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IL Fidanzamento - Goffredo Parise - 1956 - Anna's Archive
IL Fidanzamento - Goffredo Parise - 1956 - Anna's Archive
GARZANTI
IL FIDANZAME.
Con il suo nuovo romanzo, 1l
fidanzamento, Goffredo Parise ha
abbandonato il mondo patetico
dei ragazzi diseredati da lui reso
incomparabilmente nelle pagine
festose e amare de 1l prete bello,
per affisare un occhio indagatore
e partecipe nei meandri della pic-
cola borghesia provinciale. I suoi
inesoravili « flashes » rivelano oggt
un mondo altrettanto vivo e mo-
bile ma cui sempre é sottinteso
un organico sepolcrale squallore.
Attorno a Mirella, la dolce vit-
tima designata, giostrano i preten-
denti; mentre nello sfondo si in-
travedono i gesti rituali della ma-
dre frenetica e quelli, poveri e
inutili, del padre stanco e svanito
che ricorda con volubile astio
tempi migliori. La magia di Pa-
rise é proprio questa: di immer-
gere in un clima di sogno gli
atteggiamenti consueti, di dare so-
stanza e vigore agli atteggiamenti
e alle azioni di personaggi colti
dall'esperienza e dal mutevole gio-
co delle cose. A soli ventisette anni
autore di tre romanzi che hanno
avuto larghi consemsi e che sono
stati tradotti in molti paesi d'Ku-
ropa e d'America, Goffredo Parise
sembra in un certo senso una for-
za della natura; appare invece,
alla riflessione, come il suo in-
gegno poetico ha saputo far te-
soro di una infanzia e di una
adolescenza infelici; degli incontri
spericolati negli anni bui e troppo
pittoreschi_ del dopoguerra; della
luce, delle tradizioni, della civiltáa
della stupenda cittá, Vicenza, che
gli diede i natali. Nelle narrazioni
di Parise il pessimismo non é mai
di qualitá amara e ribelle, ma co-
nosce le evasioni di un'obiettivitá
intelligente, d'una coscienza chiara,
e un certo sorridente piacere, non
insensibile alle umane sofferenze,
di spalancare le finestre lá dove
Paria e malsana e viziata.
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Digitized by the Internet Archive
in 2022 with funding from
Kahle/Austin Foundation
https://archive.org/details/ilfidanzamento0000goff
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GOFFREDO PARISE
IL FIDANZAMENTO
ROMANZO
GARZANTI
- Proprietá letteraria riservata - Printed in Italy, 1956 - (O) Copyright 1956 by
AER Aldo Garzanti, Editore - Ogni esemplare dell'opera che non rechi il timbro au E
Le _secco della Societá Italiana degli Autori ed Editori deve ritenersi contraffatto
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_ passione. Certe volte provava perfino tenerezza per
quell'odore e si chiedeva fino a qual punto gli im-'
portava che venisse esattamente da lei, da Mirella,
o non piuttosto da un altra donna gia posseduta da
molti e proprio per questo misteriosa ed eccitante:
premeva allora le narici sotto l'orecchio e pol scen-
- deva verso l'incavo dei seni che si lasciavano spiare
attraverso lo scollo aperto dellPabito; un tepore
odoroso, come di letto ancora caldo saliva da quel-
Pincavo e la tenerezza che provava Luigi verso
- quell'odore era in un certo modo simile a quella
che lo spingeva oscuramente verso sua madre, da
bambino, nel misero letto di ferro dove dormivano
in tre: lui, sua madre e sua nonna. E come allora,
bambino, immergersi in quelle coltri spiegazzate,
usate e odorose gli dava la gradevole sensazione di
trovarsl in un castello sontuoso e pieno di agguati,
ora, da uomo, penetrare nel petto di Mirella, pur
richiamandogli la sensazione infantile dell'agguato
lo metteva in uno stato di debolezza e di languore.
Mirella era a conoscenza di tutto ció e con eli
occhi aperti simili a quelli di un topo, spiava at-
tenta quae lá e sorvegliava che non si aprissero
' porte e uscissero inquilini. In questo modo era lei
che quasi ogni sera, silenziosamente e col respiro
appena piú forte si lasciava possedere dal fidanzato
che stava un gradino pid in giú. Certe volte tron-
cava tutto sul piú bello lasciando Luigi imbaraz-
zato e finto indifferente, un sorriso stupido sulle
labbra, con la scusa che una porta si era aperta, o
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-cosi le era parso. In realtá non era per questo ma
perché alcune di quelle volte pensava al matri-
-monio e, sia per stizza verso Luigi che non si de-
cideva mai, sia per una improvvisa quanto assurda
ed inopportuna riserva di pudore, le pareva che
troncare quell'abbraccio frettoloso sulle scale fos-
se come un tacito ma significativo atto di protesta
per un fidanzamento gia fin troppo lungo.
«Che c'é? » chiedeva allora Luigi, agitato.
Mirella non rispondeva, si metteva da parte ver-
so Pangolo piú oscuro del pianerottolo e, immuso-
nita, si abbottonava il golfino.
- «Eh? dimmi! » insisteva Luigi, seccamente, con
falsa gentilezza. E a intervalli, ora prendendola
per un braccio e stringendoglielo, ora scrollandola
lentamente, ripeteva la breve domanda. Sapeva che
questo ripetere continuamente «eh? », con insi-
stenza tra compiaciuta ansiosa e discreta, inizial-
mente esasperava Mirella; ma sapeva pure che alla
fine, dopo una breve esasperazione che nei primi
anni di fidanzamento terminava in una scenata, ora,
dopo sei anni, ella si sentiva come in colpa per aver- :
gli troncato un"emozione molto forte e pericolosa.
Luigi le aveva raccomandato di non ripeterlo piú,
in primo luogo perche avrebbe potuto far male al
cuore e in secondo luogo perché agire in quel
“modo significava che lei non provava piacere. Mi-
rella, infatti, non provava molto piacere a quei
frettolosi abbracci, ma non voleva dirlo, temeva
che Luigi ne restasse deluso e ancor piú temeva 1
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dasse a pregare, o quasi, un fidanzato qualsiasi che
poi non era altri che un figlio di genitori vecchi,
str quindi malsano, e in fondo povero, per indurlo a
parlare delle proprie intenzioni su Mirella. Avreb-
be dovuto essere lui, per primo, quel giorno del
pranzo di fidanzamento quattro anni prima, a de-
cidersi; o se non proprio in quei tempi, qualche
mese dopo, come usa chi ha educazione. E invece
passavano gli anni e mai si decideva.
Quando parlava di questo argomento con Luigi
la madre non finiva piú; elencava le doti fisiche
della figlia quando Mirella si allontanava e lei,
compiaciuta, la seguiva con lo sguardo, squadran-
dola, per rivolgersi poi a Luigi con occhi sfavil-
lanti:
« Che bella figurina! Dov'é che ne trova ur altra,
Luigi, mi dica lei! E tanto sensibile dev'essere, lo
vedo io, lo immagino, lo so, me ne accorgo, che
dovrebbe sposarsi, che ormai, si, sarebbe ora... »
Oltre a questi apprezzamenti sul corpo della fi-
glia, Mussia si attardava a parlare dei pretendenti
che la figlia avrebbe potuto contare come certi:
tutta gente di ottima famiglia e soprattutto molto
a posto economicamente. In parte queste storie di
_ pretendenti erano vere per quello che riguardava
la famiglia e la posizione cittadina dei giovanott1;
ma esagerate per il lato economico. In realtá Mi-
rella godeva di pretendenti, ma giovanotti di mez-
za eta, sui 35-40 anni, tutta gente all'orlo del celi-
bato perpetuo: quello speciale genere di giovanotti,
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buonissimi, timidi e di poche parole che non sono
in grado di trovarsi da sé una fidanzata: sepolti
nelle camere ammobiliate o in famiglie numerose
essi si affidano alle conoscenze e cercano di supe-
rare con queste, piú abili e pratiche, il disagio dei
loro occhi inespressivi e acquosi, delle loro mani
grandi, quadrate, madide di sudore. Solo questi
tipi di pretendenti al matrimonio vantava Mi-
rella: aveva conosciuto altri giovanotti in altre oc-
casioni, al mare presso gli zii, ma questi non par-
lavano mai di matrimonio. Mirella non aveva vo-
luto saperne né dei primi né dei secondi, giudican-
dosi ragazza seria e innamorata di Luigi.
