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Solution Manual For Principles of Geotechnical Engineering 8th Edition Sobhan Das 9781133108665 1133108660
Solution Manual For Principles of Geotechnical Engineering 8th Edition Sobhan Das 9781133108665 1133108660
2.3 a.
Sieve Mass of soil retained Percent retained Percent
no. on each sieve (g) on each sieve finer
4 28 4.54 95.46
10 42 6.81 88.65
20 48 7.78 80.88
40 128 20.75 60.13
60 221 35.82 24.31
100 86 13.94 10.37
200 40 6.48 3.89
Pan 24 3.89 0.00
∑ 617 g
1
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2
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b. D10 = 0.16 mm; D30 = 0.29 mm; D60 = 0.45 mm
D 0.45
c. Cu = 60 = = 2.812 ≈ 2.81
D10 0.16
D230 0.292
d. Cc = = = 1.168 ≈ 1.17
2.4 a.
Sieve Mass of soil retained Percent retained Percent
no. on each sieve (g) on each sieve Finer
4 0 0.0 100.00
6 30 6.0 94.0
10 48.7 9.74 84.26
20 127.3 25.46 58.80
40 96.8 19.36 39.44
60 76.6 15.32 24.12
100 55.2 11.04 13.08
200 43.4 8.68 4.40
Pan 22 4.40 0.00
∑ 500 g
3
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b. D10 = 0.13 mm; D30 = 0.3 mm; D60 = 0.9 mm
4
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antica delle altre città sue vicine! In questo tratto però veramente aureo
non può non ammirarsi quella stessa diligenza, ed esattezza colla quale
spacciò anche nel medesimo luogo che di Ruvo avevano parlato
Cicerone, Pomponio Mela, Stefano Bizantino, e Strabone [138]!
Li tre primi Scrittori però non hanno mai sognato di farne motto. In
quanto poi a Strabone si è creduto finora che non ne abbia tampoco
parlato, e si seguiterebbe a credere lo stesso se non si fosse da me nel
primo Capo dimostrato fino all’evidenza che quel luogo di questo
Scrittore ove si legge Νήτιον è stato corrotto, ed in vece di cotesta città
non mai esistita deve sostituirsi il nome della nostra città. Simili
inesattezze per altro sono familiari al Pratilli che non si brigava di
approfondare le cose che con soverchia facilità smaltiva.
Non è mio proponimento di entrare in una competenza di antichità colle
altre città della Peucezia ch’ei sorbendo un caffè le ha dichiarate più
antiche della città di Ruvo. Chi mai, fuori che il Pratilli, potrebbe
azzardarsi a parlare con tanta franchezza di fatti avvenuti prima della
Guerra di Troja? Se però in mezzo a tanta caligine valer possono qualche
cosa le conghietture e gli argomenti, non possono questi non
preponderare per la maggiore antichità della mia Patria.
Si è innanzi dimostrato che coloro che la fondarono si proposero di
riprodurre in essa una delle dodici illustri città dell’Acaja loro patria.
Erano essi di là partiti, non perchè l’avessero odiata, ma perchè la
sovrabbondanza della Popolazione faceva sì che il suolo natìo non era
sufficiente a nutrirgli, come ce lo fa conoscere Dionigi di Alicarnasso.
Abbandonarono quindi la loro patria costretti dall’impero della necessità
che gli obbligò a cercare altrove un comodo sostentamento, e portarono
seco loro l’amore di essa.
L’amore della propria patria è potentissimo nel cuore degli uomini. La
rimembranza di que’ luoghi ove abbiamo aperti gli occhi alla luce, ove
siamo stati allevati ed educati, ed ove abbiamo passati i nostri primi anni,
ci è sempre cara e non è mai cancellata nè dal tempo nè dalla lontananza.
Dulcis amor Patriæ. Per questo santo amore l’uomo affronta tutti i
pericoli, e sparge se occorre anche il proprio sangue.
