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SEMINARI di ANTROPOLOGIA LETTERARIA Trento Immaginario e follia a cura di Fabio Rosa EDIZIONI - U.C.T. - TRENTO. STEFANO FERRARI Gli stili della follia: Hogarth, Goya e Géricault Per molti secoli il rapporto follia/arte si é esaurito nell’analisi della relazione follia/genio artistico. Molti sono gli studiosi che fin dalle origini del pensiero oc- cidentale hanno cercato di comprendere l'interrelazione fra la produzione arlistica di un pittore e il suo comportamento psichico!. II lavoro che invece noi vogliamo intraprendere in questa sede @ una trasformazione dell’assunto di partenza, per indagare i contenuti rappresentativi della follia indipendentemente dai comporta- menti insani degli artisti. Per fare cid diventa necessario riflettere sugli strumenti metodologici a nostra disposizione per valutare la loro congruita rispetto alla ricer- ca da sviluppare. Uno degli errori che maggiormente ricorrono in questo tipo di indagini @ Yassunzione strumentale di una metodologia di lavoro indipendente- mente dalla specificita dell’ oggetto di studio e del suo contesto storico-culturale. La rappresentazione della follia fra XVII e XIX secolo, ad esempio, costituisce un tema che necessita di un approccio storico-critico del tutto particolare. Per la sua natura unica ¢ irripetibile, essa sfugge ad una interpretazione meramente iconografica di tipo seriale, cosi come questa pratica @ stata codificata ed applicata dalla scuola di Aby Warburg e dai suoi principali allievi, con particolare riferimento a Erwin Panofsky; oppure per la sua natura fortemente contenutistica essa si sottrae ad una interpretazione meramente formalistica di tipo, ad esempio, «purovisibilista» 0 semiologico. Di contro, I’unico strumento metodologico (anche se non alternativo ma anzi complementare rispetto alle tendenze storiografiche appena accennate), a nostro avviso, che pud soddisfare una ricerca sulle qualita rappresentative della follia @ Yanalisi stilistica. Certamente questa prassi metodologica ha assunto da Johann J. Winckelmann in poi sfumature che invece di chiarirne il significato, ne hanno deformato e sminuito l’applicabilita. Il nostro studio vuole tenere conto di tutte le esperienze fate in nome della pratica stilistica in questi ultimi decenni e soprattut- to del pregevole lavoro di riflessione generale compiuto da Meyer Shapiro nel lontano 1953, L’analisi stilistica che qui si vuole avviare non é tanto volta a defi- nire la continuita la ciclicita del tema della follia nei vari periodi della pittura occidentale, quanto piuttosto @ volta a ricercare come questa abbia assunto una forma rappresentativa a partire dalla sua evoluzione culturale fra Sei e Ottocento. Tale indagine ci permettera quindi di individuare le principali caratteristiche di raffigurazione della pazzia, a partire non solo dalla sua individualita, attraverso, ad esempio, i suoi contenuti espressivi, ma soprattutto dalle sue condizioni ogget- tive, attraverso, ad esempio, il luogo del suo internamento o della sua cura. Tale esperienza ovviamente non pud fondarsi su una ricerca monodisciplinare ma deve, anzi, avviare un confronto serrato con quelle discipline (letteratura, filosofia, me- dicina, sociologia, morale, ecc.) che via via hanno studiato i suoi contenuti eziologici, gnoseologici, sociali, storici ed etici. 