Cosi dunque trascorrevano le serate in casa Ca-
regón. Il signor Edmondo lavorava al suo traforo,
Mussia quando non andava a giocare a bridge sta-
va con Mirella e Luigi, scoprendo insieme alla pel-
le bianchissima e leggermente affossata che faceva
capolino dalla vestaglia il suo acuto desiderio di un
matrimonio. Luigi vi si recava puntualmente e
ascoltava con pazienza la signora Mussia solo per-
ché sapeva di trovare lá una bella ragazza sempre
pronta e di cui stimava d'essere innamorato, molto
innamorato, seriamente, al punto che quando se ne
fossero presentate le possibilita l'avrebbe certa-
mente sposata. Solo Mirella a volte comprendeva
la grande malinconia di tutta la sua situazione
amorosa; e sentiva passare gli anni sul corpo bello
e flessuoso con la rapidita degli amplessi sulle sca-
le. Ma la stanca e sonnolenta pigrizia di quella
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pe domeniche d'inverno Mirella e Luigi le pas-
savano in casa. Non andavano al cinema per-
che non avrebbero poi saputo dove recarsi alla se-
ra. Da novembre a marzo i fidanzati trascorrevano
cosl i lunghi pomeriggi di pioggia, di nebbia e di
fumo nel canape del salotto.
Il signor Edmondo, in quegli ultimi anni, oltre
alla passione per il traforo si era lasciato andare
ad un altro vizio provinciale: la visita settimanale
al cimitero. Lá trovava i suoi amici e i parenti e
forse parlava con loro di affari di famiglia. Si at-
tardava fino alla chiusura, girando per 1 vialetti,
informandosi presso i buoni frati e i fioristi sulle
modifiche che il Comune apportava di tanto in
tanto ai due campi. Dopo la chiusura, lentamente
tornava verso la cittá e si fermava al cafté Cavour
dove sedeva accanto ai giocatori di poker, a guar-
dare. La signora Mussia, pigra e astiosa nella sua
etá critica e nelle rinunce, si cacciava a letto e dor-
miva fino all'ora di cena. Un russare discontinuo,
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chio Luigi quandola fidanzata era giá seduta sul-
le sue ginocchia; e questa parola, popolando d'im-
magini la fantasia, bastava perché Mirella si sen-
tisse percorsa da un fremito cosi violento che le la-
sciava le membra indolenzite come dopo un sonno
scomodo. Cosi, senza la forza di muoversi, con le
gambe e il ventre percorsi da quella curiosa e lan-
guida sensazione di elettricitá e di punture di spillo,
Mirella lasciava fare al fidanzato. Luigi conosceva
bene le zone deboli del corpo di lei e simile a un
orologiaio ne andava cercando con le dita o con
le labbra i punti piú segreti e imprevisti. :
Il giorno dei Morti i due fidanzati godevano di
una grande occasione: anche Mussia accompa-
gnava il marito nella consueta visita al cimitero ed
essi potevano cosi fare tutto con loro comodo, gio-
vandosi anche del letto dei genitori. Si spogliavano
un poco alla volta e Mirella andava a dipingersi il
viso e gli occhi con rossetto, bistri e matite perché
cosi piaceva a Luigi. E poi compariva nuda nella
cupa stanza di noce, dipinta come un'attrice o una
ballerina, le orecchie adorne di un paio di orec-
chini arabi di filigrana d'argento che tinnivano per
tutto il pomeriggio come due campanelli.
Durante sei anni di fidanzamento il giorno dei
Morti e Pamore nella camera buia tutta ingombra
di mobili lucidi e torniti, di specchiere e di arazzi,
trascorsero tranquilli fin dopo lP'imbrunire: quando
una vaga tristezza s'impadroniva dei due fidanzati
al punto da far diventare Mirella sempre piú in-
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traprendente e fantasiosa come per cacciare Poscu-
ritá e la solitudine. Per tutto il pomeriggio non si
udiva alcun rumore in casa Caregón: solo il tin-
nire degli orecchini di lei, e, verso sera, l'acqua che
scorreva nel bagno. Ma un giorno si udi la porta
aprirsi silenziosa e la signora Mussia, che non ave-
va avuto voglia di seguire il marito al cimitero,
entró nella stanza dove stavano i due fidanzati.
In un primo momento la madre non si accorse
di nulla, poi accese la luce e vide Mirella sotto le
coltri, col capo rivolto alla finestra.
« Che fai, li» chiese con voce un poco ansiosa.
« M'ero buttata un momento, non sto bene, »
rispose Mirella senza voltarsi.
«Ma non potevi andare nel tuo letto? Eh,
scusa! »
Nella voce di Mussia era sparita quellPansia di
un momento prima; cosi aggiunse: « Avanti al-
zati », e avvicinatasi fece l'atto di sollevare le co-
perte. Mirella stava sempre col capo schiacciato
sul guanciale e guardava la finestra. Stando cos
coperta con le lenzuola si era intanto staccata eli
orecchini che aveva infilato tra i due materassi
odorosi di canfora.
« Adesso mi alzo, aspetta un momento. Tu in-
tanto vai di lá, » disse Mirella senza spostarsi.
«Anche nel mio letto, va,» seguitó nervosa-
mente Mussia girando dall'altro lato per meglio
scoprire Mirella. Quando fu nell'angolo scorse Lui-
gi nudo, appiattato tra lo scendiletto e il como-
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dino; indietreggió con le braccia alzate, stette cosl
un momento e, senza parole, gli sputó addosso con
disprezzo. Subito dopo si copri il viso con le mani
e con un mugolio leggero scivoló fuori dalla ca-
mera. Mirella la udi strappare il soprabito dall'at-
taccapanni, aprire e chiudere la porta dietro di sé.
I fidanzati si rivestirono con estrema pudicizia,
Luigi girato da una parte senza guardare Mirella.
<« Madonna santissima! Signore, Madonna, Ma-
donna, cosa faccio adesso? » diceva continuamente
Luigi sbagliando ad infilarsi 1 pantaloni.
Mirella aveva smesso di rivestirsi e in sottoveste
guardava il fidanzato che stava infilando i calzini
e seguendo lP'abitudine, dopo averli infilati, li arro-
tolava fino alla caviglia. Quei calzini a righe, da
banchetto di piazza, arrotolati su quelle gambe
magre, quasi ossee e di un biancore innaturale, la
infastidirono. Molte volte aveva visto Luigi nudo
e poi rivestirsi con quella lentezza affettata e mor-
bida, ma ora per la prima volta Mirella scopriva
quasi con freddezza quei particolari intimi dell'ab-
bigliamento di lui. I calzini arrotolati, le mutande
ricavate da una camicia vecchia che ricordava per-
fettamente, una camicia che avevano comprato in-
sieme a Venezia durante i primi anni del loro fi-
danzamento, a righe rosa; tutto ció la riempi di
una profonda quanto inafferrabile malinconia.
< Be”, ormai, cosa vuoi farci? Non c'é niente da
fare. »
« Ajutami tu! » continuava a pregare Luigi, ab-
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bandonando i calzini che andava arrotolando con
assurda lentezza per giungere le mani e serrare le
dita in un gesto di supplica verso il cielo,
« lo? » chiese Mirella.
« Eh? macché tu! » riprese Luigi violentemente,
e fini di vestirsi con movimenti mutati, lenti e si-
curi. Ció che gli premeva piú di ogni altra cosa in
quel momento era di uscire da quella casa; Mi-
rella era come se non esistesse, anzi, vederla cosi
in sottoveste a non far niente e a guardarlo, lo ir-
ritava. Era stata lei la causa, pensava, e nello stes-
so tempo cercó di giustificare sé stesso e ogni suo
atto d'amore avvenuto durante quei sei anni di fi-
danzamento. Pensó che era una fannullona e che
la pigrizia e la noia delle sue giornate la porta-
vano a compiacere a fantasie erotiche e a desideri
che dopo sfogava con lui. Non ricordava piú, in-
fatti, chi dei due aveva cominciato a spingere i
rapporti sentimentali fino ai primi approcci del ses-
so, e non ricordando, gli veniva spontaneo di ad-
dossare la colpa a lei. Vederla cosi, ora, in sotto-
veste, in quell'atteggiamento a metá tra la lascivia
e la noia, gli venne di pensare a Mirella come a
una di quelle donne di cui gli avevano parlato i
compagni d'ufficio; e anche la stanza e quell'oscu-
ritá soffusa di un colore lilla stinto ai riverberi del
crepuscolo gli suggerivano eli squallidi ambienti
dove quelle donne abitano. Per fortuna egli non
aveva mai frequentato quelle case. Padre Virgilio
che era sempre stato il suo consigliere e confessore
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Paveva preservato da simili esperienze; ed egli, ad
eccezione di alcuni frettolosi rapporti avuti con
una ragazza di campagna che veniva a fare le pu-
lizie in ufficio e che aveva provveduto a far allon-
tanare subito dopo, era giunto alla fidanzata quasi
vergine. Non volle tuttavia far capire questi pen-
sieri a Mirella e Paccarezzó e bació con lP'inten-
zione di infonderle sicurezza. Era una complice che
doveva tenersi buona, ora che tutto era stato sco-
perto. :
« Vengo via con te, vengo a stare con te e non
torno piú a casa, » disse allegramente Mirella. Non
che pensasse davvero a questa soluzione ma il pro-
porla le pareva opportuno, in certo modo e senza
avvedersene la sentiva romantica e ingenua in quel
momento.
