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FEDELE D’AMICO UN RAGAZZINO ALL-AUGUSTEO EINAUDI Premessa Questo libro é stato tutto preparato da Fedele d’Amico, nella scel- ta degli scritti e nella loro disposizione. Sono raccolti qui studi e articoli del periodo che segue immediata- mente I casi della musica («La polemica su Luigi Nono» é del 1962, Panno in cui uscf il libro) e arriva all’ultimo anno di attivita di d’Ami- co. In quel quarto di secolo egli ha lavorato molto, moltissimo, come, del resto, aveva sempre fatto (e ha pubblicato forse pitt che ogni altro musicologo italiano), senza che la quantita degli impegni mai indebo- lisse il nerbo dei pensieri e la qualita della scrittura. Era evidente a tut- ti, ai colleghi di disciplina e anche ai lettori non specialisti, che d’Ami- co concepiva e scriveva un articolo d’occasione con lo stesso rigore di idee e di stile con cui preparava un suo studio accademico. Per esem- pio, in queste pagine, sul tema, che é fondamentale nelle convinzio- ni critiche di d’Amico, delle poetiche musicali romantiche e del rin- novamento del linguaggio musicale, la disposizione spirituale di Brahms, nella «noterella» scritta per l’anniversario della nascita, @ il- luminata con decisione e chiarezza non minori di quelle che toccano alle contraddizioni culturali e agli squilibri psicologici di Berlioz nel- lampia, paziente, documentata analisi a lui dedicata. Con cid non si intende affatto che sia superfluo il ricco apparato storico e documen- tario studiato da d’Amico per!’epoca di Berlioz (proprio per esso, an- zi, queste pagine sono un capitolo principale della moderna biblio- grafia sul sinfonismo ottocentesco e sulla musica descrittiva); si vuol dire, bensi, che d’Amico sosteneva tutte le sue riflessioni e le conclu- sioni su una base larghissima e solida di conoscenze tecniche, di studi, diletture, e che questo sostegno poteva essere esplicito o implicito (e in questo caso egli sapeva orientare l’interesse del lettore con pochi ri- x Franco Serpa ferimenti essenziali, come accade appunto nella « Noterellay g Brahms). Per lui ’articolo di giornale era, se mai, pi difficile, percha doveva stringere il discorso senza sacrificare la forza delle conving ni. E ci riusciva, quasi sempre. Gli articoli e le recensioni di d’Amico hanno accompagnato ¢ spesso guidato la parte musicale della nostra vita (e non quella Parte soltanto), con la tenacia, provocatoria talvolta, dei principi, con ja bravura dialettica e soprattutto con il calore cordiale delle parole, In ‘Amico, quando sctiveva, quando teneva una conferenza o una le. zione, quando conversava, la tenacia e la cordialita, la risolutezza un po’ brusca e la generosita nascevano dallo stesso sentimento, morale ma anche affabile e curioso, della vita. E lideale positivo e opetoso della vita e, in essa, dell’arte percorre e anima tutte le sue pagine. Non ©’@ bisogno di aver conosciuto d’Amico. Chi legge i suoi scritti non manca di accorgersi che il nucleo di ogni pensiero e la ragione dei consensi ¢ delle insofferenze sta in una convinzione etica primaria di fedelta al concetto di umanesimo integrale. Non era una posizione né comoda né tranquilla: perché tutto cid che d’Amico ha giudicato, a tagione 0 a torto, inautentico, sostitutivo, mistificatorio, snobistico e quindi, in termini estetici, muto alla comunicazione, paralizzato nella mimesi del moderno disordine, disumano e assoggettato al principio sociale generale del nuovo per il nuovo e del consumo incontrollato, egli ha smontato, criticato e infine respinto con inattaccabile e in- stancabile determinazione. E che con cid egli respingesse la porzione pitt consistente della produzione musicale nostra contemporancé, questo poteva renderlo inquieto o impaziente ma non incerto mai nt giudizio (si leggano qui non solo i saggi sulla musica seriale, su Schén- berg, su Luigi Nono ma anche quello sull’impegno). Ma di fatto Po! Amico non aveva pregiudizi (ho gia accennato alla sua cua che era una vera avidita di ascolto), si che Popposizione di principl° # una tendenza non gli ha impedito di riconoscere, caso pet ©4807 ‘tati di grande significato, Altrimenti non avrebbe tradotto in dife- b 2 di Schénberg ela Lulu di Alban Berg con la speranz@ aun Circolazione da noi (che poi questo non sia avwenvtor : &, anzi, un altro dato fondamentale delle ea ; i d’Amico, una ben nota controversia nella aval ae Premessa xT entra a contendere anche con I’articolo che é stato incluso nel libro) € non avrebbe espresso i giudizi lucidi ed equi sul Pierrot lunaire € sul Wozzeck. Per anni, insomma, d’Amico ha letto, studiato, ascoltato tutto quello che ha potuto, per conoscere e per capire (era serena- mente persuaso che «non c’é deformazione della verita senza un fon- do di verita» e che in fondo «!'uomo ha sempre pensato il vero»: & detto in queste pagine) e soprattutto per cominciare, per aiutare a ca- pire, per persuadere. Tutto cid ci spiega il carattere proprio e inconfondibile del suo sti- lediscrittore. Ogni sua pagina, per qualunque occasione concepita, € esplicita, limpida, vivacemente conclusiva. Certo, gli anni dedicati da luiall’organizzazione generale dell’ Enciclopedia dello spettacolo per il settore della musica ¢ poi alla guida della redazione e alla stesura di molte voci (addirittura formativa fu per lui la stesura della voce «Canto», come riconobbe egli stesso in diverse occasioni: ce n’é an- cora una traccia sensibile nel saggio sul Tancredi e in quello sulla drammaturgia verdiana) consolidarono in d’Amico ilbisogno di chia- tezza esplicativa, di essenzialita, di documentata oggettivita del di- scorso, senza ombra di pedanteria (ché l’acutezza dell’ingegno eliro- nia erano Ij, sempre pronte). Ma quel bisogno c’era in d’Amico da sempre (e ce lo dimostra quello che egli ha scritto prima del 1952), perché da sempre c’era in lui la disposizione, che era quasi un istinto vitale, a comunicare, a dividere il proprio appagamento intellettuale, oil dubbio, con gli altri, a essere, insomma, naturalmente e semplice- mente un maestro — colui che cerca la verita con gli altri e per gli altri, che meglio la sente vivere in sé quando pud condividerla. Dungue, tutto cid che d’Amico ha meditato, ha provato affettiva- mente, ha giudicato, é netto e integro nella pagina, senza cautele, sen- zatiserve, a disposizione di tutti. Davvero, nel suo caso, lo stile é1' mo, come si diceva un tempo —l’uomo con la sua fede, con le energie migliori attere, con la sua storia personale (che si Franco Serpa ; racconti di evidenza straordinaria: come é, ad esempio, | ee eet Lele che tintafola nel camerino di Mengelbery ntemeno, e che, sbigottito, vede comparire in un personale ticor del grande direttore qualcosa come l’ombra, il fantasma dj Anche in un fatto minuto, ripensato con delicata autoironia, Amico illumina il clima culturale e psicologico di un’epoca, ponen, doci in familiare rapporto col passato. E evidente in cid il valore della “continuita, della permanenza dei significati umani, affermato da d’A. “mico tanto nei casi difficili quanto nelle rievocazioni affabili, cosi co- _ menell’esatta efficacia della parola. E anche evidente (e si dice la stes- a cosa) la convinzione, fermissima in d’Amico e dichiarata da lui in ‘ogni occasione, con naturalezza, che la sostanza dell’arte sta nella no- stra storia di uomini, nell’ininterrotta successione delle nostre neces- “sit spirituali. Certo, questa é 'esposizione semplificata assai di una ‘tesi che nelle pagine di d’Amico é articolata in acute analisi dialetti- “che: ma all’occorrenza egli stesso non si sottraeva a affermazioni ele- Mentari e schiette della sua idea dell’arte, in specie quando si trovava "in polemica con posizioni estetiche che giudicava irrazionali ed equi- (cioé, con le teorie della musica d’avanguardia) A qualcuno potra sembrare che ventuno capitoli siano una raccol- : grande produzione di d’Amico nei suoi ultimi anni €vero: ma, come abbiamo detto, la scelta I’ha decisa lui, certo cid che egli ha giudicato essenziale e significativo del suo la- Noi, che della sua attivita consideriamo anche essenziali tante e Pagine, proviamo a definire almeno il significato di questa lozart alla musica seriale, dalle assolute certezze alla fati- ca col presente, lungo tappe fondamentali di esperienze ni, Verdi, Brahms, Ravel), testimonianze ¢ ricordi sotto il fascismo», «Un ragazzino all’ Augusteo»). Con tto, vogliamo credere che Fedele d’Amico ci abbia nagine equilibrata e giusta di sé, come studioso, co- »passionato spettatore a teatro, come docente, co- forte simpatia, che & vera solidarieta, per i te i as estranei al loro eee Bee ber ico pregiasse l’originalita intellettua- il di fries cvoce: egli che alla he se ne contrasto tante mode). Premessa_ vogliamo anche credere, poi, che nel consegnarci questa buona con- ferma del valore di tutto il suo lavoro egli abbia pensato con onesta ~ soddisfazione quello che pens6 di sé il poeta antico: Utque ego maio- res, sic me coluere minores. I Don Giovanni Don Giovanni, scena ultima, Partito il Commendatore e «profon- dato» il Dissoluto tra le fiamme infernali, tutti accorrono richiamati dalle sue grida e Leporello, unico testimone, racconta come pud. Giustizia é stata fatta, e la calma subentra. Don Ottavio prega donna Anna (invano) di concedergli finalmente le nozze, donna Elvira di- chiara che si chiudera in un convento, Zerlina e Masetto che torne- ranno a casa, «a cenar in compagnia», Leporello che se ne andra al- Posteria, «a cercar padron miglior». Segue la morale, intonata a s «Questo é il fin di chi fa mal! | E de’ perfidi la morte | alla vita é sem- pre ugual». Fino a una sessantina d’anni fa ben pochi conoscevanola semplice esistenza di questa scena perché quasi tutti teatri di lingua tedesca—i soli, allora, che tenessero il Don Giovanni nel repertorio corrente —la sopprimevano: al gusto teutonico quella scena suonava anticlimax sa- crilegamente frivolo, e soprattutto welsch, cioé italiano; tant’ vero che lungo l’Ottocento la principale eccezione a questa prassi si dette all’Opera di Dresda, teatro di tradizioni italianizzanti. D’altra parte, una volta divenuto il taglio abituale, opera divenne in effetti, almeno tendenzialmente, cid che quel gusto la riteneva: concludere con la scena della dannazione fatalmente ridusse, nell’immaginazione dello spettatore, il peso del comico incontrato fino allora, oscurandogliene il significato. Cosf suppergiti accadde alla critica ottocentesca — germanica per a pid gran parte -: la quale del Don Giovanni intese indubbiamente moltissimo, non peré che