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BASI FISIOPATOLOGICHE DELLE MALATTIE

La patologia generale è una scienza multidisciplinare indirizzata all’individuazione dei


fattori che concorrono alla comparsa dei fenomeni patologici, al chiarimento dei
meccanismi a essi innescati per alterare lo stato di salute nonché alla comprensione
delle interrelazioni che si verificano tra le cause ed i vari costituenti dell’organismo. È
una scienza dinamica che studia perché (eziologia: conoscenza delle cause) e come
(patogenesi: origine delle malattie) viene alterato lo stato di salute (non è facile attuare
una definizione perché ci sono molteplici variabili, soggettività del giudizio. Non è una
condizione statica ma continuamente oscillante dalle sollecitazioni esterne come
temperatura o interne come emozioni di vario tipo quindi è sbagliato asserire che la
cattiva salute vuol dire malattia e che buona salute significa assenza di malattia) e
l’omeostasi dell’organismo (insieme di meccanismi messi in atto dagli esseri viventi per
mantenere ad un livello ottimale le funzioni espletate dalle sue componenti, mantiene
costante l’ambiente corporeo interno entro limiti definiti parametri vitali, quali pH,
temperatura, concentrazione di glucosio e diossido di carbonio). Ciò è possibile tramite il
feedback negativo o retroazione negativa (è il meccanismo omeostatico principale che
permette al corpo di mantenere l’ambiente interno costante. Il modello di retroazione
negativa ha due componenti: un sensore e un centro di controllo).
Lo stato di salute quindi è inteso come la risultante di un fine equilibrio di serie di
processi anatomo-funzionali, fisici, chimici e quindi molecolari, il cui mantenimento è
controllato da molti meccanismi. Lo stato di salute ha due caratteristiche:
● Adattamento, capacità delle cellule di modulare le loro funzioni in caso di eventi
stressanti che disturbano una condizione di equilibrio. (es. ipertrofia muscolare
ogni fibra muscolare raddoppia il numero di miofilamenti per facilitare il
sovraccarico di lavoro distribuito uniforme). (abitanti alta montagna si adattano
alla più bassa concentrazione di ossigeno producendo numero elevato di globuli
rossi).
● Soggettività, sensazione di benessere fisico-psichico dell’uno e dell’altro resta
condizionata al proprio ambiente.
Lo stato di salute deve essere basato sui determinati requisiti di obiettivo significato.
Valori normali standard vengono paragonati con i valori di un esame clinico.
OMS: La salute è uno stato di benessere fisico, psichico, sociale e non la semplice
assenza di malattia.
Le manifestazioni patologiche sono dunque deviazioni dello stato di salute e si
distinguono in:
● Fenomeno morboso: la più semplice deviazione (morfologico, biochimico,
funzionale: abrasione sulla pelle senza danno ai vasi, vasodilatazione o contrazione in
risposta per le temperature elevate o diminuite)
● Processo morboso: risulta dall’associazione di fenomeni morbosi (infiammazione è
una conseguenza di fenomeni morbosi come iperemia, aumento della permeabilità
della cellula, leucocitosi; febbre è il risultato di eventi coordinati come ipertermia,
tachicardia, oligura)
● Stato morboso: condizione patologica predisponente e stazionaria, si manifesta in
seguito ad una perturbazione (portatori di stato morboso possono avere
perturbazioni) e vi possono subentrare fenomeni di adattamento (miopia)
● Malattia: condizione dinamica che si manifesta con l’alterazione anatomica e/o
funzionale di uno o più organi che turba la condizione omeostatica originaria ed
induce uno stato di reattività dell’intero organismo. La malattia può evolvere nella
guarigione (eliminare la causa che l’ha indotta), nella cronicizzazione (quando la
causa non è eliminata) e nella morte (la reazione dell’organismo è insufficiente a
controbattere tutti gli effetti dannosi). La malattia provoca quasi sempre la comparsa
di fenomeni soggettivi ed obiettivi che vanno sotto il nome di sintomi: l’analisi clinica
di questi sintomi si conclude nella diagnosi. Anche per quanto riguarda lo stato di
malattia ci possono essere diverse considerazioni, perché una persona può trovarsi in
stato di malattia senza manifestare sintomi o disturbi. I criteri per la suddivisione
delle malattie permettono di suddividerle per criterio: topografico (regione
interessata), anatomico (tessuto/organo interessato), funzionale (funzione
prevalente interessata), patologico (natura del processo patologico), eziologico
(causa scatenante), epidemiologico (dati statistici per categorie o periodi),
molecolare (molecola alterata).
L’eziologia è la disciplina che studia le cause che provocano il turbamento persistente
dell'omeostasi. Si suddividono in cause esogene, se sono presenti nell’ambiente esterno,
ed endogene se sono presenti all’interno dello stesso organismo. Le cause inoltre
possono essere:
● Determinanti: se da sole provocano la comparsa della malattia
● Coadiuvanti: quando facilitano l’azione di altre cause, pur essendo da sole incapaci di
produrre l’evento patologico.
L’organismo può essere:
● Recettivo: subisce le conseguenze
● Refrattario: non subisce conseguenze poiché geneticamente incapace di contrarre
una determinata patologia
● Resistente: potenzialmente recettivo ma con poteri di difesa efficiente
● Reattivo: quando la difesa è più che efficiente, come nel caso dell’immunità specifica
È difficile classificare i meccanismi patogenetici perché sono numerosissimi, sia perché
esiste variabilità individuale verso un agente etiologico e sia perché vari agenti etiologici
possono usare meccanismi sovrapponibili. La conoscenza della patogenesi permette di
prevenire e prevedere il percorso e decorso di una malattia e scegliere una terapia
adatta ad essa.
Degno di nota: difterite. Il corynbacterium dyphterie porta con sé il gene tox che deriva
da fago tox+, infatti alcuni ceppi batterici sono infettati dal DNA del fago integrandolo
con quello batterico; viene prodotta l’esotossina come una proteina di 62 kd, che
possiede due frammenti A attivo a livello cellulare (reagisce come enzima
adp-ribosiltransferasi) e B serve per legarsi alle cellule; tramite B si aggancia alla cellula
ed entrandovi A e B, prima uniti, si separano; ADP ribosio si lega ad EF2 (elongation
factor importante per la fissazione dei aminoacidi durante sintesi proteica)
disattivandolo; la sua disattivazione non permette la sintesi proteica e porta la cellula
alla morte. La tossina della difterite è stata usata nella taylor therapy contro il cancro.
Essendo l’anticorpo composto da una parte FAB (frequent antigen B) ed una FC
terminale (frammento cristallizzabile), FC viene cambiato con la tossina difterica e FAB
viene “modellato” per adattarsi al recettore dell’antigene della cellula tumorale. In tempi
recenti, il meccanismo di azione della tossina difterica ha consentito il suo uso per la
terapia del cancro. Immunoglobuline (anticorpi) contro le proteine specifiche della
cellula tumorale sono state create dove la parte FC è stata cambiata con il frammento A
della tossina difterica, così che la cellula tumorale viene conosciuta da questi anticorpi e
il frammento A agisce sul EF2, causando la morte della cellula tumorale.
Patologia genetica: si occupa delle malattie ereditarie, eziologia, patogenesi, tipi,
localizzazione delle alterazioni genomiche, fenotipi risultanti, frequenza e distribuzione
nella popolazione ecc.
Mutazioni prezigotiche: preesistono alla formazione dello zigote. Questo porta al fatto
che una mutazione viene trasmessa a tutti i tipi di cellule del corpo.
La familiarità della malattia genetica viene definita quando le alterazioni del DNA sono
trasmesse allo zigote da uno o da tutti e due i genitori; può succedere anche che durante
la vita, uno dei genitori o raramente tutti e due subiscono una mutazione nelle cellule
germinali che viene trasmessa alla prole.
Malattie congenite: non tutte sono prodotte dall’alterazione del patrimonio genetico.
Infezioni incontrate dalla madre durante la gravidanza e trasmessa al feto (sifilide,
rosolia, HIV, toxoplasmosi, CMV). Sono congenite ma non causate dal danno del DNA.
Prima di parlare dei meccanismi delle malattie ereditarie, bisogna fare alcuni chiarimenti
sulla terminologia:
● DNA: acido desossiribonucleico. Quattro basi di azoto legati tra di loro sulla base
di uno zucchero, al quale si lega un gruppo fosfato.
● Nucleoside: base + zucchero
● Nucleotide: base + zucchero + gruppo fosfato
● Codice genetico: ogni tripletta di base (codone) codifica per un aminoacido
● Natura degenerativa del codone: ci sono 64 codoni e soltanto 20 aminoacidi,
quindi esiste una ridondanza del codone. Molti aminoacidi vengono codificati da
più di un codone
● Dogma principale della biologia: DNA - RNA - PROTEINA oppure
RNA-DNA-RNA-PROTEINA
● La trascrizione è l’informazione che fluisce da DNA a RNA mentre la traduzione
traduce l’informazione da RNA a proteine.
Har Gobind Khorana: ricevette il premio Nobel medicina 1968 per scoperta del codice
genetico.
● Struttura genica: la maggior parte dei geni umani hanno esoni, parte codificante
– 2%, ed introni, parte non codificante – 98%.
● Processo di trascrizione: la sintesi del RNA dal DNA; soltanto il mRNA viene
tradotto nella proteina. RNA lega polimerasi lega il DNA e comincia la trascrizione
5’-3’. Esistono 33 mila geni/proteine, 3 miliardi di nucleotidi.
Esistono tre tipi di RNA per la sintesi proteica:
- RNA messaggero che serve come stampo (template) per la sintesi della proteina.
- RNA transfer, molecola adattatore che porta l’amminoacido.
- RNA ribosomiale, la base che determina la posizione delle proteine ribosomiali.
RNA non codificanti: siRNA (small interfering); miRNA (microRNA); piRNA
Perché nell’RNA vi è U e non T? il DNA è soggetto a mutazioni spontanee sia chimiche
che fisiche. La maggior parte delle mutazioni viene corretta da processi biochimici. A
causa di una reazione detta deamminazione la citosina si trasforma in uracile portando
ad una mutazione grave. Tuttavia grazie ai meccanismi di controllo questa mutazione
viene eliminata. Ora se ci fosse stato l'Uracile nel DNA, non si sarebbe individuata la
mutazione causando modificazioni permanenti nella sequenza del DNA. Il fatto che nel
DNA è presente la timina e non l'uracile ha reso possibile la conservazione
dell'informazione genetica. Mentre l'RNA l'ha mantenuto perchè non deve trasmettere
inform- genetica.

