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Dalle città ai comuni alle Signorie

Conseguenza dell’incremento demografico e dello sviluppo del commercio del IX, X e XI secolo fu il proliferare
e la crescita delle città. Le città europee hanno due tipi di genesi, alcune sono città di origine romana
sopravvissute al disfacimento dell’impero presenti in larghissima misura in Italia più che nel resto dell’Impero
e le altre sono conglomerati cresciuti spontaneamente a partire da mercati, porti, ville o castelli.
Si può riscontrare una differenza fra le nuove città mercantili del nord Europa in cui la componente di popolo
è l’unica presente e le città italiane in cui l’aristocrazia è ancora il punto di riferimento del potere cittadino
insieme al vescovo che normalmente ne è un’esponente.
Le città nascono principalmente come risposta ad una richiesta di produzione manifatturiera che solo dei
grandi centri produttivi possono soddisfare. Inoltre trovandosi spesso lungo grandi vie di comunicazione
divengono naturalmente centri di scambio e di commercio. Si fanno inoltre centri attrattivi di manodopera
per le loro condizioni di vita migliori rispetto a quelle della campagna e per le occasioni di libertà che offrono
sciogliendo dalla condizione servile i contadini che vi si trasferiscono.
I grossi centri offrono inoltre occasioni di diversificazione del lavoro, vi sono richiesti, artigiani, artigiani
specializzati, macellai, osti, carpentieri, operai, botteghe di commercio, centri di insegnamento e di esercizio
delle professioni giuridiche. Le occasioni per arricchirsi sono infinitamente maggiori di quelle della campagna
e non solo, la disponibilità di merci attira ricchezza dalle famiglie aristocratiche, dal clero, ma anche da piccoli
proprietari terrieri arricchiti che nelle città trovano nuove occasioni di investimento e di spesa per innalzare
la propria condizione familiare.
Le città guadagnano la loro autonomia in due modi: attraverso la concessione di diplomi da parte delle
autorità che potevano formalmente rivendicarne il dominio formale ma che non avrebbero potuto poi
esercitarlo o con l’esercizio della forza.
Spesso sarà centrale la figura del vescovo che con il suo potere sarà in grado di difendere le città dall’influenza
dei poteri centrali, altre volte invece sarà proprio l’indebolimento della figura vescovile, sottratta dalle
riforme papali all’influenza delle grandi famiglie aristocratiche, a lasciare spazi di intervento ai gruppi cittadini
più influenti.
Le aree del nord Italia furono l’avanguardia di questo fenomeno potendo godere dell’accumulo di ingenti
ricchezze e del lungo indebolimento del potere centrale a cui le stesse città avrebbero dovuto rispondere. Al
contempo poterono godere di un’aristocrazia locale con influenza e beni fondiari nel territorio circostante e
capacità militari (milites), un’élite commerciale con consistenti capacità economiche (negotiatores) ed
un’élite giuridica in grado di esercitare una importante influenza culturale e fornire una professionale base
giuridica per il governo comunale (iudices).
Il conflitto con l’Imperatore sarebbe stato il filo conduttore per un secolo della politica cittadina con la
formazione di leghe fra comuni lombardi sotto il patrocinio papale. Approfittando del vuoto di potere causato
dell’incerta successione imperiale ed al conflitto fra Lotario II e Corrado III i comuni presero ad esercitare la
completa autorità sul proprio territorio facendola diventare una consuetudine. Concluse queste lotte di
potere con l’accordo fra le parti e la nomina di Federico I, i comuni si trovarono difronte ad un’autorità
legittima che legittimamente tentò di riprendere il controllo del nord Italia secondo un progetto di
accentramento dell’esercizio del potere quale si stava attuando in tutti i regni europei nello stesso periodo.
In questo Federico fu supportato dagli studi degli esperti di diritto dell’università di Bologna che svilupparono
il concetto di regalie, ovvero i poteri e le concessioni spettanti al sovrano; di queste regalie Federico pretese
il riconoscimento.
Tra vittorie e sconfitte in battaglia, pur nel riconoscimento della sovranità imperiale, i comuni italiani
riuscirono a conservare autonomia giudiziaria e amministrativa prima resistendo a Federico I Barbarossa
(Legnano 1176) e poi a suo nipote Federico II.