il comico vi fosse inseparabile dal «serio: come l’ombra dalla luce, e piti. Ed ecco che, degenerando que eG ficienza, il nostro secolo ha potuto partorire sul tema alcunim 4 Scritti musicali lustre fra tutti la monografia di Pierre-Jean Jouve, per la quale il comi- co nel Don Giovanni si direbbe irreperibile, il tutto non consistendo che in diverse gradazioni e varianti del demoniaco. Mentre al polo ‘opposto partivano dall’Inghilterra inviti a non scaldarci troppo, cul- mine il Mozart’s Operas di Edward Dent, per il quale il Don Giovanni, ‘opera musicalmente certo geniale ma comunque inferiore all’Idome- ineo, andrebbe letto in chiave puramente buffa: compresa la scena della dannazione, di cui il personaggio decisivo (né piti né meno che nei vari convitati di pietra dei comici dell’arte) verrebbe ad essere il servitore. Mlibro di Jouve é del 1942, ultima edizione riveduta di quello di Dent é del 1955 (Led. 1913). E strano che posizioni cosf unilaterali si Proponessero come esaurienti quando ormai come immagine veridi- ca di Mozart s’andava diffondendo quella del genio «sferico», che quanto piti alto tocca tanto piti diviene contemporaneamente accessi- bile da punti di vista diversi: cio musica da godersi sia come canto sorgivo che come organismo complesso, immediatamente popolare eppure supremamente «artistico»; in cui prelibate inflessioni con- trappuntistiche si celano sotto apparenti monodie accompagnate, e " una scrittura eminentemente sinfonica é sottesa all’aperto vocalismo delle opere liriche (dove poi la minuta analisi della parola miracolosa- _ Mente coesiste con l’autonomia della forma chiusa); e soprattutto ve- - ita e finzione, burla e poesia, comico e tragico, possono darsi come due volti della stessa realta. _ Questo appunto permise, e permettera sempre, approcci unilate- r sé legittimi e anche soddisfacenti. Tuttavia l'unicita di Mozart | nesso che lega e insieme trascende quegli opposti; ora, che into si sia fatto per noi sempre piti chiaro, si deve soprattutto proliferazione d’intrecciati significati che s'addensa Don Giovanni, dove l'ambivalenza & pit che mai non ‘un dato di partenza ma la sostanza del messaggio. Né atta della compresenza di due punti di vista: per esempio contri fra don Giovanni e il Commendatore — il i zione — ci sono mostrati «anche» 11 Don Giovanni 5 nostra pieta per donna Elvira s’accresce appunto nella misura in cui il ridevole ~ aria del catalogo, travestimento di Leporello — s’accumula sul suo capo. Piti in generale, un’osmosi continua corre fra don Gio- vanni, personaggio d’estrazione incontestabilmente «buffa» (chec- ché ne pensasse Busoni) in corsa verso la tragedia e gli altri; i quali tut- tisalvo il Commendatore — come Abert meglio d’ogni altro ha spiega- to —assumono carattere ¢ contegno in riferimento a lui, che a sua vol- ta va via via travestendosi in funzione dell’interlocutore da conquista- re, ingannare, vincere. E si veda Leporello che nell’aria del catalogo, partito per denunciare le malefatte del padrone, a poco a poco invece se ne esalta, e in proprio, entrando nei suoi panni ‘Ma quel che piti conta é la duplice immagine del protagonista: da una parte don Giovanni @ visto come un delinquente, giustamente punito in fine, dall’altra come una figura irresistibilmente affascinan- te, 'eroe positivo. Evidentemente la censura dell’epoca non awvertila contraddizione ma le censure, sisa, sono formaliste, e che il «fin» del seduttore fosse sentito dalle sue vittime come un lieto fine le basto. Non basté invece, per dirne una, all’inflessibile moralismo di Beetho- ven, il quale non perdond a Mozart d’aver comunque eretto un mo- numento ad un libertino’ La via d’uscita da questo vicolo cieco fu'aperta da coloro che nel mito di don Giovanni seppero vedere qualcosa di pitt del libertinag- gio: come, vivente ancora Beethoven, E. Th. A. Hoffmann, e poi, me- glio di tutti, Kierkegaard (1843); per il quale, data Vorganica indeter- minazione etica dell’espressione musicale, quel « demonismo dei sen- si» di cui don Giovanni sarebbe l’esponente (come Faust di quello dello spirito) é dalla musica sottratto al giudizio morale. Dunque solo la musica poteva dar ragione di quel mito, e viceversa non potra mai, Ja musica, realizzare la propria essenza profonda sulla scorta d’una ispirazione diversa: paradosso che a suo modo s'intona con la non an- cora smentita profezia di Goethe, 31 dicembre 1797, che nessun’ope- ta sarebbe pid nata, che raggiungesse il livello di questa. Cid che ancora sfuggiva a Kierkegaard @ che accanto alla musica, eticamente indeterminata, ce n’é, nel Don Giovanni, di determinatis- sima, Da un lato, infatti, c’é la vitalistica urgenza del «libertino», la sua corsa che scatena e sconvolge ¢ trasmuta tutto un mondo al suo a 6 Scritti musicali passaggio, sospinto dall’ilare soffio del comico; ma dall’altro, il Com- mendatore. E non luisoltanto. Il commento finale, cioé la citata «sce- na ultima», dopo aver rapidamente toccato tasti diversi non escluso quello buffonesco («Resti dunque quel birbon | con Proserpina e Pluton»), affida la morale conclusiva alla vertigine d’un pseudofuga- to «presto» che rende l’espressione improvvisamente ermetica: fino a svanire nel nulla. Con imparzialita sovrumana Mozart ha governato dall’alto cosil'apoteosi della