« Per caritá, per carita tesoro, non facciamo stu-
pidaggini, eh? Me lo prometti vero? Ciao tesoro,
ciao, lo vado sai? Stai tranquilla, tutto si sistemera,
ci penserd io, faró tutto io, sai tesoro? »
Luigi parlava nervosamente e con una rapida
corsetta s'era avvicinato alla porta; laveva aperta,
aveva adocchiato velocemente -nelle scale buie e
ora andava lentamente accostandola come per spin-
gere indietro Mirella che intendeva seguirlo fino
al pianerottolo. Discese le scale in punta di piedi,
sempre piú tranquillo e sicuro di sé a mano a ma-
no che lPandrone scuro della casa dei Caregón si
allontanava.
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USSIA si rinchiuse nel dolore: tornó a casa,
quella sera, con gli occhi gonfi e la voce fle-
bile, quasi sfiatata; al marito disse che era stata al
bridge, a Mirella parló con gentilezza esasperata
ed esangue. Non disse nulla della cosa al signor
Edmondo; ma nei giorni seguenti sí mostró com-
pletamente diversa dal solito. Quando il marito
non c'era evitava di parlare a Mirella o lo faceva
solo in casi assolutamente necessari. Abbandonato
il consueto atteggiamento autoritario e capriccioso,
ne aveva assunto un altro conforme a questa nuo-
va situazione: restava in casa per la piú parte del-
la giornata, nella sua stanza, e si faceva trovare da
Mirella seduta sul letto, nella penombra, a fissare
di lá dalla finestra le rondini che stridevano rin-
* chiuse nel giro di un volo entro il breve spazio del
cortiletto umido; con una mano carezzava la so-
vracoperta di seta, come abbandonata a ricordi o
a una grande malinconia; cosi come se avesse per-
duto una persona cara e ora nella solitudine della
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stanza si trovasse a colloquio con lei. Quando Mi-
rella entrava nella camera e la chiamava, senza
voltarsi, lentamente ma recisamente accennava di
no col capo; e se la figlia le si avvicinava fin quasi
a toccarla, come per cercare una spiegazione, una
sfuriata, qualcosa che potesse metter fine a quella
situazione di disagio, Mussia si voltava di scatto
con gli occhi giá gonfi di lacrime, la guardava fis-
sa, allungando le mani avanti, come per intimare
che non la toccasse. Altre volte, subito dopo man-
giato, si metteva a dormire scomoda sul canape,
coperta solo da uno scialletto; e se Mirella ancora
le si accostava per stenderle sopra qualcosa, Mus-
sia rifiutava con un cenno reciso della mano e sem-
pre quella medesima lacrima che brillava negli oc-
chi; oppure si metteva a dormicchiare in una seg-
giolina nana di paglia accanto all'uscio della cu-
cina e di lá non si muoveva per l'intero pomerig-.
glo, in certi momenti crollando il capo davvero e
rischiando di cadere con la faccia avanti, presa da
un colpo di sonno pesante, profondo, tutt'altro che :
dissimulato.
« Nelle nuvole! pare di essere nelle nuvole in
questa casa!» si spazientiva certe volte il signor
Edmondo e non andava a cercare le ragioni di
quella improvvisa malinconia, di quelle scene di :
planto soffocato tra le mani, di: quelle corse in
camera e di quei rumorosi giri di chiave alla
porta. Era stato molto tempo in Africa, e an-
che dopo, quand'era ritornato, la sua vita coniu-
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gale si riassumeva quasi interamente in curiositá
e piccole attenzioni meccaniche e superficiali. Vo-
leva sapere tutto di certe cose, con pedanti inter-
rogatori, dov'era andato a finire quel completo di
biancheria con le cifre, il mazzo delle bollette del
gas, quella guépiere pagata 150 franchi nel *29 a
Parigi. Ma non si interessava minimamente ai fatti
intimi della moglie, quali potessero essere e di qua-
le natura, sia perché stimava fossero provocati da
una sensualitá svanita e dalla mancanza di lusso,
sia perché s'era sempre fatto l'idea — e questo ave-
va determinato il matrimonio con Mussia nel suo
animo provinciale — che le donne russe fossero
tutte lunatiche.
Solo Mirella, e piú per intuizione che per espe-
rienza, conosceva la natura di quelle estrositá del-
la madre. E quantunque sapesse perfettamente che
erano tutte una messa in scena, lo stesso ne pativa.
Mirella sapeva anche che un bel giorno avrebbero
avuto il loro sfogo, che Mussia avrebbe finalmente
manifestato ció che desiderava; ma bisognava la-
sciarla stare, che decidesse lei il giorno e il mo-
mento. Era inutile che lei insistesse nell”accelerare
una soluzione del resto giá di per sé molto intri-
cata nella mente della madre: Mussia la allonta-
nava col solito gesto patetico della mano, guar-
dandola fissa cogli occhi lacrimosi seminascosti dal-
la gran massa di capelli ricci.
Luigi naturalmente non si era fatto piú vedere
in casa Caregón. Si incontravano, lui e Mirella,
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nelle strade come nei primi tempi. La prima sera
Luigi aveva atteso la fidanzata con affanni e ansie,
per sentire cos'era successo; e si era scoperto a con-
tare i minuti all'langolo del portico come quan-
d'era innamorato sul serio; Mirella lo aveva tran-
quillizzato, ma lui non voleva saperne di tornare
in casa, si schermiva dicendo che aveva da fare,
che si era preso del lavoro per la sera, e che in
fondo era molto piú bello vedersi fuori e quasi di
nascosto, come nei primi tempi. Gli pareva infatti
di seguire le stesse tracce dell'inizio di quel fidan-
zamento, percorrevano le strade buie, i ponti, gli
argini del fiume, e qua e lá Luigi si fermava a ba-
ciarla. Ma non era tenerezza la sua, trovava piú
belli quei luoghi e quel vedersi furtivo solo per-
ché in quel modo evitava di tornare dai Caregón.
Per Mirella invece, che guardava Luigi stare si-
lenzioso e prenderle la mano, era veramente come
nei primi tempi: una dolcezza vaga e avventu-
rosa la riempiva di sensazioni e le faceva ancora
sognare un appartamento per loro due soli, in una
cittá sconosciuta piena di giardini pubblici, dove
Luigi Pavrebbe portata dopo il matrimonio. Fu
questo per Mirella il periodo piú bello del loro
fidanzamento, ma duró in tutto una settimana.
Mussia nel frattempo continuava in quella sua
ottusa commedia ostentando ogni giorno di piú un
dolore e un'amarezza tanto piú profondi, quan-
to in realtá inesistenti. Pensava che com'era succes-
so tante altre volte in passato, per mezzo di quel-
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la commedia sarebbe riuscita ad ottenere ció che
voleva, e ció che voleva in quei giorni era il matri-
monio di Mirella. Cosi lontana dalla realtá, cosi
intestardita nel suo capriccio, non le passó mai per
la mente che Mirella, anche se avesse voluto, non
avrebbe potuto ottenere nulla di definitivo da Luigi.
Pure vagheggiava che la sua commedia in vesti di.
realtá potesse varcare la penombra di quella casa
e arrivare fino a Luigi, e commuoverlo, e colpirlo
o spaventarlo cosi da indurlo al matrimonio; certo
Mirella in quei furtivi appuntamenti serali, di cui
era a conoscenza, avrebbe parlato al fidanzato dello
strano comportamento della madre e Luigi, in qual-
che modo turbato da quel dolore sordo, discreto e
nascosto, avrebbe alla fine ceduto, per compassione
o per stima a lei non importava proprio niente,
e avrebbe fatto il suo dovere.
Dopo una settimana cosl trascorsa, una sera
Mussia attese che la figlia ritornasse dalla passeg-
giata decisa a chiederle qualcosa. La faccenda si
-«faceva lunga, lei aveva i suoi amici, le partite di
bridge e non intendeva fare la madre nobile e
afíranta per molto tempo ancora. Stava seduta sul
seggiolino di paglia e quando Mirella entró, tutta
fresca e felice per quei momenti di nebbiosa feli-
cita, la chiamó con voce sottile.
« Mirella? »
< SL, mamma? »
« Sento che Luigi questa volta ti sposerá. »
<« Non so, mamma. »
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« Ma tu gliel'hai chiesto, » Mussia cominciava
a spazientirsi ma si frenava, « tu gliel'hai chiesto,
non é vero? in qualche modo gliel'hai fatto ca-
pire? »
«No mamma, gliel'ho gia chiesto tante volte, e
ormai, senti, non glielo chiedo pit. »
«Non gli hai detto?... Come! Non gli hai detto
in che stato si trova tua madre per la gran vergo-
gna? » :
« Ma finiscila mamma, tanto... »
Mussia avrebbe voluto alzarsi e schiaffeggiarla,
ma si trattenne. Lasciandosi andare agli impulsi
con Mirella non avrebbe combinato nulla. E in
quel momento vide chiaro nei suoi desideri, capi
che avrebbe fatto meglio ad agire lei; se avesse
aspettato Mirella che in fondo era una stupida,
non si sarebbe concluso mai nulla. Un vago senso
d'amore materno si mischió a sentimenti e pensieri,
senti come ur”onda di gioventú salirle al volto ram-
mentandole i tempi del suo fidanzamento. Si alzó
dalla seggiolina di vimini, andó in cucina a bere
un sorso di cafté, poi a mettersi in ordine i capelli.
