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ROMANZI MODERNI

GARZANTI
IL FIDANZAME.
Con il suo nuovo romanzo, 1l
fidanzamento, Goffredo Parise ha
abbandonato il mondo patetico
dei ragazzi diseredati da lui reso
incomparabilmente nelle pagine
festose e amare de 1l prete bello,
per affisare un occhio indagatore
e partecipe nei meandri della pic-
cola borghesia provinciale. I suoi
inesoravili « flashes » rivelano oggt
un mondo altrettanto vivo e mo-
bile ma cui sempre é sottinteso
un organico sepolcrale squallore.
Attorno a Mirella, la dolce vit-
tima designata, giostrano i preten-
denti; mentre nello sfondo si in-
travedono i gesti rituali della ma-
dre frenetica e quelli, poveri e
inutili, del padre stanco e svanito
che ricorda con volubile astio
tempi migliori. La magia di Pa-
rise é proprio questa: di immer-
gere in un clima di sogno gli
atteggiamenti consueti, di dare so-
stanza e vigore agli atteggiamenti
e alle azioni di personaggi colti
dall'esperienza e dal mutevole gio-
co delle cose. A soli ventisette anni
autore di tre romanzi che hanno
avuto larghi consemsi e che sono
stati tradotti in molti paesi d'Ku-
ropa e d'America, Goffredo Parise
sembra in un certo senso una for-
za della natura; appare invece,
alla riflessione, come il suo in-
gegno poetico ha saputo far te-
soro di una infanzia e di una
adolescenza infelici; degli incontri
spericolati negli anni bui e troppo
pittoreschi_ del dopoguerra; della
luce, delle tradizioni, della civiltáa
della stupenda cittá, Vicenza, che
gli diede i natali. Nelle narrazioni
di Parise il pessimismo non é mai
di qualitá amara e ribelle, ma co-
nosce le evasioni di un'obiettivitá
intelligente, d'una coscienza chiara,
e un certo sorridente piacere, non
insensibile alle umane sofferenze,
di spalancare le finestre lá dove
Paria e malsana e viziata.

Sovracoperta di Fulvio Bianconi me


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in 2022 with funding from
Kahle/Austin Foundation

https://archive.org/details/ilfidanzamento0000goff
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ROMANZI MODERNI GARZANTI

M
“G
GOFFREDO PARISE

IL FIDANZAMENTO
ROMANZO

GARZANTI
- Proprietá letteraria riservata - Printed in Italy, 1956 - (O) Copyright 1956 by
AER Aldo Garzanti, Editore - Ogni esemplare dell'opera che non rechi il timbro au E
Le _secco della Societá Italiana degli Autori ed Editori deve ritenersi contraffatto

E | 3 1223 03268 0457


Come 1 fantasia li a suggerit essi
trovar luogo ovunque, per cut sarebbe
trario qualsiast no a persone o E . est
determinati. A
p ER abitudine Luigi Mannozzi si recava a far
visita alla fidanzata quasi ogni sera; non suo-
nava il campanello ma scrollava il portone, poiché
aveva imparato che spingendo un battente in un
certo modo segreto e tirando la maniglia, il por-
tone si sarebbe dischiuso; entrava dunque nel cor-
ridoio e sempre nelloscuritá saliva le scale.
Quella sera, fin dai primi gradini, udi la voce
della fidanzata: gli parve secca ed aggressiva co-
me se Mirella stesse litigando coi genitori. Que-
sto pensiero lo irritó e per un momento gli venne
una gran voglia di tornare indietro e raggiungere
gli amici che giocavano a calcetto al bar; ma
quando la fidanzata gli fu vicina, silenziosa e con
eli occhi socchiusi, Luigi cambió idea: Pattiró a sé,
le diede prima un bacio sulla guancia com'era so-
lito, poi la strinse piú forte per annusarla. L'odore
di lei quand”era in casa, senza cipria e profumi che
potessero annebbiare o confondere il sentore delia
biancheria, dei golfini e della sottoveste, era la sua

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_ passione. Certe volte provava perfino tenerezza per
quell'odore e si chiedeva fino a qual punto gli im-'
portava che venisse esattamente da lei, da Mirella,
o non piuttosto da un altra donna gia posseduta da
molti e proprio per questo misteriosa ed eccitante:
premeva allora le narici sotto l'orecchio e pol scen-
- deva verso l'incavo dei seni che si lasciavano spiare
attraverso lo scollo aperto dellPabito; un tepore
odoroso, come di letto ancora caldo saliva da quel-
Pincavo e la tenerezza che provava Luigi verso
- quell'odore era in un certo modo simile a quella
che lo spingeva oscuramente verso sua madre, da
bambino, nel misero letto di ferro dove dormivano
in tre: lui, sua madre e sua nonna. E come allora,
bambino, immergersi in quelle coltri spiegazzate,
usate e odorose gli dava la gradevole sensazione di
trovarsl in un castello sontuoso e pieno di agguati,
ora, da uomo, penetrare nel petto di Mirella, pur
richiamandogli la sensazione infantile dell'agguato
lo metteva in uno stato di debolezza e di languore.
Mirella era a conoscenza di tutto ció e con eli
occhi aperti simili a quelli di un topo, spiava at-
tenta quae lá e sorvegliava che non si aprissero
' porte e uscissero inquilini. In questo modo era lei
che quasi ogni sera, silenziosamente e col respiro
appena piú forte si lasciava possedere dal fidanzato
che stava un gradino pid in giú. Certe volte tron-
cava tutto sul piú bello lasciando Luigi imbaraz-
zato e finto indifferente, un sorriso stupido sulle
labbra, con la scusa che una porta si era aperta, o
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-cosi le era parso. In realtá non era per questo ma
perché alcune di quelle volte pensava al matri-
-monio e, sia per stizza verso Luigi che non si de-
cideva mai, sia per una improvvisa quanto assurda
ed inopportuna riserva di pudore, le pareva che
troncare quell'abbraccio frettoloso sulle scale fos-
se come un tacito ma significativo atto di protesta
per un fidanzamento gia fin troppo lungo.
«Che c'é? » chiedeva allora Luigi, agitato.
Mirella non rispondeva, si metteva da parte ver-
so Pangolo piú oscuro del pianerottolo e, immuso-
nita, si abbottonava il golfino.
- «Eh? dimmi! » insisteva Luigi, seccamente, con
falsa gentilezza. E a intervalli, ora prendendola
per un braccio e stringendoglielo, ora scrollandola
lentamente, ripeteva la breve domanda. Sapeva che
questo ripetere continuamente «eh? », con insi-
stenza tra compiaciuta ansiosa e discreta, inizial-
mente esasperava Mirella; ma sapeva pure che alla
fine, dopo una breve esasperazione che nei primi
anni di fidanzamento terminava in una scenata, ora,
dopo sei anni, ella si sentiva come in colpa per aver- :
gli troncato un"emozione molto forte e pericolosa.
Luigi le aveva raccomandato di non ripeterlo piú,
in primo luogo perche avrebbe potuto far male al
cuore e in secondo luogo perché agire in quel
“modo significava che lei non provava piacere. Mi-
rella, infatti, non provava molto piacere a quei
frettolosi abbracci, ma non voleva dirlo, temeva
che Luigi ne restasse deluso e ancor piú temeva 1

9
1

suol lunghi ragionamenti sulPimportanza delPatto


- sessuale in un buon matrimonio; ragionamenti che
finivano sempre per concludere che loro due non
erano fatti Puno per Paltro come era stato dimo-
strato dalllamplesso piú recente e che per il bene
di entrambi la cosa migliore sarebbe stata quella
- di separarsi. A questo punto, di solito, Mirella si
dimostrava ingenua e finiva col mettersi a pian-
gere; non sapeva che Luigi imbastiva quei ragio-
namenti conditi di parole astruse, calcolando che
«nel prossimo abbraccio lei avrebbe abbandonato
ancora un punto del suo pudore di fanciulla bor-
ghese per accondiscendere a desideri ogni volta di-
versl.
Ma quella sera, sulle scale, Luigi non volle star
li a discutere. In un caso del genere, con gli inqui-
lini sempre pronti alle porte ad ascoltare, spiare,
commentare, non avrebbe spinto la sua insistenza
oltre quei brevi e ripetuti interrogativi. E se entro
un certo numero di «eh? » Mirella non si fosse
riavvicinata a lui come molte volte succedeva, non
, avesse lei stessa ripreso l'amore interrotto, la cosa
migliore sarebbe stata quella di avviarsi definiti-
vamente su per le scale verso l'appartamento, vol-
gendo il pensiero al cafté o al nocino che la futura
suocera aveva gia bell'e pronto per lui, o al pa-
ziente lavoro di traforo al quale il signor Edmondo
andava da anni dedicando le sue serate.
Il signor Edmondo era una di quelle persone di
cul in cittá si diceva: « Caregón? a vent'anni era
10
— forse il piú bel giovanotto della citta!Alto, dritto, E A id
con quella sua bella testa di capelli,- me lo ricor-
do ancora perché era uno dei pochi, insieme all'av-
vocato Muzio, a usare il bastoncino di bambi. »
Ma a differenza di quelle poche persone di cui si
usava dire le stesse frasi, il signor Edmondo era in-
vece molto cambiato: sia perché, pur mantenendo '
un certo portamento giovanile era invecchiato e.
dimostrava la sua etá, sia perché non era piú ele-
gante come un tempo quando si vestiva dal mi-
gior sarto e godeva di una buona rendita di fa-
miglia. Era cambiato a tal punto chei vestiti che
indossava erano ancora quelli della giovane eta,
tenuti con curá finché si vuole, stirati e smacchiati, :
ma non per questo cosi in ordine da non sembrare
quello che erano: vecchi abiti fuori moda. Era cam-
biato per questa storia degli abiti e per una ragione
non meno importante ch'era la considerevole e pro-
gressiva diminuzione della rendita. Finché era du-
rato il fascismo il signor Edmondo aveva potuto
far fronte a tutti quegli impegni di carattere rap-
presentativo con lo stipendio di ufficiale; decorosó
squadrista, ció gli era servito per andare in Afri-
ca come colonnello della milizia e poi in Spagna.
Dalla guerra d'Africa tornava vestito con una
sahariana e un mantello nero foderato di seta
“bianca che lo faceva apparire, come si diceva, im-
ponente. A quel tempo aveva trentotto anni, ma
nel 1940, alla dichiarazione di guerra, s'era trova-
to giá anziano rispetto alle nuove leve e per di pit
11
e E e a AS de AA Nin A indLl
% í dd pe a
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Te dl

- ammalato di ameba. Considerando che non sareb-


be potuto partire volontario ancora una volta a
quell'etá e in quelle condizioni, fece in modo di
ottenere, usando discretamente delle sue amicizie
nel partito fascista e nella borghesia del luogo, un
posto in cittá: proprio in quel tempo furono crea- -
ti gli uffici di censura postale ed egli venne nomi-
nato ispettore per la provincia. Lo stipendio non
era alto; ma insieme a piccole pensioni per ma-
lattie contratte in guerra, due medaglie di bronzo
e per ultima la rendita, egli poté ancora una volta
disporre di quanto bastava a condurre avanti la
famiglia sulla traccia borghese e agiata di un
tempo.
£
Í
Dopo la fine della guerra il sienor Edmondo si
trovó senza un mestiere in mano, con lP'aggravante
di alcune noie avute per il passato politico. Fu
costretto a vendere, un poco alla volta, quasi tutto
il palazzo dove abitava e di cui era proprietario,
e alla fine si impiegó come contabile nella ditta di
un amico di famiglia. Cominció a farsi vedere
sempre piú di rado nelle vie principali e nei cafté
che erano stati testimoni delle sue proverbiali par-
tite a poker, dirado le amicizie con le quali ormai
s1 trovava a disagio a causa della sopravvenuta
poverta, e finito il lavoro nella ditta delPamico si
recava in biblioteca, o a casa dove lo attendevano
il suo seghetto da traforo e la moglie Mussia.
Fu lei ad alzarsi quando Luigi entró nel tinello,
per salutarlo e dargli la mano da baciare. Nono-
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stante le grida, le discussioni avute con Mirella
poco prima che Luigi entrasse, la signora Mussia
era diventata tutta gentile e melensa e gia, met-
tendosi in ordine con rapidi colpetti delle dita la
vestaglia a kimono, stava per correre in cucina
a prendere il caffé e il liquore.
Neppure la signora Mussia somigliava ora a
quello ch'era stata in passato, donna prepotente,
autoritaria e capricciosa, sempre pronta a tirare
in ballo le sue origini russe per far colpo sulle per-
sone e sul marito. Alta e pallida, con occhi chiarl
e sottili che si perdevano tra le ciglia, se non fosse
stato per il ventre che si intravedeva un poco
grosso e cascante sotto le pieghe del kimono si sa-
rebbe potuta giudicare ancora donna elegante e
di bel portamento. Era stata lei, con i suoi ca-
pricci ed i suol assurdi viaggli a consumare la ren-
dita del marito: e Luigi ricordava il tempo in
cui Mussia portava dei grandi cappelli neri coi
quali usava andare a teatro. Dallo zio, maschera
al teatro Verdi, Luigi aveva saputo che quei gran-
di cappelli erano un grande fastidio per gli spetta-
tori togliendo la visuale della scena e che per essi
nascevano sempre battibecchi e offese: una volta,
per una di queste oftese il signor Edmondo fu co-
stretto a battersi in un duello al primo sangue col
direttore del quotidiano cittadino e questo duello,
vinto, se lo portó dietro tutti quegli anni procu-
randosi non poche avventure galanti con le imo-
gli degli amici fascisti. Fatto sta che da quella
13
ñ E per. la”signora Mussia fu riservato un pic=:
colo palco dallo stesso direttore del teatro che
non voleva piú storic. Luigi ricordava tutto que-
sto e soprattutto ricordava quando lui e i suoi '
amici vendevano caramelle alla menta nello stesso
teatro. Ora diffidava di quei saluti melensi e di
quei baciamano a cui la signora Mussia pareva
invitarlo; diffidava perché laveva conosciuta in un
_altro modo. Non che godesse ora di vederla cosi
- dimessa e povera, non piú altezzosa, severa e sot-
“tile come in quegli attillati abiti di raso nero: al
“contrario, mentre nei primi tempi del suo fidanza-
mento con Mirella ne era stato orgoglioso e te-
neva molto ad averla come futura suocera, ora,
per non doversi accorgere dell'aspra differenza tra
la signora del ricordo e la donna di cui era andato
scoprendo col passare del tempo via via la poverta,
Pegoismo e le magagne, accondiscendeva egual-
mente 'ai baciamano e ad altri complimenti del
genere con rispettosa indifferenza.
Il tinello era un"ampia stanza dal soffitto basso,
a travi, dove molti mobili antichi stavano addossati
alle pareti uno accanto all'altro; como, credenze,
un inginocchiatoio; un armadio di radica stile ot-
-tocento occupava l'intera parete di fondo, dove si
apriva la porta che dava nella cucina; allestre-
mita un fregio inutile era stato segato e lo stesso
occupava lo spazio dal soffitto al pavimento. Se-
duto ad un angolo del tavolo, al lume di una lam-
padina che pendeva dal grande candelabro di ferro
14
> mu,

- battuto, il signor Edmondo stava curvo sulla sua ta-


voletta di:legno sottile. Aveva salutato Luigi, al-
Papparire di questi, con un sorriso cordiale ed un
cenno del capo; chiedendo: « Non disturbo, ve-
ro? » aveva ripreso a condurre su e giú il seghetto, -
sofhando nella lieve segatura che si depositava sul
disegno.
Mirella e il fidanzato s'erano messi a sedere sul:
grande canapée di pelle nera posto sulla parete di
fronte all'armadio; sopra il canapé erano disposti
1 vari trofei d'Africa del signor Edmondo: lance,
scudi, cartucciere, pallottole dum-dum e un fucile
arabo. Ai piedi del canapé una pelle di zebra con-
sumata e bruciacchiata serviva da tappeto.
Luigi si avvicino lentamente a Mirella e con una
mano tesa, nell'attitudine di un mendicante, le sol-
levó il mento.
« Dimmi, hai litigato con 1 tuoi? Cos'hai, cara? ».-
La domanda di Luigi era quasi severa, la guar-
dava fisso con quel falso atteggiamento di mora-
lista che assumeva di solito quand'era in casa di
lei. Mirella sentiva questa differenza, di quando
erano in casa e fuori di casa, e non pote fare a me-
no di pensare che Luigi, con quella posa improv-
visamente seria e severa, volesse come glustificarsi
dell lamplesso avvenuto poco prima sulle scale.
<« Niente, non ho niente. »
Ma Luigi continuava a guardarla fissa, sempre
con quella lunga mano da impiegato tesa e dura,
sotto il mento.
15
y aa EPASTE AO desa A
(> k dina

+ «No niente, cara; niente non va, » disse ancora


severamente Luigi. Si sentiva come in dovere di:
rimproverare in qualche modo Mirella, di fare
Puomo, per vendicarsi di quel brusco rifiuto sulle
“scale. Con stizza si rivide in quell'atteggiamento so-
- speso e ridicolo, proteso dal suo scalino: e mentre
_Vatteggiamento di Mirella, riservata ed immusoni-
ta lá nel suo angolo, poteva essere stupido, ma
niente di piú, il suo era sconcio e ridicolo. Non che
Luigi si fosse visto e ora lucidamente ricordasse,
ma sentiva che bisognava fare qualcosa per assu-
mere nuovamente la parte dellluomo serio, com-
-passato e sempre disinvolto che tanto gli piaceva.
«No niente, qualcosa c'é! eh, scusa!» seguito,
sempre guardandola. E poiche Mirella si ostinava
nel suo silenzio guardando alcuni giornali sparsi
per terra, Luigi si indispetti.
« Ti prego cara, non farmi insistere; lo sai che
insistere, per un tipo come me, é una cosa seccan-
tissima... ormai dovresti averlo capito in sei anni
che ci conosciamo. »
«E non insistere, Luigi, se ti dico che non c'é
niente! » Mirella vagava con eli occhi sui giornali
aperti per terra e non aveva fatto molto caso alla
sua risposta.
Luigi allora assunse un tono di voce autoritario
e diede un colpetto al mento della fidanzata con la
mano secca. |
«Come? Non insistere? Hai detto non insiste-
re?... Ma bene, benissimo! non insisto. »

16
8 - E qeda+ de
2 > AS

< Ma Luigi, non ho niente davvero sal... »


11 rumore del seghetto a momenti diventava piú
forte, altre volte smetteva. In quegli istanti di si-
lenzio i due fidanzati parlavano in tono piu basso.
« Mirella, sai che non mi piace questionare per
sciocchezze. Quando si questiona si deve questio-
nare per cose ben piú importanti. “Tanto vale rovi-
narsi la serata per delle piccole cose, delle sfuma-
ture... € vero si o no? Dimmi! »
Mirella stava con la testa bassa e cocciutamente
rifiutava di guardare il fidanzato che la teneva
sempre per il mento.
« Dimmi, >» insisté Luigi.
« SI? »
«E allora? >
« E allora non volevo dirtelo, ho litigato... »
« Con chi? »
«Con mia madre. »
« Perche? »
-« Continua a dirmi che sono un peso per la fa-
miglia perche non ho studiato, che ormai sarebbe
ora che mi guadagnassi da vivere... »
Gli occhi di Mirella si erano inumiditi e nel rac-
contare al fidanzato le sue sventure non aveva sa-
puto fare a meno di avvicinare una mano a quella
di lui e stringergliela. Le pareva ancora di amarlo
quando gli teneva la mano in quel modo, le pa-
reva di tornare ai bei tempi, quando aveva quat-
tordici anni ed era lui a tenerle la mano, al cine-
ma, nelle strade, ai giardini pubblici, dappertutto.
TE
ci ES A in O, e ES A AR
> E E ; y - > => : á

Non sentiva che la mano di lui era mutata; da


quella morbida, sentimentale e quasi generosa come
era negli anni dell'adolescenza, s'era trasformata
in una mano secca e quasi cartilaginea, piú un mec-
canismo per stringere la matita a sfera e tracciare
firme e visti a rapidi e ordinati svolazzi che la
/ “mano dolce e timida di un innamorato. Mirella,
- ormai abituata alla mano di Luigi, non si accor-
geva di questo, di questa differenza. A Luigi quel-
le strette davano invece fastidio; perche, dopo fra-
si come quelle ripetute da Mirella, gli pareva che
la stretta di mano fosse come un incitamento al
matrimonio. E al pensiero del matrimonio Luigi
provava paura: e la paura, ch'egli tuttavia non ri-
conosceva per tale, lo rendeva nervoso ed ecci-
tabile.
Atteggió il viso ad una espressione dura e dolce
al tempo stesso, per quel che poteva, un sopracci-
elio sollevato, il busto eretto, un mezzo sorriso sulle
labbra.
« Piccola, non piangerai per me! » sussurró ac-
compagnando le parole con leggeri movimenti del
busto e del capo. In quel momento gli sovvenne
che anche lP'ingegner Amabile, un ingegnere del
suo ufficio che assomigliava a Toto, parlava a quel
modo. Ma Luigi non seppe vedere il lato Toto
perché gli pareva che quel modo di muovere il
busto ed il mento per accompagnare e rafforzare
le parole risultasse alla fine molto serio e autoritario.
In quel momento comparve sulla porta della cu-
18
. ”

cina la madre; reggeva un piccolo vassoio con una


tazza di caffé e un bicchierino. Abituata a disporre
di cameriere o almeno di una donna di servizio fino
a pochi anni prima, la signora Mussia, quando si
trattava di eseguire piccoli e quasi insignificanti
lavori di casa, si metteva in gran confusione; o
piuttosto fingeva una inesperienza e una goffaggi-
ne esagerate e incredibili, per dimostrare che lei,
quelle cose, non le aveva mai fatte.
« Devo stare attenta, devo, perché qui, cari miel,
mi cade il caffé e anche il bicchierino,» disse at-
traversando la stanza come in equilibrio su un filo.
Si curvó verso Luigi e gli porse il vassoio perché
il fidanzato prendesse il cafté. Quella sera la signo-
ra Mussia era evidentemente di buon umore e que-
sto metteva Luigi in istato di inconscia allegria; non
che le altre volte fosse di malumore, ma c'era tra
la madre e il fidanzato una faccenda sospesa : il ma-
trimonio. In varie occasioni Mussia aveva intavo-
lato il discorso, prima con gentilezza, poi sempre
piú pedante e quasi ruffiana e Luigi sistematica-
mente l'aveva lasciato cadere, adducendo a buone
ragioni la giovane etá e le difficoltá economiche.
Allora Mussia si innervosiva e per parecchie sere
sfogava il suo disappunto per il tentativo andato a
male con dispetti di vario genere. A Mirella diceva
ch'era una vergogna, che lei non era disposta a
perdere cosi la propria dignitá dovendo sempre e
sempre avviare il discorso su quell'largomento; non
era dignitoso, diceva, che una signora come lei an-

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dasse a pregare, o quasi, un fidanzato qualsiasi che
poi non era altri che un figlio di genitori vecchi,
str quindi malsano, e in fondo povero, per indurlo a
parlare delle proprie intenzioni su Mirella. Avreb-
be dovuto essere lui, per primo, quel giorno del
pranzo di fidanzamento quattro anni prima, a de-
cidersi; o se non proprio in quei tempi, qualche
mese dopo, come usa chi ha educazione. E invece
passavano gli anni e mai si decideva.
Quando parlava di questo argomento con Luigi
la madre non finiva piú; elencava le doti fisiche
della figlia quando Mirella si allontanava e lei,
compiaciuta, la seguiva con lo sguardo, squadran-
dola, per rivolgersi poi a Luigi con occhi sfavil-
lanti:
« Che bella figurina! Dov'é che ne trova ur altra,
Luigi, mi dica lei! E tanto sensibile dev'essere, lo
vedo io, lo immagino, lo so, me ne accorgo, che
dovrebbe sposarsi, che ormai, si, sarebbe ora... »
Oltre a questi apprezzamenti sul corpo della fi-
glia, Mussia si attardava a parlare dei pretendenti
che la figlia avrebbe potuto contare come certi:
tutta gente di ottima famiglia e soprattutto molto
a posto economicamente. In parte queste storie di
_ pretendenti erano vere per quello che riguardava
la famiglia e la posizione cittadina dei giovanott1;
ma esagerate per il lato economico. In realtá Mi-
rella godeva di pretendenti, ma giovanotti di mez-
za eta, sui 35-40 anni, tutta gente all'orlo del celi-
bato perpetuo: quello speciale genere di giovanotti,
20
buonissimi, timidi e di poche parole che non sono
in grado di trovarsi da sé una fidanzata: sepolti
nelle camere ammobiliate o in famiglie numerose
essi si affidano alle conoscenze e cercano di supe-
rare con queste, piú abili e pratiche, il disagio dei
loro occhi inespressivi e acquosi, delle loro mani
grandi, quadrate, madide di sudore. Solo questi
tipi di pretendenti al matrimonio vantava Mi-
rella: aveva conosciuto altri giovanotti in altre oc-
casioni, al mare presso gli zii, ma questi non par-
lavano mai di matrimonio. Mirella non aveva vo-
luto saperne né dei primi né dei secondi, giudican-
dosi ragazza seria e innamorata di Luigi.
Cosi dunque trascorrevano le serate in casa Ca-
regón. Il signor Edmondo lavorava al suo traforo,
Mussia quando non andava a giocare a bridge sta-
va con Mirella e Luigi, scoprendo insieme alla pel-
le bianchissima e leggermente affossata che faceva
capolino dalla vestaglia il suo acuto desiderio di un
matrimonio. Luigi vi si recava puntualmente e
ascoltava con pazienza la signora Mussia solo per-
ché sapeva di trovare lá una bella ragazza sempre
pronta e di cui stimava d'essere innamorato, molto
innamorato, seriamente, al punto che quando se ne
fossero presentate le possibilita l'avrebbe certa-
mente sposata. Solo Mirella a volte comprendeva
la grande malinconia di tutta la sua situazione
amorosa; e sentiva passare gli anni sul corpo bello
e flessuoso con la rapidita degli amplessi sulle sca-
le. Ma la stanca e sonnolenta pigrizia di quella
21
pe domeniche d'inverno Mirella e Luigi le pas-
savano in casa. Non andavano al cinema per-
che non avrebbero poi saputo dove recarsi alla se-
ra. Da novembre a marzo i fidanzati trascorrevano
cosl i lunghi pomeriggi di pioggia, di nebbia e di
fumo nel canape del salotto.
Il signor Edmondo, in quegli ultimi anni, oltre
alla passione per il traforo si era lasciato andare
ad un altro vizio provinciale: la visita settimanale
al cimitero. Lá trovava i suoi amici e i parenti e
forse parlava con loro di affari di famiglia. Si at-
tardava fino alla chiusura, girando per 1 vialetti,
informandosi presso i buoni frati e i fioristi sulle
modifiche che il Comune apportava di tanto in
tanto ai due campi. Dopo la chiusura, lentamente
tornava verso la cittá e si fermava al cafté Cavour
dove sedeva accanto ai giocatori di poker, a guar-
dare. La signora Mussia, pigra e astiosa nella sua
etá critica e nelle rinunce, si cacciava a letto e dor-
miva fino all'ora di cena. Un russare discontinuo,

23
20

_leggero, quasi modulato avvertiva della sua: pre-


senza i due fidanzati seduti sul canape.
Luigi era assai pratico di queste abitudini e so-
vente ne approfittava. Non faceva in tempo a chiu-
dersi luscio dietro le spalle del signor Edmondo
che subito egli fermava per una mano Mirella che
girava per la stanza a sparecchiare i resti del pran-
zO: la fermava e poi, appoggiata la testa nel suo
grembo, lasciava scivolare le mani sotto le sottane,
su, fino all'attaccatura delle cosce tornite e calde.
Era anche questo un carezzare consueto, quasi un
piacere domenicale, come il pranzo, il cafte, il li-
quore e i dolci comprati alloffelleria Colombina
che egli offriva alla famiglia Caregón ogni dome-
nica, per sdebitarsi del pranzo.
Mirella, un poco per la paura che il padre tor-
nasse indietro improvvisamente, un poco per in-
genua civetteria si schermiva, allontanava le dita
di Luigi avvinghiate agli elastici del reggicalze:
« Le manine, quelle manine si tengono a casa
propria! » diceva, sporgendo le labbra in atteggia-
mento di infantile rimprovero. Ma solo poche vol-
te insisteva in questo rimprovero, in queste resi-
stenze. Di solito lasciava fare. E piú che al piacere
che avrebbe provato dopo ella si abbandonava con
grande voluttá all'estro delle mani di Luigi che pe-
netravano calde e formicolanti e, dopo un iniziale
rossore al volto, le procuravano quello che insieme
usavano chiamare ” la cocaina ”.
« Facciamo la cocaina, » le sussurrava in un orec-

21
chio Luigi quandola fidanzata era giá seduta sul-
le sue ginocchia; e questa parola, popolando d'im-
magini la fantasia, bastava perché Mirella si sen-
tisse percorsa da un fremito cosi violento che le la-
sciava le membra indolenzite come dopo un sonno
scomodo. Cosi, senza la forza di muoversi, con le
gambe e il ventre percorsi da quella curiosa e lan-
guida sensazione di elettricitá e di punture di spillo,
Mirella lasciava fare al fidanzato. Luigi conosceva
bene le zone deboli del corpo di lei e simile a un
orologiaio ne andava cercando con le dita o con
le labbra i punti piú segreti e imprevisti. :
Il giorno dei Morti i due fidanzati godevano di
una grande occasione: anche Mussia accompa-
gnava il marito nella consueta visita al cimitero ed
essi potevano cosi fare tutto con loro comodo, gio-
vandosi anche del letto dei genitori. Si spogliavano
un poco alla volta e Mirella andava a dipingersi il
viso e gli occhi con rossetto, bistri e matite perché
cosi piaceva a Luigi. E poi compariva nuda nella
cupa stanza di noce, dipinta come un'attrice o una
ballerina, le orecchie adorne di un paio di orec-
chini arabi di filigrana d'argento che tinnivano per
tutto il pomeriggio come due campanelli.
Durante sei anni di fidanzamento il giorno dei
Morti e Pamore nella camera buia tutta ingombra
di mobili lucidi e torniti, di specchiere e di arazzi,
trascorsero tranquilli fin dopo lP'imbrunire: quando
una vaga tristezza s'impadroniva dei due fidanzati
al punto da far diventare Mirella sempre piú in-
23
traprendente e fantasiosa come per cacciare Poscu-
ritá e la solitudine. Per tutto il pomeriggio non si
udiva alcun rumore in casa Caregón: solo il tin-
nire degli orecchini di lei, e, verso sera, l'acqua che
scorreva nel bagno. Ma un giorno si udi la porta
aprirsi silenziosa e la signora Mussia, che non ave-
va avuto voglia di seguire il marito al cimitero,
entró nella stanza dove stavano i due fidanzati.
In un primo momento la madre non si accorse
di nulla, poi accese la luce e vide Mirella sotto le
coltri, col capo rivolto alla finestra.
« Che fai, li» chiese con voce un poco ansiosa.
« M'ero buttata un momento, non sto bene, »
rispose Mirella senza voltarsi.
«Ma non potevi andare nel tuo letto? Eh,
scusa! »
Nella voce di Mussia era sparita quellPansia di
un momento prima; cosi aggiunse: « Avanti al-
zati », e avvicinatasi fece l'atto di sollevare le co-
perte. Mirella stava sempre col capo schiacciato
sul guanciale e guardava la finestra. Stando cos
coperta con le lenzuola si era intanto staccata eli
orecchini che aveva infilato tra i due materassi
odorosi di canfora.
« Adesso mi alzo, aspetta un momento. Tu in-
tanto vai di lá, » disse Mirella senza spostarsi.
«Anche nel mio letto, va,» seguitó nervosa-
mente Mussia girando dall'altro lato per meglio
scoprire Mirella. Quando fu nell'angolo scorse Lui-
gi nudo, appiattato tra lo scendiletto e il como-
26.
dino; indietreggió con le braccia alzate, stette cosl
un momento e, senza parole, gli sputó addosso con
disprezzo. Subito dopo si copri il viso con le mani
e con un mugolio leggero scivoló fuori dalla ca-
mera. Mirella la udi strappare il soprabito dall'at-
taccapanni, aprire e chiudere la porta dietro di sé.
I fidanzati si rivestirono con estrema pudicizia,
Luigi girato da una parte senza guardare Mirella.
<« Madonna santissima! Signore, Madonna, Ma-
donna, cosa faccio adesso? » diceva continuamente
Luigi sbagliando ad infilarsi 1 pantaloni.
Mirella aveva smesso di rivestirsi e in sottoveste
guardava il fidanzato che stava infilando i calzini
e seguendo lP'abitudine, dopo averli infilati, li arro-
tolava fino alla caviglia. Quei calzini a righe, da
banchetto di piazza, arrotolati su quelle gambe
magre, quasi ossee e di un biancore innaturale, la
infastidirono. Molte volte aveva visto Luigi nudo
e poi rivestirsi con quella lentezza affettata e mor-
bida, ma ora per la prima volta Mirella scopriva
quasi con freddezza quei particolari intimi dell'ab-
bigliamento di lui. I calzini arrotolati, le mutande
ricavate da una camicia vecchia che ricordava per-
fettamente, una camicia che avevano comprato in-
sieme a Venezia durante i primi anni del loro fi-
danzamento, a righe rosa; tutto ció la riempi di
una profonda quanto inafferrabile malinconia.
< Be”, ormai, cosa vuoi farci? Non c'é niente da
fare. »
« Ajutami tu! » continuava a pregare Luigi, ab-
27
bandonando i calzini che andava arrotolando con
assurda lentezza per giungere le mani e serrare le
dita in un gesto di supplica verso il cielo,
« lo? » chiese Mirella.
« Eh? macché tu! » riprese Luigi violentemente,
e fini di vestirsi con movimenti mutati, lenti e si-
curi. Ció che gli premeva piú di ogni altra cosa in
quel momento era di uscire da quella casa; Mi-
rella era come se non esistesse, anzi, vederla cosi
in sottoveste a non far niente e a guardarlo, lo ir-
ritava. Era stata lei la causa, pensava, e nello stes-
so tempo cercó di giustificare sé stesso e ogni suo
atto d'amore avvenuto durante quei sei anni di fi-
danzamento. Pensó che era una fannullona e che
la pigrizia e la noia delle sue giornate la porta-
vano a compiacere a fantasie erotiche e a desideri
che dopo sfogava con lui. Non ricordava piú, in-
fatti, chi dei due aveva cominciato a spingere i
rapporti sentimentali fino ai primi approcci del ses-
so, e non ricordando, gli veniva spontaneo di ad-
dossare la colpa a lei. Vederla cosi, ora, in sotto-
veste, in quell'atteggiamento a metá tra la lascivia
e la noia, gli venne di pensare a Mirella come a
una di quelle donne di cui gli avevano parlato i
compagni d'ufficio; e anche la stanza e quell'oscu-
ritá soffusa di un colore lilla stinto ai riverberi del
crepuscolo gli suggerivano eli squallidi ambienti
dove quelle donne abitano. Per fortuna egli non
aveva mai frequentato quelle case. Padre Virgilio
che era sempre stato il suo consigliere e confessore
28
Paveva preservato da simili esperienze; ed egli, ad
eccezione di alcuni frettolosi rapporti avuti con
una ragazza di campagna che veniva a fare le pu-
lizie in ufficio e che aveva provveduto a far allon-
tanare subito dopo, era giunto alla fidanzata quasi
vergine. Non volle tuttavia far capire questi pen-
sieri a Mirella e Paccarezzó e bació con lP'inten-
zione di infonderle sicurezza. Era una complice che
doveva tenersi buona, ora che tutto era stato sco-
perto. :
« Vengo via con te, vengo a stare con te e non
torno piú a casa, » disse allegramente Mirella. Non
che pensasse davvero a questa soluzione ma il pro-
porla le pareva opportuno, in certo modo e senza
avvedersene la sentiva romantica e ingenua in quel
momento.
« Per caritá, per carita tesoro, non facciamo stu-
pidaggini, eh? Me lo prometti vero? Ciao tesoro,
ciao, lo vado sai? Stai tranquilla, tutto si sistemera,
ci penserd io, faró tutto io, sai tesoro? »
Luigi parlava nervosamente e con una rapida
corsetta s'era avvicinato alla porta; laveva aperta,
aveva adocchiato velocemente -nelle scale buie e
ora andava lentamente accostandola come per spin-
gere indietro Mirella che intendeva seguirlo fino
al pianerottolo. Discese le scale in punta di piedi,
sempre piú tranquillo e sicuro di sé a mano a ma-
no che lPandrone scuro della casa dei Caregón si
allontanava.