vita irresponsabile come le inconfutabili tagioni del suo contrario; e ora si rifiuta di pronunciarsi. Tutto cid, ormai, é di dominio pubblico, voglio dire che finalmen- tela «cultura», la «critica», ne ha preso coscienza discorsiva. Tutta- via gia i praghesi di duecent’anni fa l’avevano sentito, e cosf tutti i pubblici che in quest’opera fiutarono un unicum, e cosi gl’innumere- voli musicisti che su questa partitura si chinarono come su una bib- bia. Perché l'uomo, ha scritto una volta Benedetto Croce, ha sempre pensato il vero, Note sulla drammaturgia verdiana «Verdi macht die Schénheit des italienischen Gesanges hand- lungsfihig»'. Certo con questa.sentenza Paul Bekker non intese rife- tirsi al opera italiana in genere, ché «handlungsfahig» opera buffa era stata fin dalle sue origini; ma sf all’opera seria, quella appunto in cui la «bellezza» del canto italiano aveva celebrato nel Settecento i suoi trionfi pid specifici, affidando alla melodia vocale responsabilita quasi esclusivamente liriche. Ma gl’inizi dell’Ottocento colgono gia in corso l’evoluzione che tende a modellare la drammaturgia dell’o- pera seria su quella buffa, avviando alla futura indistinzione dei due generi. Eil processo é gia abbastanza avanzato in Rossini, che non di rado costituisce grandi blocchi di pezzi d’organico diverso (arie, duetti, quartetti, cori, eccetera) non interrotti da recitativi e concepiti, musi- calmente, come un tutto unico: procedimento le cui origini storiche sono evidentemente nel finale d’opera buffa, e che per sua natura ten- dea trasferire ’azione nel canto. Tuttavia dal canto d’azione l'opera seria di Rossini é governata soltanto per squarci pit o meno ampi, pa- recchie zone puramente liriche ne restano escluse, non da altro giusti- ficate che dalla sopravvivenza d’un gusto belcantisticamente restio a concepire il fine dell’unita drammatica perché ignaro di tipologie vo- cali: modello del Rossini serio rimane infatti la voce asessuata dell’evi- ato, trascritta in quella del contralto, Ed é vero che il Rossini france- Se varca questi e altri limiti, raggiungendo un discorso ben pit coe- Tente; ma non precisamente nel senso dell’«azione». Il Mosé & opera longepL td bellezza del canto italiano ¢da Verdi posta in grado difarsiazione» (P, Bekker, Wand- "gen der Oper, Ziirich-Leipzig 1934, p. 125). Scritti musicali llenza ¢ il Tell, nonostante il sostrat, assai piti un affresco, una celebrazione panica che un «dramm, Il primo compositore d’opere italiane d’argomento setio che,” segua l'ideale dell'uniti drammatica in musica @ Bellini, che tamente lo realizza soltanto nella Norma; ma secondo una si singolarissima. Pur conoscendo ormaile tipologie vocali ess LOttocento, Bellini non viola alcuna legge del belcanto, partire da intuizioni fondamentalmente liriche — inflessioni, Sospiri che misteriosamente crescono a melodia compiuta—e tuttavia capaci di dipanare un filo che aspira a enucleate il discorso intero dellopen ilsuo stesso divenire drammatico. Appunto a quest’arcana metamor. fosi della contemplazione in azione si deve la natura tutta interiore, Vinafferrabilita formale della drammaturgia belliniana; che percid non fara scuola. Per quanto di Bellini abbia potuto apprendere sotto altri aspetti’, sotto quello della drammaturgia Verdi nasce piuttosto dai Donizetti e dai Mercadante: presso i quali 'economia formale in tapporto con uno stile vocale che comincia a intaccare l’integrita del belcanto, non rifuggendo da violenze, almeno in Tralia, inedite. L’a- zione ormai vuol essere incalzante, o per lo meno ravvivata quanto piti possibile da colpi di scena, da situazioni clamorose: e una voce nuova se ne fa garante. Ma perintanto—siamo pressappoco nel quarto decennio del seco- lo-inuoviimpulsinon paiono interamente controllati: di fronte ait sultati pid vivi di questi compositori, mettiamo una Lucia, non tit- sciamo a difenderci dall’impressione che a partoritli piuttosto unm Petuoso concorso di circostanze abbia valso, che non un ae sciente di tutte le sue implicazioni. Costoro sembrano affidarsi a casione ~ percid tracciare una vera € propria evoluzione della ie del te € cosi difficile. Registrano appassionatamente i ribollimen altri Momento storico, ma senza veramente intenderne il senso: need mentiil fanciullo recita la vita prima di conoscerla. Sono infatle a del fanzi Vinfanzia di Verdi. Il quale invece appare nella p' "reome st in un’adeguazione assoluta fra sé e i] mondo, cos! ¢ statica per eccel 0 dea Matico, @ che pet comple. Oluzione enziali al. © sembra tempi, Chr cenit A ‘pmann, Verdi ‘ccrcitnel col te P ssa tan, Ve ie Bellini, in Atti del I Congresso internazionale Note sulla drammaturgia verdiana 4B mmezni escopi. Questo appunto dichiara, senza equivoci, la sua dram- matul Arrivato Verdi a Roma nel ’93 per la prima locale del Falstaff, una rappresentanza di musicisti si presentd a ossequiatlo; e colui che la guidava comincid il suo discorsetto con un owio « Siamo venuti a rendere omaggio al piti grande musicista...» Ma Verdi lo interruppe subito: «No, no, lasci andare il grande musicista. Io sono un uomo di teatto». L'episodio fu raccontato da Alessandro Bustini a Pizzetti; Pizzetti nel riferitlo si affretta a spiegarci: «2 certo che dicendo “uo- mo diteatro” — lo sapeva, lo sentiva benissimo