper
imporre il tema di cui parlare, di far passare la propria versione dei fatti e di nascondere
ciò che non si vuole far sapere.

Ipotizziamo ora quali importanti mutamenti abbia apportato l’intervento del


professionista delle RP sulla copertura giornalistica.
Una prima ipotesi: il relatore pubblico da origine alla notizia. La “notiziabilità” non è più
solamente legata alla cultura professionale dei giornalisti, ma anche alle abilità messe in
campo da parte del professionista delle RP: è infatti il professionista delle RP a stabilire
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se il materiale in suo possesso possa, una volta inviato a un giornalista, trasformarsi
facilmente in una notizia; è lui che ne valuta l’importanza e lo confeziona determinando gli
aspetti salienti da far emergere. Tuttavia, può succedere che il professionista delle RP, nel
caso in cui abbia un buon rapporto di amicizia con il giornalista, decida di rivolgersi al
reporter per sapere cosa ne pensa delle informazioni in suo possesso e per conoscere la
sua disponibilità a pubblicarle. Poi, però, spetta sempre al relatore pubblico scegliere a
quale testata inviare le informazioni possedute. Il professionista delle RP non si limita
soltanto a selezionare le testate; di fatto, quando la scelta ricade, ad esempio, su un
giornale economico, dovrà stabilire se l’informazione è più di carattere economico o
nanziario, poiché cambiano gli interlocutori all’interno del giornale.
L’esercizio di questa professione richiede di essere attenti conoscitori dei mezzi di
comunicazione di massa. Il relatore pubblico sa infatti quali sono le caratteristiche: a) dei
quotidiani e dei periodici; b) del mezzo televisivo locale, nazionale e satellitare; c) della
radio locale e a di usione nazionale; d) delle agenzie di stampa generaliste, politiche e
specializzate. Queste nozioni sono fondamentali poiché dalla scelta del mezzo di
comunicazione dipende il successo (o l’insuccesso) della sua azione.
Un intervistato ha evidenziato che “il professionista delle RP deve saper ben scegliere il
mezzo giusto, ed è di grande aiuto poter contare su un dettagliato database in cui
vengono registrate tutte le informazioni relative a quei giornalisti con cui maggiormente si
interagisce”. Le informazioni raccolte vanno da quelle più tecniche (indirizzo della
redazione, e-mail,…) a quelle riguardanti la vita privata (hobby, gusti,…), necessarie per
intavolare un rapporto che possa anche andare al di là del semplice contatto di lavoro.
Il relatore pubblico, in sintesi, da origine alla notizia poiché, quando cerca il giornalista, è
in grado di o rirgli un prodotto in parte già preconfezionato, ossia così ricco di contenuto
da essere facilmente trasformato in notizia.
L’addetto alle RP fornisce al giornalista tutto quello che serve per avere un quadro di
riferimento chiaro dell’oggetto al centro della loro relazione, da cui deve derivare la
notizia. L’obiettivo è fare in modo che il giornalista abbia tanto ben presente il punto di
vista dell’organizzazione, da farlo emergere nella stesura dell’articolo.
Una seconda ipotesi: il giornalista interpella sempre di più l’addetto alle RP (che diviene
una fonte indispensabile). Il relatore pubblico gestisce delle risorse fondamentali per
l’attività del giornalista (archivi, foto, lmati, dati,…), oltre a ciò, ha un’approfondita
conoscenza delle regole, degli spazi esistenti all’interno dei media. Il risultato è che il
giornalista cerca spesso il professionista delle RP, perché ha tutto il necessario per
agevolare il suo lavoro.
Il compito maggiore del professionista delle RP consiste nel raccogliere fatti, informazioni,
notizie e opinioni e quindi analizzarle, il che gli consente di poter avere un quadro
interpretativo dell’ambiente economico-politico-sociale e delle tendenze in esso
prevalenti in un certo momento storico. I metodi impiegati per realizzare quanto appena
detto sono: le inchieste col sistema del campione (questionari), che però hanno dei costi
notevoli; i contatti personali con persone conosciute, lo spoglio sistematico delle notizie
apparse sui mezzi di comunicazione di massa, la partecipazione a congressi,…. Tutto ciò
consente al professionista delle RP di diventare un vero e proprio centro di informazioni
che raccoglie e fornisce documenti e dati non solo all’organizzazione per cui lavora, ma
anche ai giornalisti.
L’operatore delle RP desidera soddisfare le richieste del giornalista; infatti, nel momento
in cui le sue ricerche vengono pubblicate, realizza due obiettivi: produce quella visibilità
necessaria per legittimare l’organizzazione per cui lavora; ra orza la sua fama agli occhi
degli altri professionisti delle RP. Lo stretto rapporto che si instaura tra il giornalista e il
professionista delle RP da un lato facilita il lavoro del primo, dall’altro permette al
secondo di poter gestire il usso di informazione concernente la sua organizzazione, da
cui ne deriva l’immagine pubblica.
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Una terza (e ultima) ipotesi: l’attività del relatore pubblico invade quella del giornalista.
L’abbondante materiale preconfezionato, che esce dalle agenzie di RP, sembrerebbe
lasciare al giornalista solo il compito di smistare burocraticamente il prodotto notizia.
Il professionista delle RP invade (e quindi in uenza) il lavoro del giornalista dal momento
che possiede delle risorse importanti per quest’ultimo, ma ciò accade anche perché egli
piani ca attentamente la sua azione. Nel dettaglio, il relatore pubblico piani ca la sua
azione attraverso le seguenti fasi: 1 Analisi dello scenario: uno studio approfondito
dell’organizzazione per cui lavora e un’analisi della sua visibilità. 2 De nizione degli
obiettivi: ssare le nalità che l’organizzazione intende conseguire tramite le media
relations. 3 Individuazione degli strumenti: si de nisce quale mezzo di comunicazione
risulti più adatto per gli scopi pre ssati (quotidiani, televisioni, radio,..) e quali iniziative
attuare per ra orzare il rapporto con il giornalista (seminari, conferenze, cene,…).
4 Determinazione delle strategie: si speci cano i temi sui quali focalizzare la
comunicazione e soprattutto il punto di vista da far emergere. Si stabilisce anche la
tempistica, ossia le scadenze. 5 Misurazione dei risultati: si espongono i risultati ottenuti
in termini di visibilità, prevedendo degli aggiustamenti nel caso di obiettivi non
pienamente raggiunti.

Un professionista delle RP possiede abitudini e competenze che lo agevolano


nell’interazione con il giornalista: per prima cosa, egli inizia la sua giornata con una
minuziosa rassegna stampa, e in questo modo non solo si aggiorna sui principali eventi
della giornata, ma si preoccupa anche di conservare una copia degli articoli, divisi per
testata, riguardanti gli argomenti di maggiore interesse. Il relatore pubblico, inoltre, è un
esperto comunicatore: 1 Sa relazionarsi nei rapporti diretti ed è abile nell’uso della
scrittura. 2 Sa come parlare in pubblico. 3 È in grado di cambiare la strategia
comunicativa in base al contesto, al numero di uditori, al loro livello culturale e
all’argomento da trattare. 4 È capace di dare notiziabilità alle informazioni da comunicare.
È in grado di organizzare la comunicazione dell’organizzazione in relazione alle richieste
che provengono dall’ambiente esterno. 5 Sa come usare i diversi canali di
comunicazione, conoscendo le esigenze delle varie testate. 6 È abile a creare un evento
che sappia richiamare l’attenzione dei mezzi di comunicazione di massa.

Anche il professionista delle RP è tenuto a rispettare alcuni principi professionali nel


momento in cui interagisce con il giornalista. È risaputo che è necessario fornire al
giornalista le prove oggettive delle notizie di cui si chiede la pubblicazione; inoltre, il
relatore pubblico non deve criticare mai il lavoro del giornalista e soprattutto non deve
supplicarlo per la pubblicazione di un articolo. In ne, lo specialista delle RP non può mai
chiedere al giornalista che venga soppressa una notizia, al massimo può tentare di
mostrarne l’infondatezza.
Tra i due professionisti rimane pur sempre un con itto di obiettivi, considerato che
servono di erenti datori di lavoro. Il professionista delle RP infatti si muove per realizzare
gli obiettivi del suo cliente, mentre il giornalista cura gli interessi del lettore e dell’editore.
Di fronte a un simile contesto, diventa decisivo, per evitare delle dispute, che ci siano un
forte professionismo e una condotta etica tra i due attori della comunicazione. La
professionalità di entrambi è un aspetto centrale; il dialogo e la reciproca comprensione
sono i segreti dell’interazione tra il giornalista e l’operatore delle RP.

