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Eveline Green
di Federico Gigliotti
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“Quando un pensiero ti penetra nel cervello, è difficile cacciarlo. La


mente ha questo potere, il potere di manipolare a suo piacimento un
episodio parzialmente o totalmente inesistente, rendendo tutto così vero,
per poi crederci realmente.”
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CAPITOLO I
-Le cose come stanno-

«Eveline..Eveline.. Eveline..». Si svegliò di soprassalto, era sudata.


Rimase immobile sul letto per circa un minuto, poi, lentamente si alzò.
Aprì la porta del bagno e accendendo la luce dello specchio si guardò
con un’espressione cauta ed insicura. Si sciacquò la faccia per togliersi
il sudore da dosso, dopodiché tornò nel letto. Eveline, bionda, alta circa
1.75cm corporatura piuttosto snella, era una donna sulla trentina,
abitava all’ultimo piano di un bel palazzo di una piccola città, si era
trasferita li ormai da dieci anni. Faceva l’impiegata in un ufficio di
preselezione per una azienda di telemarketing, era un lavoro tranquillo,
poco stressante. Aveva un carattere scontroso e letteralmente
contraffatto dal suo passato, erano quindi poche le persone con cui
aveva aveva rapporti confidenziali, se così possiamo chiamarli. Parenti
non ne aveva. I genitori erano morti in un incidente aereo quando lei era
al nono anno di età. Visse il resto della sua infanzia a casa di sua zia,
Maria Elisabeth, sorella della madre, la quale viveva da sola ed era
molto severa.
La mattina seguente si svegliò più tardi del solito. Entrò a lavoro in
ritardo, ancora. “Sempre quegli incubi?” Le chiese Rossana, collega di
lavoro. Eveline si limitò ad annuire, non aveva voglia di parlare. “Se vuoi
io sono alla mia scrivania”. Eveline la congedò rispondendole con un
timido grazie. Uscita da lavoro, all’ora di pranzo si sedette al solito tavolo
del solito Bar di tutti i giorni. “Il solito Eveline?”, “Si grazie!”. Eveline
ordinava tutti i giorni a pranzo un panino farcito di insalata, prosciutto
crudo e parmigiano. Pranzò, pagò e rientrò a lavoro. La giornata passò
in fretta qualche pratica da compilare in più del previsto, ma niente di
particolarmente diverso del solito. Tornò a casa, passando prima dal
supermercato comprando la cena, anche questo di routine come tutti i
giorni, era molto ordinaria.
Tornò a casa, una breve doccia, cenò e si mise alla televisione finendo
con l’addormentarsi.
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CAPITOLO II
-Ricordi-

Erano le 3 di notte, una pubblicità di un set di pentole la svegliò, spense


la tv e si accomodò nel letto. Non riusciva a riaddormentarsi, dopo una
ventina di minuti però, crollò. “L’ho ucciso, sono stata io» disse
piangendo Eveline davanti ad un poliziotto. “Non volevo farlo, non
volevo ucciderlo”, poi continuò disperata. “Signorina si calmi, ci spieghi
cosa è successo!” con tono spazientito ribatté il poliziotto. “Vi ho detto
che l’ho ucciso!”. A quel punto si svegliò, un forte tuono interruppe il suo
sonno, era iniziato un temporale. Alle cinque del mattino andò in cucina,
si preparò un caffè ed accese la televisione, a quell’ora andava in onda il
meteo, prevedeva pioggia tutta la settimana avvenire. Due ore più tardi
Eveline era pronta per andare a lavoro, indossò le scarpe, un k-way
color verde acceso ed uscì di casa. Verso le nove, in ufficio Eveline non
era ancora arrivata. Il capo-ufficio l’aspettava per alcuni moduli che
doveva aver compilato, e chiese a Rossana, “Better! Green non si è
ancora fatta vedere?”, “No signore. Non è ancora arrivata” rispose
Rossana, “Okay quando arriva mi chiami.” Di sfuggita mentre tornava
nel proprio ufficio, rispose Steven Das direttore della sede dove Eveline
lavorava. “Certo signore, quando arriva l’avverto”. Eveline arrivò in
ufficio poco dopo. Rossana la informò che il capo la stava cercando ed
essa quindi si recò dal signor Das, per consegnare i moduli che doveva
compilare. “Signorina Green, è già la quinta volta che ritarda nel
presentarsi a lavoro, sta bene? è tutto apposto?” chiese Steven, “si
signore, mi scusi di nuovo ho avuto un ennesimo contrattempo, ecco a
lei i moduli compilati.” con aria timida e dispiaciuta riuscì a rispondere.
“Ci passerò sopra anche questa volta, ma sappia che sarà l’ultima.»
Eveline annuì facendo cenno con il capo ed uscì a testa bassa.
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CAPITOLO III
-L’importanza del passato-

