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Tra Parola e Canto. La Voce Tra Fenomeno e Oggetto Pulsionale
Tra Parola e Canto. La Voce Tra Fenomeno e Oggetto Pulsionale
Rivista di estetica
66 | 2017
the auditory object
varia
Abstract
Italiano English
Il canto mostra come la voce possa essere uno strumento di godimento. Per arrivare a
comprenderne le ragioni, occorre dapprima riconoscere come il carattere enigmatico
della voce sia stato tradizionalmente celato dall’idea che essa sia un trasparente veicolo
del significato, che riesce a svolgere la sua funzione in modo immediato, e che annulli la
distanza che separa l’espressione dal contenuto. Si può però pensare la voce quale
oggetto indipendente dalla relazione con il concetto, e rivolgersi a quei momenti nella
storia della riflessione filosofica in cui si è tentato di mostrare come la voce sia materia
acustica, e non sia un mero medium: la voce acquisisce in questa circostanza lo statuto di
“corpo”, e solo in quanto tale essa è capace di dare piacere. Attraverso la definizione di
Lacan della voce come “oggetto pulsionale” si possono esplorare le ragioni che fanno del
canto un godimento: l’oggetto, in psicoanalisi, è ciò attraverso il quale la pulsione riesce
a trovare soddisfazione. Oltrepassando la teoria freudiana, la voce è introdotta da Lacan
tra questi oggetti che consentono alla pulsione di raggiungere il suo obiettivo:
soddisfarsi. La voce lacaniana non solo non è in nessun modo assimilabile al discorso,
ma non ha proprio niente a che fare con il parlare: è in relazione solo con il corpo e con il
godimento. Così l’oggetto-voce, inteso come originario oggetto pulsionale, è quanto più
si avvicini a descrivere il “cantare”.
Singing shows how voice can be a means for enjoyment. In order to understand the
reasons we first need to acknowledge that the enigmatic character of voice has been
:
hidden by the traditional idea that it is a transparent vehicle for meanings, and that it
can immediately carry out this function because voice cancels the distance between
expression and the content of the expression itself. On the contrary, we can conceive of
voice as an object that is independent from its relationship with meaningful concepts. To
this end we need to look into the history of philosophy, at those attempts to demonstrate
that voice is essentially acoustic matter and it is not a mere medium. Under these
conditions voice becomes homogeneous with the body, and only as such it can give
pleasure. Through Lacan’s definition of voice as a “drive object” we can investigate the
reasons of singing as enjoyment: the “object”, in psychoanalysis, is that through which
drive can get its satisfaction. Beyond the Freudian theory, Lacan includes voice in the list
of those objects that allow drive to gain its goal: to satisfy itself. The Lacanian voice not
only cannot be reduced to speech, but it has nothing to do with speaking: it is tied with
the body and with enjoyment. Thus the object-voice, intended as drive object, is what
comes closest to singing.
Termini di indicizzazione
Keywords: voice, singing, Lacan
Parole chiave: voce, canto, Lacan
Testo integrale
1 Il canto è un’esperienza di piacere, non solo quando l’eventuale connotazione
artistica lo traduce nella complessità dell’esperienza estetica: c’è un’associazione
indissolubile tra la voce che canta e il piacere, tra la voce che diviene puro suono e
la soddisfazione che essa procura. Per provare a comprendere quali siano le
ragioni di questo piacere, e che tipo di piacere esso sia, possiamo provare a
seguire il percorso interdisciplinare indicato da Roland Barthes, che in un testo
dedicato al canto romantico sintetizzò la sua riflessione scrivendo che cantare è
«godere fantasticamente del mio corpo unificato» (1985: 276), un’affermazione
che suona come una descrizione puntuale di quanto accade nel canto: constata
infatti come il canto sia un godimento, cioè un’esperienza di profonda
soddisfazione; rileva come il piacere a esso associato, lungi dall’essere meramente
intellettuale, abbia una connotazione “fisica”; nota come nel canto la voce realizzi
una particolare unità, perché nella materia corporea della voce tutto il corpo si
sente unificato. Per descrivere questo nesso tra la materia acustica e il piacere che
essa genera nel corpo, tra la sostanza sonora e il godimento, Barthes ha utilizzato
il termine “grana” (ivi: 257-266): la grana della voce emerge giusto quando, con il
canto, la voce perde la sua valenza semantica e si fa corpo, ed è questo nuovo
statuto che la rende causa di piacere. La voce ha un corpo, seppur sottile, e
proprio e solo in quanto corpo può generare soddisfazione.
