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Affreschi di Castelseprio

Gli affreschi di Castelseprio sono un ciclo di pitture, variamente datate tra il VI e il X secolo, presenti
nella chiesa di Santa Maria Foris Portas a Castelseprio, opera di un pittore anonimo indicato come Maestro
di Castelseprio, un artista probabilmente bizantino, che lavorò per una committenza greca, longobarda,
carolingia oppure milanese. Il ciclo rappresenta scene dell'infanzia di Cristo ispirate, sembrerebbe,
soprattutto ai Vangeli apocrifi. Fa parte del sito seriale "Longobardi in Italia: i luoghi del potere",
comprendente sette luoghi densi di testimonianze architettoniche, pittoriche e scultoree dell'arte
longobarda, iscritto alla Lista dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO nel giugno 2011.

Indice

Nel 1944, nell'antica chiesa di Santa Maria foris portas, al di sotto di altri affreschi risalenti al XV e XVI
secolo, furono scoperti da Gian Piero Bognetti degli affreschi risalenti al periodo altomedievale. Sia per il
soggetto che per l'iconografia questi affreschi apparvero subito lontani da ogni confronto con altre
testimonianze coeve, un caso unico nel panorama della storia dell'arte italiana: la naturalezza delle forme e
un certo legame con la pittura romana antica li distinguono da tutte le altre pitture altomedievali. I soggetti
rappresentati, le Storie dell'infanzia di Cristo, provengono indubbiamente dalla lettura di Vangeli apocrifi, in
particolare il Vangelo di Giacomo, diffusi nella cultura greco ortodossa; ma ciò che stupisce è la tecnica con
la quale sono stati dipinti questi affreschi, cioè una sorta di disegno prospettico, tecnica che in Occidente si
era perduta.

La qualità delle pitture, attribuite genericamente al cosiddetto "Maestro di Castelseprio", è molto alta, con
una narrazione fluida che ricorda i rotoli illustrati tardo-antichi, la capacità di creare uno spazio
realisticamente tridimensionale, il tratto espressivo, le pose, i gesti e le espressioni dei volti eloquenti. La
tecnica pittorica è sapiente, con pennellate decise, velature che danno una luminosità diffusa, ombre ben
definite e lumeggiature pastose.

Gli affreschi risalgono in ogni caso a prima della metà del X secolo, per via di un'iscrizione, graffita al di
sopra della superficie pittorica, che ricorda Arderico, arcivescovo di Milano eletto nel 936 e morto nel 948.
Grazie a complessi esami fisici e chimici, era stato possibile datare l'erezione originaria della chiesetta al IV
secolo, ma successivamente la termoluminescenza ha datato i mattoni dell'abside agli anni attorno all'830.

Datazione

Sulla datazione degli affreschi vi fu un aspro dibattito che ebbe una certa eco anche a livello internazionale,
fra studiosi di diverse accademie; questo conflitto fu messo in luce dal bizantinista parigino Paul Lemerle[1],
quando un articolo di Kurt Weitzmann, pubblicato in Italia nel 1950[2], anticipava le conclusioni tratte da una
sua monografia sugli affreschi che sarà pubblicata nel 1951[3], che spostava la realizzazione del ciclo di
Castelseprio alla metà del X secolo e indicava l'autore in uno dei pittori all'opera nelle miniature dei
manoscritti classicheggianti quali il Rotulo di Giosué ed il Salterio di Parigi, di quel periodo
dell'arte bizantina che nominò Rinascenza macedone[4].

Gian Piero Bognetti, che collocava l'autore, pittore orientale di altro rango, nella seconda metà del VII
secolo[5], rifiutò la proposta del Weitzmann nello stesso fascicolo dove fu pubblicata l'anticipazione; Carlo
Cecchelli contestò la datazione in una recensione del libro[6]. Anche Pietro Toesca non accettò tale datazione
e su L'Arte ripropose la datazione al VII secolo e un pittore orientale come autore[7]. Geza De Francovich, che
propendeva anch'esso per una datazione anticipata[8], bocciò, sulla base di principio contro la metodologia
dello storico tedesco. Al contrario Edoardo Arslan, nella Storia di Milano[9], riconobbe l'autorità delle
argomentazioni e rinunciò alla sua precedente idea di una datazione al VII secolo [10].
Nel 1953 Bognetti, su Sibrium, aveva pubblicato in italiano un articolo di Viktor Lazarev, del Presidio
dell'Accademia delle scienze dell'URSS, dove l'autore voleva riportare la datazione al VI-VII secolo. Lazarev
mise in risalto la qualità dello stile classico ed attribuì l'affresco ad un maestro orientale di passaggio [11].