Cotesto amore però pe ’l loro Paese natìo lo sentivano i primi Coloni
Greci che sotto il comando di Peucezio conquistarono quella Regione, ed
ivi si stabilirono. Non potevano certamente sentirlo allo stesso modo i
loro discendenti, i quali non conoscevano la Grecia, e le dette dodici
illustri città che avevano lasciate i loro avi. In conseguenza non potevano
aver per esse quella passione che avevano gli avi loro.
Mi dà ciò dritto di dire che le altre antiche città della Peucezia han potuto
man mano esser fondate dai figliuoli, e dai nipoti de’ primi Coloni Greci
che la conquistarono. Ma la città di Ruvo, che prese il nome di una delle
dodici illustri città dell’Acaja, delle quali innanzi si è parlato, deve
credersi fondata da que’ primi Coloni che avevano fresca, e viva la
rimembranza di esse, e vollero quì riprodurre quella ch’era per loro o la
più nobile, o la più cara.
Ed in vero la città della Daunia Argos Hippium fu fondata dallo stesso
Diomede, la città Pallantium fu fondata dallo stesso Evandro, la città di
Larissa fu fondata dagli stessi primi Coloni Greci che capitarono nella
Campania, per riprodurre quì quelle illustri città della Grecia che
avevano lasciate, i nomi delle quali erano loro cari. Deve credersi lo
stesso anche per Ruvo, perchè sono queste quelle conghietture che le
suggerisce il buon senso, e la conoscenza del cuore dell’uomo. Se il
Signor Pratilli avesse fatta alle stesse attenzione, non avrebbe deciso ex
cathedra che la città di Ruvo sia la meno antica di quella Regione.
Donde lo ha egli ciò rilevato? Quantum est in rebus inane!
CAPO VI.
Del sito in cui fu la città di Ruvo da principio edificata.
Sta la città di Ruvo sul dorso di una collina che la rende assai più elevata
di tutte le altre convicine città, ed in conseguenza visibile ad una più
lunga distanza. L’aere che si respira è salubre e perfetto a segno che
molti convalescenti de’ convicini luoghi vanno ivi a ristabilirsi, tranne
quelli soltanto che soffrono mal di petto. L’abitato attuale però occupa
non già il vertice della collina, ma bensì il declivio di essa che guarda il
mezzodì. La sommità della collina è al Nord della città lungi un quarto di
miglio. È la stessa attualmente occupata da una magnifica Chiesa, e da
un Convento di PP. Minori osservanti sotto il titolo di S. Angelo.
Si gode da quel punto una stupenda veduta, della quale rimangono
incantati tutti i Forestieri che capitano in Ruvo, e si portano ivi
espressamente per goderla. Sono allo stesso sottoposte una col mare
Adriatico tutte le belle città che da Barletta fino a Bari sono edificate sul
suo litorale. La ventilazione ivi è forte. Tutti i venti, e specialmente i
venti boreali dominano talmente quel punto che coloro i quali volessero
tenervi fisse abitazioni pagherebbero a prezzo ben caro il vantaggio della
veduta la più bella, e la più gaja che possa desiderarsi. Que’ Religiosi
che sono obbligati a farvi fissa permanenza debbono essere molto attenti
a guardarsi dai colpi d’aria che potrebbero loro essere funesti.
La stessa attenzione debbono avere coloro che hanno le loro abitazioni
nel lato settentrionale della città. È quello il punto più elevato di essa
contrapposto al detto Convento de’ PP. Minori osservanti, benchè la
ventilazione sia ivi meno violenta di quello che lo è nel sito del detto
Convento. È questo lato per altro meno esteso degli altri tre lati della
città che guardano l’oriente, il mezzodì, e l’occidente. Si è ciò fatto con
sano accorgimento, essendo lo stesso il più esposto all’impeto de’ venti.
