You are on page 1of 129

1.

I FONDAMENTI DELL'ECONOMIA DI MERCATO


giovedì 18 maggio 2017 10:14

L’economia capitalistica (anche detta economia di mercato) si basa sull’individualismo inteso come
egoismo del singolo che punta alla realizzazione del proprio benessere.

Si sviluppa però sul nascere dell’economia capitalistica, nei primi del 1700, l’idea secondo la quale
proprio attraverso l’egoismo del singolo e la ricerca del benessere individuale, la società volgeva
verso il benessere collettivo in maniera più efficace di quanto non sarebbe stato se avessero tutti
puntato al benessere collettivo.

Smith nel suo scritto “La Ricchezza Delle Nazioni”, al contrario del diffuso fraintendimento che lo
vedeva in linea con il pensiero dell’individualismo, definisce la ricchezza delle nazioni come il
commercio, e il loro arricchimento deriva dallo scambio. È sempre di questo scritto la metafora della
mano invisibile, meccanismo di autoregolazione del mercato frutto dell’egoismo dei singoli, che
volendo individualmente massimizzare il proprio benessere, portano anche alla massimizzazione del
benessere collettivo; in modo da ottenere il migliore allogamento delle risorse sul mercato.

L’egoismo dei singoli punta alla massimizzazione del benessere, processo che inevitabilmente è
sottoposto ad un vincolo, che è la disponibilità economica. I problemi microeconomici risolvono il
problema della massimizzazione del benessere (utilità) sotto il vincolo della disponibilità economica.

Il raggiungimento della teoria microeconomica moderna è passata attraverso la difficoltà degli


studiosi al tempo di Smith nella comprensione del funzionamento del prezzo, inteso dapprima come
valore del lavoro necessario a rendere entro la propria sfera di proprietà (togliere dalla disponibilità
collettiva) il particolare bene (es: acquisto della proprietà dell’acqua sgorgante da una fonte
attraverso il raccoglimento della stessa all'interno di una brocca). Questa visione non permetteva la
spiegazione del banale fenomeno circa l’enorme differenza di prezzo tra diamanti e acqua, che
nell’ottica di “prezzo come valore lavoro” non era concepibile.

Il ruolo dell'individuo e il suo interesse personale è definito come PRUDENZA COMUNE, cioè come
regola di condotta generalmente accettata e praticata, la quale è l'unione di ragione e
comprensione, da una parte, e del dominio di sè dall'altra. Il concetto di dominio di sè indica una
prevalenza di valori etici nel comportamento dell'individuo, e quindi che l'interesse personale non
può essere confuso con il mero egoismo e il guadagno.

La ragione della separazione creata da Smith tra scienza economica e etica è da attribuire
all'intuizione che l'elaborazione delle conoscenze sull'economia si prestasse ai metodi di una scienza
esatta, mentre per l'etica ciò non sarebbe stato possibile.

Gli economisti storico-istituzionali rifiutavano le ampie generalizzazioni della scuola dell'economia


classica, fondate sull'assunzione per cui ciò che vale per la società inglese deve valere anche per
tutto il resto del mondo, e si prefiggevano invece di approfondire I singoli casi specifici, dai quali
trarre leggi di comportamento più generali.

Nello studio dei fenomeni economici si vennero a formare due differenti indirizzi:
 DEDUTTIVO, di orientamento prevalentemente classico e teorico
 INDUTTIVO, più empirico e basato sull'analisi dei fenomeni presenti
nella realtà storica e Istituzionale

SCUOLA MARGINALISTA
Un processo di 150 anni circa porta dalla teoria del prezzo (di Smith e dei classici) che vedeva il
prezzo come valore-lavoro, alla Scuola Austriaca, c.d. Scuola Marginalista, che individua il prezzo
con l’accezione che gli viene data oggi.

INDUSTRIALE Pagina 1
PREZZO Non indica più il reale valore del bene, bensì è inteso come vettore di informazioni tra
domanda e offerta, cioè come indicatore del rapporto domanda/offerta (quando prevale l’una
sull’altra il prezzo sale, e viceversa).

Il nome della scuola deriva dalla attenzione all’ultimo scambio, appunto marginale, e non nel
complesso degli scambi fatti. È infatti l’ultimo scambio a darci le informazioni di prezzo che ci
interessano

DALLA CRISI DELL'ECONOMIA MARGINALISTA ALL'ECONOMIA INDUSTRIALE

La crisi dei marginalisti è diretta conseguenza della Crisi del ’29, che non trovando ragionevole
spiegazione nelle loro teorie, le fa crollare.

Nell’ottica marginalista, ad un eccesso di offerta l’equilibrio si sarebbe ritrovato abbassando i prezzi,


ma l’economia non rispondeva a tale sollecitazione. Particolare mercato fu poi quello del lavoro.

Il mercato del lavoro non risponde alla immediata regola “eccesso di offerta 
diminuzione del prezzo” questo perché sotto una certa soglia i salari non possono
scendere, il c.d. salario di sussistenza.

L’uscita dalla crisi sarà garantita con l’abbraccio delle politiche keynesiane, attuate con il New Deal,
che prevedono lo studio dei mercati nel loro complesso, considerando le interazioni che vi sono tra
di loro e puntando ad un equilibrio generale.

Keynes introduce l’eventualità per la quale il mercato, in particolari casi non riesce ad equilibrarsi da
solo (almeno non nel lungo periodo), ma ha bisogno dell’intervento dello stato, che con la sua
funzione stabilizzatrice, mette e toglie risorse al fine di raggiungere l’equilibrio.

La Crisi viene infatti risolta attraverso la spesa pubblica.

Negli anni ’60 del 1900 le teorie macroeconomiche di Keynes raggiungono l’idillio, lo Stato
compie lavoro di fine tuning, stabilizzando un’economia che funziona con piccoli
aggiustamenti per rendere perfetto il funzionamento del sistema.

Negli anni ’70 anche le teorie keynesiane vanno in crisi a causa del fenomeno della
stagflazione che, comportando alta inflazione e alta disoccupazione, non riusciva ad essere
spiegato con un modello basato sulla curva di Phillips come quello keynesiano.

Per superare questo ostacolo si iniziano a riportare alla luce teorie all’epoca considerate di
nicchia, come quella formalizzata da Schumpeter con la sua teoria dell’innovazione come
motore della dinamica industriale.

Nascono anche studi sulle asimmetrie informative, che vanno a studiare quell’aspetto della
teoria neoclassica che meno convinceva i critici, ovvero uno dei presupposti per la concorrenza
perfetta, la c.d. perfetta informazione.

Si viene a riscoprire quindi lo studio della microeconomia, ossia lo studio inteso come critica
alle principali criticità del paradigma del modello neoclassico. Tale modello si basava su
alcuni presupposti, oggetto appunto della critica:

▪ Assenza di barriere all’entrata e all’uscita

▪ Irrilevanza delle scelte da parte dei consumatori e delle imprese (le scelte del
singolo non influenzano il mercato)

▪ Perfetta informazione (sul mercato quindi si afferma solo un prezzo, le imprese


hanno tutte la stessa tecnologia ovvero la stessa struttura di costo)

INDUSTRIALE Pagina 2
hanno tutte la stessa tecnologia ovvero la stessa struttura di costo)

□ Tutte le imprese sono uguali sotto il profilo della struttura dei costi

□ I consumatori conoscono la qualità del bene prima di acquistare il bene

▪ Non ci sono costi di transazione

▪ Tutte le imprese producono lo stesso bene

L’equilibrio di concorrenza si stabilisce a quel prezzo uguale al costo marginale

P=MC

L’economia industriale studia proprio i mercati imperfetti, ovvero non quelli di concorrenza
perfetta, ma piuttosto quelli in cui forze portano al disallineamento di questo equilibrio.

SINTESI DI MARSHALL
Marshall riconobbe il limite della teoria classica e neoclassica nel fatto che essa era conscia che gli
abitanti di altri paesi avevano particolarità meritevoli di approfondimento, ma non si è resa conto di
quanto fossero suscettibili le condotte e gli elementi strutturali delle industrie.

La teoria dell'equilibrio economico parziale proposta da Marshall con l'analisi della domanda e
dell'offerta di specifici ambiti di attività economica, quali le industrie, e il riconoscimento delle
imperfezioni dei mercati, spianarono la strada all'ECONOMIA INDUSTRIALE.

MARKET FAILURES
Il campo d'azione dell'economia industriale riguarda specificamente I casi in cui le forze spontanee
del mercato producono distorsioni all'equilibrio, che perciò si allontana dal c.d. "ottimo paretiano",
producendo una distribuzione delle risorse imperfetta. Tali distorsioni sono dette MARKET
FAILURES

Nonostante fosse pacifico che una economia capitalistica fosse migliore sotto l’aspetto
dell’efficienza, essa tende a creare distorsioni al livello del funzionamento del sistema. Tali
distorsioni, dette market failures o imperfezioni del mercato, sono diretta conseguenza della
rimozione dei presupposti della concorrenza perfetta.

• Produzione di beni pubblici e sociali che il mercato non è in grado di produrre nelle quantità e
specie desiderabili.

• Presenza di fenomeni di incertezza e instabilità che allontanano il sistema da una situazione


di stabile equilibrio. Tali fenomeni riguardano sia il sistema nel suo complesso, sia circostanze
specifiche di singole industrie e mercati. Queste derivano dalle caratteristiche dell'offerta e
della domanda (modello della ragnatela) oppure dall'effetto dell'interazione fra le decisioni di
un numero ristretto di produttori nel determinare le quantità o I prezzi dell'offerta.

• Restrizioni alla concorrenza determinate dal potere monopolistico

• Presenza di esternalità, per cui costi e benefici derivanti dalle decisioni di singoli operatori non
risultano incorporate nel sistema dei prezzi che l'imprenditore prende in considerazione nel
determinare le proprie scelte (ES. Costi dell'inquinamento; cross fertilization fra l'allevamento
delle api e la coltivazione di un frutteto)

• Presenza di costi di transazione, che rende il ricorso al mercato meno efficiente o più
rischiodo rispetto all'accentramento delle operazioni produttive nell'ambito dell'impresa

INDUSTRIALE Pagina 3
• Asimmetrie informative, che si determinano quando una parte degli operatori del mercato
dispone di informazioni rilevanti sulla qualità del prodotto che non sono disponibili per gli altri.

CORREZIONI AL MERCATO
Al fine di correggere queste distorsioni vengono introdotti dei correttivi di carattere istituzionale
come:
○ Sindacato dei lavoratori e la legislazione sul lavoro
○ Le politiche sociali (Welfare), cioè previdenza obbligatoria e sanità
○ Tassazione del reddito per finanziare la produzione dei beni pubblici e a fini redistributivi
○ Politiche di regolazione monetarie e fiscali (Keynesiane)

1. SINDACATI E LEGISLAZIONE DEL LAVORO


Un primo problema del sistema basato sull'economia di mercato è rappresentato dalla
debolezza dei lavoratori salariati rispetto ai capitalisti che offrono lavoro. Smith notava come,
essendo I datori di lavoro meno numerosi dei lavoratori dipendenti, era per loro più facile
coalizzarsi in cartelli configurando una forma di mercato monopsotica per la contrattazione dei
salari.

Per il mercato del lavoro l'equilibrio naturale NON corrisponde ad un equilibrio


concorrenziale.
Assumendo che la produttività del lavoro sia decrescente al crescere delle quantità impiegate,
e che il costo sia invece crescente, allora il costo marginale (assunzione di un lavoratore in più)
è superiore al salario medio.

In condizioni di monopsonio, l'imprenditore determinerà la quantità di lavoro da


assumere al punto in cui la produttività marginale è uguale al costo marginale. Ciò dà
origine ad una differenza fra la produttività del lavoro e il salario medio, e a un minore
livello di occupazione rispetto a quanto risulterebbe in condizioni di concorrenza, in cui
la domanda di lavoro si spingerebbe almeno fino al punto in cui il costo marginale
uguaglia la produttività media.

LEGGE FERREA DEI SALARI = il salario dei lavoratori dipendenti non può eccedere il
livello della pura sussistenza, il quale è costituito dalle condizioni di vita minime alle
quali I lavoratori accetterebbero di mettere al mondo dei figli, e di mantenerli fino all'età
del lavoro, evitando che vi sia nel lungo periodo una caduta della quantità di lavoro
offerta.

Smith aveva invece una visione molto più avanzata. Una remunerazione liberale del
lavoro è l'effetto di una crescente ricchezza nazionale. Il costringere il lavoratore a
rimanere povero costituisce il sintomo di uno stallo e salari da fame descrivono un
rapido peggioramento della situazione.

Gli aumenti della produttività conseguiti dalla tecnologia delle manifatture industriali e
dall'applicazione di quantità crescenti del capitale, si trasferirono in cospicui aumenti
dei salari anche sotto la pressione dell'attività sindacale, il che diede luogo ad una
espansione sistematica e di lungo periodo del potere d'acquisto, che costituisce una
delle spiegazioni del formidabile sviluppo delle economie di mercato.

2. POLITICHE SOCIALI: PREVIDENZA OBBLIGATORIA E SANITA'


Un secondo problema riguarda la capacità dei singoli individui di badare a se stessi. Le prime
istituzioni moderne volte a rispondere a tale problema furono introdotte dal Cancelliere Otto
Von Bismarck nella Germania dell'800, mediante l'assicurazione obbligatoria per il
pensionamento dei lavoratori dipendenti che abbiano raggiunto I 65 anni di età.

INDUSTRIALE Pagina 4
Le riforme negli Stati Uniti di Roosevelt, con l'avvento del New Deal, introdussero le politiche
sociali del Welfare State che si ispirano al principio dell'uguaglianza delle opportunità, al
contenimento delle conseguenze derivanti dalle disuguaglianze nella distribuzione del reddito
e più in generale della ricchezza, e all'assistenza pubblica a coloro che non sono in grado di
assicurarsi il minimo necessario per un'esistenza dignitosa.
Il tratto fondamentale è costituito dalle assicurazioni sociali (anzianità, infortuni e malattie)
finanziate da contributi obbligatori.

F. A. von Hayek introduce poi il primo concetto di economia sociale di mercato affermando che uno
Stato, per garantire un buon livello di benessere, deve assicurare alle persone che non possono
guadagnarsi da vivere in un’economia di mercato (malati, vecchi, handicappati, vedove e orfani) un
reddito minimo a tutti. Da questi concetti nasce la definizione di liberalismo economico.

3. FINALITA' DELLA TASSAZIONE


Un terzo problema dell'economia di mercato è che questo sistema non riduce le
disuguaglianze fra I soggetti dell'economia, ma tende anzi ad aumentarle. La principale finalità
della tassazione del reddito e del patrimonio è stata costituita dal finanziamento della
costruzione e del funzionamento dei beni pubblici.

Al tempo dei classici le finalità della tassazione prendevano in considerazione solo la questione
del finanziamento della spesa per beni pubblici, e non anche quella della redistribuzione del
reddito, e perciò le prescrizioni sulla tassazione ai fini del valore dell'eguaglianza erano limitate
solo alla capacità contributiva.

Agli inizi del 900, la finalità di redistribuzione del reddito fu incorporata nei sistemi fiscali
attraverso la progressività delle aliquote.

4. ANTITRUST
La market failure dell'economia capitalistica che riguarda l'accentuazione delle disuguaglianze,
riguarda anche la concentrazione delle imprese, ovvero la possibilità per alcuni di costituire e
quindi di sfruttare la posizione dominante acquisita sul mercato.

Sono state emanate, nel corso degli anni, un insieme di leggi volte a promuovere l’efficienza
del mercato impedendo pratiche monopolistiche, concentrazioni di imprese e abusi di
posizione dominante evitando quindi distorsioni dei mercati.

Tuttavia, la legislazione antimonopolistica ha avuto, almeno all'origine negli Stati Uniti,


anche una connotazione etico-sociale, cioè la dispersione del potere economico e della
conseguente influenza politica, e quindi il ripristino della fiduzia nell'equità del sistema
economico e politico

Nel caso europeo, invece, l'obiettivo finale era costituito dalla volontà di integrare I
mercati nazionali in un grande mercato unico.

5. STABILITA' E SVILUPPO
Il mercato produce instabilità per tre ordini di motivi:
○ Quando l'elasticità dell'offerta è maggiore di quella della domanda di una particolare
industria
○ Instabilità dei prezzi dovuta alla moneta
○ Ciclo economico

Al tempo di Smith, la stabilità non era considerata un valore. La stabilità del valore intrinseco
delle merci dipendeva dall'idea che questo dipendesse dalla quantità di lavoro incorporata
nella merce, e dall'idea che I salari fossero stabili in termini reali.

INDUSTRIALE Pagina 5
nella merce, e dall'idea che I salari fossero stabili in termini reali.

Keynes introdusse due concetti fondamentali:


▪ Che la moneta non è estranea all'equilibrio dei mercati
▪ Che il liberismo (free trade) e la mano invisibile non garantiscono la stabilità e lo
sviluppo

Egli riteneva che, se l'offerta di moneta è abbondante, perchè la spesa pubblica è


finanziata con l'emissione di carta moneta (signoraggio) in luogo delle imposte, ne può
derivare un'espansione dei consumi e degli investimenti. La domanda e l'offerta, quindi,
non sono indipendenti dalla moneta.

INDUSTRIALE Pagina 6
2. METODOLOGIE DI ANALISI
giovedì 18 maggio 2017 11:35

LA SCUOLA DI HARVARD
La metodologia di analisi dell'economia industriale associata a Mason e Bain della Scuola di
Harvard, si articola nel paradigma "STRUTTURA - CONDOTTA - RISULTATI"

La STRUTTURA dell'offerta (numerosità e dimensione delle imprese, barriere all'entrata,


grado di differenziazione dei prodotti, integrazione verticale) determina la CONDOTTA
delle imprese (politiche di prezzo, investimenti per la produttività e l'innovazione, spesa
pubblicitaria) dalla quale derivano i RISULTATI, cioè le performances (efficienza,
competitività, rapporto fra I prezzi e costi marginali, innovazione delle tecnologie e dei
prodotti)

Se quindi nel mercato si determinano squilibri o performance insoddisfacenti bisognerà


intervenire sulla struttura, unica vera determinante dei risultati (performance).

In questa ottica l’intervento pubblico sarà volto a cambiare la struttura dei mercati, non
direttamente le condotte delle imprese.

Il modello di Harvard descrive il raggruppamento delle variabili che caratterizzano una


particolare industria in 4 tipologie:

1. CONDIZIONI DI BASE, distinte fra quelle che riguardano:


 La DOMANDA (funzioni di domanda) =
 Valori dell'elasticità della domanda
 Tecnologia
 Sostituibilità
 Tasso di crescita
 Stagionalità
 Modalità di acquisto
 localizzazione

 L'OFFERTA (funzioni dei costi) =


 Mass production
 Specializzazione
 Materie prime
 Beni durevoli e non durevoli
 Economie di scala e di ampiezza di gamma
 Costo e produttività del lavoro

DOMANDA - Al fine dello studio della struttura bisogna partire dalle due componenti
che stanno a monte anche della struttura stessa del mercato ovvero domanda (funzione
di domanda) e offerta (funzione di offerta). Queste due fondamentali componenti sono
parte delle c.d. “condizioni di base”. Tali condizioni di base, in condizioni ottimali, si
presentano come variabili esogene per l'industria. Le imprese presenti nel settore,
quindi, non possono esercitare su di esse alcuna azione modificativa nel breve-medio
periodo.

Prima di poter prendere decisioni strategiche bisogna comprendere la funzione di

INDUSTRIALE Pagina 7
Prima di poter prendere decisioni strategiche bisogna comprendere la funzione di
domanda. Al fine dello studio della funzione di domanda di una particolare industria
analizziamo alcune sue peculiarità:

▪ Elasticità della domanda = L'elasticità della domanda è il rapporto tra la


variazione percentuale della quantità domandata e la variazione percentuale del
prezzo del bene. L'elasticità misura la sensibilità della domanda del bene alla
variazione del suo prezzo.

L'elasticità non è mai positiva per la legge della domanda, ma per convenzione si
considera il valore assoluto del coefficiente di elasticità. Per una curva di domanda
lineare, l'elasticità della domanda è diversa in ogni suo punto e varia da infinito a
zero muovendosi verso il basso.

▪ Sostituibilità = Intesa come grado di sostituibilità tra beni che rispondono allo
stesso bisogno. Anche il contesto determina la sostituibilità dei beni.

▪ Localizzazione = intesa come localizzazione dei miei consumatori.

▪ Modalità di acquisto = Intese nel senso di come avviene l’interazione con il


consumatore (es: contratti a medio lungo termine, il consumatore usa l’esperienza
come determinante di acquisto).

OFFERTA - Sempre al fine di determinare l’offerta di una particolare industria devo


conoscere la funzione di costi delle imprese che ne fanno parte, ovvero la loro
tecnologia.

▪ Mezzi e tecnologia con i quali posso produrre il bene/servizio

▪ Allocazione e distribuzione della tecnologia (es: settori labour-intensive o ad alta


intensità di capitale).

▪ Funzione di produzione Lo studio della tecnologia (funzione di produzione) è


costituito da due componenti:
 Allocazione delle materie prime
Innovazione (intesa come impatto della R&S sulla funzione di

INDUSTRIALE Pagina 8
 Innovazione (intesa come impatto della R&S sulla funzione di
produzione)

▪ Localizzazione intesa come distribuzione spaziale delle imprese (imprese molto


concentrate su un territorio, distribuite su tutto il mondo).

▪ Economie di scala & economie di scopo (di varietà)

□ Economie di scala = al crescere della quantità prodotta la tecnologia mi


permette di ridurre i costi medi.

□ Economie di scopo = sono economie di diversificazione, ovvero in alcuni


contesti risulta più conveniente produrre due prodotti diversi nello stesso
impianto piuttosto che in impianti diversi (es: produco pasta, fare fusilli e
rigatoni nello stesso impianto è più conveniente che farli in impianti diversi.
O ancora nei casi dell’industria chimica, dove lo scarto di una produzione
può essere prodotto utile per la rivendita).

2. STRUTTURA, che comprende gli elementi che costituiscono tipicamente l'oggetto delle
strategie delle imprese, cioè gli obiettivi delle loro azioni di medio-lungo periodo:
□ Numerosità e dimensione delle imprese (concentrazione)
Questo parametro è diretta conseguenza delle condizioni di base.
L’analisi di questo particolare parametro mi permette di capire
l’influenza della scelta del singolo produttore o consumatore può
avere sull’intero mercato.

□ Barriere all'entrata di nuove imprese


Sono gli elementi che influenzano il mercato in termini di numerosità
e distribuzione.

□ Differenziazione dei prodotti


Come i prodotti sono differenziati. Questo è il principale indice della
segmentazione del mercato.

□ Integrazione verticale
Mi permette di capire come è composta la filiera produttiva nel
mercato, se quindi dal produttore al consumatore vi sono molte
imprese o se ce n’è una che compie dalla produzione alla
distribuzione.

□ Diversificazione
□ Discriminazione del prezzo

3. COMPORTAMENTI effettivamente tenuti dalle imprese. Gli elementi della struttura del
mercato influenzano e determinano le condotte delle imprese, intese come strategie,
comportamenti che le imprese adottano nel mercato. Strategie principali sono quindi:

 Politiche di prezzo
 Pubblicità
 Qualità del prodotto
 Sviluppo di nuovi prodotti
 Comportamenti cooperativi

INDUSTRIALE Pagina 9
4. RISULTATI economici (performances), in conseguenza alla condotta dell'impresa,
possono essere misurati in termini di:
▪ Profitti, bisogna comunque distinguere tra:
□ Profitto economico = valorizzazione delle risorse rispetto alla migliore
alternativa possibile, ovvero il costo-opportunità.
(ES. Ho un locale; lo utilizzo per svolgere un'attività che mi
costa 10k e mi frutta 11k; affittarlo mi frutterebbe 12k. Se
svolgo la mia attività, il profitto contabile è di 1k, mentre il
profitto economico sarebbe 0 in quanto, svolgendo io la
mia attività, perdo il beneficio che avrei potuto
guadagnare se avessi affittato il locale.)
Il profitto economico, quindi, è la differenza tra il profitto
contabile e il costo opportunità della migliore alternativa.
In concorrenza perfetta le risorse sono allocate alla
migliore alternativa possibile e quindi profitto=0.

□ Profitto contabile = determinato dalle regole civilistiche che statuiscono


come si costituisce il risultato nel bilancio d'esercizio

▪ Competitività dei prezzi


▪ Efficienza allocativa
▪ Saldo della bilancia commerciale
▪ Stabilità/rischiosità

La relazione che sussiste tra I vari blocchi del paradigma non è necessariamente univoca. Mentre si
assume che la struttura condizioni I comportamenti, questi possono avere un'influenza rilevante
sulla struttra. E ciò vale anche per tutte le altre variabili del paradigma.

Le POLITICHE PUBBLICHE, riguardanti la regolamentazione, barriere commerciali, antitrust, imposte


e sussidi, incentivi per occupazione/investimenti, possono incidere su ciascun gruppo di variabili e
perciò costituiscono un elemento molto rilevante nella dinamica dei settori e dei loro risultati.

LA SCUOLA DI CHICAGO
La Scuola di Chicago, di impronta classica e neoclassica, pur riprendendo quelle che sono le linee
generali di pensiero della Scuola di Harvard aggiunge una forte componente teorica rappresentata
dalla costruzione di modelli.

La visione di questa scuola però si differenzia marcatamente dalla Scuola di Harvard nell’analisi della
struttura del mercato.

Nella loro ottica, infatti, la struttura del mercato deve essere liberalista, nella quale le forze
naturali spingeranno l’impresa più efficiente ad affermarsi e acquisire una posizione
dominante. Al contrario di quanto pensato dalla Scuola di Harvard infatti, in questa ottica, è
l’efficienza che porta all’acquisizione di una posizione dominante, e non viceversa
(l’ottenimento di una posizione dominante permette alle aziende di raggiungere una efficienza
maggiore).

Sulla base di questo pensiero vengono rivisitate le componenti della struttura del mercato,
determinanti appunto le performance, che si riducono solamente a due:

▪ Innovazione tecnologica = Intesa come capacità dell’impresa, attraverso


l’innovazione, di raggiungere risultati migliori sotto l’aspetto dell’efficienza.

INDUSTRIALE Pagina 10
l’innovazione, di raggiungere risultati migliori sotto l’aspetto dell’efficienza.

▪ Libertà di entrata = Intesa come libertà di competere nel mercato e libertà di


affermazione dell’impresa più efficiente.

L'innovazione tecnologica e la libertà di entrata rappresentano I fattori chiave per la


comprensione della dinamica dei mercati. È proprio in conseguenza di questa visione che
cambia completamente l’interpretazione che viene data all’intervento del pubblico nel
mercato.

POLITICHE PUBBLICHE

HARVARD CHICAGO
Di impronta strutturalista, interpreta le Nella loro accezione di concorrenza,
concentrazioni di mercato come l’intervento dello stato, volto a ridurre le
fenomeno che determina inefficienza, di concentrazioni, fornendo protezioni, aiuti,
conseguenza va limitato attraverso la sussidi ecc. danneggia il mercato
regolamentazione (in particolare allontanandolo dalla situazione di
l’antitrust). concorrenza, favorendo l’affermazione di
imprese meno efficienti. Diretta
L’intervento pubblico, nella loro visione, conseguenza di questa politica sarebbe il
può intervenire ed influenzare uno vantaggio delle poche imprese favorite dallo
qualsiasi dei 3 livelli del paradigma stato e di rispetto il danneggiamento
struttura-condotta-risultato, influenzando dell’intero mercato, che volgerebbe ad una
le policy delle imprese. condizione inefficiente.

L’intervento statale si manifesta Nella loro ottica il potere di mercato non è


principalmente attraverso: necessariamente negativo. Lo Stato
dovrebbe intervenire al solo fine di:
- Regolazione
- Garantire la possibilità di ingresso
- Antitrust, al fine di limitare le assicurando un regime di concorrenza
concentrazioni
- Favorire lo sviluppo puntando al
- Incentivi, tasse e sussidi (la c.d. leva miglioramento dell’efficienza.
fiscale)

- La macroeconomia, Intesa con accezione


generale (tassi di cambio, politiche fiscali
espansive o restrittive ecc.)

IL PARADIGMA NEGLI ANNI '90

Negli anni ’90 Scherer, sempre con approccio strutturalista, rivisita il paradigma in chiave moderna
cambiando la rappresentazione, dall’essere lineare le viene data una forma a triangolo.

INDUSTRIALE Pagina 11
Rimane l’importanza della struttura nel condizionare i restanti aspetti del paradigma, ma si
introduce il concetto di
co-influenza.

Mentre a sostenere le teorie liberaliste della Scuola di Chicago sarà Stigler, che rivisiterà in chiave
moderna quelle che erano le loro teorie, fornendo così una visione in contrapposizione a quella di
Scherer.

Sintesi tra i due ragionamenti deriva da Porter, condensata nella teoria delle 5 forze competitive,
che deriva appunto dal paradigma.

INDUSTRIALE Pagina 12
3. LA TEORIA DELL'IMPRESA
giovedì 18 maggio 2017 14:08

Con l’avvento dell’economia di mercato si è fortemente modificato il ruolo e la natura dei soggetti a
cui è conferita la proprietà del capitale, e quindi il potere decisionale.

Il concetto di impresa non indica più una mera componente della teoria del valore e del prezzo, ma
essa rappresenta un’organizzazione che sostituisce il meccanismo dei prezzi e degli scambi nello
svolgimento dei processi economici.

Fu Coase a definirla per la prima volta come:

Particolare associazione distinta dal meccanismo di formazione dei prezzi, dotata di


personalità distinta da quella dei soci, che grazie al suo capitale può acquistare risorse
trasformabili in prodotti e servizi da vendere al mercato, ottenendo dalla differenza tra ricavi e
costi, un profitto con il quale remunerare il capitale, e quindi gli azionisti.

In particolare questo nuovo concetto di impresa si viene sviluppando diversamente a seconda dei
diversi sistemi economici in Inghilterra, America e Europa Continentale. Due di tali differenze sono
particolarmente importanti e riguardano:
▪ La contendibilità del controllo societario
▪ Il sistema pensionistico

1. CONTENDIBILITA' DEL CONTROLLO SOCIETARIO


Indica la possibilità per un gruppo esterno all'effettivo azionariato dell'impresa di assumerne
il controllo.
○ Le corporations americane e inglesi risultano generalmente contendibili perchè I
sindacati azionari di controllo più grandi mediamente non superano il 5% del capitale
azionario negli USA e il 10% in Gran Bretagna.
○ In Europa, invece, è molto più problematica la contendibilità del controllo azionario
poichè I sindacati di controllo vanno da un massimo che è del 56% ad un minimo del
20%.

CAPITALISMO ANGLOSASSONE (SHAREHOLDERS)


Nel caso dei sistemi anglosassoni, dove prevalgono le società contendibili fortemente
dipendenti dal mercato azionario, si deve tener presente la distinzione tra proprietà, che
compete all'insieme degli azionisti, e controllo, che è esercitato dai manager.

La principale conseguenza che discende dalla separazione tra proprietà e controllo è che gli
obiettivi delle due categorie non possono coincidere, nel senso che il manager posto a capo
dell'impresa (CEO) potrebbe non condividere la massimizzazione del profitto per gli azionisti.

Tuttavia, il comportamento dei manager è sottoposto a una serie di vincoli che tendono
a farlo coincidere con quanto richiesto dagli azionisti:
 Vincoli interni all'impresa
 Vincoli derivanti dal mercato del lavoro
 Vincoli derivanti dalla competizione fra le
imprese
 Vincoli derivanti dal mercato dei capitali

Ulteriore esempio delle problematiche derivanti dal capitalismo manageriale è rappresentato


dalle asimmetrie informative, cioè una differenza nelle informazioni disponibili
rispettivamente da parte degli azionisti e del management che rende difficile per I primi
valutare il costo d'agenzia, cioè la differenza del valore dell'azienda con o senza quel

INDUSTRIALE Pagina 13
valutare il costo d'agenzia, cioè la differenza del valore dell'azienda con o senza quel
particolare management, e quindi la decisione se sostituire o mantenere il management in
carica.

L'uso di forme di retribuzione ad incentivo, cioè collegate ai risultati conseguiti dai manager
attraverso premi o stock options hanno cercato di tamponare la differenza di interessi tra le
due categorie, che però rimane comunque molto marcata soprattutto a causa delle differenze
negli interessi a breve termine dei manager in contrapposizione a quelli dei proprietari più
lungimiranti.

Indispensabile quindi è l’intervento dello Stato per correggere questi meccanismi spontanei
dell’economia.

Se a favore del successo del capitalismo abbiamo la globalizzazione, d’altra parte questo
sproporzionato arricchimento dei manager tende a svuotare di valori etici le società moderne
e capitalizzate, continuando ad alimentare quel divario sociale che porta la ricchezza in mano a
pochissimi, che di fatto detengono il controllo sulla società.

CAPITALISMO RENANO (STAKEHOLDERS)


La differenza del modello capitalistico renano, rispetto a quello anglosassone, consiste nella
Corporate Governance e nel fatto che qui il controllo azionario è riconducibile ad un numero
limitato di soggetti e non ha una natura pubblica come nel caso anglosassone.

Le due principali conseguenze che derivano da questa differenza:

○ La prima è di carattere culturale: la massimizzazione del valore per gli azionisti,


riguardando un "fatto privato" dei proprietari, e non una virtù pubblica di cui ciascuno
può beneficiare, risulta un traguardo assai meno accettato di quanto lo sia nei paesi
anglosassoni.

○ Inoltre, il fatto che I sistemi finanziari renani generino pochi fondi sottoforma di azioni,
rende gli azionisti minoritari anche sotto il profilo finanziario rispetto ad altri soggetti
quali banche, dipendenti, creditori, ecc.

Tutto ciò, congiuntamente ad una forte estensione della proprietà statale delle imprese, ha
portato alla creazione di una dottrina che stabilisce che l'obiettivo degli amministratori sia la
massimizzazione del valore non solo per gli azionisti (shareholders), ma per tutti I portatori
di interessi nell'impresa (stakeholders)

Se anche questo sistema potesse sembrare volto maggiormente a tutelare valori etici della
comunità, un minor controllo e una gestione meno trasparente lo rendono geneticamente più
incline a conflitti di interesse che generano abusi e distorsioni.

Tutto ciò si risolve in una minore efficienza del modello del capitalismo renano, che vede come
principale ostacolo la minore dinamicità delle imprese e la limitatezza dei capitali disponibili,
che lasciano perplessi sul futuro che questo sistema può avere.

2. IL SISTEMA PENSIONISTICO
Il sistema pensionistico è a capitalizzazione nei paesi anglosassoni e a ripartizione nei paesi
continentali.

○ Nel caso di sistema pensionistico a capitalizzazione (anglosassone), esso registra forti


avanzi finanziari, che si riversano sui mercati di borsa, facendone il principale strumento
di finanziamento esterno delle imprese.

Nel caso di sistema pensionistico a ripartizione (continentale), esso non produce avanzi

INDUSTRIALE Pagina 14
○ Nel caso di sistema pensionistico a ripartizione (continentale), esso non produce avanzi
finanziari, ed è quindi il sistema bancario ad alimentare prevalentemente il
finanziamento delle imprese.

IMPRESE TRANSNAZIONALI (TNC)


La liberalizzazione del commercio internazionale e la rivoluzione del sistema delle comunicazioni
hanno fatto spostare il particolare processo della produzione del valore concernente la produzione
manifatturiera, verso paesi in cui la mano d’opera è a costi inferiori, dando così vita a imprese
transnazionali (TNC) ovvero imprese che vendono ovunque al livello globale, ma sembrano non
produrre in nessun luogo, proprio perchè la progettazione rimane localizzata dove è la sede
principale dell’azienda, mentre la produzione viene frammentata nei paesi emergenti.
(ES. Ikea, Nokia, Aplle, Nike)

Questo comporta un abbassamento dei costi produttivi, garantendo a queste grandi imprese margini
di profitto. Il rovescio della medaglia è la deindustrializzazione di quei paesi che l’industria l’hanno
fatta nascere, con non poche critiche da parte di un numero studiosi sulle conseguenze possibili di
questo fenomeno.

