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SACRO-ILIACA

L’articolazione sacroiliaca è molto difficile da valutare per una serie di motivi. Anzitutto è
importante, però, capirne la funzione: nelle donne serve a partorire, ma in tutte le persone
ha il ruolo di garantire stabilità al carico e per migliorarne la distribuzione.
E’ un’articolazione molto particolare: ogni bacino comprende 2 articolazioni sacroiliache,
ognuna composta di due superfici articolari (la “superficie auricolare” è a forma di L), per
cui nei movimenti del bacino sono coinvolte quattro superfici articolari (fig. 624).

Fig. 624

Valutare la sacroiliaca dal punto di vista biomeccanico è praticamente impossibile, dato


che si muove soltanto pochi millimetri. In tutte le articolazioni umane le superfici articolari
sono molto lisce, mentre quelle della sacroiliaca sono irregolari e rugose: in altre
articolazioni sarebbe interpretabile come degenerazione artrosica, in questo caso, invece,
sono semplici e normali adattamenti ai carichi.
Questo rende chiaro come i test di movimento relativi siano da prendere con cautela prima
di giungere ad eventuali conclusioni (si ricordi, comunque, che un test da solo non è mai
affidabile al 100%).

I legamenti più importanti da prendere in considerazione per valutare correttamente


l’articolazione sacroiliaca sono:
• Ileosacrale anteriore (fig. 625): limita la nutazione (verticalizzazione del sacro);
• Ileosacrale posteriore (fig. 626): limita la contronutazione;
• Sacrotuberale, che dal sacro si inserisce sulla tuberosità ischiatica (fig. 626):
impedisce la nutazione. Quando si conduce una palpazione, ciò che in realtà
andiamo a toccare sono i legamenti, meccanicamente connessi al grande
gluteo: per questo motivo un problema sacroiliaco può irradiarsi al gluteo ed in
maniera indiretta spiega come un problema all’anca possa influenzare
l’articolazione sacroiliaca, nel caso venga alterato il tono del gluteo;
• Ileolombare, che origina dalle apofisi traverse di L4 ed L5, ed è uno dei più
potenti legamenti del corpo umano (fig. 625): la sua presenza spiega perché
quando si mobilizzi L5, si muova anche l’articolazione sacroiliaca.
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Fig. 625 Fig. 626

I legamenti sono altresì legati alla fascia ileolombare, dando ragione di come, per
stabilizzare l’articolazione, bisogna creare una forza meccanica diagonale che dal medio
gluteo passi a livello di L4 per arrivare al gran dorsale opposto. Ad esempio, si faccia
tenere un peso in mano al paziente stando in appoggio monopodalico omolaterale: per
controbilanciare la caduta del peso, il soggetto dovrà attivare il gran dorsale opposto,
mentre per tenere l’equilibrio metterà in funzione il medio gluteo omolaterale.

I muscoli da tenere in seria


considerazione durante la valutazione Fig. 627
sono:
• Multifido: arriva a livello di S3
con funzione di pretensione
delle capsule articolari;
• Priforme (fig. 627);
• CLB femorale: la sua inserzione
ischiatica, con parziale fusione
con il legamento sacrotuberale
(fig. 626) giustifica alcuni dolori
irradiati lungo la gamba
posteriormente.
La SI è innervata dalle radici di L3, L4, L5, S1 e S2. Se si pensa all’anca (innervata da L2
a S2), è di facile intuizione comprendere perché sia difficile una differenziazione, rendendo
complessa la valutazione di questa articolazione.

ESAME SOGGETTIVO (C/O):

BODY CHART:
In ordine di frequenza, la localizzazione dei sintomi riferita dai pazienti è la seguente:
1. Puntiforme a livello delle SIPS e puntiforme a livello della Sacro-coccigea;
2. Lineare lungo la linea articolare sacroiliaca;
3. Come una fascia a livello del gluteo;
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4. Lineare lungo l’inguine;


5. Interno coscia;
6. Regione posteriore della coscia fino al polpaccio.
Si tenga presente come la qualità dei sintomi ci possa aiutare a differenziare l’origine del
problema, se lombare o sacroiliaco: nel primo caso sarà superficiale, sordo (proiettato),
mentre nel secondo caso potrà essere un dolore irradiato (lungo l’osso), e non proiettato,
quindi prossimalmente meno intenso che distalmente.
Spesso il sintomo causato da problema sacroiliaco è difficilmente descrivibile, “strano”.

COMPORTAMENTO DEI SINTOMI:


• Tipico dell’articolazione sacroiliaca è il paziente in assenza di segni neurologici
che riferisca di inciampare spesso, a causa di deficit propriocettivi (l’anca non
limita a sufficienza: si pensi quanto poco si passi vicino ad un gradino per
oltrepassarlo. Un problema sacroiliaco è, invece, sufficiente);
• Tipico è problema in appoggio monopodalico;
• Accavallare le gambe, come nel caso dell’anca;
• Fare le scale, come nel caso dell’anca;
• Stare seduti e in rotazione (cassiere).
Fattori predisponenti possono dunque essere tutti gli sport, specie quelli di salto (volley,
basket, salto triplo, salto ostacoli…)

STORIA:
A soffrire a livello sacroiliaco sono spesso pazienti sono caduti in appoggio monopodalico
o sulle tuberosità ischiatiche (cadute da seduti, come quando venga tolta la seggiola da
tergo). Ancora, i calciatori, donne due o tre mesi dopo il parto, soggetti con problemi
cronici lombari o a carico dell’anca, o chi abbia subito incidenti d’auto (specie frontali).