Percorrendo, e contemplando su tutti i punti i luoghi adiacenti al già
detto Convento mi è sorta la idea che in quel sito, cioè nella sommità
della collina sia stata da principio edificata la nostra città. Tutte le
circostanze che ho messe a calcolo mi hanno portato a credere che
l’abitato attuale di essa sia stato costrutto ne’ tempi posteriori al declivio
della collina, onde gli abitanti non fossero stati più esposti a
quegl’incomodi, ed a quelle malattie che per le cause di sopra espresse si
rendevano inevitabili allora che il sito della città era sul vertice della
collina.
Questo mio avviso lo giustificano pienamente in astratto due luoghi di
Dionigi di Alicarnasso. Parlando egli di Oenotro che sbarcò, come
innanzi si è detto, sul litorale del mar Tirreno ci fa sapere che Condidit
oppida parva, et contigua in montibus, ut tunc erat mos. E poco dopo
soggiugne Arcadicum enim est delectari habitatione montium: qua
ratione Atheniensium Hyperacrii vocati sunt, et Parthalii: illi quod
summa juga tenerent: Parthalii vero quod ad mare incolerent [139].
Leggiamo anche presso Virgilio
Il silenzio de’ Scrittori Greci e Latini scampati alla ingiuria del tempo
sulla origine della nostra città, che non senza una ragione Paciucchelli la
dice antichissima e quindi oscura, rendeva assai scabrosa la indagine di
essa. È perciò che Uomini, comunque dottissimi, i quali non si sono di
proposito occupati a penetrare in quei bujo che la cuopriva, hanno
smaltite delle cose incoerenti tanto sulla sua nomenclatura che sulla
etimologia di essa. I tempi però in cui fiorirono li detti antichi Scrittori
erano illuminati. Da ciò che hanno lasciato scritto sulla Regione in cui la
nostra città è sita, e sulle Greche colonie dalle quali fu questa occupata
ed abitata, dalle sue antiche monete, e dai pregevolissimi monumenti
delle belle arti antiche ivi rinvenuti, ho potuto prendere quelle fiaccole le
quali mi hanno messo in grado di spingere innanzi i miei passi in mezzo
a tanta oscurità.
Eccoci ora ad un’epoca d’ignoranza di barbarie di distruzione e di
servitù, qual è quella che dopo la caduta dell’Impero di Occidente
portarono nella sventurata Italia le invasioni de’ Popoli settentrionali non
meno che de’ Saraceni. Mancata, anzi spenta la coltura, donde attingersi
una storia ordinata della nostra città? Attesa la ragione de’ tempi e la
qualità de’ Scrittori che poteva la stessa produrre, non è poco che si
conoscono almeno in generale i fatti principali avvenuti nella Italia.
Francesco Maria Pratilli nel precitato suo libro Della via Appia tra le
poche cose che ha dette della nostra città, che fa ora tanto parlar di se,
reca ciò che siegue: Patì Ruvo le sue sciagure dai Goti senza che dal
Greco Imperatore Zenone le si potesse porgere sollievo ed ajuto, ed
allora fu che addivenne ella povera di abitanti passati altrove a far
domicilio. Nè a minori ruine dovette ella soccombere per lo furore de’
Saraceni e de’ Longobardi che guerreggiavano coi Greci al rapporto de’
Cronologi di quel tempo [142]. Si è da alcuno detto anche che fu dai Goti
distrutta ed uguagliata al suolo.
Credo bene che a quell’epoca di distruzioni e di depredazioni non abbia
potuto la mia patria sottrarsi a quelle sciagure alle quali soggiacquero
tante altre città della misera Italia. Ne dà anzi di ciò forte argomento la
circostanza da me rilevata nel Capo precedente che l’attuale città di
Ruvo si vede edificata sulle rovine dell’antica città. È anche notabile che
mentre la stessa sotto tutti i rapporti era una città considerevole, niun
vestigio è rimasto fuori terra di fabbriche le quali presentino una rimota
antichità, il che pruova di esser queste rimaste tutte distrutte dalle
fondamenta. Ma dal Pratilli e da altri si son dette queste cose senza
essersi citati gli Scrittori dai quali si son tratte. A tal modo in vero si può
dire tutto ciò che si vuole.