Paragrafo 4, A dabilità, credibilità e… un aperitivo

Un punto fermo del rapporto tra l’addetto alle RP e il giornalista è il costante dialogo. Si
può persino giungere a una condizione di fratellanza.
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Il professionista delle RP ha la possibilità di intervenire nella stesura dell’articolo se ha
credibilità, forza e, soprattutto, un rapporto cordiale con il giornalista. Per poter eseguire
nel miglior modo possibile il proprio lavoro, il professionista delle RP deve conoscere i
direttori, i caporedattori e alcuni giornalisti delle principali testate del settore di cui si
occupa; deve recarsi personalmente a trovarli nei loro luoghi di lavoro. Un’espressione
di usa tra i professionisti delle RP è “battere la redazione”: l’addetto alle RP si reca nelle
redazioni quando i giornalisti sono meno impegnati nella preparazione del giornale per far
conoscere il suo cliente o per promuovere l’interesse sostenuto. Di solito, il primo
incontro si conclude con la consegna al giornalista della cartella stampa del
professionista delle RP (numero di telefono, fax, e-mail). D’altra parte, il primo incontro e
quelli successivi permetteranno al relatore pubblico di ottenere quelle indicazioni relative
alle aspettative e ai temi ritenuti più interessanti per ciascuno dei giornalisti incontrati.
Il segreto del professionista delle RP è costruire un rapporto continuo e di ducia con il
giornalista; per farlo, un presupposto necessario è dimostrarsi cortese ogni qualvolta il
giornalista lo cerchi, a prescindere dall’importanza di quest’ultimo.
Lo stesso però deve fare il giornalista, il quale deve essere persino disposto a cambiare
idea se il professionista delle RP supporti le sue posizioni con dati attendibili. Detto
questo, lo scambio tra relatore pubblico e giornalista persiste n quando esisterà un
rapporto di ducia basato su due elementi: a) l’attendibilità e la credibilità di ciò che i due
professionisti della comunicazione si scambiano e b) la possibilità di instaurare un
rapporto informale.
- L’attendibilità e credibilità (di entrambi). Da una parte, molto dipende dall’attendibilità
del professionista delle RP: se consegna al giornalista una non notizia, probabilmente il
giornalista non lo chiamerà più; il rispetto e l’onestà sono infatti i valori più importanti
che l’addetto alle RP è chiamato a salvaguardare. Dall’altra parte, l’operatore delle RP
segue il giornalista in tutto il suo lavoro, a patto però che il giorno seguente il pezzo sul
giornale ri etta le sue aspettative. Se così non fosse, la sua collaborazione verrebbe
meno. Resta tuttora aperta una questione: i giornalisti si trovano in una situazione in cui
hanno di coltà a valutare la credibilità dei relatori pubblici. In primo luogo, perché
l’indipendenza dei giornalisti sta diminuendo a causa dell’incremento del usso di
notizie che giungono a una redazione. Di fatto, alla crescita delle news non ha
corrisposto un aumento di giornalisti impiegati nelle redazioni, portando ad una
diminuzione del tempo che ciascun reporter può dedicare alla gestione di una notizia.
In secondo luogo, perché si è assistito alla marketisation dei mass-media, ossia
l’assoluto desiderio e bisogno di incrementare l’audience e, conseguentemente, i
pro tti, che obbliga i giornalisti a una forsennata ricerca di notizie di grande appeal per
il pubblico. La combinazione dei due aspetti ha determinato che spesso i reporter sono
a contatto con professionisti delle RP sconosciuti.
- La relazione informale. Questo tipo di rapporto, fatto di interazioni one to one,
telefonate, cene, aperitivi, è l’aspetto decisivo per la costruzione di un rapporto
duciario tra i due attori. Il grosso del lavoro sta infatti nel coltivare le relazioni, in modo
da conoscere il proprio interlocutore anche oltre la sfera pubblica e da prevederne
l’umore. Il professionista delle RP deve dunque appro ttare delle varie occasioni che si
veri cheranno per conoscere più a fondo il giornalista: essere al corrente delle
passioni, delle abitudini e dei gusti del giornalista, permette al professionista delle RP
di piani care con maggiore attenzione la sua azione. Esistono pure degli incontri che
stanno a metà tra un rapporto formale e quello informale: a volte, le organizzazioni
programmano delle visite presso la propria sede, oppure dei viaggi. La visita (il
momento più u ciale), ad esempio, si conclude il più delle volte con un bu et o una
cena (il momento più goliardico). Si tratta di occasioni in cui si parla e si fanno amicizie.
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Si può illustrare la relazione tra professionista delle RP e giornalista e ettuando una
distinzione tra comportamenti di scena e comportamenti di retroscena: la prassi
cerimoniale prevede che a volte i relatori pubblici e i giornalisti si rechino insieme a cena,
a prendere un aperitivo o un ca è, e ciò fa parte dei comportamenti informali previsti e
consentiti; tuttavia, in quanto si tratta di due diverse categorie che interagiscono, esiste
anche un ulteriore retroscena di reciproci intendimenti (il relatore pubblico, ad esempio,
presenta al giornalista gli obiettivi dell’organizzazione), che stabilisce dove inizia la parte
formale della relazione (lo scambio di informazioni), tenendo conto dei rispettivi obiettivi.
Nel tempo, in Italia, si è prodotta una cultura del rapporto tra il giornalista e le sue fonti
fondata sui comportamenti di retroscena.

Paragrafo 5, La negoziazione genera la notizia: un esempio di


“newsmanagement”?

La ducia è la risorsa necessaria per attivare quella fase, decisiva per la costruzione (e
gestione) della notizia, conosciuta come la “fase della negoziazione”. Si parla di una
negoziazione della notiziabilità che avviene simultaneamente su diversi livelli; nel primo
livello i giornalisti e le fonti (i relatori pubblici) si confrontano e negoziano sul quando e sul
dove l’interazione accadrà. Nel secondo livello, invece, i giornalisti e le fonti si
confrontano e negoziano su cosa raccontare e su quale chiave di lettura far emergere.
Sono stati ricostruiti i momenti salienti del processo di preparazione e di produzione di
una notizia, partendo dal comunicato stampa no al prodotto nale, la news.
Per prima cosa, il processo di elaborazione della notizia va distinto in due momenti.
Durante il primo momento, de nito preparatorio, l’addetto alle RP scrive il comunicato
stampa, ne cura l’editing, la struttura, il linguaggio, la dimensione: insomma, si occupa di
tutto ciò che riguarda il confezionamento. Il professionista delle RP è dunque chiamato a
conoscere le regole necessarie per la stesura di un comunicato stampa.
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Nel secondo momento, quello in cui il comunicato viene inviato prima alle agenzie e poi
ai giornalisti, cambia il ruolo del relatore pubblico: da produttore diviene il controllore e il
gestore della (possibile) notizia. Inizia la contrattazione con il giornalista. Ciò avviene solo
se il professionista delle RP conosce l’organizzazione di una giornata della redazione di
un quotidiano. Di solito, questa inizia verso le 11 con una riunione per stabilire gli
avvenimenti più salienti della giornata; una volta selezionati questi, al giornalista spetta il
compito di raccogliere tutte le informazioni necessarie per scrivere l’articolo, che dovrà
essere pronto per la seconda metà del pomeriggio (il momento di chiusura). Il
professionista delle RP si inserisce all’interno di questo processo.
In questo secondo momento, l’attività del relatore pubblico può essere divisa in quattro
fasi:
1) Fase dell’invio: l’addetto alle RP, prima delle 11 della mattina, invia il comunicato
stampa alle agenzie stampa. Ha inizio l’interazione con i giornalisti (quelli delle
agenzie), che solitamente conosce, per eventuali approfondimenti. Il compito delle
agenzie è cruciale: distribuiscono le notizie e preparano la trama di quello che potrà
essere eventualmente l’articolo.
2) Fase del contatto: l’interazione con i giornalisti delle testate inizia subito dopo il lancio
della notizia da parte delle più importanti agenzie stampa. Infatti, più o meno in
contemporanea, il relatore pubblico telefona al capo redattore (che conosce) delle
testate giornalistiche per sapere chi sarà il giornalista che dovrà occuparsi di redigere
l’articolo e, inoltre, ne appro tta per veri care il grado di interesse.
3) Fase della negoziazione: il professionista delle RP, in tarda mattinata o nel primo
pomeriggio, contatta il giornalista che dovrà scrivere l’articolo. È il momento
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principale, quello della vera e propria contrattazione. Il relatore pubblico aiuta il
giornalista a costruire il pezzo, confrontandosi con lui su quali siano i punti salienti del
comunicato, gli aspetti da evidenziare, il taglio da far emergere nell’articolo. D’altra
parte, ci sono anche le esigenze del giornalista: lo spazio a disposizione, la linea
editoriale da rispettare,… Solo attraverso la negoziazione può essere trovato un
accordo. Va ricordato che il giornalista ha estremamente bisogno dei materiali del
professionista delle RP e non può non ottemperare (almeno in parte) alle sue richieste.
Il quadro complessivo vede dunque il professionista delle RP aiutare il giornalista a
corredare e a costruire il pezzo, ma in questo modo riesce anche a focalizzare
l’attenzione sull’aspetto saliente per sé e per l’organizzazione per cui lavora.
4) Fase del controllo: nel tardo pomeriggio (prima della deadline), il relatore pubblico
telefona di nuovo al capo redattore per conoscere, in de nitiva, lo spazio ottenuto e il
titolo dell’articolo. Ha inizio una nuova negoziazione nel caso in cui il titolo non sia
gradito; in ogni caso, sono sempre i buoni rapporti tra i due a permettere che tutto ciò
avvenga. Il professionista delle RP viene, in ne, informato sulla presenza di foto di
qualsiasi altro dettaglio relativo all’articolo ormai in uscita sul giornale.

I passaggi più signi cativi della trasformazione di un comunicato stampa in notizia


sottolineano ancora una volta come l’interazione tra il relatore pubblico e il giornalista sia
costante.
Nei fatti, si possono evidenziare alcuni aspetti: a) i giornalisti, nel loro ruolo di
gatekeepers, quando ricevono comunicati stampa dai relatori pubblici, sono più propensi
a utilizzarli che a scartarli; b) i comunicati dei relatori pubblici molte volte vengono
selezionati perché presentano già un’alta notiziabilità; c) ai relatori pubblici viene
riconosciuta la capacità di gestire e controllare (newsmanagement) il usso di informazioni
riguardanti le loro organizzazioni. Insomma, il professionista delle RP lavora con la stessa
precisione e maestria richiesta a un sarto, al quale assomiglia perché confeziona su
misura i comunicati stampa, a tal punto che il giornalista non può che recepirli e
pubblicarli.

Paragrafo 6, Il clima di opinione e un’azione responsabile

Il relatore pubblico ha la necessità di far conoscere l’organizzazione al mondo esterno e di