93 Descartes nei primi decenni del XVII secolo sancisce di fatto l'impensabilita della follia, dal momento che il pensiero razionale e dubitante non pud averne coscienza®. Blaise Pascal alcuni anni pid tardi decreta anche la sua inimmaginabilita. Nelle Pensées egli scrive: Posso benissimo concepire I'uomo senza mani, senza piedi e magari senza testa (perché solo lesperienza m’insegna che la testa @ pili necessaria dei piedi), ma non senza pensiero: sarebbe una pietra 0 un brutot, ‘Vale esclusione della follia da ogni campo del sapere seicentesco provoca, come noto, la sua riduzione al silenzio, il suo internamento. Anche la pittura del XVII secolo partecipa a questo processo di estraneazione della pazzia dal! orizzon- te delle esperienze culturali. Essa cancella il tema della follia dall organizzazione dei suoi temi e dei suoi generi artistici. In tale quadro epocale possono solo soprav- vivere riferimenti artistici della pazzia legati esclusivamente alla ratio rinascimentale, come @ il caso, ad esempio, di un disegno del Guercino (Corteo trionfale di un pazzo»), di un dipinto di Gaspare Traversi («Vecchia pazza e bambino con nacche- re») e di una stampa di Charles Antoine Coypel («La Folie pare la Décrepitude des Ajustements de la Jeunesse»), il cui approccio metodologico non pud avere nulla in comune con quello del periodo di cui noi ci stiamo occupando. Ma la pittura del Grand Siécle completa la riduzione al silenzio della follia, estraneandola anche da qualsiasi possibilita di riflessione teoretica. Il caso, da questo punto di vista, pitt eclatante @ costituito dal trattato di Charles Le Brun, Méthode pour apprendre a dessiner les passions. Proposée dans une Conference sur I Expression générale, et particuligre (Paris 1698). Egli decreta I’esclusione irreversibile della follia, unitamente a tutti gli atteg- giamenti collegati alla sragione, come il furore, la demenza, la malinconia, ecc., dal campo d’interesse dell’espressione pittorica. Pur nella consapevolezza dell’impos- sibilita, come aveva affermato qualche anno prima Henry Testelin, segretario del- YAccademia francese di pittura, di prescrivere tutti i segni delle diverse passioni a causa della diversitd delle forme e del temperamento®, Le Brun @ certo dell’irrapresentabilita espressiva di qualunque atteggiamento folle. Il suo interesse, cartesianamente parlando, non pud che prendere in considerazione le passioni buone, dal momento che solo queste ultime sono in grado di assicurare un corretto rapporto fra anima e il corpo’. Totalmente diverso @, invece, il ruolo che la pittura del XVIII secolo assume nei confronti della follia. Dopo 'impenetrabile silenzio del secolo precedente, essa cerca di capovolgere la situazione, affrontando, inizialmente con grande circospezione, il tema della sua raffigurabilita. Le difficolta ovviamente sono enor- mi. I pittori settecenteschi se vogliono rappresentare la follia devono lasciare i loro comodi ateliers e penetrare negli spazi oscuri e disumani dei manicomi, perché solo a & possibile incontrare e rappresentare l’esperienza della pazzia. Il primo artista che si fa carico di dare corpo a questo obiettivo @ William Hogarth. Il suo propo- sito, tuttavia, @ ancora fortemente condizionato dal quadro epistemologico ed etico in cui la follia & intesa nell/Inghilterra della prima meta del XVIII secolo. L’opera dove egli affronta questo tema é I'episodio terminale della serie della «Carriera del 94 libertino», realizzata fra il 1732 e il 17358. Il libertino Tom Rakewell, dopo nume- rose traversie e disavventure, dominate da un eccessivo asservimento alle peggiori passioni, le quali si sono trasformate in follia, viene rinchiuso nella famosissima «Madhouse» di Bedlam a Moorfields nei pressi di Londra. Questo esito é tanto pitt significativo se pensiamo che tutte le opere che hanno influenzato direttamente o indirettamente questo ciclo pittorico presentano un epilogo del tutto diverso. Dal manifesto, pubblicato a Roma da Callisto Ferranti nel 1611, [I Miserabile Fine di Quelli che seguono le Meretrici alle dodici incisioni veneziane anonime con La Vita del La- scivo del 1660-1675 c.