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Giorgio Agamben - A Che Punto Siamo
Giorgio Agamben - A Che Punto Siamo
Giorgio Agamben
Quodlibet
© 2020 Quodlibet srl
Prima edizione in formato ebook luglio 2020
Macerata, via Giuseppe e Bartolomeo Mozzi, 23
www.quodlibet.it
ISBN 978-88-229-0539-0
e-ISBN 978-88-229-1105-6
Indice
Avvertenza
1. L’invenzione di un’epidemia
2. Contagio
3. Chiarimenti
4. A che punto siamo?
5. Riflessioni sulla peste
6. L’epidemia mostra che lo stato di eccezione è diventato la regola
7. Distanziamento sociale
8. Una domanda
9. La nuda vita
10. Nuove riflessioni
11. Sul vero e sul falso
12. La medicina come religione
13. Biosicurezza e politica
14. Polemos epidemios
15. Requiem per gli studenti
16. Il diritto e la vita
A che punto siamo?
L’epidemia come politica
Quando non diversamente indicato, i testi qui raccolti sono stati pubblicati per la prima volta
nella rubrica «Una voce» del sito quodlibet.it.
Avvertenza
Una delle conseguenze più disumane del panico che si cerca con
ogni mezzo di diffondere in Italia in occasione della cosiddetta
epidemia del coronavirus è nella stessa idea di contagio, che è alla
base delle eccezionali misure di emergenza adottate dal governo.
L’idea, che era estranea alla medicina ippocratica, ha il suo primo
inconsapevole precursore durante le pestilenze che fra il 1500 e il
1600 devastano alcune città italiane. Si tratta della figura dell’untore,
immortalata da Manzoni tanto nel suo romanzo che nel saggio sulla
Storia della colonna infame. Una «grida» milanese per la peste del
1576 li descrive in questo modo, invitando i cittadini a denunciarli:
Solo nella massa l’uomo può essere redento dal timore di essere
toccato… Dal momento in cui ci si abbandona alla massa, non si
teme di esserne toccati… Chiunque ci venga addosso è uguale a
noi, lo sentiamo come ci sentiamo noi stessi. D’improvviso, è come
se tutto accada all’interno di un unico corpo… Questo
capovolgimento della paura di essere toccati è peculiare della
massa. Il sollievo che si diffonde in essa raggiunge una misura
vistosa quanto più densa è appunto la massa.
La peste segnò per la città l’inizio della corruzione… Nessuno era più disposto a
perseverare in quello che prima giudicava essere il bene, perché credeva che
poteva forse morire prima di raggiungerlo.
Tucidide, La guerra del Peloponneso, II, 53
Lei mi chiede della nuda vita. Il fatto è che quello che ho descritto è
potuto avvenire perché abbiamo scisso l’unità della nostra
esperienza vitale, che è sempre inseparabilmente insieme corporea
e spirituale, in una entità puramente biologica da una parte (la nuda
vita) e in una vita affettiva e culturale dall’altra. Ivan Illich ha mostrato
le responsabilità della medicina moderna in questa scissione, che
viene data per scontata e che è invece la più grande delle astrazioni.
So bene che questa astrazione è stata realizzata dalla scienza
moderna attraverso i dispositivi di rianimazione, che possono
mantenere un corpo in uno stato di pura vita vegetativa. Ma se
questa condizione si estende al di là dei confini spaziali e temporali
che le sono propri, come si sta cercando oggi di fare, e diventa una
sorta di principio di comportamento sociale, si cade in contraddizioni
da cui non vi è via di uscita. C’è bisogno di ricordare che il solo altro
luogo in cui degli esseri umani sono stati mantenuti in uno stato di
pura vita vegetativa è il lager nazista?