29
USSIA si rinchiuse nel dolore: tornó a casa,
quella sera, con gli occhi gonfi e la voce fle-
bile, quasi sfiatata; al marito disse che era stata al
bridge, a Mirella parló con gentilezza esasperata
ed esangue. Non disse nulla della cosa al signor
Edmondo; ma nei giorni seguenti sí mostró com-
pletamente diversa dal solito. Quando il marito
non c'era evitava di parlare a Mirella o lo faceva
solo in casi assolutamente necessari. Abbandonato
il consueto atteggiamento autoritario e capriccioso,
ne aveva assunto un altro conforme a questa nuo-
va situazione: restava in casa per la piú parte del-
la giornata, nella sua stanza, e si faceva trovare da
Mirella seduta sul letto, nella penombra, a fissare
di lá dalla finestra le rondini che stridevano rin-
* chiuse nel giro di un volo entro il breve spazio del
cortiletto umido; con una mano carezzava la so-
vracoperta di seta, come abbandonata a ricordi o
a una grande malinconia; cosi come se avesse per-
duto una persona cara e ora nella solitudine della
31
stanza si trovasse a colloquio con lei. Quando Mi-
rella entrava nella camera e la chiamava, senza
voltarsi, lentamente ma recisamente accennava di
no col capo; e se la figlia le si avvicinava fin quasi
a toccarla, come per cercare una spiegazione, una
sfuriata, qualcosa che potesse metter fine a quella
situazione di disagio, Mussia si voltava di scatto
con gli occhi giá gonfi di lacrime, la guardava fis-
sa, allungando le mani avanti, come per intimare
che non la toccasse. Altre volte, subito dopo man-
giato, si metteva a dormire scomoda sul canape,
coperta solo da uno scialletto; e se Mirella ancora
le si accostava per stenderle sopra qualcosa, Mus-
sia rifiutava con un cenno reciso della mano e sem-
pre quella medesima lacrima che brillava negli oc-
chi; oppure si metteva a dormicchiare in una seg-
giolina nana di paglia accanto all'uscio della cu-
cina e di lá non si muoveva per l'intero pomerig-.
glo, in certi momenti crollando il capo davvero e
rischiando di cadere con la faccia avanti, presa da
un colpo di sonno pesante, profondo, tutt'altro che :
dissimulato.
« Nelle nuvole! pare di essere nelle nuvole in
questa casa!» si spazientiva certe volte il signor
Edmondo e non andava a cercare le ragioni di
quella improvvisa malinconia, di quelle scene di :
planto soffocato tra le mani, di: quelle corse in
camera e di quei rumorosi giri di chiave alla
porta. Era stato molto tempo in Africa, e an-
che dopo, quand'era ritornato, la sua vita coniu-
32
gale si riassumeva quasi interamente in curiositá
e piccole attenzioni meccaniche e superficiali. Vo-
leva sapere tutto di certe cose, con pedanti inter-
rogatori, dov'era andato a finire quel completo di
biancheria con le cifre, il mazzo delle bollette del
gas, quella guépiere pagata 150 franchi nel *29 a
Parigi. Ma non si interessava minimamente ai fatti
intimi della moglie, quali potessero essere e di qua-
le natura, sia perché stimava fossero provocati da
una sensualitá svanita e dalla mancanza di lusso,
sia perché s'era sempre fatto l'idea — e questo ave-
va determinato il matrimonio con Mussia nel suo
animo provinciale — che le donne russe fossero
tutte lunatiche.
Solo Mirella, e piú per intuizione che per espe-
rienza, conosceva la natura di quelle estrositá del-
la madre. E quantunque sapesse perfettamente che
erano tutte una messa in scena, lo stesso ne pativa.
Mirella sapeva anche che un bel giorno avrebbero
avuto il loro sfogo, che Mussia avrebbe finalmente
manifestato ció che desiderava; ma bisognava la-
sciarla stare, che decidesse lei il giorno e il mo-
mento. Era inutile che lei insistesse nell”accelerare
una soluzione del resto giá di per sé molto intri-
cata nella mente della madre: Mussia la allonta-
nava col solito gesto patetico della mano, guar-
dandola fissa cogli occhi lacrimosi seminascosti dal-
la gran massa di capelli ricci.
Luigi naturalmente non si era fatto piú vedere
in casa Caregón. Si incontravano, lui e Mirella,
33
nelle strade come nei primi tempi. La prima sera
Luigi aveva atteso la fidanzata con affanni e ansie,
per sentire cos'era successo; e si era scoperto a con-
tare i minuti all'langolo del portico come quan-
d'era innamorato sul serio; Mirella lo aveva tran-
quillizzato, ma lui non voleva saperne di tornare
in casa, si schermiva dicendo che aveva da fare,
che si era preso del lavoro per la sera, e che in
fondo era molto piú bello vedersi fuori e quasi di
nascosto, come nei primi tempi. Gli pareva infatti
di seguire le stesse tracce dell'inizio di quel fidan-
zamento, percorrevano le strade buie, i ponti, gli
argini del fiume, e qua e lá Luigi si fermava a ba-
ciarla. Ma non era tenerezza la sua, trovava piú
belli quei luoghi e quel vedersi furtivo solo per-
ché in quel modo evitava di tornare dai Caregón.
Per Mirella invece, che guardava Luigi stare si-
lenzioso e prenderle la mano, era veramente come
nei primi tempi: una dolcezza vaga e avventu-
rosa la riempiva di sensazioni e le faceva ancora
sognare un appartamento per loro due soli, in una
cittá sconosciuta piena di giardini pubblici, dove
Luigi Pavrebbe portata dopo il matrimonio. Fu
questo per Mirella il periodo piú bello del loro
fidanzamento, ma duró in tutto una settimana.
Mussia nel frattempo continuava in quella sua
ottusa commedia ostentando ogni giorno di piú un
dolore e un'amarezza tanto piú profondi, quan-
to in realtá inesistenti. Pensava che com'era succes-
so tante altre volte in passato, per mezzo di quel-
34
la commedia sarebbe riuscita ad ottenere ció che
voleva, e ció che voleva in quei giorni era il matri-
monio di Mirella. Cosi lontana dalla realtá, cosi
intestardita nel suo capriccio, non le passó mai per
la mente che Mirella, anche se avesse voluto, non
avrebbe potuto ottenere nulla di definitivo da Luigi.
Pure vagheggiava che la sua commedia in vesti di.
realtá potesse varcare la penombra di quella casa
e arrivare fino a Luigi, e commuoverlo, e colpirlo
o spaventarlo cosi da indurlo al matrimonio; certo
Mirella in quei furtivi appuntamenti serali, di cui
era a conoscenza, avrebbe parlato al fidanzato dello
strano comportamento della madre e Luigi, in qual-
che modo turbato da quel dolore sordo, discreto e
nascosto, avrebbe alla fine ceduto, per compassione
o per stima a lei non importava proprio niente,
e avrebbe fatto il suo dovere.
Dopo una settimana cosl trascorsa, una sera
Mussia attese che la figlia ritornasse dalla passeg-
giata decisa a chiederle qualcosa. La faccenda si
-«faceva lunga, lei aveva i suoi amici, le partite di
bridge e non intendeva fare la madre nobile e
afíranta per molto tempo ancora. Stava seduta sul
seggiolino di paglia e quando Mirella entró, tutta
fresca e felice per quei momenti di nebbiosa feli-
cita, la chiamó con voce sottile.
« Mirella? »
< SL, mamma? »
« Sento che Luigi questa volta ti sposerá. »
<« Non so, mamma. »

35
« Ma tu gliel'hai chiesto, » Mussia cominciava
a spazientirsi ma si frenava, « tu gliel'hai chiesto,
non é vero? in qualche modo gliel'hai fatto ca-
pire? »
«No mamma, gliel'ho gia chiesto tante volte, e
ormai, senti, non glielo chiedo pit. »
«Non gli hai detto?... Come! Non gli hai detto
in che stato si trova tua madre per la gran vergo-
gna? » :
« Ma finiscila mamma, tanto... »
Mussia avrebbe voluto alzarsi e schiaffeggiarla,
ma si trattenne. Lasciandosi andare agli impulsi
con Mirella non avrebbe combinato nulla. E in
quel momento vide chiaro nei suoi desideri, capi
che avrebbe fatto meglio ad agire lei; se avesse
aspettato Mirella che in fondo era una stupida,
non si sarebbe concluso mai nulla. Un vago senso
d'amore materno si mischió a sentimenti e pensieri,
senti come ur”onda di gioventú salirle al volto ram-
mentandole i tempi del suo fidanzamento. Si alzó
dalla seggiolina di vimini, andó in cucina a bere
un sorso di cafté, poi a mettersi in ordine i capelli.

Il giorno seguente Mussia si recó ad attendere


Luigi fuori dalPufficio. Quando la vide Luigi si
senti mancare le gambe: la vide avvicinarsi con la
pelliccia di castorino, il colbak e gli stivaletti, sor-
ridente e ben disposta, udi che gli diceva: « Buon
36
- giorno, signor Luigi, permette un momentino?
Avrei da parlarle. »
- Entrarono in un piccolo caffé. Mussia sorrideva -
dolcemente e appena si furono seduti gli prese la
mano e cominció a guardarlo negli occhi. Era la
prima volta che Luigi vedeva Mussia assumere nel
suol riguardi un simile atteggiamento; di solito la
gentilezza di lei era pettegola e interessata, negli
ultimi tempi perfino un poco sprezzante poiché, -
a suo giudizio, egli non si comportava come un uo-
mo. E se in un primo momento vederla cosl sorri-
dente e gentile l'laveva tranquillizzato facendogli
balenare la speranza che quel famoso giorno lei
non lo avesse riconosciuto, appiattato com'era sul
tappeto e con la testa quasi infilata nello spiraglio
troppo basso del letto, pure Tistinto gli suggeriva
di diffidare.
Mussia stette cosi, con la mano di Luigi nelle
sue per qualche tempo. E lo guardava con quel
sorriso che faceva pensare a quello di una monaca
in conversazione con una sorella comunicata da po-
co: la piccola bocca semiaperta lasciava intravve-
dere i denti aguzzi e scuriti dalla nicotina, le guance
coperte di una cipria farinosa e rosea che rilevava
le rughe e la peluria del mento si posavano sul-
Palto bavero di castoro depositandovi un'impronta
Chiara.
« Bravo Luigi, bravo... » comincióo Mussia sem-
pre fissandolo e tenendo la mano di lui chiusa co-
me in una scatola nelle sue.
37
Luigi non sapeva che fare, che dire, in quel mo- |
mento. Non che fosse imbarazzato, piuttosto im-
paurito di fronte a quella donna che si compor-
tava in modo cosi oscuro, dopo una situazione in
fondo cosi chiara. 1l primo timore che lo assali fu
quello di una denuncia. Mussia conosceva bene il
commissario di Pubblica Sicurezza e molta gente
della Questura coi quali giocava a bridge. Se
non per una denuncia avrebbe potuto comunque
servirsi di quella gente per una intimidazione, un
ammonimento nell'ufficio dove prestava servizio.
Pensó che era meglio mantenersi sulle generali, fa-
cendo finta di niente. Accelerando il ritmo dei pen-
sieri gli venne una grande idea: avrebbe potuto
anche negare di essere stato in camera con Mi-
rella quel pomeriggio, non c'erano testimoni. Que-
sta idea lo rinfrancó e dopo una pausa, rizzando
il busto e irrigidendo la mano chiusa in quelle di
Mussia, disse: <

« Perché signora? perche? »


La donna sorrise ancora, a lungo, senza smet-
tere di guardarlo.
« Perché Luigi? lei lo sa bene il perché. »
« Veramente signora... »
Mussia lo interruppe con una risatina nervosa.
Lasció la mano di lui e si mise a cercare qualche
cosa nella borsetta di cuoio algerino. « Ma Luigi,
lei mi giudica male, eh, altroché se mi giudica
male, » continuó sempre ridendo in sordina, « non
crederá che io sia come le donne di questa cittá!
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Fortunatamente non ci sono nata e sfortunatamente
mi tocca viverci. lo sono molto, molto diversa, io
odio questa cittá e tutti i suoi abitanti, anzi, guardi
cosa le dico: li metterei tutti insieme e farei un bel
faló. Qui doveva venire la rivoluzione, non in Rus-
sia!... No no, caro signor Luigi, lei puó ringraziare
il Signore di avere trovato me come mamma di
Mirella; donna spregiudicata, moderna grazie a
Dio, per caritá moderna in tutto questo vecchiume!
Cosa crede, signor Luigi? che mi scandalizzi per-
ché lei era... insieme con Mirella? Ma beati voi,
siete giovani, per quanto, e li é questione di sensi-
bilita, sarebbe stato di maggiore buon gusto sce-
gliere un altro luogo, non e vero? Eh? Be”, basta,
cosa fatta capo ha, non e di questo che son ve-
nuta a parlarle. »
« Mi dica, mi dica senza complimenti, signora... »
si affrettó a soggiungere Luigi intrecciando le dita.
« Ecco, si tratta del suo matrimonio con Mirella.
Ah! non si spaventi, gli uomini si spaventano sem-
pre quando si parla di matrimonio, mi lasci dire,
permetta un momentino, mi lasci parlare, sia ca-
valiere diamine! Si, proprio del matrimonio con
Mirella! No, permetta: io vorrel sapere cosa c'é
che non le va di Mirella, se c'é qualcosa me lo
dica subito e non se ne parli piú. Come vede, si-
'gnor Luigi, io so essere anche sbrigativa quando il
caso lo richiede. Cosa c'é che non le va. Guardi,
no, aspetti un momentino, non mi dica che io le
faccio i conti in tasca, per me lei é come un figlio,
% 39
A
,sei anni di fidanzamento, figuriamoci, ma non mi
dica che € per la questione finanziaria, non me
lo dica; io so cosa lei guadagna, signor Luigi, non
e molto, ma non é neppure poco. Ora che vi cono-
scete, vi conoscete bene e vi piacete io vi faccio
una proposta, la faccio io a lei perché e giusto che
sia io a fargliela: perché non vi sposate e venite ad
abitare in casa? C'é una bella stanza da letto, noi
vi daremo la nostra; c'é tutto, la casa e signorile,
lei non avrebbe bisogno di abitare ancora con suo
fratello che in fondo ha anche lui la sua famislia...
Ho capito, ho capito... permetta signor Luigi, ho
giá capito, eh! non mi ci vuole mica molto sa, a
capire, io capisco a volo ormai, perché come intui-
- zione bisogna lasciarmi stare. Lei mi dice: siamo
ancora giovani. No, signor Luigi, guardi, faccia
bene i conti: Mirella ha ventitré anni e lei ne ha
ventisel, non mi dirá che siete troppo giovani! Mi-
rella é piú che in etá per sposarsi, io, vede, mi sono
sposata a diciott'anni... ma non voglio dire, capisco
che adesso é ben diverso da una volta, i tempi sono
cambiati, ma ventisei e ventitré sono le etá ideali.
Niente da eccepire. E dunque? Non le piace piú
Mirella?... in questo caso la faccenda é ur'altra,
sia franco e me lo dica subito... io ho voluto ve-
derla, signor Luigi, apposta per venirle incontro... »
A questo punto, per prendere respiro, Mussiasi
fermó abbandonandosi sulla seggiolina di vimini;
ma con il viso proteso e attento, le mani abbando-
nate congiunte allora allora sulla borsetta algerina,
40
come per attendere una sollecita risposta dal fi-
-danzato. Varie volte Luigi aveya tentato di inter-
romperla, nervosamente, come se volesse prevenire,
egli stesso, con un altro lungo discorso simile a
quello di lei, le ragioni che Mussia stava in quegli -
istanti mettendo in tavola; altre volte aveva an-
nuito, altre negato con movimenti veloci del capo
o del dito che scuoteva da una parte alPaitra in-
sieme alla testa, vibrando tutto, come interior-
mente, di queste energiche e solitarie negazioni.
« Permette, signora, che adesso parli io? » si af-
frettó a dire, ma quando Mussia gli rispose: « Eh,
certo! io ho gia parlato abbastanza », Luigi senti
le argomentazioni che aveva gia belle pronte sulle
labbra e sulla lingua svanirgli d'un tratto. Tutto
ció che avrebbe potuto dire a sua difesa era costi-
tuito da quelle ragioni di cui Mussia un attimo pri-
ma aveva parlato, liquidandole con tanta chiarezza.
La voce gli divenne piú debole, senti che saliva
dal petto senza passare dalla mente dove non avreb-
be potuto attingere che una grande confusione fat-
ta di paura, di dispetto e di conformismo. Ma
lasció fare alla voce che aveva un tono calmo,
dimesso e soprattutto molto rispettoso.
« Prima di tutto, signora Mussia, lei mi parla
come se lo dovessi prendere una decisione cosi, su
due piedi. E io le dico che una decisione, cosi, in
questo caffé, non mi sento di prenderla: ma le pa-
re? ll matrimonio é una cosa seria, una decisione
importante, bisogna rifletterci, non ne conviene?
41
é una meta nella vita, é un passo che si fa una
volta sola e per sempre. lo, di carattere, non sono
come lei un impulsivo; il mio lavoro stesso mi ha
abituato a pensare bene alle cose, a stare attento
agli sbagli, perche, signora Mussia, gli sbagli si
pagano salati salati e lo so bene io, che nel mio
lavoro ho fatto tutto da me, con la passione, la te-
nacia, llamore al dovere. É una cosa seria... é una
cosa molto seria perche... »
« Andiamo, andiamo signor Luigi, cosa mi viene
a raccontare! una cosa seria! Lo so anch'io che €
una cosa seria, ma non esageriamo adesso, con la
prudenza. E poi, insomma, diciamolo cosi en pas-
sant... non e poi una cosa tanto seria, é una cosa
come tutte le altre. Anzi, guardi cosa le dico: €
molto piú bello, e il piú delle volte ben riuscito,
un matrimonio fatto cosi, di furia, tra due persone
che si vogliono veramente bene e si desiderano co-
me voi due, che un matrimonio tutto preparato
e senza imprevistl... »
«Ah no! no e no. Non sono d'accordo con lei,
signora Mussia, non sono affatto d'accordo, » la
interruppe questa volta Luigi sempre negando col
capo e col dito duro e secco che sferzava Varia.
« María Vergine! un matrimonio cosi é un matri-
monio che va subito in malora! lo no, io no cer-
tamente... >
« Ma voi vi desiderate non é vero? »
« Ah s1, per quello tanto. »
« E allora siate felici, suvvia! »
42
-

« Ah, no, no, signora Mussia, io desidero Ma


- dopo il matrimonio. »
« Ma anche prima del matrimonio l'ha deside-
rata! >»
« Come, prima, signora Mussia? »
« Prima! »
« Certo anche prima... ma meglio di tutto €
aspettare il matrimonio. »
«Ma voi non lPavete aspettato 1l matrimonio. »
« Ma TPaspetteremo. »
« SL in camera mia, Paspettate! »
« Come dice, signora Mussia? »
«Si! >»
« Come si, signora Mussia? »
« Avanti, signor Luigi, per piacere... »
Giunta a questo punto Mussia aveva preso a
tamburellare con le dita sulla borsetta algerina ful-
minando con lo sguardo Luigi. Ma il fidanzato,
lasciando alla mercé delle labbra le proprie con-
vinzioni e Vatteggiamento da assumere, s'era or-
mai quasi convinto nel corso dell'agitata conversa-
zione che la cosa migliore sarebbe stata quella di
negare ció che era successo quel famoso giorno. La
soluzione, ora che si trovava alle strette, gli era ap-
parsa fulminea; negando i suoi rapporti intimi con
Mirella, egli, come prima cosa, si sarebbe trovato
al di fuori di ogni responsabilitá; e come tale non
avrebbe avuto alcun obbligo verso di lei, meno di
tutti quello di sposarla; negando egli avrebbe
messo in grave imbarazzo la futura suocera che
43
si era fatta forte ed era giunta al punto di par-
largli di matrimonio proprio per questa ragione.
Decise quindi che avrebbe fatto l'indiano; se poi
Mussia avesse insistito nel dire che quel giorno
era stato trovato in camera con Mirella, due sa-
rebbero stati gli atteggiamenti da prendere: quel-
lo di insistere nel dire di no, ma bonariamente,
ironicamente, come per farle capire che non sa-
rebbe approdata a nulla per la mancanza di te-
stimoni; oppure quello di approfondire questa ac-
cusa di lei, e starci sopra minuziosamente e quin-
di stupirsi, indignarsi e divenire offensivo verso
Mirella che era stata trovata in camera, evidente-
mente, con un altro uomo. Decise di tentare la pri-
ma soluzione, limitandosi a negare; se pol Mussia
avesse insistito avrebbe dovuto usare della seconda
— soluzione di sicurezza — che Pobbligava peró a
rompere definitivamente il fidanzamento. Per un at-
timo gli balenó nella mente che Mussia sarebbe po-
tuta ricorrere anche a dei confronti, ma si rassicuró
subito scartando anche questo pericolo: Mirella era
pur sempre innamorata, non avrebbe mai creduto
che proprio lui, persona seria e uomo forte come
s'era sempre dimostrato, l'avesse accusata di una
cosa simile. Senza dubbio avrebbe rifiutato ogni
confronto rigettando l'iniziativa e la bruttura di
una simile accusa piuttosto sulla madre che su di
lui. Rincuorato da queste riflessioni che s'erano an-
date susseguendo nello spazio di pochi secondi
fredde e cristalline come un'equazione, eresse il
24
busto e il capo stringendo le labbra nella posa
che usava assumere in ufficio con il dattilografo:
«Senta signora Mussia, la prego di spiegarsi
meglio! »
« Ma come, spiegarsi meglio, ma come? andia-
mo, sia almeno gentiluomo! »
«O bella! ma si puó sapere cosa vuole? toh! »
« Ma se lo sa meglio di me, non mi faccia dire...
non mi faccia dire una parola volgare, ma questa
volta... » Mussia pronunció una imprecazione.
« Belle parole, dice! »
« Affari miei, lei pensi piuttosto a fare il suo do-
vere. Ma cosa crede? Ma fa anche finta di non
capire? Dopo che ha approfittato di Mirella che
é ancora una bambina! Ma io, sa, non sono niica
una bambina, lo sa che potrei anche denunciarla?
E se la denuncio la mettono in galera e buttano
via la chiave, lo sa lei, caro il mio signor Luigi? »
« lo ho approfittato di Mirella?! Ma lel e matta,
mi scusi, cara signora Mussia! Ah, che bella fan-
tasia! Ma sa che lei dovrebbe scrivere dei ro-
manzi? »
« Guardi sa, come si permette? Dopo che l'ho
vista io con i miei occhi, ha ancora il coraggio... »
« Chi ha visto? ma mi faccia il piacere, le scriva
nei romanzi queste cose, che fará i milioni! Ma
guarda se e bello che una mamma... »
Luigi si alzó dal seggiolino di vimini e si avvió
precipitosamente verso l'uscita dopo aver salutato
la donna con un secco: « Buongiorno ».
4)
Anche la madre si era alzata ed era uscita un .
momento dopo di lui. Fece una corsetta, con quel
suo andare finto delicato e sfarfallante, storcendo
eli alti tacchi degli stivaletti.
« Aspetti un momento! » chiamó con voce stri-
dula e cosi correndo giunse ad affterrarlo per un
braccio. Luigi seguitó ad avanzare a lunghi passi
senza badarle, dondolante come se camminasse sul-
la punta dei piedi, il busto eretto e la fronte alta.
Mussia cerco di tirarlo per la manica e lasció an-
dare uno schiaffo con la mano libera. Ma anche
questo schiaffo lanciato in direzione della guancia
del fidanzato cadde invece tra la nuca e Porecchio
in modo gofto. Un momento Luigi fu per voltarsi
con il pugno chiuso, nell'attitudine di un ragazzo
svergognato davanti a tutti, un'espressione aggres-
siva ed ottusa negli occhi; ma subito prosegui con
una smorfia di disprezzo infilandosi a rapidi passi
tra le biciclette che passavano scampanellando.

46
I GIORNI che seguirono al colloquio con Mussia,
Luigi li passo in agitazione: si sentiva come tor-
turato da una serie di scrupoli vari e turbolenti
verso se stesso, certe volte gli pareva che lo assalisse
la febbre al solo pensiero della futura suocera. Ep-
pure, pensava riscaldandosi, lei non avrebbe potuto
provare in nessuno, nessunissimo modo che lui si
trovava insieme a Mirella il 2 novembre! Come
avrebbe fatto? Mirella non lPavrebbe ammesso
neanche a morirne, e allora? Che ragione c'era di
preoccuparsi? E poi alla fine, anche ammesso che
tutto fosse stato scoperto, che Mirella stessa fosse
portata a confessare, che tutto, tutto, anche eli atti
piú intimi, nascosti e sconci venissero in luce in
qualche modo (impossibile! ma mettiamo pure),
era questa una ragione per sentirsi vittima di quelle
agitazioni? La salute sopra ogni cosa, non e la fine
del mondo, é passata anche a Napoleone, tutto €
relativo, fuori il dente fuori il dolore — cosi ragio-
nava Luigi. E lo stesso l'agitazione, lenta e pene-
47
- , trante come un tarlo, non lo lasciava quieto, a poco
eS
a poco senza che egli se ne accorgesse si trasfor-
mava in paura. La sicurezza iniziale sorta dal fat-
to di essere stato lui a possedere Mirella come un
gran conquistatore e non Mirella lui, ora andava
scomparendo: e cominciava piuttosto a credere che
fosse stata Mirella, furba, furbissima, a indurlo in
tentazione e a far peccato. E dunque non c'erano
fidanzati che se la godevano con la fidanzata? Ma
pieno il mondo! E lo stesso, al pensiero delle pa-
role di Mussia, quella maledetta sera, in quel ma-
ledetto cafté che mai piú avrebbe voluto rivedere
in vita sua, si sentiva preso da un turbamento cosi
forte che gli sudavano le mani e certe volte tre-
mava. E la paura, per Luigi che era un contabile
pieno di zelo, prendeva forma immediatamente in
conseguenze pratiche, in sospetti, in supposizioni.
Prima di tutto le conoscenze di Mussia: ora che
alcuni giorni erano passati da quel suo incontro e
la paura aveva ingigantito agli occhi di Luigi per-
fino 1 soliti, mansueti passanti di quella cittá di
provincia, gli pareva di averle sottovalutate, non
considerate abbastanza; si, era vero, lei era una
pazza, una donna che un tempo ne aveva fatte
di tutti i colori in societá, ma appunto, appunto
per questo: se, per esempio, il commissario di
Pubblica Sicurezza e quell'alto impiegato della
Confindustria che Mussia nominava cosi spesso con
civetteria avevano avuto dei rapporti intimi con
lei, tanto piú intima era dunque lPamicizia, visto
48
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28

che durava ancora, e la confidenza. Essi non avreb-


bero potuto negarle un favore. E Mussia, un poco
per quella storia della Russia e del suo sangue eso-
tico, caldo e vendicativo, che tanto era andata
sbandierando, senza dirlo, al vari uomini con i qua-
li era appena appena in confidenza, un poco per
intimidazione o minaccia, ne avrebbe certamente
approfittato.
Luigi esaminava allora la sua coscienza con scru-
polo, nel caso avesse dovuto intervenire una di
queste due personalitá: il commissario di Pubblica
Sicurezza e Palto impiegato della Confindustria.
Quanto al primo non avrebbe avuto niente da tro-
var fuori: la sua fedina penale era pulita, eeli
non aveva mai avuto a che fare con la polizia.
Cosi gli suggeriva ottimisticamente la coscienza,
ma la coscienza di Luigi era qualcosa di molto
impreciso, qualcosa che stava un poco al di qua e
un poco al di lá di essa: un falso moralismo, quasi
mistico e quasi pratico, dove la moralitá veniva
applicata assal severamente agli altri ed in nessuna
misura a se stesso; per cui le risposte a questi in-
terrogativi interiori erano sempre fluide, nebulose,
imprecise ed egli finiva per dare sempre ragione a
se stesso e all'ottimismo di cui le sue riflessioni
erano intessute. Qualcosa c'era, infatti, di cui il
commissario avrebbe potuto occuparsi: ed era quel-
la falsa testimonianza, fatta subito dopo la guerra,
quando aveva sedici anni, in una causa per adul-
terio e corruzione di minorenne. Áveva testimo-
49
-——niato in favore di un suo zio raccontando una
- scena d'amore di cui era stato partecipe insieme
alla moglie di costui. Tutti ne erano rimasti molto
impressionati ad eccezione solo di quel commissa-
rio di Pubblica Sicurezza, primo fra tutti a consi-
eliare di citarlo come testimone.
Falsa testimonianza. Ma chi poteva esserne al
_corrente se non Luigi stesso e con molti dubbi?
Erano passati alcuni anni, Luigi ricordava con
molto poca chiarezza e ormai era convinto di aver
detto il vero. Quindi, alla fine, non lo sapeva nes-
suno. E poi erano cose vecchie, la Giustizia
“si dá da fare per questioni di attualita e le altre,
le questioni sospese, piú invecchiano e piú le tra-
lascia. In ogni modo, fosse anche successo, nel
piú disperato dei casi, una revisione, qualcosa,
a nulla sarebbe potuta approdare neppure la
Giustizia: perche la Giustizia é fatta di uomini e
non e detto che questi uomini siano piú furbi di
lui. Gia a questo punto le preoccupazioni di Luigi
si schiarivano, egli giá sorrideva a questi assalti di
'“assurdo timore, e li per li andava inventando o co-
- munque formulando tra fantasia e realtá come si
sarebbe concluso un caso cosi ridicolo, ormai, co-
me la revisione del processo a quella buona donna
di sua zia. Sapeva di possedere di lei particolari
cos1 intimi, che aveva spiato da ogni dove: attra-
=verso la vetrofania non perfettamente opaca della
Fe

