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la libertàdi coscienza

Diritto Canonico
Università degli Studi di Napoli Federico II
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La Libertà di Coscienza nel Pensiero di
Sébastien Castellion
Maria D’Arienzo, Giappichelli, 2008

1. TOLLERANZA E LIBERTÁ

Il dibattito sulla tolleranza che si è sviluppato negli ultimi anni, ha evidenziato la funzione positiva che tale
concetto assume nell’accezione di rispetto reciproco e di volontà di dialogo. Tuttavia, se da un lato esso ha
acquisito la valenza positiva di modus vivendi nella società democratica moderna, dall’altro conserva il
carattere etimologico di sopportazione. Tale ambivalenza di significato rispecchia l’evoluzione storica del
concetto di tolleranza nel lungo e tortuoso cammino che ha portato all’affermazione dei diritti di libertà
dell’individuo. La tolleranza è considerata come un concetto negativo in relazione alla libertà: si tollera ciò
che non si considera giusto ma che si sopporta per evitare un male peggiore. Se io tollero considero
comunque quella cosa non giusta (e il diritto non tollera, o ammette o non ammette). E’ una concessione che
l’autorità fa ai suoi sudditi e che, per sua natura, può essere revocata. Al contrario, il diritto di libertà sarebbe
l’evoluzione naturale del concetto in principio giuridico concernente in primo luogo gli individui e i loro
diritti soggettivi. In tal senso, nel suo significato giuridico e politico, la tolleranza costituirebbe un minus
rispetto al concetto di libertà (Ruffini, Storia dell’idea). Nella società contemporanea il principio di
tolleranza acquista una valenza positiva rispetto al “diritto alla differenza”, riacquistando il significato
originario di origine umanistica di rispetto della diversità. Gli studi sulla storia della tolleranza hanno messo
in evidenza la portata innovatrice di contro-potere rispetto al potere costituito, insito nella rivendicazione
della libertà di coscienza da parte di chi è ritenuto eretico dall’ortodossia ecclesiastico-politica. In tal senso,
l’affermazione di un diritto è il frutto di un percorso che non è stato solo ideologico, ma soprattutto ha
rappresentato il risultato dei rapporti di forza fra la difesa del proprio potere da parte dell’autorità e le istanze
sovversive. L’idea di fondo di progresso lineare che ha ispirato molti lavori sulla questione della tolleranza e
della libertà di coscienza, ha evidenziato come la cd. “Riforma radicale” ha avuto un ruolo importante di
anticipazione di principi ormai consolidati, la cui affermazione è stata il frutto di una lotta rispetto a forze
oscurantiste. Ma il concetto di tolleranza non è solo il frutto di una lotta politica, ma nasce come esigenza
morale e come teologia della rifondazione della vera Chiesa di Cristo, come contrapposizione all'intolleranza
religiosa delle autorità spirituali, non solo delle autorità civili.

2. IL CONCETTO DI TOLLERANZA IN CASTELLION

L’idea di tolleranza e di libertà religiosa, trova nella figura di Sébastien Castellion una posizione di
indubbio rilievo. Il suo pensiero rappresenta, infatti, una delle espressioni del XVI sec. (‘500) più interessanti
della libertà di fede contro l’intolleranza e la coercizione delle coscienze. Fu un doppiamente eretico: lo era
per i cattolici (perché aderì alla riforma) e lo sarà anche per i protestanti. L’obiettivo polemico della sua
opera (polemizza con Calvino e con Teodoro Beza contro la pena di morte da infliggere agli eretici) è
l’apparato ideologico dei teologi ginevrini, in difesa di un assetto istituzionale fondato sull’unità di fede e
sull’autorità del magistero ecclesiastico, cui viene contrapposta la difesa della libertà di coscienza e la non
punibilità dell’eretico da parte del potere civile. Il suo pensiero è l'espressione della valorizzazione della
ragione critica del credente contro l’imposizione dell’ortodossia, fondata sul dogma e sul principio di
autorità. Castellion è uno dei maggiori esponenti di quella corrente di ispirazione erasmiana che rappresenta
l’ala ortodossa rispetto al pensiero protestante. Fu tra i primi propugnatori della libertà di coscienza e
ispiratore del protestantesimo liberale. La rilevanza del suo pensiero non consiste solo nella rivendicazione
dell’autonomia della coscienza individuale rispetto al potere politico-religioso, ma soprattutto nella
definizione di una nuova impostazione dei rapporti fra religione cristiana e potere politico, che trova la sua

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radice nel concetto teologico di tolleranza, la quale diviene espressione della libertà religiosa. L’elaborazione
concettuale della tolleranza di Castellion quale espressione del vero essere cristiani, si inserisce nell’alveo
delle istanze religiose umanistiche, che privilegiano la spiritualità dell’uomo come tramite diretto di
comunicazione con Dio rispetto a qualsiasi forma di mediazione ufficiale sia scritturale che rituale. Delle sue
opere, il “De hereticis a civili magistratu non puniendis” è la replica punto per punto al libro che Teodoro
Beza aveva scritto a difesa del diritto-dovere del magistrato di punire l’eretico. In quest’opera sviluppa in
maniera specifica la sua riflessione sull’incompetenza del magistrato civile a giudicare del dissenso religioso,
delineando un rapporto fra diritto e religione diverso da quello conosciuto in Europa no ad allora. Il
rapporto fra potere civile e religioso è la tematica che collega il De hereticis… al “Conseil a la France
desolè”, il pamphlet da lui scritto nel l562, in pieno scoppio degli scontri sanguinosi fra protestanti e cattolici
in Francia, in cui si pone la teorizzazione della tolleranza come strumento politico di governo della società:
la difesa della libertà di coscienza è l’unico rimedio all’instabilità politica a cui porta l’intolleranza religiosa.