La produzione del valore nelle attività di impresa avviene in una sequenza che può essere
rappresentata da una catena formata da tre anelli:
- Concezione e progetto industriale di un prodotto o di un servizio
- Produzione manifatturiera
- Attività di marketing e di distribuzione

Con le trasformazioni determinate dalla globalizzazione e dalla rivoluzione ICT, la rilevanza strategica
dei singoli anelli della catena del valore è radicalmente cambiata, perchè l'anello costituito dalla
produzione manifatturiera è diventato quello che più risente della concorrenza low cost da parte dei
paesi emergenti. Di conseguenza, nei paesi più evoluti, proprio questo elemento rappresenta il
punto debole della competitività per le imprese.

Le imprese americane e europee, vedendo la riduzione dei margini di profitto sulle operazioni
manifatturiere, hanno trasferito queste fasi del processo produttivo nei mercati emergenti
(outsourcing/delocalizzazione)

Il modello di management delle TNC consiste nel non considerare strategico l'anello
consistente nell'attività manifatturiera e di ridurne notevolmente il peso. Ciò determina un
duplice vantaggio, perchè oltre all'effetto che deriva dalla riduzione dei costi di produzione
diretti per il minor costo del lavoro, la delocalizzazione comprime l'entità del capitale investito
nei processi produttivi che fanno capo alle TNC e di conseguenza ne migliora il rendimento
percentuale sul capitale investito.

Delocalizzando gli investimenti necessari alle fasi di produzione manifatturiera, e limitandosi


alla progettazione dei prodotti che possono in seguito essere acquistati a costi molto bassi
dalle fabbriche collocate nei paesi in via di sviluppo o di nuova industrializzazione, le imprese
transnazionali TNC mantengono il controllo dei marchi e delle reti di distribuzione che
consente loro di vendere I prodotti nei mercati più sviuppati ma anche in quelli emergenti.

Ciò ha portato però al fenomeno della deindustrializzazione, cioè alla progressiva riduzione
della quota determinata dalle attività manifatturiere sul PIL

INDUSTRIALE Pagina 15
4. IL MERCATO
giovedì 18 maggio 2017 16:14

Il termine INDUSTRIA o SETTORE INDUSTRIALE si riferisce ai venditori (sellers).


Il termine MERCATO si riferisce agli acquirenti (buyers).
Il settore può essere identificato sulla base di fattori di offerta e il mercato sulla base di fattori di
domanda.

L'industria può essere definita secondo due approcci:


 SIMILARITA' TECNOLOGICA
 ESTENSIONE DI RETI DELLE IMPRESE

- In base al primo approccio, l'industria è intesa come l'insieme di imprese che utilizzano
tecnologie di processo simili e possiedono esperienze e conoscenze comuni che rendono
possibile produrre un particolare prodotto, qualore risulti conveniente. Vengono raggruppati
processi produttivi simili in quanto abbiano uno stesso background di esperienze e di
conoscenze, o presentino una stessa organizzazione tecnica o impieghino una stessa materia
prima.
(ES. industria del legno, del cuoio, del ferro ecc.)

- In base al secondo approccio, faranno parte di uno stesso settore tutti I beni e I servizi che la
rete controllata da un'impresa o da un gruppo di imprese può distribuire o raggiungere.
(ES. imprese di telecomunicazione le cui reti di fibre ottiche possono essere utilizzate per
coinvolgere un'ampia gamma di prodotti e servizi; oppure I grandi magazzini aventi una serie
di punti vendita che si interfacciano con I consumatori finali)

Le definizioni basate sul criterio tecnologico presentano il limite di non tener conto del mercato e dei
consumatori. Al contrario, le definizioni basate sul mercato tengono conto delle preferenze e dei
gusti dei consumatori, dei bisogni dei consumatori, dei luoghi di consumo e delle funzioni dei
prodotti.

I processi produttivi che soddisfano uno specifico bisogno con beni e servizi, sostituibili e
complementari, costituiscono un'industria. (ES. Tutti I prodotti che soddisfano il bisogno di alimenti
liquidi costituiscono l'industria delle bevande)

Si fa riferimento al concetto di SOSTITUIBILITA' tra prodotti dal punto di vista dei consumatori.
Per misurare tale sostituibilità, Bain utilizza il concetto di "elasticità incrociata tra beni
sostituibili" data dal rapporto tra la variazione percentuale della quantità domandata del bene
y rispetto alla variazione percentuale del prezzo del bene x.

Se l'elasticità incrociata è maggiore di 0, allora I beni sono sostituti.


Se l'elasticità incrociata è minore di 0, allora I beni sono complementari.
Se l'elasticità incrociata è uguale a 0, I beni sono indipendenti.

Quanto maggiore è il valore dell'elasticità incrociata, tanto più I due prodotti sono
sostituibili tra solo e configurano un mercato.

AMBITO COMPETITIVO E EQUILIBRIO PARZIALE DI MARSHALL


L'ambito competitivo è l'insieme delle porzioni della domanda e dell'offerta che presentano
un'elevata elasticità incrociata dell'offerta e di consumi caratterizzati da una significativa elasticità

INDUSTRIALE Pagina 16
un'elevata elasticità incrociata dell'offerta e di consumi caratterizzati da una significativa elasticità
incrociata della domanda.

Il mercato può essere definito come quello spazio economico in cui venditori e acquirenti sono in un
rapporto libero tra loro in cui I prezzi delle stesse merci tendono all'equilibrio facilmente e
velocemente. (Marshall)

Il mercato in Marshall è quello in cui può essere identificato un unico prezzo e nel quale è
valida la teoria dell'equilibrio parziale che considera l'equilibrio quale si realizza in una parte
soltanto dell'economia, cioè in un determinato mercato, supponendo che non varino le
condizioni esistenti negli altri mercati.

IL MERCATO RILEVANTE
Lo studio del mercato attiene principalmente allo studio dei confini di esso, il suo dimensionamento
e fino a che punto un prodotto/servizio appartiene ad un mercato piuttosto che ad un altro.

Usiamo lo stesso principio dell’assoluzione allo stesso bisogno già visto in termini di industria,
rimane però il dubbio nella definizione dell’area di confine tra un mercato e l’altro, ovvero fino a che
punto di può dire che un prodotto appartiene ad un mercato piuttosto che ad un altro.

Al fine di superare questo ostacolo usiamo la definizione di mercato rilevante secondo l’antitrust.

L’identificazione di un prodotto in un particolare mercato è fondamentale per l’identificazione di


posizioni dominanti di particolari imprese e per permettere all’antitrust di controllarne l’eventuale
abuso. Proprio a tal fine l’antitrust definisce mercato rilevante come:

“Il più piccolo insieme di prodotti in un’area geografica in cui è possibile per un’impresa violare
norme della legislazione antitrust”

(ES. Nel caso delle concentrazioni, il mercato rilevante è il più piccolo insieme di prodotti in cui la
concentrazione può portare al rafforzamento o alla creazione di una posizione dominante tale da
ridurre in modo significativo la concorrenza in tale mercato.)

Il mercato va definito sia sotto il profilo del prodotto che sotto il profilo geografico:

- Il mercato rilevante sotto il PROFILO DEL PRODOTTO, comprende tutti i prodotti e servizi che
sono considerati intercambiabili o sostituibili dal consumatore, in ragione delle caratteristiche
dei prodotti, dei loro prezzi, dell'uso cui sono destinati.

Tale sostituibilità può essere analizzata sia dal lato della domanda, sia dal lato dell'offerta:

○ SOSTITUIBILITA' DAL LATO DELLA DOMANDA


Attiene alla percezione dei consumatori riguardo l’unicità ovvero la sostituibilità di un
prodotto rispetto ad un altro che assolve allo stesso bisogno. Una misurazione di questa
sostituibilità è operabile con il metodo della elasticità incrociata della domanda al
prezzo, o anche attraverso lo SNIP TEST.

Sempre al fine di circoscrivere un mercato rilevante si può effettuare lo SNIP TEST


ovvero:

“Il test del piccolo, transitorio ma significativo incremento di prezzo”

Anche detto il test dell’ipotetico monopolista; attraverso un incremento di prezzi di un


determinato paniere di beni e studiandone l’aumento di profitto, ci aiuta a capire se in
quel paniere vi sono abbastanza sostituti.

Si procede alla selezione di un paniere di beni, se ne fa aumentare il prezzo del 5% - 10%


e si valuta se è stato profittevole:

INDUSTRIALE Pagina 17
e si valuta se è stato profittevole:

□ Se l’aumento dei prezzi del paniere è stato profittevole vuol dire che il
consumatore rimane attaccato a quel paniere, e che quindi probabilmente il
mercato è stato troppo circoscritto e non comprende abbastanza sostituti.

□ Se l’aumento non è profittevole allora vuol dire che nel paniere comprende
troppi sostituti.

Trovare una via di mezzo tra i due ci aiuta a dare il giusto dimensionamento al mercato
rilevante.

○ SOSTITUIBILITA' DAL LATO DELL'OFFERTA


Importante anche questo di aspetto al fine di identificare il mercato rilevante, esso
considera la sostituibilità dal lato dell’offerta, e quindi delle imprese produttrici.

Attiene allo studio della tecnologia delle imprese produttrici, in particolare studio fino a
che punto è possibile convertire capacità produttiva da un prodotto ad un altro. Studio
quindi la capacità produttiva potenziale del prodotto, rispetto a quella effettiva.
(es: ci sono X impianti in Italia che imbottigliano coca-cola, mentre ci sono Y impianti che
fanno altro, quanti di questi Y impianti, con pochissimo costo e breve tempo, possono
essere convertiti all’imbottigliamento di coca-cola?).

- Il mercato rilevante sotto il PROFILO GEOGRAFICO è definito come l'area nella quale le
condizioni di concorrenza sono sufficientemente omogenee e che può essere distinta da zone
geografiche contigue dove le condizioni di concorrenza sono differenti.

Il limite geografico di un mercato viene determinato analizzando se un aumento del prezzo in


una località influisca in modo sostanziale sul prezzo di un'altra località. Se è così, entrambe le
località appartengono allo stesso mercato geografico.

Per l'individuazione del mercato geografico, occorre raccogliere informazioni relative a:


○ Entità dei costi di trasporto
○ Disponibilità degli acquirenti del prodotto a spostarsi (mobilità)
○ Eventuale presenza di barriere agli scambi internazionali

ES. I mercati del cemento e del calcestrutto hanno dimensione tipicamente locale, per gli
elevati costi di trasporto. Al contrario, I mercati delle bevande hanno una dimensione
nazionale per l'omogeneità dei gusti, la presenza di marchi affermati sul territorio nazionale, la
diffusione capillare dei canali di distribuzione e I bassi costi di trasporto.

DISTRETTO INDUSTRIALE
I distretti industriali possono essere definiti come un esteso numero di piccole imprese, legate da
relazioni verticali di cooperazione e da relazioni orizzontali di concorrenza specializzate in una o più
industrie complementari in un'area delimitata naturalmente e storicamente.

Il distretto, quindi, è da intendere come un'entità socio-economica caratterizzata dalla


compresenza attiva di una comunità di persone e da una popolazione di imprese in un'area
delimitata naturalmente e storicamente.

Il criterio di individuazione nel caso di distretti industriali, dunque, è il senso di appartenenza


ad una comunità di vita e di lavoro.

Marshall interpreta il distretto come un costrutto sociale ed economico dove I legami di

INDUSTRIALE Pagina 18
Marshall interpreta il distretto come un costrutto sociale ed economico dove I legami di
amicizia tra la popolazione locale e I rapporti di vicinato favoriscono la diffusione di
conoscenza comune.

Il concetto di distretto ha avuto molta popolarità anche all'estero, dove si fa riferimento al termine
di cluster introdotto da Porter, il quale definisce I cluster come una concentrazione di imprese, in un
ambito territoriale definito, interconnesse tra loto che si trovano in taluni casi in competizione e in
altri a cooperare.

Nella formazione e nel funzionamento dei distretti, così come per il mantenimento del loro
vantaggio competitivo, il fattore delle esternalità svolge un ruolo determinante

INDUSTRIALE Pagina 19
5. LE TEORIE DELLA DOMANDA
giovedì 18 maggio 2017 17:25

DOMANDA DI MARSHALL
La curva di domanda di un singolo consumatore, per un dato prodotto, riassume la relazione fra quantità del prodotto
acquistata nell'unità di tempo, e ogni possibile prezzo. La curva di domanda, quindi, rappresenta sempre la quantità
domandata dal consumatore come funzione del prezzo.

q = f(p)

La curva di domanda è inclinata negativamente dato il principio dell'utilità marginale decrescente; per cui, tanto più
alto è il prezzo tanto minore è la quantità domandata, a parità delle altre condizioni.

A questa regola ci sono due eccezioni:


▪ Quando il consumatore valuta la qualità di un prodotto dal suo prezzo
▪ Quando il consumatore è spinto ad acquistare un prodotto proprio per il suo elevato prezzo

La posizione e la forma di una curva di domanda marshalliana individuale dipendono:


- Dai gusti e dalle preferenze del consumatore
- Dal suo reddito monetario
- Dal prezzo di ogni altro prodotto
Al variare di uno di questi tre parametri, si ha uno spostamento della curva di domanda.

L'informazione essenziale che si ottiene dalla curva di domanda è il grado di reattività della quantità domandata di un
prodotto ad ogni variazione del suo prezzo. Tale rapporto, espresso in termini percentuali, è l'elasticità della domanda
al prezzo.

e = var. proporzionale della quantità domandata di X / var. proporzionale del prezzo di X

- Per convenzione, l'elasticità viene presa positivamente (anche se è sempre negativa)

- L'elasticità della domanda al prezzo è espressa in termini di variazioni relative, non assolute, nella quantità
domandata e nel prezzo:
□ Se una curva di domanda ha elasticità maggiore di 1, si dirà elastica e una diminuzione del
prezzo aumenterà la spesa del consumatore.

□ Se una curva di domanda ha elasticità minore di 1, si dirà anaelastica e un aumento del


prezzo accrescerà la spesa del consumatore per quel dato bene.

□ Se una curva ha elasticità uguale ad 1, si dirà ad elasticità unitaria e quindi eventuali


variazioni del prezzo non alterano la somma che il consumatore spende per il bene in oggetto.

L'elasticità della domanda di un bene al suo prezzo dipende da:

- La durata del periodo cui si riferisce la curva di domanda; la domanda è più elastica per lunghi piuttosto che per
brevi periodi di tempo, dal momento che è più lungo l'intervallo di tempo considerato risulta più agevole per I
consumatori sostituire un bene con un altro.

- Il numero di beni sostituibili a disposizione e il loro grado di sostituibilità riguardo al bene in oggetto. Se un
prodotto ha molti sostituti stretti, la sua domanda sarà più elastica.

INDUSTRIALE Pagina 20
- L'incidenza di un prodotto sul bilancio del consumatore. All'aumentare dell'incidenza di un bene sul bilancio del
consumatore, la sua domanda tenderà ad essere più elastica.

- I possibili usi alternativi cui un bene si presta. Più un prodotto è adatto a svariate applicazioni, più elastica sarà
la sua domanda.

CURVA DI ENGEL
Il concetto di elasticità può esser riferito anche al livello del reddito monetario di un consumatore. Nell'unità di tempo
e con prezzi costanti di tutti gli altri prodotti, la relazione tra il livello del reddito monetario di un singolo consumator e
e la quantità domandata di un bene è illustrata dalla CURVA DI ENGEL.

La variazione della quantità domandata al variare del reddito monetario del consumatore può essere misurata con
l'elasticità della domanda al reddito, data da:

e = var. percentuale della quantità domandata / var. percentuale del reddito

Alcuni beni hanno elasticità al reddito positiva. In tal caso, gli incrementi di reddito monetario del consumatore
comportano aumenti della quantità domandata di un bene. (ES. Generi alimentari, carne, liquori)

Altri beni, invece, hanno elasticità al reddito negativa, come nel caso dei beni inferiori, il cui consumo diminuisce
proporzionalmente all'aumentare del reddito del consumatore. In tal caso, incrementi del reddito monetario del
consumatore comportano riduzioni nel consumo di una merce.

INDUSTRIALE Pagina 21
consumatore comportano riduzioni nel consumo di una merce.
(ES. Affitto di una stanza: un aumento del reddito personale si tradurrà non in un aumento della domanda di affitto di
una stanza, ma nella richiesta di un appartamento)

EFFETTO REDDITO e EFFETTO SOSTITUZIONE


Una variazione nel prezzo del bene X influenza il comportamento del consumatore in un duplice modo:

- EFFETTO DI SOSTITUZIONE
Se il prezzo di X diminuisce, l'acquisto di tale prodotto diventa, a parità del prezzo di tutte le altre merci,
relativamente più conveniente e, per il Teorema di Slutsky, il consumatore sarà spinto sempre ad aumentare la
domanda del bene X in sostituzione dei prodotto divenuti relativamente più costosi.

- EFFETTO DI REDDITO
La riduzione di prezzo di X comporta un miglioramento del reddito reale del consumatore, che può fare
aumentare gli acquisti in tutti I prodotti, compreso il bene X (a meno che questo sia un bene inferiore la cui
domanda diminuisce quando il reddito aumenta).

IL PROCESSO DI REVISIONE DELLA TEORIA NEOCLASSICA


Il modello della domanda marshelliana può essere considerato ragionevole nel breve periodo, ma non realistico se il
riferimento temporale diviene più ampio. La quantità domandata di un particolare prodotto, infatti, può variare anche
per motivi che non dipendono solo dal prezzo e dal potere di acquisto che il consumatore può spendere per un dato
prodotto.

La teoria neoclassica della domanda si basa sul principio dell’utilità marginale decrescente e si fonda su 4 ulteriori
postulati che sono stati oggetto di critica successiva:

1. Costanza delle preferenze del consumatore

2. Reversibilità della relazione tra i parametri di quantità, prezzo e reddito del consumatore

3. Massimizzazione dell’utilità soggettiva di ogni consumatore

4. Razionalità e autonomia del comportamento del consumatore

Questa teoria è stata criticata partendo proprio da tali postulati, in particolare affermando che le preferenze del
consumatore non sono costanti, in quanto variano a seconda di svariati fattori di variabilità.

Si è poi notato che l'elasticità della domanda al prezzo muta in relazione all'ampiezza della variazione del prezzo, e
non alla variazione del prezzo in sè. Marshall aveva parlato della difficoltà che l'acquirente abituale di un certo bene
incontra nel ridurre il consumo in seguito all'aumento del prezzo.

INDUSTRIALE Pagina 22
Duesenberry, a tal proposito, parlò di "irreversibilità della funzione di domanda” in completa antitesi con
quanto sostenuto dalla teoria neoclassica riguardo alla reversibilità della funzione di domanda e cioè all'ipotesi
di variazioni simmetriche della domanda a seguito di mutamenti in aumento o in diminuzione del prezzo.

Si è infatti constatato che l'elasticità della domanda per un consumatore assuefatto all'uso di un bene è meno
sensibile ad un aumento del prezzo. Il consumatore che acquista abitualmente una data quantità di un bene,
quindi, tende a non diminuirla all’aumentare del prezzo, a causa di una sorta di assuefazione al prodotto.

La teoria neoclassica ipotizza un comportamento razionale del consumatore assolutamente autonomo. Tuttavia, ciò è
stato criticato perchè fattori come lo status symbol derivante da un prodotto e l’influenza degli altri consumatori,
portano gli acquirenti a non scegliere solamente in base al prezzo e in maniera razionale.

Ne consegue, quindi, l'assoluta improbabilità di una funzione di domanda collettiva come somma delle singoli funzioni
di domanda individuali.

TEORIA MARRISIANA
L'ipotesi che sta alla base del modello di Marris è che I consumatori, superato il livello dei bisogni di sussistenza, sono
portatori di un sistema di preferenze tutt'altro che stabile e indipendente. Anzi, I bisogni dei consumatori sono oggetto
di una incessante trasformazione.

Un altro elemento fondamentale del consumatore è costituito dalle esperienze di consumo acquisite. Memorizzando
le esperienze di consumo, il consumatore formula un quadro di riferimento in base al quale prende le proprie decisioni
di acquisto presenti e future.

Nel modello di Marris, dunque, trova giustificazione l'affermazione che è l'esperienza a creare I bisogni.

Marris ricorre ad una distinzione dei consumatori: pionieri e pecore.

I pionieri si distinguono soprattutto perchè decidono nuovi acquisti senza fruire di stimoli da parte di altri
consumatori, a differenza di quanto avviene per le pecore.

Il numero complessivo di pionieri di un prodotto appena lanciato dipende:


 Dal prezzo
 Dalla qualità
 Dalla spesa pubblicitaria
 Dal livello del reddito
 Ecc.

A differenza della curva di domanda individuale del consumatore pecora, che è caratterizzata da una buona
elasticità alle variazioni di prezzo, la domanda dei consumatori pionieri risulta quasi sempre piuttosto anelastica.
Il pioniere incorpora il nuovo prodotto nel proprio schema di preferenze, creando la propria curva di domanda
fino ad allora inesistente. (processo irreversibile)

E' irreversibile anche il cambiamento che subisce il consumatore pecora tutte le volte che, in seguito ad
"attivazione" (contatto con altri consumatori) è stimolato ad acquistare un dato prodotto.

L'insieme di tutti I consumatori che sono disposti a consumare quantità positive di un prodotto a un dato prezzo, è
definito "POPOLAZIONE DEL MERCATO", la cui dimensione è funzione sia del prezzo e delle quantità del prodotto, sia
delle caratteristiche della popolazione stessa.

Quando un nuovo prodotto viene lanciato sul mercato, I compratori sono pochi perchè pochi sono gli spiriti pionieri.
Se I pionieri raggiungono un determinato numero "critico" ed esprimono favorevoli apprezzamenti sul prodotto, le
persone con cui entrano in contatto possono essere stimolate ad un comportamento imitativo. Le pecore attivate, a
loro volta, potranno influenzare nuovi consumatori, innescando una reazione a catena.

INDUSTRIALE Pagina 23
- Per "criticità", Marris intende una particolare condizione della domanda, cioè il passaggio della domanda
di un prodotto dalla fase di gestione a quella di esplosione, in cui sussiste criticità se la probabilità che si
innesti una reazione a catena è quasi certa.

- Un contatto si definisce "socio-economico" quando una persona è in grado di stimolare un'altra


all'acquisto di un nuovo bene. Ciò è possibile se fra I due vi è una certa affinità di gusti, di valori etici,
sociali ed economici.

La funzione di domanda del consumatore pioniere sarà quindi:

I consumatori "pecore", invece, sono consumatori meno coraggiosi e più soggetti all’influenza della pubblicità e dei
pareri di altri consumatori, che siano essi pecore o pionieri. La loro curva di domanda sarà più elastica e sarà:

dove:

La domanda aggregata quindi sarà:

Si possono distinguere tre fasi della domanda:


– Fase di gestione
– Fase di saturazione
– Fase di esplosione

Il modello che Marris sviluppa si dimostra efficacie anche nei confronti di beni di produzione, e quindi beni intermedi
attenenti alle relazioni commerciali tra imprese, denotando anche qui la presenza di pionieri (ad esempio nel campo
dell’innovazione tecnologica) e pecore.

(in questo caso la soglia critica di attivazione è particolarmente importante, perché se in un mercato un numero
sufficiente di imprese adottano una particolare innovazione, accaparrandosi tutto il profitto la rendono praticamente
obbligatoria anche per le pecore, che la adotteranno di conseguenza innescando quella reazione a catena)

DOMANDA DI BENI DI CONSUMO DUREVOLE


Marris, pur elaborando una teoria della domanda ricca di variabili economiche e socio-psicologiche, di fatto ha
trascurato una delle componenti che più influiscono sulla domanda, soprattutto di beni di consumo durevole e di
investimento: la DURATA DEL PRODOTTO.

La domanda di beni di consumo immediato (alimenti, bevande..) è funzione della capacità di acquisto del
consumatore, cioè del prezzo e del reddito. I beni di consumo immediato, inoltre, sono perfettamente divisibili e il loro
consumo viene ripetuto frequentemente.

Nel caso dei beni di consumo durevole (automobili, elettrodomestici), invece, l'acquisto è relativamente saltuario e
comporta una spesa non trascurabile in rapporto al reddito del consumatore. Essi sono indivisibili e offrono un servizio

INDUSTRIALE Pagina 24
comporta una spesa non trascurabile in rapporto al reddito del consumatore. Essi sono indivisibili e offrono un servizio
prolungato nel tempo.

Secondo il PRINCIPIO DI ACCELERAZIONE, la domanda di beni strumentali dipende dalla variazione della domanda
finale dei prodotti ottenuti con l'uso di quel particolare strumento produttivo.
ES. Se con lo strumento produttivo X si ottiene il bene Y, la quantità domandata di X dipende dalla variazione
della domanda dei beni Y in un dato periodo di tempo, tenuto conto della produttività di X, cioè del numero di
prodotti Y che può essere ottenuto in seguito all'acquisto di X.

Tale principio può essere rappresentato da:

I = A(Dt - Dt-1) + DS

Per I beni di consumo durevole, l'applicabilità del principio di accelerazione è legittima qualora si assumesse che la
diffusione dell'uso di un determinato bene di consumo durevole fosse legata al livello del reddito disponibile dei
consumatori.

D = A(Rt - Rt-1) + DS

Secondo tale notazione, la domanda di beni di consumo durevole dipende dalle variazioni del
reddito dei consumatori e non dall'enità del reddito dei consumatori medesimi.

Il parametro A(Rt - Rt-1) misura la domanda per incremento del parco.


Il parametro DS rappresenta la domanda di sostituzione.

Partendo proprio dalla separazione della domanda totale in domanda per incremento del parco e domanda di
sostituzione, alcuni economisti hanno elaborato modelli che sono tutti accomunitai dalla presenza di due variabili:

- REDDITO
- PREZZO

A differenza di ciò che si verifica per I beni di consumo, ogni aumento del reddito comporta un incremento più che
proporzionale della domanda dei beni di consumo durevole e, viceversa, un decremento del primo genera una
riduzione più che proporzionale della seconda.

I più importanti beni di consumo durevole mostrano una elasticità al prezzo sensibilmente inferiore a quella del
reddito. La domanda di molti beni di consumo durevole è influenzata dal prezzo di altri prodotti che concorrono a
determinare il costo di utilizzazione. Le variazioni del prezzo di un particolare bene di consumo durevole, dunque,
determinano una variazione del costo del servizio reso meno che proporzionale all'incremento del prezzo.

DOMANDA DI BENI INTERMEDI E DI INVESTIMENTO


La domanda di beni di produzione "intermedi" (materie prime, semilavorati) è molto difficile da determinare a causa
delle particolari caratteristiche di tali beni che sono molto eterogenei, sia sotto l'aspetto tecnologico, sia riguardo agli
utilizzatori finali.

La domanda di beni intermedi dipende non solo dalle variabili proprie della funzione di domanda di beni
finali, ma anche da una variabile rappresentata dai cambiamenti della tecnologia. Questi ultimi fanno sì
che una particolare materia prima venga richiesta In funzione non solo del livello assoluto del prezzo,
quanto soprattutto del rapporto tra tale prezzo e quello di altri materiali sostituti.

In secondo luogo i beni intermedi possono essere immagazzinati in grandi quantità e quindi la loro
domanda sarà anche influenzata dal livello degli stock costituiti presso le imprese utilizzatrici, nonchè dalle
aspettative economico-congiunturali e tecnologiche di queste ultime.

Per quanto riguarda la domanda di beni di investimento o c.d. prodotti finiti troviamo molte analogie con la domanda

INDUSTRIALE Pagina 25
Per quanto riguarda la domanda di beni di investimento o c.d. prodotti finiti troviamo molte analogie con la domanda
di beni di consumo durevoli. Per comodità i modelli che cercano di descrivere questa domanda si dividono in due
macro categorie:

- Modelli basati sul principio di accelerazione, che fanno dipendere gli investimenti dalla variazione della
domanda
- Modelli del tipo "profitti-investimenti", in cui gli investimenti sono fatti dipendere dai profitti o dai fondi propri
disponibili delle imprese.

MODELLO DEL GRUPPO DI STUDIO DI ANCONA (basato sul principio di accelerazione)


Tale modello, facente parte di quelli basati sul principio di accelerazione, afferma che gli investimenti industriali fissi
lordi dipendo:

- Direttamente dal saggio di variazione del valore aggiunto dell'industria, cioè dalla domanda di beni
industriali, nonchè dai profitti realizzati dall'impresa negli anni trascorsi che hanno permesso
l'accumulazione di fondi propri a disposizione.

- Inversamente dal costo del capitale e dalla capacità produttiva inutilizzata.

MODELLO DI SYLOS LABINI (del tipo profitti-investimenti)


Si basa sulla logica "profitti-investimenti", differenziando le imprese in base alla loro grandezza. La formazione della
domanda di investimenti varierà a seconda che le imprese siano:

- Grandi imprese, per le quali la variazione degli investimenti dipende direttamente


◊ Dalla quota di profitto corrente e dalla sua variazione
◊ Dalla capacità produttiva inutilizzata

- Medie-piccole imprese, per le quali gli investimenti saranno funzione


◊ Dei profitti correnti
◊ Della variazione della liquidità totale

DOMANDA RESIDUALE
Il concetto di domanda residuale riferisce a quella parte della domanda di mercato che si rivolge ad una singola
impresa offerente.

In un contesto di economia statica, la domanda residuale è semplicemente costituita dalla differenza tra la
domanda complessiva del mercato e la quota assorbita dalle altre imprese che costituiscono l'offerta

L'andamento parallelo alla domanda del mercato (Dm) della curva di domanda residuale (Dr) intruduce l'ipotesi che la
quantità della domanda che viene soddisfatta dalle altre imprese permanga costante ad ogni livello di prezzo.

Dr Dm Q

INDUSTRIALE Pagina 26
6. STRUTTURA DEI COSTI
giovedì 18 maggio 2017 21:09

STRUTTURA DEI COSTI DI PRODUZIONE


La struttura e il regime dei costi di produzione costituiscono l'aspetto più importante tra le condizioni di base
dell'offerta nel paradigma "struttura-condotta-risultato".

La struttura dei costi di produzione si riferisce al BREVE PERIODO.

○ Con BREVE PERIODO ci riferiamo ad un intervallo di tempo tanto breve da non consentire all'impresa di
variare la quantità impiegata di alcuni dei suoi fattori, come in particolare il suo stock di impianti e
attrezzature. Il breve periodo, quindi, è l'intervallo di tempo compreso tra quello in cui tutti I fattori sono
fissi e quello in cui tutti I fattori sono variabili.

L'espansione temporale del breve periodo in alcune industrie sarà maggiore che in altre. Questa varia da
impresa a impresa a seconda della loro tecnologia e dal tipo di produzione:

□ Nelle industrie in cui la quantità dei fattori fissi non è rilevante ed è facilmente modificabile,
il breve periodo può riferirsi ad un breve intervallo di tempo. (ES. Industrie tessili cotoniere).

□ Per altre industrie, invece, il breve periodo può essere misurato in anni (ES. Industria
dell'acciaio)

In riferimento al breve periodo e alla struttura dei costi di produzione, è opportuno distinguere tre concetti di costo
totale:
○ Costo totale fisso
○ Costo totale variabile
○ Costo totale

COSTI TOTALI FISSI


I costi totali fissi sono le passività totali che l'impresa deve
CTF
sostenere nell'unità di tempo per I fattori fissi.
Poichè la quantità di tali fattori è costante per definizione,
il costo totale fisso sarà il medesimo indipendentemente CTF
dalla quantità prodotta.

COSTI TOTALI VARIABILI


I costi totali variabili sono I costi totali che l'impresa deve
sostenere per acquistare i fattori variabili. Essi aumentano
al crescere della produzione dell'impresa, perchè livelli
CTV
produttivi più elevati richiedono fattori variabili in quantità
maggiore.

Per bassi livelli produttivi, gli incrementi nell'utilizzazione


Livello di
dei fattori produttivi variabili possono dar luogo ad incrementi
saturazione
della loro produttività. Di conseguenza, I costi totali
variabili aumentano con la quantità prodotta, ma ad un
tasso decrescente. Superato un certo punto, I rendimenti

INDUSTRIALE Pagina 27
dei fattori produttivi variabili possono dar luogo ad incrementi
saturazione
della loro produttività. Di conseguenza, I costi totali
variabili aumentano con la quantità prodotta, ma ad un
tasso decrescente. Superato un certo punto, I rendimenti
marginali del fattore variabile diventano decrescenti e I
costi totali variabili aumentano ad un tasso via via maggiore. Q
(Legge dei rendimenti marginali decrescenti)

Definiamo quindi Produttività marginale del singolo fattore Q


produttivo l’aumento dell’output a seguito dell’aumento di
quel solo fattore produttivo.
Se prendiamo ad esempio il Lavoro (L) come fattore variabile,
la produttività marginale del lavoro sarà la quantità aggiuntiva
di prodotto che l'impresa ricava da ogni unità aggiuntiva di
lavoro tenendo fissa la quantità di capitale.

Il grafico permette di apprezzare il punto di saturazione del


fattore fisso ovvero il punto oltre il quale l’aumento del fattore
variabile a parità di fattore fisso fa diminuire la quantità prodotta. Punto di L
saturazione

COSTI TOTALI
I costi totali sono la somma dei costi totali fissi e dei costi variabili.
CT

Ci sono tre funzioni di costo medio, che corrispondono alle tre funzioni di costo variabile:

COSTO MEDIO FISSO


Il costo medio fisso è dato dal rapporto tra il costo totale fisso
e la quantità prodotta. Esso diminuisce al crescere della
quantità prodotta. La funzione che ne descrive l'andamento
è un'iperbole equilatera.

Al livello economico esso rappresenta la quota di fattore fisso


da imputare ad ogni quantità prodotta. E' evidente, quindi, che: CMF

• Quando le quantità sono molto piccole la funzione


tende ad infinito, ovvero la quota di costo fisso da
ripartire per unità è infinitamente sproporzionata.

• Quando le quantità sono molto grandi la funzione


tende a zero, questo perché se ho prodotto una
quantità enorme di prodotto rispetto al costo dei
fattori fissi, non ha senso economico ripartire una
Q
percentuale infinitesimale di quel costo per le
numerosissime unità prodotte.

INDUSTRIALE Pagina 28
numerosissime unità prodotte.
Ormai quindi al diventare delle quantità prodotte
molto grandi, l’investimento inziale per ciascuna
unità di prodotto diventa tendente a zero, ovvero trascurabile.

COSTO MEDIO VARIABILE


Il costo medio variabile è dato dal rapporto tra il costo CMV
totale variabile e la quantità prodotta.

Descriverà una funzione decrescente, con punto di minimo


nel punto di saturazione per poi diventare crescente da li in poi.
Questo perché nel tratto decrescente, aumentando i fattori
variabili, aumentano i costi variabili e quindi anche i quantitativi
prodotti in maniera più che proporzionale, fino ad aumentare in
maniera proporzionale per poi invertire il trend.
Infatti nel tratto crescente i fattori fissi iniziano a saturarsi e il
costo medio variabile aumenta all’aumentare delle quantità prodotte. Punto di Q
saturazione

COSTO MEDIO TOTALE


Il costo medio totale è il rapporto tra il costo totale e la
quantità prodotta. Il costo medio totale è pari alla somma AC AC
del costo medio fisso e del costo medio variabile.

Per livelli produttivi in corrispondenza dei quali le curve


del costo medio fisso e variabile hanno entrambe andamento
decrescente, il costo medio totale è necessariamente
decrescente.

Nel grafico, il punto di minimo q* rappresenta la


scala minima efficiente ovvero la quantità minima
che mi consente di minimizzare i costi medi. q* Q

Vi sono imprese che in casi particolari possono avere funzioni di costo medio nelle quali l’impatto dei costi fissi tende
sempre a prevalere su quelli variabili. Ovvero all’aumentare delle quantità la funzione di costo medio sarà sempre
decrescente, fino alla scala minima efficiente q* per poi da li in poi rimanere costante.
Industria quindi dove il costo del fattore fisso rimane sempre
quello più importante rispetto al variabile. Questi settori
tendono al monopolio naturale.
AC
(ES. settore della telefonia, dell’energia ecc. ovvero tutti
quei servizi infrastrutturali, dove il costo della infrastruttura
è molto più incidente rispetto ai costi variabili che sono
praticamente trascurabili.)

q* Q

INDUSTRIALE Pagina 29
COSTO MARGINALE
Il costo marginale è l'incremento del costo totale in conseguenza
ad un incremento unitario nella quantità prodotta.
In termini matematici quindi rappresenta il costo dell’ultima unità MC AC
prodotta, mentre in termini economici esso rappresenta il prezzo C
minimo al quale il venditore è disposto a vendere, cioè il suo prezzo o
di riserva. s
t
Il costo marginale MC non è altro che il costo dell'ultima unità i
prodotta, per cui se esso è più basso del costo medio AC tende ad
abbassare la medie, mentre se è più alto del costo medio AC, tende
a far aumentare la media.
Ne consegue che l'unico punto in cui AC=MC è quello corrispondente
al punto di minimo della curva dei costi medi. Q

La curva del costo marginale MC è inferiore alla curva del costo medio AC fino al punto in cui questa raggiunge il suo
minimo. E' uguale alla curva del costo medio nel suo punto di minimo. E' superiore alla curva del costo medio oltre.