toletta, tante, tante prove a piacere; avrebbe ot-


tenuto un altro successo certamente superiore a
50
- quello, dilettantesco in fondo, di quand'era ra-
gazzo. 11 commissario di Pubblica Sicurezza era
quindi da escludersi. Ma il sorriso di Luigi, ulti-
mata questa prima perlustrazione, divenne ancora
una volta tremore quando si trattó di affrontare
intimamente VPaltra conoscenza di Mussia: Fuzzi,
Pimpiegato della Confindustria, era una faccenda
ben diversa; mentre nel caso del commissario si
trattava di una grana che avrebbe richiamato P'in-
tervento di piú persone e si sarebbe giunti in pre-
senza della Giustizia, organo quanto mal rappre-
sentativo, secondo Luigi, della decadenza, della
corruzione, e al fondo, della fesseria umana, in
questo si trattava invece di venire a confronto con
una persona sola, un alto e .presuntuoso impie-
gato. E qui non esistevano scappatoie: o Fuzzi
era dalla parte sua o da quella di Mussia; e in que-
st'ultima malaugurata ipotesi ci sarebbe stato ben
poco da fare, pochissimo, e anche questo poco con
scarse probabilitá di riuscita.
Luigi conosceva bene Fuzzi, figuriamoci, era
niente po” po” di meno che il cognato del suo di-
rettore. Come avrebbe potuto difendersi da lui?
O muovendo subito alcune pedine, del resto deboli,
del reparto direttivo e del circolo del bridge, che
avessero parlato bene di lui, che lo avessero pre-
- sentato, invitato a una festa, a una gita in automo-
bile (Luigi si sentiva giá disposto a pagare qual-="
cosa, ma non molto); oppure, attraverso queste
stesse pedine, informarsi con una certa minuzia sul-
51
la vita intima di Fuzzi e sulle sue inevitabili pec-
che. Che la vita intima di Fuzzi avesse delle pec-
che, su questo Luigi era pronto a metterci la te-
sta: ció di cui era maggiormente persuaso, pe-
scando nel cumulo degli insegnamenti cattolici ri-
cevuti, era la presenza costante del peccato: e
se avevano peccato i Santi, tanto piú dovevano pec-
care, e reiteratamente, gli uomini; e cosi doveva
aver peccato, e reiteratamente, anche Fuzzi, che
non era certo, tra gli uomini, uno stinco di santo.
Oh Dio! certo, un'altra soluzione era possibile,
forse la piú facile, comunque la piú diretta per
eliminare i suoi dubbi.
Tra amici, trattandosi di sedurre una ragazza
figlia di una madre non vecchia, c'era l'uso di di-
re: prima, se ci sai fare, ti porti a letto la vecchia,
e cosl, con la pazienza, prepari il terreno per la
figlia. Luigi non rigettava simili possibilita, anzi
nei suoi sogni di seduzione questo sistema ricorreva
molto spesso: vagheggiava appunto di sedurre in
questo modo madri belle e figlie bellissime, in un
gluoco di civetterie e di gelosie nelle quali egli si
sarebbe trovato nel mezzo, conteso e idolatrato. E
come diceva il suo collega Perosi, con il quale a
volte, velatamente e creando confusioni e prudenti
scambi di persona, si confidava, egli avrebbe po-
tuto risolvere la situazione sua appunto in quel
modo: facendo innamorare Mussia. Ció sarebbe
bastato per evitare ogni guaio e anzi per dargli
modo di ritornare in casa Caregón con maggiore
52
libertá di prima: vantando dei diritti di cui avreb-
be potuto servirsi minacciando Mussia di ridicolo,
egli avrebbe usato di Mirella a suo agio, senza
tante storie e scandali, magari proprio in casa, in
camera matrimoniale e col tacito consenso della
madre innamorata. Ma a questa soluzione, del re-
sto tutta fantastica, Luigi, per ora, non intendeva
pensarci: gli bastava che esistesse e solo questo
fatto era gia di per sé una garanzia, un altro modo
di far fronte alle minacce della futura suocera.
Preso dunque da queste paure e problemi, Luigi.
non si fece vedere da Mirella per una settimana.
Avendo simulato con lei fin dall'inizio del loro
fidanzamento una natura forte ma estrosa, sog-
getta a capricci di donne e di amori extra, non le
aveva neppure telefonato. Nei primi tempi que-
sta simulazione gli aveva fruttato un attaccamento
morboso di Mirella che era ancora una bambina
e inesperta, ed egli se n'era servito per sedurla con
maggiore facilitá una sera, nella toletta di un
ballo pubblico, piú soddisfatto di sé e della sua
abilitáa del momento che di quel candido e pate-
tico atto d'amore. Ma coll'andare degli anni Mi-
rella aveva intuito che quelle assenze, quel far ri-
spondere al telefono dal fattorino d'ufficio che il
dottor Luigi si trovava fuori cittá erano tutte cose
-innocue e senza misteri. Luigi, tante donne non ne
poteva avere, sia per il magro stipendio, sia per
quei suoi modi un po” troppo caricati e pieni di sé.
Insomma aveva intuito che Luigi non piaceva mol-
33
to alle donne, specie in quella cittadina dove le ra-
gazze svelte e volitive si abbandonano di solito a
due sole forme di seduzione: il matrimonio, o un
gran bellluomo di passaggio provvisto di un'auto-
- mobile. E dal momento che Luigi non era e non
-rappresentava né Puno ne lPaltro, Mirella ormai si
riteneva abbastanza tranquilla; ma siccome era
_innamorata, pur sapendo che di amanti Luigi non
- ne aveva, lo stesso era gelosa di quei suoi lunghi
e indifferenti silenzi. E per non perderlo, per non
farlo arrabbiare, non gli diceva mai nulla, quando
si vedevano, e lasciava che Luigi si abbandonasse
a quei sorrisi misteriosi e nascosti, a quel suo fare
paterno ed affettuoso: anzi, senza volerlo, o quasi,
lo aiutava a complacersene.
«Dammi la tua parola che non c'é stata nes-
suna donna in questi giorni, » piagnucolava Mirei-
la, «ti prego, dammi la parola d'onore. Giura... »
«Ma giuro, giuro quello che vuoi bambina, »
rispondeva il fidanzato con un mezzo sorriso.
« Percheé sorridi? allora vuol dire... »
<« Ma non ho sorriso, non vedere fantasmi dove
non ci sono!» si lasciava andare Luigi, quasi re-
torico ed annoiato. Allora Mirella si innervosiva
o lasciava scorrere due grandi lacrime limpide co-
me Pacqua e come questa indolori, perchée Luigi
la consolasse da quel bugiardo, donnaiolo che era.
E Luigi, da quel donnaiolo che non era mai stato,
tale peró si credeva per merito di Mirella e di
quei suoi pianti. Cosi, mezzo vero e mezzo falso
321
perché da falso riusciva a diventar vero, Luigile
concedeva per quella sera un amore tutto baci,
carezze e diminutivi e promesse a non finire.
Luigi dunque non si fece vedere da Mirella per
una settimana. Quella solita settimana che molti.
fidanzati stimano risolutiva di uno stato di ten-
sione creatosi da un piccolo litigio, da una bugia,
da un equivoco, da un tradimento. Una settima-
na: in una settimana, durante sette giorni le cose.
si chiariranno, si fará la prova se uno dei due sa-*
prá vivere senza l'altro; e invece ognuno dei due
sa che, pur potendo, in linea di massima, vivere
senza lPaltro, é tuttavia comodo non farlo; ognuno
dei due sa, tacitamente, che provocando quel sette
glorni di solitudine o di astinenza, dopo, il ritro-
varsi sará come se per un istante si fossero lasciati
per sempre: i dispettucci, il litigio, la bugia, P'equi-
voco, il tradimento non commesso si chiariramno -
come d'incanto al primo bacio o al primo am-
plesso, non per la forza d'amore di questi ma per
il digiuno patito durante la settimana.
E dopo quella solita settimana, quel periodo di
digiuno, questa volta fu Luigi a farsi vivo con Mi-.
rella; ma al contrario del solito non per un ritorno
di appetiti, non per porre fine a quei giorni d'asti-
nenza ch'egli usáva di solito far credere periodo
- pieno di avventure inenarrabili, ma solo perché
quel silenzio della fidanzata, anche quello lo ren-
deva dubbioso, anche quello era un sospetto in piú, -
che si univa agli altri gia preoccupanti e molesti.
39
Mirella di solito era lei, durante la settimana,
a telefonargli, a proporre un abboccamento. Que-
sta volta, invece, non una telefonata, un biglietto,
nulla. Era un fatto strano, mai successo in sel anni
di fidanzamento.
Che fosse ammalata? Partita? Cos'era successo?
Luigi si informó servendosi del fattorino che abi-
tava non lontano dalla casa della fidanzata. Il fat-
torino suonó il campanello, si aftacció al portone
in modo da udire dall'alto delle scale il « chi é? »
di Mirella, poi, a passi rapidissimi, s'era allonta-
nato.
Dunque Mirella era in casa e non si era fatta
viva. Avrebbe potuto telefonare egli stesso, farla
chiamare al telefono dagli inquilini di sotto, i Bom-
bardini, ma gli seccava, gli pareva macchinoso e
controproducente: sarebbe stata la prima volta e
specie dopo sette giorni di distacco significava che
era lui ad avere intenzione di farsi avanti. Certo
peró era molto strano quel silenzio di Mirella!
Certo, se non era ammalata, se non era partita,
se tutto in casa di lei procedeva normale come da
anni, questo silenzio poteva significare soltanto una
cosa: che quella schifosa Mussia aveva detto tutto
alla figlia, aveva riferito per filo e per segno il col-
loquio avuto con lui, la sua posizione decisamente
negativa quando si era trattato di ammettere con
lealtá quella certa cosa, le sue intenzioni di non
sposarla e perfino 1 sospetti che Mirella fosse stata
a letto con un altro il 2 novembre. Oppure, sem-
56
plicemente, che Mirella era stufa di lui e non ne
voleva piú sapere.
Ma quest'ultima ipotesi altrettanto semplicemen-
te era impossibile, assurda, inconcepibile dato il
grande amore, provato con fatti alla mano, di Mi-
rella per lui. Anche questo dubbio, che Mussia
avesse rivelato ogni cosa alla figlia, ma quel ch'era
piú importante che Mirella avesse creduto alla ma-
dre piuttosto che a lui, lo sballottava da momenti
di estrema eccitabilitá ad uno stato di patetica pro-
strazione. Vi rifletteva e si pentiva fino in fondo
all'anima di essere stato cosi sicuro di sé al mo-
mento del colloquio con Mussia. Allora avrebbe
glurato che quand'anche la madre avesse rivelato
ogni cosa a Mirella, questa si sarebbe indignata
contro di lei. E invece, ecco qua che i fatti pare-
vano dimostrare il contrario. Mirella, evidente-
- mente nauseata, piena di disprezzo per il suo com-
portamento, aveva deciso di lasciarlo, di abbando-
narlo su due piedi, senza spiegazioni, senza un bi-
elietto, nulla, come un cane.
Quanto si sentiva infelice! Avrebbe dato tutto
in quel momento purché Mirella gli fosse stata vi-
cino: in fondo, chi altri era, se non lei, Poggetto
di tutta quella intricata vicenda? E se Mirella eli
fosse stata vicina ben piú facilmente e in posizione
-vantaggiosa egli avrebbe potuto far fronte alle ac-
cuse, alle minacce, alle vendette della madre. So-
lo attraverso Mirella e con la sua innocente allean-
za Luigi si sentiva disposto a intraprendere tutti
57
” 0 ¡a e
O RD at

quei raggiri difensivi intorno ai quali andava ra-.


gionando da una settimana. Perché, se avesse avu-
to anche lei contro e magari come testimone ta-
cita e dignitosa, la situazione sarebbe diventata, da
grave, ancora piú grave. Non un biglietto, non una
- telefonata, proprio nulla, oh Dio! cosa doveva fare?
Ma un dubbio gli restava, un dubbio cosi pene-
trante da confinare con la veritá: che Mirella, pur
avendo saputo ogni cosa, pure nella nausea, nel d1-
sprezzo, nel dolore, nell'indignazione, lo amasse an-
cora un poco, un pochino, di quelllamore che era
stato tutto il suo fidanzamento con Luigi: e fosse
ancora attaccata a lui, almeno nei sensi. Su que-
stfultima considerazione, ancora una volta sicuro
di se, Luigi tiró il primo, lungo sospiro di sollievo.
E, órmai quasi certo che in questo dubbio, il piú
semplice e ovvio, il vero uovo di Colombo, si ce-
lasse la risoluzione, decise di telefonare egli stesso
a Mirella. Corse a chiudersi nella cabina delle in-
tercomunali tutta foderata di plastica verde, e qua-
si contento, ora, di se stesso e di quel gran conci-
liatore ch'era in ogni caso il telefono, formo il nu-
mero dei signori Bombardini.

58
NE frattempo Mussia si trovava anch'essa in.
preda a grandi perplessitá. Al contrario di
Luigi la madre, subito dopo il colloquio di quella
sera, si sentiva assai soddisfatta: lei il suo dovere
Paveva compiuto, piú di cosi non poteva fare. E se
non c'era lei, chi altro avrebbe messo alle strette
quel pigrone di Luigi, chi avrebbe pensato mai di
avvertirlo, che era tempo, che gli anni passano e la
carne invecchia, che anche Mirella, ora sarebbe
stata una sposa giovane, desiderabile, eccitante e
prediletta, ma tra un anno, due, chissa? La sua
era un'etá in un certo modo critica, Mussia era
del parere che se non si fosse sposata presto avreb-
be finito, come tante poverette, per abbandonarsi
a quel torpore, a quella pazienza passiva che pre-
lude l'isterismo delle zitelle. E col torpore sarebbe
-sopraggiunta una certa adipositá a fior di pelle, un
pallore costante e gallinaceo, un afflosciamento del
seno, del collo e della gola, uno spegnersi degli oc-
chi, cosi vivaci, azzurri e giovanili nella tepida e

IN
sonnolenta brace di un desiderio piú sognato alla
lontana che stuzzicato da vicino. Era ora, le ci vo-
leva assolutamente un marito! Prima di tutto per
ragioni fisiche, proprio per tener su la pelle, il se-
no, la sveltezza delle gambe, l'espressione degli oc-
chi; poi per renderla attiva, che se non ci fosse sta-
to il marito Mirella avrebbe finito per appisolarsi
in una quiete casalinga fatta di libri di Liala, di
lavoretti a ferri e ad uncinetto, di ore perse alla
radio e a letto, a farsi le unghie o a poltrire; e poi
avrebbe finito col non leggere piú nemmeno Liala,
con lP'abbandonare a meta i lavoretti a ferri, con
lPannoiarsi davanti alla radio aperta e lasciarsi le
unghie nere e in disordine. Insomma avrebbe fi-
nito per diventare una fpatatona come la figlia del
Bombardini ch'era stata una bellezza e che pro-
prio per aver perduto un fidanzato, un poco per
la vergogna, un poco per la rabbia e l'avvilimento,
aveva perso la Fede e s'era attaccata alle sottane
della madre come una deficiente.
Mussia di queste cose aveva parlato anche a
Elide, la sorellastra, che a trentacinque anni e non
ancora sposata doveva ben avere una certa pra-
tica. Ma Elide era tutt'altra cosa, lei aveva trovato
la forza di reagire, si era subito occupata presso
un avvocato ed era rimasta un bel pezzo di donna
alto e sodo; e poi, poi si interessava molto di po-
litica. In ogni caso Elide, anche lei, aveva detto
che per Mirella occorreva subito un marito, ma il
piú presto possibile.
60
8 AS AAA E do ”. 1 Í _ hr

Queste erano ragioni varie, di ordine quasi igie- ”


nico, che Mussia si prospettava. Ma la ragione
piú importante, naturalmente, era di carattere eco-
nomico. Che, se Mirella avesse portato in casa un
marito a settantamila mensili, un mensile davvero
onorevole, lei, Mussia, avrebbe cominciato da quel
momento a respirare. Ormai per andare avanti la
povera Mussia era costretta a fare 1 salti mortali;
il signor Edmondo, il magro stipendio lo dava e
non lo dava in casa, certe volte era capace di spen-
dere anche cinque o sei mila lire di legno compen-
sato per quella sua mania del traforo. Appena ap-
pena riuscivano a condurre una vita ai confini con
la poverta e lui spendeva i soldi in legno compen-
sato! E fortuna che lei al bridge vinceva sempre, -
-grazie alla sua abilitá, e quelle vincite le metteva
nel bilancio familiare e nei vestiti. Ma se non fos-
se stato cosi, se un bel giorno la fortuna l'avesse
abbandonata? Mah! Ci voleva assolutamente un
marito per Mirella: e quel marito, dal momento
che Mirella era fidanzata da sei anni, non poteva
essere che Luigi.
A Mussia non importava proprio niente di aver-
li trovati a letto insieme; sapeva bene che un con-
tatto ogni tanto, nascosto, pieno di paure e di an-
sie, non era certo quello che avrebbe compro-
messo il matrimonio: anzi, era ció che occorreva
per tenere Luigi sempre in istato di tensione, per
creargli un'abitudine sessuale cosi fatta che, solo
che gli toccasse, magari di notte, pensare un mo-
61
mento ETA questo pensiero non fosse AR
giunto dallimmagine del corpo di Mirella; e sul
córpo di Mirella, sulle forme, sulla carne, Al de-
siderio, Mussia, avendola fatta lei, non aveva dub-
bi di nessuna specie.
Ma cos'era che non si faceva vedere questo per-
maloso d'un Luigi? Passa un giorno, ne passan due,
tre, quattro, cinque, Mussia cominciava a preoccu-
/ parsi, a temere che Luigi se la fosse presa davvero
per le parole di quella sera. Cérto, ormai non po-
- teva piú tirarsi indietro: il suo discorso era stato
piú che giusto, comprensivo e pieno di quella mo-
derna spregiudicatezza che mette a proprio agio
gli uomini. Era convinta di non aver fatto male
ad accennare all'episodio del giorno dei Morti, ma
alla fine anche lei ne era rimasta sconcertata. Co-
me mai Luigi aveva negato con tanta sicurezza?
Per un momento Mussia temette di avere com-
messo, con quella dichiarazione di spregiudicatezza,
il piú grosso degli errori. Ci mancava altro! Se non
era Luigi quel giovanotto appiattato quasi sotto il
letto, chi mai poteva essere? E ammesso che fosse
stato un altro, fatto che la turbava profondamente
ma solo per le conseguenze nei riguardi di Luigi
e per il putiferio di pettegolezzi che ne sarebbe
uscito fuori se costui avesse -parlato a qualcuno in
cittá, come doveva comportarsi?
Mussia lasció questo pensiero svanire element
tale era la sua fiducia nellastuzia della figlia, in
questo senso. Quasi con orgoglio pensó: «Se mi
62
assomiglia solo un poco, chiacchiere non ne saltan. :
fuori di certo. » :
E del resto era convinta che fosse stato pro-
prio Luigi e che, com'era: logico, egli non avesse
il coraggio di confessare. Ció di cui si pentiva mag-
giormente era dunque di averlo rincorso e schiaf-
- feggiato in quel gesto che le era parso da gran da-
ma ed era risultato invece gofto e rudimentale
come quello di una donna sedotta.
In ogni modo il matrimonio era nelParia: non
ne sapeva spiegare il perche, ma lo sentiva, lo sen-
tiva a fiuto. Cera solo da sperare che Luigi tor-
nasse al piú presto. Lei, che aveva fatto loffesa,
non poteva assolutamente fare il primo passo, que-
sto s1, davvero, sarebbe stato un errore irreparabile.
Mentre cosl pensava Mussia, semiappisolata sul * :
canape di pelle nera, il signor Edmondo ad un an-
golino della tavola stava lisciando con la carta ve-
trata le minuscole guglie del Duomo di Milano.
Mirella era a letto e le campane della Cattedrale,
lunghe e lente nel suono, ricordavano stancamente
la devozione ai pigri fedeli della cittadina.

63
e
ñ

l
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GAS
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LIE
M
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Ilse non rispose alllansiosa telefonata di
Luigi: e non rispose perché non c'era. Ma
per Luigi sentirsi dire dalla voce oleosa di Maria
Pia Bombardini che Mirella non era in casa signifi-
cava una sola cosa: che Mirella, al contrario, c'era
e non voleva parlargli.
Nel riattaccare nervosamente il cornetto del te-
lefono Luigi si senti quasi disperato. Era la prima
volta che provava un simile senso di vuoto, di so-
litudine improvvisa e di paura: si, di paura. Poi-
che la solitudine, il sentirsi abbandonato anche da
Mirella in quei momenti cb”egli giudicava gravi,
si univa fino a confondersi con la paura di ció che
sarebbe successo dopo. Rapidissimi, egli formulava
uno sull'altro pensieri sul suo futuro: cosa avrebbe
fatto senza una fidanzata? Avrebbe dovuto cercar-
sene un'altra, ma come? A vent'anni, con una fin-
ta carriera davanti, era riuscito a conquistare Mi-
rella che del resto era ancora ingenua e bambina,
ma a ventisei e senza una carriera, senza un'auto-

65
- mobile, come avrebbe fatto a presentarsi in casa di
una signorina perbene? Certo non avrebbe piú po--
tuto scegliere una di diciassette anni, si sentiva gia
troppo uomo per quelle che peró erano le piú fa-
cili e romantiche. E dove avrebbe trovato un'al-
tra fidanzata come Mirella, buona, remissiva, cre-
dulona, che non lo avesse subito obbligato a spo-
sarla? E, poi, quand'anche Pavesse trovata, qua-
si certamente sarebbero piombate le reazioni di
Mussia. Avrebbe pensato lei a mettergli i pali tra
le ruote, a svergognarlo, comprometterlo nella so-
cietá cittadina!
Luigi si chino sul leggio sotto il telefono, copren-
dosi un momento il viso con le mani. Chiuso nella
cabina come in un confessionale e costretto a re-
spirare Podore acre, artificiale.e violento della pla-
stica alle pareti proprio come lPodore dell'incenso
e dell'intransigenza del confessore, tentó di concen-
trarsi e di pregare. Pregare! Ma pregare chi? Chi
dei Santi avrebbe potuto capirlo, assisterlo? Per un
istante penso di affidare le sue pene a san Giovanni
Bosco ch'era stato il suo protettore durante Pinfan-
zia, ma poi gliene manco il coraggio. No, san Gio-
vanni Bosco non era il tipo adatto a quel genere di
consolazioni: nella sua vita, nelle sue opere, mai
compaiono i peccati dei sensi. Bisognava sceglierne
un altro. Ne passo in rassegna, devotamente ma
sempre esercitando un criterio di scelta, una mezza
dozzina, tutti coloro che a suo giudizio avevano
avuto a che fare con le cose delllamore: santa
66
Maria Egiziaca, san Girolamo, sant'Agostino... ma
in quel mentre, proprio passando in rassegna i San-
ti che peccarono d'amore si accorse che la sua de-
vozione era momentanea, interessata, cosl interes-
sata da rivolgersi a Loro come a dei capiufficio
corruttibili. Si strinse di piú il volto tra le mani,
Pemanazione della plastica alle pareti lo nauseava
e gli dava la sensazione, ancora piú dolorosa, di
trovarsi in un mondo estraneo ed ostile, lontano
da una persona amica che potesse aiutarlo. E allo-
ra, cacciando la ragione come si caccia il demonio
nei cattivi pensieri, si afido tutto alla preghiera,
una preghiera. fluente e sconclusionata a Dio, alla
Madonna, ai Santi in genere, al capoufficio, al dot-
tor Fuzzi, a Mussia, a Mirella perché tutti insie-
me lo aiutassero, che poi lui avrebbe in qualche
modo ricambiato.
Si sollevó da quella specie di preghiera e furio-
samente riprese il telefono formando il numero dei
Bombardini. Seguitó a telefonare tre, quattro volte
nello spazio di due ore, giustificandosi con Maria
Pia che a un certo momento si lasció scappare
«ufftah! », dicendo che erano cose urgenti, molto
urgenti da comunicare e non poteva muoversi d'ut-
ficio. Dopo due ore, finalmente, udi la voce di Mi-
rella. «Ma sei matto, scusa? » lo investi la voce
- della fidanzata all'altro capo del filo; e siccome egli
rispose con un sorriso, un'udibile sorriso tra ironico
ed affettuoso tanto per tener su le carte, Mirella
continuó:

67
| Ro y
« Ti domando se sei matto?! 1 Bombardini sono
seccati, la signora Angelica, la nonna di Maria Pia,
é gravissima, e tu continui con le telefonate! e in-
somma cosa vuoi? Te la sei passata bene questa
settimana? » E
<« Senti piccola, ascoltami, » Luigi la interruppe
cercando di dominare il tremito della voce con
una parlata quasi teatrale. Si muoveva nella ca-
bina, con gesti ampi, sollevando il sopracciglio e
movendo il braccio come per accompagnare e do-
nare forza alle parole.
«Va lá, va lá, anche piccola hai il coraggio di
chiamarmi, dopo quello che hai fatto! Ciao caro... »
« Piccola, ti devo parlare, ti devo vedere asso-
lutamente... »
« Ciao. »
« Assolutamente, ti prego di non farmi insistere.
Del resto, vedi che ti ho telefonato io... »
« Perchée, dovevo essere io? ah si? Il signor con-
te! Ciao. »
« Aspetta... questa sera vieni al cancello dei giar-
dini pubblici... » ,
« Ciao. »
« Vieni? »
Mirella attacco il telefono con un colpo secco.
Luigi stette ancora un istante nella cabina, poi
usci, nello stesso modo come sarebbe scivolato fuo-
ri da un confessionale. Piú leggero, libero si, ma
non completamente. Con un sorriso soddisfatto,
soddisfatto di sé e dimentico della preghiera che
68
DA e e a e a. Ñ'

y .
Y

voleva dimenticare, accese una sigaretta sfregando


1l fiammifero con Punghia e muovendo la fiamma
davanti al viso. « A questa sera, » si disse, « a que-
sta sera, glovane! »
ES

Aveva gia il suo piano: e attendeva che Mirella


arrivasse, nascosto dietro il tronco di un grosso ce-
dro, con gli occhi fissi sul cancello del giardino.
Giá la nebbia aveva invaso il giardino, si allun-
gava a fior di terra fino al piccolo corso d'acqua
settecentesco, sinuoso, e piú in lá fino ai padiglioni
della Fiera Campionaria, moderni, biancastri,
sprangati con tavole da muratore. Un sottile filo
luminoso di un giallo di fosforo andava spegnen-
dosi all'orizzonte, di lá dai rami degli alberi, ai
confini incerti delle colline.
Luigi spiava da dietro il tronco del cedro lP'en-
trata del giardino come in agguato, conservando
tuttavia lPatteggiamento di un passante, di un gio-
vane solitario che fosse uscito a prendere una boc-
cata d'aria: e questo atteggiamento ch'egli si in-
gegnava di rendere ancora piú misterioso, dimen-
ticando per un momento Pufficio, il dottor Fuzzi,
Mussia e quanti altri avevano a che fare con il
volgare mondo di ogni giorno, gli dava la sensa-
“zione di essere un personaggio, il protagonista di
un dramma che proprio in quei momenti si sareb-
be svolto. Era questa una forma di ingenuitá di
Luigi, Punica forse, e suggerita piú da una teatra-
69
4
litá intima, da una finzione con se stesso, che da rl-
cordi di letture o di film. Come se, anche per lui,
Pessere costretto in una cittá di provincia, senza
drammi e avventure, fosse stato il lento veleno, la
morte di tante sue possibilitá : sl, aveva scritto delle
poesie che alcune persone di Venezia, di Milano,
di Verona, avevano letto ed apprezzato...
Mirella passó in quel momento Parco d'entrata.
Snella, sottile, le gambe lievissimamente arcuate e
mobili come agitate da un fremito interno, come
da un capriccio dei muscoli e dei tendini, ella cosi
vestita, la vita sottile stretta dal laccio dell'imper-
meabile corto e quasi trasparente, aveva qualcosa,
o cosi almeno parve a Luigi, di scattante, di selva-
«tico. Si fermó un momento muovendo rapida lo
- sguardo qua e lá, poi riprese a camminare, ma len-
tamente e battendo i piedi per il freddo.
Come altre volte dopo quelle assenze di una set-
- timana, Luigi, al vederla di lontano, provó una spe-
cie di stordimento. E vederla appunto cosi, simile a
una donna di tutti, in quella posa nervosa, provo--
cante e quasi sfrontata, il collo bianco e lungo e
gli occhi mobili, pronti a ricevere lo sguardo di un
uomo, un uomo qualsiasi, era per Luigi ragione di
grande eccitamento. Anche altre volte preferiva
aspettarla e lasciarla aspettare, egli nascosto da
qualche parte, per vederla cosi nervosa, cosi vil-
lana, non volgare, ma di un nervosismo che rasen-
tava appunto i confini di una lasciva volgarita se
un uomo le si avvicinava o le parlava di striscio.
70
Allora giravala testa di scatto, la nera frangetta
scomposta sugli occhi, aggressiva, pronta alla lotta.
E ben volentieri, se fosse stato possibile, Luigi
avrebbe assistito a quella lotta, sempre stando na-
scosto, a guardare quei pugni, quel graffi, quei mot-
si, quei contorcimenti che Mirella non aveva mai,
purtroppo, usato con lui.
Senza farsi scorgere usci da dietro Palbero' ea
lunghi passi compi l'intero giro dell'aiuola in dire-
zione del cancello, come per farle credere che era
salito dallaltra entrata. Mirella non si mosse. Fu
lui ad avvicinarsi con le mani in tasca e sorridente.
Eppure tremava, in quel momento Mirella avreb-
ve anche potuto schiaffeggiarlo dopo quanto ave-
va saputo dalla madre: ella scalpitava con un tac-
co sollevando la gamba nervosa e snella in un mo-
vimento sélvaggio, quasi animale. Ma era poi certo
che Mussia le aveva rivelato ogni cosa? Presto lo
avrebbe saputo, aveva il suo piano per scoprirlo.
E, lo avrebbe saputo entro pochi istanti, entro quel
pochi passi che la separavano da lui.
Con gesto deciso, per celare il tremito della ma-
no, cercó di prenderla sottobraccio, Lei si divincolo.
« Be”, cosa vuoi, cosa c'ée di cosi importante? »
La voce di Mirella gli parve stridula, diversa
dal consueto. La guardó negli occhi, sulle labbra,
un momento abbandonando il sorriso ironico.
« Bambina, volevo vederti, » sussurró appena.
Tentó ancora di prenderla sotto braccio, ora cir-
71
IN

condandola alla vita, ora carezzandola sul capo.


Mirella si svincoló proseguendo a passi rapidi.
« Tutto qui? » disse, girandosi improvvisamente
e seguitando a scalpitare col tacco aguzzo e pro-
vocante.
Luigi la prese ancora una volta sottobraccio e
stavolta aflerrandola, rude, con tutta intera la ma-
no, la portó con sé. Mirella si puntó a terra inar-
cando le gambe all'indietro, poi si lasció traspor-
tare.
- Luigi non parlava, aveva gia il suo piano, solo
bisognava far presto, cosi, di sfuggita; si diresse
fino al padiglione delle scimmie, una vecchia co-
struzione ottocentesca in tronchi d”albero, qual-
cosa di simile a uno chalet da parco termale. Il
padiglione si trovava ad un angolo del giardino,
un angolo abbandonato e senza luci, umido e pieno
di cespugli d'erbe selvatiche che scendevano fino
al corso d'acqua. Andavano a ficcarsi lasgiú strane
coppie d'innamorati, nascoste nei cespugli, silen-
ziose € passive come pellirosse: soldati meridionali
piccoli e sepolti nelle gabbane grigioverdi 'sfilac-
clate, ragazzi curiosi e provocanti; donne di servi-
zio con la borsetta di plastica, i capelli lucidi di
brillantina, taciturne e desiderose di compagnia.
In quell'angolo anche Luigi e Mirella venivano a
baciarsi nel primi tempi del loro fidanzamento, do-
po Puscita dal cinema. Ma ora, con quel freddo
che saliva dall'acqua non c'era anima viva. Luigi
prima di nascondersi dietro Palbero aveva ispezio-
72
nato il luogo e si era assicurato che non ci fosse
nessuno, nemmeno tra 1 cespugli.
Ecco dunque, era li, solo con lei. In silenzio si
avvicino a Mirella; e nel farlo col freddo propo-
sito di possederla, cosi, senza tante storie, come una
prova d'amore di lei dopo quanto era successo, do-
po quanto doveva aver saputo dalla madre, fu sor-
preso da un furioso desiderio di quel corpo che
poco prima aveva immaginato nervoso e selvag-
gio per Pastinenza:' un desiderio senza controllo,
eccitato dalla paura di perderla del tutto, dal ti-
more dei guai che ne sarebbero sopravvenuti e dal
terrore di affrontare la solitudine di un futuro stin-
to, fallito e senza scene. Per la prima volta si ab-
bandonava, sinceramente, a un vero atto d'amore,
ch'era quello di voler essere posseduto. Suppliche-
vole, avvicinó le labbra semiaperte a quelle di Mi-
rella, rosse, elastiche e come inturgidite dall'aria
fredda e pungente, chiuse gli occhi e P'attiró a sé
per lP'impermeabile. Appena senti Palito di lei sul
viso prese a sbottonare confusamente l'impermea-
bile e la camicetta; nello stesso tempo, piegando
le ginocchia e abbassandosi, sollevó 11 lembo della
gonna che lei tratteneva e infiló un braccio, su,
fino alle cosce calde e formicolanti di un agitarsi
aggressivo di tendini e muscoli.
Mirella subi per un istante quella supplichevole
furia; poi, divincolandosi, piangendo dalla rabbia,
dalla delusione, dal disgusto di quella scena ch'ella
non aveva fatto in tempo a capire e ad affrontare
73
O0

attraversó di corsa i viali ormai deserti delPt


Publico.