Diversi studi hanno dimostrato che l’interpretazione esclusivamente meccanica dei test ha
scarsissima affidabilità. Sono inoltre stati scelti solo due test come affidabili
(approssimazione e gapping).

ESAME FISICO (P/E):

Si Osserva il paziente in piedi (fig. 628),


prestando particolare attenzione ad Fig. 628 Fig. 629
eventuale rotazione esterna del piede, che
può essere dovuta a nutazione.
Eventualmente, la si corregge ed
ipercorrebgge, valutando eventuali
variazioni dei sintomi.
Ancora, bisogna segnare eventuali:
• Mancanza di verticalità della
piega glutea;
• Atrofie muscolari (gluteo, bicipite
e cosce);
• Non corretta distribuzione del
carico in appoggio. Fig. 628: osservazione del paziente in
In ogni caso in cui si renda opportuna la piedi.
dimostrazione funzionale, il test di Fig. 629: test d’approssimazione per
differenziazione è l’approssimazione (fig. differenziazione strutturale (visto su
629). scheletro
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Esistono 2 test la cui affidabilità, però, è bassa, perché sono test di pura mobilità della
sacroiliaca:
1. Fenomeno di movimento anteriore (fig. 630), test di carico: si pongono entrambi i
pollici sulle SIPS, valutando se una parta prima dell’altra (segno di rigidità
sacroiliaca omolaterale);
2. Fenomeno di movimento posteriore (fig. 631), test in scarico: si pongono un
pollice su S2 e l’altro sulla SIPS, chiedendo al paziente di sollevare il ginocchio
omolaterale, valutando se la SIPS scenda o meno (se non scende è segno di
rigidità sacroiliaca).
Fig. 630: fenomeno di
movimento anteriore. I pollici
sulle SIPS controllano che
vadano in avanti
contemporaneamente
durante la flessione attiva del
paziente.
Fig. 631: fenomeno di
movimento posteriore. Un
pollice sta su S2 e l’altro,
sulla SIPS omolaterale alla
flessione della gamba del
paziente, controlla che essa
Fig. 630 Fig. 631 scenda.

TEST DI VALUTAZIONE DA SUPINO:


Da quanto visto per il tratto lombare e per l’anca, già si conoscono i test in flessione ed in
rotazione. Esistono pure:
1. Patrik test, test multistrutturale di screening: si mette il tallone a livello del
ginocchio controlaterale, portando il ginocchio dell’arto esaminato all’esterno (fig.
632) osservando quanto si sollevi la SIAS controlaterale, per poi valutare l’end feel,
fissando la SIAS controlaterale (fig. 633). Si compie anche dall’altro lato (fig. 634).

Fig. 632: Patrik


test, posizione
di partenza.
Fig. 633:
valutazione
dell’end feel
fissando la
SIAS
controlaterale.
Fig. 634: Patrik
test
Fig. 632 Fig. 633 Fig. 634 controlaterale.

2. Trigger point, detto anche “bear’s point”. Si trova tra ombelico e SIAS (figg. 635 e
636). Si osservano sia l’indurimento dello psoas che il comportamento dei sintomi.
3. Valutazione dei movimenti accessori della sinfisi pubica. Si possono compiere a
destra, a sinistra e nello spazio intrarticolare. Sono:
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• Longitudinale caudale (fig. 637). E’ importante prendere prima una riserva di


pelle, per potere meglio compiere la spinta sull’osso;
• AP (fig. 638).

Fig. 635: “bear’s point”,


premendo il trigger point
che si trova tra ombelico
e SIAS. Si valuta sia il
comportamento dei
sintomi che la tensione
dello psoas.

Fig. 636: “bear’s point”


controlaterale.
Fig. 635 Fig. 636
Fig. 637: movimento
accessorio della sinfisi
pubica longitudinale
Fig. 638
caudale (si può compiere
a destra, a asinistra o
nello spazio
intrarticolare).

Fig. 638: movimento


accessorio AP della
sinfisi pubica (si può
compiere a destra, a
asinistra o nello spazio
intrarticolare).
Fig. 637

4. Ancora, bisogna valutare la lunghezza muscolare (ileopsoas, tensore della fascia


lata, retto femorale, bicipite femorale, piriforme).
5. Gapping ( ) (fig. 639) ed approssimazione ( )(fig. 640), che

sono dei test multistrutturali. In entrambi i casi si differenzia il tratto lombare


facendo mettere la mano del paziente dietro la schiena (17), mentre per l’anca si
pone un cuscino sotto le ginocchia (18). Nell’approssimazione è importante
prendere una riserva di pelle dall’esterno all’interno per non strappare (fig. 641).

Fig. 639 Fig. 639: Gapping.

Fig. 640:
approssimazione.

Fig. 640
167

Fig. 641: presa della riserva di pelle dall’esterno


all’interno per una corretta approssimazione.
Fig. 642: differenziazione lombare con mano
dietro la schiena.

