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Di cosa dovrebbe essere sempre consapevole un educatore?

-CONOSCENZA
-CONSAPEVOLEZZA
-SAPER FARE
La razionalità dell’educazione è una realtà, prima di essere una riflessione pedagogica. Due aspetti che
non
sono separati, da un duplice punto di vista:
A- dal punto di vista della pratica educativa, perché quei tre aspetti sono parti integranti della stessa relazione
educativa.

B- dal punto di vista della consapevolezza razionale, perché si tratta di una relazione intenzionale, avente
uno scopo preciso e condiviso. Ogni relazione educativa deve avere razionalità interna alla relazione
educativa. La relazione tra educatori ed educandi è costituita anche da una dimensione di senso. La
consapevolezza che nella relazione educativa esiste anche questa dimensione razionale rappresenta il
contenuto conoscitivo, di una riflessione epistemologica, applicata in ambito educativo, che si può
rappresentare come una riflessione conoscitiva sulla struttura conoscitiva che è interna ad ogni attività
educativa e ne valuta la coerenza e quindi la validità.

Rivela la presenza di un livello di significati esistenziali, quello fattuale (espresso dalla relazione tra i
soggetti della relazione) e quello dinamico (espresso dai processi evolutivi che caratterizzano in particolare
l’evoluzione degli educandi).

EPISTEMOLOGIA: è una parola moderna, composta da due termini di derivazione greca: EPISTEME-
SCIENZA, ciò che da sé si impone, per la sua evidenza, necessità, coerenza. Una conoscenza vera,
razionalmente fondata. LOGOS-PAROLA, DISCORSO RAGIONATO, RIFLESSIVO. Discorso riflessivo
sulla struttura conoscitiva di un determinato sapere e quindi sulla sua validità.

EPISTEMOLOGIA PEDAGOGICA: settore della teoria pedagogica che studia i rapporti tra le varie
discipline che entrano nella pedagogia e le strutture teoriche e metodiche che ne sono le condizioni e il
risultato.

NUCLEI TEMATICI DELL’EPISTOLOGIA DEL LAVORO EDUCATIVO

1. FORMAZIONE DEGLI EDUCATORI. L’educatore deve avere presente di essere un adulto che educa
altri adulti. Consapevolezza di operare in un contesto riflessivo, può rispecchiarsi non solo nelle
problematiche degli adulti, ma anche nel modo di affrontarle. L’educatore educa anche sé stesso, c’è un
legame tra educazione ed autoeducazione. Ciò che è specifico dell’educatore è forse il fatto di sapere di
dover essere il punto di partenza o di avvio dell’attività educativa. L’educatore deve essere consapevole di
svolgere un lavoro.

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Il lavoro è anche espressione di una duplice relazione, con altri soggetti, con una realtà, materiale o
immateriale, che viene modificata, valorizzata in vista di un bene superiore, nel contempo, quella stessa
realtà è anche danneggiata e distrutta.
L’educatore esercita un ruolo, il suo impegno si manifesta attraverso le competenze che è chiamato ad
esercitare.
2. CONTENUTI CONOSCITIVI RELATIVI ALLA FORMAZIONE PEDGOGICA DI BASE
-Una visione generale di cosa significhi educare (teoria generale dell’educazione)
-Una visione specifica (teoria dell’educazione lungo l’intero corso della vita)
L’esperienza educativa ha alcuni aspetti che la caratterizzano:
- Cos’è l’educazione: è un’esperienza d’incontro e di riconoscimento reciproco, che dà vita alla relazione
educativa
- Da dove nasce e a cosa mira l’educazione
- Quali i suoi contenuti
- In che modo si realizza l’educazione (metodo educativo)
- In che contesto avviene
- Chi sono i protagonisti
Si tratta di educare a vivere un’età della vita, che come tale è connessa a tutte le altre età e a tutto ciò che si
vive ad ogni età.
3. I CONTENUTI CONOSCITIVI RELATIVI ALLA VITA ADULTA E ANZIANA. Una visione generale
e una specifica (aspetti problematici, teorie mirate, difficoltà)
4.I CONTENUTI CONOSCITIVI RELATIVI ALLE MODALITA’ D’INTERVENTO DEGLI
EDUCATORI NELLE DIVERSE SITUAZIONI PROBLEMATICHE: una visione generale dei metodi
d’intervento con adulti e anziani, una visione specifica delle singole modalità d’intervento.
5. RIGUARDA IL CONTESTO: lo spazio, comunicativo, cognitivo, affettivo, interpersonale, familiare,
sociale, lavorativo, culturale. Il tempo e la percezione della sua costante accelerazione, il tempo e la
difficoltà di comprendere il valore del passato e del futuro.

1-AL CENTRO DI OGNI EPISTEMOLOGIA:


UN PARADIGMA DI PENSIERO
DEFINIZIONE ETIMOLOGICA DEL TERMINE PARADIGMA E SUA ORIGINE
PLATONICA

Si opera sempre in modo intenzionale e seguendo un certo modello o schema di riferimento, sulla base del
quale poter avere una rappresentazione mentale di ciò che si intende fare. Nel linguaggio della filosofia della
scienza questo modello è chiamato PARADIGMA DI PENSIERO. I paradigmi di pensiero sono presenti e
condizionano ogni atto di conoscenza e influenzano pesantemente ogni attività pratica.

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LA CONCEZIONE DEL PARADIGMA SECONDO THOMAS S. KUHN

Il termine italiano paradigma deriva del greco, PARADEIGMA che significa MODELLO, ESEMPIO. In
Platone il mondo delle idee era considerato modello ontologico e sovrasensibile, sempre identico e quindi
eterno.
Per Aristotele il paradigma aveva una funzione logica, nel senso di un esempio, particolar ma che ha un
significato generale.
La ripresa del termine paradigma. Un paradigma è ciò che viene condiviso dai membri di una comunità
scientifica, e inversamente, una comunità scientifica consiste di coloro che condividono un certo paradigma.
Il paradigma non riguarda solo i contenuti, ma anche il modo di pensare e di organizzare i contenuti.
Non c’è scienza normale senza paradigma
Il paradigma permette di chiarire tre punti essenziali per l’indagine scientifica
La determinazione dei fatti rilevanti, il confronto dei fatti con la teoria, e l’articolazione della teoria
Serve per affrontare ulteriori problemi ed ampliare così la conoscenza
È lo strumento per un ulteriore articolazione e determinazione sotto nuove o più restrittive condizioni.

IL RUOLO DEL PARADIGMA SECONDO EDGAR MORIN


Estende la sua funzione al di fuori dell’ambito scientifico. Il paradigma infatti non controlla soltanto i
ragionamenti e le teorie, ma anche il campo cognitivo e culturale in cui nascono i ragionamenti e le teorie.
Come la teoria controlla la pratica che da essa deriva, così il paradigma controlla la teoria che nasce al suo
interno e di conseguenza controlla anche la pratica.
Il paradigma è invisibile, agisce inconsciamente, la sua forza si esplicita in un duplice modo:
- Pongono determinati concetti come dominanti
- I paradigmi determinano le operazioni logiche dominanti
È il paradigma che dà validità universale ai discorsi e alle teorie.
Così gli individui conoscono, pensano e agiscono secondo i paradigmi inscritti culturalmente in loro. Il
paradigma svolge un ruolo allo stesso tempo sotterraneo e sovrano in ogni teoria, dottrina o ideologia. Il
paradigma è inconscio, ma irriga il pensiero cosciente, lo controlla e, in questo senso, è anche sovra
cosciente.

Elementi di un paradigma parziale della vita adulta


LE DIFFICOLTA’ DI APPROCCIO CONOSCITIVO ALLA VITA ADULTA
Alla fine degli anni 70, la psicologa americana Grace J. Craig scriveva:
Lo sviluppo dell’adulto non può essere studiato in una situazione di laboratorio tenuta sotto controllo.
Abbiamo bisogno sia di ricerche longitudinali, che di confronti fra differenti coorti di età. È importante
capire sia la particolare età storica che le tensioni, i problemi ed i conflitti evolutivi comuni ad una
particolare età cronologica.
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DUPLICE APPROCCIO CONOSCITIVO DELLA VITA ADULTA: DIACRONICO (studio di elementi nel
loro divenire nel tempo), SINCRONICO (studio di elementi in un dato momento, estraendoli dalla loro
evoluzione nel tempo).
DUE MODELLI CONOSCITIVI DELLA VITA ADULTA: STADIALE E NON STADIALE
Anni 50-70 Erik H. Erikson: otto stadi. CONCEZIONE STADIALE
Nelle concezioni stadiali dell’esistenza, la vita è concepita secondo un modello che vede un succedersi di
fasi, in cui lo stadio seguente è superiore a quello precedente secondo una visione che rimanda a una
temporalità umana come successione e irreversibilità per il quale la vita è un progressivo accumularsi di
esperienze secondo un modello evoluzionistico scandito aprioristicamente. La crescita è verticale. Sviluppo
di abilità affettive, relazionali e sociali.
Anni 80- Baltes e Reese VISIONE NON STADIALE
Centrata sulla presenza di stati esistenziali. Lo sviluppo umano avviene per realizzare i propri progetti,
desideri, che sono però vissuti all’interno delle possibilità e dei limiti offerti dal contesto in cui si vive in un
determinato momento.
 Durata: Processo che dura tutta la vita, tutte le età sono allo stesso tempo in continuità e in
discontinuità tra loro.
 Il bilancio: In ogni fase evolutiva, si guadagna ma anche si perde qualcosa. È anche un’esperienza di
declino, alcuni aspetti possono essere compensati da altri comportamenti non presenti prima.
 Multidimensionalità: il processo di sviluppo coinvolge tutti gli aspetti della configurazione della
personalità
Baltes individua anche tre fattori che interagiscono nello sviluppo di un adulto:
- Influenze normative, correlate con l’età, determinanti biologici, ambientali del cambiamento.
Sono eventi normativi cioè tappe obbligate per ogni soggetto che rispondono nel contempo a
specifiche attese sociali.
- Influenze normative correlate alla storia, sono quei condizionamenti collegati agli eventi del
tempo in cui si vive. Eventi propri della società di appartenenza e che riguardano il suo modo di
vivere e di organizzarsi. (La persona esercita una dimensione attiva nel costruire la propria storia)
- Influenze non normative, nella vita di ciascuno possono accadere eventi che cambiano la vita di
una persona anche in modo radicale, in senso positivi, negativo, ma non si possono prevedere in
alcun modo.
LA PARZIALITA’ DEI DUE MODELLI E L’ESIGENZA DI UNA RECIPROCA INTEGRAZIONE

ASPETTI POSITIVI DELLA VISIONE NON STADIALE:


