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Patologia 1
Patologia 1
Leggi di Mendel
Nel XIX secolo un naturalista cecoslovacco, Gregor Mendel, cominciò i suoi esperimenti
sull’ereditarietà dei caratteri. Nel 1865 ne pubblicò i risultati in seguito denominati
“Leggi di Mendel”.
● 1 legge di Mendel (o della dominanza): incrociando individui omozigoti e diversi
per uno stesso carattere nascono individui eterozigoti in cui compare soltanto il
carattere dominante.
● 2 legge di Mendel (disgiunzione dei caratteri): nella discendenza degli ibridi
ricompare il carattere recessivo e i due caratteri separati sono nel rapporto
costante di 3:1
● 3 legge di Mendel (o indipendenza dei caratteri): dall’incrocio di due individui
omozigoti che differiscono per due o più caratteri si ottengono individui tutti
eterozigoti che manifestano i caratteri dominanti. Dall’incrocio di due individui
eterozigoti e diversi per due o più caratteri si ottengono individui nei quali i
caratteri si trasmettono in modo indipendente l’uno dall’altro secondo la prima e
seconda legge, e quindi combinati in tutti i modi possibili.
Locus: coppia di geni che occupano la stessa posizione su due cromosomi omologhi (uno
da padre e uno da madre).
Alleli: coppia di geni
Omozigote: se i geni della coppia sono identici
Eterozigote: se i geni della coppia sono diversi
Le malattie ereditarie sono dovute ad una o più alterazioni del genoma, cioè del
patrimonio ereditario di un individuo, che è rappresentato dal suo DNA. Le alterazioni
del DNA sono di vario tipo ma, in termini generali, possono essere tutte indicate come
mutazioni. Le alterazioni del DNA sono trasmissibili allo zigote da uno o da tutti e due i
genitori, i quali a loro volta le hanno ricevute con la stessa modalità. In questo caso la
malattia ereditaria assume il carattere di familiarità. Le malattie ereditarie sono presenti
al momento della nascita sia nel caso che la sintomatologia appaia evidente sia che la
stessa non sia appariscente. E per tale ragione vengono anche chiamate congenite. Se un
gene è alterato, l’alterazione si riflette sul prodotto genico che è sempre una molecola
proteica, enzimatica o strutturale, che sarà codificata con un errore nella sequenza
amminoacidica che la rende deficitaria sotto l’aspetto funzionale.
Poiché ciascuna coppia allelica codifica per una proteina, la mutazione a carico di tutti e
due gli alleli (omozigosi) comporta la sintesi di una proteina anomala non funzionante o
difettosa e conseguentemente la comparsa del carattere patologico nel fenotipo.
La mutazione a carico di tutti e due gli alleli comporta patologia; la mutazione dell’uno
dei due alleli, dipenderà dal fatto che il gene sia dominante o recessivo.
Eredità recessiva: quando il carattere patologico che dovrebbe derivare dal gene
alterato, non manifesta nel fenotipo, un allele normale è sufficiente per coprire il difetto,
quindi di gene difettivo sono clinicamente sani. Il carattere patologico si manifesta
quando entrambi gli alleli sono mutati e per questo entrambi i genitori devono essere
eterozigoti per quel carattere patologico.
EX: Aa X Aa dove a è carattere patologico:
● AA 25% omozigoti sani
● Aa 50% eterozigoti clinicamente sani ma portatori
● aa 25% omozigoti malati
Eredità dominante: anche se è mutato uno solo dei due geni, manifesta il carattere
patologico. In patologia quindi, un gene è dominante se provoca la malattia anche negli
eterozigoti, e recessivo quando manifesta patologie solo negli omozigoti.
EX: Aa X AA
● 50% sono omozigoti sani
● 50% sono eterozigoti malati
Esistono numerosi agenti chimici in grado di determinare mutazioni. Tra questi l’acido
nitroso provoca una deaminazione ossidativa che, nel caso della 5 metil-citosina,
produce ana timina, oppure agenti chimici alchilanti, come la metil nitrosourea ed il
metansulfonato, sono in grado di determinare variazioni chimiche responsabili di
provocare mutazioni. In questo caso l’alchilazione della guanina determina la formazione
di metaguanina che complementa la timina invece che la citosina.