Fig. 643: differenziazione dell’anca con cuscino


sotto le ginocchia.
Fig. 641

Fig. 642 Fig. 643

TEST DI VALUTTAZIONE CON PAZIENTE SUL FIANCO:


1. Tilt AP dell’osso iliaco (equivalente ad una retroversione dell’ileo): il fisioterapista
pone la mano caudale con palmo sulla tuberosità ischiatica mentre con la caudale
tiene la SIAS (fig. 644), compiendo il movimento con una rotazione del proprio
tronco. Per potere differenziare l’origine del problema lombare, è opportuno
estendere la gamba controlaterale sfruttando un cuscino per non cambiare la
posizione dell’arto inferiore sotto esame, per evitare la flessione lombare che si
accompagna inevitabilmente al tilt AP (fig. 645), ricompiendo poi la manovra (fig.
646): se il dolore diminuisce, l’origine è lombare, altrimenti sacroiliaco. E’ questa
anche una tecnica di trattamento, che si può compiere con la medesima presa già
vista per la differenziazione anca – lombare – sacroiliaco durante il problema in
flessione (fig. 647).

Fig. 644 Fig. 645


168

Fig. 646 Fig. 647

Fig. 644: tilt AP dell’osso iliaco.


Fig. 645: tilt AP dell’osso iliaco, posizionamento per la differenziazione lombare.
Fig. 646: tilt AP dell’osso iliaco, differenziazione lombare.
Fig. 647: trattamento con tilt AP.

2. Tilt PA dell’ileo: La mano craniale viene posta posteriormente sulla cresta iliaca e
quella craniale sull’osso ischiatica, effettuando il movimento opposto al precedente
(fig. 648). Per effettuare differenziazione lombare si flette la gamba sottostante (fig.
649), in modo da eludere estensione lombare, ricompiendo la medesima manovra,
con attenzione a non variare la posizione dell’arto in esame (fig. 650): se li sintomo
diminuisce, è di pertinenza lombare altrimenti sacroiliaco. E’ questa anche tecnica
di trattamento.

Fig. 648 Fig. 649

Fig. 650 Fig. 648: tilt PA dell’osso iliaco.

Fig. 649: posizionamento per la


differenziazione lombare, usando dei
cuscini per non variare la posizione
dell’arto in esame.

Fig. 650: differenziazione lombare.


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TEST DI VALUTAZIONE DA PRONO:


1. PA (centrale e unilaterale) del sacro (figg. 651 e 652)
2. PA unilaterale dell’ileo (figg. 653 e 654)

Fig. 651 Fig. 652

Fig. 653 Fig. 654

Fig. 651: PA unilaterale a destra del sacro visto su scheletro.


Fig. 652: PA unilaterale a destra del sacro.
Fig. 653: PA unilaterale a sinistra dell’ileo visto su scheletro.
Fig. 654: PA unilaterale a sinistra dell’ileo.
3. Trasversale laterale dell’ileo (figg. 655, 656 e 657), che, essendo una direzione
perpendicolare alla cresta iliaca, diventa quasi caudale (fig. 658).

Fig. 655 Fig. 656 Fig. 657


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Fig. 658 Fig. 655: trasversale laterale dell’ileo visto


su scheletro

Fig. 656: trasversale laterale dell’ileo.

Fig. 657: trasversale laterale dell’ileo in un


punto più prossimale.

Fig. 658: trasversale laterale dell’ileo


ancor più prossimale, che diventa quasi un
longitudinale caudale.

4. Stress in torsione: tecnica di valutazione e trattamento, in cui la mano craniale porta


il sacro in contronutazione (fig. 659) e l’altra in nutazione l’ileo (fig. 660) e/o
viceversa (fig. 661). La tecnica può avvenire con manovra della sola mano caudale,
della prossimale o di entrambe contemporaneamente.

Fig. 659 Fig. 660

Fig. 661 Fig. 662

5. Stress in longitudinale: è uguale al caso predente, con la differenza che il


movimento del sacro è longitudinale craniale (fig. 662) mentre è caudale quello
dell’ileo (fig. 663), (e quindi non un movimento fisiologico), e/o viceversa (fig. 664).
Anche in questo caso si può muovere solo la mano craniale, solo la caudale o
entrambe.
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Fig. 663 Fig. 664

Fig. 659: stress in torsione. La mano craniale porta il sacro in contronutazione.


Fig. 660: stress in torsione. La mano caudale porta l’ileo in nutazione.
Fig. 661: stress in torsione con mano craniale che porta in nutazione il sacro e la
caudale in contronutazione l’ileo.
Fig. 662: stress in longitudinale. La mano craniale porta il sacro in longitudinale
craniale.
Fig. 663: stress in longitudinale. La mano caudale porta l’ileo in longitudinale
caudale.
Fig. 664: stress in longitudinale con mano caudale che porta l’ileo in longitudinale
craniale e la caudale che porta il sacro in longitudinale caudale.
TECNICHE DI TRATTAMENTO PER PAZIENTI SIN:
1. Longitudinale caudale sfruttando la presa dalle ginocchia flesse (21), compiendo
dolci movimenti (grado I o II);
2. Aprrossimazione e gapping;
3. Approssimazione sfruttando il peso del corpo del fisioterapista, che appoggia
l’avambraccio supinato sull’ileo del paziente (22,23);
4. Gapping omolaterale sfruttando i polpastrelli (24,25,26).

TECNICHE PER EOR:


Un esempio di posizione funzionale per paziente con sintomo mentre corre veloce sulla
gamba in spinta (anca in estensione, intrarotazione ed adduzione), è in fig. 28. Si possono
compiere PA o movimenti fisiologici combinati a mobilizzazione.
Con problemi a carico dell’articolazione sacroiliaca il quadrante diventa un test positivo al
95%.

