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PONTIFICIO ATENEO SANT’ANSELMO FACOLTÁ DI TEOLOGIA

La vita comunitaria
nella Regola di San Benedetto

Elaborato finale
Corso: 54143

La vita di San Benedetto, modello per la vita spirituale contemporanea.


Testo e interpretazioni
Docente: Wilde Mauritius

. Studente:
Oliveira Silva, Cleusiomar.
Matricola
12441.

ROMA
Anno Accademico 2023
INDICE

1. INTRODUZIONE........................................................................................................2
2. Profilo di San Benedetto..........................................................................................3
3. Sfide della vita comunitaria.....................................................................................4
4. La vita in comune.....................................................................................................5
5. Amore e relazione comunitaria : la sapienza di Benedetto..................................7
6. Lineamenti spirituali di vita comunitaria benedettina...........................................7
7. La fraternità nella comunione monastica...............................................................9
8. CONCLUSIONE......................................................................................................10
9. BIBLIOGRAFIA........................................................................................................11

1
Introduzione
La vita monastica nella RB si situa nella dialettica fra solitudine e comunità, fra
perfezione dell'individuo e perfezione della comunità, ma i suoi elementi essenziali
rimangono gli stessi del deserto:
1. I cristiani, che si sottomettono a una guida spirituale o ad un abate,
2. il raggrupparsi in comunità,
3. il praticare un programma o una dottrina spirituale che li guiderà
alla «perfezione della vita» (73,2).
L'Autore della Regola unisce un gruppo di uomini nel voto di stabilità intorno a un bene
comune, a un luogo e ad attività comuni, creando un tipo di comunità definita come
comunità permanente.
Nessuna regola è così esplicita nel delimitare il luogo in cui si trova la comunità
permanente: 66,67; 46.1; 7.63. La comunità ha uno spazio vitale in cui si svolgono tutti i
suoi eventi. Molto più importante dell’unità di luogo è l’unità tra le persone. Il monastero è
concepito come comunità di salvezza. Se la punizione più grande è l’esserne esclusi, la
gioia è di essere accettati nella comunità, che è come essere accolti nella salvezza.
Gli atti principali che uniscono questa comunità e la mantengono cosciente di sé sono:
 la preghiera (8-18);
 il lavoro (48);
 la lectio divina (48,1; 48,17-20);
 le riunioni consiliari (3);
 i pasti;
 il riposo.
 Anche gli assenti mantengono i legami con la comunità (50 e 51).
Mentre la Regola del maestro considera nel monastero solo i rapporti verticali (abate-
monaco), san Benedetto, senza minimizzare questa relazione, evidenzia le relazioni
orizzontali. Il capitolo 7 dedicato all'Umiltà (dal RM) ripercorre le tappe spirituali del monaco
solitario. Nei capitoli finali della Regola di San Benedetto, l'ascesi individuale accoglie un
nuovo elemento santificante: i rapporti fraterni. La spiritualità cenobitica tende a stimolare le
energie di tutti attraverso misure di vita comunitaria per creare un clima di fervore, in cui
risaltano valori come
cortesia speciale, obbedienza reciproca, discrezione, pazienza, ecc.

2
Per Benedetto, tutto ciò si ispira all’immagine di Dio che è divina Comunione,
circolarità di relazioni. L’uomo di fede matura la sua fisionomia attraverso il gioco, doloroso
e bello, delle relazioni.
La vita comune significa prima di tutto comunione dei cuori. Questo richiede un certo
rispetto reciproco, una fraternità molto attenta, dove "i giovani onorano i più anziani e gli
anziani amano i più giovani e nello stesso chiamarsi per nome, nessuno si permette di
chiamare l'altro col semplice suo nome" (RB 63,10).

Profilo di San Benedetto

La Regola e i Dialoghi ci presentano un San Benedetto profondamente umano.