Tecnica

La decorazione della chiesa fu eseguita in fase di realizzazione dell'edificio, in quanto l'intonaco dipinto si
trova al di sopra di un'arricciatura sulla quale il pittore tracciò le linee essenziali della composizione [12].
Queste linee di color porpora, così come le tinte di fondo delle pitture, furono realizzate a "buon fresco",
ovvero sull'intonaco ancora fresco[13]. Per quanto riguarda, invece, lo strato superficiale delle pitture,
applicato sulla preparazione ad affresco, questo fu realizzato sull'intonaco già asciutto, e a testimoniarlo
sono delle tracce di pittura rossa colate sul primo strato di intonaco e i segni lasciati dal pennello[13].

I colori più utilizzati sono il nero carbonaceo per le ombreggiature e il bianco di calce per le lumeggiature e
alcuni elementi, come le vesti di alcuni personaggi. Dominano, inoltre, il rosso, ottenuto con ossido di ferro,
e il giallo (perossido di ferro), utilizzato puro per raffigurare gli elementi aurei o unito al nero per ottenere
tinte brune. È utilizzato anche il colore azzurro (certamente non ottenuto da lapislazzuli), spesso accostato
al bianco per dare tratti scuri alle vesti candide, o insieme al rosso per generare tinte violacee. La sinopia è
di colore rosso, realizzato sempre utilizzando ossido di ferro[14].

Apparizione dell'Angelo a Giuseppe

Il ciclo di affreschi, su due ordini, presenta l'iconografia delle Scene dell'Infanzia di Cristo: gli episodi
rappresentati si susseguono l'uno dopo l'altro senza alcuna cornice divisoria. Nell'ordine, in alto:

• Annunciazione e Visitazione (due differenti episodi inseriti nella stessa scena)

• Prova delle Acque amare (episodio raramente raffigurato, in cui si dà prova della verginità di Maria)

• Apparizione dell'Angelo a Giuseppe

• Viaggio a Betlemme[13].

Tra scena e scena, al di sopra delle finestre, sono dipinti dei medaglioni, dei quali si è conservato solo quello
centrale, con il Cristo Pantocratore[13] la cui fisionomia richiama lo stile presente nella chiesa di Santa Sofia a
Costantinopoli.

Un secondo ordine inferiore, intervallato dalle finestre, presenta:

• Adorazione dei Magi (situata sul risvolto dell'arco)

• Natività (che racchiude vari episodi: la Natività vera e propria, la Lavanda del Bimbo e l'Annuncio ai
Pastori)

• Presentazione di Gesù al Tempio


• Una scena perduta, di cui restano solo alcune tracce[13].

Gli affreschi di questa fascia sono più rovinati poiché la superficie è stata martellata nel XVI secolo per far
meglio aderire lo strato di intonaco per il nuovo ciclo di affreschi realizzato in quell'epoca.

Nella parte retrostante dell'arco trionfale si trovano due Angeli in volo con lo scettro e il globo, al di sopra
dell'arco, che guardano al medaglione centrale dell'etimasia (il trono vuoto di Cristo), al quale portano
simbolicamente i doni. Come già detto, il registro inferiore è occupato, a sinistra, dalla scena dell'Adorazione
dei Magi, mentre la scena di destra è andata perduta.

Infine, nella parte più bassa, restano le tracce di una fascia decorata con ghirlande e finte nicchie chiuse da
tendaggi ("velari") dai quali spuntano alcuni uccellini e la simbologia del Trono con il Libro chiuso.

La scelta delle scene è tutta focalizzata intorno al dogma dell'Incarnazione, tesa cioè a ribadire
la consustanzialità di Cristo, ovvero la perfetta unione tra natura umana, implicita nei soggetti della vita di
Cristo incarnato, e quella divina come nella rappresentazione del Cristo Pantocrator; il ciclo quindi appare
studiato come risposta all'arianesimo, attraverso il ricorso a episodi narrati nei vangeli apocrifi, quali
il Protovangelo di Giacomo e il Vangelo dello pseudo-Matteo.