3
de ;
z y

Medo

y 74
HE stupido era stato! Quante complicazioni inu-
tili, quante preoccupazioni, quanti atti di de-
bolezza aveva commesso nei confronti di se stesso,
di Mirella e di Mussia! S1, nel pensiero aveva
commesso atti di debolezza anche con Mussia so-
pravalutando le sue conoscenze, le sue stupide e
superficiali conoscenze di vecchia allegrona di so-
cietá. Che stupido era stato! S1, doveva ammetterlo,
era stato uno stupido, inutile negare, per un mo-
mento anche la sua intelligenza s'era affievolita,
fiaccata dalla debolezza che l'aveva trascinato di
paura in paura per una settimana intera. Ma ba-.
stava pensarci un momento, un momentino solo
ed ecco, tutto si sarebbe risolto se solo si fosse ri-
cordato, gli fosse apparsa nella mente un momenti-
no la figura alta, snella ed elegante dell'arciprete
Salinas! Lui era l'uomo davvero importante, lui
avrebbe risolto la sua intricata questione in un mi-
nuto, con signorilitá, competenza e virtú cristiana!
Era a lui che doveva rivolgersi! Altro che aver
75
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A?
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4
Ne IO
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_paura di Fuzzi, quello sciocco cafone senza im-


- portanza, e del commissario di Pubblica Sicurezza!
Questa del commissario di Pubblica Sicurezza,
questa poi, era stata la piú bella. di tutte! Che stu-
pidaggini! Ma perché era andato a pensare pro-
prio al commissario, si puo sapere perche? Per-
che? Mah! Mistero della natura. E non aveva pen-
sato a monsignor Salinas! In tutti quei giri vi-
ziosi di conoscenze, di rapporti, di relazioni, di at-
tacchi e contrattacchi, proprio monsignor Salinas
era andato a dimenticare, proprio lui! Ci voleva
una bella distrazione per lasciarsi scappare una si-
mile idea! E credeva di aver trovato Puovo di Co-
lombo con Mirella, con quella puttanella, gia, per-
ché qualche volta lo era, che faceva tanto la ci-
vetta e la schizzinosa al giardino pubblico! ma va”,
ma va”, macché civetta e schizzinosa, ma va”, me-
glio star zitti, bocca taci!
Cosi pensava Luigi salendo l'ampio scalone del
seminario. Lungo il muro, a lato della scalea, i vol-
ti dei sacerdoti e monsignori insigni eternati in
grandi ovali di fotoceramica lo guardavano inco-
ragelanti, bonari, comunicativi, come in atto di be-
nedirlo. E quelllodore costante, di castitá e di re-
fettorio, un sentore commisto che escludeva Puna
e Paltra cosa riunendole insieme in una sola virtú
ch'era il prodotto di una rinuncia collettiva sia alle
blandizie della carne che a quelle della gola. riu-
sciva a Luigi gradito e quasi familiare.
La sua grande astuzia, e Luigi ben volentieri se
76
y

ne dava atto, era quella di aver deciso subito, sul


due piedi, dopo l'amore andato a male ai giardini
pubblici, un colloquio con Parciprete Salinas. E di
prevenire appunto col suo colloquio, quello, inevi-
tabile, a cui sarebhe ricorsa Mussia. Altro che
Fuzzi, altro che commissario di Pubblica Sicurezza!
Era Parciprete Salinas il perno dei fidanzamenti
cittadini, era lui il giudice supremo a cui si appel-
lavano 1 giovani fidanzati e i futuri suoceri per
mettere a posto le cose, per metterle a posto, o in
bene o in male, comunque in santitá. Non era sta-
to lui, forse, a far sposare cosi, alla chetichella,
come Giulietta e Romeo, proprio il dottor Fuzzi con
Adele Simionati ch'era rimasta incinta? E forse
che non era stato lui a impedire il matrimonio di
Giannetto Furegón con Maria Pia Bombardini
perchée il padre di lui era anarchico e di preti
non ne voleva sapere? Quel monsignor Salinas era
proprio un genio: com'era stata stupida Mirella,
quella volta, a rispondergli male e a fars1 cacciare
di chiesa per la storia delle calze! E ancora piú
stupida dopo, quando aveva rifiutato il cortese,
gentilissimo invito dell'arciprete alla confessione.
Ma che idee, rispondergli che lei aveva il suo con-
fessore, padre Evaristo, il cinese! come se si po-
tesse mettere insieme il cinese con monsignor Sa-
-linas, come se fossero la stessa cosa! Agli occhi di
Dio si, ma ci sono anche gli occhi del mondo che
vengono subito dopo gli occhi di Dio, e anche Dio
sa che, finché si é a questo mondo, non sono meno
77
importanti dei Suoi. Vuoi mettere! fin che lo sa-
-pevail cinese, buono e tonto conYera e facile alle
assoluzioni, il fatto che lui e Mirella avessero dei
rapporti intimi non era poi cosa tanto grave. Ma
con monsignor Salinas, severo, severissimo, un am-
monimento, una punizione, un richiamo pericoloso,
qualcosa sarebbe successo. Se pol Mussia fosse an-
data a sfogarsi con lui, spifterando ogni cosa, apri-
ti Cielo! Gli avrebbe fatto perdere il posto e chis-
sá cos'altro mai.
Meglio dunque andare da lui, come infatti da
buon cattolico stava facendo, confidare umilmente
i suoi peccati, anzi il suo peccato, perché raccon-
tarne altri non era necessario, e chiedere ancora
piú umilmente consiglio. Questa, lo sapeva bene
Luigi, era una mossa che avrebbe fatto presa su
monsignor Salinas, lavrebbe portato subito dalla
parte delle buone intenzioni, anziché da quelle cat-
tive. Avrebbe confidato il suo peccato e le sue pene,
avrebbe chiesto umilmente consiglio dichiarandosi
anche disposto a sposare Mirella. Eh, si! ormai non
c'era altro da fare. Perso per perso, mille volte me-
glio sposare Mirella che in fondo gli piaceva pur
sempre che andare incontro a gual sconosciuti. Co-
si doveva fare: confidarsi, confidare il suo peccato
e chiedere umilmente...
Arrestó i suoi pensieri sull'alta, severa figura di
monsignor Salinas che proprio in quel momento
stava mettendo piede, per discendere, sul primo
gradino della scalea: un piede lungo e magro, cal-
78
zato di una sottile scarpa di scevuró a forma di pia-
nella, lucida e morbida come un guanto: e tra quel
nero lucido e senza macchie e il nero opaco e can-
giante del gran manto di seta plissettato stava la
calza ciclamino, di un rosso splendente e ammo-
nitore. «< Monsignore! » disse spaventato Luigi le-
vandosi di fretta il cappello.
I”arciprete ritiró il piede che aveva gia allun-
gato verso il gradino di sotto,-nell'atteggiamento
di un gatto che ritiri la zampa; la lunga calza ros-
sa scomparve rapidamente tra le pieghe della ve-
ste. Socchiuse gli occhi all'uso dei miopi e cosi, il
volto lungo e terreo solcato da quel leggero sforzo,
fissó per qualche istante Luigi, in silenzio. Poi schiu-'
se le labbra mostrando un sorriso: |
< Oh, chi si vede! Il nostro Marcolin, come mai,
come mai!» disse, allargando le braccia.
Luigi sali a due a due i gradini che lo separa-
vano dall'arciprete, sempre col cappello in mano.
<« Veramente, monsignore, lo sono Mannozazi,
Luigi Mannozzl... »
«Oh! Mannozzi, Luigi! scusa, scusa tanto caro,
ma ti credevo Marcolin. Scusa sal... »
« Per caritá, monsignore, » disse timidamente
Luigi cercandogli tra le due mani guantate di nero
quella con Pametista da baciare.
« Scusa ancora sal, scusami proprio, » continua-
va monsignor Salinas spingendolo per la schiena
verso il pianerottolo e ritirando la mano guantata
da quelle di Luigi. « Ma guarda! Luigi Mannozzi
¿9
che viene a trovarmi! Ne abbiamo fatta eh! della
strada? Con Paiuto del Signore e la forza di vo-
lontá, e non c'é Puno senza Paltra... e allora, al-
lora, lo facciamo o non lo facciamo questo teatro?
Bellissimo, il progetto e bellissimo, ho visto tutto,
so tutto e so anche che con la tua ambizione, giu-
sta ambizione... »
« Scusi monsignore, veramente io sono il ragio-
nier Mannozzi, Luigi Mannozzi, ero all'Istituto
Tecnico... si ricorda? »
«Oh ben! Gesú, Gesú dolce, ma guarda! »
« ... Vingegnere, quello del teatro, si chiama
Bruno. »
« Ma sl, ma hai ragione tu, Luigi! Bruno, Bru-
netto, il mezzano dei tre fratelli! ma si, ma si,
scusa, scusami caro, ma guarda! Luigi... Luigi, im-
piegato alla Confindustria, ma certo, naturale, un
ottimo impiegato a quanto mi si dice! Eh, sei stato
bravo, con pochi mezzi hai saputo farti una strada,
ma sl, certo... ma scusa sai, scusa tanto, oh ben! »
« Grazie, grazie, monsignore... insomma, si fa
quel che si puó, » andava dicendo timidamente
Luigi in risposta ai complimenti di monsignor Sa-
linas. Teneva sempre il capo chino e il cappello
tra le dita in preda a quell'affettuosa timidezza
che sempre lo assaliva quando si trovava in com-
pagnia di un sacerdote. Luigi non era solito per
suo carattere alla timidezza e tuttavia, quando
Poccasione lo metteva a fianco di un religioso o lo
portava in un luogo pio come quello, un seminario,
80
un convento, una sacrestia, sorgevain lui una sorta
di rispettoso amore, di umiltá ilare, goffa e gioche-
rellona, da cui nascevano lapsus linguae e improv-
visi rossori. Egli non era affatto timido nella vita
di ogni giorno, e abituato ad esercitare una finzione
continuativa, mai gli era successo di arrossire o di
impappinarsi. Eppure lá, in quei luoghi cosi tran-
quilli, severi ed amorevolmente silenziosi, in mezzo
al buoni Padri cui non occorreva far tante finte,
egli si sentiva di casa, presso genitori adottivi, buo-
ni, carezzevoli e concilianti a cui ogni tanto si sen-
tiva disposto a far visita. Con loro Luigi non oc-
correva che parlasse, non c'era bisogno di tante
parole, tutto, tutto si spiegava da se.
« Ed eri venuto a parlarmi, immagino, » prose-
gul monsignor Salinas, « eri venuto a trovarmi, a
fumare una sigaretta in compagnia. Inutile che
te lo dica, lo sai quanto mi fa piacere! Ma che
bravo, ma che bravo Mannozzi e io che lo confon-
devo con l'ingegnere, ma tu mi scusi non é vero,
mi hai gia scusato? »
« Ma per caritá, monsignore! »
« Bravo, grazie sai! Ecco, vedi, io, adesso, a dire
proprio la veritá stavo uscendo, stavo andando
per una cosa importante proprio da Sua Eccellenza
il Vescovo, ma siccome tu devi parlarmi di cose
altrettanto importantl... »
Qui monsignor Salinas fece una pausa come
per attendere una risposta da Luigi, se fosse o no
il caso di rimandare.
8l
«Eh si! monsignore, mi dispiace ma sono cose'
gravi, proprio urgenti. Avrei dovuto avvertirla,
lo so...»
« Ma di che, avvertirmi di cosa, caro? »
« Avrei voluto chiederle un appuntamento pa
telefono, avvertirla che venivo... »
« Ma perchée, ma che necessita c'e? Tu sei ve-
nuto, io sono qui, di fretta, e non sai, non sai quan-
to mi faccia piacere! Sei qui, e se sei venuto cosi
senza preavviso, vuol dire che é una cosa impor-
tante quella che mi devi dire, non é vero? Ma an-
che cosi, anche senza il preavviso mi hai fatto
tanto, tanto piacere. Insomma, via, sei stato bra-
vo, hai fatto benissimo! »
Cosi dicendo monsignor Salinas aveva preso sot-
tobraccio Luigi e a rapidi passi, con la mano ma-
gra durissima e guantata di nero come quella di
un Santo Scheletro, andava pilotandolo verso una
delle tante porte ai lati del chiostro.
I'appartamentino di monsignor Salinas era com-
posto di due cameroni severi, cupi ed essenziali al
primo colpo d'occhio ma non cosi al morbido scat-
- to dell'interruttore: allora tutti quegli oggetti,
quei mobili ingombranti e funebri che al primo en-
trare, nella luce imprecisa e polverosa che filtrava
dalle fessure delle imposte ermeticamente chiuse,
venivano incontro, piú neri nel nero dell oscurita,
illuminati di luce improvvisa scomparivano o si
mutavano in altri diversi e preziosi. Allora quel
coso nero, per esempio, che nella mezza luce delle
82
fessure pareva una specie di catafalco, una specie
di altare o di cripta, appariva invece un bel letto
grande e solido e comodo con una coperta di seta
rossa tutta ricamata. E cosi larmadioe quell'an-
golino di salotto di lá dalla porta delPaltra stanza,
che prima luccicava indistintamente come cianfru--
saglia, dopo si rivelava un salottino arabo compo-
sto di molti pezzi d'ottone intorno a un tavolino
tutto cesellato su cui stava un enorme narghile.
Era quello il fumoir per cui monsignor Salinas .
andava famoso. Quanti giovani in tempo di guer-
ra, quando le sigarette venivano pagate non solo
a peso d'oro ma anche d'anime, egli aveva portato
sulla via della Fede! Quante sigarette erano state
fumate intorno a quel tavolo e quanti cattivi pen-
sieri e cattive intenzioni soffocati come d'incanto
nel fumo di quel fumotr!
«E venuto da me Gavazzi a fumare una siga-
retta... » si lasciava scappare monsignor Salinas a
quel tempo, quando era soltanto don Salinas, ai
colleghi. Un sorriso si spargeva allora come un toc-
co d'acqua santa sul volto dei sacerdoti all'intorno,
un sorriso furbetto, segreto ma pieno di congratu-
lazioni, e cosi bastava.
Questa volta l'arciprete si diresse verso due am-
pie poltrone poste sotto la libreria: a Luigi non
c'era niente da dire, di speciale, era gia del suoi,
era un buon cattolico, egli lo conosceva. Non oc-
correva, no, fumare! e poi il fumo, ormai, monsi-
gnor Salinas, dopo tanti anni, era giunto quasi a
83
1

detestarlo. Fece dunque accomodare Luigi, dopo


- che questi s'era tolto il cappotto, su una poltrona;
egli si sedette sull'altra, ritto al bordo del sedile.
-«Oh, ecco, ecco, adesso siamo a posto!» disse
con un sospiro dopo aver dato una rapida occhiata
intorno come per assicurarsi di quanto diceva.
« Ora siamo qui... hai freddo? Prendi qualcosina,
posso offrirti un goccio di marsala, un vermutino,
un whisky? » sussurró appena e incomprensibil-
mente quest'ultima parola dopo una pausa giudi-
cando che per Luigi non fosse il caso di correre al-
le bottiglie.
«Oh, per carita monsignore! troppi disturbi,
grazie, grazle. »
« Allora un goccetto, » incalzó nervosamente
monsignor Salinas, « forza, via... »
« Grazie, un vermut lo prendo volentieri. »
« Allora, giacché un vermut lo prendi, aspetta
un momento. » Ando di corsa al fumotr, rovistó in
uno scaffalino e ritornó con una bottiglia e un pic-
colo calice; sulla scrivania versó il vino e lo porse
a Luigi, poi si sedette un'altra volta sull'orlo della
- poltrona.
« Scusa sai, cosi, di fretta, anzi se non ti dispiace
10 resto vestito, resto cosi con il mantello e la sciar-
pa. Non ti dispiace vero? perche, se ti dispiace... »
«No, monsignore, » protestó Luigi con il cali-
cetto in mano, « ma guardi quanto disturbo, se sa-
pevo cosi! »
« Se sapevi cosl, cosa? Per caritá Luigi: che non
82
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P ly
ARO
pre

ti senta piú dire una cosa simile, ma non vedi co-


me sono contento?... Allora, allora, dimmi, dimmi,
parla pure con tuo comodo, io resto vestito, ma tu
parla pure con tuo comodo e metti conto ch'io sia
qui in vestaglia e pantofole. » :
« Monsignore... » cominció Luigi, « monsignore,
é una cosa, é un consiglio quello che le devo chie-
dere... »
« SL caro. »
«... € un consiglio da cui dipende il mio futuro
sa, eh, posso dirlo! La mia vita addirittura, perché
per vita intendo anche la vita morale, vero... »
« Eh ben, sicuro, altroché! >» lo interruppe an-
cora monsignor Salinas.
« Si tratta del mio matrimonio, anzi si tratta del-
la mia fidanzata e di me, se dobbiamo o no sposarci.
Glielo dico francamente monsignore, é una decisio-
ne, questa, che devo prendere e che non riesco a
prendere. »
« Lo devi, lo devi. »
« S1, monsignore, lo so anch'io che ormai ho biso-
gno di una famiglia mia, lei sa che mi son fatto
tutto... » y
«So, so tutto, bravissimo! »
« Ecco, appunto. Ora avrei bisogno di formarmi
una famielia... »
« Bravo, bravo ancora una volta! »
«... ma non so decidermi monsignore, perché
non so se la mia fidanzata, non so se sarebbe giu-
sto, sará morale che... lei conosce la mia fidanzata,
85
vero? Mirella Caregón, bella, molto bella; lei le ha
parlato una volta, l'ha rimproverata, a ragione Pha
rimproverata. Be”, insomma... lei. »
- «Sl, sapevo, » disse monsignor Salinas.
«Ecco... proprio .lei, devo sposarla, monsi-
gnore? »
« Ma caro... lo sai tu... lo sa la tua coscienza. »
« No, monsignore, non lo so, non sono capace di
decidermi. Per questo sono venuto da lei, per un
aluto... »
«E che ajuto ti posso dare io, caro? lo non so,
non so nulla, la famiglia, a parte il passato politico,
e buona, la mamma, quella signora russa é brava,
e tanto brava... »
« Lo so, monsignore, ma lei... Mirella? »
; « E dai, caro! Ma questo devi saperlo tu! » Qui
- monsignor «Salinas si interruppe guardando fisso
Luigi che con il capo chino spiava come in una vi-
sione la rossa calza ammonitrice. «O forse Luigi,
forse dico, mi permetto di dire forse, hai avuto
.qualche dubbio, qualche dubbio che lei... »
« No, monsignore, no, lei é innamorata, ne sono
sicuro, anche troppo, anche troppo, monsignore! ».
« E allora? »
« lo pensavo di farmi trasferire, di non vederla
piú, a L'Aquila potrei avere un posto e cosi avrei
modo di allontanarmi da lei... » continuava Luigi
in preda alla visione.
« Ma perché? se ti vuol bene... o forse... o Lui- .
gi, O forse c'é stato qualcosa tra di voi? forse, dico
86
IS AI UN

e spero sia davvero forse... un rapporto intimo? »


« S1, monsignore, si ecco! » ES
« E come é stato, come? »
« Eh, monsignore, capisce anche lei, in sei anni
di fidanzamento... » :
« Ah! benissimo, una relazione addirittura, una
tresca! Luigi Luigi, perché non aspettare il matri-
monio e avere quegli stessi beni e piaceri ma per di
piú santificati? Dice sant'Agostino: haec sunt bo-
na matrimon:: proles, fides... » :
« Lo so padre, ma e stata lei... »
« Lei? me lo immaginavo! »
« Si, lei padre, » si abbandono Luigi, « lei che... » -
«Non importa, devi sposarla, e subito, presto,
prestissimo. Lo faró io, mi occupero... » lo interrup-
pe avidamente monsignor Salinas giá preso dalla
febbre dell 'azione.
« Ma, monsignore, e stata lei, si, ma non si é li-
mitata a darsi a me... »
« Cosa dici, anche con altri? »
« No, padre, non con altri, ma con me, con me...
sono successe cose... cose che non posso dire a lei,
padre... atti d'amore, padre... non sani! »
« Spiegati meglio! » irruppe a questo punto mon-
signor Salinas; e nel dirlo si sciolse il nodo di seta
sotto la gola, apri il mantello in due ali nere che si
. posarono fruscianti sui braccioli: « spiegati meglio,
Luigi! »
E qui Luigi, con fantasia e calore che andavano
mescolandosi, accavallandosi, uno superando Paltro

87
in particolari, prese a raccontare a monsignor Sali-
nas di come si svolgesse il loro amore, di come si
trasformasse in passione, e poi in peccato e ancora
in lussuria e alfine in sacrilegio.
E monsignor Salinas ascoltava in silenzio, di tem-
po in tempo liberandosi del mantello e poi della
sciarpa con lente movenze delle dita sfilandola dal
collo come fosse stata una fune e ancora 1 guanti,
dito per dito, e infine il cappello, cosi da calmo ad
agitato come Luigi nel suo racconto. Giá aveva
nella mano il fazzoletto bianco che tormentava,
ora stringendolo in una pallottola, ora passando-
selo rapidissimamente sul collo, sulla nuca e su
tutta la testa.
« Basta, basta Mannozzi, basta! E il demonio
questo che parla, non tu, non Mannozzi Luigi! »
Spaventato e quasi delirante dal gran caldo,
monsignor Salinas si sollevó con un salto dalla pol-
trona: e in quell'istante, come se per quel movi-
mento si fosse rotto un diabolico incantesimo, Lui-
gl, pallido e col calicetto del vermut in mano, sol-
levó gli occhi dal punto dove stava la calza cicla-
mino.
« Tu hai fatto questo? »
« Mi sono confessato, padre, non potevo fare di
piú. Ma mi dica, mi dica presto, padre, devo spo-
sarla vero? Cosa devo fare, padre? Lei ora me lo
deve dire percheé io... io... io non lo so. »
« É successo questo veramente tra voi due? » do-
mando l'arciprete ormai ricomposto.
88
« Sl, padre, é successo. »
« Orribile, » disse freddamente monsignor Sali-
nas. Ma ora non intendeva condannare, ora il suo
compito era di salvare. Cosi ripeté:
« E successo! »
« SL padre. »
« Ed e stata lei? »
« S1, padre. »
Si rivesti lento della sciarpa e del mantello sem-
pre guardando Luigi con gli occhi socchiusi e se-
veri fissandolo qua e lá, poi i guanti, neri, dito per
dito, ancora il nodo del manto, alfine prese il cap-
pello.
« Allora Luigi caro, cosa, come puoi sposarla?
Allontanati da quel demonio, parti per L'Aquila.
Ti aiuteró. Parti. Dopo quanto é successo — irre-
parabile, irreparabile — come puoi sposarla? Par-
ti, € quello che ti resta da fare. Piú di cosl...
ormal... »

89
A.
pa

P "IMPROVVISA scomparsa del fidanzato segnó un


brusco mutamento di abitudini in casa Care-
gón; Luigi era partito di notte per L*Aquila e i
soli a conoscere il suo recapito erano suo fratello
Spartaco e monsignor Salinas. Mussia venne a sa-
pere della fuga dal dottor Fuzzi che ne parlava con
una certa invidia e tuttavia senza saper nulla delle
ragioni.
Dapprima si indignó e trascorse un'intera setti-
mana nel consueto dolore, nei mutismi, nelle lunghe
permanenze al gabinetto, perche la credessero sve-
nuta o addirittura morta e qualcuno andasse a bus-
sare spaventato, e in mille altre manifestazioni di
amarezza e di disappunto. Poi, a poco a poco, ri-
prese a lavarsi i capelli con cachet rouge, a riordi-
narsi la vestaglia che in quei casi mai infilava del
tutto, a camminare normale anzichée strascicando
le ciabatte. Ricominció a fumare con maggiore
aviditá di prima le sigarette che per una settimana
aveva abbandonato dicendo che nemmeno di quel-
91
le aveva piú voglia dopo quanto era successo e ri-
torno alfine al bridge che, dolori e preoccupazioni
a parte, rendeva quindici o ventimila lire al mese.
-— Soffocato il dolore, il dispetto e anche la paura
che Mirella in qualche modo venisse a sapere di
quel suo malaugurato colloquio con Luigi, si diede
per prima cosa a prevenire quelle che lei giudicava
le inevitabili follie che Mirella avrebbe corso il ri-
schio di commettere dopo lPabbandono: il suicidio
e la rassegnazione bigotta. Rimedió al primo fa-
cendo sparire dai fondi d'armadio ogni medici-
nale o acido o bevanda che potesse contenere qual-
cosa di venefico; di piú, ne vuotó le bottiglie ed i
tubetti sostituendo il contenuto con altri liquidi e
mentine innocue. Nella sua smania di salvezza e di
improvviso amore materno non si limitó ad occu-
parsi di veleni o comunque della mortalitá per via
orale, ma, eccessiva come sempre, si lasció andare
a cose assurde come quella di staccare il fucile ara-
bo da sopra il canapé e le pallottole dum-dum. Al
secondo pericolo, e cioé che Mirella diventasse in
seguito alla delusione una bigotta, una svogliata,
una mezzo deficiente, rimedid invitando la sorel-
lastra Elide a venire in casa il piú spesso possibile
per tener d'occhio la figlia, per svagarla, per scrol-
larla da quel torpore piagnucoloso in cui certa-
mente Mirella sarebbe sprofondata.
In questo modo e con questa organizzazione
Mussia andava incontro alle avversitá di qualsiasi
sorta, e per quelle amorose di cui aveva, o diceva
92
di avere una certa pratica, si dava da fare ancora
di piú. Che Mirella stesse male, fosse avvilita o di-
sperata, o invece contenta e senza preoccupazioni,
tutto questo non le era mai passato per la testa. El-
la agiva per conto proprio persuasa di far bene e
profondamente compresa della sua organizzazione
di madre. 1 calcoli si succedevano ai calcoli, nei
lunghi ozi casalinghi la madre andava sognando
ancora avventure e ottimi partiti, quegli stessi di
cul aveva parlato a Luigi e alle amiche, e inesi-
stenti. E lo stesso era giunta al convincimento che
di partiti, di ottimi giovanotti di buona famiglia,
era pieno il mondo e che una parte di essi era per
Mirella.
NelPozio sonnolento e grigio della camera da
letto o in quello piacevole della toletta dove, stan-
do seduta sul water, passava il tempo a far solitari
sul pavimento, Mussia pensava e pensava a questl
partiti di Mirella. Ne accettava la corte o la respin-
geva a seconda della prestanza fisica o delle doti di
intelligenza e di attivitá, accondiscendeva volentieri
a un bacio di questo o di quel giovane e ne immagi-
nava la bocca, il modo di baciare, la soliditá, la
freschezza, il gonfiore delle labbra, le frasi d'amo-
re; e si complaceva di riceverlo in casa, le prime
volte un poco imbarazzato: li, seduto sul cana-
pe, immaginava di osservarlo a lungo, dalla pun-
ta dei capelli alla punta dei piedi e soprattutto den-
tro nell'anima: una volta bruno e ondulato con
un neo proprio sopra le labbra piccole e quasi fem-
93
minili, non molto alto, ma grazioso. Non bello ma
- grazioso, di quel grazioso che molte signore vorreb-
bero per sé; doveva essere ingegnere questo giovane
- bruno dalle lunghe ciglia, e se invece biondo, come
altre volte immaginava, con i capelli corti corti, al-
lora dottore, medico. Meno ricercato quest'ultimo
che Mussia chiamava subito col bel nome di An-
- drea, ma forte e maschio, di famiglia toscana, era
Puomo che preferiva. E anche quest'ultimo che poi
non era mai ultimo, saggiava e scrutava dalla te-
sta al piedi giudicandolo molto pulito e vestito di
biancheria finissima. S1, Andrea era lPuomo adatto,
Puomo vero, quello migliore di tutti. Ma ecco, su-
bito le si paravano dinanzi come in una visione a
coprire le carte del solitario sparse sulle mattonelle
del pavimento, le mani di un immaginario Gian-
maria. Mani lunghe, sottili, dure, nodose, ben cu-
rate, da pianista, da ingegnere e anche da chi-
rurgo. Ed era quello un tale colpo di fulmine, se
ne innamorava cosi da accondiscendere subito al
fidanzamento con Mirella.
E intanto Mirella sbrigava tutti 1 lavori di casa
senza pensare a nulla che solo si avvicinasse ai pen-
sieri della madre, senza meditare vendette contro
se stessa e contro gli altri e senza far pesare a nes-
suno una disperazione che non provava. Lei era
_convinta che Luigi tornasse, non c'era proprio ra-
gione che Pavesse lasciata in quel modo per il so-
lo fatto che non si era data a lui ai giardini pub-
blici. Era successo tante volte, perché proprio quel-
04
la sera e per di piú dopo essere sparito per una
settimana, tanta furia amorosa? E poi quella fu-
ria strana, innaturale, nauseante, in quel brutto
angolo pieno di militar!
Questi erano i pensieri di Mirella, ma nel fondo,
al limite dove il pensiero raggiunge Pistinto, Mi-
rella sapeva che Luigi non sarebbe piú tornato e
quasi ne era rassegnata, quasi contenta. Anche lei
in quei lunghi pomeriggi d'inverno vicino a Na-
tale, stando all'acquaio dove lavava i piatti e poi la
biancheria, non 'poteva fare a meno di pensarci:
e piú che pensare era un abbandonarsi a ricordi
di certi giorni felici di quando erano ragazzi e fa-
cevano molta 'strada a piedi nella nebbia, nel fred-
do e nella oscuritá, perché nessuno li vedesse. Ri-
cordava quelle strade buie dove andavano a fic-
carsi e il primo festino da ballo in casa di Gemma
dove aveva conosciuto Luigi, poi si lasciava anda-
re al ricordo di certi film di banditi o di vecchie
commediole americane con William Powell e Mir-
na Loy, con la pellicola in disordine, visti stando
in piedi, di domenica, in certi cinema parrocchiali.
Infine pensava ai negozi di mobili dove lei e il
fidanzato si fermavano spesso a consultare i prezzi
ea litigare per la scelta dei mobili da mettere nel-
la loro casa. |
«A me basta una camera e una cucina pur di
stare con te, » gli diceva Mirella con una voce in-
fantile che ora, all'acquaio, le suonava diversa
dalla sua, giá precisa di timbro e d'intonazione.
95
«Va' la, va? la, piccola, ci penseró io a metter
su un appartamento coi fiocchi!» diceva allora
Luigi descrivendo oggetti e cose belle che nel suo
- stato di piccola e meschina miseria non aveva mai
visto, ma che pareva avesse conosciuto e usato a
sazietá. « Non scherzerai mica? lo avró delle co-
peporcenzo, dovró ricevere gente...»
es lo gente non ne voglio, almeno nei primi tem-
pi, » protestava Mirella.
«Ma Mirella, comprendi anche tu... »
Allora la chiamava Mirella quando era una
bambina, e ora bambina che non lo era piú.
E di quando facevano all'amore, di quello non
riusciva o non voleva ricordare nulla. Glielo im-
pediva un certo pudore intimo o una specie di co-
- scienza di aver peccato che la turbava per avere
tante volte tenuto nascosto parte di queste cose a
don Evaristo. E poi le sensazioni provate erano sta-
te troppo forti, era come ricevere una scossa elet-
trica, al resto pensava Luigi. Ció che la spingeva
alcune volte a divenire intraprendente e fantasiosa
o addirittura sconcia era qualcosa, come un richia-
mo impreciso ma automatico che partiva dall'istin-
to piú che dall'intelligenza e dalla fantasia. E com-
piva o inventava atti d'amore un poco per far pia-
cere a Luigi che la sollecitava in silenzio, dapprima
con finto pudore e rifiutandosi, poi compiacendosi,
alla fine abbandonandosi; e un poco per quella cu-
riositá che scaturiva da una vena romantica e lus-
suriosa insieme, di scoprire cose senza nome, sco-
96
nosciute O nascoste, perseguitate dal peccato. La
eccitava il pensiero delle case d'appuntamento, con
spavento e agitazlone tutta interiore ne immagl-
nava l'interno, le donne, gli abiti di quelle donne,
le stanze e ció che succedeva in quelle stanze: e si
dava a Luigi a metá tra il corpo e P'immaginazione,
proprio come se si fosse trovata in uno di quei
luoghi. de
Queste semplici cose, appena toccate dal rimorso
delle sensazioni provate, dal ricordo dei film, le
passeggiate, l'amore di nascosto, pensava Mirella
di un fidanzamento che, anche se lei non lo vo-
leva credere del tutto, era ormai finito.
Smetteva di pensare, di sognare o di ricordare
quando udiva il padre girare lento la chiave nella
toppa ed entrare elegante, pareva a lei, elegantis-
simo in quella bella pelliccia da signore anziano.
Cos1, Mirella all'acquaio o sul canape, la madre
nella stanza o nel gabinetto, ovattati, rotti dal suo-
no delle campane, da sciacquii e gorgoglii appena
percettibili, da canzoni — Mariu, sotto tl cielo di
Singapor — che Mussia sempre inizilava e mai
finiva, i rumori del giorno passavano in casa Ca-
regón.
*

A venir incontro a Mussia in questi vaneggia-


menti amorosi di fidanzati era stata la sorellastra
Elide. Elide non vedeva di buon occhio Luigi, e
per molte ragioni: prima di tutto era un povero
97
A
A A
E
A ,
A 0 MS A SL A AA
ON A PAS AE ti

impiegato, un impiegatello della Confindustria, Pul-


tima ruota del carro. Che possibilitá poteva avere?
-*
Che carriera? Ma lo stesso, anche con una carriera
0 davanti che sarebbe stata lenta, lentissima, a pic-
> ds coli scatti di cinque-dieci anni, lo stesso, no, no,
== non era luomo adatto per Mirella. Bel ragazzo si,
per quello niente da dire, un bel bruno, ma quelle
: E mani, quelle mani quadrate e fredde, da prete,
? avevano qualcosa, qualcosa... non sapeva spiegarsi.
Insomma non era adatto per Mirella.
« Tu, cara mia, fai male malissimo a fargli le
belle e belline. "Pu dovresti trattarlo come si me-
rita, un travet, cosa vuoi che sia? Oppure metter-
eli un termine, dirglielo chiaro: e allora, caro il
mio signor Luigi, crede che Mirella sia disposta a
star qui ad aspettare lei? Ci vuol altro! »
« Elide cara, hai un bel dire tu, ma se é inna-
morata, se ha perso la testa, cosa devo farci io? »
si giustificava Mussia con la volitiva sorellastra.
« Cosa devi fare, adesso me lo chiedi? Quando
per un anno non ho fatto che darti consigli su con-
sigli? Il tuo primo grande sbaglio, per esempio, e
stato quello di raccogliertelo in casa. Primo...»
« Ah s1? Ah, é stato uno sbaglio? E cosa volevi?
Che se ne andassero in giro per le strade, che la-
sciassi parlare la gente, perché non c'é lingua in
questa schifosa citta! Ma lo sai che fin da quando
si sono conosciuti, subito, subito ti dico, c'é stato
qualcuno che é andato a riferire ai Bombardini,
proprio ai Bombardini... »
98
« Come sel piccola e meschina, Mussia! Forse
che Mirella... forse che Mirella, se fosse di disposi-
zione, le leggerezze non le farebbe mica lo stesso? »
« Be” insomma, Elide, intanto é stato proprio lui,
Luigi, a venire in casa a domandarmela, a mettere. qe. :
le cose in ordine come diceva... »
<« No, no, niente niénte... » la interrompeva Eli-
de agitando violentemente il capo ed emettendo
piccoli gesti di negazione tra denti e lingua, « nien-
te ho detto! Ma lo sai, lo sai Mussia che di Mirella
é innamorata mezza cittá? »
«Ah si? >
« Sissignora, proprio mezza cittá. Lo sai che il
conte Danieli un giorno, proprio in studio dall'av-
vocato Canevarino, con l'avvocato li presente, no-
ta bene, mi ha chiesto, alla lontana si capisce, se
Mirella era fidanzata? Cosa volevi che gli rispon-
dessi io, dimmi tu! » :
- «Eh, ormai! di si, dovevi rispondergli... » ten-
tennava Mussia.
« Brava! allora si che ne combinavo una di bel-
la. Di si? e perché? e forse fidanzata con una per-
sona da fidarsi, una persona da fidanzamento, pro-
prio fidanzamento di quelli seri? »
«Ma e fidanzata. »
« Niente vero, come puó fidanzarsi uno che non
-puó sposarsi subito, eh? Dimmi tu. E allora io ho
detto di no. »
« Ah, cosl? »
« Si capisce, cosa volevi che dicessi? Che lo av-
99
vilissi, che lo scontentassi? Ma va”, ma via, ma co-
sa ti vengo a raccontare del conte Danieli! E eli
altri? E i giovanotti? E Pavvocato Canevarino stes-
so, lo dovresti vedere quando Mirella viene a tro-
varmi! E Agnolin, quello dei cavalli, e quello? In-
namorato morto, darebbe tutto quello che ha... per
sposarla si capisce... »
Mussia restava turbata dalle parole di Elide. E
prima di riprendere posto nel suo torpore casalingo
sfogava questo suo turbamento in dispetti e musi
contro Luigi. Maledetto, non doveva morire! Non
eli capitava mai di andare sotto un camion! Si
pentiva subito di questo malaugurio e sperava, alla
fine, almeno un lungo servizio militare.
Ma ora Elide era venuta ad abitare in casa e
quei discorsi sui pretendenti era piú che disposta
a provarli.
« Patti chiari e amicizia lunga!» aveva detto
a Mussia fin sulla porta, reggendo la valigia co-
perta di etichette, un ricordo dei fratelli morti.
« Adesso di Mirella mi occupo io. So bene in che
stato si trova, lo immagino. E lo so, lo so perché
lo so, per averlo provato anch'io. Via, non pen-
siamo a malinconie, ma siamo intesi Mussia? E
questo te lo dico con tutto laffetto... »
« SL sl, » aveva accondisceso la madre prenden-
dole di mano la valigia, e aveva aggiunto: « com'é
pesante! » con un sorriso, non sapeva neppure lei
se di piacere o di apprensione per la lunga ospita-
litáa che ne sarebbe sopravvenuta.
100
In effetti Elide di calcoli non ne aveva fatti:
legami non ne aveva, amiche solo Elettra, la tele-
fonista con cui divideva la stanza e ch'era meglio
perdere che trovare, dunque libera e senza limiti
di tempo. Scelse lei il posto dove dormire, del ca-
napt nel tinello avrebbe fatto un angolino per sé
in modo da non dare alcun disturbo. Perché pro-
prio sul canape? Perché prima di tutto non voleva
dare disturbo a nessuno, se di notte parlava o do-
veva alzarsi o leggere, e poi perché le piacevano .
quei ricordi d'Africa che le rammentavano tempi
migliori e un'Italia temuta e rispettata. DalPav-
vocato Canevarino prese ad andare a mezza gior-
nata giudicando che, se era ospite per una ragio-
ne, almeno nei primi tempi le occorreva mezza
giornata per far fronte ai suoi impegni di conso- -
latrice. Era di buon umore, cantava e fumava tut-
to il giorno e non e detto che in casa Caregón fosse
sgradita. A Mirella era simpatica, al signor Ed-
mondo anche, per quello che poteva giudicare lui
dietro i suoi trafori.
Il signor Edmondo non aveva dato gran peso
alla cosa: un fidanzamento rotto, anche quello, co-
s'era mai? Se gli avessero chiesto da quanti anni
Mirella era fidanzata con Luigi egli non avrebbe
saputo dire con precisione, avrebbe risposto indif-
- ferentemente un anno o due. E questo non per di-
samore verso la figlia ma perché anche del tempo,
ormal, aveva una nozione un poco vaga e la pa-
zienza con cui si occupava delle sue infantili co-
101
struzioni aveva a poco a poco minimizzato ogni
fretta: le ore di lavoro non gli erano pesanti e per
ultimare una costruzione ben fatta, precisa negli
incastri e nelle finiture, impiegava un anno, due,
tre. Lui sapeva soltanto che il giorno del fidanza-
mento ufficiale, quando Luigi era venuto per la
prima volta in casa, stava costruendo la Catte-
drale di Notre Dame, prendendo tutto da una sem-
plice cartolina: ... dunque, P'aveva finita e aveva su-
bito iniziato il Duomo di Milano del quale si po-
teva dire a buon punto. Luigi gli era parso un bra-
vo giovane e ora, sinceramente, gli dispiaceva e un
poco si sdegnava che avesse fatto una figura del
genere partendo all'improvviso senza neppure ve-
nire a congedarsi. Oltre a ció il signor Edmondo
non andava, non si occupava di Mirella perché
questo toccava a Mussia che era una donna e poi
soprattutto perché considerava Mirella una bam-
bina, proprio una bambina, ancora vestita da pic-
cola italiana. Ma era giusto, aveva fatto bene Mus-
sia a invitare Elide se lo riteneva necessario e del
resto Elide gli era simpatica, come a tutti.
« Che simpatica! Un po” matta, » dicevano di lei
molte persone, e quel — un po” matta — serviva
in grazia della simpatia a gilustificarla delle scioc-
chezze politiche e di certe invadenze.
La passione politica di Elide era nata in seguito
a due episodi dolorosi: la morte dei due fratelli
aviatori, Ettore a Nikitino, in Russia, Mario, il piú
glovane, nel cielo di Grado. E da un amore infelice.
102
A A A A = E AD ho «
ARAS ; a 4 y
o. » y - z
>