sensibilizzare l’opinione pubblica sulle posizioni sostenute. Il modo più e cace per farlo è
creare un usso comunicativo costante e coerente verso i mass-media. Questo, tuttavia,
non è sicuramente un processo immediato, ma lento, lungo e complesso, fatto di molti
articoli pubblicati, utili per rendere pubblica l’organizzazione, la sua identità e, magari, per
di ondere una percezione positiva tra la gente, più esattamente per costruire un clima di
opinione favorevole.
Ma cosa signi ca l’espressione “costruire un clima di opinione favorevole?” Un
professionista delle RP, ingaggiato da un’impresa, inizialmente fa pervenire del materiale
ai giornalisti riguardo una determinata questione, con ricerche e dati a sostegno della sua
tesi. Ciò porterà alla pubblicazione di tali notizie e alla conseguente produzione di un
dibattito pubblico, in sintonia con le argomentazioni sostenute dall’organizzazione per cui
lavora, in grado di trasformare un’opinione particolare in un’opinione pubblica. In questo
modo, un punto di vista è divenuto dominante a tal punto da in uenzare il clima di
opinione generale. Il lavoro dello specialista delle RP giunge a compimento nel momento
in cui riesce a far pubblicare, dopo l’interesse suscitato a livello mediatico sull’argomento,
un articolo che parla speci camente del suo cliente e che, ad esempio, celebra la qualità
della sua produzione.
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Rimane un aspetto da approfondire: la costruzione di un clima favorevole attorno ad
un’organizzazione è generata anche attraverso l’interazione con l’ambiente esterno. Le
organizzazioni gestiscono e curano la propria reputazione e vanno alla ricerca di una
relazione continua con i propri stakeholders. Una buona reputazione risulta essere
estremamente connessa con il concetto di responsabilità sociale. Si può a ermare, in
primo luogo, che l’agire responsabile di un’organizzazione dipende principalmente dalla
sua capacità di comunicare, di costruire un dialogo con il mondo esterno. In secondo
luogo, un’azione responsabile è indispensabile per sviluppare delle relazioni trasparenti.
Questo signi ca che gli stakeholders sono visti come veri e propri partner istituzionali
dell’organizzazione. Essi aiutano soprattutto ad assimilare una sensibilità su determinate
questioni ed esigenze che altrimenti per le organizzazioni sarebbero pressoché
sconosciute. In terzo luogo, la relazione con il mondo esterno si costruisce nel tempo e
con rapporti formali. Molti soggetti ricorrono a tavole rotonde, workshop e convegni in cui
si possono esprimere liberamente le proprie opinioni rispetto all’organizzazione. Gli
incontri hanno una cadenza regolare e creano le condizioni per costruire un rapporto
solido e leale. Così si raggiunge una contaminazione tra il mondo dell’organizzazione, in
particolare quello delle aziende, e le rappresentanze degli interessi presenti nell’ambiente
in cui essa è chiamata a muoversi.
Nessuno può pretendere di costruire e consolidare il proprio futuro senza considerare le
interdipendenze con l’ambiente esterno. Questo signi ca sviluppare relazioni con il
contesto sociale e realizzare una migliore individuazione e conoscenza dei diversi attori
sociali, che in uiscono sulle attività dell’organizzazione o che ne possono subire
l’in uenza. Nello stesso tempo, tutto questo ra orza la reputazione dell’organizzazione
anche agli occhi dei giornalisti.
Il cerchio ora si chiude: costruire una reputazione positiva e agire in modo responsabile
sono altre soluzioni a disposizione del professionista delle RP per poter meglio gestire il
usso di informazioni connesso alla sua organizzazione.

Paragrafo 7, Conclusione

La notizia è considerata una costruzione sociale, soprattutto perché calata all’interno di


una complessa rete di rapporti tra numerosi attori sociali. Il giornalismo è insomma una
cultura professionale che risente delle in uenze di attori esterni. Il relatore pubblico, che è
uno di questi attori, forse uno dei più importanti, facendosi portatore di alcuni dei diversi
interessi presenti nella società, interviene all’interno del processo di de-
contestualizzazione degli eventi dal usso di cui fanno parte e ne favorisce una ri-
contestualizzazione nei formati giornalistici: è colui in grado di gestire le cornici che
danno forma alla nostra realtà.
Un aspetto nora mai toccato: capire se l’addetto alle RP può essere considerato uno
spin doctor (un autentico stregone della notizia, che utilizza la comunicazione per
l’indottrinamento del pubblico). “Specialista delle RP“ non è sinonimo di spin doctor. Pur
sapendo che a volte il professionista delle RP è un manipolatore della realtà, si è voluto
dimostrare che c’è anche dell’altro. La posizione qui sostenuta vede l’addetto alle RP, pur
lavorando per conto di qualcuno, svolgere la propria attività non in modo in do, ma
ricercando continuamente con i vari interlocutori, in primis il giornalista, un rapporto di
ducia. In particolare, la sua azione può avere anche un risvolto positivo.
È chiaro che è molto del lavoro di un professionista delle RP si svolge dietro le quinte, con
discrezione, a volte anche appro ttando del prestigio e della credibilità delle istituzioni per
cui lavora; tuttavia, questa è solo una parte della verità. In primo luogo, infatti, va
sottolineato che il giornalista necessita del lavoro del relatore pubblico. L’altro aspetto è
che le relazioni pubbliche non possono essere più soltanto associate alle grandi imprese
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o ai governi nazionali, ma che anche organizzazioni che sono espressione della società
civile ricorrono oggi all’esperto di comunicazione. In de nitiva, si prendono le distanze da
chi interpreta le relazioni pubbliche soltanto come un trucco che blocca nei sistemi
democratici la reazione della società civile alle mosse delle istituzioni politiche. Quando,
invece, le relazioni pubbliche sono in grado di stimolare il feedback proveniente dalla
società civile.

Capitolo 4, Il lobbying in Italia

L’attività di lobbying fa parte dell’ampio spettro delle relazioni pubbliche, in quanto


nalizzata a creare relazioni stabili ed e caci. Ciò che però caratterizza il lobbying è
l’interlocutore - è sempre il decisore pubblico (a livello locale, nazionale e
sovranazionale) - e la nalità - il voler in uenzare il processo decisionale.
Il lobbista sempli ca il lavoro del decisore pubblico; è colui che trasferisce informazioni al
politico: proprio nel momento in cui il lobbista consegna informazioni al politico, in uenza
le sue scelte. Suddette informazioni permettono di fare pressione sui decisori per il
semplice fatto che sono di parte, ma il decisore pubblico, dal canto suo, ha bisogno di
queste informazioni soprattutto da quando i partiti politici hanno perso il legame con la
società civile. Alla luce di quanto detto, la caratteristica principale del lobbista sarà la
dialettica, ossia la capacità di comunicare un’informazione, di argomentare una tesi e di
sostenere un punto di vista. Tutto è strettamente connesso al possesso da parte del
lobbista di una spiccata capacità di analisi e di relazione.

Paragrafo 1, Gruppi di interesse, gruppi di pressione e lobby

Le espressioni “gruppo di interesse“ e “lobby“ sono state per lungo tempo, e lo sono
ancora, negativamente connotate: esse evocano scenari quasi al limite della corruzione.
All’opposto, la complessità sociale della fase attuale rivela anche la centralità di molti e
nuovi attori all’interno del processo decisionale. Tali attori a volte vengono chiamati gruppi
di interesse, altre volte gruppi di pressione, anche se i due termini non hanno lo stesso
signi cato. La distinzione tra gruppi di interesse e gruppi di pressione è connessa al livello
in cui si trova a muoversi il gruppo. Tutti gli interessi che si organizzano in gruppi, con
l’obiettivo di cercare di ottenere decisioni politiche favorevoli, n quando si muovono nella
società civile sono dei gruppi di interesse. Tuttavia, nel momento in cui tali gruppi
riescono ad accedere alle sedi formali, in uenzare le scelte dei decisori, diventano gruppi
di pressione. Va precisato che un gruppo di pressione è sempre un gruppo di interesse,
mentre un gruppo di interesse non sempre diviene un gruppo di pressione. C’è una netta
separazione tra sistema sociale, nel quale agisce il gruppo di interesse, e sistema politico,
dove opera il gruppo di pressione (o lobby).

La lobby etimologicamente indica i corridoi della camera Bassa inglese nella prima metà
dell’ottocento; il termine lobby anzitutto signi ca intervento di rappresentanti di interessi
sui parlamentari al ne di in uenzare il processo legislativo. Il lobbista è colui che
frequenta il corridoio e che intrattiene rapporti più o meno stabili, più o meno forti, con i
decisori. È durante questi incontri che avviene uno scambio di comunicazione mediante il
quale i lobbisti tentano di persuadere i politici ad accettare le richieste dei loro clienti.
Oggi sarebbe riduttivo considerare il parlamento il solo interlocutore di chi fa un’azione di
lobbying. L’organo legislativo è tuttora il principale interlocutore ma non è l’unico,
soprattutto da quando sono diventati sempre più in uenti e decisivi i leader di partito e gli
organi esecutivi (governi, ministeri,…).
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L’attività di lobbying viene considerata come un processo di comunicazione e di
informazione; il concetto di pressione, ad esempio, va inteso soprattutto in senso
positivo, come o erta di informazioni al decisore pubblico. Insomma, il lobbista è un
comunicatore, abile cioè a presentare fatti e informazioni corrette. D’altra parte, il politico,
grazie alle informazioni del lobbista, preserva il potere e realizza i suoi obiettivi.
Già nel 1965 Lester W. Milbrath descrive il lobbying come un processo di comunicazione
nel saggio “Lobbying as a Communication Process”, in cui sostiene che il compito del
lobbista sia, appunto, trasferire delle informazioni al decisore pubblico. La sua idea è
incentrata sul fatto che i decision makers hanno bisogno di accedere a documenti ed
informazioni prima di prendere la loro decisione; saranno poi le attitudini di un
parlamentare a stabilire che cosa vorrà recepire e apprendere tra le molte informazioni
comunicate da un lobbista durante un incontro. Chiunque aspiri a in uenzare la decisione
di un’istituzione pubblica deve occuparsi anche di ciò che i decisori desiderano ricevere.

Paragrafo 2, La permeabilità delle istituzioni italiane

Un primo elemento per interpretare il ruolo delle lobby nel nostro paese è ricordare che lo
Stato italiano negli ultimi anni ha conosciuto un processo di radicale ristrutturazione, che
ha in parte coinvolto le procedure decisionali. Di fatto, il processo decisionale appare più
sfumato, più articolato. Per la precisione, è l’idea di governance che si è andata
a ermando, dato che le pubbliche amministrazioni sono sempre più coinvolte in politiche
integrate che richiedono sforzi di cooperazione interistituzionali con attori di varia natura.
Ma ciò ha prodotto delle inevitabili ripercussioni anche sull’attività svolta dal lobbista,
visto che è ora costretto a “convincere tutti”: l’interazione, il più delle volte, deve agire su
più livelli. Un’azione congiunta rivolta al livello locale, nazionale e comunitario è frequente
e indispensabile per realizzare i risultati stabiliti.
In uno scenario sottoposto a un continuo mutamento, permane una caratteristica
fondamentale delle istituzioni rappresentative e di governo italiane, ovvero la loro
debolezza. La fragilità delle istituzioni pubbliche deriva da ragioni storiche, da scelte
costituzionali e soprattutto dalla crisi dell’attore partito. Si è creato un de cit di
informazione tra i decisori, che ha creato le premesse per una maggiore penetrazione da
parte del lobbista nel processo decisionale. Il politico oggi ha dunque bisogno del
lobbista per poter meglio approfondire tutte quelle istanze su cui è chiamato a intervenire.
Sono proprio i caratteri del sistema politico e partitico a determinare i rapporti tra gruppi
di interesse e istituzioni pubbliche. Là dove il potere politico è forte e organizzato, i gruppi
di interesse (e i lobbisti) sono costretti a operare al di fuori delle strutture statali; dove
invece il potere politico è debole o versa in uno stato di crisi, la situazione muta
radicalmente.