Fig. 666 Fig. 667

Fig. 665
172

Fig. 669

Fig. 668 Fig. 670

Fig. 665: trazione dalle ginocchia per pazienti


SIn
Fig. 666: approssimazione con avambraccio
vista su scheletro per pazienti SIn.
Fig.667: approssimazione con avambraccio
supinato, mentre la mano caudale con il
polpastrello avverte i movimenti
dell’articolazione.
Fig. 668: gapping con polpastrelli visto su
scheletro.
Fig. 671 Fig. 669: gapping con polpastrelli. La mano
craniale sente lo spostamento articolare coi
polpastrelli, mentre la caudale, che effettuerà il movimento, afferra l’ala iliaca coi polpastrelli.
Fig. 670: particolare della mano che afferra l’ala iliaca.
Fig. 671: esempio di trattamento di paziente EOR, sfruttando un PA dell’ileo durante
un’estensione.
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MECCANISMI DEL DOLORE

Sappiamo come l’esame soggettivo serva sia per pianificare l’esame fisico, sia per avere
ipotesi su: gruppo clinico, caricabilità delle strutture, test e trattamento. Ancora, è
necessario per avere ipotesi sulle “use categories”, utili alla prognosi.
Infine, ci serve per capire a quale gruppo di meccanismi del dolore appartenga il paziente,
e quindi sapere che ruolo possa avere il trattamento manuale.
Esistono 5 gruppi di meccanismi del dolore:
1. Nocicettivo periferiferico: il problema è riferito all’input. Sono dolori provocati da un
input a livello delle terminazioni libere dei nervi, a livello dei nocicettori dei tessuti
bersaglio (target tissues). In pratica è il dolore dovuto ad un’attivazione a livello dei
tessuti innervati (l’uinco tessuto probabilmente anuerale è la cartilagine). L’input
può essere meccanico, termico, chimico…. I pazienti appartenenti a questo gruppo
sono pazienti che rispondono benissimo alla terapia manuale, perché vi è una
struttura responsabile del sintomo, che dipende chiaramente da un’attività o da una
posizione (sintomo ON/OFF). L’esame fisico conferma esattamente ciò che si è
trovato durante il l’esame soggettivo.
2. Neurogenico periferico: il problema è sempre riferito all’input, ma a livello del
tessuto neurale, distalmente alle corna posteriori del midollo spinale. Classici
esempi sono i pazienti con problemi radicolari, canalicolari. Anche in questi casi
esiste una struttura direttamente responsabile dei sintomi (sintomo ON/OFF). Sono
pazienti con positività ai test neurodinamici. Tipici sono i pazienti con reazioni
latenti. Spesso sono pazienti con dolore al dermatomero e con esame neurologico
positivo. Anche questi pazienti rispondono molto bene alla terapia manuale.
3. Centrale: meccanismo legato alla modulazione, trasmissione o rielaborazione
dell’input. Il dolore è legato ad un problema a livello delle corna posteriori fino alla
corteccia. In questi casi la prevedibilità della reazione allo stimolo va perduta. Il
dolore non è più ON/OFF e non dipende dall’input (tipico riferimento del paziente: “il
dolore è un po’ dappertutto”). A livello delle corna posteriori del midollo esistono Gli
“sleeping receptors”, che in questi pazienti sono attivati. La percezione del dolore è
molto alta. Di solito, non sanno riferire quando il sintomo aumenti o diminuisca.
Nella loro vita tutto gira intorno al dolore, e sono pazienti che hanno scarsa
collaborazione. Presentano iperpatia, possono presentare alodenia. I risultati ai test
sono incostanti e l’esame fisico non riserva sorprese rispetto a ciò che ci si aspetta
dopo l’esame soggettivo. E’ un classico la diagnosi di “Fibromialgia”. Gli
appartenenti a questo gruppo sono pazienti che si informano tantissimo sul loro
problema, che magari sono consapevoli del loro problema (non simulano). Bisogna
porre attenzione sulla funzione e non sul sintomo. Bisogna riuscire a separare
l’attività dal sintomo, bisogna cercare di “distrarli” dal dolore.
4. Autonomo: problema legato a disfunzioni del sistema nervoso vegetativo, o sintomi
mantenuti dal sistema nervoso vegetativo, senza sapere il motivo. Il dolore non è
ON/OFF, il sintomo è extrasegmentale e spesso viscerale. In questi casi bisogna
sempre trattare il tratto dorsale (con probabilità di ottenere buoni risultati).
5. Affettivo – emozionale: sono problemi a livello psichico. E’ una componente
comunque sempre presente in tutti gli altri gruppi. Bisogna sempre chiedersi in che
modo l’aspetto psichico influenzi il sintomo. Bisogna chiedersi come i genitori
influenzino i sintomi nei piccoli pazienti. Il sintomo può essere mantenuto dalle
influenze dell’ambiente esterno. Nei pazienti cronici un’alta percentuale ha subìto
violenze in tenera età.
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Il meccanismo del dolore è il seguente: una lesione a livello del tessuto bersaglio crea,
attraverso la “trasduzione”, una trasformazione dell’input meccanico in un input doloroso,
che con un meccanismo di “trasmissione” arriva fino alla corteccia. Perché ciò avvenga
esistono due vie:
1. Spino-talamica: monosinaptica, veloce. Tramite queste fibre (tipo A-delta), si
possono avere informazione sulla qualità e localizzazione del sintomo.
2. Spino-reticolo-talamica: plurisinaptica, molto più lenta. Tramite le fibre di tipo C,
dona informazioni su come l’input possa disturbare ai diversi livelli, anche locali.
Grazie a queste fibre si crea l’infiammazione locale, iniziando così il processo di
guarigione.
Questo sistema può essere modulato, ovvero il soggetto può provare più o meno dolore.
Un segnale può essere aumentato, diminuito o inibito a livello corticale, a parità di stimolo.
Vi sono alcuni fenomeni con cui è opportuno avere una certa confidenza.
NOCICEZIONE: attivazione di nocicettori.
IPERALGESIA: reazione aumentata ad uno stimolo che normalmente fa male.
IPERPATIA: problema di qualità, in cui o l’input viene interpretato in modo errato, oppure
si presenta come sommazione del dolore (stesso stimolo e dolore che aumenta).
ALLODENIA: reazione dolente ad un input che normalmente non provoca nessun dolore.
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VERTIGINE