°, dalla traduzione inglese del 1701 della Tabula Cebetis'® alla commedia di Henry Fielding The Temple Beau del 1729-304, fino al poema anonimo del 1732 The Progress of a Rake; or, the Templar’s Exit!2 emerge un libertino che di volta in volta conosce, al termine della sua carriera, la poverta ¢ la carita dell’uspe- dale, la punizione della casa di correzione oppure il suicidio, ma non la follia e Yinternamento in manicomio. Dunque, Hogarth ha voluto dare alla sua serie un esito del tutto inedito per sottolineare, in perfetta sintonia con i principali esponen- tidella satira Tory dell’eta augustea, come Jonathan Swift, John Gay, John Arbuthnot e Alexander Pope, ma anche con le teorie sulla pazzia di Francesco Bacone 0 di John Locke, i pericoli di una vita condotta al di fuori degli schemi dell’homo rationalis e per evidenziare la fragilita della ragione quando é attaccata dalle passioni violen- te!3. La follia rappresenta la punizione per quegli uomini che si sono fatti irretire dalle passioni incantatrici, dal capriccio e dall’immaginazione. Essi hanno perso la loro umanita per colpa del vizio morale che ha permesso alla ragione di essere sopraffatta dall’orgoglio, dalla vanita, dalla presunzione, dall’eccentricita e dall’ar- roganza. Il compito del moralista, sia esso uno scrittore o un pittore, non cambia: dare del folle un’immagine anomala, ridicola, spregevole, disgustosa'*. Da questo punto di vista, la pittura di Hogarth contribuisce, cosi come l’impegno letterario del suo amico Henry Fielding, a definire quel nuovo quadro etico-sociale della emergente middle-class inglese, nata dalla rivoluzione puritana del XVII secolo, che stigmatizza ogni comportamento contrario al nuovo ordine costituito'®. Se verosimilmente I’obiettivo di questa scena finale della «Carriera del li- bertino» appare ben chiaro, pitt difficile risulta il compito di darne una precisa lettura descrittiva. Tale difficolta non @ dovuta solo ai ripensamenti di Hogarth fra il dipinto e l'incisione ma, soprattutto, alle scarse indicazioni che il pittore ci ha lasciato per una sua corretta interpretazione. Cid ha determinato una rincorsa al- quanto curiosa fra i vari studiosi hogarthiani al fine di definire quali sono le reali caratteristiche del comportamento folle di Tom Rakewell. Risulta alquanto difficile poter sciogliere il dubbio se quest’ ultimo viene rappresentato nel momento del suo arrivo a Bedlam, dopo il suo trasferimento dalla prigione di Fleet, oppure nel momento precedente la morte. Su questo punto, gli studiosi si sono divisi in base a considerazioni, ci sembra di poter dire, del tutto legittime e pertinent. Ad esem- pio, per Hilde Kurz, cosi come aveva gia scritto John Trusler nel 1833, sulla scorta di un verso del poema, composto per Hogarth da John Hoadly, che accompagna quest’ultimo episodio della «Carriera del libertino» («Behold death grappling with despair!»), il libertino sta «morendo, pianto dalla sua fedele Sarah Young [I’unica persona che gli é rimasta leale attraverso tutto il ciclo], che — senza aspettare la fine — era giunta con la sua farinata. Uno dei guardiani gli sta togliendo le catene che ormai, non servono pit, mentre altro cerca di allontanare la donna»!