Dalle Cronache però che han parlato de’ fatti di quell’epoca da me lette,
nulla di particolare ho potuto rilevare. Nel riportarsi in esse i fatti
avvenuti in quella Provincia, si sono tutto al più limitate a parlare di
quelli che hanno riguardata la città di Bari ch’era la più importante,
giacchè tutte le altre di second’ordine seguivano ordinariamente la sorte
di essa. Ben di rado delle dette città minori si trova per alcuna di esse
qualche cenno.
Ad ogni modo se qualche cosa per avventura mi è sfuggita, non ne son
dolente. Era cosa interessantissima, e nel tempo stesso gloriosa per la
mia patria il sottrarre alla oscurità la sua antichissima e nobilissima
origine. Per potervi riuscire nulla ho risparmiato, e nulla ho omesso. Ma
qual pro per la stessa e per me nell’affaticarmi di vantaggio a rintracciare
le notizie di que’ guasti che ha potuto soffrire da barbare Nazioni, ed
esacerbare il mio animo col percorrere que’ fatti che sarei costretto cento
volte a pentirmi di non avergli lasciati in un profondo oblio? Ringrazio
l’Altissimo ch’è rimasta ella superstite a tante ruine, mentre tante altre
città sono state distrutte, senza essere più risorte. Lascio coteste tristi e
spiacevoli minutezze (se pur se ne possono aver le tracce) a chi sia vago
di esse, ed abbia più tempo minori anni, e più valida salute di me. Mi
limiterò quindi a quelle poche notizie che vi sono dell’epoca de’
Normanni, senza innoltrarmi di vantaggio nelle ricerche di que’ tempi
che precederono la loro dominazione, nelle quali certamente il profitto
non avrebbe potuto adeguare il travaglio e ’l fastidio che sarebbero
costate.
Pria però di fare questa picciola raccolta non ometto che Pratilli nel
luogo testè citato ha riportato una lapide sepolcrale trovata in Ruvo, la
quale in verità è poca cosa, poichè fu questa messa da una donna al suo
defunto marito che si dice liberto di Cesare, senza che si conosca
neppure quale de’ Cesari allora imperava. Vale qualche cosa di più
un’altra iscrizione trovata dopo, poichè fu l’opra delle Autorità
Municipali Ruvestine al tempo dell’Imperator Gordiano.
IMP CÆS M ANTO
ni GORDIANO PIO
FEL AVG
PON MAX
TRIB P II
COS PROC
DECVRIONES
ET AVGVST
EX ÆRE COL
LATO
La trascritta iscrizione appena disotterrata si pensò conservarla con
essersi incastrata nel muro di un edificio pubblico, cioè dell’orologio che
sta nella pubblica piazza della nostra città. È da credersi che cotesta
lapide abbia formato parte del piedistallo di una statua o di altro pubblico
monumento eretto in onore dell’Imperatore Gordiano. Senza di ciò,
cadrebbe nel ridicolo la menzione fatta in essa di esser stata messa ex
ære collato de’ Decurioni e degli Augustali. La sola e semplice lapide
non sarebbe costata che pochi danari, i quali non avrebbero meritato un
vanto di tal fatta.
