I MONTI PALLIDI
(Lis montes paljes)®
Cera una volta un figlio di re, giovane, bello e valoroso. II regno di suo
padre si trovava fra le Alpi Orientali, ed era ricco di pascoli verdi, di boschi
ombrosi, di montagne alte e rocciose. Gli abitanti eran tutti pastori o
cacciatori, e vivevano in pace, contenti della loro sorte. In tutto il regno vi
era un solo infelice, ed era proprio il figlio del re. Da alcuni anni lo
tormentava un gran desiderio, un desiderio stolto, pazzo, irrealizzabile:
voleva andare nella Luna. Per trovare il modo di soddisfare questa sua
singolare aspirazione, aveva interrogato tutti i sapienti del regno e dei paesi
vicini; ma tutti s'eran burlati di lui e nessuno aveva saputo dargli un
consiglio. IL principe non sapeva darsene pace ed era sempre triste e di
umor nero. I suoi amici cercavano in ogni maniera di distrarlo, di farlo
pensar ad altro, ma tutto era inutile: egli non vedeva, non sognava altro che
la Luna. Nelle notti di luna piena il povero principe perdeva del tutto la
testa e andava errando fino all'alba per i campi e per i monti, con gli occhi
sempre fissi all'adorato pianeta. Il re aveva mandato a chiamare I'uno dopo
laltro i pit famosi medici del mondo, ma nessuno riusciva a comprendere e
a guarire quella strana malattia.. E il male intanto si faceva sempre pill
grave: lo sventurato giovane deperiva in modo preoccupante.
Un giorno, durante una caccia, il principe s'allontand un po' troppo dai
compagni e si smarri in un bosco. Cammind a lungo fra i fitti alberi
credendo di tornare verso casa, ma non riusci a trovare la via; e quando gia
scendeva la sera, giunse a un altipiano fiorito di rododendri, circondato per
tre parti da un gran muraglione di rocce. Il figlio del re decise di passarvi la
notte, poiché non poteva piti sperare, ormai, di ritrovare la strada e giungere
a casa prima che si facesse buio. Si stese sull'erba; stanco com’era d'aver
camminato tanto, s'addormenté subito; e fece un curioso sogno. Gli parve
d'essere in un prato coperto di fiori a lui sconosciuti e di parlare con una
bellissima fanciulla straniera: intorno a loro la campagna era tutta bianca,come fosse coperta di neve. Il principe aveva in mano un mazzo di
rododendri e li offriva alla bella ignota; essa li prese sorridendo, gli
domand6 notizie del suo paese, e alla fine gli disse di essere la figlia del re
della Luna. A queste parole il principe senti un'immensa gioia e si destd.
Doveva essere gia passata la mezzanotte. La luna era alta nel cielo ed
empiva di luce d'argento I'altipiano deserto. Il figlio del re guarda in alto e
la sua gioia si muté il dolore: ripreso dal solito pazzo desiderio, restd a
lungo assorto in tristi pensieri.
«Se potessi incontrarla davvero», diceva fra sé, ripensando alla fanciulla
che aveva vista in sogno; e intanto, senza neppure accorgersi di quel che
faceva, si chinava a cogliere qualche rododendro. A un tratto gli parve di
udire un suono di voci lontane e confuse: si mise ad ascoltare, ma tutto
taceva intorno a lui. Ricomincié a coglier fiori, ma il vocio gli giunse di
nuovo all'orecchio, piii distintamente, e questa volta gli parve che scendesse
da una rupe alta e diritta come una torre, la sommita della quale spariva in
una nuvola.
«Saranno spiriti della montagna che abitano lassi», pensé il figlio del
re.
Pose la mano sull'impugnatura della spada, si diresse verso la rupe e
comincié ad arrampicarsi su per la parete di roccia. A misura che saliva, le
voci si facevano pit distinte. Quando fu entrato nella nube che nascondeva
Ja cima della rupe dovette andare avanti a tentoni, nel buio. A un certo
punto urtd contro qualche cosa di duro: una porta si apri e il principe si
trovo in una piccola stanza illuminata. Due uomini vecchissimi eran seduti
in un angolo e si alzarono, spaventati, alla vista dello sconosciuto; ma il
principe li rassicurd, spiegando che era un cacciatore e che s'era smarrito
nel bosco. Allora i due vecchi lo accolsero con gentilezza, lo invitarono a
sedere e gli parlarono amichevolmente. I] principe domandé chi fossero, e
se abitassero sempre lassi.
— Noi siamo abitanti della Luna, risposero i due vecchi. Abbiamo fatto
un lungo viaggio sulla Terra, ma presto torneremo a casa.