Paragrafo 2.1, Lobby e Parlamento

Anche se negli ultimi anni si è assistito a un accentramento da parte del potere esecutivo,
il Parlamento continua ad avere un ruolo centrale nell’attività di lobbying: è al suo interno
che avvengono le principali negoziazioni prima di qualsiasi importante decisione. È
semplicemente per questo che i lobbisti regolarmente incontrano i parlamentari o i loro
collaboratori e spesso intervengono in audizioni parlamentari.

Nel rapporto tra lobbista e legislatore possiamo individuare due momenti estremamente
connessi tra loro.
Nel primo, il lobbista desidera presentarsi al legislatore per far conoscere
l’organizzazione per cui lavora, per far sapere a quale questione è interessato e per fare in
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modo che il suo volto diventi familiare al politico. Rientra in questa attività di lobbying la
partecipazione a eventi politici e pubblici: conferenze, convegni, seminari. È decisivo
essere visti ed essere riconosciuti, e lo scopo del lobbista è quello di venire associato a
uno speci co tema ogniqualvolta il politico si occupi di tale argomento. In questo modo il
lobbista diviene un punto di riferimento ben de nito (una fonte) per il parlamentare, che sa
a chi rivolgersi quando avrà bisogno di informazioni. Il lobbista si può far conoscere
anche presentandosi personalmente al decisore. Un incontro che di solito ha luogo negli
u ci del decisore; questo agevola il lobbista, che dal colloquio reperirà importanti
informazioni sul decisore (temi ritenuti più attraenti, aspettative,…).
Nel secondo momento, una volta che il lobbista si è fatto conoscere, tenterà di
incontrare il legislatore per in uenzarne l’azione. Ciò avviene se il lobbista è in grado di
muoversi all’interno di un processo legislativo che spesso è abbastanza articolato,
soprattutto in Italia, dove i disegni di legge vengono trasformati in legge dopo un iter che
può avere una durata lunghissima.
L’azione del lobbista inizialmente è concentrata a trovare una via di accesso per far partire
l’iniziativa legislativa. A volte, è lo stesso lobbista a proporre e fornire al parlamentare la
prima versione della proposta di legge. In seguito, l’azione del lobbista si concentra
soprattutto sul lavoro delle commissioni parlamentari, dove avviene la discussione del
disegno di legge. Le commissioni parlamentari sono un’importante sede in cui il
legislatore opera, poiché sono il fulcro dell’attività legislativa. Più esattamente, i lobbisti
intervistati hanno evidenziato che le commissioni sono il luogo dove il parlamentare riesce
a esprimere meglio la propria identità e la propria volontà: il numero ridotto dei
componenti garantisce infatti una maggiore libertà di azione. In Italia, le commissioni
parlamentari sono circa 14 sia alla camera dei deputati sia al Senato, e ricoprono un ruolo
molto importante. Il lobbista sa come le commissioni lavorano: padroneggiare la loro
attività politica è decisivo quanto conoscerne i membri. Per questo, il lobbista monitora
tutte le scelte prese all’interno della commissione e veri ca anche il comportamento dei
portatori di interesse opposti, infatti il controllo dei competitors è fondamentale: un
lobbista negligente sulla condotta degli avversari va Inevitabilmente incontro ad un
fallimento della sua attività di pressione.
In tale situazione il lobbista non può prescindere da un costante rapporto con i presidenti
e i componenti delle varie commissioni, confermando che molta della sua azione si svolge
in parlamento. A volte, il lobbista arriva persino a consigliare un possibile relatore del
disegno di legge. Successivamente è indispensabile contattare il relatore, perché è colui
che studia, prepara e presenta la proposta di legge ai suoi colleghi. L’interazione con il
relatore è un momento centrale: è a questo punto che il lobbista deve far capire la propria
posizione e trasferire le informazioni giuste. Innanzitutto, bisogna instaurare un dialogo
con il relatore e per fare ciò il lobbista è chiamato a ricostruire l’agenda degli
appuntamenti u ciali durante i quali il parlamentare presenterà la proposta di legge. Il
lobbista prenderà parte a tali incontri: è necessario farsi notare dal politico per le
competenze possedute sulla materia. Una volta stabilito il contatto, il rappresentante di
interessi incontra frequentemente il relatore, lo informa sull’evolversi della questione
oggetto del disegno di legge, lo documenta con dati provenienti da sue ricerche e
soprattutto lo aggiorna anche sulla posizione tenuta da altre lobby. C’è un traguardo che
il lobbista desidera raggiungere: se tra i due attori si arriva a un dialogo basato sulla
ducia, sarà lo stesso politico a chiamare il lobbista per aggiornarlo sulle novità. Una volta
raggiunta la bozza di legge desiderata, il lobbista deve costruire una maggioranza
all’interno della commissione in grado di approvare la proposta di legge. Il lobbista, in ne,
quando ha costruito uno stretto rapporto con tutti i componenti di una commissione, può
(anche se ciò è veramente complicato) agire per indurre il relatore a chiedere la
deliberante (concessa con il voto unanime di tutti i membri), cioè il voto sul disegno legge,
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e la conseguente approvazione, avviene direttamente in commissione, saltando il lungo
iter del Parlamento in seduta plenaria.

Paragrafo 2.2, Lobby e governo

In tutte le democrazie occidentali il baricentro della politica si è spostato sul potere


esecutivo (il governo); ciò è avvenuto anche in Italia, a tal punto che l’organo esecutivo
è diventato un altro interlocutore privilegiato del lobbista.
Il ra orzamento dell’organo esecutivo ha anche ampliato le possibilità di accesso del
lobbista e dei gruppi di pressione al processo decisionale. La ragione è che, per quel che
attiene l’acquisizione delle informazioni, i singoli ministri non dispongono di un apparato
adeguato e fanno anche essi a damento su rapporti privilegiati con uno o più gruppi o
ricorrono a sta costituiti di volta in volta nel ministero.
Le lobby, pur continuando a cercare il più delle volte i loro interlocutori all’interno del
Parlamento - utili poiché gli atti governativi richiedono un’approvazione parlamentare -,
devono anche saper navigare nelle acque in de dei governi. Va costruita una rete di
rapporti con i ministri e gli altri rappresentanti del governo, poiché l’esecutivo gestisce un
considerevole potere decisionale. Il governo può approvare decreti legge in casi di
necessità e urgenza.
La grande attenzione dei lobbisti nei confronti del potere esecutivo è legata al fatto che il
governo approva la Legge nanziaria; una legge che nasce dopo lunghe trattative con i
gruppi esterni e determina ogni anno l’azione politica del governo.
Il lobbista può agire nei confronti del governo e dei suoi componenti prevedendo un
contatto diretto con un ministro e/o con un suo collaboratore. È molto più facile avvicinare
un membro dello sta piuttosto che il ministro, in quanto quest’ultimo ha numerosi
impegni e poterlo incrociare è alquanto problematico. Le possibilità di ottenere un
appuntamento sono scarse e molto dipende dall’interesse che il lobbista in quel
momento rappresenta, cioè dall’importanza e dalla dimensione del gruppo che lo ha
assoldato. In alternativa, il lobbista può creare degli eventi che coinvolgono il ministro;
in ne, può anche ripiegare su un’azione indiretta, cioè far pubblicare un articolo su un
quotidiano nazionale sapendo che sicuramente verrà letto dal ministro.
Il lobbista può agire nei confronti del governo anche costruendo speciali legami con
l’apparato burocratico dei vari ministeri. Questa è una strada spesso utilizzata. Così, un
lobbista attento sa che spesso le iniziative del governo provengono dal segretario
generale della presidenza del Consiglio, che è l’uomo che controlla tutta la macchina di
palazzo Chigi.
Nell’attività svolta dai lobbisti solitamente sono previsti costanti rapporti con i responsabili
degli u ci di diretta collaborazione del ministro (il capo di gabinetto e il capo u cio
legislativo); a questi poi vanno aggiunti i contatti con la segreteria tecnica del ministero (i
dirigenti) e con coloro che ricoprono i principali ruoli nello sta del ministro, ossia il
segretario particolare e il capo della segreteria. Il lobbista ora impronta i rapporti al
massimo livello di competenza, a dabilità, concretezza e di rispetto istituzionale.
Ma quale tipo di informazioni i lobbisti forniscono ai burocrati? I lobbisti procurano policy-
analytic information. Il burocrate è infatti un esperto di uno speci co settore, sa
interpretare dati e proposte. In breve, il lobbista presenta informazioni specialistiche, si
può dunque parlare di un’azione di lobbying sicuramente più tecnica rispetto a quella
rivolta ai parlamentari.
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Paragrafo 2.3, Lobby e informazioni

Il politico ha bisogno di essere informato su un problema per poi prendere una decisione,
e i lobbisti possono aiutarlo e sostenerlo nel suo lavoro.
Le informazioni possono giungere al legislatore innanzitutto attraverso audizioni
promosse da commissioni parlamentari, nelle quali i lobbisti possono legittimamente
apportare i loro contributi.
Sono le audizioni, dunque, alcuni dei luoghi u ciali di intervento utilizzati dai soggetti
portatori di interessi e dai loro rappresentanti; durante tali incontri il lobbista deve
ragguagliare il politico sulla posizione del suo gruppo, producendo documenti facilmente
comprensibili che esplicitano bene gli obiettivi che il gruppo desidera raggiungere. In
realtà, il primo problema per i lobbisti è farsi invitare alle audizioni, problema che può
essere risolto facendosi conoscere e diventando una fonte attendibile per il legislatore su
determinate istanze.
Un gruppo di interesse o un lobbista deve impiegare parte del suo tempo a ricercare
informazioni adatte a rappresentare l’istanza sostenuta, infatti soltanto chi è ben
informato ha possibilità di accedere al processo decisionale.

Le principali attività del lobbista sono:


1 Costruire relazioni. È fondamentale per il buon esito di un’azione di lobbying poter
contare su una tta rete di contatti utili per far circolare velocemente le informazioni. Il
lobbista ha molti interlocutori: decisori legislativi (ministro, parlamentare, sindaco),
decisori amministrativi (direttore generale, dirigenti), giornalisti e tutti i portatori di interessi
che agiscono sul suo stesso settore.
2 Trovare e fornire informazioni. Già la rete di contatti è uno strumento e cace per
reperire informazioni e documenti, ma soprattutto il lobbista molto spesso fa svolgere,
agli u ci dell’organizzazione per cui lavora o a istituti di ricerca esterni, studi il cui scopo
è fornire dati attendibili a sostegno delle posizioni e delle argomentazioni sostenute.
Un’altra fonte di informazione è Internet.
3 Conoscere e analizzare le attività legislative (del Parlamento e del governo). Il
lobbista è chiamato a monitorare costantemente il processo decisionale, annotando
qualsiasi nuovo evento si veri chi. La conoscenza approfondita aiuta il lobbista a stilare il
dossier, ossia un documento che analizza la posizione del decisore su determinate
questioni. In ne, un buon lobbista sa quando un politico va lasciato solo, quando bussare
alla sua porta e quali informazioni importanti mettere sopra il suo tavolo.