Pruova intanto la lapide suddetta che vi era in Ruvo un Collegio di
Augustali. Si sa che cotesta Istituzione fu creata da Tiberio in onore di
Cesare Augusto. Il Collegio degli Augustali era in Roma composto dai
personaggi li più distinti al numero di venticinque, come ce lo fa sapere
Cornelio Tacito: Idem annus novas cæremonias recepit addito sodalium
Augustalium Sacerdotio, ut quondam Titus Tatius retinendis Sabinorum
sacris, sodales Titios instituerat. Sorte ducti a Primoribus civitatis unus
et viginti. Tiberius, Drususque, et Claudius, et Germanicus
adjiciuntur [143]. Fu questa perciò riputata una dignità ed una
onorificenza. Svetonio quindi nella vita di Claudio dice che prima che
fosse stato Imperatore, Senatus quoque ut ad numerum sodalium
Augustalium sorte ductorum extra ordinem adjiceretur, censuit [144]. Dice
lo stesso anche di Galba, il quale prima che fosse stato elevato
all’Impero, inter sodales Augustales fuit cooptatus [145].
Cotesto novello culto che Cornelio Tacito lo chiama nuova cerimonia
suggerita dal folle orgoglio di chi dominava e dalla vile adulazione di
coloro che servivano, fu nel tratto successivo esteso anche agli altri
Imperatori, ai quali venivano dopo la loro morte prodigalizzati gli onori
divini. Ond’è che Giusto Lipsio nel suo Commentario al trascritto luogo
di Cornelio Tacito osserva: Idque exemplum placuit deinceps in omnibus
Imperatoribus, qui facti sunt Divi. Ita sodales Flavii, Hadrianales,
Antonini passim in Historiis memorantur. Lo stesso dice Levino
Torrentio nelle sue annotazioni al precitato luogo di Svetonio.
Quemadmodum ab Augusto Augustales, sic ab aliis Imperatoribus
nomina traxere, ut Flaviani, Æliani, Antoniniani, Helviani.
È inoltre ad osservarsi che cotesto Sacerdozio propagato in seguito anche
nelle altre città fuori di Roma, divenne coll’andar del tempo una carica
municipale. Giova sentire come ne ha ragionato Barnaba Brissonio, il
quale dice che cotesto Sacerdozio fu istituito da Tiberio In urbe XXV ex
viris primariis, in municipiis quaterni, seni, et aliquando plures: Tacitus
Annal. I, 54, Histor. II, 95. Gruterus Inscript. p. CXLIX 5, et CCXLIX 5.
Præerat toto Corpori Magister Augustalis. Gruterus p. CCXLIX 5. et p.
CXLIX, 5. Reinesius ad Inscript. p. 186, qui æque ac ipsi Augustales e
decurionibus lecti. Noris. Cenotaph. Pisan. p. 78. Hi vero non solum
sacra faciebant, sed et aliquando jus dicebant, et curam viarum
gerebant. Gruterus CCCCXXI 7 p. CCLII 3 CXLIX 5, non quidem
tanquam Augustales, sed tanquam Magistratus, quia sæpe tali dignitate
cum Sacerdotio isto fungebantur, ceu contra Reinesium probavit
laudatus Noris. Cenotaph Pisan. I 6 p. 77 et sequent. Qui et docuit non
perpetuum fuisse hoc Augustalium Sacerdotium, sed temporarium. Unde
II Augustalis appellatur L. Cancrius apud Gruterum p. XIX 6 [146].
Or s’intende bene perchè nella trascrìtta lapide si vedono gli Augustali
uniti ai Decurioni di Ruvo per ergere un monumento all’Imperator
Gordiano. Non si conosce se lo abbia questo suggerito l’adulazione o
qualche beneficio fatto alla nostra città dall’Imperatore suddetto. Passo
ora a riportare le poche cose che vi sono dell’epoca de’ Normanni,
mancandomi ogni notizia particolare relativa alla nostra città del tempo
che la precede. Avrei potuto in vero toccare quella parte che ha la stessa
per necessità avuta negli avvenimenti generali seguiti in quella Regione.
Ma questi appartengono alla Storia del Regno, e trovandosi da altri già
esposti, non amo replicare le cose risapute, ed uscire dal mio argomento.
