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Concetto Maitland Livello 2A
Concetto Maitland Livello 2A
Livello 2A
Riprendendo quanto già studiato nel primo livello, possiamo ben dire che la parte più
rivoluzionaria del concetto Maitland, costituendo in qualche modo il cuore pulsante del
ragionamento clinico, è il “muro semipermeabile di mattoni” (Fig. 1), con la sua parte
teorica, formata dalla conoscenza, e quella clinica, che viene fornita dal paziente
attraverso l’esame soggettivo e l’esame fisico.
Fig. 1:
Rappresentazione del
“Brick Wall” di
Maitland.
Fig. 1
Il processo del ragionamento clinico procede sempre in relazione alle categorie delle
ipotesi, che nel dettaglio sono:
1. Origine dei sintomi: è ciò che si comincia a vedere attraverso la compilazione
della body chart;
2. Gruppo Clinico: ossia Sin, ROM, EOR, Momp. Si comincia ad ipotizzare la
categoria clinica già dall’esame soggettivo, durante la valutazione del
comportamento dei sintomi, momento in cui si cercano anche i primi asterischi per
la rivalutazione soggettiva;
3. Meccanismi patobiologici del dolore: emergono sia dalla body chart che dal
comportamento dei sintomi. Tali meccanismi sono:
a. Relativi all’input:
I. Dolore nocicettivo: è il dolore trasportato dalle piccole fibre di tipo A-
delta e di tipo C, che determina la un sintomo (o segno paragonabile)
riproducibile con la caratteristica di essere ON/OFF. E’ il dolore che
deriva da strutture periferiche che non siano SN (es. articolazione,
muscolo, tendine…);
II. Neurogenico periferico: è il dolore che compare come sintomo (o
segno paragonabile) riproducibile con la caratteristica di essere
ON/OFF di fronte a problemi radicolari, del plesso o dei 12 nervi
cranici. E’ il meccanismo patobiologico che trova nel SNP la fonte del
sintomo.
b. Relativi al processing: la I.A.S.P. (Associazione Internazionale per lo studio
del dolore) ha cambiato il nome di questo tipo di meccanismo patogenetico
da “centrale” in “processing”, intendendo in tal modo problemi di tutto il SNC:
midollo, vie spinotalamiche discendenti, ecc. Il dolore per problemi relativi al
“processing”, derivano da un bombardamento di input piuttosto lungo (dolore
cronico), che provoca un cambiamento a livello del midollo. Si pensi come
siano stati rilevati da studi con RMN dei cambiamenti chimici e strutturali a
livello del midollo, anche solo dopo 2-3 giorni. Il SN ha una sorta di
“memoria” del dolore. Per avere un coinvolgimento del processing nei
meccanismi del dolore, intervengono fattori della sfera psicologica, affettiva,
cognitiva, che possono determinare anche la “paura” del dolore.
1
c. Relativi all’output: sono i sintomi legati a problemi del SN neurovegetativo
(dolore simpatico mantenuto, neuroalgodistrofia), sistema immunitario,
sistema endocrino, influenza genetica.
Con questo abbiamo coinvolto tutti i fattori biopsicosociali del paziente.
4. Influenza del problema sulla qualità di vita del paziente: è fondamentale capire
a quale livello della scala ICF (classificazione internazionale della funzione)
possiamo inserire il caso in esame. La scala prevede quattro livelli:
a. Danno anatomico
b. Disfunzione del movimento
c. Disabilità
d. Handicap
La scelta viene determinata in base a quali attività riesca a svolgere il paziente in
relazione alla sua partecipazione nell’ambiente sociale.
5. Fattori predisponenti: ad esempio rigidità, postura, famiglia, o tutto ciò che possa
negativamente influenzare i sintomi.
6. Precauzioni e controindicazioni: se ne viene a conoscenza attraverso le
domande speciali (chirurgia, patologia, salute generale, farmaci…). E’ importante
avere rispetto di:
a. processi infiammatori ancora in atto;
b. instabilità del problema;
c. iperalgesia o allodinia, con problemi di processing;
d. influenza sociale del paziente (ossia per l’aspetto biopsicosociale);
e. tolleranza del dolore del paziente
f. latenza del sintomo
g. tutte le situazioni in cui “i conti non tornano”, quando cioè le risposte dei
sintomi del paziente non siano normali.
7. Prognosi: la si può ipotizzare attraverso l’analisi della storia del paziente. E’
importante perché sarà sicuramente uno degli aspetti di cui il paziente vorrà essere
informato.
8. Managment e trattamento: si tratta di sapere quale possa essere il trattamento, se
manuale, esercizi o psicologia? (ad esempio, a volte è opportuno insegnare al
paziente che di fronte al suo problema egli può vivere bene ugualmente e che il
dolore non debba aumentare per forza)
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3. Dimostrazione funzionale: proibito con pazienti Sin, serve a differenziare le diverse
strutture, fondamentalmente per stilarne una sorta di “classifica” dell’ordine di
trattamento, ed eventualmente per cambiare distretto su cui svolgere l’esame
soggettivo e piano di trattamento. Serve altresì a trovare i primi asterischi
dell’esame fisico per la rivalutazione. Concettualmente, sappiamo come bisogna
avere un movimento, un sintomo e diverse strutture supposte origine del problema.
Ad esempio, prendiamo in considerazione un soggetto che presenti un sintomo
lombare in rotazione a destra: il sintomo potrà essere di pertinenza lombare o
dell’anca. Per potere differenziare, si fa giungere il paziente in rotazione fino al
primo sintomo (P1) (fig. 2), per poi, fissando il bacino, aumentare la rotazione
lombare (fig. 3), in modo da muovere solo la colonna: se il sintomo aumentasse,
sarebbe di origine lombare, altrimenti dell’anca. Ancora, lo stesso sintomo potrebbe
comparire in rotazione ed estensione, come in un tennista che sia al servizio. La
fonte potrebbe stare nella colonna lombare, nell’anca o nella sacroiliaca. Per
differenziare, si fa giungere il paziente fino a P1, cercando con le dita la SIPS che
dovrà essere ferma (fig. 4) anche quando si chiederà al paziente di alzare il tallone
di un millimetro (fig. 5) per togliere stress all’anca. Evidentemente, se il sintomo
diminuisse, troverebbe nell’anca la propria origine, altrimenti potrebbe essere sia
lombare che sacroiliaco. A questo punto si dovrebbe differenziare la colonna
lombare dall’articolazione sacroiliaca, attraverso un’aggiunta di PA locali ad ogni
livello delle vertebre lombari (fig. 6), ricordandosi però, che per la presenza del
potente legamento ileolombare, un sintomo che aumentasse con PA a livello di L4
o L5, andrebbe comunque differenziato con il test sulla sacroiliaca. Se con PA locali
lombari il sintomo non fosse cambiato, si dovrebbe procedere con differenziazione
sacroiliaca, mediante approssimazione (fig. 7).
Fig. 4
Fig. 2 Fig. 3
3
Fig. 5 Fig. 6 Fig. 7
4
Fig. 8 Fig. 9
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• Sintomo in estensione con paziente sul fianco sano. Giunti a P1, si compie
un’antiversione dell’ileo (fig. 16), con cui si toglie estensione dell’anca, e si
aumenta lo stress lombare e sacroiliaco: se il dolore diminuisce è dell’anca, se
aumenta è di pertinenza lombare o sacroiliaco. Per differenziare poi lombare e
sacroiliaca, si toglie estensione lombare mediante flessione dell’anca
controlaterale (fig. 17), ricompiendo la manovra: se il dolore cambia, è lombare,
altrimenti di origine sacroiliaca.
Fig. 16 Fig. 17
Fig. 16: dolore in estensione con paziente sul fianco sano. Si compie un’antiversione
dell’ileo, per diminuire lo stress dell’anca, aumentandolo su anca e lombare.
Fig. 17: si ricompie la manovra con flessione della coscia controlaterale per diminuire lo
stress in estensione della colonna lombare.
• Paziente con dolore lombare mentre si allaccia le scarpe (fig. 18). L’origina potrà
essere neurale, nella colonna lombare, nell’anca o nell’articolazione sacroiliaca.
Bisogna, quindi, dapprima differenziare la struttura neurale, mediante flessione
della colonna cervicale (fig. 19): se il sintomo cambia è di pertinenza neurale,
altrimenti non vi è predominanza neurodinamica. Quindi si chiede al paziente
un’estensione lombare attiva (aumenta anche la flessione dell’anca) (fig. 20): se
il dolore aumenta, è da riferirsi all’anca, altrimenti lombare o sacroiliacale. Per
differenziare l’articolazione sacroiliaca, si compie approssimazione (fig. 21). Per
proseguire, invece, con la differenziazione lombare, è necessario compiere
fissazione di bacino (fig. 22), per poi chiedere al paziente una rotazione a destra
mantenendo fermo il bacino (fig. 23). Infine, per differenziare l’anca, si chiede al
paziente di sollevare il tallone di un millimetro, mentre con le dita si sente che la
SIPS non si muova (fig. 24).
• Dolore lombare con flessione di coscia. Si compie una flessione passiva della
coscia fino a P1 (fig. 25). Quindi si pone la mano caudale sulla tuberosità
ischiatica del lato affetto (fig. 26), mentre l’altre viene posta a “L” sull’ileo. A
questo punto, mentre il terapista tiene il ginocchio del paziente tra mento e petto
(fig. 27), compie una retroversione dell’ileo (fig. 28): se il dolore aumenta è di
pertinenza lombare, altrimenti dell’anca o della sacroiliaca. Per ulteriore
differenziazione, si “fa uscire” dalla flessione lombare il paziente con la propria
mano dietro la schiena (fig. 29), compiendo nuovamente retroversione dell’ileo:
se il dolore aumenta è sacroiliacale, altrimenti lombare.