®, 95 24 Questa interpretazione contrasta con quella avanzata, ad esempio, da Edgar Wind oppure da Frederick Antal, i quali sostengono che Tom Rakewell, in quanto pazzo furioso e pericoloso, viene incatenato da uno dei guardiani per impedirgli il suicidio’. Essi, tuttavia, sembrano non fare molta attenzione alla trasformazione introdotta da Hogarth nell’ espressione del libertino folle fra il quadro e la stampa. Se nel primo Tom Rakewell esprime ancora una tragica tristeza, nella seconda quest’ultima si @ trasformata in follia furiosa. All’immobilita statuaria del primo atteggiamento, che contrasta stranamente con la sua rappresentazione naturale nelle scene precedenti, si contrappone il dinamismo delirante del secondo. Con- temporaneamente, annota ancora Hilde Kurz, Hogarth ha rinunciato alla posa derivata, secondo la brillante interpretazione iconologica di Edgar Wind, da una delle statue, poste all‘ingresso di Bedlam, rappresentante la follia furiosa, dello scultore danese Cajus Gabriel Cibber, per adottare, invece, una posa che allude unicamente al fatto che il libertino @ stato spogliato dei suoi vestiti®, Tale con- traddizione, certamente, @ di difficile soluzione, soprattutto, perché qualsiasi ana- lisi unicamente formale o iconografica appare insufficiente a dare una pit precisa interpretazione di questo particolare. Cid significherebbe, inoltre, che Hogarth, per realizzare l'ultima scena della sua «Carriera del libertino» con Tom Rakewell paz- z0, si 2 avvalso soltanto della mera invenzione pittorica o del mero rispetto di una tradizione iconografica precedente. Ma esiste la possibilita di un’altra interpreta- zione, attinente soprattutto la sfera del comportamento folle cosi come esso é stato codificato dalla medicina settecentesca, la quale spiegherebbe ’esitazione dell’arti- sta inglese. Robert Whytt, un medico quasi contemporaneo di Hogarth, studiando le malattie nervose, sottolinea come esistano casi in cui le passioni, essenda trappo vialente, hanno fatto nascere delle specie di tetani o di catalessi, tanto che la persona assomiglia allora piti a una statua che a un essere vivente. E, per di piti, lo spavento, Vafflizione, la gioia, la vergogna portati all’eccesso sono siati pitt di una volta seguiti da una morte improvvisa!? Su un punto, invece, gli esegeti hogarthiani sono quasi tutti d’accordo: ac canto a Tom Rakewell all’interno del manicomio di Bedlam @ rappresentato, per usare le parole di John Trusler, «il senato dell’umanita, dove ogni uomo pud tro- vare un suo rappresentante»””. Roy Porter proseguendo in questa linea in- terpretativa, ha sottolineato come Hogarth, la cui finalita artistica non era do- cumentaria bensi didattica, abbia invitato il pubblico a sovrapporre Bedlam con VInghilterra per chiedersi se gli inglesi non erano forse pitt pazzi dei bedlamiti?2!. Il pittore inglese, a suo avviso, rappresenta «la follia dell’umanita in un pazzo mondo sottosopra nel quale Londra e Bedlam formavano un racconto ironico di due citt’»”4, Intorno al libertino troviamo le principali forme di follia cosi come esse erano state codificate dalla letteratura, dalla medicina e dalla filosofia del tempo. Nelle due celle numero 54 e 55, aperte sul corridoio dove si trova Tom Rakewell, possiamo scorgere due personaggi afflitti dalla stessa monomania, anche se causata da idee profondamente diverse. Il primo, parzialmente seminudo, pensa di essere Dio o un maniaco religioso, il quale sta pregando davanti ad una croce di legno. Possiamo riconoscere, soprattutto nell’incisione, sulla parete di fondo della sua cella due ritratti: uno di S. Atanasio e l’altro di S. Lorenzo*. II secondo, 96 invece, completamente nudo, pensa di essere un «pretendente re» con una corona di paglia in testa e un bastone rotto in mano a guisa di scettro™. Fra le due celle, accanto al gruppo con Tom Rakewell, troviamo tre folli. Quello in piedi, seminascosto da una delle porte, sta tracciando