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DIPARTIMENTO DI SCIENZE FORMATIVE, PSICOLOGICHE E DELLA

COMUNICAZIONE
(Sede Amministrativa: Università Suor Orsola Benincasa)

CONTINGENTE PARTHENOPE
(Sede Didattica: Università Parthenope)

CORSI DI FORMAZIONE PER IL CONSEGUIMENTO DELLA


SPECIALIZZAZIONE PER LE ATTIVITÀ DI SOSTEGNO DIDATTICO AGLI
ALUNNI CON DISABILITÀ
SCUOLA SECONDARIA DI SECONDO GRADO

ELABORATO DI APPROFONDIMENTO TEORICO


SU
STRATEGIE DIDATTICHE PRE L’INCLUSIONE

APPRENDERE NELL’INCLUSIONE

Candidato
CANTILE ELVIRA MARIA ROSARIA
Matricola
AD3003425

Anno Accademico 2021 - 2022


Indice

Apprendere nell’inclusione………………………………………………………3

Introduzione ...……………………………………………………………………4

1. Premessa ……………………………………………………………………….6

1.2 Cooperative Learning………………………………………………………..6

1.3 Tutoring……………………………………………………………………...11

1.4 Didattica metacognitiva……………………………………………………..13

2. Altre proposte per una didattica inclusiva………………………………….16

2.1 Didattica aperta……………………………………………………………..16

2.2 Didattica centrata sulle intelligenze multiple………………………………18

Conclusione……………………………………………………………………...21

Bibliografia……………………………………………………………………...22

Sitografia………………………………………………………………………..23

2
Apprendere nell’inclusione

3
Introduzione

L’educazione inclusiva è stata definita dall’UNESCO nel documento


“Policy Guidelines on Inclusion in Education” del 2009, come un processo di
rafforzamento della capacità del sistema di istruzione di raggiungere tutti gli
studenti; un principio generale, che dovrebbe guidare tutte le politiche e le pratiche
educative, atteso che l’istruzione è un diritto umano irrinunciabile e fondamentale
per porre le basi di una più giusta ed equa società.
Questa definizione dà risalto ad una questione estremamente rilevante per il
sistema educativo, e si connette ad una diversa e nuova visione della scuola,
chiamata ad operare cambiamenti profondi, allo scopo di rispondere alla diversità
e alle esigenze di tutti gli allievi, nessuno escluso.
Ciò significa, non più una scuola organizzata per soddisfare le richieste
degli allievi “tipici” (o “normali”), ma un sistema educativo che cerca di intercettare
le differenze e le specificità di ognuno, valorizzandole. La prospettiva inclusiva
porta, difatti, a considerare e valorizzare la diversità di ciascuno come una
condizione di base, un a priori di cui tener conto per costruire ambienti in grado di
accogliere tutti, dove tutti si possano trovare a proprio agio, rispettati e sostenuti da
insegnanti e compagni per perseguire il massimo successo formativo.
La didattica inclusiva non è rappresentata da un insieme di contenuti
specifici, ma si caratterizza per un orientamento metodologico, uno stile operativo
da adottare nella prassi quotidiana: non si tratta, pertanto, di dedicare uno spazio
del curriculum ai temi della didattica inclusiva, ma di gestire tutti i curriculi
disciplinari, con un approccio che faciliti la partecipazione e il risultato positivo di
ogni allievo.
Parlare di apprendimento in un contesto scolastico inclusivo, significa
sostanzialmente parlare di una didattica inclusiva incentrata sulle differenze.
Ne deriva che se vogliamo davvero dare forma e corpo all’inclusività nella
scuola, le differenze non vanno solo ricercate e individuate, ma valorizzate
attraverso una significativa azione modificatrice delle pratiche didattiche, di tutti

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gli insegnamenti e per tutti gli allievi. Possiamo quindi dire che la didattica inclusiva
non ha bisogno di “speciali maghi terapeutici” e che non si fonda su specialismi di
varia natura, quanto su un investimento sistematico (sistemico) sul miglioramento
della qualità di ciò che riteniamo ordinario: nel nostro caso di fare scuola tutti i
giorni.
Dobbiamo quindi interrompere quel circolo vizioso all’interno del quale si
propone una visione ancora separata della didattica: da un lato, quella per la
maggior parte degli allievi e dall’altra, quella per alcuni allievi con BES. Come se
tutti, nessuno escluso, non fossero destinatari nel tempo di pratiche e azioni
didattiche individualizzate e personalizzate.
A partire da queste premesse, ci soffermeremo su alcuni approcci didattici
che possono aiutare i docenti a porre in essere un insegnamento inclusivo centrato
sulle differenze, andando ad influire notevolmente sul successo formativo diffuso.