Una delle condizioni per testare l’arteria vertabro-basilare è, senza dubbio, la presenza di
vertigine. Nel caso, bisogna sapere se compaiano:
• con un movimento
• con movimento lento o veloce
• con movimento ripetuto
Le cause di vertigine son innumerevoli, tra cui: vascolare, vegetativo, vestibolare o
cervicale (a livello delle capsule articolari ci sono dei meccanocettori, che hanno un ruolo
fondamentale nel dare informazioni per il corretto mantenimento dell’equilibrio).
Il fisioterapista deve potere differenziare un’origine articolare da una vascolare.
Sappiamo come problemi a carico di C1-C2 possono causare problemi di flusso ematico
all’arteria vertebrale, con conseguente presenza di vertigine.
Le 5 D di Codmann sono una guida importante per sospettare problemi all’arteria
vertebrale (per un sospetto lecito, almeno 3 devono essere presenti).
La vertigine vestibolare è molto forte e può durare da qualche minuto a qualche ora.
La vertigine cervicale, invece, spesso dura solo qualche secondo.

COMPORTAMENTO DEI SINTOMI:


Sono frequenti esacerbazioni dei sintomi in alcune delle seguenti situazioni:
• dal parrucchiere (lavarsi i capelli);
• tenendo il telefono tra spalla e orecchio;
• dormendo prono (testa in massima rotazione da un lato per lungo tempo);
• attività a livello sopra della testa;
• Esiti di colpo di frusta.

MOVIMENTI:
E’ stato misurato come il flusso nell’arteria vertebro-basilare rimanga uguale in flessione
ed in estensione, mentre in rotazione il lume si chiuda del 75% a livello controlaterale.
Invece, in flessione laterale oblitera il lume del 10% omolateralmente.
Una rotazione con flessione laterale omolaterale chiude il lume da entrambi i lati del 50%.
Una rotazione con flessione laterale opposta, chiude il lume dal lato della flessione
laterale quasi del 100%.

TEST:
Prima di compiere una manipolazione cervicale, negli Stati Uniti, è obbligatorio segnare in
cartella i risultati di ventuno test clinici. Le vertigini possono essere latenti, per cui dopo
ogni test bisogna attendere almeno dieci secondi prima di compiere il successivo.
L’I.M.T.A. ne considera tredici: se anche uno solo risulti positivo, non si può compiere
manipolazione cervicale.
Test da seduti:
I primi test si compiono con paziente seduto poiché il ROM passivo è ridotto rispetto alla
posizione supina.
1. Nistagmo in estensione (fig. 672): il paziente porta la colonna cervicale in
estensione e ivi si testa la presenza di nistagmo;
2. Nistagmo in rotazione (fig. 673): il paziente porta la colonna cervicale in rotazione e
ivi si testa la presenza di nistagmo;
3. Nistagmo con aggiunta di estensione (fig. 674): si testa il nistagmo e mentre il
paziente fissa lo sguardo al lato estremo porta la colonna cervicale in estensione;
4. Mantenere la posizione funzionale;
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5. Rotazione veloce della testa;


6. Movimento veloce del movimento funzionale;

Fig. 672 Fig. 673

Fig. 672: nistagmo in estensione.

Fig. 673: nistagmo in rotazione.

Fig. 674: nistagmo con aggiunta di


estensione.

Fig. 674

Test in piedi:
7. Rotazione veloce e ripetuta della testa (fig. 675)
8. Testa fissata dal terapista e contemporanea rotazione veloce e ripetuta del tronco
(fig. 676), per differenziare con vertigine di origine vestibolare.

Fig. 676

Fig. 675

Fig. 675: rotazione veloce e ripetuta della testa.


Fig. 676: rotazione veloce e ripetuta del tronco con testa fissata dal terapista.
Fig. 677: valutazione del nistagmo in rotazione con estensione mantenuta.
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Test da supino:
9. Estensione mantenuta;
10. Rotazione mantenuta;
11. Rotazione con estensione
mantenuta. Si valuta anche
l’eventuale presenza di
nistagmo (fig. 677).
Test da prono:
12. C1, C2 e C3 in massima
Fig. 677
rotazione;
13. Posizione di manipolazione.
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ARTICOLAZIONE TEMPORO - MANDIBOLARE

La principale caratteristica dell’Articolazione Temporo-Mandibolare (ATM), è che quella di


un lato non può muoversi se non si muova contemporaneamente la controlaterale.
Fanno parte del sistema:
Ossa (fig. 678): Fig. 678
• Temporale
• mandibola
Denti
Muscoli:
• Splenio
• Sterno Cleido Mastoideo
• Temporale
• Massetere
• Iodeo
Nervi cranici:
• Trigemino
Lingua
Colonna cervicale: si pensi alla postura (ad esempio, la protrazione cervicale potrebbe
essere una posizione di protezione per l’ATM).