Sviluppo umano si caratterizza sempre, ovviamente calibrato in rapporto al tempo storico e allo spazio
ambientale in cui si trova ogni individuo. In ogni età della propria vita ogni essere umano può trovarsi a
vivere a suo modo alcune esperienze che sono in grado di provocare processi di cambiamento, anche
profondi, nei comportamenti cognitivi, affettivi e relazionali.
Consapevolezza della complessità.
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LIMITI DELLA VISIONE NON STADIALE:
1- Mancanza di una qualche direzione nella vita, non dice nulla circa il senso, ossia la direzione.
Sembra ragionevole ammettere che ogni forma di evoluzione passa da una fase di minore sviluppo ad una di
maggiore sviluppo, che a sua volta può essere solamente quantitativo, oppure assumere anche una
dimensione qualitativa in particolare dal punto di vista delle capacità di comprensione del significato di ciò
che si vive. Potrebbe anche trattarsi di un fenomeno evolutivo opposto, tornare indietro.
Se dunque vi è un’esperienza di direzione verso cui l’essere umano si incammina fin dalla nascita, questo
significa che esiste anche il problema di come vivere questa tensione, direzione. Da qui il tema dell’apertura
intenzionale al tempo che ci viene incontro e che dovrebbe motivare l’individuo ad assumersi la
responsabilità di decidere come viverlo.
2- La non presenza di una tensione finalistica. Un fine verso cui tendere
3- La presenza di fasi nella vita è inevitabile. Se vi è una meta. È logico pensare che vi siano anche delle fasi,
fasi di crescita quantitativa, ma anche fasi che passano attraverso momenti di svolta o di rottura.
Vale la pena ricordare la distinzione, presente nel pensiero antico come in quello contemporaneo, tra due
modi di essere nel tempo. Tempo come KRONOS, scorrere sempre uguale e dunque immobile, ripetibile.
KAIROS, un tempo speciale, opportuno, in cui accadono eventi che possono frenare, accelerare o deviare per
sempre il corso di vita, personale o collettiva. Nella vita umana vi sono elementi irreversibili o di valore
speciale.
4- La vita umana è segnata tanto dalla continuità, quanto dalla discontinuità. Accentua troppo l’idea della
continuità tra le diverse fasi della vita, fino a perdere di vista il fatto che sia effettivamente possibile
individuare anche delle fasi esistenziali ben definite, senza che per questo esse siano necessariamente
determinabili in modo rigido e uniforme per tutti.
Rischia di essere cieca, cioè di non vedere la direzione, il senso di tale evoluzione.
LIMITI DELLA VISIONE STADIALE
Rischia a sua volta di esser vuota, cioè mancante dello spessore concreto, problematico e a volte anche
sofferto e conflittuale delle vicende che scandiscono la vita di ogni persona, compresa la persona adulta.

Le due visioni dovrebbero avere un rapporto reciproco.

PRIMI ELEMENTI DI UN PARADIGMA DELLA VITA ADULTA

A. Approccio conoscitivo generale. TEORIA DEL PENSIERO COMPLESSO


B. Approccio conoscitivo all’insieme della vita adulta. ARTICOLAZIONE DELLA VITA ADULTA
IN QUATTRO FASI ESISTENZIALI
C. Approccio conoscitivo di tipo descrittivo. Presentazione coerente e omogenea delle fasi esistenziali
della vita adulta: dalla dimensione empirica, alla dimensione dinamica, alla dimensione semantica.
D. Approccio metodologico dell’agire educativo. Si articola a partire dagli aspetti problematici più
vicini alle funzioni degli adulti, per poi passare ad analizzare comportamenti.

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INDIVIDUAZIONE DELLE QUATTRO FASI IN CUI SI ARTICOLA LA VITA ADULTA

Il primo elemento di un possibile modello di pensiero è dato dalla possibilità di considerare l’adultità come
un’età della vita che evolve e si sviluppa in un lunghissimo arco di tempo, composto di fatto da quattro o
addirittura da cinque decenni.
La consapevolezza di essere diventato adulto è una realtà che matura gradualmente nel tempo, spesso
pervenendo, ciascuno a suo modo, a livelli di consapevolezza sempre più ampi e più profondi.

PRIMO MOMENTO: passaggio dall’età giovanile, all’età adulta vera e propria

SECONDO MOMENTO: la prima delle due fasi esistenziali centrali. Dimensione sociale della vita
adulta, perché indirizzata verso la realizzazione di sé in rapporto alla realtà esterna

TERZO MOMENTO: la seconda fase esistenziale centrale. Si trova a fare esperienza di sé


privilegiando soprattutto l’aspetto personale e riflessivo.

QUARTO MOMENTO: passaggio dall’età adulta a quella anziana

VIVERE OGNI FASE ESISTENZIALE, ATTRAVERSANDO TRE DIMENSIONI


ESPERIENZIALI
- SFERA ESTERNA: riguarda la dimensione empirica o materiale, comportamenti esterni, concreti,
socialmente visibili. Approccio conoscitivo è prevalentemente sociologico.
- SFERA INTERNA: riguarda la dimensione dinamica o psicologica, che si sperimenta nei vissuti
personali e nei processi che li caratterizzano
- SFERA INTERIORE: riguarda la dimensione riflessiva o esistenziale, sfera dei significati

L’individuo adulto dovrebbe arrivare dapprima a scoprire, a sperimentare e poi a sviluppare certe capacità o
competenze, che gli permettono di affrontare le sfide che ogni fase della vita adulta porta con sé. Renderlo
consapevole di possedere ciò che gli serve per assolvere il compito esistenziale specifico di cui ogni fase
esistenziale ha permesso di viverne una porta importante.
STATO DI CONSAPEVOLEZZA PROGRESSIVO. Ogni fase esistenziale permette all’adulto di
comprendere qualcosa della vita che prima non comprendeva o che comprendeva in modo diverso.

Pensare che le quattro fasi esistenziali non emergano necessariamente in rigida successione, ma che siano
ipotizzabili come tutte presenti fin dall’inizio dell’età adulta, sia pure in modo confuso.
Non è detto che una volta vissuta una determinata fase non ritorni più ad essere centrale.
VISIONE GLOBALE

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2- PERCHE’ UNA PEDAGOGIA DEL
CORSO DELLA VITA?
IL CORSO DELLA VITA E’ UNA REALTA’ PRIMA DI ESSERE UNA TEORIA. DA ADULTO SI PUO’
CAPIRE LA VITA E LA SUA VERITA’, ANCHE RICORDANDO LA PROPRIA INFANZIA.
Un esempio illuminante di questa realtà unitaria della persona viene dallo scrittore tedesco, naturalizzato
svizzero, Hermann Hesse.
Vivere da adulto il tempo della primavera, ricordando i sentimenti della propria infanzia.
Nel suo libro, Le stagioni della vita, riflettono sulle fasi della sua vita, Hesse conferma come queste siano
strettamente legate tra loro, tanto da rivivere da adulto le medesime sensazioni vissute durante l’infanzia,
accompagnate anche da ricordi molto specifici.
Qualcosa di simile accade anche con l’avvento di una nuova fase della vita: Accade da sempre che questa
fase si manifesti in modo evidente, ma non la si vede mai quando esattamente essa arriva. Hesse descrive
l’esperienza vissuta e compresa in quel momento, e tale da rimanergli impressa nel cuore, e dichiara di aver
provato una scossa, una molteplice emozione. Esperienza che allo stesso tempo lo desta a una nuova
consapevolezza.
La consapevolezza che nella vita si diviene e insieme si muore di continuo.
Un modo per vivere tale esperienza potrebbe essere quello di averne consapevolezza, per poi continuare a
ripensarne il significato in età adulta e anziana.
CAPIRE IL COMPITO DELLA VITA DA ANZIANO, CONFRONTANDOLO CON QUELLO GIOVANILE

Vi è un legame tra le esperienze vissute nella prima parte della vita, che da essa si riflette sulle altre età.
Essere anziani è un compito altrettanto bello e santo quanto essere giovani, imparare a morire e morire sono
una funzione altrettanto preziosa, a patto che sia compiuta con il rispetto per il significato sacro di ogni vita.
Il bisogno della gioventù è di potersi prendere sul serio, il bisogno della vecchiaia è di sapersi sacrificare,
perché al di sopra di essa vi è qualcosa da prendere seriamente.
Poiché compito, desiderio e dovere della gioventù è il divenire, compito dell’uomo maturo è liberarsi di sé.
La narrazione autobiografica è una testimonianza esemplare di come la persona adulta, o anziana, sia in
grado di vivere, attraverso la memoria e il racconto, la continuità tra le età della vita e quindi la loro unità
esistenziale, da cui deriva la consapevolezza della propria identità personale.
Il modo con cui si attua questa esperienza esistenziale è dato dalla convergenza di due elementi, IL
RACCONTO DI SE’ e la sua INTERPRETAZIONE IN CHIAVE SIMBOLICA. Il simbolo è una forma di
conoscenza che parte da qualcosa di concreto e dal suo significato materiale, per comprendere attraverso di
esso altri significati, che riguardano il senso della propria esistenza.

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RICERCA PSICOLOGICA E PEDAGOGICA SUL CORSO DELLA
VITA
DEFINIZIONE E OBIETTIVI DELLA PSICOLOGIA DEL CICLO DI VITA
La psicologia studia i processi di sviluppo e di maturazione lungo l’intera vita umana. Si interessa ai processi
di sviluppo e di maturazione delle funzioni e delle abilità psichiche e sociali attraverso le quali si realizza
l’esistenza di ogni essere umano. L’evoluzione nel tempo di questi processi si configura in un continuum in
cui gradualmente l’individuo acquista nuovi modi di essere e nuove strutture che trascendono quelli
precedenti, senza annullarli. L’interesse della disciplina, è quindi, sull’individuo, unitariamente considerato
nelle sue attività psichiche e nelle diverse manifestazioni del suo comportamento.
Lo sviluppo è un processo attraverso il quale un organismo acquista la capacità di affrontare con sempre
maggiore successo il proprio ambiente modificandosi e differenziandosi nelle strutture, nelle funzioni e nei
comportamenti, grazie alla maturazione biologica e all’influenza che gli stimoli ambientali esterni hanno
sulla stessa crescita.
Si concentra soprattutto su DINAMISMO ESPANSIVO, RELAZIONALE, E DI PROGRESSIVA
MATURAZIONE.
I PRESUPPOSTI CONOSCITIVI DELLA PSICOLOGIA DELL’ARCO DI VITA (BALTES E REESE)

- Continuità e discontinuità: Lo sviluppo individuale dura tutta la vita e include una serie di
adattamenti e ristrutturazioni dei periodi precedenti. Sia processi di tipo cumulativo (continui), che
innovativo (discontinui)
- Variabilità intercompartimentale: gli schemi individuali nel modo di vivere il cambiamento
variano a seconda del tipo di comportamento. Pluralità.
- Plasticità intraindividuale: lo sviluppo individuale può assumere molte forme in relazione alle
condizioni di vita che il soggetto ha incontrato e sperimentato.
- Influenza socio-culturale
- Pluralismo esplicativo: cambiamenti simili, in soggetti diversi, possono essere spiegati in più modi,
quali influenze storiche, biologiche, mutamenti sociali e personali.
ELEMENTI PER UNA PEDAGOGIA DEL CICLO DI VITA

- Rapporto con la pedagogia generale. La pedagogia del ciclo di vita ha in comune con la pedagogia
generale, l’approccio conoscitivo di carattere generale, la differenza dalla pedagogia generale è data
dal fatto che tale approccio si limita al solo ciclo esistenziale della vita umana e della sua
educazione.
- Rapporto con educazione degli adulti. L’educazione degli adulti riguarda una specifica età della
vita umana, il lavoro educativo che essa comporta e che comprende anche le connessioni con le altre
due età che le sono prossime, quella giovanile e quella anziana. Ha in comune il riferimento costante
alla concretezza delle problematiche educative affrontate.
La pedagogia del ciclo di vita è un sapere mediano e transdisciplinare.