Non va trascurato nemmeno l’insorgere e il consolidarsi di legami personali tra singoli


parlamentari e gruppi professionali o sociali o imprenditoriali o nanziari che vengono
indotti da nuovi sistemi elettorali. In Italia si stanno a ermando particolari legami tra
politici e organizzazioni. Per essere eletti il tradizionale capitale politico individuale non
sembra più su ciente, dunque alla stragrande maggioranza dei candidati non resta che
appoggiarsi a sponsorizzazioni particolari, quasi sempre provenienti da gruppi di
interesse o frazioni di essi.

Paragrafo 3, L’arte del lobbista

Il lobbista rappresenta il punto di vista degli interessi di cui è portatore, non rappresenta
un interesse generale; ha la capacità di focalizzare la propria attenzione su un particolare
aspetto e poi riesce a far veicolare tutte le informazioni riguardanti tale aspetto del
problema, trasferendo il suo punto di vista al decisore pubblico.
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In generale, le peculiarità del lobbista sono: onestà, propensione all’ascolto, marcate
capacità comunicative e persuasive, accurata conoscenza del processo decisionale ed
evidente maestria intellettuale.
Una delle qualità più importanti del lobbista è saper gestire le interazioni one-to-one con i
suoi interlocutori: in tali rapporti deve essere prima di tutto credibile, mostrandosi
preparato. Insomma, l’autorevolezza del lobbista, da cui dipende molto del successo
della sua azione, discende dalla sua credibilità, che, a sua volta, è essenzialmente
connessa alle conoscenze possedute sulla questione sostenuta.
Il lobbista è un attento studioso del processo decisionale, della letteratura scienti ca
presente sull’argomento di suo interesse e soprattutto del suo interlocutore (il decisore).
Il bravo lobbista, in primo luogo, deve porsi come imperativo il fatto di mantenere un
rapporto costante con il politico, attraverso incontri formali e informali. In secondo luogo,
il lobbista sa che gli incontri vanno preparati con molta attenzione, infatti questi possono
rivelarsi molto brevi, quindi vanno ben de niti prima gli obiettivi e le cose da dire.

Il lobbista segue delle regole nel momento in cui interagisce con il decisore pubblico:
1 Dire la verità. Il lobbista non può permettersi di far circolare delle notizie fallaci. 2 Mai
promettere ciò che non potrà essere realizzato. 3 Saper ascoltare. Il lobbista è
sempre pronto a recepire sia ciò che proviene dall’organizzazione che lo ha ingaggiato,
sia le richieste di informazioni (dati, ricerche, etc) provenienti dal politico. 4 Interagire non
solo con il politico ma anche con i suoi collaboratori. 5 Divenire una fonte per il
decisore politico, ma senza incorrere in sorprese. Il politico detesta gli eventi inattesi; il
lobbista diventa una fonte del politico se gli recapita informazioni sicure, chiare, semplici
che lo agevolano nella sua attività.

Il lobbista conosce alla perfezione l’ambiente politico dove si trova ad agire: possiede un
bagaglio culturale e informativo capace di inquadrare bene l’argomento sostenuto ed è
anche in grado di monitorare attentamente e costantemente la mappa del potere
decisionale.
Il concetto che meglio delinea l’azione del lobbista è quello di soft power, che signi ca
ottenere i risultati che si vogliono con la forza delle parole dette, dell’attrazione prodotta,
senza mai agire sulla costrizione. Esso si fonda “sulla capacità di condizionare le
preferenze degli altri, a nché desiderino fare ciò che noi vogliamo che facciano”.
L’attività del lobbista è un’azione con cui si tenta di indurre qualcuno (il decisore pubblico)
a fare ciò che si vuole che faccia tramite, soprattutto, risorse intangibili (le informazioni
trasferite).

Paragrafo 4, Le tre fasi dell’attività di lobbying

L’attività del lobbista si suddivide in tre fasi: la fase della mappatura; la fase nominale; la
fase della pressione.
1) Nella fase della mappatura il lobbista traccia il prospetto del processo decisionale per
intuire dove intervenire: per prima cosa, va individuato a quale livello avviene il processo
decisionale (individuazione del livello decisionale). In altre parole, il lobbista localizza se il
processo decisionale è in sede europea, quindi al di fuori dei con ni nazionali; oppure è
un processo che sta all’interno dei con ni, al livello centrale; oppure sono dei temi su cui
decide il decisore regionale o locale. Una volta stabilito a quale livello avviene il processo
decisionale, il lobbista identi ca il soggetto istituzionale che e ettivamente prenderà la
decisione: ad esempio, se il livello decisionale è il governo nazionale va inquadrato il
ministero competente (individuazione del decisore pubblico). Nella fase di mappatura, il
lobbista e ettua un’altra operazione: individua se altri gruppi di interesse sono attivi sulla
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stessa materia, per costruire, se gli interessi coincidono, delle alleanze; in caso contrario,
dovrà essere in grado di ribattere alle azioni del gruppo concorrente. Ciò avviene perché
ogni tema vede contrapporsi o allearsi più gruppi di interesse. Questo è un altro momento
importante per il lobbista, poiché può valutare le possibilità di successo o meno della sua
azione; in base a tali valutazioni, il lobbista potrebbe persino arrivare a ri utare l’incarico
proposto. La certezza che l’obiettivo stabilito non potrà mai essere raggiunto, infatti, è un
aspetto che tutti i lobbisti valutano: è la loro reputazione (e la loro credibilità) che ne
potrebbe risentire.
In ne, un documento, estremamente funzionale per l’azione del lobbista in questa fase, è
il position paper: si tratta di un documento breve a uso esterno, chiaro, di facile lettura per
tutti, che spiega la posizione dell’organizzazione su un particolare tema. È il documento
che circola negli ambienti politici, e, proprio per questo, deve essere redatto dal lobbista
con molta cura. Di solito il position paper contiene: a) una descrizione del tema; b) il
probabile impatto sull’organizzazione della scelta normativa che si ipotizza venga presa
dal decisore pubblico; c) l’esistenza di altre proposte alternative a quella del decisore che
sono più gradite dal lobbista; d) l’individuazione di altri sostenitori della proposta portata
avanti dal lobbista; e) e, in ne, l’indicazione dei decisori politici da contattare.

2) Una volta ricostruita la mappa del processo decisionale, si passa alla seconda fase,
ossia la fase nominale. È la fase in cui il lobbista ricerca le persone giuste da contattare.
In particolar modo, deve individuare le persone da interpellare all’interno del ministero. Il
lobbista riempie di nomi e cognomi la sua mappa del potere; non si limita soltanto a
individuare chi ricopre l’incarico, ma, soprattutto, realizza un’analisi dettagliata della
persona: ne ricostruisce la storia e il background. In questo senso, il lavoro del lobbista
diviene più agevole quando è supportato da un database in cui vengono catalogate le
numerose informazioni relative al processo decisionale. Nello speci co, il lobbista ha un
archivio sui politici, uno sui dirigenti e uno sui gruppi di interesse.

3) La terza e ultima fase dell’attività di lobbying è stata de nita fase della pressione,
quella in cui il lobbista interagisce e preme sul decisore pubblico consegnandogli delle
informazioni che risultano essere funzionali sia al politico per prendere la decisione più
congeniale, sia al lobbista per tutelare l’organizzazione sostenuta. È, prima di tutto, il
momento in cui avviene il trasferimento di informazioni.
Questa è anche la fase in cui va costruito il rapporto tra i due soggetti: siamo di fronte a
un rapporto estremamente personalizzato, che assomiglia molto a quello del relatore
pubblico con il giornalista. Proprio per questa ragione, la gratitudine e, soprattutto, la
ducia sono gli ingredienti salienti di tale rapporto. La ducia è legata ai modi e ai tempi in
base ai quali il lobbista si muove; molto importante è la cosiddetta “prima cena“, durante
la quale la maggior parte del tempo è dedicata a conoscersi e poco spazio viene lasciato
alle questioni di lavoro. Il contatto informale prevede persino piccoli regali. Poi, tra i due
attori avrà inizio lo scambio vero e proprio di informazioni. Una consuetudine del rapporto
tra il lobbista e il politico è la gratitudine, assai di usa tra i lobbisti: ogni favore o segno di
disponibilità del politico deve essere seguito da note personali di ringraziamento.
Comunque, l’esito positivo dell’attività di lobbying dipende pure da altro: la causa va ben
sostenuta, ben documentata, altrimenti nessun politico si espone a supportare una
posizione e una normativa a favore soltanto di un soggetto e non della comunità.