Tl cuore del principe diede un balzo a queste parole: pallido di
commozione e di speranza, racconté il suo antico e terribile desiderio di
andare nella Luna. I due vecchioni risero:
— Ma é facilissimo, gli dissero. Se volete venire con noi, possiamo
partire anche subito.Il principe, fuori di sé dalla gioia, accettd con entusiasmo, e non trovava
parole per esprimere la sua riconoscenza. Intanto la nuvola s'era staccata
dalla rupe e si sollevava rapidamente, portando i tre uomini verso la Luna.
Durante il viaggio, per passare il tempo, il principe descriveva le bellezze
del regno di suo padre, e i suoi nuovi amici gli parlarono del loro paese.
— Un abitante della Terra non pué restare a lungo nella Luna, spiegd il
pid vecchio. Tutto @ bianco lassi. Monti e pianure, boschi e citta, laghi e
fiumi splendono come fossero d'argento, e gli occhi che non vi siano
avvezzi fin dalla nascita perdono la vista, se restano esposti per troppo
tempo a quella luce abbagliante. D'altra parte, nemmeno un abitante della
Luna potrebbe vivere sulla Terra: verrebbe preso da mortale tristezza e in
breve tempo la nostalgia per il suo paese bianco e luminoso lo farebbe
morire.
Con questi ed altri discorsi i tre viaggiatori passarono piacevolmente il
tempo, finché la nuvola si posd sopra un monte della Luna e si fermd: la
prima parte del viaggio era finita e ora bisognava proseguire a piedi. I due
vecchi dovevano andare a destra e consigliarono al giovane di dirigersi
verso sinistra, se voleva trovare la capitale. Il principe si accomiato dai suoi
compagni di viaggio e s'incammino nella direzione che essi gli avevano
indicata. Tutt'intoro la campagna era coperta da una infinita di fiorellini
bianchi, come da uno strato di neve; anche la terra nuda era bianca, e le
pareti rocciose dei monti, battute dal sole, emanavano una luce chiara,
velata.
Dopo breve cammino il principe giunse in vista della capitale: le mura,
Je torri, le case, i palazzi erano tutti bianchi come neve. Affretté il passo,
finché si trové davanti a un ostacolo che sbarrava la via: un cancello di
metallo lucente, lavorato con arte e ornato di strani disegni. Al di la, si
stendeva un bel giardino fiorito. Un giardiniere scorse il forestiero e gli si
avvicind per domandargli dove avesse trovato i fiori che teneva in mano:
erano i rododendri che aveva colti nella notte e che, quasi senza rendersene
conto, aveva portato con sé fino ad allora.
— Vengo dalla Terra, spiegé il principe. Questi fiori crescono laggii.
— Volete un consiglio? disse allora il giardiniere. Andate al castello,
che vedete in fondo al giardino: vi abitano il re della Luna e sua figlia. Alla
principessa piacciono moltissimo i fiori belli e rari, e se le portate quel
mazzo certamente riceverete un ricco compenso.Il principe sorrise.
— Volentieri dard i miei fiori alla principessa, ma di compenso non ho
bisogno. Anch'io sono figlio di re.
Il giardiniere, stupito, apri subito il cancello, prego il principe di entrare
nel giardino, e corse piu presto che poté verso il castello reale. Pochi minuti
dopo tormé, e invitd il principe a seguirlo per andare dal re. Traversarono
una serie di sale e galerie, le cui pareti erano di alabastro bianco, e giunsero
in una grande sala piena di luce, dove il re e la principessa accolsero il
principe, dandogli cordialmente il benvenuto. Il re era molto vecchio e
aveva una gran barba bianca; nella figlia il principe riconobbe con sorpresa
la bella fanciulla che aveva vista in sogno la notte. Ella accetté,
ringraziando, i rododendri e domando al principe se tutti i fiori fossero cosi
sulla Terra; poi gli chiese che gente vi abitasse, quanto fosse grande il regno
di suo padre e altre simili notizie.
Il principe rispondeva ben volentieri, e soltanto dopo una lunga
conversazione prese congedo dal re, che lo invita a rimanere, suo ospite, al
castello, Si pud credere che il principe non si facesse troppo pregare, per
accettare un invito che lo riempiva di gioia.
I giorni passavano presto, come passano i giorni felici. Il principe
faceva lunghe passeggiate; e a poco a poco gli diventava familiare ogni
parte di quella Luna che aveva tante volte guardata da lontano con disperato
desiderio. «Com'é bella la vita, pensava il fortunato giovane, che sa
realizzare i nostri sogni pili assurdi!». Ma che cos'era quel bruciore agli
occhi, che spesso lo costringeva a chiuderli non sazi ancora di bellezza?