Nella Cronaca di Lione Ostiense si parla della inaugurazione, e della
dedica della grandiosa Chiesa di Montecasino seguita nel dì 30 ottobre
1071 coll’intervento del Pontefice Alessandro II. Si dice che interfuere
tantæ tunc celebritati Archiepiscopi decem, et Episcopi quadraginta. Tra
i primi vi è Archiepiscopus Tranensis, il che pruova anche che la città di
Trani, la quale spettò al Conte Pietro Normanno, era fin d’allora una città
cospicua, e che bene a proposito Guglielmo Appulo la chiama præclari
nominis urbem. Tra i secondi si leggono: Episcopus Cannensis,
Rubesanus (di Ruvo), Monorbinensis, Juvenaciensis, Monopolitanus,
luoghi tutti che appartengono alla Terra di Bari secondo la ripartizione
attuale delle Provincie del Regno [147].
L’anonimo Cassinese riporta lo stesso fatto. Commemora i Cardinali, gli
Arcivescovi, i Vescovi ed i Magnati che intervennero alla consecrazione
della Chiesa suddetta con un concorso immenso di popolo che vi fu da
tutti i luoghi per quella grande solennità. Ci fa anche conoscere uno per
uno i nomi de’ già detti Arcivescovi e quaranta Vescovi intervenuti, e tra
questi ultimi vi è Guilelmus, sive Guibertus Episcopus Rubesanus [148].
Da Lupo Protospata si ha la seguente notizia: Anno 1082 Episcopus
Rubensis donavit Priori Montis Pelosi Ecclesiam Sancti Sabini, quæ est
in civitate Rubi, qui Prior tenebatur omni anno ad quatuor libras ceræ in
die Sabathi Sancii, et mittere unum hominem equestrem ad suas
expensas quando Episcopus Rubensis ibat ad Barum, seu ad
Canusium [149]. La Chiesetta di S. Sabino vi è tuttavia in Ruvo, e ’l
Vescovo di Montepoloso l’ha come una sua Badia, prende cura di essa e
percepisce le rendite de’ beni de’ quali è dotata. Ma non s’incarica più nè
di corrispondere al Vescovo di Ruvo le quattro libbre di cera, nè di
spedire a sue spese un uomo a cavallo quando viene a quest’ultimo la
volontà di recarsi a Bari o a Canosa [150].
Alessandro Abbate Telesino nella sua Storia De rebus gestis Rogerii
Siciliæ Regis dice che Papa Onorio sollevò contro Ruggiero i Magnati
della Puglia tra i quali Grimoaldus Barensis Princeps, Goffridus Comes
Andrensis, Tancredus de Conversano, atque Rogerius Orianensis Comes,
aliique complures. Cotesti Magnati si riunirono a Troja ove il Pontefice
si era recato da Benevento chiamato dagli abitanti di quella città, e fecero
con lui alleanza. Intanto Ruggiero sbarcò a Taranto con buon numero di
truppe. Essendosi la città a lui resa, si recò ad assediare Brindisi che
l’aveva occupata Tancredi di Conversano. Non potendo più gli abitanti di
essa tollerare i danni dell’assedio, si resero a discrezione. Dopo ciò prese
anche altri castelli de’ Baroni suoi nemici.
Il Papa quindi riunite le sue forze con quelle de’ Baroni suddetti marciò
contro Ruggiero. Questi avendo ciò saputo, andò ad accamparsi col suo
esercito vicino al fiume Bradano nel luogo denominato Vado petroso. Le
truppe Pontificie si accamparono sulla riva opposta del fiume suddetto.
Saputosi però da Ruggiero che il Pontefice era nel campo di persona, per
un tratto di rispetto si astenne dall’attaccarlo. Nè mancò di maneggiarsi
per placare il di lui animo, ed indurlo a discaricarlo dalla scomunica
contro lui fulminata e riconoscerlo per Duca di Puglia e di Calabria.