EXTRA APPUNTI – Riforma Protestante


Lutero reagì con una protesta (la RIFORMA PROTESTANTE) al degrado imperante della Chiesa (ricchezza,
ecc…) nell’esigenza di tornare al Cristianesimo originario. C’erano stati tentativi di riforma anche in passato.
Il Protestantesimo ebbe tante realtà, diverse confessioni (confessio fidei), il cui elemento unificante fu la
reazione alla Chiesa Romana. Ai tempi c’erano i tribunali dell’inquisizione, che decidevano sull’ortodossia
di una dottrina o sulla sua ereticità: l’eresia (il diverso da una verità religiosa) oltre che un peccato era un
crimine civile punito con la messa al rogo, la cui esecuzione la faceva lo Stato, che eseguiva quanto stabilito
dal potere religioso.

3. CASTEILLON E LA DISPUTA CON CALVINO

Nato nel 1515 a Saint Martin du Fresne da una famiglia di origini modeste, Castellion si trasferì ben presto a
Lione per proseguire gli studi frequentando il College de la Trinitè, dove studiò latino, greco ed ebraico.
L’aver assistito al rogo degli eretici provocò in lui grande turbamento e determinò il suo distacco dalla
religione cattolica e il suo abbandono della città. Nel 1540 si recò a Strasburgo dove conobbe Calvino e
l’anno dopo si trasferì a Ginevra dove dirigerà il Collegio della città. Ma ben presto ebbe i primi contrasti
con Calvino. La sua traduzione della Bibbia (ricordare che già Lutero l’aveva tradotta, perché era in latino e
per consentire di potervi accedere senza la mediazione della Chiesa) non ricevette l’autorizzazione da
Calvino, sia perché l’aveva già tradotta anche lui, e anche a causa della divergente interpretazione di due
punti principali riguardanti la discesa di Cristo agli inferi e la natura profana e non sacra del Cantico dei
Cantici. In seguito al rifiuto (influenzato da Calvino) del Consiglio di città di conferirgli l’incarico di
ministro protestante, Castellion abbandonò Ginevra per trasferirsi a Basilica. Si aprì un periodo di grave
miseria economica per lui e la sua famiglia. Nonostante ciò non abbandonò la sua attività di studioso: scrisse
i Dialoghi sacri, si dedicò alla traduzione del Pentateuco ma soprattutto continuò a lavorare alla traduzione
della Bibbia. Nel 1553 il rogo di Michele Serveto (medico spagnolo, era lo scopritore della doppia
circolazione del sangue nei polmoni, e fu accusato di anti-trinitarismo: cioè il negare la Trinità, considerata
una delle peggiori eresie. Egli subì due processi inquisitori, il primo a Vienna ma riescì a scappare, si rifugiò
a Ginevra ma i calvinisti lo scoprono e su pressione di Calvino lo ri-processano e viene condannato) segnò
l’inizio della vivace polemica con Calvino e Teodoro Beza sulla libertà di coscienza e la tolleranza degli
eretici. Il rogo accese indignazione e malcontento nell’ambiente calvinista (la riforma nasceva proprio per
evitare la pena di morte per l’errore nel Credo), tanto da spingere Calvino a pubblicare la Defensio
ortodoxae fidei. Contemporaneamente (1554) venne pubblicato il De hereticis, an sint persequendi, una
raccolta di testi a favore della tolleranza degli eretici, tratta sia dagli scritti dei Padri della Chiesa, che da
autori protestanti tra cui Lutero, il cui autore fu individuato in Sebastien Castellion (usò però lo pseudonimo
Martin Bellio e il luogo di edizione indicato è Magdeburgo, invece era Basilea). La tecnica usata è la terza
persona (fa parlare i Padri della Chiesa). Qui il pensiero cardine è che quando si è minoranza si vuole la
tolleranza, una volta acquisito il potere si usa la stessa intolleranza che si voleva evitare. Beza, per confutare

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il libro di “Bellio” e giustificare la morte di Serveto pubblicò De haereticis a civili magristratu puniendis,
in cui affermò che la pena da infliggere agli eretici è la pena capitale e che questa doveva essere inflitta dal
magistrato civile. Per Beza l’eretico diffondendo l’errore, idee non vere, era come una parte incancrenita di
un corpo: se lo si lasciava porterebbe ad incancrenire tutto il corpo. Così come l’imputazione, l’eretico
andava estirpato dalla società.