Sulle forme che prenderà il governo degli uomini negli anni a venire
si possono soltanto fare delle ipotesi, ma quello che si può dedurre
dalla sperimentazione in corso è tutt’altro che rassicurante. L’Italia,
come si è visto durante gli anni del terrorismo, è una sorta di
laboratorio politico in cui si sperimentano le nuove tecnologie di
governo. Non mi stupisce che essa sia ora all’avanguardia
nell’elaborazione di una tecnologia di governo che in nome della
salute pubblica fa accettare delle condizioni di vita che eliminano
puramente e semplicemente ogni possibile attività politica. L’Italia è
sempre sul punto di ricadere nel fascismo e molti segni mostrano
che oggi si tratta di qualcosa di più che di un rischio: basti dire che il
governo ha istituito una commissione che ha il potere di decidere
quali notizie sono vere e quali devono essere considerate false. Per
quanto mi concerne i grandi giornali in Italia si rifiutano puramente e
semplicemente di pubblicare le mie opinioni.
10.
Nuove riflessioni*
«Neue Zürcher Zeitung», 27 aprile 2020
*L’articolo riprende e svolge il testo di un’intervista pubblicata sul quotidiano «La Verità» il
21 aprile 2020.
11.
Sul vero e sul falso
28 aprile 2020
Che la scienza sia diventata la religione del nostro tempo, ciò in cui
gli uomini credono di credere, è ormai da tempo evidente.
Nell’Occidente moderno hanno convissuto e, in certa misura, ancora
convivono tre grandi sistemi di credenze: il cristianesimo, il
capitalismo e la scienza. Nella storia della modernità, queste tre
«religioni» si sono più volte necessariamente incrociate, entrando di
volta in volta in conflitto e poi in vario modo riconciliandosi, fino a
raggiungere progressivamente una sorta di pacifica, articolata
convivenza, se non una vera e propria collaborazione in nome del
comune interesse.
Il fatto nuovo è che fra la scienza e le altre due religioni si è riacceso
senza che ce ne accorgessimo un conflitto sotterraneo e
implacabile, i cui esiti vittoriosi per la scienza sono oggi sotto i nostri
occhi e determinano in maniera inaudita tutti gli aspetti della nostra
esistenza. Questo conflitto non concerne, come avveniva in passato,
la teoria e i princìpi generali, ma, per così dire, la prassi cultuale.
Anche la scienza, infatti, come ogni religione, conosce forme e livelli
diversi attraverso i quali organizza e ordina la propria struttura:
all’elaborazione di una dogmatica sottile e rigorosa corrisponde nella
prassi una sfera cultuale estremamente ampia e capillare che
coincide con ciò che chiamiamo tecnologia.
Non sorprende che protagonista di questa nuova guerra di religione
sia quella parte della scienza dove la dogmatica è meno rigorosa e
più forte l’aspetto pragmatico: la medicina, il cui oggetto immediato è
il corpo vivente degli esseri umani. Proviamo a fissare i caratteri
essenziali di questa fede vittoriosa con la quale dovremo fare i conti
in misura crescente.
1) Il primo carattere è che la medicina, come il capitalismo, non ha
bisogno di una dogmatica speciale, ma si limita a prendere in
prestito dalla biologia i suoi concetti fondamentali. A differenza della
biologia, tuttavia, essa articola questi concetti in senso gnostico-
manicheo, cioè secondo una esasperata opposizione dualistica. Vi è
un dio o un principio maligno, la malattia, appunto, i cui agenti
specifici sono i batteri e i virus, e un dio o un principio benefico, che
non è la salute, ma la guarigione, i cui agenti cultuali sono i medici e
la terapia. Come in ogni fede gnostica, i due princìpi sono
chiaramente separati, ma nella prassi possono contaminarsi e il
principio benefico e il medico che lo rappresenta possono sbagliare
e collaborare inconsapevolmente con il loro nemico, senza che
questo invalidi in alcun modo la realtà del dualismo e la necessità
del culto attraverso cui il principio benefico combatte la sua battaglia.
Ed è significativo che i teologi che devono fissarne la strategia siano
i rappresentanti di una scienza, la virologia, che non ha un luogo
proprio, ma si situa al confine fra la biologia e la medicina.
1.
2.
3.