Questa funzione però non rappresenta in maniera appropriata l'andamento dei costi nel breve termine, che sono
invece meglio descritti dalla funzione dei costi formulata da SYLOS LABINI, il quale ha formulato una funzione dei costi
data da:
C = vq + k

Dove:
v = costi variabili
q = quantità prodotta
k = costi fissi
MC

Fino al pieno utilizzo della capacità produttiva, il costo medio C


di produzione è decrescente, mentre il costo marginale è O
costante ed è uguale al costo variabile v. S
T
Il costo medio è decrescente fino al punto q*, che corrisponde I
al pieno utilizzo della capacità produttiva. Oltre tale punto il AC
costo medio di produzione tenderà a crescere perchè il
rendimento degli impianti portato oltre l'utilizzo ottimale degli
stessi tenderà a diminuire. Oltre il punto q*, quindi, ci sarà
una crescita accentuata dei costi medi AC.
q* Q
Il costo marginale, che è la derivata rispetto a q del costo
totale, sarà costante e pari a v fino a q* e da quel punto in poi
sarà crescente e superiore al costo medio.

ANALISI DEL BREAK EVEN POINT


La variabilità dei costi di produzione nel breve periodo dipende dal peso relativo dei costi variabili e dei costi fissi.
- Se tutti I costi sono variabili, cioè sono proporzionali alla quantità prodotta, la variabilità del costo in relazione ai
diversi gradi di utilizzo della capacità produttiva è nulla.
- Se tutti I costi sono fissi, la variabilità del costo medio di produzione alle variazioni della quantità prodotta sarà
molto grande perchè ad un aumento della produzione, il costo per ogni singola unità sarà sempre più piccolo.

INDUSTRIALE Pagina 30
Il BREAK EVEN è basato sostanzialmente sulla struttura dei costi di produzione, cioè sul rapporto tra costi fissi e costi
variabili. Esiste una relazione unitaria tra prezzo e quantità prodotta che determina un'inclinazione a 45° rispetto
all'asse delle ascisse della retta dei ricavi.

I costi di produzione sono rappresentati:


○ Da una retta orizzontale, se non variano al variare della quantità prodotta (costi fissi)
○ Da una retta inclinata, se crescono al crescere della produzione (costi variabili)

Da queste due rette si ricava la retta dei costi totali che è parallela a quella dei costi variabili, ma parte dalla
quota in cui I costi fissi intercettano l'asse delle ordinate.

La posizione di break even, e cioè il BREAK EVEN POINT si raggiunge quando la retta dei costi totali interseca quella dei
ricavi nel punto q*.

Ricavi

Costi totali
Costi variabili

Costi fissi

Un'impresa può servirsi di tale analisi, ad esempio per determinare l'effetto sui profitti di una riduzione attesa nelle
vendite. Alternativamente, può servirsene per determinare quante unità di un dato prodotto deve vendere perchè il
suo bilancio sia in pareggio.

COSTO OPPORTUNITA'
Il costo opportunità di usare una qualunque risorsa per un determinato scopo è il beneficio che si sarebbe potuto
trarre dall'impiego di quella risorsa nel miglior uso possibile alternativo. I costi opportunità indicano la convenienza o
meno a proseguire una determinata attività.

SUNK COST - COSTO IRRECUPERABILE


Un costo irrecuperabile è un investimento in un bene capitale che non ha altri usi alternativi. Un costo irrecuperabile è
un costo sostenuto per acquisire un fattore produttivo che avrà un costo opportunità nullo.

ES. In caso di cessazione di un'attività, sarà un costo irrecuperabile il costo del capannone se preso in affitto, mentre se
di proprietà potrà essere rivenduto. Solo nel caso in cui il capannone non potrà essere rivenduto o destinato ad altre
attività, questo sarà un costo irrecuperabile.

Tutti I costi, inclusi quelli fissi, che non si devono pagare in caso di interruzione di un'attività, sono costi evitabili.

INDUSTRIALE Pagina 31
INDUSTRIALE Pagina 32
6. REGIME DEI COSTI DI PRODUZIONE
venerdì 19 maggio 2017 09:52

Parlando di regime dei costi di produzione, facciamo riferimento al LUNGO PERIODO, come un orizzonte di
programmazione.

Nel lungo periodo, l'impresa può installare gli impianti delle dimensioni e del tipo voluto. Tutti I fattori sono variabili.
Non ci sono funzioni del costo fisso di lungo periodo, perchè non esistono fattori fissi.

La decisione principale che l'impresa deve prendere nel lungo periodo rispetto ai costi, riguarda la dimensione
dell'impianto di produzione. La scelta delle dimensioni dipende dalla quantità che l'impresa intende produrre
nel lungo periodo, supponendo che vorrà produrla in modo da minimizzare il costo medio.

COSTO MEDIO DI LUNGO PERIODO


La funzione del costo medio di lungo periodo mostra il costo unitario minimo corrispondente ad ogni livello
produttivo nel caso che sia possibile costruire l'impianto delle dimensioni desiderate.
Tale funzione è tangente a ciascuna delle curve del costo medio di breve periodo nel punto in cui gli impianti ai quali
esse si riferiscono sono a livelli di produzione ottimale.

Dal punto di vista matematico, la funzione dei costi medi di lungo periodo è l'inviluppo inferiore delle funzioni di costo
medio di breve periodo, che dipendono dal tipo di tecnologia messa a disposizione (nel grafico, in colore verde)

CM CM1 CM2 CM3

Q1 Q2 Q

Come notiamo dal grafico, le varie curve di costi medi CM1 CM2 CM3 rappresentano le varie scelte di costi per
investimenti in impianti che posso fare, a seconda dei livelli di produzione che voglio raggiungere.

Se per esempio voglio raggiungere il livello di produzione Q1, allora mi converrà utilizzare l’impianto che ha CM1 ed
infatti:

○ Per q<Q1 conviene l’impianto che costa per unità CM1

○ Per Q1<q<Q2 conviene l’impianto con CM2

○ Per q>Q2 conviene l’impianto con CM3

Stiamo infatti ipotizzando che la tecnologia, come è realistico pensare, sia disponibile in fattori discreti e che quindi
non ci sia un impianto che minimizza i costi medi per ogni quantitativo che voglia produrre, ma che ve ne siano a
scaglioni (ad es: tra 10k e 20k pz, tra 20k e 50k pz e tra 50k e 100k pz).

La funzione del costo medio di lungo periodo non è tangente a quelle di breve periodo nei loro punti di minimo, a meno
che non sia orizzontale. Nel tratto in cui è decrescente, la funzione del costo medio di lungo periodo è tangente alle

INDUSTRIALE Pagina 33
che non sia orizzontale. Nel tratto in cui è decrescente, la funzione del costo medio di lungo periodo è tangente alle
funzioni di breve periodo a sinistra del loro punto di minimo, mentre, nel tratto in cui è crescente, è tangente a tali
funzioni alla destra del loro punto di minimo.

COSTO Funzioni di costo


MEDIO medio di breve periodo

Q
La funzione dei costi medi di lungo periodo ha la caratteristica forma a L. Questo significa che la funzione è
decrescente per un lungo intervallo per poi rimanere costante per un tratto di lunghessa variabile fino al comparire delle
diseconomie di scala.

La pendenza della curva esprime il vantaggio che si acquisisce in termini di costo medio unitario di produzione avendo
una dimensione più elevata.
- Se la pendenza è molto accentuata nella fase iniziale, le imprese più grandi saranno più efficienti delle imprese più
piccole.
- Se la pendenza, invece, non fosse accentuata o non vi fosse pendenza, non ci sarebbe alcun vantaggio a passare da
una piccola quantità prodotta ad una grande quantità prodotta, ossia da una dimensione d'impresa piccola ad una
grande.

Il punto in cui la curva smette di descrescere identifica la DIMENSIONE OTTIMA MINIMA (DOM) dell'industria
presa in considerazione.

COSTO
MEDIO

DOM Q

FUNZIONE DEL COSTO TOTALE DI LUNGO PERIODO


Dato il costo medio di lungo periodo relativamente a un certo livello produttivo, basta moltiplicarlo per la quantità
prodotta al fine di ottenere il costo totale di lungo periodo.

COSTO
TOTALE

INDUSTRIALE Pagina 34
COSTO
TOTALE

Partendo da tale relazione, non è difficile calcolare la FUNZIONE DEL COSTO MARGINALE DI LUNGO PERIODO, che
mostra la relazione esistente tra la quantità prodotta e il costo risultante dalla produzione dell'ultima unità addizionale
nel caso che l'impresa abbia modo di attuare quelle variazioni della quantità impiegata di tutti I fattori che le
consentano di raggiungere la combinazione ottimale.

Il COSTO MARGINALE DI LUNGO PERIODO è rispettivamente minore, uguale e maggiore del costo medio di
lungo periodo nel tratto in cui questo è decrescente, minimo e crescente.

INDUSTRIALE Pagina 35
7. ECONOMIE DI SCALA
venerdì 19 maggio 2017 10:47

Le ECONOMIE DI SCALA indicano I vantaggi di costo che si ottengono all'aumentare della dimensione della capacità
produttive e della produzione. Un'impresa realizza economie di scala quando il costo medio unitario di produzione
diminuisce all'aumentare della produttività dei suoi impianti.

La presenza di economie di scala rilevanti in un settore influenza il suo grado di concentrazione che costituisce
uno degli elementi fondamentali della struttura di mercato.

I settori caratterizzati da più elevate economie di scala, sono le industrie di processo come la siderurgia, il
cemento e la chimica, e le industrie degli elettrodomestici, autoveicoli e motori.

Bisogna tuttavia distinguere le economie di scala sia dai rendimenti di scala crescenti, sia dalle economie di
saturazione.

○ Mentre I rendimenti di scala si riferiscono alla relazione esistente tra variazione degli input di produzione
e variazione dell'output, per le economie di scala la relazione rilevante è quella tra dimensione
dell'impianto e costo medio unitario di produzione.

○ Le economie di saturazione sono dovute al fatto che, dato un certo impianto, il costo medio unitario
diminuisce all'aumentare della quantità prodotta, in quanto I costi fissi si ripartiscono su un numero
maggiore di unità di prodotto.

L'esistenza di economie di scala, invece, segnala che una maggiore dimensione dell'impianto
consente un uso più efficiente delle risorse coinvolte nel processo produttivo.

Tuttavia, I due concetti sono correlati: in presena di econome di scala, il sussistere di diseconomie da
mancata saturazione esprime l'incapacità o l'impossibilità da parte dell'impresa di sfruttare economie di
scala potenziali.

Le determinanti delle economie di scala possono trovarsi ne:

- La divisione del lavoro manifatturiera. Grandi volumi di produzione permettono una maggiore divisione del
lavoro che aumenta la produttività delle risorse umane impiegate e delle macchine, per mezzo della
specializzazione delle mansioni e dei processi.

- L'indivisibilità dei fattori produttivi dà luogo al principio dei multipli, secondo cui, se un'impresa utilizza diversi
macchinari indivisibili, deve scegliere come livello di produzione minimo, il minimo comune multiplo della
produzione dei vari macchinari. Quando un processo è realizzato con più fattori produttivi che non sono
divisibili all'infinito, l'aumento della dimensione determina una riduzione dei costi di produzione.

Le fattispecie che possono determinare economie di scala si dividono in due macro categorie:
1. ECONOMIE DI SCALA TECNICHE:
- Regola cubo/quadrato: Attiene alla diversa velocità di progressione di
due grandezze, come se i costi crescessero al quadrato, mentre i ricavi
crescessero al cubo.

- Ottimizzazione del processo produttivo :


Nel caso l’industria si componga di più fasi del processo produttivo, al fine
di massimizzare l’efficienza, i vari impianti che lavorano sul prodotto
semilavorato dovrebbero essere misurati in base al massimo comune
divisore, che poi ne va a determinare il numero di impianti necessari al fine
di evitare vuoti di produzione o accumuli che renderebbero necessaria la

INDUSTRIALE Pagina 36
di evitare vuoti di produzione o accumuli che renderebbero necessaria la
presenza di un magazzino.
E' utile distinguere tra:
○ ECONOMIE DI PRODOTTO, relative al volume di ogni singolo
prodotto fabbricato e venduto. Ovvero economie di scala
derivanti dalla produzione di più prodotti con gli stessi impianti
avendo bassi costi di conversione.

○ ECONOMIE DI IMPIANTO, relative alla produzione totale


proveniente da un impianto. Ovvero quelle economie di scala
che derivano dal dimensionamento in termini di superficie
dell’impianto.

○ ECONOMIE MULTIMPIANTO, derivanti dalla gestione di


molteplici impianti da parte di una singola impresa. Ovvero
economie derivanti dalla gestione da parte di una impresa di
più impianti, condividendo tra essi risorse come competenze
specifiche e riserve.

- Economie di apprendimento

- Economie di scala esterne

2. ECONOMIE DI SCALA MONETARIE:


In queste particolari economie si ottengono i vantaggi delle economie di scala pur non attuando vere e proprie
economie di scala, ma ottenendo vantaggi puramente monetari. Non è quindi oggetto di studio la funzione di
produzione dell’impresa, il rapporto input/output che era invece di interesse nelle economie di scala
precedenti.
- Economie di acquisto
Sono le classiche economie monetarie, infatti se si acquistano grandi
quantitativi di un prodotto, a prescindere poi del grado di efficienza del
vero e proprio processo produttivo in fabbrica, è probabile che il prezzo
unitario di quell’input diminuisca, facendo scendere di rispetto anche i costi
medi.

Fattispecie che va distinta dal potere di mercato, che non rappresenterà


mai una economia monetaria. Il potere d’acquisto pur influenzando i costi
non fa parte delle economie di scala, avendo anche una regolazione ad hoc
(antitrust)

ECONOMIE DI AMPIEZZA O DI GAMMA


Quando la produzione congiunta di due prodotti è più conveniente rispetto alla produzione separata di ciascuno
dei due, si parla di economie di ampiezza, o di gamma, o anche di varietà.

Se le economie di scala rappresentano il presupposto dei processi di concentrazione, le economie di ampiezza si


accompagnano a molti casi di integrazione verticale e di diversificazione.

Le economie di ampiezza sono determinate dalla condivisione di:


- Fattori o componenti del sistema produttivo (impianti, attrezzature, linee di produzione)
- Attività materiali della struttura commerciale (canali di distribuzione)
- Risorse immateriali in dotazione all'impresa (immagine, know-how, managerialità)

INDUSTRIALE Pagina 37
DISECONOMIE DI SCALA
Le determinanti delle economie di scala possono al contempo, se eccessivamente dimensionate o mal gestite,
generare diseconomie di scala:

- Inefficienze produttive dovute ad una difficoltà organizzativa di gestione delle nuove risorse;
- costi amministrativi e processi di coordinamento più complessi

possono erodere l’extraprofitto garantito dalle economie di scala andando a costituire diseconomie di scala, ovvero
inefficienze in termini di costi dovute al dimensionamento dell’impresa secondo i criteri visti per le economie di
scala.

ECONOMIE DI SCALA ESTERNE


Tutte quelle economie di scala non derivanti dalla struttura interna dell’impresa, ma dalla struttura del settore nel
quale è immersa.

Marshall definisce le economie di scala esterne come risparmi di costo che dipendono dallo sviluppo di un'industria
e che si producono grazie alla concentrazione in piccoli spazi di piccole e medie imprese, grazie alla localizzazione di
un'industria.

Marshall teorizza anche la “triade marshalliana delle economie esterne” facendo riferimento ai vantaggi sul lato
dell'offerta:

- Economie di specializzazione degli input produttivi


- Economie di specializzazione al livello di beni e servizi intermedi
- Trasferimenti di informazione e competenze tecnologiche

I vantaggi sul lato della domanda, invece, fanno riferimento soprattutto alle economie di approvigionamento.

ECONOMIE DI APPRENDIMENTO
Per indicare le economie di apprendimento, a volte si parla di "economie di scala dinamiche", contrapposte a quelle
statiche. Le economie di apprendimento indicano le riduzioni dei costi medi unitari generate dall'esperienza.

Tale fenomeno può essere rappresentato da una curva in cui sulle ordinate è indicato il costo di produzione e sulle
ascisse una variabile che approssima l'esperienza accumulata, che può essere misurata con la produzione o gli
investimenti cumulati o con il tempo.

Tale curva, come rappresentata, avrà un tratto in cui l’apprendimento è moto rapido e garantisce una forte
diminuzione dei costi unitari, mentre man mano che ci si avvicina alla situazione di piena efficienza la diminuzione dei

INDUSTRIALE Pagina 38
diminuzione dei costi unitari, mentre man mano che ci si avvicina alla situazione di piena efficienza la diminuzione dei
costi rallenta.

Le economie di apprendimento possono riguardare sia la produzione, sia le altre attività dell'impresa. A questo tipo di
efficientamento sono più soggette le imprese labour-intensive (es. Industria aeronautica)

La curva di apprendimento fornisce un'ulteriore giustificazione alla persistenza della dominanza o anche del
rafforzamento della dominanza di un'impresa leader di mercato; Vendendo di più, l'impresa dominante riduce I suoi
costi più velocemente, il che, a sua volta, la rende più competitiva.

LE ESTERNALITA'
Le esternalità rappresentano la presenza di circostanze che influenzano il livello della produttività o il livello dei
costi di produzione, malgrado esse non vengano normalmente prese in considerazione dall'imprenditore nelle
proprie valutazioni decisionali.

Le esternalità possono essere:


- POSITIVE, se hanno l'effetto di aumentare la produttività dei fattori o ridurre I costi:

ES. Due proprietà contigue destinate alla coltivazione di alberi da frutto e all'allevamento delle api. La decisione
di aumentare gli alberi da frutto può determinare un aumento della produzione di miele, così come anche
l'aumento del numero di api può determinare un aumento della produzione del frutto.

ES. Un agricoltore che, attuando una campagna di disinfestazione, produce un beneficio anche per gli agricoltori
vicini

- NEGATIVE, se hanno l'effetto di ridurre la produttività dei fattori o aumentare I costi:

ES. Inquinamento ambientale: Se un imprenditore scarica sostanze nocive nel fiume da cui attingono o
potrebbero attingere l'acqua altri imprenditori, costringerà questi a sostenere costi aggiuntivi per la
depurazione dell'acqua, o a rifornirsi a fonti più lontane con il relativo aggravio dei costi.

INDUSTRIALE Pagina 39
8. CONCORRENZA PERFETTA
venerdì 19 maggio 2017 11:55

Il modello della concorrenza perfetta si basa su 5 ipotesi principali:

1. STRUTTURA DEL MERCATO ATOMISTICA = Le imprese operanti sul mercato sono numerosissime e ciascuna di
esse ricopre una quota di mercato così piccola che la sua condotta non ha alcun impatto significativo sulle altre
imprese e sul mercato.

2. OMOGENEITA' DEL PRODOTTO = I prodotti offerti dalle singole imprese sono perfetti sostituti e, quindi, ciascun
consumatore è indifferente ad acquistare da un'impresa piuttosto che da un'altra, purchè il prezzo sia lo stesso.

3. PERFETTA INFORMAZIONE = imprese e consumatori hanno una conoscenza perfetta delle informazioni di
mercato, inclusi prezzi, qualità e caratteristiche tecnologiche del prodotto.

4. LIBERTA' DI ACCESSO E DI USCITA DAL MERCATO e COMPLETA MOBILITITA' DEI FATTORI PRODUTTIVI = le
imprese possono entrare e uscire rapidamente dal mercato senza incorrere in costi rilevanti. Allo stesso modo, I
fattori produttivi, come il lavoro, possono spostarsi senza costo da un mercato all'altro e le materie prime e le
altre risorse di produzione non sono controllate da pochi operatori.

5. PRICE TAKING = ciascuna impresa considera come dato il prezzo di mercato in quanto se fissa un prezzo
maggiore a quello applicato dalle altre imprese essa perde l'intera quota di mercato; se fissa un prezzo inferiore
essa acquista l'intera domanda di mercato a fronte, però, di una capacità produttiva considerata costante nel
periodo di mercato e quindi limitata.

Dato il prezzo di mercato, l'impresa individua il livello di produzione ottimale considerando una curva di
domanda individuale perfettamente orizzontale. Lungo questa curva, il prezzo uguaglia il ricavo marginale
dell'impresa in esame (P = MR). Dato che l'impresa sceglie il suo livello di produzione ottimale nel punto in
cui MR = MC, allora in concorrenza perfetta il prezzo eguaglia il costo marginale P = MC.

Altre ipotesi corollario sono:

1. PERFETTA DIVISIBILITA' DELLA PRODUZIONE = attiene alla tecnologia di produzione e implica che la singola
impresa può produrre e il singolo consumatore può acquistare una singola unità o una frazione sufficientemente
piccola di produzione.

2. ASSENZA DI ESTERNALITA' = ogni impresa sostiene tutti I costi associati alla sua attività di produzione e non ha
la possibilità di passare parte di essi su altri operatori del mercato.

3. ASSENZA DI COSTI DI TRANSAZIONI = imprese e consumatori non sostengono costi particolari per operare nel
mercato e per acquistare su di esso le informazioni rilevanti.

EQUILIBRIO DI BREVE PERIODO


Nel BREVE PERIODO, la curva di offerta rispecchia per ogni impresa la soluzione ottimale individuata nella relazione
PREZZI = COSTI MARGINALI. Ciascuna impresa price taker, dato il prezzo di mercato, individua il livello produttivo in
corrispondenza del quale questo eguaglia I costi marginali.

L'impresa non avrà interesse a produrre ad un prezzo inferiore a P S : per livelli di prezzo maggiori, la quantità prodotta
è definita nel tratto crescente della curva MC nei punti in cui il prezzo uguaglia il costo marginale.

La curva di offerta del mercato S è data dalla somma orizzontale delle curve di offerta individuali: nel tratto a sinistra
del punto QS essa coincide con l'asse del prezzo.

L'equilibrio di breve periodo, in corrispondenza con l'intersezione tra domanda e offerta, può determinare una
situazione di profitto per le imprese in quanto il prezzo è superiore al costo medio dell'impresa.

Questa situazione, tuttavia, è temporanea perchè I profitti registrati nel mercato attireranno l'ingresso di nuovi
operatori. Grazie al meccanismo dell'uscita, è temporanea anche la situazione di perdita eventualmente
determinata dall'equilibrio del mercato.

INDUSTRIALE Pagina 40
La curva d’offerta delle imprese nel breve periodo è
rappresentata dalla zona crescente superiore ai costi
variabili medi della curva dei costi marginali (MC).
La zona evidenziata in azzurro.

• Per P>P1 l’impresa realizza profitti economici

• Per P2<P<P1 l’impresa sperimenta profitti negativi,


ma continua a produrre. È l’area del quasi profitto.

• Per P<P2 l’impresa sperimenta profitti negativi


(pari ai costi fissi) e smette di produrre.

La curva di offerta aggregata, essendo tutte le imprese uguali, sarà data dalla curva di offerta della singola impresa
moltiplicata per “N” numero di imprese.

La situazione analizzata è TEMPORANEA, infatti le imprese nel breve periodo non possono decidere sul fattore
fisso come non possono entrare o uscire dal mercato. Situazioni infatti di profitti positivi spingeranno nuove
imprese ad entrare nel mercato erodendolo fino ad annullarlo, viceversa nel caso di profitti negativi.

EQUILIBRIO DI LUNGO PERIODO


Nel lungo periodo, la presenza di profitti nel settore indurrà l'ingresso di un numero considerevole di imprese che
produrranno allo stesso livello di costo delle imprese già operanti sul mercato.

L'equilibrio per la singola impresa è definito dal punto in cui il prezzo p* è uguale al livello minimo dei costi medi totali
e in corrispondenza della quantità q*. Il livello dei prezzi p* è definito dal punto di intersezione tra la domanda D e la
curva di offerta di lungo periodo del mercato.

INDUSTRIALE Pagina 41
Quando le imprese operanti nel mercato registrano:

- Profitti negativi = allora escono dal mercato e quindi diminuisce l’offerta e aumenta il prezzo

- Profitti positivi = allora nuove imprese entrano nel mercato e quindi aumenta l’offerta ma diminuisce il prezzo

La situazione si stabilizzerà nell’unico equilibrio possibile, nel quale non vi è profitto economico, ovvero quando i costi
medi sono uguali ai costi marginali. Il prezzo sarà quindi quello per cui P --> AC = MC

TASSAZIONE
In concorrenza perfetta, il mercato si trova nel suo punto di massima efficienza allocativa e distributiva.

Efficienza allocativa: nel mercato si realizzano il numero massimo di scambi possibili.


Efficienza distributiva: concetto qualitativo, sia produttori che consumatori hanno interamente il surplus che hanno
contribuito a generare. Non sarà necessario quindi riallocare alcuna parte di surplus. Tutto il surplus generato dalla
domanda deve andare ai consumatori e tutto il surplus generato dall’offerta deve andare ai produttori .

Sur. consumatore

Sur. venditore

Nell’ipotesi di un mercato in concorrenza perfetta con tassazione, i surplus vengono riallocati in maniera diversa,
facendo percepire i prezzi per i consumatori differentemente.

TASSA SULLE QUANTITA'


In questo caso il prezzo incassato dal produttore non sarà lo stesso di quello pagato dal consumatore, proprio per via

INDUSTRIALE Pagina 42
In questo caso il prezzo incassato dal produttore non sarà lo stesso di quello pagato dal consumatore, proprio per via
della tassazione.

Diretta conseguenza di ciò è la costituzione di una nuova domanda di offerta percepita dal consumatore, che
differisce da quella di offerta intesa come costo marginale del produttore, appunto aumentata della tassazione
imposta.

La nuova offerta percepita, intersecandosi con la domanda in un punto più alto determinerà una contrazione delle
quantità domandate. Questa nuova quantità q* verrà domandata alle imprese, che percepiranno il prezzo P2, frutto
dell’intersezione della proiezione di q* sulla curva di offerta delle imprese S

CONCORRENZA PERFETTA CON. PERFETTA CON TASSAZIONE


Surplus Consumatore= A+B+C Surplus Consumatore= A
Surplus Produttore= D+E+F Surplus Produttore= F
Surplus Totale= A+B+C+D+E+F Gettito Fiscale= B+D
Perdita Secca= C+E
Surplus Totale= A+B+D+F

Notiamo come nel caso di concorrenza perfetta con tassazione si inserisce un nuovo soggetto: il gettito fiscale.
Le differenze non si fermano qui:

• Inefficienza allocativa del nuovo mercato


Non vengono fatti tutti gli scambi possibili alle quantità q* rispetto alle quantità qc per via della differente offerta
percepita dai consumatori

o Una conseguenza della riduzione degli scambi possibili è una perdita in termini di surplus, c.d. perdita secca,
seconda nuova entità che si verifica in questo nuovo mercato.

In particolare la perdita secca è costituita da


 C perdita secca di surplus del consumatore
 E perdita secca di surplus del produttore

• Inefficienza distributiva del nuovo mercato


Anche sotto questo aspetto il mercato non è efficiente, infatti notiamo come dal punto di vista distributivo, parte del
surplus generato dalla domanda non va al consumatore ma viene inglobato dal terzo soggetto, ovvero il gettito fiscale,
come anche parte del surplus dell’offerta. In particolare assistiamo ad un trasferimento di surplus

o B da parte dei consumatori all’erario sotto forma di gettito fiscale.


o D da parte dei produttori all’erario sotto forma di gettito fiscale.

La tassazione grava maggiormente sul lato del mercato più rigido. Per calcolare quindi questo dato si dovrà calcolare
contemporaneamente l’elasticità della domanda e dell’offerta.

○ Domanda rigida e offerta più elastica = la tassazione incide maggiormente sui consumatori.
E' il caso di beni di prima necessità come la benzina.

○ Offerta rigida e domanda più elastica = la tassazione incide maggiormente sui produttori.
E' il caso beni di lusso come i diamanti (dove l’offerta è rigida perchè ce ne sono pochi, ma la domanda è
molto elastica, perchè fortemente sensibile al prezzo).

INDUSTRIALE Pagina 43
INDUSTRIALE Pagina 44
9. MONOPOLIO
venerdì 19 maggio 2017 13:47

Il modello di monopolio puro si basa sull'ipotesi che in un mercato caratterizzato da un prodotto per il quale non sia
possibile individuare prodotti sostituti, operi una sola impresa. Un'impresa può acquisire e conservare lo status di
monopolista perchè detiene un vantaggio competitivo rilevante che crea una barriera all'entrata o alla sopravvivenza dei
concorrenti.

Il vantaggio acquisito dal monopolista può essere protetto da specifici interventi dello Stato (ES. Brevetti)

Un'impresa è un monopolio naturale se può produrre la quantità di mercato Q ad un costo inferiore a quello che
caratterizzerebbe la produzione di un numero k di imprese che si dividono in parti uguali la quantità Q(Q=q1+..+qk)

Nel monopolio, il potere di mercato è massimo. Per potere di mercato intendiamo la capacità di un'impresa di alzare il
prezzo unilateralmente al di sopra dei costi marginali. Tale capacità è misurata attraverso l'indice di Lerner, che misura in
percentuale quanto il prezzo è superiore ai costi marginali rispetto ai costi marginali stessi.

▪ L'indice di Lerner in concorrenza perfetta è tendente a 0.


▪ In situazione di monopolio, tende ai ricavi marginali.

Quindi alla domanda “quanto è il potere di mercato?” basterà calcolare l’indice di Lerner:
▪ se è prossimo allo zero siamo in una situazione di simil-concorrenza perfetta, quindi molto basso;
▪ se siamo prossimi all’ipotetico ricavo marginale allora siamo molto più vicini al monopolio.

Il monopolista stabilisce il livello di prezzo e di output in funzione della massimizzazione del proprio profitto.
La curva di domanda di mercato D = p(Q) coincide con la curva di domanda del monopolista.

Dunque, l'impresa, per massimizzare I suoi ricavi, avrà come unico vincolo la domanda.

Il monopolista sceglierà la quantità che desidera vendere determinando in modo automatico sulla curva di domanda il
prezzo a cui gli acquirenti sono disposti ad acquistarla, o fisserà il prezzo e quindi la quantità individuabile in corrispondenza
dello stesso.

Il monopolista potrà decidere di produrre una quantità “q”


e venderle al prezzo corrispondente a quella quantità sulla Q Perdita di ricavo sulle
funzione di domanda, ovvero “p”; unità inframarginali

oppure potrà decidere di produrre più quantità “q1” e p


venderle ad un prezzo inferiore “p1” andando a perdere il Maggior ricavo sulle
maggior ricavo sulle unità inframarginali ma guadagnando unità marginali
p1
da una maggiore vendita in termini di quantità sulle
marginali.
D
La convenienza dell’operazione dipende esclusivamente dalla
differenza tra le due aree dei rettangoli. q q1 P

Tale differenza viene studiata attraverso l'elasticità della domanda,


dalla quale si deduce il ricavo marginale dal quale si determina se
la perdita sulla inframarginale sia inferiore al ricavo sulla marginale.

P ELASTICA
A questo punto, sul tratto elastico il ricavo aumenta più che
proporzionalmente rispetto alle quantità, quindi il ricavo e = ∞ --> RM > 0
sulle unità marginali è maggiore della perdita sulle inframarginali.
Al contrario,sul tratto anelastico, il ricavo sulle unità marginali e = 1 --> RM = 0
è minore della perdita sulle inframarginali.
ANELASTICA
Rimane evidente che, per aumentare i ricavi, il monopolista
non può sempre aumentare l’offerta perché è soggetto

INDUSTRIALE Pagina 45
e = 1 --> RM = 0
è minore della perdita sulle inframarginali.
ANELASTICA
Rimane evidente che, per aumentare i ricavi, il monopolista
non può sempre aumentare l’offerta perché è soggetto e = 0 --> RM < 0
al vincolo della domanda inclinata negativamente.

Al fine di massimizzare il profitto, il monopolista dovrà Q


considerare sia i ricavi marginali (indicanti il maggior
RM
ricavo derivante dall’aggiunta di una unità venduta) sia i
costi marginali (maggior costo derivante dalla produzione
di una ulteriore unità).

• Quando RM>MC = produco e aumento la produzione vista la convenienza


• Quando RM<MC = riduco le quantità prodotte.

L’equilibrio del monopolista che massimizza il profitto si stabilisce quando: RM=MC

EQUILIBRIO DI MONOPOLIO / EQUILIBRIO DI CONCORRENZA PERFETTA – la curva di offerta dell’industria in un mercato di


concorrenza perfetta misura il costo marginale di fornitura di un’unità aggiuntiva al mercato. Quando il settore viene
monopolizzato, la curva di offerta S diventa curva del costo marginale del monopolista MC. Ora l’equilibrio di massimo
profitto del monopolista si verifica quando MR=MC. Il prezzo praticato dal monopolista è maggiore di quello perfettamente
concorrenziale, mentre la quantità offerta è inferiore.
Il surplus del monopolista è dato dalla differenza tra il prezzo che egli pratica e il costo marginale di ogni unità prodotta, cioè
la somma delle aree B+E+H. Il surplus dei consumatori è dato da A.
Il beneficio netto in equilibrio di monopolio è pari a A+B+E+H.
Nel mercato di concorrenza perfetta, il surplus dei consumatori è A+B+F, mentre il surplus dei produttori è E+G+H.
Il beneficio netto in concorrenza perfetta corrisponde alla somma delle aree A+B+F+E+G+H.
In concorrenza perfetta il beneficio netto è maggiore rispetto al monopolio per un ammontare pari alle aree F+G. Questa
differenza è la perdita di benessere sociale (perdita secca) dovuta al monopolio. Essa rappresenta la differenza tra il
beneficio ottenuto nel caso il mercato fosse in concorrenza perfetta e il beneficio conseguito in monopolio.

CONCORRENZA PERFETTA MONOPOLIO


Surplus Consumatore= A+B+F Surplus Consumatore= A
Surplus Produttore= E+G+H Surplus Produttore= B+E+H

INDUSTRIALE Pagina 46
Surplus Produttore= E+G+H Surplus Produttore= B+E+H
Surplus Totale= A+B+F+E+G+H Perdita Secca= F+G
(F= lato della domanda | G= lato dell’offerta)
Surplus Totale= A+B+E+H

• Inefficienza allocativa non vengono fatti il numero massimo di scambi, perché al monopolista non conviene produrre
quantità maggiori della quantità da lui offerta.

o In conseguenza a questi scambi mancati, vi è una perdita di surplus (perdita secca) definita dall’area “F + G”

• Inefficienza distributiva parte del surplus generato dalla domanda, e che quindi spetterebbe al consumatore, viene
trasferito al produttore.

Ipotizzando che quando l’impresa arriva sul mercato le altre imprese stiano producendo la quantità “q1”, essa percepirà non
la domanda di mercato DM, ma la domanda residuale ( DM – q1).
Rispetto alla domanda di mercato, la domanda residuale è l’effettiva domanda percepita dall’impresa. Essa corrisponde alla
differenza tra la domanda di mercato e la domanda servita dalle altre imprese.
P

DR = DM - q1

DR DM
q1 Q

GRANDE IMPRESA MONOPOLISTA CON FRANGIA DI IMPRESE MINORI


• Nella prima fase ipotizzo che la dominante entri nel mercato dopo, di conseguenza l’offerta delle altre piccole imprese è
rappresentata nel grafico a sinistra con Sma, le quali senza la dominante avrebbero quel tipo di offerta.

• Il monopolista invece, non avendo funzione di offerta, percepisce la domanda residuale del mercato

• La domanda residuale percepita dalla dominante è distinta in 3 tratti:

- La prima parte verticale e pari a zero, per la quale le imprese più piccole saranno sempre in grado di soddisfarla visto
che l’impresa dominante arriva tardi

- Dal punto di equilibrio EQMA in poi le imprese marginali non sono più in grado di soddisfare la domanda, e quindi la
restante parte è percepita dal monopolista. La curva di domanda percepita dal monopolista nel primo tratto sarà più
piatta rispetto alla domanda di mercato, infatti andrà tolta la parte di consumatori che ha già acquistato dalle
marginali.