Come racconta il suo biografo Gregorio Magno, virtù umane e soprannaturali convivono
nel Santo sempre in intima e stretta unione.
Lo stile di san Benedetto è calmo e sereno, rispettoso, si snoda come un discorso
familiare fin dalle prime parole: "Ascolta, o figlio... accogli volentieri i consigli di un padre
affettuoso che ti vuole bene e mettili in pratica con fedeltà” (Prol.1).
San Benedetto riuscì a unire le grandi caratteristiche monastiche di coloro che lo
hanno preceduto. Con i grandi anacoreti del deserto (come Antonio, Mosé Etíope e
Pambo) apprese il valore del silenzio, della solitudine e della preghiera costante; con i
primi cenobiti (Pacomio e la sua koinonia) imparò a vedere la prima comunità di
Gerusalemme come l'esempio fondamentale di convivenza tra i cristiani; con Basilio
Magno apprende la comunione carismatica, cioè l'immagine paolina del Corpo di Cristo,
in cui ciascuno è prezioso per la dinamica del monastero.
San Benedetto, uomo di Dio dal volto sereno, dalla vita venerabile e dalle abitudini
angeliche, era anche allo stesso tempo una figura forte e mite, austera e gentile, che
irradiava intorno a sé luce e calore. Sant'uomo, difensore della verità e dell'ordine, della
coerenza e dell'impegno radicale, è soprattutto l'uomo che dà alla sua vita un unico
orientamento, un unico scopo: la ricerca di Dio, del suo Regno, della sua gloria.
San Gregorio Magno, nel secondo libro dei Dialoghi (II,3.4), delinea il suo volto
sereno, con un atteggiamento serio e perfino maestoso, segno di un animo mite e
tranquillo, volto di un uomo che sa stabilire un rapporto armonioso con tutti e con tutto,
perché lui stesso è internamente unificato.
San Benedetto ama l'autorità, aspetto dominante in ogni pagina della biografia di

3
San Gregorio. Benedetto anche in questo è uomo di grande equilibrio: la vita monastica
nella sua impostazione deve avere due autorità: l’Abate (RB2,1- 10) e la Regola (RB
37, 1-3), due pilastri che si sostengono l’un l’altro.
La sua figura, delineata soprattutto nel II capitolo della Regola, dedicato alla
persona dell’Abate, mostra un profilo di spirituale bellezza1 e di elegante impegno, e
indica l’autorevolezza di Benedetto, poiché – come scrive Gregorio Magno – “il Santo
non poté in alcun modo insegnare diversamente da come visse».
San Benedetto ha vissuto momenti in cui ha sopportato e superato le tentazioni: la
tentazione dell'autosufficienza e il desiderio di mettere se stesso al centro; la tentazione
della sensualità e la tentazione della rabbia e della vendetta. Benedetto infatti era
convinto che, solo dopo aver superato queste tentazioni, avrebbe potuto dire agli altri
una parola utile nelle situazioni di bisogno. Con la sua anima pacificata, fu in grado di
controllare completamente i suoi istinti interiori per essere un creatore di pace intorno a
sé.

Sfide della vita comunitária


La comunità monastica è fatta di persone molto concrete, sottoposte a prove di ogni
tipo, persone che devono essere addestrate a remare contro la corrente della “mondanità”,
una minaccia costante. Ma la fede e lo zelo condurranno le persone fragili a Dio e alla vita
eterna, purché nulla venga prima dell’amore di Cristo, pietra angolare della costruzione di
questa scuola di servizio al Signore.
Vivere in comunità è il nostro modo di stare al mondo ed è un dono. Sappiamo anche
che ciò che siamo lo dobbiamo in gran parte agli altri. Minacce, rischi, sfide mettono a
rischio l’esperienza quotidiana dei valori evangelici. Proviamo a rilevare queste minacce,
questi rischi e queste sfide, a identificarli. Nascono nel cuore umano, dal desiderio di
potere, di avere, da desideri disordinati, più viscerali, meno visibili. Sono come “bestie
selvagge”! Bestie da smascherare2, soprattutto quando le chiamiamo per nome. Queste
bestie possono agire in una comunità, minacciando la Buona Notizia, minando
l'accettazione della propria fragilità, il senso di appartenenza a una comunità umana, la
solidarietà con gli altri, con i nostri simili, compromettendo la fede nel Dio della vita, che è
ciò che cerchiamo nel monastero.