Gli analoghi nucleotidici hanno una maggiore tendenza alla isomerizzazione tautomerica
● Il 5 bromo-uracile può appaiarsi con G invece che con A
● La 2-amino purina può appaiarsi con la C invece che con la T
Infezione virale
I virus sono entità biologiche di piccolissime dimensioni, visibili solamente al
microscopio elettronico. Luis Pasteur fu il primo a sospettare che non tutte le malattie
hanno un’eziologia batterica, ricercando la causa della rabbia nei cani e ipotizzando che
fosse da causata da un microorganismo di dimensioni infinitesime. Ipotesi confermata
dopo alcuni anni. Peyton Rous nel 1911 primo ad individuare che un tumore nei polli era
causato dai “virus filtrabili”, chiamato rous-sarcoma virus. Nei primi venti anni del secolo
scorso, furono identificati i primi virus specifici per batteri, i batteriofagi.
Salvatore Luria nel 1967 diede la definizione di virus: entità in cui il genoma consta di
acido nucleico (DNA o RNA) ricoperto da un involucro proteico che si riproduce
all’interno delle cellule viventi sfruttando i meccanismi di biosintesi posseduti da queste
e che vengono indirizzati alla sintesi di peculiari particelle, i virioni, che contengono il
genoma virale e lo trasferiscono ad altre cellule.
Baltimore vinse il premio Nobel 1975 per la scoperta della trascrittasi inversa.
RICAPITOLANDO: i virus a RNA, nel quale il materiale genetico serve direttamente come
mRNA vengono chiamati (+). I virus con catena (-) non possono servire direttamente
come mRNA. I virus a RNA (+) non portano insieme l’enzima nel guscio ma sintetizzano
dopo l’infezione, a differenza dei virus con catena (-) che portano l’enzima nel guscio. In
conclusione, possiamo dire che il materiale genetico dei virus a RNA catena (+) possiede
potere infettivo al contrario di quelli con catena (-).
Virus a DNA: es. Papillomavirus (DS) piccolo, non persiste; Herpesvirus (DS) rimane per
sempre; Pox (DS) vaiolo; Adenovirus (DS) piccolo; Polioma (DS); Hepadnaviridae (parziale
DS) epatite B; Parvo (SS) quinta malattia del bambino.
(Differenze rispetto virus a RNA: la persistenza, ovvero i virus a DNA tendono a persistere
di più questo perchè fanno un compromesso con l'organismo ospite. Inoltre sono più
grandi e hanno un genoma differente. I virus a RNA sono molto instabili, tranne HIV
perchè si integra proprio con il genoma cellulare.)
Il DNA virale viene trascritto e replicato nel nucleo. La sintesi proteica virale è regolata
dai fattori sia virali che cellulari. La sequenza delle proteine replicative nell’herpesvirus è:
immediatamente precoce, precoce, tardive. Il virus dell’epatite B invece porta insieme
enzimi virionici che generano una molecola di DNA virale circolare chiusa. Questa viene
trascritta in due molecole distinte di RNA: una funziona come mRNA e l’altra, invece,
funziona come stampo per la retroscrizione in DNA genomico.
Patogenesi delle infezioni virali: I virioni di nuova sintesi liberati dalle cellule possono:
Tropismo virale: alcuni virus sono specifici nella capacità di infettare tessuti specifici,
come i linfotropici per i linfociti o gli epatotropici per gli epatociti.
La maggior parte delle infezioni virali decorrono in maniera acuta e culminano in breve
tempo o nella guarigione o nella morte del malato. Esistono, però, una serie di infezioni
virali caratterizzate dal fatto che la penetrazione del virus nell’organismo non è seguita
dalla comparsa di un danno facilmente individuabile. Queste infezioni possono essere
distinte in:
Tripanosomiasi: malattia africana del sonno provocata dal morso della mosca TSETSE
infestata dai parassiti tripanosomiasi brucei gambiense e t. brucei rhodesiense,
trasmessi tramite la sua saliva nel sito cutaneo, ove passa nel circolo linfatico e
sanguigno. Un’altra forma di tripanosomiasi è presente in America latina, chiamata
malattia di Chagas, causata dal parassita t. cruzi trasmesso tramite morso di alcune
specie di cimici ematofaghe. Provoca febbre, cefalea, edemi, insufficienza cardiaca.