Solo nel 1612 fu stampata in Olanda la risposta che Castellion aveva preparato al libro di Calvino (Defensio
…), con il titolo Contra libellum Calvini. In risposta allo scritto di Beza e alle accuse di Calvino (ma
soprattutto Beza, perché diceva Cast. che confutandolo niente sarebbe poi rimasto da confutare a Calvino),
Cast. produsse inoltre il De hereticis a civili magistratu non puniendis con cui si afferma che il magistrato
civile non ha diritto di punire gli eretici: però a causa della censura calvinista il manoscritto rimase a lungo
inedito, sarà ritrovato solo nel 1938 e pubblicato nel 1971. L’opera ha due parti: nella prima confuta tutti i
punti di Teodoro Beza (destruens); nella seconda indica ciò che va seguito ed espone la propria concezione
del rapporto tra l’uomo e il divino (construens). La non punibilità degli eretici venne affermata attraverso la
denuncia dell’illegittimità dell’intolleranza religiosa, da un lato, scardinando l’impalcatura ideologica e
filosofica a sostegno dell’istituzionalizzazione della religione e, dall’altro, promuovendo la libertà di
coscienza quale presupposto essenziale per la realizzazione della religiosità degli uomini e tra gli uomini. La
libertà di coscienza trova il suo fondamento nell’applicazione del metodo di conoscenza della verità che
viene raggiunta attraverso l’obbedienza ai precetti di Cristo, chiari e certi, in contrapposizione
all’intellettualismo e al dogmatismo delle impostazioni teologiche tradizionali, su cui si struttura invece la
Chiesa calvinista. Questi aspetti sono presenti ed approfonditi in tutta la produzione del Castellion.

La polemica con Calvino e Beza continuò anche sulla dottrina della predestinazione, con la pubblicazione
nel 1561 del “Conseil a la France desolée” (Consiglio alla Francia desolata). L’anno dopo Adamo di
Bodenstein lo denuncia formalmente di eresia al Consiglio di Basilea per aver tradotto in latino di Dialogi di
Ochino, ritenuti ereticali. La morte sopraggiunta nel 1563 sottrae però Castellion alla (probabile) condanna.

5. LA LICEITA' DEL DUBBIO RISPETTO A CIÓ CHE NON É POSSIBILE CONOSCERE CON
CERTEZZA

Il pensiero della libertà di coscienza dell’umanista Castellion trova nell’ultima opera, il “De arte dubitandi
et confidenti, ignorandi et sciendi”, la sua sistemazione più compiuta. Dall’analisi delle sue opere legate
alla vicenda del processo Serveto, non emerge una reale evoluzione o costruzione progressiva di un pensiero,
ma si coglie una continuità ed una riaffermazione delle medesime posizioni in merito alle tematiche centrali
della polemica, a difesa dell’impunità degli eretici. Perciò, appare significativa una lettura unitaria dell’opera
castelloniana, scritti di carattere “polemico”. Sulla scia di Erasmo, l’umanista distingue, all’interno della
Scrittura, parti chiare ed evidenti e passaggi oscuri di difficile comprensione, delineando una impostazione
nettamente contrapposta alla concezione teologica dei riformatori di Ginevra. Alla Scrittura quale fonte
ultima della conoscenza della volontà di Dio che assicura all’uomo la salvezza, viene contrapposto un
criterio non dogmatico e formalistico di ricerca della verità. La causa dei contrasti dottrinali e
dell’intolleranza dell’errore in materia di fede è legata, per Castellion, al fatto di credere alle cose dubbie e
dubitare delle cose certe. L’obiettivo del De arte dubitandi et confidenti… è quello di distinguere quali
siano le cose dubbie di cui si deve dubitare, quali siano le cose certe che devono essere credute, quali
sia lecito ignorare e quali devono sapersi. Castellion indica un metodo di interpretazione delle Scritture
differente da quello strettamente letterale. Per risolvere le questioni controverse bisogna ricercare i punti certi
in cui la verità sia così evidente da non dar luogo a interpretazioni diverse e contrarie l’un l’altra. Il
fondamento del Cristianesimo và basato su quei pochi principi sicuramente certi e non fraintendibili (da tutti
comprensibili e non in discussione attraverso gli strumenti naturali dell’uomo, che sono il senso e
l’intelletto), che per Cast. sono i due precetti/comandamenti che Cristo dà, cioè: “ama Dio e il prossimo tuo
come te stesso”.

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In opposizione alla concezione calvinista della comprensibilità di tutti i passaggi del testo sacro e della sua
indubitabilità, Castellion distingue all’interno delle Scritture ciò che è necessario conoscere ai fini della
salvezza e ciò che non lo è. Per lui tutto ciò che è necessario viene indicato in modo chiaro e sentito come
manifesto evidente e naturale da tutti gli uomini dotati di ragione, mentre l’oscurità di alcuni passaggi
delle Scritture non significa che questi non possano essere compresi, ma che la loro comprensione costituisce
solo una supposizione di scienza. Attraverso l’interpretazione della Scrittura, l’uomo può esercitare e
sviluppare le sue facoltà raziocinanti, giungendo a distinguere quali delle proposizioni contenute nelle
Scritture siano certe, indubitabili e chiare a tutti e quali, invece, necessitano di una sottigliezza di pensiero e
di una preparazione teologica, senza le quali resterebbero oscure. L’attacco di Castellion è contro il metodo
logico-filosofico di Calvino e dei suoi seguaci che, identificava la fede con la conoscenza certa. Infatti,
credere significa avere fiducia nelle parole vere o false che siano, mentre sapere significa conoscere ciò
che è vero, ma la scienza, cioè la conoscenza, non è una virtù, in quanto non aiuta l’uomo a raggiungere la
beatitudine come fa la fede. Il criterio di certezza della fede è, per Castellion, identificato dalle capacità
razionali dell’uomo, per cui è il giudizio della ragione che prevale sulle interpretazioni contrastanti.