Quelle due ore di assenza dal lavoro, Eveline se le era prese come
pausa da tutto e da tutti, quegli incubi che la tormentavano la notte, la
tormentavano anche di giorno mandandole in tilt la testa. Non capiva
l’importanza di quelle parole. Cosa stava sognando? si chiedeva?
Perché vedeva quelle cose?. Un’altra giornata di lavoro era arrivata a
termine, fuori pioveva ancora.Tornò a casa con le scarpe fradice e con
die sacchetti della spesa in mano, anche quelli mezzi d’acqua. Dopo
essersi tolta le scarpe per non bagnare in casa, mise apposto
frettolosamente la spesa, per potersi godere una bella doccia calda dato
la giornata molto lunga. Fece tutto con calma si asciugò lentamente e si
mise degli abiti comodi, per cena aveva ordinato una pizza, non aveva
voglia di cucinare. Non fece in tempo a sedersi sul divano, che suonò il
campanello, era il fattorino con la pizza, “sono 8 euro signorina” chiese
timidamente il giovane fattorino, “ecco a lei, tenga il resto” disse Eveline
porgendo una banconota da 10 euro. Più tardi ricevette una chiamata,
era la dottoressa Susanne Mudy, Psicologa che tenne in cura Eveline.
“Buonasera Eveline, sono Susanne”, “Dottoressa, salve mi dica”, “Ti
ricordi di venire da me domani pomeriggio per la visita mensile?” “Certo,
alle 17.00 giusto?” “Esatto. Ci vediamo domani allora. Buonanotte.”
“Buonanotte dottoressa”. Poco dopo andò a dormire. ”Hai solo 16 anni
Eveline..” “Dottoressa, mi aiuti per favore perché l’ho fatto?io lo amavo.”
Disse piangendo Eveline. “Non è colpa tua, ti ho già spiegato, cerca di
ragionare.”,”Ma era mio figlio!”. La mattina seguente non ebbe particolari
problemi per alzarsi dal letto, forse sapendo di dover incontrare la
dottoressa Mudy. Si sentiva a suo agio con lei, le dava sicurezza.Quindi
uscita da lavoro si recò allo studio della dottoressa.
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CAPITOLO IV
-Verità non coscienti-