Elide non nominava mai i due fratelli ma tutti


conoscevano la storia; nessuno li aveva mai visti
o sentiti nominare, ma ognuno si affidava al na-
strino nero ornato di due stellette d'oro che Elide
appuntava sempre su ogni abito. Lei, in ogni caso,
non ne parlava. 11 secondo dolore, quello che ave-
va alimentato un fuoco giá acceso, era stato il suo
fidanzamento con Hans von Kroner, un sergente
maggiore della Luftwaffe che aveva conosciuto in
tempo di guerra; von Kroner era un uomo gia ma-
turo, con una vasta bruciatura violacea sulla nuca,
un incidente di volo. Erano innamoratissimi: le
gite al Garda, la guerra, 1 voli pazzi nella cicogna
di Hans, tutto fini presto. Dopo la guerra Elide
era andata in Germania a cercarlo con un pelle-
grinaggio della Croce Rossa, ma non ne aveva sa-
puto piú nulla. Forse era ancora vivo. Attaccata
a questa speranza respingeva la corte di quelle
persone anziane che si avvicinavano a lei, discrete
e con propositi anche matrimoniali; e le respin-
geva soprattutto perché sentiva che quella gente
vedeva di lei solo il lato fisico e non quello mo-
rale: si giravano quando passava, fasciata in que-
eli abiti un poco fuori moda, le sottane corte al
ginocchio, i capelli biondi crespi e voluminosi, lun-
ghi fino a meta della schiena; si voltavano a guar- .
dare il giro dei fianchi larghi e torniti, i seni ro-
tondi ed elastici come due palle di gomma, gli oc-
chi azzurri, sferici e ridenti, le gambe lunghe, gros-
se e un poco muscolose, dalla caviglia peró svelta
103
e leggera. Le persone anziane e i corteggiatori si
voltavano in silenzio o giravano lPocchio, rapido
come una goccia di mercurio, sorridendo tra sé e
sé di compiacimento, di approvazione, di propositi
lenti, riflessivi, da mettersi in pratica senza tanta
furia; i ragazzi invece chiamandola addirittura per
quel nome che suggerivano loro la fantasia, il desi-
derio agilissimo dell'etá e quelle sinuosita piú ag-
gressive del corpo di lei. In quei casi Elide si in-
fiammava tutta, le venivano in mente Hans e i fra-
telli, distribuiva ceffoni per difendersi, come po-
teva, da immaginarie offese: ceffoni duri, secchi
e lasciati andare anche a sproposito. Ma molti
compativano e lasciavano perdere. Una volta ebbe
una specie di zuffta con un vecchio; ma diedero
ragione a lei, schifandosi del vecchio, appunto per
simpatia.
Ora Elide entrando in famiglia aveva mante-
nuto la parola; aveva portato con sé i suol entu-
siasmi giovanili, il modo di fare, i ricordi; inten-
deva portarci anche le amicizie, quelle scelte o da
scegliere in altre che ne sarebbero sopravvenute.
In questo modo riusci a rendersi simpatica ai Bom-
bardini, gente triste e musona ma facile da con-
quistare e di questa simpatia schiva ed intimidita
approfittó per correre su e giú da loro: « Buon
giorno signora, buongiorno signor Bombardini, ciao
Maria Pia, permettono una telefonatina? »

104
C ESARE Libondi e Danilo Sublich non erano pro-
priamente amici, soprattutto per la differenza
di etá e per gli ambienti diversi che frequentavano;
ma lo diventarono presto durante le serate in casa
di Mirella.
Libondi aveva trentacinque anni, laureato in
scienze politiche, aiuto procuratore in una banca.
Non molto alto, un poco scuro di pelle e con ca-
pelli folti, neri e uniformemente ondulati, portava
grosse lenti azzurrognole, una delle quali, la sini-
stra, correttiva. Viveva solo con la madre e con-
tava alcune amicizie, non molte, nella borghesia
cittadina che lo tollerava con indifferenza; egli fin-
geva di non accorgersene, o non se ne accorgeva
davvero, e seguitava a frequentarla con rispettosa
amabilitá e una serie di buone maniere, frutto di
“anni trascorsi tra il caffelatte di ogni sera e le bor-
se di studio.
Danilo Sublich, un profugo giuliano-dalmata di Xx

dieci anni piú giovane, geometra e laureando in


105
ingegneria, era invece piccolo e sottile, un poco
goffo, nervoso, pieno di angoli arcigni, ma di lui
si diceva fosse intelligentissimo e simpaticissimo.
Aveva mille passioni ed era un chiacchierone.
Fu proprio per una delle sue passioni che Elide -
penso di invitarlo in casa Caregón. Non perché ve-
desse in lui un probabile fidanzato, a lei per esem-
pio non piaceva, ma perché sapeva che Danilo go-
deva di molte amicizie e di molte simpatie ed era
uno di quei giovani che in ogni occasione diven-
tano indispensabili per tener su la compagnia. Li-
bondi, invece, Elide lo conosceva per mezzo del-
Pavvocato Canevarino e per le operazioni di ban-
ca che molte volte sbrigava lei stessa. Non che lo
conoscesse molto bene, ma lo stesso, scorgendolo
una domenica che sorbiva attentamente l'aperitivo
in un bar del centro, tra un discorso e lP'altro lP'ave-
va invitato.
Le prime sere furono dedicate quasi esclusiva-
mente ad audizioni di dischi e alla televisione. Da-
nilo portava il suo giradischi a microsolco e i dischi
in una cartella di scuola. Coll'andare dei giorni Da-
nilo si stancó di portare ogni sera da casa sua tutta
quella roba e lasció il giradischi fisso alla vecchia
radio dei Caregón ch'egli aveva adattato con uno
speciale trasformatore e un attacco per il fono.
Quanto alla televisione, non duró pit di tre o quat-
tro sere poiché Plamico negoziante che l'aveva pre-
stata la rivolle indietro.
Libondi arrivava in motoretta dall'estrema pe-
106
A e sr HALA
¿$ - 0 > > $

>. 38
E

riferia della cittá dove abitava una villa celeste con


un capitello e una Madonna moderna, di ceramica,
sempre illuminata. Anche Libondi, le prime sere,
aveva portato dei dischi di ballabili ma poi, al
confronto di quelli americani di Danilo, pensó che
era meglio lasciarli a casa. Per qualche sera di se-
guito, oltre ai dischi, arrivó con un cabaret di do-
dici paste, poi con dei cioccolatini nelle tasche del
paltó, poi piú nulla. Una volta portó a Mirella un
pesce rosso guizzante in una bottiglia, ma il pesce
morl quasi subito poiché non fu possibile farlo usci-
re dal collo troppo stretto. Per quella sera gli ami-
ci si chiesero come aveva fatto ad entrare nella
bottiglia e Libondi, con la sua voce lenta e uni-
forme accompagnata dall'uniforme sguardo del-
Pocchio corretto dalla lente, spiegava e assicu-
rava di continuo che Egidio — cosi era stato bat-
tezzato 1l povero pesce rosso — era entrato nella
bottiglia senza nessuna difficolta.
Danilo invece non portó mai niente, ma era co-
me se ogni cosa fosse lui ad oftrirla perché era lui
a prendere di mano i dolci a Libondi o i ciocco-
latini di tasca e porgerli, con mille scherzi e pan-
tomime, alle ragazze che ridevano di gusto.
Stavano tutti in tinello, le tre ragazze, Maria
Pia, Elide e Mirella, e i due giovanotti, tutti se-
-duti sul canapé chi nel sedile, chi sui braccioli.
Mirella stava spesso in piedi perché, come padrona
di casa, doveva di tanto in tanto andare di lá in cu-
cina a prendere il caffé, appena gli ospiti arriva-
107
vano, o un bicchiere d'acqua, o acqua e limone, o
acqua con un goccino di cafté per Libondi che ave-
va sempre sete. In quelle occasioni si incontrava col
padre che dal tinello, dove aveva il suo angolo di
lavoro, si era trasportato in cucina: la porta era
spessa, il rumore del seghetto non dava alcun fa-
stidio ai giovanotti che ascoltavano la musica.
« Che bella musica! » diceva il signor Edmondo
guardando Mirella con un sorriso compiacente.
« Sono i dischi di Danilo, » rispondeva Mirella.
Qualche volta gli portava un dolce, anche se sa-
peva che lP'avrebbe rifiutato perché a lui i dolci non
piacevano. Invece il padre Paveva accettato con
sorpresa. « Ah, grazie, che gentile! » diceva il si-
gnor Edmondo mangiando il pasticcino a piccoli
morsi e versandosi in bocca le briciole dalla scodel-
lina di carta. « Buona! proprio fresca, » aggiun-
geva; ma Mirella era giá andata di lá col bicchiere.
Mussia, il piú delle volte era al bridge o a letto,
e raramente Libondi e Danilo lavevano vista. Ne
conservavano tuttavia un ricordo impreciso, imba-
razzato, per le maniere fredde, signorili e per quel-
la stretta di mano di lei, renitente, col guanto in-
filato.
La compagnia cominciava ad afhiatarsi; nelle
umide sere di novembre era una consolazione per
tutti, trovarsi, saper dove andare, anche se incon-
tro a una novita che non veniva: Libondi si era in-
namorato di Mirella e lei Paveva capito subito.
Maria Pia Bombardini cominciava ad aprire boc-
108
ca, a dir quattro parole, a mettersi un poco di ros-
setto, a pettinarsi, a mangiare meno per una spe-
ranza istintiva. 1 signori Bombardini erano con-
tentissimi e non sapevano come ringraziare Elide
di questo cambiamento se non ripetendole all'infi-
nito che poteva telefonare quando voleva. Le man-
darono anche un mazzo di fiori, cosi, per amicizia
e silenziosamente; ma tra loro, nel buio avaro della
camera da letto, i coniugi Bombardini parlavano
di Elide come di colei che aveva fatto risuscitare
Maria Pia dalla delusione d'amore.
Elide era soddisfatta, ma sentiva che nonostante
la presenza di Danilo, sempre effervescente come
un fuoco d'artificio, la compagnia era un poco de-
bole: mancava una sesta persona, un altro uomo
di carattere tutto diverso che l'avesse rinvigorita:
amicizia ce nera sl ma poco movimentata, poco
viva. Forse Danilo non era molto in vena o non an-
cora acclimatato, forse anche a lui piaceva Mirella,
per quanto Maria Pia Bombardini non avesse oc-
chi che per lui. Mancava dunque una sesta per-'
sona: fu un caso, un vero caso a farla entrare nel-
la compagnia, una sera.
Gli amici si affidavano spesso alla fantasia di
Danilo per rendere un poco movimentate le serate
con degli scherzi; scherzi di vario genere, da fare
-in casa O fuori; una sera, per esempio, al cinema,
Danilo ne aveva combinata una delle sue: cosi,
ad un certo punto, proprio al momento piú dram-
matico del film, aveva lasciato fuggire di tasca un
109
topolino legato per la coda a un sottile filo di
nylon. Molte signore erano balzate dalle poltrone
ed era nata una confusione tale da far intervenire
il direttore del cinema. Gli amici avevano riso a
crepapelle, specialmente Maria Pia che da quella
volta, solo a nominarle Pepisodio, veniva presa da
una forma d'ilaritá convulsa che la lasciava ab-
bandonata sul canape, pallida, sudata e lacrimante.
In questo modo, dallo scherzo del cinema, Danilo
riusciva molte volte a convincere, a suggestionare
e perfino a divertire gli amici, con trovate prive di
fantasia, spesso insignificanti, volgari e meschine.
Cosi quella sera, sia per la mimica con cui Da-
nilo aveva illustrato lo scherzo mettendosi egli stes-
so dalla parte della vittima, sia per una sovraec-
citazione inspiegabile ch'era nell'aria, egli riusci a
- far scoppiare dalle risate le ragazze con l'idea del
portafoglio. Soddisfatto dei risultati ottenuti, cavó
di tasca il portafoglio di coccodrillo, cosi com'era,
con i soldi dentro, si fece dare una cordicella e pre-
se a calarlo dalla finestra al primo piano, giú nella
strada, all'angolo del lungo porticato. Spensero la
luce e"si accucciarono uno accanto all'altro, dietro
le colonnine del poggiolo.
Ur'aria fredda e fumigosa entró dalla finestra
aperta e invase la stanza in ombra; si udivano le
risatine di Maria Pia e come un tarlo lontano il
rumore del seghetto in cucina. La strada di sotto
era deserta, i lunghi portici in penombra risona-
vano di tanto in tanto di passi, di parole, di zu-
110
folii. Mirella si voltó un istante a guardare la stan-
za in ombra: e provo la sensazione che tutti della
famiglia fossero morti e la casa disabitata; simili
ai ricordi di una vecchia, lontani nell'immagina-
zione come chi guarda a rovescio con un cannoc-
chiale, Mirella ricordó i sei anni di fidanzamento
con Luigi, le mani di lui, i cinema, l'anello, e tutto
ció che era avvenuto su quel canapé in ombra. Vi-
cino a sé percepiva l'odore caldo, grasso e profu-
mato di Elide, che evaporava dal corpo di lei a
contatto con Paria fredda; e provó la mancanza
fisica di Luigi come ur orfana la mancanza della
madre. Giró per un attimo gli occhi grandi e ner]
pieni di lacrime nell'oscuritá, poi tornó a guardar
fuori, piangendo. Nessuno se ne accorse.
Stavano 'ormai cosi accucciati da qualche tem-
po quando improvvisamente la cordicella si tese.
Danilo sporse la testa subito seguito da Elide e
Maria Pia: un piede stava sul portafoglio e un
uomo curvo, in « montgomery », stava tranquilla-
mente slegandolo. Fece questo con agilitá e inta-
scó rapido il portafogli tornando a camminare len-
to sotto il porticato.
Nacque un pandemonio. Danilo cominció a gri-
dare al ladro, poi si precipitó di corsa giú per le
scale, all'inseguimento. Si udirono 1 passi di lui sot-
to il porticato, seguiti subito dopo da grida e pa-
role volgari. Alla fine si intese il rumore di uno
schiafto. Danilo rientró in casa per primo, seguito
- dal giovanotto in « montgomery ».

111
« Si e arrabbiato per lo scherzo, si €... » disse ac-.
cennando all'altro con il pollice e saltellando in
modo buffo; aveva una guancia rossa e segnata
dallo schiaffo ricevuto e fingeva di strofinarsi il vi-
so per il freddo.
Il giovanotto si presentó da sé in modo borioso
e consegno il portafogli a Elide.
«A lei, signorina! ma non bisogna approfittare
troppo della poverta; io non sono povero, ma po-
trei anche esserlo. »
Gli amici ascoltarono queste sagge parole, in
silenzio.
Cosi Lucio D'Avossa, l'uomo che mancava, en-
tro a far parte della compagnia.
Libondi lo conosceva solo di vista: era un ra-
gazzo strano che studiava architettura, aveva reci-
tato nel teatro dell'Universita e aveva fatto parte
di alcune compagnie di prosa. Parlava un italiano
troppo perfetto e teatrale quantunque fosse nato
e cresciuto in quella cittá. E conservava nel par-
lare quei modi di teatro, lievemente effeminati,
che tanto piacevano a Elide.
Simpatizzó presto con tutti, pur mantenendo una
certa distanza, e fu lui a sostituire, automatica-
mente dopo il fatto del portafogli, Danilo nel
ruolo di capo della compagnia. E tuttavia non fa-
ceva gran che, ma quando parlava raccontando
semplicemente le avventure dei suoi viaggi da glo-
be-trotter, in Germania, Austria, Danimarca, Sve-
zia, tutti lo stavano ad ascoltare in silenzio. Alto
112
e magro si muoveva con molta disinvoltura nei
suoil abiti pure semplici e di cattivo gusto, solle-
vava spesso il sopracciglio come Luigi, alcune vol-
te parlava in inglese, subito traducendo. Per lui
Elide compró una bottiglia di whisky.
Fu di quei giorni P'inizio della breve ma intima
amicizia tra Libondi e Danilo. Entrambi, senza
dirlo naturalmente, si sentivano esclusi. Dopo lP'ap-
parizione, che altro non si poteva definire, di
D'Avossa, essi cominciarono a soffrire giornalmente
della tacita invadenza di costui che, senza essere
invadente, otteneva un carico di simpatia molto
maggiore di loro due. Eppure, a far bene 1 calcoli
avrebbe dovuto essere l'inverso: Danilo aveva mille
volte piú spirito di D'Avossa, era piú intelligente,
-piú colto, piú elegante. E anche Libondi faceva
questi confronti: e non che si mettesse dalla parte
del migliore ma opponeva intimamente a D'Avossa
la sua laurea gia ottenuta e piú ancora il posto di
responsabilitá e soddisfazione che occupava in ban-
ca, Che lo avrebbe portato a funzioni direttive:
con i sacrifici si era fatto lui, non come D'Avossa
che, a giudicare da quanto diceva, non doveva aver.
passato una sola notte sui libri; e Libondi invece .
che le aveva passate con la forza di volontá, col
sacrificio e la Fede che lo aiutava nei momenti di .
-maggiore sconforto, si sentiva anch'egli vittima di
un'ingiustizia. Cosi, piano piano, Libondi col suo
disappunto di non essere abbastanza apprezzato,
Danilo roso da una invidia che ingigantiva giorno
113
AA a 1 +

per giorno, nacque tra i due un'amicizia acre, mac-


chinosa, piena di progetti vendicativi.
Danilo proponeva o illustrava o ironizzava, Li-
bondi approvava in silenzio: perché non combi-
nare un bello scherzo a quel cafone di D'Avossa?
Danilo, stando attaccato al braccio di Libondi che
sorrideva pulendosi soddisfatto le lenti, ne inven-
tava una ad ogni momento. Cosi, grazie a quel
rancore nascosto per D'Avossa che si sfogava in
progetti mai attuati, divennero intimissimi.
Danilo andava a prendere Libondi in ufficio,
si attaccava a braccetto, facevano un giro per il
corso, poi prendevano lP'aperitivo: una volta pa-
gava Danilo, un'altra Libondi. Nel pomeriggio,
prima delPufficio, era Libondi a fare una visitina
a Danilo che abitava in centro: di nuovo parti-
vano a braccetto stando al passo, Danilo riaccom-
pagnava Libondi in ufficio. Alla sera si telefona-
vano e andavano insieme in casa di Mirella. Quel-
le serate, ora che c'era D”Avossa da eliminare, da
calunniare o da ignorare, erano diventate movi-
mentate, movimentatissime, avventurose. Danilo
parlava sempre, macchinando piani, chiedendosi
il perché di ogni atto di Mirella la sera prima, o
due sere, o tre sere prima.
« Senti, Cesare, non é niente vero e te lo provo
subito. Supponiamo, facciamo lipotesi, » e qui Da-
nilo, sapendo del tacito amore di Libondi per Mi-
rella, per fare un piacere all'amico toccava le chia-
vi in segno di scongiuro, « facciamo Pipotesi che
114
Mirella sia innamorata di D'Avossa. Ieri sera, per
esempio, hai visto bene, non l'ha neanche guar-
dato in faccia! "Tu mi dici: chi disprezza compra.
Giustissimo, ma non é il caso di ¡eri sera: hai vi-
sto? Quando D'Avossa ha detto: lei, Mirella,
scommetto che non é neanche capace di baciare,
Mirella guardando me ha sbuffato. Mettiamo che
D'Avossa le piaccia, avrebbe sbuffato? No. Avreb-
be ribattuto: come fa a dirlo? E allora lui, sotto:
lo immagino. E lei: é che non voglio, ma mi pia-
cerebbe farglielo vedere io, eccetera... »
< Danilo, » lo interrompeva Libondi, « ma se lui
Pavesse giá baciata? »
« Ah! fammi ridere, ma scusa Libondi, scusa un
momento: e se l'ha fatto te lo viene a dire? Ti di-
ce che lei non e neanche capace di baciare? »
« Potrebbe averlo fatto apposta, per gentilhom-
mente. »
« Per gentilhommerte, quello li? Andiamo Cesa-
re, dai, dái, adesso non fare l'umorista, perché que-
sto € umorismo!... »
Libondi ridacchiava soddisfatto ma subito dopo
precipitava nei suoi dubbi con un sospiro. Danilo
se ne crucciava.
« Non sei convinto? No. Niente. Ma guarda che
tipo?! Capisco, tu sei innamorato, io, sal, per
-quanto riconosca che Mirella é una bella ragazza,
pure, guarda, a me non piace; a me, te lo confesso,
piace Maria Pia anche se e rotondetta; ma siccome
lo vedo dal di fuori, obiettivamente, freddamente,

115
A :

i ragionamenti li so fare meglio di te. Ma senti,


Cesare, che interesse ho io dunque, a dirti che
Mirella non é, non puó essere innamorata di
D'Avossa? »
« Nessun interesse, e io ti ringrazio Danilo, ma
sal, ma sal... »
« Ma sai cosa? Se vuoi non ti dico piú niente,
ognuno va per la sua strada... » j
« Ma no Danilo, ma per caritá, non é per que-
sto, anzi, lo so che tu lo fai per rincuorarml... »
« Per rincuorarti? E perché? Vuoi che ti venga
a dire una cosa per ur'altra? E allora, scusa, l'ami-
cizia dove la metti? Ma a parte Pamicizia c'é an-
Che, si, in quello che ti dico, un certo interesse.
Perché amicizia si, va bene, ma anche interesse;
reciproco, ma sempre interesse! Perché se tu amo-
reggi con Mirella e io con Maria Pia, noi amici
e loro amiche, si farebbe un quartetto simpatico,
a me, almeno, sarebbe simpatico. Di” la veritá, non
sarebbe bello? » diceva Danilo attaccandosi e strin-
gendo quasi con volutta il braccio delllamico. E
Libondi ormai rassicurato delle sue difidenze e dei
suol dubbi rispondeva: «Si, sí, porca Poca, che
bello sarebbe!» e preso da una gioia improvwvisa,
immaginandosi giá a braccetto di Mirella, scari-
cava quattro pugni di riconoscenza addosso a Da-
nilo che si schermiva ridendo.
In realta Danilo, dicendo queste cose a Libondi,
mentiva, cercando di convincere anche se stesso.
Anche lui era innamorato di Mirella e tra i due
116
rivali possibili, Libondi e D'Avossa, egli aveva pre-
ferito farsi amico Libondi che era timido, diffiden-
te ma in fondo ingenuo, piuttosto che D'Avossa
con il quale sentiva non sarebbe mai riuscito a fa-
re amicizia. A D'Avossa, borioso, presuntuoso, per-
sona che teneva le distanze, avrebbe provveduto in
un altro modo. Meglio dunque la lotta aperta. Ma
Libondi era sempre opportuno tenerselo amico,
per tre ragioni: primo perché Libondi, con quegli
occhiali, era un pericolo relativo, secondo perché:
conquistando la fiducia di lui e dicendogli che eli
piaceva Maria Pia, Libondi avrebbe confidato ogni
cosa delle sue intenzioni e ció che avrebbe even-
tualmente combinato con Mirella, terzo perché
contro D'Avossa era molto meglio essere in due
che in uno solo. Eliminato D"Avossa, nel modo che
aveva gia progettato, sarebbe stato da eliminare
Libondi, cosa assai piú facile. Ma cacciare D'Avos-
sa che era entrato in casa di Mirella con l'aureola
di un romantico sconosciuto era certamente piú
difficoltoso; infine, se ci fosse stato da menar bot-
te con D'Avossa, Libondi era grosso e tarchiato,
forte di quella forza buona e sempre spenta ma
che quando si accende non capisce piú nulla e mena
fino all'esaurimento.
Preso da tutti questi ragionamenti che si susse-
guivano Puno all'altro intersecandosi, complican-
dosi, dalla passione violenta per Mirella che pen-
sava sempre tutta nuda e desiderosa di lui e dal
rancore orgoglioso per essere passato in secondo
117
piano allarrivo di D'Avossa, Danilo non studia-
va, non faceva nulla tutto il giorno e aveva fre-
quenti crisi di pianto.
Durante quelle crisi, con accanimento pari al
desiderio del corpo di Mirella meditava di vendi-
carsi di D'Avossa. Ora immaginava di fargli fare
una figuraccia, di scoprire qualcosa di lui che lo
mettesse alla berlina; ora, infiammandosi, pensava
di svergognarlo, oppure di picchiarlo a sangue, di
rompergli quella faccia sempre sorridente, ora di
mandarlo in galera; e ancora di eliminarlo, di uc-
ciderlo o farlo uccidere simulando una disgrazia,
per mano di vecchi compagni di scuola delinquenti
con i quali era in buoni rapporti.
Poi, quando la crisi era passata e il corpo di Mi-
rella, nellimmaginazione, lo faceva fremere in ab-
bracci audaci e pieni di sorprese, allora, allora si
quietava e rifletteva alle cose con piú calma. Per
vendicarsi di D'Avossa, in fondo, ci voleva poco,
aveva gia tutto il suo piano pronto, semplicissimo,
infallibile: mancava solo Poccasione. Ma quando,
quando sarebbe venuta?

Elide, anche lei soffriva. D'Avossa era entrato


nella compagnia per caso, per una pura e sempli-
ce combinazione, ma per Elide che credeva molto
al destino la sua comparsa era -stata tutt'altro che
casuale. Ma perché proprio cosi, con quegli occhi,
118
quelle mani lunghe, quel modo di camminare un
poco curvo e quasi stanco, quegli abiti, la maniera
di portarli? E il gesto stesso di accendere le siga-
rette, muovendo le dita proprio in quel determi-
nato modo, non come gli altri, non come tutti,
ma come lui, lluomo che aveva sognato fin da quan-
do era bambina! Lei ne aveva di tenerezza den-
tro, oh, se ne aveva! Ma P'aveva cacciata nel fon-
do dopo la morte dei suoi due ragazzi e dopo Hans;
aveva deciso che non si sarebbe mai piú innamo-
rata e se avesse trovato un amore l'avrebbe fug-
gito o avrebbe dato a lui quel che c'é di piú su-
perficiale: il corpo. Ma il sentimento, quello vero,
intimo, eh no, basta! Lei Paveva dato a pieni mani
due volte e due volte il destino glielo aveva resti-
tuito!
Ma Lucio, Elide sentiva che era il suo uomo;
era venuto cosi, senza che nessuno lo avesse chia-
mato, si era presentato alla porta, questo ricor-
dava soprattutto, la prima volta, la prima visione.
Ora Elide vedeva bene, vedeva chiaro per chi era-
no gli sguardi di Lucio, le sue piccole, piccolissime,
quasi invisibili attenzioni, le sue poche parole, 1
lievissimi rossori, perfino l'imbarazzo: si, lP'imba-
razzo. Perche forse chi é innamorato non é anche
un poco imbarazzato? Nel muovere le labbra, nel
parlare o nel guardare la persona amata. Elide
vedeva questo, e anche lei come Danilo era rosa
dentro dalla passione. Anche lei, alla sera, nel-
Parrotolare a uno a uno i bigodini aveva perso
19
o! A s ' 4 RR

la calma allegria di un tempo; ora si buttava a


_letto senza averli infilati tutti e spegneva la luce,
- subito, per pensare a lui. Riusciva a fingersi Lucio
vicino a sé, sognava di carezzarlo, di parlargli, di
dirgli le cose sue, i pensieri piú intimi, quelli che
non aveva confidato mai a nessuno, neppure ad
Hans a causa della lingua tedesca. 1 suo desideri
- di viaggi, per esempio, a Paris, a Londra dove Lu-
cio era stato e che lei non conosceva; gli avrebbe
detto di Mario ed Ettore, di questi due fratelli che
non aveva mai avuto e che non erano mai morti ma
esistevano nel suo cuore, quasi come veri ormali,
dopo tanti anni: si, gli avrebbe confessato anche
questa piccola, patriottica bugia! E come lui fosse
per lei tutto insieme: i fratelli aviatori che non
erano mai morti, Hans von Kroner che era stato il
solo a cui si era data; non gli avrebbe detto degli
altri a cui si era data, con quelli era stata una fol-
lia, solo una follia... Hans von Kroner era stato
Punico a cui si era data veramente, per amore.
L'avvocato Canevarino poteva dirsi un amante? E
gli altri? Era amore quello? No, non era amore.
Non Paveva tradito, in passato, con questi. E non
LPavrebbe detto a Lucio perché forse ne sarebbe
stato geloso. Elide non voleva pensare a Lucio ge-
loso perché gelosia vuol dire sofferenza e lei non
voleva farlo soffrire, solo dargli gioia.
Da questo peso di gioia che sentiva dentro di sé
Elide a un certo punto si liberava scoppiando in la-
crime; e quell'improvviso sfogo corrispondeva nel-
120
Pimmaginazione all'amplesso, all'atto d'amore che
ne sarebbe sopravvenuto dopo le parole, le confi-
denze intime, gli sguardi. Perché Elide non pen-
sava mai all'atto materiale dell'amore se non dopo
una dedizione totale dello spirito. Spirito e mate-
ria, prima spirito e dopo materia erano le parole
che Paffascinavano di piú nelle discussioni d'amore,
Ne aveva parlato anche a Mirella, ma Mirella
non capiva niente, quella era come una bestia!
Confidandosi, Mirella le aveva detto che s'era data
a Luigi, si, perche llamava, ma soprattutto perché
quando Luigi diventava intraprendente ella non
capiva piú nulla, sentiva solo un gran formicolio
che ad un certo punto, proprio grazie a Luigi, ces-
sava. Che schifo! che materiale! Ah, no! lei no,
lei non era cosi povera, cosi arida, lei era diversa,
piú ricca dentro, aveva piú cuore lei! E ció che
avrebbe concesso a Lucio se fosse stato li con lei
sarebbe stato appunto il cuore, non altro, il cuore
con tutti i suoi palpiti, il sangue, le vene fino al-
le piú piccole, alle piú sottili, fino a quelle prive
d'importanza: ma il cuore, il sentimento, non la
materia!
Cosl, presa da commozione e da gioia sfiorava
con le labbra quei punti del canapé dove lui aveva
poco prima appoggiato la schiena; e nel farlo le
- pareva di sentire Podore di lui, misto a quella
lavanda alpestre amara, delicata, finissima, ch'egli
usava. Era sicura di sentirlo, non s'ingannava; e
poi prendeva un bigliettino sul quale egli aveva
121
o ETA SN MEN ER

scritto un piccolo giuoco di parole, lo guardava e


lo riguardava senza tregua, ancora lacrimante, e
si addormentava posandoselo sulle labbra e sugli
-occhi finché, per suggestione, le pareva che la car-
ta si trasformasse nei polpastrelli freschi e sensi-
bilissimi di Lucio. Si addormentava, sognava gite
con D'”Avossa, viaggi con D'Avossa, anche viaggi
d'affari, sognava audacie amorose di D'Avossa a
cui lei rispondeva con le audacie del suo cuore.
Al risveglio si sentiva bene. E per tutto il giorno
viveva delle fantasie della sera innanzi e dei sogni
della notte. Si sentiva perfino sicura di sé, ma lo
stesso, per provarsi, interrogava continuamente il
destino sulle carte, nei numeri delle case, nei bi-
elietti del tram, nella data del giorno. E tutto ri-
sultava a suo favore. Ma naturale! che idea essere
gelosa di Mirella! era chiaro, Mirella non era la
donna per lui, un momento o VPaltro il destino stes-
so glielo avrebbe suggerito che Mirella non era de-
ena di lui. No, no e no! senza cuore era, una sen-
suale e basta, come poteva lui, con quegli occhi
pieni di sentimento, non capire, non vedere?
Ma alla sera, quando la compagnia si ritrovava,
quando D”Avossa era vicino a lei e guardava e pat-
lava invece a Mirella con quelle sfumature quasi
inudibili nella voce, ma chiare, chiarissime, allora
per Elide era una tortura, una tortura cinese, mille
aghi nella carne.