degli strani disegni sulla parete del corridoio. Questa figura di pazzo ha creato una forte contrapposizione interpretativa fra i vari studiosi hogarthiani. John Trusler, ad esempio, lo considera una sorta di astronomo che sta cercando di trovare la longitudine della terra. Egli lo associa al folle che sta guardando attraverso un cannocchiale di cartone, come simboli dell’arditezza spe- culativa, la quale non tiene conto della debolezza del cervello dell‘uomo, quando esso si spinge oltre le sue possibilita>. Per Roy Porter, invece, esso rappresenta una sorta di autocaricatura dello stesso William Hogarth. Il gruppo @ completato da un sarto pazzo, vestito di stracci, che @ intento unicamente a prendere delle misure. Il quadro della follia si conclude con tre uomini, posti sulla sinistra, che rispettiva- mente rappresentano un papista fanatico, un musicista pazzo ed un amante in- consolabile in atteggiamento malinconico. Infine, sullo sfondo del dipinto possia- mo notare due donne che assistono all'intera scena. Con esse Hogarth evidenzia come la follia sia diventata per la societa inglese del tempo una sorta di spettacolo 4 Ia page, dal momento che ogni anno circa 100.000 persone pagavano per poter guardare e molestare gli ospiti di quello zoo umano”” E difficile poter discernere se Hogarth ha raffigurato delle caricature di paz- zi, come ritiene Roy Porter, oppure dei veri e propri prototipi di folli, come affer- ma, invece John Trusler. Pensiamo che una contrapposizione cosi netta in realta non abbia alcun senso. Dare corpo ad una delle due interpretazioni vorrebbe dire considerare l’esperienza della follia settecentesca come una esperienza monodisciplinare, dominio esclusivo o della letteratura, 0 della medicina 0 della filosofia. Noi sappiamo, invece, che essa @ stata una esperienza trasversale alla societa e alla cultura del tempo. Ma anche tale visione denuncia un pericoloso fraintendimento analitico sia dal punto di vista epistemologico che da quello sto- rico. Se prevale nello studio della follia un approccio di tipo esclusivamente letterario, certamente, come aveva gia affermato Jean André Rouquet, il comportamento pazzo di Tom Rakewell diventa I’unico di un certo interesse a detrimento di tutti gli altri. Di contro, se prevale un approccio di tipo esclusivamente filosofico, ad esempio, di tipo lockeiano, la pazzia del libertino passa in secondo piano rispetto alle monomanie degli altri insani. Ma, soprattutto, non si deve dimenticare che nel Settecento il fenomeno dell’internamento del folle non riguarda in primo luogo la satira lette- raria, la gnoseologia medica o I'indagine filosofica ma spetta interamente alla pra- tica repressiva della giurisprudenza, la quale @ mossa esclusivamente da ragioni di moralita pubblica e di sensibilita sociale”’. Detto altrimenti, il nostro interesse non si deve limitare solo allo studio della follia in quanto tale ma deve estendersi a considerare quale ruolo svolga la funzione dell’internamento nella societa europea del XVII secolo come sistema di negazione e punizione di qualsiasi comportamen- to legato alla sragione. Tom Rakewell, dunque, viene internato non solo perché @ diventato pazzo, dopo aver abusato ed essersi abituato alle peggiori passioni, ma anche perché egli é un libertino, vale a dire egli incarna un comportamento deli- rante che la ratio settecentesca condanna e punisce. Tale interpretazione pud essere rafforzata se prendiamo in considerazione il contenuto espressivo del dipinto. Negli episodi precedenti dello stesso ciclo, egli non da alcun segno di follia, vale a dire o7 le prime scene non fanno intravedere lesito finale della sua «carriera». Anzi, espri- me ancora delle passioni 4 Infine, la terza, di cui & autore uno storico tedesco degli ospedali europei, Dieter Jetter, basandosi su documenti soprattutto medico-psichiatrici, avanza l'ipo- tesi che Goya abbia dipinto questo quadro dopo aver trascorso alcuni giorni in quello stesso manicomio per farsi calmare’2, E difficile dire quale di queste tre interpretazioni sia la piti attendibile, Tut- tavia, ci sembra di poter affermare, che comunque siano andati i fatti, 'esperienza della follia di Goya non possa essere pitt assimilata a quella di William Hogarth. Laddove quest‘ultimo esprime un rapporto distaccato, di algida condanna della pazzia, il primo, invece, esprime un senso di maggior coinvolgimento e quasi una sorta di passionale identificazione pittorica. Sembra quasi che alle certezze di Hogarth, egli risponda con dej dubbi e delle inquietudini che sono ad un tempo 100 soggettive ed oggettive. Certamente la pittura della prima meta del secolo rispetto a quella della seconda @ profondamente cambiata. Alla luminosita e al colorismo barocco del pittore inglese, Goya risponde con il colore e Yombra in quanto entita pittoriche che si pongono in antitesi alla chiarezza e alla purezza formale del razionalismo neoclassico. Per lui le tenebre costituiscono il luogo dove affrontare, non reprimere, i mostri provocati dal sonno della ragione. La seconda opera in cui Goya affronta il tema della follia @ un dipinto, realizzato con tutta probabilita fra il 1812 e il 1814, intitolato «Interno di mani- comio», che si conserva attualmente presso I’Academia di San Fernando di Ma- drid®. Questo quadro, le cui modalita di realizzazione non ci sono note, presenta indubbiamente diverse differenze rispetto a quello dipinto fra la fine del 1793 e Vinizio del 1794. Innanituttu, possiamo notare come esso sia pitt complesso, non solo perché la composizione pittorica @ pitt articolata ma perché lo spazio del manicomio 2 pitt grande, nel quale trovano posto un numero maggiore di folli. Un’altra fondamentale differenza é costituita dalla mancanza di un carceriere al- Vinterno della cella; cid consente ai pazzi di assumere un atteggiamento pitt libero ma anche pitt frenetico, in un luogo dominato dalla confusione e dal trambusto. Essi, inoltre, vengono rappresentati in una estrema varieta di tipizzazioni; possia~ mo scorgere, ad esempio, almeno tre monomaniaci, con delle corone in testa e dei bastoni in mano, che pensano di essere dei re, uno, con un tricorno in testa, che crede di essere un soldato in battaglia ed un altro, con un corno in mano, forse pensa di essere un torero pronto alla tauromachia. Non sappiamo con precisione se questo manicomio é ancora quello dell’ Hospital General de Nuestra Sefiora de Gracia di Saragozza. Tuttavia, vista la mancanza di indicazioni contrarie, dobbiamo rite- nere che si tratti dello stesso luogo“. Certamente questo quadro rappresenta un passo all’indietro non tanto rispetto alla sua ricerca formale precedente, quanto piuttosto rispetto alla riforma del sistema d’internamento della follia, sviluppatasi nei primi anni dell’800 con Yopera di Philippe Pinel o di Samuel Tuke, e le cui conseguenze furono ben visibili anche in Spagna ed in particolar modo in quel manicomio di Saragozza dove Goya ambienta i suoi dipinti rappresentanti la follia. Nel 1801, Philippe Pinel nel suo Traité médico-philosophique sur Valiénation mentale, ou la manie, riferendosi a Saragozza, scrive dell’esistenza di un asilo aperto ai malati e soprattutto agli alienati di tutti i paesi, di tutti i go- verni, di tutti i culti, con questa semplice iscrizione: Urbis et Orbis. Un lavoro meccanico non @ stato solo