Le dispute fra le fazioni imperiali e papali finirono per dividere le città; i conflitti furono ricomposti tramite la
convocazione di arengo ovvero assemblee di cittadini eminenti (cives) che eleggevano dei consoli, il vero e
proprio organo di governo politico, militare e giudiziario cittadino (i primi consoli di cui si ha notizia risalgono
alla fine dell’XI secolo).
Negli anni questo sistema allargò la sua base decisionale coinvolgendo non solo le famiglie più eminenti degli
aristocratici ma anche quelle che erano riuscite a crescere in ricchezza divenendo una voce influente nella
vita cittadina. Furono stabiliti e scritti degli statuti che diedero una base giuridica al sistema di potere
comunale. Questo venne affidato ad un podestà (normalmente scelto fuori dal comune per garantire
imparzialità ed esperto di diritto ed amministrazione della cosa pubblica) e si andò formandosi il concetto di
cittadinanza come partecipazione attiva alla vita comunale che si concretizzava nel contributo fiscale e nella
partecipazione militare e all’ordine pubblico, cui corrispondeva un sistema di diritti acquisiti come quello di
voto, di possibilità di essere eletti per il governo locale e di sgravi fiscali.
La base di potere andò sempre più allargandosi facendo di quelli comunali dei veri e propri governi di popolo.
Questi andarono organizzandosi attorno alla formazione di corporazioni di arti e mestieri, ordinati anche
militarmente, nonché attorno ad associazioni chiamate parti o partes (dei veri partiti politici sostenitori di
comuni interessi). Restarono esclusi i lavoratori salariati e le famiglie arrivate dal contado e non di tradizione
cittadina (la stragrande maggioranza della popolazione della città).
Il potere cittadino ebbe l’esigenza di estendersi sul contado circostante sia per affermare la propria
autonomia sui signori rurali, sia per assicurarsi le forniture alimentari ed avere accesso ad una fonte di
manodopera con la liberazione dei contadini dalla loro condizione servile. Inoltre riuscendo ad imporre il
proprio volere sui potentati locali poteva imporre il pagamento di tributi o l’esenzione dal pagamento su
passi, valichi e ponti per le proprie merci. Le città fin dall’età romana esercitavano la loro influenza sulle terre
vicine, sistema che fu poi ripreso con l’influenza vescovile sulla diocesi.
In epoca comunale il controllo fu ottenuto sia con l’utilizzo della forza, sia con il sistema del giuramento
vassallatico prestato dai signori rurali ma anche dai centri abitati che non riuscirono a resistere alla forza
anche armata che le più grandi città potevano mettere in campo; un esempio su tutti è quello di Milano.
Questo fece crescere quel malcontento fra signori rurali e piccole città che videro nell’intervento
dell’Imperatore l’unica occasione di difesa dal potere esercitato dai grandi centri.
Alcuni comuni furono comunità rurali che riuscirono a guadagnarsi delle “carte di franchigia” o di “libertà”
dai propri signori. Questi attestati riconoscevano alle comunità libertà amministrative e giuridiche, riduzioni
fiscali e la facoltà per gli abitanti di trasferirsi liberamente altrove. Queste comunità sono il segno di come
fosse possibile anche nel contado sviluppare una importante consapevolezza politica e raggiungere una
rilevante capacità di accumulo di ricchezze e potere da parte di alcune famiglie contadine e di piccoli
proprietari.
La nascita dei comuni e delle assemblee cittadine promosse lo sviluppo di un’etica sociale cittadina basata
sullo sviluppo di parole d’ordine come ‘buon governo’, ‘pace’, ‘giustizia’, ‘concordia’, ‘bene comune’,
‘crescita’ e ‘prosperità’ vivacizzando il dibattito politico. Uno dei centri di irradiamento di questi discussioni
fu Bologna con la sua scuola di legge impostata sulla riscoperta dei codici del diritto Giustinianeo. Questo era
arrivato dall’Oriente dove era stato conservato e fu uno stimolo per le discussioni sulla giustificazione ed
origine del potere e sul suo ordinamento. Lo stesso Federico I si dotò di una forte base giuridica, sostenuta
da alcuni studiosi bolognesi, per sostenere le sue pretese di dominio sui comuni e sul Papa. È questo il segno
di quanto considerata fosse la scuola di Bologna ed il diritto romano.