122
10

Tr quel giorni la compagnia andava animandosi,


per organizzare, decidere il programma della
festa di capodanno. Dove si sarebbe passata la not- -
te di San Silvestro? Cento domande e cento rispo-
ste sempre insoddisfacenti: al veglione del Veloce
Club! Mah! Era un'idea, c'era da pensarci sopra,
non bisognava scartarla. Contrario era Danilo, qua-
si sempre, e contrario soprattutto al Veloce Club. .
Quell'ambiente, ma scherziamo! Prima di tutto
una folla da non poterci stare neppure in piedi,
poi caldo, caldo da morire! Lui c'era stato l'anno
scorso e lo poteva dire con cognizione di causa,
ma soprattutto l'ambiente, che roba! disorganiz-
zato, gente che entrava senza essere invitata, senza
invito addirittura: serve, perfino servette, la soli-
ta figlia del direttore dell'Ufficio Igiene, poveretta,
- meglio non dir niente. Insomma, gli habitués del
cafté Cavour e il resto sconosciuti: povera gente,
ma poveri poveri, vestiti come Dio vuole, con de-
eli smoking, degli abiti da sera di un gusto!... Dio
123
ci salvi, per caritá che roba! Insomma proprio ro-
ba da partito comunista !
«Non é vero niente, » ribatteva Elide, «io co-
nosco benissimo, anzi posso dire di essere amica del
dottor... il dottor Mario, Mario... dái, Mario... 1l
nome P'ho qui sulla punta della lingua, Mario...
be” non importa, insomma lPorganizzatore. Bravis-
simo, persona molto simpatica, in gambissima. »
«Be, e questo cosa c'entra, lui puó essere in
gambissima e il veglione uno schifo. Lui puó es-
- sere in gamba finché vuoi, ma io ti dico, cara Elide,
e mi puoi credere, che é€ uno schifo, ma vera-
mente... »
« Io a casa non ci sto, eh no, Santo Dio! » inter-
veniva Maria Pia mettendo cosi in azione quella
lingua di cui faceva poco, troppo poco uso.
Danilo a queste parole si alzava di scatto dal
canapé e andava a pizzicare con due dita la A
cia di Maria Pia:
« E dove vuole andare lei? sentiamo, sentiamo! »
diceva a denti stretti, godendosi tutto a stringere
e tirare e piegare e accartocciare la guancia di
Maria Pia che, zitta e immobile, con gli occhi bas-
si per il dolore di quei pizzicotti gradatamente si
imporporava fino a diventare tutta rossa infuocata.
In quei casi Maria Pia era facile ad adirarsi e
poi, dopo che Danilo aveva abbandonata la stretta,
si alzava con tanto di muso e faceva Patto di an-
dare a casa.
«E se andassimo tutti in montagna? » propo-
124
_neva Libondi col viso proteso insieme alle lenti in
un sorriso, come per ricevere una plaudente con-
ferma. | :
« Per me, io son sempre disposta, decidete voi, »
diceva Mirella tanto per aprir bocca.
Ma il sorriso di Libondi gelava invisibile dietro
le lenti all'apparire di un altro sorriso all'angolo
delle labbra di D'Avossa.
« Brrr, » faceva D'Avossa fingendo di rabbrivi-
dire. E in quel momento Libondi non sapeva ca-
pire esattamente se Lucio intendeva prenderlo in
giro, se con quel « brrr » voleva intendere Peffetto.
di una freddura mal riuscita o chissá cos'altro. Si
tranquillizzava alle parole di D'Avossa, chiarifica-
trici: «Fa freddo, sa. »
Le ragazze erano d'accordo con lui sul freddo
e, pure ammettendo che quella della montagna,
di Cortina, era un'idea che in ogni caso bisognava
mettere da parte, in linea di massima dissentivano.
Ma, ad eccezione di Maria Pia che lo possedeva
senza averlo mai adoperato, ognuna pensava con
tristezza che la montagna significava un costume
completo da sci e gli sci e tante cose che bisognava
comprare e non si poteva.
«E perché non andiamo a Venezia? >» azzar-
dava Mirella. Silenzio.
«A Venezia, e perche? A nuotare? » diceva Da-
nilo, Subito cadeva Pidea di Venezia.
« lo avrei un invito in casa privata, » entrava
in argomento Libondi, « casa fine, una famiglia di
125
otto fratelli, e poi gli amici; se volete posso occu-
-parmene, cosi, in casa privata insomma... »
« Ah, per caritá, casa privata, ne so io qualcosa!
che roba! mi scusi sa, Libondi, a lei magari piace
ma... » Elide si infiammava. |
< No, ma io dicevo... »
«No, guardi Libondi, meglio di no, non le di-
co neanche il perche, anzi glielo dico: i casi sono
due, o una malinconia da morire, roba cattiva,
spumante non genuino e malinconia; oppure cose
non belle, scene senza pudore insomma... mi sono
spiegata, cose... donne... »
« Veritá al » interveniva Danilo crol-
lando il capo.
Libondi ritirava subito la proposta: « Basta, ba-
sta, lo dicevo, si puó dire, no? »
Quelle discussioni avvenivano negli ultimi gior-
ni, in un clima oramai al di fuori della realtá: e
da discussioni finivano in dispute, con qualche
scappata volgare, con parole grossolane di cui su-
bito si chiedeva pardon mettendosi una mano da-
vanti alle labbra; e tuttavia servivano a far di-
menticare ad ognuno la monotonia e il languore
senile di quella cittá di provincia. Perché gli ami-
ci non pensavano a quella notte di capodanno co-
me ad uno sfogo, ad uno scoppio di vitalitá im-
provvisata ed artificiale che poi sarebbe finito co-
me sempre finisce, bensi a una data, a una meta
che avrebbe senza alcun dubbio dischiuso orizzonti,
speranze, viaggi, amori, denaro, carriera. Essi non
126
dicevano tra sé come quei poveri che entravano ai
veglioni senza invito e con abiti ridicoli: « Diver-
tiamoci stanotte, tanto, domani si torna a lavo-
rare!» Non pensavano a questo, gli amici, ma a
qualcosa di impreciso e tuttavia pieno di occasioni
inattese ed imprevedibili. Avidi, per natura, di
tutto ció che durante lP'anno in condizione di vita
normale essi non avrebbero potuto ottenere mai,
né permettersi, ora sognavano che ció sarebbe sen-
za dubbio accaduto proprio quella notte di San Sil-
vestro: forse da quella notte Libondi non sarebbe
piú andato alla banca, Danilo avrebbe ottenuto
fulmineamente amore di Mirella e la laurea, Eli-
de avrebbe preso Paereo, cosi come si trovava, in
vestito da sera, con D'Avossa, Maria Pia si sa-
rebbe lasciata sedurre per la prima volta, perché. SP
o
¿e

anche lei voleva provare. Solo Mirella pensava a


cose possibili e sensate come quella di augurarsi in .
quel nuovo anno quello che si auguravano tutti:
una migliore fortuna e cose belle e piacevoli.
Perché gli amici perdessero cosi improvviso 1l
lume della ragione non si sa; O le ragioni sono mol.-
te, poco chiare e in ogni caso al di fuori proprio
del lume della ragione. Fatto sta che si trovarono
la sera del 29 dicembre senza aver scartato nes-
suna delle idee, ma d'altra parte senza averne de-
cisa alcuna.
Fu cosi che, quando D'Avossa che non aveva
mai aperto bocca se non per chiedere un fiammi-
fero o un altro goccio di whisky, quando Lucio fe- *
127
e

AR

“ce la sua proposta, tutti, al seguito delle ragazze,


furono d'accordo e lo dimostrarono con balzi sul
canapé di pelle nerá, con espansioni manesche e
strette di mano e congratulazioni.
D'Avossa, con la sua voce chiara e il suo gestire
.lento accompagnato da rapide scosse della mano
che teneva il bicchiere, aveva proposto di organiz-
zare la festa proprio li, in casa. Non c'era una can-
tina da qualche parte? Gli pareva di avere osser-
vato. Bene, quella cantina, se fosse stata asciutta,
si sarebbe trasformata in una simpatica sala da
ballo, una cantina esistenzialista, anzi, anzi, una
parodia degli esistenzialisti francesi. La cosa era
originale e divertente, non si dava fastidio a nes-
suno degli inquilini trattandosi di una cantina:
LPaddobbo era economico, lo spazio molto, le pos-
sibilitá di divertimento infinite e pazze trattandosi
di esistenzialismo e il tempo, alfine, piú che suffi-
ciente per preparare ogni cosa con gusto.
Pareva a D'Avossa che l'idea, senza essere ge-
niale, fosse accettabile, agli amici invece parve ge-
niale e cosi dal giorno seguente si misero tutti al
lavoro. Tutti, fuorché D'Avossa ch'era andato a
Milano per le sue cose di teatro, e anzi non sapeva,
non poteva dire con precisione se questi impegni
gli avrebbero permesso di partecipare anche lui
alla festa.
In realtáa D'Avossa non aveva nessun impegno
e per i due giorni che seguirono si chiuse in casa,
avvolto nella vestaglia che s'era fatto fare ai tempi
128
della prima, primissima passione per il teatro e che
ora a studiarvi, a dormirvi, a mangiarvi sopra an-
ziché a recitarvi s'era consumata e slabbrata per
quelle stesse ragioni casalinghe e insieme mon-
dane che sciupano le vestaglie delle affittacamere.
Visto in casa D'Avossa era una di quelle per-
sone che, simile in questo a molte donne, perdono
tutto il loro fascino e addirittura assumono fisio-
nomia e modi diversi: una di quelle persone che
pure essendo giovani sembrano gia anziane, di una
anzianitá senza data e posta al confine tra i due
sessi. Certo D'Avossa si vedeva bene ch'era un
uomo e un bel ragazzo anzi, ma lo stesso, cosi av-
volto nella vestaglia, aggirantesi di continuo dalla
camera al corridoio, dal corridoio alla cucina dove
stavano tre donne, dalla cucina alla camera della
zia Dirce inferma, dalla camera della zia Dirce al
bagno, in continuo, frettoloso e silenzioso moto, fru-
sciante e ombreggiato dalla luce tinta delle vetro-
fanie, cera qualcosa in lui che lo faceva assomi-
gliare a una donna. E poi aveva giá tutte le sue
manie: e il caffellatte alla mattina, poco scuro, e il
cafté lungo e il té con il fungo e lo whisky, e an-
cora un goccio di caffellatte e poi latte solo, bol-
lente, e ancora latte, ma freddo con un goccetto
di té; questi alimenti, tutti liquidi, ch”egli si scal-
.dava da solo sul gas e che beveva in fretta por-
tando poi la chicchera all'acquaio dove la riem-
piva d'acqua per averla pulita la volta dopo quan-
do gli fosse occorsa, questo suo fare tutto da sé, an-
129
AI O e E ANA dr
in ME >

che se in modo inesperto, gli conferiva come un to-


no di zitellaggio prematuro, una pignoleria ecces-
siva per la sua etá e in fondo malinconica in un gio-
vane sano, bello, robusto, e, a suo modo, intelli-
gente come lui.
Stava quasi sempre in casa a studiare o a leg-
gere, parlava poco e con gentilezza strana e inna-.
turale anche ai genitori e ai quattro fratelli con 1
quali non era necessario usare tante sottigliezze e
quel poco che diceva sempre lo faceva cadere dal-
Palto come un rimprovero o un celato giudizio.
Tutti in famiglia lo giudicavano intelligentissimo,
lasciavano che facesse e avevano per lui un rispetto
eccessivo, quasi come persona estranea di cui c'é
d'aver soggezione. Una sola cosa non capivano:
quel suo sostenere che la zia Dirce era una donna
di straordinaria intelligenza, quando la zia Dirce
era invece una vecchia di ottantanove anni, infer-
ma e quasi muta. Tuttavia rispettavano anche
questa sua idea giudicando che, se lo diceva Lu-
cio che era intelligentissimo, le sue ragioni le do-
veva ben avere.
D'Avossa piaceva molto alle donne, a tutte le
donne, cosi in generale, dalle ragazze alle vecchie:
per quei suoi modi gentilissimi, un poco superiori
e riservati, e per la sua bella presenza, dava adito
a molte supposizioni; tipo facile ad addomesticarsi
nella fantasia grazie appunto alle sue poche e stra-
ne parole e capace proprio di quegli atti che le
donne amano sempre immaginare come sorprese
130
d'amore. Come se un istinto o una forma inco-
sciente di civetteria glieli suggerissero, volta per
volta egli sapeva dire parole, assumere atteggia-
menti, rivolgere sguardi, proprio'quelli che ogni
donna pareva attendere da lui come una prova
decisiva.
In questo modo s'era gia fidanzato quattro volte
con ragazze belle e di buona famiglia: fidanza-
menti morbosi da parte femminile, quasi isterici,
nutriti di gelosie e pianti e scene a non finire per
delle infedeltá ch'egli non aveva mai commesso
nemmeno nel pensiero. Ma anche questi fidanza-
menti andarono a monte: perchée se D'Avossa pia-.
ceva alle donne, le donne non piacevano tanto a
D'Avossa. S'era stufato, erano tutte delle scoccia-
trici tremende con le loro gelosie, i ricatti, le sce-
ne. Egli ben volentieri si sarebbe fidanzato con una
ragazza che fosse una specie di amica, perché ami-
ci uomini non ne aveva, solo amiche che poi fini-
vano sempre per innamorarsi di lui. Aveva tentato
tante volte e mai era possibile un fidanzamento
come lui desiderava. E per questo ora si sentiva
deciso a fidanzarsi con Mirella: perche, finalmente,
aveva trovato una che pareva addirittura sfug-
girlo, o ignorarlo e alla fine disposta a rispettarlo;
a non interrogarlo continuamente, insomma a la-
- sclarlo in pace.
Quei due giorni che precedettero la festa di ca-
podanno, D'Avossa aveva deciso di passarli in ca-
sa, apposta, dopo aver dato la piú parte dei sugge-
131
rimenti per Paddobbo della cantina. Meglio non
farsi vedere. Aveva detto che sarebbe andato a Mi-
lano e che forse non gli sarebbe stato possibile in-
tervenire, tutto apposta. Era sempre meglio com-
parire e scomparire, crearsi un poco l'lambiente
nella fantasia femminile, preparare il terreno. Il
teatro, poi, era una ragione sempre buona, a cui
qualunque donna cedeva: il teatro, Milano, il viag-
“gio, verrá o non verrá alla festa e poi comparire,
quando ormai le speranze sono quasi perdute, pro-
prio un momento prima della delusione. Cosi
avrebbe fatto e poi, il fidanzamento. Voleva fare
le cose in ordine com'era solito, sarebbe andato dai
- genitori, avrebbe regalato l'anello, quel solito anel-
lo passato attraverso quattro dita e che, nei periodi
in cui non era fidanzato, infilava nel mignolo. Spe-
-rava che questa, con Mirella, fosse la volta buona.
E D'Avossa, simile ma solo in questo ad una
donna, pensava seriamente a una famiglia tutta re-
golata, con i suoi pasti puntuali, il latte, il caffé
lungo, ancora il latte con un goccetto di te, le let-
ture in famiglia, le commedie alla radio e una
quantita di altre piccole cose piacevoli e casalinghe.

T'aria nella cantina era surriscaldata e quel-


Pumidore freddo e nascosto negli interstizi tra
mattone e mattone trasudava dalla volta goccio-
lando. Non avevano previsto, gli amici, questi ef-
132
fetti naturali e ne furono sorpresi e soddisfatti.
Avevano lavorato di lena per quei due giorni; Da-
nilo andava e veniva per gli impianti e per le stu-
fe elettriche da prendere a prestito in casa di co-
noscenti; Libondi aveva ottenuto due giorni di fe-
rie anticipate dalla banca e vestito di una tuta la-
vorava nella cantina a trasportare masserizie, a
pulire, a spazzare, ogni tanto permettendosi un po-
co d'estro personale negli addobbi: faceva tutto.
quello che gli dicevano di fare, mansueto e ine-
sperto, insaccato in quella specie di tuta ch'era
stata una vecchia sahariana di lavoro del signor *
Edmondo ai tempi dell'Africa. Si dava da fare tut-
tavia con troppo zelo per cui non fu gran che utile.
Danilo invece era sveltissimo, faceva praticamente
tutto lui, insieme a Elide e un ragazzo di bottega
dei Bombardini. Libondi e Danilo avevano criti-
cato molto quella sparizione di D'Avossa: perché
non era venuto anche lui a lavorare come lavora-
vano tutti? Era forse speciale? Ma compresero su-
bito, 1 due amici, che queste lagnanze non anda-
vano a genio alle ragazze e venivano prese piutto-
sto come critiche invidiose contro una persona cosi
gentile come D'Avossa.
La cantina dove gli amici si erano dati un gran
da fare consisteva in un'ampia stanza a volta con
“alcune minuscole celle ai lati, ripostigli dei vari in-
quilini. Questi sarebbero serviti da separe. Una
porta con un piccolo corridoio dava nella lavan-
deria che peró era chiusa.
133
Ora gli invitati e gli amici, tutti in abito da se-
ra, attendevano Palba.
Libondi, per conto suo, aveva invitato una signo-
rina d'ufficio e due compagni d'Universita: un no-
taio e un possidente che non aveva terminato gli
studi.
C'era Pavvocato Canevarino con la moglie, una
donna piccolissima e magrissima vestita di un abi-
to nero di velluto e una collana di famiglia piú
grande di lei. Non parlava mai, era molto timida
e si aggirava presso il tavolo del rinfresco per of-
_frire pasticcini e versare da bere; ogni tanto il ma-
rito le si avvicinava per rimproverarla violente-
mente a voce bassa, coi denti stretti.
Una piccola compagnia di studenti vestiti da esi-
stenzialisti, con maglioni e sandali, stava riunita nel
separé: ragazzi e ragazze tutti in pantaloni, silen-
ziosi e discreti, apparivano confusi nella semioscu-
ritá di quel ripostigli, seduti tra le casse sganghe-
rate, le ceste di trucioli, i resti di una vecchia In-
dian da corsa del signor Bombardini quand'era
glovane.
Il possidente amico di Libondi, appassionato del
canto, era stato invitato piú volte a far sentire la
sua voce ma aveva rifiutato energicamente. Pure
girava col bicchiere in mano in atteggiamento
sprezzante, canticchiando arie imprecise a bassa
voce. Quando un ospite lo invitava a cantare ne-
gava con un sorriso di compatimento come per
far capire che quelli non erano né Poccasione, né
134
ANS A A A A NA ed
y % PICA rl . 1

il luogo. Poi, da solo, brontolava o avviava discus-


sioni su quella musica africana, come lui la chia-
mava, che usciva dai dischi di Danilo.
« Bellobbrobrio! >» diceva, « non sará mica voce
questa! e sono giovane anch'io, ma volete mettere,
non vorrete mica dirmi che questa qui é voce! Un
bel pezzo di Verdi, qualunque cosa di Mascagnl... »
« Ma sa chi e? € Armstrong! » obiettava allora
il suo compagno e cosl, senza ragione, rideva.
« Chi? Non so niente, bella roba! E quella, queí-
la per voi sarebbe voce, sarebbe ugola, quella! »
E cosi dicendo, raschiandosi un momento la gola
e gorgogliando, mandava un acuto cosi potente che
tutti gli invitati giravano lenti gli occhi verso di lui.
Egli si mostrava allora per la prima volta sorr1-
dente come se avesse fatto uno scherzo e si asciu-
gava il sudore colato per lo sforzo di quell'attimo
con un grande fazzoletto bianco. Liberava il brac-
cio dalla mano insistente di quello che gli stava
vicino, lo ignorava e riprendeva a parlare da solo
e a fare apprezzamenti volgari.
Elide girava qua e lá in continuo, nervoso moto,
con cabaret di dolci e bottiglie, a offrire, a dire
cose di cui per un complacente minuto si rideva,
poi non si rideva piú. La musica era quasi soffo-
cata dal gran chiacchiericcio, pure ognuno pareva
-come parlare tra sé poicheé l'altro, l'altra persona
cul erano rivolte le parole, guardava altrove, assen-
tiva e sorrideva, scusandosi.
Mirella ballava con l'avvocato Canevarino e con

135
Ñ > q

Agnolin, quello dei cavalli: uno si succedeva all'al-


tro, Canevarino ballava le danze dell'America La-
tina in cui era abilissimo, Agnolin invece, i valzer:
allora gli sguardi degli invitati si appuntavano su
quella coppia che girava vorticosamente sullo scon-
nesso pavimento, giudicando, criticando, pignolan-
do. L'umiditá che trasudava dai muri, il vino ver-
sato, 1 pezzi di pasticcini e di torta gettati via ave-
vano coperto il pavimento di uno strato sottile di
fango: si udivano i piedi slittare e i tacchi delle
donne infiltrarsi scricchiolando negli interstizi tra
'mattone a mattone. Una signora era caduta im-
brattando il vestito, Libondi era subito corso ad
alutarla.
«Si e fatta male, signora? » aveva chiesto con
voce lenta e in quel momento inopportuna e irri-
tante. La signora s'era rialzata da terra e nel farlo
era scivolata ancora una volta mostrando un gam-
ba fino al reggicalze.
« No, no, piuttosto il vestito. » :
« Oh! che peccato! si é sporcata il vestito! » sot-
tolineó per gentilezza Libondi.
«Non importa, cosa vuol che sia! »
« E si potrá lavare? »
« Eh! Non lo so, é nuovo, e sa com'é la seta pura,
si lava e non si lava... se ci fosse piuttosto un poco
d'acqua, tanto da levare il pil... »
« Se permette l'accompagno io, signora, » e dopo
avere chiesto il permesso al marito Libondi P'ave-
va condotta alla fontanella in giardino. Li, la si-
136
gnora si era bagnato il vestito con piccoli brividi
e nel farlo si era appoggiata a Libondi, che la so-
steneva guardandola improvvisamente avido da die-
tro le lenti; era stato uno sguardo lungo e proteso,
il viso di Libondi vicino a quello di lei, a contatto
di lente. Egli la sorreggeva alla vita e sempre fis-
sandola e sorridendo di un sorriso statico.e quasi
sofferente, stringeva e stringeva la vita della donna.
Dopo il piccolo incidente successo alla signora,
Elide era andata a prendere della segatura che
aveva dato ai giovani perché la spargessero. Quelli
avevano cominciato per scherzo a gettarla in aria
come coriandoli, ma erano stati subito ammoniti
da Canevarino. L'avvocato ne aveva ricevuto una
manciata tra 1 capelli neri e lucidi e si era subito
seccato.
«No, no, non si fa mica cosi, eh, piccoli? Non
si fa mica i furbi, eh!» aveva detto prendendone
“uno per un braccio fin quasi a sollevarlo.
- Cera grande animazione, a un certo punto si
fecero dei giuochi, il possidente si mise a raccontare
barzellette sui comunisti. |
Tutti ridevano e si divertivano. Pure la festa
mancava di qualcosa. Qualcosa di poco chiaro ma
vicino, vicinissimo, che avrebbe potuto giungere da
un momento allPaltro tra gli invitati: era come
-un appuntamento collettivo, un'attesa che in ognu-
no si faceva tanto piú incalzante quanto piú diven-
tava inafferrabile. Come in una compagnia di ami-
ci che si ritrovano dopo anni ognuno prova la sen-
137
sazione di un vuoto che in realtá non esiste, di una
persona mancante che invece € li, li presente al
banchetto, cosi gli invitati attendevano al limite
estremo delle loro speranze qualcosa, un avveni-
mento che era stato loro promesso e vita per
. quella notte di capodanno.
D'Avossa arrivó che mancavano pochi minuti a
mezzanotte, tutto trafelato, cosi come aveva pre-
visto; e come aveva previsto si levó il « montgo-
mery » di cui era incappucciato, come una « man-
nequin » la pelliccia. Aveva portato due bottiglie
di Piper che posó subito sul tavolo sorridendo.
_Certo egli aveva calcolato bene: per qualche
“minuto la festa si arrestó, avvennero le presenta-
zioni. Giunto cos1 all'improvviso e ormai quasi in-
sperato, il suo arrivo aveva coinciso con quello sta-
to quasi ansioso d'attesa e di speranza da cui ogni
invitato si sentiva preso. Per un momento tutti si
chiesero chi era quel bel giovanotto cosi elegante,
mai visto: chi era, chi era mai?
Elide ebbe un tuffo al cuore e scambió quell'im-
provvisa apparizione per un'altra prova del desti-
no. Lo guardava e basta, senza parlare: lo guar-
dava in viso e negli occhi mentre si muoveva, sa-
lutava le signore con una rapida accarezzante stret-
ta di mano, gli uomini con una stretta piú rigida
e nervosa. Si sentiva come percorsa da un brivido
e poi, quando D'Avossa la prese sottobraccio in-
sieme a Mirella, Elide vi si appoggió con tutte e
due le mani accarezzando il panno morbido e vel-
138
lutato dello smoking: in quel momento aveva bi-
sogno di campane, di luci, di gente sconosciuta, di
trovarsi lontano, in America, dove porgere e rice-
vere auguri per le strade, lei in abito da sera e
Lucio in smoking, correre tenendosi per mano nel-
le grandi vie sotto i grattacieli.
Per un momento dunque, D'Avossa aveva pola-
rizzato l'attenzione degli invitati. Chi era? Chi a
quell'ora e cosi fine, cosi signore? Il figlio dí un
grande industriale, un attore? Come somigliava al
caro re Umberto! che non fosse un parente, ma-
gari? Avrebbe potuto essere lui la sorpresa, l'im-
previsto, 1l destino che ogni invitato, lá dove la co-
scienza si stempera in riflessi e miraggl assurdi, at-
tendeva con ansia. Ma presto, subito, dopo la mez-
zanotte e lo stappo delle bottiglie, gli auguri, gli
abbracci, i balli gofí e sguaiati, D'Avossa diventó
per tutti quello che era, uno studente appassionato
di teatro, fine, elegante, simpatico, ma basta. E
quel qualcosa che mancava alla festa, ora che mez-
zanotte era passata, scomparve.
Tutti si misero a bere e a mangiare gli avanzi
delle torte, i dolciumi, i panini, con aviditá, noia
e vandalismo. Il possidente si prese due bottiglie e
ando in un angolo a scolarsele; Maria Pia si era
avvicinata per prenderne gentilmente una ma lui
si era messo a discutere che le bottiglie erano sue,
che ne aveva portate la bellezza di sei, di quelle
buone di campagna, e che poteva berne non una,
ma due, ma tre, ma anche tutte.

139
L'avvocato Canevarino, giá ubriaco, era anda-
to a stringersi alla moglie e mostrandolo a tutti ap-
poggiava le mani di lei, minuscole e ruvide per i
lavori di casa e d'acquaio, sulle guance rasate €
lucide perché lo carezzassero.
I giovani vestiti da esistenzialisti ballavano an-
cora provando delle acrobazie ma si stufarono pre-
sto e andarono a rannicchiarsi in mezzo ai trucioli
e ai pezzi della Indian, nei separe.
D”Avossa, seduto per terra su una vecchia pelle
d'orso, discuteva con Mirella.
Danilo lo osservava continuamente: come lo
odiava! S1, ora lo odiava, quel cretino, cafone, im-
becille! E Mirella stava anche ad ascoltarlo. Ma
che cosa poteva dire di cosi straordinario, quel de-
ficiente? E tutto perché? Perché era lungo e ma-
gro e gli uomini lunghi e magri erano di moda!
Cretino ma lungo e magro! cafone ma lungo e
magro! Aveva bevuto disordinatamente e ora sen-
tiva le orecchie ronzare di quei pensieri e di que-
eli insulti.
Presso di se, stretta alla vita, teneva Maria Pia
Bombardini di cui sentiva la carne grassa e soda
fremere e muoversi sotto le dita. Egli le percor-
reva un fianco dalla coscia alla schiena, lungo la
zigrinatura della cerniera, su, fino alPascella rasa-
ta; li sostava con le dita come per farle il solleti-
co, in quel cavo fresco e carnoso che gli suggeri-
va pensieri su pensieri. Á un tratto, a mano a
mano che la rabbia per D'Avossa aumentava, lo
140
assalse un desiderio furioso di Maria Pia. Toh!
Non se ne era mai accorto! Lisciava la carne di
lei sotto lPascella e cercava di infilarsi nel seno
pressato dal bustino con la. stessa rabbia e forza
delle dita con cui avrebbe stretto il collo ossuto
di D'Avossa. Che bella carne aveva Maria Pia!
Che bella, Madonna, che bella grassa, chissá co-
mera! Cosi pensando, le teste girate verso il mu-
ro, la bació: un bacio caldo e abbandonato nel
quale percepiva in due soffi vigorosi il fiato di Ma-
ria Pia sul collo e nell'orecchio.
Che voglia gli faceva Maria Pia, Madonna che
voglia! Sempre piú con ferocia andava stringen-
dola con le dita nel cavo dell'ascella morbido e
sinuoso: i peli rasati e pungenti, lá dove la carne
si piegava in minuscole anse erano come una esi-
bizione di lussuria, un assaggio succoso di ció che
sarebbe stato il resto del corpo.
«Cosa sto ad aspettare? » pensava con rabbia.
« Mirella? che vada pure con D'Avossa lei! vai
pure con D'Avossa, cosa credi? che io non abbia
donne? guarda qua, guarda come la stringo, guar-
da un po” qua, come perde la testa! » E cosi fis-
sava lo seuardo sui due seduti a chiacchierare sul-
la pelle dell'orso; ma Mirella e D'Avossa non gi-
ravano mai gli occhi dalla sua parte.
Anche Maria Pia aveva un poco bevuto, ma
non fu il vino a renderla complice di Danilo, ben-
si un desiderio ottuso e premeditato, una testar-
daggine sorniona, muta e infantile.
141
a a e
e y

Si alzó per prima con uno struscio sibilante di


calze e di abiti e si avvió con gli occhi bassi, le
braccia ciondolanti. Danilo la segui subito dopo.
Chiuse dietro di sé, col catenaccio, la porta del-
la lavanderia, la cercó un momento nel buio:
Maria Pia stava in piedi in mezzo alla stanza e
Danilo le ando incontro. Una rapida occhiata
nelllombra gli bastó per rendersi conto che non
c'era nulla dove distendersi: la stanza era disa-
dorna e fredda, oltre la grande vasca vuota, i ca-
valletti di legno e matasse di corda da stendere
non c'era altro; a un tratto scorse dietro l'angolo
della vasca una cesta sfasciata, colma di bianche-
ria sporca.
« Aspetta, » sussurró liberandosi dallPabbraccio,
« aspetta un momentino solo. »
Corse alla cesta e la vuotó in fretta buttando la
biancheria per terra; stando ginocchioni la sparse
intorno, poi chiamo la ragazza:
« Maria Pia, vieni qua adesso, vieni no? Si sta
bene qui, é comodo. »
E poiché lei si mosse con una corsetta egli la
prese di traverso per un braccio e la fece sedere
nella biancheria; con lentezza meditata le rove-
sciava il bustino insieme al reggipetto, le scopriva
1 seni, guardava ogni cosa con allegra minuzia.
Maria Pia apri per un istante gli occhi e istin-
tivamente fece per allontanarlo afferrandolo per
1 capelli. «No, no, non voglio, mamma! » gridó
con voce sottile, softocata dal respiro.
142
- A e E .
f dad

Al grido Danilo si arrestó, sollevó la testa con


uno sguardo rapidissimo alla porta e alle griglie
che davano sulla strada; rassicurato e di nuovo
allegro si curvó sulla ragazza:
«Ne avevi di voglia, eh? » le sussurró in un
orecchio riprendendo il respiro interrotto.
La lavanderia era invasa da ur'aria gelida e
nebbiosa che penetrava dalle griglie; e da un acu-
to e ancor piú gelido odore di sapone: un odore
pungente e acido dove la soda pareva corrodere
anche Paria, i muri di cemento, le gambe livide
dei cavalletti di legno. Maria Pia si sentiva man-
care il fiato. Per un momento stette quasi per sve-
nire e lanció deboli lamenti stringendosi ancor piú
a Danilo.
« Psst... taci, no? E un momentino solo, dopo
e piú bello, » le andava dicendo Danilo in tono
indaffarato. Poi a un tratto, sorreggendosi con
una mano alla biancheria intorno, si accorse di ave-
re le dita imbrattate di sangue. Guardo meglio,
controluce. « Stai male? »
Maria Pia emise un lungo sospiro: « No, no, »
rispose.
Ma Danilo stette ancora per poco curvo su di
lei. Quel sangue lo preoccupava, pur sapendone la
ragione, lo indeboliva.
« Adesso € meglio che andiamo di lá, » disse, al-
zandosi sulle ginocchia e considerando tutto finito.
Si accorse allora di essersi macchiato anche il
vestito.