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I GIORNI che seguirono al colloquio con Mussia,
Luigi li passo in agitazione: si sentiva come tor-
turato da una serie di scrupoli vari e turbolenti
verso se stesso, certe volte gli pareva che lo assalisse
la febbre al solo pensiero della futura suocera. Ep-
pure, pensava riscaldandosi, lei non avrebbe potuto
provare in nessuno, nessunissimo modo che lui si
trovava insieme a Mirella il 2 novembre! Come
avrebbe fatto? Mirella non lPavrebbe ammesso
neanche a morirne, e allora? Che ragione c'era di
preoccuparsi? E poi alla fine, anche ammesso che
tutto fosse stato scoperto, che Mirella stessa fosse
portata a confessare, che tutto, tutto, anche eli atti
piú intimi, nascosti e sconci venissero in luce in
qualche modo (impossibile! ma mettiamo pure),
era questa una ragione per sentirsi vittima di quelle
agitazioni? La salute sopra ogni cosa, non e la fine
del mondo, é passata anche a Napoleone, tutto €
relativo, fuori il dente fuori il dolore — cosi ragio-
nava Luigi. E lo stesso l'agitazione, lenta e pene-
47
- , trante come un tarlo, non lo lasciava quieto, a poco
eS
a poco senza che egli se ne accorgesse si trasfor-
mava in paura. La sicurezza iniziale sorta dal fat-
to di essere stato lui a possedere Mirella come un
gran conquistatore e non Mirella lui, ora andava
scomparendo: e cominciava piuttosto a credere che
fosse stata Mirella, furba, furbissima, a indurlo in
tentazione e a far peccato. E dunque non c'erano
fidanzati che se la godevano con la fidanzata? Ma
pieno il mondo! E lo stesso, al pensiero delle pa-
role di Mussia, quella maledetta sera, in quel ma-
ledetto cafté che mai piú avrebbe voluto rivedere
in vita sua, si sentiva preso da un turbamento cosi
forte che gli sudavano le mani e certe volte tre-
mava. E la paura, per Luigi che era un contabile
pieno di zelo, prendeva forma immediatamente in
conseguenze pratiche, in sospetti, in supposizioni.
Prima di tutto le conoscenze di Mussia: ora che
alcuni giorni erano passati da quel suo incontro e
la paura aveva ingigantito agli occhi di Luigi per-
fino 1 soliti, mansueti passanti di quella cittá di
provincia, gli pareva di averle sottovalutate, non
considerate abbastanza; si, era vero, lei era una
pazza, una donna che un tempo ne aveva fatte
di tutti i colori in societá, ma appunto, appunto
per questo: se, per esempio, il commissario di
Pubblica Sicurezza e quell'alto impiegato della
Confindustria che Mussia nominava cosi spesso con
civetteria avevano avuto dei rapporti intimi con
lei, tanto piú intima era dunque lPamicizia, visto
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58
NE frattempo Mussia si trovava anch'essa in.
preda a grandi perplessitá. Al contrario di
Luigi la madre, subito dopo il colloquio di quella
sera, si sentiva assai soddisfatta: lei il suo dovere
Paveva compiuto, piú di cosi non poteva fare. E se
non c'era lei, chi altro avrebbe messo alle strette
quel pigrone di Luigi, chi avrebbe pensato mai di
avvertirlo, che era tempo, che gli anni passano e la
carne invecchia, che anche Mirella, ora sarebbe
stata una sposa giovane, desiderabile, eccitante e
prediletta, ma tra un anno, due, chissa? La sua
era un'etá in un certo modo critica, Mussia era
del parere che se non si fosse sposata presto avreb-
be finito, come tante poverette, per abbandonarsi
a quel torpore, a quella pazienza passiva che pre-
lude l'isterismo delle zitelle. E col torpore sarebbe
-sopraggiunta una certa adipositá a fior di pelle, un
pallore costante e gallinaceo, un afflosciamento del
seno, del collo e della gola, uno spegnersi degli oc-
chi, cosi vivaci, azzurri e giovanili nella tepida e
IN
sonnolenta brace di un desiderio piú sognato alla
lontana che stuzzicato da vicino. Era ora, le ci vo-
leva assolutamente un marito! Prima di tutto per
ragioni fisiche, proprio per tener su la pelle, il se-
no, la sveltezza delle gambe, l'espressione degli oc-
chi; poi per renderla attiva, che se non ci fosse sta-
to il marito Mirella avrebbe finito per appisolarsi
in una quiete casalinga fatta di libri di Liala, di
lavoretti a ferri e ad uncinetto, di ore perse alla
radio e a letto, a farsi le unghie o a poltrire; e poi
avrebbe finito col non leggere piú nemmeno Liala,
con lP'abbandonare a meta i lavoretti a ferri, con
lPannoiarsi davanti alla radio aperta e lasciarsi le
unghie nere e in disordine. Insomma avrebbe fi-
nito per diventare una fpatatona come la figlia del
Bombardini ch'era stata una bellezza e che pro-
prio per aver perduto un fidanzato, un poco per
la vergogna, un poco per la rabbia e l'avvilimento,
aveva perso la Fede e s'era attaccata alle sottane
della madre come una deficiente.
Mussia di queste cose aveva parlato anche a
Elide, la sorellastra, che a trentacinque anni e non
ancora sposata doveva ben avere una certa pra-
tica. Ma Elide era tutt'altra cosa, lei aveva trovato
la forza di reagire, si era subito occupata presso
un avvocato ed era rimasta un bel pezzo di donna
alto e sodo; e poi, poi si interessava molto di po-
litica. In ogni caso Elide, anche lei, aveva detto
che per Mirella occorreva subito un marito, ma il
piú presto possibile.
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Ilse non rispose alllansiosa telefonata di
Luigi: e non rispose perché non c'era. Ma
per Luigi sentirsi dire dalla voce oleosa di Maria
Pia Bombardini che Mirella non era in casa signifi-
cava una sola cosa: che Mirella, al contrario, c'era
e non voleva parlargli.
Nel riattaccare nervosamente il cornetto del te-
lefono Luigi si senti quasi disperato. Era la prima
volta che provava un simile senso di vuoto, di so-
litudine improvvisa e di paura: si, di paura. Poi-
che la solitudine, il sentirsi abbandonato anche da
Mirella in quei momenti cb”egli giudicava gravi,
si univa fino a confondersi con la paura di ció che
sarebbe successo dopo. Rapidissimi, egli formulava
uno sull'altro pensieri sul suo futuro: cosa avrebbe
fatto senza una fidanzata? Avrebbe dovuto cercar-
sene un'altra, ma come? A vent'anni, con una fin-
ta carriera davanti, era riuscito a conquistare Mi-
rella che del resto era ancora ingenua e bambina,
ma a ventisei e senza una carriera, senza un'auto-
65
- mobile, come avrebbe fatto a presentarsi in casa di
una signorina perbene? Certo non avrebbe piú po--
tuto scegliere una di diciassette anni, si sentiva gia
troppo uomo per quelle che peró erano le piú fa-
cili e romantiche. E dove avrebbe trovato un'al-
tra fidanzata come Mirella, buona, remissiva, cre-
dulona, che non lo avesse subito obbligato a spo-
sarla? E, poi, quand'anche Pavesse trovata, qua-
si certamente sarebbero piombate le reazioni di
Mussia. Avrebbe pensato lei a mettergli i pali tra
le ruote, a svergognarlo, comprometterlo nella so-
cietá cittadina!
Luigi si chino sul leggio sotto il telefono, copren-
dosi un momento il viso con le mani. Chiuso nella
cabina come in un confessionale e costretto a re-
spirare Podore acre, artificiale.e violento della pla-
stica alle pareti proprio come lPodore dell'incenso
e dell'intransigenza del confessore, tentó di concen-
trarsi e di pregare. Pregare! Ma pregare chi? Chi
dei Santi avrebbe potuto capirlo, assisterlo? Per un
istante penso di affidare le sue pene a san Giovanni
Bosco ch'era stato il suo protettore durante Pinfan-
zia, ma poi gliene manco il coraggio. No, san Gio-
vanni Bosco non era il tipo adatto a quel genere di
consolazioni: nella sua vita, nelle sue opere, mai
compaiono i peccati dei sensi. Bisognava sceglierne
un altro. Ne passo in rassegna, devotamente ma
sempre esercitando un criterio di scelta, una mezza
dozzina, tutti coloro che a suo giudizio avevano
avuto a che fare con le cose delllamore: santa
66
Maria Egiziaca, san Girolamo, sant'Agostino... ma
in quel mentre, proprio passando in rassegna i San-
ti che peccarono d'amore si accorse che la sua de-
vozione era momentanea, interessata, cosl interes-
sata da rivolgersi a Loro come a dei capiufficio
corruttibili. Si strinse di piú il volto tra le mani,
Pemanazione della plastica alle pareti lo nauseava
e gli dava la sensazione, ancora piú dolorosa, di
trovarsi in un mondo estraneo ed ostile, lontano
da una persona amica che potesse aiutarlo. E allo-
ra, cacciando la ragione come si caccia il demonio
nei cattivi pensieri, si afido tutto alla preghiera,
una preghiera. fluente e sconclusionata a Dio, alla
Madonna, ai Santi in genere, al capoufficio, al dot-
tor Fuzzi, a Mussia, a Mirella perché tutti insie-
me lo aiutassero, che poi lui avrebbe in qualche
modo ricambiato.