- Dal punto minimo dell’offerta delle marginali in poi quale che sia il prezzo esse non sono in grado di offrire quantità
maggiori, e quindi la domanda percepita dal monopolista coincide con la domanda di mercato.

Questa domanda è caratterizzata da una discontinuità, che influenza anche l’elasticità determinando un balzo.

• Una volta disegnata propriamente la domanda residuale percepita dal monopolista, esso si trova in una effettiva condizione

INDUSTRIALE Pagina 47
• Una volta disegnata propriamente la domanda residuale percepita dal monopolista, esso si trova in una effettiva condizione
di monopolio, alla luce della quale eguaglia RM=MC.

o La funzione di ricavo marginale sarà una spezzata, nella prima parte ricavata dalla prima parte di domanda e nella
seconda parte dalla parte di domanda corrispondente all’originaria domanda di mercato.

o Il punto di discontinuità potrebbe essere un problema nel momento in cui il MC passa proprio nel punto di
discontinuità

• Una volta individuato il punto di equilibrio applico il markup di monopolio producendo quindi le quantità qd al prezzo pd*

• Tale prezzo pd* diventa il prezzo di equilibrio che il monopolista impone a tutto il mercato, e quindi anche alle imprese
marginali, che quindi si trovano costrette a poter offrire solo le quantità qm che andandosi a sommare a Qd determina le
quantità totali offerte sul mercato, ovvero q*.

• La dominante quindi fa il prezzo di mercato, sulla base del quale si costituisce una particolare domanda, della quale la fetta
principale è appunto servita dalla dominante, e la restante è lasciata alle imprese marginali.

• La differenza con il monopolio puro è che il prezzo la dominante non lo ha stabilito sulla domanda di mercato ma sulla
domanda residuale.

INDUSTRIALE Pagina 48
10. MONOPSONIO
venerdì 19 maggio 2017 14:55

Il monopsonio descrive la situazione nella quale un solo compratore si contrappone ad una pluralità di venditori.

Il monopsonista limita I propri acquisti alla quantità che fa coincidere il costo marginale del fattore acquistato con la
sua produttività marginale. Ma la restrizione della quantità domandata rispetto a quella che sarebbe stata offerta in
concorrenza perfetta, ha l'effetto di ridurre il prezzo (e non di aumentarlo, come avviene nel monopolio)

La rendita del monopsonista, ossia l'area del sovrapprofitto, è maggiore di zero e può essere scomposta in:
- Una parte che misura il trasferimento di rendita tra I produttori più efficienti e il monopsonista stesso;
- Una parte che misura la perdita netta del benessere sociale, corrispondente al valore della differenza di ciò che
si sarebbe prodotto in condizioni di concorrenza bilaterale e ciò che effettivamente viene prodotto.

Il principale interesse del monopsonista nel lungo periodo è legato alla conservazione di una pluralità di fornitori,
evitando il rischio che questi ultimi tendano a concentrarsi fino al punto di creare un monopolio bilaterale.

Perciò, I prezzi offerti, imposti o accettati dal monopsonista sono normalmente configurati sulla base di un
mark-up positivo, ovvero essi praticano un price cap sui costi stimati dei fornitori, che consenta a questi ultimi di
restare nel mercato.

Il monopsonista, perciò, per raggiungere I propri obiettivi di profitto o di contenimento della spesa, tende a
intervenire sulla struttura dei propri fornitori, in modo da determinare oltre alle condizioni di prezzo che ne
garantiscono la sopravvivenza, anche prezzi di fornitura più contenuti.

Il compratore si comporterà analogamente al monopolista, ragionando però in termini di spesa marginale, ovvero

Di quando aumenta la spesa del compratore se dovesse passare da “p” a “p1”?

Anche in questo caso si avrà un incremento dei costi P MC


dovuto a due effetti, uno marginale e uno inframarginale:

Marginale delimitato dall’area rossa nel grafico, p1


è l’aumento del costo dovuto alle quantità aggiuntive
p
acquistate.

Inframarginale delimitato dall’area azzurra nel grafico,


è l’aumento di costo sulle unità inframarginali “q” che prima
compravo ad un prezzo inferiore, dovuto al maggior prezzo
che devo offrire al fornitore al fine di fargli aumentare la q q1 Q
quantità offerta.

La funzione di spesa marginale del consumatore quindi sarà differente dalla funzione di costo marginale dell’impresa,
sulla quale si misura solamente l’incremento della spesa marginale, ma sarà una funzione di costo marginale alla
quale deve aggiungersi la parte di spesa inframarginale.

Il consumatore quindi ragionerà eguagliando la spesa marginale al prezzo di riserva del produttore

INDUSTRIALE Pagina 49
11. MONOPOLIO NATURALE
venerdì 19 maggio 2017 16:09

MONOPOLIO NATURALE - Un mercato è un monopolio naturale se, per qualsiasi livello rilevante di output
dell’industria, il costo totale di una singola impresa che produce quell’output risulta minore della somma dei costi
totali di due o più imprese che si dovessero dividere la medesima produzione.

Se una sola impresa può servire il mercato a costi totali più bassi di due o più imprese, c’è da attendersi che l’industria
diventi monopolizzata. Una condizione necessaria per l’esistenza di un monopolio naturale è la presenza di una curva
del costo medio continuamente decrescente. Un monopolio naturale richiede dunque la presenza di rilevanti economie
di scala. Un mercato può essere un monopolio naturale quando la domanda non è eccessivamente elevata.

AC

D
Q

(SUBADDITIVITA' DELLA FUNZIONE DI COSTO) Si vengono a costituire in tutti quei mercati in cui la funzione di costo è
di tipo sub-additivo, ovvero il costo di produzione risulta inferiore se concentrato in un impianto invece che essere
diviso in più impianti. Queste particolari funzioni di costo, in un’ottica di minimizzazione dei costi tendono a creare
situazioni di monopolo naturale.

In questi particolari mercati la funzione di costo fisso è talmente alta da rendere irrilevante la funzione di costo
variabile, per tale ragione la funzione di costi totali non ha forma ad “U” ma ha forma a “L”

Il numero ottimo di imprese operanti in questo mercato è determinato dal rapporto tra scala minima efficiente e
domanda.

In un equilibrio di lungo periodo (prezzo = costo medio),


se consideriamo la domanda D1, essa se servita da una
impresa che produce q1 ha un determinato costo medio. P=AC

Se la stessa domanda è soddisfatta da due imprese, che


quindi produrranno ognuna la metà di q1, notiamo come
avranno costi medi superiori. Questo perché la scala minima
AC
efficiente è compresa una sola volta nella domanda.

Questo caso identifica un monopolio naturale, ovvero un D


caso di monopolio dovuto alla struttura del mercato.
q1/2 q1 Q

Questo ragionamento è strettamente legato ai costi, ma come si posiziona effettivamente l’equilibrio di mercato nel
caso vi sia un monopolista naturale?

Se si tentasse un equilibrio di concorrenza perfetta


dove P=MC allora si andrebbe a definire un prezzo
inferiore ai costi medi, e le imprese non entrerebbero
nel mercato.

INDUSTRIALE Pagina 50
dove P=MC allora si andrebbe a definire un prezzo
inferiore ai costi medi, e le imprese non entrerebbero
nel mercato.

Le imprese presenti però non possono nemmeno uscire, AC


visto gli alti costi derivanti dagli investimenti specifici
(strutturali), rimanendo costrette a fare profitti negativi. P MC

q1

Se invece l’impresa operante nel mercato si


comportasse da monopolista si andrebbe a
costituire una situazione analoga al monopolio.

In questo caso l’impresa produce la quantità tale


per cui RM=CM e la vende la prezzo di riserva dei
consumatori.

CONCORRENZA PERFETTA MONOPOLIO NATURALE


Surplus Consumatore= A+B+C+D+E Surplus Consumatore= A
Surplus Produttore= 0 Surplus Produttore= B+C
Surplus Totale= A+B+C+D+E Perdita Secca= D+E
Surplus Totale= A+B+C

Al di là delle questioni sull’inefficienza distributiva, il tema è rilevante sotto l’aspetto dell’inefficienza allocativa, in
questo mercato infatti si stanno realizzando molti meno scambi (viene prodotta una quantità molto inferiore) rispetto
alla situazione di concorrenza perfetta.

Settori che si prestano a monopoli naturali, solitamente settori infrastrutturali, e quindi strategici per un’economia del
paese solida, devono essere stringentemente regolati al fine di evitare disservizi.

Per questa ragione molte volte queste situazioni di monopolio naturale sono portate ad essere ingerite dallo stato, che
forzatamente le spinge a produrre livelli di concorrenza e ne sostiene le perdite.

Tale particolare situazione però, porta i manager di questi settori a non avere pressione sui costi, e quindi ciò porta ad
un enorme aumento degli sprechi e a conseguenti perdite.

Soluzione a questa situazione è un mix tra le due proposte, che vede una situazione di concorrenza ma
fortemente regolata. --> CONCORRENZA MONOPOLISTICA

INDUSTRIALE Pagina 51
Un monopolio naturale è un esempio di barriere all’entrata. Queste sono fattori che consentono a un’impresa già
operante in un mercato di godere di profitti economici positivi e che al contempo rendono non profittevole l’ingresso
a nuovi entranti. Le barriere all’entrata possono essere strutturali, legali o strategiche.
Le barriere strutturali all’entrata sono barriere all’entrata che si verificano quando le imprese operanti godono di
vantaggi di costo o di domanda che non rendono profittevole l’ingresso nel mercato di nuovi entranti. Le barriere
legali all’entrata sono barriere all’entrata che si verificano quando un’impresa già operante è legalmente protetta
contro i potenziali concorrenti. La barriere strategiche all’entrata sono barriere all’entrata che si verificano quando
un’impresa già operante compie precise azioni per impedire l’ingresso nel mercato ai concorrenti

INDUSTRIALE Pagina 52
12. CONCORRENZA MONOPOLISTICA
venerdì 19 maggio 2017 17:14

(MODELLO DI CHAMBERLIN)
Trattasi di una forma di concorrenza tra monopolisti. Questa forma di mercato conserva tutti i
presupposti della concorrenza perfetta (alto numero di imprese, insignificante interazione tra le
stesse, assenza di barriere all’entrata e uguali opportunità di accesso al mercato) con la
differenza che viene meno il presupposto della perfetta omogeneità dei prodotti rivali.

I prodotti in questo mercato quindi, se pur concorrenti


in termini di sostituibilità e assoluzione allo stesso bisogno,
sono differenziati agli occhi del consumatore. Le imprese
sono quindi monopoliste nel loro specifico prodotto.

Differenza principale tra questo mercato e il monopolio puro


è la domanda percepita dai vari monopolisti.

Tale domanda percepita dai monopolisti sarà molto più elastica


della domanda di mercato, questo perché vista la concorrenza tra
monopolisti, al variare del prezzo vi sarà anche un effetto sostituzione.

Come nell’analisi di monopolio, distinguiamo il breve periodo dal lungo periodo.

BREVE PERIODO
L’impresa che opera in concorrenza monopolistica nel breve
periodo si comporta da monopolista puro sulla domanda
percepita uguagliando I ricavi marginali ai costi marginali
RM=MC.

L’impresa sperimenterà profitti di breve periodo positivi

LUNGO PERIODO
Nel lungo periodo invece la situazione è analoga alla
concorrenza perfetta, potenziali concorrenti vedendo
la possibilità di profitti entrano nel mercato realizzando
un prodotto differenziato ma concorrente.

L’ingresso di queste imprese rende ancora più elastica


la domanda percepita ed erode il profitto fino a renderlo
nullo ovvero fino a che il prezzo è uguale al costo marginale,

P=MC.

La domanda percepita diventerà tangente al costo medio.

INDUSTRIALE Pagina 53
13. FALLIMENTI DI MERCATO
venerdì 19 maggio 2017 17:28

Sempre nel contesto dell’economia neoclassica, si possono individuare situazioni in cui non è
possibile raggiungere la massima efficienza allocativa come in concorrenza perfetta, senza però
rimuovere quei presupposti propri appunto della concorrenza perfetta.

Seguono I pincipali fallimenti di mercato:

1. L'INEFFICIENZA-X

La definizione di questa inefficienza la dobbiamo a H. Leibenstein (1966), il quale distingue il


concetto potenziale da quello che è una analisi effettiva. Riflette inoltre sulla funzione di produzione
dell’impresa, la quale nella sua ottica può essere interpretata ragionando in termini potenziali e in
termini effettivi.

Nella sua ottica l’equilibrio di concorrenza perfetta è espresso in termini potenziali e non effettivi.
Vale a dire riconosce il risultato a cui porta l’equilibrio di concorrenza perfetta, ma afferma che nella
realtà (in termini effettivi quindi) tutta una serie di fattori portano a non poter raggiungere quel
particolare equilibrio.

Lo studio della X-inefficiency fatto da Leibenstein si concentra maggiormente sul lato della
produzione.
Afferma che, in una funzione di produzione, se si ottiene prodotto di quello che la funzione di
produzione ad un livello puramente teorico potrebbe far ottenere, tale minor prodotto è dovuto all’
inefficienza-X. Tale diminuzione di output rispetto agli input non è dovuta dalla funzione di
produzione, ma all’inefficienza degli input, misura di tale inefficienza sarà appunto l’inefficienza-X.

Nella realtà quindi la funzione di produzione produce meno output di quanto non dichiari in teoria,
proprio a causa di questa inefficienza.

Secondo Leibenstein, infatti, gli economisti hanno concentrato la propria attenzione soprattutto
sull'allocazione delle risorse fra i differenti usi, trascurando il grado di inefficienza che può provocare
un uso improprio degli input.

Le cause di efficienza o inefficienza X vanno ricercate, principalmente, nella mancata o inesatta


specificazione degli obiettivi dell'organizzazione; infatti, tale circostanza stimola
comportamenti discrezionali dei lavoratori, i quali saranno spinti a perseguire propri obiettivi a
discapito di quelli organizzativi.

D'altra parte la mancata specificazione degli obiettivi causa rilevanti difficoltà


nell'individuazione dei fattori produttivi da utilizzare e delle loro quantità necessarie.

Secondo molti, l'efficienza è maggiore nelle imprese private che in quelle pubbliche: la concorrenza
fra i diversi lavoratori all'interno dell'impresa privata li spinge, infatti, a ricercare soluzioni capaci di
migliorare l'andamento dell'organizzazione.

La concorrenza fra le imprese, costituisce, poi, un'ulteriore spinta verso soluzioni che migliorino
l'efficienza dell'organizzazione, in quanto sul mercato sopravviveranno solo quelle in grado di
operare con costi minori.

Le determinanti dell'inefficienza X sono molte, tra le quali:

NON ASSOLUTA RAZIONALITA' = in concorrenza perfetta uno dei presupposti era la

INDUSTRIALE Pagina 54
○ NON ASSOLUTA RAZIONALITA' = in concorrenza perfetta uno dei presupposti era la
razionalità assoluta degli operatori, il che implica scelte perfettamente razionali in
qualsiasi contesto. Nella realtà vi sono particolari contesti, come ad esempio la scelta di
fumare, nei quali il consumatore sceglie di non voler agire secondo razionalità. Questo
non fa di lui un consumatore non razionale in senso assoluto, ma solo nel particolare
contesto.
La scelta del consumatore di non operare secondo razionalità può essere una causa di
inefficienza-X per le imprese.

○ INERZIA = Per inerzia si intendono tutte quelle prassi e procedure all’interno


dell’azienda che se pur non perfettamente efficienti, o in altre parole non svolte al
meglio, permettono di arrivare al risultato desiderato, e per le quali il costo di
correzione sarebbe superiore al beneficio che si trarrebbe dalla perfetta efficienza.

Intorno alla pratica perfettamente efficiente si può definire un’area di inerzia nella quale
l’inefficienza, se pur esistente, è minima, o comunque la correzione di tale inefficienza
comporterebbe costi superiori ai benefici e di conseguenza l’azienda sceglie di rimanere
inefficiente.

Se un’impresa si trova in un’area di inerzia essa sperimenterà una inefficienza-X.

2. MANCATA NEGOZIAZIONE
Altro fattore che può compromettere l’arrivo ad una situazione di concorrenza perfetta è la
c.d. problematica del principale – agente:

Ipotizziamo la situazione in cui un principale deleghi un agente, dietro compenso, ad


effettuare un particolare lavoro, tramite la vendita del quale il principale avrà dei
profitti.

Il problema si pone nel momento in cui il principale non ha modo di valutare l’operato
dell’agente se non che misurando i propri profitti derivanti dalla vendita del prodotto
dell’agente: più si sarà impegnato l’agente, maggiori saranno i profitti che il principale ne
trarrà e viceversa.

Il nodo cruciale risiede nella problematica che i profitti non sono diretta funzione della
qualità del prodotto, o meglio non dipendono solamente dall’impegno dell’agente, ma
sono funzione di 4 fattori:

 Impegno
 Casualità
 Predisposizione allo svolgimento di quel lavoro
 Influenza del contesto esterno

L’agente, vista la molteplicità di tali fattori a lui relativamente esogeni, tenta il c.d.
azzardo morale, ovvero diminuisce l’impegno, unica variabile che è in grado di
controllare, confidando che tale mancanza sia compensata da un andamento favorevole
delle altre 3 variabili.

Il principale, compreso questo ragionamento, dato che paga l’agente per il suo impegno,
decide di non affidargli il contratto, andando a configurare un fallimento di mercato per
mancata negoziazione

3. SELEZIONE AVVERSA
Questo fenomeno concerne il caso in cui, nel processo di selezione sul mercato, volto a

INDUSTRIALE Pagina 55
Questo fenomeno concerne il caso in cui, nel processo di selezione sul mercato, volto a
selezionare soltanto i prodotti migliori, ci si basa solo sul prezzo e quindi, trascurando la
qualità, avviene esattamente l’opposto, ovvero si selezionano i peggiori.

In altre parole usando solamente il prezzo, inteso con accezione neoclassica ovvero come
vettore di informazioni, non si ottiene un risultato efficiente.

Risultato di ciò è che, usando solo il prezzo come vettore di informazioni, in questo mercato, il
bene cattivo ha spiazzato il bene buono. Questo equilibrio è inefficiente.

Soluzione a questo problema è dato dalla possibilità del venditore di garantire la qualità del
prodotto, grazie alla quale si è disposti a pagare quel dato bene quanto effettivamente vale.

4. PRESENZA DI ESTERNALITA'
È un altro fattore che può significativamente influire sul mercato, ma la cui presenza non è
trasmessa dal prezzo.

Vi sono infatti contesti in cui i prezzi sono funzione solamente dei costi di produzione del
particolare bene, e non anche dei costi sociali a tale produzione annessi, come l’inquinamento
atmosferico ecc.

5. MERCATI INCOMPLETI O INESISTENTI


Sono tutti quei mercati che per loro costituzione non possono funzionare con un sistema di
prezzi in concorrenza.

Un esempio il mercato dei beni pubblici. Le caratteristiche di un bene pubblico sono:

○ Non ha rivalità nel consumo il soddisfacimento del mio bisogno con quel bene non
esclude che qualcun altro potrà soddisfarsi con lo stesso bene. (Es. illuminazione
pubblica.)

○ Non è escludibile dal consumo non è possibile escludere dal godimento del bene chi
non ha pagato per il godimento dello stesso

A causa dell’assenza di questi presupposti, tali beni non si prestano alla privatizzazione,
mentre lo stato, potendo fare leva sull’imposizione fiscale, e non sul prezzo, può farsi carico
della produzione di tali beni.

MERCATI CONTENDIBILI
Anche in assenza di una delle condizioni principali del modello di concorrenza perfetta
(frammentazione della produzione su un numero elevato di imprese, operanti a costi merdi minimi
di lungo periodo), il meccanismo dell'entrata e dell'uscita è determinante nel garantire che la
concorrenza funzioni e produca I suoi risultati.

Tale meccanismo funziona in assenza di costi di ingresso o di uscita (sunk costs) e nell'ipotesi
che tutti gli operatori, anche quelli potenziali, possano liberamente e agevolmente avere
accesso al mercato delle materie prime: si parla di mercati perfettamente contendibili.

In un mercato perfettamente contendibile, l'equilibrio di concorrenza perfetta è sostenibile se


nessun potenziale entrante ha la possibilità di ottenere profitti.

Se il mercato presenta opportunità di profitto, invece, un potenziale concorrente potrebbe


entrare e realizzare un guadagno prima che I prezzi cambino, e quindi uscire senza costo se le

INDUSTRIALE Pagina 56
entrare e realizzare un guadagno prima che I prezzi cambino, e quindi uscire senza costo se le
prospettive future non sembrano favorevoli: il mercato è vulnerabile ad una concorrenza del
tipo hit and run.

INDUSTRIALE Pagina 57
14. BARRIERE ALL'ENTRATA
venerdì 19 maggio 2017 17:52

Se la concentrazione riflette il numero di rivali effettivi esistenti nel mercato in cui l'impresa opera, le
barriere all'entrata condizionano I potenziali concorrenti.

Ci sono svariate definizioni di barriere all'entrata, ma comuni a tutte vi è la distinzione tra barriere
costituite da:

- FATTORI ISTITUZIONALI = Le barriere istituzionali derivano:


○ Sia da vincoli di natura regolamentativa, che legano quindi lo svolgimento di un'attività
all'ottenimento di autorizzazioni, licenze, permessi;
○ Sia da vincoli di natura istituzionale, legati all'insieme di norme che regolano I sistemi
fiscali, le istituzioni finanziaire, I sistemi assicurativi, I regimi tariffari.

- FATTORI ECONOMICI = tutte le altre barriere prettamente legate all’aspetto economico, come
fattori della struttura o della condotta dei mercati.

Secondo Demsetz, le barriere all'entrata si limitano solo ai vincoli di natura istituzionale e coincidono
quindi con le sole restrizioni delle autorità di governo o di regolazione.

Secondo Stigler, una barriera all'entrata è qualunque elemento che comporta un costo per I nuovi
entranti, ma che non impone un costo equivalente sull'impresa già operante sul mercato. Secondo
tale definizione, ogni vantaggio delle imprese già attive sulle potenziali nuove imprese, viene usato
come una barriera all'entrata e come una fonte di profitti di lungo periodo. Non esistono barriere
all'entrata quando le imprese già operanti e I potenziali concorrenti hanno le stesse condizioni di
costo e di domanda.

Secondo Bain, invece, le barriere all'entrata misurano di quanto, nel lungo periodo, le imprese già
operanti sul mercato possono aumentare I loro prezzi di vendita al di sopra dei costi medi minimi di
produzione e distribuzione senza indurre l'entrata di imprese potenziali concorrenti.

Il prezzo massimo, o prezzo di esclusione, quindi, è il prezzo più alto che le imprese
possono stabilire impedendo l'entrata di nuovi concorrenti.

La condizione di entrata è il mark up, cioè il margine percentuale realizzabile al di sopra


del costo medio minimo delle imprese già attive.

Bain individua, inoltre, tre classi di determinanti che possono influenzare la condizione
di entrata in un mercato e che configurano barriere all'entrata di tipo assoluto,
indipendenti dalle aspettative delle imprese entranti e delle reazioni delle imprese già
operanti nel mercato:
 Le economie di scala
 I vantaggi assoluti di costo
 La differenziazione del prodotto

1. ECONOMIE DI SCALA
Quando la dimensione ottima minima di produzione (DOM) è elevata rispetto alla dimensione
del mercato, un potenziale entrante potrebbe aggiungere all'offerta già esistente un notevole
volume di produzione generano una diminuzione generale dei prezzi e quindi dei profitti
conseguibili.

I potenziali entranti, per non aumentare eccessivamente l'offerta, possono essere indotti ad
entrare con una scala produttiva ridotta a quella ottimale (sub-ottimale). Ciò comporta costi

INDUSTRIALE Pagina 58
entrare con una scala produttiva ridotta a quella ottimale (sub-ottimale). Ciò comporta costi
più elevati per la nuova impresa e quindi I prezzi di lungo periodo applicati dall'impresa già
attiva possono essere più elevati rispetto al costo medio minimo, senza indurre nuovi ingressi.

STUDIO DI BARRIERE AGGREGATE = Le economie di scala sono una causa frequente di


barriere all'entrata, ma configurano barriere basse. Ciò è dovuto al fatto che esistono pochi
settori industriali in cui la dimensione ottima minima è molto elevata rispetto alla dimensione
dell'intero mercato.

2. VANTAGGI ASSOLUTI DI COSTO


Tale barriera all'entrata è legata alla presenza, per il potenziale entrante, di costi di produzione
unitari superiori a quelli delle imprese già attive sul mercato, qualunque sia la scala produttiva
adottata. I rivali potenziali hanno, sempre e comunque, una curva di costi medi di lungo
periodo che giace al di sopra di quella che caratterizza le altre imprese. La nuova impresa
sopporta uno svantaggio in termini di costo di produzione a qualsiasi livello di produzione essa
scelga di produrre.

I vantaggi assoluti di costo di cui godono le imprese già operanti sul mercato derivano da una
molteplicità di fattori:
▪ Tecniche produttive superiori rispetto a quelle dei rivali
▪ Accesso a fattori produttivi a prezzi e condizioni più favorevoli
▪ Disposizione di risorse naturali meno costose o qualitativamente superiori

STUDIO DI BARRIERE AGGREGATE = I vantaggi assoluti di costo non sono generalmente causa
rilevante di alte barriere all'entrata, con l'eccezione di quei settori in cui sussiste il fenomeno
dell'integrazione. Questi fanno parte di una categoria "sostanziale" di barriere all'entrata.

INDUSTRIALE Pagina 59
3. DIFFERENZIAZIONE DEL PRODOTTO
Il nuovo entrante subisce degli svantaggi, a parità di livello di produzione, derivanti da
maggiori costi o minori ricavi legati alla differenziazione dei prodotti. Essa si manifesta in una
preferenza, momentanea o definitiva, dimostrata dai consumatori nei confronti dei prodotti
già esistenti sul mercato rispetto a quelli di potenziali nuove imprese.

Di fronte a tali preferenze del consumatore, la nuova impresa, per riuscire a collocare la
propria produzione, è costretta a:
○ Applicare prezzi decisamente inferiori a quelli dei produttori esistenti, vedendo ridurre I
propri ricavi
○ Sostenere elevati costi di promozione, vendita e distribuzione aumentando I propri costi
per unità di prodotto.

STUDIO DI BARRIERE AGGREGATE = I vantaggi da differenziazione del prodotto sono una


causa frequente di barriere all'entrata e sono in grado di generare barriere molto alte.

BARRIERE TECNOLOGICHE
Le barriere tecnologiche fanno riferimento ad una superiorità tecnologica protetta da brevetti o
altri diritti su opere dell'ingegno e di know-how legato alla ricerca e sviluppo. I brevetti forniscono
all'inventore diritti esclusivi su un prodotto, processo, sostanza o design nuovo e utile.

- La finalità di brevetti e diritti d'autore è quella di fornire un incentivo all'innovazione,


assicurando una protezione che consenta di remunerare le risorse impiegate per lo sviluppo
della stessa innovazione, come I costi di ricerca e sviluppo.

- La protezione legale delle innovazioni conferisce un potere di monopolio all'inventore. Un


innovatore, ex post, diventa un monopolista, protetto dalla legge o dall'incapacità dei suoi
rivali di imitare l'innovazione. Tale situazione comporta un costo sociale in termini di
efficienza, misurata all'inefficienza allocativa.

Si configura quindi un trade off tra inefficienza e incentivo all'innovazione.

BARRIERE STRATEGICHE
La barriere strategiche all’entrata sono barriere che si verificano quando un’impresa già operante
compie precise azioni per impedire l’ingresso nel mercato ai concorrenti.; dipendono quindi dal
comportamento delle imprese già operanti. Queste strategie possono essere:

INDUSTRIALE Pagina 60
comportamento delle imprese già operanti. Queste strategie possono essere:

- DI PREZZO = come i prezzi predatori, ovvero prezzi stabilmente al di sotto dei costi medi
variabili che costringeranno imprese con riserve finanziarie non sufficientemente capienti ad
uscire dal mercato.
Una volta che il concorrente è uscito i prezzi sono riportati a livelli adeguati. Strategie
direttamente volte all’eliminazione dal mercato di un concorrente sono dette predatrici.

- NON DI PREZZO = ovvero tutte quelle strategie che non fanno perno sul prezzo. Tra queste
troviamo l’espansione della capacità produttiva, la proliferazione di prodotti e la stipula di
contratti a lungo termine.

BARRIERE ALL'USCITA
Le barriere all'uscita sono I fattori economici, strategici ed emotivi che trattengono l'impresa nel
mercato anche se la redditività è bassa o negativa. L'esistenza di fattori economici che rendono
costosa l'uscita costituisce, inoltre, oggetto di considerazione in fase di entrata.

Uno degli aspetti che influenza l'entrata di un'impresa in un'industria è la capcità dell'impresa
di uscirne. Se è costoso uscire da un settore industriale, gli incentivi ad entrarvi sono ridotti. I
costi di uscita, quindi, servono ad impedire l'entrata proprio come quelli sostenuti per entrare
in un'industria.

Il PREZZO DI ELIMINAZIONE è quel prezzo in corrispondenza del quale uno o più concorrenti
presenti in un'industria sono indotti a sospendere la produzione e uscire dal mercato.

MODELLO BSM e PREZZO LIMITE


Nel modello di Bain – Sylos – Modigliani le imprese già attive possono calcolare quale prezzo
scegliere in modo da scoraggiare l'entrata di potenziali concorrenti, date le loro aspettative.
Tale modello è costruito sulle seguenti assunzioni:

1. Si prendono in considerazione due soli periodi: quello che precede l'entrata e quello dopo
l’entrata del nuovo competitore

2. L'offerta è costituita da una sola impresa o da un cartello di imprese

3. Non vi è differenziazione di prodotto tra quello prodotto dalle imprese già operanti nel
mercato e quelle entranti

4. La domanda di mercato è costante nel tempo

5. Il potenziale entrante si comporta secondo l'ipotesi di Cournot, cioè ritiene che la quantità
prodotta dalle imprese operanti resterà invariata anche dopo l'eventuale entrata del nuovo
concorrente.

Con queste assunzioni, il prezzo limite è dato dalla differenza fra I costi di produzione
medi/marginali delle imprese operanti e di quelli delle imprese entranti, e inoltre dal sovrapprezzo
che può essere praticato senza provocare l'entrata dei nuovi concorrenti.

Il prezzo limite è una funzione diretta della scala minima di entrata dei nuovi concorrenti e
inversa dell'elasticità della domanda, nel senso che tanto più piccoli sono I valori dell'elasticità
della domanda, tanto maggiore risulta la differenza tra il prezzo praticato dalle imprese
operanti e quello che risulterebbe in condizioni di concorrenza.

INDUSTRIALE Pagina 61
INDUSTRIALE Pagina 62
15. CONCENTRAZIONE DELL'OFFERTA
venerdì 19 maggio 2017 19:27

La concentrazione misura la distribuzione delle imprese in un'industria per dimensione. Un'industria è "concentrata"
se il numero n delle imprese in essa operanti è piccolo. A parità di n, il grado di concentrazione cresce all'aumentare
della variabilità delle dimensioni e quando una larga porzione di un qualche aggregato è detenuta da parte di una
piccola porzione di unità produttive e decisionali, la quale domina l'aggregato.

Lo scopo di un indice di concentrazione è di predire di quanto il prezzo di equilibrio di un'industria si allontani


dal livello di concorrenza. Il grado di concentrazione di un'industria riflette, quindi, il comportamento potenziale
delle imprese in essa operanti e, in particolare, il potere da esse esercitato nel determinare un prezzo di mercato
superiore al costo marginale.

La concentrazione ha una duplice dimensione:


- Numero delle imprese
- Distribuzione per dimensione

I due fattori dimensionali che caratterizzano la concentrazione sono rappresentati attraverso la curva di
concentrazione. Questa è definita dalla percentuale cumulata dell'output (asse y) e dal numero cumulato delle
imprese ordinate a partire dalla più grande (asse x).

Le curve rappresentate sono tutte concave verso


il basso (essendo la variabile in ascissa cumulata
in ordine dimensionale decrescente.) o, al massimo,
sono delle rette, nel caso di imprese di uguale
dimensione.

Hannah e Kay suggeriscono alcuni criteri di


lettura delle curve di concentrazione:

1. CRITERI DI CLASSIFICAZIONE
Un'industria è più concentrata di una
altra se la sua curva di concentrazione giace,
per ogni suo punto, al di sopra della curva
dell'altra.

2. PRINCIPIO DEL TRASFERIMENTO DELLE VENDITE


Il trasferimento delle vendite da una piccola ad una grande impresa causa un aumento della concentrazione, che
si traduce in un rigonfiamento della curva.

3. CONDIZIONI DI ENTRATA
L'entrata di una piccola impresa, ferme restando le quote delle altre imprese, porta ad una diminuzione della
concentrazione. L'ingresso di un nuovo concorrente di elevate dimensioni può tradursi in un aumento della
concentrazione.

4. CONDIZIONI DI FUSIONE
Una fusione porta ad un aumento della concentrazione, potendo essere scomposta in un trasferimento di
vendite da una piccola ad una grande impresa combinato con l'uscita di una impresa dal mercato.

INDICI DI CONCENTRAZIONE ASSOLUTA


Gli indici di concentrazione assoluta sono legati sia al numero delle imprese che alle rispettive quote relative di
mercato.

- RECIPROCO DEL NUMERO DELLE IMPRESE


Tale indice, pari a 1/n soddisfa tutte le condizioni esposte tranne quelle del trasferimento delle vendite. La sua

INDUSTRIALE Pagina 63
Tale indice, pari a 1/n soddisfa tutte le condizioni esposte tranne quelle del trasferimento delle vendite. La sua
scarsa utilizzazione è dovuta alla non considerazione della dimensione relativa delle imprese.

- RAPPORTO DI CONCENTRAZIONE
Il rapporto di concentrazione misura la proporzione dell'output delle r imprese più grandi, con r scelto dando
rilevanza solo ad un tratto della curva di concentrazione dell'industria.

- INDICE DI HIRSCHMAN-HERFINDAHL
Tale indice è particolarmente usato negli studi sulla concorrenza oligopolistica. Esso propone una ponderazione
proporzionale della quota di mercato detenuta dalla singola impresa. Esso soddisfa tutte le condizioni di Hannah
e Kay prendendo in esame tutti I punti sulla curva di concentrazione.

La scelta di tale tipo di ponderazione consente di attribuire un peso maggiore alle imprese che detengono
una quota di mercato maggiore. Il valore dell'indice, però, non risente molto della presenza di imprese di
piccolissime dimensioni.

L'indice HH dipende sia dalla disuguaglianza delle quote di mercato (misurata da c) sia dal
numero delle imprese in esso presenti (n).
Nel caso di monopolio, l'indice HH avrà valore massimo pari a 1, in quanto c=0 per n=1.
Nel caso di molte imprese di uguali dimensioni, esso sarà pari a 1/n e tenderà a 0 in presenza
di un numero infinito di imprese.

- ENTROPIA
Tale indice rappresenta l'incertezza caratterizzante una data industria. Esso è utilizzato come una misura inversa
della concentrazione, in quanto ad un minor numero di imprese presenti sul mercato e/o alla presenza di poche
grandi imprese (elevata concentrazione) dovrebbe corrispondere un minor grado di incertezza.

INDICI DI CONCENTRAZIONE RELATIVA


Gli indici di concentrazione relativa misurano unicamente la dispersione delle quote di mercato, non tenendo conto
del numero delle imprese. Essi trovano la loro rappresentazione sintetica nella CURVA DI LORENZ.

Essa è definita dalla percentuale cumulata


dell'output dell'industria (asse y) e dalla
percentuale cumulata delle imprese T
disposte in ordine crescente, cioè a
partire dalle più piccole (asse x).

Il numero delle imprese non influisce


sull'andamento della curva di Lorenz,
che potrebbe essere lo stesso per un'industria
con due imprese di uguali dimensioni e per
un'industria con 1000 imprese di uguale
dimensione.