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Sapere mediano, sapere tra, nel senso che facilita il passaggio conoscitivo (da qui la transdisciplinarità) tra i
temi fondamentali della pedagogia generale, e le problematiche concrete dell’educazione degli adulti.
Rilegge i temi e i concetti educativi generali alla luce delle situazioni esistenziali che caratterizzano il ciclo
di vita e viceversa.

TEMATICHE PROPRIE DELLA PEDAGOGIA DEL CICLO DI VITA

- ELABORARE NUOVI E PIU’ ARTICOLATI PERCORSI EDUCATIVI


Il sapere pedagogico non è solo un sapere descrittivo, ma è anche un sapere interpretativo, mira a
comprendere il significato di ciò che analizza, sapere teorico e pratico.
L’elemento fondante della pedagogia del ciclo di vita, è inoltre, l’educazione permanente o
dell’apprendimento lungo tutto il corso della vita.
- DIMENSIONE DEL TEMPO E DELLO SPAZIO
I bisogni di apprendimento e le possibilità educative vanno studiate nel loro stretto legame con il concetto di
tempo di vita. Il modo di cogliere le idee di durata e di cambiamento è oggetto di indagine della pedagogia
del ciclo di vita, la quale ricava delle indicazioni sul piano della progettualità educativa che si costituisce in
un continuum dalla nascita alla morte.
Cerca di indagare il significato che l’avventura esistenziale assume nei diversi tempi e nei diversi luoghi per
specificare un modello educativo che non sia formalmente statico, ne appiattito sul presente, ne così
monolitico da non lasciar spazio alla biografia individuale.
Bisogna chiarire quale sia l’idea tra tempo oggettivo e soggettivo. L’azione dell’educatore attraversa le tre
dimensioni del tempo (il presente dell’azione educativa, il passato da cui si traggono gli apprendimenti, e il
futuro verso cui guarda la formazione).
- LA SINTESI TRA MUTAMENTO E PERMANENZA
Rappresenta l’elemento di sintesi
Mirca Benetton scrive, rifacendosi al pensiero di Erikson e del filosofo Schopenhauer
L’uomo mantiene coscienza del cambiamento nella permanenza del suo io. È comunque sempre lo stesso
uomo. Le scene della nostra vita sono come rozzi mosaici. Guardate da vicino, non producono nessun
effetto: non ci si può vedere niente di bello finché non si guardano da lontano. Chiara consapevolezza di sé.
Lo sguardo da lontano potrebbe essere lo sguardo dell’anziano o dell’adulto che sta vivendo la fase
conclusiva della sua età. Essi si trovano nelle condizioni di distaccarsi, cioè di allontanarsi quel tanto che
basta per avere uno sguardo di insieme. Risultato complessivo, si soffermerà quindi sul proprio essere.

DIVERSITA’ E UNITA’ ESISTENZIALE IN OGNI MOMENTO DELLA VITA


Romano Guardini dà la possibilità di affrontare la dimensione del significato del corso della vita.
Che cosa vi è di realmente comune tra tutte le età della vita, tanto da convincere che ognuna di esse è
assolutamente necessaria, proprio per la sua diversità all’interno nell’unità della vita?
IDENTITA’ E DIFFERENZE, UNICITA’ E NOVITA’ DI OGNI SINGOLA FASE DELLA VITA

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L’essere umano si caratterizza sempre in modo nuovo: Tuttavia è sempre dello stesso uomo che si tratta. La
diversità delle situazioni non annulla l’unità, anzi proprio l’unità si afferma nella diversità.
Se non ci fosse la consapevolezza della propria unità, l’essere umano non potrebbe pensare nemmeno di
manifestarsi anche in forme diverse e molteplici.
Ogni ora, ogni giorno, ogni anno sono vive fasi della nostra esistenza concreta, ciascuna di esse accade una
sola volta.
Ogni fase della vita è inserita nella totalità, come sua parte integrante.
Ciascuna di queste fasi è anche una vera e propria forma di vita con la sua specificità, perciò non è possibile
dedurre una singola età da un’altra, ne è facile, passare da un’età all’altra della vita, proprio a causa della
loro diversità.
La consapevolezza della propria continuità passa attraverso la memoria e la previsione. Ogni fase è
strettamente connessa anche con tutte le altre. La consapevolezza della continuità tra le fasi della propria
vita, e non solo della loro discontinuità, è evidenziata in modo particolare, secondo l’autore, dalla memoria
(che unisce al passato) e dalla previsione (che unisce al futuro).
Ogni fase è qualcosa di peculiare che non si lascia dedurre né da quella precedente né da quella successiva.
Ogni fase è inserita nella totalità e ottiene il proprio senso soltanto se i suoi effetti si ripercuotono sulla
totalità della vita.
LA PRESENZA FONDAMENTALE DI UNA CRISI TRA LE FASI DELLA VITA

Ogni età della vita ha un suo compito, la crisi apre ad una nuova fase.

Il passaggio da una fase all’altra è caratterizzato da una specifica forma di crisi. Il valore fondamentale delle
singole crisi è dato dal fatto che ciascuna di esse mostra come ciò che si è raggiunto in una determinata fase,
per quanto sia importante, non esaurisce tutto ciò che l’essere umano deve diventare per essere pienamente
se stesso.
Virgilio Melchiorre evidenzia il carattere non solo esistenziale ma anche etico, di questa esperienza: ogni
epoca della vita ha il suo valore perché ha un suo preciso compito specifico.
Ogni fase ha un suo senso a appunto un suo insostituibile valore. Nessun tempo va, dunque sottratto ai propri
ritmi. Nessun tempo va forzato a essere altro. Nessun tempo può erigersi come il tempo migliore. Il meglio
sta solo nell’equilibrio che la vita ha conseguito nel punto in cui è giunta a se stessa.
PAREYSON DESCRIVE LA PERSONA UMANA COME CARATTERIZZATA DA QUATTRO
DIMENSIONI ESISTENZIALI.
Come avviene nel concreto che si diventa persona?
LA PERSONA PUO’ ESSERE DEFINITA QUANDO LA SI CONSIDERA COME ESISTENZA, COME
COMPITO, COME OPERA, COME IO.
ESISTENZA: è il compito dell’infanzia, uscire fuori e determinarsi, avviando il processo di sviluppo.
COMPITO: età giovanile, individuare il progetto esistenziale, personale e professionale.
OPERA: realizzare la propria esistenza attraverso la realizzazione del proprio progetto
IO: riconoscere di essere chi si è diventati
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3- PARTE CONOSCITIVA
SIGNIFICATO ETIMOLOGICO E SEMANTICO DELLA PAROLA ADULTO

Il linguaggio ha una funzione di mediazione conoscitiva tra ciò che il soggetto vive, pensa e poi comunica, e
la realtà che è oggetto di comunicazione.
Analisi etimologica della parola adulto. Deriva dal participio passato del verbo latino ADOLESCO,
ADOLESCIS, ADOLEVI, ADULTUM, ADOLESCERE che significa crescere, aumentare, rafforzarsi.
Il participio presente nello stesso verbo è ADOLESCENS, colui che sta crescendo, mentre ADULTUM
indica colui che è cresciuto.
La parola adulto indica il soggetto che dapprima era adolescente, quindi stava crescendo, ma che poi è
cresciuto.
Il caso più frequente lo si usa come aggettivo, che è un modo debole di utilizzarlo. Indica non una realtà
specifica ma una qualità, non sempre ben definita, nel modo di essere di una persona o di un’organizzazione
culturale, sociale, politica o religiosa.
Si utilizza il termine adulto in senso forte quando lo si usa come sostantivo, indicante cioè una specifica età
della vita, distinta da altre età e da altri modi di vivere l’esistenza umana.

UNA VISIONE TRADIZIONALE DELLA VITA ADULTA


Duccio Demetrio
Essere adulti significa avere una certa età cronologica, una serie di obiettivi evolutivi e di impegni, un
equilibrio psicologico, un senso di padronanza di sé.
Malcolm Knowles
Quattro definizioni, biologica, legale, sociale, psicologica
La definizione biologica: quando raggiungiamo l’età della riproduzione
Considerato anche solo dal punto di vista fisico, l’adulto è un soggetto che certamente può assolvere al
compito di perpetuare fisicamente la specie, ma ciò non significa affatto, con tutta evidenza, che egli sia in
grado di assumere nello stesso tempo l’insieme delle responsabilità familiari, affettive, professionali e sociali
che l’adultità comporta.
La definizione legale: diventiamo adulti quando legalmente raggiungiamo l’età in cui la legge dice che
possiamo votare, prendere la patente, sposarci senza consenso e così via. Non è però un fenomeno univoco e
può cambiare nel tempo e nella storia dei singoli stati.
Si tratta quindi di un fenomeno relativo storicamente socialmente e politicamente determinato.
La definizione sociale: diventiamo adulti socialmente quando iniziamo ad assumere un ruolo adulto, come
quelli di lavoratore a tempo pieno, coniuge, cittadino con diritto di voto e simili.
Pone l’accento sulla dimensione sociale della vita adulta, nel senso che non si è adulti solo per se stessi, ma
anche in relazione agli altri. In questo senso diventare adulti è strettamente connesso con il processo di
socializzazione.