Si sollevó da quella specie di preghiera e furio-
samente riprese il telefono formando il numero dei
Bombardini. Seguitó a telefonare tre, quattro volte
nello spazio di due ore, giustificandosi con Maria
Pia che a un certo momento si lasció scappare
«ufftah! », dicendo che erano cose urgenti, molto
urgenti da comunicare e non poteva muoversi d'ut-
ficio. Dopo due ore, finalmente, udi la voce di Mi-
rella. «Ma sei matto, scusa? » lo investi la voce
- della fidanzata all'altro capo del filo; e siccome egli
rispose con un sorriso, un'udibile sorriso tra ironico
ed affettuoso tanto per tener su le carte, Mirella
continuó:
67
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« Ti domando se sei matto?! 1 Bombardini sono
seccati, la signora Angelica, la nonna di Maria Pia,
é gravissima, e tu continui con le telefonate! e in-
somma cosa vuoi? Te la sei passata bene questa
settimana? » E
<« Senti piccola, ascoltami, » Luigi la interruppe
cercando di dominare il tremito della voce con
una parlata quasi teatrale. Si muoveva nella ca-
bina, con gesti ampi, sollevando il sopracciglio e
movendo il braccio come per accompagnare e do-
nare forza alle parole.
«Va lá, va lá, anche piccola hai il coraggio di
chiamarmi, dopo quello che hai fatto! Ciao caro... »
« Piccola, ti devo parlare, ti devo vedere asso-
lutamente... »
« Ciao. »
« Assolutamente, ti prego di non farmi insistere.
Del resto, vedi che ti ho telefonato io... »
« Perchée, dovevo essere io? ah si? Il signor con-
te! Ciao. »
« Aspetta... questa sera vieni al cancello dei giar-
dini pubblici... » ,
« Ciao. »
« Vieni? »
Mirella attacco il telefono con un colpo secco.
Luigi stette ancora un istante nella cabina, poi
usci, nello stesso modo come sarebbe scivolato fuo-
ri da un confessionale. Piú leggero, libero si, ma
non completamente. Con un sorriso soddisfatto,
soddisfatto di sé e dimentico della preghiera che
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HE stupido era stato! Quante complicazioni inu-
tili, quante preoccupazioni, quanti atti di de-
bolezza aveva commesso nei confronti di se stesso,
di Mirella e di Mussia! S1, nel pensiero aveva
commesso atti di debolezza anche con Mussia so-
pravalutando le sue conoscenze, le sue stupide e
superficiali conoscenze di vecchia allegrona di so-
cietá. Che stupido era stato! S1, doveva ammetterlo,
era stato uno stupido, inutile negare, per un mo-
mento anche la sua intelligenza s'era affievolita,
fiaccata dalla debolezza che l'aveva trascinato di
paura in paura per una settimana intera. Ma ba-.
stava pensarci un momento, un momentino solo
ed ecco, tutto si sarebbe risolto se solo si fosse ri-
cordato, gli fosse apparsa nella mente un momenti-
no la figura alta, snella ed elegante dell'arciprete
Salinas! Lui era l'uomo davvero importante, lui
avrebbe risolto la sua intricata questione in un mi-
nuto, con signorilitá, competenza e virtú cristiana!
Era a lui che doveva rivolgersi! Altro che aver
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in particolari, prese a raccontare a monsignor Sali-
nas di come si svolgesse il loro amore, di come si
trasformasse in passione, e poi in peccato e ancora
in lussuria e alfine in sacrilegio.
E monsignor Salinas ascoltava in silenzio, di tem-
po in tempo liberandosi del mantello e poi della
sciarpa con lente movenze delle dita sfilandola dal
collo come fosse stata una fune e ancora 1 guanti,
dito per dito, e infine il cappello, cosi da calmo ad
agitato come Luigi nel suo racconto. Giá aveva
nella mano il fazzoletto bianco che tormentava,
ora stringendolo in una pallottola, ora passando-
selo rapidissimamente sul collo, sulla nuca e su
tutta la testa.
« Basta, basta Mannozzi, basta! E il demonio
questo che parla, non tu, non Mannozzi Luigi! »
Spaventato e quasi delirante dal gran caldo,
monsignor Salinas si sollevó con un salto dalla pol-
trona: e in quell'istante, come se per quel movi-
mento si fosse rotto un diabolico incantesimo, Lui-
gl, pallido e col calicetto del vermut in mano, sol-
levó gli occhi dal punto dove stava la calza cicla-
mino.
« Tu hai fatto questo? »
« Mi sono confessato, padre, non potevo fare di
piú. Ma mi dica, mi dica presto, padre, devo spo-
sarla vero? Cosa devo fare, padre? Lei ora me lo
deve dire percheé io... io... io non lo so. »
« É successo questo veramente tra voi due? » do-
mando l'arciprete ormai ricomposto.
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« Sl, padre, é successo. »
« Orribile, » disse freddamente monsignor Sali-
nas. Ma ora non intendeva condannare, ora il suo
compito era di salvare. Cosi ripeté:
« E successo! »
« SL padre. »
« Ed e stata lei? »
« S1, padre. »
Si rivesti lento della sciarpa e del mantello sem-
pre guardando Luigi con gli occhi socchiusi e se-
veri fissandolo qua e lá, poi i guanti, neri, dito per
dito, ancora il nodo del manto, alfine prese il cap-
pello.
« Allora Luigi caro, cosa, come puoi sposarla?
Allontanati da quel demonio, parti per L'Aquila.
Ti aiuteró. Parti. Dopo quanto é successo — irre-
parabile, irreparabile — come puoi sposarla? Par-
ti, € quello che ti resta da fare. Piú di cosl...
ormal... »
89
A.
pa
104
C ESARE Libondi e Danilo Sublich non erano pro-
priamente amici, soprattutto per la differenza
di etá e per gli ambienti diversi che frequentavano;
ma lo diventarono presto durante le serate in casa
di Mirella.
Libondi aveva trentacinque anni, laureato in
scienze politiche, aiuto procuratore in una banca.
Non molto alto, un poco scuro di pelle e con ca-
pelli folti, neri e uniformemente ondulati, portava
grosse lenti azzurrognole, una delle quali, la sini-
stra, correttiva. Viveva solo con la madre e con-
tava alcune amicizie, non molte, nella borghesia
cittadina che lo tollerava con indifferenza; egli fin-
geva di non accorgersene, o non se ne accorgeva
davvero, e seguitava a frequentarla con rispettosa
amabilitá e una serie di buone maniere, frutto di
“anni trascorsi tra il caffelatte di ogni sera e le bor-
se di studio.
Danilo Sublich, un profugo giuliano-dalmata di Xx
>. 38
E
111
« Si e arrabbiato per lo scherzo, si €... » disse ac-.
cennando all'altro con il pollice e saltellando in
modo buffo; aveva una guancia rossa e segnata
dallo schiaffo ricevuto e fingeva di strofinarsi il vi-
so per il freddo.
Il giovanotto si presentó da sé in modo borioso
e consegno il portafogli a Elide.
«A lei, signorina! ma non bisogna approfittare
troppo della poverta; io non sono povero, ma po-
trei anche esserlo. »
Gli amici ascoltarono queste sagge parole, in
silenzio.
Cosi Lucio D'Avossa, l'uomo che mancava, en-
tro a far parte della compagnia.
Libondi lo conosceva solo di vista: era un ra-
gazzo strano che studiava architettura, aveva reci-
tato nel teatro dell'Universita e aveva fatto parte
di alcune compagnie di prosa. Parlava un italiano
troppo perfetto e teatrale quantunque fosse nato
e cresciuto in quella cittá. E conservava nel par-
lare quei modi di teatro, lievemente effeminati,
che tanto piacevano a Elide.
Simpatizzó presto con tutti, pur mantenendo una
certa distanza, e fu lui a sostituire, automatica-
mente dopo il fatto del portafogli, Danilo nel
ruolo di capo della compagnia. E tuttavia non fa-
ceva gran che, ma quando parlava raccontando
semplicemente le avventure dei suoi viaggi da glo-
be-trotter, in Germania, Austria, Danimarca, Sve-
zia, tutti lo stavano ad ascoltare in silenzio. Alto
112
e magro si muoveva con molta disinvoltura nei
suoil abiti pure semplici e di cattivo gusto, solle-
vava spesso il sopracciglio come Luigi, alcune vol-
te parlava in inglese, subito traducendo. Per lui
Elide compró una bottiglia di whisky.