1
L’Abate, nel monastero, tiene “le veci di Cristo” (2,2; 63,13).
2
BENEDETTO e la vita monastica. La vita in comune. P.42

4
La vita monastica, nella visione di Benedetto, non consiste in un insieme di norme e
ruoli, ma in un modo di camminare nella vita; e di tale itinerario la Regola vuole fornire
alcuni orientamenti fondamentali.
«Si vede, dalla struttura della Regola, che è sul modello familiare che san Benedetto
vuole costruire la sua “scuola di servizio al Signore” (RB Pról. 45). I rapporti tra l'Abate e i
fratelli, e i rapporti reciproci tra i fratelli stessi, l’autorità e l’obbedienza, la sottomissione e i
diritti della ragione: tutto è moderato con un equilibrio cristiano, che fa della Regola di san
Benedetto un'opera-prima di inestimabile valore, una testimonianza che costituisce il
fondamento della vita personale e comunitaria, guidando il monaco verso l’ideale che
unisce la comunità monastica”. Tutto ciò è molto valido anche da un punto di vista
antropologico (RB 1,2). C’è una forza umanizzante insita nella sfida di vivere 24 ore su 24
stabilmente e fedelmente, in nome della ricerca di Dio. Ma soprattutto si afferma il primato
del punto di vista cristologico: il rimando è alle origini della Chiesa, all’indomani della
Risurrezione, quando «quelli che credevano stavano insieme». San Benedetto pone la
comunità come ambito della ricerca di Dio. A imitazione della comunità dei primi apostoli, è
dentro di sé che il monaco seguirà l'esempio di Cristo.
Ecco perchè la Regola non è da concepirsi come un manuale per la contemplazione
ma come un documento pratico, nel senso che vuole dare strumenti utili da applicare in una
comunità concreta. Inoltre, come si è detto, il monaco non è mai considerato da Benedetto
in un cammino di progresso spirituale solitario, ma sempre in un percorso da vivere nella
compagnia di fratelli: sempre in rapporto con l’altro per convertirsi al Vangelo, percorrendo
la via difficile della libertà che sorge dal vivere in relazione fondante con il mistero di Dio
presente in tutto l’umano.
Per facilitare l’impegno, la comunità deve avere una buona comprensione del vero
posto occupato dalla disciplina e dalle regole che governano la vita comunitaria. La
correzione fraterna è necessaria e salutare, purché questo diritto sia esercitato con
gentilezza e conduca alla riconciliazione e al perdono.

La vita in comune
San Benedetto introduce il tema della vita comunitària nel cap.1,2 : « il primo tipo di
monaci » è quello dei cenobiti, coloro che vivono in monastero e obbedisconono a una
Regola e a un abate. Benedetto continua al versetto 13 : « ...veniamo dunque, con l’aiuto
di Dio a disciplinare la fortissima stirpe dei cenobiti> ». Anche quando Benedetto si rivolge
a ogni monaco individualmente, lo fa sempre nel contesto della comunità.
5
La vita comunitària costituisce il dato fondamentale della vita cenobitica. La vita
comunitaria è anzitutto una garanzia reciproca del fatto che ogni monaco sarà sostenuto
dalla presenza e dall’assistenza spirituale dei fratelli nell’ardua lotta che dovrà condurre non
solamente contro il nemico, ma anche contro se stesso e contro tutto ciò che potrebbe
mascherare la sua vita3. La comunità permette di esercitare costantemente virtù
indispensabili come la carità e la reciproca obbedienza. L’obbedienza è uno strumento
fondamentale per rendersi partecipi della Passione redentrice e per avvicinarsi
all'imitazione di Cristo.
La comunità per Benedetto è un corpo a cui ogni monaco appartiene liberamente,
accettando di vivere la vita monastica secondo la Regola. È un gruppo di persone che,
vivendo sotto un’unica paternità (quella di Cristo, rappresentata dall’abate), ha come legge
la fraternità.
È questa la grande intuizione che presiede alla forma di vita cenobitica: la modalità
delle relazioni, non basate su affinità elettive ma sulla ricerca di fede nell’umile amore, è il
luogo teologico principale del monastero. Lì principalmente Dio è presente e parla, chiama,
genera l’uomo nuovo, che nasce dal rivestire i sentimenti di Cristo. E la vita fraterna (RB
7,13.23) intessuta di lavoro, cura del debole e ospitalità, è un costante sacramento non
rituale della Presenza Divina .
La realizzazione del progetto di vita comunitaria, inoltre, per Benedetto richiede la
stabilità: occorre essere stabili nella permanenza nella famiglia monastica per poter usare
con profitto gli strumenti dell’arte spirituale, che vengono affidati al monaco. Ed è tanta
l’importanza che Benedetto attribuisce alla stabilità, che ne fa il primo elemento della
promessa che il monaco esprime nella sua professione (RB 58,17). Lo scopo è di rendere
reale ed efficace il cammino di conversione che il monaco intraprende. Solo se si decide
una stabilità in una data comunità, cioè in un ambito relazionale determinato, si cambia
realmente: ogni membro ha bisogno, infatti, della comunità affinchè tutti i valori e le virtù
possano essere reali e non immaginari.
E la comunità verifica tutto, rende vero e reale tutto; il monaco è quello che è in
comunità, non quello che appare fuori di essa o nell’idea che si fa di se stesso! Perchè il
vero problema è di accettare di cambiare se stessi, di progredire, di convertirsi sempre di
più ad una vita più donata, più libera da sé.