Fig. 25 Fig. 27
Fig. 26
7
Fig. 28 Fig. 29 Fig. 30
• Dolore in flessione di coscia con paziente sul fianco sano. Dalla posizione in cui
compare P1 si compie una retroversione dell’ileo (fig. 31): se il dolore aumenta
deriva dalla colonna lombare o dalla sacroiliaca, altrimenti dall’anca. Per
differenziare lombare e sacroiliaca, si fa uscire dalla flessione lombare il
paziente mediante l’estensione della coscia controlaterale (fig. 32): se il dolore
aumenta è dell’articolazione sacroiliaca, altrimenti della colonna lombare.
Fig. 31 Fig. 32
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• Combinati
• Mantenuti
• Ripetuti
• Più veloci
• Contro resistenza di un peso.
Possiamo riportare alcuni esempi di movimenti combinati, per cui esistono due
schemi di movimento:
1. Regolari: movimenti che hanno risposta identica ad uno stress ripetuto. Ad
esempio, il movimento di flessione lombare riproducente un sintomo
rappresenta uno stress in apertura. Possiamo pensare che la flessione
controlaterale al dolore sia anch’esso in apertura, come, invece, l’estensione
sia di chiusura, quanto la flessione omolaterale. Quindi, sarà un sintomo
regolare, quello che abbia un paziente con dolore a sinistra in flessione
laterale destra (apertura), e che venga riprodotto anche in flessione
(apertura).
2. Irregolari: sono quegli schemi di movimento che provochino sintomi non
rispondenti alle regole anzidette. Un esempio può essere un paziente con
dolore a sinistra in flessione omolaterale e che abbia lo stesso sintomo in
flessione. In generale i pazienti con sintomi a schemi irregolari hanno
prognosi peggiore di quelli con schemi regolari. Si ritrovano spesso in
pazienti che hanno subito traumi ed hanno altresì un comportamento di
guarigione meno prevedibile dello schema di movimento regolare.
I movimenti combinati a scopo di trattamento possono essere utilizzati per pazienti
EOR (verso la posizione funzionale, dolente), o per i pazienti Sin (verso la
posizione antalgica). Anche i pazienti Momp richiedono movimenti combinati per
valutare e trattare.
E’ importante sottolineare come in pazienti in cui il sintomo sia attraverso il Rom il
paziente debba essere posizionato in quel determinato punto e non in EOR.
Vediamo alcuni esempi di movimenti combinati:
• Flessione attiva (fig. 33)
• Fissazione del bacino per combinare flessione e rotazione (fig. 34)
• Flessione combinata con rotazione destra ed OP (fig. 35)
• Flessione combinata con rotazione sinistra ed OP (fig. 36)
• Flessione combinata con flessione laterale sinistra ed OP (fig. 37)
• Flessione combinata con flessione laterale destra ed OP (fig. 38)
• Flessione combinata con flessione laterale destra e rotazione a sinistra (fig. 39)
• Estensione ed OP compiuta con entrambe le mani dietro al paziente (fig. 40)
• Estensione ed OP compiuta con una mano sul petto ed una a fissare il bacino
(fig. 41)
• Estensione combinata a flessione laterale destra e rotazione a destra (fig. 42)
• Flessione laterale destra combinata a estensione e rotazione destra (fig. 43).
Cambiare la sequenza è opportuno perché sono due movimenti clinicamente
differenti.
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Fig. 33 Fig. 34 Fig. 35 Fig. 36
Fig. 40
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riflesso tricipitale (fig. 44) e la prova della forza in flessione dorsale dell’alluce (fig.
45).
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Fig. 46 Fig. 47 Fig. 48 Fig. 49
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La prima differenziazione che si può compiere è quello che viene definito
“Bowstring test”, ossia una pressione coi pollici sul nervo sciatico (figg. 54 e 55), per
poi compiere differenziazione con flessione dorsale del piede (se il sintomo è
prossimale, fig. 56).
Fig. 54 Fig. 55
Fig. 56
Fig. 54: SLR con Bowstring Test, compressione coi pollici sul nervo sciatico.
Fig. 55: particolare dei pollici per il Bowstring test.
Fig. 56: SLR con differenziazione in flessione dorsale del piede.
Spesso può essere necessario differenziare il nervo tibiale dal nervo tibiale
(entrambi in tensione flessione dorsale). Per farlo, è necessario portare prima il
piede in posizione fino a P1, per poi compiere lo SLR fino a R2, valutando se il
sintomo cambia.
Per il nervo surale, bisognerà perciò prima portare il piede in flessione dorsale,
supinazione, adduzione ed inversione alla ricerca del sintomo (fig. 57), per poi, col
piede in tale posizione iniziare lo SLR (fig. 58), arrivando fino a R2 (fig. 59), poiché
bisogna ricordarsi, che compiendo un test neurodinamico si costruisce un
diagramma di movimento.
Fig. 57: SLR per il nervo surale. Si porta il piede in flessione dorsale, supinazione,
adduzione ed inversione alla ricerca del sintomo fino a P1.
Fig. 58: col piede nella medesima posizione, si inizia lo SLR.
Fig. 59: lo SLR finisce a R2.
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Per il nervo tibiale, invece, cambia solo la posizione del piede. Infatti si cerca prima
il sintomo fino a P1, portando il piede in flessione dorsale, pronazione, abduzione
ed eversione (fig. 60). Quindi si inizia lo SLR mantenendo il piede in tale posizione
(fig. 61), per terminarlo a R2 (fig. 62).
Fig. 60 Fig. 61
Fig. 62
Fig. 60: SLR per il nervo tibiale. Si porta il piede in flessione dorsale, pronazione,
abduzione ed eversione alla ricerca del sintomo fino a P1.
Fig. 61: col piede nella medesima posizione, si inizia lo SLR.
Fig. 62: lo SLR finisce a R2.
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Il secondo test appartenente ai LLNT è il PBK. Anch’esso prevede alcune varianti,
fondamentalmente due, oltre al test di base: la differenziazione per il nervo cutaneo
laterale ed il test dinamico per il nervo safeno.
La prima operazione da compiere per effettuare correttamente questo test è il
controllo dell’allineamento della zona lombare e dell’articolazione sacroiliaca (fig.
67), quindi si compie l’adeguata fissazione attraverso un PA unilaterale angolato
caudalmente del sacro (fig. 68). L’inizio del test prevede flessione passiva del
ginocchio (fig. 69), completando un diagramma di movimento di questo movimento
(fig. 70). Per differenziare il nervo cutaneo laterale della coscia, è sufficiente portare
la coscia in adduzione (fig. 71).
Fig. 70
Fig. 71
Il test dinamico per il nervo safeno, invece, inizia con estensione, abduzione e
rotazione esterna di anca, fissando il bacino, e con leggera flessione di ginocchio
(fig. 72). E’ con l’estensione di ginocchio che si comincia la ricerca del sintomo (fig.
73), per poi differenziare sia con flessione del piede sia plantare che dorsale (fig.
74), poiché si è visto che il sintomo può clinicamente cambiare con entrambi i
movimenti, a causa delle ricche varianti anatomiche esistenti.
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Fig. 72 Fig. 73
(fig.
Fig.74)
72: test neurodinamico per il nervo
Fig. 74
safeno. Partenza con ginocchio
leggermente flesso ed anca estesa,
abdotta ed extraruotata.
Fig. 73: ricerca del sintomo con
estensione di ginocchio.
Fig. 74: differenziazione sia con flessione
plantare che con flessione dorsale del
piede, dal momento che le numerosi
varianti anatomiche possono determinare
variazioni cliniche con entrambi i
movimenti.
Il terzo test rientrante nei LLNT è lo slump, non paragonabile agli altri test per
diversi motivi:
o è un test di tensione generale di tutto il midollo;
o non è eseguibile di fronte a lombosciatalgie, per rispetto della natura
discogenica del problema. Con tali pazienti è senz’altro da preferirsi lo SLR;
o nello slump, il midollo è completamente ventrale, per cui si procura già uno
stiramento delle radici con la sola posizione;
o nello SLR e nel PKB si compie una mobilizzazione del sistema nervoso
partendo distalmente, mentre con lo slump si procura molta più tensione, dal
momento che inizia con anca già in flessione.
Possiamo dividere lo slump classico dalle sue tre varianti esistenti: long sitting
slump (LSS), per l’otturatorio e lo slump femorale.
Lo slump classico inizia con paziente seduto sul bordo del lettino, mani dietro la
schiena, sacro verticalizzato. Da questa posizione si procede con un’OP della
colonna lombare (fig. 75), si continua con OP sul tratto cervicale e toracico (fig. 76),
per poi fissare la posizione con la propria mano sulla testa, e gomito appoggiato
alle spalle del paziente (fig. 77). Da questo punto si procede con estensione di
ginocchio (fig. 78), verificando se con un’estensione cervicale aumenti (fig. 79),
eseguendo poi l’operazione anche controlateralmente (fig. 80).
16
Fig. 75 Fig. 76 Fig. 77
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(fig. 83). Si possono aggiungere alcune progressioni come l’estensione del
ginocchio controlaterale (fig. 84), oppure flessione dorsale dei piedi (fig. 85).
Fig. 81 Fig. 82
Fig. 83 Fig. 84
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Fig. 86: slump
per il nervo
otturatorio. Il
paziente siede
sul lettino
facendo
scendere le
gambe fuori dai
lati lunghi.
L’ultima variante possibile per lo Slump è quella per il nervo femorale. In pratica si
tratta di compiere un PBK sul fianco, aggiungendo una posizione di slump della
colonna lombare. Il paziente giace sul fianco controlaterale a quello da testare,
tenendo il ginocchio flesso al petto con le mani (figg. 88 - 89). Quindi il
fisioterapista, seduto sul letto postero-caudalmente al paziente, comincia a
compiere una flessione passiva di ginocchio fino a R1 (fig. 90), fissando il bacino
del paziente (fig. 91), per potere portare il ginocchio in flessione fino a P1 (fig.92),
differenziando il sintomo con flessione cervicale.
Fig. 90
Fig. 88 Fig. 89
Fig.
Fig.88:
88: posizione di slump sul
Fig. 91 Fig. 92
fianco.
Fig. 89: il paziente si tiene il
ginocchio sano al petto.
Fig. 90: flessione passiva di
ginocchio fino a R1.
Fig. 91: fissazione di bacino.
Fig. 92: flessione passiva di
ginocchio fino a P1, dove verrà
compiuta differenziazione.