Un giorno, a pranzo, il re gli domandé:
— Ebbene, amico, vi piace il mio paese?
— Maesta, rispose con una certa esitazione il principe, i campi della
Luna, cosi bianchi e luminosi, sono certo i pit belli che io abbia veduto: ma
il loro splendore mi stanca gli occhi, e ho timore che diventeré cieco se non
tornerd al mio paese.
— Oh, non credo, disse la principessa; anzi, col tempo i vostri occhi si
abitueranno, e potrete benissimo restare.
Ma un vecchio sapiente della corte si permise di contraddirla, e osserva
che in verita non era prudente per un abitante della Terra restare a lungo
nella Luna. La principessa non disse pid nulla.Quando il principe s'era smarrito a caccia, i suoi compagni I'avevan
cercato dappertutto, sui monti e nei boschi, per molti giorni: e naturalmente
non erano riusciti a trovarlo. Non restava loro altro da fare che tornare al
castello e raccontare al re quello che era accaduto.
Tl re, angosciatissimo, li caccié tutti via e ordind loro di non comparire
pid davanti a lui senza ricondurgli suo figlio. Fece poi bandire per tutto il
regno che sarebbe stato generosamente ricompensato chi avesse saputo dar
notizia del principe. Ma nessuno lo aveva visto, e gia tutti pensavano che
fosse morto cadendo in qualche burrone; quando all'improvviso si sparse la
voce che il principe era ricomparso e aveva condotto con sé una bellissima
sposa, la figlia del re della Luna. Tutti quei bravi montanari, che amavano
di cuore i loro sovrani, ne furono felici, e da ogni parte accorsero al castello
per vedere la donna venuta dalla Luna.
La principessa si distingueva dalle donne della Terra soltanto perché da
lei emanava una luce bianca tanto viva che faceva sparire l'ombra degli
alberi, quando ella passeggiava nella campagna. Tutti ammiravano i fiori
bianchi che aveva portati con sé, e che nella Luna coprono i campi e i
monti, come uno strato di neve. Col volger del tempo questi fiori si
diffusero per tutte le Alpi, e vennero chiamati «stelle alpine».
Dal canto suo la principessa non si stancava mai di ammirare i prati
ridenti di fiori di ogni colore, i pascoli verdi, i laghi azzurri delle Alpi; e
dichiarava di preferire molto la bella varieta della Terra alla bianca
monotonia della Luna. Il principe era felice che sua moglie si trovasse cosi
bene nel suo paese, ed era un gran piacere per lui condurla in ogni parte del
regno e mostrargliene le meraviglie. cosi tutti e due vivevano contenti,
sicuri ormai di un lieto avvenire.
Ma una sera, tornando a tarda ora dalla caccia, il principe vide la sua
sposa che, affacciata alla finestra di una soffitta, guardava la Luna, e
sembrava perduta in un sogno. Preoccupato, sali le scale senza far rumore,
le si avvicind in punta di piedi, e ponendole una mano sulla spalla le
domanda perché fosse cosi pensierosa. Ella si volt confusa, sorrise, e non
voleva rispondere: ma alla fine dové confessare che da qualche tempo
sentiva una grande nostalgia per il suo paese. Certo le Alpi erano belle e
varie, ma le vette fosche dei monti, levate verso il cielo come pugni
minacciosi di giganti, davano al paesaggio una nota triste, che a lungo
andare le pesava sul cuore come un incubo. A questa confessioneinaspettata il principe si spaventd, e gli tornd in mente I'avvertimento dei
due vecchi che l'avevano accompagnato nel suo viaggio aereo; chi é nato e
vissuto fra i campi bianchi della Luna non pud restare a lungo sulla Terra,
senza morire di tristezza, di mancanza di luce. Se la sua sposa dovesse
morire!...
In principio sperd di poterla salvare offrendole distrazioni e divertimenti
di ogni genere: ma tutto fu inutile. La nostalgia della principessa cresceva
ogni giorno e a poco a poco divenne una vera malattia. Seduta alla finestra,
ella passava ore ed ore contemplando la Luna, proprio come aveva fatto per
tanti,anni il principe; e si lamentava sempre di essere oppressa dalla vista
delle cupe montagne, che gettavano l'ombra in tutte le valli. Ogni giorno
peggiorava, e alla fine divenne cosi debole, cosi pallida, che si temette per
a sua vita. Il principe era disperato e nessuno sapeva dargli consiglio.