“Amore sei sicura?” ”Si! Facciamolo” fecero l’amore. Eveline aveva 15


anni e mezzo, il suo primo ragazzo si chiamava Mark Polland, coetaneo
e appartenente alla stessa scuola di lei. Era un giorno radioso, il sole era
alto in cielo, e la coppia si era appartata nella vecchia casa di Zia Maria
Elisabeth. Tutti e due fecero l’amore per la prima volta, senza protezioni,
l’inesperienza reciproca fece si che il rapporto produsse un
inconveniente: un mese dopo, Eveline era incinta.. Arrivata nello studio
aprì la porta e la dottoressa nonostante fosse girata di spalle la
riconobbe immediatamente “Come stiamo oggi?” “Salve dottoressa, i
soliti incubi, ma sto bene.” Rispose la ragazza. “Accomodati pure cara»
Eveline si sedette, la conversazione con Susanne durò una mezzora
scarsa, dopo di che si dettero appuntamento al mese prossimo e si
salutarono. Raccontò alla dottoressa i sogni che faceva, e la solita
difficoltà nell’approcciarsi con gli altri, le terapie non erano
finite.Tornando a casa incrociò per strada Rossana, era venuta a
cercarla perché non rispondeva al telefono. “Eveline ho provato a
chiamarti tutto il giorno, che fine hai fatto?” chiese preoccupata, devo
averlo dimenticato a casa, ero ad un appuntamento, perdonami.”
Rispose Eveline. “Devi dirmi qualcosa?” chiese, “ no volevo solo invitarti
per una passeggiata” disse Rossana. “Sono abbastanza stanca, vuoi
salire? un caffè?” Eveline non aveva voglia di vedere gente, ma le
avrebbero fatto piacere due chiacchiere con Rossana. “Certamente,
volentieri” accettò la collega. Una volta in casa, fece un caffè, il tempo di
scambiarsi due parole, e da donna educata che era, visto l’ora, chiese
se Rossana volesse rimanere a cena, ovviamente la collega non rifiutò.
Preparò un ottimo pesce al forno, un piatto dietetico che descriveva il
regime di vita salutare di Eveline al quale era molto fissata. La collega fu
forse l’unica amica che aveva, se amica è la definizione giusta. “Dimmi
un po di te” la curiosità di Ross assumeva il sopravvento. “Ma tu uomini
ne hai mai avuti?” “non credo sia l’argomento adatto a me” timidamente
mentre riponeva le stoviglie rispose Eve “cara mia è un argomento che
non si addice a quasi tutte le donne, tranquilla.” Disse sorridendo.
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CAPITOLO V
-Rossana-
Rossana era una tipa curiosa, lei doveva sapere tutto di tutti, altrimenti
non era soddisfatta. Era nata 15 anni prima di Eveline in Inghilterra, in
una fredda città, nel Devon. Vissuta fino alla maggiore età in UK , si
trasferì nell'attuale città per dare una svolta alla sua vita. Dalle
sembianze non sembrava affatto del Regno Unito, anzi al contrario, la
sua carnagione abbronzata si intonava alla perfezione ad una spiaggia
della Malesia, di pallido aveva solo un piumino leggero grigio che
indossava tutti i giorni per uscire e per andare lavoro. Alta poco meno di
Eveline, aveva una corporatura un po' più robusta, ma non grassa. Si
era sposata a diciannove anni appena dopo il trasferimento, ma non
andò a buon fine, il marito la lascio per tornare in Inghilterra per
accettare un’allettante proposito di lavoro, si è giovani ed inconsapevoli,
e un irrefrenabile desiderio continuo di conquista. Così Rossana era
single, di tanto in tanto si frequentava con uomini che le facevano
battere il cuore, conosciuti su un app di incontri, ma niente di fisso o di
serio. Il suo sogno era sempre stato fare l'insegnante di fitness in una
sua palestra, ma troppo svogliata per cercare di coronare il suo sogno,
quindi venne assunta da Steven Das tuttora datore di lavoro e capo
ufficio dell’azienda in cui lavora. Quella sera si fermò fino a tardi a
parlare con Eveline; parlò solo lei in pratica. La padrona di casa si
limitava a dare risposte brevi, doveva impegnarsi a dialogare con gli
altri, lo diceva anche la dottoressa Mudy. “Io avevo un ragazzo tanto
tempo fa” “ahh! e perché non me ne hai mai parlato?” ”perché non è
che sia stata proprio una storia rose e fiori!” Si leggeva il disagio negli
occhi di Eveline, “capisco, sono capitate anche a me storie tese.”
Eveline rimase in silenzio per qualche istante, “non fu una storia con un
lieto fine, lui mi lasciò mentre io ero incinta, rimasi sola.. Per questo
motivo i…”, scoppiò a piangere. “Scusami non volevo essere così
irrompente”. “Non fa niente, devo sforzare a parlarne” disse
asciugandosi le lacrime. Rossana le prese la mano affermando che
poteva contare su di lei, in qualunque momento ce ne fosse stato
bisogno poi si alzò, saluto dopo aver ringraziato a dovere e se ne andò.
“Okay si é fatto tardi meglio se vado. Grazie per la cena, sei una brava
cuoca. E scusami ancora tanto per prima, ci vediamo a lavoro domani,
e tranquilla se ti servisse qualsiasi cosa, non esitare a chiamarmi.”
“Grazie a te della compagnia mi ha fatto piacere, ne avevo davvero
bisogno. Mi ha fatto bene. Ci vediamo domani, Buonanotte.”
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CAPITOLO VI
-L’effettiva lunghezza della notte-