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1. Premessa
Di seguito si illustrano gli aspetti peculiari di alcune metodologie didattiche
inclusive, particolarmente utili nella pratica quotidiana, per la loro capacità di
caratterizzare il processo di insegnamento-apprendimento. Ci riferiamo
all’apprendimento cooperativo, al tutoring e alla didattica metacognitiva, approcci
la cui validità ed efficacia sono riconosciuti nella letteratura scientifica
internazionale. In modo particolare si distinguono per la loro duttilità e qualità che
li connota come pratiche che favoriscono l’individualizzazione e la
personalizzazione didattica orientata a rispondere alle differenti caratteristiche di
tutti gli alunni. Attraverso l’apprendimento cooperativo, il tutoring e la didattica
metacognitiva gli insegnanti possono agire contestualmente sia sul piano cognitivo
che socio-relazionale degli allievi, promuovendo lo sviluppo di competenze
strategiche, secondo la logica dell’imparare ad imparare.

1.2 Cooperative Learning


Collaborazione, cooperazione, mutuo insegnamento e apprendimento sono
da considerarsi ormai i capisaldi di una didattica moderna, chiamata ad allontanarsi
da quel modello di scuola di tipo industriale, ampiamente criticato, e finalizzata a
selezionare e ad orientare, nella quale a tutti gli alunni vengono insegnate le stesse
cose secondo ritmi rigidi e standardizzati.
Quando parliamo di apprendimento cooperativo facciamo riferimento ad
una metodologia didattica che ha quali dimensioni caratterizzanti:
- la mediazione sociale;
- l’uso internazionale di piccoli gruppi;
- il lavoro cooperativo finalizzato a massimizzare il rendimento
personale e collettivo.
Analizzando questi aspetti emerge in maniera indiscussa una significativa
differenza tra la didattica tradizionale, centrata unicamente sull’azione
dell’insegnante, e tra il mero lavoro di/in gruppo.
Nella didattica tradizionale, il docente:
- è la risorsa principale del processo di insegnamento;
- è orientato soprattutto verso i contenuti;

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- fissa il ritmo di apprendimento;
- valuta i livelli raggiunti e il livello minimo da raggiungere;
- predilige la spiegazione come modalità di comunicazione;
- insegna secondo la modalità che preferisce o che crede sia efficace.
Mentre, il discente:
- è scarsamente coinvolto nel processo di insegnamento;
- accoglie con fiducia o remissività i contenuti proposti;
- si adegua al ritmo proposto o cerca di ostacolarlo;
- accetta il giudizio espresso dall’insegnante, adeguandosi ai suoi
standard;
- è prevalentemente ricettivo di fronte alla spiegazione
dell’insegnante;
- si adatta alla modalità stabilita dall’insegnante.
Diversamente, nell’apprendimento mediato dagli allievi, il docente:
- agevola l’apprendimento degli alunni;
- organizza e pianifica il lavoro in funzione di specifici obiettivi
cognitivi;
- favorisce l’integrazione e l’incontro tra competenze e culture diverse
organizzando gruppi eterogenei;
- partecipa alla valutazione degli alunni;
- assegna una responsabilità personale;
- forma ordinariamente gruppi eterogenei per abilità e competenze.
Mentre, il discente:
- è responsabile del proprio apprendimento, aiuta e riceve aiuto;
- partecipa attivamente alla conduzione del proprio apprendimento e di
quello dei compagni;
- vive la diversità come una ricchezza e non come un impedimento o
un ostacolo;
- si auto-valuta, valuta con i compagni e con l’insegnante;
- si assume la responsabilità del proprio apprendimento e di quello dei
compagni;

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- apprende dalle competenze altrui, è educato a collaborare in modo
efficace sulla base del compito affidato, al di là dell’amicizia.
È, pertanto, chiaro quanto sia passivo il ruolo del discente nel primo caso e
quanto, invece, nel secondo sia partecipata la sua funzione all’interno del processo
di insegnamento-apprendimento. Si può pertanto affermare che si passa dalla
frequenza dell’allievo (rilevata dal solo fatto di essere in classe, chiamato in causa
quando decide il docente) a una vera e propria presenza (in quanto soggettività
agente in una collettività) derivante da una partecipazione socialmente attiva e
consapevole (quindi responsabile).
L’apprendimento cooperativo, quando è tale, si discosta anche dal semplice
lavoro di gruppo, infatti, nei gruppi tradizionali di apprendimento:
- ciascun allievo è responsabile solo di sé stesso;
- c’è una responsabilità individuale;
- l’attenzione è incentrata sul compito e sui risultati individuali;
- c’è scarsa considerazione delle abilità sociali, si stabilisce (o si
impone) un leader;
- la valutazione è individuale.
Mentre, nei gruppi di apprendimento cooperativo:
- tutti sono responsabili dell’apprendimento di tutti;
- c’è responsabilità individuale e di gruppo;
- l’attenzione è incentrata sul compito e alla qualità delle interazioni
che si instaurano all’interno del gruppo;
- gli allievi promuovono il successo reciproco, lavorano insieme e si
sostengono;
- le abilità sociali indispensabili per lavorare in gruppo sono
enfatizzate e direttamente insegnate: gli allievi riflettono sull’uso delle abilità
sociali e la leadership è diffusa;
- la valutazione è sia individuale che collettiva: i miglioramenti del
gruppo sono valorizzati.
Nel contesto odierno abbiamo a disposizione una vastissima letteratura in
riferimento a tale metodologia didattica, non solo frutto di teorizzazioni, ma anche
di testimonianze dirette e di pratiche effettivamente adottate sul campo. In