- COEFFICIENTE DI GINI
Tale indice è dato dal rapporto tra l'area trattegiata, sottostante la linea di equidistribuzione, e l'area OTS.
Maggiore è la disuguaglianza dell'industria, maggiore è l'area trattegiata e, quindi, maggiore è il valore del
coefficiente di Gini all'interno dell'intervallo (0,1)

INDUSTRIALE Pagina 64
coefficiente di Gini all'interno dell'intervallo (0,1)

- COEFFICIENTE DI VARIAZIONE
Tale coefficiente è dato dal rapporto tra la deviazione standard della dimensione di ciascuna impresa e la
dimensione media. L'indice rileva la dispersione delle dimensioni relative delle imprese dal valore medio delle
stesse.

POTERE DI MERCATO, CONCENTRAZIONE ED ELASTICITA' DELLA DOMANDA


Assumendo che le performance di un settore siano misurate dal suo tasso di profitto, si può dimostrare che questo
dipende da tre fattori:
 Elasticità della domanda
 Concentrazione dell'offerta
 Le condotte collusive.

Si definisce POTERE DI MERCATO il rapporto tra il margine di profitto, ovvero la differenza tra il prezzo e il costo
marginale (P-MC) e il prezzo. Tale rapporto viene indicato dall'indice di Lerner:

Per un'industria nel suo complesso, tale indice è uguale all'inverso dell'elasticità della domanda:

Ipotizzando che le imprese non tengano in considerazione le reazioni delle imprese rivali perchè il mercato è in
posizione di equilibrio di Nash (dove nessuno ha interesse a modificare le proprie posizioni), o perchè la specifica
impresa considera date le decisioni dei competitori (Cournot) o perchè le imprese sono legate da un cartello (e
non vi è incertezza circa il comportamento delle imprese concorrenti),

Allora in tal caso, l'indicatore del potere di mercato L diviene uguale al rapporto tra l'indice di
concentrazione del settore di Herfindahl-Hirschman (HH) e l'elasticità della domanda:

INDUSTRIALE Pagina 65
16. DIFFERENZIAZIONE
venerdì 19 maggio 2017 19:23

La differenziazione del prodotto è un elemento che attiene sia alle condizioni strutturali del mercato, sia agli elementi
che caratterizzano la condotta degli operatori in esso presenti.

Il concetto di differenziazione implica che I prodotti (brands) in concorrenza nel mercato abbiano caratteristiche
differenti o siano considerati prodotti differenti dagli acquirenti.

I venditori percepiscono la non perfetta sostituibilità dei propri prodotti rispetto a quelli dei concorrenti
(condizione strutturale). Allo stesso tempo, l'opportunità di utilizzare elementi di differenziazione nella
domanda dei propri prodotti incide in modo sostanziale sulle strategie delle imprese (condizione di condotta)

Se I prodotti sono differenziati, e quindi percepiti come non perfetti sostituti da parte degli acquirenti, ciascuna
impresa definirà una propria curva di domanda residuale (Chamberlin).

Nel caso di prodotti perfettamente omogenei, tutte le imprese concorrenti saranno price taker poichè
prendono il prezzo come dato in quanto tutte devono applicare lo stesso prezzo se vogliono continuare a
vendere il proprio prodotto. Il consumatore, infatti, non accetterebbe di pagare un prezzo maggiore per un bene
identico a beni che presentano un prezzo più conveniente.

DIFFERENZIAZIONE DEI PRODOTTI


La differenziazione dei prodotti può essere:

- VERTICALE = un prodotto si differenzia dai prodotti in concorrenza quando presenta una caratteristica che
cattura, a parità di altre qualità, la preferenza di tutti I consumatori.
(ES. La qualità di economicità nei consumi nelle automobili)

- ORIZZONTALE = I consumatori valutano in modo differente le caratteristiche qualitative dei prodotti in


concorrenza: alcuni consumatori scelgono un dato prodotto per una caratteristica non riscontrabile nel prodotto
concorrente. Questo, a sua volta, presenta un'altra qualità che incontra le preferenze di altri consumatori.

MODELLI TEORICI

- ATTRIBUTI DI ARROW-DEBREU
Ipotizzando che la domanda dei consumatori non sia orientata tanto al prodotto quanto alle caratteristiche o
attributi del prodotto e dei prodotti concorrenti, ciascun prodotto è individuato attraverso la definizione delle
caratteristiche che meglio rappresentano la funzione di utilità dell'acquirente.

Se fosse possibile produrre tutte le possibili combinazioni di attributi, sarebbe possibile soddisfare le preferenze
di ciascun consumatore. Tuttavia, la presenza di costi fissi e di economie di scala nella produzione di ciascuna
combinazione, fa sì che ciascun consumatore non troverà il prodotto che risponde perfettamente alla sua
combinazione ottimale, quindi la sua scelta sarà determinata dai prezzi relativi delle combinazioni offerte.

L'aggregazione delle preferenze espresse dai singoli consumatori determina per ciascun prodotto, e quindi per
ciascun venditore, una curva di domanda inclinata negativamente.

- INFORMAZIONI DEI CONSUMATORI E COSTI DI TRANSAZIONE


Ciascun consumatore, nel prendere le proprie decisioni di acquisto, investe nell'acquisizione di diversi tipi di
informazione fino al punto in cui I benefici attesi da una scelta tra I prodotti offerti sul mercato eguaglia il costo
marginale dell'informazione.

Ciascun consumatore ha a disposizione un set di informazioni incompleto e, generalmente, diverso da quello


degli altri acquirenti. Anche se le preferenze di tutti I consumatori sulle caratteristiche del prodotto fossero

INDUSTRIALE Pagina 66
degli altri acquirenti. Anche se le preferenze di tutti I consumatori sulle caratteristiche del prodotto fossero
identiche, essi esprimerebbero per ciascun livello di prezzo dei prodotti in concorrenza una preferenza diversa,
in quanto è diverso il set di informazioni a loro disposizione.

La condizione strutturale della differenziazione, quindi, è rappresentata attraverso curve di domanda individuali
inclinate negativamente per il venditore di un prodotto differenziato.

Inoltre, per alcuni particolari prodotti, I consumatori sostengono un costo specifico nel passare ad un prodotto
concorrente (switching cost). La presenza di costi di transazione può divenire un elemento di differenziazione
contribuendo a determinare le condizioni strutturali che definiscono la curva di domanda di un prodotto
differenziato.

QUALITA' DELL'INFORMAZIONE E INCERTEZZA: IL MODELLO DI AKERLOF


Ipotizzando una situazione in cui gli acquirenti si affidano a valutazioni statistico-probabilistiche per superare
l'incertezza delle informazioni sulle caratteristiche qualitative del prodotto, I venditori avranno un incentivo ad offrire
prodotti di bassa qualità.

In tale situazione, il beneficio connesso alla vendita di prodotti di buona qualità avvantaggia tutto il gruppo di
venditori, al quale si applicano le valutazioni statistiche, anzichè il singolo venditore. L'effetto è una progressiva
riduzione della qualità media dei prodotti offerta e dalla dimensione stessa del mercato.

EFFETTI DELLA SPESA PUBBLICITARIA


La spesa pubblicitaria è un potenziale fattore di differenziazione dei prodotti. Essa contribuisce a definire il set di
informazioni a disposizione degli acquirenti e le loro preferenze. Essa rappresenta per I consumatori una fonte di
informazione relativamente economica.

Si definiscono:
- Prodotti con qualità individuabili, quelli che possono essere valutati prima dell'acquisto (computer, automobili,
vestiti). In tal caso la pubblictà è una pubblicità informativa in quanto mira ad informare il consumatore sulle
qualità del prodotto.

- Prodotti con qualità da sperimentare, quelli che devono essere prima acquistati e poi provati (cibo, vino,
servizi). In tal caso la pubblicità è una pubblicità persuasiva in quanto ha l'obiettivo di informare il consumatore
sull'esistenza del prodotto e sulla sua reputazione e di spostare la sua preferenza verso il prodotto.

Porter fa riferimento alle abitudini di acquisto dei consumatori distinguendo tra:


- Beni di convenienza = caratterizzati da un basso prezzo di acquisto e da una elevata frequenza di acquisto. Il
consumatore spende meno tempo nell'acquisto di tali beni che sono più suscettibili all'effetto della pubblicità
(detersivi, calze, ecc.)

- Beni di spesa = hanno un prezzo unitario maggiore e sono acquistati meno frequentemente. Il consumatore li
acquista dopo aver valutato le offerte di diversi punti vendita e potrebbe essere influenzato dall'assistenza
commerciale più che dalla pubblicità.

Inoltre,
- I beni caratterizzati da un elevato grado di innovazione, possono essere soggetti ad un più elevato livello di
pubblicità in quanto l'interesse delle imprese produttrici è quello di informare costantemente I consumatori sui
miglioramenti apportati ai prodotti (automobili, computer)

- I beni ad alto contenuto di moda richiedono massicci investimenti in pubblicità al fine di crearne e mantenerne
l'immagine. (profumi, vestiti, oggetti di design)

- Nel caso di prodotti caratterizzati da un elevato turn-over degli acquirenti, è ipotizzabile un basso investimento
in pubblicità in quanto si riduce per il venditore l'incentivo a sensibilizzare verso il prodotto acquirenti che
lasceranno presto il mercato.

INDUSTRIALE Pagina 67
lasceranno presto il mercato.

MODELLO DI DORFMAN - STEINER


Nel modello di Dorfman-Steiner, le variabili strategiche che definiscono la politica di marketing di un'impresa sono il
prezzo, la qualità e la pubblicità.

In un'impresa monopolistica, il livello ottimale della spesa pubblicitaria, dato dal rapporto tra spesa pubblicitaria e
fatturato, risulta essere uguale al rapporto tra l'elasticità della domanda alla spesa pubblicitaria e l'elasticità della
domanda al prezzo.

L'intensità di pubblicità è maggiore quanto maggiore è l'elasticità della domanda alla pubblicità e
quanto minore è l'elasticità della domanda al prezzo.
(ES. Prodotti legati all'immagine, per I quali la domanda è meno sensibile al prezzo che alla pubblicità)

ANALISI EMPIRICHE
Esistono due approcci per analizzare la differenziazione:

- I consumatori hanno preferenza in relazione ai beni

Nelle industrie con prodotti indifferenziati, la domanda di un'impresa dipende solo dall'offerta totale dei
rivali. Se I consumatori considerano tutti I prodotti omogenei, I consumatori non sono disposti a pagare di
più per il prodotto di un'impresa rispetto a quello di un'altra, perciò tutte le imprese devono praticare lo
stesso prezzo se vogliono vendere I loro prodotti.

In un industria con prodotti differenziati, invece, la domanda dipende dall'offerta di ciascun rivale
considerato singolarmente. Il prezzo che l'impresa fa pagare per il suo prodotto dipende dalla quantità
venduta del suo prodotto e dalla quantità venduta di tutti gli altri prodotti.

- I consumatori hanno preferenze in relazione alle proprietà o caratteristiche dei beni.

Invece di confrontare I prodotti in quanto tali, I consumatori scelgono in base alle caratteristiche più
importanti. Ogni prodotto si localizza in uno "spazio caratteristico" a seconda della quantità delle proprie
caratteristiche.

Ci sono due modelli di analisi:


1. MODELLO DEL CONSUMATORE RAPPRESENTATIVO = che può utilizzare sia l'approccio del prodotto, sia quello
delle caratteristiche.

2. MODELLO DI LOCALIZZAZIONE = che impiega solo l'approccio delle caratteristiche.

MODELLO DI LANCASTER
Lancaster sviluppa un modello che distingue i prodotti in base a:
- Prodotti con caratteristiche miscelabili
- Prodotti con caratteristiche non miscelabili.

Lancaster definisce miscelabili quei prodotti con caratteristiche perfezionabili dai consumatori.
Ovvero i consumatori possono modificare le caratteristiche del prodotto in termini di quantità per ottenere il mix
perfetto che meglio soddisfa i loro gusti; (ES. yogurt alla frutta, per il quale potenzialmente posso comprare yogurt
bianco e frutta separatamente e mischiarli per ottenere il connubio che più mi soddisfa.)

Saranno non miscelabili quei prodoti le cui caratteristiche non sono modificabili dai consumatori al fine di ottenere
una combinazione ottimale per le loro preferenze. (ES. telefono: non posso prendere un telefono android e metterci
applicazioni per iOS.)

INDUSTRIALE Pagina 68
applicazioni per iOS.)

Graficamente possiamo rappresentare questa situazione attraverso un grafico che vede sui propri assi le
caratteristiche dei prodotti. Ipotizziamo per semplicità di trattazione che le caratteristiche possano essere solo due,
presenti in percentuali maggiori a seconda del tipo di prodotto.

Dati 3 prodotti: Prod A, Prod B, Prod C.


Dato il reddito del consumatore m, esso
potrà permettersi qb, oppure qa, qb.

Data la sua curva di indifferenza il consumatore


razionale preferirà sempre qb perché è evidente
come sia su una curva di indifferenza maggiore
rispetto a qa+qb.

Se il prezzo per qb sale fino al punto che il


consumatore con il reddito m si potrà permettere
solamente qb1, allora si troverà a scegliere tra 3 panieri
sulla stessa curva di utilità: qa, qb o qb1.

Se i beni sono miscelabili è evidente che il consumatore


sceglierà un mix dei beni Prod A e Prod C, perché come
indica il grafico miscelando le caratteristiche dei due beni
come il consumatore meglio preferisce otterrà il bene qA-C
che, pur costando come qb1 giace su una curva di indifferenza maggiore.

Questa è la proprietà delle curve di indifferenza di tipo Cobb-Duglas¸ per le quali la media è preferita agli estremi.

Lancaster si interessa a questo particolare fenomeno.

Studiando la domanda del Prod B Lancaster nota che


è caratterizzata da salti. Tali salti sono dovuti a prodotti
sostituti miscelabili, che a seconda del prezzo del Prod B,
la combinazione di tali altri prodotti sostituti in un particolare
mix, risulta al consumatore preferita piuttosto che il bene Prod B.
L’effettiva domanda di Prod B sarà quella evidenziata.

MODELLI DI LOCALIZZAZIONE
I modelli di localizzazione (o spaziali) sono modelli di concorrenza monopolistica in cui I consumatori ritengono che il
prodotto di ciascuna impresa abbia una particolare collocazione nello spazio geografico (o caratteristico) del prodotto.
Più vicini sono due prodotti nello spazio geografico, più sono sostituibili.

Poichè le imprese o I prodotti competono direttamente solo con I prodotti a loro vicini, ciascuna impresa ha del
potere di mercato che deriva dalla preferenza dei consumatori a effettuare l'acquisto presso l'impresa più vicina o a
comperare il prodotto preferito.

MODELLO DI LOCALIZZAZIONE DI HOTELLING


Si consideri una lunga spiaggia, due venditori di gelato localizzati ai due estremi e I potenziali consumatori
uniformemente distribuiti lungo la spiaggia. Si ipotizzi poi che I due venditori offrano un prodotto perfettamente
omogeneo allo stesso prezzo.

INDUSTRIALE Pagina 69
omogeneo allo stesso prezzo.

Ciascun consumatore preferirà il venditore più vicino, in quanto il costo di spostamento per raggiungere questo
ultimo sarà minore di quello necessario per raggiungere l'altro venditore.

Tale situazione può essere generalizzata a tutte le situazioni in cui venditori e compratori sono fisicamente
separati e un costo di trasporto deve essere pagato dall'acquirente per comprare da uno specifico venditore.

Il costo di ogni gelato per ogni consumatore è rappresentato quindi da:

Ovvero, il costo di un gelato è dato dalla somma del prezzo del gelato (che è dato) più una variabile in funzione della
distanza che il consumatore deve compiere per raggiungere il gelataio.

Essendo I prodotti omogenei e caratterizzati da uno stesso prezzo, il fattore discriminante è la distanza. Per
minimizzare il costo complessivo dei consumatori, I venditori dovrebbero posizionarsi rispettivamente a 1/4 e 3/4 della
spiaggia.

I venditori, però, cercheranno di posizionarsi l'uno alla destra dell'altro al fine di sottrarre al concorrente un numero
maggiore di consumatori. Tale "gioco" raggiunge un punto di equilibrio quando entrambi I venditori si collocano
esattamente nel punto centrale della spiaggia.

Se trasliamo questo ragionamento sulle caratteristiche dei prodotti, dove 0 è la presenza di una deteminata
caratteristica e 1 è la presenza di una caratteristica opposta, i produttori tendono a conformarsi verso il centro,
optando per caratteristiche più o meno tutte uguali ed uniformi.

Nel caso vi sia un numero finito di imprese vi è un quantitativo di differenziazione minore rispetto a quella
desiderata dai consumatori e quella che minimizzerebbe i costi complessivi del mercato.

Il discorso cambia se nel mercato possono entrare nuove imprese. In questo caso il loro ingresso è determinato
dalla profittabilità della nicchia del mercato nella quale si vanno ad inserire. Visti i profitti, I nuovi entranti
possono essere attratti.

Al fine di scoraggiare l’ingresso, gli operatori già presenti nel mercato dovranno coprire tutte le nicchie
profittevoli così da non rendere più interessante l’ingresso. Nell’esempio della spiaggia i due gelatai dovranno
comprare tanti carretti da occupare tutte le nicchie di mercato tali da non rendere profittevole l’ingresso
(ipotizzando una soglia minima di clienti per ritenere profittevole l’ingresso). Il numero di carrelli che andranno
piazzati allora dipenderanno dall’entità dei costi fissi.

Chi volesse entrare può solo inserirsi facendo lo stesso identico investimento fatto da chi già nel mercato
operava.

Questa costituisce una barriera all’entrata strategica, dovuta all’eccesso di differenziazione del prodotto (come
per esempio gli shampoo)

CRITICHE AL MODELLO DI HOTELLING

INDUSTRIALE Pagina 70
CRITICHE AL MODELLO DI HOTELLING
1) Principale critica che riceve il modello di Hotelling è quella che ne contesta la distribuzione delle preferenze.
Il modello infatti prevede una distribuzione uniforme delle preferenze (nel caso coca-cola tanti sono i consumatori che
preferiscono la coca-cola amara quanti sono quelli che la preferiscono un po’ più dolce).
Nella realtà invece le preferenze si distribuiscono secondo una distribuzione normale, più concentrate quindi verso il
centro.

Il modello è applicabile, quindi, solo ai beni con una distribuzione uniforme delle preferenze in termine di
caratteristiche.

2) Una seconda critica è mossa da Salop. Salop afferma che il risultato di equilibrio inefficiente trovato da Hotelling è
frutto di una errata concezione spaziale.
Hotelling infatti pone dei limiti spaziali al mercato, ovvero i confini, rappresentando il mercato come una linea retta.

Salop cambieràla rappresentazione del mercato introducendo una forma circolare, così da garantire ad ogni
consumatore la stessa possibilità di muoversi, e non “intrappolando” i consumatori al confine.

MODELLO DI SALOP
Nel modello di Salop, le imprese sono situate lungo una circonferenza e non più lungo una retta come nel modello di
Hotelling. Una delle cause principali della non esistenza di un equilibrio nel modello di Hotelling è la presenza di punti
estremi; nel modello di Salop, adottando una struttura "a cerchio", quindi, non si hanno punti estremi.

Inoltre, il modello di Salop tiene conto di un secondo bene o bene esterno. Il prodotto differenziato potrebbe essere
costituito da marche di gelato diverse e il bene esterno potrebbe essere una pizza, un prodotto indifferenziato fornito
a livello concorrenziale da un'altra industria.

SCELTA DEI CONSUMATORI


Ogni consumatore tenta di massimizzare il proprio surplus, che è la differenza tra l'utilità derivante dal consumare un
prodotto e il prezzo da pagare per ottenere quel prodotto.

Se il gusto di gelato preferito è il cioccolato, ma il gelato alla stracciatella costa la metà, il consumatore potrà
comprare quest'ultimo perchè la perdita in termini di utilità è inferiore al guadagno derivante dall'acquisto del
prodotto più conveniente. Viene effettuato il c.d. migliore acquisto, ossia si compra il prodotto che consente di
ottenere il surplus maggiore, la migliore combinazione in termini di prezzo e qualità.

Invece di acquistare uno ei vari tipi di gelato, però, il consumatore può decidere di comprare il bene esterno, la
pizza, se questa rappresenta un migliore acquisto, nel senso che garantisce una maggiore utilità per una data
somma di denaro.

Il compratore, quindi, ha un prezzo di riserva, cioè il prezzo più elevato che è disposto a pagare per il tipo preferito di
gelato. Un consumatore acquista un cono gelato solo se il surplus netto derivante dal consumo del tipo di gelato che
rappresenta il migliore acquisto meno il surplus derivante dal consumo della pizza è positivo.

INDUSTRIALE Pagina 71
COMPORTAMENTO DELLE IMPRESE A
Salop parte dal presupposto che le imprese siano collocate
sulla circonferenza (mercato circolare) in punti equidistanti
l'una dall'altra e, se ci sono n imprese, la distanza tra due
imprese è 1/n. Inoltre, I produttori fisseranno il loro prezzo
C
a seconda del numero di imprese presenti. B

Nel modello di Solap, nessuna impresa ha interesse a


spostarsi. (EQUILIBRIO OTTIMO ALLA SOLAP)

REGIONE DI MONOPOLIO
Se esistono poche imprese, esse non sono in concorrenza tra loro per gli stessi consumatori. Ogni impresa è un
monopolista locale e vende a tutti I consumatori che vivono abbastanza vicino a lei.

Ogni monopolista vende solo a quei


consumatori che dal consumo del suo
tipo di gelato ricavano un surplus
maggiore di quello che otterrebbero
consumando la pizza (bene esterno).

REGIONE CONCORRENZIALE
Se ci sono più imprese, che sono quindi posizionate più vicine tra loro e competono per gli stessi consumatori, ogni
impresa, nel fissare il proprio prezzo deve tener conto del prezzo praticato dai rivali.

Le imprese operanti nella particolare fetta di


mercato ne contendono una parte con le
imprese confinanti. Studiando la situazione
dell’impresa B la sua fetta di mercato è
caratterizzata da una parte di consumatori
(la parte in nero) che ritengono B comunque
più vicina rispetto alle altre imprese, e sono
disposti a farsi monopolizzare.

La fetta di mercato in rosso invece è costituita da consumatori che sono influenzati sia dall’impresa B ma anche dalle
altre due imprese a B confinanti (impresa A & impresa C) e quindi su quella fetta di mercato l’impresa è in
concorrenza con le imprese confinanti. I consumatori nell’area rossa non sono disposti a farsi monopolizzare da B,
tantomeno dalle imprese confinanti.

Per le imprese in questo caso la loro fetta di mercato è caratterizzata da due tipologie di consumatori:

- Una parte disposti ad essere monopolizzati perchè fortemente attratti dalle caratteristiche di tale impresa
producente il particolare prodotto

- Una parte non disposti ad essere monopolizzati e quindi in concorrenza con le imprese confinanti in termini di
caratteristiche del prodotto.

TIPI DI EQUILIBRIO NEL MODELLO DI SALOP


Con prezzi elevati le ragioni di domanda delle imprese non coincidono perchè ogni impresa costituisce un monopolio
locale. Al diminuire del prezzo, in modo tale che un numero maggiore di consumatori sia interessato al prodotto, le
ragioni si sovrappongono e inizia la concorrenza tra imprese.

Salop dimostra che, quando le imprese hanno costi marginali costanti e costi fissi, esiste un equilibrio di Nash
simmetrico in cui nessuna impresa vuole modificare il proprio prezzo e nessuna impresa aggiuntiva vuole entrare nel
mercato. Ciò significa che tutte le imprese fanno pagare lo stesso prezzo in condizioni di equilibrio e sono situate a una
distanza 1/n l'una dall'altra.

INDUSTRIALE Pagina 72
distanza 1/n l'una dall'altra.

VARIAZIONI NEI COSTI E BENESSERE NEL MODELLO DI SALOP


Salop dimostra che, nella ragione concorrenziale all'aumento dei costi fissi si hanno meno imprese in equilibrio, perciò
I prezzi salgono e la varietà di equilibrio scende. Inoltre, un aumento del costo marginale costante fa aumentare il
prezzo di un importo uguale, ma la varietà di equilibrio rimane immutata.

Nell'angolo della curva di domanda dove il


prezzo è Pm, un aumento sia dei costi fissi
che di quelli marginali, riduce il numero di
imprese, e quindi la varietà, ma abbassa il
prezzo.

Quindi, se l'economia si trova nel punto ad Pm


angolo della curva di domanda, un'imposta
che aumenta i costi delle imprese abbassa
i prezzi e fa diminuire la varietà. Salop dimostra,
però, che il benessere aumenta.

La funzione di domanda in caso di differenziazione


di prodotto, quindi sarà divisa in due parti.

MODELLO DEL CONSUMATORE RAPPRESENTATIVO

MODELLO DI CHAMBERLIN
Il modello di Chamberlain si concentra sui costi della differenziazione del prodotto ed il benessere sociale che ne
deriva. Partendo da una situazione di equilibrio di lungo periodo in concorrenza monopolistica, dove i profitti
(economici e non contabili!) sono = 0 (perché P=CM), Chamberlain inizia il suo studio domandandosi se la situazione di
equilibrio rappresenta anche la situazione in cui il benessere sociale è massimo.

Lo studio si concentra quindi sulla massimizzazione del surplus complessivo.

- Situazione di breve periodo con scarsa differenziazione.

In questa situazione i costi medi CM si trovano al di sotto


della domanda, le imprese presenti producono e realizzano
profitti. Questi profitti positivi sono possibili solo nel breve
periodo perché nel lungo periodo entreranno altre imprese
portando il profitto economico = 0.

In un mercato così configurato il benessere sociale è pari alla


somma dei surplus, ovvero A+B.

- Situazione di breve periodo con molta differenziazione.

Questo determina dei costi medi CM molto alti, al punto


di esserlo anche più della domanda. Le imprese smettono
di produrre ed escono dal mercato. In termini di benessere
Sociale, se le imprese non producono, non ci sono scambi

INDUSTRIALE Pagina 73
Questo determina dei costi medi CM molto alti, al punto
di esserlo anche più della domanda. Le imprese smettono
di produrre ed escono dal mercato. In termini di benessere
Sociale, se le imprese non producono, non ci sono scambi
e non ci sta alcun surplus (surplus=0).

La situazione così configurata però è effettivamente la migliore


al livello di benessere sociale? Ovvero nonostante la perdita per
l’impresa che produce un prodotto così differenziato, è
socialmente desiderabile un prodotto con una tale
differenziazione?

Bisogna fare un confronto tra surplus nel caso di produzione e nel caso di non produzione.

Benessere sociale SENZA PRODUZIONE Benessere Sociale CON PRODUZIONE


Surplus Consumatore= 0 Surplus Consumatore= A + B
Surplus Produttore= 0 Costi Totali= B + C + D
BENESSERE SOCIALE= 0 Ricavi totali= D
Profitti (R-C)= -(B+C)
BENESSERE SOCIALE= A + B – (B+C)= A – C >0

Notiamo come al livello sociale nonostante l’impresa sopporti profitti negativi il benessere sociale risulta
positivo, perché come è evidente dal grafico l’area A è sicuramente maggiore dell’area C.

CONCLUSIONI
1. Comune a molti modelli che considerano la differenziazione di prodotto è che si stabilisce un equilibrio sub-ottimale,
ovvero c’è meno differenziazione di prodotto di quella socialmente desiderabile. Questo perché la differenziazione è
fatta dai produttori che guardano ai loro interessi.

2. In molti di questi mercati si costituisce un importante trade-off tra quantità prodotte e differenziazione.

Proprio per il motivo esposto nel punto 1) in luogo di un equilibrio che massimizza l’utilità del consumatore, nel
punto di tangenza tra la curva di indifferenza del consumatore e la frontiera delle possibili produzioni,
l’equilibrio si andrà a posizionare più in basso su questa frontiera, verso un aumento delle quantità e una
diminuzione della verità.

La Frontiera delle possibili produzioni rappresenta


l’insieme delle possibili combinazioni tra una maggiore
differenziazione e una maggiore quantità prodotta date
le risorse (input) disponibili.

Le curve di indifferenza sono i livelli di utilità dei consumatori


per diverse combinazioni di varietà e quantità.

L’equilibrio che individua Chamberlain è


diverso da quello che massimizzerebbe l’utilità
dei consumatori, perché come è evidente dal grafico
l’equilibrio effettivo si trova su una curva di indifferenza
più bassa, ma è l’unico equilibrio possibile visto che i
produttori perseguono i loro interessi privati, non
guardando certo alla massimizzazione del benessere collettivo
a loro discapito.

INDUSTRIALE Pagina 74
In conclusione una maggiore differenziazione, se pur socialmente desiderabile non è raggiungibile.

INDUSTRIALE Pagina 75
17. INTEGRAZIONE VERTICALE
venerdì 19 maggio 2017 19:23

Il processo che porta un prodotto dalla sua fase di creazione alla fase di utilizzazione da parte del
consumatore può essere anche molto lungo e complesso; per semplicità di trattazione lo dividiamo
in 3 fasi:

1. Reperimento degli input

2. Produzione / trasformazione degli input

3. Distribuzione del prodotto

Ad ogni stadio di questa filiera si identifica un mercato. In questo contesto si apre la possibilità per le
imprese, di integrarsi ad uno qualsiasi degli stadi di questa filiera.

INTEGRAZIONE Si intende quel fenomeno con il quale un'impresa nella filiera produttiva,
mediante acquisizioni di altre imprese o l’avvio di nuove produzioni, inizia a svolgere attività che
prima venivano svolte da altre imprese lungo la filiera produttiva.

L’integrazione può essere di 3 tipi:


- CONGLOMERALE (o di diversificazione)
- ORIZZONTALE
- VERTICALE

INTEGRAZIONE CONGLOMERALE o DI DIVERSIFICAZIONE


Un'impresa in una filiera produttiva si integra con un’altra impresa su un’altra filiera produttiva, con
il principale scopo di diversificare il rischio. Queste operazioni tendono ad essere fatte tra industrie
che risentono dell’effetto dei cicli economici e quelle che invece non ne risentono, con l’obiettivo di
ridurre la volatilità dei ricavi e la stabilizzazione dei profitti.

INTEGRAZIONE ORIZZONTALE
L’acquisizione di un’impresa che operava allo stesso livello della filiera produttiva. Interessante al
livello di concentrazione di mercato perché se ad ogni livello della filiera possiamo identificare un
mercato allora una funzione o acquisizione ad un particolare livello andrà a modificare la struttura
della concentrazione in tale mercato.

INTEGRAZIONE VERTICALE
Un'impresa che realizza internamente più stadi successivi di produzione o distribuzione di beni e
servizi è detta integrata verticalmente. Le imprese decidono di integrarsi verticalmente solo se così
facendo possono effettuare le fasi necessarie di produzione ad un costo inferiore rispetto a quello
che sosterrebbero nel caso in cui si appoggiassero ad altre imprese.

I costi connessi all'integrazione verticale sono tre:


- Il costo di fornitura dei fattori di produzione o di distribuzione del prodotto può essere
superiore per un'impresa che si integra verticalmente rispetto a quello di un'altra impresa che
si rivolge a mercati concorrenziali
- Costi di gestione per un'impresa che si è ingrandita
- Elevate spese legali per organizzare la fusione con un'altra impresa

A causa di questi costi, le imprese si integrano verticalmente solo se I benefici di tale operazione
superano I costi.
L'integrazione presenta almeno 6 vantaggi:

1. RIDUZIONE DEI COSTI DI TRANSAZIONE


Integrandosi verticalmente, un'impresa può ridurre I costi di transazione, come quelli di

INDUSTRIALE Pagina 76
Integrandosi verticalmente, un'impresa può ridurre I costi di transazione, come quelli di
stipulazione e applicazione dei contratti. Esistono 4 situazioni in cui I costi sono tali da rendere
desiderabile e profittevole l'integrazione verticale:
- Beni capitali specialistici = Nel caso di beni particolarmente specifici e
costosi per l’impresa (realizzati su misura per uno o alcuni acquirenti
particolari), si può verificare un monopolio bilaterale* e le imprese
possono essere incentivate a fondersi.

- Incertezza = Quando gli input per un’impresa sono relativamente


specifici e devono essere disponibili in precise date, al fine quindi di
evitare il rischio di fornitura le imprese possono decidere di integrarsi.

- Transazioni che prevedono informazioni = La difficoltà e l’alto costo di


reperimento delle informazioni possono costituire una valida
motivazione per l’integrazione.

- Ampio coordinamento = La necessità di un coordinamento più ampio


e diretto su input o distribuzione può essere motivo di integrazione.

*(PS. MONOPOLIO BILATERALE) = caso in cui un monopsonista e un monopolista si


incontrano, ovvero un mercato in cui vi è un solo acquirente e un solo produttore.

Nel mercato,
• il monopolista agirà secondo il vantaggio datogli dal potere di mercato, restringendo le
quantità tali per cui RM=MC, e vendendole al prezzo di riserva del consumatore individuato
sulla funzione di domanda.

• Viceversa, il monopsonista, avendo anche egli potere di mercato, acquisterà le quantità che
eguagliano la sua spesa marginale nel punto di intersezione con la domanda, e le pagherà al
prezzo di riserva del monopolista.

SURPLUS MONOPOLISTA SURPLUS MONOPSONISTA


Surplus Monopsonista (cons.)= A Surplus Monopsonista (cons.)= B+D+A
Surplus Monopolista (prod.)= B+D+F Surplus Monopolista (prod.)= F
Perdita Secca= C+E Perdita Secca= C+E

L'area B+D fa capo sia al surplus del monopolista, sia a quello del monopsonista. Scatta quindi
tra I due una feroce negoziazione sul prezzo che porta inevitabilmente ad un fallimento di
mercato.
La soluzione sta, appunto, nell'integrazione verticale.

INDUSTRIALE Pagina 77
1. COSTANZA DELLA FORNITURA
Integrandosi verticalmente, ci si garantisce la fornitura di fattori di produzione importanti.
Un'impresa ha un incentivo a produrre I propri input per soddisfare il livello prevedibile della
domanda. I fornitori esterni reagiranno a questa situazione aumentando I prezzi quando
l'impresa ordina degli input a causa di un incremento non previsto di domanda.

2. CORREZIONE DEI FALLIMENTI DI MERCATO


Un'impresa può integrarsi per internalizzare le esternalità.

3. POSSIBILITA' DI ELUDERE LE REGOLE IMPOSTE DALLO STATO


Le imprese possono integrarsi verticalmente per evadere o eludere I controlli del governo sui
prezzi, le tasse e I regolamenti. Le normative emanate dal governo creano incentivi
all'integrazione verticale di un'impresa quando regolamentano I profitti di una sola attività
dell'impresa.

4. ACQUISIZIONE DI POTERE DI MERCATO


Un'impresa, integrandosi verticalmente, può aumentare I propri profitti di monopolio in due
modi:
○ Un'impresa che è fornitore monopolistico di un fattore produttivo essenziale utilizzato
da un'industria concorrenziale, integrandosi verticalmente a valle, può monopolizzare
l'industria e aumentare I profitti.
○ Un fornitore monopolistico integrato verticalmente può riuscire a discriminare il prezzo.

a. INTEGRAZIONE VERTICALE PER MONOPOLIZZARE UN'ALTRA INDUSTRIA


In alcuni casi il fornitore monopolistico di un fattore di produzione può aumentare I suoi
profitti integrandosi verticalmente a valle per monopolizzare l'industria manifatturiera.
La convenienza nell'integrarsi a valle per accrescere il potere di monopolio dipende dal
processo produttivo, e quindi dipende dal fatto che l'industria abbia una funzione di
produzione con proporzioni fisse o con proporzioni variabili.

- In una funzione di produzione con proporzioni fisse, gli input sono sempre usati
nelle stesse proporzioni, che sono indipendenti dai prezzi relativi dei fattori. In tal
caso, il monopolista a monte non ha incentivo a integrarsi verticalmente poichè
otterrebbe gli stessi profitti indipendentemente dall'integrazione.
Il monopolista non integrato può controllare perfettamente il prezzo a valle
perchè le imprese a
valle non possono sostituire con un altro prodotto il fattore fornito dal
monopolista.

Ipotizzando il risultato di una integrazione verticale a valle del monopolista. A


parità di costi, il prezzo del bene I2 scende e se ne possono comprare più quantità,
spostando l’isocosto da C1 a C2. Questo isocosto, però, non è ottimo.
La tangenza con l'isoquanto si verifica nello stesso punto di tangenza con C1,
questo perché la funzione di produzione è a proporzioni fisse.

In questo caso Non si è verificato nessun vantaggio, perché il vantaggio dovuto ad


un risparmio sperimentato dall’impresa in concorrenza va a discapito del
monopolista che vede perdere il maggior profitto derivante dalla vendita al prezzo
di monopolio ad una impresa in più. Avendo incorporato l'altra impresa,divenendo
quindi un'unica impresa, questi due risultati si compensano annullandosi.