Le partes acquisirono più importanza dopo la morte di Federico II quando si divisero fra pars ecclesia e pars
imperii che presero il nome di Guelfi e Ghibellini evocando il conflitto fra Svevi e Bavaresi per la conquista
della dignità imperiale. La lotta fra le due fazioni fu feroce e gli sconfitti si trovarono spesso allontanati dal
governo delle città quando non addirittura banditi, trovando rifugio nel contado o nelle città di parte amica.
La struttura stessa dei governi subì continue modificazioni e aggiustamenti, prima verso un allargamento
della base di potere che arrivò a stabilire disposizioni antimagnatizie ovvero di allontanamento
dell’aristocrazia militare dalle posizioni di potere o meglio dalle nomine di governo, poi verso un suo
restringimento in senso oligarchico attorno a grandi famiglie di antica tradizione aristocratica o recente
fortuna mercantile nella ricerca di maggiore stabilità.
Firenze si diede ai d’Angiò fra il finire del XIII e l’inizio del XIV secolo, alternando questa dominazione
all’attuazione di legislazioni antimagnatizie come furono gli ‘Ordinamenti di giustizia’, ritrovando così un
assetto comunale al prezzo di perdersi nelle lotte fra le fazioni guelfa e ghibellina. A Milano i della Torre e i
della Scala a Verona furono riferimenti stabili dei consigli comunali a cui venne ceduto un potere prima
militare al fine di garantire pace e stabilità e poi di tipo signorile ovvero su ogni questione riguardasse
l’ordinamento, la giustizia, l’amministrazione e la fiscalità.
Quello che prima fu un potere strettamente personale che si estingueva con il venire a mancare della persona
incaricata, grazie ad investiture imperiali e papali ed alle nomine vicariali divenne ereditario e familiare.
Inoltre i titoli che queste famiglie acquistarono permisero loro di legare a sé per giuramento vassallatico
signori locali e comunità cittadine e rurali che via via erano state sottomesse.
È il caso dei Visconti di Milano, dei Della Scala a Verona, degli Este a Ferrara e dei Gonzaga a Mantova.
Verso la metà del XIV secolo si erano affermate oramai stabilmente in tutte le città comunali dei governi
signorili che formarono delle vere e proprie corti attorno a loro ed utilizzarono anche il mecenatismo come
strumento di consenso.
I vecchi organismi comunali sopravvissero ma ebbero funzioni più che altro consultive e non decisionali e si
trasformarono in patriziati cioè centri di influenza sul potere e del potere grazie al controllo degli uffici
comunali. Ne saranno esempi le Repubbliche di Genova e Venezia.
Con l’allargarsi del distacco fra governo e cittadino, aumentò la diffidenza verso quest’ultimo. Si andò anche
affermando nel dibattito le discussioni sulla distinzione fra buon principe e tiranno, ovvero colui che
antepone il proprio interesse al bene comune. Inoltre tornarono a mancare le fondamenta della
giustificazione del potere che da secoli era chiaramente originata dal popolo ed ora imposta con la forza.
Si fece sempre più pressante l’esigenza di dotarsi di un territorio attorno alla città comunale che servisse sia
in funzione difensiva, sia come garanzia alla città di conservarsi una riserva di uomini e di risorse secondo
quanto stava accadendo per gli stati nazionali in formazione oltralpe. Questo aumentò la necessità di ingenti
entrate che furono assicurate sia da un giro di vite sulla pressione fiscale sia dal ricorso al finanziamento del
debito pubblico tramite la vendita di titoli di stato.
Nessuno di questi stati che si andò costituendo nel XIV secolo fu abbastanza forte da sottomettere gli altri e
nessuno così debole da lasciare che altri lo sottomettessero. L’Italia era ancora un paese molto ricco ma
anche molto fragile e su di esso si diressero le mire espansionistiche dei grandi stati europei, dotati di entrate
fiscali e uomini in misura non paragonabile alle Signorie italiane.
Prese forma un complesso sistema di equilibri organizzato in pochi stati di medie dimensioni (Milano,
Venezia, Firenze, Stato pontificio, Regno di Napoli e Sicilia) in cui ciascuno si faceva garante della integrità e
stabilità degli altri, ma che fu vittima di sospetti incrociati e intrighi infiniti.

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