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particolare il Learning together (Johnson e Johnson) e lo Structural approach
(Kagan) sono i due approcci di apprendimento cooperativo che hanno avuto
maggiore diffusione nel nostro Paese, per la loro chiarezza e praticità.
Ecco i principi fondamentali sui quali si fondano rispettivamente:
1. Interdipendenza positiva: gli allievi membri del gruppo lavorano su
obiettivi tali per cui nessuno può giungere al successo da solo. Si afferma così il
principio fondamentale della didattica e dell’educazione inclusiva, ossia che il
profitto di ogni studente è correlato (e non rapportato in termini di valutazione
comparativa) a quello degli altri.
2. Responsabilità individuale: il contributo di ciascun allievo è
considerato imprescindibile per il raggiungimento degli obiettivi del gruppo. Tutti
gli allievi sono chiamati a rendere conto agli altri componenti della propria parte di
lavoro e di quanto hanno appreso. In tal modo si evitano sterili competizioni, la
presenza dei cosiddetti free riders (corridori o battitori liberi) o dei primi della
classe, così come i fenomeni di social loafing (delega, disimpegno). Gli insegnanti
possono aiutare gli allievi a valorizzare il contributo di ciascuno, magari
suggerendo di evidenziare le parti svolte con colori diversi oppure di apporre una
firma.
3. Interazione faccia a faccia: una delle condizioni essenziali per dare
forma ad un processo di apprendimento cooperativo è che si allestisca un ambiente
del compito configurato in modo da permettere a tutti di interagire direttamente, di
scambiarsi materiali, idee, commenti, azioni di supporto ecc. Si esalta così la
funzione del feedback che assume forma reticolare e non solo unidirezionale
(insegnante vs allievo/i). Ciò influisce anche positivamente sul clima della classe.
4. Insegnamento diretto delle abilità sociali: è di primaria importanza
accompagnare il lavoro in gruppi cooperativi con l’acquisizione e lo sviluppo delle
competenze sociali e pro-sociali, in quanto negli allievi vi è una scarsa capacità di
gestirsi socialmente perché abituati a contesti poco socializzanti e altamente
competitivi, dove prevale l’interdipendenza negativa.
5. Valutazione individuale e di gruppo: tutti i componenti del gruppo
verificano e discutono i progressi compiuti in riferimento agli obiettivi da
raggiungere e si soffermano ad analizzare anche la qualità dei loro rapporti

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relazionali. In tal modo, si attivano procedure di riflessione metacognitiva
(individuale e collettiva), che assolvono una funzione fondamentale ai fini
dell’interiorizzazione e della rielaborazione delle conoscenze. Tale valutazione si
fonda su attività specifiche di rilevazione delle abilità sociali degli strumenti
(monitoring svolto dall’insegnante o da uno studente incaricato) e su attività auto-
valutative finali (processing) condotte dagli stessi allievi e che vengono realizzate
in forma individuale e di gruppo.
6. Equa partecipazione: si creano le condizioni affinché tutti gli allievi,
con modalità e forme differenziate se necessario, partecipino alle attività proposte.
Le condizioni sono collegate al modo in cui predisponiamo l’ambiente del compito
e non possono essere lasciate al caso, alla presunta motivazione dei singoli, alla loro
destrezza nel rispondere. Pensiamo al fenomeno della mano alzata, da molti
considerato come democratico: in realtà non si tiene nel giusto conto che spesso
molti allievi non intervengono, perché inibiti dal timore di questa competizione, e
anche se interpellati o invitati a intervenire, rischiano di fallire perché in quel modo
si sentono osservati e giudicati. La stessa cosa vale per il portavoce del gruppo. Di
solito, infatti, questo viene scelto in base a criteri di leadership (implicita)
riconosciuta o attribuita all’allievo: la sua popolarità (se scelto dai suoi compagni)
oppure il suo livello di rendimento (se indicato dall’insegnante). L’apprendimento
cooperativo si propone di per sé come alternativa al modello competitivo (mano
alzata) o di apprendimento sociale (portavoce). Ciascun componente del gruppo, in
base agli assunti dell’interdipendenza positiva e della responsabilità deve essere
infatti messo nella condizione di poter avere uno spazio consono a esporre,
discutere, proporre ecc. Fondamentale qui è la gestione della classe e delle relazioni
da parte dell’insegnante che agisce da facilitatore (Rogers).
7. Interazione simultanea: le attività didattiche sono progettate in modo
da offrire a tutti gli allievi la possibilità di interagire nello stesso tempo. Nella
didattica tradizionale gli allievi sono chiamati a intervenire uno alla volta: in tal
modo si attivano minori opportunità di confronto rispetto a quelle offerte da una
interazione simultanea in piccoli gruppi. L’interazione simultanea consente agli
allievi di partecipare in maniera più significativa e per un tempo maggiore