Nel Suo libro Homo Sacer. Il potere sovrano e la vita nuda Lei
afferma che in ogni Stato moderno c’è una linea che delimita il punto
in cui il potere sulla vita si trasforma in potere di morte e la biopolitica
si trasforma in tanatopolitica. Pertanto su questa base il sovrano
agisce in stretta collaborazione con l’avvocato, il medico, lo
scienziato, il prete. Oggi la medicina può concedere al potere la
possibilità o l’illusione della sovranità, che influisce sia sul piano
politico che su quello etico. La subordinazione della vita alle
statistiche conduce inevitabilmente alla logica di una vita che non
vale la pena di essere vissuta e il corpo politico si trasforma in un
corpo biologico. Infatti, in un recente articolo, Lei ha sottolineato che
nel mondo contemporaneo occidentale le tre «religioni» (il
cristianesimo, il capitalismo e la scienza) coesistono e si incontrano,
mentre oggi il conflitto tra la scienza e le altre due religioni si è
riacceso e si è concluso con la vittoria della scienza. Come valuta la
posizione degli scienziati, e della medicina in particolare, nell’attuale
crisi e come si relaziona con la gestione del potere?
4.
Una critica che Le viene fatta riguardo alla Sua concezione dello
stato di eccezione e della maniera in cui si struttura il potere è quella
di pessimismo. Infatti, secondo la Sua teoria, nelle democrazie
moderne capitaliste siamo tutti potenzialmente homines sacri e il
contesto dello stato di emergenza crea le condizioni affinché la
sovranità diventi una condizione insormontabile che le società
difficilmente possono contrastare. Vorremmo un Suo commento.
Inoltre, quali sono secondo Lei i margini di resistenza nella
situazione attuale, e quale il nuovo che potrebbe nascere?
5.
Nel testo che lei cita, avevo cercato, sulle tracce di un articolo di
Hannah Arendt che si intitolava We Refugees (Noi rifugiati), di
contrapporre la figura del rifugiato a quella del cittadino come
paradigma politico fondativo. Si trattava di mettere in questione il
senso della dichiarazione dei diritti dell’89 e della sua ripresa nel xx
secolo, con la sua equivoca distinzione-identificazione fra l’uomo e il
cittadino. E come Arendt aveva scritto che i rifugiati erano in realtà
l’avanguardia del loro popolo, così proponevo di sostituire il rifugiato
al cittadino come fondamento di un nuovo orizzonte della politica, la
cui urgenza era ormai inaggirabile. La nozione di cittadinanza, che
da Atene alla modernità era al centro della vita politica della città, si
era andata progressivamente svuotando negli ultimi decenni di ogni
contenuto politico reale. Sotto l’influsso della dimensione biopolitica
e poi con l’istaurazione del paradigma della sicurezza, la
cittadinanza esprimeva una condizione sempre più passiva, oggetto
di un crescente e onnipervasivo controllo.
Col nuovo paradigma della biosicurezza che si sta istaurando sotto i
nostri occhi, la nozione di cittadinanza è ormai completamente
cambiata e il cittadino è diventato l’oggetto passivo di cure, controlli
e sospetti di ogni tipo. La pandemia ha mostrato senza possibili
dubbi che il cittadino si riduce alla sua nuda esistenza biologica. In
questo modo egli si avvicina alla figura del rifugiato fin quasi a
confondersi con essa. Il rifugiato è diventato ormai interno al corpo
stesso del cittadino. Si disegna così una nuova guerra civile, nella
quale il nemico è, come il virus, interno al corpo proprio. E, come
suole avvenire ogni volta che coloro che si combattono sono
diventati troppo simili, la guerra civile si fa ancora più feroce e senza
possibile tregua.
6.
La situazione estrema creata dall’epidemia ha causato un clima di
panico. La risposta è venuta prevalentemente dagli Stati nazionali, e
non tanto dalle organizzazioni internazionali, molto confuse riguardo
al da fare. L’espansione della globalizzazione – ma anche
l’incapacità del sovrano a legittimare le fondamenta del suo potere –
sugli individui e nella società, sembrava eliminare il ruolo degli Stati
nazionali nella gestione politica, erigendo il mercato ad unico fattore
regolatore. Oggi, di fronte all’epidemia, il concetto di leader si è
rafforzato e i governanti degli Stati si presentano come i salvatori
della società – è quello che stiamo vivendo in Grecia. Quale pensa
che sarà la condizione dello Stato-nazione dopo la pandemia?
7.
8.