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Concetto Maitland 1° Livello - IV Settimana
Concetto Maitland 1° Livello - IV Settimana
SACRO-ILIACA
L’articolazione sacroiliaca è molto difficile da valutare per una serie di motivi. Anzitutto è
importante, però, capirne la funzione: nelle donne serve a partorire, ma in tutte le persone
ha il ruolo di garantire stabilità al carico e per migliorarne la distribuzione.
E’ un’articolazione molto particolare: ogni bacino comprende 2 articolazioni sacroiliache,
ognuna composta di due superfici articolari (la “superficie auricolare” è a forma di L), per
cui nei movimenti del bacino sono coinvolte quattro superfici articolari (fig. 624).
Fig. 624
I legamenti sono altresì legati alla fascia ileolombare, dando ragione di come, per
stabilizzare l’articolazione, bisogna creare una forza meccanica diagonale che dal medio
gluteo passi a livello di L4 per arrivare al gran dorsale opposto. Ad esempio, si faccia
tenere un peso in mano al paziente stando in appoggio monopodalico omolaterale: per
controbilanciare la caduta del peso, il soggetto dovrà attivare il gran dorsale opposto,
mentre per tenere l’equilibrio metterà in funzione il medio gluteo omolaterale.
BODY CHART:
In ordine di frequenza, la localizzazione dei sintomi riferita dai pazienti è la seguente:
1. Puntiforme a livello delle SIPS e puntiforme a livello della Sacro-coccigea;
2. Lineare lungo la linea articolare sacroiliaca;
3. Come una fascia a livello del gluteo;
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STORIA:
A soffrire a livello sacroiliaco sono spesso pazienti sono caduti in appoggio monopodalico
o sulle tuberosità ischiatiche (cadute da seduti, come quando venga tolta la seggiola da
tergo). Ancora, i calciatori, donne due o tre mesi dopo il parto, soggetti con problemi
cronici lombari o a carico dell’anca, o chi abbia subito incidenti d’auto (specie frontali).
Diversi studi hanno dimostrato che l’interpretazione esclusivamente meccanica dei test ha
scarsissima affidabilità. Sono inoltre stati scelti solo due test come affidabili
(approssimazione e gapping).
Esistono 2 test la cui affidabilità, però, è bassa, perché sono test di pura mobilità della
sacroiliaca:
1. Fenomeno di movimento anteriore (fig. 630), test di carico: si pongono entrambi i
pollici sulle SIPS, valutando se una parta prima dell’altra (segno di rigidità
sacroiliaca omolaterale);
2. Fenomeno di movimento posteriore (fig. 631), test in scarico: si pongono un
pollice su S2 e l’altro sulla SIPS, chiedendo al paziente di sollevare il ginocchio
omolaterale, valutando se la SIPS scenda o meno (se non scende è segno di
rigidità sacroiliaca).
Fig. 630: fenomeno di
movimento anteriore. I pollici
sulle SIPS controllano che
vadano in avanti
contemporaneamente
durante la flessione attiva del
paziente.
Fig. 631: fenomeno di
movimento posteriore. Un
pollice sta su S2 e l’altro,
sulla SIPS omolaterale alla
flessione della gamba del
paziente, controlla che essa
Fig. 630 Fig. 631 scenda.
2. Trigger point, detto anche “bear’s point”. Si trova tra ombelico e SIAS (figg. 635 e
636). Si osservano sia l’indurimento dello psoas che il comportamento dei sintomi.
3. Valutazione dei movimenti accessori della sinfisi pubica. Si possono compiere a
destra, a sinistra e nello spazio intrarticolare. Sono:
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Fig. 640:
approssimazione.
Fig. 640
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2. Tilt PA dell’ileo: La mano craniale viene posta posteriormente sulla cresta iliaca e
quella craniale sull’osso ischiatica, effettuando il movimento opposto al precedente
(fig. 648). Per effettuare differenziazione lombare si flette la gamba sottostante (fig.
649), in modo da eludere estensione lombare, ricompiendo la medesima manovra,
con attenzione a non variare la posizione dell’arto in esame (fig. 650): se li sintomo
diminuisce, è di pertinenza lombare altrimenti sacroiliaco. E’ questa anche tecnica
di trattamento.
Fig. 665
172
Fig. 669
Sappiamo come l’esame soggettivo serva sia per pianificare l’esame fisico, sia per avere
ipotesi su: gruppo clinico, caricabilità delle strutture, test e trattamento. Ancora, è
necessario per avere ipotesi sulle “use categories”, utili alla prognosi.