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La definizione psicologica è connessa all’autonomia e alla responsabilità. Diventiamo adulti quando
arriviamo ad un concetto di noi stessi come persone autonome e responsabili della nostra vita.
Quella di Knowles è la descrizione del divenire dell’adultità sociale.
La conclusione di Knowles è significativa perché conferma l’idea che sembra tuttora condivisa a livello
sociologico e psicologico, che diventare adulti si identifichi di fatto con il processo di socializzazione. Si
potrebbe osservare, però, che in tal modo ciò che si forma è solo l’adulto sociale o psico-sociale, intendendo
con ciò il soggetto che ha portato a compimento il processo di inserimento e di adattamento sociale, che ha
percorso le tappe segnate da indicatori precisi, il corpo, la legge, la società e le sue esigenze, lo sviluppo
psicologico.
L’adultità non coincide per intero con la sola dimensione sociale.
Il processo di socializzazione rappresenta solo una dimensione della vita adulta. La realtà della vita adulta va
anche oltre la dimensione sociale, fosse anche solo nel senso che ogni adulto continua a essere soggetto
individuale, con una vita personale e una storia unica, diversa da quella di ogni altro individuo.
LA DISTINZIONE TRA RUOLO, ADULTITA’ E PERSONA

Il significato ruolo e la distinzione tra identità sociale e identità personale.


Molto spesso si identifica l’adulto con i ruoli che egli esercita.
L’esercizio di un ruolo è il prolungamento visibile della capacità operativa e funzionale di un soggetto,
quindi il ruolo è parte integrante del manifestarsi della personalità individuale, da qui la sua fondamentale
importanza. In assenza di ruoli, infatti, il soggetto avrebbe difficoltà a manifestare sé stesso e quindi a
definire la propria identità e il proprio posto in relazione agli altri e alla realtà in cui si trova a vivere.
I ruoli dipendono dalla posizione che l’individuo occupa nella stratificazione sociale, dalla sua funzionalità
all’organizzazione e alla struttura sociale, dalle appartenenze ai diversi cerchi della vita sociale.
Il ruolo è uno dei concetti basilari delle scienze sociali. L’assunzione di ruolo è funzionale al raggiungimento
di particolari obiettivi nei quali la società stessa si identifica e per il perseguimento dei quali si è data una
determinata struttura e un’organizzazione, che determina a sua volta una stratificazione delle posizioni
sociali. Così, acquisire una competenza di ruolo attraverso la socializzazione significa adottare una serie di
comportamenti che permettono all’individuo di occupare una posizione nella società. Ogni ruolo è
significativo rispetto all’organizzazione nella quale funziona mentre al di fuori di essa è privo di senso.
Il ruolo tuttavia non esaurisce l’intera realtà dell’individuo. Pertanto il ruolo che rappresenta l’identità
sociale, non può mai esaurire tutta l’identità personale dell’adulto.
Ora, se la vita adulta si identificasse per intero con i ruoli, che pure sono normalmente correlati ad essa,
apparirebbe del tutto ovvio il fatto di concentrare l’attenzione pedagogica esclusivamente sui temi che sono
connessi alle differenti attività esercitate dagli adulti attraverso i ruoli. Tale ovvietà viene meno, se solo si
considera che l’adulto si ritrova a vivere situazioni ed esperienze che hanno poco a che fare con i ruoli che
ricopre.
- Esperienza che l’adulto fa delle proprie quotidiane conflittualità esistenziali

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- Vicende, a volte gioiose a volte dolorose fino ad essere drammatiche, comunque sempre sofferte, che
segnano l’esperienza dei passaggi di vita. Spesso l’adulto fa l’esperienza di cambiare.
Appare lecito ipotizzare che vi siano aspetti esistenziali che non riguardano ciò che l’adulto fa, quanto
piuttosto ciò che egli continua ad essere anche al di là del proprio agire concreto.
Concentrare la riflessione su ciò che gli adulti sono in quanto adulti.

LA DISTINZIONE TRA IL SIGNIFICATO ESISTENZIALE DI ADULTITA’ E QUELLO FILOSOFICO DI


PERSONA

PERSONA: concetto filosofico indicante l’essenza stessa dell’uomo in quanto tale e avente quindi valore
ontologico, la categoria dell’adultità è di natura esistenziale, indicante un soggetto concretamente vivente in
una determinata fase della propria vita.
Adultità e persona non sono sinonimi. L’adultità è solo uno dei tempi della vita umana in cui si manifesta la
persona.
L’adulto che non abbia coscienza della natura globale della propria vita, può finire per avere anche di sé
un’immagine riduttiva cioè limitata al solo esercizio dei ruoli, con i risvolti dolorosi che questa situazione
porta con sé.
Più si è adulti e più si dovrebbe essere in grado di affrontare in modo competente e responsabile i ruoli che
come adulti si ricoprono, senza soccombere ad essi o dipendere da essi.
ADULTITA’ COME ELEMENTO DI MEDIAZIONE TRA L’AGIRE ATTRAVERSO I RUOLI E
L’ESSERE PERSONA
TUTTE LE ETA’ DELLA VITA SVOLGONO UNA FUNZIONE DI MEDIAZIONE TRA IL SOGGETTO
E LA REALTA’.
Il concetto di adulto può fungere da mediazione e dunque da punto di incontro tra i ruoli che pongono
l’adulto in relazione con la dimensione esterna della propria vita, la cui dimensione richiama alla dimensione
interna della vita individuale.
Tra l’esercizio dei ruoli e la realtà dell’essere persona è necessario riconoscere la presenza
dell’adultità.
La correlazione tra adultità, ruoli e persona indica una duplice interdipendenza esistenziale.
L’adultità è posta al centro. La posizione dei ruoli è indicativa della direzione verso la realtà sociale, o più in
generale verso la realtà esterna al soggetto. La posizione della persona è indicativa della direzione verso la
realtà interna, coinvolge il soggetto nella sua interezza
La persona adulta si trova a vivere contemporaneamente le due dimensioni: quella esterna, quella interna.
L’età adulta si manifesta al suo esterno attraverso l’esercizio dei ruoli sociali, ma al suo interno lo stesso
adulto si radica nella profondità del proprio significato esistenziale

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4. DALL’ETA’ GIOVANILE ALL’ETA’
ADULTA
COME IL PASSAGGIO ALL’ETA’ ADULTA VENIVA SPIEGATO NEL SECOLO SCORSO

Nella metà del secolo scorso Piaget definiva la graduale entrata nella vita adulta come determinata a livello
cognitivo dal raggiungimento della fase delle operazioni formali.
Quest’ultima fase dello sviluppo cognitivo, associata ai cambiamenti fisici, ormonali, alle modifiche di status
familiare e sociale, portava progressivamente all’entrata nell’età adulta.
Negli anni 70, Erikson individua nell’adolescenza la definizione dell’identità personale.
Alla fine degli anni 70, Levinson elabora una teoria in cui delinea le fasi di stabilità e di cambiamento che
caratterizzano anche il passaggio dall’età giovanile a quella adulta.
Infine negli anni 80 Havighrust individuava quali dovevano essere, secondo la società americana, i compiti
di sviluppo che un giovane doveva raggiunger per diventare una persona adulta.
Queste teorie avevano in comune l’idea di progressione che culminava con la pienezza e la stabilità dell’età
adulta. (momento topico dello sviluppo). TEORIA STADIALE
La transizione all’adultità è diventata più complicata, multidimensionale, prolungata, descrivibile come un
processo.
Il momento della transizione all’età adulta costituisce un punto di snodo quanto mai vulnerabile per la
storia di vita individuale e per le connessioni con la vita sociale e professionale delle persone. Esso
rivela la criticità di questo periodo del corso di vita.
LE PRINCIPALI TAPPE DELLA TRANSIZIONE IN ITALIA, SECONDO LE INDAGINI IARD

Rapporto giovani del 2007


Dal punto di vista metodologico la transizione è osservata attraverso il superamento delle principali tappe di
passaggio che introducono il giovane a nuovi ruoli e a nuove responsabilità sociali.
Viene osservato come questo passaggio riguardi anche la società nel suo insieme.
Il quadro esposto sembra evidenziare che, dal punto di vista economico, della possibilità di evitare il lavoro
domestico, della disponibilità di tempo libero, la situazione di coloro che sono usciti dalla famiglia dei
genitori, appare oggettivamente peggiore rispetto a quella di chi sta in casa. Tuttavia dal punto di vista
psicologico ed emotivo il fatto di rendersi indipendenti dalla famiglia di origine comporta un netto
innalzamento del livello generale di soddisfazione per la propria vita.
Appaiono entrambe due scelte razionali, ma che rispondono a bisogni soggettivi diversi: da una parte la
convenienza strumentale, dall’altra la possibilità di realizzare un modello di vita più autonomo e più
strutturato e che comporta una maggiore soddisfazione personale.
Rapporto giovani 2017

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La categoria dei giovani continua però a corrispondere alla fase di passaggio verso la vita adulta, che ha
come tappe cruciali la conquista di una indipendenza dalle generazioni precedenti (autonomia dei genitori) e
fornire una continuità verso le generazioni successive (formazione della famiglia e scelte riproduttive).
Meno si favorisce la progettazione e la possibilità di una realizzazione con successo di tali tappe, più
problematico risulta il presente dei giovani, ma anche più incerto diventa il futuro del paese in cui vivono.
La differenza vera, quindi, non sta tanto in quello che le nuove generazioni vorrebbero fare, ma in quello che
riescono poi effettivamente a realizzare. È su questo ultimo aspetto che il nostro paese rivela le sue maggiori
carenze. Ma l’evidenza empirica ottenuta è tale da far mettere in primo piano soprattutto le difficoltà
oggettive nel realizzare con successo le tappe di transizione alla vita adulta.
DUE CAUSE SPECIFICHE AL FONDO DELLA FATICOSA TRANSIZIONE DEI GIOVANI

Gli adulti proiettano sui giovani le loro difficoltà e rinunciano al loro ruolo educativo
Nell’Italia di oggi, gli adulti proiettano sui giovani più le loro paure che le loro speranze. I giovani si trovano
a convivere con generazioni di adulti che guardano con incertezza al futuro, hanno accorciato i loro orizzonti
temporali, hanno abbandonato speranze e illusioni, ridotto il livello delle loro aspirazioni e soprattutto hanno
spesso rinunciato a porsi come modelli coi quali i giovani possono confrontarsi, per imitarli o per rifiutarli.
Hanno cioè rinunciato, come genitori alla loro funzione educativa.
A far problema quindi non sono tanto i giovani, quanto la società degli adulti che proietta sui giovani le
proprie difficoltà.
GIOVANI NEET, pratiche antisociali, utilizzo di internet, con particolare riferimento ai social network.
Sono spesso utilizzati come via di fuga più che come strumento per trovare informazioni utili e condividere
esperienze che aiutino ad uscire dalla condizione di inattività corrosiva.
COME I GIOVANI ENTRANO NELL’ETA’ADULTA SECONDO J.ARNETT