Appena il re della Luna seppe che sua figlia era in pericolo di vita, si
affretté a scendere sulla Terra per rivederla; e quando il genero gli ebbe
spiegato che la poveretta moriva di nostalgia, non volle sentir ragione e
dichiaré che I'avrebbe riportata immediatamente con sé nella Luna. Se il
principe voleva venire con loro, egli ne sarebbe stato felicissimo; se voleva
restare, tanto peggio per lui: un padre non poteva lasciar morire sua figlia
cosi.
Dal re suo padre, dalla corte, dai sudditi il principe venne pregato e
supplicato di rimanere, di rinunziare alla moglie per il bene del regno, di
pensare al suo popolo e al trono di cui era I'erede; ma egli non diede ascolto
a nessuno e parti per la Luna con la moglie e col suocero.
Tornata nella sua patria, la principessa fece presto a guarire: ma anche
pili presto il principe si accorse che ci vedeva ogni giorno un po! meno e
che, continuando cosi in poco tempo sarebbe diventato cieco. Tutti gli
consigliarono di partire subito: dapprima non volle acconsentire, ma quando
il pericolo divenne imminente dovette arrendersi e tornare sulla Terra.
Da quel momento ogni gioia ebbe fine per lui. La sua antica passione
per la Luna rinacque, pil forte di prima: questa volta egli si diede
addirittura a vivere sui monti, come un selvaggio, e tornava al castello
soltanto quando era luna nuova. Dopo un certo tempo non comparve pitt
affatto fra gli uomini; non scendeva nemmeno nelle valli, e passava i giorni
e le notti a camminare nei boschi, ad arrampicarsi su tutte le rupi e tutte le
cime dei dintorni, senza trovare in nessun luogo la pace.Erano gia passate alcune settimane da quando il principe aveva visto per
Tultima volta un uomo, quando, una sera, un grosso temporale lo sorprese e
Jo costrinse a rifugiarsi in una caverna. Appena entrato, si trovd, con sua
non piccola sorpresa, in presenza di un curioso omino, alto tre palmi, con
una lunga barba, una corona d'oro sulla testa, e un viso triste. Era il re dei
Salvani, e, pregato dal principe, consenti a raccontargli le disgraziate
vicende sue e del suo popolo.
T Salvani abitavano da tempo immemorabile una bella regione nel
lontano Oriente. Ma proprio quando il loro regno era nel massimo
splendore, e aveva tanti abitanti quante son le foglie di una grande foresta,
un popolo di guerrieri l'aveva invaso, 'aveva messo a ferro e fuoco e aveva
ucciso in terribili battaglie la maggior parte dei Salvani. Il re e i pochi
superstiti erano stati costretti a fuggire. Avevano chiesto ospitalita a tutti i
popoli vicini: si sarebbero contentati di un monte, d'un bosco, di una palude,
di un po’ di terra dove poter vivere. Ma nessuno voleva accoglierli.
Finalmente ottennero dal re d'un paese lontano la concessione di stabilirsi
nel suo territorio, ma in cambio fu loro imposto un cosi duro lavoro, una
schiaviti tanto amara, che molti ne morirono ed altri fuggirono e si sparsero
qua e 1A per monti e boschi.
Il povero re senza regno sospird, quando ebbe finito di raccontare i suoi
guai; fu allora la volta del principe di narrare la sua storia, che non era
meno dolorosa.
Mentre il giovane parlava, il Nano, invece di mostrarsi commosso,
sembrava preso da una grande gioia e il suo viso si rasserenava; e quando il
racconto fu finito, salto in piedi e gridd, battendo le mani:
— Siamo salvi, siamo salvi!
Il principe pensé che il disgraziato avesse perduto la ragione. Ma il
Nano aveva la sua idea e la espose subito.
— La principessa é dovuta tornare nella sua patria perché era abituata a
vivere in una luce molto pit chiara di quella che noi abbiamo sulla Terra, e
non poteva sopportare la vista delle oscure montagne terrestri. Ma se anche
qui tutti i monti, tutte le rocce fossero bianchi come nella Luna, perché
dovrebbe rimpiangere il suo paese nativo? Vivrebbe benissimo anche qui,
non vi pare? Ebbene, noi Salvani siamo gente abile e ingegnosa e possiamo
prendere I'impegno di rivestir di bianco quante montagne vogliamo. E. lofaremo, purché il re vostro padre ci dia il permesso di abitare per sempre nel
suo regno senza essere molestati. cosi potremo tutti essere contenti. Che ne
pensate?
— Bellissimo, se fosse possibile, rispose il principe, un po’ incredulo.
Per me sarebbe facile farvi avere il permesso di rimanere qui; ma voi come
volete fare per cambiare il colore delle montagne?
