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1.

Sintetizza il sonetto in quattro righe


Benché tu sia nera, sei tra le più belle donne che ci siano. Mai è stata vista una luce tanto viva
sprigionarsi dal nero inchiostro, né dal carbone spento nascere tanto intense fiamme di passione.
Sono diventato un servo della mia serva e nessuna donna bianca mi libererà. Per beffarsi del sole ne
è nato un altro, che ha il volto nero ma gli occhi luminosissimi.

2. Indica in una frase l’idea centrale del testo

Il poeta esprime il suo amore nei confronti di una sua schiava di colore, un soggetto assai inusitato
per la lirica sentimentale, mediante una serie di argute figure retoriche, specialmente sinestesie,
ossimori e metafore, volte a mettere in risalto la distanza della donna cantata da quelle tipiche della
tradizione.

3. Individua le parole chiave e spiegane la novità rispetto alla tradizione

Alcuna delle parole chiave sembrano essere in continuità con la tradizione, come ad esempio
“viva”, “pura”, “luce” o “sol” o “candida man”, ma, se analizzate nel contesto e affiancate alle altre
parole chiave, ovvero “nera”, “mostro”, “serva”, risulta chiaro quanto da essa l’intero
componimento diverga. In primo luogo, è da notare che la donna cantata sia una schiava di colore,
l’esatto opposto delle donne gentili stilnoviste o petrarchesche dalla pelle candida ed i capelli
biondissime, o delle Signore della lirica provenzale. Viene, anzi, esaltata la superiorità della bella
schiava in confronto a loro, i cui capelli sono avvolti intorno al cuore del poeta in maniera tanto
stretta che nessuna “candida man” mai potrà sciogliere i nodi. Segnale della “poetica del rampino”
di Marino è il suo utilizzo di una metafora carissima alla tradizione petrarchista, ovvero quella dei
lacci dell’amore spesso simboleggiati dai capelli dell’amata (“Erano i capei d’oro a l’aura sparsi,
e’l vento in mille dolci nodi li avvolgea”). Inoltre, è assolutamente inusitato l’uso del termine
“mostro”, che qui indica un prodigio, un qualcosa di straordinario, ma non nell’accezione di
“miracoloso”, come spesso sono definite le donne cantate nella tradizione, bensì nel senso di una
donna di particolare bellezza, prescelta da Amore personificato, tuttavia in base alla bellezza fisica.
Questa è la sola ad essere elogiata, infatti non vi sono riferimenti alle virtù interiori della donna,
l’amore per la quale sembra portare perfino ad un abbassamento morale (“servo di chi m’è serva”) .
Nella lirica tradizionale avviene l’esatto contrario: l’amore per la propria donna è fonte di
elevazione, e quando non lo è, come in Petrarca, questa è presentata come un riferimento di
moralità. Laura, infatti, si nega a Petrarca, specie nella seconda metà del Canzoniere, per spronarlo
a volgersi verso i veri beni, quelli ultramondani: nel sonetto 90, dunque, possiamo vedere “il viso di
pietosi color farsi”, di animarsi della virtù della pietà di fronte allo sviamento del poeta. Tutte
queste immagini sono frutto del rovesciamento di tòpos tipicamente Petrarcheschi, ma ve ne sono
altre che nel componimento di Marino ricorrono identiche seppure con significati opposti. Sono la
“viva… luce” che esce dal “tenebroso inchiostro” e il “vivo sole” (“uno spirto celeste, un vivo sole
fu quel ch’io vidi”); o, ancora, il motivo dell’arsura (“di spento carbon nascere arsura?” e “Qual
meraviglia se di subito arsi?”). Per Petrarca il vivo sole è la rappresentazione esterna delle virtù
interiori, che si manifestano mediante la voce angelica di Laura (“e le parole sonavan d’altro pur
che voce umana”), mentre in Marino questa metafora è solo ardita e serve a rendere il ricercato
ossimoro sinestetico. In Marino “arsura”, usato come sostantivo, si richiama di più alla sete ed alla
passione edonistica, mentre in Petrarca il predicato da esso derivato vira il significato verso l’ardere
d’amore, l’esserne pervasi nel profondo del proprio essere.