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In realtà, da tale posizione di “slump sul fianco”, è possibile compiere altre
differenziazioni, per i nervi dell’arto inferiore:
• cutaneo laterale della coscia, attraverso adduzione dell’anca (fig. 93);
• otturatorio, con abduzione dell’anca (fig. 94);
• safeno, con estensione di ginocchio in abduzione dell’anca (fig. 95),
posizione da cui è possibile cercare ulteriormente il sintomo, attraverso
flessio-estensione della tibiotarsica (fig. 96), a causa delle anastomosi
presenti distalmente.
Nei casi in cui l’ estensione cervicale aumenti i sintomi, è possibile che il fatto sia
dovuto a stiramenti della parte anteriore della dura madre ed alla presenza della
catena simpatica (da C7 passa anteriormente). Per questo motivo è lecito cercare il
sintomo, differenziando un test neurodinamico anche con estensione cervicale.
Per ciò che concerne gli ULNT, il primo da prendere in considerazione è l’ULNT1,
eseguibile sia a paziente supino che prono, per rendere più agevole la rivalutazione in
posizione si stia trattando il paziente. E’ un test particolarmente rivolto al nervo
mediano, indicato particolarmente nei casi di:
• Cervicobrachialgia
• Problemi prossimali
• Problemi in flessione e abduzione spalla
• Problemi in estensione di gomito
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• Problemi di tunnel carpale
In questo test la componente maggiore è l’abduzione di spalla.
Sono state descritte tre modalità per compiere l’ULNT1 da prono:
• Nella prima il terapista è in piedi di fronte al paziente, mentre con il proprio
gomito più vicino al soggetto fissa la spalla, andando con il braccio a reggere
l’arto superiore del paziente al gomito, prendendo con l’altra mano quella del
paziente (fig. 97). In questa posizione si hanno già le componenti di
abduzione, extrarotazione di spalla, supinazione di avambraccio ed
estensione di polso e dita. E’ perciò semplice aggiungere estensione di
gomito (fig. 98).
• Nella seconda versione il fisioterapista resta, invece, dietro al paziente,
fissando con il proprio gomito la spalla del soggetto e reggendo l’arto
superiore alla stessa maniera vista in precedenza, mentre con l’altra mano
tiene quella del paziente in maniera simile al test classico (fig. 99). Anche in
questo caso si hanno già le componenti di abduzione, extrarotazione di
spalla, supinazione di avambraccio ed estensione di polso e dita. E’ perciò
semplice aggiungere estensione di gomito (fig. 100).
• La terza versione prevede le stesse modalità di esecuzione del test classico
da supino, con la sola differenza che il paziente è prono (fig. 101).
Fig. 98:
Fig. 97 ULNT1 da
prono.
Posizione di
Fig. 99 Fig. 100 arrivo della
prima
versione.
Fig. 99:
ULNT1 da
prono.
Posizione di
partenza della
seconda
versione.
Fig. 100: ULNT1 da prono. Posizione di arrivo
della seconda versione.
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L’ULNT2a è anch’esso un test particolarmente dedicato al nervo mediano, dove, però,
la componente maggiore è l’estensione di spalla. Risulta particolarmente utile con:
• Problemi all’arto superiore con movimenti in basso
• Spalle SIn
Il paziente giace supino sul letto e leggermente in diagonale, in modo da avere il
moncone di spalla fuori dal letto, mentre il terapista è posto leggermente dietro dal lato
da esaminare, ponendo il proprio inguine a contatto con la spalla del paziente,
reggendo l’arto in esame appena prossimamente al gomito con la mano vicina al
paziente e vicino al polso con l’altra (fig. 102). La sequenza dei movimenti è
completamente diversa, prevedendo:
• Depressione del cingolo scapolare (fig. 103) attraverso una spinta
dall’inguine del fisioterapista;
• Estensione di gomito (fig.104);
• Abduzione di spalla a 10° (fig. 105);
• Rotazione esterna di spalla (fig. 106);
• Estensione di polso (fig. 107), cambiando presa alla mano del paziente in
modo che il proprio pollice blocchi quello del paziente (fig. 110);
• Estensione delle dita fino all’end of range (fig. 108);
• Differenziazione strutturale, preferibilmente con desensibilizzazione del
plesso brachiale, ad esempio con flessione omolaterale della colonna
cervicale (fig. 109).
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Fig. 102: ULNT2a, partenza.
Fig. 103: ULNT2a, depressione del cingolo
scapolare.
Fig. 104: ULNT2a, estensione di gomito.
Fig. 105: ULNT2a, abduzione di spalla a 10°.
Fig. 106: ULNT2a, rotazione esterna di spalla.
Fig. 107: ULNT2a, estensione di polso.
Fig. 108: ULNT2a, estensione di dita fino
all’EOR.
Fig. 109: ULNT2a, desensibilizzazione del
plesso brachiale con flessione cervicale
controlaterale.
Fig. 110
Fig. 110: posizione della mano per il ULNT2a.
L’ULNTT2b è, invece un test molto sensibile per il nervo radiale, motivo per cui
richiede una certa cautela. E’ importante sottolineare l’esistenza dell’arcata di Froze,
dove il nervo radiale dona diramazioni al muscolo interosseo posteriore (si pensi al
dolore nell’epicondilite). A livello della mano il radiale è deputato alla regione dorsale
delle prime tre dita. E’ un test che per i pazienti SIn richiede ulteriore cautela: mentre
per il test normale il paziente giace supino come per il ULNT2a, in questi casi rimane
con entrambe le spalle ben appoggiate sul letto, mentre l’operatore porta l’arto in
esame in intrarotazione di spalla a gomito esteso, flessione di polso e pollice (fig. 111),
per poi aggiungere flessione di tutte le dita ed eventuale leggera abduzione di spalla
(fig.112).
Nel test classico, invece, la spalla del lato in esame esce dal lettino, sicché il terapista
può imprimere depressione di cingolo scapolare con il proprio inguine, mentre con la
propria mano omolaterale a quella in esame del paziente può aggiungere rotazione
interna di spalla e con l’altra portare il braccio in abduzione a 10° (fig. 113), per poi
aggiungere ancora pronazione ed estensione di gomito (fig. 114). A questo punto il
fisioterapista cambia presa, andando con entrambe le proprie mani su quella del
soggetto (fig. 115), in modo da tenere le dita lunghe in flessione con il pollice flesso sul
palmo portando il polso in deviazione ulnare (fig. 116). Da qui l’esaminatore potrà
ancore aggiungere ulteriore abduzione (fig. 117) ed estensione di spalla (fig.118).
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Fig. 114 Fig. 115 Fig. 116
L’ultimo test, il ULNT3, è relativo all’ulnare, che passa attraverso tunnel importanti
come il canale di Guyon ed il canale cubitale al gomito. Ugo Rolf ha definito il test
come ULNT3a in supinazione ed ULNT3b in pronazione di avambraccio, poiché è stato
visto che a volte è più sensibile in supinazione.
Con paziente supino sul letto e terapista dal lato da esaminare, il test prevede una
sequenza standard di movimenti che è la seguente:
• Supinazione di avambraccio fino all’end of range, estensione di polso fino
all’end of range e flessione di gomito fino all’0end of range (figg. 119 – 120);
• Depressione di cingolo scapolare, che può essere eseguita con pugno sul
tavolo come nel ULNT1 (fig. 121), oppure avvolgendo il moncone di spalla
del paziente da sotto (fig. 122);
• Abduzione di spalla (fig. 123)
Tutta la sequenza può essere eseguita come ULNT3b, ossia con avambraccio in
pronazione (fig.124).
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Fig. 119 Fig. 120
25
Esistono alcune varianti ai test di base, come, ad esempio, per il muscolocutaneo, per
cui bisogna procedere ad estensione di spalla dopo l’ULNT2b, o, ancora, per
l’ascellare, per cui è necessario compiere depressione, protrazione e rotazione interna
di spalla. Bisogna ricordare che esistono numerose anastomosi che dal nervo mediano
vanno all’ulnare, per cui bisogna ricordarsi che i test non sono “esclusivi”, ma tutti
vanno a testare il plesso prima che un singolo nervo.
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NEUROANATOMIA E NEURODINAMICA
SNC:
Prima di parlare di neurodinamica, è opportuno affrontare una premessa di
neuroanatomia. Maitland ha parlato un “segno del canale”: la sezione trasversale,
disegna, infatti, a livello cervicale un triangolo, a livello dorsale un cerchio ed a livello
lombare nuovamente un triangolo.
Per un risvolto poi sulla meccanica, si pensi come nel tratto compreso tra T6 e T9, lo
spazio epidurale occupato da sostanza sia solo del 5%, mentre a livello cervicale e
lombare può raggiungere anche il 35% (fig. 125).
Con un movimento in flessione si possono raggiungere fino a 13 centimetri di
allungamento del midollo spinale, che a livello toracico è più stretto.
La cauda equina (fig. 126) comincia a L3 da bambino e ad L1 in età avanzata.
Il forame intervertebrale è anch’esso un canale osseo che si stringe, in estensione, fino al
50%, rappresentando così un’interfaccia meccanica non così protettiva per le radici (fig.
127) quanto si potrebbe pensare. Il forame può essere lungo fino a 2,5 centimetri,
diventando di fatto un lungo tunnel per le radici.
All’interno del canale vertebrale, la prima cosa che si incontra, in un accesso posteriore, è
il legamento longitudinale posteriore, che può essere fonte di sintomi, in quanto
riccamente innervato del nervo sinuvertebrale, oltre che diventare limite al movimento,
poiché non molto elastico, rispetto al legamento giallo. Il nervo sinuvertebrale inoltre il
disco (anulus) e la dura madre, per cui non si po’ essere subito certi dalla fonte dei
sintomi.
La dura madre è la vera protagonista nel “segno del canale”. Può essere all’origine dei
sintomi e può limitare la mobilità: è infatti fissata al forame magno, a C1-2-3 (parte
dorsale) ed all’osso sacro (S1-2) con il filo terminale, che è, di fatto, un prolungamento
della dura.