Generalmente la fase acuta è seguita da un lungo periodo di apparente guarigione che
può durare alcuni decenni fino al momento in cui subentra la fase cronica caratterizzata
da una grave cardiopatia.
Malaria: la malattia infettiva che uccide più gente al mondo annualmente. Più di un
milione di persone all’anno muoiono di malaria, nella maggior parte bambini sotto 5
anni, con un 90% dei casi nell’Africa subsahariana. 300 milioni di casi all’anno in tutto il
mondo. Ci sono più casi rispetto a TBC, AIDS, morbillo e lebbra messi insieme. Un
bambino su 4 in Africa muore di malaria. Il nome deriva dall’italiano MAL-ARIA, veniva
anticamente chiamata febbre romana, perché comune intorno a roma. Ve ne sono
quattro specie, causate da: plasmodium vivax, P. falciperum, P. malariae e P. ovale. Porta
anemia causata dalla rottura degli eritrociti e epato-splenomegalia per la fagocitosi
massiccia dei parassiti da parte dei monociti e dai macrofagi.
Teniasi: taenia saginata e t. solium, indotta con l’ingestione di carne cruda o poco cotta
dai bovini. L’uomo rappresenta il suo ospite definitivo, ed è in esso che si muta nella
forma adulta
Infiammazione
L’infiammazione o flogosi è un processo morboso che si manifesta negli organismi muniti
di sistema circolatorio come meccanismo di difesa contro l’aggressione di un antigene
dannoso (negli invertebrati la difesa si limita ai fattori cellulari dell’immunità innata e alla
fagocitosi). Consiste nella risposta dei tessuti dell’organismo al danno da qualsiasi agente
provocato. È una reazione preferenzialmente locale e segue uno schema
fondamentalmente uguale, il suo scopo è isolare ed eliminare gli agenti patogeni, ma la
sua persistenza può risultare dannosa. Il suffisso –ite indica un processo infiammatorio.
Possono portare ad infiammazione: microorganismi, traumi meccanici (ferite e
contusioni), fisici (radiazioni, corrente) e chimici (acidi, alcali), necrosi tissutale (infarto,
ipossia), reazioni autoimmunitarie, tumori maligni e metastasi.
Segni cardinali dell’infiammazione:
● Rubor: (arrossamento), dovuta alla persistente dilatazione del letto vascolare
periferico, cioè arteriole, capillari.
● Calor: (aumento temperatura), dovuta all’aumento del flusso sanguigno.
● Tumor: (turgor), dovuto all’aumento della permeabilità vascolare che permette
depositi interstiziali, del plasma e dei leucociti, trasmigrazione per diapedesi.
● Dolor: (soggettività), un parametro difficile da valutare, poi normalmente subito
dopo la ferita, vengono rilasciate le endorfine con attività antidolorifiche.
● Function laesa: (perdita di funzione), dovuta in parte da inibizione riflessa dei
movimenti muscolari causati da dolori.
Fasi dell’infiammazione:
1. innesco
riconoscimento molecolare degli agenti flogogeni presieduto da: cellule
dell’immunità innata (macrofagi, neutrofili, basofili, natural killer), molecole
plasmatiche e vengono stimolati quei geni che codificano per molecole coinvolte
nel processo di fagocitosi e quelli che codificano per le citochine (IL1 e TNF)
2. evoluzione
caratterizzata dalla risposta delle cellule che esprimono recettori per le citochine
primarie, rilasciate nel sito ove sono presenti gli agenti flogogeni, che agiscono
sia localmente che su cellule di organi distanti. In questa fase avviene la
modificazione delle cellule ematiche nel microcircolo, la migrazione dei leucociti
dal compartimento ematico in quello extracellulare e la formazione
dell’essudato.
3. esito infiammazione
l’infiammazione può avere come esito la cronicizzazione ovvero non si elimina
l’agente flogogeno, risoluzione quindi un esito favorevole, oppure la necrosi
ovvero la distruzione cellulare operata dagli enzimi lisosomiali liberati dai
leucociti.