Le principali funzioni di questa articolazione sono:


• Masticazione, funzione base;
• Comunicazione: ha un ruolo fondamentale per potere parlare e gestire la mimica
facciale;
• Gestione dello stress, che dal punto di vista fisioterapico è la più importante. E’
un fenomeno che porta ad una delle possibili “parafunzioni”:
ƒ Bruxismo, ossia il digrignare i denti;
ƒ masticare continuamente oggetti (si pensi ai tappi delle penne);
ƒ masticare chewing-gum;
ƒ masticarsi le guance;
ƒ masticarsi le dita;
ƒ l’esigenza di fumare sigarette per la gestualità.
Le parafunzioni cambiano il tono muscolare caricando in modo alterato
l’articolazione, causando un vero e proprio rimodellarsi dell’articolazione, con
conseguenti distensioni legamentose e/o spostamento dei denti.

Ai fini del trattamento, è fondamentale sempre considerare, per il portamento, la colonna


cervicale, dorsale, la spalla e la struttura neurale.
I problemi a carico dell’ATM possono essere da miss od overuse, traumatici o infiammatori
(AR, artrite psoriasica…).

ESAME SOGGETTIVO (C/O):

PROBLEMA PRINCIPALE:
Il paziente può riferire:
• Dolore;
• Difficoltà a parlare;
• Difficoltà a masticare;
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• Difficoltà a mordere cibi grandi (ad esempio, una mela);


• Scrosci articolari;
• Difficoltà alla deglutizione (gesto che ogni soggetto compie circa duemila volte al
giorno);
• Tinnitus (Acufeni);
• Crepitìo a livello articolare;
• Blocchi articolari acuti;
• Pesantezza, iposensibilità e gonfiore soggettivo della lingua.

BODY CHART:
Possibili localizzazioni e manifestazioni dei sintomi:
• Zona articolare;
• Mal di testa;
• Orecchio;
• Mandibola e mascella;
• Tutte le strutture innervate dal nervo trigemino;
• Sinusiti ricorrenti;
• Colonna cervicale.

COMPORTAMENTO DEI SINTOMI:


I pazienti riferiscono spesso la presenza dei sintomi nei seguenti momenti durante le
ventiquattro ore:
• Mangiando;
• Sbadigliando;
• La notte: è opportuno chiedere a questi soggetti se dormano sul fianco ed
eventualmente con quanti cuscini;
• Parlando;
• Suonando il violino oppure strumenti a fiato.
Spesso si riscontrano sintomi associati quali vertigini ed alterazione del gusto.

DOMANDE SPECIALI:
E’ obbligatorio chiedere al paziente se presenti parafunzioni. Ancora, è importante
escludere artrite reumatoide e connettiviti. Infine bisogna valutare lo stato di stress:
attenzione, però, a non chiedere al soggetto se sia stressato (il 90% delle persone
risponderà di sì), ma se stia assumendo farmaci (specie ansiolitici).

STORIA DEI SINTOMI:


Se l’insorgenza è stata traumatica, potrà essere dovuta a fattori quali:
• Avere ricevuto pugni;
• Avere subito cadute;
• Avere subito colpi di frusta.
Nel caso la causa sia degenerativa, bisogna considerare:
• Capsule dentarie;
• Cure dentarie (spesso quelle eseguite parecchi anni fa, quando non si provava
la chiusura prima dell’otturazione)
Sono fattori predisponenti:
• Alterazioni della postura;
• Problemi di ipoacusia (i portatori sono soggetti che tendono a tenere la testa
leggermente ruotata dal lato sano)
180

• Persone che imparano una nuova lingua, a causa della difficoltà ad emettere un
suono nuovo;
• Giovani mamme (urlano più spesso);
• Attori e cantanti (utilizzo esagerato della bocca nel parlare).

A livello meccanico l’apertura normale della bocca è di 3-4 centimetri (tre-quattro dita tra le
arcate dentarie).
I primi due centimetri di apertura avvengono grazie a rotazione, i restanti per traslazione
delle superfici articolari. Per testare il movimento, si metta la lingua appena dietro gli
incisivi superiori, per poi aprire la bocca (rotazione); viceversa, la si metta appena dietro gli
inferiori, aprendo la bocca (traslazione).

ESAME FISICO (P/E):

ISPEZIONE:
Si osserva dapprima il portamento, analizzando la linea degli occhi, che deve essere
parallela ad una linea congiungente le spalle ed alla linea delle labbra (fig. 679).
Ispezione interna: si osserva se ai lati della lingua siano presenti le impronte dei denti o
delle cicatrici (fig. 680). Ancora si osserva l’interno delle guance, se vi siano cicatrici (fig.
681), oppure otturazioni dentarie; si osserva se la linea degli incisivi sia allineata e unica,
tra superiori ed inferiori. Persone che digrignino i denti, possono avere denti affilati. Si
esclude infine presenza di overbite (l’arcata dentaria superiore spostata in avanti rispetto a
quella inferiore).

Fig. 679 Fig. 680 Fig. 681

Fig. 679: osservazione del portamento.