Infine, ci serve per capire a quale gruppo di meccanismi del dolore appartenga il paziente,
e quindi sapere che ruolo possa avere il trattamento manuale.
Esistono 5 gruppi di meccanismi del dolore:
1. Nocicettivo periferiferico: il problema è riferito all’input. Sono dolori provocati da un
input a livello delle terminazioni libere dei nervi, a livello dei nocicettori dei tessuti
bersaglio (target tissues). In pratica è il dolore dovuto ad un’attivazione a livello dei
tessuti innervati (l’uinco tessuto probabilmente anuerale è la cartilagine). L’input
può essere meccanico, termico, chimico…. I pazienti appartenenti a questo gruppo
sono pazienti che rispondono benissimo alla terapia manuale, perché vi è una
struttura responsabile del sintomo, che dipende chiaramente da un’attività o da una
posizione (sintomo ON/OFF). L’esame fisico conferma esattamente ciò che si è
trovato durante il l’esame soggettivo.
2. Neurogenico periferico: il problema è sempre riferito all’input, ma a livello del
tessuto neurale, distalmente alle corna posteriori del midollo spinale. Classici
esempi sono i pazienti con problemi radicolari, canalicolari. Anche in questi casi
esiste una struttura direttamente responsabile dei sintomi (sintomo ON/OFF). Sono
pazienti con positività ai test neurodinamici. Tipici sono i pazienti con reazioni
latenti. Spesso sono pazienti con dolore al dermatomero e con esame neurologico
positivo. Anche questi pazienti rispondono molto bene alla terapia manuale.
3. Centrale: meccanismo legato alla modulazione, trasmissione o rielaborazione
dell’input. Il dolore è legato ad un problema a livello delle corna posteriori fino alla
corteccia. In questi casi la prevedibilità della reazione allo stimolo va perduta. Il
dolore non è più ON/OFF e non dipende dall’input (tipico riferimento del paziente: “il
dolore è un po’ dappertutto”). A livello delle corna posteriori del midollo esistono Gli
“sleeping receptors”, che in questi pazienti sono attivati. La percezione del dolore è
molto alta. Di solito, non sanno riferire quando il sintomo aumenti o diminuisca.
Nella loro vita tutto gira intorno al dolore, e sono pazienti che hanno scarsa
collaborazione. Presentano iperpatia, possono presentare alodenia. I risultati ai test
sono incostanti e l’esame fisico non riserva sorprese rispetto a ciò che ci si aspetta
dopo l’esame soggettivo. E’ un classico la diagnosi di “Fibromialgia”. Gli
appartenenti a questo gruppo sono pazienti che si informano tantissimo sul loro
problema, che magari sono consapevoli del loro problema (non simulano). Bisogna
porre attenzione sulla funzione e non sul sintomo. Bisogna riuscire a separare
l’attività dal sintomo, bisogna cercare di “distrarli” dal dolore.
4. Autonomo: problema legato a disfunzioni del sistema nervoso vegetativo, o sintomi
mantenuti dal sistema nervoso vegetativo, senza sapere il motivo. Il dolore non è
ON/OFF, il sintomo è extrasegmentale e spesso viscerale. In questi casi bisogna
sempre trattare il tratto dorsale (con probabilità di ottenere buoni risultati).
5. Affettivo – emozionale: sono problemi a livello psichico. E’ una componente
comunque sempre presente in tutti gli altri gruppi. Bisogna sempre chiedersi in che
modo l’aspetto psichico influenzi il sintomo. Bisogna chiedersi come i genitori
influenzino i sintomi nei piccoli pazienti. Il sintomo può essere mantenuto dalle
influenze dell’ambiente esterno. Nei pazienti cronici un’alta percentuale ha subìto
violenze in tenera età.
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Il meccanismo del dolore è il seguente: una lesione a livello del tessuto bersaglio crea,
attraverso la “trasduzione”, una trasformazione dell’input meccanico in un input doloroso,
che con un meccanismo di “trasmissione” arriva fino alla corteccia. Perché ciò avvenga
esistono due vie:
1. Spino-talamica: monosinaptica, veloce. Tramite queste fibre (tipo A-delta), si
possono avere informazione sulla qualità e localizzazione del sintomo.