Si diresse in camera da letto, subito dopo aver fatto una doccia calda e
mentre rimuginava su quello che le aveva detto Susan. Quella
chiacchierata le aveva scaturito tanti pensieri nella testa. Mentre si
lavava i denti la mente, stava macinando un sacco di cose, pensava a
Mark, pensava ai suoi incubi che ogni notte la tormentavano. Le parole
della dottoressa Mudy, le rimbombavano ossessivamente nel cervello.
Ma era stanca, anche quella giornata era stata lunga, si asciugò e si
sdraio sul letto, la pancia rivolta verso l’alto, poi lentamente si voltò su
un fianco, cadde in un sonno profondo. “Guardami negli occhi e dimmi
quello che vedi; credi che io ti ami?” Lei lo fissò, due pupille marrone
chiaro, ma che parlavano. Eveline sapeva interpretare molto bene il
linguaggio visivo.”Si.. mi ami” disse, ma mentì. Lo aveva visto
cambiato, non era più la stessa persona. “Signorina, lei è incinta.” ”No,
dottore cazzo, si deve essere sbagliato!” Con il terrore negli occhi
esclamò Eveline. ”No purtroppo, i suoi genitori dovranno essere avvertiti
ne è a conoscenza, vero? dato la sua età” Lei se ne andò di corsa,
tornò nella sua camera. Era un altro incubo. Il passato che si era
lasciata alle spalle stava riemergendo piano piano. La notte era ancora
lunga, eppure non aveva più sonno; si rigirò più volte tra le lenzuola,
cercando di trovare una posizione abbastanza comoda per
riaddormentarsi. Ma niente da fare, dunque si alzò e si mise sul divano
in salotto; c’era ancora l’odore del pesce cucinato per cena. Non
accese nemmeno la bajour. Dalla finestra entrava abbastanza luce
proiettata da una luna piena molto luminosa. Quando si è soli, si riesce
a scrutare dentro di se, a capirsi, e dialogare con i pensieri. La notte
aiuta molto questo meccanismo. Il pigiama di pile, la teneva al caldo ma
una coperta di un tessuto morbido le teneva compagnia. Faceva
abbastanza freddo, l’inverno non voleva passare. andava piano, piano,
adagio. Si gustava il tempo passare ora dopo ora. Guardando fuori,
quella luna piena così invitante la spinse ad affacciarsi alla finestra con
la coperta avvolta alle spalle, abitando in un appartamento situato in
alto, con le finestre molto grandi riusciva ad osservare tutto quello che
era sottostante a lei, nonostante la tarda notte, passavano molte
macchine, e nella sua testa sola più non era(non era più sola).
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CAPITOLO VII
-Il cervello umano-
La mente umana fa strani scherzi. Abbiamo di base incorporato
l'oggetto più evoluto mai esistito, eppure nella maggior parte dei casi,
non viene mai utilizzato a dovere. Certe volte si ferma tutto. Rimango
immobile, non penso a niente, mi guardo intorno e sono certa di essere
la più intelligente, di essere la persona più sapiente di tutti, passa il
momento e ritorno nell’attimo in cui era iniziato questo pensiero, ero
stordita. Compiaciuta.
Il cervello ha bisogno di un adeguato riposo, dormire poco di certo, non
aiuta. La mattina seguente fu il sole a svegliarla, alle 7 e 30 albeggiava e
iniziava a scaldare la città, non per molto però, perché avrebbe iniziato
a piovere poco dopo. La tv era ancora accesa e andava in onda un
vecchio telefilm comico degli anni 90’. Per colazione fette biscottate
con la marmellata ai frutti di bosco e un caffè al vetro alto. Una
colazione ordinaria, come sempre. Riecheggiava il rumore della notte
nella testa di Eveline, e i pensieri non se ne erano andati. La nostra testa
è una scatola nera, che contiene tutto quello che vediamo, che
sentiamo e durante il giorno archivia, a tradimento quando meno te lo
aspetti tira fuori quel ricordo che ti fa rabbrividire la pelle. Succedeva
spesso ad Eveline, essendo molto emozionale e talvolta poco razionale.
Pensava spesso a cosa potrebbe aver potuto cambiare del suo passato
e i rimorsi e i rimpianti erano spesso all’ordine del giorno. Restò a
fissare il soffitto per un pò, ma il dovere la chiamava, dunque dette una
rassettata alla casa, si preparò e alle 9 era puntualmente in ufficio.
Quella mattina il cervello stette per i fatti suoi, come se fosse un essere
distaccato dal corpo, macinava e macinava pensieri ed era un misto fra
ricordi ed immaginazione. Le venne in mente di quando aveva solo 8
anni i suoi genitori la portarono a cena fuori per il compleanno, in un
posto carino nella città dove abitava, frequentato da poche persone,
aveva aperto da poco, i proprietari erano amici di famiglia, si mangiava
bene ed i suoi genitori le volevano bene, ed avrebbero voluto il meglio
per la loro figlia più piccola. Eveline era la figlia minore, Giorgia era la
figlia maggiore, aveva 5 anni più di lei.
Scostò il ricordo il rumore delle nocche sulla porta, era Steven
“Signorina Green, le ricordo l’appuntamento con la società di computer
dopo pranzo per discutere del video promozionale del nuovo prodotto,
se ne ricordava vero?” Eve, alzo la testa dalle scartoffie e dalla mente
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soprattutto, e rispose “Buongiorno signor Das, certo ho tutto pronto