anche lui — voleva dire proprio drammaturgo, cio? creatore di arte drammatica»’. Ora que- sto preoccupato chiarimento & tipico d’un equivoco, sul rapporto fra «teatro» e «dramma», che nelle forme piti varie affligge la critica verdiana da tempo immemorabile; e che bisogna cercar di dissipare, pena Pimpossibilita di andare avanti. Scegliamo qualche esempio. Che significa «teatro» secondo Piz- zetti? Semplicemente, attitudine a raccogliere i consensi del pubbli- co; come sappiamo gia dal piti antico saggio verdiano che di lui si co- nosca‘, dove si sottolinea che «teatro» sono cosi l’Amleto come La morte civile di Paolo Giacometti, cost il Barbiere di Rossini come l'Isa- beau di Mascagni. Ma la nozione che ne risulta é talmente generica che, come osserva Pizzetti stesso, non si saprebbe che uso critico far- he; tant’ vero che all’occorrenza per trarre dal termine un significato S€ costretti, come s’é visto, a intenderlo come un traslato. ane esempio illustre, Massimo Mila; per il quale teatro é sinoni- ore ie esteriori, quelli che Wagner chiamava effetti senza cau- ee es vuota esteriorita, sono per lo piti i decantati “con- Gee coi quali ci hanno tanto seccato i primi critici del ae le consistono, per esempio, nell’ accostare in una stessa ombardi alla prima Crociata un “coro di claustrali” e un 2 pe Verdi maestro di teatro, in «Bollettino dellIstituto di studi verdiani», 1960, n. 4 gia publican gon%# tenuta all’ Accademia dei Lincei per il cinquantenario della morte di Ver- Hos all’ Accademia medesima in Problems atfualidi scienza edi cultura, Roma1953 “LB, “2a, Musicisticomtemporanei, Milano 1914, pp. 8-12. Scritti musicali 4 “coro di sgherri” della cui musica non altro si pud dire, se non che coro di s§ all'akezza dele parole {.] Teatro, ¢ non altro, la gran seena dell congiura nel terz’atto di Ervani con il gran oe tidesti il leon dj Castiglia”, sapientemente preparato in un se spasmodica, fino a scoppiare con un effetto assolutamente fisic 0 ed istintivo di liberazio. ne, [...] Verdi [intendi il Verdi prima maniera] si specializza in questi effetti meccanici di gesti orchestrali, che potremmo chiamare music di scena, perché sottolinea secondo procedimenti convenzionali grandi fatti che si narrano o si svolgono sulla scena»’. Il concetto di teatro — pardon, lo pseudoconcetto, forse Alfredo Parente mi ascolta‘ ~diviene dunque antitetico a quello di dramma; e l’evoluzione positi- va di Verdi consistera appunto nel superamento del primo ad opera del secondo. Donde vari inconvenienti, dal fatale rifiuto di quasi tut- to il Verdi giovane all’impossibilita d’istituire un rapporto fra i due termini rimanendo il primo, in quanto puramente negativo, «yuota esteriorita », indefinibile. A questo primo termine, pur mantenuto antitetico al secondo, tenta invece di dare un volto Leo Karl Gerhartz nel suo recente volu- me verdiano’, che appunto a quel tema é dedicato, nonostante le ap- parenze, da cima a fondo. E vero infatti che ufficialmente Gerhartz vi tratta dell’antinomia fra opera in musica e il dramma parlato, main uest’antinomia ne adombra in pratica un’altra, pitt generale, addi- tandola nell’ambito sia dell’uno che dell’altro genere: ed é appunto quella fra «teatro» e «dramma», Ma qualificandola diversamente da Mila, Teatro infatti per Ger i E ma e ead Sees, bensf cid che sifonda sull’clemento ve ea Aen yee «das sichtbare Bild» [immagine visibile]; a iivadaaalg es a sedanklich» [concettuale, mentale] ie ie a ies a unaccentuazione in favore del! oe palatine campo dell’opera in musica che in qu ees f ‘unque «teatro» opera in cui il testo vale 8g.) 0 Verdi Basi 193s, pp, 38-42 (sipubblicato in M Mil @ Ve™ 57h BP. 39 Per llinaevenies Gone

di Rigoletto, a consi- derarlo in sé, un’ideuzza da quattro soldi, Ma cade in una situazione che la provocatoria presenza dei corti ani mantiene colma degli eventi che Phanno preceduta; si che dall’inevitabile arrivo di Rigolet- tolo Spettatore s’aspetta una tempesta. Invece Rigoletto entra cantic- iando un motiyetto qualsiasi; ¢ cid appunto, nel dislivello che sta- ce rispetto alla nostra attesa, produce Ja carica della situazione. Naturalmente questo é un esempio limite. Ma anche Ja dove idea gna a disp: stensioni di ogni situaz 50 Scritti musicali Ie sue prime otto battute—una scala discendente su un elementatisg, mo giro armonico di tonica-dominante, ripetuta due volte~ si dae be l'inizio d’una normale «melodia»: e non particolarmente intere, sante. Ma le otto battute successive non costituiscono il conseguente un antecedente, bens’ lo sviluppo d’una cellula tratta dalle prime secondo una variante ritmica fale da farne una serie di singuts be Vimprowvisa cadenza finale spegne, piti che concludere, I rsultatog una sorta di lunga interiezione che corre «auf Fliigeln des Gesan- ges», come un brivido Certo a questo effetto concorrono mezzi musicali appropriati; ma che solo dalla collocazione drammaturgica prendono pieno valote. Funziona anzitutto un sistema di reminiscenze drammatico-musicali L’idea melodica base di «Amami, Alfredo » richiama per pitt aspetti — configurazione discendente come sblocco lirico preparato dalla tensione di una frase ascendente, tonalita di fa maggiore, appassiona- to stacco iniziale sulla tonica - il «Di quell’amor ch’é palpito» della