I passi nelle Scritture non sono oggetto di un’unica interpretazione, ma possono essere soggette a critica:
riguardo alle parti che non sono chiare ed evidenti, Castellion distingue tra cose supra sensus e quella
contra sensus. A quanti sostengono che la fede consiste sempre nel credere contro i sensi, egli replica che la
fede attiene alle cose che non possono essere percepite dai sensi o che, pur essendo percepibili, non si
manifestano nella vita; mentre sono da respingere, in quanto false, tutte le cose che contrastano palesemente
con l'esperienza dei sensi. La fede non consiste nel credere passivamente anche a ciò che è irrazionale e
contrario ai sensi, ma nell’assentire, attraverso l’uso della volontà a ciò che non sia in contrasto con le facoltà
umane.

6. LA LIBERTÁ DI COSCIENZA E LA METODOLOGIA DI CONOSCENZA DELLA VERITÁ

Il confronto tra Castellion e Calvino è espressione di due diversi sistemi logici di conoscenza della verità: il
primo fondato sulla ragione critica del credente; il secondo sull’adesione incondizionata alla verità oggettiva
della rivelazione scritta garantita dall’autorità ecclesiastica. Il diritto al dubbio è espresso nel De arte
dubitandi…. La conoscenza della verità divina, finalizzata alla salvezza, si ottiene per Castellion solo
attraverso l’obbedienza ai precetti provenienti da Dio, non attraverso i dogmi. Tale conoscenza deve tradursi
in una trasformazione spirituale dell’uomo, mediante il continuo esercizio delle virtù cristiane e la
mortificazione dei vizi. La via per raggiungere la verità è nell’uomo e nel suo rapporto col divino, e non nel
credere nei dogmi. Al potere salvifico della corretta conoscenza dei dogmi, e quindi alla necessità delle
mediazioni logiche tradizionali che giustificano il legame tra religione ed istituzioni, egli contrappone la
rivelazione interiore della volontà divina, in cui si racchiude il significato di libertà di coscienza che significa
liberazione del proprio animo da quegli impedimenti legati al proprio io e alle passioni umane, che
ostacolano la forza della grazia divina già impressa nell'uomo da Dio. La liceità del dubbio nei confronti
delle questioni teologiche non necessarie alla salvezza, per Castellion ha una duplice connotazione: in quanto
criterio ermeneutico, non è altro che la capacità di cogliere la verità al di sopra di tutto ciò che è stato
tramandato e imposto come unica verità; ma è anche lo strumento metodologico che permette all’uomo di
non essere corrotto o intaccato dalle passioni dell’anima: solo mediante il dubbio chi è persuaso della verità
di determinare opinioni potrà giudicare con imparzialità e non accanirsi contro gli avversari. Il dubbio è
astenersi dalle passioni umane. Difendere la verità non significa reprimere l’errore altrui, ma coltivare la
purificazione di sé stessi, allontanando ed evitando le cause di controversia e dissidio con l’altro. La fine
delle controversie teologiche e delle persecuzioni può avvenire solo attraverso la tolleranza dell’altro,
applicando il metodo della persuasione, al fine di ricongiungere alla propria verità coloro che vengono
considerati erranti; ciò è possibile solo se si cercano i punti di unione con chi dissente.

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7. IRENISMO E DOTTRINA DELLA TOLLERANZA

L’irenismo è l’attitudine pacificatrice adottata con l’intento di arrivare all’unione delle varie chiese. Per Cast.
la fede non è mera scienza delle cose sacre ma è la conoscenza interiore di ciò che è bene e fiducia che
scegliendo il bene, ovvero obbedendo ai precetti divini iscritti nel proprio cuore e riconoscibili attraverso la
ragione, si possa vivere e operare come Cristo e cancellare le opere dei diavoli (i peccati). La
relativizzazione dell’essenzialità dei dogmi ai fini della salvezza, nel pensiero di Castellion, è espressione di
un concetto attivo e perfettibile di fede che consiste non tanto nel credere, ma soprattutto nell’obbedire, o
nell’agire in modo concreto, trasfondendo nella vita e nelle relazioni con l’altro la regola di carità dettata ad
ognuno. La differenza tra essentialia (gli elementi necessari alla salvezza) e i non essentialia (verità non
necessarie, c.d. adiaphora o cose indifferenti, su cui è lecito dubitare) è il mezzo per individuare ciò che
unisce i cristiani. Come afferma nel De hereticis, an sint perseguendi, per evitare le dispute dottrinali, fonte
dei profondi dissidi fra cristiani, occorre trovare nella religione una moneta d’oro che abbia valore in tutti i
paesi, indipendentemente dal suo aspetto esteriore. Tale moneta in materia religiosa, valida ovunque, consiste
nel credere in Dio padre, figlio e spirito santo e nei precetti di pietà che sono nelle Scritture. Tale
concezione irenistica di Castellion risente dell’influsso del pensiero di Erasmo, anche se diversi sono
l’obiettivo di fondo e la matrice teologica dell'irenismo castelloniano rispetto alle pretese irenistiche dei
rappresentanti delle Chiese riformate. Mentre per Erasmo la riduzione dei dogmi, ovvero l'adozione di pochi
e fondamentali articoli di fede, è un mezzo per ristabilire la pace al ne di salvare l’istituzione ecclesiastica
cattolica. Il relativismo dogmatico di Castellion è conseguenza della sua concezione umanistica di libera
ricerca della verità. In tal senso, la sua posizione appare strettamente connessa con le istanze tipiche dello
spiritualismo religioso, per il quale il raggiungimento della verità è frutto di un percorso di “illuminazione”
dello Spirito divino già presente nell’uomo.