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all’attività di classe. Per dare vita ad una relazione simultanea possiamo agire in
questo modo:
- assegniamo o facciamo emergere un tema o un argomento;
- gli allievi lo affrontano in una prima fase in coppia, in modo che
ciascuno possa avere il tempo di parlare (oltre che di ascoltare con maggiore
partecipazione);
- gli allievi compongono poi gruppi da quattro, raccogliendo e
rilanciando quanto emerso nei lavori di coppia;
- infine si ricompone il grande gruppo e consentiamo a tutti di esporre
le proprie posizioni, il contributo individuale e quanto elaborato dal gruppo.
Come di evince da questo semplice esempio, la funzione dell’insegnante è
strategica: promuove, facilita, condivide ecc. Naturalmente è importante che siano
state preventivamente chiarite e condivise le regole del funzionamento delle attività.
Nell’ambito dell’apprendimento cooperativo gli insegnanti dovrebbero
assolvere a una funzione strategica, di regia. Il regista, infatti agisce sullo sfondo
cercando di dare risalto alle peculiarità dei protagonisti ed è tanto bravo quanto più
riesce a nascondere la sua mano, lasciando comunque impressa la sua impronta.

1.3 Tutoring
Al pari dell’apprendimento cooperativo anche il tutoring si pone come
un’opportunità per favorire una didattica inclusiva. L’eterogeneità degli allievi che
compongono oggi una realtà classe-tipo consente di far ricorso a questa
metodologia, sia per l’acquisizione di conoscenze e competenze di tipo cognitivo,
sia per lo sviluppo di obiettivi di carattere socio-emotivo.
Esistono diverse modalità di utilizzo del tutoring:
1. tra allievi di pari età;
2. tra studenti di età diversa;
3. all’interno della stessa classe;
4. tra studenti di classi diverse;
5. come azione di supporto a chi deve svolgere la funzione di tutor
(insegnare ad insegnare);
6. tra allievi con funzionamenti diversi.

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Al punto 6 facciamo riferimento agli allievi che nelle scuole italiane
attualmente sono indicati come BES o con difficoltà di apprendimento. In questo
caso è bene rimarcare che l’azione di tutorato non deve essere solo destinata a chi
manifesta la difficoltà, ma deve essere sempre interscambiabile. Infatti offrire a tutti
la possibilità di esercitare a turno la funzione di tutor (colui che offre il tutoraggio)
e di tutee (colui che riceve tale azione) apporta numerosi vantaggi sia sul piano
psicopedagogico, sia su quello didattico: non solo incide sull’autostima,
sull’autoefficacia e sulla motivazione intrinseca, ma implementa i livelli di
partecipazione diretta al compito con un vantaggio sul rendimento scolastico.
In effetti, quando assume il ruolo di tutor, l’allievo familiarizza sia con i
contenuti sia con il processo didattico che deve essere attivato per insegnare. Com’è
noto, infatti, se è vero che apprendiamo il 10% di ciò che leggiamo e il 20% di ciò
che ascoltiamo, è altrettanto vero che acquisiamo oltre il 90% di ciò che spieghiamo
agli altri.
Una traduzione operativa può essere il libro delle disponibilità. Si tratta di
un percorso educativo che si snoda attraverso le seguenti fasi, molto semplici da
replicare:
1. la classe si confronta sul fatto che ciascun allievo sia portatore di una
o più competenze, tali da poter avere a che fare con molti ambiti (scolastico,
sportivo, sociale, informatico ecc.) e sono tutte importanti ed utili nelle varie
circostanze della vita;
2. sulla base di questo primo confronto, viene creato il “libro delle
disponibilità”, dove tutti gli allievi indicano un settore (scolastico o extrascolastico)
nell’ambito del quale ritengono di possedere una conoscenza o una competenza da
poter essere messa a disposizione al momento del bisogno;
3. tutti si impegnano l’uno con l’altro, nel momento della richiesta, a
mettere a disposizione la loro competenza.
Due sono gli aspetti significativi di questa azione di tutoraggio al fine di
creare un ambiente inclusivo:
1. tutti sono aiutati a valorizzare le proprie capacità e competenze;
2. il tutoring assume una vera e propria valenza di strategia normale di
lavoro, che non si indirizza soltanto agli allievi che presentano difficoltà. Viene