dichiarazione d’Alfredo al prim’atto (gia divenuta emotivo oggetto della memoria nelle successive riflessioni di Violetta rimasta sola); ¢ quanto alla sua seconda parte, la cellula tematica su cui si basa é la stessa appoggiatura che ha dominato sino a quel punto la scena (da «Dammitu forza, 0 cielo» in poi), e che a sua volta non é che una vel sione «parlante» di quella proposta in forma canora nel duetto pre- cedente («Conosca il sacrifizio»). Ma del risultato di tutto quest® oe che poi decide é la tensione che il corso dell’intero quadro ha ae to, addensandosi nel turbine di sentimenti contraddittori di ie spettatore sa travagliato l’animo di Violetta dopo Ja decisione d Se crifizio». Donde la travolgente pregnanza dello scatto melodico,® ue to maggiore di quanto l’obiettiva sostanza musicale farebbe Se ‘ re: al punto che il suo significato sembra gia esplodere alla sua P) nota, come se tutto si raccogliesse in quella. 20° Poche battute balbetta Otello durante e dop nt gcorgellt etto; ma la sua presenza ci penetra al punto da illuderci di oolg00? ingigantita, come in uno specchio, negli squilli di festa che eos e Vambasceria yeneziana; appunto nel glorioso crescendo di a violent fara sentiamo lievitare l’angoscia di Otello a furore. Diqui® inaudita dei quattro accordi che introdurranno Note sulla drammaturgia verdiana a ie »—e il fatto che sin dalla prima battuta quest apostrofe ci appaia, come quelli, stipata di collera. E di un tapi a nella dialettica drammaturgica, dell’evento esterno all’azione ate sensu drammatica Verdi offre esempi innumerevoli: é per questa via che | traforma il grand opéra, genere per sua natura sincretisti- co, sfilata di situazioni, in un’entita organica, C’é chi dalla scena del trionfo di Radames torce il volto annoiato; ma ci si domanda che sa- rebbe l’Arda, quel suo nascere e finale dissolversi su un lirico filo esi- lissimo, se al centro dell’azione non fosse la fisica enormita di quella parata. : Wagner non conosce simili impegni; percid abbisogna d’idee mu- sicali gia interamente pregnanti per conto loro. E ne dispone larga- mente, come sappiamo: la potenza definitoria della sua invenzione tematica non trova uguali nella storia dell’opera: di qui la sua possibi- lita di usarne fuori d’ogni piano prestabilito, secondo le esigenze di poemi in cui il «teatro», cioé il rapporto con il pubblico in sala, non influisce sulla struttura drammaturgica. Mentre in Verdi, dove quel rapporto é assolutamente determinante (non altro significa il famige- rato «effetto» di cui tanto si parla nelle sue lettere), solo la dramma- tutgia fa diventare idea musicale, avrebbe detto Hegel, quella che é. I che riduce la rilevanza critica del problema forme chiuse e aper- te: quello per il quale si suole identificare la cosiddetta «ascensione cteatrice» di Verdi come progressiva liberazione di queste da quelle. Inrealta scena o aria, numeri o non numeri, quel che conta @ che ca- Tattere e misura d’ogni luogo son sempre predeterminati al millime- to, in Verdi, da un piano «teatrale», né accettano di defletterne in omaggio alle proporzioni o comunque ai suggerimenti diun testo let- tetatio, Il testo, al contrario, tagliato in modo da prefigurare la solu- tione musicale che il disegno drammaturgico esige. NE la esige a ca- Priccio; ché appunto dal suo respiro, dalle sue articolazioni = nob Sali ‘citati « contrasti» con cui i primi criticl di Verdi ci anne ‘tanto seccato» — si definiscono nelle opere di Verdi i personage Situazions 7 'tuazioni, tutto. E dunque radicalmente errato interpretare Jone smi ovvero, per al oe libere o asimmetriche come parawagneris Forenting o mOn Gosia at ards jgini, fioren is glia di scherz mk ni alle origint, tevey fare, come 29 ricadute nel tdi; a . diane; ¢ altrettanto errato, viceversa, scambiare per 52 Scritti musicali pezzo puramente lirico della vecchia opera seria (0 peggio, per esi. zionismi vocalistici) i «Caro nome» € gli «Ora e per sempre addioy. che sono invece monumenti di caratterizzazione drammatica teatral. mente localizzati al punto debito, ineliminabili”. ‘A far dunque parte dell’opera che son chiamati ad ascoltare, pli spettatori di Verdi entrano non soltanto per quella sorta di loro dele. gazione in palcoscenico che, come da moltis’é giustamente inteso, éil coro”; ma anche come elemento formale, nella costituzione stessa della sua interna dialettica. Tl che non lasci immaginare un adattarsi di Verdi a coscienti 1i- chieste di coloro che, illic et tunc, popolavano i suoi teatri. Al contra- rio, tutt’altro che spenta era nel suo pubblico l’ereditaria abitudine all’ascolto, per dir cosi, centrifugo: abitudine che tuttavia non liqui- deremo, secondo I’uso universale, come abbandono al «piacere del- Porecchio» (espressione affatto insulsa non essendo mai Ja musica piacere dell’orecchio, neanche in una canzonetta di Sanremo, e vice- versa sempre, attraverso lorecchio, piacere, anche nella Kunst der Fuge), bensi intenderemo come disposizione alla ricerca di valoriliri- ci, anziché drammatici. Nasceva infatti, neglitaliani, dalla consuett- dine con Popera seria settecentesca, genere che per lo pit respingev* Pazione nello sfondo consegnandola al testo, ¢ in primo piano amava trarre una musica volta a celebrare l'indugio riflessivo, il rapimentol- rico. Donde