Alla Chiesa come organizzazione, fondata sull’unità di fede e sul principio di autorità, egli contrappone la
Chiesa come comunità, fondata non sull’identità del credere, ma sull’identico operare per la conversione dei
cuori. Mentre all’intolleranza della Chiesa dogmatica, al di fuori della quale non ci può essere salvezza,
contrappone una comunione ecclesiastica fondata sulla libertà di coscienza. E’ proprio nella sua concezione
della Chiesa come comunità e non come organizzazione, che si rinviene la sostanza di quella che fu definita
eresia, da suoi oppositori. Infine, al concetto tradizionale di religione intesa come corpus di verità in cui
credere, Castellion contrappone un’idea di religiosità fondata sulla rivelazione interiore dello spirito divino.

8. LA TOLLERANZA COME MODERAZIONE E ESPRESSIONE DELLA LIBERTÁ DI


COSCIENZA

Nella visione di Castellion, essere cristiani significa imitare Cristo, ossia disporre il proprio cuore alla
purezza e alla semplicità, condizione indispensabile per raggiungere la luce interiore e la salvezza. E così
inverte i criteri di verità e di errore su cui si era costruita l’impalcatura ideologica dell’intransigenza
dottrinale. Ciò che offende Dio e la verità, non sono l’errore in materia di fede, ma bensì la persecuzione e la
coazione. E la tolleranza è un mezzo di difesa dall’errore ed il metodo per creare le condizioni per
ricongiungersi a Dio: è il segno esteriore della fede cristiana. La prima definizione di Cast. alla tolleranza
religiosa è contenuta nella Prefazione alla traduzione latina della Bibbia del 1551, dedicata ad Edoardo VI
d’Inghilterra → occorre attendere la sentenza del Giudice giusto che avverrà al momento del raccolto, ossia
alla fine del mondo: fino a quel momento bisogna obbedire al precetto divino di lasciar crescere insieme il
grano e la zizzania, affinché non venga strappato il frumento insieme all’erba cattiva. Per confutare la tesi
della pena di morte, ricorre alla parabola della zizzania, presente nella Bibbia: ossia l’invito a lasciar
crescere insieme grano e zizzania perché se si fosse falcidiata prima, alla radice, la zizzania, si sarebbe
falcidiato anche il grano (ci sono vari tesi su questo passo). E obbedendo a tale comando, non si ci deve
condannare reciprocamente.

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E’ perciò un invito alla moderazione, unico rimedio per evitare lo spargimento di sangue dei più deboli e ad
evitare la persecuzione contro chi ha il solo torto di pensarla diversamente in materia di religione. La
moderazione non è solo rimedio per la convivenza di opinioni religiose diverse, ma per Castellion ha anche
un significato più profondo: consiste nell’evitare un giudizio imprudente e precipitoso di cui ci si potrebbe
pentire. Di fronte al rischio di condannare un uomo giusto (e quindi subire poi una condanna divina),
conviene sospendere il giudizio e seguire le regole di carità indicate da Cristo. Perciò tolleranza intesa come
prudenza e moderazione nel giudizio (ciò è specificato all’inizio del De haereticis a civili magistratu non
puniendis, nella sua difesa contro l’accusa di Beza che Cast. fosse appartenuto alla setta dei Novi
Accademici, che Cast. definì invece optima setta, esaltando la prudente ignoranza rispetto alla temeraria
scienza dei peripatetici, ai quali sono assimilati i calvinisti). La regola di giudizio degli Accademici
consisteva nel non affermare per certe le cose incerte, evitando così giudizi erronei. Del resto anche nel
Vangelo si diceva non giudicate e non sarete giudicati. Stesso concetto affermato da Paolo.

L’umanista critica anche la tecnica giuridica: “non si può essere al tempo stesso accusatori e giudici”.

Dunque se anche nella convinzione di difendere la verità si giudica e si accusa la coscienza dell’altro, non si
deve arrivare alla condanna a morte, perché la condanna la può applicare solo Dio, il “vero Giudice”.
All’intolleranza dell’errore, contrappone un umanesimo teologico. Invito a moderazione e clemenza che è
approfondito anche nel De haereticis an sint persequendi, (in ita Se gli eretici debbono essere perseguiti)
nel quale Cast. si avvale di testimonianze di figure autorevoli del Cristianesimo (sia i Padri della Chiesa,
come Agostino, Girolamo, sia autori contemporanei come Erasmo, Lutero e lo stesso Calvino e di scritti
dello stesso Cast. sotto pseudonimo), contro la persecuzione delle coscienze divergenti e degli eretici.