143
E
0

-<Non aspettiamo ancora un poco? » disse Ma-


ria Pia con un gemito di sorpresa.
«No, no, € meglio, meglio che andiamo di la.
Anzi tu resta qua; sel sporca di sangue. »
« Sangue? Perché? » Maria Pia non si rendeva
ancora conto di nulla.
Rimessosi un poco in ordine, Danilo apri una
fessura della porta, guardo intorno e rientro nella
cantina. Un fumo denso e profumato vagava nel-
Varia, la porta della cantina era aperta sulle sca-
le e sul giardino, le luci al neon erano state spente.
Si diresse subito verso i due seduti sulla pelle
delP'orso.
Finalmente! Adesso si, che poteva vendicarsi,
adesso si che si era presentata lP'occasione tanto at-
tesa! Non doveva sciuparla, troppo bella, troppo
bella, era. Avrebbe mostrato lui a D'Avossa cosa
vuol dire fare alllamore sul serio! A quel cafone
deficiente! Ora si che poteva vendicarsi del tutto e
in modo intelligentissimo!
Mirella gli sorrise vagamente, D'Avossa fece un
gesto con le dita. Danilo si avvicino.
« Scusi, Lucio, devo parlarle un momentino, per-
mette? Permetti, Mirella? »
D'Avossa gli fece cenno di sedere.
«No, in privato, scusi sa Lucio, ma é una
COSA... »
D'Avossa si alzó con un lungo sospiro, prese sot-
tobraccio Danilo e insieme si avviarono per le sca-
le in direzione del giardino.
144
, LA $ Ñ ec Em y o IR 'e a 7 do ds
A A ' TIREN aid El LA
el
E
Pr A 4 Y 4

« Scusi ancora, Lucio, ma e una cosa delicata,


mi é successo un piccolo incidente...»
« SI?» i
« E mi rivolgo a lei nevvero, perché so che e di-
screto e pol perché mi sa consigliare e magari dar-.
mi una mano. » |
Danilo si infiló al braccio di D'Avossa; lo ac-
compagno sotto il lampione e gli mostró le mac-
chie sul vestito con fare problematico.
«E successo con Maria Pia, sa, Lucio, queste
vergini! Un'emorragia, capisce, del resto io non
sapevo, se avessi saputo... »
D'Avossa guardo un istante poi scoppió a ridere.
«Eh! lei ride, Lucio, lo so, lo so che sono cose
da morir dal ridere, ma se per caso e un'emorra-
_ gla, c'é poco da scherzare sa... » andava dicendo
Danilo accondiscendendo con un sorriso alla risata
dell'amico. Ma D'Avossa continuava a ridere, sem-
pre piú forte, con toni delicati ed armonici, pol
bassi e profondi, poi riprendeva fiato e rideva e
rideva battendogli delle gran manate sulle spalle.
« Bravo il nostro Danilo, ne fa proprio di belle! »
« Come dice? »
D'Avossa sembró calmarsi; sempre ridendo ma
in tono piú pacato, ora, lo prese sottobraccio. Da-
nilo si rivolse a lui sorridendo, il viso verso quello
-piú alto di D'Avossa.
«Ma va”, ma va”, Danilo, emorragia, ma cosa
mi viene a raccontare? Stia calmo, stia tranquillo,
prenda un po” d'aria e mi racconti bene. Emorra-
145
-- gial» D'Avossa aveva ripreso a ridere, «emorra-
“gia a chi? A lei o alla ragazza? »
Danilo si sentiva morire dalla collera.
« Ma va”, ma va”, ma via Danilo! Sara stata...
come dire... sará stata poco bene! »
« No, >» disse Danilo esasperato.
« Ma si, ma si, Danilo... »
«Le dico di no. »
«< Ma sl, via... »
« No, stava bene, stava benissimo. »
« Ma dai, Danilo... si che stava poco bene! »
« No, che non stava poco bene. »
«E dái, ma vuole a tutti i costi un'emorragia
il nostro Danilo? E va bene, avrá un'emorragia,
e contento adesso? »
« Ma io... ero venuto da lei, per dire... »
« Per dirmi che Paveva... come dire... insom-
ma... »
«No, no, per chiedere, per sapere... »
«Ma va”, ma che non é niente, ma si tranquil-
lizzi, povero il nostro Danilone! guarda cosa gli
doveva capitare! »
Ora D'Avossa s'era messo a ridere ancora, una
risata serena, giovanile, e batteva sulle spalle al-
Pamico. A ogni colpo Danilo sentiva che Pavreb-
be ucciso, ma sentiva anche che non avrebbe sa-
puto, né potuto, ne voluto farlo. Che cosa doveva
escogitare ora contro D'Avossa per vendicarsi, ma
al momento, sull'istante, subito? Cosa doveva fa-
re? Presto, prestissimo, come doveva comportarsi?
146
y —pensieri in D'Avossa lesostenne e lo o
to alla fontanella ma Danilo continuó a tossire. e
-tossire. per un belpezzo.
11

URE quella notte di capodanno portó i suoi frut-


ti. Mirella e D'Avossa si fidanzarono e cosi Da-
nilo e Maria Pia Bombardini; per dispetto, dis-
se Danilo a Libondi, ma non era vero, perché
Maria Pia era cominciata a piacergli e gli piaceva
proprio perché era l'unica persona che avesse un
poco di considerazione, di rispetto, di soggezione
per lui. Dopo le vendette andate a male, Danilo
intendeva progettarne altre contro D'Avossa e nel
frattempo, per far vedere a Mirella che lui aveva
quante donne voleva ed era bastato un fischio per-
ché Maria Pia dicesse di si, si era fidanzato. In
realtá, dopo quella sera, molte sue speranze e illu-
sioni erano cadute e Danilo, nell'intimita del letto,
pensava a Maria Pia con devozione, come unica
donna che avrebbe accettato di amarlo: molte vol-
-te gli succedeva di avere delle crisi di sconforto per
la sua statura, per la sua poca presenza, per il suo
alito spesso cattivo che cercava invano di mitigare
con pastiglie alla clorofilla, per la sua pelle giovane
149
eppure cosi molle e scavata come quella di un vec-
chio. Erano stati i frequentissimi pensieri sessuali
a ridurlo cosi, si diceva, a tenerlo basso di statura,
e a procurargli tutti quegli esaurimenti nervosi.
Ora dunque aveva Maria Pia che Pavrebbe con-
fortato, in questo senso e in mille altri.
Insomma Danilo si dibatteva tra lo sconforto e
quindi la devozione per Maria Pia che in fondo
.€ra pur sempre una fidanzata, e insofferenze e.
scatti improvvisi: ma come? Era ancora giovane,
aveva tutta una vita davanti, donne e soprattutto
fidanzate con quella fame di marito che c'era in
giro ne avrebbe trovate fin che voleva! Ma cos'era
tutta questa furia? Non era mica una donna lui,
era un uomo! E un uomo deve correre la cavallina
fin che puo, altro che fidanzarsi! L'etá giusta per
fidanzarsi e quindi sposarsi era sui trentacinque-
quaranta, etá giustissima, quando si ha gia qual-
cosa in mano e si puo, volendolo, anche sposarsi.
Correre la cavallina, ma si capisce! era giovane e
poteva avere quante donne voleva e invece andava
a impegolarsi in casa, proprio in casa che dopo
per levarsela succedono guai e scandali, con una
ragazza di un anno piú vecchia di lui e, inpropor-
zione, molto meno bella e intelligente!
Cosi dicevano i genitori di lui, scontenti, anche
in presenza di altre persone e di Maria Pia, ma in
serbo-croato perché gli estranei non capissero.
Danilo si infervorava a queste parole, si sentiva
meglio, credeva ciecamente ai genitori e subito me-
150
ns nú
s ms

ditava di lasciare Maria Pia per queste donne im-


maginarie, per questo correre la cavallina. Diven-
tava strafottente e ironico, toglieva dal comodino
la fotografia incorniciata d'argento che i genitori
di Maria Pia gli avevano regalato come si fosse
trattato del ricordo di una morta e diceva a Maria .
Pia che era meglio che si lasciassero. Maria Pia
taceva; dopo un paio di giorni, di ritorno da :se-
duzioni andate a male prima ancora di averle ten-
tate, Danilo correva da lei piú sconfortato di
prima. E
D'Avossa aveva fatto quanto si era proposto,
senza dir nulla a Mirella, perché era inutile, in
certi casi le parole erano perfino di troppo: aveva
invitato Mussia a prendere un té al cafté Cavour
e le aveva chiesto il permesso di fidanzarsi con -
la figlia.
Mussia, senza farlo vedere, scoppiava di felicita.
Doveva pero trattenersi, e in linea di massima, ri-
servandosi di parlarne a suo marito, aveva soltanto
accondisceso. D'Avossa tuttavia commise uno sba-
elio sottovalutando o non valutando addirittura lo
snobismo di Mussia. Aveva tirato fuori il brillan-
tino fatto pulire e mettere in una scatoletta dal
migliore orefice della cittá e porgendolo a Mussia
aveva detto: «Ecco, signora, é una sciocchezza,
- un anellino, ma preferisco sia lei ad offrirlo a Mi-
rella, a nome mio. » |
Mussia naturalmente s'era rifiutata, s'era an-
che un poco offesa, equivocando sulle intenzioni di
151
| D'Avossa, prendendo quellPofferta delP'anello quasi
come una fredda mossa contrattuale, anziché per
.Quello che era, un eccesso d'arie di D'Avossa, un
eccesso di preoccupazióne per ingraziarsi la futura
suocera. Ma non ce n'era bisogno: Mussia in linea
generale era contenta lo stesso: le era sempre parso
un bravo giovane, cosi a colpo d'occhio, perche lei
non lo conosceva e non conosceva la famiglia, ma
_credeva di non sbagliarsi. “Tuttavia lP'anello non
era necessario cosl, subito. Era meglio che prima
si CONOSCESsero, si confidassero le loro cose, percheé...
lui forse lo sapeva, non é vero, che Mirella... era
gia stata fidanzata una volta... ma poi si era stan-
cata. Una persona, il fidanzato, buona, buonissima,
ma senza quelle iniziative, un poco indolente, via...
D'Avossa era a conoscenza di tutto ma dichia-
ró di sentirsi estraneo a tutte queste cose: acqua
passata non macina piú, non voleva sapere assolu-
tamente nulla, ognuno ha il suo passato e ha di-
.ritto a tenerselo per se.
Piú contenta di cosi Mussia non poteva essere.
Ando subito dalla sarta a fare Pultima prova di
quel vestito che aveva in prova ormai da un anno,
e si guardava e si riguardava allo specchio con so-
spiri, ravviandosi di continuo i capelli con un pic-
colo girotondo civettuolo, stirandosi con una ca-
rezza il reggicalze, esprimendo cosi la sua soddisfa-
zione; poi una corsetta in Duomo, con non minore
entusiasmo, a dire una breve preghiera di ringra-
zlamento.

152 :
« Sal, DAS che sorpresa cl E quest anno la Be-
fana? » aveva detto tutta effervescente, quella sera,
al signor Edmondo. E poiché il marito aveva gen-
tilmente risposto no, con un sorriso compiacente
e interrogativo, Mussia aveva replicato:
« La piccola si sposa in primavera! » '
Chissá perché in primavera, ma cosi le era ve-
nuto alle labbra dopo le romanticherie a cui si era
abbandonata con letizia in Duomo e dalla sarta.
A dire il vero D'Avossa non aveva stabilito un
termine, aveva solo detto: « Presto, molto presto,
perche, signora, le confesso che a me i brodi Bi
non piacciono. » |
Ma per Mussia queste parole erano bastate a
far primavera; e quale miglior matrimonio di quel.
lo celebrato in primavera? Intanto gli abiti, poi le
belle giornate di vento per il viaggio di nozze e
infine un migliore stato d'animo degli invitati, piú
leggeri, piú facili ad ammirare che a criticare, in-
somma ben disposti. D'Avossa aveva detto dopo la
laurea, si laureava in febbraio, dunque in prima-
vera.
Il signor Edmondo accolse la notizia con gen-
tilezza e una certa commozione. Lui era felice, fe-
licissimo, ma... con chi, con chi si sposava? Dopo
le storie degli ultimi tempi, il fidanzato, Luigi, par-
“tito, quell'andirivieni di giovanotti per la casa, il
ballo dell'ultimo dell'anno, Libondi ch'era andato
a dirgli proprio quella sera, portando di sopra i
cappotti, che lui Mirella Pavrebbe sposata anche
153
_subito, il sigenor Edmondo faceva un poco di con-
fusione.
- «Come, con chi? » ribatté Mussia, un poco sec-
cata di quella mancanzadi entusiasmo, di quella
curiositá inopportuna e ottusa del marito.
« Si, con chi? voglio dire... lo conosco io, il gio-
vanotto? Chi e? »
« Lucio, Lucio D'Avossa! Andiamo, Dino... »
« D'Avossa, D'Avossa... » andava ripetendo il si-
gnor Edmondo in realta un poco imbarazzato e
sforzandosi di ricordare. « Dunque, vediamo... quel-
lo con gli occhiali! » aveva soggiunto con una pun-
ta di istintiva delusione.
< Ma no, Dino, Lucio D'Avossa, quel bel ragaz-
zo alto... » :
Il signor Edmondo non riusciva a ricordare:
D'Avossa, D'Avossa, D'Avossa, D'”Avossa... » ri-
peteva sempre piú nervosamente e accelerando le
sillabe.
« Insomma! Lucio D'Avossa, architetto, quasi
architetto, una bravissima persona, una di quelle
da baciare dove passano, » lo aveva interrotto
Mussia irritata da quella gentilezza passiva, da
quell'essere fuori dal mondo.
« E inutile, sai, che ti arrabbi, Mussia! avró di-
ritto anch'io, vero, di sapere? »
«Una persona finissima e basta, se te lo dico io,
Dino! Puoi anche credermi no? sono la mamma,
“sapróo bene in che mani mettere mia figlia, non tl
pare? »
154
« Ma non dico questo, Mussia, certo che voglio -
conoscerlo anch'io, prima. Bisognera vedere, par-
lare... » E |
Mussia era sempre piú irritata:
« Non c'é niente da vedere e da parlare, proprio
niente! Si vogliono bene, sono innamoratissimi e si
sposano, che male c'é? e poi tu Phai conosciuto,
anzi, guarda, lo conosci benissimo. »
In realta il signor Edmondo non aveva mai co-
nosciuto D'Avossa, proprio mai, non gli era mai
stato presentato. Ma tante volte veniva accusato-
dalla moglie di essere fuori dal mondo che ormai
era giunto al timore: al timore di commettere
continuamente degli sbagli e di avere un poco la
memoria stanca.
« Va bene, va bene, » aveva detto piuttosto con-.
ciliante, «si vedrá, in linea di massima io sono. -
contento, Mussia, ma capisci anche tu, sono cose
delicate, sono un po” delle sorprese... »
« Bisognerá invitarlo a pranzo,» taglió corto
Mussia gia occupata da tutt'altro pensiero che
dalla sorpresa del marito. E su quest'ultimo punto
sI erano trovati tutti e due d'accordo.
Mussia era contenta, il sigenor Edmondo lo stesso,
e Mirella?
Mirella non sapeva niente. D'Avossa non le ave-
va mal parlato di fidanzamento, l'aveva baciata
solo qualche volta e quella sera di capodanno ave-
vano parlato molto, avevano discusso sulla diffe-
renza tra teatro e cinema a proposito dei film di
155
Laurence Olivier, ma di fidanzamento nemmeno
una parola. Fu la madre a darle la notizia, anche
questa volta come per il signor Edmondo.
« Sai, Lillina, cosa ci porta la Befana quest'an-
no? »
«No. »
« Va' lá, va” lá che lo sai, sei una birba, tu! » le
aveva detto la madre ed era corsa a carezzarla.
« No, non lo so davvero, » aveva risposto Mirel-
la incuriosita.
«Si deve sposare e fa finta di niente, non lo dice
alla mamma! Uguale da bambina, ti ricordi Dino?
mai che dicesse niente!... »
Mirella passo di colpo dalla curiositá al disap-
punto. E quando la madrele raccontó con gran
battere di ciglia e gesti da signora l'incontro con
D'Avossa, Mirella si spazientl:
« Senti mamma, per ora io non ho proprio nes-
suna voglia di sposarmi e Lucio é stato uno stupi-
do a venirti a dire queste sciocchezze... »
La madre restó come fulminata dalle parole di
Mirella. Stette un momento in silenzio, zitti con
un cenno il signor Edmondo e socchiuse gli occhi:
una rabbia astiosa e anziana le faceva fremere la
pelle sotto la gola e sul petto come un panno al
vento.
«Ah! Non ha voglia di sposarsi, la signorina! »
La voce da garrula s'era fatta arida, impastata.
«Ah, non ha voglia di sposarsi... lei... »
Mirella evitó di guardare la madre.
156
« Per ora no, scusa! Devo sposarmi per forza? »
«Ah! Non ha voglia di 'sposarsi. E allora cosa.
vuol fare, sentiamo? »
«Non lo so, aspetto ancora un poco, non c'é
nessuno che mi corra dietro, ma senti! »
« Eh certo, non c'é nessuno; e non ci sará mai
nessuno! la signorina! ma cosa credi di essere? ma
lo sai chi sei, tu? una fannullona sei, ma no, lo sai
tu cosa sei, é inutile che te lo dica, non vado mica
a sporcarmi la bocca io, sono una signora lo, una
persona per bene... »
Mirella aveva sollevato gli occhi guardando fisso
la madre:
« Ah, puoi anche sporcartela! per me, sai... »
« Posso sporcarmela? Anche questo dici? idiota
che non sei altro, ma cosa credi di essere? Credi di
trovare dappertutto gente come D'Avossa disposta
a sposarti? Credi di trovarla per le strade? S1, per
le strade si che la trovi, finché ne vuoi ne trovi, al-
troché se ne trovi... »
- «Per fortuna non ci sono ancora andata, e tu
non puoi dir niente! »
« Hai fatto di peggio, tu, la signorina che rifiuta
di sposarsi! Ne hai fatte, tu, cara mia, cara la mia
signorina!... »
Il signor Edmondo s'era alzato dalla sedia ed
“era accorso ad afferrare la moglie che s'era get-
tata contro Mirella per schiaffeggiarla.
« Basta! basta per caritá, sembra di vivere in un
manicomio qui dentro, per amor del Cielo! »
157
-——Mussia si era liberata dalla stretta del marito
- con un gesto di goffa dignita. :
«Basta si, hai ragione tu Dino, basta. Tu mi
hai capito, vero Mirella? hai capito cosa voglio di-
re. Del resto guarda, decidi tu, sei maggiorenne €
libera di fare quello che vuoi, peró decidi: o trovi
subito da lavorare, fin da domani, o ti sposi. Noi
siamo qui con Pacqua alla gola e tu non fai niente
tutto il giorno. Ma non ti vergogni? »
« Se siete stati voi a non volere che mi trovassi
un impiego, per la dignitáa, perché se avessi tro-
vato da lavorare... » |
« Insomma basta, meglio non parlarne piú, Pim-
piego non c'entra niente, c'era quel bel galantuo-
mo di Luigi, bel fidanzato! che ti doveva sposare.
0. Ora se non ti sposi devi decidere, cara mia, per-
che i soldi per tirare avanti non si fabbricano mica
di notte: o il lavoro o un marito, siamo intesi? »
Mussia aveva pronunciato queste ultime parole
a testa alta, aggiustandosi di continuo lo scollo del-
+ la vestaglia che si apriva sul petto in sfacelo. Poi
era andata in cucina. Il signor Edmondo era rima-
sto seduto sul canape, con la testa fra le mani, Mi-
rella era corsa giú dai Bombardini.
Ma il giorno seguente, quando Mirella era an-
data dalla madre a dirle che si sarebbe, si, fidan-
zata con D'”Avossa, ma solo perché era un ragazzo
che in fondo non le dispiaceva, Mussia ne fu sor-
presa e si pentl:
«Ma che discorsi! guarda cosa mi fai dire! Mi
158
fai diventare una nevrastenica sai, tu. O Gesú! Ma
bastava che me lo dicessi, Lillina, che discorsi! Ba-
stava che mi dicessi: guarda mamma, Lucio mi
piace, ma preferisco aspettare ancora un poco. In- .
tanto ci fidanziamo e ci conosciamo meglio. Basta-
vano queste quattro parole. Cosa ci voleva per dir-
mele?lo credevo che tu non ti volessi sposare, che
proprio, proprio non volessi, che discorsi! » aveva
detto Mussia, gia rasserenata e giuliva di un amo-
re materno che sentiva rinascere in sé dopo le pa-
role della figlia. Provava un lieve rimorso per le
oftese della sera prima che avrebbero potuto ina-
sprire Mirella al punto che non sarebbe stato fa-
cile, in seguito, convincerla con le buone al matri-
monio con D'Avossa. Ora dunque era stata una
sorpresa quanto le aveva detto la figlia; e Mussia
si sentiva dispostissima anche a scusarsi con lei. 11
matrimonio non era stato compromesso per niente
dalla scenata della sera avanti, solo Mirella poteva
restarne offesa.
Bisognava quindi riparare; la madre sapeva che
Mirella teneva a mente tutto, era un poco vendica-
tiva e avrebbe potuto ricordarsi di quella scenata
un giorno, quando fosse stata sposata con D'Avossa
e in buone condizioni economiche.
« Che discorsi! ma tu, Lillina, sei anche una mu-
sona, sal? non parli mai, non dici niente, cosa devo
pensare io, disgraziata! » aveva detto porgendo la
guancia alla figlia. « Eh, scusa! »
Mirella, che giustificava sempre gli eccessi della
159
madre scambiandoli per disturbi nervosi e crisi
d'etá, aveva posato un bacio sulla guancia polvero-
sa di cipria di Mussia, quasi con riconoscenza e
una sensazione, quasi, di colpevolezza.

D'Avossa venne a pranzo in casa Caregón e re-


galo l'anello a Mirella; il signor Edmondo, dietro
consiglio di Mussia, a un certo momento del pran-
zo aveva stappato una bottiglia di spumante per
festeggiare i fidanzati, poi, sul tardi, D'Avossa e il
padre si erano seduti sul canapé a parlare un poco
di politica e s'erano trovati subito d'accordo, ec-
cetto alcune sfumature, che si stava meglio quando
si stava peggio.
A tutti era parsa una serata magnifica, anche
nelle piccolezze. D'Avossa aveva detto, impegnan-
dosi cosi del tutto, secondo la madre, che si sentiva
glá a casa sua e aveva accondisceso al desiderio di
Mussia che il matrimonio si celebrasse in prima-
vera.
Mirella, piú che sentirsi emozionata, ragionava:
D'Avossa le piaceva, era un bravo ragazzo, sicuro,
provava giá per lui quell'affetto senza amore che
era stato alla base di molti matrimoni di sue ami-
che. Cosa andava cercando? Il matrimonio con
D'Avossa le avrebbe permesso di non stare piú sulle
spalle della famiglia. Ragionava lasciandosi anda-
se senza volerlo ai convincimenti della madre, pas-
160
sivamente, come se non avesse avuto nulla di pro-
prio da opporre, si sentiva come in istato di conva-
lescenza, una convalescenza debole e ottusa in cui
la madre e D'Avossa facevano la parte dei dottori:
una stanchezza, un languore impreciso e quasi, qua-
si lascivo dei sentimenti, la spingevano a concedere
oltre la coscienza, oltre la volontá al punto da far
coincidere i desideri propri con quelli degli altri.
C'erano momenti in cui sentiva la necessitá di ri-
bellarsi e di non accettare nulla di ció che le stava
intorno e si sviluppava e agiva, tutto, a sua insa-
puta. Come un dovere ultimo, ai limiti della sua
perduta volontá, gli suggeriva alle volte con gran-
de entusiasmo di mandare in malora la madre,
D”Avossa, Elide, gli amici, il confessore e di rivol-
gere la sua vita altrove. Ma dove? Con chi? Altra
gente come Mussia, come D'Avossa, Libondi, Eli-
de e Danilo, altri confessori: inutile, inutile, me-
elio allora il fidanzamento.

Anche Elide aveva partecipato al pranzo, ma


in istato di sogno: era tutta una farsa nevvero?
Non poteva essere realtá: il fidanzamento, l'anel-
lo, la bottiglia di spumante... una farsa, niente al-
tro, tutto apposta, come poteva essere realtáa? D'A-
vossa l'laveva baciata quella sera dell'ultimo del-
Panno, fuori in giardino, vicino alla fontanella:
s'era sentito poco bene e lei, poiche Mirella bal-
161
lava, Paveva accompagnato in giardino a pren-
dere un poco d'aria, laveva portato alla fontanel-
la, e li, li alla fontanella gli aveva bagnato la
fronte perché gli passasse quell'emicrania, quel leg-
gero stordimento. A un certo punto lui sera girato,
aveva guardato un momento il cielo e aveva sog-
giunto: « Com'é nuvoloso! Nuvole, nuvole... »; al-
lora lei Paveva stretto alla vita appoggiandogli il
capo sul petto e lui, D'Avossa, l'aveva presa per
il mento: allora lei aveva sollevato il capo con gli
occhi chiusi e lui Paveva baciata: un bacio lungo
e profondo, violento, possessivo, tutto a strette.
D'Avossa Paveva perfino obbligata a quel bacio
prendendola per i capelli come per strapparli e in-
vece, invece... aveva finito per carezzarli. Ecco.
Dunque era tutta una farsa quella del fidanzamento
con Mirella, Panello, lo spumante, il matrimonio
in primavera! Si capisce, una farsa. Lui l'aveva
posseduta quella sera e lei s'era data a D'Avossa:
era stato un bacio di possesso il suo, e se non era
successo di piú, e piú a lungo, era stato solo per una
combinazione di ostacoli, perché erano mancati il
tempo, la comoditá, una stanzetta. Ma D'Avossa
Paveva posseduta ugualmente in quei pochi mi-
nuti e lei era stata sua.
Elide non ricordava piú con esattezza; ma qual-
cosa doveva essere successo di certo durante quel
bacio: qualcosa che ora non avrebbe saputo dire,
ma comunque D'Avossa aveva sospirato a lungo e
quanto a lei, lei lo sapeva bene, lo ricordava benis-
162
ONO
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simo, oh, come lo ricordava! quanto a lei, era sta-.


ta sua di sicuro!
Cosi pensava presa nelle spire del suo sogno
d'amore la povera Elide, sorridendo, carezzandosi
le tempie e piangendo non sapeva neppure lei se
di commozione gioiosa, di delusione o di paura.
Ma dopo qualche giorno, durante 1 quali pareva
vivere in sogno, nella speranza che quella farsa
avesse il suo epilogo e D'Avossa tornasse finalmente
a lei come doveva tornare, com'era naturale che
tornasse, Elide scese sulla terra e ne fece di tutti 1
colori.
Per prima cosa ando ad aspettare di mattina
presto, fuori di casa sua, D'Avossa. Quando lo vi-
de, pallida come una morta gli disse solo:
«E vero che lei vuole sposare Mirella, mi dica,
e vero? »
D'Avossa era stato un poco sorpreso di vederla
cos1 di mattino, proprio fuori di casa sua, in peri-
feria. Come mai era da quelle parti, cosi spettinata
e senza rossetto? L'aveva presa amichevolmente
sotto braccio ma lei s'era divincolata subito con un
gemito. D'Avossa non si aspettava questa acco-
glienza.
« Ma cosa c'e, Elide, cos'é successo? »
« D'Avossa, mi risponda! E vero che sposa Mi-
rella? »
« S1, ma cosa c'é? mi dica! »
«Non c'é niente, me lo ripeta per favore. »
« Ma cosa? »
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« Che vuole sposare Mirella. » d


« Ma... non lo sa? non c'era anche lei Paltra
sera? »
« Me lo vuole ripetere? Per favore? »
« Ma Elide, ma che cos'ha, si sente male? »
« Me lo vuol ripetere? »
« SL.. Ma... » |
Elide non lo aveva lasciato finire. Con gli occhi
gonfi di lacrime e le labbra tremanti aveva tirato
fuori dalla borsetta mille lire e le aveva infilate in
tasca al « montgomery » di D'Avossa.
« Ecco, questo e per quello che é successo Pul-
timo dell'anno. Perché io me li pago, sa, 1 giova-
ni! » ed era fuggita via plangendo.
Giunta a casa in quello stato andó subito in ca-
mera di Mussia. Ancora spettinata, col cappotto
aperto, il viso gonfio e rosso, si piantó ai piedi del
letto dove Mussia, in vestaglia e con gli occhiali,
stava tutta intenta a scegliere delle carte da giuoco
da alcuni mazzi. Mussia sollevó gli occhi e sorrise.
« Vero, Mussia! » Paveva investita Elide prima
ancora che la sorellastra potesse parlare, « questa
storía del fidanzamento e una farsa, vero? Una far-
- sa? E quando finisce questa farsa, quando termina
la commedia? »
« Una commedia?... che commedia? » aveva det-
to Mussia, un poco spaventata da quel tono esalta-
to di Elide. Ma era subito saltata su quando Elide,
non potendone piú, era scoppiata in lacrime, li,
ai piedi del letto, tirandosi il paltó rosso fatto con
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uno scampolo finissimo e i capelli, lasciando cadere


per terra la borsetta di vero cinghiale che aveva '
sparso cipria e amminnicoli sul pavimento. Mussia
le era andata vicino p per sentire costera successo el
ed Elide, dopo il convulso, tra un singhiozzo e P'al-
tro, le aveva raccontato ogni cosa, del suo amore
per D'Avossa e di come D”Avossa si fosse dichia-
rato a lei e lavesse posseduta la notte di capodan-
no vicino alla fontanella.
NelPudire questa storia Mussia pensó subito alle
conseguenze: insomma, insomma, Elide era mag-
giorenne e D'Avossa era un uomo, e se l'aveva pos-
seduta, come Elide sosteneva e Mussia stentava a
credere giudicando il tipo fine e certo tutt'altro che
sensuale di lui, ma se l'aveva posseduta, affari loro,
scusa! D'Avossa non era ancora il marito di Mirella
e poteva fare quello che gli piaceva, godersi quante
donne voleva. Era una bella presuntuosa, Elide,
a pensare che sposasse lei, a mettersi sullo stesso
piano di Mirella! Lei trentotto anni, Mirella ven-
titré e con quella figurina cosi snella, cosi deside-
rabile! Intui subito che di conseguenze, sempre
che Mirella non fosse venuta a conoscenza della
cosa, non ce ne sarebbero state. Peró bisognava
tenere la figlia all'oscuro della tresca e avvertire
D'Avossa, col massimo tatto, di troncare subito
qualsiasi rapporto con Elide. A considerazioni fat-
te, cercó di consolare la sorellastra:
« Un bel giovane cara, eh, un bel birbante! e ca-
pisco anch'io come tu abbia ceduto volentieri. Bir-
165
bante! Proprio un birbante, eh, ma sai, gli uo-
mini sono tutti cacciatori, tutti uguali, cara... »
Elide, persuasa che Mussia sarebbe stata dalla
sua parte e si sarebbe indignata pretendendo dei
confronti, indignata fino a rompere il fidanzamento
della figlia, si senti morire i singhiozzi in gola.
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« Come? » quasi grido, «e tu permetteresti una


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- cosa simile! »
«Eh! cosa vuoi, in fondo non é mica la prima
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volta che ti succede! E poi non sarai mica cosi paz-
za da poter solo pensare a un matrimonio con Lu-
cio, nevvero? Avrá quindici anni meno di te, po-
tresti essere sua madre, andiamo Elide, ragiona,
avanti!l» andava dicendole Mussia circondando
con un braccio la sorellastra.
«E come, non ho un cuore io? Sono uno strac-
cio da buttar via io? Il mio amore grande é que-
sto Mussia, te lo giuro, te lo giuro sulla tomba del
povero papa, darei tutto, anche la vita per lui... »
Mussia la interruppe dolcemente.
« Va” lá, va” la Elide, cosa dici! E il tedesco al-
lora, Hans? e Canevarino? andiamo, ragiona, avan-
ti cara! Povera la mia Elide, eh, lo so che € duro!
Ma bisogna rassegnarsi. Lo sai che anch'io a suo
tempo mi sono rassegnata, nevvero! » Mussia al-
lungó il viso fino ad avvicinarlo in una carezza a
quello di Elide che, ormai fiaccata da quello scop-
pio disperato di pianto, non si sentiva di reagire.
« Eh, lo so! mah! E duro, lo so; ma del resto guar-
da cara, pensa una cosa: il piú grande atto d'amo-
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re e la rinuncia sai, eh si! Se si é veramente in-


namorati si sa anche rinunciare. E poi ti sembra
che abbia fatto una bella figura, vorresti anche cor-
rergli dietro? »
< Questo no, questo no, » disse debolmente Elide
stringendo il fazzoletto bagnato di lacrime.
« E allora? »
Elide si asciugó ancora una volta gli occhi con
quel moccichino profumato di colonia silvestre, la
colonia di D”Avossa e, docilmente:
« Allora niente, » disse.
« Come niente? »
« Niente. »
Mussia era un poco in pensiero: « Certo Elide,
che per te, adesso, stando cosi le cose, non é op-
portuno restare qui quando verrá in casa Lucio,
vedremo di fare in modo che non ci siano screzl,
polemiche, non ti pare, non é giusto? Anche per
te, nevvero? Ma quel Lucio non doveva mica fare
una parte simile peró, per correttezza, per buon
gusto, se non -altro... »
E vedendo che Elide si avvicinava alla porta,
la fermó per un braccio. « Aspetta che guardo se
Mirella é in casa, sai, meglio che lei non sappia
niente poveretta, non ti pare Elide, non é giusto,
cosa ne dici tu? »
Chiamoó due volte la figlia, e poiché Mirella non
rispose, lasció passare Elide.
« S1, capisci, come ti dicevo, sempre meglio sta-
re attenti quando verrá Lucio, che non succedano
167
- cose antipatiche, nevvero...
ma come faremo? Be”,
in qualche modo faremo, non ti pare Elide? >
Sempre col paltó rosso di scampolo finissimo,
il fazzoletto umido nella mano, spettinata, pre-
mendosi le tempie, Elide era andata in cucina a
_prendere la sua valigia con le etichette e Paveva
portata sul canape. In silenzio, lentamente, but-
tava dentro tutte le sue cose.
« Ma cosa fai? » la interruppe Mussia dandosi
-d'attorno.
«Vado via, vado, torno con Elettra... tanto... »
« Ma cosa dici? "Tu sei nostra ospite, non puol
mica lasciarci cosi! Cosa dici, cosa fai? Parti, vai
da Elettra, ma non scherzerai mica, vero? » an-
dava dicendo Mussia girando su e giú per il tinello.
« Devi prima chiedere il permesso a noi! e noi non
ti lasciamo mica andare via, eh no! Perbacco, ci
mancherebbe altro! Resti qui con noi, un piatto
di minestra in piú, cosa vuoi che sia?... » e ancora
quando Elide aveva chiuso la valigia ed era sulla
porta e poi sulle scale, sola con quel suo paltó ros-
so e quelle sue povere bugie in tasca, ancora conti-
nuava a dire:
« Ma guarda cosa fa! Elide, Signore benedetto,
cosa fai? » E infine, quando senti i passi della so-
rellastra allontanarsi e perdersi nei rumori della
strada, lievemente, con due dita trattenendo lo
scatto, chiuse la porta.

