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ROBERTO BELLOSTA

Le comunità walser dell’Alta Valsesia e la difesa dei valichi alpini


Riflessi delle vicende politico-militari degli anni 1690-1691 nelle carte del fondo
«Museo don Pietro Calderini» di Varallo

Durante gli ultimi decenni del XVII secolo il ducato di Savoia si trovava di fatto sottoposto a una
sorta di tutela da parte della monarchia francese, trovandosi il duca nella condizione di doversi
piegare ai ‘consigli’ che gli giungevano da Parigi: consigli che, con il passare del tempo,
mostravano sempre più evidente la loro caratteristica, decisamente sgradevole, di veri e propri
ordini ai quali uniformarsi senza alcuna possibilità di resistenza. In questo modo, ad esempio, il
duca Vittorio Amedeo II, dopo ripetute sollecitazioni affinché si occupasse della questione valdese,
si trovò costretto, suo malgrado, ad accettare la presenza in Piemonte di un contingente armato
francese, per assecondare la volontà di Luigi XIV da tempo impegnato in una sua personale guerra -
che forse sarebbe più corretto definire ‘crociata’ - contro le minoranze protestanti diffuse al di qua
come al di là delle Alpi.
Nell’animo del duca Vittorio Amedeo si era però sempre più affermata la consapevolezza del fatto
che, se si voleva veramente garantire una qualche forma di rilevanza politica e di potere effettivo al
ducato sabaudo, non si poteva evitare di allentare in qualche modo la morsa dell’asfissiante
influenza del re di Francia. Egli prese quindi segretamente la decisione di aderire alla Lega di
Augusta, che si era formata due anni prima, nel 1688, tra le principali potenze europee per
contrastare la politica espansionistica di Luigi XIV. Nonostante le sue precauzioni per mantenere
strettamente riservate le trattative con i nuovi alleati, i francesi vennero però a conoscenza degli
accordi e cercarono di costringere il Savoia a chiarire la propria posizione.
Così Carlo Botta nella sua Storia d’Italia descriveva la situazione del duca Vittorio Amedeo in quel
delicato momento:

«Già nel Delfinato si trovavano raccolti grossi corpi bene armati, e già il nemico nelle viscere
s’annidava per la possessione di Pinerolo e di Casale. Né vedeva [il duca], che in caso di un
insulto improvviso gli potesse venire sufficiente soccorso dallo stato di Milano; perché,
quantunque il conte di Fuensalida, governatore adunasse le armi Milanesi, facesse conserva di
munizioni da bocca e da guerra, scrivesse ai viceré di Napoli, di Sicilia e di Sardegna di
mandargli nuovi soldati, tuttavia queste provvisioni non erano né sufficienti né pronte, quanto
il bisogno richiedeva» 1.

Quello fin qui delineato per sommi capi è il contesto storico generale entro il quale si collocano le
vicende oggetto di questo contributo, ovvero gli eventi bellici che interessarono il territorio
piemontese nell’ultimo decennio del ‘600, nell’ambito dei quali è maturata la stesura della relazione
sugli interventi di fortificazione dei valichi valsesiani verso la valle d’Aosta, conservata presso
l’Archivio Borromeo dell’Isola Bella, che costituisce l’oggetto dei contributi di Carlo Alessandro
Pisoni e Valerio Cirio pubblicati nelle pagine seguenti. Per fare luce sugli aspetti che vorrei in
particolare qui evidenziare - ovvero i riflessi che gli eventi della grande Storia ebbero, a livello
locale, su di un territorio geograficamente marginale come la Valsesia -, mi baserò anche sulle
notizie e sulle informazioni ricavate da una serie di documenti, esigua per numero ma significativa