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fortemente stimolata la capacità di prestare aiuto ed anche quella, altrettanto
importante, di accettarlo favorevolmente senza ripercussioni negative per la propria
autostima.
Come nel caso dell’apprendimento cooperativo la nostra funzione come
insegnanti è quella di allestire l’ambiente del compito e di guidare le fasi iniziali
del lavoro, sfumando via via la nostra presenza a vantaggio della autoregolazione.

1.4 Didattica metacognitiva


Quando parliamo di meta-cognizione facciamo riferimento alla capacità
degli allievi di gestire con consapevolezza i processi mentali che mettono in atto,
attraverso due dimensioni tra loro sinergiche:
1. la conoscenza metacognitiva, ossia la consapevolezza che l’allievo
ha rispetto ai propri processi cognitivi. Tale modalità può essere attivata anche in
assenza (totale o parziale) delle conoscenze metacognitive specifiche per un
determinato compito che si sta affrontando. Di fronte a un nuovo compito, per
esempio, l’alunno può riconoscerne le caratteristiche e cercare di adattare alla
situazione specifica le risposte che già conosce ed è in grado di applicare;
2. i processi metacognitivi di controllo, ossia l’attività di controllo che
l’allievo esercita sui processi cognitivi che mette in atto. Nel momento in cui
l’allievo è chiamato ad operare una scelta in merito all’applicazione ed alla
valutazione delle strategie ritenute più adeguate per la soluzione di compiti di varia
natura, si attivano i processi metacognitivi di controllo, che sono finalizzati a tenere
sotto controllo tutta la vasta gamma di operazioni riconducibili all’esperienza di
problem solving. Una funzione di particolare rilievo è quella inerente i processi di
previsione, grazie ai quali si possono formulare giudizi preventivi sull’andamento
di un’attività o in merito ai suoi risultati.
L’autoconsapevolezza del proprio funzionamento cognitivo (mediata dalle
strategie di autoistruzione e automonitoraggio) e l’autoregolazione cognitiva
rappresentano due aspetti chiave della didattica metacognitiva; di conseguenza

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dobbiamo porre molta attenzione sull’acquisizione, da parte degli allievi, dei passi
procedurali di autoregolazione, per esempio facendo sì che essi apprendano a:
- fissare chiaramente un obiettivo, rendendolo operativo in termini di
risultati;
- specificare le modalità di svolgimento delle attività che si prevedono
funzionali per il conseguimento dei risultati attesi;
- identificare e darsi istruzioni per effettuare concretamente le
operazioni pianificate;
- osservare l’andamento del processo di apprendimento, raccogliendo
informazioni e dati sull’andamento;
- operare un confronto tra i dati raccolti in itinere e le finalità
prefissate;
- prendere decisioni in merito all’andamento e al proseguimento
attivando procedure e strategie correttive.
Un altro elemento chiave della didattica metacognitiva è rappresentato dalle
strategie, che si compongono di una o più operazioni cognitive sottostanti e
soprastanti i processi che costituiscono l’esecuzione di un compito. Le strategie
sono rivolte a risultati cognitivi (per esempio, la memorizzazione) e sono
potenzialmente attività consapevoli e controllabili.
Detto in altri termini le strategie aiutano l’allievo, impegnato in un compito,
a mettere in atto tutta una serie di operazioni cognitive essenziali ai fini del
raggiungimento di un apprendimento interiorizzato. La conoscenza e la padronanza
di un maggior numero di strategie aumenta la probabilità che il discente scelga
quella che ritiene la più adeguata ed efficace per la prestazione richiesta e per il
conseguimento delle mete auspicate.
Un ultimo concetto chiave della didattica metacognitiva, poi, ha a che
vedere con le variabili psicologiche di mediazione, quali:
- locus of control. Ovvero la dimensione della personalità in base alla
quale l’allievo attribuisce la casualità dei propri atti e degli eventi che accadono a
se stesso (locus interno) o a fattori che sfuggono alla sua volontà o controllo (locus
esterno).