Il Nano sorrise con malizia e disse:
— Lasciate fare a noi. Abbiamo fatto cose piii difficili.
E non volle dare altre spiegazioni; ma i suoi occhietti intelligenti
scintillavano di contentezza. Il principe non esitd pit e propose al Nano di
andar subito insieme dal re. Il temporale era cessato, e i due si misero in
cammino. Camminarono due giorni interi per luoghi deserti, e alla fine del
secondo giorno giunsero al castello.
Immensa fu la gioia del vecchio re per il ritorno del figlio; ma le
proposte portate da lui e dal suo piccolo compagno lo lasciarono, dapprima,
molto incerto. Sopratutto gli sembrava pericoloso accordare a un popolo
straniero il permesso di stabilirsi nel suo regno; quando perd il re dei
Salvani gli ebbe promesso che mai i suoi sudditi sarebbero scesi nelle valli
0 avrebbero aspirato al possesso di campi o di pascoli, e avrebbero vissuto
sempre sui monti e nei boschi, il re e il suo Consiglio diedero il loro
consenso. I] trattato fu concluso e le due parti giurarono di osservarlo
fedelmente. I] re dei Nani, felice, parti subito per mettersi alla ricerca del
suo popolo disperso e portare la buona novella. Pochi giorni dopo, si videro
migliaia di piccoli uomini passare in lunghe file i confini del regno e
dirigersi verso le cime dei monti. Quando ebbero scelto le loro abitazioni
nei burroni, nelle spaccature delle rocce, dietro le cascate, il piccolo re fece
sapere al principe che nella notte i Salvani avrebbero cominciato il lavoro
che si erano assunti. I] principe aveva passato tutti quei giorni incerto fra il
dubbio e la speranza, e al momento di veder realizzato il suo desiderio fu
preso da una grande diffidenza; gli pareva incredibile che i Nani potessero
riuscire. Si arrampico sulla vetta di uno dei monti pit alti e aspettd con
impazienza la sera.
Appena sorta la luna, arrivarono sul monte sette Salvani, che si
disposero in cerchio e cominciarono a fare da ogni parte strani movimenti,
come se afferrassero qualche cosa d'invisibile; le loro manine si agitavano e
siincrociavano nell'aria come le onde di un torrente in piena. Il principe,osservato con meraviglia quel lavorio, chiese ai Nani che cosa stessero
facendo.
— Filiamo la luce della luna, gli risposero.
Infatti, dopo non molto tempo, nel mezzo del cerchio formato dai Nani
apparve un piccolo gomitolo luminoso, che diffondeva un chiarore tenue ed
uguale. I Nani continuarono a lavorare attivamente; un'ora passava dopo
Taltra e il gomitolo cresceva, cresceva, finché prese l'aspetto di un grosso
involto, Guardandosi attorno da tutte le parti, il principe vide allora che su
ogni vetta, per tutto il regno, ardeva un punto luminoso; su ogni vetta i Nani
avevan filato i raggi della luna. Il principe guardava ammirando lo
spettacolo fantastico: sembrava che le stelle del cielo fossero discese a
posarsi sulle cime delle montagne tenebrose. Gia le valli erano piene di
ombra e la Luna illuminava soltanto le vette pit alte; quando la sua luce fu
del tutto sparita, i Salvani cominciarono la seconda parte del lavoro,
svolgendo i grossi gomitoli e tirando lunghi fili lucenti dalla vetta gid per il
pendio. Poi girarono intorno al monte avvolgendolo tutto in una rete di luce,
e ne stringevano sempre piti le maglie, finché anche le ultime macchie
brune disparvero e tutto fu luminosamente bianco.
La mattina seguente gli abitanti delle valli non volevano credere ai loro
occhi: i monti, che il giorno prima si levavano cosi foschi verso il cielo,
sembravano ora impalliditi e formavano uno strano contrasto con le
boscaglie e con le rocce, rimaste oscure, dei paesi vicini. In una notte sola i
piccoli Salvani avevano saputo vestire con la chiara luce delle regioni lunari
tutte le montagne del regno.
Quando il principe torné, raggiante di gioia, nel suo castello, gli fu
condotto un messaggero che portava una triste notizia. Il re della Luna gli
faceva annunziare che sua figlia, colpita da gravissima malattia, era in
pericolo di vita, e aveva espresso il desiderio di rivedere per l'ultima volta il
suo sposo. Il principe parti immediatamente per la Luna, con il messaggero.
Appena giunto, si precipité al castello: e nell'anticamera gli dissero che alla
sua diletta rimanevano pochi istanti di vita. Ma egli corse da lei e
T'abbraccié con calore.