1
C. BOTTA, Storia d’Italia, continuata da quella del Guicciardini, sino al 1789, t. VII, Parigi 1832, p. 21.

1
per contenuti, relativa a questo poco conosciuto episodio di difesa comunitaria dei confini
valsesiani, conservata presso la Sezione di Archivio di Stato di Varallo nel fondo Museo don Pietro
Calderini.
Queste brevi note e considerazioni non hanno certo la presunzione di esaurire un argomento che
richiede ben altro livello di approfondimento e la consultazione di numerosi altri testi, documenti e
fondi archivistici per raggiungere un soddisfacente grado di elaborazione: l’intento è semplicemente
quello di fornire una prima, sommaria ricostruzione degli eventi degli anni 1690-1691,
evidenziando alcuni temi e aspetti che risultano a mio avviso di un certo interesse, temi e aspetti che
meritano sicuramente in futuro più estesi e approfonditi studi.
Innanzi tutto è necessario delineare una sequenza cronologica degli eventi bellici che scossero
l’Europa di quegli anni, entro la quale collocare, passando da un livello di lettura più generale a uno
più locale, i fatti e gli eventi che accaddero in Valsesia.
Il 2 maggio 1690 il generale francese Nicolas de Catinat de La Fauconnerie2, già maresciallo
dell’esercito francese durante la campagna contro i valdesi piemontesi negli anni 1685-1686, al
comando di un esercito di diciottomila uomini mosse dal Delfinato ed entrò in Piemonte con
l’ordine di imporre al duca Vittorio Amedeo, come garanzia della propria fedeltà al re di Francia,
l’obbligo di allestire un esercito di duemila fanti e ottocento cavalieri e di consegnare la fortezza di
Verrua e la cittadella di Torino. Giunto in Piemonte, Catinat inviò un contingente di ottomila soldati
ad Avigliana e stabilì i suoi accampamenti nei pressi di Pinerolo. Vittorio Amedeo cercò dapprima
di temporeggiare, ma, messo alle strette, confermò la sua scelta di schierarsi tra le file della Grande
Alleanza, con il patto che l’imperatore gli inviasse immediatamente rinforzi per seimila uomini, si
impegnasse a difenderlo in pace e in guerra, e con le clausole che Pinerolo fosse sua, e che gli
spagnoli, ai quali veniva concesso Casale, difendessero Nizza e inviassero a loro volta un esercito in
Piemonte.
Luigi XIV, pur essendo al corrente delle mosse piemontesi, tentò una contromossa diplomatica,
offrendo di rinunciare alla cittadella di Torino, una richiesta troppo umiliante per potere essere
accettata, e di accontentarsi di Montmélian, Susa, Carmagnola e Mirabocco. Ormai però la scelta di
campo era fatta: non restava che la guerra. Un conflitto che sarebbe passato alla storia con il nome
di guerra della Grande Alleanza o guerra dei Nove Anni3.
Nel mese di giugno venne presentata la dichiarazione di guerra, in seguito alla quale ci fu un
tentativo da parte dell’ambasciatore francese di fare insorgere Torino: senza successo. Catinat con il
suo esercito imperversò allora in tutto il Piemonte occidentale, con saccheggi e devastazioni, la cui
prima vittima fu il borgo di Cavour, conquistato dai francesi con facilità dopo un breve assedio4.
Vittorio Amedeo, cui erano pervenuti a rinforzo ottomila uomini tra Spagnoli e Tedeschi, avrebbe
voluto dare subito battaglia al nemico e vendicare le stragi commesse, ma consigliato dalla
saggezza e dalla perizia tattica del principe Eugenio di Savoia a non accettare subito il confronto in
campo aperto con un esercito in gran parte composto di uomini con poca esperienza nelle armi,

2
Per una ricostruzione della biografia del generale Catinat: G. DE CREQUI-MONTFORT, Mémoires pour servir a la vie de
Nicolas De Catinat Marechal de France, Paris 1775; N. DE CATINAT, Mémoires et correspondance du maréchal de
Catinat, mis en ordre et publies d’après les manuscrits autographes et inédits conserves jusqu’a ce jour dans sa famille.
Par M. Bernard Le Boyer de Saint-Gervais, 3 voll., Paris 1819; G. ZAVATTARI, Il maresciallo di Catinat nelle Alpi
(1686-1693). Frammenti storici, Roma 1885.
3
Sulle vicende relative alla guerra della Grande Alleanza cfr. gli ormai classici scritti di C. MORANDI, Studi su la
Grande Alleanza e su la Guerra di Successione Spaguola: i rapporti anglo-olandesi, Pinerolo 1924; ID., Torino e
Napoli durante la guerra della Grande Alleanza: nel carteggio diplomatico di G.B. Operti (1690-1697), Napoli 1935.
Per un inquadramento generale degli eventi nell’ambito del contesto storico europeo cfr. D. SELLA, Sotto il dominio
della Spagna, in Lo Stato di Milano dal 1535 al 1796, a cura di C. Capra e D. Sella, Storia d’Italia Utet, vol. XI, Torino
1984; e i recenti studi di C. STORRS, War, Diplomacy and the Rise of Savoy, 1690-1720, Cambridge 2000; ID., The
Resilience of the Spanish Monarchy 1665-1700, Oxford 2006.
4
G. PEYRON, Castello di Cavour: Assedio, resa, riconquista, 1592-1595: dalle cronache e dai documenti dell'epoca.
Cavour nella morsa di Catinat, 5-6 agosto1690, Torino 1988.