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- Stile di attribuzione. Indica il grado di interesse e di significatività
che un allievo attribuisce alle strategie che apprende. Vi è quindi una correlazione
tra significatività attribuita e impegno nei confronti dell’uso di una strategia (nello
specifico) e delle strategie (in generale).
- Autostima. È la risultante dell’insieme di percezioni, valutazioni e
sentimenti che ciascuno allievo ha nei confronti della propria persona. Influisce sul
modo in cui affronta l’apprendimento e ne determina spesso gli esiti, condizionando
le scelte presenti e future.
- Senso di autoefficacia. Ci si riferisce alle convinzioni che un alunno
ha circa la capacità di autoregolare il proprio apprendimento, di organizzare e
gestire gli eventi in modo idoneo al conseguimento dei risultati che si è preposto. Il
senso di efficacia personale comprende fattori cognitivi, emotivi e affettivi che
interagendo tra di loro cooperano nel fornire una direzione all’evoluzione personale
dell’individuo e alla qualità del suo benessere.
- Motivazione. Si definisce intrinseca quando ha a che vedere con la
disponibilità dell’allievo di impegnarsi in un determinato compito/ambito a
prescindere da riconoscimenti (sociali, materiali, affettivi…) esterni che ne possano
derivare. Si parla invece di motivazione estrinseca, quando l’allievo è incoraggiato
e sostenuto nell’apprendimento grazie all’introduzione di elementi esterni
(approvazioni, premi…) che operando un’azione di rinforzamento dell’impegno
profuso, aumentano le probabilità che questo si verifichi nuovamente in futuro.
Possiamo dunque affermare che la didattica metacognitiva mira ad offrire
agli allievi l’opportunità di imparare ad interpretare, organizzare e strutturare le
informazioni ricevute dall’ambiente e la capacità di riflettere su questi processi per
divenire sempre più autonomi nell’affrontare situazioni nuove; ha dimostrato la sua
efficacia sia per l’affinamento di competenze trasversali, come l’attenzione, la
memoria, il metodo di studio, sia per l’apprendimento di abilità più prettamente
curricolari, come la lettura e comprensione del testo, la matematica, la scrittura ecc.
Si tratta di evidenze riscontrabili non solo negli allievi che manifestano
difficoltà ma con tutti nessuno escluso.

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2. Altre proposte per una didattica inclusiva
Non va sottaciuto che vi è una didattica ancora più inclusiva in quanto mira
a generare contesti di apprendimento aperti e partecipati da tutti e da ciascuno, a
prescindere dalla presenza di difficoltà di apprendimento.
Si tratta di approcci più recenti:
1. La didattica aperta, per mezzo della quale i sostenitori suggeriscono
di dare vita ad una vera e propria riconfigurazione dei contesti e delle azioni con
cui si svolge la pratica didattica, nonché di attuare una ridefinizione delle funzioni
dei ruoli dell’insegnante e dell’allievo nel loro relazionarsi.
2. La didattica delle intelligenze multiple, che rende concreta e
operativa l’idea di personalizzare la didattica valorizzando le differenze che
caratterizzano ciascun allievo.

2.1 Didattica aperta


Il tratto distintivo della didattica aperta risiede nella libertà di scelta
dell’alunno e nel ruolo attivo e partecipativo che questo approccio gli assegna.
È un allievo non solo fruitore di un’offerta formativa, ma un vero e proprio
ideatore.
In autonomia assume decisioni e dà forma, insieme agli insegnanti e ai
compagni, al proprio percorso di apprendimento, sceglie, si auto-organizza, si auto-
regola, si auto-determina e partecipa pienamente.
I principi guida della didattica aperta sono quindi:
- la decentralizzazione dell’insegnamento. L’insegnante non è più al
centro dell’azione didattica, si dà più spazio alle azioni dei singoli bambini che
quindi hanno la possibilità di dare forma all’interno di una stessa aula a più e diverse
forme di apprendimento.
- La differenziazione autodeterminata. Consiste nella possibilità per
gli alunni di scegliere, progettare, portare avanti e valutare un proprio progetto
formativo differente da quello dei compagni e coerente con il proprio stile di
apprendimento e con la propria storia.
Si tratta, a ben vedere, di principi che riconducono anche alla pedagogia
libertaria, in modo particolare al concetto di spazi pedagogici depotenziati, dove