Leggi di Mendel
Nel XIX secolo un naturalista cecoslovacco, Gregor Mendel, cominciò i suoi esperimenti
sull’ereditarietà dei caratteri. Nel 1865 ne pubblicò i risultati in seguito denominati
“Leggi di Mendel”.
● 1 legge di Mendel (o della dominanza): incrociando individui omozigoti e diversi
per uno stesso carattere nascono individui eterozigoti in cui compare soltanto il
carattere dominante.
● 2 legge di Mendel (disgiunzione dei caratteri): nella discendenza degli ibridi
ricompare il carattere recessivo e i due caratteri separati sono nel rapporto
costante di 3:1
● 3 legge di Mendel (o indipendenza dei caratteri): dall’incrocio di due individui
omozigoti che differiscono per due o più caratteri si ottengono individui tutti
eterozigoti che manifestano i caratteri dominanti. Dall’incrocio di due individui
eterozigoti e diversi per due o più caratteri si ottengono individui nei quali i
caratteri si trasmettono in modo indipendente l’uno dall’altro secondo la prima e
seconda legge, e quindi combinati in tutti i modi possibili.

Locus: coppia di geni che occupano la stessa posizione su due cromosomi omologhi (uno
da padre e uno da madre).
Alleli: coppia di geni
Omozigote: se i geni della coppia sono identici
Eterozigote: se i geni della coppia sono diversi
Le malattie ereditarie sono dovute ad una o più alterazioni del genoma, cioè del
patrimonio ereditario di un individuo, che è rappresentato dal suo DNA. Le alterazioni
del DNA sono di vario tipo ma, in termini generali, possono essere tutte indicate come
mutazioni. Le alterazioni del DNA sono trasmissibili allo zigote da uno o da tutti e due i
genitori, i quali a loro volta le hanno ricevute con la stessa modalità. In questo caso la
malattia ereditaria assume il carattere di familiarità. Le malattie ereditarie sono presenti
al momento della nascita sia nel caso che la sintomatologia appaia evidente sia che la
stessa non sia appariscente. E per tale ragione vengono anche chiamate congenite. Se un
gene è alterato, l’alterazione si riflette sul prodotto genico che è sempre una molecola
proteica, enzimatica o strutturale, che sarà codificata con un errore nella sequenza
amminoacidica che la rende deficitaria sotto l’aspetto funzionale.
Poiché ciascuna coppia allelica codifica per una proteina, la mutazione a carico di tutti e
due gli alleli (omozigosi) comporta la sintesi di una proteina anomala non funzionante o
difettosa e conseguentemente la comparsa del carattere patologico nel fenotipo.
La mutazione a carico di tutti e due gli alleli comporta patologia; la mutazione dell’uno
dei due alleli, dipenderà dal fatto che il gene sia dominante o recessivo.
Eredità recessiva: quando il carattere patologico che dovrebbe derivare dal gene
alterato, non manifesta nel fenotipo, un allele normale è sufficiente per coprire il difetto,
quindi di gene difettivo sono clinicamente sani. Il carattere patologico si manifesta
quando entrambi gli alleli sono mutati e per questo entrambi i genitori devono essere
eterozigoti per quel carattere patologico.
EX: Aa X Aa dove a è carattere patologico:
● AA 25% omozigoti sani
● Aa 50% eterozigoti clinicamente sani ma portatori
● aa 25% omozigoti malati

Un’unione tra un coniuge sano e uno eterozigote portatore AA X Aa


● 50% sani omozigoti
● 50% sani eterozigoti portatori

Esempi di malattie autosomiche recessive:


-Malattia di Tay-Sachs: deposito di ganglioside nelle cellule neuronali
-Fibrosi cistica: mutazione del gene CFTR
-Fenilchetonuria: mancanza della tirosina
-Anemia falciforme: forma aberrante dell’emoglobina

Eredità dominante: anche se è mutato uno solo dei due geni, manifesta il carattere
patologico. In patologia quindi, un gene è dominante se provoca la malattia anche negli
eterozigoti, e recessivo quando manifesta patologie solo negli omozigoti.
EX: Aa X AA
● 50% sono omozigoti sani
● 50% sono eterozigoti malati

Esempi di malattie autosomiche dominanti:


-Neurofibromatosi: mutazioni geni NF1 e NF2
-Malattia di Huntington: mancanza di cognizione, atassia e problemi emotivi
-Acondroplasia: forma di nanismo che selettivamente colpisce braccia e gambe
Eredità poligenica: diversi geni contribuiscono alla patologia
Eredità legata al sesso: carattere normale o patologico legato ai cromosomi sessuali
divisa in eredità diaginica (donne) e eredità oloandrica (uomini)
L’eredità diaginica riguarda la trasmissione del carattere legato al cromosoma X. Può
accadere che donne che non sono malate, pur portando una determinata mutazione di
questo tipo, possono trasmettere al figlio maschio questa malattia. Ci sono diversi
disordini genetici dell’uomo legati al cromosoma X, poiché non ha un allele
corrispondente sul cromosoma Y: cecità dei colori, distrofia muscolare, emofilia. Quindi
l’eredità diaginica recessiva in una unione tra un uomo sano e una donna portatrice non
malata risulta in seguente divisione:
X*X x XY dove * è il gene mutato
● XX 25 % Omozigote figlie sane
● X*X 25 % eterozigote figlie sane
● XY 25 % figli sani
● X*Y 25 % figli malati

XX x X*Y (Unione dove l’uomo è malato ma la donna è sana)


● XX* 50 % figlie portatrice
● XY 50 % figli sani

X*X x X*Y (unione tra donna portatrice e l’uomo malato)


● X*X* 25 % figlie malate
● X*X 25 % figlie portatrici
● X*Y 25 % figli sani
● XY 25 % figli malati

L’eredità oloandrica, cioè legata al cromosoma Y è limitata in quanto riguarda la


trasmissione di geni patologici solo ad una anomalia consistente nell’ipertricosi del
padiglione auricolare, che ovviamente viene trasmessa solo alla discendenza maschile.