2 Il sonoro e il semantico sono stati tradizionalmente considerati un’unità, ma,
seppure inseparabili, la componente acustica della voce è stata ritenuta a servizio
di quella semantica: il significato deve precedere la voce, se l’essenza della voce
umana, a differenza di quella animale, è la capacità di veicolare un concetto.
Anche le difficoltà che la voce può incontrare fanno segno dell’antecedenza di quel
significato; anche quando fallisce nell’intento di comunicare, la voce avvisa di
qualcosa, è sintomo che dice del soggetto: dal balbettare all’interrompersi mentre
si parla, dallo schioccare la lingua alla perdita di controllo sulla tonalità della voce
fino all’afonia assoluta, sono tutte possibilità, non insolite, per manifestare ciò che
il soggetto non vorrebbe. La ricerca psicoanalitica ha mostrato che, seppur
:
nell’errore e nell’inciampo, la voce può farsi segno di un significato nascosto
nell’inconscio ed espresso in modo metaforico. Si tratta, nel complesso, di una
figura della voce che potremmo definire positivistica, poiché centrata sull’idea che
sia possibile pervenire a una verità semantica (Lagaay 2008).
3 È però possibile seguire anche gli sviluppi di una concezione “negativa” della
voce, che ne fa la manifestazione più semplice e immediata della vita (Bologna
1992) che precede l’istituzione del linguaggio: è una voce, per così dire, vuota, in
nessun modo veicolo del concetto. In questo senso, la voce che caratterizza
l’umano è proprio la voce che può significare niente: è la particolare dimensione
non-significante che umanizza la voce, nel senso che alla sparizione della
componente significativa, anonima e impersonale, corrisponde la comparsa
dell’unicità di una voce, fenomeno irriducibile della singolarità di un soggetto. Il
canto è la manifestazione esemplare di questo passaggio, perché nella voce che
canta la parte comunicativa e semantica si riduce fino a lasciar emergere la
materia di cui la voce è fatta, la sua corporeità.
Voce e identità
11 In termini più prossimi alle ricerche della psicoanalisi, il “sentirsi parlare” di
cui ha detto la filosofia potrebbe ritenersi la forma primigenia di auto
affermazione della coscienza, il fattore elementare della costituzione dell’identità.
Jacques Lacan ha dedicato molta della sua iniziale speculazione alla formazione
dell’Io, al narcisismo elementare e allo strumento primario di tale narcisismo: lo
specchio (Lacan 2002a). Lo specchio ha la funzione di produrre l’auto
riconoscimento, ossia la costituzione immaginaria dell’identità, attraverso la
composizione in unità di un corpo che altrimenti, e primariamente, è avvertito dal
bambino “in frammenti”, cioè un insieme di pezzi e movimenti scoordinati; grazie
all’immagine allo specchio il corpo viene finalmente percepito come unità. Si
tratta di una percezione che, in ragione della soddisfazione che genera, dà il via
alla serie di identificazioni che consegneranno al soggetto l’illusione di essere un
io: in altri termini, le identificazioni danno una consistenza immaginaria al
soggetto.
