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Selezione Dal Reader's Digest - Racconti Italiani 1966
Selezione Dal Reader's Digest - Racconti Italiani 1966
racconti
italiani
1966
Gaby la nana
di un diario ritrovato
la luna è nostra
GIUSEPPE BERTO
Berto è nato a Mogliano Veneto nel 1914. È laureato in lettere, è stato
volontario in Africa Orientale nel '36 e in Africa Settentrionale nel '42.
Condotto prigioniero nel Texas, ha scoperto la sua vocazione di scrittore
stendendo «Il cielo è rosso», grosso successo dell'immediato dopoguerra,
«Premio Letterario Firenze». Scrive Berto: «Non essendo più possibile
avere quella fiducia nella realtà, negli ordinamenti sociali, nella missione
dello scrittore, che si poteva avere negli ultimi anni della guerra e nel
dopoguerra, credo che ora uno scrittore debba guardare il mondo con
maggiore distacco, riflessione, senso critico, umorismo».
Ha vinto recentemente i premi «Viareggio» e «Campiello».
OPERE PRINCIPALI: Il cielo è rosso, Longanesi 1947 - Il brigante, Einaudi
1951 -Guerra in camicia nera, Garzanti 1955 - Il male oscuro, Rizzoli
1964.
ITALO CALVINO
le passeggiate
FIORELLA ERA NATIVAdi Poggibonsi, dove aveva vissuto fino a dodici anni;
poi la sua famiglia s'era trasferita a Firenze. Qui Fiorella frequentò le
scuole secondarie e conseguí il diploma di maestra. Quando cominciò la
guerra, aveva vent'anni.
Successe che, a causa dei richiami alle armi, si liberarono molti posti
nelle scuole, comprese quelle secondarie, e, pur di coprirli, presidi e
direttori furono costretti ad assumere anche dei semplici diplomati. Spinta
da un'amica, Fiorella si trovò un posto all'istituto tecnico di Volterra. I
genitori erano contrari a che lei se ne andasse di casa, e ancora più
sarebbero stati contrari se avessero potuto prevederne le conseguenze.
Fiorella e l'amica alloggiavano insieme in una pensione di famiglia; ma
il fatto che fossero due ragazze sole attirò ben presto l'attenzione dei
giovanotti. Specialmente Fiorella, che era alta e slanciata, coi capelli neri
ricciuti e gli occhi azzurri. Un giovane medico, che alloggiava nella
pensione, prese a farle una corte insistente; ma a lei non piaceva, perché
era basso e pelato, e anche perché era poco riguardoso.
Invece non fu insensibile alle attenzioni di un giovanotto che insegnava
educazione fisica nel suo stesso istituto. Si chiamava Paolo Guerrieri,
aveva solo tre o quattr'anni più di lei, ed era senz'altro un bel ragazzo. Era
stato ferito a una gamba in quei combattimenti che ci furono sulle Alpi
subito all'inizio della guerra, e anzi, quando Fiorella lo conobbe,
camminava appoggiandosi a un bastone. Gli avevano dato una licenza di
convalescenza di un anno, ma era da prevedere che gliel'avrebbero
rinnovata e che lui, in guerra, non ci sarebbe andato più. In breve, si
innamorarono, e di lí a pochi mesi, quando Paolo ebbe trovato un impiego
migliore al Distretto, decisero di sposare. Ci fu un po' di opposizione da
parte della famiglia di lei, ma come figlia unica Fiorella era abituata a fare
di testa sua, e anche in quella circostanza riuscí a spuntarla.
Cosí cominciò la sua nuova vita, in una camera ammobiliata a Pisa.
Malgrado le difficoltà dei tempi, si amavano ed erano felici. Poi Fiorella
rimase incinta. Le difficoltà aumentarono. Lei andò a partorire in casa sua
a Firenze, ma appena possibile tornò a Pisa. Ma diventò un problema
riuscire a campare, col magro stipendio del marito e le poche centinaia di
lire di una supplenza che lei era riuscita a ottenere in una scuola di
avviamento; e, quel che è peggio, erano cominciati i bombardamenti, e si
temeva che prima o poi sarebbe toccato anche a Pisa.