un modo d’ascolto corrispondente. II teatro-salotto 2°? era un ritrovo gastronomico: semplicemente un ambiente ove!’ atte zione voleva concentrarsi, con opportuni intervalli di distrazion® SY quei rapimenti ¢ indugi; l’assunto lirico esigendo per sua natur * Vedi in rerione ad A. Della ore, ur/eaaurente rivendicezione del bana del! tg ‘del «Caro nome», impli ajgiana pplepneica, del arse gl Gl iia, in Mila, G. Verdi cit, pp. 124-25 € 190-9. sro Pes Guinean spt capil Ver core el teatro M Apollonio: primo st ear bilieie ‘ed, Firenze 1934, vol. I1) di. és Note sulla drammaturgia verdiana 53 ardie Poe insegnano, durata breve. E che appunto un tal tra gl’italiani del Settecento, come lo spettacolo To, non meraviglia se si pensi che cadeva su una societa rasse- Ivo minoranze intellettuali alquanto ristrette, allo status quo, { incline a riconoscersi nella contemplazione piuttosto condo Leop’ genete PI favori gnata, $2 ospera’ Ora appunto gl’inizi dell’ Ottocento, nel progressivo diffondersi disperanze sull’orizzonte politico in strati sempre pid ampi della so- cieta italiana, recarono la piattaforma che in pochi decenni doveva yolgere questo stato d’animo al suo opposto. Ma il vecchio costume teatrale tard6 a seguire Tevoluzione degli spiriti, implicato com’era in untraliccio di strutture difficilmente districabile, e percid destinato a e ’'avevano prodotto e alimentato. L’im- il compositore in quelle d’entram- ma della produzione per sopravvivere oltre le cause ch presario nelle mani del cantante € bi, il tutto compresso nello schiavistico sistei stagioni: che significava necessita dicreare in fretta opere suscettibili essere apprese in fretta, dunque a pezzi, e prontamente orecchiabi- i, e basate su schemi Jibrettistici immutabili. Ed é vero che questa prassi, al tempo del Rossini italiano ancora in pieno vigore, ando poi logorandosi: ma a poco a poco, enon simultaneamente in tutti i suoi aspetti; dei quali il pitt duro a scomparire fu appunto la tendenza al modo d’ascolto tradizionale, centrifugo. Non bast a distruggerlo, non che la Norma, non che il Donizetti maggiore, neppure ’'appari- zione di Verdi, pure cosi inequivoca in senso contrario. Che in Verdi il pubblico italiano registrasse un fenomeno congeniale al suo mo- mento storico, dunque un fenomeno nuovo, @ fuor di dubbio; ma in- tendere che le accensioni decisive delle sue opere, quelle da tutti ac- colte come il cuore del suo messaggio, per tanta parte ricavassero la loro energia e la loro fisionomia stessa ‘dalla continuita drammaturgi- ca, fu altra faccenda: cosi per il pubblico come Per quel modelo e in- sieme specchio del suo gusto che sono, © almeno allora erano, gl’in- terpreti. eae casi sporadici infatti (quelli 5 Seonelnene la Sonera 1e Formativa, Saea Re ‘i hee . jn cui l’autore stesso curd 0 con- 2 io non metterei la mano sul Jezione di Toscanini divenisse a diverds ile. Scritti musicali 34 rela ini e, 5 » piti a seguire la sua i tante italiano continuo per lo pitiase ua inclinazion NON so. opera come a se stante, ma add; Joa concepire ogni brano dell a disintegrare Punita ritmica interna al brano singolo, allo s miniare sfaccettature di colori e coloriti Quel pubblico ch’é immanente nelle opere di Verdi non preesiste va dunque a queste opere in quanto pubblico, ma piuttosto in quanto diffusa coscienza morale e civile: nel dar voce alla quale Verdi, ipotiz. zandolo, ne provocd la nascita. E questo un punto fondamentale g chiarirci come gl’impulsi che portarono alla drammaturgia verdiana non vadano cercati in una partenogenetica « evoluzione dell’opera l- rica», e neppure in ideali fermi alla loro immagine astratta. Quando la romantica emancipazione dei sentimenti si va incarnando in ob- biettivi politico-sociali concreti, quando nella societa si delinea la prospettiva d’una coerenza fra sentimenti e valori, fra «liberta» e li- berta civile, quando, in una parola, un’adeguazione fra ideale e realti & sentita possibile, allora un Beethoven puo apparire. Verdi cade su una situazione, nell’ambito del suo paese, analoga. Quel che sembra- vavelleita di pochi é ormai volonta di molti, la speranza nell’azioneha cessato di parere utopia, l’Italia non s’arresta pitt a idoleggiarsi: allora un Verdi appare, e il canto italiano diviene, definitivamente, «hand- lungsfihig»*, __ Latagione storica della drammaturgia verdiana é qui. Per quest in Verdi opera si pone completamente come azione, e il diseg® aturgico come il suo primo motore: facendosi luce, anche 0 le condizioni pitt sfavorevoli, come la conditio sine qua non. Qual anche il libretto non gli offta il filo d’un iter drammatico coeten® Verdi si sforza di costituire un moto dialettico: neanche I due Fosta"s ore Pure ’azione Proposta dal testo non fa che girare su s¢ ae Possono dirsi un seguito di situazioni prive di sviluppo jon ‘Sono anche le ragioni del fatto che questa @ dialettica dell’ mirand iritturg Cope di Note sulla drammaturgia verdiana 55 trascinare is SE ae a aoe consonanza immediata, senza preambo- ji né didascalie. «Egli trasse i suoi cori | dall’imo gorgo dell’ folla. | Diede una voce alle speranze e ai lutti. | Pianse ed amd soteioe ti». Cost D’Annunzio, in versi tra i meno dannunziani a yi ae desse m Qual era quella folla? Chi erano i che Ouel modo de colto, che Verdi