12 Si può sostenere, sebbene Lacan non abbia sviluppato questo indirizzo della sua
riflessione3, che anche la voce contribuisca alla formazione dell’Io; si tratta di un
tipo di identificazione molto diversa, e probabilmente più complessa, che però
segue la stessa logica della deriva immaginaria della costituzione dell’Io: anche
nel caso della voce, la storia del soggetto passa per un momento illusorio in cui il
soggetto si riconosce nella voce dell’Altro. Il rapporto con l’Altro è sempre l’unica
e decisiva possibilità di costituzione del soggetto, e all’Altro il soggetto deve per
forza indirizzarsi: anche la voce, nell’atto stesso dell’emissione, si introduce nel
dominio dell’Altro per tornare nello spazio del soggetto, che può così riconoscersi
come tale (Silverman 1988). Per esempio il grido del neonato, che di per sé non
vuole significare niente, avrà quale sua meta necessaria il “farsi sentire”, cioè
dovrà raggiungere e passare attraverso l’Altro per poi concludere il suo giro
tornando al soggetto: al termine del suo giro il grido sarà diventato
un’invocazione, perché l’Altro lo avrà raccolto e avrà risposto all’appello. In modo
logicamente simile a quanto accade con l’immagine allo specchio4, la voce
dell’Altro è il ritorno della propria voce: la voce che risponde all’invocazione
consente all’infante di riconoscersi come io, come se la voce fosse stata riflessa da
uno “specchio acustico”. Erik Porge, nel tentativo di colmare la mancanza di
elaborazione della “pulsione invocante” da parte di Lacan, ha proposto di
aggiungere allo stadio dello specchio anche uno stadio dell’eco (2012), uno stadio
molto precoce in cui si realizza uno scambio di suoni, un rapporto di risonanze: in
questo stadio, prima di introdurre il mondo del significato, la voce si configura
come un “canto” che stabilisce il rapporto dell’infante con sé e col mondo, con
l’Altro. In questo momento del processo costitutivo dell’identità è la sola voce che
produce l’effetto di creare la relazione con l’Altro, e di certo la significazione non è
ancora coinvolta. Prendiamo ancora l’esempio del grido del neonato: non c’è un
significato nel grido del neonato prima che esso venga accolto dall’Altro, piuttosto
:
è l’Altro che assegnerà un significato a quel grido (“ha fame”, “ha mal di pancia”,
eccetera); la trasformazione da phoné a logos avverrà quando l’Altro farà dire al
soggetto ciò che vuole che il soggetto dica, cioè quando l’Altro depositerà nella
phoné inarticolata i significati che la renderanno espressiva. Prima di questo
accadimento la distinzione tra soggetto e oggetto non ha neppure compimento:
l’infante che grida non ha voce propria poiché non ha modo di dire “io grido”;
quel grido è improprio (non-proprio), è semplicemente nel mondo, indistinto;
quel grido, senza l’Altro, non può significare niente. Il passaggio attraverso l’Altro
consentirà dunque di distinguersi come soggetto, di essere riconosciuto e di
riconoscersi.
13 Sempre in una logica simile a quella della identificazione immaginaria allo
specchio, anche l’auto-affezione vocal-uditiva include la perturbante percezione
della difficile coincidenza fra l’emittente e il ricevente; c’è qualcosa nella propria
voce che sfugge sempre, qualcosa che rende la voce estranea al soggetto, che la
rende sempre in qualche modo la voce dell’Altro. Nel giro che va dalla bocca
all’orecchio la voce perde il suo marchio di proprietà, fino al punto che deve essere
nuovamente riconosciuta da chi l’ha emessa. Il perturbante caratterizza così sia lo
sguardo (e l’immagine) sia la voce (e il suono): nel registro immaginario il
soggetto si costituisce narcisisticamente attraverso il “vedersi vedere” o il “sentirsi
parlare”, ma è pur vero che nell’atto di realizzazione di tale riflessività qualcosa
sfugge al soggetto, e cessa di appartenergli; vedersi vedere e sentirsi parlare
significa anche fare esperienza dell’Unheimlich, del perturbante, dell’impossibilità
di far cessare lo sguardo che ci guarda o la voce che ci parla: la voce e lo sguardo
continuano a indirizzarsi al soggetto indipendentemente dalle sue azioni
volontarie, e possono condurlo occasionalmente a realizzare che qualcosa di voce
e sguardo non gli appartiene, come se il proprio sguardo e la propria voce
divenissero strumenti per l’azione scopica e invocativa di qualcun altro. Per
questo si può dire che la voce è anche sempre voce dell’Altro, dell’Altro che parla
attraverso il soggetto e del quale il soggetto non potrà mai appropriarsi.
14 Ecco perché per Lacan, al contrario di Derrida, l’auto-affezione realizzata dalla
voce è il punto di partenza di una questione: rilevare che la voce è un’auto-
affezione non dimostra la presenza della coscienza a se stessa, bensì vuol dire che
al centro della presenza c’è una scissione. Nella teoria lacaniana c’è alienazione
nel processo d’identificazione attraverso lo specchio, poiché l’immagine che rende
l’unità del soggetto sarà comunque sempre esterna al soggetto; allo stesso modo la
voce scinde il soggetto attraverso la sua alienazione nella voce dell’Altro. C’è un
doppio effetto nel processo di identificazione immaginaria, due distinti momenti
logici: l’immagine allo specchio provoca il riconoscimento giubilatorio dell’unità
dell’Io e allo stesso tempo l’alienazione della propria identità nell’immagine stessa
(che potrà poi essere avvertita come estranea); allo stesso modo l’esperienza della
voce si configura come riconoscimento di sé ma pure come rivelazione di
un’intima alterità costitutiva del soggetto, poiché anche la voce è in qualche modo
sempre esterna.