Pisa fu bombardata il 31 agosto, quando era già caduto il fascismo.
Fiorella si trovava alla stazione, dov'era andata a prendere i suoi; e proprio
alla stazione ci fu la carneficina più spaventosa.
Lei ne uscí illesa, ma non era proprio più il caso di stare a Pisa; e
nemmeno di andare a Firenze; Cosí, sfollò a Volterra, in casa del suocero, e
Paolo veniva a trovarla tutte le domeniche.
Andarono avanti in questo modo fino al passaggio della guerra, quando
il Distretto fu chiuso, e anche Paolo si rifugiò a Volterra. Passarono l'estate
insieme, ma in autunno si separarono di nuovo. Paolo infatti dovette
riprendere servizio, e non c'era nemmeno da pensare che lei potesse
andargli dietro: a malapena lo stipendio sarebbe bastato a lui. Né Fiorella
poteva continuare a vivere alle spalle del suocero, un pensionato. Cosí
decise di rimettersi a far la maestra: era il solo modo per provvedere al
sostentamento del bambino, di se stessa, e della creatura che portava in
grembo.
Ebbe il posto in una scuola di campagna, a Metato. Non era un paese,
era poco più che una fattoria. Lei abitava appunto nell'edificio della
fattoria, in una stanzetta sprovvista della luce come dell'acqua. Il gabinetto,
lo aveva in comune con una squadra di boscaioli che alloggiava nella
stanza accanto.
Durante le ore di scuola, il bambino era affidato a una ragazzetta di
tredici anni. Subito dopo mangiato, Fiorella usciva a far due passi. La
prima volta, per non attraversare il villaggio, s'era spinta al di là della
fattoria. Costeggiando un campo pianeggiante, il viottolo s'indirizzò verso
un monticello isolato. Giunta sotto, Fiorella si fermò: il viottolo spariva
nella boscaglia. Ma la vista di un rudere avviluppato dai rovi la incuriosí,
spingendola a proseguire. Una salita breve ma ripida la condusse in cima,
in una specie di campicello sassoso.
Si accorse subito che un tempo doveva esserci stata una rocca: il
perimetro delle mura era ancora visibile. Forse lo stesso monticello era
artificiale. Le venne fatto di chiederlo a Irma: che naturalmente non le
seppe dir niente. Allora girò lungo il muro, che era più largo che alto:
confermandosi nell'idea che fosse il basamento di una rocca.
Si affacciò sulla vallata: in fondo c'era il paese di Saline, se meritavano
il nome di paese quelle costruzioni sparpagliate qua e là, con la fossa della
ferrovia che le divideva in due, lo stabilimento e la stazione da una parte,
le case dall'altra. Dietro Saline i poggi si facevano sempre più alti; e in
mezzo serpeggiava la strada. Si vedeva anche un segmento di linea
ferroviaria: scuro e diritto. Ancora più in là i poggi si spianavano,
formando il basamento su cui s'innalzava l'altura di Volterra. La linea delle
case occupava l'intera sommità. Fiorella la percorse con lo sguardo,
fermandosi sulle sagome familiari del Campanile, del Battistero e della
Torre del Palazzo Comunale. Era riconoscibile anche la sagoma bassa e
allungata della Fortezza, sotto cui correva il viale.
Se fosse rimasta a Volterra, a quell'ora sarebbe stata sul viale, a far
prendere una boccata d'aria al bambino. Perché in casa del suocero di aria
ce n'era poca davvero. Il sole, si vedeva giusto la mattina. Sul viale no,
bisognava riconoscere che ci si stava bene anche nel colmo dell'inverno:
perché la Fortezza riparava dalla tramontana.
"Se avessi un binocolo, chissà: forse riuscirei a vedere le persone."