2
andò ad asserragliarsi nella fortezza di Villafranca. Il maresciallo Catinat riuscì però con grande
abilità ad attrarre l’esercito del duca fuori dalla fortezza in uno scontro aperto, scelta che si rivelò
disastrosa per Vittorio Amedeo, che venne sconfitto il 18 agosto nella battaglia di Staffarda5.
Dopo la schiacciante vittoria francese a Staffarda si diffuse il timore che l’armata francese avesse
ormai vinto ogni resistenza e che anche i confini dello Stato di Milano fossero in grave pericolo. Fu
merito del governatore di Novara il conte Carlo IV Borromeo Arese intuire che, per garantire la
sicurezza ai confini occidentali dello Stato di Milano e per proteggere la città di Novara,

«andava costruito un sistema difensivo a monte, in Valsesia, territorio confinante con il


contado di Novara, con fortificazioni nell’alta val Vogna che sbarrassero la strada ad un
eventuale attacco francese dalla valle d’Aosta. Per tale motivo mandò in Valsesia nel 1690 i
suoi ingegneri per valutare la realizzazione colà di un sistema difensivo» 6.

In particolare voci incontrollate sulla presenza – o sull’imminente arrivo – di un contingente


francese in valle d’Aosta fecero portare i livelli di attenzione alla soglia del massimo allarme. Come
scrisse Federico Tonetti nella sua Storia della Vallesesia:

«Questi rumori di prossima guerra provocarono dal Governo di Milano ordini di armamento
generale delle milizie nei paesi vicini alle frontiere, e specialmente le milizie valsesiane
dovettero portarsi a sorvegliare i proprii confini. Tutti gli uomini dai venti ai settant’anni, abili
alle armi, ebbero ordine di raccogliersi sotto alle proprie bandiere, e vennero assegnati i posti
alle varie compagnie. Quelle di Rimella, di Alagna e Riva furono mandate a guardare i passi
d’Olen e di Valdobbia, e furono spediti alcuni scopritori nella valle d’Aosta, con incarico di
sorvegliare le mosse dei francesi, e di stare continuamente alla loro vista, avvertendo bene
dove disegnassero rivolgere la loro marcia» 7.

A completamento di quanto affermato dal Tonetti, va aggiunto che non soltanto gli uomini delle
comunità walser di Rimella, Alagna e Riva furono impegnati in quella occasione nella difesa dei
passi verso la valle d’Aosta, ma anche quelli delle comunità di Sabbia e di Campello8.
Alle settimane successive alla sconfitta di Staffarda risalgono i primi due documenti del fondo
Calderini, che attestano la presenza di guardie ai valichi, in particolare a quello di Valdobbia: al 23
settembre risale una Nota della monicione distribuita in cima Vendobia; al successivo 31 ottobre
una Notta del fieno et legna data al signor governatore, indirizzata al console di Vogna9.
Nonostante l’avanzare dell’autunno, stagione poco propizia alle attività militari, soprattutto in aree
montuose, l’esercito francese non arrestava la sua avanzata: una dopo l’altra finirono in mano ai
francesi Savigliano, Fossano, Villafranca, Racconigi, Saluzzo; anche Susa il 14 novembre fu