INDUSTRIALE Pagina 78
- In una funzione di produzione con proporzioni variabili, un fattore può essere
sostituito con un altro, pertanto il rapporto tra I fattori utilizzati è sensibile ai
prezzi relativi dei fattori. In tal caso, il monopolista ha incentivo a integrarsi
verticalmente. Attua l'integrazione se l'aumento dei profitti supera I costi di
integrazione.

Se le imprese a valle hanno la capacità di sostituire gli input, il monopolista non ha


il completo controllo dell'industria a valle; ogni volta che esso aumenta il prezzo,
l'industria a valle sostituisce il suo fattore con un altro input e questa sostituzione
porta ad unaproduzione inefficiente, dato che
l'efficienzaesige che la pendenza dell'isoquanto sia pari al rapporto tra I costi
marginali dei fattori. Tale inefficienza porta minori profitti per il monopolista.

Se l'impresa a monte si integra verticalmente in modo da monopolizzare


l'industria a valle, ha un controllo completo e può utilizzare I fattori nella
combinazione più efficiente. Pertanto I suoi profitti aumentano. Se questi salgono
più del costo dell'integrazione verticale, l'impresa deciderà di integrarsi.

In questo caso la funzione di produzione può essere rappresentata da una curva.


Dal grafico notiamo l’isoquanto ottimo q* e l’isocosto prima dell’integrazione C1.
Sugli assi sono rappresentate le quantità degli input I1 e I2.

Dopo l’integrazione, l’input I2 viene pagato a prezzo di costo e non più a prezzo di
monopolio, di conseguenza, alla diminuzione di prezzo e a parità di costi ne posso
aumentare le quantità di acquisto fino al nuovo isocosto C2.
Questo nuovo isocosto, però, non è ottimo perché è secante l’isoquanto.

La tangenza con l’isoquanto si verifica con l’isocosto


C4, esso è più basso di C1 costituendo costi minori per
l’impresa integrata, perché sono variati i quantitativi
di input potendo sfruttare maggiormente l’input proprietario, che pago meno

INDUSTRIALE Pagina 79
di input potendo sfruttare maggiormente l’input proprietario, che pago meno
rispetto alle altre imprese, verso le quali, non essendoci stata integrazione, è
venduto ancora a prezzo di monopolio. Questo costituisce anche (oltre ai costi
inferiori) un vantaggio competitivo verso le altre imprese che continuano a pagare
quell’input a prezzo di monopolio.

b. INTEGRAZIONE VERTICALE PER DISCRIMINARE IL PREZZO


Un fornitore monopolistico può integrarsi verticalmente in modo da discriminare con
successo il prezzo. Un elemento essenziale nel determinare il successo della
discriminazione del prezzo è la capacità di impedire la rivendita di un prodotto. Se non
si può impedire la rivendita, è impossibile discriminare il prezzo. L'integrazione verticale
può essere usata proprio per impedire la rivendita.

6. ELIMINAZIONE DEL POTERE DI MERCATO


Se un'impresa può aumentare I suoi profitti di monopolio integrandosi verticalmente, nello
stesso modo può ridurre o eliminare il potere di mercato di un'altra impresa.

INDUSTRIALE Pagina 80
18. RESTRIZIONI VERTICALI
venerdì 19 maggio 2017 19:23

Un produttore che stipula un accordo con un distributore, (o un'impresa a valle), per vendere il suo
prodotto può imporre delle restrizioni verticali al distributore. Queste restrizioni verticali sono
determinate mediante trattative contrattuali tra il produttore e il distributore.

ES. Di RESTRIZIONI VERTICALI =


▪ Richiesta che il distributore venda un numero minimo di unità
▪ Che I distributori non siano situati uno vicino all'altro
▪ Che non vendano prodotti concorrenti
▪ Che non pratichino un prezzo inferiore a quello prestabilito

Il rapporto tra produttore e distributore è un rapporto del tipo mandante-mandatario o principale-


agente.

Il principale assume l'agente per svolgere un incarico, ma non è in grado di controllare


completamente il suo operato. Il produttore (principale) stipula un contratto con I distributori
(agenti) affinchè essi vendano il suo prodotto. Il produttore non può sorvegliare
completamente l'effettivo impegno dei distributori nella fase di vendita e pertanto egli è
consapevole che essi possono trarne un vantaggio personale.

Il FREE RIDING si verifica quando un'impresa beneficia delle azioni di un'altra senza pagare un
prezzo. Questi problemi tra principale e agente vengono spesso affrontati mediante restrizioni
verticali che il produttore impone al distributore.

Quando la distribuzione comporta dei costi e il produttore utilizza dei distributori per vendere I suoi
prodotti al dettaglio, sorgono solitamente 4 problemi:

1. Si verifica un doppio markup di monopolio originato dalla presenza di monopolisti


in successione nella produzione e nella distribuzione.

2. Alcuni distributori possono approfittare dell'impegno degli altri distributori nella


promozione delle vendite (c.d. Free riding tra distributori)

3. Alcuni produttori possono "fare I furbi" a scapito di altri produttori (c.d. Free
riding tra produttori)

4. Tra I distributori può esserci una mancanza di coordinamento che determina


un'esternalità.

In generale, I produttori utilizzano varie combinazioni di restrizioni verticali per ridurre I problemi
legati al doppio markup di monopolio, al free riding e alla concorrenza tra distributori.

1. DOPPIO MARKUP DI MONOPOLIO


Se il produttore e il distributore sono entrambi monopolisti, ciascuno di essi impone un
markup di monopolio (differenza tra il prezzo e I costi marginali positiva) pertanto I
consumatori fronteggiano due markup. Questo doppio markup incentiva le imprese a
integrarsi verticalmente o a utilizzare le restrizioni verticali per promuovere l'efficienza e
aumentare I profitti congiunti.

Se c'è solo un distributore, può sorgere il problema del doppio markup di monopolio. In tale
situazione, se l'integrazione verticale non è realizzabile, le restrizioni verticali come I prezzi
massimi al dettaglio, le quote minime di vendita o I canoni di concessione, possono ridurre o

INDUSTRIALE Pagina 81
massimi al dettaglio, le quote minime di vendita o I canoni di concessione, possono ridurre o
eliminare il problema.

3 restrizioni verticali che I produttori possono utilizzare per indurre un distributore


monopolistico a comportarsi in modo più concorrenziale:

○ Il produttore può imporre contrattualmente un prezzo massimo al dettaglio, che il


distributore può far pagare. Così facendo, il produttore impedisce al distributore di far
salire il suo prezzo molto al di sopra di quello all'ingrosso. Di conseguenza, il distributore
vende un maggior numero di unità rispetto a quelle in cui lui massimizzerebbe I suoi
profitti. In tal modo si otterrebbe lo stesso risultato che si avrebbe con un'impresa
integrata.

○ Un produttore può utilizzare delle restrizioni di quantità in cui impone una quota
minima di vendite al distributore. Il distributore, quindi, deve vendere un numero
minimo prestabilito di unità. Mediante questa restrizione, il produttore non ha bisogno
di limitare il prezzo del distributore. Le quote di vendita inducono I distributori ad
aumentare l'output abbassando I prezzi.

○ Il produttore può adottare un sistema di prezzi in due parti: fa pagare al distributore un


prezzo per il prodotto e un altro per il diritto di venderlo. (ES. Il produttore vende al
distributore i diritti di esclusiva [franchising], ossia I diritti di vendere il prodotto dietro
pagamento di un canone di concessione.)

2. FREE RIDING TRA DISTRIBUTORI


In un tipico accordo di distribuzione, numerose imprese indipendenti distribuiscono il prodotto
di un'impresa produttrice. Ogni distributore beneficia delle attività promozionali degli altri
distributori senza doverle pagare. Nel caso in cui I distributori debbano sostenere un notevole
impiego di vendita, è probabile che qualcuno faccia "il furbo" perchè l'impegno di ciascun
distributore va in parte a beneficio anche degli altri.

Un distributore che non riesce a cogliere tutti I benefici derivanti dal suo impegno per
vendere ha un incentivo a ridurre tale impegno e quindi vendere un quantitativo minore
del prodotto. Il fatto che qualcuno faccia il furbo è un problema che sorge perchè I
distributori non vengono compensati individualmente per l'impegno profuso nella
vendita.

ES. FREE RIDING = la vendita di molti beni durevoli (automobili ecc.) richiede un grande
salone per esporre I prodotti, in modo che I consumatori possano scegliere il modello
che soddisfa meglio le loro particolari esigenze. Questi saloni hanno ovviamente un
costo, come anche ciò che viene esposto. Se solo un distributore ha un bel salone di
esposizione con tutta la gamma dei prodotti, I clienti si recheranno da lui per decidere
quale prodotto acquistara, ma possono decidere di acquistare da altri distributori che
non hanno una sala di esposizione come il primo distributore e che, proprio per tale
motivo, possono far pagare un prezzo più basso perchè I loro costi sono inferiori.

Possibili metodi di restrizione verticale per ridurre il problema del free riding, possono essere:
▪ Il monopolio locale, in base al quale un distributore è l'unico a poter vendere un
prodotto in una regione: il distributore ottiene diritti di monopolio sui clienti che
acquistano in quel territorio.

▪ La limitazione del numero di distributori, con la quale viene ridotta la


concorrenza potenziale e I vantaggi derivanti dall'impegno ricadono
maggiormente sul distributore.

▪ L'imposizione del prezzo al dettaglio, con cui il produttore fissa un prezzo minimo
che può essere praticato dai dettaglianti. Questi accordi creano un incentivo ai

INDUSTRIALE Pagina 82
che può essere praticato dai dettaglianti. Questi accordi creano un incentivo ai
venditori al dettaglio a concentrare l'impegno concorrenziale su variabili diverse
dal prezzo.

▪ Il produttore può far pubblicità al posto dei distributori. Se il produttore si fa


carico dell'impegno a vendere e gestire direttamente la pubblicità, non deve
preoccuparsi che qualcuno tra I distributori faccia il furbo sfruttando l'impegno a
vendere degli altri.

3. FREE RIDING TRA PRODUTTORI


E' anche possibile che produttori in concorrenza tra loro "facciano I furbi" giovando degli
investimenti di altri produttori pur non avendo partecipato ai costi.

ES. Due produttori concorrenti usano entrambi lo stesso distributore per vendere
il loro prodotto. Supponiamo che un produttore conduca una massiccia campagna
pubblicitaria per indurre I consumatori ad andare ad acquistare il proprio prodotto
dal distributore. Tuttavia, anche il secondo produttore, pur non avendo sostenuto
costi di pubblicità, beneficia del maggior flusso di clienti. Egli quindi avrà costi
inferiori e può vendere ad un prezzo inferiore.

La soluzione a questo problema consiste nel creare un sistema che consenta ai produttori di
vedere ricompensati I propri impegni a vendere. Una possibile soluzione può essere:

▪ La vendita in esclusiva, con la quale I produttori impediscono ai loro distributori di


vendere I prodotti di imprese concorrenti.

4. ESTERNALITA' DOVUTE ALLA MANCANZA DI COORDINAMENTO TRA DISTRIBUTORI


Controllando la concorrenza tra tutti I distributori, un produttore può coordinare in modo
redditizio I loro prezzi, I loro impegni a vendere e le loro localizzazioni e ottenere profitti più
elevati di quelli che derivano dal processo decisionale non coordinato tra distributori
concorrenti.

INDUSTRIALE Pagina 83
INDUSTRIALE Pagina 84
INDUSTRIALE Pagina 85
19. POLITICHE DI PREZZO
venerdì 19 maggio 2017 19:24

FORMAZIONE DEI PREZZI


I prodotti e I relativi mercati possono essere classificati in due categorie:

- Le COMMODITIES, ovvero merci non differenziate, o scarsamente differenziate.


Tale categoria è costituita prevalentemente da prodotti naturali (prodotti agricoli e minerari) ma anche da
prodotti della trasformazione industriale.
In queste tipologie di prodotti e di mercati, l'equilibrio è effettivamente assicurato dalle variazioni dei
prezzi che in diminuzione o in aumento "aggiustano" le quantità offerte e domandate, in modo da
assicurarne l'uguaglianza.
Le imprese non hanno alcuna discrezionalità nella formazione dei prezzi. Quando l'offerta sia
relativamente concentrata, le imprese maggiori possono accettare I prezzi che si formano sul
mercato e regolare la propria offert, oppure possono stabilire le proprie quote di produzione
lasciando alle fluttuazioni del mercato la fissazione dei prezzi.

- PRODUCTS o CUSTOMS, ovvero prodotti per I quali la differenziazione ha un ruolo rilevante nel determinare le
scelte dei consumatori. In tal caso deve distinguersi tra:

▪ Imprese PRICE TAKER, cioè quelle imprese che possono solo subire passivamente le decisioni altrui.
Le decisioni da prendere, quindi, riguardano solo la quantità da produrre in funzione del prezzo
corrente sul mercato.

▪ Imprese PRICE MAKER, cioè quelle imprese che hanno discrezionalità nella formazione dei prezzi.
Per tali imprese si pone il problema di come formare il prezzo di vendita. Tale problema può essere
scomposto in due profili:

◊ Le STRATEGIE, cioè le finalità che le imprese si propongono di raggiungere


attraverso le politiche di prezzo.

◊ Le TECNICHE di formazione dei prezzi, cioè I criteri con I quali le imprese price
maker procedono alla fissazione dei prezzi.

Il metodo più frequentemente utilizzato è quello del FULL COST PRICING, il quale
consiste nel rilevare I costi di produzione direttamente imputabili al prodotto e
aggiungere a questi un mark-up sufficiente a coprire I costi non direttamente
imputabili al prodotto e a far conseguire un margine di profitto normale che si
fissa generalmente attorno al 10% del valore della produzione.

Tale tecnica può essere applicata con una serie di variazioni:


1. GROSS MARGIN = consiste nell'applicare un mark-up ad un solo costo di
produzione.

2. ROI PRICING = l'obiettivo è costituito da un dato rendimento sul capitale


investito (Return on Investment - ROI)

3. FLEXIBLE MARK-UP = il mark-up viene considerato come un'indicazione in


base alla quale si definirà il prezzo

4. DIRECT COSTING = consiste nel calcolare il costo diretto di una produzione,


affidando alla funzione del marketing la scelta della combinazione di
prezzo/qualità/pubblicità che ottimizza il risultato complessivo per
l'impresa.

Secondo la tecnica del full cost pricing, il prezzo è determinato dalla seguente
equazione:

INDUSTRIALE Pagina 86
equazione:

Dove:
v = costi variabili diretti
k = quota di imputazione dei costi indiretti fissi e del margine di
profitto desiderato.

Dove:
K = totale dei costi da ripartire
q = quantità prodotta

La quantità prodotta e venduta (q) è funzione del prezzo. In questo


senso, si introducono I concetti di elasticità e ricavo marginale.

Un imprenditore, quindi, applicando il concetto di margine normale,


anticipa le reazioni del mercato e dei propri concorrenti
incorporandole nelle proprie decisioni di prezzo.

OBIETTIVI DELLE POLITICHE DI PREZZO


Gli imprenditori sono orientati a formare I prezzi con l'obiettivo di conseguire un profitto "normale" cioè adeguato a
remunerare il capitale impiegato, tenuto conto dei rischi dell'impresa. Ciò che l'imprenditore tende a massimizzare
non è il profitto dell'impresa, come potrebbe giustamente pensarsi, ma il valore dell'impresa che risulta dal flusso
attualizzato dei profitti che verranno conseguiti.

Mentre infatti la massimizzazione del profitto dell'impresa, che corrisponde alla combinazione
prezzo/quantità dove il ricavo marginale eguaglia il costo marginale, è riferita ad un orizzonte istantaneo, il
vero obiettivo degli imprenditori è massimizzare il valore dell'impresa in un orizzone prolungato.

In tal senso, la fissazione del prezzo da parte di un'impresa deve necessariamente tener conto della
sostituibilità dei prodotti nel breve periodo, e quindi del prezzo delle merci sostituibili; della
sostituibilità nel lungo periodo; dell'eventualità dell'entrata di nuovi competitori; delle reazioni delle
altre imprese incombenti.

OBIETTIVI DI SPECIFICHE POLITICHE DI PREZZO


Per le imprese price maker, alcune politiche di prezzo possono consistere in:
1) VINTAGE PRICING
2) PREZZI DI PENETRAZIONE
3) PREZZI PREDATORI
4) PREZZI LIMITE
5) PREZZI DISCRIMINATORI

1. VINTAGE PRICING
Consiste nel praticare prezzi che consentano di recuperare nel più breve tempo possibile il capitale impiegato
per lo sviluppo del prodotto. Il periodo di recupero dell'investimento iniziale è detto "PAYBACK PERIOD":

Dove:

INDUSTRIALE Pagina 87
Dove:
I = importo dell'investimento iniziale
p = prezzi
c = costi variabili
q = quantità vendute

L'obiettivo di questa politica è cautelarsi contro il rischio che nuovi competitori possano entrare nel mercato,
con la conseguente flessione dei prezzi, prima che l'intero importo dell'investimento iniziale dell'impresa
incombente sia stato recuperato.

2. PREZZI DI PENETRAZIONE
I prezzi di penetrazione risultano inferiori al prezzo di equilibrio, allo scopo di facilitare la diffusione del consumo
di un particolare prodotto, salvo rialzare I prezzi ad un livello ottimale quando ormai I consumi si stabilizzano.

Questa politica viene utilizzata quando con il proprio prodotto se ne voglia scalzare un altro le cui abitudini
al consumo sono già radicate, e anche quando le economie di scala sono molto rilevanti. L'impresa, quindi,
vuole assicurarsi il più alto livello possibile di utilizzazione della capacità produttiva.

Un prezzo di penetrazione dovrebbe collocarsi nell'intervallo fra I costi marginali e I costi medi, al di sotto
dei quali si trova la politica dei prezzi predatori.

3. PREZZI PREDATORI
La politica dei prezzi predatori ha come obiettivo la restrizione del numero di concorrenti e consiste nel praticare
prezzi tali da eliminare o da escludere I concorrenti, salvo, una volta eliminata la concorrenza, sfruttare la
posizione dominante raggiunta.

L'impresa che inizia la politica


predatoria porta la produzione
a q*, facendo scendere I
prezzi a p*, cioè sotto I costi
di produzione.

L'impresa predata, per ridurre


al minimo le perdite può far
scendere la produzione fino a
qc. Sicchè, per l'impresa che ha
avviato la politica predatoria si
determinerà una perdita
corrispondente all'area B.

La ratio delle politiche predatorie consiste nel ritenere che la rendita monopolistica che conseguirebbe
all'eliminazione delle imprese predate sia superiore alle perdite sostenute nella fase di predazione per
mantenere I prezzi al di sotto dei costi di produzione.

Tuttavia, I prezzi predatori sono vietati dall'antitrust. Appare però difficile distinguere tra prezzi predatori e
prezzi concorrenziali che riflettono semplicemente la maggiore efficienza di una impresa in confronto alle altre.

Secondo la regola di Areeda e Turner, la prova di politiche predatorie consiste nell'osservare prezzi
che si mantengono stabilmente al di sotto dei costi marginali variabili di produzione; tuttavia, però,
tali costi marginali sono difficili da individuare, sicchè Areeda e Turner propongono di utilizzare
nella pratica Il costo medio variabile, definito come la somma di tutti I costi variabili, divisa per
l'output. Il costo medio variabile diventa quindi un'approssimazione del costo marginale. Quindi
un prezzo predatorio, secondo lo schema di Areeda e Turner è quello ragionevolmente inferiore al
costo variabile dei potenziali entranti.

INDUSTRIALE Pagina 88
4. PREZZI LIMITE
I prezzi limite consistono nel fissare un prezzo e una corrispondente quantità di produzione in modo che la
domanda residuale per le imprese sia uguale a zero.

Si tratta di una pratica di deterrenza all’entrata che prevede un mercato in cui un’impresa abbia costi minori
rispetto alle altre imprese concorrenti, ma non sufficientemente bassi da poter costituire un monopolio. In
questo caso l’impresa più efficiente può non rendere profittevole l’ingresso in tale mercato abbassando il prezzo
ad un livello tale per cui la domanda residuale percepita dai concorrenti sia sotto I loro costi medi.

Questa strategia rappresenta una motivazione per la quale in mercati in cui opera anche solo un’impresa i prezzi
sono diversi dai prezzi di monopolio, che potrebbero invece spingere le imprese ad entrare nel mercato.

Ciò può verificarsi sia perchè vi sono vantaggi


assoluti nei costi sia per effetto del
"postulato di Sylos".

Se l' offerta dell'impresa A operante nel mercato


è costante, l'ingresso della nuova impresa B
outsider causa l'espansione dellofferta del bene
economico e, a parità di condizione, una
conseguente riduzione del prezzo di mercato (p).
Poiché nel mercato opera già l'impresa con una
produzione QA, all'impresa B ( outsider ) non resta
altro da fare che cercare di soddisfare la domanda
residuale (D-QA) del mercato.

L'impresa B decide di entrare sul mercato soltanto se,


dopo il suo ingresso, il prezzo di mercato (ex post) si
mantiene a un livello superiore del costo medio di
produzione (AC). Viceversa, se i costi medi sono
superiori al prezzo di mercato (ex post), l'impresa B
deve rinunciare a entrarvi.

5. PREZZI DISCRIMINATORI
La pratica dei prezzi discriminatori di fonda sull'esistenza di diversi valori di elasticità nelle curve di domanda
individuali o di gruppi di consumatori la cui somma costituisce la domanda del mercato.

Citando il problema del monopolista, esso doveva massimizzare il suo profitto tenendo conto che un
abbassamento del prezzo avrebbe garantito un guadagno sulle unità marginali, ma una perdita sulle
inframarginali, dovuta al minor prezzo complessivo applicato.

Tale problema era dovuto alla presenza di un solo prezzo. Soluzione al problema è vendere lo stesso
bene a consumatori differenti e a prezzi differenti, al fine di estrarre il massimo surplus da tutti i
consumatori. Questo evita la perdita sulle unità intramarginali, vendendo solo la marginale al
prezzo inferiore.

(ES. i biglietti aerei, in cui la discriminazione del prezzo avviene in base all’elasticità della domanda,
alla data e all’elasticità del tempo)

I presupposti per una discriminazione dei prezzi sono:

INDUSTRIALE Pagina 89
I presupposti per una discriminazione dei prezzi sono:
○ L’impresa che discrimina deve avere potere di mercato, ovvero deve avere la capacità di influenzare il
prezzo.

○ L’impresa deve conoscere i prezzi di riserva dei consumatori, o quantomeno riuscire a segmentare la
domanda in più parti in base all’elasticità dei consumatori.

○ Evitare l’arbitraggio, ovvero devo evitare che i consumatori che comprano ad un prezzo più basso
rivendano ai consumatori che dovrebbero comprare ad un prezzo più alto.

La discriminazione può essere:


○ TEMPORALE, quando I prezzi praticati tendono a sottrarre la maggiore quota possibile della rendita del
consumatore, praticando prezzi via via decrescenti al crescere del mercato.

○ SPAZIALE, quando I prezzi vengono discriminati per area geografica.

○ PER CATEGORIA DI CLIENTI, quando tale politica fa leva sulla diversa forza contrattuale delle categorie
della clientela, e sul diverso grado di informazione dei clienti.

La discriminazione di prezzo è distinta dall’economista Pigou in tre categorie:

1. DISCRIMINAZIONE DI PREZZO DI PRIMO LIVELLO


In questo caso, i presupposi dovranno interpretarsi in maniera forte, ovvero è necessaria la presenza di un
monopolista, che conosce esattamente tutti i prezzi di riserva di tutti i consumatori, in un mercato in cui
non è possibile l’arbitraggio.
In questo modo ogni consumatore compra al
suo prezzo di riserva. Il ricavo marginale in
questo caso corrisponde alla domanda. (RM=D)

Essendo un monopolista, egli venderà le quantità


per cui RM=MC che in questo caso corrispondono
anche alle quantità di concorrenza perfetta.

Le differenze dalla concorrenza perfetta sono:

- Il surplus del consumatore è 0, quello del produttore è A

- Il prezzo = costo marginale è quello pagato solamente


dall’ultimo consumatore (in C.P. lo pagano tutti i consumatori)

Questa discriminazione è efficiente allocativamente e inefficiente (al massimo) distributivamente.


(ES. aste olandesi, aste al ribasso)

2. DISCRIMINAZIONE DEL PREZZO DI SECONDO LIVELLO


La più frequente nella prassi, l’unica delle tre non lineare, ovvero la relazione tra prezzo e quantità non è
esprimibile con una retta. Questo tipo di discriminazione può essere applicata in due modi:

▪ Tariffa in due parti


Immaginiamo che il prezzo per un bene o un servizio sia costituito da due componenti:
□ una tariffazione fissa, che non dipende dalle quantità di bene consumato;
□ e una parte variabile, che è approssimabile al costo marginale e che varia a seconda del
consumo.

Il monopolista quindi applicherà una nuova formula per il calcolo del prezzo, ovvero:

P= T + MC(q)

INDUSTRIALE Pagina 90
P= T + MC(q)

Il consumatore si troverà a pagare una


tariffa fissa T che gli permetterà di accedere
ad un “listino prezzi particolare” p1 il quale
avrà dei prezzi in base alle quantità molto più
bassi del monopolio, uguali appunto ai costi
marginali (nell’esempio di Disneyland MC=0).

Ne consegue che dopo aver pagato la tariffa,


il consumatore potrà acquistare tutte le quantità
che desidera raggiungendo q1, quantità appunto
di concorrenza perfetta.

Questa soluzione risulta più efficiente del


monopolio, perché si evita la perdita secca C,
che viene recuperata a vantaggio del
consumatore. La tariffa T sarà fissata
dal monopolista pari all’area di surplus B
(più eventualmente una parte di C) così da
garantirsi comunque una rendita di monopolio.

ES. Un gestore di servizi telefonici distingue fra una tariffa fissa (allacciamento o abbonamento
annuale) e una variabile proporzionale al traffico. Esso introduce quindi una discriminazione a
sfavore degli utenti più piccoli, e a favore degli utenti maggiori. Il costo fisso, infatti risulta essere
uguale per tutti, ma l'incidenza del costo fisso sul totale dei costi per gli utenti decresce al crescere
del volume di traffico.

▪ Bundling Sales
Per bundling sales si intendono le vendite connesse, cioè la vendita di più beni
contemporaneamente, una vendita a pacchetto insomma. La vendita a pacchetto si distingue in:

a. Bundling puro = è possibile acquistare i beni solo a pacchetto, non vengono venduti
separatamente.
(ES. Abbinare alla vendita dei quotidiani una rivista collegata. Il cliente può acquistare il
giornale solo se acquista contemporaneamente anche il supplemento)

a. Bundling misto = In questi casi l'acquisto del pacchetto è incentivato attraverso condizioni di
vendita favorevoli, essendo il prezzo del pacchetto inferiore alla somma dei prezzi dei singoli
componenti acquistabili separatamente.
(ES. E' possibile scegliere se acquistare il solo quotidiano al prezzo corrente oppure pagare un
prezzo maggiore, ricevendo un prodotto abbinato.)

Nel caso di strategie di bundling, I beni abbinati sono offerti in proporzioni fisse. Una tipologia
differente, che condivide con il bundling il meccanismo della vendita collegata, è la pratica delle
"vendite trainate" o tying sales.

In questo caso, acquistando il prodotto primario, definito "trainante", il cliente si impegna ad


acquistare dallo stesso venditore un secondo bene, definito "trainato". In tal caso, però, le
proporzioni tra beni abbinati è variabile, in quanto legata al consumo del cliente.

(ES. Macchine fotocopiatrici. Il produttore può imporre al cliente anche l'acquisto dei toner di
ricambio. La quantità di toner è variabile da consumatore a consumatore, in funzione
dell'intensità d'uso della fotocopiatrice.)

3. DISCRIMINAZIONE DEL PREZZO DI TERZO LIVELLO

INDUSTRIALE Pagina 91
3. DISCRIMINAZIONE DEL PREZZO DI TERZO LIVELLO
In questo caso, i presupposti potranno essere interpretati in maniera debole, ovvero vi è un’impresa con
potere di mercato, che è in grado di distinguere i consumatori in base alla loro elasticità, in un mercato in
cui non possibile l’arbitraggio.

Partendo dalla capacità di segmentare la domanda, il produttore distinguerà ogni fascia di consumatori in
base alla loro domanda specifica e, in virtù di ciò, applicherà il markup di monopolio (RM=CM).
In particolare, se i consumatori vengono divisi solo in due categorie si avrà una situazione:

In questo caso ciascuna delle due domande D1 e D2 generano due quantità ottime diverse e due prezzi
ottimi diversi, mentre il costo marginale è uguale per entrambe, essendo appartenenti alla stessa impresa.

Si può dimostrare matematicamente che sia il consumatore sia il produttore, traggono un vantaggio in
termini di surplus dalla discriminazione del prezzi, rispetto alla stessa situazione ma con un solo prezzo di
mercato.
 Surplus consumatore= A+A2
 Surplus produttore= B+B2
 Perdita Secca= C+C2

Tuttavia, non si può dire che la situazione sia migliore del monopolio, perché non essendo un equilibrio
paretiano, non è confrontabile (in pratica qualcuno sta guadagnando a discapito di qualcun altro, anche se
in misura più che proporzionale)

INDUSTRIALE Pagina 92
INDUSTRIALE Pagina 93
20. OLIGOPOLIO
venerdì 19 maggio 2017 19:24

Con oligopolio si intende definire quei mercati in cui un numero ridotto di imprese opera in modo indipendente,
essendo però consapevoli l'una dell'esistenza dell'altra. In tale circostanza, le imprese non possono ignorare le
iniziative delle altre imprese.

La scarsa numerosità delle imprese che operano in un particolare ambito concorreniale va intesa come presenza di
un numero limitato di imprese che detengono un potere di mercato nell'ambito di un settore, e che quindi dispongono
di un certo margine di discrezionalità nella formulazione delle proprie politiche relative ai prezzi, alle quote di
mercato..

Il prezzo dei prodotti non risulta più, come in concorrenza perfetta, una risultante automatica dell'equilibrio fra
produzione e consumo. I prezzi dei settori oligopolistici sono frutto di decisioni autonome delle singole imprese.
Tuttavia, le condizioni di domanda e delle altre variabili del mercato influenzano ovviamente le decisioni prese dalle
singole imprese.

Diversamente dal monopolio, le decisioni delle singole imprese non possono limitarsi alla conoscenza del mercato. In
oligopolio, le singole imprese devono tener conto delle reazioni delle imprese rivali. La curva di domanda di ogni
singola impresa deve necessariamente considerare anche l'elasticità di sottrazione, cioè l'effetto che una qualsiasi
azione di prezzo o promozionale può avere come conseguenza di variazioni delle quote di mercato.

In tal senso, le singole imprese non hanno di fronte a sè una curva di domanda reale, cioè derivabile dagli
elementi oggettivi del mercato. La loro curva di domanda dipende da ipotesi formulabili circa il
comportamento delle altre imprese: ci si trova di fronte ad una curva di domanda immaginaria per ogni
singola impresa.

In una situazione di oligopolio, possono ravvisarsi 5 ipotesi "forti":

1. I consumatori accettano il prezzo come dato


2. Tutte le imprese producono prodotti omogenei
3. Non esiste possibilità di entrata nell'industria, perciò il numero di imprese rimane costante
4. Le imprese nel loro insieme hanno potere di mercato: possono fissare il prezzo sopra il costo marginale
5. Ogni impresa stabilisce solo il prezzo o l'output

Il prezzo di equilibrio in un mercato oligopolistico viene fissato a un livello intermedio tra quello concorrenziale e
quello monopolistico. Ogni impresa massimizza I profitti in base a quella che ritiene sarà la condotta delle altre
imprese. I profitti attesi da ogni impresa vengono massimizzati quando il ricavo marginale atteso è uguale al costo
marginale. Il ricavo marginale di un'impresa dipende dalla curva di domanda residuale che affronta quell'impresa
(domanda di mercato meno output fornito dai rivali)

I modelli di oligopolio più noti sono tre: Cournot, Bertrand e Stackelberg.

- Nei modelli di Cournot e Stackelberg, le imprese stabiliscono I livelli di output mentre in quello di Bertrand
fissano I prezzi.
- Nei modelli di Cournot e Bertrand, tutte le imprese agiscono contemporaneamente, mentre in quello di
Stackelberg un'impresa stabilisce il livello di output prima delle altre.

Tali modelli sono adeguati per mercati che durano solo per brevi periodi di tempo, cosicchè le imprese rivali
competono solo una volta. Sono detti modelli di oligopolio uniperiodali. Tutti questi modelli utilizzano il concetto di
equilibrio di Nash.

Un insieme di strategie è definito equilibrio di Nash se, mantenendo costanti le strategie di tutte le imprese,
nessuna impresa può ottenere un profitto maggiore variando la propria strategia. Ne consegue che, in un
equilibrio di Nash, nessuna impresa vuole cambiare strategia.

INDUSTRIALE Pagina 94
MODELLO DI COURNOT
Cournot ipotizza che ciascuna impresa agisca in modo indipendente e tenti di massimizzare I profitti scegliendo
l'output. Nel caso di un duopolio alla Cournot, le ipotesi sono:

- Nessuna entrata: due imprese sono attive e non è possibile l'entrata di un'altra impresa
- Omogeneità: le imprese producono beni omogenei, perciò la somma dei loro prodotti è uguale all'output
dell'industria: Q = q1 + q2
- Un solo periodo: questo mercato e le due imprese sono attive per un solo periodo.
- Domanda: la curva di domanda del mercato è funzione lineare del prezzo
- Costi: ogni impresa ha un costo marginale costante MC, ed è in grado di produrre un livello di output sufficiente
a servire l'intera domanda di mercato.

L'impresa 1, nello scegliere il suo livello di output,


dovrà considerare quello che essa ritiene sarà il
comportamento dell'impresa 2.

Se l'impresa 1 è convinta che l'impresa 2 venderà


q2, essa stabilirà la quantità q1 che massimizza il
suo profitto. L'impresa 1 potrà vendere una
quantità pari alla domanda del mercato meno q2,
affrontano quindi una curva di domanda residuale,
che si ottiene spostando verso sinistra la curva di
domanda di mercato di esattamente q2 unità.

L'impresa 1 ha un monopolio su quei consumatori


la cui domanda non è soddisfatta dall'impresa 2.
Per massimizzare il suo profitto, produce il livello
q1, che corrisponde al punto in cui la curva dei
ricavi marginali RM interseca la curva dei costi
marginali MC.

Il rapporto esistente tra la quantità che massimizza I profitti della prima impresa e la quantità della seconda
impresa viene definito funzione di risposta ottimale (funzione di reazione) che mostra la migliore azione da
parte di un'impresa date le sue convinzioni sull'azione dell'impresa rivale.

q1 = R1(q2)

Il punto di intersezione delle funzioni di


risposta ottimale è detto Equilibrio di
Cournot. Ogni impresa vende la
quantità che massimizza i suoi profitti
date le sue aspettative sulla scelta
dell'output dell'altra impresa.

L'unico punto in cui entrambe le imprese


si trovano sulla propria funzione di risposta
ottimale è dato dall'intersezione tra le
rispettive funzioni. Quello di equilibrio è
un punto in cui nè una nè l'altra impresa ha
un incentivo a cambiare condotta.

Il profitto più elevato che un'impresa potrebbe ricavare, mantenendo costante quello dell'altra impresa, è
rappresentato dalla frontiera delle possibilità di profitto. Se entrambe le imprese fissano un prezzo uguale al
costo marginale, ottengono profitti pari a zero. L'equilibrio del duopolio alla Cournot di trova quindi tra quello
concorrenziale e quello monopolistico.

INDUSTRIALE Pagina 95
Il modello di Cournot contempla come casi estremi il monopolio e la concorrenza e la sua soluzione di equilibrio
si avvicina a quella concorrenziale al crescere del numero delle imprese.

MODELLO DI BERTRAND
Bertrand, criticando Cournot, affermava che nei mercati oligopolistici se non si assume che siano le imprese a fissare I
prezzi, è difficile individuare quale altro soggetto lo possa fare.

Nel modello di Bertrand le imprese fissano I prezzi anzichè l'output. Se I consumatori hanno informazioni
complete e si rendono conto che le imprese producono beni omogenei, acquisteranno dall'impresa che fissa il
prezzo più basso. In tale modello, ogni impresa ritiene che il prezzo del rivale sia fisso.