CITOCHINE: costituiscono un vasto gruppo di molecole proteiche rilasciate non solo dalle
cellule che partecipano alle reazioni infiammatoria ed immunitaria ma praticamente da
tutte le cellule dell’organismo. Nel loro insieme le citochine si comportano da molecole
trasportatrici di segnali che possono essere sia di tipo stimolatorio che di tipo inibitorio
di determinate funzioni cellulari. Le citochine giocano un ruolo di primo piano sia nel
processo infiammatorio che in quello immunitario. Le cellule bersaglio rispondono alla
stimolazione citochinica con fenomeni di derepressione genica a cui consegue la
codificazione di proteine responsabili della comparsa di determinate funzioni. Alcune
citochine producono effetti sinergici, altre, invece, contrastanti. Alcune citochine sono
dette chemiochine perché esercitano attività chemiotattica, cioè di richiamo nei riguardi
di altre cellule.
● Citochine tipo I o TH1: molecole con attività chemiotattica, richiamano nel
focolaio flogistico cellule NK, linfociti T CD4+ e CD8+
● Citochine tipo II o TH2: presiedono alla risposta flogistica acuta e risposta
mediata dagli anticorpi IgE (immunoglobine)
Le cellule coinvolte nelle infiammazioni sono, dunque:
● Mastociti: presenti nel connettivo di moltissimi organi, contengono granuli pieni
di eparina e istamina
● Granulociti Basofili: equivalenti ematici dei mastociti
● Granulociti Eosinofili: cellule attivate da citochine di tipo II TH2, in particolare IL4
● Neutrofili: richiamati dal sangue da vari fattori chemiotattici. Rilasciano acido
arachidonico ed enzimi lisosomiali determinando una maggiore azione
fagocitaria diretta sui microrganismi
● Monociti: si chiamano macrofagi se sono nel tessuto connettivo, attivazione
indotta dalle citochine (Ifn-gamma), operano fagocitosi diretta, presentano gli
antigeni ai linfociti T, effettuano biosintesi e secrezione di altre citochine (Il1, IL6,
TNF alpha, chemochine)
● Linfociti: sempre presenti nel focolaio flogistico, soprattutto se cronico, sono tra i
maggiori produttori di citochine
● Plasmacellule: derivano dai linfociti B, funzione produzione di anticorpi
● Piastrine: prive di nucleo, producono derivati dell’acido arachidonico,
● NK: richiamate da citochine I, uccidono le cellule che replicano i virus tramite
molecole di perforine, che inducono la lisi dei corpi cellulari.
I mediatori flogistici determinano le interazioni cellulari e tissutali. Per essere tali,
devono: provocare l’infezione negli animali iniettati, essere presenti durante
l’infiammazione ed essere assenti quando questa termina, neutralizzabili dai loro
antagonisti, provocare l’infiammazione se iniettati. Sono di 3 tipi:
● preformati: contenuti nelle cellule, e sono: istamina (vasoattivatore,viene
catabolizzata in 60 sec, prodotta dai mastociti, il rilascio locale provoca prurito ed
edema, generale shock anafilattico paralizzando il sistema cardiovascolare),
serotonina (prodotta in particolare dai mastociti, provoca edema), enzimi lisosomiali
(prodotti nel focolaio flogistico dai granulociti e monociti)
● di nuova sintesi: prostaglandine, leucotrieni, paf (protein activating factor), citochine
sono mediatori chimici dell’infiammazione, regolatori dell’infiammazione perché a
volte provocano la flogosi, altre sono antiflogistici; distinte come tipo I o TH1
(IFN-gamma, IL2, TNF-beta): molecole con attività chemotattica, richiamano nel
focolaio NK, linfociti T e macrofagi; tipo II o TH2 (IL4, IL5, IL6, IL10): presiedono alla
risposta flogistica acuta e a quella agli anticorpi IgE di tipo allergica; vengono anche
classificate in: interleuchine, chemochine, interferoni, colony stimulating factors,
growth factors) e ossido nitrico (inibizione a livello piastrinico di varie funzioni quali
l’aggregazione e la secrezione di molecole vasocostrittrici)
● della fase fluida: chinine (numerosi peptidi che inducono la vasodilatazione e la
contrazione della muscolatura liscia) chininogeni (precursori delle chinine e più
pesanti delle globuline plasmatiche), plasmina (si forma dal plasminogeno e attiva la
via classica del complemento), trombina (deriva dalla protrombina), sistema del
complemento (ha due vie di attivazione, classica e alternativa)
Le manifestazioni sistemiche dell’infiammazione appaiono quando i fenomeni locali
sono intensi e duraturi: la febbre, la leucocitosi, l’aumento delle proteine plasmatiche.