Il forame intervertebrale a livello del sacro è ancora più lungo.
La dura madre è molto resistente, perché ricca di fibre collagene. Alcune teorie
sostengono che la dura madre non può essere elastica, e che non si può allungare
neppure dell’1%. Questo però non ci spiegherebbe come sia possibile allungare di 9
centimetri il SN.
La dura madre può essere fonte di sintomi, pensando ancora al nervo di Luska, che
innerva anche il legamento longitudinale posteriore: si pensi come Cyriax già nell’82
parlava dei sintomi extrasegmentari riferibili a tale struttura. La dura è riccamente
vascolarizzata da arterie, a loro volta sono innervate. La parte dorsale del tratto C1-C3 è
più spessa e meno elastica, con più scarsa vascolarizzazione. Dal punto di vista
vascolare, si è visto come nello spazio subdurale, a livello cervicale sia presente solo
sangue venoso, mentre a livello lombare sono stati rilevati anche molti lipidi, che sono
riccamente innervati. Ancora, nello spazio subdurale è possibile ritrovare liquido sieroso
che separa la meninge più esterna dall’aracnoide, che è molto elastica e sensibile.
La dura, uscita dal canale, diventa epirinervio, che ha ben 15 strati, a conferire solidità e
resistenza: per potere creare diastasi, occorre una pressione di 600 mmgh (si pensi come,
normalmente, al tunnel carpale sia di 2,5 mmgh).
L’aracnoide ha una importante funzione di protezione per il liquor, che a sua volta
protegge il SN durante il movimento e lo nutre (il 50% della nutrizione della radice arriva
dal liquor). Variazioni di pressione del liquor portano sintomi importantissimi.
La pia madre è molto vascolarizzata ed innervata, per cui molto sensibile, ed è legata da
21 paia di legamenti denticolari che partono dalla pia ed arrivano alla dura madre,
attraverso l’aracnoide.
27
Di fronte a problemi difficilmente decifrabili di mobilità del SN, bisogna ricordare l’esistenza
di una ricca serie di tumori (dai meningiomi ai carcinomi) ad ogni livello del SN.
Ancora, è stato dimostrato che possono esserci piccole lesioni del SN che non vengono
individuate agli esami strumentali, od interruzioni di conduzione di causa edemaigena.
28
SNP:
Prima di diventare radici, dal midollo escono una serie di piccoli fasci nervosi riccamente
vascolarizzati, che possono spiegare le differenze soggettive dei dermatomeri, oltre al
fatto che ogni radice dona anastomosi a quella superiore ed a quella inferiore.
Nel punto in cui la radice fuoriesce, la dura madre diventa epinervio; anche la dura ad ogni
livello è fissata con legamenti, in particolare quello di Hoffmann, che la vincola al forame.
Il forame è la prima interfaccia meccanica, all’interno della quale troviamo pure vasi ed
altre importanti strutture.
A livello cervicale le radici escono orizzontali (test neurali trasversali), molto vicine
all’arteria vertebrale (si pensi quindi come il mal di testa pulsante possa essere non di sola
origine vascolare); a livello toracico devono, invece, salire per trovare il forame, per poi
scendere di nuovo (ricordiamo che è il sito con la minore quantità di spazio); a livello
lombare, infine, le radici sono più verticali (test neurali longitudinali).
A livello toracico è possibile ritrovare numerose interfacce meccaniche (coste e
legamenti), che hanno altresì il ruolo di concedere minori possibilità di movimento.
La radice anteriore è responsabile dell’innervazione del dermatomero, sclerotoma,
miotoma …; la radice posteriore è responsabile dell’innervazione di cute, del multifido, del
sistema muscolare paravertebrale, dei legamenti sopra ed interspinoso; il ramo, invece,
mediale innerva l’articolazione.
Rami posteriori particolari sono quelli delle radici di T2 (arriva alla spalla), di T7 (arriva alla
zona di transizione toracolombare) e di L2 (arriva fino al bacino).
Anche nella parte inferiore del corpo esiste un grande plesso, in cui S1 è la radice più
verticale.
Già si sa quanto sia molto importante la vascolarizzazione del SN, che rappresenta il 2%
del peso del corpo, ma richieda il 20% di O2 che ogni soggetto incamera.
Normalmente si trovano 8 arterie, ma ci sono varianti che vanno da 2 a 17. L’arteria
spinale inferiore è responsabile della vascolarizzazione del 75% del midollo spinale, tanto
che problemi a suo carico portano alla “claudicatio intermittens”.
Esiste altresì un’importante vascolarizzazione epidurale intraneurale.
Il sistema venoso è pure molto importante, soprattutto quando insorgano problemi di
edema in danni meccanici del disco, con fibrotizzazione dei tessuti.
Anche la parte anteriore della vertebra è molto vascolarizzata: durante un test, ad esempio
lo slump, la vascolarizzazione diminuisce.
L’arteria radicolare vascolarizza le radici, le vertebre ed il muscolo, per cui problemi
ischemici legati a disfunzioni meccaniche possono colpire diverse strutture.
Quando effettuiamo in test neurale non possiamo con certezza accertare che testiamo un
solo nervo, ma nella realtà mettiamo in tensione il plesso e tutte le sue anastomosi, grazie
alle quali possiamo sicuramente affermare che i dermatomero sono differenti in ogni
paziente.
La distribuzione plessiforme dei nervi serve a donare elasticità, e quindi protezione, per il
nervo sottoposto a movimento.
L’epinervio, protezione del fascicolo, è il prolungamento della dura, il perinervio, invece,
dell’aracnoide e quindi l’endonervio della piamadre. Laddove il nervo passi sotto zone
pericolose, esiste una quantità maggiore di fascicoli e di mesonervio interposto ad essi. La
dimensione del nervo non influenza la sua sensibilità, poiché quest’ultima dipende
unicamente dalla qualità della sua costituzione.
Le fibre nocicettive sono le A-delta, amieliniche (pelle, articolazione, muscoli, arterie…), e
le fibre C, mieliniche, entrambe di piccolo calibro.
29
Il perinervio dona grande protezione ai fascicoli, sia meccanicamente (sono necessari
300-700 mmhg per determinarne lesione), sia di fronte ad infezioni, dal momento che una
lesione virale o batteriologica può diffondersi attraverso la barriera di diffusione.
Il SN ha propria vascolarizzazione ed
innervazione (vasa e nerva nervorum).
L’importanza della vascolarizzazione viene
spiegata con il 20% totale di O2 ricevuto da
questo tessuto. Si pensi come con appena
l’8% di stiramento del nervo mediano la
vascolarizzazione subisca una diminuzione,
mentre con il 15% avviene l’interruzione della
vascolarizzazione.
Millesi nell’86 ha dimostrato che con l’ ULNT1
si ottiene il 20% di elongazione del nervo
mediano.
Un aspetto importante da ricordare è la
presenza di AIGS (Abnormal Impulse
Generatine Sites), dove, a causa di trauma,
infezione, compressione o altro, la
Fig. 128 vascolarizzazione, anche solo a livello di una
cellula, vada incontro ad ischemia, dando un
impulso continuo e mantenuto con
Fig. 128: il tronco simpatico ed i suoi conseguente problema di processing.
21–25 gangli. La catena del SN simpatico ha 21-25 gangli
(fig. 128). Si può ben dire come
vascolarizzazione e SN simpatico vadano considerati assieme, poiché quest’ultimo
controlla la prima, motivo per cui non è possibile pensare unicamente ad una delle due
strutture.
30
avevano dolore alla spalla, mentre Narakas, durante una ricerca similare, ha descritto il
26% dei casi come double crush.
Al canale carpale la pressione arteriosa deve essere maggiore di quella capillare, che , a
sua volta deve essere maggiore di quella del fascicolo, che deve essere maggiore di
quella venosa, che dev’essere maggiore di quella del tunnel. La pressione al tunnel è di
2,5 mmhg, con soglia critica di 40 mmgh; si pensi come in flessione volare raggiunga 90
mmgh.
DOUBLE CRUSH:
Quando la pressione in un tunnel aumenta, si può avere il fenomeno dell’intrappolamento
doppio.
La prima descrizione fu condotta nel 1973 da Upton e McConas: su 115 casi di sindrome
di tunnel carpale, ne descrissero 81 di origine cervicale. Poi, nel 1981, Massey descrisse
23 casi, di cui 19 si rilevarono radicolopatie. Ancora, Hurst studiò 888 artiti cervicali,
rilevando che nel 41% dei casi si presento una sindrome del tunnel carpale bilaterale. Nel
1990 Mumenthaler descrisse, su un campione di 4985 casi, il 50% di origine prossimale
(cervicale o stretto toracico).
Un nervo sano che decorre sotto al tunnel, la pressione aumenta senza provocare sintomi,
ma se esiste un’altra compressione lungo lo stesso nervo, allora può scatenarsi un
sintomo.
Il “double crush” è una lesione intraneurale: la specificità del SN è una continuità
strutturale, morfologica, funzionale, chimica ed elettrica. Se si considera una cellula
immaginaria lunga un metro, bisogna altresì pensare al suo flusso assoplasmatico, molto
lento, importante per il trasporto delle sostanze utili alla riparazione cellulare.
31
TRATTAMENTO DEL SISTEMA NERVOSO
32
• Insorgenza spontanea dei sintomi: si pensi a movimenti ripetuti
spesso (Ripeated Strain Injury), problemi di overuse,
microtraumi da sport, da lavoro, ecc…
• Attenzione ad interpretare bene un’eventuale fase di
peggioramento di tutti i sintomi;
Speciali:
• Salute generale, pensando in particolare ai dismetabolismi
(diabete, variazioni del flusso assoplasmatico, tiroide, problemi
endocrinologici), alle connettiviti, alla psoriasi…;
• Esiti chirurgici relativamente recenti (cicatrici, artroscopie);
• Infiltrazioni ed iniezioni;
• Assunzione di cortisone;
Le controindicazioni ad un trattamento con mobilizzazione del SN sono:
o Controindicazioni relative:
• Irritabilità, tuttavia, spesso, è opportuno trattare pazienti irritabili
attraverso neurodinamicità, movendo distalmente alla zona
colpita senza tensione (si pensi al colpo di frusta, od alle spalle
in fase particolarmente attiva…);
• Infiammazione acuta in atto;
• Legate alla diagnosi medica;
• Problemi legati ai punti di tensione (C7, T6, L4, Ginocchio al
perone);
• Grosse rigidità di interfacce meccaniche;
o Controindicazioni assolute:
• Segni di affezioni alla cauda equina;
• Carcinoma e tutti i tumori in generale;
• Peggioramenti della motricità (eventuali segni all’esame
neurologico).