Dal punto di vista dei contenuti simbolici il ciclo esprime quindi una visione della religione perfettamente
congruente con l'ultima fase del regno longobardo; eliminata - almeno nominalmente - la concezione di
Cristo ariana, quella messa in luce dagli affreschi di Castelseprio è specificamente cattolica.

Interessante è la tecnica compositiva, che lascia emergere una sorta di schema prospettico di diretta
ascendenza classica, oltre a un chiaro realismo nella rappresentazione di ambienti, figure umane e animali.
Il ciclo di affreschi testimonia così la permanenza, in tarda età longobarda, di elementi artistici classici
sopravvissuti all'innesto della concezione germanica dell'arte, priva di attenzione ai risvolti prospettici e
naturalistici e più concentrata sul significato simbolico delle rappresentazioni [15].

Seguono le descrizioni delle scene che non sono andate perdute.

Annunciazione e Visitazione

Annunciazione e Visitazione

Questa prima scena ritrae l'arcangelo Gabriele che appare a Maria, seduta all'aperto, su un largo seggio
coperto da un cuscino color porpora. Alle sue spalle si trova un'architettura che probabilmente rappresenta
la casa di Nazaret: in essa è visibile un alto architrave che poggia sopra una lesena che sporge dalla parete di
fondo e, anteriormente, sopra una colonna con capitello approssimativamente corinzio. Dietro si apre una
porta alta e stretta, sormontata da una finestrella, da dove sopraggiunge una figura femminile che, con aria
sbigottita, osserva l'apparizione dell'angelo. Il volto di Maria presenta tratti più profondi rispetto a quelli
dell'ancella alle sue spalle e presenta profonde occhiaie e folte sopracciglia nere, tipiche delle
popolazioni semitiche. Nella mano sinistra, portata al volto con l'indice proteso verso il mento nel gesto di
chi ascolta, tipico degli schemi greco-romani, tiene due fusi, mentre la mano destra protesa verso il basso.
Ai suoi piedi si trova un cesto di vimini, contenente un filo purpureo: tutto ciò indica che Maria, prima
dell'apparizione angelica, era intenta a filare.
Al centro della scena si trova un'idria (vaso utilizzato per contenere, generalmente, acqua). Nella parte
bassa della scena è presente una zona azzurra, che probabilmente raffigura un piccolo specchio d'acqua.
L'arcangelo Gabriele arriva da destra ed è rappresentato nell'atto di toccar terra con il piede, con ancora le
ali spiegate dopo il volo concluso. Indossa, come tradizione vuole, una veste bianca (in vestibus albis) sopra
la quale tiene un pallio (mantello in lana bianca che veniva posto sopra la tunica degli uomini di cultura
dell'antica Grecia e Roma). Nella mano sinistra tiene una lunga verga terminante con un pomo (tipica
del taxiarca, colonnello a capo di un battaglione, taxis, dell'esercito greco), mentre la mano destra è protesa
verso Maria. Ai piedi indossa un paio di sandali. Sullo sfondo, tra Maria e l'angelo, compare il tronco di un
albero sinuoso e ramificato, mentre più in basso si trova un arbusto.

Questa rappresentazione corrisponde strettamente a quanto descritto nel Protovangelo di Giacomo (XI,2),
in particolare alla seconda apparizione dell'angelo. In questo vangelo, infatti, è scritto: «[Maria] se ne andò
a casa, posò la brocca e, presa la porpora, si sedette sul suo scanno e filava. Ed ecco un angelo del Signore si
presentò dinanzi a lei, dicendo: "Non temere, Maria, perché hai trovato grazia davanti al Padrone di tutte le
cose, e concepirai per la sua parola". Ma essa, all'udire ciò rimase perplessa, pensando: "Dovrò io concepire
per opera del Signore Iddio vivente, e partorire poi come ogni donna partorisce?"».