Questa modalità riguarda i giovani tra i 20 e i 30 anni che definisce come ADULTITA’ EMERGENTE.
Non più adolescenti e non ancora adulti, questi giovani vivono un periodo peculiare di transizione che
presenta delle caratteristiche ricorrenti, benché non omogenee e generalizzabili.
- La continua ricerca dell’identità personale
- Il vissuto di instabilità a vari livelli
- La focalizzazione sullo sviluppo e sulla realizzazione personale
- La percezione di vivere una transizione
- La credenza ottimistica relativa al fatto di avere molte e possibili traiettorie di vita aperte
Mette in luce il fatto che alcuni marcatori tradizionali, caratteristici dell’età adulta, abbiano perso, per gli
intervistati, la loro importanza regolativa e vincolante.
- I ruoli sociali
- Le capacità familiari (prendersi cura di qualcuno, avere, mantenere casa, supportare
economicamente la famiglia)
- Il rispetto delle regole (evitare l’uso di droghe, compiere atti vandalici, guidare in modo corretto)
- Le transizioni biologiche e cronologiche-legali (ottenere la patente di guida)
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Ricevono un minor accordo rispetto a un sesto criterio che l’autore sintetizza con il termine individualismo.
INDIVIDUALISMO: accettazione della responsabilità delle proprie azioni, capacità di decisione autonoma
rispetto a valori e credenze, capacità di stabilire relazioni alla pari con i propri genitori, essere
economicamente e logisticamente indipendenti dai genitori.
L’adultità emergente come un periodo associato a un progetto di sviluppo individuale, caratterizzato da
una dinamica evolutiva senza fissa conclusione in termini cronologici o in risultati qualitativi, diventare
adulto implica la capacità sostare in un percorso di perfezionamento graduale, aperto e non totalmente
definibile o raggiungibile. Associa l’adultità emergente a un attraversamento, che espone ad aspetti
potenzialmente critico e di vulnerabilità con conseguenze su tutto il corso di vita.

LE ESPERIENZE CHE SEGNANO IL CAMMINO VERSO L’ADULTITA’

All’inizio dell’adolescenza vi è sempre l’esperienza di qualcosa che durerà nel tempo. Quando fisicamente si
acquisisce il potere di procreare, quando la persona dà segni di avere meno bisogno di protezione da parte
della famiglia, quando comincia ad assumere responsabilità, cerca l’indipendenza e dà prova di
autosufficienza, qui ha inizio l’adolescenza.
Più difficile è stabilire quando essa termina. Non è un caso che mentre di riesce a collocare l’inizio
dell’adolescenza facendola coincidere con la crisi puberale, si fatica invece a fissare un termine ed oggi si
parla sempre più di adolescenza protratta.
Non esiste una fine dell’adolescenza. Essa non si configura più come il tempo di massimo concentrazione dei
processi essenziali per tutto il corso della vita successiva.
La competenza ad affrontare i mutamenti riguardano la capacità di governare la tensione permanente tra i
poli della continuità e della rottura. Su quest’asse si struttura il senso dell’identità personale e della
permanenza. In questo senso, l’adolescenza rappresenta una sorta di prova di abilità in transito.
L’adolescenza è un periodo che non termina in se stesso e che lascia aperti sul resto del ciclo di vita gli
apprendimenti avviati dalla stessa crisi esistenziale che caratterizza l’età adolescenziale.
Sono concentrati in quest’età gli snodi più significativi dell’esperienza umana, quegli stessi che
incontriamo diluiti nell’arco della vita: il dramma della scelta, la necessità di cambiare, la paura di farlo.
L’esperienza affascinante e insieme disorientante di poter diventare qualsiasi cosa. Come accade in ogni
crisi, anche quella adolescenziale rappresenta un momento tanto decisivo quanto appassionante e
destabilizzante allo stesso tempo.
Una crisi che implica una scelta tra la sicurezza della situazione attuale e l’avventura verso una situazione
nuova e quindi sconosciuta. La crisi ha in sé anche un elemento dinamico di potenzialità: spesso
l’adolescente la vive come totipotenzialità, sente cioè di poter diventare qualsiasi cosa.
Proprio il sentire di poter diventare qualsiasi cosa, può aiutare a comprendere perché un adolescente si possa
sentire fragile e spavaldo, con un forte bisogno di essere ammirato, ma anche con il terrore che il suo sia un
desiderio impossibile da realizzare.

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La crisi è una fase che può essere più o meno lunga, caratterizzata da una discontinuità dovuta alla
trasformazione dello sguardo che l’adolescente è in grado di fare. Le caratteristiche di discontinuità non sono
da ricercarsi nei contenuti della crisi, ma nella difficoltà a cambiare il punto di vista su di sé e sul mondo, che
l’adolescente sta piano piano elaborando.
L’adolescente ha quindi la possibilità di dislocarsi al di fuori di sé e di percepire il proprio sé che cambia in
relazione al proprio corpo e al sistema di relazioni che cambiano.
L’adolescente dovrà passare attraverso l’arduo passaggio dell’accettazione di essere come tutti, conservando
il sentimento di essere unico e irripetibile.
I problemi che incontra per la prima volta un adolescente non terminano con l’adolescenza, ma da questo
momento entrano a far parte dell’esperienza di ciascuno. Si configura come passaggio della soglia. Lo
sviluppo viene concettualizzato come cambiamento continuo e nello stesso tempo, permanenza
contemporanea delle acquisizioni precedenti e di più livelli di esperienza.
Si inizia in qualche modo a intuire o a sognare il proprio futuro.
Questo momento immaginativo del proprio sé, rappresenta un elemento essenziale perché può rappresentare
il primo modo di rapportarsi con la realtà in modo adulto, cioè in modo personale e sempre più
responsabilizzante, sebbene avvenga attraverso una visione più intuitiva, emotiva e necessariamente
generica, che motivata.
LA STRUTTURA DELLA VITA INDIVIDUALE E IL RUOLO DELLE SCELTE

La struttura della vita di un adulto è segnata da un processo di sviluppo che è condizionato non solo dal
contesto socio-culturale in cui vive, ma anche dalle componenti del proprio sé.
L’elemento fondamentale nella vita di un individuo è dato dalle scelte, che segnano il rapporto tra il soggetto
e la realtà.
Le scelte segnano il passaggio tra i due grandi periodi che si alternano nel corso della vita adulta:
- I PERIODI DI STABILITA’, cioè di costruzione della struttura della propria vita, che durano circa
6-7 anni
- I PERIODI DI TRANSIZIONE, cioè di cambiamento di quella stessa struttura, che durano circa 4-5
anni. Questi periodi pongono fine al modo di vivere esistente in precedenza, e creano nel contempo
la possibilità di tornare a vivere un nuovo periodo di stabilità.
LE PRIME ALTERNANZE DI PERIODI: DALL’ABBANDONO DELL’ETA’ GIOVANILE ALLE
SOGLIE DELL’ETA’ ADULTA.
- LA TRANSIZIONE DEI VENT’ANNI: il passaggio alla vita giovanile a quella adulta (18-22 anni
circa)
- LA PRIMA STRUTURA STABILE: entrare nel mondo degli adulti (22-28 circa). In questa fase di
relativa stabilità il giovane adulto vive due compiti fondamentali e opposti, di difficile equilibrio. 1-
esplorare i modi con cui si potrebbe vivere da adulti 2-iniziare comunque a costruire una struttura di
vita stabile

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- LA TRANSIZIONE DEI TRENT’ANNI: cambiare la prima struttura della vita (28-33 circa)
Avvertire che il carattere provvisorio della vita sta finendo, concretizzarsi con l’assunzione di scelte
impegnative e definitive. Per alcuni può sfociare in una crisi, per insoddisfazione delle scelte prese in
precedenza. Questa crisi può sfociare quindi in un brusco cambiamento di rotta rispetto al passato,
oppure si risolve nella scelta di continuare, pur avvertendo che in questa decisione vi è qualcosa di
sbagliato.
I COMPITI PERSONALI, FORMATIVI, PROFESSIONALI E AFFETTIVI CHE IL GIOVANE DEVE
ASSOLVERE
Levinson da particolare rilievo a quest’ultima fase della vita di un giovane che diventa adulto. Il giovane ha
necessità di assolvere a quattro compiti fondamentali.
- Compito personale: definire un sogno sulla sua realizzazione da dulto
- Compito formativo: trovare un consigliere, una guida. Deve trattarsi di un soggetto che condivida il
sogno, dia fiducia ma che sia anche competente e capace di insegnare le abilità necessarie. La
funzione principale della guida è di garantire il passaggio al mondo degli adulti.
- Compito professionale: intraprendere una carriera, congeniale al sogno coltivato
- Compito affettivo: stabilire relazioni intime con una persona speciale. Questa capacità arriva a
compimento proprio intorno ai 30 anni (maschi)
APPLICAZIONE DELLE TEORIE DI LEVINSON AL MONDO FEMMINILE
Implica i quattro compiti sopra descritti, con almeno tre differenze
- I passaggi della vita adulta sono meno legati all’età e più al ciclo della vita familiare
- Il modo di vivere il proprio sogno. Gli uomini tendono ad avere una visione unificata del loro futuro
centrato sul lavoro, mentre molte donne tendono ad avere sogni separati. Per la maggior parte
mostravano sogni distinti legati al lavoro e alla famiglia.
- La presenza del consigliere è meno presente
DIVENTARE ADULTI COSTRUNEDO LA PROPRIA PERSONALITA’

Il giovane diventa adulto attraverso l’assunzione dell’impegno di costruire la propria personalità


ALLPORT descrive come la consapevolezza dell’io vada di pari passo con la costruzione e la manifestazione
della sua unità, la quale si costituisce nel perseguimento di uno scopo, per raggiungere il quale tutte le
energie della personalità si integrano tra loro.
Costruire un’immagine unitaria di sé, che si concentra intorno a ciò che è proprio di ogni individuo
IL PROPRIUM, L’IMMAGINE UNIFICATA DI SE’ E LA TENSIONE VERSO UNO SCOPO
Il proprium di ogni individuo riguarda le sue funzioni essenziali, attorno alle quali si costituisce l’unità della
personalità.
- L’immagine unificata e completa di sé comprende non solo il concetto di ciò che sono, ma anche di
ciò che voglio essere e di ciò che dovrei essere
- La tensione verso uno scopo. Nella misura in cui l’unità della personalità si costituisce attorno al
proprium di un individuo, questi acquisisce una sempre maggiore coerenza, perché tendendo verso
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un fine preciso, egli vive in modo più radicato la corrispondenza tra ciò che è, ciò che fa, e ciò che
dovrebbe fare per essere sempre più se stesso.
L’unificazione giunge attraverso la tensione verso uno scopo. È il perseguimento di uno scopo principale che
dà significato a una vita. Più lo scopo è raggiungibile più esso è formativo.
INESPERIENZA: DIVENTARE ADULTI SCOPRENDO LA COMPLESSITA’ DEL REALE