9. ILLEGITTIMITÁ DELL’INTOLLERANZA RELIGIOSA

La rivendicazione della non perseguibilità dell’eresia viene svolta dal Castellion, oltre che mediante la
ricostruzione del concetto di tolleranza come obbedienza alla legge divina, anche attraverso la confutazione
di tutte le argomentazioni a difesa dell’intolleranza. Vengono attaccati tutti i principali fondamenti teologici
e giuridici su cui poggia la giustificazione delle persecuzioni: l’equiparazione dell’eretico al blasfemo ed
all’idolatra (=colui che fa sacrifici ad altri dei e non esclusivamente al Signore), ma soprattutto il dovere
dell’autorità civile di tutelare la fede religiosa dei cittadini. Per lui la giustificazione dell’intolleranza
dell'errore in materia di fede è la conseguenza di una lettura ed interpretazione delle fonti non corrette sul
piano logico e metodologico. Infatti, venivano citati solo i passi del Vecchio e del Nuovo Testamento che
giustificavano lo spargimento di sangue, mentre venivano omessi tutti quelli che indicavano chiaramente
che la battaglia di Cristo andava combattuta con la parola spirituale e non con il ferro ed il fuoco. I fautori
dell’intolleranza trovavano nella legge mosaica l'ordine di uccisione degli idolatri, dei falsi profeti, dei
bestemmiatori ed estendevano agli eretici tale punizione come se voluta dalla volontà divina. Castellion
determina la rottura dell’equiparazione concettuale dell’eretico al falso profeta o al bestemmiatore, e
l’impossibilità di applicare a fattispecie caratterizzate da caratteri diversi la medesima pena. Non essendo
prevista in nessuna parte delle Scritture l’uccisione dell’eretico: applicare la pena di morte, citata nel Vecchio
Testamento solo per casi specifici, sarebbe infatti un’interpretazione arbitraria. Infatti, l’eretico non può
essere considerato come idolatra poiché questo non crede né esorta altri a credere in un Dio straniero, ma
allo stesso Dio di Mosè, né può essere assimilato al falso profeta (=chi interpreta male le Scritture
distogliendo gli altri dal vero culto), perché chi pur errando nella comprensione delle Scritture costruisce
sulle fondamenta di Cristo si salverà grazie alla sua fede (lettera di Paolo ai Corinzi). Neppure l’eretico può
essere equiparato al blasfemo: per i medioevali l’eresia caparbia e la perseveranza nell’errore costituivano
un oltraggio all’onore di Dio e, quindi, la più grave bestemmia, mentre per Castellion la vera bestemmia non
è la convinzione ostinata di ciò che si ritiene giusto, ma l’ipocrisia e la negazione nelle azioni e nei
comportamenti di ciò che si professa a voce. La fedeltà a quanto si crede, anche se frutto di errore, può
essere considerata solo come ignoranza della verità, non come oltraggio alla divina maestà di Dio. La vera

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bestemmia è la menzogna dei difensori dell’intolleranza che uccidono chi non vuole essere ipocrita e
mostrare un’adesione formare ed esteriore a ciò a cui non si crede.

10. DEFINIZIONE DELL’ERETICO NELLE DIVERSE OPERE

Cast. dice nella prefazione al De hereticis an sint persequendi che nelle Scritture la parola eretico è nominata
solo nella Lettera a Tito, e confrontandola con l’insegnamento di Cristo nel Vangelo secondo Matteo (18), si
evince che per eretico si deve intendere un individuo pertinace nell’errore che, ammonito a ragione, non
ubbidisce. Egli distingue due generi di eretici: i pertinaci nel comportamento e i pertinaci nelle cose
spirituali e nella dottrina. Dalla etimologia della parola, si capisce che è eretico chi aderisce con ostinata
protervia ad una setta o ad opinione erronea. Tutte le confessioni allora possono essere eresie, nel senso di
sette, opinioni: in origine questa accezione non aveva significato negativo. L’attributo che contraddistingue il
termine è la pertinacia, che riguarda non il contenuto della dottrina ma l’atteggiamento interiore di
ostinazione nell'errore, derivante dalla presunzione di certezza della propria verità, impedendo di predisporre
il proprio animo al dialogo e all’ascolto di altre opinioni. Per Cast. il Beza sbaglia nel definire l’eretico,
perché userebbe il vocabolo nel senso impiegato nelle Scritture, e non invece dall’originario significato della
parola eresia.

La definizione è più chiaramente espressa nel De haereticis a civili magistratu non puniendis, dove l’eretico
è “colui che segue o si propone di seguire un'eresia, o una setta, opinione, indirizzo, studio, sia nella dottrina
che nei comportamenti, indipendentemente dal fatto che questa sia degna di lode o da disprezzare”. Da ciò
deriva che il termine eretico, per la sua indeterminatezza, può essere impiegato in senso sia positivo che
negativo. Castellion sembra ammettere anche una valenza negativa della definizione di eretico (“è lecito
definire l’eretico come colui che segue un indirizzo vizioso o una setta”) la quale, però, non implica la liceità
dell’intervento repressivo da parte delle autorità istituzionali. Procedimento semantico riproposto anche nel
Conseil à la France désolée. Il significato dell’eresia è approfondito anche nel Contra libellum Calvini.