5
Per la cronaca della battaglia cfr. C. BOTTA, Storia d’Italia, continuata da quella del Guicciardini, sino al 1789, t. X,
Capolago 1834, pp. 38-40; C. MULETTI, La battaglia di Staffarda, Saluzzo 1903, pubblicato anche in “Piccolo Archivio
storico dell’Antico Marchesato di Saluzzo”, II (1903); Sul ruolo del principe Eugenio durante la battaglia si rimanda al
recente volume di C. PAOLETTI, Il principe Eugenio di Savoia, Roma 2001, pp. 97-104.
6
V. CIRIO, La dominazione spagnola nel contado di Novara, in Una terra fra due fiumi, la provincia di Novara nella
storia. L’età moderna (secoli XV-XVIII), a cura di S. Monferrini, Novara 2003, p. 209.
7
F. TONETTI, Storia della Vallesesia e dell'alto novarese con note e documenti, Varallo 1875-1880, pp. 541-542. Era
prassi comune la richiesta da parte della comunità della Valsesia di uomini da inviare a presidio dei valichi e a difesa
del territorio della valle in occasione di particolari eventi bellici: come, ad esempio, avvenne negli anni 1555-1556;
Sezione di Archivio di Stato di Varallo, Fondo Museo don Pietro Calderini, 14/a, doc. 9, 1556 settembre 18; cfr. anche
E. RAGOZZA, Gente della antica Valsesia, vol. II, Gente in Comunità. Documenti di vita civile e sociale, Novara 1980,
pp. 72-75.
8
A. VASINA, Sabbia, Rimella e Campello per la difesa della Valsesia fra XVII e XVIII secolo, in “Remmalju”, XIV
(2003).
9
Sezione di Archivio di Stato di Varallo, Fondo Museo don Pietro Calderini, 8/h, docc. 11 e 12.

3
costretta a capitolare; e così pure Rivoli, che venne saccheggiata10. Unico parziale successo
piemontese fu l’intercettazione e la distruzione di una colonna francese diretta a Pinerolo a opera
degli uomini del principe Eugenio.
Sul fronte valsesiano invece sono da segnalare in quei mesi invernali gli accordi per la costruzione
di alcune opere difensive: risale ad esempio al 21 dicembre la convenzione fra il governatore
militare e tre uomini della val Vogna, Michelangelo Morca, Pietro Verno e Pietro Picco, per la
costruzione di una torretta con annesso muro difensivo accanto all’oratorio di S. Grato presso la
frazione Peccia, a sbarrare il passaggio sia alla mulattiera che scendeva dal colle di Valdobbia, sia a
quella del colle del Maccagno, che si congiungeva con la prima poche centinaia di metri a monte;
queste opere murarie difensive nel testo del documento vengono significativamente indicate come:
«torretta e fortificazione del governatore» 11.
Dopo l’inverno, che diede un poco di respiro ai piemontesi, le ostilità ripresero con vigore nella
primavera del 1691, al punto che il duca Vittorio Amedeo, per ragioni di sicurezza, fu costretto ad
allontanare dal teatro degli scontri la propria famiglia, mettendola al sicuro nella città di Vercelli.
Tra marzo e aprile caddero dapprima Nizza, poi Montalbano e Villafranca, in seguito, tra maggio e
giugno, Avigliana e Carmagnola: Catinat era ormai alle porte di Torino. Nel mese di giugno vi fu
forse il momento più critico per il duca Vittorio Amedeo in questa fase della guerra, l’assedio di
Cuneo, protrattosi dal giorno 11 al 28 di quel mese12.
I timori sull’evolvere della situazione militare in quei giorni sono bene documentati, negli atti del
fondo Calderini, dalle liste di guardie e di forniture ai soldati posti a presidio dei passi: al 24 giugno
1691 risalgono una Notta della paglia che si è datto alli soldati e una seconda Notta della legna che
li personerii della Riva hanno datto alle cinque compagnie; al 25 giugno una Notta delli soldati che
sono stati di guardia di Alagna; infine del 9 luglio una Lista delle guardie di Verdobia 13.
Nel corso dell’estate la resistenza di Cuneo all’assedio francese e gli aiuti che giunsero dagli alleati
della Lega sembrarono segnare l’inizio della riscossa da parte dei piemontesi. Anche la presa di
Carmagnola nel mese di ottobre da parte di Vittorio Amedeo sembrava indicare una svolta negli
eventi bellici. Ma non fu così: il 20 dicembre infatti Catinat si impossessò dell’importante fortezza
di Montmélian in Savoia14, poco lontano da Chambéry.
Gli eventi bellici proseguirono nei due anni seguenti, con alterne fortune, fino alla sconfitta di
Vittorio Amedeo nella battaglia della Marsaglia del 4 ottobre 169315. Tuttavia il terreno degli
scontri appariva ormai lontano e la Valsesia con i suoi valichi non sembrava più essere sotto
minaccia diretta; nonostante i rovesci subiti, come la presa di Montmélian, nel dicembre 1691, il
duca sembrava mantenere sotto controllo la situazione e appariva soprattutto in grado di fare
presidiare efficacemente il territorio valdostano, come dimostrava, proprio in quella occasione, il
fatto che lo stesso principe Eugenio con i suoi uomini avesse cercato, anche se senza successo, di
accorrere in aiuto degli assediati di Montmélian, percorrendo a tappe forzate la valle d’Aosta diretto
verso il valico del piccolo S. Bernardo.