Paragrafo 5, Il lobbying diretto e il lobbying indiretto

Una volta che il rapporto è stato costruito, il lobbista può utilizzare una serie di tecniche
per fare pressione sui decisori. Una delle tecniche più di use è il lobbying diretto.
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Questa è la più vecchia forma di interazione con il decisore pubblico, fatta innanzitutto di
contatti face-to-face. Lo scambio di informazioni, la predisposizione del position paper, le
audizioni, le cene, gli aperitivi rappresentano come il contatto diretto e periodico susciti
una volontà collaborativa. Il lobbista sceglie un modello di incontri che per ritmo, durata e
tipologia non sia, per il decisore, né faticoso né insopportabile, ma risulti, al contrario,
interessante e utile. Per ridurre al minimo i rischi connessi all’imprevedibilità del rapporto
diretto, è indispensabile che il lobbista conosca a fondo i segreti della comunicazione
interpersonale. Si ria erma di nuovo il fatto che il lobbista è un esperto di strategie e di
mediazione.
Ma accanto al lobbying diretto esiste anche un lobbying indiretto, o meglio, quello rivolto
ai cittadini. L’obiettivo è conquistare il favore dell’opinione pubblica e poi utilizzare un
simile consenso per agire sul decisore pubblico. La leva sulla quale si agisce è sempre
quella dell’informazione; l’intento è sensibilizzare i cittadini su una determinata questione.
Tra le forme di lobbying indiretto troviamo innanzitutto il grass-roots lobbying (“le radici
dell’erba”). Signi ca in uenzare i processi legislativi attraverso una mobilitazione che
parte dal basso (dalla società civile). Di solito, si ricorre a una campagna di
comunicazione (dove i media tradizionali e le moderne tecnologie - internet, social
network- giocano un ruolo decisivo) per stimolare l’opinione pubblica. Il ne è indurre
ri essioni e portare a conoscenza del gran pubblico e dei decisori il tema sostenuto,
senza che l’organizzazione interessata si sia esposta in prima persona. Nel momento in
cui un tema e il punto di vista sostenuto su di esso diverranno di usi e ben visibili tra
l’opinione pubblica, l’organizzazione interessata potrà scendere in campo rendendo
pubblica la propria posizione attraverso interviste e comunicati stampa. L’iter del lobbying
indiretto è sollevare il problema prima come questione che interessa l’opinione pubblica,
poi come questione che interessa l’organizzazione. Il ruolo giocato dai mass-media in
questa attività di lobbying è centrale; dunque, il lobbista sa come implementare delle
media Relations.
In ne, un passo spesso necessario per attivare un grass-roots lobbying (lobbying dal
basso o lobbying indiretto) è la costruzione di coalizioni (o alleanze) con altri soggetti.
L’azione di più soggetti coordinati fra loro permette di ra orzare l’in uenza sui decisori
pubblici e attribuisce un carattere più generale alla questione speci ca. Il politico, in
particolare, è sensibile alle istanze sostenute da un largo consenso.

Paragrafo 6, Alla ricerca di una regolamentazione delle lobby

La questione della disciplina dell’attività di lobbying ha due implicazioni, una sociale


(come riconoscimento e legittimazione della professione di rappresentanza di interessi),
una giuridica (come possibilità di prevedere regole di trasparenza, obblighi di
dichiarazione, diritti e doveri dei lobbisti).
Ad oggi non esiste in Italia alcuna legge relativa al lobbying, e ciò supporta l’idea di un
fenomeno che si muove ai margini della legalità appro ttando della mancanza di
normative. Negli ultimi anni, però, la crisi dei partiti in Italia e, conseguentemente, la
dinamicità di molti gruppi presenti nella società civile ripropongono a gran voce la
necessità di giungere a una normativa capace di riconoscere il ruolo svolto dalle lobby.
Tuttavia, le 30 proposte di legge, fatte a partire dal 1948, che si sono perdute negli anni
sembrano voler dire una sola cosa: il legislatore non vuole riconoscere una professione
che agevola il suo stesso lavoro.

In conclusione, il lobbying è essenzialmente trasferimento di informazioni dal lobbista al


decisore pubblico; il politico necessita sempre di più delle informazioni del lobbista. Il
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lobbying risulterà tanto più e cace quanto maggiore risulterà la forza persuasiva di chi è
chiamato a rappresentare interessi particolari, facendoli passare per interessi coerenti e, a
volte, addirittura coincidenti con gli interessi generali.
In ne, le caratteristiche che i lobbisti sono chiamati ad avere per poter svolgere
e cacemente la loro professione sono: a) capacità relazionali e duttilità nei rapporti; b)
doti comunicative e credibilità nel trasferire idee e proposte ai decisori; c) competenze
tecniche speci che sui temi e le aree oggetto dell’azione di lobbying.

Capitolo 5, Il lobbying europeo

Nell’Unione Europea per “lobbying si deve intendere quel processo tramite il quale i
gruppi di interesse forniscono informazioni che trovano facilmente accesso alle istituzioni
comunitarie per il de cit di informazione di cui so rono le istituzioni europee”.
Un eurodeputato, ad esempio, interagisce costantemente con colleghi provenienti da altri
paesi che presentano sullo stesso rapporto istanze e interessi diversi; a maggior ragione,
quindi, il lavoro dei lobbisti è di grande utilità. Nel processo decisionale comunitario il
contributo del lobbista è così rilevante da garantire una base di legittimità (riconosciuta da
tutti) a molte delle iniziative delle istituzioni comunitarie.
A Bruxelles operano circa 2600 gruppi di interesse e 15.000 lobbisti; se a queste lobby si
aggiungono anche le rappresentanze degli Stati e quelle istituzionali, il numero delle
persone che agiscono in uenzando il sistema comunitario sale a circa 55.000. I principali
settori di intervento da parte dei lobbisti sono: ambiente, agricoltura, salute e sicurezza
alimentare, energia e automobile. Tra gli u ci di rappresentanza per l’Italia il più
consistente è quello di Con ndustria.

Paragrafo 1, Il lobbista a Bruxelles

Il processo decisionale comunitario ha un iter complesso, all’interno del quale


intervengono politici, funzionari, diplomatici, rappresentanti degli Stati membri, comitati di
esperti e lobbisti. All’interno di società complesse, quando il decisore pubblico decide,
non decide più da solo. Ciò avviene anche a livello europeo, con il risultato che l’azione
del lobbista deve essere inevitabilmente attenta, variegata ed equilibrata. Il lobbista è un
esperto on footing (e etto cambiamento), ossia è capace di mutare e adattare la propria
azione in relazione alla particolare situazione da a rontare e al contesto.
Il lobbista si muove a livello comunitario in un terreno scivoloso, poco stabile.
I lobbisti a Bruxelles si dividono tra in-house lobbyists e hire lobbyists: i primi (in-
house) sono dipendenti di un gruppo di interesse, mandati nella capitale belga per
costituire l’u cio di rappresentanza (ubicato sempre a pochi metri dalle istituzioni
europee). Ad esempio, la Fiat ha tre suoi lobbisti a Bruxelles e ognuno ha un particolare
settore di competenza.
I secondi (hire lobbyists) sono lobbisti di agenzie di comunicazioni o di studi legali, che
vengono di volta in volta ingaggiati dalle organizzazioni presenti nella capitale belga,
soprattutto quando i risultati non arrivano. Si ricorre a hire lobbyists perché sono
notoriamente apprezzati conoscitori del processo decisionale europeo e delle persone in
esso coinvolte.
Si possono individuare due forme di lobbying: il soft lobbying e l’hard lobbying. Si parla
di soft lobbying quando il lobbista si occupa di monitorare l’iniziativa europea sugli
argomenti sensibili per l’organizzazione per cui lavora; in concreto egli produce rapporti di
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ricerca, documenti di lavoro, note di aggiornamento; si occupa anche di intrattenere
rapporti con politici, funzionari e altri lobbisti.
Il soft lobbying si trasforma in hard lobbying nel momento in cui il lobbista decide di
“sferrare l’attacco” verso il decisore europeo, volendone in uenzare l’operato.
Stabilire con esattezza quello che succede nella realtà è un po’ complicato e mai ben
de nito. Di norma, spetta a un lobbista in-house occuparsi sia del lobbying leggero, sia
del lobbying pesante. Altre volte, però, gruppi di interesse decidono di a ancare ai loro
rappresentanti anche un hire lobbyist per un determinato periodo; altre volte ancora un
gruppo di interesse decide di appoggiarsi completamente a un’agenzia di comunicazione.
All’interno delle agenzie è possibile individuare altri due tipi di lobbisti. Vi troviamo i
giovani account (sotto i trent’anni), che e ettuano un monitoring giornaliero delle
istituzioni comunitarie e dei mass-media; incontrano con una certa cadenza il cliente per
un aggiornamento sullo stato di avanzamento del procedimento decisionale;
intrattengono rapporti soprattutto con assistenti parlamentari e funzionari non di primo
livello, con cui possono nascere anche amicizie. Poi c’è il lobbista senior (il boss
dell’agenzia); è la persona di maggior esperienza, il capo, che agisce nei momenti più
articolati e che decide la tattica e la tecnica di intervento nel processo decisionale.
Una particolarità di Bruxelles è che all’interno di un’agenzia di lobby lavorano lobbisti
provenienti dai più importanti paesi dell’Unione Europea; in questo modo, si cerca di dare
la più alta copertura possibile alle lingue più parlate in Europa. Il primo vantaggio è la
facilitazione del lavoro dell’agenzia; infatti, può capitare di avere a che fare con documenti
non tradotti in inglese oppure con euro deputati che non parlano nessuna lingua se non la
propria. La seconda ragione è legata alla necessità di poter contare su un network
internazionale; le decisioni comunitarie riguardano infatti anche micro-comunità nazionali
con le quali il lobbista spesso è chiamato a interagire e comunicare.
I nomi dei bravi lobbisti a Bruxelles sono noti ai più per il semplice fatto che Bruxelles è
una capitale di modeste dimensioni, in cui il passa parola è particolarmente e cace. I più
bravi lobbisti nello scenario di Bruxelles sono hire lobbyist, i quali lavorando per diversi
gruppi di interesse hanno anche uno stipendio spesso di molto superiore a quello del
lobbista in-house. Il fattore esperienza in questo campo resta un totem, infatti,
nonostante nelle agenzie si punti molto sui giovani, all’inizio le new entry vengono sempre
impiegate in tandem con un lobbista senior.