Romano Guardini individua una condizione necessaria perché si aiuti il passaggio dall’età giovanile a quella
adulta. Si tratta di un’esperienza di crisi che provoca un distacco dai modi di pensare e di agire che sono
propri dell’età giovanile.
Ciò che sfugge al giovane per inesperienza, è la consapevolezza di arrivare a conoscere solo la punta visibile
di un iceberg, dimenticando che la gran parte di esso è nascosta.
LA DUPLICE ESPERIENZA FONDAMENTALE, DI CIO’ CHE È LA REALTA’ E DEI PROPRI LIMITI
CONOSCITIVI
Duplice graduale consapevolezza, da un lato di ciò che è la realtà e dall’altro il riconoscimento dei propri
limiti. Questa duplice consapevolezza matura attraverso una serie di insuccessi ai quali conduce il suo
comportamento idealistico.
Il giovane si rende conto di non saper fare molto di quel che credeva di saper fare, ma che è autentico. Egli
sperimenta quanto siano complicate le cose, quanto siano irreali i principi assoluti, e dovrà attuare di
continuo ciò che al giovane riesce cos’ difficile fare, venire a compromessi, nei quali si conquista la
possibilità di realizzazione, riducendo l’assolutezza delle pretese.
Egli fa la stessa esperienza anche su di sé. Il fatto che riconosca qualcosa come giusto, non significa in alcun
modo che lo faccia. Egli fallisce di continuo, e il bilancio etico che fa, riguardo a se stesso, da sempre
risultati negativi.
Scopre cosa sia la realtà dei fatti: è quello che non deve essere, ma tuttavia è. È ciò che non si lascia dedurre
dai principi. Si tratta di una realtà che è lì presente, con la quale si deve fare i conti, e solo un lento lavoro
riesce a padroneggiarla, la pazienza.
Chiaramente è mancato qualcosa, l’esperienza e questa mancanza ha fatto fallire tutto. Si impone quindi un
cambiamento di posizione, uno schema di vita, a suo tempo idoneo, giunge al suo epilogo, mentre deve
esserne elaborato uno nuovo.
Se il giovane non vive positivamente questo passaggio, è destinato ad avanzare nella vita continuando a
comportarsi in modo giovanilistico. Diventa un dottrinario, fanatico dei principi, critica tutto. Diventa un
eterno rivoluzionario.
DIVENTRE ADULTI È UNA SCELTA E UN PASSAGGIO DI VITA

Nella terza parte di questo capitolo ipotizzo che siano tre gli elementi che si sedimentano in modo
consapevole nel fondo nella memoria esistenziale della giovane persona adulta:
- La consapevolezza di avere sperimentato un profondo bisogno desiderio d’intimità
- La consapevolezza che la propria vita sia stata scandita dalle scelte

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- La consapevolezza che il diventare adulti comporta un prezzo doloroso: rinunciare a certi modi di
pensare e di agire che sono propri dell’età giovanile
TRA IL DESIDERIO D’IDENTITA’ E LA NECESSITA’ DI SCELTE: LA SCOPERTA DEL LIMITE

Il desiderio d’identità, ossia di diventare se stessi, all’inizio dell’adolescenza porta alla consapevolezza di ciò
che non si vuole essere negli anni successivi. Questa volontà si modifica gradualmente in ricerca di ciò che si
vuole diventare e arriva alla consapevolezza di voler compiere delle scelte definitive. L’identità del giovane
adulto è il risultato dell’incontro, scontro tra la sua spinta ideale, senza limiti e l’impatto con l’esperienza
concretamente determinata e la sua complessità.
Si tratta di incontrare quella parte di esperienza umana che fa scoprire di non essere onnipotenti. Mettersi in
rapporto con un altro impone il riconoscimento del proprio limite, la scoperta di non bastare a se stessi e di
essere interdipendenti.
L’ESPERIENZA DELLA SCELTA, COME ESPERIENZA DEL LIMITE E DEL SUO VALORE
LIBERANTE. (LEVINSON)
L’adulto è colui che sa costruire un rapporto adeguato tra la propria vita e la realtà in cui vive, e quando
questa adeguatezza viene meno, è capace di cambiare modo di rapportarsi con essa mediante nuove scelte.
Ogni scelta porta con sé l’esperienza della negazione, parziale o totale, del modo di vivere precedente, da qui
il distacco da quel passato e il passaggio a un modo diverso di vivere.
La vita umana in generale, e di quella adulta in particolare, è scandita dalle scelte che via via si compiono,
giuste o sbagliate che siano, ed anche dalle scelte che per diverse ragioni non si compiono e che vengono
subite, perché imposte da eventi o circostanze.
Ciò che unisce esistenzialmente l’età dell’adolescenza e quella successiva della adultità emergente, è
forse l’esperienza della scelta.
Mette fine ad uno stato d’incertezza, che potrebbe diventare una situazione paralizzante e nel
contempo apre la via alla possibilità di procedere nella direzione che si è deciso di intraprendere.
INCERTEZZA: significato ambivalente. Non sapere come si fa vuol dire essere incerti nel senso corrente
del termine, ma significa anche essere aperti al possibile.
L’incertezza è un’esperienza difficile da tollerare. Scegliere e prendere decisioni significa commisurare le
possibilità alla capacità reale di azione.
Ma quando la possibilità di scelta si allarga molto oltre la capacità effettiva del soggetto si produce la perdita
di confini dell’identità e la frammentazione dell’io. L’esperienza della decisione unisce possibilità e limite.
Decidere significa scegliere il possibile. La decisione è un paradosso perché l’esperienza è quella di vivere
contemporaneamente responsabilità e limite.
Ogni scelta rappresenta di per sé un rischio, il rischio di ciò che potrà accadere dopo la decisione presa.
Interroga il nostro rapporto intimo con il tempo. È un combattimento in cui non avremo modo di conoscere
l’avversario, un desiderio. Il rischio apre al caso. Lo vorremmo volontario quando invece di origina
nell’oscurità, nell’incerto.
Scegliere di accettare di diventare adulto significa vivere il rischio di ciò che potrà essere.

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VIVERE I PASSAGGI DI VITA: ESPERIENZE DI ROTTURA, SPESAMENTO E NUOVI EQUILIBRI

Diventare adulti comporta una serie di passaggi di vita. Momenti di crisi e di passaggio.
Ci sono scenari che cambiano improvvisamente intorno a noi, con la perdita delle sicurezze, del nostro
equilibrio mentale precedente, costruito su una situazione diversa, e con la fatica di orientarci per cercarne
uno nuovo, più adatto alla situazione attuale. Perdita delle sicurezze precedenti, spaesamento, paura terrore
del nuovo.
MARCOLI delinea un quadro dei passaggi di vita più comuni e dei vissuti che li accompagnano:
- INFANZIA-ADOLESCENZA
- ADOLESCENZA-ETA’ ADULTA
- PASSAGGI D’ETA’
- PASSAGGI DI CONDIZIONE
- PASSAGGI DI RUOLO
Ognuno di noi attraversa il territorio di nessuno, rappresentato dal non essere più esattamente quello di
prima, ma dal non sapere ancora chi siamo e chi diventeremo.
L’avere vicino qualcuno che lo possa intravedere per noi in silenzio, mettendoci in contatto con la speranza.
VIVERE UN PASSAGGIO DI VITA:
- Esperienza di perdita, perché è vissuta e accompagnata da una situazione di crisi, cioè di profonda
rottura, i cui effetti si dilatano nel tempo
- Esperienza di vuoto perché porta con sé la sensazione di aver perso qualcosa
- Esperienza di arricchimento perché una volta vissuta provoca un cambiamento profondo che
valorizza le risorse individuali e se ne scoprono di nuove.
- Esperienza di nuova fiducia in sé stessi, rinforza la fiducia nelle nostre capacità e quindi l’autostima.
L’aver superato e attraversato le difficoltà di una crisi ci permette di fidarci di noi stessi e delle
nostre risorse.

5. DIVENTARE ADULTI RADICANDOSI


NELLA REALTA’ SOCIALE
DIVENTARE ADULTI ATTRAVERSO L’ASSUNZIONE DI RUOLI E STATUS

LA REALIZZAZIONE DEI PROPRI PROGETTI ATTRAVERSO RUOLI, STATUS E


RICONOSCIMENTO
Levinson definisce come il desiderio del giovane adulto di sistemarsi e di vivere un nuovo periodo di
stabilità dopo aver superato la fase di transizione coincidente con la crisi dei trent’anni.
È la fase in cui l’adulto avverte che la forma ideale della propria vita, dapprima immaginata e ora da
realizzare, più e compresa nel suo significato più profondo e più l’adulto desidera renderla visibile
realizzandola nel concreto dei modi che sono propri della realtà sociale in cui opera.

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PASSAGGIO DALLA TEORIA ALLA PRATICA. L’ADULTO E’ IMPEGNATO NELLA
COSTRUZIONE DELLE STRUTTURE FONDAMENTALI DELLA SUA VITA SOCIALE.
DETERMINA E PORTA A COMPIMENTO IL SUO PROCESSO DI SOCIALIZZAZIONE (adultità
sociale).
Assunzione di un insieme di ruoli e l’esito finale è l’acquisizione di status (stare fermo, occupare una
determinata posizione in modo stabile).
IL RAGGIUNGIMENTO DI UN’IDENTITA’ SOCIALE RICONOSCIUTA E QUASI TOTALIZZANTE
L’esercizio dei ruoli che l’adulto ricopre crea le condizioni perché si completi il processo di riconoscimento,
da parte del contesto sociale in cui si vive, a cui corrisponde un analogo processo di auto-riconoscimento da
parte del soggetto stesso.
Si può parlare non solo di adultità sociale, ma anche di identità sociale, che in questa fase riconosce se stessa
principalmente e prioritariamente attraverso le sue attività e il riconoscimento del loro valore, soprattutto da
parte degli altri. Nuove esperienze di generatività.
LA RESPONSABILITA’ RISPETTO AL COMPITO REALIZZATICO E LE DIFFICOLTA’ DA
AFFRONTARE.
Anche la seconda fase della vita adulta che riguardano la realizzazione di sé e l’acquisizione del proprio
ruolo e status sociali e come questo può avvenire. I progetti personali elaborati nella prima fase adulta, per
realizzarsi socialmente devono confrontarsi con i condizionamenti che possono venire proprio dal contesto
sociale contemporaneo, complesso.
L’esigenza di agire in modo competente nel lavoro ma non solo. Il bisogno di competenza richiede la
capacità di operare in modo sempre più preciso, efficace e adeguato ai compiti da assolvere, alle
responsabilità da sostenere e ai doveri da soddisfare.
L’adulto ha l’esigenza e la volontà di affrontare ogni cosa che fa, in modo non improvvisato, superficiale o
pressapochista ma sempre più adeguato, pertinente, efficace e possibilmente aggiornato. In ogni cosa che fa
si richiede competenza.
COMPETENZA: Deriva dal verbo latino competo, competis, competivi, competium, competere
(cum+petere) che significa cercare di giungere insieme a qualcosa, incontrarsi.
Colui che convergendo su un problema è in grado di affrontarlo in modo adatto appropriato e utile,
incontrandosi così con le richieste del richiedente e la realtà della situazione in cui opera.
CARATTERISTICHE OPERATIVE DELLA COMPETENZA: SAPER FARE IN MODO AUTONOMO E
RESPONSABILE
DEFINIZIONE OPERATIVA:
-come si manifesta: è un saper fare, la competenza si presenta come una prestazione complessa e stratificata,
in quanto composta di diversi elementi, ma anche visibile e particolare, perché produce effetti concreti,
mirati e specifici. Si presenta come una capacità effettiva, non solo potenziale. È una caratteristica
individuale, propria del soggetto.