4. Rintraccia nel testo le metafore più significative, spiegandone il significato e perché


Marino le definisce “ardite”.

Le metafore più significative in questo testo sono presenti ai versi 3-4, (“Fosca è l’alba appo te,
perde e s’oscura presso l’ebeno tuo l’avorio e l’ostro”), 7 (“luce uscir di tenebroso inchiostro”), 8
(“di spento carbon nascere arsura”), 9-10 (“ ch’avolto porto di bruno laccio il core intorno”), 13.
Con la prima Marino vuole dire che in confronto alla luce metaforica della bellezza della sua amata
quella dell’alba si oscura, così come, in un forbito ossimoro, anche l’ebano della sua pelle scura è
chiaro in confronto all’avorio. In quelle presenti ai versi 7 e 8 sono degne di nota le sinestesie e
l’accostamento di campi semantici, che celano dietro strati di significato. La luce che esce dal
tenebroso inchiostro potrebbe alludere alla funzione gnoseologica che la letteratura secentesca ha
assunto: mediante l’inchiostro, la poesia, l’uso ricco del linguaggio e delle figure retoriche, si può
traslare su carta la fitta rete di significati che innerva ogni cosa del mondo, facendovi sopra luce ed
insegnando al lettore a riavvolgerne i fili, conoscerla e comprenderla. L’arsura – facciamo
attenzione al termine – che nasce dal carbone spento ha un doppio significato: quello più letterale è
“fuoco”, ed in tal caso staremmo assistendo ad un altro ossimoro paradossale, ma se la
consideriamo nel suo significato di “sete”, possiamo intenderla come una sete edonistica, un
infervoramento verso la bellezza, e lo “spento carbon” come una metafora per la schiava dalla pelle
scura come il carbone. La figura retorica ai versi 9-10 è degna di nota perché riprende un tema
tipico della poesia d’amore tradizionale, ovvero l’immagine dei bei capelli dell’amata come “lacci
d’amore”, tuttavia in un’ottica antipetrarchista per cui si rifiuta il modello di donna ideale
tradizionale.

Queste metafore sono definite “ardite” perché fanno sfoggio di un estremo virtuosismo nell’uso del
linguaggio. Il significato del sonetto, che indubbiamente non è tanto profondo, è stato impreziosito
con ricercatissime figure retoriche – una combinazione di metafore, ossimori e sinestesie, spesso
due alla volta nello stesso verso – che fanno riferimento ai più disparati ambiti della tradizione
letteraria, come il verso 9 al motivo del servitum amoris, tra gli esempi che non sono già stati fatti
prima. Ciò

rende le immagini originali, ingegnose e sorprendenti, in ottemperanza al gusto poetico del tempo.

5. Seleziona le rime più significative, indicane la tipologia, spiegane il significato e


soffermati sul ricorrere del verbo “oscurare”, indicando la figura retorica.

Le rime sono alternate nella prima quartina; nella seconda sono le medesime ma presentano
un’inversione. Le terzine seguono lo schema CDC DCD. Le rime più significative sono “pura-
arsura” ed “avolto-sciolto”. Sono entrambe rime antitetiche, la seconda già a partire da un
significato più letterale, la prima risulta esserlo con una serie di rimandi e considerazioni. “avolto -
sciolto”, o più in particolare “avolto – mai sciolto” rafforzano il significato della poesia; l’altra rima
anche aggiunge enfasi, accostando la parola “pura”, che ricorda immediatamente dell’acqua,
elemento puro per antonomasia, o anche la purezza spirituale, al termine “arsura”, che oltre a
rimandare alla sete, allude anche ad un desiderio edonistico e creando un ricercato ossimoro.

Il ricorrere del verbo “oscurare” è l’elemento tipico di questa poesia che al contempo indica il
colore scuro della pelle dell’amata del poeta e come risulti comunque più luminoso di cose molto
luminose, come per esempio l’alba, adombrandole. La figura retorica che crea è l’ossimoro.

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