— Tu non devi morire, le disse ardentemente. Tutte le nostre pene sono
finite. Da ora in poi staremo sempre insieme, non ci separeremo mai pill. Tu
verrai con me sulla Terra: ho preparato per te un mondo tutto bianco, tutto
pieno di luce. Oh, vedrai come tutto é diventato bello laggiti! Mai pit, maipid tornera quell'orribile nostalgia. Mai pitt rimpiangerai il tuo paese. Per te,
la luce della Luna ha inondato il mio regno. Per te, ogni vetta arde fra le
nubi come una fiamma d'argento. E proprio ora dovresti morire? No, non &
possibile. Tu devi guarire per vivere con me, per essere felice.
Queste parole, ardenti d'amore e di fede, risvegliarono nella moribonda
Venergia gid spenta e il desiderio di vivere. Le sue guance smorte si
colorirono, le sue labbra si aprirono a un sorriso, le forze che I'avevano
abbandonata tornarono a poco a poco; e i medici la dichiararono fuori di
pericolo. L'amore aveva compiuto il miracolo.
Dopo breve tempo il principe poté condurre sulla Terra la principessa
risanata. E che lieta sorpresa ebbe ella all'arrivo! Trovava un paese che, con
le montagne bianche, con le valli verdi e fiorite, univa la lucente chiarita
della Luna alla ricchezza di colori della Terra. Mai pit la figlia della Luna
fu presa da nostalgia: il regno dei monti pallidi era pitt bello del suo paese
nativo.
Il principe e la sua sposa vissero felici per moltissimi anni. I Nani, che
avevano compiuto la grande impresa, vennero tenuti in grande
considerazione e rispettati da tutti.
I monti pallidi ci sono ancora e si chiamano Dolomiti. Il regno é finito
da lungo tempo, ma i Salvani sono restati e abitano tuttora nelle macchie,
nelle caverne, nelle foreste. E insieme con la dolce luce lunare, anche un
poco dell'anima nostalgica della principessa della Luna é rimasta fra le cime
sbiancate: chi ha passato qualche tempo fra le Dolomiti, da un irresistibile
fascino sara sempre attratto a tornarvi.Pascoli della Val di Fiemme (foto Emanuela Dioda)LA LEGGENDA DELLE ROSE
Tutti sanno che le vette delle Dolomiti si tingono, al crepuscolo, di un
bellissimo color di rosa: strano riflesso luminoso, che dura pochi momenti e
si spegne quasi d'un tratto. Alpengliihen lo chiamano i tedeschi, e i ladini
Enrosadira. Questa fugace apparizione di luce rosata ha in ogni tempo
eccitato la fantasia dei montanari; e alla montagna dove essa @ pitt bella e
pitt viva i tedeschi hanno dato il nome di giardino delle rose (Rosengarten),
La storia del giardino delle rose ci é narrata da una vecchia leggenda, nella
quale si confondono elementi germanici e reto-ladi
Nel buon tempo antico, quando gli uomini non si odiavano né si
uccidevano fra loro, la grande montagna che si vede a levante di Bolzano
non era, come ora, aspra e nuda: era anzi facile e dolce, e tutta mirabilmente
fiorita di rose rosse. Fra le rose abitava un popolo di Nani, sul quale
regnava, amato sovrano, re Laurino. Nell'interno del monte erano scavati
lunghi corridoi e grandi sale, che racchiudevano tesori favolosi. Non mura e
non palizzate difendevano I'accesso di questo incantevole regno: soltanto un
filo sottile di seta ne tracciava tutt'intorno il confine.
Un giorno Laurino venne a sapere che un re suo vicino aveva una figlia
di mirabile bellezza, e decise di domandarla in isposa. Tre Nani
ambasciatori partirono per chiedere la mano della principessa Similda.
Arrivati che furono al castello reale, il soldato di guardia alla porta, Vitege,
non voleva lasciarli passare: costretto a farlo, apri con mala grazia e disse ai
suoi compagni:
— E senza esempio la sfacciataggine di questi Nani: si considerano
nostri pari. Se fossi il re, li farei bastonare e mettere alla porta, questi
ambasciatori da ridere.
Ma il vecchio eroe Ildebrando, saviamente lo fece tacere.
Intanto i tre Nani esponevano al re il loro messaggio. Il re li accolse
cortesemente, ma la principessa, interrogata, respinse la proposta; e i tre
piccoli ambasciatori dovettero lasciare il castello, rattristati d'esser costretti
a portare un rifiuto al loro sovrano.Se ne rallegré il cattivo Vitege, e gridd loro parole di schemo. Ma i
Nani, che eran pronti di lingua, risposero per le rime: Vitege, furioso,
appena si fece buio li insegui, li raggiunse in un bosco a mezza strada e
uccise uno di loro. Gli altri due fuggirono e corsero a raccontare l'accaduto
are Laurino.