Scrollò le spalle: "Per quel che me ne importa... Mi sono sempre stati
antipatici, i volterrani. Pettegoli, invidiosi, maligni..." E sul serio le
sembrava di aver sempre nutrito antipatia per la città: mentre era un
sentimento recente, frutto delle traversie e delle umiliazioni.
Voltò le spalle al panorama e si mise a guardare il bimbo che giocava
con Irma. Era contenta che si divertisse, ma aveva paura che prendesse
umido: e gli disse di alzarsi. Lo disse anche a Irma: «Ho paura che l'erba
sia bagnata. È meglio andare in un altro posto». «È bagnata, sí», confermò
la ragazzetta. E aggiunse: «E poi qui c'è pieno di vipere».
Fiorella si spaventò: «Perché non me l'hai detto subito?» Prese il
bambino in collo, e si affrettò giù per il viottolo, incurante di graffiarsi le
gambe. Un grosso rovo le sbatté sulla fronte: e una volta a casa, Fiorella
vide che le aveva lasciato il segno.
Il giorno dopo andò dalla parte opposta. C'era prima un breve tratto di
piano, poi la strada piegava a sinistra e cominciava a salire tra la macchia.
Fiorella, allora, piegò a destra, per un viottolo erboso che correva tra due
filari di viti. Altri filari erano disposti di traverso, dividendo i campi in
tanti rettangoli. Il viottolo saliva leggermente; ma già si vedeva il terreno
incurvarsi: e spuntava, in fondo, la mole scura di un poggio.
Fiorella si fermò al principio della discesa, appena si scoprí il panorama.
I fianchi della collina erano scoscesi: qualche muro a secco sosteneva certi
campicelli lunghi e stretti in cui un paio di olivi o una vite isolata o una
striscia di granturco costituivano la sola coltivazione. Più in basso
cominciava la macchia, a toppe: sempre più rada via via che si avvicinava
al letto di un torrentaccio. Subito al di là si ergeva il poggio scuro, con la
cima controsole.
Con lo sguardo Fiorella esplorò la gola: che faceva quasi paura. Come
una serpe che si snodi, il torrente sbucava da una stretta, girava intorno al
poggio e si perdeva nella campagna. Domandò a Irma come si chiamava; e
la ragazzetta le rispose che era la Pòssera.
Facendosi schermo con la mano, Fiorella guardò la cima frastagliata del
poggio. Di lontano le era parso che quel bizzarro contorno fosse il profilo
delle rocce: ora invece si accorse che erano case, costruite sullo
strapiombo. «Che paese è?»
«Micciano» rispose Irma.
«Che brutto posto» commentò Fiorella. Si domandava come facesse la
gente a vivere lassù, in cima a quel poggio dirupato. Delle case buie si
vedeva giusto la sagoma; e solo dalla forma Fiorella distinse la chiesa e
una specie di rocca. «E come ci si arriva?» Le pareva un luogo
inaccessibile.
«La strada è dall'altra parte» rispose Irma. E aggiunse: «Io una volta ci
sono stata. È un paese grande».
Fiorella sorrise:
«Più grande di Pomarance?»
«Di Pomarance no.»
«A Volterra, ci sei mai stata?»
«No» rispose Irma. Pomarance, era il paese più lontano in cui fosse
stata. "Pare incredibile" pensò Fiorella. "Ha tredici anni passati, eppure
non è mai stata in nessun posto. Addirittura non è mai uscita dal territorio
del comune."
"E io?" pensò a un tratto. "Io ne ho ventitré, di anni, eppure non sono
mai stata fuori della Toscana." E le tornò in mente il viaggio di nozze.
Avrebbe potuto essere l'occasione di andare per lo meno a Roma; ma Paolo
non ne aveva voluto sapere. Avevano passato la luna di miele in una
pensione a Marina di Pisa.