L'altro episodio presente in questa scena è quello della Visitazione, che però è andato in parte perso. Una
particolarità che si nota immediatamente, è data dal fatto che i due episodi non sono in alcun modo
separati, ma, anzi, addirittura la verga dell'arcangelo va a nascondersi dietro la schiena di Maria (questa non
separazione dei due episodi è tipico dell'uso antico e sopravvisse solo in Cappadocia). Qui è raffigurata
Maria che si dirige verso la casa della cugina Elisabetta (che probabilmente era raffigurata nella parte destra
della scena, in quanto la casa di Elisabetta non manca quasi mai negli schemi della Visitazione; inoltre la
casa, insieme a quella di Nazareth nell'episodio precedente, avrebbe chiuso la scena come una sorta di
cornice). L'incontro delle due donne, consistente in un abbraccio, avviene dunque all'aperto, come nelle più
antiche composizioni, secondo la tradizione apocrifa, e non secondo il Vangelo secondo Luca che pone
l'incontro nella casa di Zaccaria (I,40[16]).

Prova delle Acque

Maria sottoposta alla prova delle acque amare.

Questa scena, mancante della parte sinistra, raffigura un episodio presente solo nella tradizione apocrifa: il
riconoscimento ufficiale della verginità di Maria mediante la Prova delle Acque amare. Secondo questo rito,
il marito della presunta adultera presentava in offerta al tempio una focaccia preparata senza olio e
presentata senza incenso (offerta non di devozione): il sacerdote toglieva il velo della donna accusata e le
porgeva da bere dell'acqua mista alla polvere dell'atrio del tabernacolo dove si svolgeva il rito,
pronunciando una maledizione. Si riteneva che, nel caso la donna fosse colpevole, avrebbe dovuto essere
presa da dolori atroci così da morirne o da restare sterile.

Nel caso di Santa Maria foris portas, questa scena viene prima di quella dell'apparizione angelica
a Giuseppe, ma nel Protovangelo di Giacomo, così come nel Vangelo dello pseudo-Matteo (così definito per
distinguerlo dal Vangelo secondo Matteo, riconosciuto dalla Chiesa), le due scene avvengono nell'esatto
ordine contrario.

Nella scena dell'abside della chiesa, sulla sinistra sono visibili le gambe di una figura maschile che senza
dubbio doveva essere Giuseppe. Maria è visibile quasi per intero ed è china a bere l'acqua che le viene
porta dal Sommo Sacerdote. Giuseppe è scalzo e indossa una tunica e un pallio bianchi, con riflessi azzurri.
Maria è vestita come nella scena precedente e protende la mano destra verso l'idria contenente l'acqua. La
mano sinistra è invece coperta, secondo l'uso cerimoniale antico, da un lembo della veste. Il volto della
Vergine presenta guance gonfie e flosce, con un accenno di doppio mento, che il pittore ha voluto
rappresentare per dimostrare il suo intento realistico.

Sulla figura del Sommo Sacerdote non sono presenti didascalie, quindi non vi è la certezza che si tratti
di Zaccaria. Potrebbe infatti trattarsi, secondo il testo del Protovangelo, di Simeone o Samuele, oppure
di Abiathar, secondo quanto riporta il Vangelo dello pseudo-Matteo. Confrontando però questa scena con le
successive, si nota che il sacerdote in questo caso ha l'aureola (come in altre raffigurazioni), mentre il
Simeone raffigurato nella Presentazione di questo stesso ciclo, non ce l'ha. Le ipotesi riportate da Giuseppe
De Capitani d'Arzago ricadono più verosimilmente su Zaccaria.

Alla sinistra del sacerdote si trova un tavolo, posizionato sopra due gradini, uno quadrangolare e l'altro di
forma rotonda, ricoperto da una tovaglia purpurea al centro della quale è posto un telo azzurro lungo e
stretto (mappa). Dietro questo tavolo, alle spalle del sacerdote, si trova un emiciclo a tre gradini.
Probabilmente l'intenzione del pittore era quella di far ricadere il tavolo precedentemente descritto al
centro di uno spazio delimitato proprio da quell'emiciclo (sopra al quale è raffigurato un
grosso bacile ovale).

Il Cristo Pantocratore

Il Cristo Pantocratore

Il busto del Cristo occupa la parte centrale dell'abside, sopra la finestra, ed è posizionato in un tondo di 1,34
metri di diametro. Il fondo su cui si pone la figura è azzurro. Il Cristo veste di rosso e tiene nella mano
sinistra un rotolo, mentre con la mano destra compie il gesto della benedizione (con le tre dita, secondo
l'uso ortodosso). Il volto presenta tutti i connotati del tipo semita: barba corta e appuntita, capelli bruni,
labbra strette e carnose, naso molto marcato e grandi occhi.

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