E’ possibile selezionare diverse possibili scelte come tecniche dirette:
o Mobilizzazione passiva articolare indiretta, dipendentemente dal gruppo
clinico;
o Mobilizzazione neurale passiva diretta, sfruttando le direzioni conosciute dei
test specifici:
Intraneurale: “tensioners”, ossia sottoponendo il nervo a movimenti
che ne determinino allungamento;
Extraneurale: “sliders”, ossia sottoponendo il nervo a movimenti che
ne determinino scivolamento;
o Mobilizzazione di un’interfaccia meccanica (articolazione) in tensione
neurale;
o Suggerimenti ergonomici, correggendo posture viziate dannose;
o Massaggio, palpazione, tens…
TRATTAMENTO LOMBARE
Vediamo qui di seguito alcuni esempi di trattamento neurale.
Per pazienti SIn:
• PPIVM’s in flessione (per aprire il canale) ed in estensione (per problemi discogenici) di
grado I (fig. 129);
• Tecnica in rotazione a destra per sintomi a sinistra di grado I a P1 in SLR (simbolo con
freccia allungata: ) (fig.130);
33
• AP grado III a livello della testa del perone (fig. 131);
• PA grado III a livello della testa del perone (fig. 132);
• Estensione di ginocchio di grado III in flessione di anca (fig. 133);
• Flessione/adduzione di grado I (fig. 134).
34
Per pazienti ROM:
• Tecnica in rotazione di grado III con SLR (fig. 135);
• Stessa tecnica, variando la posizione del fisioterapista, che si pone di fronte al
paziente, per sentire meglio R1 (fig. 136);
• Progressione della tecnica in rotazione di grado III, aggiungendo mobilizzazione
del piede (fig. 137);
• Mobilizzazione dell’anca con SLR di grado III per liberare il movimento (fig. 138).
Per pazienti EOR:
• Flessione/adduzione dell’anca con PNF (fig. 139)
Fig. 137
Fig. 138
Fig. 139
35
Fig. 135: Trattamento lombare ROM. Tecnica in rotazione di grado III con SLR.
Fig. 136: Trattamento lombare ROM. Variante della tecnica con cambio di posizione.
Fig. 137: Trattamento lombare ROM. Progressione della tecnica con mobilizzazione del
piede nella medesima posizione.
Fig. 138: Trattamento lombare ROM. Flessione di anca con SLR di grado III per liberare il
movimento
Fig. 139: Trattamento lombare EOR. Tecnica in flessione/adduzione con PNF.
TRATTAMENTO CERVICALE
Una tecnica molto usata è il GLIDE: in pratica si tratta di mobilizzare le interfacce
meccaniche, tenendo fermo il tessuto neurale, attraverso un movimento di scivolamento
trasversale delle vertebre. E’ una tecnica facilmente adattabile ai diversi gruppi clinici, che
può essere realizza in diverse maniere:
• Con le due mani a livello della colonna cervicale, in modo che i pollici vadano a
giacere sui processi trasversi (fig. 140), per poi compiere il glide con
spostamenti laterali del corpo (fig. 141);
• Sfruttando un cuscino come per la tecnica in rotazione, volendo applicare il glide
ad un paziente SIn allettato (fig. 142).
Altri esempi per pazienti Sin possono essere i seguenti:
• Estensione di gomito in ULNT1 (fig. 143);
• Elevazione della scapola (fig. 144);
• Flessione laterale cervicale in ULNT2b, tecnica particolarmente apprezzata per
trattare il tennis elbow (fig. 145);
• Depressione della scapola in ULNT2b (fig. 146).
Fig. 142
Fig. 143
36
Fig. 140: posizione coi pollici sulle apofisi
trasverse per compiere un Glide.
Fig. 141: glide, compiuto con spostamento del
corpo.
Fig. 142: glide di grado I per paziente SIn.
Fig. 143: trattamento per paziente SIn.
Estensione di gomito di grado III in ULNT1.
Fig. 144: depressione di scapola per SIn.
Fig. 145: flessione laterale in ULNT2b per SIn.
Fig. 146 Fig. 146: depressione scapola in ULNT2b per
SIn.
37
PALPAZIONE DEL SNP
PALPAZIONE
o Nervo peroneo superficiale: è necessario posizionare il piede in flessione
plantare ed inversione ed individuare il nervo, che passa anteriormente al
malleolo laterale, andando medialmente sulla superficie dorsale del piede
(fig. 147);
o Nervo tibiale: lo si trova andando con l’unghia del dito indice appena dietro al
malleolo mediale. Lo si riconosce per il caratteristico aspetto rotondo, liscio e
morbido (fig. 148);
o Nervo peroneo profondo: lo trova nello spazio tra secondo e terzo metatarso,
pinzando con le unghie di secondo e terzo dito della mano (fig. 149), con la
possibilità di differenziare e meglio individuare attraverso plantarflessione ed
inversione (fig. 150);
o Nervo surale: lo si trova praticamente “attaccato” lateralmente al tendine
d’Achille nella sua regione distale (fig. 151), pinzando con le unghie,
utilizzando una presa ad “uncino” delle dita (fig. 152). Ancora, lo si può
palpare meglio incrementando la tensione neurale con SLR (fig. 153)
Fig. 149
38
Fig. 151
39
Fig. 157
Fig. 159
Fig. 161
Fig. 154: palpazione del n. peroneale al cavo popliteo.
Fig. 155: palpazione del n. sciatico distalmente.
Fig. 156: palpazione del n. sciatico con estensione del
piede.
Fig. 157: palpazione dello sciatico sul fianco.
Fig. 158: palpazione dello sciatico da prono ad anca
flessa.
Fig. 159: palpazione del n. safeno al ginocchio.
Fig. 160: palpazione del ramo infrapatellare.
Fig. 161: palpazione del femorale.
Fig. 162: palpazione del cutaneo laterale della coscia. Fig. 162
40
o Nervo sovraclavicolare: lo si percepisce come minima irregolarità sotto
l’unghia, passandovi sulla superficie della corticale ossea (fig. 168);
o Nervo ulnare e nervo mediano al cavo ascellare: sono due grossi “cordoni”,
tesi in abduzione di spalla (fig. 169), che si possono differenziare con
flessione di gomito, con cui va maggiormente in tensione il nervo ulnare (fig.
170), ed estensione di gomito, con cui va maggiormente in tensione il nervo
mediano (fig. 171).
Fig. 168
Fig. 169
41
SCHEMI CLINICI E DIFFERENZIAZIONE PER LA COLONNA LOMBARE
È utile ora riepilogare quali siano le principali caratteristiche cliniche che ci permettano di
orientarci nella differenziazione tra un’origine articolare piuttosto che discogenica di
problematiche a carico della colonna vertebrale. Gli schemi clinici differiscono anche in
base al tempo della loro insorgenza, ossia siano essi acuti o cronici.
Inizieremo una breve ma necessaria revisione di concetti noti, ricordando che si rende
necessario un esame neurologico in ognuna delle seguenti condizioni:
Segni neurologici
Trauma
Peggioramento rapido
Irradiazione distale oltre al gluteo
Storia discale
Ecco quindi che bisogna sapere riconoscere le principali caratteristiche cliniche di un
problema che sottintenda a storia discale. Generalizzando, possiamo ricordare come un
sintomo discale si presenti diffuso, “a fascia”, profondo, bilaterale, ma spesso più
pronunciato da un lato. Mentre è bene sottolineare come un sintomo radicolare, seguirà
più probabilmente il decorso della radice di pertinenza, quindi il dermatomero, e sarà
spesso più intenso distalmente e descritto come “lancinante”.
Distinguendo tra storia acuta e cronica, è possibile riassumere uno schema clinico discale:
42
Limitazione globale di tutti i movimenti, Limitazione globale di tutti i movimenti,
anche se maggiore in flesso- anche se maggiore in flesso-
estensione; infatti è frequente estensione; infatti è frequente
osservare, al ritorno dalla flessione, il osservare, al ritorno dalla flessione, il
Mov.
paziente che rimanga in flessione e paziente che rimanga in flessione e
Attivi
non arrivi alla completa estensione. I non arrivi alla completa estensione. I
movimenti veloci appaiono impossibili movimenti veloci appaiono impossibili
e dolenti, così come, in genere, i e dolenti, così come, in genere, i
movimenti in estensione. movimenti in estensione.
Segni possibili o assenti possibili o assenti
Nurol.
Indurimenti interspinali; PA rigidi, Indurimenti interspinali; PA rigidi,
dolenti e con frequente spasmo, dolenti e con frequente spasmo,
Palpaz.
mentre il PA unilaterale non sempre è mentre il PA unilaterale non sempre è
rilevante. rilevante.
Risultano spesso utili trazione, esercizi Rotazione sostenuta di grado IV-.
in estensione (come quelli proposti da
Tratta-
mento
McKenzie), correzione dello shift,
rotazione sostenuta di grado IV-.
Rispetto all’articolazione, il disco necessita di un tempo maggiore sia per migliorare che
per peggiorare, a causa della sua caratteristica viscoelastica.
Parimenti, è possibile creare un riassunto degli schemi clinici articolari.
L’articolazione è innervata dal ramo dorsale della radice nervosa e non dal nervo sinu-
vertebrale (fig. 172), che innerva anche multifido e legamenti ed è monosegmentario. Per
tale motivo i sintomi sono rappresentati come nella tabella seguente:
43
Limitazione asimmetrica: Dolore in ROM e/o EOR
Movimenti Estenzione/Flessione Laterale dal lato
Attivi sintomatico e Flessione/Rotazione dal
lato opposto.