2. Spino-reticolo-talamica: plurisinaptica, molto più lenta. Tramite le fibre di tipo C,
dona informazioni su come l’input possa disturbare ai diversi livelli, anche locali.
Grazie a queste fibre si crea l’infiammazione locale, iniziando così il processo di
guarigione.
Questo sistema può essere modulato, ovvero il soggetto può provare più o meno dolore.
Un segnale può essere aumentato, diminuito o inibito a livello corticale, a parità di stimolo.
Vi sono alcuni fenomeni con cui è opportuno avere una certa confidenza.
NOCICEZIONE: attivazione di nocicettori.
IPERALGESIA: reazione aumentata ad uno stimolo che normalmente fa male.
IPERPATIA: problema di qualità, in cui o l’input viene interpretato in modo errato, oppure
si presenta come sommazione del dolore (stesso stimolo e dolore che aumenta).
ALLODENIA: reazione dolente ad un input che normalmente non provoca nessun dolore.
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VERTIGINE
Una delle condizioni per testare l’arteria vertabro-basilare è, senza dubbio, la presenza di
vertigine. Nel caso, bisogna sapere se compaiano:
• con un movimento
• con movimento lento o veloce
• con movimento ripetuto
Le cause di vertigine son innumerevoli, tra cui: vascolare, vegetativo, vestibolare o
cervicale (a livello delle capsule articolari ci sono dei meccanocettori, che hanno un ruolo
fondamentale nel dare informazioni per il corretto mantenimento dell’equilibrio).
Il fisioterapista deve potere differenziare un’origine articolare da una vascolare.
Sappiamo come problemi a carico di C1-C2 possono causare problemi di flusso ematico
all’arteria vertebrale, con conseguente presenza di vertigine.
Le 5 D di Codmann sono una guida importante per sospettare problemi all’arteria
vertebrale (per un sospetto lecito, almeno 3 devono essere presenti).
La vertigine vestibolare è molto forte e può durare da qualche minuto a qualche ora.
La vertigine cervicale, invece, spesso dura solo qualche secondo.
MOVIMENTI:
E’ stato misurato come il flusso nell’arteria vertebro-basilare rimanga uguale in flessione
ed in estensione, mentre in rotazione il lume si chiuda del 75% a livello controlaterale.
Invece, in flessione laterale oblitera il lume del 10% omolateralmente.
Una rotazione con flessione laterale omolaterale chiude il lume da entrambi i lati del 50%.
Una rotazione con flessione laterale opposta, chiude il lume dal lato della flessione
laterale quasi del 100%.
TEST:
Prima di compiere una manipolazione cervicale, negli Stati Uniti, è obbligatorio segnare in
cartella i risultati di ventuno test clinici. Le vertigini possono essere latenti, per cui dopo
ogni test bisogna attendere almeno dieci secondi prima di compiere il successivo.
L’I.M.T.A. ne considera tredici: se anche uno solo risulti positivo, non si può compiere
manipolazione cervicale.
Test da seduti:
I primi test si compiono con paziente seduto poiché il ROM passivo è ridotto rispetto alla
posizione supina.
1. Nistagmo in estensione (fig. 672): il paziente porta la colonna cervicale in
estensione e ivi si testa la presenza di nistagmo;
2. Nistagmo in rotazione (fig. 673): il paziente porta la colonna cervicale in rotazione e
ivi si testa la presenza di nistagmo;
3. Nistagmo con aggiunta di estensione (fig. 674): si testa il nistagmo e mentre il
paziente fissa lo sguardo al lato estremo porta la colonna cervicale in estensione;
4. Mantenere la posizione funzionale;
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Fig. 674
Test in piedi:
7. Rotazione veloce e ripetuta della testa (fig. 675)
8. Testa fissata dal terapista e contemporanea rotazione veloce e ripetuta del tronco
(fig. 676), per differenziare con vertigine di origine vestibolare.
Fig. 676
Fig. 675
Test da supino:
9. Estensione mantenuta;
10. Rotazione mantenuta;
11. Rotazione con estensione
mantenuta. Si valuta anche
l’eventuale presenza di
nistagmo (fig. 677).
Test da prono:
12. C1, C2 e C3 in massima
Fig. 677
rotazione;
13. Posizione di manipolazione.
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PROBLEMA PRINCIPALE:
Il paziente può riferire:
• Dolore;
• Difficoltà a parlare;
• Difficoltà a masticare;
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BODY CHART:
Possibili localizzazioni e manifestazioni dei sintomi:
• Zona articolare;
• Mal di testa;
• Orecchio;
• Mandibola e mascella;
• Tutte le strutture innervate dal nervo trigemino;
• Sinusiti ricorrenti;
• Colonna cervicale.