Fu di quei giorni P'inizio della breve ma intima
amicizia tra Libondi e Danilo. Entrambi, senza
dirlo naturalmente, si sentivano esclusi. Dopo lP'ap-
parizione, che altro non si poteva definire, di
D'Avossa, essi cominciarono a soffrire giornalmente
della tacita invadenza di costui che, senza essere
invadente, otteneva un carico di simpatia molto
maggiore di loro due. Eppure, a far bene 1 calcoli
avrebbe dovuto essere l'inverso: Danilo aveva mille
volte piú spirito di D'Avossa, era piú intelligente,
-piú colto, piú elegante. E anche Libondi faceva
questi confronti: e non che si mettesse dalla parte
del migliore ma opponeva intimamente a D'Avossa
la sua laurea gia ottenuta e piú ancora il posto di
responsabilitá e soddisfazione che occupava in ban-
ca, Che lo avrebbe portato a funzioni direttive:
con i sacrifici si era fatto lui, non come D'Avossa
che, a giudicare da quanto diceva, non doveva aver.
passato una sola notte sui libri; e Libondi invece .
che le aveva passate con la forza di volontá, col
sacrificio e la Fede che lo aiutava nei momenti di .
-maggiore sconforto, si sentiva anch'egli vittima di
un'ingiustizia. Cosi, piano piano, Libondi col suo
disappunto di non essere abbastanza apprezzato,
Danilo roso da una invidia che ingigantiva giorno
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L'avvocato Canevarino, giá ubriaco, era anda-
to a stringersi alla moglie e mostrandolo a tutti ap-
poggiava le mani di lei, minuscole e ruvide per i
lavori di casa e d'acquaio, sulle guance rasate €
lucide perché lo carezzassero.
I giovani vestiti da esistenzialisti ballavano an-
cora provando delle acrobazie ma si stufarono pre-
sto e andarono a rannicchiarsi in mezzo ai trucioli
e ai pezzi della Indian, nei separe.
D”Avossa, seduto per terra su una vecchia pelle
d'orso, discuteva con Mirella.
Danilo lo osservava continuamente: come lo
odiava! S1, ora lo odiava, quel cretino, cafone, im-
becille! E Mirella stava anche ad ascoltarlo. Ma
che cosa poteva dire di cosi straordinario, quel de-
ficiente? E tutto perché? Perché era lungo e ma-
gro e gli uomini lunghi e magri erano di moda!
Cretino ma lungo e magro! cafone ma lungo e
magro! Aveva bevuto disordinatamente e ora sen-
tiva le orecchie ronzare di quei pensieri e di que-
eli insulti.
Presso di se, stretta alla vita, teneva Maria Pia
Bombardini di cui sentiva la carne grassa e soda
fremere e muoversi sotto le dita. Egli le percor-
reva un fianco dalla coscia alla schiena, lungo la
zigrinatura della cerniera, su, fino alPascella rasa-
ta; li sostava con le dita come per farle il solleti-
co, in quel cavo fresco e carnoso che gli suggeri-
va pensieri su pensieri. Á un tratto, a mano a
mano che la rabbia per D'Avossa aumentava, lo
140
assalse un desiderio furioso di Maria Pia. Toh!
Non se ne era mai accorto! Lisciava la carne di
lei sotto lPascella e cercava di infilarsi nel seno
pressato dal bustino con la. stessa rabbia e forza
delle dita con cui avrebbe stretto il collo ossuto
di D'Avossa. Che bella carne aveva Maria Pia!
Che bella, Madonna, che bella grassa, chissá co-
mera! Cosi pensando, le teste girate verso il mu-
ro, la bació: un bacio caldo e abbandonato nel
quale percepiva in due soffi vigorosi il fiato di Ma-
ria Pia sul collo e nell'orecchio.
Che voglia gli faceva Maria Pia, Madonna che
voglia! Sempre piú con ferocia andava stringen-
dola con le dita nel cavo dell'ascella morbido e
sinuoso: i peli rasati e pungenti, lá dove la carne
si piegava in minuscole anse erano come una esi-
bizione di lussuria, un assaggio succoso di ció che
sarebbe stato il resto del corpo.
«Cosa sto ad aspettare? » pensava con rabbia.
« Mirella? che vada pure con D'Avossa lei! vai
pure con D'Avossa, cosa credi? che io non abbia
donne? guarda qua, guarda come la stringo, guar-
da un po” qua, come perde la testa! » E cosi fis-
sava lo seuardo sui due seduti a chiacchierare sul-
la pelle dell'orso; ma Mirella e D'Avossa non gi-
ravano mai gli occhi dalla sua parte.
Anche Maria Pia aveva un poco bevuto, ma
non fu il vino a renderla complice di Danilo, ben-
si un desiderio ottuso e premeditato, una testar-
daggine sorniona, muta e infantile.
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152 :
« Sal, DAS che sorpresa cl E quest anno la Be-
fana? » aveva detto tutta effervescente, quella sera,
al signor Edmondo. E poiché il marito aveva gen-
tilmente risposto no, con un sorriso compiacente
e interrogativo, Mussia aveva replicato:
« La piccola si sposa in primavera! » '
Chissá perché in primavera, ma cosi le era ve-
nuto alle labbra dopo le romanticherie a cui si era
abbandonata con letizia in Duomo e dalla sarta.
A dire il vero D'Avossa non aveva stabilito un
termine, aveva solo detto: « Presto, molto presto,
perche, signora, le confesso che a me i brodi Bi
non piacciono. » |
Ma per Mussia queste parole erano bastate a
far primavera; e quale miglior matrimonio di quel.
lo celebrato in primavera? Intanto gli abiti, poi le
belle giornate di vento per il viaggio di nozze e
infine un migliore stato d'animo degli invitati, piú
leggeri, piú facili ad ammirare che a criticare, in-
somma ben disposti. D'Avossa aveva detto dopo la
laurea, si laureava in febbraio, dunque in prima-
vera.
Il signor Edmondo accolse la notizia con gen-
tilezza e una certa commozione. Lui era felice, fe-
licissimo, ma... con chi, con chi si sposava? Dopo
le storie degli ultimi tempi, il fidanzato, Luigi, par-
“tito, quell'andirivieni di giovanotti per la casa, il
ballo dell'ultimo dell'anno, Libondi ch'era andato
a dirgli proprio quella sera, portando di sopra i
cappotti, che lui Mirella Pavrebbe sposata anche
153
_subito, il sigenor Edmondo faceva un poco di con-
fusione.
- «Come, con chi? » ribatté Mussia, un poco sec-
cata di quella mancanzadi entusiasmo, di quella
curiositá inopportuna e ottusa del marito.
« Si, con chi? voglio dire... lo conosco io, il gio-
vanotto? Chi e? »
« Lucio, Lucio D'Avossa! Andiamo, Dino... »
« D'Avossa, D'Avossa... » andava ripetendo il si-
gnor Edmondo in realta un poco imbarazzato e
sforzandosi di ricordare. « Dunque, vediamo... quel-
lo con gli occhiali! » aveva soggiunto con una pun-
ta di istintiva delusione.
< Ma no, Dino, Lucio D'Avossa, quel bel ragaz-
zo alto... » :
Il signor Edmondo non riusciva a ricordare:
D'Avossa, D'Avossa, D'Avossa, D'”Avossa... » ri-
peteva sempre piú nervosamente e accelerando le
sillabe.
« Insomma! Lucio D'Avossa, architetto, quasi
architetto, una bravissima persona, una di quelle
da baciare dove passano, » lo aveva interrotto
Mussia irritata da quella gentilezza passiva, da
quell'essere fuori dal mondo.
« E inutile, sai, che ti arrabbi, Mussia! avró di-
ritto anch'io, vero, di sapere? »
«Una persona finissima e basta, se te lo dico io,
Dino! Puoi anche credermi no? sono la mamma,
“sapróo bene in che mani mettere mia figlia, non tl
pare? »
154
« Ma non dico questo, Mussia, certo che voglio -
conoscerlo anch'io, prima. Bisognera vedere, par-
lare... » E |
Mussia era sempre piú irritata:
« Non c'é niente da vedere e da parlare, proprio
niente! Si vogliono bene, sono innamoratissimi e si
sposano, che male c'é? e poi tu Phai conosciuto,
anzi, guarda, lo conosci benissimo. »
In realta il signor Edmondo non aveva mai co-
nosciuto D'Avossa, proprio mai, non gli era mai
stato presentato. Ma tante volte veniva accusato-
dalla moglie di essere fuori dal mondo che ormai
era giunto al timore: al timore di commettere
continuamente degli sbagli e di avere un poco la
memoria stanca.