10
A proposito della campagna in Piemonte di Catinat nel 1690 cfr. J. MOREAU DE BRASEY, Journal de la campagne de
Piémont sous le commandement de Mr. de Catinat. L’année 1690, Paris 1691.
11
Sezione di Archivio di Stato di Varallo, Fondo Museo don Pietro Calderini, 8/h, doc. 13.
12
Sull’assedio di cuneo del 1691 si veda G. CLARETTA, L’assedio di Cuneo del 1691, nel vol. VII centenario della
fondazione di Cuneo. Memorie storiche, a cura di C. Rinaudo, Torino 1898.
13
Sezione di Archivio di Stato di Varallo, Fondo Museo don Pietro Calderini, 8/h, docc. 15, 16, 17 e 18.
14
A testimonianza di quanto la presa di Montmélian avesse lasciato un forte segno nella percezione dei contemporanei
si veda il testo della Lettre du roy, écrite a monseigneur l’Archevêsque de Paris pour faire chanter le Te Deum en
l'Église Nostre-Dame, pour la prise de la Place de Montmélian, par l’armée du roy, commandée par Monsieur de
Catinat, Paris 1692.
15
Sui dettagli della battaglia della Marsaglia presso Volvera cfr. J. DONNEAU DE VISE, Journal de la campagne de
monsieur de Catinat en Piémont. Avec le détail de la bataille donnée a la Marsaille le 4. Octobre 1693. Et le siège de
Sainte Brigide, avec la liste des morts & des blesses, Lyon 1694.

4
I timori delle massime autorità dello Stato di Milano – al cui territorio apparteneva in quel tempo la
Valsesia – erano legati alla presenza di una via di comunicazione di una certa importanza, percorsa,
oltre che da non trascurabili flussi commerciali, anche da un itinerario molto frequentato da parte
degli emigranti valsesiani diretti verso la Francia (soprattutto la Savoia e la Tarentasia), attraverso il
valico del Piccolo S. Bernardo, e verso la Svizzera occidentale, attraverso il Gran S. Bernardo16.
Tale via poteva essere percorsa piuttosto rapidamente da un esercito che si trovasse presso la città di
Aosta: scendendo dapprima lungo il fondovalle verso Chatillon e Saint Vincent, quindi percorrendo
la strada del col de Joux fino a Brusson in val d’Ayas; e da qui per il colle della Ranzola
raggiungendo la valle del Lys presso Gressoney-Saint-Jean; a questo punto il percorso risaliva verso
il colle di Valdobbia per scendere in val Vogna.

«Attraverso la valle Vogna passava, fino a tutto il ‘700, il traffico leggero dal milanese alla
valle d’Aosta, mentre ancora nel secolo successivo la mulattiera per il colle di Valdobbia era
frequentata da numerosi emigranti: nei documenti sabaudi questo itinerario era incluso, con la
strada d’Ivrea e con quelle dei valichi del Piccolo e Gran San Bernardo, fra le quattro grandi
strade della valle d’Aosta» 17.