Mitosi, meiosi e mutazioni


Nel corso della divisione cellulare, ciascuno dei cromosomi si riproduce integralmente.
Una copia di ciascun cromosoma migrerà in ciascuna delle due cellule che si ottengono
al termine della divisione.
MITOSI: ciascun cromosoma si duplica producendo due copie identiche, i cromatidi
fratelli. I cromatidi restano associati mediante il centromero.
● Le copie si separano
● Ciascuna copia migra in una cellula

La mitosi e l’interfase costituiscono quello che viene chiamato CICLO CELLULARE


● Interfase: suddivisa a sua volta in fase G1 (accrescimento), fase S (accrescimento
e replicazione del DNA) e fase G2 (accrescimento e ultimi preparativi prima della
divisione)
● Profase: formazione del fuso mitotico (formato da fibre proteiche che si
dipartono dai poli della cellula, in quelle animali il fuso si organizza attorno a
strutture chiamate centrosomi), condensazione della cromatina in cromosomi,
frammentazione della membrana del nucleo, scomparsa dei nucleoli. Il
centrosoma è una piccola struttura costituita da tubuli proteici situata vicino al
nucleo. (cariotipo è la "foto" in cui si vedono tutti i cromosomi e l'uso in
contemporanea di diverse colorazioni permette di riconoscere ciascuna coppia-->
un colorante è gisma)
● Metafase: i cromatidi (coppie di cromosomi) si ancorano alle fibre del fuso. I
cromosomi si raggruppano al centro della cellula e formano la piastra
equatoriale.
● Anafase: i cromatidi fratelli si separano. Le copie vengono trainate dalle fibre del
fuso e migrano alle estremità della cellula
● Telofase: i cromosomi si “despiralizzano” e tornano a formare la cromatina. La
membrana del nucleo ed il nucleolo si riforma
● Citocinesi/citodieresi: la membrana cellulare si contrae all’equatore della cellula
per dividere la cellula in due (cellule animali), si forma una membrana cellulare
ed una nuova parete all’equatore della cellula (cellule vegetali)

MEIOSI: chiamata anche divisione riduzionale perché destinata a dimezzare sia il


corredo cromosomico che la quantità di DNA delle cellule germinali. La meiosi avviene
durante la gametogenesi, cioè nel corso di quel processo durante il quale la cellula
germinale indifferenziata darà origine alla formazione delle cellule uovo nell’ovaio e degli
spermatozoi nel testicolo. ciascuno dei due genitori trasmette al proprio figlio uno solo
di ciascuno dei suoi cromosomi omologhi. I gameti, spermatozoi o ovuli, contengono un
solo esemplare di ciascuna coppia di omologhi. Cellula somatica: 46 cromosomi Gameti:
23 cromosomi
MEIOSI: chiamata anche divisione riduzionale perché destinata a dimezzare sia il
corredo cromosomico che la quantità di DNA delle cellule germinali. La meiosi avviene
durante la gametogenesi, cioè nel corso di quel processo durante il quale la cellula
germinale indifferenziata darà origine alla formazione delle cellule uovo nell’ovaio e degli
spermatozoi nel testicolo. ciascuno dei due genitori trasmette al proprio figlio uno solo
di ciascuno dei suoi cromosomi omologhi. I gameti, spermatozoi o ovuli, contengono un
solo esemplare di ciascuna coppia di omologhi. Cellula somatica: 46 cromosomi Gameti:
23 cromosomi
● Meiosi 1: profase I, metafase I, anafase I, telofase I
● Meiosi 2: profase II, metafase II, anafase II, telofase II

Cellula con 2 cromosomi, ciascun cromosoma si duplica, i cromosomi si condensano, gli


omologhi (duplicati), si separano (prima divisione meiotica = divisione riduzionale), le
copie si separano (seconda divisione meiotica = divisione equazionale).
Mutazioni: modificazioni della sequenza nucleotidica del DNA. Queste possono essere
puntiformi o possono prevedere l’inserimento, o la delezione di una o più nuove coppie
di basi.
GATTAGCTG <-- GATTACCTG --> GATTACCCTG
Le mutazioni puntiformi possono essere classificate come: transizioni, quando vi è la
sostituzione di una coppia purina-pirimidina con una coppia purina-pirimidina differente
(GC-AT) e trasversioni quando una purina-pirimidina sostituisce una pirimidina-purina e
viceversa (TA-GC).
Una mutazione puntiforme può determinare una mutazione:
● Missenso: proteina difettosa
● Nonsenso: proteina incompleta
● Silente: proteina normale

Le inserzioni e le delezioni di singoli o più nucleotidi determinano un effetto drammatico


sull’espressione delle proteine. Esse determinano infatti un “frameshift” dello schema di
lettura sconvolgendone la sequenza aminoacidica derivante.
Le mutazioni possono derivare da:
● Errori commessi naturalmente dalla DNA polimerasi durante la replicazione del
DNA
● Danni al DNA di tipo endogeno: ossidazione, depurinazione, etc.
● Danni al DNA di tipo esogeno: radiazioni o agenti chimici
● Meccanismi di riparazione del DNA “error prone”

Esistono numerosi agenti chimici in grado di determinare mutazioni. Tra questi l’acido
nitroso provoca una deaminazione ossidativa che, nel caso della 5 metil-citosina,
produce ana timina, oppure agenti chimici alchilanti, come la metil nitrosourea ed il
metansulfonato, sono in grado di determinare variazioni chimiche responsabili di
provocare mutazioni. In questo caso l’alchilazione della guanina determina la formazione
di metaguanina che complementa la timina invece che la citosina.
Gli analoghi nucleotidici hanno una maggiore tendenza alla isomerizzazione tautomerica
● Il 5 bromo-uracile può appaiarsi con G invece che con A
● La 2-amino purina può appaiarsi con la C invece che con la T

La cellula è dotata di meccanismi e strumenti che le permettono di correggere questi


“errori”. Tra questi i più importanti sono:
● La riparazione diretta
● Il NER (nucleotide excision repair)
● Il BER (base excision repair)
● L’MMR (mismatch repair)
● La riparazione SOS
● La riparazione ricombinazionale

Infezione virale
I virus sono entità biologiche di piccolissime dimensioni, visibili solamente al
microscopio elettronico. Luis Pasteur fu il primo a sospettare che non tutte le malattie
hanno un’eziologia batterica, ricercando la causa della rabbia nei cani e ipotizzando che
fosse da causata da un microorganismo di dimensioni infinitesime. Ipotesi confermata
dopo alcuni anni. Peyton Rous nel 1911 primo ad individuare che un tumore nei polli era
causato dai “virus filtrabili”, chiamato rous-sarcoma virus. Nei primi venti anni del secolo
scorso, furono identificati i primi virus specifici per batteri, i batteriofagi.

Morfologicamente e biochimicamente, i virus sono organismi estremamente semplici.


Hanno un acido nucleico coperto da involucri proteici. Pur avendo un genoma proprio,
mancano dei requisiti e caratteri e organizzazione cellulare. Perciò sono parassiti
endocellulari obbligati.

Salvatore Luria nel 1967 diede la definizione di virus: entità in cui il genoma consta di
acido nucleico (DNA o RNA) ricoperto da un involucro proteico che si riproduce
all’interno delle cellule viventi sfruttando i meccanismi di biosintesi posseduti da queste
e che vengono indirizzati alla sintesi di peculiari particelle, i virioni, che contengono il
genoma virale e lo trasferiscono ad altre cellule.

L’interazione virus ospite può essere suddivisa in tappe:

● Prima tappa: assorbimento del virione sulla cellulare bersaglio.


Sulle cellule sono presenti recettori specifici per i virus, ma questo non basta perché
l’infezione sia produttiva: deve anche esserci la disponibilità dei fattori cellulari che
forniscono processi biochimici necessari per completare l’espressione dei geni virali.
Quindi la suscettibilità all’infezione non sempre è legata al fenomeno di
permissibilità della cellula
● Seconda tappa: penetrazione del virione all’interno della cellula.
I batteriofagi iniettano dunque il loro DNA all’intero della cellula, invece i virus
animali devono essere “fagocitati” dalla cellula ospite. Avviene la fusione con la
membrana cellulare in caso di virus sprovvisti di “envelope” (involucro)
● Terza tappa: scapsidazione.
Il virus viene liberato dall’involucro capsidico dagli enzimi cellulari
● Quarta tappa: sintesi delle costituenti virali.
Non appena liberato dal capside, l’acido nucleico virale prende controllo
dell‘apparato biosintetico cellulare per sintetizzare nuovi virioni, saranno completi
soltanto tramite la replicazione del materiale genetico virale e sintesi proteica delle
proteine strutturali

La classificazione di Baltimore: è basata su contenuti genetici e sulle modalità di


replicazione dei virus, e permette di distinguerli in sette categorie:

● dsDNA virus (double strand)


● ssDNA virus (single strand)
● dsRNA virus (double strand)
● (+) sense ssRNA virus (single strand)
● (-) sense ssRNA virus (single strand)
● RNA reverse transcribing virus
● DNA reverse transcribing virus

Baltimore vinse il premio Nobel 1975 per la scoperta della trascrittasi inversa.

Luc Montagnier premio Nobel per aver scoperto retrovirus, HIV.