E invece, le sarebbe piaciuto tanto viaggiare. A scuola, la sua materia
preferita era la Geografia, ci prendeva sempre otto, nove: aveva preso nove
anche alla licenza. Le sue compagne la trovavano noiosa e la studiavano
quel tanto che bastava per avere la sufficienza. Mentre lei passava ore a
guardare l'atlante. Non guardava solo l'Italia; anche i Paesi stranieri, anzi
soprattutto quelli. Le piacevano i più lontani: l'Africa, l'Estremo Oriente,
l'America del Nord. Seguiva i confini segnati nei varii colori, rosa i
possedimenti inglesi, azzurri i francesi, gialli gli spagnoli, viola i
portoghesi. I nomi delle città erano scritti in lettere minuscole, oppure in
carattere stampatello, a seconda dell'importanza; le capitali con un rigo
sotto; mentre nelle carte fisiche erano segnate solo le città principali, e
anche quelle, con l'iniziale e basta. Ma la colorazione era più bella che
nelle carte politiche. Il verde dava proprio l'idea delle pianure, il giallo dei
deserti e delle steppe; il marrone, indicava che il terreno cominciava ad
elevarsi, e via via che incupiva le montagne diventavano più alte. Ecco
l'arco dell'Himalaja; ecco la Cina, e il Giappone, coi nomi delle città che la
facevano più sognare, Sciangai, Tokio, Yokohama; e l'Oceano Pacifico,
cosí immenso, con la miriade di isole in mezzo a tutto quell'azzurro... Le
piacevano anche le fotografie che c'erano dietro le carte geografiche. A
quel tempo, non leggeva romanzi, a meno che parlassero di paesi lontani.
"Ed eccomi finita a Metato." Non che rimpiangesse i posti dov'era
vissuta: giusto Poggibonsi, quando era bambina. Ma gli anni di Firenze
non li rimpiangeva certo. Eppure erano stati gli anni della sua prima
giovinezza: e lei era bella o per lo meno graziosa: se ne accorgeva dal
modo come i giovanotti la guardavano per strada. Qualcuno le rivolgeva
anche la parola; e lei, una volta, aveva acconsentito a farsi accompagnare;
e s'era lasciata strappare un appuntamento. Ma poi non c'era andata,
benché quel giovane avesse una faccia simpatica.
In seguito le sue passeggiate ebbero sempre per meta la Veduta. Era il
nome dato alla sella da cui ci si affacciava sulla vallata della Cecina. Sulla
sinistra c'era una cappellina; sulla destra una cipresseta. Da quel punto la
strada cominciava a scendere: se ne poteva seguire il tracciato, prima fra la
macchia bassa, poi fra i campi.
Sotto i cipressi il terreno era pulito, e Fiorella lasciava che Luigino
scorrazzasse a suo piacimento, tanto non c'erano pericoli.
Irma quel giorno s'era divertita a cogliere i ciclamini. Il bambino s'era
sforzato di imitarla, ma strappava i gambi anziché sfilarli delicatamente dal
terriccio: sicché gli erano rimaste in mano solo le corolle. Fiorella fece
mostra di gradirli lo stesso: «Come sei stato bravo», e si chinò a dargli un
bacio. Si aspettava che Irma le regalasse il suo mazzolino; invece, li aveva
colti per la Madonnina. Li infilò attraverso la grata, e prima di venir via si
fece il segno della croce.
Quel gesto stupì Fiorella: eppure lo sapeva che Irma era molto religiosa.
La mattina della domenica, veniva più tardi, perché non soltanto assisteva
alla Messa, ma si confessava e si comunicava. Invece lei, Fiorella, non
sentiva nemmeno il bisogno di entrare in chiesa. Erano anni che trascurava
le pratiche religiose. A Volterra aveva scandalizzato il suocero e la cognata
con la sua indifferenza.
"E ora scandalizzerò la gente di qui. Proprio io, la maestra, che dovrei
dare il buon esempio, non sono andata una volta alla Messa" Ma non
sapeva a chi lasciare il bambino; e portarselo dietro, non era il caso.
Una domenica mattina attraversò il villaggio senza incontrare nessuno:
era appunto l'ora della Messa. Invece di proseguire fino alla Veduta, le
venne l'idea di arrivare dove tagliavano. Prese per il viottolo fra la scuola e
il muro di cinta della villa ed entrò nel castagneto.