Segni Assenti. Test neurali lievemente positivi per
Neurol. interfacce meccaniche irritanti.
Caldo, gonfio, indurimento Indurimento interlaminare duro al PA
Palpazione interlaminare molle, spasmo con PA unilaterale.
unilaterale.
Il limite del movimento sarà Sono in genere pazienti dalla scarsa
rappresentato da P2, con buona qualità di movimento che rispondo a
risposta a tecniche unilaterali, trattamenti ROM ed EOR di grado III,
Tratta- manipolazione, che devono resistuire dato il cambiamento delle superfici
mento un paziente completamente articolari causato dalle degenerazioni.
asintomatico. La prognosi non potrà essere di una
guarigione al 100% (a volte solo il
C/O, mai il P/E).
Fig. 172
Mentre per spiegare il comportamento dei sintomi discali esistono numerosi studi su
pressione intradiscale, centralizzazione dei sintomi, ecc. (vedi Nockesom, MsKenzie…),
per giustificare la rappresentazione clinica del sintomo articolare, esiste la “teoria del
menisco articolare”. Sembra, infatti, che a livello delle faccette articolari esista un menisco
innervato che possa “ripiegarsi”, dando origine ai sintomi, quando vada ad occupare lo
spazio articolare.
44
TECNICHE DI TRATTAMENTO IN ROTAZIONE PER LA COLONNA LOMBARE
In questa sezione andremo ad approfondire alcune tecniche, ampliando quelle già note
con alcune varianti utili per la pratica clinica.
Fig. 176
Fig. 174: grado IV effettuato con posizionamento del paziente per un grado II.
Fig. 175: grado IV-, con una mano che posteriormente scarica del peso.
Fig. 176: grado IV+, con fissazione del paziente tramite il proprio corpo.
45
Fig. 177 Fig. 178
Fig. 179
Fig. 180
46
TECNICA DI SLIDER:
Da un tale posizionamento Fig. 182: tecnica di
Fig. 182
del paziente è altresì slider in cui il
possibile compiere una terapista guida, con
manovra di slider, guidando proprie le mani, la
con le mani, gamba sinistra e la
rispettivamente, gamba e testa del paziente.
testa del paziente (fig. 182).
A questo punto il terapista posiziona il pollice della mano craniale sulla vertebra superiore,
prendendo due spinose dal lato del terapista (fig. 187), mentre con il medio della mano
caudale fissa la spinosa di quella inferiore dal lato opposto (fig. 188). In tale posizione è
47
possibile compiere qualsiasi grado di trattamento, anche con varianti quali il trattamento in
rotazione con SLR (fig. 189), od un grado I locale (fig. 190).
48
Fig. 191 Fig. 192
Fig. 191: tecnica in flessione laterale sinistra e rotazione sinistra per apertura delle
faccette.
Fig. 192: tecnica in flessione laterale sinistra e rotazione a destra per apertura dei
forami.
Fig. 193: progressione nella flessione laterale.
Fig. 194: slider in flessione laterale e rotazione
49
SINDROME DI T4
È un termine generico che racchiude una serie di sintomi e segni in pazienti con dolore
cervicale basso. Non vi è ancora sufficiente prova scientifica per poterla descrivere con
esattezza.
Fu descritta la prima volta nel ‘54 da Maitland, riferendosi al livello più spesso implicato,
anche se l’origine possibile è compresa in un tratto compreso tra T2 e T7. I sintomi riferiti
sono vaghi, diffusi, intermittenti e coinvolgono entrambi gli arti superiori.
Grieve nel 1986 descrisse uno studio condotto su 90 pazienti con localizzazione dei
sintomi (dolore o formicolìo) a livello di mani, avambracci, braccia e testa (“mal di testa
tutto intorno”).
Spesso i casi in esame presentano storie tanto lunghe quanto varie:
• Da overuse
• Cronica
• RSI (repeatitive straight injuries)
• Iatrogeno
• Colpo di frusta
• Traumi acuti
• Interventi chirurgici
• Fratture
• Pazienti che non stanno mai bene al 100%
• Diabete
• Qualche risposta positiva al trattamento.
Si può spesso osservare aumento dei sintomi con le seguenti attività:
• Al PC
• Guidando
• Leggendo
• Con posizioni mantenute
• Tossendo
• Respirare
Diminuzione apprezzabile dei sintomi può arrivare con il movimento di giorno e di notte
cambiando a volte la posizione a favore del decubito laterale.
Maigne nel 1989 descrisse la palpazione paravertebrale toracica in pazienti con dolore
cervicale basso, osservando che 138 di essi avvertivano dolore a livello di T5-T6.
Descrisse la causa come ignota e la clinica radiografica normale. Non è possibile spiegare
anatomicamente la causa di dolore cervicale basso, poiché le radici si orientano a livello
lombare e non verso il capo.
Evans nel 97 asserì che sarebbe dovuta essere chiamata sindrome del torace superiore,
con sintomi descritti come parestesie a guanto, sensazione calda o fredda della mano
(oggettivamente), sensazioni tipo braccio pesante, dolori con distribuzione non
dermatomerica, a volte interscapolari e/o rigidità, formicolìo ed infine mani pallide o
violacee. Ipotizzò origine nel cuore, viscerale, diaframma, pleura, oppure neurovegetativo.
DIAGNOSI DIFFERENZIALI:
Sindrome dello stretto toracico
Angina pectoris
50
Sindrome del tunnel carpale
Tumore di Pancoast
Flebite
Embolia
Trombosi
Stenosi vertebrale
Polinevriti
Diabete
Siringomielia
Sintomi combinati tra spalla e colonna cervicale
CATEGORIE DI IPOTESI:
1. Categoria Clinica: spesso EOR, non così rilevante.
2. Origine, causa dei sintomi: Maitland disse che la causa è sconosciuta. Non
resta che pensare alla “causa della causa”, per potere formulare ipotesi
necessarie ad incominciare il trattamento. Possibili sono:
Muscolatura, come descritto da Cloward (mobilizzatori globali,
innervazione cervico dorsale):
• Compartecipazione di uno stretto toracico;
• Lo splenio del capo si inserisce a T3, mentre lo splenio
cervicale si inserisce su C4. Unilateralmente ruotano dalla
stessa parte e bilateralmente impediscono la caduta del capo.
Forse uno stiramento a questo livello può essere una causa.
Disco: avendo uno spazio del canale molto piccolo, un disco irritato
potrebbe esserne la causa: Wilson inietto un’anestetico in 17 pazienti,
con risoluzione totale dei sintomi in 13 di essi.
Orientamento delle radici piuttosto stirate a questo livello, con
percorso difficile e molto lungo, con il ramo posteriore toracico ricco di
legamenti che formano piccoli tunnel e possibili compressioni.
A livello di T6 si trova un punto di tensione del sistema neurale,
laddove vi sono la grisea e l’alvea, ossia i due rami del sistema
vegetativo che vanno in comunicazione con la radice posteriore: una
sofferenza neurodinamica della radice potrebbe coinvolgere il sistema
simpatico.
Butler rilevò vascolarizzazione critica a livello T4-T9. Una trombosi
della arteria spinale anteriore porta segni simili alla claudicatio,
localizzati, però, a livello degli arti superiori.
Un’ipotesi “esotica” è la tensione eccessiva del legamento
vertebropericardico che unisce il cuore a T4.
3. Meccanismi patobiologici: non è possibile riprodurre il dolore, ma sarà
possibile ritrovare alcuni segni paragonabili. I meccanismi non sono collegati
al tessuto, ma piuttosto relazionati al processing od all’output.
I meccanismi del processing sono:
Processo centrale:
• Influsso cognitivo: assente
• Memoria del dolore: assente
• Paura: assente
• Influsso affettivo: probabile
• Salute mentale: probabile
• Successo/dubbio: probabile – si vedono più casi nel periodo di
esami (mesi giugno e luglio)
51
Output mechanisms:
• Neurovegetativo
Sensitività anormale
Dimensione cognitiva (pensare): in questo caso non è possibile
perché nessun paziente conosce tale problema
Dimensione affettiva (sentire): forse può influenzare qualcosa, nel
momento in cui con il benessere si soffre meno.
4. ICF, funzioni: non causa disabilità, poiché riescono a svolgere tutte le ADL
5. Fattori predisponenti:
Fisici:
• le tre F (femmina, fertile, “fat” cioè grassa)
• Inversione della cifosi a livello di T4-5,
• un’ipercifosi TX o torace piatto.
• megapofisi di C7 (gobba di bisonte)
• Vantaggio ventrale e svantaggio dorsale
Biomeccanici
Psichici…
6. Precauzioni e controindicazioni: bisogna essere prudenti con diabete,
osteoporosi, cortisone, perdite di peso…
7. Trattamento/managment: lavorare su tutte le ipotesi. De Franca nel ‘59
descrisse un successo nel trattare 2 casi a vantaggio di mobilità, forza ed
elasticità.
Mobilizzazione passiva:
• Accessori
• Fisiologici
• Tensione neurale
• Neurodinamiche
Ergonomia
Programma funzionale
Automobilizzazione (articolare, neurale…)
8. Prognosi: dipende da molti fattori. In generale molto lunga per tale motivo.
53
Fig. 201 Fig. 202
Fig. 195: Sympathetic Slump: posizione di partenza con paziente seduto sul lettino a
ginochia piegate e piedi appoggiati sul lettino. Il terapista sta dalla parte opposta a quella
da valutare/trattare
Fig. 196: il terapista fissa con la propria ascella la spalla del paziente, mentre con l’altra
mano a “L” fissa il tronco del paziente.
Fig. 197: il terapista imprime una flessione laterale al corpo del paziente.
Fig. 198: aggiunta di flessione anteriore e rotazione verso il proprio lato.
Fig. 199: flessione e rotazione del capo.
Fig. 200: fissazione con l’ascella sul capo della posizione ottenuta.
Fig. 201: estensione bilaterale di ginocchia.
Fig. 202: flessione dorsale dei piedi alla ricerca del sintomo.
Fig. 203: estensione del capo.
Fig. 204: estensione e rotazione del capo.