dettagliatamente descritto nel mio MacBook”, un pò presa alla
sprovvista. “Sono sicuro che ci farà chiudere l’affare, il signor Linh è un
cliente importante, faccia del suo meglio! A più tardi!”, “a più tardi
signor Das”. Thomas Linh era il proprietario di una grossa azienda che
produceva computer e stava lanciando un nuovissimo prodotto
rivoluzionario sul mercato, per il video di presentazione si era affidato a
diverse aziende di telemarketing, e a breve doveva scegliere chi lo
producesse con le migliori condizioni e la migliore idea.
Accese il MacBook e apri la presentazione del Kiara, il primo computer
con Intelligenza Artificiale in grado di capire lo stato d’animo di chi lo
stesse utilizzando e interagire per metterlo a proprio agio. Una foto
salvata nel desktop però la fece deviare per qualche instante dal lavoro,
era un ritratto di lei e la sua migliore amica del liceo, nel giorno di
pasquetta, c’era stranamente il sole ed erano ad una festa a casa di
amici, il solito sorrisetto impostato di Eve rendeva facile riconoscerla.
La testa era tornata a collaborare con il suo corpo, il lavoro la rendeva
distintamente impostata ad un comportamento rigido al dovere. Nel
frattempo aveva iniziato a piovere.
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CAPITOLO VIII
-La carriera-