Ire dei Nani era anche un incantatore potente: con le sue arti magiche
riusci a rapire Similda e a condurla nel cavo della sua montagna. E per sette
anni la tenne prigioniera, senza che i famigliari di lei riuscissero ad averne
alcuna notizia.
Passati sette anni, il fratello di Similda scopri il luogo dove la bella
principessa era rinchiusa. Subito voleva partire con i suoi uomini per
liberarla; ma Ildebrando, il vecchio guerriero, lo ammoni che re Laurino era
un avwversario troppo forte perché egli potesse vincerlo da solo; e, dietro suo
consiglio, il principe decise di chiedere aiuto a Teodorico da Verona, l'eroe
famoso. Teodorico si dichiard pronto ad assumere limpresa. Partirono,
accompagnati da Vitege e altri guerrieri, e presto giunsero in vista della
montagna coperta di rose: pareva loro d'esser gid molto vicini, ma soltanto
dopo lungo cammino arrivarono al filo di seta che cingeva l'immenso
roseto. Era mezzogiorno. Sotto il caldo sole d'estate fiorivano le rose,
meravigliosamente rosse e profumate. Disse allora il forte Teodorico:
—Contro chi devo combattere? Non vedo guerrieri, né mura, né difese:
vedo soltanto un filo di seta, che io non posso né voglio violare. Vi
propongo di mandare un messo a trattare con re Laurino.
Queste parole di pace irritarono Vitege; violento, balzd avanti, strappo il
filo e calpesté le rose. Immediatamente, tra i fiori schiantati e sfogliati,
comparve un omettino armato da capo a piedi, che aveva sul capo una
corona d'oro. Era Laurino, il re dei nani: brandiva una piccola lancia e si
volgeva minaccioso contro Vitege. Tutti i cavalieri del giovane principe
risero; solo non rise IIdebrando, che grid@ a Vitege di guardarsi. Ma Vitege
disse allegramente:
— Vieni, vieni qui, nanerottolo, che io ti prenda per i piedi e ti sbatta
contro la roccia.
Le cose perd non andarono proprio come Vitege credeva: i due
avversari lottarono e in breve Vitege si trové cosi a mal partito che dovette
chiamare in aiuto Teodorico. Teodorico accorse e Ildebrando gli grido
dietro:— Laurino ha una cintura che gli da la forza di dodici uomini;
strappagliela e la vittoria sara tua.
Teodorico segui il buon consiglio e in un momento ebbe vinto il Nano.
Allora si avanzo il fratello di Similda e domando conto della principessa.
— Similda sta nella mia montagna, rispose Laurino. Ha grandi sale per
abitare e dame per servirla; nessun male le é stato fatto, siatene sicuro.
— Conducimi da lei e mettila immediatamente in liberta, gridd il
cavaliere, se non vuoi che ti tagli la testa.
Ma Teodorico, |'eroe, non tolleré che si parlasse cosi duramente al
piccolo Laurino, e ne fece rimprovero a Vitege ed al giovane principe. I
cavalieri presero parte chi per Vitege e chi per Teodorico, e vennero alle
mani fra loro. Allora si apri nella roccia una porta, che nessuno prima di
quel momento aveva veduta, e ne usci Similda, seguita dalla schiera delle
sue donne. La principessa si rallegra di rivedere il fratello, e ringrazid Ini ei
compagni di averla liberata; ma aggiunse che Laurino era buono e leale, che
l'iaveva sempre onorata come una regina: ora essi dovevano stringere
amicizia con lui e non pit combatterlo né essergli ostili.
Piacquero queste parole al forte Teodorico; porse la mano a Laurino e
impose agli altri guerrieri di seguire il suo esempio. Tutti lo fecero, ad
eccezione di Vitege, il quale saluté bruscamente e si allontand adirato.
Re Laurino disse:
— Ora che siamo amici, entrate nella mia montagna; voglio mostrarvi i
miei tesori e darvi ospitalita.
T cavalieri accettarono volentieri l'invito cortese e seguirono Laurino
nell'interno del monte. Ai loro occhi stupiti apparvero mirabili cose: il
regno dei Nani conteneva tesori inestimabili e opere d'arte di molto pregio.
In una grande sala una tavola ricchissima era preparata per gli ospiti, e i
Nani con canti e con danze rallegrarono il convito. cosi passarono
lietamente le ore, fino a notte. Allora re Laurino fece togliere le mense e
condusse gli ospiti a riposare; e in breve tutto il regno dei Nani fu
addormentato.