Dal significato di setta attribuito al vocabolo eresia, l’eretico è propriamente chi appartiene ad una setta,
ad es. in campo filosofico i seguaci delle diverse correnti di pensiero, nel mondo giudaico il termine era
riferito ai Farisei, Sadducei, Nazareni, e tra i cristiani agli appartenenti alla Chiesa di Roma, ai Luterani e via
dicendo. Castellion chiarisce che ogni dottrina è eresia, cioè opinione, ma proprio nel concetto di dottrina si
oppone a Calvino. Ogni “setta” cristiana ha la pretesa di detenere il monopolio della verità. Ma per Cast. la
buona e sana dottrina va giudicata tale non in base all’autorità del magistero teologico che la garantisce, ma
dai frutti che produce. La buona dottrina è quella che diviene una pedagogia per l’anima, preservandola e
curandola dal peccato e dal male, riportando l’uomo alla sua sana natura. E’ l'adesione alla dottrina di Cristo,
conoscibile da tutti gli uomini, che ricongiunge a Dio l’uomo e lo salva. Per lui, quindi, l'uomo può arrivare
alla conoscenza di Dio, che è amore, attraverso la vita virtuosa anche se diverge su alcuni punti dalla teologia
confessionale. E’ l’uomo il centro ed il ne della dottrina castelloniana, per cui la vera religione è quella che
rende migliore l’uomo e che è capace di compiere miracoli nella sua morale. Se ciò che caratterizza l’eresia
è la pertinacia, cioè un vizio spirituale, essa può essere combattuta solo con armi spirituali, non con la spada
corporale, come si comprende dalla lettura del Nuovo Testamento. Nel Vecchio Testamento la spada è la
parola di Dio, così come insegna Cristo quando ordina a Pietro di rifoderare il gladio carnale e di impugnare
quello spirituale, e che le uccisioni ordinate nella Bibbia sono da intendersi come uccisioni spirituali, ossia
come morte dell’anima, allontanamento dalla salvezza in Dio. Confondere la spada corporale con la parola
significa, per Castellion, confondere le due sfere, spirituale e terrena, di competenza del “pastore” e del
magistrato; cosa non possibile visto che il potere temporale non può sconfinare in ambito spirituale, così
come quello spirituale non ha competenze in quello civile. E’ Cristo che dice “il mio regno non è di questo
mondo” stabilendo la differenza tra mondo temporale e spirituale.

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All’eretico non va applicata perciò la pena di morte, ma semmai la pena “spirituale”, ossia (al massimo)
l’allontanamento dalla società.

11. TOLLERANZA E DIRITTO: POTERI E LIMITI DEL MAGISTRATO CIVILE

La libertà di coscienza dell’individuo, quale obbedienza al proprio essere creatura di Dio, è la base per
l’affermazione della libertà ed autonomia della religione rispetto al potere secolare. Sul fondamento del
potere politico, l’umanista ricorre a San Paolo che nella Lettera ai Romani affermava che i popoli che non
hanno legge sono legge a sé stessi (legge naturale, avente carattere morale – i comandamenti - propria di tutti
gli uomini anche pagani). Il diritto di giudicare è riconducibile alla legge naturale, visto che risponde al
principio di equità che consente di distinguere comportamenti giusti/ingiusti. Per Castellion, la funzione
principale del potere civile è assicurare la giustizia: attraverso l’uso della forza, il magistrato interviene per
controllare i comportamenti dei cittadini, contrastando e punendo tutti coloro che compiono azioni esterne
che, in base alla legge di natura, sono riconosciute come malvagie e criminali. Il potere civile è, dunque, uno
strumento di giustizia terrena che assume sia un valore pedagogico (educa al giusto comportamento), oltre
che risarcitorio. E’ questo, per Castellion, che vuole dire San Paolo dicendo che “La legge non è fatta per i
giusti” e che “il potere è stabilito per i malfattori”, cioè che il potere dei magistrati esiste perché esiste il
peccato del mondo ed è necessario per castigare i malfattori. Nella concezione castelloniana, la separazione
della sfera spirituale da quella terrena è equiparata alla separazione tra la carne e lo spirito, cioè tra la
corruzione della perfezione, propria di questo mondo, e l’espressione del bene, propria del regno spirituale di
Cristo. Chi viola la legge umana, sa di violare ciò che riconosce giusto nel propri intimo, ma non ha la
capacità di attuare poiché schiavo dell'amore di sé. Mentre il vero cristiano è già libero dal mondo e dalle sue
leggi, perché ha interiorizzato e spiritualizzato i contenuti della legge naturale e positiva. E’ questo il
significato della separazione dell’ordine spirituale, cioè la separazione tra l’ordine di natura, visibile, e
l’ordine invisibile dello spirito che lega gli uomini a Dio. Chi vive coltivando il bene e obbedendo alle leggi
umane, vive libero dal male e dal peccato e non incorrerà nella spada e nella condanna del magistrato. La
libertà di coscienza è libertà dal peccato del mondo che rende schiavo l’uomo. Il legame organico tra politica
e religione viene efficacemente confutato nella concezione del superamento di ogni potere politico, nel
legame spirituale che congiunge tutti i cristiani direttamente alla volontà divina. Per Castellion, la funzione
del magistrato appartiene all'organizzazione del potere terreno, ma non ha alcuna ragione nella Chiesa, per
cui l’autorità politica non è legittimata a giudicare delle cause riguardanti la religione dei propri cittadini, né
ha il compito di difendere l’ortodossia (che anzi Cast. attacca) della dottrina cristiana: nessuno può essere
messo a morte a causa della religione, anche se eretico. Infatti, se il magistrato mettesse a morte chi viene
considerato eretico dai teologi, giudicherebbe senza la necessaria conoscenza e competenza. Se, in base alle
leggi naturali, non può punire l’eretico, può invece legittimamente punire l’ateo, cioè chi nega l’esistenza di
Dio e la sua onnipotenza, poiché costui pecca contro la legge di natura che riconosce l’esistenza del
trascendente, mettendo in discussione anche la legge di equità naturale, la quale è l’essenza degli
ordinamenti politici terreni ed il fondamento del principio di autorità e gerarchia. Per Cast. l’ateismo non è
espressione dell’autonomia della coscienza, poiché consiste nel rifiuto della spiritualità dell’uomo. L’autorità
civile può giudicare chi nega Dio e la legge universale di equità naturale, perché l’ateo in quanto tale si
contrappone non soltanto alla legge divina ma anche a quella che regola l’ordine naturale umano, poiché non
invade la sfera religiosa del cittadino, in quanto l’ateo non ha alcuna religione. E ciò che Cast. difende dal
potere politico non è l’autonomia dell’uomo, ma l’autonomia della sua coscienza.