incorporava nella struttura delle ae ope- re, ’abbiamo visto, non coincideva esattamente con quello del pub- blico che materialmente popolava i teatri italiani d’allora; eppure nel presupporlo, anzi nel pretenderlo, Verdi dava forma a impulsi che quel medesimo pubblico, sotto la crosta delle sue abitudini di spetta- tore, nutriva in profondita. Percié mirava oltre, ai «tutti» che dietro quel pubblico si profilavano alla sua fantasia: anche agli assenti. Nella semplice sintassi delle sue opere Verdi includeva tanto da porlo in co- municazione con strati sociali che della sua musica, materialmente, non avrebbero preso conoscenza diretta mai”. La sua drammaturgia infatti pud raggiungere un grado di com- plessita anche assai notevole, non mai per riuscire complicata né ambigua. II filo che la porta avanti yuol essere chiarissimo, percepibi- lea prima audizione da chicchessia; il che é insieme causa ed effetto dei dati morali, sentimentali, psicologici su cui si fonda: sempre ine- quivoci, anche e soprattutto quando si compongono 4 costituire per sonaggi internamente agitati da crisi e contraddizioni*. I dati da cui Verdi parte sono tutti registrati su un minimo comune denominatore reperito, socialmente parlando, in basso: in quel quarto strato che in- tende passioni e concetti etici—l’amore, Lonore, il tradimento —in ac- * Per le morte di Ginseppe Verdi, dl libro secondo delle LA4?!. ea intimo,apas- ® Nel 893 Cesare Pascarella (1858-1940) AccOMPABNO SE" 119i maschera; € una qua- i rornato dai tempi del Balai mt ein cima d’intonar S¢agio per Roma, dove il maestro non era pi tornato i Tantina danni dopo mi raccontd che una volta, arvvati ves pooh passi| «I quale era Poperatoaddeto alle sua manutenzione, Cost df0 Po. Certoa piegare la strafottenza d'un lampionaio rome Ho Bersonaggio sarebbe ruscito, forse! 56 Scritti musicali cezioni nette, e preborghesi. I] denominatore € tuttavia comun, nientaffatto eversivo rispetto all’ethos borghese del tempg Hie: diquest'ethos, non diversamente dal ctato Beethoven, Vey soltanto i valori liberatori, positivi, sdegnosamente ignorandy ta potenzialita involutive: percid «tutti» pud adunare sotto ung se vessillo. Sempre dunque la sua evoluzione verso un’elaborag pit raffinata dei propri motivi, e verso un continuo allarg rizzonti, rimane per dir cosi controllata dal basso. Tranne che, amo. menti, nell’estrema fase della sua attivita (quando, consolidatasi ly. nit d'Ttalia in senso conservatore, Pinvoluzione dello spitito borghe. se era divenuta manifesta), Verdi non rinnega le sue bandistiche or gini plebee, né perviene a qualcosa che il pubblico dei Lombardi 9 dell’Ermani non possa intendere, Donde la melanconica neces, pera critica ostinata nel giudicarlo al metro della «cultura: europea», non solo di rifiutare gran parte delle sue opere anteriori al Rigoletto, ma di puntigliosamente discriminare, anche nei suoi capolavori som- mi, il , dopo quella data, Manzoni, Note sulla drammaturgia verdiana 57 1esto: stesute sommarie, stenogrammi. Che T’inter- entare secondo il vento che d’un soffio unico so- opera tutta, e li scopriremo vivi. (Controprova. La one di strutture drammatiche o drammatizzabili, cioé cale da camera, Verdi resta a zero: ben diversamente da Rossin ini, e anche da Donizetti). Ladramma , «teatrale» é dunque in Verdi ’elemento prima- +o cosi della sua opera in genere come di ogni sua opera in particolare ne dipende in ogni senso: sia in quanto tutto ci 6 che in pata compatibile con Fimpegno d’integrare l'«Offentlichleeit» nella sua struttura ne resta automaticamente escluso, sia in quanto soltanto nell’ambito di quest’impegno gli elementi costitutivi dell’o- pera assumono il loro pieno valore. Inoltre, ’'avvento di questa dram- maturgia ha un preciso acento storico: gia di per sé essa celebra il momento in cui l’ideale dell’azione, in Italia, sida come realizzabile, un impulso dal basso si propone come impulso unitario; e insieme ce- lebra, trascendendo quel momento, Pattendibilita in assoluto di car- dini morali, la loro comunicabilita universale™. Accento del pari storico, ma di significato esattamente opposto, ha la drammaturgia wagneriana; che nell’estromettere il pubblico dalle sue strutture accusa una frattura nella compagine sociale, ad unico possibile cemento fra gli spettatori lasciando una loro volonta- ristica iniziazione alla sublimita dell’opera Parte: la religione di Bay- reuth, I] suo risultato pitt vistoso é ’emancipazione del tempo dram- matico da qualsiasi misura teatrale: prima avvisaglia di quella distru- zione del tempo musicale che Webern avrebbe portato a termine. Per questa impressionante profezia (non certo per il cromatismo del Tri- stano, monumento alla precisione tonale nel quale solo la trivialita del ee evoluzionistico poté rayvisare ill contrario) Wagner guar- avvenire: Pavvenire d’un mondo dilacerato. : cas Verdi non ha continuatori — sebbene la drammaturgia di tase non sia meno integralmente teatrale della sua: ma in una sin- ein pro di contenuti talmente diversi da rendere la filiazione ba- qu nella me tio, il sign’ hos St Genie ist mit Ethos geste, Er wir nicht Genie, wenn et nicht dic durch das Aelegten Entwicklungsméglichkeiten in sich triige». In Weissmann, Verdi cit

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