Vi sono 3 gruppi di ssRNA:

● Primo gruppo (Picornavirus,Togavirus e Coronavirus): virus a RNA elica con polarità


positiva (+) ha due funzioni: messaggero e materiale genetico per essere tradotto.
Può andare o in sintesi per dare polipeptidi, o fungere da stampo per creare RNA a
elica con polarità negativa(-), le quali saranno usate per sintetizzare eliche (+) non
infettive in quanto utilizzate per produrre nuove particelle virali, oppure per
produrre nuove eliche (-). Ne seguono due fatti: il primo è che gli enzimi per la
replicazione sono sintetizzati dopo l’infezione e non devono essere incorporati nella
particella virale (in altre parole, il materiale genetico di virus a catena + è infettivo);
come secondo fatto, tutto il genoma viene sintetizzato come unico polipeptide che
viene successivamente frammentato.
● Secondo gruppo (Orthomyxovirus):virus a RNA elica con polarità negativa (-)
funziona solo come materiale genetico e non messaggero. Nel guscio deve esserci
l’enzima RNA polimerasi RNAdipendente perchè necessario a convertire la catena (-)
in catena (+) e poichè non è presente tra i suoi geni. L’RNA (+) viene poi usato come
stampo per la trascrizione e per la replicazione, quindi il virus deve portare nel guscio
virale l’enzima RNA polimerasi RNA dipendente per sintetizzare il neo mRNA. RNA di
per sé non è infettivo senza il guscio. I geni vengono trascritti singolarmente e non
come unico polipeptide
● Terzo gruppo: (retrovirus)Retroscrive il suo materiale genomico RNA nel DNA usando
l’enzima DNA polimerasi RNA-dipendente ovvero trascrittasi inversa portato nelle
particelle virali. Quando il DNA virale si integra nel genoma cellulare prende il nome
di provirus.

RICAPITOLANDO: i virus a RNA, nel quale il materiale genetico serve direttamente come
mRNA vengono chiamati (+). I virus con catena (-) non possono servire direttamente
come mRNA. I virus a RNA (+) non portano insieme l’enzima nel guscio ma sintetizzano
dopo l’infezione, a differenza dei virus con catena (-) che portano l’enzima nel guscio. In
conclusione, possiamo dire che il materiale genetico dei virus a RNA catena (+) possiede
potere infettivo al contrario di quelli con catena (-).

Virus a DNA: es. Papillomavirus (DS) piccolo, non persiste; Herpesvirus (DS) rimane per
sempre; Pox (DS) vaiolo; Adenovirus (DS) piccolo; Polioma (DS); Hepadnaviridae (parziale
DS) epatite B; Parvo (SS) quinta malattia del bambino.

(Differenze rispetto virus a RNA: la persistenza, ovvero i virus a DNA tendono a persistere
di più questo perchè fanno un compromesso con l'organismo ospite. Inoltre sono più
grandi e hanno un genoma differente. I virus a RNA sono molto instabili, tranne HIV
perchè si integra proprio con il genoma cellulare.)

Il DNA virale viene trascritto e replicato nel nucleo. La sintesi proteica virale è regolata
dai fattori sia virali che cellulari. La sequenza delle proteine replicative nell’herpesvirus è:
immediatamente precoce, precoce, tardive. Il virus dell’epatite B invece porta insieme
enzimi virionici che generano una molecola di DNA virale circolare chiusa. Questa viene
trascritta in due molecole distinte di RNA: una funziona come mRNA e l’altra, invece,
funziona come stampo per la retroscrizione in DNA genomico.

Replicazione di HBV (epatite B): il meccanismo di replicazione è complesso e richiede la


produzione di un intermedio replicativo formato da RNA e la sua successiva trascrizione
inversa in DNA. La replicazione del virus inizia con il completamento del filamento di
DNA. A ciò segue la trascrizione di mRNA, ad opera di una RNA polimerasi cellulare,
quindi la sintesi proteica. L’HBcAg (epatote b surfase antigene anche chiamato antigene
australia) incapsula parzialmente l’RNA mentre la trascrittasi inversa virale produce una
copia di DNA dall’RNA. L’HBsAg completa il nucleocapside e la DNA polimerasi virale
trascrive, sul filamento di DNA (-), il DNA (+) per formare dsDNA
Meccanismi di patogenesi delle infezioni virali: l’ingresso dei virus (contagio) avviene
attraverso una delle seguenti vie:
-Via cutanea: Papillomavirus
-Via delle mucose (virus che infettano tratto respiratorio, digerente e genitourinario)
-Via dei tessuti sottocutanei (virus veicolati tramite insetti e mammiferi; morso, rabbia,
febbre gialla)
-Via ematica (virus epatici, HIV)
-Via transplacentare (citomegalovirus, virus della rosolia, HIV)
-Via dell’allattamento (seguita nel topo da virus di adenocarcinoma mammario)
-Via delle cellule germinali (alcuni virus oncogeni nei animali)

Patogenesi delle infezioni virali: I virioni di nuova sintesi liberati dalle cellule possono:

● Focolaio primario: replicazione nel sito d’impianto


● Focolaio secondario: dopo il trasporto ai linfonodi secondari, nuova replicazione e
disseminazione di nuovi virioni
● Viremia primaria: quando raggiunge il sangue, spesso fase subclinica dell’infezione e
comparsa dei primi sintomi
● Viremia secondaria: quando vengono infettate cellule endoteliali che permettono
anche la replicazione del virus, fase clinica

Tropismo virale: alcuni virus sono specifici nella capacità di infettare tessuti specifici,
come i linfotropici per i linfociti o gli epatotropici per gli epatociti.

La maggior parte delle infezioni virali decorrono in maniera acuta e culminano in breve
tempo o nella guarigione o nella morte del malato. Esistono, però, una serie di infezioni
virali caratterizzate dal fatto che la penetrazione del virus nell’organismo non è seguita
dalla comparsa di un danno facilmente individuabile. Queste infezioni possono essere
distinte in:

● Subcliniche o inapparenti: senza malattia, individuabili tramite la constatazione della


presenza di anticorpi nel sangue. Questo avviene o perché il ceppo virale che ha
determinato l’infezione è poco virulento o perché l’organismo è dotato di poteri di
difesa molto efficienti
● Persistenti: il virus dopo aver provocato una malattia acuta, culminante nella
guarigione, si rintana in alcune cellule dove si replica solo occasionalmente per cui si
stabilisce nell’organismo una condizione di commensalismo tra virus e ospite nel
senso che il virus si garantisce la replicazione senza che l’organismo ne subisca per
molti anni danno. La probabilità della malattia diventa alta in caso di replicazione
elevata e continua. Es. varicella.
● Ricorrenti: la guarigione clinica della malattia virale è seguita dalla persistenza del
virus nell’organismo che occasionalmente da segno della sua presenza con la
ricomparsa di manifestazioni patologiche identiche a quelle comparse nel corso della
prima infezione.
● Lente: quando i sintomi si manifestano dopo un periodo di incubazione
estremamente lungo, e dalla successiva comparsa di manifestazioni cliniche
inizialmente subdole, progressivamente ingravescenti e culminanti nell’esito letale
(come i parvovirus e i retroviridie). L’HIV può essere considerato come parte di
questa ultima categoria, avendo un periodo di convalescenza di circa 10 anni,
caratterizzato al massimo da una leggera adenopatia iniziale (ingrossamento dei
linfonodi).
● Infezione da microorganismi
● da prioni: encefalopatia spongiforme (di Screapie o di Kuru [scoperta in Polinesia da
Gadujcek negli anni 70’, dovuta al cannibalismo], sindrome di Creutzfeld-Jakob,
sindrome di mucca pazza). Prioni: protenacious infectious particles, ovvero proteina
infettante autoreplicante. Scoperta da Stanley Prusiner. La loro esistenza dei prioni
mette in discussione il dogma centrale della biologia molecolare.
● da clamidie: sono piccolissimi microorganismi gram-negativi, difficilmente coltivabili
in vitro, prima venivano confusi con i virus poiché parassiti intracellulari obbligati, ma
in seguito è stato scoperto che sono curabili con gli antibiotici come i batteri.
Vengono suddivise in due gruppi: A provoca malattie sessualmente trasmissibili
come il linfogranuloma venereo e malattie oculari, e B infetta generalmente i
mammiferi.
● da ricketsie: non sono virus e, come le clamidie, sono sensibili agli antibiotici. La loro
trasmissione avviene tramite pulci, pidocchi e zecche, e portano malattie come il tifo
petecchiale (celebre il caso Anna Frank) e la febbre mediterranea. Il micoplasma
provoca l’infiammazione degli organi pelvici; Mycoplasma pneumonie.
● da funghi: microorganismi superiori ai batteri nell’organizzazione cellulare. Possono
“attaccare” superficialmente (cute, come nel caso del piede d’atleta per motivi di
infezione comune nelle piscine), o in profondità (forma molto più pericolosa).
● da protozoi: superiore organizzazione cellulare rispetto a batteri e funghi.
Possiedono mitocondri e il nucleo è ben delimitato da una membrana nucleare.