« Va bene, va bene, » aveva detto piuttosto con-.
ciliante, «si vedrá, in linea di massima io sono. -
contento, Mussia, ma capisci anche tu, sono cose
delicate, sono un po” delle sorprese... »
« Bisognerá invitarlo a pranzo,» taglió corto
Mussia gia occupata da tutt'altro pensiero che
dalla sorpresa del marito. E su quest'ultimo punto
sI erano trovati tutti e due d'accordo.
Mussia era contenta, il sigenor Edmondo lo stesso,
e Mirella?
Mirella non sapeva niente. D'Avossa non le ave-
va mal parlato di fidanzamento, l'aveva baciata
solo qualche volta e quella sera di capodanno ave-
vano parlato molto, avevano discusso sulla diffe-
renza tra teatro e cinema a proposito dei film di
155
Laurence Olivier, ma di fidanzamento nemmeno
una parola. Fu la madre a darle la notizia, anche
questa volta come per il signor Edmondo.
« Sai, Lillina, cosa ci porta la Befana quest'an-
no? »
«No. »
« Va' lá, va” lá che lo sai, sei una birba, tu! » le
aveva detto la madre ed era corsa a carezzarla.
« No, non lo so davvero, » aveva risposto Mirel-
la incuriosita.
«Si deve sposare e fa finta di niente, non lo dice
alla mamma! Uguale da bambina, ti ricordi Dino?
mai che dicesse niente!... »
Mirella passo di colpo dalla curiositá al disap-
punto. E quando la madrele raccontó con gran
battere di ciglia e gesti da signora l'incontro con
D'Avossa, Mirella si spazientl:
« Senti mamma, per ora io non ho proprio nes-
suna voglia di sposarmi e Lucio é stato uno stupi-
do a venirti a dire queste sciocchezze... »
La madre restó come fulminata dalle parole di
Mirella. Stette un momento in silenzio, zitti con
un cenno il signor Edmondo e socchiuse gli occhi:
una rabbia astiosa e anziana le faceva fremere la
pelle sotto la gola e sul petto come un panno al
vento.
«Ah! Non ha voglia di sposarsi, la signorina! »
La voce da garrula s'era fatta arida, impastata.
«Ah, non ha voglia di sposarsi... lei... »
Mirella evitó di guardare la madre.
156
« Per ora no, scusa! Devo sposarmi per forza? »
«Ah! Non ha voglia di 'sposarsi. E allora cosa.
vuol fare, sentiamo? »
«Non lo so, aspetto ancora un poco, non c'é
nessuno che mi corra dietro, ma senti! »
« Eh certo, non c'é nessuno; e non ci sará mai
nessuno! la signorina! ma cosa credi di essere? ma
lo sai chi sei, tu? una fannullona sei, ma no, lo sai
tu cosa sei, é inutile che te lo dica, non vado mica
a sporcarmi la bocca io, sono una signora lo, una
persona per bene... »
Mirella aveva sollevato gli occhi guardando fisso
la madre:
« Ah, puoi anche sporcartela! per me, sai... »
« Posso sporcarmela? Anche questo dici? idiota
che non sei altro, ma cosa credi di essere? Credi di
trovare dappertutto gente come D'Avossa disposta
a sposarti? Credi di trovarla per le strade? S1, per
le strade si che la trovi, finché ne vuoi ne trovi, al-
troché se ne trovi... »
- «Per fortuna non ci sono ancora andata, e tu
non puoi dir niente! »
« Hai fatto di peggio, tu, la signorina che rifiuta
di sposarsi! Ne hai fatte, tu, cara mia, cara la mia
signorina!... »
Il signor Edmondo s'era alzato dalla sedia ed
“era accorso ad afferrare la moglie che s'era get-
tata contro Mirella per schiaffeggiarla.
« Basta! basta per caritá, sembra di vivere in un
manicomio qui dentro, per amor del Cielo! »
157
-——Mussia si era liberata dalla stretta del marito
- con un gesto di goffa dignita. :
«Basta si, hai ragione tu Dino, basta. Tu mi
hai capito, vero Mirella? hai capito cosa voglio di-
re. Del resto guarda, decidi tu, sei maggiorenne €
libera di fare quello che vuoi, peró decidi: o trovi
subito da lavorare, fin da domani, o ti sposi. Noi
siamo qui con Pacqua alla gola e tu non fai niente
tutto il giorno. Ma non ti vergogni? »
« Se siete stati voi a non volere che mi trovassi
un impiego, per la dignitáa, perché se avessi tro-
vato da lavorare... » |
« Insomma basta, meglio non parlarne piú, Pim-
piego non c'entra niente, c'era quel bel galantuo-
mo di Luigi, bel fidanzato! che ti doveva sposare.
0. Ora se non ti sposi devi decidere, cara mia, per-
che i soldi per tirare avanti non si fabbricano mica
di notte: o il lavoro o un marito, siamo intesi? »
Mussia aveva pronunciato queste ultime parole
a testa alta, aggiustandosi di continuo lo scollo del-
+ la vestaglia che si apriva sul petto in sfacelo. Poi
era andata in cucina. Il signor Edmondo era rima-
sto seduto sul canape, con la testa fra le mani, Mi-
rella era corsa giú dai Bombardini.
Ma il giorno seguente, quando Mirella era an-
data dalla madre a dirle che si sarebbe, si, fidan-
zata con D'”Avossa, ma solo perché era un ragazzo
che in fondo non le dispiaceva, Mussia ne fu sor-
presa e si pentl:
«Ma che discorsi! guarda cosa mi fai dire! Mi
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fai diventare una nevrastenica sai, tu. O Gesú! Ma
bastava che me lo dicessi, Lillina, che discorsi! Ba-
stava che mi dicessi: guarda mamma, Lucio mi
piace, ma preferisco aspettare ancora un poco. In- .
tanto ci fidanziamo e ci conosciamo meglio. Basta-
vano queste quattro parole. Cosa ci voleva per dir-
mele?lo credevo che tu non ti volessi sposare, che
proprio, proprio non volessi, che discorsi! » aveva
detto Mussia, gia rasserenata e giuliva di un amo-
re materno che sentiva rinascere in sé dopo le pa-
role della figlia. Provava un lieve rimorso per le
oftese della sera prima che avrebbero potuto ina-
sprire Mirella al punto che non sarebbe stato fa-
cile, in seguito, convincerla con le buone al matri-
monio con D'Avossa. Ora dunque era stata una
sorpresa quanto le aveva detto la figlia; e Mussia
si sentiva dispostissima anche a scusarsi con lei. 11
matrimonio non era stato compromesso per niente
dalla scenata della sera avanti, solo Mirella poteva
restarne offesa.
Bisognava quindi riparare; la madre sapeva che
Mirella teneva a mente tutto, era un poco vendica-
tiva e avrebbe potuto ricordarsi di quella scenata
un giorno, quando fosse stata sposata con D'Avossa
e in buone condizioni economiche.
« Che discorsi! ma tu, Lillina, sei anche una mu-
sona, sal? non parli mai, non dici niente, cosa devo
pensare io, disgraziata! » aveva detto porgendo la
guancia alla figlia. « Eh, scusa! »
Mirella, che giustificava sempre gli eccessi della
159
madre scambiandoli per disturbi nervosi e crisi
d'etá, aveva posato un bacio sulla guancia polvero-
sa di cipria di Mussia, quasi con riconoscenza e
una sensazione, quasi, di colpevolezza.
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volta che ti succede! E poi non sarai mica cosi paz-
za da poter solo pensare a un matrimonio con Lu-
cio, nevvero? Avrá quindici anni meno di te, po-
tresti essere sua madre, andiamo Elide, ragiona,
avanti!l» andava dicendole Mussia circondando
con un braccio la sorellastra.
«E come, non ho un cuore io? Sono uno strac-
cio da buttar via io? Il mio amore grande é que-
sto Mussia, te lo giuro, te lo giuro sulla tomba del
povero papa, darei tutto, anche la vita per lui... »
Mussia la interruppe dolcemente.
« Va” lá, va” la Elide, cosa dici! E il tedesco al-
lora, Hans? e Canevarino? andiamo, ragiona, avan-
ti cara! Povera la mia Elide, eh, lo so che € duro!
Ma bisogna rassegnarsi. Lo sai che anch'io a suo
tempo mi sono rassegnata, nevvero! » Mussia al-
lungó il viso fino ad avvicinarlo in una carezza a
quello di Elide che, ormai fiaccata da quello scop-
pio disperato di pianto, non si sentiva di reagire.
« Eh, lo so! mah! E duro, lo so; ma del resto guar-
da cara, pensa una cosa: il piú grande atto d'amo-
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- Tuppe, spiegandole davanti sulla tazza di té, che il
cameriere aveva servito allora, una lettera.