Ben presto del viottolo si perse ogni traccia: il suolo era coperto da uno
strato alto e cedevole di foglie marce. Ma poi i castagni diradarono, il
terreno e si fece scabro, affiorarono dei lastroni di roccia, e ricomparve una
traccia di viottolo. Andando ancora avanti, arrivò al bosco. Il viottolo vi
s'imbucava di sbieco e scendeva poi a serpentina. Il cammino era
malagevole, per i sassi e le buche, e Fiorella dovette prendere il bimbo in
braccio. Stava per tornare indietro, quando intese dei colpi. I boscaioli non
dovevano essere lontani. Infatti di lí a poco sbucò nella tagliata.
Un uomo stava caricando un mulo; un altro mulo aspettava a poca
distanza, strappando un festone pendente da un alberello. Sentendo il
rumore della ramaglia pestata, l'uomo si voltò di scatto. La barba lunga e il
carbone gli annerivano la faccia. Anche i suoi occhi erano neri e brillanti.
«Sa mica... dove sono i pistoiesi?»
«Qui siamo tutti pistoiesi.»
«Quelli che dormono alla fattoria. Uno lo chiamano il nonno» cercò di
spiegarsi Fiorella.
«Vada lungo questa proda.»
«Grazie» rispose Fiorella. Mentre gli passava accanto, si sentiva addosso
il suo sguardo.
I quattro erano al lavoro in una rientranza del taglio. Il ragazzo fu il
primo a vederla; sorrise, ma non disse nulla.
«Buongiorno» fece Fiorella.
Gli uomini borbottarono un saluto di risposta; il nonno accennò anche a
levarsi il cappello.
Fiorella sedette a una certa distanza, prendendosi il bimbo sulle
ginocchia. La incuriosiva vederli lavorare. Erano intenti ciascuno a un
lavoro diverso: uno degli uomini tagliava, l'altro accatastava la legna; il
vecchio faceva fascine con la ramaglia sparsa per il pendio; il ragazzo
ripuliva col pennato i ciocchi di scopa, buttandoli poi in una buca.
Ma a un tratto Fiorella si sentí a disagio. Che stava lí a fare? Il mulattiere
l'aveva fissata con diffidenza e forse anche quei quattro erano seccati che
lei stesse a guardarli lavorare. Non seccava anche a lei quando qualcuno si
metteva ai vetri della finestra a guardarla fare scuola? Si alzò, e li salutò in
fretta.
Di lí a una settimana, i boscaioli partirono; e lei fu più libera, ma anche
più sola... Per giunta era cominciato il cattivo tempo.
A metà gennaio, Fiorella lasciò Metato per andare a partorire a Volterra.
Né ebbe più occasione di tornarci.
A distanza di anni, aveva dimenticato i disagi e le umiliazioni; non si
ricordava nemmeno più delle persone (a parte Irma). Ma i luoghi, non li
aveva dimenticati. Quelle passeggiate col bambino e con Irma, le
tornavano spesso alla memoria. E le pareva che fosse stato un bel periodo,
uno dei più felici della sua vita.
CARLO CASSOLA
Cassola è nato a Roma nel 1917 da madre toscana e padre settentrionale.
Dopo la guerra è sempre vissuto in Toscana. Per vivere ha fatto il
professore di liceo e, per breve tempo, il giornalista. Da tre anni si dedica
esclusivamente alla letteratura.
Del suo «mestiere» dice: «Mi sono tenuto sempre piuttosto appartato
dalla letteratura ufficiale e non ho mai preso parte a movimenti e correnti,
un po' per temperamento e un po' per convinzione». Ha vinto i premi
«Salento», «Selezione Marzotto» e «Strega».
OPERE PRINCIPALI (tutte presso Einaudi): Fausto e Anna, 1952 - Il taglio del
bosco, 1959 - La visita, 1962 - La ragazza di Bube, 1960 (poi «Oscar»,
Mondadori, 1965) - Un cuore arido, 1961 - Il cacciatore, 1964.