Nell'equilibrio di Bertrand le imprese


praticano un prezzo uguale al costo
marginale e quindi ottengono profitti
pari a zero e nessuna può incrementarli
aumentano o diminuendo il prezzo.
Il prezzo di equilibrio, se esiste, è pari a Eq. di Bertrand
quello dell'ottimo sociale, cioè quello in
equilibrio concorrenziale.
P2 = MC2
Il mercato è efficiente distributivamente e
P1 = MC1
allocativamente essendo uguale alla
concorrenza perfetta.

CONFRONTO TRA L'EQUILIBRIO DI BERTRAND E DI COURNOT


Nel modello di Bertrand, poichè è il prezzo invece dell'output la variabile su cui si decide, quando I beni sono
omogenei e tutte le imprese praticano lo stesso prezzo, la curva residuale di un'impresa è ad angolo.
Abbassando leggermente il prezzo, un'impresa può aumentare le vendite da 0 a tutto il mercato.

Nella realtà, però, spesso le curve di domanda delle singole imprese sembrano essere continue, non ad angolo, e
quindi come nel modello di Cournot.

Il modello di Bertrand relativo al caso di beni omogenei può risultare più realistico nel caso in cui voglia spiegarsi
la determinazione dei prezzi, mentre quello di Cournot sembra più verosimile dal punto di vista della domanda
delle singole imprese.

Domanda residuale
ad angolo
(spezzata)

INDUSTRIALE Pagina 96
Vincoli di capacità nel modello di Bertrand - MODELLO DI EDGEWORTH
Secondo Edgeworth, il modello di Bertrand può funzionare solo se ogni impresa ha la capacità produttiva per
soddisfare l’intero mercato. Tuttavia, come è più realistico credere, l’impresa può produrre ad un certo prezzo
fino alla saturazione dell’impianto, oltre la quale non potrà più produrre.

La funzione di costo marginale dell’impresa


diventa quindi ad angolo; oltre q1 l’impresa
non può produrre.

Ciò vuol dire che, realisticamente, un’impresa


da sola non riuscirà ad offrire le quantità di
concorrenza perfetta.

Edgeworth ricostruisce il modello di Bertrand


ipotizzando che ciascuna impresa ha una capacità
produttiva limitata e pari alla metà della domanda
in concorrenza perfetta.

q1MAX= q2MAX = qc.p./2

Ipotizziamo che nell’equilibrio alla Bertrand l’impresa 1 si proponga sul mercato con un prezzo uguale ai costi
marginali ovvero P1=MC1. Il mercato, a quel prezzo, richiederà le quantità di concorrenza perfetta qc che, in
accordo con l’ipotesi di Edgeworth, potranno essere soddisfatte solo per metà visto il suo limite della capacità
produttiva.

L’impresa 2 percepisce la domanda residuale Dr e,


sapendo che l’impresa 1 non piò reagire, avendo
raggiunto il massimo della sua capacità produttiva,
può comportarsi da monopolista sulla domanda Domanda residuale
residuale, proponendosi sul mercato con il prezzo
P2 e le quantità Q2.
Domanda di mercato
L’impresa 1, nel periodo successivo, vedendo i prezzi
salire, proporrà un prezzo P2.

Il processo di aggiustamento continua all’infinito,


altalenando tra i prezzi di monopolio e il prezzo di
concorrenza perfetta. Per Edgeworth non c’è un
equilibrio stabile, ma una serie di equilibri differenti
periodo per periodo compresi nell’intervallo tra il
prezzo P2 e il prezzo P1.

INDUSTRIALE Pagina 97
concorrenza perfetta. Per Edgeworth non c’è un
equilibrio stabile, ma una serie di equilibri differenti
periodo per periodo compresi nell’intervallo tra il
prezzo P2 e il prezzo P1.

Alla luce di queste considerazioni, Edgeworth torna a dimostrare che due o poche imprese non sono sufficienti
per replicare un equilibrio stabile di concorrenza perfetta (è solo uno dei potenziali equilibri verificabili), pur
considerando la variabile strategica del prezzo come proposto da Bertrand, alla luce del vincolo sulla capacità
produttiva.

MODELLO DI STACKELBERG
Nel modello di Stackelberg le imprese fissano l'output e una di esse agisce prima delle altre. L'impresa leader sceglie il
proprio livello di output e poi le altre sono libere di fissare le quantità ottimali dato l'output del leader.

Il leader sceglie il suo output in modo da massimizzare i suoi profitti e l'impresa follower sceglierà di produrre un
livello di output collocato sulla sua funzione di risposta ottimale alla Cournot.

Nell'equilibrio di Stackelberg, il leader


ottiene un profitto maggiore e il
follower uno minore rispetto all'equilibrio
di Cournot. Sapere in anticipo come si
comporterà il proprio rivale, consente
al leader di avvantaggiarsi a spese del
follower.

Ipotizziamo che l'impresa leader sia l’impresa 2


e che quindi sia questa a muovere per prima.
Essa affronterà il problema di massimizzazione
del profitto vincolato alla risposta dell’impresa 1.
Tale punto di massimizzazione del profitto si
otterrà nel punto in cui la funzione di isoprofitto
dell’impresa 2 è tangente alla funzione di
reazione dell’impresa 1.

Poichè le imprese hanno costi identici, l'impresa leader conosce la funzione di risposta ottimale alla Cournot
della impresa follower. Il leader, quindi, sa quanto produrrà il follower e perciò, sottraendo l'output del follower
dalla domanda totale, il leader calcola la sua curva di domanda residuale.

Il vantaggio della prima mossa, garantisce all'impresa leader maggiori profitti rispetto a quelli dell'impresa
follower, pur essendo uguali in termini di costi. Il leader sceglie il livello di output dove il suo ricavo marginale è
uguale al costo marginale.

CONFRONTO TRA L'EQUILIBRIO DI STACKELBERG E ALTRI EQUILIBRI


Il leader nel modello di Stackelberg produce più output e il follower meno di quanto accadrebbe a un'impresa di
Cournot. L'output totale nel modello di Stackelberg è maggiore di quello nel modello di Cournot, ma inferiore a
quello che si avrebbe in equilibrio concorrenziale.
Il prezzo nel modello di Stackelberg è superiore a quello concorrenziale, ma inferiore a quello di Cournot.
Il surplus del consumatore nel modello di Stackelberg è più elevato rispetto a quello che si determina nel
modello di Cournot, ma è inferiore rispetto a quello corrispondente all'ottimo sociale.

CONFRONTO TRA MODELLI DI OLIGOPOLIO


I tre principali modelli di oligopolio non cooperativo si fondano su ipotesi diverse: le imprese possono scegliere

INDUSTRIALE Pagina 98
I tre principali modelli di oligopolio non cooperativo si fondano su ipotesi diverse: le imprese possono scegliere
l'output (Cournot e Stackelberg) o il prezzo (Bertrand) e effettuare la scelta simultaneamente (Cournot e Bertrand) o
sequenzialmente (Stackelberg). I modelli, quindi, prevedono livelli di equilibrio di output, di prezzi, di profitti
dell'industria e di surplus del consumatore molto diversi.

Se esiste solo un'impresa, tutti e tre I modelli prevedono un comportamento da monopolista. Maggiore è il numero
delle imprese, più l'equilibrio di Cournot e di Stackelberg si avvicinano all'ottimo sociale o all'equilibrio concorrenziale.
L'equilibrio di Bertrand, invece, non è influenzato dal numero di imprese nell'industria. Esso, fin quando ne include
almeno due con capacità produttiva illimitata, prevede un equilibrio che coincide con l'ottimo sociale.

INDUSTRIALE Pagina 99
21. DOMANDA AD ANGOLO
venerdì 19 maggio 2017 19:25

Secondo la teoria economica neoclassica, la curva della domanda di un bene rispetto al prezzo è
decrescente, continua e differenziabile in ogni suo punto. Sweezy, Hhall e Hitch hanno invece
teorizzato una curva di domanda spezzata (kinked demand curve).

Sweezy,La teoria della curva di domanda spezzata (kinked demand curve), sviluppata
originariamente da Sweezy, è volta a dimostrare la tesi che l'equilibrio di breve periodo fra quantità
domandate e offerte è assicurato dalle variazioni delle quantità di merci offerte dalle grandi imprese.

Si ipotizza che, in regime di oligopolio, il prezzo venga fissato dalle imprese maggiori secondo il
principio del costo pieno (full cost pricing) e che ciascuna impresa tenda a mantenere invariato il
prezzo in quanto:

• se lo diminuisse, tentando così di aumentare la propria quota di mercato, le altre imprese la


seguirebbero e, pertanto, l'aumento della domanda sarebbe contenuto;
• se lo aumentasse per aumentare il profitto, le altre imprese non la seguirebbero; ne
deriverebbe una brusca diminuzione della domanda, tale da vanificare l'obiettivo.

L'adozione del costo medio (o costo pieno) come criterio di determinazione del prezzo (full cost
pricing) tiene conto di tutte le componenti di spesa sostenute (costi generali, oneri finanziari,
imposte). Tale configurazione permette di non trascurare alcun costo, ma necessita di un processo di
attribuzione dei costi molto dettagliato e complesso.

Stabilito che le imprese tendono a fissare I loro prezzi con l'obiettivo di coprire il costo
medio relativamente ad un ipotetico volume di produzione, ne deriva che le variazioni
della domanda che si verificano successivamente alla fissazione del prezzo non
influiscono sui prezzi medesimi, e che, quindi, I prezzi tendono ad essere "rigidi"
rispetto alle variazioni della domanda.

Sweezy riconobbe tuttavia due eccezioni al principio della rigidità dei prezzi:

1. Quando la caduta della domanda sia di notevole entità e durata. In tal caso le
considerazioni circa la piena utilizzazione della capacità produttiva prevalgono
sulla preferenza accordata alla stabilità dei prezzi.

2. Quando I costi di produzione di tutte le imprese si modificano simultaneamente


in uguale proporzione. In questo caso le imprese tenderanno a ricalcolare il costo
medio e modificheranno conseguentemente il prezzo. Si avrà, pertanto, un'azione
simultanea di aumento dei prezzi che ne adeguerà il livello ai nuovi costi di
produzione senza che le quote di mercato delle singole imprese subiscano alcuna

INDUSTRIALE Pagina 100


produzione senza che le quote di mercato delle singole imprese subiscano alcuna
modificazione. La variazione simultanea dei costi di produzione determina, quindi,
la scomparsa dell'angolo che caratterizza la curva di domanda immaginata dalla
singola impresa oligopolistica.

Fu Sweezy per la prima volta ad introdurre un modello nel quale le imprese, ancora poche nel
mercato, non studiano direttamente i comportamenti dei concorrenti, ma studiano la domanda di
mercato, sulla base della quale avanzano ipotesi sul comportamento dei concorrenti. Sicchè,
variazioni nella domanda percepita verranno attribuite a particolari comportamenti dei concorrenti.

La teorizzazione del modello passa per dei presupposti nella definizione del mercato, che dovrà
essere:

• Costituito da un piccolo numero di imprese


• Le imprese dovranno essere di dimensioni pressoché uguali
• Le imprese dovranno produrre un bene omogeneo
• Le imprese non potranno colludere

Nell’ottica dello studio della domanda percepita, al fine di poter fare delle ipotesi sui comportamenti
dei concorrenti, le loro strategie di approccio al mercato possono essere semplificate in due
principali filoni:

▪ AGGRESSIVI = I concorrenti si propongono sul mercato con politiche di prezzo


molto aggressive. Anche lievi modifiche nei prezzi verranno subito assorbite dai
concorrenti, I quali risponderanno pedissequamente. Un mercato nel quale i
concorrenti attuano politiche di prezzo molto aggressive sono caratterizzati da una
domanda molto elastica. Questo comporterà che le imprese, nell’alzare il prezzo,
perderanno ingenti quote di domanda

▪ MENO AGGRESSIVI = La domanda percepita dalle imprese nel mercato è meno


elastica. Questo si traduce in una variazione della domanda, in seguito alla
variazione dei prezzi, meno che proporzionale, lasciando all’impresa maggiore
possibilità di alzare i prezzi.

In generale, quindi, possono formarsi due tipologie di domande, la D1 che vede i concorrenti più
aggressivi, e la D2 che vede i concorrenti meno aggressivi.

Queste politiche di aggressività saranno possibili e più attuabili per le imprese nella parte di
domanda che fa riferimento ai consumatori con disponibilità a pagare maggiore, sui quali infatti si
ha un più ampio margine sul quale poter andare ad operare. Sui consumatori marginali invece,
essendo vicini ai costi marginali percepiti dall’impresa, essa non si potrà permettere politiche di
prezzo molto aggressive.

Delineando questa costante di comportamento delle imprese nel mercato, dove saranno più
aggressive nella parte iniziale della domanda e meno nella parte finale, la domanda percepita
dall’impresa diventa la D3, che diventa quindi la domanda residuale effettivamente percepita dalle
imprese e che assume una forma ad angolo.

INDUSTRIALE Pagina 101


Essendo questa una domanda residuale, le imprese massimizzano il profitto applicando il markup di
monopolio.

La curva dei ricavi marginali, non essendo la curva di domanda continuamente derivabile ma "ad
angolo", presenta conseguentemente una discontinuità.

Data l’assunzione della massimizzazione del profitto del monopolista RM=MC, se i costi marginali
intersecano direttamente la funzione di ricavo marginale, allora le quantità qmc1 e il prezzo di
equilibrio pmc1 sono immediati. Se invece i costi marginali MC2 intersecano la funzione di ricavo
marginale nel punto di discontinuità, allora i profitti vengono massimizzati considerando quel tratto
come se i ricavi marginali fossero una retta, identificando le quantità di equilibrio qmc2 e i prezzi di
equilibrio pmc2.

La variazione dei costi delle materie prime si rifletteranno in uno spostamento della funzione di
costo marginale.

L’area di discontinuità della funzione dei ricavi marginali determina una discreta area nella quale
anche se variano i costi la risposta ottima dell’impresa rimarrà la stessa, rendendo il mercato molto
stabile.

La stabilità di questi modelli oligopolistici dipende dall’angolo che si forma nel cambio di elasticità
della domanda percepita.

○ Maggiore è l’angolo, minore sarà l’area di discontinuità e quindi la stabilità del mercato.

○ Minore è l’angolo, maggiore sarà l’area di discontinuità e quindi la stabilità del mercato.

In questi modelli l’angolo è anche chiamato il barometro della stabilità dei prezzi
(perché contiene un’ampia area di imprecisione).

Limiti di questo tipo di analisi sono:

INDUSTRIALE Pagina 102


□ Impossibilità di applicazione se le imprese hanno costi diversi

□ Numero di imprese limitato = più sono le imprese, più la funzione di


domanda percepita tende ad essere simile a quella di concorrenza perfetta,
e non ad angolo.

□ Non è applicabile in caso vi sia un modello di Leadership:


 Leadership di prezzo = impresa price-maker e le altre imprese sono
follower.
 Leadership barometrica = c’è un’impresa modello che, essendo una
buona rappresentazione media delle imprese nell’industria, viene
seguita in quanto a scelte dai follower.

INDUSTRIALE Pagina 103


22. TEORIA DEI GIOCHI
venerdì 19 maggio 2017 19:26

La teoria dei giochi fornisce una visione alternativa al problema dell'oligopolio: centrale è l'esame del comportamento
di due o più parti chiamate a scegliere tra un numero limitato di opzioni.

Il GIOCO è un modello che riproduce situazioni in cui ogni partecipante, nel prendere le proprie decisioni di
comportamento, considera esplicitamente le decisioni dei rivali che interagiscono con lui. Gli elementi che
definiscono un gioco sono:
▪ I giocatori
▪ Le regole in base alle quali si sviluppa il gioco
▪ Le strategie a disposizione di ciascun giocatore
▪ I payoff, cioè I risultati in termini di profitto per le imprese, associati ad ogni combinazione di
strategie.

GIOCHI SIMULTANEI
Nel gioco a scelte simultanee, entrambi I giocatori devono prendere la propria decisione senza osservare la decisione
del rivale. Si definisce strategia dominante quella che è in assoluto migliore di qualsiasi altra strategia disponibile
indipendentemente dalla strategia scelta dal rivale.

Un modello base rappresentativo della teoria dei giochi è il dilemma del prigioniero. Questo gioco coinvolge due
prigionieri sottoposti ad un interrogatorio per un reato del quale sono accusati. In questo gioco:

1) Gli operatori si comportano in maniera razionale

2) Gli operatori conoscono perfettamente i payoff

3) Gli operatori non possono cooperare.

Il gioco è quindi costituito da due agenti A e B, che possono scegliere tra due possibili strategie:
- Confessare C
- Non confessare NC

La matrice dei payoff rappresenta gli anni di reclusione che dovranno scontare a seconda della loro scelta e della
scelta dell’altro giocatore, ed è così costruita:
A
C NC
B C 3;3 -1;4
NC 4;-1 0;0

Questo gioco può avere diverse soluzioni a seconda del periodo di tempo considerato:

1. GIOCO ONE SHOT


Il gioco viene ripetuto una sola volta, i giocatori quindi non hanno possibilità di basarsi sui comportamenti
precedenti dell’altro giocatore. In questo caso i giocatori, non conoscendo il comportamento dell’altro,
ragionano per ipotesi. Per ogni possibile scelta dell'avversario, l'altro giocatore valuta la combinazione di payoff
che massimizza la sua utilità.

Questo ragionamento ci porta ad identificare una strategia dominante e una strategia dominata:

Strategia dominante = strategia che è in assoluto la migliore tra tutte quelle disponibili, a prescindere
dalle scelte dell’altro giocatore.

Strategia dominata = strategia il cui payoff è inferiore a quello di qualsiasi altra strategia disponibile,

INDUSTRIALE Pagina 104


Strategia dominata = strategia il cui payoff è inferiore a quello di qualsiasi altra strategia disponibile,
indipendentemente dalla mossa che l'altro giocatore adotterà.

La soluzione al dilemma del prigioniero è data dalla combinazione delle strategie (C;C). Ciascun prigioniero
deciderà di confessare in quanto la strategia C domina la strategia alternativa NC. Tale strategia è dominante in
quanto consente a ciascun prigioniero di minimizzare la pena indipendentemente dalla strategia adottata
dall'altro.

Quando una strategia è dominante per entrambi i giocatori allora essa costituisce un equilibrio di Nash, ossia
una strategia che nessuno dei due giocatori può cambiare unilateralmente e massimizzare il proprio profitto
lasciando inalterato, o migliorando, il payoff del rivale.

Tuttavia, l'equilibrio di Nash non coincide con la soluzione più efficiente, che in questo caso è data dalla
strategia (NC;NC). Il raggiungimento di questa soluzione, però, implicherebbe la cooperazione, elemento non
previsto nel gioco in questione. Se I due prigionieri avessero avuto la possibilità di cooperare, avrebbero deciso
entrambi di non confessare non scontando alcuna pena.

2. GIOCO MULTIPERIODALE FINITO


Il gioco viene ripetuto un numero finito di volte e i giocatori sanno quale sarà l’ultima giocata. In questo caso il
discorso non cambia, consideriamo per esempio un tempo finito di 10 periodi. I giocatori saranno certi che alla
decima giocata si comporteranno come se fosse un gioco one shot, non essendoci un seguito.

3. GIOCO MULTIPERIODALE INFINITO


I giocatori sanno che il gioco verrà ripetuto all’infinito.

Si ipotizza una strategia nella quale i giocatori si comportano come si era comportato l’altro giocatore nel gioco
precedente. Un tradizionale “occhio per occhio, dente per dente”. Diventa quindi soluzione ottima la
collaborazione sulla fiducia finché questa fiducia non verrà tradita da un giocatore. Cambia l’equilibrio che
diventa effettivamente l’ottimo sociale segnato in verde.

Applicando il modello della teoria dei giochi nell’ambito della definizione dei comportamenti delle imprese,
capiamo l’importanza del tempo e quindi della ipotetica durata del mercato nel quale le imprese operano, che
sarà una variabile discriminante nelle loro scelte comportamentali.

INDIVIDUAZIONE DELLE STRATEGIE DOMINATE


Alle volte, individuare una strategia dominante, o anche semplicemente studiare un gioco, può risultare complesso.

L’individuazione di strategie dominate (ovvero sempre svantaggiose rispetto alle altre presenti) risulta molto
conveniente perché permette di eliminarle dallo schema a matrice e semplificare l’analisi.

Nell’esempio in figura abbiamo una matrice 3X3,


che rappresenta ancora un gioco simultaneo.

Procedendo come prima per ipotesi di comportamento


notiamo che qualunque sia la scelta dell’atro giocatore,
la strategia 3 non risulta mai come scelta ottima per
nessuno dei due giocatori.

Definiamo quindi la strategia 3 come strategia dominata,


e la eliminiamo dalla matrice, che adesso diventa una 2X2.

Nella nuova matrice possiamo identificare la strategia


dominante per entrambi i giocatori, come la 2,2.

INDUSTRIALE Pagina 105


Nella nuova matrice possiamo identificare la strategia
dominante per entrambi i giocatori, come la 2,2.

La morale è che ogni volta che trovo una strategia dominata devo ripensare il gioco come se quella strategia non ci
fosse, per valutale se posso trovare al
tre strategie dominate o dominanti.

GIOCHI SEQUENZIALI
Tali giochi prevedono che un giocatore decide per primo, e il rivale sceglie la propria strategia in funzione della
decisione presa dal primo giocatore.

Questo tipo di giochi possono essere rappresentati sia con la matrice che con una struttura ad albero, preferita
rispetto alla prima e detta "forma estesa": in corrispondenza di ogni nodo ciascun giocatore definirà in sequenza le
proprie strategie di risposta, tenendo in conto le mosse di chi lo ha preceduto.

Al fine di giungere alla soluzione di un gioco sequenziale in forma estesa, si utilizza il meccanismo della induzione
all'indietro (backward induction). Ciò consiste nel risolvere, in prima battuta, la seconda parte del gioco, cioè le
decisioni che si snodano dall'ultimo nodo. Una volta individuata la soluzione ottimale per la parte definita dall'ultimo
nodo, è possibile estendere tale valutazione man mano arrivando alla prima parte del gioco.

Nel semplice gioco rappresentato in figura ci sono due


giocatori A e B che possono scegliere tra le strategie
1 e 2 i cui payoff sono rappresentati alla fine (destra)
del grafico.
Il giocatore che deve muovere per primo A, alla luce
dei payoff farà il ragionamento inverso, chiedendosi
se fa la determinata scelta (ad esempio sceglie la
strategia 1) cosa sceglierà il giocatore B?

Se A scegliesse la strategia 1 il giocatore B dovrebbe


scegliere se attuare la strategia 1 con payoff 0 o la
strategia 2 con payoff 1. Ovviamente B sceglierebbe
la strategia 2.

Se A scegliesse la strategia 2 il giocatore B sceglierebbe


la strategia 1. Ora che A conosce le risposte ottime di B, ovvero

▪ Se A fa 1 B fa 2
▪ Se A fa 2 B fa 1

A quindi si trova a dover scegliere tra queste due opzioni, che la porteranno ad avere 4 o 3. Sceglierà ovviamente la
strategia 1 portando all’equilibrio segnato in verde.

OLIGOPOLIO E TEORIA DEI GIOCHI


La teoria dei giochi analizza le interazioni tra individui razionali che prendono decisioni e che non sono in grado di
prevedere con certezza gli esiti delle loro decisioni. I giochi oligopolistici presentano tre elementi comuni:
- Ci sono due o più giocatori (imprese)
- Ogni giocatore tenta di massimizzare la propria utilità (impresa / profitto)
- Ogni impresa è consapevole che le azioni dei rivali possono influire sul suo profitto

I mercati oligopolistici differiscono da quelli concorrenziali e monopolistici perchè le azioni di ogni impresa influiscono
significativamente sui profitti dei rivali.

Nei mercati concorrenziali e monopolistici le imprese non tengono conto del fatto che le azioni dei rivali influiscono sui

INDUSTRIALE Pagina 106


Nei mercati concorrenziali e monopolistici le imprese non tengono conto del fatto che le azioni dei rivali influiscono sui
loro profitti. Il modello concorrenziale, infatti, può essere considerato un gioco contro un meccanismo impersonale, il
mercato, e non contro gli altri giocatori che adottano delle strategie.

I profitti di equilibrio dipendono dal numero delle imprese, dalle regole del gioco e dalla durata di quest'ultimo. I
principali modelli di oligopolio uniperiodale differiscono proprio nelle regole del gioco.

INDUSTRIALE Pagina 107


23. POLITICA INDUSTRIALE
sabato 20 maggio 2017 09:08

INDUSTRIALE Pagina 108


INDUSTRIALE Pagina 109
INDUSTRIALE Pagina 110
24. EXCURSUS STORICO
lunedì 22 maggio 2017 10:53

Partiamo dall’analisi dell’industria italiana ai tempi dell’unità di Italia.

1860 – 1870
L’industria di quel tempo era principalmente concentrata al Nord, nelle regioni della Lombardia e del
Veneto. In un Italia in cui gli stati nazionali non erano formati e con forti barriere doganali,
l’appartenenza di queste due regioni all’impero Austriaco, garantiva loro una contestualizzazione in
un mercato molto più ampio, capace di far sviluppare la loro industria.

L’ampiezza del mercato di sbocco , infatti, è un punto chiave nello sviluppo dell’industria.

L’Italia di quegli anni era un Paese ancora prettamente agricolo, che non aveva quasi per nulla
percepito la rivoluzione industriale del ‘700, con qualche eccellenza nell’artigianato.

PRINCIPALI POLITICHE DI GOVERNO


Si sviluppano due principali filoni di pensiero a riguardo:

• POLITICHE LIBERISTE
Sostenute e teorizzate da Smith e Ricardo, basate su vantaggi assoluti di scambio (è
conveniente scambiare con un altro Paese solo se questo è più bravo di me in almeno una
produzione), con la c.d. teoria dei vantaggi comparati (per la quale non importa la bravura ma
solamente la specializzazione nell’industria per la quale il Paese è più dotato di fattori di
produzione, sia essa capitale o prodotti agricoli).

Queste teorie si concretizzano nell’abolizione dei dazi doganali.

• POLITICHE PROTEZIONISTE
Partono da una critica alle teorie liberiste. Principale sostenitore dell’epoca è il tedesco
Friedrich List, il quale individua un grande problema di fondo nella teoria di Ricardo. Il modello
liberista infatti blocca i Paesi che hanno industrie a basso valore aggiunto in favore di quei
paesi che hanno industrie ad alto valore aggiunto e le quali avrebbero continuato il loro
sviluppo.

In pratica l’applicazione del modello di Ricardo non darebbe possibilità a paesi come
l’Italia, la Germania e la Francia di crescere e sviluppare l’industria, sedimentandole in
una situazione industriale labor-intensive a basso valore aggiunto.

La soluzione proposta per i Paesi meno sviluppati è quindi la chiusura delle frontiere
soprattutto per i prodotti che il paese non produce, così da stimolare l’industria interna
alla loro produzione e quindi ad un inevitabile sviluppo.

John Stuart Mill riprende la teoria di List, che non aveva ottenuto particolari riscontri positivi se non
a livello politico, e la contestualizza nelle teorie liberiste di Ricardo.

Nella sua teoria dell’industria nascente, Mill ammette uno stadio di protezionismo nella
prima fase di vita dell’industria, così da poterla sostenere con la domanda interna, perché
ancora non in grado di competere con i mercati esteri più sviluppati.

Terminata questa fase di incubazione però, e raggiunto un livello di competitività


internazionale sufficiente, non si può rinunciare ai vantaggi di una economia liberista di
stampo Ricadiano.

In Italia si perseguivano politiche liberiste vista l’assenza di un vero mercato interno e vere e proprie
industrie da proteggere.

INDUSTRIALE Pagina 111


industrie da proteggere.

1883 - CAMBIO DEL GOVERNO IN ITALIA


Il governo di sinistra Depretis adotta i principi dell’industria nascente, modificando completamente
la politica dei dazi doganali.

Si inizia a sviluppare l’industria, in particolare l’industria pesante, con la nascita dei primi nuclei
industriali al Nord, nel triangolo industriale Torino – Milano – Genova.

L’introduzione dell’energia elettrica, con il suo facile trasporto, permise l’esplosione dell’industria
garantendole il raggiungimento di economie di scala. La precedente industria era vincolata in
quanto a dimensioni a causa delle caldaie a vapore che avevano una dimensione massima.

L’energia era principalmente idroelettrica, prodotta al Nord, ulteriore fattore che aumenta il divario
tra Nord e Sud. Le commesse militari per la prima guerra mondiale danno un ulteriore Boost
all’industria meccanica Italiana.

1929- LA CRISI E L'IRI


La crisi degli Stati Uniti si inizia a propagare anche in Europa, crollano le esportazioni e inizia una fase
di depressione per l’industria.

Nasce in Italia tra il 31 e il 33 l’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI), con lo scopo di
sostenere e traghettare l’industria italiana fuori dalla crisi.

L'IRI fu concepito originariamente come temporaneo e aveva come modus-operandi


l’acquisto dell’impresa in difficoltà, il suo risano rifinanziandola sia economicamente
che tecnologicamente ed infine la rivendita rimettendola sul mercato, senza alcuno
scopo di lucro.

La fase di privatizzazione però inizia solo nel '91, solo a seguito di un contenzioso con
l’Unione Europea, volta ad attivare le procedure di ingresso nell’unione.

Il cuore dell’industria italiana del ‘900 quindi è proprio l’IRI, che definisce il settore industriale
italiano come un settore a partecipazione statale, nonostante l’Italia fosse un Paese Liberal-
democratico.

Nell’ottica però del periodo, ovvero la fase di transizione tra la prima e la seconda guerra mondiale,
un settore industriale di base a controllo statale, nell’ottica del perseguimento degli obbiettivi del
governo, non era visto di cattivo occhio. La privatizzazione dell’IRI quindi non era un obiettivo a
breve termine.

1948 – PIANO MARSHALL


Nel dopoguerra era importante la ricostruzione del Paese. Fu questa una delle principali motivazioni
per le quali l’IRI non fu privatizzata a quell’epoca. Sulla scorta del piano Marshall, l’IRI fu utilizzato dai
governi come incentivo alla ricostruzione.

Piano Marshall piano sviluppato da USA e UK fatto di aiuti governativi al fine di ricostruire
l’Europa. Infatti l’Europa rappresentava un importante mercato di sbocco per i paesi vincitori, che da
distrutta era inutile. Il piano forniva aiuti in termini di beni e servizi comprando prodotti dai paesi
vincitori (alimentando quini la loro industria) per poi fornirli all’Europa per la ricostruzione.

L’IRI inizia ad operare proprio così, vendendo i materiali di base dell’industria sottocosto, e portando
l’IRI in deficit. L’Italia così diventa uno dei primi paesi a risorgere dopo la guerra

INDUSTRIALE Pagina 112


1957 – I TRATTATI DI ROMA
Nasce il mercato unico, ovvero un’importante diminuzione dei dazi doganali tra i 6 paesi
sottoscriventi, tra i quali, grazie alla importante crescita che viveva in quegli anni, figura anche
l’Italia.

In conseguenza dell’abolizione dei dazi doganali, le esportazioni in Italia esplodono: sono gli anni del
miracolo economico, nel quale l'Italia registra una crescita del PIL del 6-10% annuo.

In questo periodo i salari crescono alimentando la domanda che cresce a sua volta. Salari crescenti
attirano lavoratori dalle campagne che si spostano nelle città industrializzate. Sempre più lavoratori
che hanno alti salari fanno aumentare sempre più la domanda, che deve essere sostenuta da una
solida offerta; aumenta quindi anche la produzione e la domanda di lavoro.

IL MECCANISMO DEL CLUP


Tuttavia, la crescita del salario reale può funzionare solo se diminuisce il costo del lavoro per unità
di prodotto (CLUP).

Il costo del lavoro può scendere solo se i salari aumentano meno che proporzionalmente rispetto
all’aumento della produttività del lavoro.

I salari continuavano ad aumentare l’offerta di lavoro; tale offerta doveva essere sostenuta da
un'adeguata remunerazione del lavoro (salari), che quindi dovevano essere sempre crescenti.

Per garantire ciò, era necessario un aumento della produttività, possibile grazie ai costanti e ingenti
nuovi investimenti che si sperimentavano nel periodo. Il CLUP continua a scendere e i salari
continuano ad aumentare. Il circolo continua e si rimette in moto da solo.

1964- IL CLUP SALE


Nel 64 si inverte il trend che si era sperimentato dal 57; si nota per la prima volta una riduzione dei
salari dovuta ad un calo della produttività, che ha visto quindi il CLUP salire.

Questo dà il via ad una spirale negativa:

1. Le industrie che vedevano i loro costi salire (CLUP ↑) fanno aumentare i prezzi, diminuendo
quindi il salario reale

2. Gli operai vedono il loro salario reale diminuire, chiedono più salario.

3. Le industrie aumentano il salario e quindi devono aumentare anche i prezzi.

Si avvia la c.d. spirale PREZZO – SALARI – PREZZI.

Tale fenomeno fu ancora più amplificato dalla c.d. scala mobile , strumento economico di politica
dei salari volto a indicizzare automaticamente i salati in funzione degli aumenti dei prezzi, al fine di
contrastare la diminuzione del potere d'acquisto dovuto all'aumento del costo della vita.

INDUSTRIALE Pagina 113


contrastare la diminuzione del potere d'acquisto dovuto all'aumento del costo della vita.

In generale però gli anni ’60 al livello internazionale sono visti come anni di forte crescita economica,
siamo nel boom delle teorie macroeconomiche keynesiane, dove si interpretavano i policy maker
con il solo ruolo di fine tuner, ovvero il ruolo dello stato era stabilizzare l’economia, per la quale non
si prevedevano limiti di crescita.

La maggior parte degli studi in questo periodo si concentrano proprio sulla teoria keynesiana con lo
scopo di trattare quei temi ad essa correlati ma che la teoria non trattava direttamente.

LE ANALISI POST KEYNESIANE


Uno dei modelli post keynesiani più rilevanti è la LEGGE SULLA DOMANDA AGGREGATA COME
FATTORE DI PRODUTTIVITA' di KALDOR - VERDOORN: tale legge identifica delle relazioni "circolari"
fra la domanda aggregata (sistema economico nel suo complesso), la domanda effettiva (domanda
delle singole imprese) e la produttività.

"CIRCOLARE" = la produttività influenza la domanda e viceversa. Il progresso tecnologico, in


questo contesto è paragonabile ad una variabile esogena che determina "salti quantici" nella
relazione tra domanda e produttività.

Un incremento della domanda determina un incremento della produttività, dei salari e


dell'occupazione, che determinano un incremento della domanda e viceversa.

Ciò può condurre ad un "circolo virtuoso" se le variabili sono in aumento, oppure ad un


"circolo vizioso" se esse sono in diminuzione. Tuttavia, i fenomeni economici sono ciclici e non
lineari: ciò significa che né i circoli virtuosi, né quelli viziosi possono durare all'infinito.

Il sistema Italia è un esempio di tale teoria.

Fra il 1995 e il 2000, l'economia italiana cresceva a un tasso normale. All'alba del nuovo secolo,
però, ogni cosa è cambiata e il circolo da "virtuoso" è diventato "vizioso".

Secondo il principio della domanda effettiva della teoria keynesiana, i fatti che hanno portato
a ciò potrebbero riflettere una scarsa fiducia nel futuro da parte degli imprenditori a partire
dal 1995. Tuttavia, né la variazione dei salari, né la disoccupazione o i profitti sono in grado di
spiegare un fenomeno di tanta rilevanza.

L'introduzione dell'euro nel 2002, inoltre, non ha particolari responsabilità poiché è stata una
buona moneta che ha sostituito una moneta cattiva in quanto quest'ultima conteneva ormai
un virus inflazionistico.

Le abitudini inflazionistiche che si erano radicate con l'uso della lira hanno continuato
ancora per un po' con la nuova moneta e l'inflazione italiana è stata superiore ai livelli
degli altri paesi dell'euro nelle prime fasi dell'adozione, penalizzando il potere d'acquisto
delle famiglie, lo sviluppo e le esportazioni.

RUOLO DEL CAPITALE UMANO (SOLOW)


Solow teorizzò un modello che permette di separare le determinanti della crescita dell'output in
variazioni incrementali di input (capitale e lavoro), mentre l'incremento del prodotto che non risulta
spiegato dall'incremento dei due input viene attribuito al progresso tecnologico.