54
Fig. 205 Fig. 206
55
Infine, oltre alla “screw mobilization”,
Fig. 210 possono rivelarsi importanti anche alcuni
movimenti passivi fisiologici, come, ad
esempio, i PPIVM’s C7-T4 in flesso-
estensione (fig. 210) ed in flessione
laterale.
56
DOLORE ANTERIORE DI GINOCCHIO
È interessante osservare come circa il 25% della popolazione abbia sofferto almeno una
volta nella propria vita di tali problematiche. Sostanzialmente, è il secondo motivo in ordine
di consulti, per cui vengano interpellati i medici a livello mondiale .
In realtà, è stato visto come le diagnosi di “condropatia” o “sindrome femoro/rotulea” siano
un poco riduttive. nella tabella seguente è possibile osservare quali possano essere i
coinvolgimenti nel dolore anteriore di ginocchio.
TESSUTO COINVOLTO
FATTORE
A LIVELLO LOCALE A DISTANZA
CONTRIBUENTE
DIAGNOSTICO
• Quadricipite (vasto • Tensore della fascia • Retrazioni muscolari
mediale obliquo e vasto lata; posteriori (ischiocrurali
mediale lungo); • Grande Gluteo e gastrocnemio);
• Grande adduttore (per il (interfaccia meccanica • Retrazioni del retto
Muscoli suo importante rapporto del nervo ischiatico); femorale;
con il VMO, che da • Medio gluteo e
esso prende origine); piriforme (la cui
• Zampa d’oca debolezza può
aumentare l’angolo Q)
• Femoro/rotulea (dolore • Articolazione sacro- • piede piatto pronato
definito piuttosto iliaca; (aumenta l’angolo Q)
superficiale, appena • Colonna lombare (L2-3-
sotto la rotula, nel cavo 4 e double crush);
Articolazione popliteo o nella parte • Anca
mediale);
• Femoro/tibiale (riferito
come più profondo)
• Femorale; • Sciatico;
Nervi • Safeno; • Femorale (alla sua
• Infrapatellare origine lombare)
• Pannicolo adiposo di
Hoffa;
• Menisco;
Altre strutture
• Vasi;
• Borse;
• Angolo Q
57
Stare seduto lungo tempo (aereo, auto, cinema…);
Andare in bicicletta;
Sciare.
E’ opportuno chiedersi cosa possa creare l’instaurarsi di uno squilibrio tra la parte mediale
e quella laterale della forze che a livello della coscia controllano l’allineamento rotuleo. I
fattori che possono influire sono:
Legamenti;
Debolezza muscolare (particolare attenzione va rivolta a vasto mediale obliquo e
medio gluteo);
Retinacoli mediale e laterale;
Prono/supinazione del retropiede.
Una lateralizzazione della rotula può essere dovuta a:
Cambiamenti dell’angolo del Quadricipite (angolo Q);
Strutture laterali troppo corte;
Muscoli troppo corti;
Posizione del piede;
Posizione della patella;
Vasto mediale obliquo.
L’angolo Q negli uomini è tra i 13° e 15°, mentre nella donna è appena inferiore ai 20°. A
livello statico non ha nessun valore e nessuna incidenza sui sintomi del paziente. È invece
molto più rilevante a livello dinamico, osservando cosa avviene nel ginocchio mentre vada
in flessione. In caso di rigidità in rotazione esterna dell’anca (la cosiddetta anca in
intrarotazione) l’angolo Q aumenta, ovviamente anche per debolezza muscolare.
È sicuramente importante ed interessante osservare in che modo il soggetto riesca a
compiere una flessione in appoggio monopodalico.
Il vasto mediale (principale muscolo stabilizzatore della patella) è composto di:
Fibre lunghe, quasi parallele al femore (15° di inclinazione);
Fibre oblique (50°-55°).
Jenny McConnell ha osservato che all’elettromiografia, quando si la flessione ha inizio, il
primo muscolo ad attivarsi è proprio il VMO (vasto mediale obliquo), il cui trofismo
diminuisce con appena 20 ml di liquido intraarticolare. Si pensi perciò come possa essere
compromessa la stabilità femoro-patellare in caso di emartro od idrarto.
Data la sua origine dal grande adduttore, è consigliabile allenare assieme questi due
muscoli, preferibilmente a catena chiusa, per un allenamento più funzionale.
A livello neurologico, il nervo più rilevante è il safeno, specie con il suo ramo infrapatellare;
quindi è opportuno pensare al nervo otturatorio; infine al nervo tibiale (qualche rilevanza
puà averla anche il peroneale, anche se non è mai coinvolto direttamente nel dolore
anteriore di ginocchio).
È utile sottolineare con non vada mai dimenticata la colonna lombare.
Per differenziare tra un dolore causato da borsite ed uno derivante dall’articolazione
femoro/rotulea, bisogna ricordarsi che la borsite è spesso caratterizzata da dolore locale
alla palpazione, gonfiore, dolore a riposo, notturno, e poco dipendente da movimento.
ESAME FISICO:
All’ispezione si osservano dapprima simmetria, eventuali atrofie, lunghezza degli arti,
chiedendo al paziente se pratichi sport asimmetrici. Verificare ed eventualmente
correggere posizioni anomale del ginocchio come flessione, estensione, osservando
quantità di movimento e comportamento dei sintomi.
Da posteriore si osservano poi la verticalità dei tendini d’Achille, eventuale pronazione del
retropiede, oppure piede cavo o piatto, ed ogni altra evidente anomalia. Visto
58
anteriormente si osserva il trofismo del VMO, rotazione interna o esterna delle cosce,
orientamento delle rotule.
Come già accennato, è molto interessante osservare come il paziente riesca a compiere
uno squat, verificando se il ginocchio resti in asse o presenti deviazione mediale, o
lateralmente anche in appoggio monopodalico (fig. 211). Nel caso di dolore in accosciata,
si può medializzare la patella verificando se il dolore cambi o resti invariato (fig. 212). Una
posizione tipica che provoca dolore derivante all’articolazione fenolo-rotulea è seduto con
gamba accavallata (fig. 213), dove si può differenziare anche con OP in abduzione
dell’anca, nel cui caso il dolore aumenti sottintende a dolore da retrazione muscolare (fig.
214).
Fig. 212:
medializzazione
della rotula
durante uno squat
per verificare il
comportamento
dei sintomi.
Fig. 214: da
seduta a gambe
accavallate,
aggiunta di OP in
abduzione di anca
per verificare il
comportamento
Fig. 213 Fig. 214 dei sintomi.
A questo punto dell’esame fisico si passa all’esame della lunghezza muscolare del retto
femorale, posizionando il paziente prono, mentre con una mano, durante una flessione
passiva di ginocchio, si avverte il movimento della SIAS (fig. 215), e dell’ileopsoas,
posizionando il paziente supino al limite del lato corto del lettino, come da test standard
ormai noto (fig. 216):
59
Fig. 215: verifica di
lunghezza del retto
femorale a paziente
prono, avvertendo con
una mano il movimento
della SIAS durante la
flessione passiva di
ginocchio.
61
Fig. 223 Fig. 224
62
Fig. 231 Fig. 232 Fig. 233
Fig. 235
Fig. 234
Esistono in letteratura diversi studi riguardo ai gradi di movimento possibili a livello della
colonna vertebrale, che riportano dati diversi tra loro. Per questo motivo bisogna avere in
mente una “media” dei gradi di movimento possibili. A tale scopo è utile ricordare il lavoro
di G. Grieve del 1985, dove stilò una media della mobilità segmentaria, illustrato in figura
236.
Fig. 236
Esistono delle zone di transizione tra segmenti mobili e segmenti rigidi, chiamate “zone a
rischio”, da tenere in considerazione quando si stia trattando una colonna cervicale.
Vengono elencate qui di seguito:
C0-C1: caratteristica dell’Atlante è il dovere sopportare il peso della testa, e nel
contempo muoversi molto in flesso-estensione.
A questo livello vi è il doppio di possibilità movimento in estensione rispetto alla
flessione. È possibile osservare come in estensione sia il processo mastoideo ad
avvicinarsi a C1, e viceversa in flessione.
Sono possibili appena 5° di rotazione, tutti alla fine del movimento di rotazione,
ossia circa ad 80° di rotazione cervicale totale.
Una palpazione di C1 è possibile in flessione omolaterale, per messa in tensione
dei legamenti, che traslano la vertebra dallo stesso lato della flessione. È questo un
meccanismo chiamato “paradosso di C1”. Per questo motivo in flessione laterale a
destra si potrà palpare C1 a destra, mentre si potrà apprezzare l’apertura a sinistra.
Dal punto di vista biomeccanico il tutto viene giustificato come segue: in flessione
laterale a destra, entra in tensione il legamento alare a sinistra (fig. 237), che causa
una rotazione di C2 verso destra. In flessione laterale a destra, perciò, C1 ruota a
sinistra rispetto a C2. Per questo motivo si dice che il complesso cervicale (C0-C2)
alto ruota a sinistra, quando si compie una flessione laterale a destra. Ciò significa
64
che lo schema clinico “coerente” a questo livello sarà irregolare. Cioè: schema
regolare di chiusura a livello del complesso C0-C2 sarà con stesso sintomo in
estensione, flessione laterale a destra e rotazione a sinistra anziché destra.
Fig. 237
Fig. 237: anatomia del complesso cervicale superiore con i suoi legamenti.
Fig. 239
Fig. 238
65
• PPIVM’s C0-C1 in flessione laterale: con la medesima presa del precedente,
si cerca dapprima la zona neutra in flesso-estensione (fig. 241), per poi
andare a sentire l’apertura a destra tra occipite a C1 in flessione laterale
sinistra (fig. 242) e viceversa (fig. 243), accompagnando il movimento
sempre con la mano omolaterale sulla fronte.
Fig. 241: PPIVM’s C0-C1 in flessione laterale: ricerca della zona neutra in flesso-
estensione.
Fig. 242: PPIVM’s C0-C1 in flessione laterale: in flessione laterale sinistra si sente
l’apertura a destra.
Fig. 243: PPIVM’s C0-C1 in flessione laterale: in flessione laterale destra si sente
l’apertura a sinistra.