Voggetto della sollecitudine dei fondatori di questa istituzione; essi hanno voluto ritrovare una sorta di contrappeso ai turbamenti dello spirito attraverso Yattrattiva e il fascino che ispira la coltivazione dei campi, attraverso l'istinto naturale che porta I'uomo a fecondare la terra e a provvedere cosi ai suoi bisogni con i frutti della sua operosita. Fin dal mattino vediamo gli uni assolvere i servizi servili della casa, certi altri recarsi nei loro rispettivi labo- ratori, la maggior parte dividersi in diverse compagnie, sotto la guida di alcuni sorveglianti intelligenti e illuminati, sparpagliarsi in allegria nella diverse parti di un appezzamento recintato, dipendente dall'ospizio, dividersi con una sorta di spirito d’emulazione i lavori relativi alle stagioni, coltivare il frumento, i legumi, gli ortaggi, occuparsi a turno della mietitura, del graticolato, della vendemmia, della raccolta delle olive, e ritrovare alla sera nel loro asilo solitario la calma ed 101 27 un sonno tranquillo. L’esperienza pitt costante ha insegnato in questo ospizio che ®@ questo il mezzo pid sicuro e pitt efficace di essere restituiti alla ragione; [...]". Dal dipinto di Goya non si scorgono né alienati che stanno lavorando la terra, né alienati che ritrovano alla sera la calma del loro asilo ed un sonno tran- quillo. Il suo sforzo artistico é stato spiazzato da questa testimonianza di Philippe Pinel. II pittore spagnolo non solo non é riuscito a dare seguito alla sua condanna del 1794 ma non é neppure stato in grado di aggiornare il tema della follia rispetto ai nuovi rivolgimenti avvenuti in quegli stessi anni all’interno delle strutture d’in- ternamento dell’insania. Quest’ultime ormai non sono pitt i luoghi dell’esclusione e della correzione della pazzia, come sembrerebbe mostrare ancora Goya, ma i luoghi della sua cura e della sua guarigione. Ormai in questo nuovo sistema il medico @ riuscito a scalzare il carceriere. Tuttavia, non @ neppure improbabile che egli con questo dipinto abbia voluto ribadire, soprattutto dopo la svolta del 1808, il suo pessimismo «prudente» nei confronti del processo riformistico dei manicomi avviato da P. Pinel, perché fondato su quegli ideali illuministi e razionalisti che in parte ha avversato e combattuto nell’ultima parte della sua vita*®. Il destino della pittura ottocentesca che intende occuparsi del tema della follia appare definitivamente segnato: o essa si fa interprete della nuova riforma e delle nuove concezioni terapeutiche dell’insania 0 essa viene inevitabilmente esclu- sa dal tempo e dalla storia. L/artista ottocentesco che pitt di ogni altro si @ fatto carico di questo primo indirizzo @ Théodore Géricault. Questultimo, fra l’autunno del 1822 e il maggio del 1823, vale a dire dopo il suo ritorno dall'Inghilterra, realizza dieci ritratti d’insani, per il suo amico dottor Etienne-Jean Georget, allievo di Etienne Esquirol ed alienista presso l’ospedale della Salpétriére di Parigi””, Purtroppo oggi di questa serie noi disponiamo solo di cinque quadri. Essi rappresentano varie forme di monomania: «Monomania del comando militare», «Monomania del rapimento dei bambini», «Monomania del furto», ma una «animazione fisiognomica», per usare una importante distinzione teorica cara a Georget, al fine di far emergere tutta la loro umanita. Infatti, le loro facce non sono attente, attive, ma sono stanche, preoccupate e, con l’eccezione della «Monomania dell'invidia», passive. Esse sono «ricettacoli di sentimenti e non spec- chi di risposte». L’impressione che se ne ricava non @ di intensa unicita ma di una accumulazione di sentimenti passati i quali risultano troppo forti e troppo