Varie malattie da infezioni di microorganismi:

Tripanosomiasi: malattia africana del sonno provocata dal morso della mosca TSETSE
infestata dai parassiti tripanosomiasi brucei gambiense e t. brucei rhodesiense,
trasmessi tramite la sua saliva nel sito cutaneo, ove passa nel circolo linfatico e
sanguigno. Un’altra forma di tripanosomiasi è presente in America latina, chiamata
malattia di Chagas, causata dal parassita t. cruzi trasmesso tramite morso di alcune
specie di cimici ematofaghe. Provoca febbre, cefalea, edemi, insufficienza cardiaca.
Generalmente la fase acuta è seguita da un lungo periodo di apparente guarigione che
può durare alcuni decenni fino al momento in cui subentra la fase cronica caratterizzata
da una grave cardiopatia.

Leishmaniosi o anche chiamata kala-azar, è comune in Cina, India, Brasile dovuta a L.


donovani. È una malattia grave, causata da flebiti (infiammazione delle vene) ostruttive
per iperplasia dell‘endotelio vascolare. L’invasione del midollo osseo provoca epato e
splenomegalia.

Amebiasi: dovuta entameoba histolytica provoca diarrea in seguito alla localizzazione


nell’intestino, diversamente può localizzarsi nel fegato dando luogo ai focolai necrotici.
L’infezione amebica è di tipo oro-fecale. Può essere causata da acqua contaminata dalle
forme cistiche del parassita, che resistono all’ambiente acido dello stomaco ma si
dissolvono nell’ ambiente alcalino del duodeno

Toxoplasmosi: Toxoplasma gondii, protozoo che infetta particolarmente cani e gatti. Si


localizza nel sistema monocito-macrofago e poi nel sangue. È un’infezione che, durante
la gravidanza, può attraversare la barriera placentare causando gravissimi alterazioni
dell’encefalo.

Malaria: la malattia infettiva che uccide più gente al mondo annualmente. Più di un
milione di persone all’anno muoiono di malaria, nella maggior parte bambini sotto 5
anni, con un 90% dei casi nell’Africa subsahariana. 300 milioni di casi all’anno in tutto il
mondo. Ci sono più casi rispetto a TBC, AIDS, morbillo e lebbra messi insieme. Un
bambino su 4 in Africa muore di malaria. Il nome deriva dall’italiano MAL-ARIA, veniva
anticamente chiamata febbre romana, perché comune intorno a roma. Ve ne sono
quattro specie, causate da: plasmodium vivax, P. falciperum, P. malariae e P. ovale. Porta
anemia causata dalla rottura degli eritrociti e epato-splenomegalia per la fagocitosi
massiccia dei parassiti da parte dei monociti e dai macrofagi.

Tricomoniasi: trichomonas vaginalis, protozoo che porta all’infiammazione dell’apparato


urogenitale e viene trasmessa sessualmente

Elmintiasi: comunemente conosciuti come vermi, rappresenta un grave problema nei


paesi del terzo mondo

Teniasi: taenia saginata e t. solium, indotta con l’ingestione di carne cruda o poco cotta
dai bovini. L’uomo rappresenta il suo ospite definitivo, ed è in esso che si muta nella
forma adulta

Idatidosi (echinococcosi): l’uomo ne rappresenta l’ospite intermedio, indotta tramite


l’ingerimento delle uova del parassita e provoca la formazione di cisti

Ossiuriasi: causata dal nematode Enterobius vermicularis contaminate da feci infette.


Dalle uova si formano le larve e poi forme adulte localizzano nell’intestino. Fenomeni
flogistici a carico dei tessuti intestinali e una forma di grave prurito.

Infiammazione
L’infiammazione o flogosi è un processo morboso che si manifesta negli organismi muniti
di sistema circolatorio come meccanismo di difesa contro l’aggressione di un antigene
dannoso (negli invertebrati la difesa si limita ai fattori cellulari dell’immunità innata e alla
fagocitosi). Consiste nella risposta dei tessuti dell’organismo al danno da qualsiasi agente
provocato. È una reazione preferenzialmente locale e segue uno schema
fondamentalmente uguale, il suo scopo è isolare ed eliminare gli agenti patogeni, ma la
sua persistenza può risultare dannosa. Il suffisso –ite indica un processo infiammatorio.
Possono portare ad infiammazione: microorganismi, traumi meccanici (ferite e
contusioni), fisici (radiazioni, corrente) e chimici (acidi, alcali), necrosi tissutale (infarto,
ipossia), reazioni autoimmunitarie, tumori maligni e metastasi.
Segni cardinali dell’infiammazione:
● Rubor: (arrossamento), dovuta alla persistente dilatazione del letto vascolare
periferico, cioè arteriole, capillari.
● Calor: (aumento temperatura), dovuta all’aumento del flusso sanguigno.
● Tumor: (turgor), dovuto all’aumento della permeabilità vascolare che permette
depositi interstiziali, del plasma e dei leucociti, trasmigrazione per diapedesi.
● Dolor: (soggettività), un parametro difficile da valutare, poi normalmente subito
dopo la ferita, vengono rilasciate le endorfine con attività antidolorifiche.
● Function laesa: (perdita di funzione), dovuta in parte da inibizione riflessa dei
movimenti muscolari causati da dolori.

Vi sono due tipi di flogosi:


Acuta o Angioflogosi: si svolge in corrispondenza del microcircolo, ha un inizio brusco a
cui fa seguito una rapida successione fenomeni vascolo-essudativi. C’è un aumento di
permeabilità capillare che favorisce la migrazione dei leucociti dall’interno dei vasi
dell’interstizio.
Gli eventi che in maniera sequenziale coinvolgono il microcircolo sono:
1. vasocostrizione: breve durata (10-20 secondi);
2. vasodilatazione: provocata dal rilassamento delle fibrocellule muscolari liscie
presenti nelle arteriole terminali;
3. iperemia attiva: dovuta dalla dilatazione della parete arteriolare che consente un
maggiore afflusso di sangue nel microcircolo ed è responsabile dei segni rubor e
calor e anche dovuto dal cedimento dei sfinteri precapillari;
4. iperemia passiva: indotta dal rallentamento della velocità del sangue nel
microcircolo a causa dell’aumento della superficie del letto circolatorio
conseguente al cedimento dei sfinteri; aumento della viscosità del sangue dovuto
all’aggregazione dei globuli rossi; marginazione dei leucociti, cioè aderenza di
queste cellule alle parete endoteliale, indotta da diversi mediatori chimici;
5. diapedesi dei leucociti, cioè fuoriuscita dei leucociti dal compartimento ematico
in quello extravascolare dove sono richiamate (chemiotassi) da particolari
citochine dette chemiochine (rilasciate da macrofagi) e fattori chemiotattici.
Il processo che porta alla fuoriuscita dei vasi dei leucociti è chiamato
EXTRAVASAZIONE e si verifica in 4 fasi:
● Legame reversibile del leucocita all’epitelio vascolare (rotolamento)
● Stadio di ARRESTO dove il leucocita è legato all’endotelio in modo irreversibile
● Stadio di ADESIONE STABILE in cui il leucocita è saldamente ancorato e il
rotolamento è bloccato
● DIAPEDESI (passare attraverso) in cui il leucocita extravasa ossia attraversa la
parete endoteliale
6. formazione dell’essudato, costituito da parte liquida del sangue che esce dai vasi
e si accumula negli spazi intervascolari per aumento della pressione idrostatica,
dovuta all’iperemia e riduzione della pressione colloidosmotica del sangue per
ridotta concentrazione delle proteine plasmatiche, alterazione delle pareti
vascolari. La presenza dell’essudato determina la formazione dell’edema
infiammatorio (tumor). Ci sono diversi tipi di essudato: sieroso, siero-fibrinoso,
fibrinoso mucoso, purulento, emorragico.
Cronica o Istoflogosi: può derivare da un prolungamento dell’infiammazione acuta per
persistenza dello stimolo flogogeno (cronicizzazione) o alterazioni dei normali processi di
guarigione; o da episodi flogistici ricorrenti o subentrati per ripetuta esposizione allo
stimolo flogogeno; o come processo cronico a lento sviluppo indotto da stimoli flogogeni
persistenti, difficilmente eliminabili o in grado di suscitare risposte immunitarie
adeguate. Ha una maggiore durata, sia che si manifesti subito come cronica, sia che
subentri alla forma acuta. C’è una netta prevalenza dei fenomeni tissuali e invece i
fenomeni vasculo-essudativi sono attenuati. Prevalenza della migrazione di cellule
(monociti, linfociti) nell’interstizio e la loro moltiplicazione e differenziazione in elementi
morfologicamenti diversi (macrofagi, linfoblasti)
Gli eventi che contraddistinguono l’infiammazione cronica sono gli stessi che si
verificano nell’acuta, ma le modificazioni sono attenuate, l’infiltrazione cellulare tende
ad aumentare, compaiono processi riparativi
Es. ULCERA PEPTICA: insorge come una necrosi infiammatoria della mucosa gastrica; il
processo infiammatorio acuto primario con iperemia, infiltrazione macrofagi, neutrofili,
basofili, tende ad evolvere verso la guarigione, ma persistendo uno squilibrio tra i fattori
aggressivi (secrezione acida) e quelli protettivi (muco), va incontro a cronicizzazione, con
aumento dell’infiltrazione cellulare, alternandosi con riparazione e lesioni> necrosi
intense causano emorragie e perforazioni.
In altri casi l’infiammazione cronica si presenta come processo cronico fin dall’inizio, con
scarsissime manifestazioni del fenomeno acuto e decorso insidioso e lento:
● Reazioni da corpo estraneo: schegge, spine, legno, asbesto
● Microrganismi: capaci di sottrarsi o resistere alla fagocitosi, quali Tubercolosi,
Lebbra, Sifilide. Questi microorganismi si dividono e riproducono in modo molto
lento
L’istoflogosi si suddivide in:
● non granulomatosa: c’è prevalenza di monociti/macrofagi e mantiene le stesse
caratteristiche per qualsiasi agente eziologico responsabile del processo;
● granulomatosa: intervengono quando microorganismi permangono e non
riescono ad essere digeriti. Chiamate granulomatose per la prevalenza di macrofagi che
si dispongono in forme concentriche e forma sferiche presentandosi, quindi, come
granuli. Questa architettura prende diverse forma a seconda dell’agente eziologico
quindi si è in grado di identificare l’agente responsabile della sua formazione.
Granuloma: quando lo stimolo flogogeno è non facilmente degradabile, sia
immunogeno (batteri), sia non immunogeno (schegge, metalli), l’infiltrazione cellulare
determina delle strutture che prendono il nome di granuloma. Si tratta di un nodulo di
0,5-2 mm di diametro formato da una regione centrale in cui si sono fusi insieme dei
macrofagi (cellule giganti multinucleate) ed una zona periferica di linfociti B e T, basofili,
eosinofili e fibroblasti. Nella maggior parte dei casi è presente anche un’intensa fibrosi
che finisce per incapsulare il materiale estraneo.
I più comuni granulomi sono:
● Granuloma da corpo estraneo
● Granuloma tubercolare
● Granuloma della lebbra
● Granuloma micotici