Fig. 246
Fig. 244: PPIVM’s C0-C1 in rotazione: si giunge alla fine del range di rotazione globale
cervicale in modo oscillatorio.
Fig. 245: PPIVM’s C0-C1 in rotazione a sinistra mentre a destra si apprezza quanto
l’occipite si avvicini a C1.
Fig. 246: PPIVM’s C0-C1 in rotazione a destra mentre a sinistra si apprezza quanto
l’occipite si avvicini a C1.
66
C2-C3: è a tale livello che si trova il primo disco intervertebrale, ed è proprio a
questo livello che avviene la maggiore quantità di rotazione cervicale. In questo
tratto il sistema nervoso è ventrale, fenomeno che, almeno parzialmente, spiega
perché un approccio antero-posteriore sia più indicato di fronte a problemi
radicolari, dal momento che la tecnica viene diretta più vicino alla radice. Non
bisogna dimenticare, infine, come sia un’articolazione coinvolta nel “mal di testa”.
C7-T1: la particolarità di questo punto è semplicemente che T1, a causa della
presenza della prima costa, abbia scarse possibilità di movimento.
T10-T11: dal momento che si articolano con le coste fluttuanti, hanno un
comportamento biomeccanico simile a quello delle vertebre lombari.
T5-T6: oltre ad essere una zona di tensione neurale, è un punto in cui vengono
sopportati grossi carichi meccanici.
T12-L1: A livello dorsale le superfici articolari sono inclinate verticalmente, quasi a
giacere sul piano frontale, mentre a livello lombare passano ad orientarsi quasi sul
piano sagittale. Può presentarsi talvolta un orientamento anomalo, per cui, a livello
di una vertebra, solo un’articolazione si orienti in questo modo, causandone un
comportamento meccanico anomalo, motivo per cui questa viene considerata una
zona a rischio.
L5-S1: Il legamento ileolombare, molto potente, limita la flessione laterale,
movimento che, per conformazione anatomica, dovrebbe in questa zona essere
molto rappresentato a questo livello.
67
“BLOCCO CERVICALE ACUTO”
Nella tabella seguente viene sintetizzata un’analisi delle strutture possibili cause del
blocco cervicale acuto, con sono le rispettive peculiari caratteristiche cliniche:
ARTICOLAZIONE DISCO
Probl. Blocco in rotazione e flessione Dolore in estensione.
Princ. laterale dal lato della lesione.
Sintomo piuttosto localizzato,
Dolore profondo, diffuso, anche
Body profondo ed unilaterale. bilaterale, ma con dominanza dal lato
Chart Può irradiare con dolore riferito. della lesione.
Irradia con dolore riferito
Movimenti veloci, combinati, ed Posizione mantenuta nel tempo, con
eventuali episodi precedenti saranno episodi precedenti che tendono a
Storia
riferiti come frequenti e simili (non in peggiorare.
peggioramento).
È frequente l’ipermobilità Soggetti “in cifosi”
Fattori
Predisp.
Maggiore incidenza in giovani donne.
Soggetti con collo lungo.
Frequentemente sono pazienti che Frequentemente sono pazienti che
riferiscono il problema al mattino, ma riferiscono il problema al mattino, ma
24 h con il giorno precedente con il giorno precedente magari
completamente asintomatico. leggermente sintomatico, con leggero
miglioramento durante la giornata.
Flessione e rotazione controlaterale, Flessione e rotazione controlaterale,
Ispezione che alla correzione risulterà oltre che ma con aggiunta di flessione, che alla
(deformità dolente, anche bloccata correzione risulterà dolente, ma non
Antalgica) meccanicamente in qualsiasi bloccata meccanicamente.
posizione.
Movimenti Schema clinico tipico in chiusura. Schema clinico più frequente in
Attivi apertura.
Nulla di rilevante a livello neurologico Nulla di rilevante a livello neurologico.
Esame ed ai test neurodinamica. Ai test neurodinamica qualcosa di
neurol. rilevante
68
MAL DI TESTA
La sofferenza più comune nella popolazione moderna è rappresentata dal mal di testa.
Può essere presente per mancanza di sonno, per motivi organici o psicosomatici.
Vi sono anche mal di testa di origine cervicale.
Nella salute pubblica le cefalee sono sottovalutate perché spesso episodiche.
Nel ‘52 Mumenthaler verificò che nonostante il 69% dei suoi pazienti avesse mal di testa,
solo il 18% consultava li medico per tale ragione.
La definizione di cefalea è “qualsiasi sensazione dolorosa, di qualsiasi origine a carico di
tutta o una parte della testa”.
La IHS (International Society for Headache) ha classificato la cefalea in:
PRIAMRIE
• Emicrania
• A grappolo
• Tensivo
• Idiopatica
SECONDARIE
• Traumi cranici
• Infezione
• Disturbi vascolari, metabolici
• Disturbi cervicale
• Altre
Più nel dettaglio, la classificazione della Società Internazionale delle Cefalee del 1998 è la
seguente:
1. Cefalee Emicraniche
2. Cefalee di tipo-tensivo
3. Cefalee a grappolo ed emicranie croniche parossistiche
4. Cefalee miste, non associate a lesioni strutturali
5. Cefalee associate con i traumi cranici
6. Cefalee associate con disturbi vascolari
7. Cefalee associate a disturbi non vascolari intracranici
8. Cefalee associate con l’assunzione di sostanze o con la loro sospensione
9. Cefalee associate a infezioni non cefaliche
10. Cefalee associate a disturbi metabolici
11. Cefalee o dolore facciale associate a disturbi del cranio, del collo, degli occhi,
delle orecchie, del naso, dei seni, dei denti, della bocca o di altre strutture craniali o
facciali
12. Nevralgie craniali, dolore da tronchi nervosi e dolore da deafferentazione
13. Cefalee non classificabili
Come si può osservare, delle 13 cause di Cefalea, una sola riguarda la professione del
fisioterapista, anche se non bisogna dimenticare il fenomeno della convergenza, per cui
molti benefici potrebbero comunque aversi dal trattamento della colonna cervicale alta e
dell’articolazione temporo-mandibolare.
Per comprendere tale fenomeno si pensi ai tre nuclei del nervo trigemino (tra cui il
caudale, che è meccanicamente in contatto con le corna posteriori di C1,C2 e C3). Sia le
69
corna posteriori di C1, C2 e C3, sia le radici del nervo trigemino convergono al nucleo
caudale, che è deputato a portare informazioni al cervello. Di fronte ad alterazioni di
queste strutture, proprio per il fenomeno della convergenza, si può arrivare a blocchi
articolari.
cervello
nucleo caudale
Spesso avviene che una lesione cervicale porti informazioni al cervello, il quale dà una
risposta che, per errore di interpretazione a livello del nucleo caudale, può tornare alle
strutture del nervo trigemino. Ciò significa che tutto ciò che è innervato a livello di C1, C2 e
C3 può portare a mal di testa: articolazioni, legamenti, mandibola, prima costa, muscolo
trapezio, SN neurovegetativo, nervo ipoglosso (C1, ne sono caratteristiche le sensazioni
di lingua pesante).
L’articolazione C2-C3 sembra essere l’articolazione più spesso coinvolta nei mal di testa
(60% dei casi).
I dischi ricevono fibre dal nervo sinu-vertebrale, misto in quanto sia motore che
neurovegetativo, plurisegmentale, per cui discopatie a di C2-C3, possono portare a mal di
testa.
Si arriva a considerare cervicale il tratto del rachide che arriva fino a T8, perché
l’innervazione vegetativa del collo arriva fino a tale segmento.
Il sistema nervoso autonomo, sia a livello dorsale che cervicale, ha influenza su tanti
sistemi, ed in particolare, per il cranio, ne gestisce la circolazione.
Quindi, una disfunzione meccanica a questo livello può influenzare e dare origine a
disfunzione a carico di qualsiasi struttura del cranio (ciò potrebbe spiegare taluni strani
disturbi dopo traumi cervicali).
Le strutture importanti del Sistema Nervoso Autonomo sono:
• ganglio cervicale superiore (C2-3);
• ganglio cervicale medio (C3-4);
• ganglio cervicale inferiore (C6-7), che, talvolta unito a quello dorsale, va a formare il
“ganglio stellato” (C6-7-D1).
Il meccanismo di stimolazione non è ben chiaro. Talvolta non è necessario alcun tipo di
compressione o movimento meccanico sul ganglio stesso, ma diventano sufficienti
semplici e delicati sfregamenti sulla cute in corrispondenza degli stessi per generare una
reazione neurovegetativa. Vi sono, quindi, dei circuiti neurologici che vengono ipereccitati
da diversi fattori (pressioni,colpi d’aria ecc.).
In una carta del corpo con mal di testa, la localizzazione del dolore non dà quindi alcuna
informazione sulla struttura del dolore. Con mal di testa unilaterale è più probabile che la
struttura responsabile sia unilaterale dallo stesso lato.
Più il paziente è preciso nella localizzazione, più l’origine cervicale è probabilmente alta,
mentre più vago, più è bassa (Neurovegetativo, si pensi ai sudotomi).
Nel 95% dei casi il paziente con cefalea nella propria storia problemi cervicali.
La storia ci racconta più spesso a dolore causato da posizione mantenuta, piuttosto che
da movimenti (computer, parrucchieri ...).
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Quando il paziente riferisca dolore mangiando, è opportuno pensare alla mandibola.
EMICRANIA: sono problemi vascolari in pazienti che raccontano di avere giovamento dal
trattamento farmacologico, e che, in assenza di tale assunzione, presentano un dolore
fortissimo (prima fase di vasocostrizione), dolore che poi porta a vomito (seconda fase, di
vasodilatazione), e che dopo ancora si sentono stanchissimi. La zona di localizzazione
può variare e non è patognomonica. Spesso presentano dei trigger (cioccolato, caffè, latte,
limone, cervicale…).
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Appunti raccolti e curati da SIMONE SCAGLIONI
(COME IL PRIMO LIVELLO CHE “VAGA”…)
simone@malpensa.it
simonescaglioni@aliceposta.it
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