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- che cosa richiede, richiede delle abilità di base. Applicare la conoscenza e usare le sue capacità operative in
modo funzionale e adeguato alla situazione. Sappia agire in modo flessibile, contestualizzato e intenzionale.
-come si realizza, attraverso un’azione complessa e spesso creativa. La competenza si attua attraverso una
sintesi di elementi generali e particolari, ossia di principi e norme di natura conoscitiva, di capacità
linguistiche, e di comportamenti particolari. È una sintesi spesso di natura creativa, perché ogni volta può
presentarsi con elementi di novità di natura artistica e progressiva nel tempo.
-che effetti produce sul professionista, la consapevolezza della propria responsabilità e autonomia.
Approfondisce nel soggetto la consapevolezza di un continuo aggiornamento, il professionista non ha alcuna
difficoltà ad accogliere in pieno il principio pedagogico della formazione permanente perché risponde alla
duplice esigenza di autonomia e responsabilità. Atteggiamento di interesse e rispetto.
IL PROBLEMA DEL VALORE DA ATTRIBUIRE AL LAVORO E ALLA COMPETENZA
Donati considera il LAVORO come UN’ATTIVITA’ CHE HA CARATTERE INTRINSECAMENTE
RELAZIONALE NELLA SUA FORMA E NEL SUO CONTENUTO.
LA REALIZZAZIONE SOCIALE DELLA PERSONA ADULTA E LA NECESSITA’ DI SCEGLIERE
TRA DUE ALTERNATIVE.
Da una parte, l’adulto può ritenere che le trasformazioni tecnologiche siano talmente profonde da
condizionare sempre più la vita umana fino a rovesciare il rapporto tra gli esseri umani e le macchine.
Logica, dobbiamo funzionare.
Benasayag mette in evidenza come la società contemporanea potrebbe correre un pericolo se accettasse
l’idea che il futuro degli esseri umani sia quello di funzionare, sempre e costantemente in senso produttivo,
come e meglio delle macchine, e che in ciò consista il senso stesso dell’intera esistenza.
Se vuole realizzarsi deve saper funzionare.
Dall’altra Bertagna sottolinea la prospettiva relazionale e sociale della competenza. Essa implica un andare
di qualcuno verso qualcosa che non si può fare da soli, ma che esige cooperazione, solidarietà, compagnia.
Potremmo chiamarla la dimensione sociale di ogni competenza. Si è competenti attraverso il rapporto con un
altro o con un contesto intrapersonale.
Competente non è solo chi si muove insieme ad altri, non solo chi si sforza di guardare l’unità complessa del
compito per non tradirla, ma chi pratica la prima e la seconda preoccupazione, perché coinvolge sempre,
momento dopo momento, l’insieme della sua persona. È COMPETENTE CHI è SEMPRE TUTTO SÉ
STESSO ED AFFRONTA QUALSIASI COMPITO DANDO IL MEGLIO DI TUTTO SÉ STESSO.
 Se la competenza lavorativa è identificata con il puro funzionamento operativo, la persona che lavora
vive la scissione tra ciò che fa e ciò che è, ossia tra il suo essere simile a un oggetto che funziona e il
suo essere soggetto che esiste.
 Se la competenza operativa è intesa come un modo d’essere del soggetto, ne consegue che la persona
che lavora sperimenta l’unità profonda, vivendo ciò che fa come manifestazione visibile di ciò che è.
L’ESPERIENZA DEL FLUIRE DELLA PROPRIA FORZA E GENERATIVITA’

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Manifestare il proprio carattere. Stabilità interiore della persona che consiste nella connessione della facoltà
attive del pensiero, del sentimento e della volontà con il proprio centro spirituale. Guardini elenca i valori
che assumono particolare importanza nella vita adulta.
- La COSCIENZIOSITA’ nell’adempiere agli impegni assunti, l’attenersi alla parola data, la
FEDELTA’ nei confronti di chi ci dà fiducia, l’ONORE come senso infallibile di ciò che è giusto e
di ciò che è ingiusto, il DISCERNIMENTO, la capacità di distinguere tra quanto è autentico e
quanto è falso nelle parole. È il periodo nel quale si scopre IL SENSO DELLA DURATA. In questo
periodo l’uomo scopre che cosa voglia dire istituire, difendere, creare una tradizione.
È il momento della sintesi tra forza fisica, mentale, culturale e quindi politica. Sembra realmente il punto
d’arrivo implicito nel termine adulto.
Il compito è quello di essere protagonisti attivi del vivere sociale, per sé ma anche per altri, assumendo la
responsabilità di guida della comunità, piccola o grande che sia, in cui essi vivono.
Superare la distanza tra sé e la realtà, un superamento che è reso possibile proprio dall’assunzione dei ruoli,
specie se esercitati con competenza.
L’ESPRESSIONE PIU’ VITALE DELLA PERSONA ADULTA: LA GENERATIVITA’

Teoria dello sviluppo psico-sociale dell’essere umano, secondo Erikson


- Lo sviluppo umano è un processo evolutivo basato su una sequenza di eventi biologici, psicologici,
sociali che costituiscono un’esperienza comune a tutti gli uomini. Esiste dunque un ordine
universale.
- Lo sviluppo avviene perché l’essere umano è dotato fin dalla nascita di un’energia istintuale, di una
forza, sessuale, ma non solo, che spinge e motiva in senso globale alla realizzazione di sé, e che
Erikson, come Freud, chiama libido. Da un lato vi è la spinta a vivere e dunque verso la vita. La
forza opposta spinge invece a ritornare a una condizione precedente la nascita, tendenza a tornare
indietro, a regredire, desiderio di autodistruzione, creando una polarità, che è all’origine del
comportamento in ciascuna delle fasi evolutive della vita.
- Affrontare il conflitto esistente tra i due poli opposti. Superato il problema l’individuo è in grado di
entrare nella fase successiva
- La positiva risoluzione dei conflitti che caratterizzano le varie fasi costituisce un passo avanti sul
cammino che porta alla maturità
- Lo sviluppo comporta anche la possibilità di un processo auto terapeutico, la capacità cioè di sanare
da sé le ferite prodotte dalle crisi inerenti lo sviluppo stesso e non risolte
- Lo sviluppo è un processo ininterrotto in cui tutte le fasi sono ugualmente parti integranti del
continuum. In nessun momento l’individuo possiede una personalità pienamente realizzata, si deve
dire piuttosto che egli la sottopone a una costante rielaborazione.
Erikson descrive otto fasi evolutive: le prime cinque fasi sono una riformulazione degli stadi evolutivi
psicosessuali di Freud, gli ultimi tre stadi sono dedicati all’età giovanile, all’età adulta e quella anziana.
VEDI PAGINA 95-96

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BREVE PRESENTAZIONE DEL SETTIMO STADIO DELLA TEORIA PSICOSOCIALE DI
ERIKSON
La persona adulta ha bisogno che si abbia bisogno di lei.
È lo stadio della capacità generativa, di far uscire da sé la propria energia vitale e di donarla ad altri. È
un’esperienza di ricchezza e potenza, ma anche di consapevolezza della propria non autosufficienza, si
ha bisogno di un ‘’tu’’ o ‘’altro’’ da sé con cui entrare in relazione. Vi è una dipendenza della
generazione più anziana da quella più giovane. L’uomo maturo ha bisogno che si abbia bisogno di lui.
La generatività è quindi anzitutto la preoccupazione di creare e di dirigere una nuova generazione.
SE LA GENERATIVITA’ VIENE A MANCARE SUBENTRA LA STAGNAZIONE E
L’IMPOVERIMENTO.
Produttività e creatività. La generatività costituisce dunque un momento essenziale, tanto dello sviluppo
psicosessuale che di quello psicosociale.
Fa intravedere in controluce il problema del rapporto tra vita operativa e vita affettiva perché entrambe
sono espressioni della medesima capacità generativa.
DARE VITA È PERMETTERE A QUALCOSA O QUALCUNO DI PASSARE DAL NON ESSERE
ALL’ESSERE. Generare è dare inizio ad una nuova realtà.
Ma si genera a partire da qualcosa, vi è una continuità di vita tra generante e generato.
Sono necessarie due condizioni per generare: che il generante fosse anch’esso vivente, che il generato
fosse della stessa sostanza del generante. RI-GENERARE la vita sotto un’altra forma, ma avente la
stessa sostanza.
Pensando a cosa significa GENERARE, è possibile individuare una serie di implicazioni che ne
evidenziano la complessità.
- Quello che c’era prima appare ora limitato e inadeguato, può essere considerato come una forzatura
nei confronti di ciò che era. Si genera dunque per la necessità di superare un’inadeguatezza di
rapporto.
- Generare il nuovo richiede lotta e sofferenza. Tensione emotiva e cognitiva, che si instaura tra la
paura di perdere quello che si era e la speranza di guadagnare qualcosa di diverso e di ancora più
importante.
- Si genera mentre si vive un momento di sospensione che sancisce una discontinuità. Si sperimenta di
vivere un tempo di sospensione. Un momento di silenzio e di pace, dopo il conflitto e la sofferenza
che lo hanno preceduto. In questo spazio-tempo della sospensione che inizia a prendere forma il
nuovo, sancisce il distacco, cioè la presenza di una discontinuità nella continuità della propria
esistenza: questa discontinuità è esattamente la condizione necessaria alla costituzione della nuova
identità. È insieme un momento in cui si sperimenta di agire nell’oscurità.
- Ciò che nasce dall’atto generativo è altro rispetto alle attese. Ha anche qualcosa di estraneo. La
risposta sarà efficace nella misura in cui rifletterà non solo le intenzioni di chi l’ha generata, ma

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anche le richieste della realtà, a partire dalla quale vi è stata la generazione. È più facile che esse
divergano.
- Ciò che è generato si mostra come un ‘’tu’’ che interroga l’io che lo ha generato. Il generato appare
non solo come un ‘’altro’’ che ha la sua identità. Ha dentro di sé qualcosa da chiedere a chi lo ha
generato. Perché mi hai chiamato all’esistenza?
L’IMPORTANZA È CAPIRE CHE LA CAPACITA’ DI GENERARE NASCE DA UN’ESPERIENZA DI
INCONTRO
GENERARE E’ UN’ESPERIENZA ESISTENZIALE, poiché non si genera se non si è fecondi e la
fecondità, non solo biologica, scaturisce sempre da una relazione tra sé ed un altro, ne consegue che non si è
mai generativi da soli. Da sé soli, la fecondità è solo in potenza, e, se rimane tale, è destinata a non
realizzarsi.
È necessaria l’esperienza di un incontro. La generatività è frutto di COM-PRENSIONE, cioè dell’essere
presi insieme, con la realtà: più questa com-prensione è profonda e più è anche feconda perché più spinge
all’azione, cioè al rendere visibile, mediante l’atto generativo, chi si è realmente.
Se non si lascia fluire l’azione generativa: INFECONDITA’, STAGNAZIONE, NEGAZIONE DI SE’.