radicati per essere cancellati dal riposo o dalle distrazioni®. I pazienti di Georget vengono 102 28, 29, 30, 31, 32 rappresentati, per rispettare la loro sensibilita, — scrive ancora Margaret Miller — « 43) Chr. Lepera pittorica completa di Goya, Milano 1981, n. 558. Per una analisi diversa riguardo questo dipinto cfr, Foucault, ap. cit, pp. 595 sgg, (Foucault interpreta questo quadro, anche se gli da il titolo di «Cortile det Folli», poiché fino al 1967, vale a dire fino alla riscoperta di Desparmet Fitz- Gerald, molti storici e critici hanno frainteso i due dipinti. Le datazioni delle due opere sono ‘ovviamente molto importanti nella analisi dell'evozione della rappresentazione della follia in Goya). 44) Ortega y Gasset ha osservato che «Goya non ha una relazione diretta e personale con i suoi temi durante la maggior parte della sua vita». (ibid). Tale assunto potrebbe avvalorare I'ipotesi di Gassier (op. cit, p.38) sulla derivazione della volta dei due manicomi dalle Carceri (1760) di Giovanni Battista Piranesi, per «meglio coprire crimini e orrori d’una umanita perversa». 45) Chr P. Pinel, Traité meéttico-philosophique sur Ualiénation mentale, Paris 1801, pp. 225-226. Cir, inoltre Jetter, op. cit, ibid 46) Sulla prudenza di Goya dopo il 1808 cfr. Gassier, op. cit, pp. 77 seg 106 47) 48) 49) 50) 51) 52) 53) 54) 55) 56) 5”) fr. M. Miller, «Géricault’s paintings of the insane, in: Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, vol. 4, 1941, pp. 151-163. Cfr. inoltre W.. Friedlaender, David to Delacroix, Cambridge (Mass.) - London 1952, p. 104 ¢ A. Del Guercio, Gérieault, Milano 1963, pp. 89 seg. (Cfr. Llopera completa di Géricault, Milano 1981, nn, 223-227. Cfr. Miller, op. cit., p. 153. Cr. Miller, op. cit. p. 162. Cir. Miller, op. cit., p. 153. Cfr. Foucault, op. cit., p. 580. Cir. Foucault, op. cit., pp. 573 sgg. Cir. Miller, op. cit., p. 152, n. 1. fr, Miller, op. cit., pp. 158.159. Cfr. J. Browne, «Darwin and the face of madness», in: The Anatomy of Madness. Essays in the History of Psychiatry edited by W. F. Bynum, R. Porter adn M. Shepherd, vol. I, London and New York 1985, pp. 151-165. «Cid di cui cera bisogno» — scrive J. Browne — «al tempo dell’Origine delle specie di Darwin era uno studio oggettivo dell'insania, non le sensibili immagini soggettive dei ritratti di Géricault. E fu solo con I'introduzione della fotografia che un ritratto completamente oggettivo sembrava essere accessibile. Non piti che ventenne nell'Inghilterra del 1859, Ia fotografia fu con- siderata I'ultima forma di ritratto realistico e alla fine fu proclamato possibile un nuovo studio empirico della follia» (op. cit., p. 157) fr. Foucault, op. cit,, pp. 602 e K. Jaspers, Geno ¢ follia, Milano 1990, pp. 145 sgg. 107 TAY. 23 - Anonimo napoletano, Pazzo igiudo che brucia la camicia (Forli, Pinacoteca Comunale «A. Saffin), TAV. 24- W. Hogarth, La carriera del libertino, VII, 11 manicomio (Londra, John Soane’s Museum), TAV. 25 - W. Hogarth, La carriera det fibertino, VIM, 1! manicomio incisione). TAY. 26 - F. Goya, Il recinto dei pazzi (Dallas, Meadows Museum). TAY. 27 - F. Goya, Interno di manicomio (Madrid, Academia di San Fernando). TAV. 28- T. Géricault, Monomaria det comando militare (Winterthur, ‘Sammlung Oskar Reinhart «am Rémerholz»). TAY. 29 - T. Géricault, Monomania det rapimento dei bamnbini Springfield [Mass.], Museum of Fine Arts). TAV.30- T. Géricault, Monomania del furto (Gand, Museum voor Schone ‘Kunsten), TAY. 31 - T. Géricault, Monomantia del gioco (Parigi, Louvre). TAY. 32- T. Géricault, Monomania dell'invi- dia (Lione, Musée des Beaux- Arts), 123

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