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prevale la logica orizzontale rispetto a quella verticale, dove si crea un tessuto di
relazioni, di cura, di accoglienza e non isole nell’oceano: organismi inseriti
nell’ambiente che da esso imparano e che trasformano, per i propri fini interni, ciò
che li circonda.
Spazi aperti agli scambi ed agli incontri, che coltivano la saggezza pratica
come capacità di rapporto con gli altri, con il mondo, capacità di riflessione e di
dibattito, che è la base di ogni cittadinanza attiva.
A seconda del grado di autonomia e di libertà di scelta assegnato all’allievo
si parla di didattica aperta, vera e propria (considerata come maggiormente radicale)
oppure di aperture didattiche.
I gradi di apertura vanno declinati in riferimento a quattro dimensioni (o
categorie):
1. apertura organizzativa, che ha a che fare con le scelte che gli allievi
possono fare rispetto ai tempi, ai luoghi e agli eventuali partner;
2. apertura metodologica, inerente alle modalità di risolvere un
problema, indagare una tematica, sviluppare ed esercitare una competenza: per
esempio l’autoregolazione dei processi di apprendimento, esplorando diverse vie
per affrontare i compiti e diversi strumenti che possano facilitarli, individuandone
i pro e i contro, scegliendo poi di volta in volta la migliore metodologia per se stessi;
3. apertura dei contenuti dei processi di apprendimento e
insegnamento, per esempio l’autodeterminazione delle conoscenze e delle
competenze da apprendere, pur nel rispetto di un curriculo in linea con le
Indicazioni Nazionali;
4. apertura nella socializzazione, inerente alla loro comunità scolastica,
al clima e alle regole di classe, al modo di gestire tempi e spazi comuni: per esempio
la partecipazione attiva e democratica alla definizione di regole, alle modalità di
gestione delle relazioni fra pari e con gli insegnanti, alle iniziative ed esperienze
comuni all’interno dell’intero gruppo classe.
Appare chiaro come la didattica aperta non sia un metodo o una tecnica,
quanto più un approccio che può inglobare in sé innumerevoli metodi ed approcci
strategici all’insegnamento-apprendimento. Tra questi vanno annoverate alcune
metodologie che sono state sviluppate nel corso degli anni e in particolare:

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1. il lavoro a stazioni. Il quale prevede l’allestimento (in uno degli spazi
della scuola, l’aula, la palestra, il giardino ecc.) di alcune postazioni nelle quali sono
proposte attività differenziate, ma tra loro accomunate o dall’acquisizione di una
competenza o dalla tematica. Gli allievi, a seconda della situazione, sono invitati a
svolgere o tutte le attività previste o ad affrontarne alcune in modo obbligatorio ed
altre in modo opzionale. Il lavoro a stazioni ha come punti di forza la varietà
metodologica che lo contraddistingue e l’autonomia dell’allievo nello svolgere le
attività e i compiti previsti;
2. il piano di lavoro settimanale. Si tratta di una lista di compiti da
assolvere che viene consegnata agli allievi e che loro stessi devono gestire in piena
autonomia nel tempo assegnato. Ha una scansione stabile e, a differenza del lavoro
a stazioni che è indicato per l’acquisizione di specifiche competenze e per affrontare
temi specifici, ha una funzione per così dire curricolare entrando a pieno titolo
nell’orario settimanale dell’intero anno scolastico.
Nella didattica aperta l’allievo e il suo apprendimento riacquistano piena
centralità, la funzione del docente è quella del regista, perché fondata su una piena
fiducia nelle capacità e nel desiderio di apprendere dell’allievo.

2.2 Didattica centrata sulle intelligenze multiple


Il principio base della didattica delle intelligenze multiple si fonda sulla
convinzione che ogni persona, e quindi ogni alunno, può sviluppare le proprie
abilità cognitive e competenze, attraverso una molteplicità di canali di
apprendimento.
Ogni individuo è caratterizzato da un ampio ventaglio di abilità che gli
permettono, non solo di accedere alla conoscenza in modi plurimi e variegati, ma
anche e soprattutto di elaborare, processare e organizzare questa conoscenza in
modo unico e originale.
Si modifica (proprio in quell’ottica trasformativa della scuola che abbiamo
definito come vera espressione dell’inclusività) l’idea stessa di didattica: non più
dare a tutti le stesse cose (secondo un principio non del tutto definito e quindi
rischioso di pari opportunità), ma a dare a ciascuno ciò di cui ha effettivamente
bisogno.