ORESTE DEL BUONO
il traditore
con filosofia
GOFFREDO PARISE
Parise è nato a Vicenza nel 1929. Ha frequentato la facoltà di filosofia a
Padova senza peraltro laurearsi. Da anni lo scrittore veneto vive a Roma e
lavora come sceneggiatore cinematografico. Collabora anche al Corriere
della Sera. I suoi libri sono tutti autentici best-sellers, largamente tradotti.
Richiesto di definire la propria opera, ha risposto: «Realismo lirico-
stagionale» e ha aggiunto una puntata polemica sulla critica letteraria:
«La critica in Italia è assai incoerente e contraddittoria. Non c'è una vera
critica; esistono delle opinioni, tecnicistiche, accademiche, basate su molti
elementi spesso estranei alla produzione letteraria».
OPERE PRINCIPALI: Il ragazzo morto e le comete, Neri Pozza 1951 - Il prete
bello, Garzanti 1954 - Il fidanzamento, Garzanti 1956 - Atti impuri,
Garzanti 1959 - Il padrone, Feltrinelli 1965.
DOMENICO REA
l'ultima farsa
DOMENICO REA
Rea è nato a Napoli nel 1921. Rivelato, giovanissimo, da Francesco
Flora, esordi nel 1947 con Spaccanapoli, ottenendo subito un vivissimo
successo. Vive a Napoli e collabora a quotidiani e periodici. Di sé dice:
«La mia persona? È odiabile perché ho sempre fatto parte per me stesso,
quaggiù, in solitudine, senza Roma e senza Milano, senza salotti e senza
clan. Anche in ciò: secondo la più schietta e amara tradizione
meridionale». Lia vinto i premi «Viareggio» e «Napoli».
OPERE PRINCIPALI (tutte presso Mondadori): Spaccanapoli, 1947 - Le
formicele rosse, 1948 - Gesù, fate luce, 1950 - Ritratto di maggio, 1954 -
Quel che vide Cummeo, 1955 - Una vampata di rossore, 1959 - Il re e il
lustrascarpe, 1962 - Racconti, 1965.
LALLA ROMANO
la guardia
LALLA ROMANO
Lalla Romano è nata in provincia di Cuneo. Fino ai trent'anni ha scritto
poesie. Ha insegnato lettere nelle scuole medie esercitando anche la
pittura e la critica d'arte. Durante la guerra ha partecipato alla
Resistenza nel Cuneese. Sui rapporti tra la Resistenza e la sua narrativa
scrive: «Qualcuno ha osservato che la Resistenza è lo sfondo e non è la
protagonista nelle mie opere: è vero, infatti l'ho considerata una realtà e
non un'occasione retorica». Ha vinto i premi «Veillon» e «Pavese».
OPERE PRINCIPALI: Maria, Einaudi 1953 - L'autunno (poesie), La Meridiana
1954 - Tetto Murato, Einaudi 1957 - La penombra che abbiamo
attraversato, Einaudi 1964.
MARIO SOLDATI
il Natale di Iride
vacanza di un capitano
MARIO TOBINO
Tobino è nato a Viareggio nel 1910. E medico e dirige un importante
manicomio. Ha sempre scritto e collabora al Corriere della Sera. Di sé
dice: «Il periodo più bello della mia vita fu nel clandestino, nella lotta di
liberazione nazionale, dove finalmente avevo la mia bandiera. La libertà e
la trasfigurazione sono i segni della mia opera». Ha pubblicato anche
opere di poesia.
OPERE PRINCIPALI: L'angelo di Liponard, Vallecchi 1951 - Il deserto della
Libia, Einaudi 1951 - Le libere donne di Magliano, Vallecchi 1953 -
L'asso di picche (poesie), Vallecchi 1955 - La brace dei Biassoli, Einaudi
1956 - Il clandestino, Mondadori 1962.
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