12. IL CONSEIL A LA FRANCE DÉSOLÉE: TOLLERANZA RELIGIOSA E POLITICA


DELL’INTOLLERANZA. SÉBASTIEN CASTELLION E MICHEL DE L’HOSPITAL

La concezione teologica della tolleranza, come manifestazione di carità, trova il suo sviluppo
nell’indicazione di una diversa fondazione della comunità civile, nel pensiero di Castellion. E’ questo aspetto

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che viene approfondito nel “Conseil a la France désolée”, scritto nel 1562 in pieno scoppio della guerra
civile in Francia fra protestanti e cattolici. Gli orrori della guerra che dilania la Francia per Cast. sono il
segno evidente della errata comprensione del messaggio di pace di Cristo, la cui colpa è di entrambi gli
schieramenti confessionali. E’ la crisi tragica della cristianità ciò che affligge e tormenta la Francia, la cui
malattia nasce dalla discordia tra coloro che, pur chiamandosi discepoli di Cristo, combattono con spietata
crudeltà i loro fratelli, ignorando la legge divina dell'amore del prossimo. La guerra di religione francese
diviene l’occasione per una riflessione del Cast. sui meccanismi politico-giuridici della società.

L’antidoto per la spirale di violenza è la tolleranza. Per Castellion la causa vera delle lotte religiose è il
coinvolgimento delle istituzioni politico-giuridiche quali “braccio secolare” della Chiesa, poiché il legame
organico tra potere civile ed autorità ecclesiastica alimenta il fanatismo religioso e, coartando la libertà di
fede e di pensiero degli individui, tradisce la missione terrena dello Stato di garantire la pace sociale tramite
la tolleranza. E’ la coscienza individuale, lo spirito di tolleranza, che demarca il confine tra sfera etica-
spirituale dell’uomo e la sfera sociale-politica. La tolleranza non è attuabile dalle istituzioni ecclesiastiche
finché restano arroccate in difesa del loro esclusivismo dottrinario o alla conquista del potere. Spetta perciò
al potere civile farsi garante del rispetto della libertà di coscienza dei propri consociati, rifiutando il loro
appoggio secolare all'intolleranza delle Chiese/istituzioni ed utilizzando piuttosto la tolleranza come
strumento politico per realizzare i fini divini. La soluzione auspicata da Castellion si compone di 2 momenti
che riflettono i 2 ambiti di riferimento del concetto di tolleranza i quali, pur essendo indipendenti, si
compenetrano: tolleranza come disposizione interiore, afferente all’atteggiamento mentale e
comportamentale dell'individuo rispetto all’altro ed alla collettività, e tolleranza pratica come astensione
dalla costrizione delle coscienze, relativamente al sistema sociale-politico della collettività rispetto
all’individuo. Nel riconoscere la libera formazione del percorso di ricerca spirituale all’altro, anche se
erroneo, l’uomo conosce il proprio percorso di libertà interiore, ovvero di liberazione dall'amore di sé e dalle
passioni, il che rappresenta il vero significato religioso della vita umana. Le azioni ispirate dalla fede
religiosa che, però, implicano una lesione dell’uguale libertà dell’altro di vivere la propria religiosità sono
dei veri crimini civili, in quanto tali ricadenti sotto la giurisdizione penale del magistrato secolare.

E’ interessante analizzare la diversità di posizione tra Castellion e Michel de l’Hospital il quale, nel discorso
pronunciato all’assemblea di Saint Germani en Laye, sottolineò l’esigenza di distinguere l’ambito politico da
quello religioso, indicando come interesse primario da raggiungere l’unificazione politica nazionale e
definendo la tolleranza civile come un rimedio provvisorio per salvaguardare l’unità del regno. La sua
teorizzazione della tolleranza civile non mirava all’affermazione della libertà di coscienza, ma indicava uno
strumento politico per evitare disordini e conflitti e salvaguardare l’esistenza dello Stato. Per de l’Hospital, la
politica in materia religiosa comportava da un lato un processo di deconfessionalizzazione del potere politico
e giuridico, dall’altro diveniva uno strumento di legittimazione della religione protestante per cui la
coesistenza confessionale da lui teorizzata converge con le richieste dei protestanti francesi.

Per Castellion invece non è il fine dell’unificazione politica nazionale a rendere necessaria l’indifferenza
dello Stato per le scelte religiose dei cittadini. L’unica possibilità per ristabilire la pace e l’unità nella
comunità consiste nel creare le condizioni per realizzare il significato religioso, che è a fondamento della
libertà dell’uomo. Quindi, il fine cui la società cristiana deve tendere è realizzare attraverso la libertà
dell’individuo la pace religiosa, ovvero la pace tra gli uomini senza distinzione di credo, non tra fedeli di
confessioni diverse. La scissione della sfera politica da quella religiosa è teorizzata da Castellion non ai fini
della coesistenza delle due confessioni sullo stesso territorio o della legittimazione di un altro culto a fianco
della Chiesa tradizionale, ma perché permette di realizzare la vera Chiesa di Cristo, fondata sul principio di
separazione dell’attributo spirituale da quello terreno e temporale. Il fondamento della tolleranza civile e
politica è per lui la tolleranza ecclesiastica poiché il suo vero intento consiste nella rifondazione della
comunità cristiana e dell’istituzione religiosa.

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