Ma la mezzanotte era appena scoccata quando un Nano corse ad
avvertire il re che Vitege, con una schiera di armati, saliva cautamente fra le
rose, per tentar di sorprendere i Nani nel sono. Seguito dai suoi, re Laurino
si slancié fuori dalla sua dimora sotterranea, e dopo una breve violenta lotta
Vitege e i suoi furono ricacciati git per la montagna. I Nani, vincitori,ripresero la via di casa, non pensando ad altro che a riprendere il sonno
interrotto.
Ma intanto il vecchio Ildebrando, udito il rumore della battaglia, aveva
destato i suoi gridando al tradimento. In men che non si dica tutti furono
armati e occuparono le porte.
Ora accadde che quando Laurino torné dal combattimento, trovando i
suoi ospiti desti ed in armi, credette che fra essi e Vitege vi fosse stata una
perfida intesa, e assali i cavalieri con amari rimproveri. cosi si venne di
nuovo alle armi e la lotta questa volta fu terribile. A un cenno di Laurino, i
Nani indossarono cappe che li rendevano invisibili, e riuscirono cosi a
vincere i loro pit forti avversari. Li avvinsero con catene, li chiusero in un
sotterraneo e tornarono a dormire.
Ma Teodorico, l'eroe, fu preso da tale furore, che dalla bocca gli
uscirono fiamme. Con quel fuoco fuse le sue catene, e una volta libero poté
sciogliere i compagni dalle loro. Intanto Similda veniva in segreto alla
prigione, portando per ciascuno un anello magico, che rendeva nullo il
potere delle cappe; cosi che quando i Nani, assaliti d'improwviso, ricorsero
ad esse, sicuri di rendersi invisibili, furono ridotti a mal partito dai guerrieri
che, grazie agli anelli fatati, li vedevano perfettamente. Re Laurino,
sentendosi perduto, mandd a chiamare in fretta cinque Giganti, che
abitavano sopra una montagna vicina, e che arrivarono in un momento in
aiuto dei loro minuscoli amici. Si riaccese pit terribile la lotta: ma il forte
Teodorico e i suoi compagni furono questa volta vincitori e condussero via,
prigioniero, re Laurino. Lo chiusero in una vecchia casa solitaria e gli
diedero Vitege per custode.
Cosi Laurino aveva perduto il regno ed era ridotto nelle pit misere
condizioni. Vitege lo maltrattava, i soldati addetti alla sua sorveglianza lo
schemnivano: spesso lo legavano con una lunga corda a un palo e lo
costringevano a cantare e ballare per divertire gli uomini d'arme, che si
ridevano di lui.
La dura prigionia di re Laurino durd molti anni.
Una sera d'inverno Vitege e un altro soldato erano di guardia presso
l'infelice re dei Nani. Giocavano ai dadi sopra un tamburo e bevevano
grandi boccali di birra, senza darsi pensiero di Laurino, che avevan legato al
palo con una corda di cuoio. Per scaldarsi, avevano acceso un gran fuoco: e
sia per la birra bevuta, sia per il buon tepore diffuso dalla fiamma, pocoprima dell'alba si lasciaron prendere dal sonno. Laurino allora si accosté al
focolare; e tenne sulla cenere ardente la corda di cuoio finché non fu
consumata. Liberato dai legami, fuggi dalla prigione senza esser visto da
nessuno. Dopo lungo cammino giunse fra le sue montagne. Ma quando, a
una svolta della valle, gli apparve il bel giardino di rose, rosso, splendente
al disopra dei boschi, re Laurino si disse:
— Son le rose che mi hanno tradito. Se gli uomini,, non le avessero
viste, non avrebbero mai scoperto il mio regno.
E, per renderlo invisibile, Laurino trasformo in pietra tutto il roseto e
fece un incantesimo, che le rose non potessero vedersi né di giorno né di
notte.
Ma nell'incantesimo il re Nano aveva dimenticato il crepuscolo, che non
é giorno e non é notte: cosi ogni sera, dopo il tramonto, si rivedono le rose
rosse del giardino incantato. Allora gli abitanti della montagna escono dalle
capanne e guardano e ammirano, e, per un attimo solo, nelle loro menti
inconsapevoli sorge una confusa intuizione del buon tempo passato, quando
gli uomini non si odiavano né si uccidevano e tutte le cose erano pit belle e
pid buone.
E quando il Rosengarten si spegne e le sue punte di pietra ridiventano
chiare e fredde, gli uomini rientrano in silenzio, presi da indefinita tristezza,
nelle loro capanne fumose.