L’amore e la relazione comunitària : la sapienza di Benedetto


3
BENEDETTO E LA VITA MONASTICA, P.41

6
Dall’inizio, la chiamata alla vita monastica si esprime come chiamata all’amore, alla
vita, alle relazioni.
San Benedetto propone una nuova società con un nuovo modello di relazioni, uno stile
di vita, una ricerca di Dio e un servizio al prossimo caratterizzati soprattutto dall’amore.
L’amore è quello che il capítolo dedicato allo zelo buono (RB.72) esprime in una triade di
mutue relazioni di amore :
 Amore di Dio (RB72,9) ;
 Amore reciproco nella comunità (RB 72,4);
 Amore per l’abate (RB72,10)
Il cap. 4,1-2 tratta dell’importanza che Benedetto conferisce alla dimensione
comunitaria della persona umana, che trova la sua espressione nella vita cenobitica,
privilegiando la carità fraterna come cammino per raggiungere Dio.
Il capitolo sullo “zelo buono” (RB 72) innalza una nuova scala di Giacobbe, i cui gradini
indissolubilmente formati di umiltà e di carità, uniscono in una stessa corrente d’amore i
fratelli, l’abate, il Cristo e Dio, che è raggiunto da tutti, senza distinzioni, nella comunità.

Lineamenti spirituali di vita comunitaria benedettina

La vita monastica si vive nella comunità, scuola in cui il monaco impara a servire il
Signore, a nulla anteporre al suo amore (RB 72), per correre con cuore libero e ardente
nella via dei suoi precetti (RB Prologo 49). La sua ricerca di Dio passa attraverso la vita
comune: infatti l’umiltà, l’obbedienza, il silenzio, valori che ritroviamo in ogni forma di vita
religiosa, in ogni ricerca spirituale, il monaco benedettino è chiamato a viverli con i suoi
fratelli e nella sua comunità.
Alcuni dei principali lineamenti spirituali della vita comunitaria benedettina sono i seguenti:
 Ora et labora: Il cenobitismo, cioè Benedetto, prevede per la vita comunitaria un
tempo per la preghiera e uno per il lavoro e lo studio. Il lavoro manuale, come
l'agricoltura o la produzione di beni, è considerato parte integrante della vita
monastica e contribuisce al sostentamento della comunità. La preghiera è un
elemento centrale della vita monastica benedettina. La comunità si riunisce per
celebrare liturgie regolari e la preghiera comune contribuisce a rafforzare il legame
fraterno e la vita spirituale. È il respiro della preghiera liturgica, che ogni giorno una
comunità monastica vive. Nella Regola di san Benedetto la preghiera, in specie