Fig. 680: ispezione interna, dei bordi della lingua.
Fig. 681: ispezione interna, delle guance

MOVIMENTI ATTIVI:
• Apertura della bocca con labbra lontane dai denti (figg. 682. 683). Si analizzano
eventuali deviazioni laterali, correggendo ed ipercorreggendo, segnando
eventuali variazioni dei sintomi (fig. 684).
• Deviazione laterale. Nella norma la linea degli incisivi si sposta di un centimetro
(fig. 685).
• Protrazione (fig. 686). Normalmente il ROM è di un centimetro.
• Retrazione (fig. 687). Normalmente il ROM è di uno-due millimetri.
181

Fig. 682 Fig. 683 Fig. 684

Fig. 685

Fig. 686 Fig. 687

Fig. 682: apertura della bocca, partenza.


Fig. 683: apertura della bocca, arrivo.
Fig. 684: correzione di eventuali deviazioni laterali durante l’ apertura della bocca.
Fig. 685: deviazione laterale.
Fig. 686: protrazione.
Fig. 687: retrazione.

MOVIMENTI PASSIVI:
Mobilizzazione extraorale:
• Lateralizzazione (fig. 688). Il terapista resta sul fianco della deviazione laterale
a paziente supino. Con la mano opposta al lato fissa la testa e con l’altra,
afferrando con le dita lunghe la mandibola, compie il movimento. Se
necessario, compie OP fino ad un grado III++.
Movimenti accessori:
• AP: il terapista si pone di fronte al paziente, giacente sul fianco, per potere
imprimere attraverso i pollici, posti davanti alla mandibola (fig. 689), una spinta
con il corpo (fig. 690).
• PA: il terapista si pone dietro al paziente, giacente sul fianco, per potere
imprimere attraverso i pollici, posti dietro la mandibola appena sotto l’orecchio
(fig. 691), una spinta con il corpo (fig. 692).
• Trasversale mediale: il terapista si pone dietro al paziente, giacente sul fianco,
per potere imprimere attraverso i pollici, posti sullo spazio articolare (fig. 693) o
sulla mandibola (fig. 694), una spinta con il corpo.
Se non si trovino i sintomi si compiono con bocca in diverse posizioni di apertura.
182

Fig. 688: deviazione


laterale passiva. Il
terapista si pone di
lato al paziente, per
tirare, con le quattro
dita lunghe, a sé la
mandibola.
Fig. 689: posizione
dei pollici del terapista
per compiere un AP
Fig. 688 Fig. 689
della mandibola.
Fig. 690: AP della
mandibola. Di fronte
Fig. 690 al paziente giacente
sul fianco, il terapista
imprime la spinta con
il corpo.
Fig. 691: posizione
dei pollici del terapista
per compiere un PA
della mandibola.
Fig. 692: PA della
Fig. 691 mandibola. Dietro al
paziente giacente sul
fianco, il terapista
imprime la spinta con
Fig. 692 Fig. 693 Fig. 694 il corpo.
Fig. 693: movimento
accessorio trasversale
mediale della
mandibola con spinta
del terapista sullo
spazio articolare.
Fig. 694: movimento
accessorio trasversale
mediale della
mandibola con spinta
sulla mandibola.

Mobilizzazione intraorale:
• OP dell’apertura: il terapista pone i propri indici sull’arcata dentaria inferiore ed i
pollici su quella superiore, per poi spingere nella direzione idonea (fig. 695).
• OP in protrazione: il pollice viene utilizzato come un gancio (fig. 696), per poi
compiere OP alla fine della protrazione attiva asintomatica del paziente (fig.
697).
• Longitudinale caudale: il pollice viene appoggiato sulla parte superiore
dell’ultimo molare (fig. 698), per poi compiere la mobilizzazione nella direzione
opportuna (fig. 699).
• Trasversale laterale (fig. 700): il pollice viene posto sulla parte mediale del
dente, spingendo la gengiva in direzione trasversale laterale.
183

Fig. 696 Fig. 697

Fig. 695

Fig. 699 Fig. 700

Fig. 698

Fig. 695: OP dell’apertura della bocca con indici sull’arcata dentaria inferiore e pollici
sulla superiore.
Fig. 696: posizione del pollice “a gancio” per un’OP in protrazione.
Fig. 697: OP in protrazione.
Fig. 698: posizione del pollice, appoggiato alla parte superiore dell’ultimo molare, per
una mobilizzazione longitudinale caudale.
Fig. 699: mobilizzazione longitudinale caudale.
Fig. 700: mobilizzazione trasversale laterale, con pollice posto sulla parte mediale del
dente.
184