I SIGNIFICATI ESISTENZIALI, VISIBILI NEI COMPORTAMENTI


ADULTI
LA PERSONA ADULTA REALIZZATA SI MANIFESTA ATTRAVERSO I SUOI COMPORTAMENTI

Attraverso i propri comportamenti è dominante l’aspetto dell’azione concreta. MASLOW esponente della
corrente della psicologia umanistica, elabora una visione complessiva dei modi di pensare e di agire di un
soggetto adulto che dimostri di essere pienamente autorealizzato e quindi non condizionato da patologie
psicologiche particolarmente gravi.
Si possono raggruppare in quattro gruppi:
VEDI PAGINA 102-103
ULTERIORI CARATTERISTICHE DELLA PERSONA SANA:
- Capacità di cogliere i problemi e di concentrarsi su di essi: la persona sana è problemacentrica, è
consapevole cioè di avere dei compiti da svolgere e questi compiti li mette al centro della propria
vita, sentendosi direttamente responsabile verso di essi
- Capacità di distinguere bene/male, fine/mezzi: non mostra una cronica incertezza nelle scelte.
- La capacità di sorridere dell’uomo in generale, sa guardare con umorismo
Atteggiamenti soggettivi, a conferma o a disconfermo della realizzazione di sé
Esistono atteggiamenti soggettivi.
Segni di conferma di essere di fronte ad una persona realizzata: Gusto della vita, esperienza di momenti di
felicità, serenità e gioia, la presenza di una fiducia di fondo nella propria capacità di affrontare le difficoltà.
Segni soggettivi di tradimento: angoscia, disperazione, fastidio, incapacità di gioire, il senso di vuoto,
inutilità, senso di colpa intrinseca, vivere in base al timore di perdere qualcosa.

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PREGI E DIFETTI PRESENTI ANCHE NELLE PERSONE ADULTE REALIZZATE

Maslow mostra che anche queste persone hanno i loro difetti, e oltre a questi, proprio la loro forte personalità
può tradursi in alcuni casi in un fattore peggiorativo.
Le persone che si autorealizzano sono pochissime rispetto all’insieme della popolazione. Le persone che si
autorealizzano hanno rapporti particolarmente profondi con poche persone. Il loro circolo di amici è piccolo.
Questo dipende in parte dal fatto che sembra che ci voglia molto tempo per divenire intimo di uno che si
trova in una tale autorealizzazione. Amano o piuttosto compatiscono tutta l’umanità
Essi possono essere anche cocciuti, noiosi, irritanti, vanitosi talvolta, con una predilezione per le proprie
produzioni, famiglie, amici, figli. Possono diventare persone mentalmente assenti, non sono immuni da senso
di colpa, ansie, autopunizione, lotte interne.
I CONTINUUM ESPERENZIALI, CIOE’ I COSTRUTTI CHE SONO PROPRI DELL’ETA’ ADULTA

LA MATURAZIONE DEI CONTINUUM ESPERIENZIALI: CONSEGUENZA DELLA RELAZIONE


CON LA REALTA’
Presenza di alcuni continuum esperienziali che Duccio Demetrio presentava come caratterizzanti l’età adulta.
Si tratta di costrutti, cioè schemi mentali, nati dall’esperienza, attraverso cui il soggetto si costruisce
mentalmente una certa immagine della realtà attraverso la quale il soggetto si rapporta alla realtà concreta.
In tal modo è possibile definire a) sia il significato della realtà b) sia il comportamento del soggetto che
agisce, in quanto il suo comportamento è condizionato dal punto di vista da cui il soggetto osserva la realtà e
dall’interpretazione del suo significato, che ne segue.
La conoscenza umana è sempre attiva.
Si formano le strutture operative profonde dell’agire adulto.
- La riconoscibilità di sé: pratica della riflessione, riconoscersi, riflettendo su sé stessi
- La lucidità: pratica della leggerezza, l’adulto continua a giocare, come faceva nelle età precedenti,
ma lo fa in modi e contesti diversi. L’adulto lavorando e non solo, continua a mettere alla prova la
sua capacità di affrontare quella stessa vita. Il gioco non ha un fine esterno a sé, in fondo anche il
lavoro, la vita familiare, sociale sono fine a se stesse, ma nel contempo si aprono, ciascuna a suo
modo, ad un significato ulteriore.
- L’avventura: pratica della sfida. Vive sempre la ricerca di una situazione nuova e sempre
problematica con cui confrontarsi. La pratica della sfida esige apprendimento, dotarsi di tutti gli
strumenti conoscitivi, comunicativi e operativi per intervenire in modo competente, la dove ci si
trova a vivere.
- La magistralità: pratica riproduttiva. L’adulto avverte il bisogno di comunicare la propria esperienza,
di insegnare ad altri. Il carattere relazionale si concretizza nell’essere generativi.
- La decisionalità: pratica della scelta. Si entra nella vita adulta sulla base della assunzione delle scelte
- La reciprocazione: pratica dello scambio. La vita sociale è la sede in cui l’adultità si mette alla prova
e si sviluppa

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- La proiettività: pratica del futuro. La capacità di progettare testimonia l’emergere di una disponibilità
al cambiamento e al nuovo. Capacità di sopportare sofferenza e dolore e assumere il negativo.

6. LA DIMENSIONE RIFLESSIVA AL
CENTRO DELLA VITA ADULTA
IL BISOGNO DI TORNARE A RIFLETTERE SU SÉ STESSI

TERZA FASE DELL’ETA’ ADULTA


COSA ACCADE AD UN CERTO PUNTO NELLA VITA DI UNA PERSONA ADULTA?
Smarrimento esistenziale.
Maggiore smarrimento quando percepisce consapevolmente di essere arrivato alla meta, cioè di aver
raggiunto gli obiettivi personali professionali e sociali.
Percezione di una spaccatura tra sé e sé, ossia tra la parte di sé (visibile) che avverte invece un vuoto, la
mancanza di qualcos’altro, che proprio in quel momento si esplica con maggiore chiarezza.
ALLA NUOVA RICERCA DELLA PROPRIA IDENTITA’ DI PERSONA ADULTA, SI AFFIANCA UN
COMPITO NUOVO
La persona adulta può iniziare a sentire che la propria identità sociale, forse non è ancora sufficiente per
essere veramente sé stessi.
Se l’adulto prende sul serio l’esperienza che sta vivendo, può percepire con chiarezza due cose:
- Se continuasse a vivere come ha imparato a fare nel corso degli ultimi anni, impegnato a realizzare
in concreto il proprio progetto, la sensazione di non essere pienamente sé stesso non potrebbe che
persistere,
- Dovrebbe riprendere in mano per intero la propria vita e chiedersi nuovamente, come aveva già fatto
da ragazzo e poi da giovane: ‘’chi sono e cosa voglio fare della mia vita?’’

L’EMERGERE DI UN NUOVO COMPITO ESISTENZIALE


Quello di differenziarsi, desiderio di reggersi solo sulle proprie gambe, assieme alla consapevolezza di
iniziare a percepire che l’identità sociale, conquistata in precedenza non appare più come il punto d’arrivo
desiderato, ma come un’altra fase di passaggio. Esigenza di tornare a guardare sé stessi, la distanza forse più
difficile da individuare e superare, quella separa il proprio sé da sé stesso.
Ciò che deve essere sacrificato è l’immagine di sé interamente modellata sulle attese degli altri e della
società.
DEVE DIVENTARE VERAMENTE SE’ STESSO
Il compito auto realizzativo della persona adulta trova forse la sua risposta definitiva nella ricerca del senso
del proprio esistere, e dunque della propria identità: ‘’io chi sono veramente?’’
L’adulto che rivive di nuovo l’esperienza di ricerca della propria identità e del senso del proprio esistere, è
pensabile come l’adulto che ha raggiunto la sua dimensione propriamente esistenziale.
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APPARE UNA NUOVA FASE DI TRANSIZIONE, DALLA PRIMA ALLA SECONDA ETA’ ADULTA
Interruzione del precedente periodo di stabilità e l’avvio della successiva fase di transizione per coglierne
l’attualità.
Per la maggior parte degli uomini questo è un periodo di grande lotta entro il sé e con il mondo esterno. Per
loro la transizione della metà della vita è un tempo di crisi, moderata o anche grave. Mettono in questione
quasi ogni aspetti della loro vita e sentono di non poter andare avanti come prima. Avranno bisogno di molti
anni per delineare un nuovo percorso o modificare quello vecchio. Per creare una struttura di vita devo fare
delle scelte, dedicandomi ad una struttura, cerco per un certo arco di tempo di arricchire in essa la mia vita,
di realizzarne le potenzialità e di tollerarne i costi. Le parti trascurate del sé cercano urgentemente
espressione e stimolano la modificazione della struttura stessa.

UNA DUPLICE RIFLESSIONE, COME RISPOSTA A UN PROFONDO CAMBIAMENTO IN ATTO

IL NUOVO BARICENTRO DELLA VITA ADULTA È DATO NON DALL’AZIONE, MA DALLA


RIFLESSIONE
Immagine della spaccatura. Più profonda è la frattura e più profonda deve essere la riflessione. Da qui
l’affermarsi, quasi inevitabile in questa fase, che il baricentro della vita adulta si sposti dalla dimensione
dell’azione a quella della riflessione.
Volgere indietro, tornare indietro, rivolgersi, ripiegare, ma qualcosa che è depositato nella memoria.
Riflettere è sempre un volgersi indietro. Si riflette perché si desidera comprendere il significato di ciò che si
è fatto, o detto, o anche solo progettato di fare. La comprensione di ciò su cui si è riflettuto, si manifesta poi
in ciò che ne consegue. La riflessione è una forma di conoscenza che non riguarda tanto ciò che si fa, ma
riguarda il modo in cui, in un tempo recente o passato, si era deciso di pensare o di fare determinate cose.

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