7
quella liturgica, viene definita opus Dei, opera di Dio. Un’opera alla quale, come
specifica il capitolo 43, il monaco nulla deve anteporre. Un’espressione simile
Benedetto la usa per ricordare, in altri due passi della Regola, che nulla deve essere
anteposto all’amore di Cristo (4,21 e 72,11).
 Stabilitas: I monaci benedettini si impegnano a stabilirsi in un monastero specifico
per tutta la vita. Questo vincolo favorisce un senso profondo di comunità e di
radicamento spirituale in un luogo specifico.
San Benedetto riconosce un legame molto stretto tra stabilitas e comunità. La vita
monastica non va intesa nel senso di un'obbedienza «in cui gli altri sono lo sfondo, il
contesto e la condizione che mi permette di compiere alcuni precetti e doveri» 4 e che,
quindi, finalizza gli altri a sé. Al contrario, nella vita monastica «l'altro non è uno
strumento per me, ma un dono che mi arricchisce», perché «mi cambia, porta un
cambiamento in chi sono, cosa penso, cosa vivo e cosa amo. L'altro allora entra in me,
mi trasforma dal di dentro e, così facendo, diventa parte di me».
Cosi la comunità diventa un vero “corpo”. Allora la stabilitas diventa veramente
stabilità nella comunità, nel senso di stabilità nell'alleanza fraterna. Ciò significa vedere
la vita monastica come una vita di comunione, nella quale gli altri fanno parte della
stessa vocazione.
 Obbedienza (RB 5): La Regola di San Benedetto enfatizza l'obbedienza come virtù
fondamentale. I monaci sono chiamati a obbedire al loro abate, che agisce come
guida spirituale e rappresentante di Cristo nella comunità monastica. L'obbedienza è
vista come un modo per crescere spiritualmente e per mantenere l'unità nella
comunità.
 Povertà di vita: La vita benedettina è caratterizzata dalla semplicità e dalla povertà.
I monaci rinunciano all'accumulo dei beni materiali e si dedicano a vivere con
sobrietà, condividendo ciò di cui hanno bisogno con i membri della comunità.
 Equità e Cura: La Regola di San Benedetto esorta i monaci a trattarsi
reciprocamente (RB 72) con equità e a prendersi cura l'un l'altro. La fraternità implica
la responsabilità reciproca e la condivisione delle gioie e dei pesi della vita
monastica. Nel fervore dello "zelo buono" si attua la piena fraternità.
 Silenzio e Parola Misurata5: La Regola incoraggia il silenzio, ma anche la parola
misurata. La comunicazione deve essere costruttiva e finalizzata al bene della
4
L’arte della vita comune, Qiqajon, Magnano 2017, 110.
5
(RB 5)

8
comunità. Il silenzio è un modo per coltivare la riflessione interiore e la comunione
con Dio.
 L’ospitalità: I monasteri benedettini sono tradizionalmente luoghi aperti all'ospitalità.
Accolgono gli ospiti con gentilezza e offrono loro rifugio e sostentamento.
Questi sono solo alcuni dei principi fondamentali della vita comunitaria benedettina.
La Regola di San Benedetto fornisce un quadro più ampio per la vita comunitaria
quotidiana.

La fraternità nella comunione monastica


La vita monastica benedettina, fortemente segnata da un’impronta fraterna e
comunitaria, ha la sua origine in Dio. Il monaco è chiamato a una vita di obbedienza, di
povertà e di stabilità nel monastero. Nella comunità monastica la vita fraterna è considerata
una famiglia spirituale, e i monaci sono chiamati a vivere insieme in armonia e amore
fraterno. Il termine "fraterno" indica la relazione fraterna e la solidarietà tra i membri della
comunità.
Nella Verbi Sponsa si afferma che i monasteri sono un’ottima scuola di vita fraterna.
Da come vanno i rapporti fraterni possiamo capire come va il rapporto con Dio. Non è tanto
il rapporto personale con Dio, che indica la bontà di questo rapporto, quanto il rapporto tra
fratelli/sorelle.
La vita fraterna in comunità, che non si fonda su un appiattimento omogeneizzante
delle differenze né sull'esclusione del diverso, ma che, esaltando l'unicità di ogni persona,
riconosce e ama ogni diversità, mostra come la convivenza senza conflitti tra persone
diverse sia possibile perché riflesso della grazia di Dio Trinità d'Amore.
Attesta quindi la verità sull'uomo, evidenziando che l'uomo si realizza solo quando si
realizza come comunione d'amore.
La vita fraterna è il luogo teologico e spirituale in cui si vive, si sperimenta la presenza
di Dio. Dalla vita fraterna si genera la presenza di Gesù in mezzo a noi. Gesù “rinasce”
nelle nostre comunità: è incarnazione di Cristo lì dove già esiste la Parola, l’Eucaristia,
l’autorità.
La comunità si costruisce a partire dalla preghiera in comune e personale, dalla
liturgia, specialmente dall’eucarestia e dagli altri sacramenti, in particolare dal sacramento
della riconciliazione. San Benedetto nella sua regola, pone l’esigenza di un’attenzione
continua a Dio nell’ascolto della sua Parola, nella lectio divina e nel lavoro trasformato in
preghiera perchè non c’è unità nella fraternità senza preghiera. La vita comunitaria ci
9
ricorda che al centro di ogni ricerca di unità vi è innanzitutto la conversione del cuore.
Inoltre occorre che ci sia un dialogo autentico, cioè il desiderio d’incontrare l’altro nella
verità, senza pregiudizi, cercando un punto d’incontro vero delle diversità.
E da ultimo ma certo non per importanza, è necessaria la maturazione della persona.
Una comunità è per la persona. Non è fine a sé stessa: «La comunità diventa anche luogo
di crescita umana» (VFC 35). In questo modo, la comunità diviene anche «il luogo ove
avviene il quotidiano paziente passaggio dall’io al noi» (VFC 37), e autoconcependosi
sempre in termini di sviluppo, nella prospettiva piena di speranza verso una formazione
permanente, diventa quindi «la sede naturale del processo di crescita di tutti, dove ognuno
è responsabile della crescita dell’altro» (VFC43).
In questo modo è delineata la natura del consacrato, che è chiamato per vocazione
all’incontro con quel Dio d’amore che lo ha attratto a sé e che lo dona ai fratelli per
realizzare l’inizio della comunione con Lui nella vita eterna.