Il crinale tra la valle del Lys e la Valsesia, presentava inoltre almeno due possibili varianti al
percorso principale precedentemente descritto, che conducevano entrambe all’abitato di Alagna: la
prima, più agevole, attraverso il col d’Olen; la seconda, un po’ più impervia, per il passo di Zube
attraversando la val d’Otro18.
Il percorso del colle di Valdobbia, come avrebbe dimostrato con successo oltre un secolo più tardi il
generale Teodoro Lecchi, che nel maggio 1800 insinuatosi per questa via quasi non incontrò
resistenza penetrando fino nel cuore della Lombardia19, consentiva un agevole accesso all’area del
Cusio e del basso Verbano, e da qui, varcato il Ticino, apriva le porte verso l’alta pianura Lombarda
e verso la stessa città di Milano.
Una via di comunicazione ancora importantissima nel XIX secolo, come risulta evidente dalle
considerazioni e dagli auspici di Goffredo Casalis:

«La strada provinciale da Varallo ad Aosta pel colle di Valdobbia, percorre questo territorio
[della Valsesia] in tutta la sua lunghezza, e qualora fosse ultimata e renduta per intiero
carreggiabile, ne deriverebbero segnalati vantaggi a tutti questi vallegiani per la maggiore

16
Sulla facilità di transito del colle di Valdobbia si ricordano le parole del parroco di Alagna don Giovanni Gnifetti:
«Per questo colle di Valdobbia transita la maggior parte de’ Valsesiani che va e ritorna dalla Francia e dai paesi
contermini, e presta comodo passaggio a molti stranieri che si recano nella Valsesia onde visitare il Rosa, le miniere e la
natura del suolo»; G. GNIFETTI, Nozioni topografiche del Monte rosa ed ascensioni su di esso, in “Rivista delle Alpi,
degli Appennini e vulcani”, III (1866), p. 459. Cfr. anche L. e C. MEZZACAPO, Studi topografici e strategici su l’Italia,
Milano 1859, p. 35.
17
S. BELLOSTA, R. BELLOSTA, Valle Vogna. Censimento delle case di legno, Gozzano 1988, p. 157. Cfr. anche B.
JANIN, Frontiera e crocevia d‘Europa: le comunicazioni, in Storia d’Italia Einaudi. Le regioni dall’Unità a oggi. La
Valle d’Aosta, a cura di S. J. Woolf, Torino 1995, p. 63.
18
Per quanto riguarda gli altri valichi presidiati durante la crisi del 1690-1691 nel timore di una incursione francese in
Valsesia, quelli aperti verso il territorio biellese e situati dunque lungo altre direttrici viarie, si rimanda più avanti alle
pagine di Carlo Alessandro Pisoni: tali valichi erano la bocchetta della Boscarola, sopra Scopello, e la bocchetta del
Croso (o del Mazzucco come viene nominata nei documenti), in val Sorba sopra il paese di Rassa.
19
L’età napoleonica, a cura di F. Lemmi, in Storia politica d’Italia, vol. X, Milano 1938, p. 18; R. SORIGA, S.
MANFREDI, L’idea nazionale italiana dal secolo XVIII all’unificazione, Modena 1941, p. 161; E. RAGOZZA, Gente della
antica Valsesia, cit., pp. 152-155.

5
facilità dei mezzi di trasporto dei loro legnami, dei marmi, delle ardesie e di altri oggetti di cui
soprabbonda la valle» 20.

Si comprende dunque perché, anche in presenza di una minaccia non immediata e diretta, si
prendessero provvedimenti e contromisure che ci appaiono oggi forse sproporzionati, si
organizzassero guardie ai valichi - anche in luoghi, come il passo di Zube, dove difficilmente
sarebbe potuto transitare un esercito - e si progettassero e costruissero rilevanti opere di difesa e di
fortificazione: di alcune delle quali - come la torretta che sorge accanto alla chiesa della Madonna
delle Pose situata all’imbocco della val Vogna – si sono conservate evidenti tracce materiali fino ai
nostri giorni. La posta in gioco tuttavia era troppo alta, il rischio troppo elevato. Nella comune
percezione degli uomini del tempo si trattava di una seria e concreta minaccia per l’esistenza stessa
dello stato di Milano, di un pericoloso varco nelle difese approntate ai confini che il governatore
non si poteva permettere di lasciare incustodito e che andava difeso a ogni costo.

20
G. CASALIS, Dizionario geografico, storico, statistico e commerciale degli Stati di S. M. il re di Sardegna, vol. IX,
Torino 1841, p. 437.

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