La febbre
Nel regno animale sono detti poichilotermi quegli esseri viventi la cui temperatura
corporea è eguale a quella dell’ambiente in cui vivono mentre sono detti omeotermi
quelli che sono capaci di mantenere la temperatura corporea del proprio organismo ad
un livello entro determinati limiti costanti. Nell’uomo la temperatura corporea si aggira
intorno ai 37 gradi, con variazioni di qualche decimo di grado nel corso delle 24 ore con il
minimo nelle ore mattutine ed il massimo verso la fine del pomeriggio (36,8 +/- 0,4 gradi
centigradi negli adulti dai 18 ai 40 anni). Perché 37? Tutti i processi che garantiscono
l’omeostasi si svolgono a questa temperatura.
La TC varia in dipendenza di:
● Ciclo mestruale
● Stagioni
● Età
● Digestione
● Gravidanza
● Sforzo
Il processo di termoregolazione, ossia la capacità di un organismo di mantenere
costante la temperatura corporea in relazioni alle variazioni di quella ambientale, è una
condizione di equilibrio omeostatica tra la quantità di calore prodotta dall’organismo
(termogenesi) e la quantità di calore da esso perduto (termodispersione). Affinchè la
temperatura dell’organismo resti costante, è necessario che il rapporto tra la quantità di
calore prodotto e la quantità di calore perduto sia uguale ad 1.
La termoregolazione è sotto il controllo di centri termoregolatori situati nel sistema
nervoso centrale che mandano e ricevono segnali dalla periferia. Queste terminazioni
periferiche costituiscono i termocettori superficiali e profondi presenti nelle varie regioni
dell’organismo che avvertono il grado della temperatura con cui sono a contatto
Termogenesi: somma del calore prodotto da ogni singola cellula. Al livello cellulare il
calore prodotto ha un’origine chimica, tramite reazioni metaboliche esotermiche, in
particolare quelle di ossidoriduzione a livello della catena respiratoria mitocondriale. Ciò
che influisce sulla termogenesi è il calore (50%) e la fosforilazione ossidativa (50%),
responsabile della produzione di ATP. La trasformazione dell’energia chimica in calore
viene effettuata dalla ATPasi. Si parla di termogenesi obbligatoria riferendosi alla
produzione basale di calore in condizione di riposo ed a normale temperatura
ambientale, e riguarda il calore generato dall’attività metabolica e l’energia richiesta per
l’omeostasi fisiologica, in assenza di sovraccarico funzionale. A tale regolazione
presiedono gli ormoni tiroidei.
Metabolismo basale: 1400/1800 calorie 70 calorie/ora
Piccola caloria: quantità di calore necessario per innalzare la temperatura di 1g da 14,5 a
15,5 gradi alla pressione di 1 atm
Cal caloria (100 calorie): quantità di calore che innalza di 1 grado 1 kg di acqua nelle
stesse condizioni
La termogenesi facoltativa, invece, consiste nella produzione di calore in eccesso in
confronto a quella richiesta per lo stato basale. A tale regolazione presiedono le
catecolamine.riccardo
Gli ormoni tiroidei e le catecolamine (noradrenalina, adrenalina, insulina e
glicocorticoidi) attivano il sistema nervoso neurovegetativo, il quale a sua volta provoca:
● Incremento del flusso degli ioni (Ca, Na,K) che determina un’accelerata
attivazione/sintesi dell’ATPasi
● Contrazione della muscolatura scheletrica (brivido): è un meccanismo
involontario e viene anche denominato termogenesi contrazionale. Essa si attiva
quando la temperatura ambientale si abbassa ad un limite non altrimenti
compensabile.