Inoltre, se si include il capitale umano nel concetto di capitale, la capacità esplicativa del modello di
Solow risulta enormemente potenziata. L'elemento rappresentato dalla formazione del capitale
umano nel determinare la crescita della produttività riveste un ruolo paragonabile o superiore a
quello dell'innovazione.

INDUSTRIALE Pagina 114


quello dell'innovazione.

LA SCUOLA NEOMONETARISTA DI CHICAGO


Nella prospettiva neomonetarista di Friedman, ciò che determina i buoni risultati economici è la
concorrenzialità dei mercati. Ogni ostacolo alla concorrenza determina effetti peggiori di quelli che
si avrebbero in loro assenza.

Il governo e la spesa pubblica, per questa corrente di pensiero, dovrebbero essere neutrali rispetto
alla concorrenza fra i soggetti economici, e limitarsi a garantire la stabilità, oltre a finanziare o
produrre i beni pubblici che il mercato non può produrre da sé.

Il prevalere della scuola neomonetarista ha portato alla deregolamentazione e alle privatizzazioni


degli anni '80. In questa concezione dell'economia hanno un ruolo preminente le forze spontanee
del mercato.

La disciplina dei mercati e della concorrenza, e quindi tutte le politiche che ne danno attuazione,
costituiscono il fondamento dell'allargamento dei mercati (globalizzazione, delocalizzazione) che ha
determinato il ciclo di crescita eccezionalmente lungo che ha preceduto la crisi del 2007/2008.

SUPPLY SIDE ECONOMICS (ECONOMIA DELL'OFFERTA)


La moderna economia dell'offerta ha rappresentato la reazione agli anni della stagflazione dovuta al
dilagare della spesa pubblica in disavanzo, e si fonda sull'assunzione che la spesa pubblica produce
risultati decrescenti, cioè l'opposto di quanto accade nel settore privato dove i rendimenti sono
crescenti.

Tale visione ha preso piede più in America che non in Europa. Di conseguenza, la dimensione della
spesa pubblica può spiegare il differenziale di crescita fra l'America e l'Europa, ma non quello fra
l'Italia e il resto dei paesi europei. La spesa pubblica italiana, infatti, ha sostanzialmente la stessa
dimensione e composizione di quella degli altri paesi europei.

In tema di crisi della produttività e della crescita in Italia, tuttavia, gli strumenti dell'analisi
economica consentono di formulare solo qualche ipotesi.

La malattia italiana ha origine dalla flessione della produttività reale a partire dal 1996 e
rappresenta l'esplodere di un male i cui sintomi sono stati in incubazione per un lungo periodo di
tempo.

La diminuzione del tasso di crescita della produttività reale italiana ricorda l'improvvisa perdita di
pressione nella cabina di un aereo in volo: l'aereo improvvisamente perde quota e, se riesce a
proseguire, può continuare a volare solo a bassa quota. Considerando che già si stava volando basso,
(perché la crescita della produttività europea aveva rallentato da tempo) la nostra quota di volo è
scesa ulteriormente, cioè alla metà di quella europea, che è la metà di quella mondiale, ossia a una
quota vicino allo 0.
Tuttavia, il registratore di volo non dice molto sulle ragioni di questo incidente, perciò non si spiega
perché si sia continuato a volare a bassa quota anche dopo un eventuale turbolenza nell'anno 1995.

LEGGE DI PHILLIPS
Phillips osservò una relazione inversa tra le variazioni dei salari monetari e il livello di
disoccupazione. La curva di Phillips individua quindi una relazione inversa tra il tasso di inflazione e
il tasso di disoccupazione. Essa afferma che un aumento della disoccupazione risulta correlato a un
relativo decremento dal saggio dei prezzi.

INDUSTRIALE Pagina 115


INDUSTRIALE Pagina 116
25. IN ITALIA
sabato 20 maggio 2017 09:09

Le caratteristiche del processo di sviluppo italiano vanno dai fattori originari (come il ritardato avvio
del processo di industrializzazione, la debolezza finanziaria dell'industria e il protezionismo doganale)
alle caratteristiche vere e proprie dello sviluppo (estensione dell'area pubblica, dualismo fra Nord e
Mezzogiorno)

La struttura industriale italiana è caratterizzata da una particolare forma di dualismo dove, accanto
ad un numero ristretto di grandi imprese convive una moltitudine di imprese di piccole dimensioni
con caratteristiche ed esigenze spesso in contrasto con le prime.

Una formulazione di politica industriale, In Italia ha tardato ad aversi fino al 1977 e ha avuto una vita
molto breve.

Lo sviluppo industriale italiano è stato uno sviluppo incompiuto, nel senso che il fenomeno
dell'industrializzazione ha riguardato solo una parte della società e del territorio.

I rapporti tra governo e industria dal dopoguerra si sono mossi verso un'abolizione della
protezione doganale; da qui l'esigenza di sostenere l'offerta con trasferimenti e altri sostegni
di carattere finanziario dato che la debole struttura dell'industria italiana non era in grado di
provvedere in via autonoma.

Il filo conduttore della politica industriale italiana è costituito dalla continua oscillazione fra la
necessità di fare riferimento ai tradizionali punti di forza dell'industria italiana (basso costo del
lavoro, rapporti di scambio favorevoli fra importazioni e esportazioni, sostegno della domanda
estera) e la decisione di avviare un nuovo modello di sviluppo.

Tuttavia, anche la qualità del management pubblico ha rappresentato un forte limite al


successo degli esperimenti di programmazione di una politica industriale valida.

IL DOPOGUERRA E I PRIMI STUDI SULLA PROGRAMMAZIONE 1945-47


I primi tentativi di intervento sull'industria hanno riguardato prevalentemente la necessità di
rifornimenti alimentari e di materie indispensabili per la ripresa dell'attività industriale.

Il "Programma delle importazioni essenziali per il 1945", divenuto poi "Piano di primo anno", redatto
dal CIR, intendeva sottoporre al governo italiano e all'autorità alleata di controllo (UNRRA) un esame
delle potenzialità produttive dell'industria italiana e un quadro dettagliato circa i fabbisogni di
importazioni e di merci. Si aggiunse poi una stima delle possibilità di esportazione, fissando gli
obiettivi da raggiungere.

Successivamente, il partito che aveva ormai assunto la guida del governo, la Democrazia Cristiana,
redisse un documento nel quale si proponeva la pubblica amministrazione come elemento centrale
della programmazione e della politica industriale, delineando una forte espansione della domanda di
prodotti, ottenuta attraverso una forte spesa pubblica. Si richiedeva, quindi, di creare una solida
base di domanda interna per lo sviluppo industriale.

Il rapporto tra industria e pubblica amministrazione tuttavia, percorse proprio la strada contraria.
Esso non riguardò l'attivazione della domanda interna, ma i trasferimenti alle imprese destinati a
divenire sempre più generalizzati e massicci. Questo è stato uno dei maggiori limiti dell'azione di
governo dell'industria.

L'AMMINISTRAZIONE CENTRISTA DI DE GASPERI (1948-53)


INDUSTRIALE Pagina 117
L'AMMINISTRAZIONE CENTRISTA DI DE GASPERI (1948-53)
La stesura del Piano Marshall aveva come obiettivo il riequilibrio dei conti con l'estero attraverso il
Fondo IMI-ERP, il cui decreto istitutivo prevede la concessione di finanziamenti per consentire ad
aziende industriali italiane l'acquisto di materie prime, macchinari, attrezzature, beni e servizi
occorrenti alla ricostruzione e allo sviluppo dell'esportazione italiana.

La scelta originaria della politica industriale italiana, dunque, vedeva da un lato, la spinta verso
un'economia aperta con lo sviluppo di settori esportatori, dall'altro lato l'attivazione di
meccanismi di trasferimento in modo da guidare lo sviluppo dei settori secondo gli obiettivi
politico-economici prestabiliti.

I settori ritenuti chiave dell'economia industriale italiana erano siderurgia, fonti di energia, industria
meccanica e chimica, settore tessile.

In questo periodo, col tentativo di creare moderni strumenti di analisi per il governo dell'industria,
venne costruita una matrice rettangolare (200x60) ad opera di Chenery e Clark. Tale matrice
conteneva le previsioni circa l'andamento dell'industria, il quale, si rivelò assai più brillante delle
previsioni in questione, soprattutto per quanto riguarda lo sviluppo dell'industria petrolifera.

Tale fatto sottolinea la disponibilità di petrolio a costi assai inferiori al carbone, e ciò costituì
uno dei più rilevanti fattori di successo dell'industria italiana.

A tale impostazione della politica industriale facevano contrasto le richieste della sinistra che
chiedevano che il motore dello sviluppo non fosse costituito dalla domanda estera, bensì dai lavori
pubblici.

Su questa linea muoveva il "Piano del lavoro" proposto dalla CGIL, che prevedeva un
programma di costruzione di centrali elettrice e di altri investimenti pubblici da finanziarsi con
le riserve valutarie esistenti.

Un altro tratto rilevante di politica industriale è l'atteggiamento nei confronti della c.d. "mobilità",
ossia degli interventi a sostegno delle imprese in crisi.

La riconversione bellica ha inizio all'insegna del non intervento. Numerose imprese private
sono indotte alla chiusura dall'interruzione del flusso di commesse belliche e dall'incapacità di
trovare una nuova collocazione nel campo della produzione civile.

Diverso è il caso dell'industria cantieristica, la quale fu destinataria di un intervento di


sostegno da parte del governo.

A questo scopo venne istituito il Fondo Industria Meccanica, il cui obiettivo era quello
della somministrazione di credito alle imprese impossibilitate a utilizzare le vie ordinarie.
Tale fondo poteva intervenire anche mediante l'acquisto di partecipazioni, e per questa
via si determinò un allargamento dell'area pubblica nell'industria.

Tale intervento inaugura un altro tratto caratteristico della politica industriale italiana: il
sostegno di imprese in crisi mediante trasferimenti da parte dello Stato.

POLITICA INDUSTRIALE NELLO "SCHEMA VANONI"


Con il 1953 si può dire concluso il periodo della ricostruzione e la politica industriale viene
influenzata da nuovi obiettivi di politica economica (piena occupazione, attenuazione degli squilibri
territoriali tra Nord e Mezzogiorno)

Lo "Schema Vanoni" identificava come obiettivi uno sviluppo annuo del reddito nazionale del 5%, la
creazione di 4 milioni di posti di lavoro aggiuntivi e la riduzione degli squilibri territoriali tra Nord e
Sud.

INDUSTRIALE Pagina 118


Sud.

Tuttavia, lo schema appariva particolarmente debole sotto il profilo della strumentazione. Fu


istituito quindi un "Comitato per lo sviluppo dell'occupazione e del reddito". Un effetto dello
Schema Vanoni sul piano della politica industriale lo si ebbe nel campo della siderurgia.

Il "Piano siderurgico" si articola in una valutazione della domanda di acciaio, in una stima
dell'andamento dell'offerta, distinguendo l'offerta proveniente dalla trasformazione di
minerale da quella proveniente dal rottame. La conclusione di tale programma settoriale fu la
creazione di un centro siderurgico a Taranto.

Tuttavia, in questo periodo la programmazione industriale si trasferisce all'interno delle imprese


stesse. Ciò deriva dalla debolezza della programmazione nazionale e dal fatto che l'andamento
dell'industria superava largamente i traguardi stabiliti dalla programmazione, per cui si faceva strada
il principio del "primum non ledere", cioè della non ingerenza in meccanismi la cui efficienza
superava le aspettative.

Le politiche di settore prendono forma quindi all'interno dei maggiori gruppi. Per la siderurgia
e la meccanica (IRI), per l'energia (ENI), per l'automobile (FIAT).

La politica industriale pubblica si vale di strumenti orizzontali, quali gli incentivi per
l'industrializzazione del Mezzogiorno, e i trasferimenti a favore di particolari categorie di imprese. Lo
strumento di maggior rilievo fu la legge 623/59 che riguardava il credito agevolato alle piccole e
medie imprese, congiuntamente all'istituzione del Mediocredito Centrale.

Tale legge, però, aprì la strada a interventi assistenziali totalmente in contrasto con le regole
della concorrenza che avevano fino ad allora ispirato la politica industriale.

LA FINE DELLA CRESCITA E IL PREVALERE DI STRUMENTI DI BREVE PERIODO


Il forte aumento del costo del lavoro e i timori della borghesia imprenditoriale dovuti alla
nazionalizzazione dell'energia elettrica, portarono ad un'impennata inflazionistica dell'economia e
un peggioramento dei conti con l'estero.

Il rialzo del costo del lavoro e l'avvio di un processo di inflazione interna determina una perdita di
competitività all'estero che propone strategie diverse per i due diversi emisferi dell'industria italiana:
○ Per l'industria ad alta intensità di lavoro, il problema centrale è il recupero della
competitività
○ Per l'industria al alta intensità di capitale, l'inflazione interna non rappresenterebbe un
pericolo immediato, anzi favorirebbe un processo di alleggerimento dell'indebitamento
finanziario.

Ciò riguarda la strumentazione in possesso del governo. Gli unici strumenti erano
costituiti dalla politica monetaria e creditizia e dalla politica dei trasferimenti mediante
le leggi di agevolazione finanziaria.

In tale periodo si intensificano le pressioni sul sistema delle partecipazioni statali per gli
interventi di salvataggio di imprese in crisi.

Si fa strada la tesi secondo cui gli effetti della politica monetaria sarebbero più avvertiti dalle
imprese di piccole dimensioni che non da quelle di più grandi dimensioni, in virtù della maggiore
autonomia finanziaria di queste ultime. La politica monetaria, dunque, poteva essere utilizzata in
funzione di politica industriale, attuando una politica selettiva volta a favorire i settori più forti a
danno delle imprese destinate al declino. La strumentazione della strategia industriale, dunque, si
volgeva al breve periodo.

Si sentiva l'esigenza, inoltre, di una ristrutturazione settoriale dell'industria italiana, in modo da


modificarne la composizione a beneficio di settori a più elevato contenuto tecnologico. Ciò fu dovuto

INDUSTRIALE Pagina 119


modificarne la composizione a beneficio di settori a più elevato contenuto tecnologico. Ciò fu dovuto
anche ad una maggior competizione internazionale seguita all'entrata in vigore del Trattato di
Roma.

Nasce allora la bandiera della concentrazione.


- Sul piano legislativo, essa si traduce nella legge 170/65, che concedeva agevolazioni fiscali alle
fusioni tra imprese.
- Sul piano della struttura industriale, essa si traduce nella nascita di colossi nel campo delle
telecomunicazioni e della chimica.

INDUSTRIALE Pagina 120


26. CONCORRENZA
sabato 20 maggio 2017 09:09

LE NUOVE TENDENZE DELLE POLITICHE INDUSTRIALI


Le nuove politiche industriali si ispirano al principio della promozione e della tutela di condizioni di
concorrenzialità dei mercati, principio che si realizza con l'eliminazione delle posizioni
monopolistiche e nella prevenzione di comportamenti restrittivi della concorrenza.

Il fondamento di tale principio sta nella constatazione che la concorrenza sia il miglior sistema
possibile non solo nella prospettiva dei consumatori, ma anche in quella dell'efficienza, della
competitività e dell'innovazione.

Con ciò si è determinato un capovolgimento delle politiche che si ispiravano alla protezione dei
produttori, e quindi alla protezione delle imprese esistenti contro nuovi potenziali concorrenti,
protezione il cui costo finiva per gravare sui consumatori.

TUTELA DELLA CONCORRENZA


L'azione di tutela della concorrenza è giustificata dall'inefficienza allocativa del monopolio. In
regime di monopolio, infatti, l'output fissato dal monopolista è inferiore all'output ottimale. Di
conseguenza, anche il prezzo è più elevato del livello ottimale. Si parla quindi di costo sociale del
monopolio.

Accanto al costo sociale del monopolio in sé, devono includersi anche i costi relativi alla creazione e
al mantenimento di posizioni monopolistiche. Tra questi:
- comportamenti dei monopolisti rivolti a scoraggiare l'entrata di nuove imprese
- comportamenti dei monopolisti nei settori delle public utilities volti ad estendere
abusivamente la propria posizione dominante
- costo opportunità legato agli investimenti che altri operatori farebbero se non vi fosse il
monopolio
- minore progresso tecnologico del monopolio

Le normative per la tutela della concorrenza sono diffuse in quasi tutti i paesi industrializzati e sono
caratterizzate da una struttura comune che contiene:
a) norme in materia di posizione dominante o di monopolio
b) norme in materia di intese e forme di coordinamento tra imprese
c) norme in materia di concentrazione

A queste si associa la creazione di un organismo tecnico di applicazione della politica della


concorrenza. Tali norme, generalmente, si applicano a tutti i settori dell'economia. Ciascuno Stato,
però, può individuare settori nei quali la normativa non viene del tutto applicata.

NORMATIVA ANTITRUST NEGLI STATI UNITI


Gli Stati Uniti sono stati la prima economia industrializzata ad emanare, nel 1890, la prima normativa
in materia di antitrust, lo SHERMAN ACT.

Lo Sherman Act vieta tutti i cartelli espliciti, considerandoli illegali e stabilisce che ogni persona
che monopolizzi qualsiasi aspetto del commercio tra i vari stati verrà ritenuta colpevole di un
reato grave.

Per fornire un'adeguata interpretazione, che ha portato poi a sanzionare solo alcuni comportamenti
monopolistici in grado di generare inefficienza, furono approvate due ulteriori normative antitrust: il
Clayton Act e il Federal Trade Commission Act.

INDUSTRIALE Pagina 121


Clayton Act e il Federal Trade Commission Act.

Il Clayton Act mira a combattere:


▪ la discriminazione dei prezzi
▪ l'utilizzo di vendite abbinate di due o più beni
▪ i monopoli locali che determinano una riduzione della concorrenza
▪ le fusioni che limitano la concorrenza

Il Federal Trade Commission Act ha creato una nuova agenzia governativa, la Federal Trade
Commission (FTC) che vigila sull'applicazione delle leggi antitrust e giudica le controversie di
sua competenza.

Il Federal Trade Commission Act vieta le varie forme di "concorrenza sleale" ed è mirata
alla protezione del consumatore e alla prevenzione della pubblicità ingannevole.

La FTC e il Department of Justice (creato con il Clayton Act), sono gli organismi responsabili
dell'applicazione delle leggi antitrust.

Il modello statunitense vede coinvolti organi amministrativi e organi giudiziari nell'attività


antitrust.
○ I giudici interpretano e fanno rispettare la legge.
○ L'antitrust division del Department of Justice e la FTC vigilano perché non si determinino
comportamenti anticompetitivi, insieme con i privati cittadini. Questa funzione di
vigilanza si esplica nel potere di iniziativa dell'azione antitrust condivisa anche con i
Procuratori generali di uno stato federale.

NORMATIVA ANTITRUST IN EUROPA


Il trattato dell'Unione Europea fornisce il quadro normativo della politica europea di concorrenza,
la quale comprende 5 ambiti principali d'azione:
1. divieto di accordi restrittivi della concorrenza
2. divieto di abusi di posizione dominante
3. divieto delle concentrazioni che creano o rafforzano una posizione dominante
4. liberalizzazione dei settori in regime di monopolio
5. divieto degli aiuti di Stato

Il divieto non si applica qualora gli accordi restrittivi contribuiscano ad incoraggiare la concorrenza e
qualora soddisfino tutte le seguenti condizioni:
a) gli accordi migliorano la produzione o la distribuzione di merci o promuovono il progresso
economico o tecnico
b) gli accordi fanno beneficiare i consumatori di una congrua parte dei vantaggi che ne derivano
c) le restrizioni della concorrenza sono necessarie per conseguire i benefici
d) la concorrenza non viene eliminata per una parte sostanziale dei prodotti

Per i casi ricorrenti in cui tali condizioni possono sempre verificarsi, la Commissione Europea ha
adottato i regolamenti di esenzione per categoria che fissano nel dettaglio le condizioni da
rispettare per determinare categorie di accordi.

Le concentrazioni sono disciplinate da un apposito Regolamento che ha introdotto a livello


comunitario una disciplina sul controllo preventivo di tutte le concentrazioni, nelle quali il fatturato
delle imprese superi determinate soglie. In tali casi, prima di realizzare l'operazione, le imprese
devono darne comunicazione alla Commissione che può vietare l'operazione o autorizzarla.

Le norme si applicano a tutti i settori dell'economia, compreso il caso dei servizi di interesse
economico generale, cioè i servizi che assolvono missioni di interesse generale e che quindi sono
assoggettati dagli Stati membri a specifici obblighi di servizio pubblico.

Per tali servizi, vi è ugualmente agli altri settori dell'economia un divieto rivolto agli stati

INDUSTRIALE Pagina 122


Per tali servizi, vi è ugualmente agli altri settori dell'economia un divieto rivolto agli stati
membri di introdurre o mantenere in vigore misure contrarie alla concorrenza. Tuttavia,
tale divieto può essere rimosso solo qualora si dimostri che l'applicazione delle norme
concorrenziali è di ostacolo alla realizzazione di un obiettivo considerato di interesse
pubblico.

La normativa europea non disciplina solo i comportamenti delle imprese, ma anche l'azione dello
Stato in campo economico attraverso l'uso di risorse pubbliche per promuovere determinate attività
economiche.

Gli aiuti di Stato possono falsare la concorrenza leale ed effettiva tra imprese negli Stati
membri e danneggiare l'economia: per questo motivo, la Commissione europea ne controlla
l'erogazione.

Nel caso in cui tali aiuti di Stato siano conformi all'interesse comune dell'Unione europea,
allora sono consentiti. Tra questi, vi sono quelli a favore dello sviluppo delle regioni
svantaggiate, della promozione delle piccole e medie imprese, della ricerca e sviluppo, della
protezione dell'ambiente, della formazione, dell'occupazione e della cultura.

L'istituzione cui è affidata l'attuazione della normativa a tutela della concorrenza a livello
comunitario è la Commissione Europea, con sede a Bruxelles. La Corte europea di giustizia e il
Tribunale di primo grado sono gli organismi preposti alla valutazione dei ricorsi.

NORMATIVA ANTITRUST IN ITALIA E L'AGCM


In Italia, la normativa antitrust è stata approvata con la legge 287/90, che ha istituito l'Autorità
Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM). La normativa italiana ricalca sostanzialmente
quella europea.

Sono vietate le intese che hanno l'obiettivo o l'effetto di ridurre la concorrenza e quindi che
comportano una consistente restrizione della concorrenza all'interno del mercato o in una sua parte
rilevante.

Sono considerate intese non solo gli accordi formali tra operatori economici, ma
anche le pratiche concordate e le deliberazioni di associazioni e consorzi.

La legge italiana non vieta la posizione dominante in quanto tale, ma vieta l'abuso da parte di una o
più imprese di una posizione dominante all'interno del mercato nazionale o in una sua parte
rilevante.

La legge 287/90 richiede che tutte le operazioni di concentrazione in cui il fatturato realizzato dalle
imprese interessate supera determinate soglie, prima di essere realizzate, siano comunicate
all'Autorità.

Nel caso di monopoli legali e delle imprese pubbliche, la disciplina antitrust può trovare delle
limitazioni, ma solo per ciò che è strettamente connesso all'adempimento degli specifici compiti
affidati alle imprese che erogano servizi di interesse economico generale.

L'AGCM ha un potere investigativo e decisionale su casi di violazione della concorrenza legati a


intese e cartelli, abusi di posizione dominante, operazioni di concentrazione. Essa ha anche
competenze in materia di pubblicità ingannevole e di pubblicità comparativa, e in materia di
conflitti di interesse.

L'AGCM svolge dunque anche un ruolo di promozione della concorrenza, fornendo suggerimenti e
indicazioni su come leggi e regolazioni settoriali possono essere orientate in un senso
proconcorrenziale.

INDUSTRIALE Pagina 123


proconcorrenziale.

Essa può impedire che le imprese adottino pratiche anticoncorrenziali, bloccare una fusione e
multare le imprese condannate per aver violato la normativa antitrust.

Le decisioni dell'AGCM sono pubblicate sul Bollettino settimanale dell'AGCM e sul suo portale
web. Le sue decisioni possono essere riconsiderate presso i Tribunali Amministrativi Regionali
e presso il Consiglio di Stato.

L'AGCM è un organo collegiale, cioè formato da più persone che prendono decisioni
votando a maggioranza. E' composta da un presidente e da 4 componenti nominati dai
presidenti del Senato e della Camera.

Oltre all'AGCM, sono presenti nell'ordinamento giuridico italiano altre istituzioni che hanno un
analogo ruolo di tutela della concorrenza e di vigilanza in settori specifici, come la Banca d'Italia,
l'ISVAP.

MERCATO RILEVANTE E ANTITRUST


Il mercato rilevante può essere definito come il più piccolo contesto – insieme di prodotti, area
geografica – nel cui ambito è possibile, tenendo conto delle esistenti opportunità di sostituzione,
la creazione di un significativo grado di potere di mercato.

Se vista, quindi dal lato economico, possiamo dire che una impresa ha un potere rilevante se può
alzare i propri prezzi ad un livello profittevole rispetto ai prezzi concorrenziali. L'esigenza di
individuare un mercato rilevante sta proprio nell'individuare la capacità di un'impresa di alterare in
maniera consistente il gioco della concorrenza.

Facendo riferimento al concetto di potere di mercato è naturale che nell'individuare i criteri del
mercato rilevante si debba fare riferimento a un insieme di prodotti o di aree geografiche in cui è
possibile per un ipotetico monopolista, tenendo conto delle esistenti possibilità di sostituzione,
praticare profittevoli prezzi superiori a un prezzo di riferimento. È questa l'origine dei così
detti price test.

In questa prospettiva l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha fondato la


definizione di mercato rilevante.

L'aumento di prezzo da parte dell'ipotetico monopolista deve essere calcolato a partire non
dal prezzo concorrenziale, ma dal prezzo in vigore prima della concentrazione.

Quindi, l'individuazione del mercato rilevante va correttamente intesa non come un fine
a se stante, ma come una delle fasi funzionali alla valutazione concorrenziale di un atto o
di un comportamento. Ad essa, pertanto, va attribuito non un valore assoluto, bensì un
valore relativo.

INDUSTRIALE Pagina 124


27. REGOLAZIONE DEI MERCATI
lunedì 22 maggio 2017 11:45

LA REGOLAZIONE ECONOMICA
Il fondamento economico della regolazione risiede nell'esistenza di fallimenti di mercato. Accanto a
motivi economici, si aggiungono anche altre finalità di carattere politico e sociale. Tra le fonti di
regolazione economica sono ricompresi:
 monopolio naturale
 esternalità
 asimmetrie informative
 universalità del servizio

1. Il MONOPOLIO NATURALE si realizza quando la domanda del mercato di un bene può essere
soddisfatta da parte di una singola impresa ad un costo più basso, e quindi in modo più
economico, di quello che si avrebbe se a produrre il bene fossero due o più imprese.

Poiché il monopolio genera vari tipi di inefficienza di tipo statico e dinamico, deve essere
regolato. Ciò può avvenire adottando diversi modelli di fissazione del prezzo.

2. Una seconda giustificazione per l'intervento pubblico è la presenza di ESTERNALITA', cioè di


situazioni in cui gli operatori sul mercato, nel prendere le proprie decisioni di consumo o di
produzione, sono indotti a trascurare le ricadute degli effetti negativi o positivi di tali decisioni
su soggetti terzi.

In presenza di esternalità negative, il prezzo non riflette il costo sociale del


comportamento di domanda o di offerta e si avrà un consumo e una produzione
superiore all'ottimo. In caso di esternalità positive, invece, si avrà un consumo o una
produzione inferiore all'ottimo.

La regolamentazione interviene per rendere espliciti i costi sociali di tali decisioni


penalizzando/incentivando le attività che generano esternalità negative/positive.

3. In presenza di ASIMMETRIE INFORMATIVE tra compratori e venditori, l'intervento pubblico, al


fine di eliminarle, può essere orientato a imporre standard qualitativi minimi o a subordinare
l'esercizio di un'attività produttiva a controlli e autorizzazioni.

4. In alcune circostanze, il mercato può non garantire l'UNIVERSALITA' DEL SERVIZIO, cioè la
fornitura di un servizio secondo le modalità ritenute socialmente desiderabili in termini di
livello minimo, diffusione geografica, orari di fruizione ecc.

Da un punto di vista di opportunità sociale, si ritiene discriminatorio escludere dalla


fruizione del servizio alcuni segmenti di domanda e perciò vengono esplicitamente
previsti obblighi di servizio universale volti a garantire un livello minimo di servizio per
tutti. (ES. imposizioni di regole relative agli orari di erogazione, ai turni, alla
localizzazione o ai prezzi)

Appartengono alle motivazioni sociali della regolazione:


- le finalità redistributive
- la condizione di scarsità di un bene, che rende necessario un razionamento in base a criteri di
priorità sociali, politiche e economiche.
- rendite economiche o profitti eccessivi; in tal caso la regolazione è desiderabile per
ridistribuire la rendita anche ai cittadini contribuenti (taxpayers) o ai consumatori.

INDUSTRIALE Pagina 125


I COSTI DELLA REGOLAZIONE E LA TEORIA DELLA CATTURA
L'attività di regolazione comporta costi che possono essere valutati secondo una duplice prospettiva:
○ Da un lato, i costi di funzionamento che una struttura di regolazione richiede e i costi
amministrativi che l'attività impone alle imprese regolate (costi di adeguamento o di
compliance) e, in generale, al sistema economico e istituzionale che deve adeguarsi alle
nuove regole introdotte (costi di transizione)

○ Dall'altro, occorre tener conto della inefficacia che lo stesso intervento regolatorio può
introdurre nei mercati (costi di regolazione)

Entrambe le categorie di costo configurano una possibile regulation failure (fallimenti della
regolazione) che va confrontata con i market failure (fallimenti di mercato) cui la stessa regolazione
si propone di porre rimedio.

Il caso più rilevante di regulation failure è quello considerato dalla "TEORIA DELLA CATTURA".
Il regolatore tende con il tempo a condividere e tutelare gli interessi delle imprese regolate e ad
esserne catturato. In caso di cattura, il regolatore può sovrastimare i costi del servizio, fissando un
prezzo troppo alto che riduce il benessere dei consumatori e aumenta i sovrapprofitti delle imprese.

Al di là del caso di cattura, ci possono essere errori di regolazione che portano fissare prezzi
troppo bassi, che hanno l'effetto di infliggere perdite alle imprese regolate che alla lunga
andranno a danno dei livelli qualitativi del servizio. Crescerà quindi la reazione dell'opinione
pubblica, con conseguente perdita di reputazione del regolatore.

LE QUALITA' DEL REGOLATORE


Vista la complessità dei compiti che spettano al regolatore, la facilità con cui è possibile incorrere in
errori che potrebbero contraddire la stessa finalità per la quale operano, impone una grande
attenzione su questa figura.
Le principali caratteristiche "desiderabili" di un regolatore sono:

1. COMPETENZA = il regolatore deve considerare opzioni alternative e prendere decisioni che


compongono gli interessi di più parti, sulla base di informazioni spesso incomplete in contesti
tecnologici e istituzionali in forte cambiamento. Ciò richiede quindi competenze tecniche,
economiche e giuridiche molto approfondite e tra loro coordinate.

2. EFFICACIA = l'attività del regolatore deve corrispondere a quella specificata nel mandato
legislativo assegnatogli, normalmente nella legge istitutiva. Egli non deve sconfinare dai
compiti che gli sono attribuiti e deve predisporre strumenti efficaci e adeguati a conseguire gli
obiettivi assegnati.

3. EFFICIENZA = il regolatore deve svolgere i propri compiti impiegando in modo efficiente le


risorse a sua disposizione.

4. INDIPENDENZA = intesa come indipendenza dall'industria regolata e in particolare dai suoi


clienti, concorrenti e fornitori. L'indipendenza può essere intesa anche in senso relativo e cioè
indipendenza dai poteri dello Stato e dall'esecutivo.

5. ACCOUNTABILITY = l'attività del regolatore deve godere anche indirettamente di una forma di
legittimazione democratica e deve essere sindacabile e controllabile da qualche altro potere
dello Stato.

6. TRASPARENZA, ACCESSIBILITA' E EQUITA' DELLE PROCEDURE = le decisioni del regolatore


devono essere il frutto di una pari considerazione di tutti gli interessi in gioco, ottenuta
attraverso procedure trasparenti e non discriminatorie di partecipazione al processo
decisionale dei diversi stakeholders dell'industria regolata.

INDUSTRIALE Pagina 126


decisionale dei diversi stakeholders dell'industria regolata.

INDUSTRIALE Pagina 127


28. POLITICHE PROTEZIONISTICHE
sabato 20 maggio 2017 09:10

Per protezionismo economico si intende qualunque forma di intervento statale, (come I dazi e il
contingentamento delle importazioni, le sovvenzioni alle imprese), che ha l'effetto di determinare un
sistema di prezzi nel mercato interno diverso da quello che si formerebbe in loro assenza in un
regime concorrenziale, e il cui obiettivo consisterebbe nel favorire I produttori nazionali rispetto a
quelli esteri, migliorando la bilancia commerciale e il livello di occupazione.

RAGIONI A FAVORE DEL PROTEZIONISMO


Le ragioni che vengono portate a sostegno delle politiche protezionistiche risultano essere:

1. Il protezionismo preserva l'occupazione nell'industria nazionale.

2. Il protezionismo impedisce che un'intera industria nazionale venga eliminata. In caso contrario
si creerebbe una dipendenza dai fornitori esteri, I quali potrebbero approfittare della posizione
dominante acquisita.

3. Il protezionismo costituisce un contrappeso alle politiche di aiuti più o meno occulte di cui
beneficiano I concorrenti stranieri. Tariffe doganali, quote all'importazione, e aiuti alle
imprese, rappresentano strumenti di grande efficacia nei negoziati del commercio
internazionale, in funzione di ritorsione e deterrenza.

4. Il protezionismo è essenziale soprattutto nelle fasi iniziali (infant industries) dello sviluppo di
un settore esposto alla concorrenza internazionale.

RAGIONI CONTRO IL PROTEZIONISMO


Smith riteneva che sistemi basati sull'economia di mercato producono risultati di gran lunga migliori
di ogni altro sistema, con particolar riferimento al legame tra specializzazione, produttività del lavoro
e estensione del mercato. Ogni restrizione artificiale degli scambi, e quindi ogni politica
protezionistica, opera dunque a danno della specializzazione, e di riflesso della produttività del
lavoro.

Inoltre, applicare forti politiche protezionistiche porterebbe gli altri Stati concorrenti ad operare
sulla stessa linea, sfavorendo, in tal modo, il prodotto interno. Infatti, se durano a lungo, tali
pratiche non spingono più le imprese interne alla competizione con gli altri Paesi.

Per il protezionismo vale il paradosso delle spese per armamenti. Sul fatto che la guerra non vada a
vantaggio di nessuno, tutti si dicono d'accordo. Ma il fatto che qualcuno spenda per precostituirsi
degli armamenti finisce per costituire un ottimo motivo di armarsi per tutti gli altri. Il tutto,
(armamenti e protezionismo) andrebbe messo in conto all'egoismo delle nazioni che impedisce la
nascita di un governo mondiale, o almeno di istituzioni internazionali abbastanza forti e prestigiose
da assicurare la pace e il pieno funzionamento dei meccanismi dell'economia di mercato nelle e fra
le nazioni.

POLITICHE PREDATORIE
Le politiche protezionistiche costano al soggetto che le pratica assai più di quanto rendano alla
comunità nel suo complesso. L'effetto reale del protezionismo consiste invece nell'avvantaggiare un
gruppo di interesse, ponendone il costo a carico della collettività, e proprio questa è nella maggior
parte dei casi la reale motivazione dei proponenti.

INDUSTRIALE Pagina 128


L'utilizzazione di politiche protezionistiche appare il male minore quando queste costituiscono una
risposta a comportamenti protezionistici messi in atto da altri paesi, oppure alla palese violazione
delle regole della fair competition, riferendoci con ciò alle politiche predatorie.

Tali politiche predatorie consistono nel praticare prezzi inferiori al costo variabile marginale
allo scopo di eliminare uno o più competitori, salvo poi, una volta conseguita una posizione
dominante, sfruttare quest'ultima con l'imposizione di prezzi monopolistici. Pratiche di questo
genere sono proibile e sanzionate dall'antitrust dei mercati interni.

INDUSTRIALE Pagina 129

You might also like