DOMANDE SPECIALI:
E’ obbligatorio chiedere al paziente se presenti parafunzioni. Ancora, è importante
escludere artrite reumatoide e connettiviti. Infine bisogna valutare lo stato di stress:
attenzione, però, a non chiedere al soggetto se sia stressato (il 90% delle persone
risponderà di sì), ma se stia assumendo farmaci (specie ansiolitici).
• Persone che imparano una nuova lingua, a causa della difficoltà ad emettere un
suono nuovo;
• Giovani mamme (urlano più spesso);
• Attori e cantanti (utilizzo esagerato della bocca nel parlare).
A livello meccanico l’apertura normale della bocca è di 3-4 centimetri (tre-quattro dita tra le
arcate dentarie).
I primi due centimetri di apertura avvengono grazie a rotazione, i restanti per traslazione
delle superfici articolari. Per testare il movimento, si metta la lingua appena dietro gli
incisivi superiori, per poi aprire la bocca (rotazione); viceversa, la si metta appena dietro gli
inferiori, aprendo la bocca (traslazione).
ISPEZIONE:
Si osserva dapprima il portamento, analizzando la linea degli occhi, che deve essere
parallela ad una linea congiungente le spalle ed alla linea delle labbra (fig. 679).
Ispezione interna: si osserva se ai lati della lingua siano presenti le impronte dei denti o
delle cicatrici (fig. 680). Ancora si osserva l’interno delle guance, se vi siano cicatrici (fig.
681), oppure otturazioni dentarie; si osserva se la linea degli incisivi sia allineata e unica,
tra superiori ed inferiori. Persone che digrignino i denti, possono avere denti affilati. Si
esclude infine presenza di overbite (l’arcata dentaria superiore spostata in avanti rispetto a
quella inferiore).
MOVIMENTI ATTIVI:
• Apertura della bocca con labbra lontane dai denti (figg. 682. 683). Si analizzano
eventuali deviazioni laterali, correggendo ed ipercorreggendo, segnando
eventuali variazioni dei sintomi (fig. 684).
• Deviazione laterale. Nella norma la linea degli incisivi si sposta di un centimetro
(fig. 685).
• Protrazione (fig. 686). Normalmente il ROM è di un centimetro.
• Retrazione (fig. 687). Normalmente il ROM è di uno-due millimetri.
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Fig. 685
MOVIMENTI PASSIVI:
Mobilizzazione extraorale:
• Lateralizzazione (fig. 688). Il terapista resta sul fianco della deviazione laterale
a paziente supino. Con la mano opposta al lato fissa la testa e con l’altra,
afferrando con le dita lunghe la mandibola, compie il movimento. Se
necessario, compie OP fino ad un grado III++.
Movimenti accessori:
• AP: il terapista si pone di fronte al paziente, giacente sul fianco, per potere
imprimere attraverso i pollici, posti davanti alla mandibola (fig. 689), una spinta
con il corpo (fig. 690).
• PA: il terapista si pone dietro al paziente, giacente sul fianco, per potere
imprimere attraverso i pollici, posti dietro la mandibola appena sotto l’orecchio
(fig. 691), una spinta con il corpo (fig. 692).
• Trasversale mediale: il terapista si pone dietro al paziente, giacente sul fianco,
per potere imprimere attraverso i pollici, posti sullo spazio articolare (fig. 693) o
sulla mandibola (fig. 694), una spinta con il corpo.
Se non si trovino i sintomi si compiono con bocca in diverse posizioni di apertura.
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Mobilizzazione intraorale:
• OP dell’apertura: il terapista pone i propri indici sull’arcata dentaria inferiore ed i
pollici su quella superiore, per poi spingere nella direzione idonea (fig. 695).
• OP in protrazione: il pollice viene utilizzato come un gancio (fig. 696), per poi
compiere OP alla fine della protrazione attiva asintomatica del paziente (fig.
697).
• Longitudinale caudale: il pollice viene appoggiato sulla parte superiore
dell’ultimo molare (fig. 698), per poi compiere la mobilizzazione nella direzione
opportuna (fig. 699).
• Trasversale laterale (fig. 700): il pollice viene posto sulla parte mediale del
dente, spingendo la gengiva in direzione trasversale laterale.