Aveva sempre sognato di fare carriera, in ciò che le piaceva


ovviamente, ambiva ad essere una donna di successo, crescendo a pari
passo con la su esperienza lavorativa. Quel giovedì, dopo pranzo aveva
un importante riunione, che decideva l’esito di un progetto importante
che Steven Das, sbandierava fieramente. Non che un appalto per una
pubblicità con un azienda che produce miliardi di fatturato l’anno sia
una cosa da non sbandierare, ma Das lo sapeva fare bene.
“Signorina Green, il signor Linh è già in sala riunioni da circa un quarto
d’ora, sembra quasi che scalpiti per iniziare!”, “Grazie Elena” disse Eve,
passando davanti la reception dell’ufficio, un pò di corsa pensando di
essere in ritardo, ancora. “Hanno segnato a l’ultimo, dai Stev, avete
avuto molta fortuna”, “diciamo che il calcio è cambiato, un pò come le
nostre abitudini nel corso degli anni, Tom!” “Oh Mrs. Green, buonasera,
si accomodi, lui è Thomas Linh” prese posizione Steven Das, non
appena Eve scavalco il solco della porta, “piacere di conoscerla signor
Linh, sono Eveline Green, finalmente la conosco di persona.” Disse
stingendo la mano con un leggero sorriso sul viso Eveline. “Piacere mio
signorina Green”. La riunione durò un paio d’ore, e come le doti di
Eveline denotano, andò a gonfie vele, la capacità di esporsi e di
eccellere nel proprio lavoro hanno dato i suoi frutti.
Aveva studiato nel liceo della città dove abitava con sua zia Maria
Elisabeth. Fù una studentessa modello, anche se per questo veniva
spesso derisa nei primi anni da un gruppetto di esaltati esibizionisti
teenagers in cerca di fama e di gloria. Ma si sa, la fama e la gloria hanno
molta fame e si cibano della razionalità e della sensibilità di chiunque ne
cerchi la via, senza togliersi i paraocchi. In seguito si trasferì, e
frequentò una scuola universitaria dove si dedicò alla specializzazione
di ciò che le piaceva, capire i comportamenti ed interagire al meglio con
chi aveva di fronte. Nessuno le aveva mai detto però che a capire
troppo gli altri si finisce spesso per non capire più se stessi.
Laureata con il massimo dei voti, cerca lavoro per un paio di anni
facendo lavoretti saltuari e mettendo da parte abbastanza soldi per
permettersi una vita in totale autonomia. “Zia, voglio poter non essere
più un peso per te, hai fatto tanto per me e io non ti ho mai ringraziato
abbastanza.”, “Line, non voglio più sentire queste parole uscire dalla
tua bocca, sei come una figlia. Quando sei nata, ho giurato a mia sorella
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che nel caso ce ne fosse stato bisogno, sarei stata una madre per te”,
esclamò Maria, scocciata a leggere il vittimismo sul volto di Eve. Anche
se molto autoritaria e ligia alle regole, era una donna sensibile e credeva
molto in ciò che faceva. “Si, Zia lo so… Adesso capisco a chi
assomiglio” si lascio sfuggire un timido sorriso la ragazza, Maria
Elisabeth sorrise a sua volta.
Gli anni dopo la Laurea furono difficili, per una ragazza di ventidue anni,
in cerca di un futuro.
L’ufficio era quasi vuoto, c’erano rimaste lei, Rossana e il signor Das,
impegnato a contenere l’emozione di aver ottenuto l’appalto. “Eveline,
ho saputo, complimenti. Non avevo dubbi, sei molto in gamba!” Si
lascio sfuggire una lista di complimenti Ross, “Grazie, è questione di
impegno, sapevo cosa il cliente volesse, e gli ho dato ciò che cercava.”
Si liberò cosi Eve. “Giusto, allora a Lunedì, buona serata” Chiudendo la
porta e togliendo la testa da dentro, Ross se ne andò.
Eveline Green, si guardo allo specchio, e si guardò fiera. Nonostante sia
una donna sicura di se, per qualche instante aveva dubitato della
riuscita di quel progetto. Sicuramente le cose che le stavano capitando
non le avevano semplificato il lavoro.
Chiuse la porta dell’ufficio e si sentì chiamare. “Signorina Green. Penso
sia il momento che le dia del tu, non crede?” Il signor Das, era l’ultimo
insieme ad Eveline ad uscire dallo studio, “Signore, non la facevo
ancora qua, pensavo fosse andato a festeggiare” - “c’è tempo per i
festeggiamenti, non credi Eveline?” Sulla faccia di Eve si notava il senso
di imbarazzo, nel trovarsi in quella situazione, e non aveva risposto alla
domanda del suo capo, se non con espressioni facciali involontarie.
“Penso sia l’ora che io vada, ho delle cose da sbrigare”. Così cercò di
dileguarsi la ragazza, “Ancora complimenti per oggi, sei stata molto
brillante”, disse con sguardo ammiccante Steven, lasciandole il braccio
che le aveva afferrato mentre stava per andarsene.
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CAPITOLO VIIII
-Una chiamata che non ti aspetti-

Erano passate da poco le 17 di un Venerdì qualunque ed Eveline stava


ancora ripensando a cosa era successo poco fa in ufficio, quali segnali
poteva aver dato ad uno come Steven Das, per far sì che fraintendesse
la situazione. Un uomo sulla cinquantina, sposato con tre figli. Cosa
poteva volere da una come lei. Si ritrovò di fronte al banco delle carni,
nel supermercato che visita ogni giorno per fare la spesa. Quella sera
aveva optato per il pollo, cucinato come le aveva insegnato zia Maria, in
umido rosolato con olio e aglio e poi sfumato con un pò di vino bianco.
Stava per andare a pagare quando si sentì chiamare. “Eve, sei proprio
tu?” Si girò e vide Samuele, il fratello di Mark Polland.
“Samu, mah… cosa ci fai qui?” Con tono sorpreso abbracciò Samuele.
“Sono in città per lavoro, mi fermo un paio di giorni.” Rispose “e di te
che mi dici? Sono almeno 12 anni che non ti vedo, sei la solita” poi
aggiunse.
“Beh io.. vivo qua e..lavoro e.. lavoro” disse con un sorpreso sorriso
sulle labbra carnose di Eveline. “Si, non sei cambiata per niente”
controbatté sorridendo.
Non accennò niente su Mark e si salutarono con una nota di malinconia.
Tornata a casa, si mise a cucinare e passò un’oretta con un bicchiere di
vino che le faceva compagnia. Si preparò un bel bagno ed una volta
finito era ora di cena. Alla tv c’era quel quiz televisivo, che le piaceva
tanto ma al quale non indovinava mai. Forse le cose che ci attraggono
di più sono quelle che non possiamo avere. Nel dopo serata aveva in
mente di guardare un film appena uscito su Netflix che aspettava da
tempo. A quaranta minuti dall’inizio fu costretta a mettere in pausa,
suonò il cellulare ed era un numero sconosciuto. “Pronto” con voce un
pò assonata esitò a dire Eve. L’interlocutore rimase un momento in
silenzio e poi quasi con timore si presentò. “Salve Eveline, lei non mi
conosce, ma io conosco lei. Io so la verità. E vorrei incontrarla di
persona per parlarne.” Con voce preoccupata e un pò agitata si
espresse quella voce femminile. “Scusi con chi sto parlando? - e cosa
significa io so la verità? Si spieghi meglio per favore” a quel punto
Eveline destò un minimo di preoccupazione nel continuare ad ascoltare.
“Non posso dirle chi sono per telefono. Mi rifarò sentire io in questi
giorni, la prego non si fidi di chi non è veramente sicuro di poterlo fare”
e riagganciò la telefonata. “Pro-pronto” non fece in tempo a
interromperla Eve. La sua vita non è mai stata facile da gestire, e
crescendo la cosa non è cambiata molto. Intanto lo schermo della tv
era diventato un acquario da 55”, lo screen saver ritraeva dei pesci
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esotici nuotare liberi nell’oceano. Un po come voleva sentirsi Eveline,