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Partire dal presupposto che esistano intelligenze plurime, significa acquisire
coscienza del fatto che, didatticamente parlando, esistono pluralità di modalità di
apprendimento, canali di acquisizione, elaborazione e organizzazione della
conoscenza.
È questo il presupposto per quel cambiamento che apre la strada ad un
approccio divergente e creativo all’apprendimento che suggerisce nella didattica di
fare riferimento a più input, output, feedback, rinforzi, affettività, linguaggi.
Se teniamo conto delle differenze di cui ciascun allievo è portatore, allora
possiamo davvero offrire a tutti e a ciascuno la possibilità di costruire un percorso
personalizzato di acquisizione della conoscenza. Non solo: così facendo diamo la
possibilità all’allievo di dare senso e significato a ciò che sta facendo (cosa non
peregrina, se pensiamo a quanto spesso si lamentato gli studenti in merito al fatto
di non comprendere i motivi autentici, per i quali vanno a scuola e studiano). Alcune
proposte didattiche, in linea con la teoria di Gardner, suggeriscono di proporre agli
allievi le diverse esperienze di apprendimento coinvolgendoli a partire da punti di
accesso (entry points) diversificati, che li portino a compiti e a verifiche delle
acquisizioni altrettanto diversificati/e (exit points).
La struttura degli entry/exit points, non riguarda solo l’acquisizione di
abilità e competenze trasversali, ma anche obiettivi squisitamente disciplinari.
Di fondamentale importanza è in questo contesto il concetto di bridging
(gettare ponti). Si tratta di una struttura che consente al docente, a partire dai punti
di forza degli allievi, di sviluppare mediante attività mirate le aree dove hanno
minore familiarità o presentano difficoltà.
Il bridging può essere attivato in una dimensione di gruppo, nella quale le
diverse capacità degli allievi si correlano alle diverse aree di apprendimento
mediante l’interazione tra pari, oppure in una dimensione maggiormente
individuale, dove le attività didattiche sono calibrate alle caratteristiche (in termini
di abilità, di stile di lavoro ecc.) del singolo alunno. Ad esempio, l’allievo che
manifesta un’intelligenza prevalentemente musicale può essere sollecitato, a partire
da attività centrate su strutture di apprendimento ritmo-sequenziali, ad acquisire
concetti linguistici e logico-matematici. Allo stesso modo (e questo è utilissimo
nella strutturazione di pre-requisiti alla letto-scrittura o per allievi che hanno

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difficoltà nel linguaggio) gli elementi cardine della struttura delle frasi possono
essere fatti acquisire mediante la valorizzazione delle competenze corporeo-
cinestetiche possedute dall’allievo.
In conclusione, se da un lato (quello dell’allievo) la didattica centrata sulle
intelligenze multiple ricolloca colui che apprende al centro del processo di
apprendimento, fornendogli intenzionali e sistematiche opportunità di
autoconsapevolezza e autoregolazione dei propri repertori strategici per costruire la
conoscenza, dall’altro (quello del docente) si offre come una possibilità di reale
trasformazione del modo di intendere la pratica didattica.
Chi fa propria questa metodologia didattica si apre al confronto con gli altri,
riflette e rimodella le proprie pratiche, condivide la progettazione di percorsi
utilizzando e valorizzando le “intelligenze” sue e dei suoi colleghi.
Sembra una sfida complessa, ma al tempo stesso affascinante e davvero
decisiva se vogliamo realizzare una didattica inclusiva in una scuola che sia
realmente inclusiva.

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Conclusione

In conclusione, l’educazione inclusiva e, più precisamente la didattica


inclusiva, offre ai docenti un approccio all’insegnare diverso che propone ricche e
specifiche opportunità di apprendimento per tutti, considerando le differenze
individuali come un dato di fatto da cui partire e non casi eccezionali da risolvere.
L’inclusione significa non chiedersi cosa è sbagliato nel discente, ma cosa
c’è di sbagliato nella scuola. Ecco allora perché lo sguardo va posto sul contesto e
non più sulle mancanze, sulle difficoltà e disabilità degli allievi. Promuovere e
realizzare l’inclusione a scuola non rappresenta, dunque, porre l’attenzione sul
l’alunno con le sue difficoltà, diversità, disabilità, ma modificare i contesti affinché
questi diventino inclusivi e accessibili a tutti.
La professione di insegnante si pone oggi con una veste del tutto nuova,
lontana ormai dall'essere semplice trasmettitore culturale o mero applicatore di
soluzioni: è operatore di ricerca-azione, programmatore, supervisore, elaboratore e
produttore di soluzioni efficaci in contesti specifici, professionista riflessivo.
È necessario che gli insegnanti assicurino ad ogni componente del gruppo-
classe uno specifico itinerario di apprendimento: in una classe, infatti ci sono tante
abilità, limiti e risorse nascoste quanti sono gli allievi.
La scuola moderna è quella della mediazione educativa, in cui gli alunni
vengono valorizzati come persone e mai omologati, rispettando gli stili individuali
di crescita, al fine di promuovere apprendimenti significativi e davvero
personalizzati per tutti.
In questo contesto si inserisce la figura dell'insegnante di sostegno, volta a
promuovere nel ragazzo diversamente abile la conquista dell'autonomia personale
e sociale.

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Bibliografia

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