CONCLUSIONE

San Benedetto era una persona moderata e discreta. Non cerca di creare
‘supermonaci’, ma conduce tutti a vivere una vita evangelica. Crede che la vita comunitaria
sia la più adatta alla maggioranza delle persone. Non è riservata ad una élite privilegiata,
ma è quella più adatta alle più diverse tipologie di persone, poiché la comunità insegna,
sostiene, incoraggia, corregge... Convivere con gli altri significa anche rinunciare a crearsi
la propria legge, mettere da parte se stessi e cercare un sé comunitario più vicino alla
rivelazione del Dio-Trinità.
Mi sembra che il giusto punto di partenza per capire il senso del fare comunità non sia
né l’individuo con i suoi bisogni, né la comunità con i suoi ruoli, bensì i valori evangelici che
contano e che la comunità deve aiutare a conoscere pienamente e ad accogliere
liberamente.
L’obiettivo è quello di orientare il singolo alla capacità di vivere questi valori non solo e
non tanto perchè il gruppo li contiene e permette di metterli in pratica, ma perché possa
affermarsi una adesione libera e personale ad essi. Per questo la comunità è matrice
d’identità, aiutando le persone a sapere chi sono e quali sono gli scopi verso cui tendere. È
anche luogo di trascendenza: il suo scopo, infatti, non è solo lo stare insieme, ma stare
insieme per approfondire l’impegno vocazionale a costruire il regno di Dio. Infatti noi

10
facciamo comunità non primariamente per soddisfare le nostre necessità e i nostri bisogni
affettivi ma per imparare a trascenderci e donarci per il Regno.
Si comprende chiaramente, allora, che la comunità vive una formazione permanente
costituita da una medesima liturgia, da un regolare ascolto della Scrittura, da un continuo
lasciarsi interrogare dagli eventi ed è proprio in questo medesimo solco di vita che si profila
un comune cammino di ricerca di senso e di verità, all’interno del quale ogni monaco
cresce e matura al fine di abbracciare con consapevolezza la strada del martirio.
L’attenzione posta ai dialoghi, comunitari e personali, mi sembra che voglia andare
verso questa direzione: ricercare vari modi affinchè la comunità possa crescere insieme ed
insieme lodare Dio. Questa mi sembra l’icona più bella della famosa conversatio morum
(RB 58,17) presentata e vissuta come vita quotidiana del monaco, continuamente messa
alla prova nella comunità. La comunità fraterna per San Benedetto, è fondata su principi
spirituali e pratiche quotidiane che mirano a creare un ambiente di crescita spirituale, di
disciplina e di amore reciproco tra i membri della comunità monastica.

BIBLIOGRAFIA
NESMY, Dom Claude j. Benedetto e la vita monastica. Collana di spiritualità a cura della
Comunità di Bose, 11.
La Bibbia di Gerusalemme. Edizioni Dehoniane, Bologna, 2009.

Lumen gentium. Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Concilio Vaticano II.

Regola di S. Benedetto. CONGREGAZIONE SILVESTRINA. O.S.B., Dichiarazione –


Costituzioni – Direttorio – documento formazione, Fabriano 1990.

Salvatore PRICOCO (a cura di), La regola di san Benedetto e le regole dei padri, Arnoldo
Mondadori Editore, Milano 1995.

Vita consecrata. Esortazione Apostolica post-sinodale […] circa la vita consacrata e la sua
missione nella Chiesa e nel mondo, Giovanni Paolo II, 25 marzo 1996.

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