Fasi dell’infiammazione:
1. innesco
riconoscimento molecolare degli agenti flogogeni presieduto da: cellule
dell’immunità innata (macrofagi, neutrofili, basofili, natural killer), molecole
plasmatiche e vengono stimolati quei geni che codificano per molecole coinvolte
nel processo di fagocitosi e quelli che codificano per le citochine (IL1 e TNF)
2. evoluzione
caratterizzata dalla risposta delle cellule che esprimono recettori per le citochine
primarie, rilasciate nel sito ove sono presenti gli agenti flogogeni, che agiscono
sia localmente che su cellule di organi distanti. In questa fase avviene la
modificazione delle cellule ematiche nel microcircolo, la migrazione dei leucociti
dal compartimento ematico in quello extracellulare e la formazione
dell’essudato.
3. esito infiammazione
l’infiammazione può avere come esito la cronicizzazione ovvero non si elimina
l’agente flogogeno, risoluzione quindi un esito favorevole, oppure la necrosi
ovvero la distruzione cellulare operata dagli enzimi lisosomiali liberati dai
leucociti.
CITOCHINE: costituiscono un vasto gruppo di molecole proteiche rilasciate non solo dalle
cellule che partecipano alle reazioni infiammatoria ed immunitaria ma praticamente da
tutte le cellule dell’organismo. Nel loro insieme le citochine si comportano da molecole
trasportatrici di segnali che possono essere sia di tipo stimolatorio che di tipo inibitorio
di determinate funzioni cellulari. Le citochine giocano un ruolo di primo piano sia nel
processo infiammatorio che in quello immunitario. Le cellule bersaglio rispondono alla
stimolazione citochinica con fenomeni di derepressione genica a cui consegue la
codificazione di proteine responsabili della comparsa di determinate funzioni. Alcune
citochine producono effetti sinergici, altre, invece, contrastanti. Alcune citochine sono
dette chemiochine perché esercitano attività chemiotattica, cioè di richiamo nei riguardi
di altre cellule.
● Citochine tipo I o TH1: molecole con attività chemiotattica, richiamano nel
focolaio flogistico cellule NK, linfociti T CD4+ e CD8+
● Citochine tipo II o TH2: presiedono alla risposta flogistica acuta e risposta
mediata dagli anticorpi IgE (immunoglobine)
Le cellule coinvolte nelle infiammazioni sono, dunque:
● Mastociti: presenti nel connettivo di moltissimi organi, contengono granuli pieni
di eparina e istamina
● Granulociti Basofili: equivalenti ematici dei mastociti
● Granulociti Eosinofili: cellule attivate da citochine di tipo II TH2, in particolare IL4
● Neutrofili: richiamati dal sangue da vari fattori chemiotattici. Rilasciano acido
arachidonico ed enzimi lisosomiali determinando una maggiore azione
fagocitaria diretta sui microrganismi
● Monociti: si chiamano macrofagi se sono nel tessuto connettivo, attivazione
indotta dalle citochine (Ifn-gamma), operano fagocitosi diretta, presentano gli
antigeni ai linfociti T, effettuano biosintesi e secrezione di altre citochine (Il1, IL6,
TNF alpha, chemochine)
● Linfociti: sempre presenti nel focolaio flogistico, soprattutto se cronico, sono tra i
maggiori produttori di citochine
● Plasmacellule: derivano dai linfociti B, funzione produzione di anticorpi
● Piastrine: prive di nucleo, producono derivati dell’acido arachidonico,
● NK: richiamate da citochine I, uccidono le cellule che replicano i virus tramite
molecole di perforine, che inducono la lisi dei corpi cellulari.
I mediatori flogistici determinano le interazioni cellulari e tissutali. Per essere tali,
devono: provocare l’infezione negli animali iniettati, essere presenti durante
l’infiammazione ed essere assenti quando questa termina, neutralizzabili dai loro
antagonisti, provocare l’infiammazione se iniettati. Sono di 3 tipi:
● preformati: contenuti nelle cellule, e sono: istamina (vasoattivatore,viene
catabolizzata in 60 sec, prodotta dai mastociti, il rilascio locale provoca prurito ed
edema, generale shock anafilattico paralizzando il sistema cardiovascolare),
serotonina (prodotta in particolare dai mastociti, provoca edema), enzimi lisosomiali
(prodotti nel focolaio flogistico dai granulociti e monociti)
● di nuova sintesi: prostaglandine, leucotrieni, paf (protein activating factor), citochine
sono mediatori chimici dell’infiammazione, regolatori dell’infiammazione perché a
volte provocano la flogosi, altre sono antiflogistici; distinte come tipo I o TH1
(IFN-gamma, IL2, TNF-beta): molecole con attività chemotattica, richiamano nel
focolaio NK, linfociti T e macrofagi; tipo II o TH2 (IL4, IL5, IL6, IL10): presiedono alla
risposta flogistica acuta e a quella agli anticorpi IgE di tipo allergica; vengono anche
classificate in: interleuchine, chemochine, interferoni, colony stimulating factors,
growth factors) e ossido nitrico (inibizione a livello piastrinico di varie funzioni quali
l’aggregazione e la secrezione di molecole vasocostrittrici)
● della fase fluida: chinine (numerosi peptidi che inducono la vasodilatazione e la
contrazione della muscolatura liscia) chininogeni (precursori delle chinine e più
pesanti delle globuline plasmatiche), plasmina (si forma dal plasminogeno e attiva la
via classica del complemento), trombina (deriva dalla protrombina), sistema del
complemento (ha due vie di attivazione, classica e alternativa)
Le manifestazioni sistemiche dell’infiammazione appaiono quando i fenomeni locali
sono intensi e duraturi: la febbre, la leucocitosi, l’aumento delle proteine plasmatiche.