«lo non so cosa voglia dire, signora, di Elide,
ma cosa sono tutte queste storie? Tra me ed Elide
non c'é mai stato niente e non so cosa passi per la
testa a quella ragazza! Legga piuttosto questa let-
tera che € ben piú importante, mi pare... »
Con le mani che le tremavano Mussia inforcó
gli occhiali e lesse la lettera: dapprima con inte-
resse, lenta e sicura, pol, a mano a mano, sempre
piú pallida e con le ciglia socchiuse. Era una let-
tera anonima, parlava di Mirella, di amanti, non
molti ma sufficienti, alcuni dei quali a pagamento
e col tacito consenso della madre. La lettera men-
.zionava a un certo punto anche Luigi Mannozzi
a cui la persona interessata (D'Avossa) avrebbe po-
tuto attingere informazioni nel caso d'intenzioni
matrimoniali.
-Mussia alzó lo sguardo dalla lettera, la piegd e
la riconsegno a D'Avossa. Fingendo un sorriso be-
vette un sorso di té, aggiunse un poco di zucchero:
nel reggere la tazza le sue mani tremavano e
D'Avossa la fissava severamente.
« Cos1 lei, D'Avossa, una persona perbene, dá
fede alle lettere anonime, si serve di questi
mezzl... »
« lo, signora mia, non ho detto niente di tutto
questo, se permette. E non me ne servo per niente.
Fatto sta che io Pho ricevuta ed eccola qua. »
« E allora? »
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L'attenzione di Mussia, transitando per Pargo-
mento matrimonio: che le era sempre caro, si po-
- sava improvvisamente su una carta di particolare
interesse: « Toh, guarda! 1l fante di spade con la
“donnadi bastoni! Ma se non vanno d'accordo! Mai
una volta, dico mai, che escano insieme! Porte-
ranno novitá. Cosa dici tu, Mirella? »
« Mah! » rispondeva Mirella lisciandosi la sot- -
tana. ;
Le due donne non andavano oltre questi di-
scorsiz a tavola ognuna trovava da dire sul cibo
cucinato dall'altra, ma garbatamente, con apprez-
zamenti una volta favorevoli, un'altra volta sfavo-
revoli e caustici. Al vino, poiché ora mancava il
sigenor Edmondo, avevano sostituito P'acqua di Vi-
chy fatta con le cartine. Entrambe persuase che il
signor Edmondo tornasse presto dalPospedale in
modo da riprendere il lavoro almeno a casa, come
aveva promesso, attendevano ch'egli venisse a riem-
pire il vuoto casalingo almeno col rumore del se-
ghetto da traforo. -
« E pensare che adesso aveva idea di cominciare
un lavoro difficilissimo! » sospirava Mussia dopo
un grande silenzio, rivolgendosi alla figlia. Per un
attimo le si riempivano gli occhi di lacrime, poi si
asciugavano. « Sal cosa, Mirella? »
«No, mamma. »
« Non lo sai? »
« No. »
« Prova a indovinare! »
182
« Proprio non so, mamma. » y
Cara M trella,
tuti stupirai che io mi faccia vivo solo ades-
so: non stuptirti, sono cose che succedono al vivi
e tieni a mente che in questo mondo non bisogna
mai stupirsi di nulla. Ti scrivo per dirti che ho
saputo, da persone amiche, della disgrazia capti-
tata a tuo padre. Ne sono rimasto proprio colpito,
anche per la stima e la riconoscenza che mi legava .
a luz.
Vorrei che non ti sentissi offesa da questa mia
lettera e ti pregheret, se ne hai voglia, di rispon-
dermi come sta ora. Sempre se ne aurai voglia, e
senza impegno. So che ti sei fidanzata e che stai
per sposarti, quindi hai altro da pensare. Beata
te, tanti augurt di felicita (senza tronta) e non ser-
barmi rancore almeno per 1 pl ricordi e i bei gior-
ni passati insteme. Luicr
187
pos Le sa,e
-glornt, eo a capo degli]Ea Torni e y
_dremo, va bene? E una vecchia frase: se son rose
-fioriranno. Ma to non voglio dire piú niente, deci-
derete voi. Quanto a me, non sono contraria. Di-
'stinti saluts. MussIa K. CAREGÓN
188
_Anche questa volta era soddisfatta di sé, enor-
memente soddisfatta. Non aveva concluso tutto
lei? Se non ci fosse stata lei cosa sarebbe successo
di Mirella? E poi era giunta al punto di portare
Luigi a consumare i pasti in casa, quindi a risol-
vere il problema quotidiano di lei e di Mirella.
Che cos'era un piatto di minestra in piú? niente.
Ma ventimila lire erano qualcosa. Cosi aveva ri-
preso a frequentare il circolo del bridge. Ora che
la figlia si sposava bisognava mantenere le rela-
zioni. Riprese il giuoco, anche quello con non mi-
nore fortuna, sebbene coi suoi alti e bassi.
Luigi accettó di buon grado l'invito della fu-
tura suocera. Quei pasti serali, Mussia che correva
al bridge col boccone in gola, il signor Edmondo
all'ospedale, gli permettevano di godere della com-
pagnia e dell'amore di Mirella con ogni comodita.
E cos1, un poco alla volta, guardandosi in giro, ri-
flettendo, rendendosi conto di quelle due donne
_sole e senza denaro, fini col lasciarsi convincere
che Pidea del matrimonio era stata sl, come idea,
una bella idea, e lo era ancora, ma per il mo-
. mento inutile: che fretta c'era? — si diceva Lui-
gl aumentando di peso ai buoni pasti della fidan-
zata. L'aria della cittadina l'laveva ripreso nelle
sue spire, nel suol vizi, accompagnandolo in un
labirinto di nuove considerazioni, nuove supposi-
zioni, nuove ipotesi. Che fretta c'era, di sposars1?
Non era mica un vecchio, di amici ne aveva e
quanto alla voglia di divertirsi, quella non manca-
189
va mai. Una fidanzata Paveva, per quando fosse
- stato il caso di sposarsi: ancora fresca, bella, gio-
vane e sempre piú voluttuosa dopo quattro mesi
di astinenza. Una casa l'aveva con due donne per
tenerlo a posto, un impiego anche e soprattutto,
soprattutto, la cosa piú importante, la liberta. Co-
sa andava cercando? Il matrimonio? e chi poteva
- obbligarlo?
-——Mussia? Ma se non avevano il becco di un quat-
trino per tirare avanti! Se non ci fosse stato lui,
si puó sapere cosa avrebbero mangiato?
Il signor Edmondo? Era all'ospedale, pareva un
ebete.
Il dottor Fuzzi? E perche? Lui il suo lavoro lo
faceva bene, in ufficio, e Fuzzi era contentissimo.
Mussia per mano di Fuzzi? Ma no, ovviamente,
per ragioni economiche.
I'arciprete Salinas? Oh, via! Quello meno di
tutti! Non aveva detto, testuali parole: Cosa?...
Come vuoi sposarla? Dopo quanto é successo
— irreparabile, irreparabile — come puoi spo-
sarla?
E dunque, chi? Mirella? E perche? Era inna-
moratissima, quanto e piú di prima ora che lui
era tornato. Gli aveva detto che non si sentiva pid
sola.
E allora, cosa occorreva sposarsi? E del resto,
un momento, lui aveva tutta l'intenzione di spo-
sarsi, ma non subito, tra qualche anno, in etá giu-
sta... imsomma... col tempo. Allora, quando aves-
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se deciso, sarebbe andato a fare uraltra visita
alParciprete Salinas, avrebbe confessato che quan-
to gli aveva confessato quel giorno era stata tutta
una fantasia sua, per sfuggire non la fidanzata, ma
un altra, un'altra donna lussuriosa che adesso era
partita per la Svizzera e con la quale giurava di
non avere piú nessuna, nessunissima relazione. Ma
per ora, per ora era meglio aspettare. Almeno
qualche anno... che fretta c'era?
Cosi ragionava Luigi dopo un buon litro di vino
e una grappa, e ancora un altro litro e due dita,
le ultime, di grappa, insieme con gli amici alla se-
ra, alla sera tardi, alla notte.
Non fu difficile per-le due donne intuire i pen-
sieri del fidanzato. Essi filtravano dovunque dal-
la spensieratezza di Luigi, da quel suo proclamare
che la libertá era la piú grande delle conquiste,
da quella sua aviditá per i cibi, dalla sua aria stra-
_fottente di padrone.
Mussia taceva e fingeva di non capire. Quelle
- ventimila lire le occorrevano, le occorrevano asso-
lutamente per andare avanti. E poi era sicurissima
che un momento o Paltro Luigi avrebbe sentito
il bisogno di sposarsi, di avere una famiglia sua,
dei figli. Su quest'ultima considerazione Mussia si
sentiva piú sicura che su ogni altra. Un momento
o Paltro, a furia di dái e dai, Mirella avrebbe fi-
nito per restare incinta. Allora, allora sl, sicurissi-
mamente, Luigi l'avrebbe sposata per non andare
incontro a guai in ufficio. Dunque inutile, star li
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FINITO DI STAMPARE
IL 12 MARZO 1956
NELLE OFFICINE. GRAFICHE
ALDO GARZANTI, EDITORE
IN MILANO
GOFFREDO PARISE
GARZANTI
MODERNI
ROMANZI
GITA AL FARO Virginia Woolf