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Fig. 695
Fig. 698
Fig. 695: OP dell’apertura della bocca con indici sull’arcata dentaria inferiore e pollici
sulla superiore.
Fig. 696: posizione del pollice “a gancio” per un’OP in protrazione.
Fig. 697: OP in protrazione.
Fig. 698: posizione del pollice, appoggiato alla parte superiore dell’ultimo molare, per
una mobilizzazione longitudinale caudale.
Fig. 699: mobilizzazione longitudinale caudale.
Fig. 700: mobilizzazione trasversale laterale, con pollice posto sulla parte mediale del
dente.
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MANO
Un problema avvertito a livello della mano può avere diverse origini, anche molto lontane
dalla zona dolente. Sappiamo, ormai, come compiere la differenziazione tra dolore
irradiato e proiettato (riferito), per cui sarà importante giudicare le differenze eventuali di
intensità tra sintomi prossimali e distali.
ESAME SOGGETTIVO (C/O):
Con sintomi alla mano è sempre opportuno pensare ad eventuali origini nella colonna
cervicale, dorsale, coste, spalla, gomito, e tessuto neurale.
La maggior parte dei pazienti che soffrono nella mano riferiscono problemi di presa.
I sintomi possono essere di origine traumatica, di cui gli episodi più frequenti:
• Fratture: nei casi siano composte, la prognosi di recupero è favorevole,
altrimenti no, con la regola che maggiormente è complessa la frattura,
maggiormente arduo ne sarà il recupero.
• Distorsione: ne sono portatori pazienti con rappresentazione EOR che
necessitano di molta mobilizzazione, anche precocemente per orientare le fibre
della cicatrizzazione con un corretto orientamento per la migliore guarigione.
Ancora, i sintomi possono derivare da sindromi, quali:
• Malattia di Sudek, la cui diagnosi si basa su segni clinici (sintomi vegetativi e
troficità tissutale, con aumento della peluria) e radiologici (osteopenia generale
e/o locale). Ne sono portatori pazienti che spesso presentano allodenia, con
dolore spesso descritto come locale. A livello del piano di trattamento, bisogna
arrivare fino a T9 (sudotoma). In fase acuta non si bisogna lavorare
attivamente ma solo passivamente. Bisogna anche trattare tutte le strutture a
distanza che possono essere interfacce meccaniche per il tessuto neurale.
• Rizoartrosi: ottime tecniche sono compressione e shaft rotation.
• Sindrome del tunnel carpale: il double crash è un fenomeno facilissimo da
ritrovare a livello del nervo mediano. La storia classica è paziente con problemi
cervicali che poi sviluppa una sindrome del tunnel carpale. Pazienti a rischio
sono i diabetici (scarsa vascolarizzazione e quindi ridotta attività dei dei vasa
nervorum); chi svolga mestieri pesanti (si pensi a chi utilizzi parecchio il
martello pneumatico); chi svolga lavori fini (quali gli orefici); donne in
postmenopausa. Le fasi tipiche sono: formicolìo notturno (fase ideale per
essere trattata), fase media in cui i sintomi passano ad essere diurni durante il
lavoro manuale (come ad esempio difficoltà nel lavoro fine) ed in cui si possono
ancora trattare con terapia manuale in quanto il sintomo è meccanico, e fase
finale in cui i sintomi diventano “stanchi”, con perdita di forza (ipotrofia
dell’eminenza tenar), in cui con la terapia manuale si può ottenere poco o nulla.
L’incidenza è maggiore nelle donne, con il 20% delle donne in gravidanza che
sviluppano una sindrome del tunnel carpale bilaterale che si risolve da solo. La
flessione dorsale è limitata e la flessione palmare è sintomatica, in quanto
aumenta la compressione. L’esame neurologico è necessario ed il
neurodinamico è spessissimo positivo, con estensione orizzontale del carpo
(stiramento del legamento traverso del carpo) limitata.
ESAME FISICO (P/E):
Movimenti attivi:
• Flessione palmare (se dolente, è obbligatorio compiere una corretta
differenziazione strutturale attraverso una flessione laterale del collo): avendo
come repere per le ossa carpali le due rughe del polso (fig. 701), bisogna
differenziare i diversi livelli:
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• Radiocarpale e mediocarpale
o AP
o PA
o Trasversale mediale
o Trasversale laterale
o Distrazione
o Compressione