168
AS

Mussia stava proprio per scendere giú dai Bom-


bardini a telefonare a D'Avossa quando Maria Pia
si affacció a chiamarla: la volevano al telefono:
D'Avossa. Come mai? Che combinazione! pensó
allegramente Mussia, D'Avossa doveva parlarle,
anche lui? Bene, si sarebbero trovati, avrebbero
preso una tazza di té insieme al cafté Cavour.
« Sará forse per il corredo, » pensava la madre
con una vaga preoccupazione e sospirando, « come
si fara? Chissá cosa si aspetterá Lucio; e bisognerá
fare bella figura, almeno in quello, dal momento
che Mirella non porta niente di suo, qualcosa si fa-
rá, la Provvidenza arriva sempre all'ultimo mo-
mento. » Ma D'Avossa lPaccolse con freddezza e
distacco, tanto che Mussia cominció ad agitarsi.
Che Elide ne avesse combinato un'altra delle sue?
Per mettersi presto il cuore in pace tolse la parola
di bocca al futuro genero e parlo lei.
« Ah! Lucio, ho sentito cosa é successo tra lei ed
Elide. Per caritá, intendiamoci bene, affari suoi,
io non c'entro, gli uomini finchée non sono sposati
non hanno nessun obbligo e fanno bene a goder-
sela. Pero, lei mi capisce, se venisse a saperlo Mi-
clas
D'Avossa stette un momento ad ascoltare con le
mani sprofondate nelle tasche del « montgomery »,
il sopracciglio sollevato; poi, bruscamente, la inter-

169
- Tuppe, spiegandole davanti sulla tazza di té, che il
cameriere aveva servito allora, una lettera.
«lo non so cosa voglia dire, signora, di Elide,
ma cosa sono tutte queste storie? Tra me ed Elide
non c'é mai stato niente e non so cosa passi per la
testa a quella ragazza! Legga piuttosto questa let-
tera che € ben piú importante, mi pare... »
Con le mani che le tremavano Mussia inforcó
gli occhiali e lesse la lettera: dapprima con inte-
resse, lenta e sicura, pol, a mano a mano, sempre
piú pallida e con le ciglia socchiuse. Era una let-
tera anonima, parlava di Mirella, di amanti, non
molti ma sufficienti, alcuni dei quali a pagamento
e col tacito consenso della madre. La lettera men-
.zionava a un certo punto anche Luigi Mannozzi
a cui la persona interessata (D'Avossa) avrebbe po-
tuto attingere informazioni nel caso d'intenzioni
matrimoniali.
-Mussia alzó lo sguardo dalla lettera, la piegd e
la riconsegno a D'Avossa. Fingendo un sorriso be-
vette un sorso di té, aggiunse un poco di zucchero:
nel reggere la tazza le sue mani tremavano e
D'Avossa la fissava severamente.
« Cos1 lei, D'Avossa, una persona perbene, dá
fede alle lettere anonime, si serve di questi
mezzl... »
« lo, signora mia, non ho detto niente di tutto
questo, se permette. E non me ne servo per niente.
Fatto sta che io Pho ricevuta ed eccola qua. »
« E allora? »
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de:

«E allora, cara signora, sinceramente le dico che


lo, lo, queste cose non le mando giú. »
«Ah, non le manda giú! Allora ci crede? Non
si € chiesto per caso chi puó averla scritta, questo
non se l'é chiesto, no? »
« Questo, signora, non m'importa proprio nien-
te, e non ho detto neppure che ci credo. Ma capisce
anche lei, non sono cose da prendersi alla leggera.
lo me ne frego di questa cittá e dei suoi abitanti,
me ne frego di quello che possono dire o non dire
su di me o su quello che faccio. Da questo punto
di vista, guardi, le assicuro, sono tutt'altro che un
provinciale. Ma qui si tratta, permette, della don-
na che io ho scelto come moglie e sinceramente, le
confesso, mi secca... perchée Mirella doveva essere
sincera e dirmelo subito. »
« Ma non le aveva detto forse che era stata fi-
-danzata, e per sei anni? Non gliel'aveva detto? Si
o no? »
« Ma sl, caspita! Ma un fidanzato! »
« E lei aveva detto che non le importava niente,
che il passato era passato... »
« Ma sicuro, signora Mussia, e lo ripeto anche,
ma un fidanzato, non un amante, eh, scusi! lo ho
le mie idee, permetta, e credo siano le idee di tutti.
Insomma, cara signora, libertá per libertá, per-
.metta: io la moglie la voglio a posto... va bene? »
D'Avossa era andato riscaldandosi, perdendo co-
si d'improvviso tutta la sua equilibrata posa di si-
gnore: ora, sdraiato su quella sedia di cafte, le ma-
171
ni sprofondate bojr Pair la vocee querula e Pe
dante, pareva un altro. :
«Ah, la mette su questo tono! va bene, va be-
... » lo interruppe Mussia non sapendo cosa dire.
Do Pirruenza e Pintransigenza di D'Avossa,
nel suo atteggiamento: non occorreva che parlasse.
« Eee... la metto... la metto, la metto! la metto
certo su questo tono cara signora, cosa vuole, eh! >
«E lei per una lettera anonima avrebbe dei
dubbi! »
- «81! SL, glielo confesso, signora, saranno picci-
“nerie, le chiami come vuole, ma su di me lettere
-anonime non ne ha mai scritte nessuno, scusi. Vox
populi, vox Det. Non che ci creda, per carita, sl
figuri se io sono il tipo da credere a una lettera
anonima, ci mancherebbe altro! ma insomma, ecco,
non mi e indifferente, via. Tanto piú se riguarda la
persona che devo sposare. »
« A me, vuol saperlo? queste porcherie non fan-
no né caldo, né freddo, sa! »
<« E... no, no, non e vero, cara la mia signora, non
é proprio vero niente! Anche lei ci farebbe caso, e
come. Scusi, vuol dire che se l'avesse ricevuta lei,
-se avesse ricevuto una lettera anonima con su scrit-
to che io sono un ladro, non so, un mantenuto, lei
non ci avrebbe fatto caso? Mi faccia questo santo
piacere, signora! Anche lei, sissignora, anche lei sa-
rebbe venuta a chiedermi la resa dei conti. »
«Ah! si sbaglia sa, D'Avossa, stavolta si sbaglia
proprio di grosso. Allora, caro giovanotto, lei non
172
ha mai saputo con chi aveva a che fare! Del resto,
c'é poco da star qui a discutere, lei crede alla let-
tera anonima? E allora, allora lasci mia figlia. Ma
figuriamoci! neanche coperto d'oro lo vorrei, un
uomo che mi mancasse di fiducia fino a questo
punto... »
«Non é vero, non occorre arrivare a questi ec-
cessi, cara signora, ed € appunto perché io non ci
credo, é appunto perché io ho fiducia che voglio
andare a fondo della cosa e mostrarlo a tutti. Pro-
prio perché ho fiducia. »
« Figuriamoci! »
« Certo, proprio perché ho fiducia! »
«E cosa vorrebbe fare, sentiamo, cosa si pud
fare contro una lettera anonima? »
« E si puo fare, si puó fare! Il mio desiderio, si-
gnora, glielo dico subito: che Mirella, sempre se
vuole e se lei é d'accordo, si... si sottoponga a vi-
sita medica. »
« Cosa dice? »
« Quello che ho detto, cara signora, eh si! Se Mi-
rella mi vuol bene veramente puó anche offrirmi
questa prova d'amore, tanto, per quello che le co-
sta, al giorno d'oggi non é mica una novitá! E poi,
tanto piú, se é a posto!... all'estero per esempio,
dove io sono stato, sa quanti, ma quanti prima di
sposarsi si sottopongono alla cosiddetta visita pre-
matrimoniale! »
Mussia si sentiva debolissima. Meccanicamente
bevette un altro sorso di té.
173
« Mi dispiace tanto, sa, D'Avossa, ma tanto, per-
ché lei era un giovane di cui mi sarei fidata cieca-
mente! Ma guardi, questa non me la sarei mai
aspettata, questa mancanza di fiducia, una propo-
sta del genere! »
« Ah, guarda, guarda! Ma scusi, cara signora, »
la interruppe ancora D'Avossa con le mani spro-
fondate nelle tasche, «se Mirella é vergine, poco
le costa, no? E lo puó ben fare per suo marito, per
quello che sará suo marito! Se no, scusi, lei, mi au-
torizza a sospettare... » ]
«E tutto per una semplice lettera! Ma ragioni,
D”Avossa, cerchi di ragionare un momento... »
« Ma che ragionare e ragionare, io ho ragionato
signora! O cosi, o sono costretto, con tutto il bene
che voglio a Mirella... »
«A rompere il fidanzamento? »
« Mi dispiace, signora Mussia, anche per la sti-
ma che ho per lei, ma... »
Mussia si alzó dal tavolo e fece l'atto di chia-
mare il cameriere per pagare la consumazione. Ma
D'Avossa la fermó con una mano: « Per carita, si-
gnora Mussia, ci mancherebbe altro! offro io! »
saltó su con un sorriso, il primo del lungo col-
loquio.
« Senta, D'Avossa, io credo che lei scherzi, ma
ne parleró a Mirella, lo vuole proprio? >» disse
Mussia con un sorriso freddo e come distaccato
come per far capire che lei, si sposasse o no, visita
o meno, di sua figlia era sicura lo stesso. Ma
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pe: 3 , 1 y -
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D'Avossa non raccolse quella ea del resto pe-


nosa ed inutile.
« Grazie, meglio si, che ne parli lei. E quando:
Mirella avrá deciso qualcosa, che mi chiami. lo
sono sempre innamorato, quanto e piú di prima e
sempre pronto a mantenere il mio impegno. Ha
capito, signora Mussia? Non lo dimentichi. In qua-
lunque momento, sempre pronto a mantenere l'im-
pegno... »
Mussia sorpasso lentamente la porta girevole del
caffé. Sulla strada si senti vecchia e ormai ina-
datta alle fatiche che aveva condotto fino ad al-
lora. Fu un attimo: non avrebbe mai sospettato
che un marito per Mirella le sarebbe costato tanta
vergogna. Ma fu un attimo che subito dimentico.
Perche entró in pasticceria a mangiare qualche
dolce e a bere un caffé ristretto. Dopo quel collo-
quio con D'Avossa si sentiva davvero sfinita. E poi
non aveva neanche finito il suo te.

10a
12

MV USSIA aveva parlato alla figlia dei desideri di


D”Avossa. Lei lo giustificava, in certo modo:
un uomo puo fare quello che vuole, ma una donna,
proprio perché € donna, deve presentarsi al matri-
monio tale da poter indossare l'abito bianco. An-
ziché indignarsi con D'Avossa, Mussia preferi pen-
sare e pensare quali sarebbero state le soluzioni
possibili. Ma tutto fu inutile perchée Mirella ri-
fiutó di prestarsi al giuoco, cosl, semplicemente ma
decisamente, aveva detto di no. Era sorta una sce-
nata come tante altre, un poco piú stanca peró e
che fini nel silenzio. Mussia era ripiombata nel suo
periodo di dolore: altre soste in camera da letto,
altri solitari nel gabinetto, altro teatro. Poi passo
anche quello.
Dopo una settimana dal colloquio avuto nel caf-
- fé con la futura suocera, D'Avossa avéva mandato
un amico, una persona anziana con una lettera, a
ritirare l'anello di quel fidanzamento, il quinto fi-
danzamento mancato. Elide non s'era fatta piú ve-
177
dere. Mussia, che aveva appuntato tutti i suoi so-
spetti su di lei, le aveva fatto una scenata nello
studio di Canevarino a cui Elide non aveva nep-
pure reagito: Mussia aveva minacciato di andare
a fondo della cosa, denunce, interventi di amici-
_zie. Elide aveva alzato le spalle: che facesse quello
che voleva. A
Sembrava ur'altra Elide; dopo Vepisodio di
D'Avossa aveva sofferto cosi da abbandonare com-
- pletamente lo studio dell'avvocato Canevarino per
alcuni progetti suicidi che andava confidando alle
amiche. Le amiche l'avevano invitata in casa loro;
in quel modo era entrata in ur'altra allegrissima
compagnia che organizzava delle gite magnifiche
in montagna. Elide aveva conosciuto una persona
anziana, distintissima; cosa strana, originale, affa-
scinante: le sopracciglia di questa persona erano
nerissime, corvine, e 1 capelli invece bianchi, can-
-didi come la neve...
Ora Mirella e la madre erano di nuovo sole.
Qualche volta Libondi veniva a trovare Mirella,
le proponeva qualche gita in montagna ora che la
primavera stava arrivando, ma Mirella rifiutava
sempre. Allora il povero Libondi fece uno sforzo,
compro Putilitaria. Ma Mirella continuava a ri-
fiutare. Accettó solo di fare qualche giretto in cittá,
tanto per accontentarlo.
A Mussia Libondi era odioso, lo giudicava un
prete falso e uno che non avrebbe mai fatto car-
riera. E poi era inutile che venisse tanto su e gid
178
per casa, cosa veniva a fare? Mirella voleva spo-
sarlo? No. E allora? O se voleva sposarlo che si
fidanzasse e si sposasse. Lei aveva giurato, dopo
quanto era successo, di non spendere piú una sola
parola per gli amori della figlia. Che si arran-
glasse! Per trovarle da lavorare, quello si, per quel-
lo si dava da fare; ma non le andava mai bene
nulla, tutto le pareva troppo poco, ogni lavoro le
sembrava inadatto e inopportuno per Mirella. Ci
voleva un lavoro che non la compromettesse, in
modo che nessuno fosse al corrente dei loro biso-
egni. Mirella aveva trovato da fare lP'indossatrice e
la cassiera di un bar: né Puno né Paltro, per ca-
rita! E un uomo sposa un'indossatrice, la cassiera
di un bar? Amanti si, ma per sposarsi, ci vuol al-
tro! Bisognava sempre tener su le carte. E quel Li-
bondi, cosa veniva a fare poi? Quelllodioso con
quegli occhiali! Lo incontró un giorno sulla sua
strada, Libondi le si avvicinó gentilmente per ac-
compagnarla; Mussia colse lPoccasione per fargli
capire con altrettanta gentilezza, ma chiaramente,
che in casa non era gradito e che Mirella si sentiva
imbarazzata. Cosi anche Libondi non venne piú a
scrollare il portone nel modo segreto perché si dis-
serrasse.
A metá di marzo il signor Edmondo ebbe una
.paralisi e dopo due giorni ur'altra. Aveva appena
finito il Duomo di Milano e aveva accettato l'in-
vito di esporlo in un negozio del centro. Invece il
giorno di San Giuseppe entró in ospedale e vi re-
179
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e

7 stó. La paralisi s'era estesa a tutte e due le gambe, h


al braccio sinistro e al viso. Gia di natura il si-
gnor Edmondo non era un gran chiacchierone, cosl
ora non poteva neppure parlare e quel poco che
diceva era molto difficile da capire. Disse a Mus-
sia che non era il caso di esporre la costruzione del
Duomo nel negozio del centro, lui non Pavrebbe
potuta vedere esposta e allora, allora tanto valeva.
I medici giudicarono che avesse da vivere ancora
un bel pezzo e con buone probabilitá di migliora-
mento. Tuttavia il signor Edmondo, che era di na-
tura anche discreto, preferi rimanere nella came-
rata dell'ospedale anziché tornare a casa: a casa
non avrebbe potuto godere dellassistenza che in-
vece gli fornivano all'ospedale, e per di piú, gratis.
Mussia voleva il camerino, ma siccome non si
sarebbe trovato il modo, poi, di pagarlo, il signor
Edmondo, a gesti e bigliettini, spiegó che lui pre-
feriva mille volte stare in camerata, poiché lá
avrebbe avuto un poco di compagnia.
A
Cosi le due donne, madre e figlia, nell'apparta-
mento di via San Rocco, erano rimaste sole del
tutto. Mirella, ad eccezione dei lavori di casa, non
faceva altro; per lo piú stava a letto, oppure sdraia-
ta sul canape che trasportava vicino alla finestra, a
guardar fuori nel minuscolo giardino a forma di
pozzo; anche sul canapé molte volte si addormen-
tava ma per la piú parte del giorno guardava fuo-
ri, come trasognata, gli alberi che si scurivano di
tronco e si schiarivano di germogli, la fontanella,
180
: /
"le tortore dei Bombardini, insomma una quantita di
piccoli passatempi. Ora che suo padre non era piú
in casa, Mirella ne sentiva il minuscolo vuoto di
un tempo. come un vuoto molto piú grande. Ri-
pensava ai suoi 'amori infelici, piú che altro per
quanto essi erano valsi a darle P'illusione di un”av-
ventura, di un viaggio, insomma di qualcosa che
Lavesse“portata fuori dall'ambiente, fuori da quel-
la cittá. Con Mussia parlava poco.
-« Come sei stata stupida, cara mia!» le diceva
- la madre posando con fare misterioso, ad una ad
una, le carte sul tavolo del tinello nel solitario di
Napoleone, « come sei stata stupida... » e si inter-
rompeva di colpo presa dal giuoco, dimenticando
quanto stava per dire.
afercac? > domandava Mirella dopo una lunga
pausa. e
«Eh? Cosa” dici? »
< Stupida, perché? »
« Stupida? eh certo! a rifiutare quella visita che
desiderava Lucio. Bastava che tu venissi con me
dal dottor Guiotto, che é un bravo ginecologo e
mio compagno di bridge, figurati se mi avrebbe ne-
gato questo favore! »
«Ma va', mamma, non hai altro da tirar
fuori!... »
«Eh, cara! tirar fuori, tirar fuori, tu sei brava
a parlare, sel brava, sei, ma Lucio, in fondo, non
aveva mica tutti i torti, sal. Ragionano cosi gli uo-
mini, e tu sel brava a parlare, altro che!... »

181
L'attenzione di Mussia, transitando per Pargo-
mento matrimonio: che le era sempre caro, si po-
- sava improvvisamente su una carta di particolare
interesse: « Toh, guarda! 1l fante di spade con la
“donnadi bastoni! Ma se non vanno d'accordo! Mai
una volta, dico mai, che escano insieme! Porte-
ranno novitá. Cosa dici tu, Mirella? »
« Mah! » rispondeva Mirella lisciandosi la sot- -
tana. ;
Le due donne non andavano oltre questi di-
scorsiz a tavola ognuna trovava da dire sul cibo
cucinato dall'altra, ma garbatamente, con apprez-
zamenti una volta favorevoli, un'altra volta sfavo-
revoli e caustici. Al vino, poiché ora mancava il
sigenor Edmondo, avevano sostituito P'acqua di Vi-
chy fatta con le cartine. Entrambe persuase che il
signor Edmondo tornasse presto dalPospedale in
modo da riprendere il lavoro almeno a casa, come
aveva promesso, attendevano ch'egli venisse a riem-
pire il vuoto casalingo almeno col rumore del se-
ghetto da traforo. -
« E pensare che adesso aveva idea di cominciare
un lavoro difficilissimo! » sospirava Mussia dopo
un grande silenzio, rivolgendosi alla figlia. Per un
attimo le si riempivano gli occhi di lacrime, poi si
asciugavano. « Sal cosa, Mirella? »
«No, mamma. »
« Non lo sai? »
« No. »
« Prova a indovinare! »
182
« Proprio non so, mamma. » y

«Ma prova, avanti, prova a pensare un mo-


mentino... »
Mirella guardava fuori nel giardino, accondi-.
- scendendo solo in parte al desiderio della madre.
Quasi meccanicamente rispondeva:
« Dunque... Notre Dame Paveva gia costruita,
il Battistero di Firenze anche... il Pantheon?>». -
« Macché, andiamo Mirella, il Pantheon ha la
cupola, lo sai che non si puó costruire la cupola di
legno compensato! »
Mirella stava un momento sovrappensiero, pro-
vava a indovinare, pol senza accorgersene dimen-
ticava la domanda. Mussia si spazientiva.
«E allora, hai indovinato? »
« Come? »
« Hai indovinato? »
« No, proprio no, mamma, non riesco proprio a
indovinare! »
« Uffah! Via, Mirella, ma la torre di Pisa, la
torre di Pisa! e svegliati, a cosa pensi? cosa stai
pensando? Sei sempre nelle nuvole, mamma mia! »
In realtá erano tutte e due nelle nuvole; e si
svegliarono, anzi solo Mussia si sveglió, quando fu
il momento di accorgersi che il denaro scarseg-
glava e che la liquidazione del signor Edmondo
non sarebbe durata a lungo. Ma allora, proprio
in quei giorni accadde un altro avvenimento, ben
piú sconcertante e inatteso, che riportó Mussia al-
la realta.
183
"Mirella aveva ricevuto una lettera di Luigi, una |
- lettera breve, di poche righe:

Cara M trella,
tuti stupirai che io mi faccia vivo solo ades-
so: non stuptirti, sono cose che succedono al vivi
e tieni a mente che in questo mondo non bisogna
mai stupirsi di nulla. Ti scrivo per dirti che ho
saputo, da persone amiche, della disgrazia capti-
tata a tuo padre. Ne sono rimasto proprio colpito,
anche per la stima e la riconoscenza che mi legava .
a luz.
Vorrei che non ti sentissi offesa da questa mia
lettera e ti pregheret, se ne hai voglia, di rispon-
dermi come sta ora. Sempre se ne aurai voglia, e
senza impegno. So che ti sei fidanzata e che stai
per sposarti, quindi hai altro da pensare. Beata
te, tanti augurt di felicita (senza tronta) e non ser-
barmi rancore almeno per 1 pl ricordi e i bei gior-
ni passati insteme. Luicr

zi Mirella non rispose a questa lettera, ma per la


Se - prima volta dopo tanto tempo pianse e la rilesse.
DE - Alcune volte se la portava a letto e la confrontava
con altre ricevute da Luigi durante i periodi di vil-
leggiatura: confrontava la calligrafia, come per
| cercare di indovinare i pensieri e i sentimenti di
184
Luigi nella differenza, se ci fosse stata, di una e
o di una £. 'Tante cose erano cambiate, eppure la
calligrafia era sempre la stessa. Si chiedeva molte
volte se ancora sarebbe stata capace di amarlo.
Giurava di no, ma allora, nel giurarlo, lo stesso
si CoOMMUOVEvAa.
A distanza di dieci giorni dalla prima ricevette
un'altra lettera di Luigi. Questa volta era una let-'
tera lunga, una lettera d'amore. Luigi diceva di
non aver ricevuto risposta e che per questo tor-
nava a scriverle, perché pensava che non avesse
ricevuto. Ma poi, subito dopo, aggiungeva che si
era pentito della sua fuga ma cheil suo orgoglio
lo aveva fino a quel giorno obbligato a resistere.
Aveva deciso peró di cedere e ora, ecco, le scri-
veva. Non le chiedeva perdono, questo no, ma vo-
leva sapere 1 sentimenti che lei nutriva in quel mo-
mento verso di lui. Odio? Amore? (no!) Indiffe-
renza? Se provava indifferenza allora non ci sareb-
be stato niente da fare. L*odio invece era giusto e
naturale, ma anche lP'odio alle volte confina con
LPamore. Egli non si aspettava di piú ma le scri-
veva appunto perché era pronto a riparare, se lei
lo voleva, a riparare a quel momento di debolezza.
Era andato a L'Aquila per dimenticare una don-
na che aveva conosciuto in quegli ultimi tempi del
loro fidanzamento e che sentiva avrebbe finito per
rovinargli la vita, per questo era andato a L*Aquila.
Ora era passato, ora non ricordava piú nemmeno
il nome di quella donna che del resto era partita
185
per la Svizzera. Voleva solo sapere da lei, Mirella,
se fosse ancora disposta verso di lui. Egli l'avrebbe
sposata volentieri e al piú presto, come del resto
aveva promesso. A L*Aquila, seritiva che non sareb-
¿be piú potuto rimanere: non aveva un amicó, una
- conoscenza, nulla. E soprattutto gli mancava lei,
la sua bambina. Era sicuro che le avrebbe donato
in futuro un amore certamente piú profondo e un
affetto diverso dal fidanzato attuale, che lui del
resto conosceva fin troppo bene e sul quale non si
sentiva di esprimersi, per discrezione. Comunque,
aspettava al piú presto una risposta. O si, o no.
Anche a questa lettera Mirella non rispose e la
tenne nascosta alla madre. Ma Mussia, rovistando
nel cassetti e nel letto di Mirella, com'era diventato
“suo uso nel sospettare nella figlia un'avarizia e dei
traffici che in realtá non esistevano, trovo le let-
tere, le lesse e le rilesse. Come le parevano com-
moventi! E piú che comprensibili, logiche in fon-
do! Sospettando che Mirella non avesse risposto
per quel suo cocciuto orgoglio, senza dir nulla al-
la figlia, scrisse lei stessa a Luigi. Lesse e rilesse an-
che questa lettera sua e la ricopió prima di spe-
dirla. Essa diceva:

Caro signor Mannozzt,


Mirella mi ha mostrato le sue lettere.

I: La ringrazio per quanto in esse riguarda la


salute di mio marito. Edmondo sta meglio, ora, e
186
presto uscira dalPospedale dove ha preferito rima-
nere ancora un poco per sottoporsi alle cure per-
sonali del professor Tibert, il primario, suo amtco.
II: Mirella non sta per sposarsi e non e nem-
meno fidanzata, come Leti dice. C*é si, una persona
che avrebbe queste intenzioni e che frequenta la
nostra casa. E con questa persona un'altra, il dot-
tor Libondi, che forse Lei conosce e che, anche lut,
vorrebbe sposare Mirella. Ma mia figlia non ha
promesso nulla a nessuno. Questo per la cronaca.
Mirella e ancora affezionata a Lei, o meglio al ri-
cordo di Let. Perche Lei non ha voluto ricambiare
questo affetto, troncandolo improvvisamente.
TIT: Let parla, bisogna riconoscerlo, da gentt-
luomo. Ero gia a conoscenza della passione per'
quella donna che ora é andata in Suizzera e la
comprendo. So, come mamma, giustificare que-
ste cose, e passar sopra. La passione per quel ge-
nere di donne, signor Mannozz1, certe volte porta
a compiere azioni di qualunque specte. Mi ralle-
gro quind: che ora le sia passata e creda, se le ri-
peto che la comprendo. Basta. Non voglio entrare
nell'intimita.
IV: Mirella le risponde di si; perche, signor
Mannozzt, e Lei lo sapeva bene scrivendo le sue let-
tere, tl primo amore non si scorda mai. Lei torn: e
per il matrimonio vedremo, deciderete insieme, vi
troverete, vi parlcrete. Se vuole io posso farmt
avanti col dottor Fuzzi per il trasferimento: come

187
pos Le sa,e
-glornt, eo a capo degli]Ea Torni e y
_dremo, va bene? E una vecchia frase: se son rose
-fioriranno. Ma to non voglio dire piú niente, deci-
derete voi. Quanto a me, non sono contraria. Di-
'stinti saluts. MussIa K. CAREGÓN

Luigi scrisse ancora due lettere, una a Mirella


e una a Mussia. Per mezzo della futura suocera
e del dottor Fuzzi (che stupido era stato ad ave-
re tanta paura proprio del dottor Fuzzi!) otten-
ne il trasferimento e tornó nella cittadina. Fu sta-
bilito che il matrimonio si sarebbe celebrato in
settembre.
Mussia aveva proposto subito al fidanzato di
venire a consumare i pasti in casa, versando ov-
' viamente un tot mensile. Non poteva piú abitare
col fratello, ora ch'era tornato, anzi era meglio
che si prendesse una stanza presso una famiglia
amica e per i pranzi, invece, che venisse pure in
casa: Mussia giudicava eccessiva la retta che Lui-
gl era costretto a pagare al fratello, ora che P'ave-
va saputo. Quarantamila lire! Ma ne bastava la
meta, per i pranzi! Dunque: venti per il vitto, no-
ve per la bella stanza, restavano undicimila lire
Che poteva mettere da parte per un viaggio, un'au-
tomobile, un capriccio, quello che voleva insom-
ma! E poi doveva sposarsi e mettere giudizio! —
aveva finito col dire scherzosamente Mussia.

188
_Anche questa volta era soddisfatta di sé, enor-
memente soddisfatta. Non aveva concluso tutto
lei? Se non ci fosse stata lei cosa sarebbe successo
di Mirella? E poi era giunta al punto di portare
Luigi a consumare i pasti in casa, quindi a risol-
vere il problema quotidiano di lei e di Mirella.
Che cos'era un piatto di minestra in piú? niente.
Ma ventimila lire erano qualcosa. Cosi aveva ri-
preso a frequentare il circolo del bridge. Ora che
la figlia si sposava bisognava mantenere le rela-
zioni. Riprese il giuoco, anche quello con non mi-
nore fortuna, sebbene coi suoi alti e bassi.
Luigi accettó di buon grado l'invito della fu-
tura suocera. Quei pasti serali, Mussia che correva
al bridge col boccone in gola, il signor Edmondo
all'ospedale, gli permettevano di godere della com-
pagnia e dell'amore di Mirella con ogni comodita.
E cos1, un poco alla volta, guardandosi in giro, ri-
flettendo, rendendosi conto di quelle due donne
_sole e senza denaro, fini col lasciarsi convincere
che Pidea del matrimonio era stata sl, come idea,
una bella idea, e lo era ancora, ma per il mo-
. mento inutile: che fretta c'era? — si diceva Lui-
gl aumentando di peso ai buoni pasti della fidan-
zata. L'aria della cittadina l'laveva ripreso nelle
sue spire, nel suol vizi, accompagnandolo in un
labirinto di nuove considerazioni, nuove supposi-
zioni, nuove ipotesi. Che fretta c'era, di sposars1?
Non era mica un vecchio, di amici ne aveva e
quanto alla voglia di divertirsi, quella non manca-
189
va mai. Una fidanzata Paveva, per quando fosse
- stato il caso di sposarsi: ancora fresca, bella, gio-
vane e sempre piú voluttuosa dopo quattro mesi
di astinenza. Una casa l'aveva con due donne per
tenerlo a posto, un impiego anche e soprattutto,
soprattutto, la cosa piú importante, la liberta. Co-
sa andava cercando? Il matrimonio? e chi poteva
- obbligarlo?
-——Mussia? Ma se non avevano il becco di un quat-
trino per tirare avanti! Se non ci fosse stato lui,
si puó sapere cosa avrebbero mangiato?
Il signor Edmondo? Era all'ospedale, pareva un
ebete.
Il dottor Fuzzi? E perche? Lui il suo lavoro lo
faceva bene, in ufficio, e Fuzzi era contentissimo.
Mussia per mano di Fuzzi? Ma no, ovviamente,
per ragioni economiche.
I'arciprete Salinas? Oh, via! Quello meno di
tutti! Non aveva detto, testuali parole: Cosa?...
Come vuoi sposarla? Dopo quanto é successo
— irreparabile, irreparabile — come puoi spo-
sarla?
E dunque, chi? Mirella? E perche? Era inna-
moratissima, quanto e piú di prima ora che lui
era tornato. Gli aveva detto che non si sentiva pid
sola.
E allora, cosa occorreva sposarsi? E del resto,
un momento, lui aveva tutta l'intenzione di spo-
sarsi, ma non subito, tra qualche anno, in etá giu-
sta... imsomma... col tempo. Allora, quando aves-
190
se deciso, sarebbe andato a fare uraltra visita
alParciprete Salinas, avrebbe confessato che quan-
to gli aveva confessato quel giorno era stata tutta
una fantasia sua, per sfuggire non la fidanzata, ma
un altra, un'altra donna lussuriosa che adesso era
partita per la Svizzera e con la quale giurava di
non avere piú nessuna, nessunissima relazione. Ma
per ora, per ora era meglio aspettare. Almeno
qualche anno... che fretta c'era?
Cosi ragionava Luigi dopo un buon litro di vino
e una grappa, e ancora un altro litro e due dita,
le ultime, di grappa, insieme con gli amici alla se-
ra, alla sera tardi, alla notte.
Non fu difficile per-le due donne intuire i pen-
sieri del fidanzato. Essi filtravano dovunque dal-
la spensieratezza di Luigi, da quel suo proclamare
che la libertá era la piú grande delle conquiste,
da quella sua aviditá per i cibi, dalla sua aria stra-
_fottente di padrone.
Mussia taceva e fingeva di non capire. Quelle
- ventimila lire le occorrevano, le occorrevano asso-
lutamente per andare avanti. E poi era sicurissima
che un momento o Paltro Luigi avrebbe sentito
il bisogno di sposarsi, di avere una famiglia sua,
dei figli. Su quest'ultima considerazione Mussia si
sentiva piú sicura che su ogni altra. Un momento
o Paltro, a furia di dái e dai, Mirella avrebbe fi-
nito per restare incinta. Allora, allora sl, sicurissi-
mamente, Luigi l'avrebbe sposata per non andare
incontro a guai in ufficio. Dunque inutile, star li
191
y
FINITO DI STAMPARE
IL 12 MARZO 1956
NELLE OFFICINE. GRAFICHE
ALDO GARZANTI, EDITORE
IN MILANO
GOFFREDO PARISE

Goffredo Parise e un narratore di


istinto, di forte e spontanea vo-
cazione. Sebbene abbia fatto gli
studi classici e frequentato saltua-
riamente alcuni corsi della Facoltá
di lettere di Padova, Parise ha piú
imparato dalle lezioni della strada
e dalle prove dellinfanzia povera
e libera che dai banchi delle scuo-
le. Si sente in tutti i suoi romanzi
il sapore di un'autentica espe-
rienza di un mondo dove la fan-
tasia non ha fatto che dare magia
e contorni favolosi a personaggi
di carne e di sangue: veri, auten-
tici «umiliati e offesi» della
provincia italiana.
Nato a Vicenza nel 1929, Goffredo
Parise ha scritto altri tre romanzi
prima de 1l fidanzamento: 1l ra-
gazzo morto e le comete (1951), La
grande vacanza (1953), 1l prete
bello (1954).
RITORNO A CASA
L'ARPA D'ERBA
ALTRE VOCI ALTRE STANZE
LA CASA DELLE ONDE
PRIGIONIERA DELLA GRAZIA
LA PAGA DEL SOLDATO
SARTORIS Cn

—L'ETA INCERTA. La. P. Hartley


IL SOLE NEL VENTRE Jean Hougron
MORTE DI FRODO Jean Hougron
SANGUE MISTO Jean Hougron
08/15 - LA RIVOLTA H. H. Kirst
DEL CAPORALE ASCH
" 08/15 - LA STRANA GUERRA H. H. Kirst
DEL SOTTUFFICIALE ASCH
IL PRETE BELLO -Goftredo Parise
IL FIDANZAMENTO Goftredo Parise-
RAGAZZI DI VITA Pier Paolo Paso limi
1 MAGHI J. B. Priestley ->
IL VOLTO DELL'INNOCENZA William Sansom
L'OSTERIA DEL GATTO PARLANTE Francesco Serantini
IL FUCILE DI PAPA DELLA. GENGA .
I BASTARDI Francesco Serantini?
LA MASCHERA DEL LEONE A. T. W. Simeons
LE LETTERE DA CAPRI Mario Soldati
LA CONFESSIONE Mario Soldati
SIMONE Giani Stuparich
LA PRIMAVERA ROMANA Tennessee Williams
DELLA SIGNORA STONE
LA CICUTA E DOPO Angus Wilson

GARZANTI
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ROMANZI
GITA AL FARO Virginia Woolf

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