Paragrafo 2, Le regole a Bruxelles

Le regole e i requisiti per farsi valere a Bruxelles:


- Per prima cosa, il lobbista ha un’ottima padronanza dell’inglese. C’è un altro elemento
considerevole che contraddistingue il lobbying europeo: il “chi conosci” è rilevante, ma
non fondamentale. È più importante essere al corrente del funzionamento e dei tempi
del processo decisionale: il lobbista deve sapere quando e come agire, soltanto allora
sarà molto utile anche poter contare sui buoni rapporti con il decisore.
- Seconda regola, per un lobbista è fondamentale conoscere a fondo il macchinoso
funzionamento delle istituzioni comunitarie. Egli deve avere una buona cultura giuridica.
- Terza regola, il lobbista è un buon comunicatore, perché la maggior parte della sua
azione è incentrata sui rapporti faccia a faccia, sullo scambio di informazioni e
documenti. Da quanto si può intendere, il lobbista che lavora a Bruxelles viene
contattato da molti; ne consegue che una soluzione molto di usa, per conservare i
suddetti contatti, è coltivare delle relazioni informali. Tra i molti frequentatori dei
numerosi bar, pub e ristoranti presenti nei dintorni delle istituzioni comunitarie c’è
anche il lobbista. Viste le di coltà nell’instaurare un rapporto amichevole con
commissari o eurodeputati causate dai numerosi impegni e dalle assenze di questi, è
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più facile per il lobbista ottenere un appuntamento conviviale con l’assistente del
politico, che è sempre presente nella capitale belga e di solito è dotato di un ruolo di
rilievo nel processo decisionale.
- Quarta regola, è indispensabile essere trasparenti. Per il lobbista che agisce a Bruxelles
trasparenza signi ca dichiarare sempre al politico per chi si sta lavorando: va descritta
l’organizzazione che si rappresenta, quale obiettivo si intende raggiungere e che cosa
si vorrebbe evitare.
- Quinta regola, il lobbista, in ne, fa un gran ricorso ai media tradizionali e alle nuove
tecnologie, perché facilitano il suo lavoro. Il lobbista non può trascurare i quotidiani più
letti dei decisori europei, “Financial Times”, “Agency Europe”, “European Voice”. Sono
giornali di settore e i giornalisti che vi lavorano sono esperti di ciò che avviene a livello
europeo a tal punto che i loro articoli hanno anche la capacità di in uenzare le decisioni
comunitarie. Il rapporto tra il lobbista e tali giornalisti assomiglia molto a quello che il
lobbista intrattiene con i decisori comunitari. Poi, ci sono anche i corrispondenti delle
testate italiane, con i quali il rapporto è molto con denziale; i corrispondenti traggono
molte delle loro risorse proprio dall’interazione con il lobbista. Il lobbista ricorre molto a
Internet, in particolar modo le e-mail agevolano l’azione comunicativa con i decisori e
possono essere utili anche per fare pressione sui politici, i quali sono soggetti a
fortissime in uenze attraverso la loro casella di posta elettronica, nel momento in cui,
ricevendo molte sollecitazioni, hanno di coltà a negare una risposta. Il sito Internet del
parlamento europeo è un altro punto di riferimento per il lobbista, che impiega anche
social network come Facebook e Twitter.

Paragrafo 3, Il lobbista e il processo decisionale comunitario

I gruppi di interesse (e i loro lobbisti) soddisfano l’esigenza di informazione delle istituzioni


comunitarie, che a loro volta traggono grandi vantaggi dal lobbying. Tra istituzioni
comunitarie e gruppi di interesse si instaura così un dialogo continuo.
Il lobbista interagisce con le tre istituzioni comunitarie: la Commissione, il Parlamento e il
Consiglio.
La Commissione, che si riunisce una volta alla settimana (il mercoledì) a Bruxelles, è al
centro del sistema comunitario e condivide con il Consiglio la funzione esecutiva. Al
vertice della struttura si trovano il presidente della Commissione e il collegio dei
commissari, ognuno responsabile per un settore speci co. Tra le principali funzioni c’è il
diritto di iniziativa, ossia la competenza esclusiva di redigere proposte di atti normativi
europei che dovrà poi presentare al Parlamento e al Consiglio. Il personale della
Commissione è strutturato in dipartimenti, denominati Direzioni Generali, ognuna delle
quali opera sotto la guida di un direttore generale ed è composta da divisioni e unità.
Il Parlamento europeo negli ultimi anni è l’istituzione che è cambiata maggiormente per
favorire lo sviluppo in senso democratico del sistema comunitario. L’organo legislativo
viene rinnovato, ogni cinque anni, dai cittadini dei paesi membri (tramite un’elezione a
su ragio diretto), ne rappresenta gli interessi e dispone di tre sedi per le sue attività:
Bruxelles, Lussemburgo e Strasburgo. Una delle principali funzioni del Parlamento è
quella di condividere con il Consiglio il potere legislativo in molte delle materie di
competenza dell’UE. Il parlamento europeo è organizzato in commissioni parlamentari,
che esaminano tutte le proposte legislative e gli altri documenti prodotti dalla
Commissione e dal Consiglio.
In ne, il Consiglio dell’UE (o Consiglio dei Ministri) è il principale centro decisionale del
sistema di governo comunitario. Esso è composto da un ministro per Stato membro e la
presidenza è esercitata a turno da ciascun membro del Consiglio per sei mesi. I ministri
partecipano alle riunioni in funzione dei temi all’ordine del giorno.
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Le tre principali procedure per promulgare nuove leggi comunitarie sono: consultazione,
parere conforme e codecisione. La codecisione è la procedura maggiormente usata per
la promulgazione delle leggi comunitarie: in questa procedura il Parlamento condivide il
potere legislativo con il Consiglio; di conseguenza, una volta elaborata la proposta di
legge da parte della Commissione, passa sia al Parlamento che al Consiglio. Se tra le due
istituzioni ci dovesse essere un’intesa, si arriva alla promulgazione della legge, altrimenti
si giunge a un Comitato di conciliazione, composto da un numero uguale di
rappresentanti del Consiglio e del Parlamento, che ha lo scopo di trovare un’intesa.

Paragrafo 3.1, Il lobbista e la Commissione europea

La Commissione detiene il potere di presentare proposte legislative, pertanto rappresenta


il punto di partenza dell’attività di lobbying. Per il lobbista questa è un’interazione molto
importante e delicata, all’interno della quale si possono individuare tre momenti salienti: a)
la fase di impulso, nella quale la commissione accoglie l’idea di elaborare una proposta
legislativa; b) la fase di redazione della proposta, in cui un funzionario della Direzione
generale (Dg) dà corpo alla proposta; c) la fase dell’adozione, nella quale la commissione
approva in via de nitiva la proposta di iniziativa legislativa.
1) Nella fase di impulso, il successo dell’azione del lobbista è legato al peso del gruppo
di interesse rappresentato. La commissione, vista l’elevata complessità tecnica dei settori
oggetto di intervento legislativo, ha previsto un sempre maggiore coinvolgimento dei
privati. Si è così proceduto alla creazione di un sistema consultivo in grado di raccogliere
pareri e informazioni direttamente dal mondo esterno, cui la commissione ricorre sia
prima di attivare un iter legislativo sia nella fase di elaborazione della proposta legislativa.
Di fatto, se i principali gruppi di interesse di uno speci co settore, e rappresentanti la
maggior parte degli Stati membri, si accordano per richiedere l’attivazione di un processo
legislativo, la commissione di cilmente potrà tirarsi indietro. La forza di chi agisce
dall’esterno è estremamente connessa alla capacità di creare delle alleanze o di costruire
delle organizzazioni rappresentative a livello comunitario, accentuando in entrambi casi il
carattere transnazionale dell’interesse rappresentato.
2) Una volta terminata la fase di impulso, alla Direzione generale (Dg) sotto cui ricade la
responsabilità della politica in esame è a data la preparazione concreta della proposta
legislativa (fase della redazione). All’interno della Dg, un funzionario, di solito un capo-
unità, assume la responsabilità del dossier informando il direttore generale sui vari
progressi del lavoro. Per agevolare il lavoro del funzionario responsabile del dossier, la Dg
competente prevede una serie di incontri con i comitati consultivi. Questi sono composti
da esperti del settore provenienti dai vari Stati dell’UE ed è sulla base delle informazioni e
dei pareri da loro forniti che di solito verrà redatta la proposta legislativa.
In questa fase le energie, le risorse e le capacità del lobbista sono importanti e hanno un
valore persino superiore rispetto al peso del gruppo rappresentato. Sono soprattutto i
rapporti informali a prevalere: il lobbista deve scoprire prima possibile chi sarà il
funzionario responsabile del dossier e il modo più veloce per saperlo è avere un
informatore all’interno della Dg competente. L’informatore, di solito, è una persona di
ducia; il lobbista ha degli informatori in tutte le Dg che compongono la commissione,
zone scoperte non sono ammesse.
Individuato il funzionario, è necessario incontrarlo di persona e durante l’incontro
consegnargli un supporto scritto con tutti i punti chiave riguardanti la posizione del
gruppo rappresentato (position paper), che, in realtà, inizia a circolare già nella fase di
impulso. Ora però il lobbista si trova ad agire in un contesto meno nebuloso, poiché c’è
un interlocutore ben de nito e quindi il valore del documento è sicuramente più elevato.
Ottenere un appuntamento con il funzionario non è cosa di cile, anche perché è a lui che
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a dano il compito di intrattenere relazioni regolari con esperti e, appunto, lobbisti (questi
incontri sono di tipo informale). C’è la volontà tra i due interlocutori di scambiarsi
informazioni, la quale consente di chiarire questioni estremamente tecniche. Il lobbista,
tuttavia, nella fase di redazione non si limita a interagire soltanto con il funzionario, ma
agisce anche nei confronti dei comitati consultivi. Anche in questo caso le fattispecie
sono molteplici: può infatti accadere che un gruppo di interesse abbia un “suo” uomo tra
gli esperti facenti parte del comitato, facilitando di molto il lavoro del lobbista. Altrimenti, il
lobbista deve trovare un interlocutore all’interno del comitato. Per prima cosa, contatta
l’esperto proveniente dallo stesso paese del gruppo di interesse rappresentato,
mettendogli a disposizione il position paper; poi deve fare in modo che la posizione
dell’esperto trovi altri sostenitori all’interno del comitato.
Per il lobbista poter contare, all’interno del processo decisionale comunitario, su persone
della medesima nazionalità del gruppo che rappresenta è sicuramente un fattore molto
utile. Un lobbista che lobba per un gruppo di interesse italiano può trovare, a volte, un
supporto anche dei funzionari italiani, i quali possono fornire a questo importanti
informazioni sull’attività della commissione sia nella fase di impulso, sia in quella di
elaborazione della proposta legislativa. I lobbisti sono consapevoli che i funzionari sono
disposti a sostenere l’azione dei gruppi di interesse italiani per incrementare la loro
visibilità e il consenso del governo del nostro paese.
3) Nella fase dell’adozione, l’ultima fase, la gran parte dei giochi sono chiusi. Il lobbista
deve soprattutto accertarsi che le sue richieste sono state recepite nella proposta
legislativa. La commissione solitamente approva le proposte legislative per consensus,
cioè attraverso un accordo tra i commissari. In realtà, ci può essere un tentativo di attività
di lobbying anche in questa fase, anche se è più di cile da attuare e da portare a buon
ne, perché è rivolto ai vertici politici (i commissari), che sono oberati di impegni.
In ogni modo, nella fase dell’adozione il lobbista si può porre due obiettivi: il primo, quello
più ostico, è contattare quei commissari che secondo gli informatori del lobbista sono
contrari alla proposta legislativa e informarli sulle posizioni sostenute. Il secondo, più
accessibile e frequente, è nalizzato a far inserire il prima possibile all’ordine del giorno
dei lavori della Commissione la proposta legislativa. Ciascun membro della commissione
può richiedere l’iscrizione all’ordine del giorno di una proposta legislativa, pertanto un
lobbista decide di incontrare il commissario anche per tentare di velocizzare il processo
decisionale.