MANO

Un problema avvertito a livello della mano può avere diverse origini, anche molto lontane
dalla zona dolente. Sappiamo, ormai, come compiere la differenziazione tra dolore
irradiato e proiettato (riferito), per cui sarà importante giudicare le differenze eventuali di
intensità tra sintomi prossimali e distali.
ESAME SOGGETTIVO (C/O):
Con sintomi alla mano è sempre opportuno pensare ad eventuali origini nella colonna
cervicale, dorsale, coste, spalla, gomito, e tessuto neurale.
La maggior parte dei pazienti che soffrono nella mano riferiscono problemi di presa.
I sintomi possono essere di origine traumatica, di cui gli episodi più frequenti:
• Fratture: nei casi siano composte, la prognosi di recupero è favorevole,
altrimenti no, con la regola che maggiormente è complessa la frattura,
maggiormente arduo ne sarà il recupero.
• Distorsione: ne sono portatori pazienti con rappresentazione EOR che
necessitano di molta mobilizzazione, anche precocemente per orientare le fibre
della cicatrizzazione con un corretto orientamento per la migliore guarigione.
Ancora, i sintomi possono derivare da sindromi, quali:
• Malattia di Sudek, la cui diagnosi si basa su segni clinici (sintomi vegetativi e
troficità tissutale, con aumento della peluria) e radiologici (osteopenia generale
e/o locale). Ne sono portatori pazienti che spesso presentano allodenia, con
dolore spesso descritto come locale. A livello del piano di trattamento, bisogna
arrivare fino a T9 (sudotoma). In fase acuta non si bisogna lavorare
attivamente ma solo passivamente. Bisogna anche trattare tutte le strutture a
distanza che possono essere interfacce meccaniche per il tessuto neurale.
• Rizoartrosi: ottime tecniche sono compressione e shaft rotation.
• Sindrome del tunnel carpale: il double crash è un fenomeno facilissimo da
ritrovare a livello del nervo mediano. La storia classica è paziente con problemi
cervicali che poi sviluppa una sindrome del tunnel carpale. Pazienti a rischio
sono i diabetici (scarsa vascolarizzazione e quindi ridotta attività dei dei vasa
nervorum); chi svolga mestieri pesanti (si pensi a chi utilizzi parecchio il
martello pneumatico); chi svolga lavori fini (quali gli orefici); donne in
postmenopausa. Le fasi tipiche sono: formicolìo notturno (fase ideale per
essere trattata), fase media in cui i sintomi passano ad essere diurni durante il
lavoro manuale (come ad esempio difficoltà nel lavoro fine) ed in cui si possono
ancora trattare con terapia manuale in quanto il sintomo è meccanico, e fase
finale in cui i sintomi diventano “stanchi”, con perdita di forza (ipotrofia
dell’eminenza tenar), in cui con la terapia manuale si può ottenere poco o nulla.
L’incidenza è maggiore nelle donne, con il 20% delle donne in gravidanza che
sviluppano una sindrome del tunnel carpale bilaterale che si risolve da solo. La
flessione dorsale è limitata e la flessione palmare è sintomatica, in quanto
aumenta la compressione. L’esame neurologico è necessario ed il
neurodinamico è spessissimo positivo, con estensione orizzontale del carpo
(stiramento del legamento traverso del carpo) limitata.
ESAME FISICO (P/E):
Movimenti attivi:
• Flessione palmare (se dolente, è obbligatorio compiere una corretta
differenziazione strutturale attraverso una flessione laterale del collo): avendo
come repere per le ossa carpali le due rughe del polso (fig. 701), bisogna
differenziare i diversi livelli:
185

o Radiocarpica, prendendo la prima filiera di ossa (fig. 702)


o Mediocarpica, prendendo la seconda filiera di ossa (fig. 703)
o Carpometacarpale, prendendo le basi dei metacarpi (fig. 704).
Trovato il livello, bisogna individuare l’osso responsabile (fig. 705).
Fig. 701 Fig. 702 Fig. 703

Fig. 704 Fig. 705 Fig. 701: repere per le


ossa carpali.
Fig. 702: flessione
radiocarpica.
Fig. 703: flessione
mediocarpica.
Fig. 704: flessione
carpometacarpale.
Fig. 705: individuazione
dell’osso responsabile.

• Flessione dorsale: il procedimento non cambia, dovendo differenziare:


o Radiocarpica, prendendo la prima filiera di ossa (fig. 706)
o Mediocarpica, prendendo la seconda filiera di ossa (fig. 707)
o Carpometacarpale, prendendo le basi dei metacarpi (fig. 708).
Per poi, ovviamente individuare l’osso responsabile.

Fig. 706 Fig. 707 Fig. 708

Fig. 706: estensione radicoarpica.


Fig. 707: estensione mediocarpica.
Fig. 708: estensione carpometacarpale.
• Pronosupinazione (65,66): bisogna differenziare:
o Radioulnare distale (67). Afferro con la mano prox radio e ulna e con l’altra la
prima filiera, compiendo con OP con la prossimale: se il dolore aumenta il
problema è radioulnare, viceversa radiocarpico. Poi, la mano prossimale
trona indietro dalla posizione: se il dolore aumenta è radiocarpico, se
diminuisce, radioulnare.
186

o Radiocarpica: si compie la medesima manovra, spostandosi distalmente di


una filiera.
o Mediocarpica: si compie la medesima manovra, spostandosi distalmente di
una filiera.
o Carpometacarpale: si compie la medesima manovra, spostandosi
distalmente di una filiera.

MOVIMENTI ACCESSORI (68):


• Interfalangee e metacarpofalangee:
o PA
o AP
o Shaft rotation
o Trasversale med
o Trasversale lat
o Compressione
o Distrazione
• Direttamente sui metacarpi:
o AP
o PA
o Flessione orizzontale
o Estensione orizzontale
• Carpometacarpali:
o AP
o PA
o Flessione orizzontale
o Estensione orizzontale
o Shaft rotation
• Ossa carpali:
o PA
o AP
o Trasversale med di tutta la filiera
o Trasversale lat di tutta la filiera
o Compressione
o Distrazione
o Longitudinale caudale
o Longitudinale craniale
• Radioulnare:
o Compressione
o AP
o PA
o Longitudinale craniale
o Longitudinale caudale
o Estensione orizz
• Trapeziometacarpale:
o AP
o PA
o Shaft rotation
o Trasversale laterale
o Trasversale mediale
o Compressione
o Distrazione
187

• Radiocarpale e mediocarpale
o AP
o PA
o Trasversale mediale
o Trasversale laterale
o Distrazione
o Compressione

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