Termodispersione: In ambienti caldi, con una eccessiva produzione endogena di calore,
si ha dispersione, causata da vasodilatazione. In ambienti freddi invece la produzione di
calore è scarsa, quindi si ha ritenzione causata da vasocostrizione. Lo stato di
contrazione dei vasi superficiali è sotto controllo dell’ipotalamo. Il calore prodotto,
invece, viene disperso attraverso cute (sudorazione); se l’ambiente esterno ha
temperature elevate la sudorazione e la vasodilatazione aumentano. Le altre vie di
dispersione del calore sono quelle respiratorie, digerenti e urinarie.arianna
● Conduzione: è necessario il contatto fisico affinché il calore si disperda dal corpo
a temperatura più alta verso il corpo a temperatura più bassa. È unidirezionale.
● Convezione: movimento diretto, naturale o forzato, di particelle aventi
temperatura diversa (gas e fluidi che circondano la superficie cutanea).
● Irraggiamento: trasferimento di energia termica tramite onde elettromagnetiche
infrarosse. Non necessita di contatto fisico. Dipende non solo dalla differenza di
temperatura ma anche dall’estensione della superficie cutanea.
● Evaporazione: passaggio di acqua dallo stato liquido a quello aeriforme. Non
necessita di differenza di temperatura tra due corpi. L’unico ostacolo è l’umidità.
La sudorazione è sotto controllo del SNC.
Centri termoregolatori:
● Area preottica
● Formazione reticolare
● Gangli simpatici
Questi tre centri formano il termostato biologico. Nell’area preottica sono presenti 4 tipi
di neuroni:
● Neuroni warm: (recettivi)
● Neuroni I: neuroni insensibili a stimoli termici (recettivi)
● Neuroni w: neuroni di termodispersione (effettori)
● C: neuroni di termoconservazione (effettori)
Tipi di febbre:
I problemi che la febbre comporta sono l’accelerazione dei processi catabolici, riduzione
dell’acutezza mentale fino al delirium o alla stato stuporoso; convulsioni febbrili nei
bambini; rischio di anomalie fetali se la TC supera i 37,8° nel primo trimestre della
gravidanza.
I sintomi di accompagnamento della febbre sono: brivido mediato dal SNC (meccanismo
involontario di termoproduzione); rigor febbrile è un brivido profondo con piloerezione,
battito di denti e scuotimento imponente (influenza, infezioni batteriche, epatoma,
malaria); sudorazione, determina termodispersione nella fase di defervescenza dopo la
terapia antipiretica; alterazione dello stato mentale, soprattutto negli anziani/bambini;
convulsioni febbrili soprattutto nel bambino.
Le cause più comuni di febbre sono: infezioni vie aeree superiori, infezioni tratto
urinario, ascessi superficiali, polmoniti, terapia sintomatica, terapia antibiotica.
La FUO (Fever of Unknown Origin) è un termine introdotto da Petersdorf nel 1961 per
indicare la febbre >38,3°C riscontrata in più occasioni, febbre di durata maggiore di 3
settimane e impossibilità a formulare una diagnosi dopo 1 settimana di indagini in
ambiente ospedaliero.
Le cause più frequenti della fuo sono infezioni (ascessi es della colecisti, granulomatosi
es. tubercolosi extrapolmonare, intravascolari es. endocardite da catetere, virali, da
rickettsie, clamidie, parassitarie es. amebiasi extraintestinali); disordini infiammatori non
infettivi (malattie del collagene, es. febbre reumatica; granulomatosi es.sarcoidosi;
danno tissutale, es. embolia polmonare); febbre da farmaci (penicillina, lassativi); febbre
factitia; febbre mediterranea familiare.
La terapia per la febbre può essere sospensione del farmaco sospetto in caso di febbre
da farmaci; interruzione dell’anestesia e somministrazione di dantrolene sodico se
ipertermia maligna; spugnature coperte refrigeranti, lavanda gastrica o peritoneale con
soluzione fisiologica fredda in caso di ipertermie; antipiretici; glucocorticoidi; terapia
specifica della malattia di base.
Quindi le cause delle sindromi da ipertermia può essere un colpo di calore a causa di esercizio fisico in
ambienti con temperatura elevata oppure a casa di antistaminici, diuretici, anticolinergici; ipertermia da
farmaci; sindrome maligna da neurolettici; ipertermia maligna o endocrinopatie.