La febbre
Nel regno animale sono detti poichilotermi quegli esseri viventi la cui temperatura
corporea è eguale a quella dell’ambiente in cui vivono mentre sono detti omeotermi
quelli che sono capaci di mantenere la temperatura corporea del proprio organismo ad
un livello entro determinati limiti costanti. Nell’uomo la temperatura corporea si aggira
intorno ai 37 gradi, con variazioni di qualche decimo di grado nel corso delle 24 ore con il
minimo nelle ore mattutine ed il massimo verso la fine del pomeriggio (36,8 +/- 0,4 gradi
centigradi negli adulti dai 18 ai 40 anni). Perché 37? Tutti i processi che garantiscono
l’omeostasi si svolgono a questa temperatura.
La TC varia in dipendenza di:
● Ciclo mestruale
● Stagioni
● Età
● Digestione
● Gravidanza
● Sforzo
Il processo di termoregolazione, ossia la capacità di un organismo di mantenere
costante la temperatura corporea in relazioni alle variazioni di quella ambientale, è una
condizione di equilibrio omeostatica tra la quantità di calore prodotta dall’organismo
(termogenesi) e la quantità di calore da esso perduto (termodispersione). Affinchè la
temperatura dell’organismo resti costante, è necessario che il rapporto tra la quantità di
calore prodotto e la quantità di calore perduto sia uguale ad 1.
La termoregolazione è sotto il controllo di centri termoregolatori situati nel sistema
nervoso centrale che mandano e ricevono segnali dalla periferia. Queste terminazioni
periferiche costituiscono i termocettori superficiali e profondi presenti nelle varie regioni
dell’organismo che avvertono il grado della temperatura con cui sono a contatto
Termogenesi: somma del calore prodotto da ogni singola cellula. Al livello cellulare il
calore prodotto ha un’origine chimica, tramite reazioni metaboliche esotermiche, in
particolare quelle di ossidoriduzione a livello della catena respiratoria mitocondriale. Ciò
che influisce sulla termogenesi è il calore (50%) e la fosforilazione ossidativa (50%),
responsabile della produzione di ATP. La trasformazione dell’energia chimica in calore
viene effettuata dalla ATPasi. Si parla di termogenesi obbligatoria riferendosi alla
produzione basale di calore in condizione di riposo ed a normale temperatura
ambientale, e riguarda il calore generato dall’attività metabolica e l’energia richiesta per
l’omeostasi fisiologica, in assenza di sovraccarico funzionale. A tale regolazione
presiedono gli ormoni tiroidei.
Metabolismo basale: 1400/1800 calorie 70 calorie/ora
Piccola caloria: quantità di calore necessario per innalzare la temperatura di 1g da 14,5 a
15,5 gradi alla pressione di 1 atm
Cal caloria (100 calorie): quantità di calore che innalza di 1 grado 1 kg di acqua nelle
stesse condizioni
La termogenesi facoltativa, invece, consiste nella produzione di calore in eccesso in
confronto a quella richiesta per lo stato basale. A tale regolazione presiedono le
catecolamine.riccardo
Gli ormoni tiroidei e le catecolamine (noradrenalina, adrenalina, insulina e
glicocorticoidi) attivano il sistema nervoso neurovegetativo, il quale a sua volta provoca:
● Incremento del flusso degli ioni (Ca, Na,K) che determina un’accelerata
attivazione/sintesi dell’ATPasi
● Contrazione della muscolatura scheletrica (brivido): è un meccanismo
involontario e viene anche denominato termogenesi contrazionale. Essa si attiva
quando la temperatura ambientale si abbassa ad un limite non altrimenti
compensabile.
Termodispersione: In ambienti caldi, con una eccessiva produzione endogena di calore,
si ha dispersione, causata da vasodilatazione. In ambienti freddi invece la produzione di
calore è scarsa, quindi si ha ritenzione causata da vasocostrizione. Lo stato di
contrazione dei vasi superficiali è sotto controllo dell’ipotalamo. Il calore prodotto,
invece, viene disperso attraverso cute (sudorazione); se l’ambiente esterno ha
temperature elevate la sudorazione e la vasodilatazione aumentano. Le altre vie di
dispersione del calore sono quelle respiratorie, digerenti e urinarie.arianna
● Conduzione: è necessario il contatto fisico affinché il calore si disperda dal corpo
a temperatura più alta verso il corpo a temperatura più bassa. È unidirezionale.
● Convezione: movimento diretto, naturale o forzato, di particelle aventi
temperatura diversa (gas e fluidi che circondano la superficie cutanea).
● Irraggiamento: trasferimento di energia termica tramite onde elettromagnetiche
infrarosse. Non necessita di contatto fisico. Dipende non solo dalla differenza di
temperatura ma anche dall’estensione della superficie cutanea.
● Evaporazione: passaggio di acqua dallo stato liquido a quello aeriforme. Non
necessita di differenza di temperatura tra due corpi. L’unico ostacolo è l’umidità.
La sudorazione è sotto controllo del SNC.
Centri termoregolatori:
● Area preottica
● Formazione reticolare
● Gangli simpatici

Questi tre centri formano il termostato biologico. Nell’area preottica sono presenti 4 tipi
di neuroni:
● Neuroni warm: (recettivi)
● Neuroni I: neuroni insensibili a stimoli termici (recettivi)
● Neuroni w: neuroni di termodispersione (effettori)
● C: neuroni di termoconservazione (effettori)

37 gradi: gli stimoli eccitatori equivalgono quelli inibitori


Più di 37: stimoli eccitatori maggiori degli inibitori
Meno di 37: stimoli inibitori maggiori degli stimoli eccitatori
Per ipetermia ed ipotermia si intendono rispettivamente l’aumento al di sopra di 37
gradi e la diminuzione al di sotto di 37 gradi della temperatura corporea.

Ipertermie non febbrili si riconoscono cause esogene e cause endogene.


Cause esogene:
● Colpo di sole: prolungata esposizione della testa ai raggi solari (aumento della
permeabilità capillare del SNC)
● Colpo di calore: in ambiente caldo-umido, soprattutto la concomitanza di sforzi
fisici, difficoltà di raffreddamento per evaporazione per l’elevata concentrazione
di vapor acqueo nell’aria
Cause endogene:
● Ipertermie di origine endocrina: ipertiroidismo: gli ormoni tiroidei stimolano la
trascrizione di geni codificanti per l’ATPasi. Stimolano la lipogenesi negli epatociti,
rendendo disponibili gli acidi grassi substrato della genesi ossidativa del calore a
livello mitocondriale ed inducono ingresso intracellulare di ioni (CA, Na, K)
● Ipertermia maligna: malattia ereditaria autosomica dominante,dovuta alla
mutazione del gene sul cromosoma 19. Si scatena in concomitanza di interventi
chirurgici dopo l’esposizione ad anestetici volatili. Alla base ci sarebbe un difetto
genetico della molecola dei canali del Calcio del reticolo sarcoplasmatico, il cui
funzionamento risulterebbe instabile dando luogo ad un eccessivo flusso di calcio
sotto l’influenza di determinati stimoli a livello citosolico
La febbre è una forma particolare di ipertermia che si distingue dalle altre ipertermie,
dette per l’appunto non febbrili, per il suo peculiare meccanismo patogenetico che
consiste in un’alterazione funzionale ma reversibile dei neuroni dei centri
termoregolatori ipotalamici causata da diverse citochine. L’alterazione funzionale dei
centri termoregolatori consiste in una elevazione della temperatura corporea di
riferimento, ossia 37 gradi, scatenando processi di termogenesi e di termodispersione.
Come effetti metabolici, il metabolismo aumenta del 4 %, i carboidrati vengono bruciati
per prima e si va incontro a iperglicemia, si riduce il metabolismo proteico e si perde
massa muscolare, e quindi peso, tachicardia, polipnea, mancanza di appetito, delirio.
Anche se la febbre si può manifestare in numerose condizioni patologiche, essa
rappresenta un sintomo pressoché costante nel corso delle malattie infettive. Le più
significative osservazioni eseguite sugli animali, in particolare sui conigli, nel corso di tali
esperimenti sono le seguenti:
● Tra il momento dell’inoculazione delle endotossine e quella della comparsa del
rialzo termico intercorre costantemente un periodo di latenza
● L’inoculazione di una endotossina non induce la comparsa della febbre negli
animali leucopenici, ossia animali con un numero di globuli bianchi ridotto
● L’inoculazione del sangue di un coniglio febbriciante in un coniglio sano induce la
comparsa della febbre immediatamente, senza il periodo di latenza

Questo vuol dire che:

● Le endotossine non sono direttamente responsabili per la febbre


● Le tossine devono indurre le cellule per produrre e liberare nel sangue il
composto attivo- pirogeni
Sulla base di questi risultati le sostanze in grado di produrre la febbre (pirogeni) vennero
distinte in:
● Pirogeni esogeni: si formano al di fuori dell’organismo. Sono: lipopolisaccaride
(Gram -), acido lipoteicoico (Gram +), peptidoglicani (Gram +), di origine
batterica, di origine non batterica (alimenti, farmaci)
● Pirogeni endogeni: si formano all’interno dell’organismo. Polipeptidi prodotti da
un gran numero di cellule nell’organismo, in particolare monociti e macrofagi, ma
anche linfociti, cellule endoteliali fibroblasti. Parliamo in questo caso di citochine
La problematica sulla patogenesi della febbre non si è conclusa con la scoperta delle
citochine pirogene in quanto si è dovuto chiarire il meccanismo d’azione da esse
innescato a livello dei neuroni dei centri termoregolatori.
La prima questione è: come fanno le citochine ad oltrepassare la barriera
emato-encefalica, impermeabile alle proteine? Sappiamo che esistono due modalità:
● Le citochine pirogene, veicolate dal sangue, possono attraversare la membrana
emato-encefalica in alcune regioni di essa, cioè nelle zona cribrosa che circonda
la regione preottica dell’ipotalamo, nella quale non esistono meccanismi per
bloccare la funzione delle proteine presenti nel sangue.
● Le citochine pirogene presenti nel sangue interagiscono con specifici recettori
espressi sulla superficie delle cellule endoteliali della membrana
emato-encefalica ed attraversano il poro endoteliale di queste. Una volta
internalizzate, stimolano le cellule endoteliali a produrre esse stesse citochine
pirogene che vengono secrete direttamente nell’encefalo.
● La seconda questione è: perché la febbre regredisce in seguito al trattamento
con antipiretici (farmaci che agiscono sull’enzima cicloossigenasi bloccando la
produzione di prostaglandine E2) ma non hanno nessun effetto diretto sulle
citochine? La risposta è che la maggior parte delle citochine pirogene non
agiscono direttamente sui neuroni dei centri termoregolatori, ma indirettamente,
ossia tramite la mediazione delle prostaglandine della serie E2 (PGE2), di cui
favoriscono biosintesi e rilascio da parte delle cellule con cui esse interagiscono.
La terza questione è: come agisce PGE2 sui neuroni dei centri termoregolatori? Essa
interagisce con recettori presenti sulla superficie dei neuroni generando un segnale la
cui trasduzione induce l’attivazione dell’enzima adenilato ciclasi che catalizza la
formazione di cAMP dall’ATP. Il cAMP induce l’inibizione dei neuroni in maniera
proporzionale alla sua concentrazione intracellulare la quale dipende, a sua volta, dalla
quantità di PGE2 che è, a sua volta, direttamente correlata con la quantità di pirogeni
endogeni, la quale dipende dalla quantità di pirogeni esogeni. L’inibizione esercitata
dall’eccesso di cAMP sui neuroni termoregolatori fa innalzare la loro soglia di sensibilità
cosicchè essi avvertono variazioni di temperatura a livelli superiori o inferiori di 37 gradi.

Decorso: si suddivide in tre fasi.

● Fase del rialzo termico (fase prodromica): caratterizzata dalla sensazione


soggettiva di freddo, dalla comparsa del brivido e del pallore cutaneo conseguente
ad una vasocostrizione e quindi diminuzione della termodispersione. Il corpo cerca di
riscaldarsi e questo avviene proprio secondo il meccanismo di PGE2.
● Fase del fastigio: periodo durante il quale la termoregolazione si aggiusta ad un
livello più alto di 37° e la temperatura resta abbastanza costante. Manca la
sensazione di freddo e compare quella di caldo, dovuta ad un eccesso di PGE2.
● Fase della defervescenza: caratterizzata dalla sensazione soggettiva di caldo e
oggettivamente dall’abbassamento della temperatura corporea. Presente
sudorazione che favorisce termodispersione del calore. La caduta della febbre
può avvenire gradualmente (per lisi) o bruscamente (per crisi). Durante questa
fase si riduce la produzione di PGE2, riducendo la sensibilità dei neuroni a livello
fisiologico.

Tipi di febbre:

1 Febbre continua: caratterizzata da un rialzo termico al di sopra dei 37 gradi che si


mantiene costante durante tutta la fase del fastigio, dato che le oscillazioni della
temperatura corporea sono sempre inferiori ad un grado centigrado (Salmonella
Typhi)
2 Febbre remittente: il rialzo termico subisce durante il periodo del fastigio
oscillazioni superiori ad un grado centigrado, senza raggiungere la defervescenza
(setticemie)
3 Febbre continua remittente: durante il periodo del fastigio le oscillazioni della
temperatura possono essere inferiori o superiori ad un grado centigrado senza
che mai si raggiunga la defervescenza.
4 Febbre intermittente: periodi di ipertermia si alternano regolarmente o meno a
periodi di apiressia
5 Febbre quotidiana: quando il rialzo termico comincia di mattina e si regola verso
la sera
6 Febbre terzana: quando va a giorni alterni
7 Febbre quartana: quando va ogni due giorni
8 Febbre ricorrente e ondulante: quando l’alternanza dura più di due giorni, la
differenza è che nella prima la caduta della febbre avviene per lisi e nella seconda
per crisi.

Gli effetti della febbre su:

- sistema circolatorio: prevalenza del sistema neurovegetativo simpatico che


induce vasocostrizione (nel periodo prodromico). Vasodilatazione nel periodo
della defervescenza; inoltre tachicardia con un aumento delle pulsazioni in media
circa 8 per ogni grado di temp. corporea
- apparato respiratorio: polipnea (aumento atti respiratori nell'unità di tempo)
- apparato digerente: disappetenza, nausea e talora vomito
- SNC: torpore, adinamia muscolare

Perchè abbiamo la febbre? Perchè è un meccanismo di difesa primitivo ovvero la crescita


e la virulenza di molte specie batteriche viene ad essere diminuita ad alte temperature;
l’aumento della temperatura aumenta il potere fagocitico e battericida dei neutrofili;
aumenta l’effetto citotossico dei linfociti.

I problemi che la febbre comporta sono l’accelerazione dei processi catabolici, riduzione
dell’acutezza mentale fino al delirium o alla stato stuporoso; convulsioni febbrili nei
bambini; rischio di anomalie fetali se la TC supera i 37,8° nel primo trimestre della
gravidanza.

I sintomi di accompagnamento della febbre sono: brivido mediato dal SNC (meccanismo
involontario di termoproduzione); rigor febbrile è un brivido profondo con piloerezione,
battito di denti e scuotimento imponente (influenza, infezioni batteriche, epatoma,
malaria); sudorazione, determina termodispersione nella fase di defervescenza dopo la
terapia antipiretica; alterazione dello stato mentale, soprattutto negli anziani/bambini;
convulsioni febbrili soprattutto nel bambino.

Le cause più comuni di febbre sono: infezioni vie aeree superiori, infezioni tratto
urinario, ascessi superficiali, polmoniti, terapia sintomatica, terapia antibiotica.

La FUO (Fever of Unknown Origin) è un termine introdotto da Petersdorf nel 1961 per
indicare la febbre >38,3°C riscontrata in più occasioni, febbre di durata maggiore di 3
settimane e impossibilità a formulare una diagnosi dopo 1 settimana di indagini in
ambiente ospedaliero.
Le cause più frequenti della fuo sono infezioni (ascessi es della colecisti, granulomatosi
es. tubercolosi extrapolmonare, intravascolari es. endocardite da catetere, virali, da
rickettsie, clamidie, parassitarie es. amebiasi extraintestinali); disordini infiammatori non
infettivi (malattie del collagene, es. febbre reumatica; granulomatosi es.sarcoidosi;
danno tissutale, es. embolia polmonare); febbre da farmaci (penicillina, lassativi); febbre
factitia; febbre mediterranea familiare.
La terapia per la febbre può essere sospensione del farmaco sospetto in caso di febbre
da farmaci; interruzione dell’anestesia e somministrazione di dantrolene sodico se
ipertermia maligna; spugnature coperte refrigeranti, lavanda gastrica o peritoneale con
soluzione fisiologica fredda in caso di ipertermie; antipiretici; glucocorticoidi; terapia
specifica della malattia di base.

Quindi le cause delle sindromi da ipertermia può essere un colpo di calore a causa di esercizio fisico in
ambienti con temperatura elevata oppure a casa di antistaminici, diuretici, anticolinergici; ipertermia da
farmaci; sindrome maligna da neurolettici; ipertermia maligna o endocrinopatie.

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