Paragrafo 3.2, Il lobbista e il Parlamento europeo

Una volta raggiunto l’accordo nella Commissione, la proposta legislativa viene inoltrata al
Parlamento europeo e al Consiglio dei ministri per essere adottata. L’attività di lobbying
continua anche negli stadi successivi del processo decisionale comunitario; su queste
basi, un altro luogo frequentato dal lobbista è, ovviamente, il Parlamento. Negli ultimi anni
i poteri del parlamento sono aumentati, infatti adesso questo può insabbiare o variare
attraverso emendamenti una proposta legislativa. Per tali ragioni, molti gruppi di interesse
hanno lobbisti che si dedicano esclusivamente all’attività dell’assemblea parlamentare.
L’azione del lobbista all’interno del Parlamento è incentrata su precisi soggetti: il
rapporteur (o relatore), l’assistente parlamentare, i relatori ombra (rapporteur shadow) e
gli euro deputati più in uenti dei gruppi parlamentari. L’assemblea legislativa è suddivisa
in commissioni parlamentari.
L’iter legislativo avviene esattamente nel seguente modo: la proposta della Commissione
europea viene trasmessa alla Commissione parlamentare competente e alle altre
commissioni parlamentari chiamate a esprimere un parere. Poi, la commissione
competente per materia individua il relatore (relateur), che viene incaricato
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dell’elaborazione di una relazione che sarà poi discussa, modi cata e votata in
commissione per poi essere presentata alla sessione plenaria del parlamento. Se
approvata, essa esprime la posizione u ciale del Parlamento.
Il lobbista interviene sin dalla scelta del relatore. Il nome del relatore viene individuato
dopo una negoziazione tra i gruppi parlamentari; dentro questo meccanismo abbastanza
complesso, il lobbista prova a suggerire il nome di chi dovrà essere il relatore.
Un’operazione questa senz’altro di cile, che il lobbista può realizzare se i suoi contatti si
allargano anche agli euro deputati più in uenti degli altri Stati membri.
Per il lobbista, poter avere un buon feeling con il relatore è estremamente importante.
Innanzitutto, il relatore è la persona con cui la commissione europea deve scendere a
patti se nella procedura di codecisione non c’è accordo con il Parlamento. Il lobbista che
può contare su un contatto diretto col rapporteur ha buone probabilità di introdurre un
suo emendamento nel rapporto nale. Sarà lo stesso relatore a presentarlo, per conto del
lobbista, in commissione, chiedendo agli altri euro deputati di esprimersi a favore di tale
emendamento. Anche nel caso in cui si dovesse giungere a un emendamento di
compromesso per le richieste di altri deputati, è probabile che il relatore, prima di
modi care l’emendamento iniziale, si accerti che il lobbista e il gruppo che rappresenta
siano d’accordo.
Un altro punto saliente dell’attività di lobbying sul parlamento riguarda il fatto che i
lobbisti sono coloro che scrivono la gran parte del contenuto degli emendamenti
presentati dagli eurodeputati.
A questo stadio si possono veri care soltanto due situazioni: a) il lobbista contatta il
relatore (o un altro deputato membro della commissione competente) per informarlo sulla
posizione del gruppo che rappresenta e sul desiderio di voler presentare un
emendamento; b) viceversa, è il relatore (o un altro deputato) a contattare il lobbista,
perché è alla ricerca di informazioni tecniche sulla proposta legislativa da trattare e
valutare.
Nel primo caso, il lobbista, avendo a che fare con politici che sono responsabili delle loro
azioni nei confronti degli elettori, utilizza motivazioni più comprensibili che abbiano
immediati riferimenti alla realtà sociale. Lo scenario è diverso da quello della
Commissione europea: qui c’è un politico (e non più un funzionario) che ha bisogno di
confermare e, per no, di ra orzare il suo consenso; pertanto l’eurodeputato deve essere
sensibilizzato, informandolo sulle ripercussioni (positive) a livello locale dell’emendamento
proposto. Inoltre, le proposte di emendamento che provengono al relatore o a qualsiasi
altro membro della commissione parlamentare sono numerose; in questa prospettiva
l’eurodeputato il più delle volte è chiamato a selezionare quelle più adatte, quindi i gruppi
di interesse con un forte peso elettorale sono senz’altro avvantaggiati da questa
situazione e avranno maggiori probabilità di vedersi accolto l’emendamento presentato.
Tuttavia, anche gruppi di interesse più piccoli possono trovare una via d’accesso: in
questo caso l’azione del lobbista non si può più limitare al solo relatore, ma è
indispensabile contattare più euro deputati di diversa collocazione politica e nazionalità. Il
ne del lobbista è arrivare alla stesura di un documento, che possa ottenere il più largo
consenso possibile sia da parte dei soggetti politici, sia da parte di altri gruppi di
interesse.
Viceversa, può accadere che sia il relatore o qualsiasi altro eurodeputato della
commissione parlamentare a contattare un lobbista. Ora il successo dell’attività di
lobbying dipende da quelle relazioni (soprattutto di tipo informale) che il lobbista ha
costruito molto tempo prima dell’elaborazione del disegno di legge.
Di solito, avviene che il relatore, una volta nominato, vada alla ricerca di tutte quelle
informazioni che lo possano aiutare a meglio comprendere il dossier a dato. Egli può
ricorrere allo sta tecnico del gruppo parlamentare di appartenenza, ma per avere un’idea
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il più vicino possibile alla realtà non può non far ricorso anche alle informazioni,
sicuramente più tecniche, dei lobbisti. Per questo una delle azioni più frequenti del
politico è convocare audizioni parlamentari, dove ciascun gruppo di interesse potrà far
sentire la propria voce.
Accanto a questi incontri formali ce ne saranno anche altri di tipo informale con quei
lobbisti di cui il relatore sa di potersi dare, divenuti dei veri e propri punti di riferimento su
speci ci settori. Questo rapporto inizia con un appuntamento richiesto dal lobbista
all’eurodeputato quando ancora non c’è nessuna proposta di legge sul tavolo. Prima
ancora il lobbista si informa sulle composizioni delle nuove commissioni parlamentari per
capire con chi, in futuro, avrà a che fare. Poi, incontrerà personalmente l’eurodeputato
facendogli sapere che è pronto ad aiutarlo, fornendogli informazioni, in qualsiasi
momento. Successivamente il rapporto si consolida: il lobbista fa in modo che
l’eurodeputato incontro il suo cliente; così il politico può ulteriormente convincersi della
serietà e della correttezza del lobbista e dell’organizzazione che rappresenta.
Un altro interlocutore del lobbista è l’assistente parlamentare, colui che organizza
l’agenda dell’eurodeputato e che favorisce o ostacola l’azione diretta con il politico. Il
lobbista si rivolge all’assistente per una serie di questioni, dalle più piccole alle più grandi.
L’assistente è molto vicino all’euro deputato e può spiegare in anticipo al lobbista la
posizione del deputato su una questione speci ca.
A volte, ci sono alcuni politici che non amano sapere che l’emendamento sia stato scritto
interamente dal lobbista. In questi casi l’assistente diventa l’interfaccia del lobbista nei
confronti dell’eurodeputato: è a lui che il lobbista spiega dettagliatamente la sua
posizione e ciò che desidera realizzare, dopodiché sarà l’assistente a illustrare la
questione all’eurodeputato utilizzando molte delle informazioni ricevute dal lobbista.
Tra i principali interlocutori c’è anche il relatore ombra (rapporteur shadow). Ogni gruppo
politico nomina un relatore ombra ed è il suo referente in commissione parlamentare su
una speci ca proposta legislativa. È una gura di un certo rilievo, perché di cilmente un
eurodeputato di un determinato gruppo deciderà di prendere iniziativa senza averlo
almeno informato della sua azione. Prima del voto nale in commissione, il relatore
incontra i relatori ombra: se c’è un accordo l’emendamento si può considerare approvato,
altrimenti tutti insieme elaborano un emendamento di compromesso che possa
soddisfare le richieste poste dal relatore e quelle dei rapporteur shadow. Proprio per
questa ragione, il lobbista, per garantirsi l’approvazione del suo emendamento, deve
necessariamente contattare i relatori ombra per costruire un consenso intorno a esso.
Per concludere, il lobbista indirizza gran parte della sua azione sulla commissione
parlamentare, perché una proposta adottata in commissione viene generalmente
approvata in sessione plenaria. È opportuno, comunque, che il lobbista eserciti
un’in uenza continua anche quando il testo de nitivo approvato dalla commissione
giunge in assemblea plenaria, soprattutto per evitare un eventuale azione di disturbo da
parte di gruppi con interessi divergenti.

Paragrafo 3.3, Il lobbista e il Consiglio dell’Unione Europea

Il lobbista può fare pressione anche sul Consiglio per tentare di in uenzare una proposta
normativa prima che diventi legge comunitaria. È questa una delle ultime fasi e
sicuramente una delle più articolate e complesse (a tal punto che a volte il lobbista vi
rinuncia).
Il Consiglio, tra le istituzioni comunitarie, è quella meno aperta e quindi più di cilmente
raggiungibile dall’azione del lobbista; ciò è reso ancora più faticoso dal sistema di voto a
maggioranza del consiglio: per il lobbista è necessaria un’azione rivolta alla maggioranza
degli Stati membri. Siamo evidentemente di fronte a un’azione di lobbying che presenta
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dei costi in termini di energie, risorse e tempi enormi e quindi sostenibili da pochi soggetti
presenti a Bruxelles.
Un gruppo di interesse ha due possibilità per incidere sulle scelte del Consiglio. La prima
prevede un’azione rivolta ai ministri nazionali. In questo caso il ministro, una volta
convinto della bontà e fattibilità dell’azione, si recherà presso il consiglio sostenendo la
posizione del gruppo del suo paese che lo ha interpellato. I gruppi di interesse che
possono annoverare sia lobbisti impegnati a rappresentare il gruppo a Bruxelles, sia altri
lobbisti che lo rappresentano a livello nazionale si trovano nella situazione di poter agire
prima nei confronti del ministro nazionale e poi anche nei confronti del Consiglio.
Per concludere, l’attività di lobbying a Bruxelles non si può limitare alla fase di
elaborazione della proposta legislativa o all’interazione con una singola istituzione. È
un’azione molto più complessa che richiede al lobbista l’attuazione di un lavoro articolato
e continuo per tutta la fase decisionale.

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