Essendo le cose andate in lungo, cominciarono a mormorarne tanto i
Baroni collegati che i loro militi, perchè vedevano mancarsi i mezzi di
mantenersi più lungo tempo in campagna. Molti di essi quindi si
ritirarono, e ’l Papa ritornò a Benevento, e di là continuò le pratiche con
Ruggiero. Finalmente si combinò con lui in un incontro ch’ebbero
insieme presso la città di Benevento ove Ruggiero si recò di persona, e fu
dal Pontefice riconosciuto come Duca di Puglia e di Calabria.
Passò dopo ciò col suo esercito ad assediare Troja. Avendo però veduto
ch’era quella città ben preparata a fargli vigorosa resistenza, ed avendo
calcolato che si avvicinava l’inverno, credè opportuno lasciare l’assedio
di essa, ed occuparsi a ricuperare la città di Melfi ed altre città Ducali
che volontariamente a lui si sommettevano, e lo chiamavano per mezzo
de’ legati a lui spediti. Il che fatto si ritirò a Salerno e di là partì subito
per la Sicilia, riserbando alla buona stagione la spedizione contro i
Magnati della Puglia suoi nemici.
Nell’assenza di Ruggiero era riuscito a Tancredi di Conversano di
ricuperare la città di Brindisi, ed altri castelli che Ruggiero gli aveva
tolti. Ma ritornato quest’ultimo alla buona stagione con poderoso
esercito, dopo aver ripigliati alcuni de’ castelli suddetti, si recò ad
assediare la predetta città di Brindisi. Avendo però calcolato che
l’assedio di essa avrebbe potuto tirare a lungo, riserbò cotesta impresa a
miglior tempo, e credè più opportuno sommettere le altre città e castelli
de’ suoi nemici. Dopo aver dunque distrutto un Paese chiamato Castrum
che preso da lui l’anno precedente aveva seguito di nuovo le parti di
Tancredi di Conversano, pose l’assedio a Monte alto.
Seguita quì dunque a dire l’Abate Telesino: Capto itaque Monte alto
R invasurus properat, qua demum
devicta, Alexander Comes, Tancredus, Grimoaldus Barensis Princeps,
necnon Goffridus Comes Andrensis tantam ipsius potentiam experti,
saniori consilio inter se habito, mox ei subjiciuntur. Unde Tancredi ipso
Dux animo jam sedatus. Terras quascumque abstulerat reddidit. Quibus
deinde præcepit ut post ipsum Trojam celeriter accessuri essent.
Soggiugne inoltre che nel marciare verso Troja prese anche la città di
Salpi [151].
Non vi può esser dubbio che l’Abate Telesino colle parole Rubeam
urbem abbia indicata la città di Ruvo. Nel precitato luogo ei si occupò a
narrare le gesta di Ruggiero ch’ebbero luogo nella Puglia. In quella
Regione non vi è altra città che porti questo nome. Dic’egli inoltre che
Rubea urbs dipendeva da Tancredi di Conversano collegato col Principe
di Bari e col Conte di Andria. Conversano Bari Ruvo ed Andria formano
un gruppo di città non molto tra loro distanti. È notabile inoltre che dal
catalogo de’ Baroni che contribuirono i soldati per la spedizione di Terra
santa al tempo di Guglielmo il Buono, del quale si è parlato innanzi alla
pag. 84 risulta che a quell’epoca la nostra città continuava tuttavia a
formar parte della Contea di Conversano. Il che pruova che alla stessa
era unita anche al tempo di Ruggiero e quindi apparteneva a Tancredi di
Conversano.
La Storia dell’Abate Telesino è scritta di un latino che si può dir buono
avuto riguardo al tempo in cui fu scritta. Fu egli contemporaneo del Re
Ruggiero, come lo ha avvertito Muratori nella prefazione alla stessa, e
come lo ha detto ei medesimo coll’essersi lodato delle occasioni avute di
avvicinare quel Sovrano. Per indicare dunque la città di Ruvo si valse
dell’espressioni Rubeam urbem ad esempio di Virgilio che disse
parimenti.