15 Queste considerazioni sulla similarità tra la logica dell’identificazione
immaginaria e dell’identificazione vocale ci permettono ora una prima sintesi –
che proveremo a sviluppare ulteriormente: il canto è un momento di unità del
corpo che equivale, in termini libidici, al momento giubilatorio del
riconoscimento di sé allo specchio, perché quando la voce torna a farsi canto il
corpo viene percepito come nuovamente unificato. Ci avviciniamo così un poco al
senso dell’affermazione di Barthes dalla quale abbiamo preso le mosse: «godere
:
fantasticamente del mio corpo unificato».
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Note
1 Husserl, avverte Derrida, ha sottomesso nuovamente «il segno alla verità, il linguaggio
:
all’essere, la parola al pensiero e la scrittura alla parola» (ivi: 55).
2 Nella storia del pensiero non mancano posizioni contrarie a questo imponente
paradigma intorno alla musica: è infatti presente una corrente d’interpretazione che
trova nella musica l’unica voce appropriata alla grandezza di Dio, della verità. La musica
è misteriosa proprio perché non comunica concetti, perché continua a esprimere ciò che
non può essere espresso, non l’indicibile bensì l’ineffabile, come scrive Janké́lé́vitch
(1998: 62).
3 Forse in ragione della teoria dello specchio, lo sguardo ha sempre goduto di un certo
vantaggio.
4 Seppure il paradigma strutturalista non lo consenta, ci sembra difficile non sospettare
che vi sia un ordine cronologico: le vicende della voce sono evidentemente anteriori a
quelle dello specchio, e ciò farebbe dell’identificazione acustica un fenomeno più
primitivo dell’identificazione immaginaria.
5 «Che l’angoscia mi prenda la gola, che il dolore mi roda un dente, che la pena mi
strugga il cuore, tutte queste cose le percepisco nello stesso modo in cui percepisco che il
vento scuote gli alberi» (Husserl 1968: 536).
6 La nozione di desiderio non trova una descrizione puntuale nella teoria lacaniana: è ciò
che resta dopo che bisogni – fisiologici – e domanda – di accoglimento nell’ordine
simbolico – sono stati soddisfatti; oltre i confini dell’organico e del simbolico, è ciò che
non può essere detto.
7 Per queste ragioni Roland Barthes può scrivere: «La voce umana è dunque il luogo
privilegiato (eidetico) della differenza: un luogo che sfugge a ogni scienza, perché non
esiste scienza (fisiologia, storia, estetica, psicanalisi) che esaurisca la voce: per quanto si
classifichi, si commenti storicamente, sociologicamente, esteticamente, tecnicamente la
musica, ci sarà sempre un resto, un supplemento, un lapsus, un non detto che si designa
da solo: la voce. Questo oggetto sempre differente è posto dalla psicanalisi tra gli oggetti
del desiderio in quanto mancante, cioè tra gli oggetti a» (2001: 268).
8 Dobbiamo precisare che gli oggetti sguardo e voce sono si correlati al desiderio – essi
causano il desiderio, sono «il supporto per il desiderio dell’Altro» (Lacan 1974: 852) –
ma c’è da distinguere la direzione, il verso del desiderio dell’Altro: la voce è oggetto-
causa del desiderio verso l’Altro, mentre lo sguardo è oggetto-causa del desiderio che
proviene dall’Altro.
9 Nel Seminario X troviamo descrizioni del corpo e degli organi secondo un approccio
naturalistico: non se ne comprenderebbe la ragione se non si tenesse presente che da
questo punto della sua speculazione Lacan cerca di ridefinire gli oggetti prima che essi
diventino simbolici, prima dell’intervento del linguaggio: si tratta, per esempio, di un
ritorno al seno reale, a un pezzo di corpo che non è ancora “segno d’amore”. Inizia a
cercare, per dirla con Nietzsche, la grande ragione del corpo.
10 La voce che per Agamben deve annullarsi per lasciar spazio alla Voce significante,
sarebbe, in termini psicoanalitici, il godimento cui il soggetto deve rinunciare per essere
ammesso nell’ordine simbolico.
Autore
:
Cristian Muscelli
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L’altro e il tempo dell’immediatezza [Testo integrale]
Apparso in Rivista di estetica, 56 | 2014
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