libera. Riprese la visione del film, il protagonista veniva incastrato da
suo fratello in una rapina a mano armata alla villa del segretario di Stato
Inglese, per rubare dei documenti importanti che avrebbero fatto cadere
il governo di corrotti. Mentre esso continuava a fare la bella faccia come
se niente fosse successo. Questo la riportò a qualche attimo prima, alla
chiamata misteriosa dove una sconosciuta implorava di non fidarsi di
nessuno. Pensava che niente potesse turbarla più di quanto non
facevano già i suoi demoni, ma non sapeva che l’armadio dove li
nascondeva stava per aprirsi. Era passata mezzanotte e come sempre
la città le faceva compagnia. Le poche macchine che passavano
rumoreggiavano a suon di pneumatici nelle pozzanghere, quasi veniva
cullata. Tornò in casa, chiudendo la porta del terrazzo e togliendosi la
coperta dalle spalle per buttarsi di nuovo sul divano, incominciava a
pensare che qualcuno che le facesse le coccole e le cucinasse ogni
tanto, proprio le mancava. Prese il telefono ed aprì la chat di Instagram
di Samuele. Voleva scrivergli. Voleva sapere di più di come la vita si era
comportata con lui, di come Mark se la stesse passando.. Ma opto per
scrivere a Rossana, così da svagarsi un pò. La giovane britannica, un
pò impacciata con la tecnologia fece partire la video chiamata, e le due
scambiarono 4 chiacchiere. Eveline era indecisa se rivelarle della strana
chiamata che aveva ricevuto quella sera, quindi evitò. “Ross, che ne
dici se domani, magari la sera, vieni a cena da me e ci guardiamo
qualche film magari con una bottiglia di vino rosso” con faccia
totalmente stranita e sorpresa Rossana disse “Ma-ma certo, che idea
fantastica! Io porto le patatine!” Le due si congedarono con una
buonanotte e la giornata infinita di Eve era terminata. “Alexa spengi le
luci.”
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CAPITOLO X
-Un sabato-

La mattina del sabato, era una routine. Sveglia alle 8.30, colazione, un
caffè lungo al vetro un cornetto integrale e delle fette biscottate con la
marmellata e due ore dopo, palestra nella stanza apposta. Il suo
appartamento era moderno, la stanza dove teneva gli attrezzi era una
camera di 20 metri quadrati, aveva delle grandi porte finestre come in
tutta la casa, che venivano collegate da un terrazzo. Conteneva una tv,
un piccolo divano, un tapis roulant ed un tappetino per gli esercizi a
corpo libero. Giusto qualche esercizio mezzora di corsa, sistemava
casa e poi si faceva una doccia. Generalmente anche due al giorno.
Adorava stare sotto l’acqua calda. E come darle torto.
Dopo pranzo uscì per fare la spesa, nel profondo aveva sperato di
trovarci Samuele, ma non fu così. Si preparò per la serata. Un paio di
bottiglie di vino rosso, Italiano. Delle schifezze, e tante altre cose che le
sarebbero servite per i giorni successivi.

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